To make you feel my love

di Lua93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


           
                                                                                                  
                                                                                          The Cinematic Orchestra-Arrival of the Birds & Transformation
                                                                                                                         
                                                                         1

                                                                                

Con le dita seguì i contorni della rilegatura cerulea, percependola ruvida sotto i polpastrelli. Un sorriso si disegnò sul volto, le guance arrossate a causa del freddo, le labbra leggermente screpolate e gli occhi più scuri del solito, la facevano sembrare ancora più bella.
 
Le temperature quel giorno erano scese sotto la media stagionale, l’inverno più freddo mai registrato stava colpendo la città, annunciavano gli esperti. 
Isabella Swan viveva a Chicago, Madison Road numero 186, in un piccolo appartamento senza riscaldamenti. Per questo passava tutti i pomeriggi dentro il Milk Bar, piccolo locale poco distante dal suo appartamento. Le piaceva l’ambiente familiare che si respirava al suo interno, la cioccolata calda servita con i marshmallow e i tavolini con le tovaglie rosse. 
L’aveva conosciuto poco dopo essersi trasferita una volta lasciata Forks, sua cittadina di nascita, per seguire un corso di scrittura creativa presso la Chicago University. Stava cercando un locale, dove poter studiare senza interruzioni e, per puro caso, si era imbattuta nel Milk Bar, attratta dalle luci colorate intorno al bancone. 
A distanza di anni, il proprietario del suo appartamento non aveva ancora installato i termosifoni, pur avendoli acquistati, a detta di Jessica, la sua coinquilina, il vecchio Mr Utterson non aveva alcuna voglia di riempire le buste già stracolme di soldi degli operai. Lasciando correre la cosa, inventando ogni inverno una scusa diversa. Così mentre Jessica cercava calore tra le braccia degli uomini, Isabella si rifugiava nel suo locale preferito. 
Erano passati tre anni dal giorno in cui ci aveva messo piede per la prima volta, eppure era rimasto tutto invariato. Si sentiva a casa dentro quelle quattro mura, poteva dire di esserci cresciuta lì, e con lei anche le sue storie. 
L’ultima, quella che custodiva amorevolmente dentro la sua moleskine celeste, raccontava la storia del Milk Bar, descrivendolo come un luogo incantato. L’aveva paragonato al famoso armadio di Narnia, ed entrandovi non si poteva non venir risucchiati dalla magia del luogo. 
Quel pomeriggio aveva appena messo la parola fine in quel racconto, quando fu riportata alla realtà dalla voce armoniosa di Alice. 
«Ciao Bella». Il sorriso della ragazza le illuminò il volto accaldato, gli occhi chiari brillavano sotto le lampade al neon del locale. Indossava un cappotto bianco con una sciarpa rossa, due guanti dello stesso colore le coprivano le piccole mani. Osservava Isabella con un cipiglio divertito, «posso sedermi?» le chiese cortesemente. 
«Certo». Le aveva sorriso Bella, afferrando la borsa che aveva posato sulla sedia, appoggiandola vicino ai propri piedi, «come mai qui?» 
Alice si spogliò, abbandonando la sciarpa e il giubbotto sull’appendiabiti all’ingresso, infilando i guanti dentro le tasche del cappotto, poi portando la borsa con sé, si sedette di fronte all’amica. 
«La lezione è saltata, così ho pensato di venire da te», le rispose sollevando gli angoli delle labbra. 
«Hai fatto benissimo», disse Isabella felice di poter passare un po’ di tempo con lei. «Ti andrebbe una tazza di the?» le domandò, poi si voltò verso Susan, la cameriera. Quest’ultima non si avvicinò neppure al tavolo delle ragazze, non aveva alcun bisogno di avvicinarsi per prendere l’ordinazione. Conosceva bene i loro gusti. 
«Sai che preferisco una buona tazza di cioccolata calda», la riprese facendole la linguaccia. 
Isabella ridacchiò, lisciando il tessuto pesante della gonna. 
Alice lanciò un’occhiata alla moleskine, «stavi scrivendo?» le domandò incuriosita, sporgendosi per prenderla. 
Isabella la lasciò fare, solitamente non permetteva a nessuno di toccarla, ma Alice era diversa. Era quell’amica speciale a cui confidava tutti i suoi segreti. Si erano conosciute qualche anno prima proprio all’università. Alice frequentava il corso d’arte nell’edificio accanto a quello di scrittura. Si conoscevano di vista, ma non avevano mai parlato. Una mattina, Alice le si era avvicinata in biblioteca, porgendole un pacchetto piccolo e rigido. Incuriosita Bella, l’aprì, trovandovi dentro la moleskine cerulea. «Così non rischierai di perdere quello che scrivi, sarà sempre al sicuro qui dentro», le aveva detto sedendosi accanto a lei. Poi da quel giorno, divennero inseparabile. Alice era stata la prima persona capace, in tutta la sua vita, di sapere cosa le passasse per la mente senza il bisogno di dirlo ad alta voce. Si capivano con uno sguardo e bastavano le braccia dell’altra per stare bene. 
«Scemenze come il solito», Isabella rispose alla sua domanda per poi voltarsi verso Susan. La cameriera arrivò con il vassoio pieno. Sorridendo alle due ragazze, allungò la tazza di cioccolata calda ad Alice e quella contenente il the a Isabella. 
«Questo è il terzo oggi», esclamò indicando la tazza di Bella, «prima o poi il the prenderà il posto del sangue nelle vene». 
Tutte e tre scoppiarono a ridere, fissandosi divertite. 
«Suz, ti andrebbe di venire al cinema con noi sabato sera?» 
«Non so Bella, dipende da Mark». Rispose la rossa stringendosi nelle spalle, «ultimamente è sempre di cattivo umore, non mi va di lasciarlo solo». Aveva spiegato, portandosi il vassoio vuoto sul petto. 
«Porta anche lui», le consigliò Alice, bevendo un po’ della sua cioccolata. 
Susan abbassò gli occhi, imbarazzata. Le guancie le si colorarono di rosso, «non credo sia una buona idea». 
Bella scosse la testa, «non mi piace questa situazione. Tuo fratello dovrebbe reagire, non lasciarsi abbattere». 
«Lo so, ma era talmente innamorato che, proprio non riesce a capacitarsi del fatto che lei non ci sia più». Aveva risposto Susan con un sorriso triste. 
Rimasero in silenzio non sapendo bene cosa dire. Quando qualcuno se ne va, lascia sempre qualcosa a chi rimane. Nel caso di Mark, dopo la morte della sua ragazza avvenuta per cause naturali, dentro di lui albergava solo tanta rabbia. Bella li aveva visti poche volte, l’ultima era stata il giorno di Natale. Lei era una ragazza solare, di una bellezza sconvolgente e lui, Mark, si alimentava dei suoi sorrisi, della sua spensieratezza, le ruotava intorno come un satellite. Dopo la sua morte, era precipitato. 
«La vita gioca strani scherzi», Alice sospirò, «ma non bisogna arrendersi. Sono passati due mesi, capisco però che ci vuole tempo, in caso cambi idea, sai dove trovarci». Le disse con affetto. 
Susan ringraziò entrambe, poi tornò dietro il bancone, con gli occhi persi nel vuoto. 
La tazza di the si stava lentamente raffreddando, così Isabella iniziò a bere prima che diventasse freddo. 
«L’amore rende deboli». Disse improvvisamente, catturando l’attenzione di Alice. 
«Non so, Sid Vicious era convinto che fosse l’amore a uccidere non la droga, ma a me sembra tanto una stupidaggine», sussurrò inzuppando un dolce di pastafrolla dentro la cioccolata. «Non credo che sia l’amore a uccidere, più che altro sono le persone a non sapersi accontentare», spiegò mandando giù il biscotto. 
«Dici?» Domandò Isabella, perplessa. 
Alice annuì, «si. Ci vuole una certa misura nelle cose, non bisogna mai esagerare. Amare troppo rischia di bruciare, ma amare troppo poco, significherebbe vivere nel dubbio, non avere mai dato abbastanza, non averci neppure provato». 
«E allora qual è la giusta misura?» 
«Qualcuno disse che la giusta misura dell’amore è amare senza misura, ci sono pareri contradditori sull’argomento». Rispose con un sorriso. 
Bella rimase interdetta, «parlare con te è un po’ come svelare un enigma, lo sai?» 
Il labbro inferiore di Alice tremò, «sai cosa invece a me manda in confusione?» le domandò allungandole la moleskine aperta, «quello che scrivi». Bisbigliò indicandole una pagina piena di parole. 
«Perché?» 
«Non saprei, riesci sempre a entrarmi dentro. Sono piena di te e delle tue parole, il professor Volturi doveva stare poco bene per dire che sono tutte sciocchezze». Le rispose con un’alzata di spalle. 
Bella abbassò gli occhi rattristandosi, «evidentemente quello che scrivo non arriva poi così in profondità». 
Alice scosse la testa, «forse è perché arrivi fin troppo dentro. Pensaci, nessuno amerebbe uno specchio capace di riflettere solo i propri difetti, sarebbe come ammettere di averne. Considera che le tue parole, invece che difetti, riflettono sentimenti. Chi leggerebbe qualcosa capace di tirare fuori le proprie emozioni?» 
«Dici che sono troppo diretta?» 
«Dico che una seduta da uno psicologo sarebbe meno produttiva».  Alice finì la sua cioccolata calda, gustandola fino all’ultima goccia. Isabella terminò il suo terzo the, e quando si alzò per pagare il conto, improvvisamente se lo sentì realmente scorrere nelle vene. 
  
Quella sera, quando rientrò nel suo appartamento, Isabella lo trovò vuoto e silenzioso. Per combattere il freddo, lei e Jessica avevano messo dei paraspifferi alle finestre, di quelli allegri e colorati che attiravano l’attenzione. Eppure nell’oscurità quei festosi serpenti di stoffa sembravano aver assorbito la notte dentro le loro fibre. 
Bella si avvicinò alla stufa a gas, accendendola. Poi con calma si spogliò del giubbino, adagiando la borsa sul tavolino in mogano della cucina e con lei la sua moleskine. 
Entrò nel bagno aprendo l’acqua nella vasca, facendola scorrere fin quando non raggiunse la giusta temperatura. Poi lasciò riempire la vasca, raggiungendo la sua stanza, infondo al corridoio. Lei e Jessica condividevano un piccolo bilocale. Jessica si era ritrovata costretta a chiedere un coinquilino a causa dell’affitto troppo caro, e trovare una ragazza come Isabella fu una fortuna. Bella si trasferì subito dopo il suo arrivo, felice di aver trovato casa vicino all’università, così avrebbe risparmiato i soldi per il trasporto. Era stato un incontro fortuito il loro, anche se non erano mai andate d’accordo. Forse perché troppo diverse, forse perché una bruna e l’altra bionda, fatto sta che erano rare le volte in cui si sedevano a tavola insieme. 
Jessica passava tutte le sue serate in compagnia di ragazzi che prontamente, dopo esserseli portata a letto, li lasciava il giorno dopo. A Isabella non era mai piaciuto quell’atteggiamento, ma non si era mai lamentata. Fin quando nessuno le avrebbe dato fastidio, lei le avrebbe permesso di portare chi desiderava. Su questo punto si erano chiarite immediatamente. 
Così Isabella passava la maggior parte delle sue serate in compagnia di un buon libro o di Alice, durante il fine settimana, mentre Jessica si divertiva nella sua camera da letto. Semplice rapporto mai andato più in là di un’amicizia mai approfondita, nemmeno mai dichiarata. 
Stanca e assonnata, Bella s’immerse nella vasca, rabbrividendo quando la sua pelle fredda fu bagnata dall’acqua calda. Chiuse gli occhi, scivolando lentamente fino a toccare con la nuca il bordo della vasca. 
Rimase immobile in quella posizione per un tempo quasi infinito, aveva chiuso gli occhi un paio di secondi, ma quando li aveva riaperti l’acqua era diventata fredda. Si accorse di essersi addormentata quando osservando il cielo dalla finestra del bagno, lo vide scuro e nuvoloso. 
Tremando allungò il braccio verso l’asciugamano bianco, e uscendo dalla vasca, l’avvolse intorno al suo esile corpo. I capelli bagnati le scivolavano lungo la schiena nuda, bagnando il pavimento. 
Avvertiva il tenue calore emesso dalla stufa, accesa nel salotto, ma non riscaldava mai abbastanza. 
Scocciata per quella situazione, uscì dal bagno, cercando di raggiungere la propria camera il più velocemente possibile ma, la presenza di uno sconosciuto lungo il corridoio la pietrificò. 
Davanti a due grandi occhi verdi rimase paralizzata, cercando di coprirsi come meglio poteva. Lo sconosciuto, un ragazzo alto e smilzo, con un colore di capelli fuori dall’ordinario, fissava Isabella, sorpreso e imbambolato. 
«Ti dispiace?» Si lamentò Bella abbassando lo sguardo sul suo corpo avvolto solo da un asciugamano troppo piccolo. Era la prima volta che Isabella incontrava uno dei tanti ragazzi di Jessica in giro per la casa, solitamente non uscivano mai dalla camera da letto, salvo per andarsene.
Il ragazzo sembrò risvegliarsi, e arrossendo visibilmente si voltò dall’altra parte.
 
«Non credevo ci fosse qualcuno». Disse con voce bassa. Bella sussultò, e si accorse di stare tremando, non poi così certa di farlo a causa del freddo. 
«Tu chi sei?» Gli domandò indietreggiando fino a raggiungere la porta della sua camera, e nascondendosi dietro di essa, rimase a fissare il ragazzo che ancora le dava le spalle. 
«Emmh… mi chiamo Edward e sono un compagno di corso di Jessica». Rispose quest’ultimo leggermente imbarazzato, passandosi una mano tra la folta chioma ramata. 
Isabella inarcò un sopracciglio, indispettita. Si era ritrovata improvvisamente innervosita, quasi gelosa del fatto che Jessica fosse riuscita a conquistare un ragazzo talmente bello da sembrare irreale. Un sentimento, la gelosia, a lei totalmente estraneo. 
«E allora perché non sei con lei?» Gli domandò Bella non riuscendo a trattenersi, la sua voce uscì bassa e isterica. 
Edward continuò a darle le spalle, i suoi occhi erano fissi su un quadro appeso sul muro. Lo guardava senza alcun interesse, sembrava che nella sua mente ci fosse solo l’immagine di quella ragazza, semi nuda, che lo guardava spaventata. 
«Lei è rimasta con gli altri». Rispose rischiarendosi la voce, «forse è meglio se vado via». Borbottò tra sé e sé, non certo di averlo detto ad alta voce. 
Bella lo fermò, «senti, non credo di aver capito. Se lei non è con te, come mai tu sei qui?» 
«Dovevo lasciarle degli appunti». 
«A quest’ora?» Domandò con tono divertito Isabella, «guarda che non c’è alcun bisogno di raccontarmi bugie. Non sei mica il primo ragazzo che Jessica porta a casa, e se proprio vuoi saperlo, non sarai neppure l’ultimo.» Disse sentendosi improvvisamente meglio, usò un tono cattivo, che poco si addiceva alla sua abituale dolcezza. 
Edward ridacchiò, «interessante». 
La ragazza parve confusa, «cosa?» 
Quando preso da un impulso irrefrenabile, Edward si voltò verso di lei, Isabella sentì le guancie andare a fuoco. Il suo viso spuntava da dietro la porta, e alcune ciocche ancora bagnate si erano appiccicate sulla faccia. Quegli occhi gli entrarono dentro, retina contro retina, pupilla contro pupilla, non si sarebbe sorpresa se i suoi occhi avessero assunto anche il colore di quelli di lui. Desiderava rivestirsi ma qualcosa le impediva di muoversi, di distogliere l’attenzione da quelle gemme verdi. 
«Forse dovresti vestirti», le consigliò Edward, apprensivo. 
Bella sollevò gli occhi verso il soffitto, «si può sapere cosa ci fai qui?» chiese per la seconda volta, sperando in una risposta più esaustiva. 
«Te l’ho detto, Jessica mi ha chiesto di salirle gli appunti dell'ultima lezione, altrimenti ubriaca com’era li avrebbe sicuramente persi». 
«E lei ti ha dato le chiavi di casa per questo motivo?» Gli domandò sospettosa, «chi saresti la nuova Andy Sachs?» 
Edward corrugò la fronte pensieroso, «non conosco nessuno con questo nome». 
«Lo credo bene è la protagonista di un film», disse spazientita Isabella, «senti, perché adesso non vai via, sono certa che gli appunti l’avrai lasciati sul tavolo». 
«Esatto», sorrise Edward continuando a fissarla senza muovere neppure un muscolo. 
Bella sbuffò, «adesso cosa stai aspettando?» 
Abbassando la testa, Edward ridacchiò divertito, poi voltandosi, si allontanò raggiungendo la porta d’ingresso. Isabella attese di sentirla chiudere prima di cambiarsi. 
«Ti lascio le chiavi in cucina.» Gridò Edward prima di uscire,  «buonanotte». 
Bella non rispose, e solo dopo essersi accertata che lui fosse realmente andato via, indossò il suo caldo pigiama, asciugando i capelli prima di beccarsi un raffreddore. 
Ancora scossa da quell’incontro pensò che prima d’infilarsi nel letto, sarebbe stato meglio controllare la casa. Così una volta raggiunta la cucina, notò sì un paio di chiavi posate sul tavolo, ma la sua moleskine era improvvisamente scomparsa.

