E venne la fine dei tempi

di Dave637
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** E così... ha inizio ***
Capitolo 2: *** Preparazione ***
Capitolo 3: *** L'inizio... della fine? Forse... o forse no ***
Capitolo 4: *** Vecchie conoscenze ***
Capitolo 5: *** Che odio le carte coperte ***



Capitolo 1
*** E così... ha inizio ***


Le urla lo svegliarono di soprassalto.
Maledì quel momento con tutte le proprie forze.
Odiava essere svegliato di colpo.
Si sedette sul letto.
La testa gli pulsava, sembrava che qualcuno lo stesse colpendo con un maglio da fabbro.
Guardò la sveglia massaggiandosi le tempie per cercare di far passare quelle fastidiosissime fitte.
Le nove... Era andato a dormire nemmeno tre ore prima...

Grazie al cazzo che non mi è ancora passata

Si stropicciò gli occhi e stirò i muscoli. Si alzò. Lo sbalzo di pressione gli fece venire un capogiro, tanto che si dovette appoggiare allo stipite della porta per non cadere.

Ok, da oggi basta con i sabati-cocktail

Era una stronzata, e lui lo sapeva benissimo. Ormai era praticamente una tradizione, il sabato sera si usciva e dopo si andava a bere qualcosa.
Al piano inferiore continuavano a fare un casino infernale.

Ma guarda te 'sti stronzi, di domenica mattina alle nove devono fare tutto 'sto bordello?

Si trascinò non senza difficoltà verso il bagno. Arrivato, si buttò sul lavandino, nel tentativo di darsi una rinfrescata al viso. Tentativo che si rivelò completamente fallimentare. Tutto quello che ottenne fu un respiro mancato quando l'acqua gelida gli toccò il volto e null'altro. Il mal di testa continuava a incalzarlo.
Tornò in stanza, buttandosi sul letto. Si prese la testa tra le mani
Alzò lo sguardo, fissando la foto appesa al muro di quando era militare. Ormai erano passati quasi due anni.
Il rumore e gli schiamazzi continuavano incessantemente.

Mi hanno proprio rotto i coglioni...

Si alzò di scatto, infilò una maglietta e un paio di pantaloni corti e si diresse a passo deciso verso il balcone. Aprì la porta a vetri e spalancò le imposte. Un riflesso piuttosto fastidioso lo sorprese, costringendolo a strizzare gli occhi mentre le pupille si adattavano a questa nuova luce. Dopo qualche istante guardò il cielo. A dire il vero non c'era molto sole, anzi, era quasi tutto coperto da fitte nuvole di un grigio bluastro piuttosto scuro, quasi tendente al viola. Non aveva mai visto un colore del genere. Si distingueva malapena qualche isolato raggio luminoso dietro una coltre scura, ma, a quanto pareva, era sufficientemente forte da dare fastidio.
Abbandonò quei pensieri meteorologici per concentrarsi sullo scopo primario per il quale era andato in terrazza: urlare contro quegli infami che lo avevano sbrandato di prima mattina.
Prima mattina... beh, non esattamente, ma per lui lo era.
Davide si reputava una persona molto tranquilla e pacifica se non veniva provocato. Ma svegliarlo di colpo era una provocazione deliberata. Nella maggior parte dei casi anche l'unica. Non era esattamente piccolo, dati il suo quasi metro e novanta e i suoi novanta chili, quindi di solito la gente si guardava bene dal dargli fastidio.
Guardò verso il giardino sottostante e vide il suo “amato” vicino giocare con suo figlio facendo schiamazzi quasi inumani. Stavano facendo a una sottospecie di tiro alla fune con quello che sembrava un manicotto, o un asciugamano arrotolato.

- ALLORA! LA SMETTIAMO DI FARE TUTTO QUESTO CASINO!? QUI C'È QUALCUNO CHE DI NOTTE LAVORA... -

Grande balla, ma non lo poteva sapere.

- E AL MATTINO GRADIREBBE RIPOSARE! SMETTETELA DI FARE TUTTA 'STA CONFUSIONE E ANDATE A GIOCARE IN CASA CON QUEL... con quel... -

Osservò con attenzione l'oggetto in questione.

- … braccio? - la parola venne quasi sussurrata con un tono più incredulo che altro.

No, no poteva essere un braccio... no, era assurdo dai. Scrutò con maggiore attenzione.
Ora, va bene che era ancora rincoglionito dal sonno, va bene che era ancora in preda ai postumi di una sbronza...

- … ma quello è un braccio, cazzo... -

Era proprio un braccio, non si stava sbagliando. Era un arto che una volta apparteneva a qualcuno e che ora rappresentava il balocco di due psicopatici che se lo contendevano.

- MA TI SEI DROGATO E HAI DROGATO PURE TUO FIGLIO!? MALEDETTO PSICOPATA, ORA CHIAMO LA POLIZIA! -

Il vicino e il ragazzino si voltarono per la prima volta verso l'alto.

