If its just you and me trying to find the light?

di Hacy
(/viewuser.php?uid=107598)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter one. ***
Capitolo 2: *** Chapter two. ***
Capitolo 3: *** Chapter three. ***



Capitolo 1
*** Chapter one. ***


If its just you and me trying to find the light?

Quando scese dalla macchina rimase come pietrificata: non aveva mai visto una struttura così grande e maestosa, le faceva quasi paura. Aveva sempre vissuto in un bilocale con tre sorelle e una mamma completamente assente ed era abituata agli spazi piccoli, sapeva gestire il proprio cerchio ed amava trovare rifugio negli angolini più protetti. Questo non era assolutamente quello che si addiceva al suo stile di vita. Un imponente cancello di ferro le si sbarrava davanti e quando lo vide aprirsi sussultò portando una mano al petto. Si guardò attorno e fece qualche passo avanti: pietrificata una seconda volta. Le borse le sfuggirono di mano e si piantarono con un bel tonfo ai lati delle sue gambe schiacciando un profumatissimo strato di erba verde ed umida. Ettari ed ettari di giardino si estendevano alla sua destra e alla sua sinistra e grandi alberi svettavano fieri tra panchine, fontanelle, tavolini e un grande gazebo candido. Si sentì mancare per qualche istante: era tutto troppo, troppo grande. «Agorafobica?» chiese una voce alle sue spalle. Si girò di scatto e annuì per poi squadrare il ragazzo che aveva di fronte un po confusa e con la testa che le girava. Si sedette di scatto per riprendere un po di fiato e lui d’istinto venne in avanti trattenendola per la vita. «Stai bene?» chiese preoccupato. Lei si guardò ancora attorno e poi si alzò farfugliando qualcosa di incomprensibile. Annuì accennando un sorriso per poi prendere le borse e pian piano incamminarsi verso l’entrata della sua nuova scuola.
Subito prima del portone c’erano una decina di scalini bianchissimi non troppo alti con un corrimano nero e lucidissimo esattamente a metà. Lasciò una borsa per poterlo sfiorare stupendosi della tiepidezza del metallo, segno che c’era passato qualcuno da pochissimo. Arrivata sul portone si girò e notò che il ragazzo di prima era sparito lasciandola sola in quell’enorme ammasso di mattoni e colori sgargianti. Sopra di lei poteva vedere un arco e leggere due parole incise nella pietra stessa: ‘Hoffman University’. Pensò subito che la scuola avesse un nome talmente scontato da sembrare ridicolo anche se in fin dei conti moltissimi college e università prendono il nome della città dove sorgono. Hoffman era una cittadina del Minnesota, piccola ma accogliente. Quella grande struttura un po disorientava. Si trovava ad un paio di chilometri fuori città, costruita nel XVI secolo su progetto di un architetto italiano e leggermente ristrutturata nel 1992, probabilmente l’anno in cui avevano aggiunto panchine e tutto il resto. Guardando bene la struttura si poteva riconoscere perfettamente lo stile rinascimentale: colonne alte, archi e tante finestre così da permettere alla luce di illuminare completamente gli spazi interni. Era a dir poco sovrumano per lei pensare che quell’opera d’arte così antica e ben fatta sia poi stata data in mano ad un architetto qualsiasi per essere ristrutturata anche se solo pochi particolari. Quelle panchine stonavano così tanto con l’idea di moderno e di essenziale che sembravano rubate dal parco pubblico.
Forse ciò che l’aveva spinta a fare domanda in quell’università era proprio l’eleganza della struttura, in un posto così dovevano studiare solo delle persone talmente colte da fare invidia al mondo. Ana possedeva un intelletto smisurato e amava fermarsi a pensare praticamente su tutto, non per caso aveva saputo riconoscere gli stili. Oltre a questo possedeva un talento naturale per l’arte: disegnare e dipingere erano i suoi hobby che voleva far diventare mestieri proprio uscendo da quel luogo, magari da grande avrebbe potuto insegnare arte proprio in scuole prestigiose come quella.
Mentre aspettava sulla soglia del portone gli altri sette nuovi studenti tornò a guardarsi intorno e dopo aver sceso gli scalini riuscì a riconoscere la vita che c’era in quel giardino. Fiumi di ragazzi erano sparsi tra i tavoli, sulle panchine e sugli alberi, stesi a terra e sotto il gazebo. Erano talmente tanti che faticava a pensare che ce ne fossero altri dentro. Si chiese come avesse fatto a non notarli prima anche se quando era arrivata avrebbe giurato il parco fosse completamente vuoto. Non poco distante riconobbe il ragazzo che aveva visto prima. Bruno, alto, occhi chiari: classico bello e impossibile dietro al quale strisciava tutta la scuola. Si rese conto che lo stava guardando e le sorrise sfoderando uno dei suoi sorrisi migliori e dopo qualche titubanza le si avvicinò di nuovo. «Tu sei una degli otto studenti nuovi giusto?» chiese appena le fu distante un paio di metri. Lei annuì e lui rise. «Scusami se ti offendo, ma tu sai parlare?» risero di gusto.
«Secondo te?» gli disse e fu lui ad annuire questa volta per poi passarsi una mano tra i capelli.