 

 

Toc toc, c'è qualcuno?
Sono riuscita ad incuriosirvi almeno un pochino? Premetto che non sarà una storia lunga e che, i prossimi capitoli sono già pronti, quindi non vi farò attendere molto. Diciamo che questo è un esperimento, avevo voglia di scrivere qualcosa di leggero e romantico, e questo è quello che la mia testolina ha partorito.
Voi cosa ne pensate? 
Non voglio svelarvi nulla, lascerò a voi ogni parola. Questa storia sarà leggera, divertente, romantica e spensierata. Nessun tono drammatico, ovviamente, chi mi conosce sa che un pò di melodramma nelle mie storie si trova sempre, però questa volta sarà molto meno marcato. E' una favola moderna, dove i protagonisti sono due ragazzi normali, pieni di sogni e paure.
Posterò regolarmente tutte le Domeniche.
Lua93.

P.s. Il nuovo capitolo dei Colori del vento è in fase di scrittura, spero di riuscire a postarlo prima di Pasqua.

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Capitolo 2
*** 2. ***


why she doesn't remember?
                                                                                       
                                                                                                                                  Dustin O'Halloran — We Move Lightly
                                                                                                                                         
                                                                                     2

 
«In che senso è scomparsa?»
«Non la trovo più, Alice», aveva sbuffato Isabella, stringendo il cordless nero con una mano. Con l’altra, invece, metteva sottosopra la casa nel tentativo di ritrovare la sua moleskine.
«Tesoro sai che non può essere andata da nessuna parte di propria volontà, si?» le domandò l’amica dall’altra parte del telefono.
Quella mattina il profumo di ginseng proveniente dall’appartamento accanto al suo, aveva riempito tutta la casa, ma il tranquillante, usato dal vicino coreano, non aveva alcun effetto su Isabella.
«Ieri sera l’avevo posata sul tavolo, quindi è sicuramente in casa». Borbottò la ragazza, massaggiandosi le tempie con la mano libera.
Alice, comodamente seduta sul soffice divano rosso del suo appartamento, aveva attivato il vivavoce, in modo da potersi passare lo smalto rosa cipria sulle unghie con più sicurezza. Sapeva di avere un’amica distratta, facilmente irritabile e tremendamente sensibile, per questo motivo aveva deciso di assecondarla, suggerendole di cercare anche in camera di Jessica.
«Andiamo Alice, come fai a pensare che possa averla presa lei? Sai bene quanto me che quella ragazza non ha mai letto un libro in vita sua», Bella sbuffò infastidita, sedendosi sul divano. «Ieri, comunque, non è rientrata, quindi di sicuro non è nella sua stanza».
Alice ridacchiò divertita, «ha passato tutta la notte fuori?»
«Già». Grugnì indispettita la mora. Ripassò in rassegna tutti gli avvenimenti della sera precedente, cercando di ricordare qualche particolare. Il suo cervello però, non faceva altro che mandarla in confusione, trasmettendole immagini sconnesse di un volto tanto perfetto da apparire surreale. Il ricordo del misterioso ragazzo, Edward, le fece accendere una lampadina nella mente.
Era pronta a raccontare tutto all’amica, quando due forti colpi alla porta la fecero sobbalzare.
«Cos’è stato?» Domandò Alice, avvertendoli distintamente.
Bella si sollevò controvoglia dal divano avvicinandosi con passi lenti  verso l’ingresso. «La porta», rispose posando una mano sulla maniglia.
«Chi è?» Gridò per farsi sentire dall’altra parte, la mancanza di uno spioncino era la causa di quella fastidiosa pratica poco educata.
Una voce stridula e femminile provenne da dietro la porta, e quando questa venne aperta, Isabella si ritrovò davanti il volto arrossato e scavato di Jessica.
«Bentornata». Le disse con un finto sorriso sulle labbra, «la prossima volta che ne dici di avvisare?» Continuò Isabella con tono autoritario.
Alice dall’altra parte se la rideva divertita, immaginandosi la scena.
«Shhh che cosa urli?» Le domandò Jessica portandosi entrambe le mani sulla testa, «mi gira tutto». Borbottò buttandosi di peso sul divano.
Bella chiuse la porta, raggiungendo la coinquilina in salotto.
«Dove sei stata?»
Gli occhi chiari di Jessica erano lucidi e rossi, si sollevarono pesantemente su quelli di Isabella, fissandola seccata, «non ho mai risposto a questa domanda neppure quando era mia madre a farmela, figurati se lo vengo a dire a te». Aveva farfugliato voltandosi dall’altra parte.
Bella ritornò in cucina, preparandole del caffè caldo. Alice le chiese in che condizioni fosse rientrata e se i vestiti almeno questa volta, fosse riuscita a infilarli nel giusto ordine. Isabella rise della battuta, facendo innervosire ancora di più Jessica.
«Ho nella testa un martello pneumatico, potresti smetterla di ridere?» le chiese con finta gentilezza, togliendosi i tacchi alti che per tutta la notte non avevano fatto altro che massacrarle i piedi.
«Ti porto anche un’aspirina?», urlò Isabella dalla cucina, sorridendo divertita.
«Secondo me ti odia». Si sentì dire dall’altro capo del telefono. Isabella fece spallucce, come se Alice potesse vederla, come se a lei potesse importare.
Ritornò in salotto porgendo a Jessica la tazza con il caffè e un’aspirina. «Prima bevi un po’ di caffè». Le consigliò sedendosi sul bracciolo del divano, osservando la ragazza cercare di mettersi in piedi e nel frattempo non far traboccare il liquido nero dalla tazza.
«Credo di aver perso le chiavi di casa», borbottò Jessica, mandando giù l’aspirina, ignorando completamente il suggerimento di Bella.
«Non le hai perse, sono qui».
«E come ci sono arrivate? Ero certa di averle nella borsa», bisbigliò perplessa, «questa mattina però, quando mi sono svegliata pensavo di averle perse, perché ieri sera, a casa di Luis, non le trovavo più». Spiegò brevemente, tralasciando il fatto di non essersi svegliata su un letto ma bensì su un tavolo da biliardo semi nuda.
Bella inarcò un sopracciglio, «davvero non ricordi nulla?»
«Cosa dovrei ricordare?» Domandò Jessica posando la tazza vuota sul pavimento.
Alice rimase in silenzio, ascoltando incuriosita la conversazione.
«Ieri sera hai dato le chiavi di casa a un tuo amico». Le rispose Isabella, ormai certa che fosse stato proprio quest’ultimo a prenderle la moleskine, chissà poi per quale assurdo motivo, dato che non si conoscevano neppure.
Jessica sbarrò gli occhi sorpresa, si passò una mano tra i capelli biondi, lisci e sottili. «Quale amico?»
«Edward», rispose Bella tamburellando il piede sul pavimento.
«Chi è Edward?»Domandarono nello stesso istante le due giovani donne. Isabella non si sorpresa più di tanto nel sentirsi porre quella domanda dall’amica, ma rimase completamente basita quando a farlo fu anche Jessica.
Alice urlò avvicinandosi al telefono, «Isabella Swan, mi nascondi forse qualcosa
«Non ricordo nessuno con questo nome». Farfugliò la bionda, corrugando la fronte.
Bella fece due grossi respiri, cercando di mantenere la calma.
«Come diamine fai a non ricordarti di lui? Gli hai dato le chiavi del nostro appartamento senza neppure sapere chi fosse?» Le urlò contro, dicendo addio ai suoi buoni propositi di non arrabbiarsi.
Jessica si mise sulla difensiva, «ero ubriaca». Si giustificò portando le braccia sul petto.
«Condivido l’appartamento con una squilibrata». Borbottò Isabella, scioccata  da quella risposta.
«Senti, santarellina dei miei stivali, quando ci si diverte capita di alzare un po’ troppo il gomito». Continuò Jessica, ignorando beatamente lo sguardo minaccioso di Bella.
«E la gonna». Aggiunse Alice, non riuscendo a trattenersi.
«Guarda che ti ho sentito». Bofonchiò Jessica, fissando il telefono che Bella stringeva in una mano, «la tua amica mi sta davvero antipatica».
«Alice almeno non permette agli sconosciuti di entrare nel proprio appartamento».
«Avanti Swan, fatti rispettare». L’incitò Alice, ridacchiando.
Jessica questa volta fece finta di niente, si sollevò dal divano con difficoltà, reggendosi allo schienale per non scivolare. Bella non riusciva a capire perché si riduceva sempre in quello stato, per lei il concetto di divertimento non si era mai associato all’alcool.
«Ieri sera è entrato un ragazzo in questa casa, si chiamava Edward, diceva di essere un tuo compagno di corso. Gli hai chiesto di portarti a casa certi appunti, ricordi?» Domandò speranzosa Isabella.
La bionda con una camminata molto più simile a quella di uno struzzo che di una donna, si stava incamminando verso la sua camera.
«Jessica, io sto parlando con te».
Voltandosi verso Isabella, le labbra di Jessica si aprirono in una strana smorfia, «sono stanca, ne possiamo parlare più tardi?»
«No». Ruggì la mora raggiungendola, «quel ragazzo ieri sera mi ha rubato la moleskine». Disse rabbiosa, le nocche della mano che, stringevano il cordless, divennero bianche.
Isabella aveva due bellissimi occhi castani, grandi ed espressivi, quella mattina però, la loro sinistra luminosità la facevano apparire fuori di sé.
Jessica indietreggiò, sapendo quando la sua coinquilina tenesse a quello strano quaderno che si portava dietro.
«Quel ragazzo ti ha rubato la moleskine? Come fai a esserne certa?» Domandò Alice intrigata.
«Quando sono tornata a casa l’avevo lasciata sul tavolo insieme alla borsa», rispose all’amica, guardando Jessica negli occhi, «quando sono uscita dal bagno mi sono ritrovata questo sconosciuto in corridoio, che si presentò come un tuo collega universitario. Gli ho chiesto gentilmente di andarsene e di lasciare le tue chiavi di casa sul tavolo», continuò piccata, «una volta certa di essere sola, sono andata in cucina per controllare e indovina?»
«La moleskine era scomparsa». Terminò Alice al suo posto.
Jessica infastidita da quella strana situazione tornò obbediente in salotto, sedendosi nuovamente sul divano. «Non mi lascerai tornare in camera vero?»
«Perspicace». Sorrise melliflua Isabella.
«Com’era questo ragazzo, magari riesco a ricordarmelo», le venne incontro Jessica notando il precario equilibrio mentale di Bella. Viveva di solo libri e scrittura, perdere una di quelle due cose, l’avrebbe resa insopportabile, non che Jessica normalmente la sopportasse più di tanto. L’aveva sempre trovata troppo tranquilla ed educata, mai fuori posto o volgare. Studiava, scriveva, usciva con le sue amiche. Non l’aveva mai vista a casa con un ragazzo, ma era convinta che qualche storia da quando era arrivata a Chicago l’aveva avuta. Una volta l’aveva vista entrare in un cinema con un giovane dai capelli neri e la pelle abbronzata, ma non le chiese mai chi fosse. Isabella era troppo riservata, troppo chiusa nel suo mondo per potersi aprire e lasciare che anche agli altri l’accesso.
«Alto, fisico slanciato e muscoloso ma non massiccio. Aveva gli occhi verdi, un colore accecante persino nella semioscurità e i capelli rossi. No aspetta, non erano rossi, assomigliavano molto a un bronzo ramato». Disse riflettendoci bene.
Alice sghignazzò, «se aveva anche un bel sedere è prenotato».
Isabella l’ignorò completamente, stava cercando di ricordare anche il più piccolo particolare, nel tentativo di far tornare la memoria alla sua stramba coinquilina.
Jessica sembrò riflettere attentamente sulle parole di Bella, poi, dopo diversi minuti, riuscì finalmente ad associare un volto a quel nome.
«Si tratterà sicuramente di Edward Cullen, sinceramente non ricordavo ci fosse anche lui ieri sera». Disse sollevando gli occhi verso quelli di Bella.
La ragazza sorpresa si limitò semplicemente ad annuire. Quel misterioso ragazzo dall’aspetto gentile e maledettamente attraente era riuscita a scombussolarla in pochi minuti. Se non avesse rubato la sue moleskine probabilmente le sarebbe stato simpatico.
«Non è propriamente vero che frequentiamo lo stesso corso, lui studia medicina», sorrise maliziosamente, «qualche volta assisto ai loro corsi per rifarmi un po’ gli occhi. I ragazzi del mio corso sono tutti così noiosi». Si lagnò imbronciandosi.
«Frequenti altri corsi per conoscere gli uomini che ti porti a letto?» Domandò Isabella con voce incrinata, fu costretta a mordersi il labbro inferiore per non scoppiare a ridere.
Jessica annuì, «medicina sforna i ragazzi migliori, è lì che ho conosciuto Louis». Spiegò con voce bassa e seducente, i ricordi peccaminosi della notte precedente tornarono a galla, «ti posso assicurare che diventerà un ottimo dottore».
«Fammi indovinare, ginecologo?» Chiese ironica Alice, ormai nel vivo della conversazione. Isabella le ricordò di non urlare, il suo timpano funzionava ancora perfettamente.
«Va bene, quindi Edward che appunti ti avrebbe portato ieri sera?»
«Non saprei, forse quelli che fingo di scrivere durante le lezioni. Sapevi che i docenti della facoltà di medicina fanno domande dal posto? Una volta mi è stato chiesto cosa fosse la pelvi, ho risposto dicendo che si trattava di una malattia cutanea, ma credo non fosse la risposta giusta». Disse ridacchiando.
Isabella scosse la testa, «io non me ne intendo molto Jessica, ma ti posso assicurare che non è normale il tuo comportamento».
«Non fare la moralista Bella, piuttosto se davvero Edward Cullen ti ha portato via la tua agendina dovresti farti qualche domanda». Jessica iniziò ad analizzare le punte dei suoi capelli, inorridendo davanti a qualche doppia punta. Non era vanitosa, neppure poco intelligente, semplicemente prendeva la vita alla leggera, amava divertirsi, amava gli uomini e le loro mani, soprattutto amava sentirsi desiderata, per questo si comportava in quel modo. Non era affatto frivola, solo furba.
Isabella parve confusa, «del tipo?»
«Perché un giovane così bello dovrebbe trovare interessante un quaderno pieno di racconti per bambini?»
«Non sono racconti per bambini, Jessica.»
«Non agitarti Bella, stavo scherzando. Magari l’ha preso senza volerlo». Ipotizzò avanzando un possibile teoria.
Alice sbuffò dall’altra parte, «sinceramente non ho capito un bel niente. Bella secondo me, dovresti andare da lui a parlargli, se davvero si è portato via la tua moleskine ci sarà un motivo. Tu sei sicura di non conoscerlo?»
«Mai visto in vita mia».
«Forse lui ti conosceva, potrebbe essere un tuo ammiratore segreto».
Jessica sollevò gli occhi verso il soffitto, «impossibile».
«Perché sarebbe impossibile?» Domandò incuriosita Alice.
«Prima di tutto leva il vivavoce, tra poco anche quelli del sexy shop dietro l’angolo della strada ci sentiranno. Secondo, Isabella non è affatto il suo tipo. Quando ho tentato un approccio con lui, sono stata rifiutata, figurati con quali canoni lui giudica una ragazza». Spiegò schifata.
Isabella era confusa, non riusciva a capire dove volesse arrivare con quel discorso, «e questo con me cosa c’entra?»
«Senza nulla toglierti tesoro, ma tra me e te c’è una bella differenza». Le rispose Jessica sfoderando uno dei suoi sorrisi migliori.
Bella finse di darle ragione, sorridendole comprensiva, «certo».
«Il rifiuto però se lo ricorda». Farfugliò Alice.
Jessica si passò entrambe le mani sui capelli, agitandoli, «bene, adesso posso andare? Devo assolutamente togliermi questi vestiti da dosso». Disse incamminandosi con passo svelto verso il bagno.
Isabella ancora visibilmente scossa, ignorò completamente le parole di Alice rivolte alla sua coinquilina. Necessitava di sapere di più su Edward Cullen e sul perché avesse preso e portato via i suoi racconti.
 