- Oh, cazzo... -

I due lo stavano fissando. O almeno Davide credeva che lo stessero facendo. Lo credeva perché il ragazzino era completamente privo di bulbi oculari, mentre il padre aveva le pupille e le iridi completamente bianche. Ma quello non era il dettaglio più raccapricciante. Osservandoli con maggiore attenzione si accorse che erano praticamente dei cadaveri che camminavano, con grandi ferite su tutto il corpo, un colorito cadaverico e chiazze di sangue pressoché ovunque.
Emisero una sorta di ruggito straziante, lasciando cadere a terra il braccio e protendendo gli arti verso l'alto, come per raggiungerlo.

- Oh, cazzo... - Ripeté Davide.

Si voltò, rientrò in casa e si chiuse la finestra alle spalle.
Si grattò la testa, mentre si dirigeva con calma verso la camera da letto. Si stiracchiò nuovamente.

Cocktails del cavolo... non devo più mescolare, guarda che sogni del cazzo che mi fanno fare.

Si distese a letto e si coprì con le coperte. Fortunatamente si era reso conto si trattava solamente di un sogno, odiava svegliarsi di colpo dopo un incubo.
Prese a girarsi nel letto per circa un quarto d'ora.
E ti pareva? Non riusciva a prendere di nuovo sonno.

Aspetta..

Non era normale sognare di non riuscire ad addormentarsi...
Udì dei colpi al portone. Non era qualcuno che bussava, era come se qualcuno stesse sbattendo continuamente contro la porta.

- Oh cazzo... -

Sembrava non riuscire a dire altro, ma probabilmente nessuno nella sua situazione avrebbe saputo farlo.
Si fiondò giù dalle scale, rischiando quasi di cadere. Al piano terra dell'appartamento, che comunque era al primo piano del condominio, ebbe la conferma: qualcuno stava sbattendo contro la porta. Si avvicinò all'ingresso molto lentamente, cercando di fare il minor rumore possibile. I colpi continuavano incessantemente.
Davide osservò lo spioncino. Doveva guardare fuori, ma non voleva.

Dai, non fare il coglione, prima hai visto male e questo... boh, sarà un cane, o qualcuno che ha bisogno d'aiuto. Devi guardare.

Si stava mentendo da solo. E lo sapeva. Non aveva visto male, se c'era una cosa che lo aveva sempre contraddistinto anche quando era militare, era il suo colpo d'occhio e la sua capacità di valutazione. Non poteva essersi sbagliato, ma doveva trovare il coraggio per guardare. Non era un codardo, ma una situazione del genere avrebbe messo alla prova il coraggio di chiunque.
Fece un profondo respiro e si affacciò allo spioncino. Vide quello che temeva: i volti sfigurati dei suoi vicini di casa che cercavano di entrare. E il loro scopo era ben poco misterioso.

Dio benedica chi ha inventato i portoni blindati.

Per sicurezza diede le ultime due mandate alla serratura.
Si strofinò il naso e si passò la mano tra i capelli nervoso

E adesso?

Era al sicuro, quello era certo. Quella porta blindata non sarebbe venuta giù per nulla al mondo. E tra l'altro abitava al primo piano. Ma come quei cosi non potevano entrare, lui non poteva uscire. Avrebbe trovato una soluzione con calma... se fosse riuscito a calmarsi.
Si buttò sul divano e accese il televisore. Voleva scoprire cosa diavolo stesse succedendo e se “la situazione” fosse contenuta o meno. Voleva rifiutarsi di credere che si trattasse realmente di quello che stava pensando.
Cominciò a scorrere i canali.
Stessa situazione su tutti. Un sibilo prolungato e un “Ci scusiamo per il disagio, i programmi riprenderanno appena possibile”.

Non è un buon segno.

I colpi stavano continuando, quelle... cose non sembravano aver nessuna intenzione di andarsene.
Forse la radio sarebbe stata di maggior aiuto. Davide salì in camera sua e tirò fuori dal fondo di un cassetto una vecchia radio. La collegò alla corrente e, canale dopo canale, cercò di scoprire come stessero realmente le cose.
Ormai aveva scorso più di metà dei canali e stava cominciando a perdere la speranza, quando finalmente gli parve di sentire qualcosa di comprensibile. Smanettò un po' con la rotella e alzò lievemente il volume.

“...re calmi. Le autorità stanno cercando di tenere sotto controllo la situazione. Siete pertanto invitati a restare nelle vostre case e a non uscire, i soccorsi arriveranno quanto prima, esponete lenzuola bianche alle finestre e sui tetti e sarete aiutati. Vi invitiamo a stare calmi. Le autorità stanno cercando di tenere sotto controllo la situazione. Siete pertanto invitati a restare nelle vostre case e a non uscire, i soccorsi arrivera...”

Spense la radio. Un messaggio preregistrato. Per quello che ne sapeva poteva essere in onda da ore, e nel frattempo avrebbe potuto succedere di tutto senza che nessuno lo togliesse.

Merda

Andò a sedersi sul letto e si prese la testa tra le mani. Ora le fitte erano passate. Aveva troppi pensieri per avere ancora mal di testa. Doveva decidere cosa fare.
E doveva decidere rapidamente.

