Quando ancora nella mia vita non dovevo uccidere nessuno..

di Chiara Black
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fratelli di sventura ***
Capitolo 2: *** Gli Hunger Games, i Giochi della Fame ***
Capitolo 3: *** L'incidente ***
Capitolo 4: *** Vittime del fuoco ***
Capitolo 5: *** Il pane ***
Capitolo 6: *** Non siamo mai veramente al sicuro ***



Capitolo 1
*** Fratelli di sventura ***


Di nuovo lei.

Il primo pensiero che formulo, appena sveglio. Non so per quanto abbia dormito, ma adesso il sole è bello alto, nel cielo. Penso siano quasi le dieci. Oh cavolo. Il negozio! Sono in ritardo! In un tremendo ritardo, oserei dire. Cerco di alzarmi dal letto, ma sono ancora mezzo stordito dal sogno. Di nuovo lei. Un’altra notte ho sognato Katniss. Eravamo lì, davanti al Forno, lei con un coniglio appena cacciato e io con una delle torte appena glassate. Avevamo appena fatto un baratto, quando lei improvvisamente mi bacia. Un bacio intenso, passionale. Io stavo lì, prima in silenzio a ricambiare il bacio, ma poi a dirle quanto l’amavo. Iniziai lentamente, ma finii praticamente urlando. La cosa bella è che in realtà non mi sembrava fossi io a parlarle, perché non riuscivo a controllarmi. Cercavo di parlare più tranquillamente, dolcemente, ma invano. Le parole mi uscivano come un fiume in piena. Nonostante tutte le cose dolci che le dicessi, sembrava la stessi aggredendo. Lei stava ferma, spaventata, gli occhi lucidi. Si vedeva che aveva  paura di me. Mi guardava come fossi a metà tra un pazzo e una specie di furia con attacchi omicidi. Entrambi tipi di persone a cui conviene non avvicinarsi troppo. Mi avrebbe chiamato per sempre “Peeta Mellark: il pazzo” o “Peeta: lo spirito assassino”. Ma poi il sogno cambia, e io guardo passivamente Katniss e Gale a caccia insieme, seduti su una roccia, ad aspettare l’arrivo in trappola di qualche creatura. A quel punto Gale si alza di scatto dalla roccia sulla quale stava seduto, e si butta in un burrone lì accanto. Vedo Katniss che inizia a singhiozzare, urlando, disperata. Dentro di me ero, per così dire, ‘contento’ per quell’uscita di scena inaspettata di Gale, ma capisco che tra loro due c’era qualcosa. Qualcosa di più che semplice amicizia. Qualcosa come amore. La gelosia a quel punto mi invade e mi butto di nuovo su Katniss, quasi aggredendola.

E mi sveglio. Pensando di stare ancora lì, nei boschi, quando, a dispetto di Katniss e Gale, non ci sono mai stato.

Sogno traumatico, eh? Anche se è difficile parlare di amore, a quest’età, si capisce lontano un miglio che entrambi sarebbero disposti a dare la vita per l’altro. Come Katniss farebbe per la sua famiglia. Come Gale probabilmente farebbe per la sua.

Mi aggrappo all’idea che è per questo che sono così uniti. Che si considerino fratelli a causa dell’esplosione che ha tolto la vita a entrambi i padri. Tutt’a un tratto, ritrovarsi a dover mantenere in vita la propria famiglia non è facile. Tantomeno a quell’età. Katniss deve procurare da vivere a una madre sull’orlo della depressione e a una sorella di quattro anni più piccola. Gale a due fratellini e alla madre incinta del terzo. E così si sono trovati. Due giovani ragazzi, appena adolescenti, che hanno sulle spalle una famiglia. Due famiglie che senza di loro morirebbero di fame. Due famiglie che sarebbero spazzate via come se nulla fosse, a causa di un’esplosione in miniera che tolse loro il padre, la persona che portava il pane a casa. Due famiglie in meno nel Distretto 12.

Si considerano fratelli, è ovvio. Compagni nella stessa sfortuna.

Aggrappandomi a questo pensiero, mi vesto con quel paio di pantaloni che uso quotidianamente e vado al negozio, aspettandomi una sbraitata da parte di mio padre per il ritardo.