 
Dall’altra parte della città, in un appartamento vicino alla fermata della metropolitana, viveva un ragazzo dagli incredibili occhi verdi e un sorriso ammaliatore. Edward era rimasto in piedi tutta la notte, insaziabile. Da quando aveva portato con sé quel diario ceruleo, non era riuscito a separarsene. Sapeva di aver commesso un reato, ma qualcosa la notte precedente l’aveva attratto inspiegabilmente. L’aveva portato via nel più assordante dei silenzi, iniziando a leggerlo con avidità.
Erano un insieme di racconti, un miscuglio di sentimenti, che portavano il nome di quella ragazza sconosciuta incontrata lungo il corridoio.
Sapeva che si chiamava Isabella, il suo nome era scritto sulla prima pagina della moleskine.
Sapeva di dovergliela restituire.
Sapeva che non l’avrebbe fatto.

 

 

Ed eccomi di ritorno, in anticipo rispetto al giorno previsto. Dopo aver pubblicato il capitolo mi sono resa conto di aver scritto che avrei postato tutte le Domeniche, dimenticandomi che la Domenica è il giorno che avevo stabilito per I colori del vento (quelle rare volte in cui riesco ad essere puntuale, sono una vergogna, me ne rendo conto ù.ù). Così ho pensato bene di spostare  il giorno da Domenica a Giovedì in modo da non incasinarmi con le due storie. Quindi rettifico il tutto: To make you feel my love verrà postata tutti i Giovedì ^^
Ora tornando alla storia, quello che avete appena letto è il secondo capitolo, sicuramente avrete notato che è un pò più corto rispetto al precedente. Diciamo che voglio fare tutto con calma, voglio presentarvi i personaggi principali e quelli secondari cercando di renderli reali anche nella vostra fantasia, così come sono diventata reali e diversi da quelli della zia Meyer, nella mia testolina. Qui abbiamo conosciuto finalmente la famosa coinquilina, la bionda Jessica, e anche se non era presente al cento per cento, abbiamo ritrovato Alice. Sono tutte e tre ragazze completamente diverse, Jessica e Bella sembrano addirittura l'opposto, ma vedrete con l'avanzare dei capitoli che per certi versi sono più simili di quanto si possa pensare. Non abbiamo trovato invece, il nostro amato Edward, anche se non era presente nel capitolo, possiamo dire che lui era il protagonista. Nel prossimo invece ci sarà una bella sorpresa!
Piano piano stiamo componendo il puzzle di questa storia, vi avviso però che molti personaggi devono ancora fare la loro comparsa, chi mi conosce sa che amo gestire più personaggi contemporaneamente e che difficilmente mi accontento di raccontare la storia solo dei due protagonisti principali ^^
Okay, forse vi sto iniziando a tediare, è meglio se vi lascio andare. Però prima permettetemi di ringraziare tutte le persone che hanno letto e recensito lo scorpo capitolo. Non pensavo di riuscire ad ottenere un così elevato successo. Il numero delle persone che seguorno la storia è gigantesco, così come chi l'ha inserita nelle storie preferite *_* Ed era solo il primo capitolo. Io non so davver come ringraziarvi, spero vivamente di non deludervi ù.ù
Detto questo, auguro a tutti voi una BUONA PASQUA, ricca di cioccolata kinder (che a mio parere è la migliore)!
Cosa farete di bello in queste vacanze? Come trascorrerete la Pasqua e soprattutto la Pasquetta?? Io personalmente passerò le vacanze a Napoli *_* Partirò Sabato e tornerò Martedì ^^
Ora vado via seriamente, prima che qualcuno mi lincia :D
Lua93.

P.S. Personalmente non ho alcun problema con le recensioni, quindi non abbiate timore a lasciarmene, scrivetemi qualsiasi cosa vi passi per la mente dopo aver letto questo capitolo, io sarò felice di condividere con voi ogni pensiero ^^

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                       

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Capitolo 3
*** 3. ***


3 capitolo                                                                                  
                                                   
                                                                         
                                       Comptine d'Un Autre Été- Die fabelhafte Welt


                                                                                                         3

Isabella osservava distrattamente la sua coinquilina civettare bonariamente con un ragazzo, lungo il corridoio della facoltà di medicina. I suoi occhi erano concentrati nella ricerca di un paio di capelli ramati in mezzo a tutte quelle teste monocromatiche. Due ragazzi le si avvicinarono scherzosamente cercando di parlare con lei, l’avrebbero sicuramente notata se fosse una studentessa della loro facoltà, le dissero. Bella non si lasciò lusingare dalle loro parole adulatrici, domandò piuttosto dove avrebbe potuto trovare un certo Edward Cullen.
«Quello non ce ne lascia una». Disse uno dei due ragazzi, rivolgendosi all’altro con un sorriso malizioso.
«Sarà il fascino dello straniero», ipotizzò quello più alto. Aveva i capelli ricci  e scuri, due grandi occhi neri come la pece e il sorriso più arrogante che Isabella avesse mai visto.
In lontananza Jessica le fece l’occhiolino sorpresa di vederla in compagnia di due sconosciuti.
Bella sbuffò annoiata, «ho chiesto solo dove potevo trovarlo, non quante ragazze si fosse portato a letto». Con i denti iniziò a mangiucchiarsi il labbro inferiore, era un gesto istintivo, lo faceva quando era nervosa.
I due ragazzi ridacchiarono visibilmente sorpresi.
«Senti dove si trova Cullen non te lo so dire, però, se vuoi, posso aiutarti a cercarlo», le propose con tono ammaliatore il bruno, poi voltandosi verso l’amico, gli fece intendere che per quella volta era stato lui ad arrivare per primo. Il biondino aveva annuito, conscio che se avessero insistito entrambi, la ragazza si sarebbe allontanata, così decise di lasciarla all’amico, chiedendosi ancora una volta, come facesse a concedergliele tutte le ragazze.
«Devi farmi perdere tempo?» Gli domandò Isabella, osservando le spalle del biondo allontanarsi tra la folla.
«Giuro, voglio davvero solo aiutarti». Sorrise malizioso.
Bella sollevò gli occhi verso il soffitto giallognolo, imprecando mentalmente. «Senti-»
«Patrick», l’interruppe il moro.
I due dovettero spostarsi di qualche metro per lasciar passare un gruppo di ragazzi in camice bianco con dei carrelli, lungo il corridoio.
Isabella stringeva la tracolla spazientita, quel ragazzo le stava facendo perdere un sacco di tempo. Gli occhi scuri di Patrick erano intenti a studiare con attenzione la ragazza che si trovava davanti, domandandosi cosa spingesse quella sconosciuta dallo sguardo perso a cercare Edward Cullen.
«Io non ho tempo da perdere», disse chiaramente Isabella puntando i suoi grandi occhi color cioccolato su quelli del ragazzo.
Patrick annuì, «capisco, tu sei una di quelle», borbottò passandosi una mano tra i riccioli scuri.
«Una di quelle?» Chiese incuriosita Isabella.
«Si, una di quelle che non perde tempo in chiacchiere. Scommetto che se io non mi fossi avvicinato, tu non mi avresti mai notato. Secondo me, tu fai parte della categoria peggiore».
Bella sussultò, «quale categoria?»
«Quelle delle donne che non lasciano spazio agli aiutanti, voi volete solo i supereroi. Sono certo che anche tu, come le altre donne che appartengono a queste categoria, hai un prototipo di uomo perfetto e che ti basi su quello per scegliere un ragazzo».
«Non credo proprio». Borbottò offesa Isabella.
Patrick le sorrise, «si invece. Chiaramente io non conosco il motivo che ti spinge a cercare Cullen, però posso immaginarlo. Probabilmente nella tua bella testolina hai creato un disegno, uno schizzo del ragazzo perfetto. Come deve essere il tuo? Alto, biondo e con gli occhi verdi?» Continuò canzonandola, «non daresti alcuna possibilità ad uno come me».
Isabella si sentiva vulnerabile sotto quegli occhi dello stesso colore del catrame, scuri, intensi, crudeli al punto giusto. Un perfetto sconosciuto la stava giudicando senza conoscerla e lei dietro tutte quelle parole si era ritrovata senza fiato. Non che fossero giuste o sensate, non la descrivevano affatto, ma qualcosa dentro di lei scattò.
«E’ così che cerchi di conquistare una ragazza? Offendendola?» Sbottò Bella, portando le braccia sul petto, «chiaramente non è l’aspetto estetico il fattore che allontana le ragazze da te», aggiunse cercando Jessica tra la folla.
Patrick non rispose, lasciò semplicemente che lei continuasse la sua sfuriata, rendendosi forse conto di aver esagerato.
«Non sto cercando Cullen per scoparmelo se è questo quello che volevi sapere», disse adirata, «tra l’altro non ti sei avvicinato minimamente ai miei gusti, perché se solo fossi stato un po’ più educato e più paziente, avresti scoperto che a me basterebbe qualcuno capace, semplicemente, di farmi sorridere». Aggiunse voltandosi, e senza neppure salutarlo, raggiunse Jessica distante qualche armadietto da lei. Non si voltò neppure una volta verso Patrick, sapeva di averlo lasciato senza parole, non aveva dubbi.
Quando Jessica la vide arrivare, salutò il ragazzo con cui stava parlando, andandole incontro.
«Sembri sconvolta, cosa ti è successo?» Le domandò osservando il suo volto arrossato.
Bella le lanciò un occhiataccia, evitando di risponderle, «hai trovato Cullen?»
La folla si stava diradando, i ragazzi si prestarono a raggiungere le proprie aule, lasciando il corridoio quasi deserto.
 «Si so dov’è, ma tu tesoro mio, avresti proprio bisogno di una bella scopata» Jessica fece schioccare la lingua sul palato, fissando contrariata la sua coinquilina.
 
 
Camminavano l’una accanto all’altra, in un silenzio quasi imbarazzante. Le scarpe alte di Jessica producevano un ritmato ticchettio sul pavimento, il suo corpo ondeggiava sinuosamente ad ogni passo. Era aggraziata, leggera. Isabella si domandò se la sua coinquilina avesse mai fatto danza. Quella leggiadria in confronto al suo passo pesante la faceva sembrare un elefante che camminava in una stanza piena di cristalli.
Sollevò gli occhi dal terreno, soffermandosi sul volto truccato di Jessica. Oggettivamente era una bella ragazza, i tratti del viso delicati ma decisi, le labbra gonfie e piene, colorate di rosso. Erano passate poche ore da quando l’aveva vista rientrare in uno stato pietoso nel loro appartamento, eppure quel viso sembrava brillare.
«Perché mi stai fissando?»
Bella sussultò, presa alla sprovvista, «nulla».
Jessica si voltò verso di lei e fissandola con un sopracciglio inarcato le sorride maliziosamente, «devo preoccuparmi?»
«Che cosa?» Chiese confusa Isabella, era tornata con lo sguardo fisso sulle sue scarpe. Erano comunissime converse nere, semplici e comode, sicuramente non all’altezza di quelle di Jessica, vertiginosi tacchi che le slanciavano la figura.
La bionda ridacchiò, «sei sicura di non avere strane preferenze, impulsi sessuali nei confronti del gentil sesso?»
Isabella si ritrovò a boccheggiare, le avrebbe alzato volentieri le mani se solo non fosse una pacifista convinta. «No». Sbottò sollevando gli occhi verso il soffitto, «stai tranquilla, sono etero».
«Sicura? Guarda che per me non ci sarebbero problemi, voglio dire, sono di vedute aperte». Jessica le lanciò un occhiata divertita, mentre si ravvivava i capelli con una mano.
Bella evitò di risponderle alzando la voce, rimase invece calma e impassibile, pur sapendo che prima o poi quella ragazza l’avrebbe portata ad un esaurimento nervoso, «mi piacciono gli uomini Jessica, non credo di aver mai dimostrato il contrario. Se ti sorgono questi dubbi sulla mia persona sono problemi tuoi». Risposta semplice ma d’effetto. Bella si congratulò con se stessa.
«Scusami e che non avendoti mai visto portare a casa un ragazzo, mi è venuto spontaneo pensarlo», le disse con tono sarcastico.
«Se ragionassi anche io con il tuo cervello, allora dovrei pensare che tu sei una ninfomane». Rispose con un alzata di spalle Isabella, sorridendo compiaciuta.
Jessica smise di respirare, portò le braccia sul petto e continuò a camminare ignorando per diversi minuti la mora. Il corridoio era diventato improvvisamente troppo lungo, sembrava non finire mai. Le due ragazze non avevano mai parlato così tanto in tre anni di convivenza, ed entrambe ne conoscevano i motivi. La bionda tirò fuori il suo Blackberry dalla borsa, e accedendo ad internet cercò un dizionario online.
«Fammi capire bene, io sarei una donna sessualmente insaziabile?» Domandò all’improvviso Jessica, con voce stridula, le unghie laccate di rosso ticchettarono sui tasti nervosamente.
Isabella scoppiò a ridere, «hai cercato davvero il termine su internet?»
Jessica la guardò torva, poi riportò la sua attenzione sul display del cellulare, cercando qualcos’altro. Bella non riusciva a smettere di ridere, l’espressione schifata sul volto della coinquilina era qualcosa d’incredibile.
Raggiunsero la fine del lungo corridoio della facoltà di medicina ritrovandosi il portico che dava sul giardino della facoltà. Isabella sollevò gli occhi e si mise alla ricerca di Edward in mezzo a tutti i ragazzi presenti.
«Secondo le tue fonti, Cullen dovrebbe essere qui, giusto?»
Non ottenendo alcuna risposta, Bella si voltò verso la bionda, ritrovandosela davanti con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia.
«Che ti è successo? il botulino ti ha bloccato la faccia?» Domandò divertita Isabella, voltandosi dall’altra parte.
Jessica rise, «divertente sai? Però se io sono una ninfomane,  tu sei una misantropa», disse tornando seria, poi aggiunse che se davvero era interessata a trovare Edward, sarebbe dovuta essere un po’ più gentile.
«Non sono un asociale» sbottò Isabella, ignorando beatamente la seconda parte, si voltò verso la bionda e puntandole i suoi grandi occhi scuri sui suoi, la incenerì con lo sguardo.
Jessica rimase impassibile, fece una strana smorfia con le labbra, sistemandosi più comodamente per poter reggere lo sguardo omicida della bruna.
«Vivi in un mondo tutto tuo, sei scorbutica, la mattina esci senza salutare-»
«Saluto i tuoi ospiti, non è la stessa cosa?»Domandò Bella stringendo le braccia al petto.
«Non ti ho mai visto parlare con altre persone, fatta eccezione per Alice», continuò Jessica ignorando la frecciatina, «ti piace passare le serate in compagnia della tv piuttosto che di persone in carne ed ossa-»
Bella l’interruppe scuotendo la testa energicamente,«non è assolutamente vero. Ho anche io degli amici».
La bionda ripose il cellulare nella borsa, si sistemò nuovamente i capelli, poi si voltò verso il giardino, «lo vuoi un consiglio?»
«Devi proprio?» Chiese la mora scoraggiata.
Jessica annuì, «secondo me, dovresti sorridere un po’ di più, hai sempre quest’espressione triste negli occhi, a volte mi domando cosa ti aspetti dal mondo per avere uno sguardo così». Borbottò riflettendoci. Aveva questo modo di fare lei, di dire le cose che, se non si stava attenti qualcuno poteva rimanerci secco.
Bella la fissò in silenzio, indietreggiò di qualche passo, ritrovandosi sul prato verde, «niente, è questo il bello. Non mi aspetto proprio niente».
Si scrutarono in silenzio, passarono diversi minuti prima che una delle due dicesse qualcosa, e quando accadde, quando la prima a parlare fu Jessica, le sue parole risvegliarono Isabella.
«Sta andando via».
Bella sobbalzò, poi cercò il punto indicato da Jessica, e nel tentativo di scorgere una chioma ramata non si rese conto di aver iniziato a tremare.
«Ti conviene correre, altrimenti lo perdi», continuò la ragazza, indicandole con l’indice un ragazzo che camminava a qualche metro di distanza da loro. Isabella si voltò verso Jessica, «grazie».
La bionda fece spallucce, «almeno riuscissi a farci qualcosa con quel ragazzo, che spreco».Sbottò voltandosi. Bella però aveva già smesso di ascoltarla, e con passo frettoloso si era incamminata nella direzione presa da Edward. Quando si rese conto di non vederlo più, iniziò a correre, avvertendo il cuore in gola. Un paio di braccia l’afferrarono prima che toccasse terra, inciampando nei suoi stessi passi. Quando si rimise in piedi, ringraziò frettolosamente chi le aveva evitato una caduta e anche una pessima figuraccia, riprendendo a correre.
Le gambe le tremavano, il respiro accelerato e il cuore che batteva furioso nella cassa toracica, la distraevano in continuazione. Si fermò in mezzo al piccolo parco, cercando di ritrovarlo. Lo notò diversi secondi dopo, poco lontano da lei. Edward camminava con passo sicuro, reggeva sulla spalla una borsa a tracolla nera e sembrava immerso nei suoi pensieri. Era da poco uscito dalla facoltà di medicina e si stava inoltrando verso il parcheggiò, quando Isabella riprese a correre, e aumentando il passo lo riuscì a raggiungere nel giro di trenta secondi.
Una fitta allo stomaco costrinse Bella a rallentare per riprendere fiato, ma prima che lui potesse allontanarsi, lei urlò il suo nome. E fu gelo e fuoco nelle vene. Le corde vocali si contrassero producendo quel suono e il suo cuore perse qualche battito.
Edward si fermò in mezzo alle macchine, voltandosi. I loro occhi s’incontrarono e sul viso di lui nacque un tenero sorriso. Notandola in difficoltà, con il fiatone e i capelli spettinati, la raggiunse.
«Dillo che stai facendo di tutto per attirare la mia attenzione», disse il ragazzo con un sorriso spensierato. Isabella lo fulminò con lo sguardo, e rimettendosi in posizione eretta, tentò di riprendere fiato.
«Ti devo parlare, solo fammi riprendere fiato», Disse Isabella annaspando. Con le mani cercò di riordinare prima i capelli, poi la maglietta che durante la folle corsa era salita lasciandole scoperti i fianchi.
«Certo», rispose con un cipiglio interrogativo Edward, i suoi occhi si soffermarono sul suo corpo. Coperta solo da un asciugamano non si era reso conto di quanto quella ragazza fosse esile. Le si era avvicinato ulteriormente per osservarla meglio. Era molto più bassa di lui, la sua pelle era bianca e pallida, i capelli le ricadevano mossi lungo le spalle, le sue labbra erano piccole e carnose. Edward si ritrovò a sorridere, era meglio di quanto si ricordasse.
«Bene», annuì Isabella, quando i polmoni smisero di bruciare.
«Perché mi cercavi?» domandò lui interessato a conoscere la risposta.
Gli occhi scuri di lei si persero qualche secondo di troppo dentro quelli di lui, e le ci volle una grande forza di volontà per distogliere l’attenzione dal suo viso.
Era meglio di quanto ricordasse.
«Tu hai qualcosa che mi appartiene», disse tutto in un fiato, cercando di apparire più minacciosa possibile. Ottenendo però l’effetto contrario.
Edward si passò una mano tra i capelli, «non mi risulta», finse di rifletterci bene, prima di ripeterlo per una seconda volta.
Bella digrignò i denti, «ieri sera hai portato via un diario, il mio, perciò senza troppi giri di parole, lo rivorrei indietro». Abbassò gli occhi sulla borsa per qualche secondo, poi ritornò su Edward.
Lui sembrò perso in chissà quali pensieri, perché rimase in silenzio per diversi minuti. Continuava a fissarla senza dire nulla, sorrideva solamente. E non era certo un sorriso normale. Affatto. Era il sorriso più accecante che Isabella avesse mai visto. Edward sollevava solo un angolo delle labbra, in un sorriso sghembo da far cambiare il tempo, capace di trasformare un giorno di pioggia in un giorno di sole senza il bisogno dell’arcobaleno.
«Tu sei Isabella».
«L’hai letto?» Sbottò Bella infuriata, le sue guancie si tinsero di rosso.
E lui pensò che quel colore le donava particolarmente, era tenera. Doveva essere un tornado quella ragazza, speciale, diversa da tutte le altre..
Edward si avvicinò al suo viso, sussurrandole la risposta all’altezza dell’orecchio, «l’ho trovato particolarmente interessante».
Isabella strinse le mani a pugno, chiudendo gli occhi. Qualcuno era entrato nel suo rifugio segreto senza il suo permesso, si era sentita violata. «Ridammelo». Sussurrò con voce tremante. 
Quando si allontanò da lei, per poterla vedere in volto, si rese conto di non aver mai incontrato prima di allora, una ragazza come lei. Nessuna reazione, nessuna lacrima.
«Posso tenerlo?» chiese Edward con dolcezza.
Bella scosse la testa, «no». Rispose lapidaria, aprendo gli occhi.
«Ma mi ci sono affezionato». Aggiunse cercando di convincerla, ma lei era irremovibile.
«Vogliamo scherzare? Non puoi entrare nelle case delle persone e portarti via le cose, potrei denunciarti per questo». Sbottò Isabella portando le mani sui fianchi, i suoi grandi occhi scuri rimasero immersi in quelli chiari di Edward, e in quel momento le venne in mente il tramonto verde che, sua madre le descrisse ritornata da Nuova Delhi. Isabella sapeva che non l’avrebbe mai visto, almeno non riflesso negli occhi di una persona. Non era possibile, eppure era tutto lì dentro.
Edward si passò una mano tra i capelli, «denunciarmi? Davvero saresti capace di farlo?»
«Si».
«Tu, che non arrivi neppure a guardarmi negli occhi senza dover alzare la testa, crede di potermi denunciare?» continuò accennando un debole sorriso. Nella sua voce non c’era alcuna cattiveria, solo curiosità. Si chiedeva fino a che punto quella ragazza si sarebbe spinta e anche lui, fino a dove sarebbe arrivato. Era un metodo tutto nuovo, di flirtare, anche se, Edward l’aveva capito fin da subito che lei, non ne aveva idea, che lei, non c’aveva neppure pensato. Isabella sembrava davvero determinata, senza alcun cenno di ironia nella voce o curiosità nei suoi confronti. Eppure qualcosa nei suoi occhi in lui l’aveva lasciata, e qualcosa in Isabella avrebbe voluto lasciargliela anche lui.
Lei continuava a parlare, lanciava minacce che una volta sfiorato l’asfalto si disintegravano nell’aria circostante. Edward pensò che fosse buffo il modo in cui arricciava il naso quando pronunciava determinate parole, le donava molto, come il rossore sulle goti e i capelli spettinati.
«Si può sapere perché l’hai preso?» Domando ormai esausta Bella, aveva smesso di lottare, sapendo perfettamente che con il nervosismo non avrebbe ottenuto nulla.
Il ragazzo fece spallucce guardandosi intorno, «curiosità credo, l’ho vista e senza pensarci l’ho presa. Non sapevo cosa contenesse, solo dopo averla letta ho capito che era una raccolta di racconti», le rispose con sincerità, «pensi di pubblicarli?»
«Penso che dovresti farti gli affari tuoi», gli rispose digrignando i denti.
«Con questo atteggiamento non riavrai proprio nulla», l’informò Edward, poi come se la conversazione fosse finita lì, iniziò a incamminarsi dalla parte opposta, avvicinandosi a una fila di macchine parcheggiate poco distante da dove si trovavavo. Isabella lo rincorse, sbraitandogli contro di fermarsi.
«Ehi non puoi andare via così. Lì dentro c’è tutto il mio lavoro. Io frequento il corso di scrittura creativa e quei racconti mi servono. Smettila di comportarti come un bambino e ridammi la mia moleskine, sono stanca di giocare». Sbottò Isabella, trattenendolo dalla manica della camicia.
Edward abbassò lo sguardo, sorpreso da quel contatto.
«Chi ti dice che il mio sia solo un gioco?» Le domandò con voce bassa e melodiosa, osservò attraverso le sue lunga ciglia la sorpresa che si dipinse sul volto pallido di Isabella.
«Che cosa vuoi in cambio?» Domandò alla fine, rassegnata.
«Un appuntamento. Solo un appuntamento, poi potrai riavere la tua moleskine».