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Capitolo 2
*** Preparazione ***


Doveva decidere rapidamente, ma la scelta non era semplice. Attendere i soccorsi avrebbe potuto significare una certezza di sopravvivenza ma, per quello che ne sapeva, avrebbero potuto anche non arrivare mai e le riserve di cibo che aveva in casa sarebbero terminate nell'arco di qualche giorno. Si alzò e misurò il salotto a lunghi passi. I colpi alla porta continuavano incessantemente. Sembrava che fossero addirittura aumentati... O quei cosi erano di più, o avevano sempre più fame.
Davide si grattò nervosamente la testa.
No, non era da lui starsene in casa ad aspettare che qualcosa accadesse. Doveva andarsene.
Una volta raggiunta questa conclusione, sorgeva però un altro problema: dove andare?
Improvvisamente si ricordò di quanto era accaduto qualche mese prima. Era una sera d'inverno e, assieme ad alcuni amici, erano in un bar per uno dei loro soliti sabati-cocktail. Stavano avendo una blanda conversazione relativamente a tutta quella storia dei Maya, con annessa fine del mondo e tutte le altre baggianate che facevano tanto scalpore in quel periodo. Non si ricordava esattamente chi avesse detto che cosa...

Maledetti cocktails

Ma il senso era chiaro.
Più o meno.

- Ma ti immagini se succedesse davvero? -

- Anche succedesse, amen -

- Che faresti? -

- Boh, probabilmente cercherei un'auto grossa e andrei da qualche parte -

- Se, come no. Ma se non riusciresti manco a metterla in moto -

- Ah, perché te che faresti? -

- Cercherei un'arma -

- Come nei film che trovi armi ovunque? -

- E poi che te ne fai? Mica devi sparare alla gente -

- Può sempre servire -

- Sì, ho capito, ma trovala te -

- Vedete a che serve il porto d'armi? -

- Si si, lo sappiamo che tu sei già fornito -

- Va bene, ma poi anche avendo un'arma...? -

- Dipenderebbe dalla situazione -

- Ma scusate ragazzi, non ci converrebbe restare in gruppo? Avremmo più possibilità di sopravvivere -

- E come facciamo? Non credo avremmo modo di tenerci in contatto -

- Magari ci troviamo tutti in un posto -

- Bon, deciso. Se verrà la fine del mondo, ci ritroveremo in sede -

- Ok, fatta -

La sede. Se ne era completamente dimenticato. Avevano stabilito lì il punto di ritrovo. O almeno così gli pareva di ricordarsi.
Sì, doveva per forza essere lì.
La sede era una sorta di ufficio che era la centrale operativa di un'associazione di volontariato della quale facevano parte Davide e i suoi amici. C'era un unico problema. Era perfettamente in centro città, il che significava tante case e tanti potenziali zombie. In effetti era stata scelta in caso di fine del mondo tipo calamità naturale e non per una fine del mondo tipo piaga zombie.
A pensarci bene era decisamente un pessimo posto, e un finto piano buttato a caso una sera in preda ai fumi dell'alcool poteva non essere esattamente il migliore. Senza considerare che gli altri potevano benissimo non ricordarsene affatto.
Pensò di risolvere il problema alla radice provando a contattare gli altri.
Prese in mano il cellulare, selezionò un nominativo dalla rubrica e premette il tasto di chiamata.
Nulla.

Merda

Le linee non funzionavano. O erano intasate o erano state per qualche motivo interrotte. Non era comunque un buon segno. Tanto per scrupolo provò persino ad utilizzare il telefono fisso ma, come immaginava, nemmeno quello funzionò.
Non aveva alternative, doveva proprio muoversi, raggiungere quel posto maledetto, sperare che gli altri si ricordassero di quel vaneggio formulato in preda ai fumi dell'alcool e che fossero pazzi a sufficienza come lui da reputarlo un piano attuabile.
Oramai non prestava nemmeno più attenzione ai continui rumori che provenivano dalla tromba delle scale.
Salì al piano di sopra. Doveva prepararsi a partire.
Mentre saliva, i suoi pensieri si susseguivano rapidamente. Quando partire, che strada fare, come muoversi, che cosa portarsi dietro, proprio come gli avevano insegnato durante l'addestramento. Erano passati anni dall'ultima volta.

Vediamo cosa mi ricordo

Sarebbe partito di notte. Era rischioso, ma sarebbe stato più semplice passare inosservati al buio dal momento in cui non stavano cercando proprio lui e quei cosi non sembravano particolarmente svegli. Avrebbe dovuto essere invisibile e avere un bagaglio leggero.
Si infilò un vecchio completo militare nero e un paio di anfibi dello stesso colore. Andò verso la cassapanca che aveva in camera e, aprendola, ne estrasse un giubbotto tattico verde scuro, un vecchio porta piastre che era riuscito a portarsi via come “ricordo” dai tempi del servizio. Le piastre non le aveva, ma se non altro gli avrebbe fornito un po' di imbottitura, oltre che un discreto numero di tasche. Prese infine un paio di guanti dello stesso colore del giubbotto.
Dirigendosi verso l'armadio, passò davanti uno specchio che aveva in stanza e vide la sua immagine riflessa. Si fermò per qualche secondo.

Sembro... Sembro... Sembro uscito da uno scadente film di guerra
Ma almeno è funzionale.