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Capitolo 2
*** Gli Hunger Games, i Giochi della Fame ***


Lungo la strada mi accorgo che non c’è molta vita nel Distretto, oggi. Ripasso a mente tutte le festività dell’anno del Distretto 12, pensando che potesse essere quella la causa, ma in realtà c’è poco da elencare. La Mietitura.

L’unico giorno nel quale ci è concesso un po’ di pausa. Miniere chiuse, negozi chiusi. Non si può considerare una vera e propria “festa” però. E’ il giorno in cui si ricordano i Giorni Bui, quando i tredici i Distretti che formano Panem scatenarono una rivolta contro Capitol City, la “sede” del governo. A Capitol City nessuno muore di fame, nessuno corre il rischio di morire a causa di un’esplosione in miniera. Per questo si scatenò la rivolta. Capitol City prende dai Distretti tutto quello che le occorre sfruttandoli. Per esempio noi del 12 ci occupiamo delle estrazioni. Un altro distretto provvede per la legna e così via. Le nostre persone muoiono, vivono in povertà, per garantire il quotidiano benessere alla gente di Capitol City.

Che schifo.

Nella guerra il Distretto 13 fu completamente raso al suolo. Doveva servire per prevenire future rivolte, come avvertimento. Del tipo “Hey, se osi andare contro di noi riduciamo casa tua e il tuo paese in cenere, proprio come il 13!”.

Lo stesso scopo hanno gli Hunger Games, i Giochi della Fame. Ogni anno, ventiquattro tributi devono sfidarsi a morte in un’enorme arena. Vengono scelti due tributi per ogni distretto, un ragazzo e una ragazza che hanno dai 12 ai 18 anni, scelti proprio nella giornata della Mietitura. Di questi ventiquattro ragazzi, solo uno sopravvive. Al vincitore vengono dati ricchezza e fama. Ma in quest’arena non esiste la pieta. Si uccide, uccide e uccide ancora. Fino a che non resti soltanto te. Fino a che anche quell’anno Capitol City non si è assicurata di aver impartito l’annuale “lezione” ai Distretti. Di aver prevenuto eventuali rivolte, uccidendo dei bambini.

Il nostro Distretto ha vinto una sola volta, proprio nella seconda Edizione della Memoria degli Hunger Games. L’Edizione della Memoria c’è ogni 25 anni, e finora ce ne sono state due. Sono degli Hunger Games un po’ più “emozionanti”.. Per esempio in quest’ultima ogni distretto ha dovuto dare il doppio delle persone, due ragazzi e due ragazze. Un totale di quarantotto persone. Che si devono uccidere. Una carneficina di ragazzini.

Affogato nell’indignazione nei confronti di Capitol City, non mi accorgo di essere arrivato a destinazione. Assorto nei miei pensieri, non presto particolarmente attenzione a quel po’ di fumo che sale da dei residui di un fuocherello, simbolo di un falò spento da poco. Chissà perché qualcuno deve aver accesso un falò (pure bello grandicello)  in mezzo alla piazza principale! Ma mi rispondo subito pensando a dei possibili “appiccatori” di quel fuoco. I Pacificatori. Delle persone che regolarmente Capitol City invia nei Distretti per mantenere l’ordine.

Puniscono, anche, se qualcuno infrange la legge. Ma non con la prigione, no! Troppo.. “gentile”…  Di media frustate pubbliche, ma ogni tanto anche qualche rogo non dispiace ai Pacificatori.

Chissà a chi è toccato, stavolta! Chissà chi si è opposto in qualche modo alla sovranità di Capitol City.

Ma non appena arrivo al negozio, mi accorgo che dentro non c’è un’anima. Il negozio è chiuso. La porta è sbarrata per impedire eventuali furti di pane o dolci, come sempre quando il negozio non è aperto. Attaccato alla porta c’è un foglietto stropicciato. Tre semplici parole bastano per farmi salire l’ansia dentro, per farmi attraversare la schiena da un brivido.

“Chiuso per incidente”.

 

 

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Capitolo 3
*** L'incidente ***


Queste parole mi rimbombano nella testa. Chiuso per incidente. Che significa? Che incidente? Che è successo?

Non riesco ad assimilare la notizia. E’ impossibile che sia potuto succedere qualcosa alla mia famiglia, qualcosa talmente grave da dover chiudere il negozio per un giorno, praticamente lasciando in balia della fame buona parte del Distretto, compresa la mia famiglia… Ma allora perché i fatti lasciano pensare che sia successo qualcosa? Nel frattempo una vecchietta, di quelle che di rado si vedono in giro, di quelle invidiate per l’età raggiunta, mi si avvicina. “Mi dispiace molto, ragazzo.” mi dice. Che significa? Non faccio in tempo a chiederglielo, che si è allontanata.