 

 



E chi sarà mai Isabella per dire di no a Edward Cullen? Bè se andrà o meno lo scoprirete nella prossima puntata!
A parte gli scherzi, ogni volta che devo trovare due paroline da dire alla fine del capitolo mi ritrovo sempre a corto di idee, e la cosa mi sembra assurda perché avrei un sacco di cose da dirvi, davvero, ci potrei scrivere un libro con tutte le cose che vorrei dirvi ma che puntualmente dimentico. Poi penso che non importa, perché ve le dirò la prossima volta, ma invece di ricordarle finisco per dimenticarle e così accumulo un sacco di cose che alla fine non vi dirò mai, non per pigrizia ma per la mia memoria labile. Quindi abbiate pietà di me, del mio povero cervello che avendo solo due neuroni non posso sforzarli troppo! Uno pensa sempre al cibo, praticamente ho un piccolo Pumba nella testa, mentre l'altro è un nerd che si crede figo ma in realtà è solo un povero scemo, quindi anche per questo cercate di capirmi ù.ù
Parlando di cose serie, tengo a precisare una cosina, piccola ma importante, i personaggi che leggete in questa storia non fanno parte di un contorno-non sono insalatine- sono dei veri e propri protagonisti, okay secondari, di storie parallele, ma pur sempre protagonisti. Quindi cercate di tenere ben in mente tutti quelli che entrano in questa storia, perché in un modo o nell'altro ritorneranno, ci siamo intesi? (e qui dovrei mettervi paura, ma dato che non riesco a spaventare neppure una formica rossa, ci rinuncio a prescindere)!
Bella è riuscita finalmente a trovare Edward, grazie a Jessica e alle sue "conoscenze" non c'è voluto molto, quindi alla fine non è vero che tutto il male viene per nuocere. Isabella è molto arrabbiata, insomma, come darle torto, personalmente se qualcuno mi portasse via la mia moleskine, sarei capace di ingaggiare  FBI, CIA, servizi segreti e dopo liberare i cani ù.ù Però è anche vero che a rubare la moleskine è stato Edward e noi, tutte noi abbiamo un debole per Edward, perciò sono più che convinta che alcune di voi troveranno la rezione di Isabella un pò esagerata, ma se la si osserva da un punto di vista esterno vi assicuro che la sto mantenendo buona buona! Ora qualcuna di voi ha ipotizzato a un possibile interessamente da parte di Edward per Isabella da prima ancora che si scontrassero in corridoio: Non è così! I due non si erano mai visti. Quindi se volete conoscere le motivazioni che hanno spinto Edward a prendere il diario non vi resta che continuare a leggere. Inoltre aggiungo anche che Edward non sapeva che quel diario apparteneva a Isabella, l'ha scoperto in seguito, leggendolo! 
Okay detto questo potrei anche andare via, però per mia fortuna mi sono ricordata una cosa molto importante, forse quella più importante di tutte le notizie e di tutte le curiosità. 
Devo dirvi GRAZIE! Grazie a tutte le persone che hanno inserito la storia nelle tre liste (sono solo due capitoli, okay tre con questo, e i numeri sono già altissimi, questo proprio non me l'aspettavo) e i nove angeli che hanno recensito lo scorso capitolo (risponderò molto presto alle vostre recensioni, promesso)!  Grazie di cuore ai lettori silenzioni e a quelli che con coraggio hanno deciso di seguirmi! Grazie di cuore.
Detto ciò, vi lascio definitivamente. Ci risentiamo la prossima settimana, mi raccomando recensite recensite recensite che non è mai peccato ù.ù
Lua93.
P.s. Chi ha capito da quale film è tratta la melodia di questo capitolo? Dai, non è difficile *_*



 

 


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Capitolo 4
*** 4. ***


4 Capitolo
                                               
                                                                         Mogwai - Take Me Somewhere Nice
                                                                                                                           
                                                                                                        4

Isabella aveva socchiuso leggermente le labbra, visibilmente sorpresa davanti a quell’ultima affermazione. Edward al contrario, osservava lo stupore negli occhi scuri di lei, e rimase affascinato di fronte a quell’atteggiamento del tutto inusuale. Non sapeva bene cosa aspettarsi da quella sconosciuta, che poi non si poteva neppure definire tale, dato che lui l’occasione per conoscerla l’aveva avuta leggendo i suoi racconti. Non era la stessa cosa, però, ascoltare ciò che aveva da dire dalle sue labbra. Quelle stesse labbra che, aveva dischiuso  lasciando intravedere una striscia di denti bianchi.
Continuarono a fissarsi silenziosamente, studiandosi a vicenda, ponendosi domande diverse ma con uguali risposte.
«Un appuntamento?» domandò con voce flebile Isabella, scostandosi una ciocca ribelle davanti agli occhi, «in cambio della mia moleskine tu vuoi un appuntamento?»
Edward annuì, «mi sembra un buon compromesso».
«No, questo è un ricatto bello e buono. Cosa devo aspettarmi dopo l’appuntamento, un invito a entrare nel tuo letto?» Aveva chiesto irritata di fronte a quell’atteggiamento del tutto infantile intrapreso dal ragazzo. Non credeva che sarebbe stato così complicato riprendersi qualcosa di sua proprietà.
Edward scoppiò in una fragorosa risata, portandosi una mano sul cuore, «perché no?»
L’occhiataccia che Isabella gli riserbò, lo fece tornare immediatamente serio, «guarda che non sono quel genere di ragazzo, non ti sto invitando per un secondo fine. Voglio solo conoscerti meglio. Le tue storie mi hanno incuriosito, tutto qui».
«Non puoi semplicemente ridarmi il mio diario? Non credo che sia una buona idea quella di uscire insieme» Disse lapidaria.
«Perché?» Le domandò incuriosito.
Bella sbuffò, sollevando gli occhi al cielo, «perché siamo troppo diversi, finiremmo con l’annoiarci. E poi non voglio essere una delle tante». Terminò quel tortuoso pensiero stringendosi le braccia al petto, cercando di proteggere se stessa da un possibile dispiacere.
Edward sgranò gli occhi, passandosi una mano tra i capelli, «accidenti, questa non l’ho capita».
«Non fare il finto tonto, le ho sentite le voci che circolano sul tuo conto», gli disse pungente, distogliendo lo sguardo dal suo viso.
«Quali voci?» Domandò sorpreso.
«Quelle che ti vedono come Dongiovanni, ecco quali. Già solo parlarne mi innervosisce, non ho alcuna voglia di perdere tempo con te», gli rispose Isabella, indietreggiando di qualche passo, «chi ti ha dato il permesso di entrare nella mia vita? Chi te l’ha chiesto?» continuò adirata, «ridammi ciò che mi appartiene».
Edward rimase campo di fronte a quelle parole, di fronte a quell’accuse infondate che lo vedevano come un possibile Casanova. La verità e che a lui le donne piacevano, e non si tirava mai indietro quando queste manifestavano un certe interesse nei suoi confronti, ma mai ne aveva avute così tante da poter essere definito un seduttore. Era uscito solo con tre ragazze del campus, non era un numero poi così elevato. Per questo non si scompose quando sentì quelle parole, sapeva che non erano la verità, che non erano quelle che quella ragazza avrebbe usato per descriverlo, se non fosse stata arrabbiata. E lui, l’opportunità di farsi conoscere, a Isabella voleva concedergliela, e voleva che anche lei la desse a lui.
«Non dovresti giudicare una persona senza conoscerla, lo sai?» sorrise dolcemente, comprensivo. La trovava sempre più bella ogni minuto che passava in sua compagnia.
Bella fece spallucce, «non è mia abitudine, ma per te provo un'antipatia spontanea».
«A causa della moleskine?» chiese Edward.
Lei annuì, «mi sembra un motivo abbastanza valido».
Edward sembrò rifletterci attentamente, rimanendo in silenzio per diversi secondi. Il cielo sopra di loro aveva assunto sfumature antracite e una coltre di nuvole plumbee si stava avvicinando da Est. Il vento pungente di Dicembre, pizzicava sulla pelle, arrossando le goti e le labbra di Isabella. Stringendosi la sciarpa intorno al collo, sprofondò dentro il calore della morbida lana. Infilò le mani nelle tasche, cercando di ripararle dal freddo.
«Hai ragione», proruppe alla fine Edward, attirando l’attenzione di Isabella, «non posso tenermi qualcosa che non mi appartiene, quindi ti prometto che te la restituirò, però in cambio tu mi devi permettere di farti cambiare idea», le disse lentamente, inumidendosi le labbra secche e screpolate.
Isabella parve confusa, «cambiare idea?»
«Si, cambiare idea su di me. Non posso lasciar scorrere le tue parole. Il mio orgoglio non mi permetterebbe di andare avanti, per questo motivo ti chiedo il permesso di invitarti a cena, sabato sera, per avere l’opportunità di farti cambiare idea sul mio conto», le rispose con un sorriso, vedendola esitare sulla risposta aggiunse che quella sera le avrebbe riportato la sua agenda.
«E’ una promessa?» Domandò arrendevole Isabella, puntando i suoi grandi occhi su quelli di Edward. Dentro quelli di Edward.
«Si».
«Okay, se non mi lasci altra scelta, allora accetto il tuo invito».
Il ragazzo esultò mentalmente, «ti passo a prendere per le otto, va bene?»
Bella estrasse dalla sua borsa un quadernino e strappando un foglio, scrisse velocemente il suo indirizzo sulla carta. La mano le tremava a causa del freddo, così la sua bella calligrafia sembrava irriconoscibile, ma non ci perse molto tempo dietro quel pensiero. Porse velocemente il bigliettino a Edward, risistemando il quaderno e la penna nella borsa.
Edward si rigirò un paio di volte il pezzo di carta tra le mani, per poi infilarselo nella tasca dei pantaloni.
«Hai bisogno di un passaggio?» le domandò, prima di lasciarla andare.
Isabella scosse la testa, «no, ho lezione tra venti minuti», rispose, ringraziandolo però per il pensiero.
«Allora ci vediamo sabato», disse allontanandosi, raggiungendo la sua macchina.
«Non dimenticarti la moleskine», gli urlò dietro Isabella, vedendolo voltarsi un ultima volta verso di lei.
«E tu non dimenticarti che comunque sia, quello di sabato è un appuntamento». Le rispose Edward salutandola con la mano.
Bella non poté non sorridere, in fin dei conti qualcosa in lui l’attirava e non era poi più tanto sicura che si trattasse solo della sua moleskine.
 