«Mi chiamo Ana, piacere di conoscerti.» esordì lei facendo qualche passo avanti tendendogli una mano che venne stretta poco dopo. Lo sconosciuto aveva le mani molto calde e.. morbide.
Lui fece per aprire la bocca ma fu bruscamente interrotto «Harry!» lo chiamarono i suoi amici che lo aspettavano ancora vicino quell’albero dove gli aveva lasciati. «Vuoi gentilmente venire qua o preferisci rimorchiare qualche ragazza appena arrivata?» disse uno squadrandola dalla testa ai piedi un paio di volte.
«S..si! Arrivo!» disse per poi sorriderle e baciarle delicatamente la mano prima di scappare via.
Rimase come pietrificata per la terza volta in un’ora, quella scuola non smetteva di stupirla e sperava non avrebbe smesso tanto preso visto quello che si aspettava.
Prima che potesse rendersene conto si ritrovò due ragazzi affianco che dopo aver sistemato le borse affianco le sue si guardavano attorno con la bocca aperta e gli occhi spalancati. Finalmente erano in tre gli ‘appena arrivati’, ne mancavano ancora cinque. Il primo dei due era molto alto, capelli lisci e grandi occhi azzurri mentre il secondo aveva gli occhi scuri e i capelli dello stesso colore e si alternavano ciocche lisce e ciocche poco ondulate. Iniziò a sperare ci fossero un paio di ragazze tra i ragazzi che dovevano ancora arrivare, non sarebbe sopravvissuta un giorno con compagni solamente maschi.
Si ritrovò a sorridergli e loro ricambiarono calorosamente dicendo poi di chiamarsi Louis il primo e Josh il secondo. Si scambiarono qualche informazione tipo la città d’origine, l’età e roba così per poi piombare di nuovo nel silenzio.
Louis, il primo veniva da New York mentre Josh da Denver ed entrambi, come lei, avevano 16 anni il che era ovvio visto che stavano per frequentare lo stesso anno.
A rompere quel silenzio durato relativamente non troppo ci fu il suono di una voce femminile che parlava al telefono con quella che sembrava essere sua madre date le frasi tipo ‘sto bene’ o ‘ok, lo farò’ o ancora ‘certo, sta tranquilla’. Appena Ana la vide le brillarono gli occhi: lunghi capelli neri, lisci ma sicuramente piastrati, occhi grandi e di ghiaccio: quel grigio così intenso la fece rabbrividire. Appena chiuse il telefono sorrise alle tre persone che si ritrovò di fronte e disse di chiamarsi Natasha ma che loro dovevamo assolutamente chiamarla Nat, 16 anni anche lei e Californiana su tutti gli aspetti.
Altro silenzio.
Gli altri quattro arrivarono stranamente insieme, due ragazze ed due ragazzi. Era ovvio che non si erano mai visti in vita loro perché anche se camminavano sulla stessa riga erano molto distanti l’uno dall’altro e non si guardavano neanche con la coda dell’occhio. Tutti e quattro tenevano gli occhi puntati su di loro e le sembrò la stessero squadrando dalla testa ai piedi più e più volte come se avessero davanti un alieno o una qualche strana specie animale. Appena furono vicini si sorrisero e si presentarono da persone educate quali erano. Eva, Claire, Liam e Niall: Boston, Filadelfia, Houston e Dublino. Dopo una manciata di secondi sentirono dei passi alle loro spalle, infatti poco dopo nove persone si presentarono di fronte a loro con dei grandi sorrisi. «Benvenuti alla Hoffman University of Arts.» disse la donna nel mezzo che sembrò la rettrice. «Sono la professoressa Marie Terry e sarò la vostra preside per i prossimi tre anni di studi..» iniziò cordiale ed educata. Narrò velocemente la storia della scuola, di come negli anni si era occupata principalmente di arti come la pittura e la recitazione ma che offriva comunque corsi canori e lezioni di strumenti musicali, da quanto tempo era alla guida di quel prestigioso istituto, di come venivano svolte tutti i giorni le lezioni e, parte più importante, cosa avrebbero dovuto fare subito dopo l’interessante discorso che stava abilmente esponendo. «I professori che vedete alla mia destra e alla mia sinistra vi scorteranno nelle vostre camere solo per posare i bagagli e successivamente dovrete seguirli fino l’aula magna dove l’intero corpo studentesco vi darà il benvenuto nella nostra scuola. A più tardi.» e detto questo si congedò.
Le si avvicinò un professore alto, molto magro e con una folta barba che lo rendeva affascinante.
«Devi essere Ariana Jonson, io sono il professor Brown, sarò il tuo insegnante di pittura.» disse sorridendo. La ragazza ricambiò e andò verso le sue borse e quando fece per prenderle il professore gliene sfilò di mano una iniziando a camminare davanti a lei per farle da guida.