Tirò fuori dall'armadio lo zaino da montagna. In questo momento la sua smodata passione per l'attività all'aria aperta e tutti i soldi spesi potevano realmente sfruttare. Prese un paio di vecchie mimetiche e le infilò nello zaino cercando di comprimerle più che poteva, cosa che fece anche con alcuni cambi. Raccolse tutte le torce e le batterie che aveva e le mise tutte nello zaino, mantenendone una appesa al giubbotto.

Che altro mi serve?

Lo stomaco brontolò.

Giusto, cibo.

Scese in cucina e prese alcune scatolette di carne, di tonno, e alcuni snack cercando di sistemarli come meglio poteva. Recuperò due borracce e le riempì con acqua in bottiglia. L'acqua dei rubinetti poteva essere infetta per quello che ne sapeva.
Dopo aver inserito un po' di attrezzatura da montagna e legato all'esterno 30 metri di corda, si sentiva pronto. Gli sembrava di aver preso tutto.
Diede un rapido sguardo attorno per vedere se si era ricordato tutto e lo sguardo cadde sulla sua collezione di coltelli. Ne prese due piuttosto grandi, due da lancio e uno a serramanico tascabile. Cinque coltelli. Si sentiva ridicolo ma potevano sempre servire.
Guardò fuori dalla finestra. Il sole era ancora alto, mancavano molte ore al tramonto.
Si buttò sul letto e si infilò le cuffie dell'ipod nelle orecchie, chiudendo gli occhi.
Le note gli entrarono nella mente, allontanando qualsiasi pensiero. Si abbandonò alla rilassatezza, senza pensare a null'altro.
Quando riaprì gli occhi era buio pesto.

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Capitolo 3
*** L'inizio... della fine? Forse... o forse no ***


Quando riaprì gli occhi era buio pesto
Era il momento di partire.
Avvolse le cuffie attorno all'ipod e se lo mise in tasca.
Raccolse lo zaino e se lo buttò in spalla.

Viaggiare leggero un cazzo

Per un istante pensò di ricorrere a un mezzo per raggiungere la propria destinazione, ma l'unico veicolo che aveva a disposizione era la sua moto. Il che significava troppo rumore, poca stabilità e poco spazio per i bagagli. Era assolutamente da scartare.
Ora doveva trovare il modo di uscire. La porta era ovviamente un passaggio improponibile. Decise di dirigersi verso il terrazzo, per arrampicarsi sul tetto e capire meglio la situazione nel circondario.
Stava andando verso la porta finestra, quando il suo sguardo venne catturato da un leggero bagliore dorato. Si voltò e vide un vecchio libro. Era la Bibbia.
Era da anni che non la toccava. In quel periodo era rimasta a prendere polvere sullo scaffale.
La prese in mano. La girò e la rigirò.
Forse, in un periodo così buio, un altro genere di aiuto avrebbe potuto essere utile.
La mise in zaino in pochi istanti e riprese il suo cammino.
Aprì la porta del terrazzo. Guardò verso il cielo. Era una notte senza stelle e senza luna, cosa che non contribuiva ad alleggerire la tensione.
Si guardò attorno, doveva trovare il modo di bloccare la porta. Decise semplicemente di accostare le imposte e fermarle con un piccolo cuneo di legno che usava per evitare che la porta sbattesse.
Saltò sul parapetto del balcone, per poi issarsi non senza sforzo sul tetto.

Maledetto zaino

Una volta issatosi, si guardò attorno.
Sembrava di essere avvolti dal nulla. E nulla si muoveva. Nemmeno le foglie degli alberi sospinte da un sottile alito di vento caldo, troppo debole per fare qualcosa.
In lontananza qualche luce tremolante illuminava il paesaggio.
Non si udiva nulla, sembrava che persino i grilli si fossero zittiti o fossero morti in quella notte di orrori.
Davide si sentì per un istante veramente solo.
Si riscosse.
Doveva muoversi.
Sul tetto poteva vedere tutto, ma anche essere avvistato facilmente.
Guardò nelle immediate vicinanze.
Fortunatamente la via era sgombra. Sfruttando alcune finestre e la grondaia sulla facciata del caseggiato riuscì a raggiungere la strada.
Continuava a guardarsi intorno, era teso. Ogni rumore sospetto lo faceva sobbalzare. Percorse alcune vie minori, fino a ritrovarsi sulle strade principali. Ancora niente.
Che si fosse immaginato tutto?

No, non è possibile

Continuò a camminare, cercando di fare il minor rumore possibile e di mantenersi lungo i bordi della strada.
Fece una svolta a sinistra, seguendo il percorso della strada. Lì trovò i segni che qualcosa era accaduto.
C'erano auto abbandonate in mezzo alla strada. Una sembrava essere stata consumata dalle fiamme. Vide delle scie di sangue che dalla portiera di una macchina portavano in un vicolo proprio alla sua destra.
Di giorno doveva essere particolarmente buio, in quel momento sembrava portare direttamente nel ventre dell'inferno. Gli si gelarono le vene.
Avanzò di un passo. Appena la suola dell'anfibio toccò il suolo, invece del tonfo sordo che avrebbe dovuto emettere, si udì una specie di fruscio, come se qualcosa stesse strisciando a terra.
Davide si bloccò all'istante.
Voltò lentamente la testa verso il vicolo.
Nulla.
Fece un altro passo.
Questa volta, con il passo, si udì un ruggito.