Poi mi ricordo di una cosa.

Anche se ero troppo “preso” a ricordare il sogno, mi sono accorto che mio padre stamattina non mi ha svegliato per portarmi al lavoro. Anzi, adesso che ci penso non ho visto nessun membro della mia famiglia stamattina. Pensavo fosse dovuto all’orario, al fatto che mi sono svegliato tardi. Ma io non dovevo alzarmi tardi, oggi. E piano piano si fa strada un’ipotesi nel mio cervello.

Nessuno mi ha svegliato, perché nessuno stava in casa. Perché probabilmente fuori succedeva qualcosa di più “importante”. E ci dovevo essere anch’io.

E arrivato a questa conclusione, cerco di ricacciare i sentimenti di abbandono che già affiorano. Perché nessuno mi ha chiamato? Perché nessuno si è sentito in dovere di chiamarmi? Ancora una volta, questo dimostra quanto non interessi a nessuno. “Il ragazzo del pane”. Ecco come tutti mi conoscono. Non Peeta Mellark.

Nemmeno il tempo di accorgermene, che i miei piedi puntano già verso la casa di Katniss Everdeen. La casa del “medico” del Distretto, della guaritrice. Sua madre.

Non so cosa voglio trovare là, forse mio padre tutto carbonizzato, o magari mia madre distesa sul tavolo intenta a farsi curare. In realtà c’è talmente tanta folla davanti che faccio fatica ad aprirmi un varco verso la porta d’ingresso. Ecco spiegato anche il perché delle strade praticamente vuote. Tutti a vedere lo ‘spettacolo’.

Mi muovo facendomi largo a spintoni, gridando “Sono Peeta! Lì ci sono i miei!”. Ovviamente il mio nome non suona familiare a nessuno. E a chi dovrebbe? Nessuno sa come mi chiamo. A nessuno è mai importato. L’importante è che ‘quello del pane’ faccia quello che deve, sfornando pane o glassando torte. Certo, se un giorno manco la gente se ne accorge. Ma solo perché se non ci sono hanno fame. Devo sembrare parecchio disperato, visto come mi guarda la gente. O forse sono parecchio disperate le condizioni dei miei genitori, e il Distretto preferisce guardarmi con pietà, che con solidarietà.

La porta è aperta, e io mi precipito dentro casa senza chiedere permessi o cose varie.

Sulla soglia c’è Katniss, che sta lì lì per uscire. Sembra che stia per vomitare, è parecchio scossa. I miei occhi incrociano i suoi, nel casino generale, e lei pensa subito ad abbassarli, arrossando. Di sicuro si è dimenticata di me. Del “ragazzo del pane”, quello che qualche hanno fa, quando le era appena morto il padre e lei non sapeva cacciare ancora tanto bene, le aveva regalato del pane facendosi poi picchiare, a causa di quel gesto. Quel ragazzo che l’ha sempre amata, ma di cui lei non sa a momenti l’esistenza. Non mi aveva neanche ringraziato per la faccenda del pane. Non che lo volessi, è ovvio. Però è stato… strano… Ogni volta che i nostri sguardi si incontravano lei si girava imbarazzata. Chissà che pensa adesso.

La guardo, aspettandomi che dica qualcosa sulle condizioni dei miei, o qualcosa in generale, ma tutto quello che fa è andarsene. Scappa via correndo verso i boschi, come se qualcosa di terrificante la stesse seguendo, come se stesse scappando dalla morte in persona. Da questa casa. Dal tavolo con i miei genitori.

I pensieri più atroci si accavallano nella mia mente mentre attraverso la casa velocemente verso il tavolo della cucina.

 

 

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Capitolo 4
*** Vittime del fuoco ***


Chiamarla “casa” è un tantino eccessivo. Nessuno di noi ha “case” qui nel Distretto 12. O almeno non come immaginano le case quelli di Capitol City. Ricchi appartamenti decorati con quarantacinque stanze. Qua una casa è formata da qualche metro quadrato di camera da pranzo, con giusto un tavolo e delle sedie, una o due stanzette con i letti, un bagno e la cucina. Tutto rigorosamente povero.