Appena fece un passo dentro si sentì come svenire. L’atrio era di una grandezza spropositata e, come aveva intuito era talmente illuminato che i pavimenti e le pareti sembravano brillare. In fondo, una lunga e larga scala si fermava su un pianerottolo e poi continuava a ridosso della parete a destra ed a sinistra senza alcun tipo di muratura da una parte. Accanto a lei, da entrambi i lati, due file di colonne alte ed imponenti catturavano subito l’attenzione e tra una e l’altra svettavano grandi archi. Alle pareti erano appesi centinaia di dipinti ma quello esattamente di fronte a lei era forse il più grande e bello che avesse mai visto in tutta la sua vita. Una donna seduta all’amazzone su un cavallo candido dall’aria fiera: i particolari come i lunghi capelli rossi, quasi dello stesso colore dei suoi ed i grandi occhi color nocciola era ciò che la colpirono subito ma purtroppo non poté stare altro tempo ad ispezionarlo a causa del professore che la chiamava dalla scala sulla quale sarebbe dovuta passare cinque minuti prima.
«Avrai tre anni per ammirare le bellezze di quest’edificio.» spiegò sorridendo il professore per poi continuare a salire la rampa di scale. Arrivarono ad un corridoio molto lungo che si concludeva con una svolta a destra ma loro si fermarono alla terz’ultima stanza cioè la quindicesima o sedicesima contando dalle scale. Il cuore cominciò a batterle forte perché tra poco avrebbe visto il posto nel quale avrebbe vissuto, studiato e soprattutto costruito ricordi. Quando aprì la porta fece un passo avanti per poi farne due indietro barcollando. La stanza era quadrata, saranno stati 10m2. Si poteva perfettamente riconoscere la linea immaginaria che tagliava in due quella stanza che si trovata tra i due comodini ai quali si affiancavano i letti matrimoniali colmi di cuscini, le casse ai piedi di questi ultimi, i due armadi uno di fronte all’altro e le due scrivanie con le sedie. Era tutto perfettamente in ordine il che voleva dire che la sua compagna di stanza sarebbe stata un’altra degli otto appena arrivati e lei sperò subito si trattasse di Nat perché era quella che le aveva fatto l’impressione migliore. «Lascia i tuoi bagagli ai piedi delle casse, potrai sistemarli più tardi.» le spiegò l’uomo con voce calma e profonda ma che la spingeva a fare in fretta. Posati i grandi borsoni neri uscì dalla stanza chiudendo la porta e sempre dietro il professore ripercorse i suoi passi fino alla scala per andare in aula magna mentre ne sentì degli altri proprio alle sue spalle segno che la sua compagna di stanza stava per fare ingresso in quella che sarebbe stata casa loro per quelli che si prospettavano tre meravigliosi anni.


look here babes!
ok, questa non so da dove mi è uscita però devo ammettere che non la trovo una cattiva idea v.v
intanto ringrazio tanto tutti quelli che leggeranno e che recensiranno♥
poi vorrei ringraziare la mia amata giusy per tutto il supporto morale dato prima di pubblicare e il mio grande amore michi che è stata la prima a darmi un parere :3
spero che vi piaccia e che non la prendiate come la solita fan fiction perchè non l'ho pensata per questo.
vorrei aggiungere anche che il titolo è da una bellissma canzone di mat kearney -ships in the night- che mi ha passato giusy♥ grazie amore*c*
comunque, niente, al prossimo capitolo♥
kiss, frah.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Chapter two. ***


L’auditorium era forse il più grande che avesse mai visto in tutta la sua vita nonostante lo stesse guardando attraverso una tendina. Il backstage era stranamente affollato: oltre lei c’erano i sette nuovi alunni, gli insegnanti, la rettrice e una decina di altri ragazzi che squadravano tutti quanti da capo a piedi con qualcosa di irritante ma curioso allo stesso tempo.
La rettrice riunì tutti in un cerchio e spiegò velocemente cosa avrebbero dovuto fare e subito dopo uscì sul palco con un grande sorriso. «Buon pomeriggio a tutti voi ragazzi,» iniziò con voce sicura e squillante «sapete tutti quanti per quale motivo siamo riuniti tutti qua oggi e dopo settimane di spiegazioni non penso ci sia altro da dire!» continuò fermandosi per una breve risata che fu imitata da tutti «Quindi ora vi saranno presentati i nostri nuovi otto alunni che seguiranno regolarmente le nostre lezioni.» e fece qualche passo indietro per fare spazio ai ragazzi che per qualche causa ancora sconosciuta aspettavano con loro dietro le quinte. Tutti sorridevano e il primo della fila prese il microfono e presentò il primo ragazzo, Louis, il secondo presentò Josh, il terzo Nat e così via finché la terzultima ragazza con un grande sorriso presentò il suo nome e dopo essersi guardata attorno prese un bel respiro e uscì sul palco tra applausi e sorrisi. Pensò un tantino sorpresa se ogni volta che arrivava un ragazzo nuovo allestivano tutto questo corteo. La preside riprese la parola e disse qualcosina su ogni ragazzo e dopo un ultimo applauso furono liberi di tornare nel backstage dagli insegnati che avevano guardato tutto da lì.