Quando uscì dal campus, nel tardo pomeriggio, Isabella aveva indossato  un cappellino di lana per difendersi dal freddo e dalla pioggia che insistentemente  cadeva dal cielo, senza dare alcuna tregua.
A causa della fretta, quella mattina si era dimenticata l’ombrello dietro la porta, così era costretta a muoversi velocemente, camminando sotto le tende avvolgibili dei negozio e i balconi delle case. La metropolitana pullulava  di pendolari e studenti, tutti felici di poter fare ritorno nelle proprie abitazioni.
Isabella solitamente, preferiva percorrere a piedi il breve tragitto tra l’università e il suo appartamento, solo che sotto quel cielo nero, non si sentiva al sicuro. Così aveva deciso di prendere la metro.
Era una sera come tutte le altre, un normale giorno di pioggia nella fredda Chicago. Chi aspettava l’arrivo del treno non sembrava essersi reso conto dell’espressione che Isabella aveva sul volto. Qualcuno l’aveva osservata incuriosito, perché era sempre piacevole osservare un viso così grazioso in mezzo a facce ombrose e tristi. A Isabella non interessavano però, gli occhi maliziosi dei ragazzi, solitamente non ci faceva neppure caso. Non cercava mai di attirare l’attenzione, non era quel tipo di ragazza. Preferiva rimanere nell’anonimato e se, mai qualcuno l’avesse trovata interessante anche lì, allora lei non si sarebbe tirata indietro e gli avrebbe permesso di entrare anche se superficialmente nella sua vita. Ma era successo così poche volte, nessuno scavava mai in profondità. Nessun ragazzo si soffermava mai sui suoi capelli sempre spettinati, sul leggero rigonfiamento del labbro inferiore rispetto al superiore, sullo strato di lentiggini che le coloravano il viso durante le giornate di sole.  Sulle sue mani che non riuscivano mai a stare ferme, quando era nervosa, sul piede che tamburellava quando era stanca di aspettare. Nessuno mai notava quei piccoli particolari. Così rimase piacevolmente sorpresa quando, quel giorno due paia di occhi verdi l’avevano studiata attentamente, e anche se, non gli aveva accennato nulla su quei particolari, Bella era convinta che Edward li avesse notati. E se anche non lo sopportava, per il semplice fatto di averle portato via il suo diario, non poteva far scivolare via quel pensiero, insistente e speranzoso, di qualcuno che finalmente, l’avesse trovata infondo alla stradina solitaria che era abituata a percorrere. Le aveva fatto piacere, anche se questo, non l’avrebbe mai ammesso.
Quando aprì la porta del suo appartamento, sentì un mormorio basso provenire dalla televisione  e rumori di stoviglie dalla cucina. Si chiuse la porta alle spalle, sfilandosi il cappotto e appendendolo all’attaccapanni, poi raggiunse la cucina, dove trovò Jessica intenta a preparare qualcosa per cena.
«Ce l’hai fatta ad arrivare, pensavo fossi stata rapita dagli alieni», disse divertita, posando sul tavolo un piatto con delle mozzarelline e del prosciutto. Si sedette comodamente su una delle due sedie e con calma iniziò a mangiare.
Isabella sospirò, sarebbe stato impossibile sperare che avesse preparato qualcosa anche per lei.
«Allora, com’è andata? Sei riuscita a riprenderti il diario?» le domandò, sollevando la testa. Fissò la sua coinquilina incuriosita, aspettandosi una risposta.
Bella scosse la testa, posando la borsa sulla sedia libera, poi si avvicinò al frigorifero e aprendolo cercò qualcosa che stimolasse il suo stomaco.
«No?» continuò Jessica, riprendendo a mangiare con tranquillità.
«No, non me l’ha restituito», borbottò Bella, chiudendo il frigorifero. Dopo quella fredda giornata il suo corpo chiedeva qualcosa di caldo, così mise dell’acqua nel bollitore.
«Accidenti, quindi è stato lui a prenderlo, ora come farai?» Chiese nuovamente la bionda.
Bella si massaggiò le tempie, «fai troppe domande Jessica», le disse zittendola, «vuoi sapere come riprenderò la mia moleskine?» chiese voltandosi verso la coinquilina, quest’ultima annuì.
«Ho accettato di passare il sabato sera con lui». Le spiegò seccata.
Jessica per poco non sputò il boccone che si era appena infilato in bocca. «Che cosa? Un appuntamento? Con lui? Tu e lui soli?»
«No Jessica, noi due insieme a Brad Pitt e Angelina Jolie», rispose sarcastica, lasciando il tè in infusione.
La bionda ignorò la sua battuta, «davvero ti ha chiesto di uscire?»
«Si perché cosa c’è di così assurdo?»
«Sono solo un po’ sorpresa, non pensavo avesse questi gusti».
Bella la fissò truce, «ancora con questa storia? Mi spieghi qual è il tuo problema?»
«Io non ho nessun problema, sei tu quella tutta matta. Per riavere il tuo diario segreto sei stata costretta ad accettare l’invito di quel bell’imbusto, davvero una tragedia questa». Le rispose usando lo stesso tono di voce sarcastico e divertito di Isabella pochi minuti prima.
«Mi scoccia solamente passare del tempo con un ladro, tutto qui». Le spiegò Isabella, prendendo una tazza dalla mensola e versandoci dentro il tuo tè caldo.
Jessica seguì i suoi movimenti, fin quando non si sedette di fronte a lei.
«Forse conosciamo due Edward Cullen diversi, quello che ho visto io, è fuori dal normale, qualsiasi ragazza sana di mente venderebbe il suo guardaroba per passare una sola ora con lui», le disse allontanando il piatto ormai vuoto.
Bella ridacchiò, «e scommetto che tu sei una di queste».
«Ovviamente. Con questo non voglio dire che lo farei sul serio, intendiamoci, però quel ragazzo è davvero magnifico, e tu hai avuto una fortuna incredibile».
«O sfortuna, dipende dai punti di vista». La corresse Isabella.
Jessica le lanciò un occhiataccia, «immagina per un solo momento di essere una ragazza normale, con gli ormoni che ti funzionano. Se un ragazzo carino e simpatico come Edward ti chiedesse di uscire, tu cosa faresti?»
Isabella fece una smorfia, annoiata, «gli chiederei il perché».
La bionda scosse la testa, «perché lui in realtà è un vampiro e pensa che il tuo sangue sia il più succulente e buono del mondo», sbottò portandosi entrambe le mani sul viso.
Isabella scoppiò a ridere, «sarebbe interessante come risposta».
«Era una battuta», bofonchiò Jessica, guardandola di sottecchi.
«A parte gli scherzi, io lo so, che lui è corteggiato da molte ragazze, non sei la sola ad avermelo detto. Anche per questo non volevo accettare l’invito, non voglio essere una delle tante, capisci?» le chiese Bella con una domanda retorica, «io volevo semplicemente riavere la mia moleskine, non era poi così impossibile esaudire questa richiesta, o sbaglio?»
Jessica annuì, cercando di capire il suo punto di vista, «a dire la verità, io non l'ho mai visto in compagnia di tutte queste ragazze. Mi sembra un tipo abbastanza serio, comunque, ti ha spiegato almeno, perché se l’è portata via ieri sera?»
Bella scosse la testa, «non ha mai risposto a questa domanda».
«E tu non sei curiosa di conoscere la risposta?» le domandò inarcando un sopracciglio.
La mora fece spallucce, e senza rispondere si sollevò dalla sedia, prese la tazza di tè tra le mani e con passo lento si avvicinò al corridoio.
«Io vado a letto. Buonanotte», disse chiudendosi la porta della sua stanza dietro le spalle.
Poche ore dopo, mentre stava cercando di prendere sonno, rigirandosi più volte tra le coperte, Isabella sentì la porta di casa chiudersi con diversi giri di chiave, questo le fece capire che quella sera Jessica non sarebbe rimasta a dormire nel suo letto e che lei stava vivendo la sua vita, mentre Bella, semplicemente stava sopravvivendo alla sua.

Edward rientrò nel suo appartamento quando le luci dei lampioni illuminavano la città e i lavoratori si affrettavano a ritornare nelle loro abitazioni, dalle proprie mogli. Si chiuse la porta di casa alle spalle, lanciando il giubbotto sul divano, sopra altri indumenti. Il suo coinquilino, un ragazzo della sua stessa età, con due grandi occhi azzurri e un neo sul collo, stava comodamente seduto sul divano, con una Foster’s in mano e il telecomando nell’altra.
«Jasper questa casa è un porcile», sbottò Edward andando in cucina per prendersi anche lui una birra, ritornò in salotto dopo pochi minuti, gettandosi di peso sulla poltrona di pelle.
«Metterò in ordine dopo mammina», lo canzonò il biondo, continuando a cambiare canale in cerca di un telegiornale sportivo.
Edward l’ignorò beatamente, «che ne dici se chiedessimo a qualcuno di aiutarci?»
«Non sono così ricco Edward, ti ricordo che abbiamo ancora due affitti arretrati da pagare». Gli rispose Jasper, voltandosi verso di lui. I due ragazzi rimasero in silenzio, consci della loro reale situazione.
«Ha chiamato tua madre», disse dopo diversi minuti il biondo, fissando un punto indefinito sulla parete di fronte al divano.
«Cosa voleva?»
«Parlarti», Jasper rispose come se fosse ovvio, facendo un mezzo sorriso.
Edward biascicò qualcosa prima di sollevarsi dal divano e raggiungere nuovamente la cucina.
«Perché non le dai una possibilità? Almeno lasciale il beneficio del dubbio», gli urlò l’amico dal salotto, finendo la sua birra.
Edward posò la bottiglia sul tavolo prendendo il suo cellulare tra le mani, poi si avvicinò alla finestra, osservando dall’alto una lunga fila di macchine lungo la strada. Rimase così diversi minuti, facendo scorrere i nomi sulla rubrica del cellulare fino a trovare il numero di sua madre per poi ritornare alla schermata iniziale.
«Allora?»
Edward sobbalzò, sorpreso di trovarsi l’amico alle spalle.
«Non è con lei che sono arrabbiato, solo non mi va giù il fatto che lei appoggi mio padre e non me». Gli spiegò rimettendosi poi il cellulare nella tasca dei pantaloni.
Jasper alzò le mani in segno di resa, sapeva che l’amico era un osso duro e difficilmente si lasciava convincere. «Come non detto».
Sul davanzale della cucina c’era un pacchetto vuoto di Marlboro rosse, dentro il lavello i piatti sporchi dei giorni precedenti e sul mobiletto accanto al portachiavi c’era la moleskine di Isabella. Edward si avvicinò per prenderla.
«Hai trovato la proprietaria?» domandò Jasper, seguendo i movimenti dell’amico.
Edward si voltò verso di lui con un sorrisetto malizioso disegnato sul volto, «è stata lei a trovare me».
«Ancora mi devi spiegare perché l’hai portata via da quell’appartamento, neppure ti piace la Stanley», il biondo era perplesso, non aveva ancora capito perché Edward l’avesse fatto.
«In quell’appartamento non ci abita solo Jessica, la proprietaria del diario è un’altra ragazza», gli spiegò Edward, prendendo la bottiglia di birra dal tavolo e portandosela sulla bocca, si gustò il suo amaro sapore.
Jasper corrugò la fronte, «carina?»
«E’ bellissima. Prima ancora di scoprire a chi appartenevano quei racconti, ero rimasto affascinato da chi li avesse scritti. Isabella. Avevo solo un nome, adesso che l’ho conosciuta, ora che l’ho trovata, difficilmente la lascerò scappare». Gli rispose, osservando la copertina cerulea della moleskine.
L’amico scosse la testa, «sei davvero incredibile. Ma almeno spiegami cosa ti ha spinto a prendere quell’agenda».
Edward fece spallucce, «non lo so amico, so solo che in testa avevo quella ragazza incontrata lungo il corridoio e quando ho visto il diario, qualcosa nel mio cervello è scattato. Mi attirava. Solo oggi ho scoperto che si tratta della stessa persona, coincidenze?» gli chiese sorridendo.
«Questo non riuscirebbe a spiegarlo neppure Jung», rispose Jasper, ed entrambi scoppiarono a ridere.

 
 



Ma guardate un pò chi abbiamo conosciuto in questo capitolo, il biondino, amico e coinquilino di Edward, altro non è che Jasper ù.ù
L'ultima frase, che conclude il capitolo, nomina un personaggio assai noto, il caro e vecchio Jung. Jasper parla di lui non per casualità, ma perché questo carissimo dottore, amico e  collaboratore di Freud, fece uno studio approfondito sulle coincidenze, sotto il nome di Sincronicità. E' una teoria molto interessante, se avete tempo e voglia vi consiglio di darle un'occhiata, anche Wikipedia va più che bene xD
Detto ciò,  credo che non ci sia poi molto da dire, il capitolo parla da se. L'appuntamento ci sarà e prima di quanto crediate, lo potrete leggere infatti già nel prossimo capitolo, che purtroppo arriverà  Domenica 29 invece di Giovedì. Sono in partenza per Milano, e starò via una settimana, e purtroppo mi sarà impossibile postare per il giorno stabilito.
Chiedendovi nuovamente scusa per questa posticipazione, vi lascio con i ringraziamenti, infatti senza di voi questa storia non sarebbe nulla. Come sempre ringrazio chi recensisce(angeli *_*), chi segue la storia, chi l'ha messa nelle preferite, e tutti i lettori silenziosi (a questi dico, lasciare un commentino? non sarebbe carino, no a parte gli scherzi, non costringo nessuno io ;P)
Come sempre mi sto dimenticando qualcosa, ma ora come ora non mi viene in mente perciò, come mio solito sono costretta ad andare avanti e sperare nell'illuminazione nel prossimo capitolo. Che avviso, sarà davvero molto interessante, io non lo perderei ù.ù
Ora vado via sul serio, che sono anche in ritardo con la pubblicazione. Buon fine settimane a tutti voi ^^
Lua93.


 
 

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Capitolo 5
*** 5. ***


5 capitolo                                                                                                                
                                                                                                                  Sleeping at Last -Turning Page
                                                                                                                  