Arrivo a grandi passi verso la cucina. Sul tavolo, sdraiato, c’è mio padre, tutto bruciacchiato. No, anzi. Mezzo carbonizzato. Ustioni di secondo e terzo grado lo ricoprono. Sulla panca accanto al tavolo c’è sdraiata mia madre, in condizioni migliori ma pur sempre tragiche.

Non voglio sapere cos’è successo. Non lo voglio. L’unica cosa che voglio è che tornino come prima davanti ai miei occhi. In realtà non ho ancora realizzato il fatto che stiano lì, morenti, buttati sul tavolo della cucina della ragazza che mi piace. ‘Chissà che hanno fatto’ penso.

Intanto la madre di Katniss oscilla tra le postazioni dei due con medicine in mano. Gliene restano poche, da quando faceva l’infermiera. Giusto qualche crema contro le ustioni. Bè, per fortuna sono quelle che servono. Prim, la piccola sorellina di Katniss, aiuta la madre, tenendo le bende e spalmando le pomate sulle ustioni.

“E’ un miracolo” dice a un certo punto la donna. “Che ce l’abbiano fatta, intendo.”

“Che..” provo a rispondere, ma mi accorgo che mi si è formato un groppo in gola. “Che cosa è successo?”

Evidentemente devo avere una faccia che suscita pena, l’ultima cosa che voglio. Ma la donna mi sorride con tenerezza, e inizia a parlare dolcemente, come pensando che se parlasse normalmente non capirei.

“Bè, tuo padre era andato a fare la sua passeggiata mattutina come sempre, prima di andare al lavoro. Passava davanti al negozio e un Pacificatore di Capitol City gli ha chiesto parecchi pezzi di pane gratis. Lui ovviamente, e giustamente, si è opposto, dicendo che se gli dava gratis il pane che faceva, lui e la sua famiglia sarebbero morti di fame.” inizia lei. Io annuisco, troppo scosso per parlare. “Ma il Pacificatore si è arrabbiato, definendo la risposta “oltraggiosa”... Che cosa ridicola… E così, visto che gli girava male probabilmente, ha proposto una pena a causa di quella risposta ‘insolente’, così ha detto lui. Mi chiedo se tra poco anche respirare diventerà un reato punibile con la morte. Pff…” prende fiato. Evidentemente sta arrivando la parte brutta. “Bè.. prima lo hanno picchiato” noto solo adesso alcuni lividi che si intravedono sotto le ustioni. “Poi un altro Pacificatore ha proposto di ‘accendere un falò’.. Hanno acceso il fuoco e hanno buttato dentro tuo padre. Tua madre si è opposta, e si è gettata tra le fiamme insieme a lui. Sono rimasti nel fuoco per parecchi secondi, ma poi un uomo è arrivato da dietro e ha aggredito uno dei  Pacificatori, mentre altre persone spegnevano il rogo e trascinavano i tuoi fin qui. Inutile dire che quel pover’uomo è finito con una pallottola in testa. Questa volta i Pacificatori hanno davvero passato il segno.” E ritorna velocemente a medicare mio padre.

Bè, se prima ero scosso, adesso cerco di trattenere le lacrime. Un uomo si è sacrificato per i miei genitori. Si è beccato una pallottola in testa per salvarli. Mi chiedo chi fosse… magari uno che conoscevo, anche solo di vista. I miei giacciono sul tavolo e sulla panca privi di sensi. Sono svenuti mentre li trascinavano qui, mi dice poi.

“Peeta” mi chiama di nuovo la signora. Mi meraviglio sappia come mi chiamo. “I tuoi genitori devono restare qua, per la notte. Devo vedere come evolvono le ustioni. Se vuoi puoi restare anche te qui, magari sull’altra panca.”

“Grazie mille signora Everdeen.” In effetti, passare la notte a casa da solo, mentre i miei stanno moribondi in un’altra casa, sarebbe motivo di insonnia. Perciò accetto volentieri. Non dormirò lo stesso, ma almeno starò vicino a loro.

E a Katniss. Penso dopo. E’ vero, anche a lei. Mi chiedo se almeno oggi mi parlerà, mi dirà qualcosa.

Rimango lì dai miei a vedere come stanno fino a tardi pomeriggio, poi vado a casa e prendo le cose per la notte e un po’ di cibo. A casa Everdeen il cibo non basta per tre persone, figurarsi con una persona in più e altre due moribonde.