«Benissimo ragazzi, siete liberi di andare alle vostre stanze per sistemare le vostre valigie.» esordì tranquillamente il professor Brown dopo aver regalato ad Ana un grande sorriso. Tutti annuirono e andarono verso l’uscita. Attraversarono lentamente l’atrio, le scale e il lungo corridoio fino alle proprie stanze e con sua gioiosa sorpresa Nat entrò proprio nella sua insieme a lei. Si sorrisero e ognuna andò verso il proprio bagaglio per poterlo sistemare. «Di dove sei?» chiese la mora quando ebbe finito mentre si sedeva sul letto. «Sono nata a Londra ma da quando avevo due mesi vivo a Boston!» le rispose imitandola dopo aver ripiegato e ficcato i borsoni sotto al letto. «Tu sei di Los Angeles?» continuò poi ricordandosi che neanche lei le aveva detto di dove fosse esattamente. «Magari! Ci sono stata molte volte ma purtroppo non ci vivo, sono di Sacramento.» disse sorridendole. Ana annuì e le fece segno con la mano di scusarla per poi entrare in bagno per darsi una rinfrescata perché si era appena accorta di star sudando tantissimo e non le piaceva sentirsi sporca davanti gli altri. Fece una lunga doccia tiepida e quando uscì si avvolse in un asciugamano e dopo averli tamponati per bene legò i lunghi capelli in una coda molto alta. Prima di uscire indossò i pantaloncini e la maglia che aveva velocemente afferrato dall’armadio prima di entrare in bagno. «Scusami se non ti ho chiesto un consenso ma mi stavo sentendo un po a disagio tutta sudata..» spiegò Ana sedendosi di fronte a Nat che era stesa sul letto a leggere una rivista. La ragazza si girò, le sorrise e le disse di non preoccuparsi per poi alzarsi ed andare anche lei a fare una doccia.
Quando fu sola iniziò a squadrare la stanza nei minimi particolari in modo da poterne apprezzare di più la bellezza. I comodini erano alti quanto i letti, laccati color panna e con delle decorazioni a ghirigoro per tutto il perimetro. Avevano due cassettini molto ampi divisi in scompartimenti così da facilitare l’ordine delle cose. I letti erano interamente in legno di un marroncino chiaro, molto probabilmente acero, perfettamente levigato e liscio, di una bellezza sorprendente. Armadi dello stesso colore, molto alti e con quattro ante, all’ interno di due di queste si trovava un grande scompartimento per appendere gli abiti e le altre due si aprivano su una serie di scaffali e cassetti di diverse misure. Le scrivanie erano una di fianco all’altra e nonostante non si toccavassero, condividevano una grande libreria che si estendeva sulla parete. Era tutto così ordinato da sembrare irreale.
Ana adorava l’ordine e non riusciva a capire cosa ci fosse di così difficile nel raccogliere un paio di scarpe o una maglietta da terra o una sedia e sistemare tutto in cassetti e armadi; e dopo tutto una stanza ordinata è molto più bella.
Nat uscì dal bagno una decina di minuti dopo con un turbante in testa e una maglia che le arrivava fino a metà coscia; era una ragazza così minuta che qualunque cosa le sarebbe stata così.
«Ti va di chiacchierare?» le chiese la bruna una volta seduta sul suo letto. Ana annuì sedendosi a sua volta a gambe incrociate proprio davanti a lei. «Siccome saremo compagne di stanza per i prossimi tre anni dobbiamo conoscerci.» disse poi ridendo. «Chiedimi tutto quello che vuoi ed io ti rispondo.» esordì Ana e la ragazza annuì iniziando a pensare a qualche domanda, stupida che sia. Le chiese come si chiamassero i suoi genitori, se fosse figlia unica, cosa le piacerebbe fare da grande, dove aveva studiato prima di arrivare in quella scuola, come mai avesse deciso di tentare l’ammissione lì, cosa le piacesse fare nel tempo libero, quale fosse la sua celebrity crush, il suo film preferito, che tipo di musica ascoltasse, se avesse mai avuto un ragazzo, che tipo di vita faceva, il suo cibo preferito e tanto, tanto altro. Lei si limitò a dire si o no, oppure, all’occorrenza iniziava dei lunghi discorsi dettagliati che alla californiana piacevano molto. «I miei si chiamano Laure e Nicholas. Sono figlia unica. La pittrice. Ho frequentato una scuola superiore di Boston. Non so perché; mi ha colpito tantissimo l’eleganza e l’imponenza di questo posto ma più di tutto mi è piaciuta perché qui posso coltivare quello che mi piace. Adoro passeggiare, chiacchierare al telefono, mangiare e tanto altro che scoprirai col tempo, è inutile fare un elenco adesso. Johnny Depp da quando mi ricordi. Non penso di avere un film preferito, me ne piacciono troppi. Ascolto di tutto, non ha importanza chi sei o che tipo di musica tu faccia abitualmente, se mi piace una tua canzone finisci sul mio iPod. Diciamo che i ragazzi non sono il mio punto forte. La mia era ed è ancora una vita normale, sono una ragazza normale a cui piace fare cose normali, penso. Assolutamente la cioccolata. » ad Ana piaceva chiacchierare e quando fu il suo turno nel fare le domande si sbizzarrì per bene dato che le piaceva anche curiosare nella vita delle persone; questa era una delle poche cose che a volte la rendevano fastidiosa ma fortunatamente aveva così tanti pregi da offuscare tutti i difetti. Un altro dei quali era il parlare: parlava tanto, forse troppo ma lei, al contrario dei suoi genitori, non lo vedeva come un difetto, lei amava parlare e parlando passarono il pomeriggio. «Che ore sono?» chiese la bruna guardando fuori dalla finestra. «Quasi le otto.» Nat storse il naso e si alzò per poi aprire la porta della camera e sbirciare il corridoio nel quale c’era un gran via vai. Tutti i ragazzi stavano uscendo dalle loro camere e si stavano dirigendo verso non sapeva  cosa, forse la mensa. «Dici che bisogna andare in mensa?» chiese la bruna girandosi verso Ana che alzò le spalle. In quel momento davanti la camera passò Josh, uno dei ragazzi appena arrivati. «Scusami! Josh! Josh giusto? Bene, dove vanno tutti?» chiese cordialmente cercando il più possibile di non far notare il modo in cui era vestita e acconciata. «A mangiare! Non ho capito bene dove ma io seguo solo gli altri!» rispose ridendo il ragazzo. Ana si alzò dal letto e andò vicino l’amica. «Veniamo anche noi! Potresti aspettarci? Penso che da sole saremmo perse nonostante la folla!» disse ridacchiando anche lei. Il ragazzo le sorrise e annuì e subito dopo entrambe erano davanti l’armadio per scegliere qualcosa da mettere. Nat era decisamente nel panico, era ovvio a guardarla che lei era una di quelle persone che ci mettevano ore a prepararsi per bene. Ana al contrario era molto acqua e sapone, non amava particolarmente truccarsi se escludiamo il filo di matita nera che metteva sugli occhi sempre prima di uscire e per quanto riguarda i vestiti era solo fatta a modo suo.