            5

Susan aveva i capelli rossi e due grandi occhi azzurri che nascondeva sotto lunghe ciglia. Portava spesso i capelli sciolti, perché di legarli non aveva mai voglia. Lavorava nel Milk bar da anni, forse da sempre. Il giorno in cui ci mise piede la prima volta non lo ricordava neppure più, sapeva solo che fuori pioveva ma dentro il rumore dell’acqua che scivolava via dalle grondaie, che sfiorava i tetti, che colpiva i passanti, non si sentiva. Susan in ebraico significava rosa, ma lei questo non lo sapeva. La gente la chiamava Suz perché la vedeva sorridere quando la si chiamava così. Lei era una di quelle ragazze che quando passavano non facevano rumore, una di quelle che sorridevano per il semplice gusto di farlo e che piangevano perché qualcosa il loro non funzionava più e allora, come accadeva ai bambini, piangere, pensavano, aiutasse a ripararle. A Susan ultimamente le cose le si rompevano spesso, però era brava ad aggiustarle.
Suz lavorava al Milk bar e conobbe Isabella in un giorno di pioggia, solo che una volta aperta la porta il rumore del mondo si sentiva lo stesso, però, inaspettatamente quella volta, spuntò il sole.
Ora lei sapeva che Bella aveva qualcosa dentro che le impediva di respirare come tutte le altre persone, lo sapeva perché aveva notato che qualcosa in lei non funzionava correttamente. Però sapeva anche che non avrebbe potuto aggiustarlo, semplicemente perché non c’era nulla di rotto in Isabella. Gli ingranaggi con il quale era composto il suo cuore ruotavano in senso antiorario, come l’orologio della stazione nel racconto di Fitzgerald. Così aveva imparato ad accettarlo e anche a volerle bene, perché a una ragazza come Isabella, le si poteva solo volere bene e di affetto nella sua vita ne aveva avuto davvero tanto, questo nessuno avrebbe mai potuto negarlo.
Il sabato tanto temuto da Isabella era arrivato senza preavviso, tanto che pensò bene di rinunciare all’invito fatto da Edward diverse volte nell’arco della mattinata. Pensò di raggiungerlo nella sua facoltà, cercarlo frettolosamente come aveva fatto la prima volta e rincorrerlo per dirgli che non era possibile vedersi quel giorno. E lì per lì avrebbe inventato una scusa, la più veritiera e falsa nello stesso tempo. E si arrovellò così tanto il cervello che quando era entrata al Milk bar si era seduta frustrata, gettandosi di peso sulla prima sedia libera, senza neppure salutare.
Susan che ormai aveva imparato a riconoscerla, sapeva che quel giorno non aveva bisogno di nessuna tazza di tè, ma solo di un’amica con la quale parlare.
«Tu non dovresti essere qui», le disse strisciando la sedia sul pavimento, attirando l’attenzione della mora. Isabella sollevò gli occhi dal tavolo, incontrando quelli chiari di Susan. «Sbaglio o tra meno di due ore hai un appuntamento?» le domandò sorridendole.
Bella scosse la testa, «no non sbagli, purtroppo».
«Alice mi ha detto che si tratta di un compromesso, una specie di scambio. La tua moleskine in cambio di un appuntamento, vero?»
«Già, ma la cosa che davvero non capisco di tutta questa storia è il perché». Le rispose Isabella, portando le braccia sotto il petto.
Suz corrugò la fronte, interrogativa, «e non sei curiosa di scoprirlo?»
«No, io rivoglio solo la mia moleskine», sbottò contrariata. Era cocciuta quella ragazza, una delle più caparbie che Susan avesse mai conosciuto. Sempre così sicura, mai titubante sul suo futuro. Si vedeva che viveva la vita proiettata su diapositive in anteprima assoluta. Ora che era arrivato questo ragazzo sembrava quasi che le avesse prese, queste diapositive, e sparpagliate a caso, senza un filo logico. Non si trattava solo del suo diario e questo Isabella lo sapeva bene, come lo sapevano Suz, Alice e anche Jessica. Bella sapeva che ad aprirsi con un ragazzo si finiva col rovinarsi, a fidarsi completamente si finiva col bruciare. Lei sapeva che l’amore faceva soffrire, l’aveva letto nei libri, visto nei film e qualche volta provato anche sulla sua pelle. Isabella sognava l’amore delle favole, ma desiderava fortemente qualcuno che la facesse ridere, perché lei amava farlo.
«E poi lui è un ladro», aggiunse come se quelle parole fossero superflue.
Susan ridacchiò visibilmente divertita, «un ladro non riporta le cose indietro. Secondo me la tua è solo paura. Una di quelle paure che parte da dentro le ossa e ti scuote tutta, tremi di freddo e la pelle d’oca arriva senza controllo, non è forse così che ti senti?»
Bella rimase basita di fronte a quelle parole, «e di cosa dovrei avere paura?»
«Di trovare quello che cerchi da anni nelle tue storie».
La rossa le sorrise affettuosamente, e avvicinandosi le disse di tornare a casa, sistemarsi i capelli, giocare un po’ con i trucchi di Jessica e indossare il vestito più bello che avesse, perché se la meritava una serata così. E le chiese anche di non pensare, almeno per una sera, a quanto la sua anima di artista la tenesse lontana dal mondo. Per una sola sera, le chiese di vivere e non più sopravvivere.
 
Isabella quando ritornò a casa aveva il fiatone, i capelli scompigliati e la sciarpa che le scivolava dalle spalle intralciandole anche i movimenti più semplici. Si rese conto di essere in ritardo e che probabilmente avrebbe impiegato un sacco di tempo per sistemare il casino che si ritrovava al posto dei capelli.
Solo che avendo trovato una persona che viaggiava sulla sua stessa lunghezza d’onda, non era difficile immaginare che quella sera le sarebbe stata affianco.
«Mi ha fatto entrare Jessica», sorrise Alice, sollevandosi dal divano sul quale si era seduta nell’attesa del rientro in casa dell’amica, «andiamo, abbiamo poco tempo prima dell’arrivo del tuo cavaliere». Disse, trascinandosi Isabella nella stanza.
 
Con indosso un vestitino blu cobalto di un tessuto morbido come la seta, Isabella si sentiva fuori dal proprio mondo. L’abito le cadeva soffice sul corpo, fasciandole armoniosamente i fianchi, scivolando come piccole onde lunghe le gambe. Il colore scuro del vestito risaltava sulla sua carnagione chiara, seguendo i contorni del suo corpo, valorizzando le curve delicate e il piccolo seno. Alice le aveva lasciato i capelli sciolti, mossi lungo la schiena, le sistemò qualche ciocca ribelle dietro la fronte, valorizzando con un trucco leggero i tratti delicati del suo viso. Aveva deciso di lasciare la pelle molto naturale, preferendo truccare gli occhi per valorizzarne la forma allungata e le lunga ciglia.
Bella osservandosi allo specchio stentava a riconoscersi e non perché fosse diventata una bellissima ragazza, lei bella lo era sempre stata, solo che non essendone consapevole non riusciva a credere di potersi essere trasformata da un anatroccolo a un cigno.
«Secondo me sei perfetta», le aveva sorriso Alice, allungandole un paio di ballerine nere.
Isabella la ringraziò mentalmente per non averle obbligato ad indossare tacchi, entrambe erano a conoscenza del suo scarso equilibrio.
«Non mi sento molto a mio agio con questo vestito», le aveva confessato, dando un ultima occhiata al suo riflesso, prima di aver indossato il cappotto di panno nero, abbastanza lungo da coprirle metà gambe.
Alice fece una smorfia contrariata, «è uno dei pochi vestiti che sono riuscita a trovare nel tuo armadio, figurati che non ho neppure intenzione di chiederti chi dovrei ringraziare per avertelo fatto comprare».
«I miei genitori me l’hanno portato da Parigi», le sorrise.
«Tua madre deve essere una donna di gran classe, ha davvero un ottimo gusto», disse mentre entrambe si accomodavano sul divano. Edward sarebbe arrivato a momenti.
Bella annuì, «lei è fantastica, anche sono completamente diversa da lei, mi conosce molto bene».
«In fatto di vestiti devi aver preso tutto da tuo padre», ridacchiò Alice, coinvolgendo anche Isabella.
Quest’ultima stava per controbattere quando il suono stridulo del citofono catturò completamente la loro attenzione. Le due ragazze si guardarono, Alice elettrizzata, Isabella terrorizzata.
«Tu rispondi, io spio dalla finestra». Le disse Alice eccitatissima mettendosi in piedi per raggiungere velocemente la finestra che dava sulla strada.
Isabella invece, con un grosso respiro, rispose al citofono dicendo che stava per scendere.
«Tesoro non avrò gli occhi di un aquila, ma ti posso assicurare che davanti al tuo portone ci sta un dio greco, non un ragazzo», le disse voltandosi verso l’amica, intenta a guardarsi un ultima volta allo specchio.
La mora si voltò verso l’amica, «spera che abbia portato la mia moleskine, altrimenti quel dio greco non vedrà mai più il sole sorgere».
Risero entrambe di gusto, poi mentre Isabella apriva la porta di casa, Alice raccoglieva le sue cose.
«Tranquilla aspetterò che siate andati via per uscire dal portone», le disse mentre scendevano le scale.
«Grazie di tutto».
Alice fece spallucce, stringendo l’amica in un abbraccio, «figurati, adesso vai Cenerentola».
Le due ragazze si separarono prima di arrivare sul pianerottolo. Aprendo il portone del suo palazzo, Isabella si rese conto di essere vestita forse un po’ troppo leggere per quella sera di Dicembre. Sperò con tutta se stessa di trovare l’abitacolo della macchina caldo, ma, sollevando gli occhi dall’asfalto e incontrando due gemme verdi, si rese conto di non avere poi così tanto bisogno del calore artificiale per riscaldarsi.
Edward l’aspettava con le braccia incrociate al petto, poggiato comodamente alla sua macchina, una Volvo grigia, nulla di eccessivo o appariscente, però molto elegante. Quando lui la vide avvicinarsi con passo lento nella notte, le sorrise  aprendole lo sportello.
«Sei splendida», le disse perdendosi nel calore dei suoi occhi scuri.
Isabella arrossì leggermente, «oltre che ladro sei anche bugiardo», bofonchiò sedendosi sul sedile. Edward ridacchiò divertito e chiudendole lo sportello fece il giro della macchina per sedersi poi alla guida.
«Credo che mi darai del filo da torcere questa sera», le disse mettendo in moto. Bella annuì leggermente, vittoriosa, poi mentre si allontanavano dalla via, vide indistintamente un esile corpo uscire dal portone del suo palazzo e istintivamente sorrise.
Sfrecciavano silenziosi lungo le strade bagnate di Chicago, sotto un cielo coperto di nuvole e talmente nero da non sapere dove sarebbe finito, se fosse solo cielo o anche universo.
«Per la moleskine, posso sapere quan-»
Edward non le diede il tempo neppure di concludere la frase, «cosa ti avevo detto?» le sorrise divertito.
Bella sprofondò più comodamente sul sedile, sbuffando contrariata.
«Posso almeno sapere dove stiamo andando?» gli chiese osservando il paesaggio scorrerle accanto.
«E’ una sorpresa, però sono sicuro che ti piacerà». Le rispose, lanciandole un occhiata incuriosito. Quella sera era di una bellezza mozzafiato, una giovane donna talmente bella da sembrare irreale. Come aveva fatto a non accorgersi di lei, ancora non l’aveva capito.
«Ci hai portato anche le altre ragazze?» Domandò Isabella stizzita, continuando a guardare il panorama fuori dal finestrino.
Edward si voltò a fissarla, corrugando la fronte, «parti già prevenuta così».
«Andrebbe meglio se mi spiegassi perché hai voluto quest’appuntamento», gli disse, giocando con una ciocca dei capelli. L’abitacolo profumava di menta e i sedili erano così comodi che Isabella pensò di poterci sprofondare dentro.
«E’ davvero così difficile per te lasciarti andare?» le domandò Edward, osservando la strada.
Isabella smise di respirare, voltandosi verso il ragazzo che le stava accanto. Edward fece finta di non accorgersene e si lasciò osservare, continuando a guidare come se gli occhi di lei non gli facessero alcun effetto.
«Mi sentirei meglio se tu mi restituissi la moleskine» gli rispose flebilmente.
Accortosi del cambiamento d’umore della ragazza, di come la sua voce fosse improvvisamente diventata silenziosa, si sentì in colpa, ma qualcosa dentro di lui mantenne vivo il suo progetto originario. Fermandosi davanti a un semaforo rosso, si voltò verso Isabella.
«Ti prometto che alla fine di questa serata ti ridarò il tuo diario, sul serio. Solo, per favore, lasciati andare, okay? Non voglio passare il resto dell’appuntamento con un pezzo di legno».
Bella rimase in silenzio, nella sua mente c’erano così tante parole da non riuscire a riordinare i pensieri.
«Posso chiamarti Bella?» Domandò a un certo punto Edward, quando il semaforo si fece verde e la macchina che lo precedeva si mise in moto.
«Si», rispose lei, voltandosi verso di lui, «d’accordo».
Edward si voltò verso di lei, incuriosito. Isabella si morse il labbro inferiore, osservandolo, «facciamo come vuoi tu. Infondo non c’è nulla di male a divertirsi un po’». Sorrise debolmente e Edward ricambiò felice di quella vittoria.
«Bene, allora Bella, hai detto che frequenti il corso di scrittura creativa, da quanto?» Le domandò interessato.
Isabella si lasciò andare sul sedile, si sentiva stranamente più leggera,«sono tre anni ormai. Tu, invece?»
«Sono al quarto anno di medicina», le rispose incontrando i suoi occhi.
«Io non riuscire mai a fare il medico».
«Per via del sangue?» Chiese lui, entrando nel parcheggio del ristorante. Aveva scelto il locale con attenzione, c’era stato solo una volta, in compagnia dei suoi genitori. Era stata una serata speciale, una di quelle difficili da dimenticare. E chissà per quale assurdo motivo aveva pensato che a Bella sarebbe piaciuto, e chissà per quale altro motivo aveva deciso di portarci proprio lei.
Edward spense la macchina, voltandosi poi verso Isabella.
Lei scosse la testa, rispondendo alla sua ultima domanda, «non credo che potrei farcela a lavorare in un ospedale. Non riuscirei a reggere tutto il dolore e la sofferenza di quel luogo» sorrise debolmente, sperando di non essergli sembrata insensibile.
«Nessuno di noi è forte abbastanza per quello, però non sarebbe bello se con il mio lavoro riuscissi in qualche modo a diminuire il dolore? Non voglio aiutare le persone per piacere personale. Quello non mi è mai interessato, io desidero aiutare le persone per poterle vedere sorridere con chi credeva di stare per morire», le spiegò lentamente, osservando la sorpresa dipingersi sul volto della ragazza.
«E’ una cosa bellissima», sussurrò lei, non sapendo bene cosa dire.
Edward sorrise intenerito davanti a quel viso arrossato, poi aprendo lo sportello scese dalla macchina e, prima che Isabella facesse la stessa cosa, si avvicinò a lei, aprendole la portiera e aiutandola a scendere.
Insieme si avvicinarono all’entrata del ristorante, stringendosi nei loro cappotti a causa del freddo pungente. Il locale si trovava poco fuori città, immerso in un atmosfera inusuale, era infatti una piccola struttura a due piani, completamente isolata dalla città. Quando entrarono, Isabella rimase piacevolmente sorpresa. Il primo piano era composto dall’hall e un piccolo bar pieno di liquori, le pareti erano in realtà specchi, infondo vi erano due porte, la cucina e i bagni e proprio di fronte a queste vi erano delle scale a chiocciola che conducevano al secondo piano. Quando Edward e Bella salirono le scale si trovarono in una grande sala arredata con tavolini in legno con fiori e candele adagiate sopra, mentre dal soffitto scendevano delle lanterne legate tra loro tramite dei cavi luminosi, simili alle lucine che addobbavano gli alberi di Natale.
«Non ero mai stata qui», sussurrò Isabella, osservandosi intorno.
Un uomo sulla cinquantina si avvicinò ai due ragazzi, e con tono basso e gentile li accompagnò al loro tavolo.
Erano passati anni dall’ultima volta che Edward era stato lì, eppure la magia del luogo non era andata via.
«Non c’era bisogno di tutto questo», sussurrò la ragazza, osservandosi intorno. Entrambi si sfilarono i cappotti per consegnarli all’uomo che con un sorriso li portò via, dicendo che avrebbe mandato da loro un cameriere al più presto. Edward aveva però smesso di ascoltarlo, quando, nel vedere Isabella senza cappotto, rimase meravigliato e stregato dalla sua bellezza.
Con quel vestito addosso, con la luce calde del locare che brillava sulla sua candida pelle, sembrava una bambola di porcellana.
«A costo di sembrare ripetitivo, io te lo devo dire», sorrise il ragazzo, quando spostandole la sedia l’aiutò a sedersi, «sei meravigliosa, Bella».
Questa volta Isabella lasciò correre il complimento, e osservando il suo accompagnatore, non poté che pensare altrettanto. Edward indossava una semplicissima camicia bianca sopra un pantalone nero, eppure il modo in cui le luci giocavano con i suoi occhi, il modo in cui si sfiorava i capelli guardandosi intorno, lo facevano sembrare qualcosa di etero, di inavvicinabile e intoccabile. Isabella adesso capiva come si doveva essere sentita Psiche scoperta l’identità del suo amante. Con quale meraviglia avevano potuto narrare quella storia, se ancora Edward non esisteva, era per Isabella un mistero.
«Spero per te che tutto questo non ti stia costando un patrimonio, non ne varrebbe la pena», gli disse, cercando di alleggerire il silenzio che si era creato. I tavoli intorno a loro erano vuoti, eppure non erano i soli, in fondo alla stanza alcuni tavoli erano occupati da diverse coppie, chi giovani come loro, chi un po’ meno, ma forse ancora più belli.
Edward scosse la testa, «non preoccuparti per questo, pensa a goderti la serata».
Quando aveva detto a Jasper il ristornate dove avrebbe portato Isabella, l’amico era rimasto perplesso, si chiedeva come avrebbe fatto a pagare una cena se entrambi erano rimasti con pochi soldi. Edward lo tranquillizzò. Quella settimana era passato dal proprietario del negozio di dischi dove lavorava, e si fece pagare tutti gli arretrati. Con quei soldi pagò i due mesi d’affitto prima di essere sbattuti fuori e il resto decise di spenderli per Isabella. Jasper pensò che fosse impazzito, ma l’ammirava. Entrambi sapevano che tutto quello si sarebbe potuto evitare se solo le cose fossero andate diversamente, eppure Edward aveva scelto la sua vita e non si era mai pentito della sua scelta.
Non perse troppo tempo dietro quei pensieri, aveva davanti la creatura più bella che avesse mai visto e non voleva perdersi neppure un secondo di quella serata.
«Va bene», sorrise Isabella, osservandosi intorno.
«Ma dove ti eri nascosta per tutto questo tempo?» Domandò a un certo punto Edward, catturando finalmente la sua attenzione.
Isabella lo fissò in silenzio, non riuscendo a capire.
«Come puoi non pensare di essere interessante, conosco ragazzi che pagherebbero per uscire con te», le disse fissandola. Isabella rise, ricordandosi della parole detta dalla sua coinquilina. Jessica diceva lo stesso di Edward Cullen.
«Ti assicuro che non è così, non c’è nulla di interessante in me». Disse sfogliando il menù che il cameriere aveva portato qualche minuto prima.
«Questo lascia che sia io a dirlo».
Isabella sollevò gli occhi incontrando quelli chiari di Edward, si portò entrambe le mani sul viso, «ma fai sempre così tu?» gli domandò, cercando di nascondere l’imbarazzo.
Edward non riusciva a capire, non l’aveva offesa in alcun modo, di questo era sicuro, e cercò di capire perché reagì in quel modo.
«Voglio dire, con le ragazze. Tu le conquisti sempre così?» chiese fissandolo, «le porti in un bel ristorante, l’aiuti a sedersi al tavolo, le fai due o tre complimenti e quando sai di averle conquist-»
Edward l’interruppe sconcertato, «no, assolutamente no. Nessuna ragazza era mai stata qui, non faccio il casca morto con tutte le donne. Smettila di pensare questo di me, non mi fa sentire uomo». Disse facendo una smorfia di disgusto.
Bella di fronte a quelle parole rimase in silenzio, un pugno nello stomaco le avrebbe fatto meno male. Si sentiva in imbarazzo, sapeva di essere diventata tutta rossa. Edward riusciva a disorientarla, era creta nelle sue mani.
«Io sto cercando di corteggiarti se tu non l’avessi capito, e non lo sto facendo perché voglio aggiungere una crocetta alle donne che sono riuscito a conquistare» le disse guardandola negli occhi, «lo sto facendo perché tu mi affascini, dal nostro primo incontro, lo capisci questo?»
«E la moleskine?» domandò lei, «anche lei ti affascinava?»
Edward fece un respiro profondo e stava per risponderle, quando ad interromperli ci pensò il cameriere che con un sorriso si era avvicinato a loro.
«Siete pronti per ordinare?» domandò aprendo il block notes che reggeva in mano.
Isabella rimase in silenzio, cercando di riacquistare un po’ di autocontrollo davanti all’estraneo.
«Prendiamo entrambi la specialità della casa, sorprendeteci». Edward rispose al cameriere ma continuava a guardare Isabella senza mai abbassare lo sguardo.
L’uomo scrisse velocemente, «da bere?»
«Acqua andrà benissimo», rispose questa volta Isabella, «voglio andare sul sicuro» aggiunse reggendo su di sé gli occhi caldi ed enigmatici di Edward.
Il cameriere prese i due menù e con un ultimo saluto si allontanò dal loro tavolo, dicendo che i loro piatti sarebbero arrivati quanto prima.
La sala era immersa in una piacevole bolla, da uno stereo in lontananza una musica leggera si diffondeva nell’aria. Le altre coppie sembravano apprezzare la musica, e alcune di queste, più coraggiose di altre, si alzarono. Gli uomini strinsero le proprie compagne tra le braccia, portandole al centro di una pista da ballo improvvisata.
Due anziani iniziarono a muoversi lentamente, seguendo il ritmo leggero della musica, mentre l’altra coppia, più giovane si muoveva con più sensualità, in un ballo lento.
Isabella rimase ad osservali in silenzio, sapendo di avere gli occhi di Edward ancora addosso.
«Non sapevo che la moleskine fosse tua», le disse alzandosi dalla sedia. Bella lo fissò incuriosita, mentre lo vedeva avvicinarsi e allungarle la mano, «balla con me», le chiese dolcemente sperando in una risposta affermativa.
«Io non so ballare», risposte fredda, ignorando la mano di Edward che, come se quelle parole non l’avessero neppure sfiorato, si mosse incontrando quella piccola e calda di Bella.
«Balla con me» disse nuovamente, «fidati di me» le bisbigliò avvicinando le labbra al suo viso. Cosa la convinse non lo sapeva neppure lei eppure Isabella si lasciò andare, stringendo la mano di Edward con la sua. Qualcosa in loro tremò, le loro pelli in contatto provocarono un brivido che pervase entrambi. C’era attrazione tra loro, questo nessuno avrebbe potuto negarlo.
Quando raggiunsero la pista, Edward portò le braccia di Isabella sulle sue spalle, per poi posare le mani sui suoi fianchi. Era così fragile, così morbida, avrebbe voluto stringerla in un abbraccio e non lasciarla mai più andare. Iniziarono a muoversi lentamente, lei teneva la testa bassa, controllando che i suoi piedi non intralciassero quelli di Edward, aveva il terrore di fare qualcosa di sbagliato. Ballare non era la sua specialità, la sua inesistente coordinazione nei movimenti la rendeva goffa e impacciata, si sentiva ridicola. Eppure Edward non sembrava in alcun modo infastidito, la stringeva delicatamente, respirando il suo buon profumo,
«Ho scoperto che Jessica non frequentava la facoltà di medicina, quando portando a casa i suoi appunti gli ho dato un'occhiata, e tutto quello che c’era scritto sopra erano marche di shampoo per capelli», iniziò a parlare lentamente, avvicinando il suo viso a quello di Isabella, «ma cos’altro avrei potuto fare? Le ho riportato il quaderno, così come lei mi aveva chiesto. Non sapevo che tu vivessi lì, non ti avevo mai visto prima di quella sera». Continuò e Isabella istintivamente lasciò che le sue mani scivolassero sul petto di Edward e i loro occhi si incontrassero.
«Prima di andare via, ho notato un diario sul tavolo, e qualcosa in me, qualcosa che non saprei spiegarti mi ha convinto a prenderlo, non sapevo che fosse tuo. Per quello che ne sapevo poteva essere anche un altro elenco di marche» Le disse facendola sorridere.
La musica cambiò improvvisamente, non erano più solo note, una voce maschile accompagnava quella nuova melodia, dolce, struggente, sembrò avvolgerli. Altre coppie si unirono a loro, mentre alcune ritornavano ai propri tavoli.
«E poi l’hai letto», continuò Isabella al suo posto.
Edward annuì, «e poi l’ho letto. Ma tutto quello che sapevo era che chi l’aveva scritto si chiamava Isabella, non sapevo che fossi tu».
«Così quando ti ho fermato, sono stata io stessa a rivelarti la mia identità».
«Esatto» sorrise Edward, vedendo come Isabella si stava ammorbidendo tra le sue braccia. Profumava di miele e la sua pelle lo tentava come mai gli era successo prima di quella sera. Non aveva mai incontrato una ragazza che gli facesse un tale effetto.
Bella socchiuse leggermente le labbra, perdendosi dentro il mare verde degli occhi di Edward. «Me la restituirai?» Gli chiese dolcemente.
Edward sorrise, ma non rispose. Preferì invece cambiare discorso, «la cena è servita», disse lanciando un'occhiata al loro tavolo. Bella si voltò appena in tempo per vedere il cameriere allontanarsi.
Ritornarono ai propri posti in silenzio, si sedettero e lentamente iniziarono a godersi la serata.