O devo cambiare anfibi, o sono nella merda.

Delle mani in putrefazione sbucarono di colpo fuori dall'oscurità cercando di ghermirlo.
Il cuore gli balzò in gola, sentì un fremito rovente percorrergli tutti i muscoli. Scartò di lato in un istante, proprio un attimo prima che le mascelle di quell'orrida creatura si potessero serrare su di lui. Cominciò a correre. A correre più veloce che poteva. Dopo un centinaio di metri tese l'orecchio. Sentiva i versi dello zombie in lontananza.
In lontananza.
La fuga disperata si trasformò in una corsetta leggera e, poi, in un passo veloce.
Si voltò perplesso.
Quel maledetto stava cercando di arrancare verso Davide con la velocità di una lumaca.

Bestio schifoso. Volevi farti la cena, eh?

Alzò il dito medio verso lo zombie e si voltò per andarsene.
Un puzzo tremendo e una mandibola che si chiudeva con uno scatto sonoro a pochi millimetri dal suo naso.
- Cazzo! -
Non l'aveva nemmeno sentito avvicinarsi. Era stato uno scemo, doveva aspettarsi che ne sarebbero arrivati altri.
Lo zombie gli afferrò un braccio.
Aveva una stretta micidiale, sembrava quasi che gli avesse bloccato il flusso sanguigno alla mano.
Davide cercò di liberarsi con tutte le sue forze. Tirava e tirava, ma non succedeva nulla. Lo zombie non aveva nessuna intenzione di lasciarlo andare. Avvicinò le fauci alla mano di Davide per azzannarla.

No, non me ne posso andare così

Sferrò un calcio frontale al torace di quella bestia schifosa che volò via.
Osservò con soddisfazione lo zombie contorcersi al suolo, nel vano tentativo di rialzarsi. Sembrava una tartaruga caduta sul guscio.
La morsa di quella creatura era micidiale. Gli sembrava addirittura che continuasse ancora.
A dire il vero stava continuando ancora. Che fosse rimasto ferito?
Controllò.

Che schifo...

Con il calcio aveva allontanato lo zombie, ma non si era accorto di aver causato il distaccamento del braccio che lo stava ghermendo, che era rimasto attaccato al suo.
Cercò di tirarlo via, ma il moncherino non voleva cedere. Fu costretto a fare leva dito per dito e, una volta riuscito a separarsi dal macabro resto, lo scaraventò con forza in faccia allo zombie che stava tentando ancora di risollevarsi. Se ancora faccia poteva definirsi.

E vaffanculo anche te

Si allontanò con molta calma, come volesse ostentare un innaturale sangue freddo. In realtà il cuore stava ancora battendo a un ritmo impressionante, il respiro era affannoso e stava sudando freddo.
Sperava ardentemente che per il momento fosse finita.

Almeno fino a domani

Continuò a camminare. Stavolta però non prestava attenzione quello che lo circondava.
Stava pensando.
Stava pensando talmente tanto che il suo cervello sembrava addirittura fare rumore.
Pensava a quanto era successo.
Pensava a cosa avrebbe dovuto fare.
Al fatto che probabilmente non avrebbe mai più rivisto molte persone che conosceva, molte persone care.
Che ora avrebbe dovuto cercare di sopravvivere in ogni modo.
Che forse non avrebbe visto l'alba successiva.

Non incontrò nessun'altro lungo il suo cammino e, infine, accompagnato dal rumore dei suoi pensieri, giunse alla sede. Si trattava di una palazzina su tre piani, circondata da un cancello e una ringhiera di metallo verniciato di bianco Sembrava essere in buono stato, ma completamente deserta.
Dopo essersi guardato attorno scavalcò con un balzo il cancello, per dirigersi verso la porta d'ingresso.
Logicamente era chiusa, ma fortunatamente si era portato le chiavi.
Le inserì nella toppa, girò e spinse. Nulla. Sembrava che qualcosa stesse bloccando l'accesso.
Si diresse verso il retro. La finestre del loro ufficio era aperta.

Fantastico

Ma era al primo piano.

E che palle...

Sfruttando le inferiate sulle finestre al piano inferiore riuscì ad arrampicarsi fino alla finestra che rappresentava il suo obiettivo.
Cominciò a tirarsi su con molto sforzo.
Venne accolto dall'inquietante conforto di una canna di pistola puntata contro il naso.

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Capitolo 4
*** Vecchie conoscenze ***