Sapendo che non potevano far attendere Josh a lungo in cinque minuti furono bene o male pronte per scendere. Nat aveva indossato un jeans lungo e una maglia a mezze maniche color panna e aveva lasciato i capelli umidi e ricci sciolti sulle spalle mentre Ana aveva infilato velocemente uno dei tanti paia di pantaloncini a vita alta e aveva abbinato una canottiera bianca con su delle scritte, una di quelle unite direttamente alla fascia perché molto smanicata. I capelli erano raccolti in una lunghissima treccia che le scendeva sulla schiena con il ciuffo che cadeva liberamente sulla fronte e sulla guancia sinistra come sempre.
Uscirono dalla camera e trovarono Josh appoggiato al muro di fronte al loro al quale si era affiancato Liam, il ragazzo che gli era stato assegnato come compagno di stanza. Si erano appena conosciuti anche loro ma sembravano già molto in confidenza.
«Eccovi finalmente, andiamo?» chiese il moro sorridendo. Annuirono e fianco a fianco si diressero verso la mensa insieme al fiume di ragazzi che sembrava non finire mai.
Camminavano fianco a fianco parlottando di quello che si aspettavano e di come avevano trovato la scuola, i ragazzi, tutto. Lei non poté trattenersi dall’esprimere tutta l’adorazione che provava per quella struttura, per ogni singola mattonella che componeva quel meraviglioso palazzo dell’arte, era  follemente innamorata di un istituto, strano ma vero. Dopotutto Ana era fatta così, una ragazza strana, diversa dalle altre; sin da quando era piccola non le era mai piaciuto quello che piaceva alle sue coetanee, le piaceva sperimentare cose nuove, andare in giro per il suo piccolo mondo, provare di tutto e non se ne pentiva mai, era fiera di essere la ragazza strana della compagnia, era un particolare che la rendeva interessante.
«Avete la più pallida idea di dove stiamo andando?» chiese ad un tratto la rossa guardandosi attorno. Gli altri scossero la testa per poi scoppiare a ridere e lei fu contenta di ridere insieme a loro, i suoi nuovi amici. «Scusami, dove stiamo andando?» chiese un po imbarazzato Liam ad un ragazzo moro che proprio davanti a loro rideva e scherzava con i suoi amici. Lui si voltò e dopo una risatina inquietante si ricompose facendo capire di aver intuito che loro erano alcuni dei nuovi ragazzi. Sorrise «A mensa, è in fondo a questo corridoio!»  disse gentilmente per poi girarsi di nuovo e tornare a parlare con gli amici. Ana continuò a guardarlo per un po: era bello, molto bello, fin troppo. «Ana? Amore a prima vista?» rise Nat schioccando le dita di fronte il suo viso. Lei rise scuotendo la testa «Ma ti prego, è praticamente scolpito nella ceramica, banale!» rispose lei continuando a ridere facendo nascere sul volto dei tre ragazzi un’espressione curiosa e divertita. Si sentì sollevata quando notò che i suoi amici non l’avevano preso come un insulto, non intendeva assolutamente essere cattiva, solo diretta e sincera. Annuì tra se e se prima di arrivare ad un grande portone spalancato che dava su un enorme stanza totalmente bianca con pavimenti di mattonelle lisce e candide tra le quali si riconosceva solo la fuga di un grigio chiaro. I tavoli sembravano centinaia, tutti perfettamente tondi e sistemati con ordine in modo strategico attorno ai quali c’erano tante belle sedie bianche di legno verniciato. Tutti i ragazzi le stavano muovendo e sistemando in modo da poter accomodarsi tutti insieme ai propri amici. Josh notò un tavolo vuoto quasi nel mezzo della sala e si avvicinarono cauti e sorridenti. Quando fu abbastanza vicina ad essi notò che proprio al centro di ognuno c’era una H stampato in un font elegante, bellissimo e color panna. Come poteva quella donna avere così tanto gusto? Perché lo sapeva che le stanze interne erano arredate dallo staff scolastico a capo del quale c’era e c’è tutt’ora la rettrice.