 
 
 
 
 
 
Ed eccomi qui con un leggero ritardo. Vi avevo promesso il capitolo per Domenica, ma a causa di forze maggiori, non sono riuscita a postare. L'importante però è averlo fatto alla fine, quindi spero di essermi fatta perdonare. Il capitolo è stato diviso in due parti, altrimenti sarebbe venuto troppo lungo, quindi ho preferito tagliarlo. Allora, come vi sta sembrando il primo appuntamento di questi due signorini?? Io li trovo dolcissimi, da una parte abbiamo Edward, completamente incantato da questa ragazza. Diciamo che non è solo la sua semplice bellezza ad averlo conquistato, ma anche e soprattutto i suoi modi di fare, così estranei e lontani. Isabella l'ha detto Susan stessa "è un'artista" e in quanto tale, è più che naturale vederla così, come se avesse bisogno di più tempo per assimilare le cose. Personalmente amo il suo carattere, perché se da una parte è timida e impacciata, dall'altra è fiera e combattiva. Mi sembra abbastanza naturale venire affascinati da un essere così. Ma non pensiate che Isabella non abbia subito il fascino del bell'Edward, al contrario, proprio perché lo trova così affascinante, bello e pericoloso (per la sua sensibilità), ha paura a lasciarsi andare con lui. 
Ora nel testo si parla anche dei genitori di Isabella, vengono nominati più volte in questi cinque capitoli, e ogni volta che sono stati nominati avrete notato qualcosina vero? Ditemi che sono stata così brava da avervelo fatto notare (e qui partono gli occhi dolci, nella speranza di riuscire a smuovere qualcosa nel vostro cervellino), mentre dei genitori di Edward ancora si è scoperto poco o nulla. Si sa solo che non sono in ottimi rapporti, quale sarà mai il motivo? Ci vorrà ancora un pò per scoprirlo, però in ogni capitolo lancerò degli indizi (la prossima volta mi cimento in un giallo ù.ù)!
Detto questo vi lascio, ringraziandovi per la pazienza e soprattutto per le recensioni-bellissime- che mi avete lasciato. Ringrazio come sempre chi ha messo la storia nelle tre liste *_*
Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare Domenica 10 Maggio, poiché ho il pranzo dei 100 giorni non sono sicura di arrivare lucida fino alla sera xD Comunque farò del mio meglio, se riesco lo posto direttamente la mattina dato che ho l'entrata posticipata a scuola :P In caso non ci riuscissi, verrà postato il giorno dopo, I promise ù.ù
Ora vi lascio, che vi ho rubato fin troppo tempo. Fatemi un pò sapere cosa ne pensate di questo strambo appuntamento.
Avviso: Nel prossimo capitolo succederà qualcosina che smuoverà -e non poco- la situazione, vediamo un pò chi riesce ad indovinare cosa accadrà :P
Lua93.



 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** 6. ***


6 Capitolo                                                                                        
                                                                                                                                  The Cider house rules
                                                                                                                                                                     6


Succedeva che a volte, quando lei sollevava lo sguardo trovava i suoi occhi. Era come se la stesse aspettando, come se fosse naturale per lui vedere gli occhi di lei riflessi nei suoi. Ed era bello, vedere il proprio riflesso in un altro colore, in una diversa luminosità, aveva il sapore dell’ignoto e contemporaneamente di qualcosa che si era sempre saputo.
Isabella aveva smesso di chiedere della sua moleskine, godendosi ogni attimo di quella serata, diversa dalle altre.
«Non credo di aver mai avuto interesse per la musica folk, preferisco la classica». Edward ridacchiò, Isabella aveva iniziato a fargli mille domande, ognuna diversa dall’altra. A Edward piaceva vedere le sue guancie gonfiarsi quando otteneva una risposta che non le soddisfaceva, o mordicchiarsi il labbro inferiore quando invece una risposta era fin troppo diretta.
«Non riesco a immaginarlo, secondo me sei più un ragazzo da discoteca», continuò lei, giocherellando con il bordo della tovaglia color panna.
«Non dico che le odio, però preferisco una serata con gli amici in un pub piuttosto che  in discoteca, e poi non dovresti etichettarmi te l’ho già detto» la riprese sorridendole, «ci sono tante cose che non sai di me», continuò guardandola dritto negli occhio, in modo gentile, anche se avrebbe voluto dirle tante altre cose. Bella inarcò un sopracciglio, «per esempio?»
«Parlo francese», rispose con calma Edward, sorridendo leggermente.
«Non ti credo», controbatté Isabella, però incuriosita da quella nuova confessione.
Il ragazzo fece spallucce, «e sbagli a non farlo».
«Dimmi qualcosa in francese allora», lo sfidò Isabella, intrecciando le braccia sul tavolo e avvicinarsi di più, per poterlo guardare dritto negli occhi.
«Cosa vorresti sentire?» Gli chiese, imitando i suoi movimenti, Bella sussultò presa alla sprovvista quando se lo ritrovò a pochi centimetri dal suo viso.
Balbettò qualcosa d’incomprensibile, arrossendo visivamente sotto lo sguardo divertito di Edward. «Non saprei, qualsiasi cosa».
«Tes yeux sont beaux», sussurrò a basso voce Edward, perdendosi sulle labbra socchiuse di Isabella.
«Cosa significa?» Domandò incredula.
Edward sorrise, «i tuoi occhi sono bellissimi».
Bella indietreggiò leggermente, imbarazzata. Nessuno gliel’aveva mai fatto  talmente tanti complimenti in una sola serata, nessuno mai in un’altra lingua. E non poté fare a meno di pensare, che per quanto quell’appuntamento fosse sbagliato lei non ne aveva mai vissuto uno così bello.
Rimase in silenzio per un po’, avvertendo gli occhi di Edward addosso, pensò che fosse meglio cambiare argomento, prima di andare a fuoco sotto quello sguardo.
«Come hai scoperto questo posto? Mi sembra abbastanza distante dal centro di Chicago» gli chiese infine, incuriosita, mentre aspettavano l’arrivo del dolce che non tardò ad arrivare.
Edward in un primo momento si era irrigidito, distogliendo lo sguardo, «mi ci hanno portato qualche tempo fa i miei genitori». Aveva risposto lapidario.
«Oh, i miei genitori non sono così minuziosi nella scelta di un ristorante». Ridacchiò Isabella, notando una nota d’irritazione nella voce di Edward. Pensò di esserne lei la causa, ma poi, dopo che entrambi rimasero in silenzio, Edward tornò a sorridere. Quello era per lui un tasto dolente, però si era ripromesso di non far entrare i suoi problemi personali in quell’appuntamento, lo riteneva troppo speciale per poter essere rovinato.
«Prima non mi sembravi affatto male, sulla pista da ballo», precisò il ragazzo, portandosi in bocca un pezzo di torta sacher, ordinata dopo un’abbondante cena a base di strane pietanze dal sapore irresistibile.
Bella ridacchiò leggermente, «questo perché non era un ballo troppo movimentato, sono una frana con i piedi» gli rispose gustandosi anche lei il suo pezzo di torta, ricoperta da panna montata. «Sono un pericolo pubblico anche solo quando cammino», aggiunse prendendosi in giro.
Edward sorrise per educazione, ma non la pensava esattamente così.
«Credo che potrei mangiarne altre cinque di fette, è buonissima questa torta», disse mordicchiandosi il labbro inferiore, leggermente macchiato agli angoli da un leggero strato di cioccolato. Edward la trovo una cosa dolce. Quella ragazza era così diversa da tutte le altre donne che aveva frequentato. Da quando si erano seduti lei non aveva mai commentato neppure una volta qualche coppia seduta ai tavoli vicini, cosa che solitamente le altre ragazza facevano, non si era mai lamentata sul cibo, sulla lentezza dei camerieri, sulla musica troppo moscia, tutt’altro, Isabella aveva detto di amare molto la musica classica. E ora quello, forse era la prima volta che Edward sentiva quelle parole fuoriuscire da delle labbra femminili. Isabella non si curava neppure della dieta. Cominciava a desiderare che quell’appuntamento non giungesse mai al termine, non avrebbe voluto lasciarla tornare a casa. Cosa ci si può aspettare da una così? Si chiedeva, e più la guardava, più capiva che non si poteva conoscere la risposta, neppure abbozzarla. Isabella l’avrebbe sempre sorpreso.
«Potresti mangiarne quante ne vuoi, sei così magra», le disse senza cattiveria, ma Isabella a quell’affermazione s’irrigidì impercettibilmente.
Sorrise cortesemente quando il cameriere si avvicinò per portare via i piatti. Edward chiese il conto, mentre Isabella si alzò per raggiungere il bagno delle signore. Credeva che fosse più educato non esserci quando Edward avrebbe tirato fuori il portafoglio. Pensava che fosse poco elegante osservare il proprio cavaliere pagarle davanti.
Quando raggiunse il bagno, al piano inferiore, si accorse di alcuni uomini seduti comodamente davanti al bancone del bar, vestiti con abiti eleganti, mentre si gustavano i loro Martini. Due di loro si voltarono verso di lei, sorridendole maliziosamente, ma Isabella, ignorando i loro sguardi entrò nel bagno delle signore, ritrovandosi al centro di una stanza circondata da specchi, con due piccoli lavandini e due porte in legno bianco. Osservando il suo riflesso alle specchio, cercò di non badare alla clavicola che le bucava la pelle, facilmente visibile anche in lontananza. Ignorò le sue gambe lunghe e sottili, forse troppo, cercò persino di non pensare a quello che aveva detto Edward. Sei così magra. Quelle tre parole erano uscite fuori con dolcezza, come se fossero la cosa più giusta da dire, quella cosa che magari l’avrebbe fatta arrossire e poi sorridere trionfante perché l’avrebbe visto solo come un complimento, non come una critica.
Bella sei così magra, ma cosa c’è che non va, non ti piace quello che cucino?
Tesoro non piangere, stringiamo un pò questo lato e un altro po’ quest’altro e vedrai che il pantalone ti starà una meraviglia.
Isabella, io e tuo padre siamo preoccupati, cos’è questa storia delle ossa di vetro?
Fece un respiro profondo, poi altri due, si risistemò il trucco leggero che durante la serata era scivolato via dal suo viso e si passò nuovamente il lucidalabbra, convincendosi che poteva andare bene anche così.
Rimase in bagno per altri cinque minuti, pur sapendo che Edward aveva con tutta probabilità già pagato il conto e la stava aspettando fuori la porta, ma qualcosa dentro di lei le impediva di fare anche solo un passo. Era una strana paralisi quella che inspiegabilmente le impediva di muoversi, qualcosa che partiva dal profondo dei suoi pensieri. Edward aveva la sua moleskine, aveva letto i suoi racconti. E fu quel pensiero che terrorizzò Isabella. C’erano storie lì dentro che non appartenevano a nessun’altra, lì dentro c’erano pezzi di diario, pezzi della sua vita
C’era una storia particolare lì, qualcosa d’intimamente viscerale.
Si sentì invadere da uno strano sentimento, un misto tra rabbia e paura, non sapeva bene come comportarsi ora che la serata era giunta al termine. Stava cercando d’infondersi un po’ di coraggio per uscire dal bagno e raggiungere Edward, ma il rumore della porta che veniva aperta e poi socchiusa più delicatamente, la costrinsero a voltarsi, incuriosita.
Una donna vestita di nero si avvicinò a uno dei due lavandini liberi, teneva i capelli scuri legati in un chignon all’altezza della nuca e sulle labbra un rossetto scuro. Incontrò lo sguardo incuriosito di Isabella attraverso il riflesso dello specchio.
«Buonasera»,disse la donna con voce materna.
Bella la fissò interdetta, certa di averla già vista da qualche parte.
«Tutto bene signorina?»le domandò voltandosi, «ti senti poco bene?»
Isabella scosse la testa, «mi scusi e che ho come l’impressione di averla già vista da qualche parte».
La donna annuì, come se sapesse già la risposta, «mi capita spesso, peccato non poter dire la stessa cosa di te».
«Isabella Swan», si presentò la mora allunandole una mano, sorridendole educatamente.
«Modo curioso di presentarsi, non mi era mai capitato di conoscere una persona così», ridacchiò la donna sconosciuta, ricambiando la stretta debole di Bella, «sono Didyme Volturi, è un piacere fare la tua conoscenza»
Bella trasalì, finalmente cosciente, «lei è la moglie del Professore Marcus Volturi?» chiese con il cuore in gola.
Didyme annuì, «tu invece, devi essere una sua alunna».
«Si, ho anche partecipato al party organizzato dal rettore in onore di suo marito, per suoi trent’anni di eccellente lavoro all’interno dell’università». Aggiunse Isabella, sperando di attivare qualche ricordo nella mente della donna. Si erano incontrate all’inizio dell’anno, solo che la festa era troppo affollata e i personaggi di spicco non si concedevano mai a qualche chiacchiera con gli studenti.
Didyme arricciò le labbra, divertita,«purtroppo non mi ricordo di te, ma è un vero peccato, perché sembri essere una personcina davvero deliziosa».  Le disse parlandole come se si conoscessero da una vita.
Bella arrossì a quel complimento, e si limitò a ringraziare la donna, ricambiandola con altrettante belle parole.
«Suvvia cara, non c’è mica bisogno di tutti questi vezzeggiativi  così mielosi, mi hai già conquistata con la tua curiosa presentazione in bagno», disse ridacchiando, «cosa ne dici di uscire da qui e raggiungere invece mio marito nell’atrio? Sono certa che sarà più che felice di vedere una sua alunna».
Isabella solo dopo quelle parole si rese conto di essere in un bagno all’interno di un ristorante e che fuori da quella porta Edward la stava aspettando. Probabilmente con una certa ansia dato che erano già diversi minuti che si trovava lì dentro.
«Mi farebbe molto piacere, ma sono qui con un ragazzo» bisbigliò Isabella leggermente imbarazzata.
Didyme sorrise, «mi piacerebbe molto conoscere il fortunato, invitiamo anche lui a prendere un drink, come hai detto che si chiama?»le domandò prendendola sotto braccio, mentre s’incamminavano verso la porta.
Bella la fissò interdetta, «si chiama Edward ma lui non è-» La signora Volturi non le diede neppure il tempo di finire la frase, che già aveva ripreso a parlare con voce allegra, «che nome affascinante, e dimmi cos’è che fa?»
La mora sospirò rassegnata, pensava che quell’incontro  fosse un colpo di fortuna, ma sentendo parlare la donna stava già cambiando idea, «studia medicina».
Didyme sbatté le palpebre eccitata, «ho sempre amato gli uomini col camice bianco. Si prospetta davvero una bella serata, non credi anche tu cara?»
 