- In alto le mani, straniero -
- Valo, se alzo le mani... cado. E poi straniero il cavolo, sono io cazzo -
Valo era il diminutivo che era stato affibbiato a uno dei ragazzi della compagnia.
- Mmmm... sei sicuro? -
- Eh, vedi un po' te. E levami dal naso quell'anticaglia -
- Hey, non offendere la mia piccola. È una stupenda conversione di una 1851 Navy per cartucce .38 Special e la canna da 4.75" della Uberti -
Davide lo guardò a dir poco basito.
- Ti ringrazio per questa sintesi illuminante - disse Davide ironico - Ora dammi una mano a tirarmi su -
Valo rinfoderò l'arma con una rapida mossa.
- Fai sempre il bullo in palestra e non riesci nemmeno a tirarti su? - chiese con tono beffardo.
- Non vado in palestra con uno zaino da venticinque chili -
- Mmmm... te la do buona -
Detto ciò, Valo agganciò con la mano lo zaino di Davide e, tirandolo verso di sé, gli diede una mano a entrare nell'ufficio. Il risultato fu una rovinosa caduta a terra.
- Cazzo, che male... -
- E dai, tirati su -
Davide rimase qualche momento a terra, massaggiandosi la spalla sinistra che, qualche istante prima, aveva rappresentato un pessimo punto di atterraggio. Dopo di che, rotolando sul fianco, riuscì a tirarsi su, dandosi una spolverata agli abiti.
Valo lo squadrò da capo a piedi.
- Sembri uscito dalla brutta copia venuta male di un plagio di un film di Rambo -
Davide guardò di rimando l'amico.
Era un ragazzo allampanato, con occhi scuri e capelli scuri portati un po' lunghi. Indossava un cappello western nero, un lunga giacca scura, una camicia rossa, dei pantaloni anch'essi scuri e un paio di stivali da cowboy. Come se tutto questo non bastasse, da un cinturone in cuoio pendeva una lunga fondina cross draw. [N.d.A. fondina a estrazione incrociata. La fondina è posta sul lato del corpo opposto di quello della mano che deve estrarre l’arma.]
- Senti John Wayne, parli proprio tu? -
- Lee Van Cleef, prego. E comunque cos'ha che non va il mio abbigliamento? -
- Oh, assolutamente nulla - rispose Davide con il costante velo di ironia che sembrava stesse permeando la conversazione.
Era incredibile. Stavano scherzando. Sembrava che si stessero comportando come se nulla fosse mai successo, come se non ci fosse nessuna piaga Zombie, come se non ci fossero tanti... mostri strani la cui unica priorità era cercare di divorare il cervello alla gente.
Come non fossero già morte centinaia di persone. Forse di più. Sicuramente di più.
Probabilmente avevano bisogno di un momento di normalità, di dimenticare quell'orrendo giorno che avevano appena trascorso.
Davide si buttò su una delle poltrone della stanza, quella dietro alla scrivania più grande.
Scrivania più grande, a dire il vero ce ne erano solo due, ma l'altra era costantemente ingombra di fogli, faldoni e una vecchia stampante laser che non voleva saperne di funzionare.
- Solo tu potevi portarti una pistola western al posto della 96 -
Valo era un cultore del western, era pressoché un'enciclopedia ambulante relativamente ad armi usi e costumi di quel periodo. Senza considerare un'immensa collezione di repliche di armi del periodo, più quella funzionante. Per lavoro era stato costretto all'acquisto di un'arma più performante e la scelta, anche grazie al consiglio di Davide, ricadde su una Beretta 96.
- Cosa credi? - portando una mano dietro la schiena ne estrasse la semiautomatica in questione - Le ho con me entrambe -
- Scemo io a non immaginarlo -
- Te invece? Volevi portarti dietro qualche altro coltello? - chiese Valo indicando svogliatamente con il dito l'arsenale di armi bianche che Davide aveva addosso.
- Non che avessi molta altra scelta, sai che non ho il porto d'armi -
- Te l'avevo detto di fartelo -
- Eh, ho capito. Ma ci voleva troppo tempo -
- Ma ora ti tornerebbe comodo -
Continuavano a parlare del nulla. Ora era chiaro. Cercavano entrambi di ritardare quanto più possibile il momento di affrontare i fatti.
La spalla di Davide riprese a fare male. Il ragazzo cercò di far passare il dolore con dei movimenti circolari, ma quel fastidio fece correre la sua mente a quello che aveva provato quando lo Zombie gli stava stritolando il braccio. E, conseguentemente, tutto il flusso di pensieri che ne derivava..
- Com'è che ti sei ricordato di questo posto? - chiese infine a Valo
- Ne avevamo parlato una sera al bar -
- Eravamo tutti ubriachi, non pensavo che qualcuno... -
- Sai che non bevo -
- Giusto... Quando sei arrivato? -
- Alle cinque, questo pomeriggio -
- Com'era la situazione? -
La domanda era tutt'altro che superflua. Davide aveva visto pochi zombie in giro, ma il fatto di aver viaggiato di notte avrebbe potuto nascondergliene molti.
- Ho finito una scatola di munizioni -
- Merda -
Le confezioni di proiettili contenevano 50 pallottole e, conoscendo l'abilità di Valo con la pistola, significava 40-50 zombie in meno per le strade. Ma voleva anche dire che ce ne erano molto di più.
- Sei passato per casa di Filippo? Era di strada, giusto? - riprese.
- Si... -
- Niente da fare? -
- Non è stato un bello spettacolo -
Non ci volle molto per capire come fosse finita l'esistenza del ragazzo.
- Ah... -
Un po' se l'aspettava. Quel ragazzo non aveva assolutamente la stoffa per sopravvivere ad una situazione del genere. Gli dispiaceva, era un bravo ragazzo, anche se non lo conosceva molto.
- E degli altri? - riprese Davide
- Nulla. Tu sei il primo che vedo. -
- Maledizione -
Davide si passò nervosamente la mano destra tra i capelli, per poi grattarsi la nuca.
- Che facciamo? - chiese Valo.
- Aspettiamo. Magari arriverà qualcun'altro -
- E se non dovesse arrivare nessuno? -
- Ce ne andremo. Ma dobbiamo aspettare un po' -
- Hai ragione -
I due caddero nel silenzio.
Sì udì un tuono in lontananza.
- Sta per cominciare a piovere – sentenziò Davide.
- È il mio stomaco – confessò Valo.
- Diavolo, da quant'è che non mangi? -
- Da ieri sera -
- E ne risenti così? Spera saremo in grado di trovare sempre da mangiare -
- Hai cibo? -
Davide si alzò pigramente dalla sedia, dirigendosi verso lo zaino che aveva depositato poco distante.
- Ho qualche scatoletta e dell'acqua. Tu non hai portato nulla? -
- Ho l'acqua, ma non avevo cibo a lunga conservazione -
Valo iniziò ad elencare quanto aveva portato. Si trattava di pile, batterie, abiti, medicinali, munizioni e altre cose che sarebbero potute servire ad una sopravvivenza estrema.
Mentre veniva fatto questo lungo elenco, Davide aveva preso a frugare nei propri bagagli. Riuscì a trovare una scatoletta di carne. La lanciò a Valo che la afferrò al volo.
- Una forchetta è chiedere troppo? - chiese osservando la scatoletta.
- Vuoi anche la candela già che ci siamo? -
- E come diavolo la mangio? -
- Strappi la linguetta, la pieghi a modi cucchiaio e mangi -
- Giusto... -
Valo fece come era stato detto e iniziò a divorare il proprio pasto non esattamente luculliano.
- Ah, unica cosa - tentò di aggiungere Davide - Attento a non tagliar.... -
- Ahia cazzo! -
- Ecco appunto -
Noncurante del piccolo taglio sul labbro, Valo riprese a mangiare la carne, con la voracità che lo aveva sempre contraddistinto.
Di colpo udirono dei rumori sinistri nel parcheggio della sede.
- Che è stato? -
- Non lo so... ma non sembrava nulla di buono... -