Avrebbe potuto rimanere in quella scuola per sempre, era troppo bella per essere reale, troppo.
Si accomodarono e si guardarono attorno in cerca di visi familiari, magari di quelli degli altri ragazzi oppure del ragazzo che lei aveva incontrato appena arrivata. Notò che il ragazzo moro era seduto un paio di tavoli più in la insieme ad un paio di ragazzi e tre ragazze, molto probabilmente le fidanzate.
«Ok, e ora?» chiese Liam guardandosi attorno. Non c’era nessun tipo di bancone dal quale passare coi vassoi come alle normalissime mense delle superiori quindi nessuno riuscì a dare una risposta, neanche la preside che entrò in quell’istante facendo fermare e zittire tutti. «Buonasera a tutti ragazzi e buon appetito.» disse per poi dirigersi verso un tavolo all’estrema sinistra uguale agli altri dove si sedettero poi anche i professori che avevano conosciuto all’entrata. Si guardarono con aria interrogativa ma stettero zitti e aspettarono qualcosa, sarebbe successo qualcosa, nessuno si muoveva o fiatava, segno che stava per accadere qualcosa. Qualche minuto dopo fecero il loro ingresso nella sala centinaia di camerieri con vassoi su vassoi con su dei piattini bianchi perfettamente ordinati contenenti la loro cena. Rimasero tutti e quattro meravigliati; era davvero assurdo.
Mangiarono con calma perché poterono avere questo privilegio mentre chiacchieravano e ridevano, era davvero una delle giornate più belle della sua vita, nel posto più bello del mondo. Quando tutti ebbero finito la preside si alzò e disse che potevano tutti andare. Pensò ne sarebbe seguito il caos invece tavolo per tavolo in ordine di distanza dal portone i ragazzi si alzarono e uscirono con calma e silenzio: non aveva mai visto niente del genere.
Quando fu il loro turno imitarono solo gli altri e con eleganza si avviarono verso l’uscita ed una volta fuori non poterono trattenere le risate, era tutto talmente perfetto da sembrare irreale e anche leggermente ridicolo.
Ana controllò l’orario e insieme a Nat decisero di tornare in stanza perché oltre ad essere stanche volevano quale ora in più per conoscersi e diventare amiche, dopotutto il giorno dopo sarebbero iniziate le lezioni e ogni momento era prezioso. I ragazzi le accompagnarono e le diedero la buonanotte con un gran sorriso. «Piacere di avervi conosciute ragazze!» esclamò Josh prima di sparire dietro l’angolo. Le due si guardarono e si sorrisero per poi entrare in camera chiudendosi la porta alle spalle.



look here babes!
ok, eccovi amaramente servito il secondo capitolo.
so che non è fantastico ma sinceramente questa storia mi convince, è che devo trovare un po di ispirazione in più D:
di questi tempi sono vuota, sarà che sta per iniziare la scuola c.c
by the way, spero vi sia piaciuto e ringrazio chi si sia fermato a leggero o addirittura recensire.
ringrazio come ogni volta quella santa della giusy che mi ha supportaro e corretto e che può capire la mia agonia da pre liceo classico xD
grazie ancora a tutti e al prossimo capitolo♥♥
kiss, frah.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Chapter three. ***


Era la prima volta che si svegliava in quella stanza eppure iniziava già ad amare l’odore del legno del letto, il profumo di pulito delle lenzuola, il respiro tranquillo di Nat che ancora dormiva, la luce che illuminava completamente la stanza così da abbellire tutto ancor di più. Spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e scostò le coperte per poter scendere a terra e infilare le ciabatte. Aprì l’armadio per potersi sistemare un po’ prima del risveglio della compagna: non le piaceva apparire disordinata. I lunghissimi capelli rossi e ricci le scendevano arruffati intorno al viso fino al fondo della schiena mentre i grandi occhi verdi apparivano più piccoli perché assonati.