Le dita di Edward tamburellavano nervosamente sulla superficie liscia di marmo, mentre i suoi occhi saettavano da una parte all’altra del salone, prima sulla porta dei bagni, poi sul viso del barista che dialogava tranquillamente con dei clienti infondo al bancone. Erano passati più di dieci minuti da quanto Isabella si era alzata dal tavolo per raggiungere le toilette, lui aveva pagato e poi era sceso al piano inferiore per aspettarla. Pensò che le fosse successo qualcosa all’undicesimo minuto, e al tredicesimo si era persino alzato dallo sgabello per raggiungerla. Poi ci aveva riflettuto ancora un paio di minuti, arrivando alla conclusione che non sarebbe stata affatto una buona idea quella d’irrompere nel bagno delle signore, solo perché non vedeva uscire Isabella. Era una donna dopo tutto, anche se diversa dalle altre.
«Non devi arrabbiarti ragazzo, le donne fanno sempre attendere» una voce amichevole costrinse Edward a voltarsi nella sua direzione, allontanando gli occhi dalla porta del bagno.
Sollevò leggermente gli angoli delle labbra ritrovandosi davanti un uomo di mezz’età, con due grandi occhi castani e i capelli brizzolati. Indossava un completo gessato e stava seduto comodamente su una poltrona di pelle nera, dietro il bancone, quando ottenne l’attenzione del ragazzo si alzò per raggiungerlo e sedersi accanto a lui.
«Ho parecchia esperienza e ti posso assicurare che ci vorranno altri cinque minuti buono, prima che la tua signora esca dal bagno», aggiunse posandogli una mano sulla spalla, «nel frattempo cosa ne diresti di bere qualcosa?»
Edward fece un cenno al barista, facendolo avvicinare, poi si voltò a guardare l’uomo, incuriosito.
«Cosa preferite?» Domandò gentilmente il barista, rivolgendosi per prima all’uomo più anziano.
«Un Martini secco con ghiaccio», rispose facendo una pausa, poi dando un’occhiata veloce ad Edward riprese a parlare, «per lui una vodka liscia».
Il barista annuì, voltandosi di spalle per preparare i due cocktail. Edward lo fisso sorpreso, «come faceva a sapere che avrei ordinato una vodka?»
L’uomo fece spallucce, «te l’ho detto, tanti anni di esperienza».
Incuriosito da quello sconosciuto che aveva attirato la sua attenzione, Edward era pronto a fargli qualche domanda, quando la voce di una donna adulta, attirò l’attenzione dell’uomo.
«Marcus, ho una sorpresa per te», cinguetto Didyme con accanto Isabella, sorpresa di vedere Edward parlare con il suo professore.
I due uomini si voltarono contemporaneamente, uno sorpreso, l’altro visibilmente divertito.
«Signorina Swan che piacevole sorpresa», il professore si alzò dallo sgabello salutando educatamente la sua alunna, allungandole la mano affinché lei potesse ricambiare il saluto.
Bella arrossì, «buonasera professore». Distolse l’attenzione dall’uomo per incontrare gli occhi di Edward che la fissavano interdetti.
Marcus sembrò notare quello strano gioco di sguardi e con un sorrisetto malizioso si voltò verso un Edward sempre più confuso, «ed ecco la tua signorina, che piacevole sorpresa non trovi?»
«Voi vi conoscete?» Domandò Isabella, rivolgendosi al professore Volturi e a Edward.
«Mai visto prima di questa sera, però avevamo appena iniziato una piacevole conversazione davanti a due drink, vi unite a noi?» chiese ironicamente osservando sua moglie.
Isabella sospirò affranta, il suo professore non si comportava mai in quel modo in classe, era difficile vedergli spuntare un sorriso sulle labbra, ma quella sera, forse perché in compagnia della moglie, sembrava un’altra persona.
Edward si alzò dallo sgabello, avvicinandosi ad Isabella per cingerle un braccio intorno alla vita, «stai bene?» le sussurrò all’orecchio, mentre Marcus faceva accomodare sua moglie su una delle quattro poltroncine di pelle, intorno a un tavolino in legno, proprio davanti al bancone.
«Io non so che fare», ammise la mora, cercando negli occhi chiari di Edward la risposta ai suoi dubbi. Quest’ultimo sembrò capire perché le sorrise teneramente, «è solo un drink, andiamoci a sedere», le disse spingendola dolcemente verso il tavolino, poi così come Marcus aveva fatto per sua moglie, Edward fece accomodare Isabella, per poi sedersi proprio accanto a lei.
«Signorina Swan sono felice di averla incontrata, ho una bella notizia per lei» proruppe Marcus, sorridendole.
Bella aggrottò le sopracciglia, mentre il cameriere portava i due cocktail ordinati precedentemente, per poi ordinarne altri due sotto indicazione di Didyme.
«Sono usciti i risultati dell’esame?»domandò innocentemente, sentendosi leggermente irritata a causa della presenza di Edward. Si conoscevano da troppo poco tempo per permettergli di entrare a far parte della sua quotidianità, ma davanti al suo professore non avrebbe mai potuto dirgli nulla.
Marcus scosse la testa, «per quelli ci vorrà Mercoledì».
«Tesoro non rischi di annoiare il giovane Edward, avrete tempo per parlare di scuola», ridacchiò divertita Didyme, posando la piccola mano sulla gamba del marito per attirare la sua attenzione.
Edward sorrise, «sinceramente sono incuriosito anche io, adesso».
Isabella gli lanciò un occhiataccia che venne interpretata da Edward come una richiesta d’aiuto perché ricambiò con più dolcezza.
La mora sbuffò, intuendo che non aveva altra scelta, «di cosa si tratta professore?»
«L’ avrei convocata Lunedì per annunciarle la notizia, ma sono felice di averla incontrato questa sera, così potremmo festeggiare», le rispose enigmatico, «una settimana fa ho letto il racconto che mi ha inviato», fece una pausa osservando incuriosito la reazione di Edward, visibilmente divertito da quella situazione. Isabella al contrario avrebbe tanto desiderato essere risucchiata dalla terra e sparire per sempre.
«Quello che ha ritenuto banale?»Non riuscì a trattenersi anche se un secondo dopo aver pronunciato quelle parole si morse la lingua. Ormai il danno era stato fatto, tanto valeva vivere le conseguenze.
Edward fissò sbigottito il professore, «noiosi? I racconti di Bella? Io non credo proprio, penso ci sia stato qualche errore di valutazione»
«Oh ma infatti è così. Isabella io non le ho mai detto che i sui racconti erano banali, io le ho semplicemente detto  che quel racconto conteneva solo un sacco di sciocchezze», le disse mantenendo il tono cordiale di sempre.
Bella s’irrigidì davanti a quelle parole, pensando che infondo era esattamente la stessa cosa, le aveva appena ripetuto quello che già aveva avuto modo di comprendere in privato. Quello che scriveva non aveva alcun senso, forse avrebbe dovuto arrendersi.
«Aspetti un attimo, sciocchezze? Caro ma cosa stai dicendo, tuo fratello vuole pubblicare il suo racconto, come puoi definire quel piccolo capolavoro tale?» Didyme sembrò sorpresa e con stupore si voltò verso Isabella, «sei stata tu a scrivere quella storia su Annie?»
Bella annuì timidamente, «credo di essermi persa qualcosa»,ammise voltandosi verso il suo professore.
In quel momento arrivò il cameriere con il suo drink, e Bella senza neppure sapere che cosa contenesse lo bevve tutto in un sorso, facendo una smorfia per il suo gusto amaro.
Edward le posò una mano dietro la schiena, accertandosi che stesse bene.
«Tesoro mi sarebbe piaciuto dirglielo con altre parole», disse Marcus rivolgendosi alla moglie.
«Oh perdonami caro e che quella storia mi ha conquistata».
Il professor Volturi ridacchiò, per poi rivolgere nuovamente la sua attenzione verso Isabella,«le stavo dicendo signorina Swan che per me quello che ho letto erano tutte sciocchezze, ma non per mio fratello, conosce Aro Volturi?» La sua era una domanda retorica, era ovvio che Isabella lo conosceva, non dal vivo ovviamente, ma era impossibile non averlo mai sentito nominare, e a sapere chi fosse era anche Edward, che non riuscì a fare a meno di sorridere al ricordo di quanto aveva litigando con il padre davanti al direttore del Chicago Times.
«Ho fatto leggere il suo racconto ad Aro, chiedendogli cosa ne pensasse e lui mi ha risposto che era perfetto. Ha intenzione di pubblicarlo la prossima settimana, sempre se lei è d’accordo». Terminò con un sorrisetto mentre terminava il suo Martini.
Isabella sembrava non riuscire più neppure a respirare davanti a quella rivelazione. Sentiva solo che il suo cuore battere all’interno della sua casa toracica come mai prima di quella sera. Avvertì gli occhi farsi sempre più lucidi, forse per l’effetto del drink, forse per l’emozione che quella notizia aveva scatenato dentro di lei.
Didyme le sorrise compiaciuta, «è un’ottima opportunità Isabella, complimenti».
Sembrava un sogno. Come se il destino le stesse indicando la strada, una cosa così bella era impossibile che potesse accaderle, eppure il fato sembrava aver scelto proprio lei quella sera.
Edward non avrebbe mai voluto interrompere quel momento così speciale, ma si sentiva in dovere di spezzare quel silenzio, preoccupato per Isabella. «Annie, la protagonista del racconto, non è la ragazza con le ossa di vetro?»

 

 

Sono tornata. Ebbene si, dopo più di tre mesi ricompaio in questo fandom con un nuovo capitolo. Prima di tutto volevo chiedervi scusa per il ritardo, ma come avevo annunciato nell'avviso, avrei ritardato nel postare a causa degli esami. E dopo quelli diciamo che mi sono presa una lunga e meritata vacanza xD Ma adesso eccomi di ritorno! Non so bene cosa dire, fa strano ritornare dopo tutto questo tempo. Il capitolo era pronto da un paio di settimane ma io non mi sentivo mai pronta, lo trovavo sempre incompleto o non abbastanza gradevole, insomma, solite noie da scrittori-si bè si spera un giorno- mai soddisfatti. In realtà ciò che più temevo era il vostro giudizio, anzi è qualcosa che temo ancora perché la paura non è andata via del tutto. Diciamo che come Isabella sono restia in quasi tutte le cose. In questo capitolo abbiamo un bello scossone eh? E voi che pensavate a un possibile bacio, ma quando mai io sono stata così prevedibile? Chi mi conosce sa bene che io amo sorprendere i mie lettori . Più che altro sto seminando tanti piccoli semi che presto cresceranno. Semi che riguardano Isabella e il suo carattere così chiuso e sensibile, forse dovuto a un avvenimento passato? Chi lo sa, in questo capitolo ho lasciato un grandissimo indizio e nel prossimo lo vedremo in maniera molto più esplicita. Un altro seme piantato è quello di Edward e della sua famiglia, cosa li ha portati a non parlare più? Perchè la madre di Edward si è schierata dalla parte del marito e non da quella del figlio? Io dico solo di non pensare subito di conoscere la possibile risposta, non è così facile da indovinare. E poi abbiamo i personaggi secondari, che nelle mie storie saranno sempre al pari dei protagonisti, come Alice e il coinquilino Jasper (se vi aspettate un appuntamento a quattro siete fuori strada ^^) e Susan, Mark, Jessica e Patrick che chissà se lo rivedremo. Dico solo di stare attenti a tutti i personaggi ù.ù
Detto questo vi lascio alle vostre riflessioni, nell'attesa di leggere cosa ne pensate di questo capitolo. Mi raccomando qualsiasi dubbio o domanda non esitiate a contattarmi.
Un ultima cosa prima di andare via. Le vacanze sono quasi terminate, tra meno di un mese si ritornerà a scuola, o meglio ritornerete a scuola. Fa strano dirlo, ma l'avventura delle superiori purtroppo e terminata, per questo motivo, consiglio a chi invece, ancora la sta vivendo, di viverla a pieno. Sono davvero gli anni più spensierati, non si dimenticheranno facilmente. 
Però la fine di un ciclo non significa mica che tutto è terminato, tutt'altro, una nuova avventura mi attende, ossia il mondo universitario. Per chi di voi vi è già dentro, vi andrebbe di raccontarmi qualche vostra esperienza, brutta o bella che sia? Qualsiasi cosa, anche una storia d'amore nata e morta in meno di tredici minuti in biblioteca :3
Ci sentiamo tra una settimana. Godiamoci questi ultimi giorni di Agosto ^^
Lua93.

P.S. Grazie per averci aspettato <3


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