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Capitolo 5
*** Che odio le carte coperte ***


Chiedo scusa per l'attesa, ma un'incidente in moto mi ha tenuto lontano dalla tastiera per un po', spero mi perdonerete ;)





- Hai bloccato la porta d'ingresso? - chiese Davide sottovoce.
- Sì, ho messo davanti una scrivania - rispose Valo.
- Speriamo basti... dovremmo essere tranquilli.- Fece una breve pausa. - Aspetta, la porta del deposito materiali? -
- Sprangata pure quella -
- Ottimo, qualsiasi cosa sia, ci conviene aspettare passi -
I due si portarono lentamente verso la finestra, tenendosi molto bassi in modo tale da non essere visti dall'esterno.
I rumori sembravano non voler cessare. Avrebbero potuto controllare, ma il rischio di essere visti era troppo alto. Non che uno zombie li spaventasse particolarmente, ma eventuali urla da parte dell'essere avrebbero potuto attirare altre attenzioni indesiderate.
- Testardo l'amico - disse Valo
- Anche piuttosto scemo. L'ingresso e l'accesso al deposito non sono da questo lato -
- Starà sperimentando una nuova strategia per passare attraverso i muri -
I due ridacchiarono sommessamente, cercando di non farsi sentire all'esterno.
Si bloccarono all'istante. Si guardarono negli occhi.
- Il magazzino viveri! -
Davide si fiondò verso la porta dell'ufficio, per raggiungere il magazzino viveri dall'interno e bloccare la porta.
- Davide! Prendi! -
Valo lanciò la Beretta verso l'amico che la afferrò al volo.
Mentre percorreva a grandi balzi le scale che conducevano al piano terra, Davide si assicurò che la pistola avesse il colpo in canna. C'era.
Molto bene...
Tenendo il dito sul ponticello, aprì lentamente la porta che conduceva al magazzino viveri. Vi entrò cercando di rimanere il più basso possibile.
Si guardò attorno. Vide gli scatoloni di cibo ancora intatti. Avrebbero fatto comodo.
E mi ha pure scroccato la scatoletta, ma non poteva venire qui?
Accantonò quei pensieri. Non era il momento di essere fiscali su una scatoletta di carne.
Vide in fondo alla stanza l'apertura incriminata. Si trattava di una porta leggera, con un telaio probabilmente in alluminio. Non era esattamente una delle più sicure, dato che presentava anche un'ampia apertura occupata soltanto da un sottile strato di vetro satinato.
Proprio questa doveva lasciare aperta...
Si avvicinò lentamente all'uscio, quando un'ombra umanoide si stagliò sul vetro.
Merda!
Proseguì la manovra di avvicinamento nel modo più rapido possibile, senza tuttavia emettere alcun suono.
La stanza, che misurava solo qualche metro in lunghezza, ora sembrava essere diventata una distesa infinita.
La maniglia cominciò a girare.
La distanza continuava ad aumentare nella mente di Davide. Arrivare a destinazione gli sembrava quasi impossibile ormai.
La porta cominciò ad aprirsi lentamente. Non c'era più il tempo per cercare di mantenere un basso profilo.
Davide scattò in avanti, per poi buttarsi con la schiena contro la porta, facendola chiudere con un forte botto.