Si voltò verso il comodino per poter afferrare un elastico e domare la chioma ma si accorse che Nat era sveglia e la osservava sorridente e mezza addormentata. «Tu hai dei capelli assurdi.» disse scherzosa mettendosi seduta. Ana annuì soffiando via dagli occhi uno dei tanti riccioli. «Come si chiama quel film Disney che sta per uscire? Rebel tipo, boh, vabbè, i tuoi capelli sembrano quelli della protagonista, rossi e ricci e tanti ed arruffati e belli. Si sono ispirati a te per farglieli?» continuò sorridendo. La rossa arricciò il naso per poi specchiarsi di nuovo. Beh, effettivamente aveva ragione e lei amava i suoi capelli ma non era mai uscita di casa lasciandoli sciolti e liberi come in quel momento. Quando era arrivata li aveva legati in uno chignon ben stretto abilmente fatto da sua madre perché per lei era un po difficile sistemare benissimo i capelli. Per qualche momento esitò nel legarli ma poi li raccolse in una coda molto alta mentre i soliti riccioli le cadevano sulla fronte e sulle guance. «A che ora iniziano le lezioni?» chiese Ana dal bagno mentre si lavava velocemente. «Alle nove e sono le otto e un quarto quindi abbiamo tutto il tempo che ci serve.» rispose la bruna apparendo alle sue spalle per poi entrare in doccia con i capelli legati sulla testa in modo da non bagnarli visto che li aveva lavati la sera prima. La rossa tornò in camera ed aprì l’armadio per scegliere cosa mettere; dopo svariati tentativi scelse un vestito color panna fino a metà coscia con una cinta sottile in vita dello stesso colore, una giacca più scura di cotone alla quale arrotolò le maniche appena sopra il polso, un paio di stivaletti bassi marroni e la prima collana dorata che trovò nel porta gioie, lasciò i capelli legati e prese la lista delle lezioni di quella mattina per poter sistemare la borsa per i libri. Una volta fatto tornò in bagno per truccarsi e con sua grande sorpresa trovò Nat che si allacciava le scarpe. «Sei pronta!» disse avvicinandosi allo specchio. «Strano ma vero, mi ero preparata cosa mettere ieri sera, dovrei farlo tutti i giorni!» spiegò la bruna tornando a passarsi la piastra visto che molte ciocche erano ancora mosse. Mise il solito filo di eye-liner sugli occhi e la matita all’interno e torno nella camera per sedersi sul letto e riposarsi un altro po. Era emozionata per questo suo primo giorno di scuola, aveva sempre desiderato poter frequentare un istituto come quello, la Hoffman era più che perfetta, la amava senza neanche aver frequentato una lezione e sapeva che anche quelle sarebbero state interessanti data la tenerezza dei professori. Sarebbero stati i tre anni più belli della sua vita, molto meglio delle superiori, molto, molto meglio. Nat uscì dal bagno e andò anche lei a sistemare i libri mentre Ana, avendo sentito bussare, si avvicinava alla porta per aprire. «Buongiorno!» le disse un sorridente Josh dal corridoio avvicinandosi alla porta. Lei gli sorrise e lo invitò ad entrare. «Che lezione hai a prima ora?» chiese Ana al ragazzo che si era seduto alla sua scrivania dopo aver girato la sedia verso di loro. «Brown, pittura suppongo.» disse appoggiato coi gomiti sulle proprie gambe. La rossa sgranò gli occhi «Anch’io! Possiamo andare insieme!» propose e lui annuì per poi controllare l’orario sul suo telefono. «Penso sia ora di andare.» le disse poi sorridendo. Ana annuì e si alzò prendendo il libro che aveva sistemato sulla scrivania. «Ci vediamo più tardi Nat.» salutò avvicinandosi a lei per poterle dare un bacio. La mora sorrise e li guardò finché non si chiusero la porta alle spalle con un’espressione emozionata.
«Di dove sei precisamente?» le chiese il ragazzo voltandosi qualche secondo verso di lei a guardarla. «Boston, ma sono nata a Londra!» rispose educatamente lei. Il ragazzo la sovrastava di una quindicina di centimetri e quando fu lei a voltarsi dovette alzare la testa per poterlo guardare per bene. Sorrideva. «Guarda tu la coincidenza, anch’io sono nato lì ma mi sono trasferito quando avevo tre anni, non ricordo niente di Londra.» spiegò Josh infilandosi le mani in tasca. Lei sorrise meravigliata e subito dopo si resero conto di essere davanti la classe. Entrarono, salutarono il professore e si sedettero. Lui ricambiò con tanta gioia negli occhi. Brown era un uomo talmente gentile da sembrare irreale, sarebbe stato una guida ottima.
«Ragazzi benvenuti a questa nuova lezione. Oggi, per prima cosa, presenteremo a tutti i nuovi alunni due dei quali si trovano in questa classe assieme a noi. Signorina Jonson, signor Devine, potete alzarvi in piedi?» chiese l’uomo facendo un cenno con la mano. I due si alzarono e si guardarono attorno sorridenti ma imbarazzati per poi risedersi. «Come? Già seduti?» chiese Brown guardandoli come se fosse triste. Ana lo guardò interrogativa e si alzò di nuovo. «Ha qualcosa da chiederci professore?» chiese sorridendogli. Lui le si avvicinò un po’ e la fissò per qualche istante, poi, dopo un piccolo colpo di tosse continuò. «Come si trova in questa scuola signorina Jonson?» le chiese sfidandola.