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Il pane ***


Percorro quei metri da casa Everdeen alla mia in tutta tranquillità. Le persone hanno ricominciato a girare per le strade e quello strano silenzio che c’era stamattina adesso è solo un ricordo sbiadito. Tutto sembra essere tornato alla normalità nel Distretto 12. Ma non per me. Dovrò finire di curarli, i miei genitori, dovrò trovare un modo per procurarmi le medicine e le creme per le ustioni. Dobbiamo anche mettere in conto che non riusciranno più a lavorare come prima, nei prossimi giorni. Perciò toccherà a me fare tutto il lavoro al negozio. Preparare il pane come fossi tre persone. Ogni giorno fare il lavoro mio, di mia madre e di mio padre. Sarà dura. Ognuno ha tanto da fare qua nel Distretto, e dover moltiplicarlo per tre è difficile anche solo da immaginare. Chissà che orari farò. Molto tempo fa c’era un detto… “Chi fa da sé fa per tre”…

Vorrei solo fosse vero. Che facendo io tutto il lavoro che c’è da fare, è come lo facessimo in tre.

Ma so che non è così. Lavorerò a ritmi spaventosi. Sveglia prima dell’alba, tornare tardi, e a casa curare i miei. Beh.. mi sa che mi dovranno accettare nel club del “lavorare al posto della famiglia per procurarsi da vivere” di Katniss e Gale.

Arrivato a casa, prendo qualche coperta e un po’ di cibo che avevamo lasciato da parte ieri sera. Ne prendo un po’ di più, da lasciare a casa Everdeen per ringraziare per l’ospitalità e le cure.

Torno velocemente a casa perché si sta facendo buio, e nei Distretti non si deve girare col buio. C’è il coprifuoco. Come con le tv.. a una cert’ora le spengono. Staccano le televisioni dei distretti. Chiudono i programmi che Capitol City vuole che vediamo.

Arrivo a casa di Katniss silenziosamente, perché mi accordo che sulla porta ci sono due persone che non dovrebbero essere là. Due Pacificatori stanno parlando sulla soglia di casa con la signora Everdeen. Mi nascondo rapidamente dietro la casa, aspettando che se ne vadano.

“Ci faccia entrare” sento dire da uno dei Pacificatori.

“No la prego… ci sono due persone molto malate, in punto di morte, che stanno cercando di riposare. Lascerebbero tre figli piccoli senza genitori!” dice la madre di Katniss.

“Vabbè.. mi fido… lasciamoli riposare.. Capitol City non vuole che la gente soffra, nei Distretti.. ho ragione?” chiede il Pacificatore. La donna annuisce debolmente, e i Pacificatori se ne vanno, forse colti da un’ondata di pietà o commossi semplicemente dalle lacrime di quella signora.

“Che volevano?” è la prima cosa che chiedo appena entro in casa.

“Perquisire. Al Palazzo di Giustizia a quanto sembra è sparito qualcosa… non mi hanno voluto dire cosa.. presumo però sia stata una scusa per entrare dentro casa e vedere se c’erano i tuoi genitori. Mi sa che si rifaranno vivi domani mattina.” risponde lei.

“Oh Peeta non dovevi!” aggiunge poi ricevendo il mio regalo.. Due pagnotte portate per loro.

“E’ un piacere” rispondo io sorridente.

Sul tavolo della cucina sono già preparati i piatti per la cena. Qualche pezzo di coniglio e una radice commestibile a testa. Più il mio pane. Un vero banchetto.

“Vieni a tavola, Prim! E anche tu Katniss…” dice la madre rivolgendosi alle figlie. “Guardate che bel pezzo di pane ci ha portato il nostro Peeta!” Nemmeno il tempo di dirlo che la piccola Prim è corsa ad addentare la sua fetta con gusto. “Prim, è per cena!” ribadisce la madre.

Mi aspetto una reazione da Katniss.. anche un semplice grazie. Ma non arriva, anzi. Un’occhiataccia, mentre mangia il pane che ho portato, mi fulmina, costringendomi ad abbassare gli occhi.

Chissà perché è così scontrosa. Pensa davvero che lei sia in debito con me per la faccenda del pane di anni fa? E adesso pensa di esserlo nuovamente perché ho regalato del pane a lei e alla sua famiglia per ringraziarli?