Valo udì un colpo molto forte. Non si trattava di un colpo di pistola.
Poco ma sicuro.
Poteva però non essere comunque un buon segno... anzi, probabilmente non lo era proprio.
Cercò di sporgersi dalla finestra, per cercare di capire cosa stesse succedendo, ma l'azione si era ormai spostata fuori dal suo campi visivo. Armò il cane della propria arma, rimanendo in attesa di un'eventuale richiesta d'aiuto dell'amico, ma per il momento era bene rimanere a presidiare la posizione.

Lo zombie continuava a cercare di entrare, tuttavia la resistenza di Davide stava raggiungendo lo scopo desiderato, tenerlo fuori.
Il tempo sembrava quasi essersi congelato, tutto quello che al momento esisteva nella mente del ragazzo erano la porta che doveva assolutamente rimanere chiusa, e quella cosa che cercava di saziare la propria fame.
Improvvisamente arrivò una spinta più forte, che causò un dolore non indifferente all'altezza dei reni. Davide perse quasi un respiro.
Non poteva andare avanti ancora a lungo, e quella bestia non se ne sarebbe andata. Lo sapeva.
Armò il cane della pistola, non che fosse necessario in una semiautomatica, ma avrebbe reso più leggero lo scatto del grilletto.
L'azione che sarebbe immediatamente seguita si stava delineando nella sua mente.
Avrebbe atteso la prossima spinta, sarebbe scattato in avanti girandosi. Lo zombie avrebbe sicuramente perso l'equilibrio e, approfittando di questo sbilanciamento, gli avrebbe piazzato una pallottola in mezzo agli occhi.
Non era un gran che come piano, ma era il massimo che la sua mente era stata in grado di partorire al momento.
Si preparò ad attuare quanto progettato. Attese l'ennesimo colpo...
… che però non arrivò.
Me che cazzo...?
- Chi c'è là dentro? -
Davide riconobbe immediatamente il marcato accento partenopeo.
- Vai a fare in culo, Fla... -
- Anche io ti voglio bene, ma ora fammi entrare. Non mi sento proprio a mio agio qua fuori -
Davide sospirò a fondo. Fece scattare l'abbatticane e si alzò lentamente. Aprì la porta e guardò malissimo l'amico.
- Che c'è? Perché mi guardi così? -
Eh si, era proprio Flavio...
Indossava una mimetica uguale a una di quelle che Davide aveva messo in zaino. Solo che quella doveva essere di qualche taglia più piccola. Effettivamente Flavio era un po' più basso e un po' più magro.
- Che c'è? Ci hai fatto venire un colpo -
- E che dovevo fare, bussare? -
- Avvisa in qualche modo... ti stavo per sparare -
Flavio non diede troppo peso alle parole dell'amico.
- Hai detto “ci”... chi altro c'è? -
- Solo Valo -
- E gli altri? -
Davide riassunse in breve tutto ciò che sapeva, e quanto gli era stato riportato da Valo.
Seguì qualche istante di pausa.
Dopo di che Flavio parlò.
- Beh, poteva andare peggio... -
- Sì, ma poteva anche andare meglio -
- E vabbè... così stanno le cose... andiamo su dai -
- Aspetta, chiudiamo sta cosa, non voglio tornare di sotto – concluse Davide indicando la porta dalla quale aveva appena fatto il suo ingresso Flavio.
Non senza sforzo riuscirono a spostare alcune scaffalature e un bancone da lavoro, che ormai da tempo immemore giaceva nel magazzino alimentare, senza che nessuno sapesse bene come ci fosse finito. Almeno però ora tornava molto utile...
Tornarono dove Valo li stava aspettando. Il ragazzo fu risollevato dal fatto di vedere che nessuno si fosse fatto male.
- Ce ne hai messo di tempo... - disse rivolto alla direzione di Davide, il quale in tutta risposta gli lanciò un'occhiataccia.
- Flavio - proseguì - quello è... - chiese indicando un oggetto nero che gli penzolava dalla spalla.
Davide guardò il punto cui Valo si stava riferendo.
Oddio...
Non l'aveva notato.
- È Jack - rispose baldanzoso Flavio.
- Ma... ma... ma è un fucile da softair - disse allibito - non credo sia molto efficace contro gli zombie -
- No, ma ti garantisco che è un ottimo deterrente per gli stronzi -
- Sarà -
Tutti si sedettero.
Le ore presero a scorrere lentamente.
Molto lentamente.
Il silenzio dopo un po' divenne assoluto, intervallato solo per pochi istanti da vani tentativi di intraprendere discussioni.
Ma una volta passata l'adrenalina... nessuno aveva molta voglia di parlare.
Flavio tese l'orecchio.
- Che cos'è questo rumore? -
Tutti si misero in ascolto.
Era come un tuono lontano... che però sembrava avvicinarsi.
No, non era un tuono, era un motore... un motore molto potente, tipo quelli da trattore.
Si stava avvicinando sempre di più.
Quando fu vicinissimo, udirono anche il clangore metallico di un cancello che veniva abbattuto.
I tre si guardarono, e dissero in coro...
- Ema... -

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