«Questa scuola è perfetta. È il posto dove ho sempre sognato di studiare, non ce n’é  un altro al mondo dove vorrei trovarmi. È tutto così ordinato e coordinato, mi sono ritrovata ad amare il colore del legno degli armadi.» iniziò per poi fermarsi per una risatina seguita al volo da alcuni degli studenti che la ascoltavano attentamente, quasi rapiti «Io so di essere una ragazza a cui piace molto osservare, trovare i particolari, saperli descrivere e più di tutto disegnarli, dipingerli e sono convinta che una scuola d’arte debba essere esattamente come questa, non cambierei niente. Io amo disegnare da quando ero molto piccola, non c’è nulla che una matita e un foglio non possano curare, poi se mi mettete un pennello in mano vado letteralmente su di giri. Sono qua per fare della mia passione un mestiere, essere conosciuta e poter avere la soddisfazione che qualcuno nel mondo mostri un mio dipinto con orgoglio su un proprio muro di casa. La mia aspirazione è diventare grande e ancora più brava.» Ana aveva gli occhi che le luccicavano. Mentre parlava si immaginava davanti a se tutte le bellezze che aveva visto in neanche mezza giornata e soprattutto tutto quello che l’arte aveva fatto per lei. Il professore la guardava entusiasta e batté un paio di volte le mani per farle comprendere la sua approvazione. La rossa sapeva di essere motivata e avrebbe fatto di tutto pur di piacere agli altri e a se stessa, diventare qualcuno, un nome che i ragazzi avrebbero ricordato come quello della ragazza che non solo aveva un talento sovrannaturale ma che era determinata e pronta a sfidare chiunque pur di realizzare i propri sogni. Brown aveva capito tutto questo solo da quelle poche parole che Ana riuscì a dire forse perché emozionata e impaziente di iniziare. «Davvero molto bene. Può sedersi signorina. Come vedete, sul vostro banco c’è un foglio d’album, come prima lezione del trimestre vorrei solo che disegnate qualcosa, qualsiasi cosa, la prima cosa che vi viene in mente. Prima di iniziare scrivete il vostro nome sul retro del foglio, avete un’ora da adesso.» spiegò per poi sedersi alla cattedra e prendere un libricino che continuò a leggere tranquillamente. Nell’aula si sentiva solo il rumore della grafite che macchiava la carta bianca e tutti i volti dei ragazzi erano chinati sul proprio foglio concentrati.
Esattamente un’ora dopo il professor Brown si alzò in piedi e annunciò che dovevano posare le matite; così fecero tutti quanti. Passò per ritirarli tutti senza neanche guardarli e successivamente li mise sulla sua cattedra ordinatamente accanto ad una cartellina blu contente centinaia di fogli d’album. «Potete andare ragazzi.» disse un istante prima del suono della campanella. Ana si alzò e con piacere pensò che anche la campanella aveva un suono soave, non come quelle delle superiori che ti trapanano il cervello e ti fanno venir voglia di scappare ogni volta che le senti. «Ariana, potrebbe fermarsi qualche minuto?» le chiese Brown mentre lei le andava incontro. La ragazza annuì e si fermò in piedi davanti alla cattedra sorridendo all’uomo che la guardava interessato. «Davvero complimenti signorina, non ho mai avuto nella mia classe una ragazza più determinata di lei, la sua passione potrebbe farmi commuovere.» le disse serio ma con sguardo quasi adorante. Cercò dal mucchio il disegno della ragazza e non appena lo ebbe in mano fece un grande sorriso e glielo mostrò. Aveva disegnato la facciata della scuola in tutta la sua bellezza, i suoi particolari, tutto quello che le era rimasto impresso. C’erano anche alcuni alberi, le panchine e i ragazzi stesi sull’erba a studiare. «Lei ha talento Ariana.» continuò guardando fisso il disegno. «Può chiamarmi Ana se vuole e comunque la ringrazio molto, detto da lei è un grande complimento.» il professore alzò lo sguardo e la guardò con un sorriso compiaciuto. Sapeva che avrebbe potuto instaurare un rapporto bello e forte con quella ragazza, avrebbe potuto aiutarla a diventare così come lei voleva essere e insieme ci sarebbero riusciti sicuramente. «Può andare, Ana.» le sorrise e dopo aver ricambiato uscì dalla classe trovandosi Josh che l’aspettava appoggiato al muro accanto la porta. Si scambiarono un grande sorriso e iniziarono a camminare per i corridoi. «Che ti ha detto?» chiese curioso. «Niente di che, solite cose, gli piaccio, pensa che io abbia talento.» spiegò disinvolta. Lui si voltò a guardarla e sorrise di nuovo. «Ti va di fare qualcosa un giorno di questi? Abbiamo il permesso di uscire dal campus.» propose Josh infilandosi le mani in tasca. Ana annuì. «Dovremmo dirlo anche a Nat e Liam, sarebbero contenti di unirsi a noi!» disse sorridente. Josh alzò gli occhi al cielo e scosse la testa in modo impercettibile così da non farsi vedere dalla ragazza, poi sforzò un sorriso. «Si, perché no.»

look here babes!
saranno tipo tre mesi che non aggiorno e mi sento una merdaccia!
ma dovete capirmi, tra scuola nuova e tutto il resto non ci sto capendo più niente XD
oggi, dal nulla mi è venuta voglia di postare perchè mi sono stancata di lasciare le storie incomplete e.e
prometto che durante queste vacanze mi metterò sotto anche con 'Unexpected', mancano solo 3 capitoli e ci tendo tanto, tanto a finirla.
spero che non mi abbiate abbandonata tutti perchè ci tengo tanto anche a voi che mi supportate e mi spingete a non smettere di sfornare ste cazzate XD
grazie a tutti per tutto, la parte principale di questo 'lavoro' siete voi che leggete dopotutto!
voglio anche augurarvi un felicissimo Natale e un anno nuovo anche migliore!
kisses, frah♥

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1233215