In effetti avevo sentito che questo era uno dei “marchi” distintivi di Katniss. Odiava essere in debito. Con chiunque.

Anche se il mio gesto, in entrambi i casi, era semplicemente un regalo.

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Capitolo 6
*** Non siamo mai veramente al sicuro ***


“Hai freddo?” mi chiede la madre di Katniss prima di andare a dormire. “Di là ho una coperta, te la vado a prendere.”

“No grazie mille, ho portato tutto. Grazie di tutto, comunque. Senza di lei non so come farei in questo momento.” rispondo io.

“Oh ma figurati. E’ il mio lavoro, ed è anche un piacere”

Se ne va. Adesso resto io con i miei genitori moribondi. E con i miei pensieri. Saremo perseguitati da Pacificatori. E’ una cosa certa. Dovremo trovare un modo per non dare nell’occhio.

Forse dovremmo scappare penso. Scappare. Quanto suona strana questa parola! Le recinzioni che circondano il Distretto 12 sono elettrificate. Le tocchi e boom! Sei morto. Un cadavere che Capitol City userà sicuramente come ennesimo avviso. Stravolgeranno i fatti e quel cadavere sarà diventato in qualche modo “un oppositore pericoloso”.

E non dimentichiamo le telecamere. Ovunque andiamo, Capitol City ci guarda, ci spia. Non c’è libertà di parola, di pensiero.

Non siamo mai veramente al sicuro.

E poi ci sono i Pacificatori. Però da quello che ho sentito dire, quelli degli altri Distretti sono molto più “rigidi”. Sempre che la loro crudeltà si possa chiamare in questo modo. Rigidità. Quando qualcuno, in punto di morte gli chiede un po’ di pietà, o semplicemente gli chiedono di ragionare un po’ con il cuore, com’è che rispondono?

Eseguiamo semplicemente quello che Capitol City ci ordina.

In che mondo viviamo. Ma prima o poi le cose cambieranno, ne sono sicuro. Spero solo che io viva abbastanza per vedere Capitol City rovesciata. Per vedere la mia gente, e quella degli altri Distretti, libera. Per avere un barlume di speranza di essere felice. Di finire la mia vita in felicità. Cosa che nei Distretti è abbastanza impossibile. Troppe preoccupazioni, troppa poca libertà.

Per come la penso io, la persona che riuscirà a mettere fine a tutto questo, che rovescerà il regime di Capitol City, dovrà essere ricordata PER SEMPRE. Le persone, le famiglie, da qui a tantissimi anni, dovranno ricordarla e ringraziarla ogni giorno. Ringraziarla per averli liberati. Perché se lei non avesse avuto quel po’ di coraggio che è bastato per fare una seconda rivolta, se lei fosse stata come tutti gli altri, come le persone che ci sono oggi, loro sarebbero ancora sotto Capitol City! Sfruttati, in povertà, fame..!

Ma purtroppo per ora questi sono solo sogni. Speranze. Ma sono speranze vere, non quelle che Capitol City pensa di darci facendo tornare a casa i vincitori degli Hunger Games pieni di ricchezza. Speranze che mi auguro un giorno facciano pensare a qualcuno “Hey, è ora di cambiare le cose qui!”.

Io sono un semplice fornaio. Chi ascolterebbe mai un ragazzino di 15/16 anni che nella sua vita non ha fatto altro che glassare torte?

Qua serve qualcuno che abbia influenza. Che possa far cambiare idea anche alle persone convinte che quest’eventuale rivolta sarà sicuramente una “seconda replica dei Giorni Bui”. Qualcuno con le idee chiare. Determinato, si, ma umano. Nel senso che non eccederà dall’altra parte. Che una rivolta contro il regime di Capitol City non diventi una specie di sadica vendetta.

Come sempre quando penso ad eventuali rivolte mi perdo per parecchio. Dalla stanza accanto sento tutti russare. Katniss, Prim e la madre dormono. I miei non si sono ancora svegliati. Almeno per stanotte, rimarranno nelle stesse condizioni di adesso, penso. Perciò tanto vale riposarsi un po’.

 

Non so quanto tempo sia passato, ma mi sveglio nel cuore della notte con la voce della mamma di Katniss nell’orecchio, agitata.

“Svegliati, Peeta! Ci sono i Pacificatori qua fuori! Stanno arrivando! Hanno degli attrezzi per sfondare la porta. Sanno che i tuoi sono qui.”

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