If its just you and me trying to find the light? di Hacy (/viewuser.php?uid=107598)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter one. ***
Capitolo 2: *** Chapter two. ***
Capitolo 3: *** Chapter three. ***
Capitolo 1 *** Chapter one. ***
If its just you and me trying to
find the light?
Quando scese dalla
macchina rimase come pietrificata: non aveva mai visto una struttura
così grande e maestosa, le faceva quasi paura. Aveva sempre
vissuto in un bilocale con tre sorelle e una mamma completamente
assente ed era abituata agli spazi piccoli, sapeva gestire il proprio
cerchio ed amava trovare rifugio negli angolini più
protetti. Questo non era assolutamente quello che si addiceva al suo
stile di vita. Un imponente cancello di ferro le si sbarrava davanti e
quando lo vide aprirsi sussultò portando una mano al petto.
Si guardò attorno e fece qualche passo avanti: pietrificata
una seconda volta. Le borse le sfuggirono di mano e si piantarono con
un bel tonfo ai lati delle sue gambe schiacciando un profumatissimo
strato di erba verde ed umida. Ettari ed ettari di giardino si
estendevano alla sua destra e alla sua sinistra e grandi alberi
svettavano fieri tra panchine, fontanelle, tavolini e un grande gazebo
candido. Si sentì mancare per qualche istante: era tutto
troppo, troppo grande. «Agorafobica?»
chiese una voce alle sue spalle. Si girò di scatto e
annuì per poi squadrare il ragazzo che aveva di fronte un po
confusa e con la testa che le girava. Si sedette di scatto per
riprendere un po di fiato e lui d’istinto venne in avanti
trattenendola per la vita. «Stai bene?»
chiese preoccupato. Lei si guardò ancora attorno e poi si
alzò farfugliando qualcosa di incomprensibile.
Annuì accennando un sorriso per poi prendere le borse e pian
piano incamminarsi verso l’entrata della sua nuova scuola.
Subito prima del
portone c’erano una decina di scalini bianchissimi non troppo
alti con un corrimano nero e lucidissimo esattamente a metà.
Lasciò una borsa per poterlo sfiorare stupendosi della
tiepidezza del metallo, segno che c’era passato qualcuno da
pochissimo. Arrivata sul portone si girò e notò
che il ragazzo di prima era sparito lasciandola sola in
quell’enorme ammasso di mattoni e colori sgargianti. Sopra di
lei poteva vedere un arco e leggere due parole incise nella pietra
stessa: ‘Hoffman University’. Pensò
subito che la scuola avesse un nome talmente scontato da sembrare
ridicolo anche se in fin dei conti moltissimi college e
università prendono il nome della città dove
sorgono. Hoffman era una cittadina del Minnesota, piccola ma
accogliente. Quella grande struttura un po disorientava. Si trovava ad
un paio di chilometri fuori città, costruita nel XVI secolo
su progetto di un architetto italiano e leggermente ristrutturata nel
1992, probabilmente l’anno in cui avevano aggiunto panchine e
tutto il resto. Guardando bene la struttura si poteva riconoscere
perfettamente lo stile rinascimentale: colonne alte, archi e tante
finestre così da permettere alla luce di illuminare
completamente gli spazi interni. Era a dir poco sovrumano per lei
pensare che quell’opera d’arte così
antica e ben fatta sia poi stata data in mano ad un architetto
qualsiasi per essere ristrutturata anche se solo pochi particolari.
Quelle panchine stonavano così tanto con l’idea di
moderno e di essenziale che sembravano rubate dal parco pubblico.
Forse ciò
che l’aveva spinta a fare domanda in
quell’università era proprio l’eleganza
della struttura, in un posto così dovevano studiare solo
delle persone talmente colte da fare invidia al mondo. Ana possedeva un
intelletto smisurato e amava fermarsi a pensare praticamente su tutto,
non per caso aveva saputo riconoscere gli stili. Oltre a questo
possedeva un talento naturale per l’arte: disegnare e
dipingere erano i suoi hobby che voleva far diventare mestieri proprio
uscendo da quel luogo, magari da grande avrebbe potuto insegnare arte
proprio in scuole prestigiose come quella.
Mentre aspettava sulla
soglia del portone gli altri sette nuovi studenti tornò a
guardarsi intorno e dopo aver sceso gli scalini riuscì a
riconoscere la vita che c’era in quel giardino. Fiumi di
ragazzi erano sparsi tra i tavoli, sulle panchine e sugli alberi, stesi
a terra e sotto il gazebo. Erano talmente tanti che faticava a pensare
che ce ne fossero altri dentro. Si chiese come avesse fatto a non
notarli prima anche se quando era arrivata avrebbe giurato il parco
fosse completamente vuoto. Non poco distante riconobbe il ragazzo che
aveva visto prima. Bruno, alto, occhi chiari: classico bello e
impossibile dietro al quale strisciava tutta la scuola. Si rese conto
che lo stava guardando e le sorrise sfoderando uno dei suoi sorrisi
migliori e dopo qualche titubanza le si avvicinò di nuovo.
«Tu sei una
degli otto studenti nuovi giusto?» chiese appena
le fu distante un paio di metri. Lei annuì e lui rise.
«Scusami se ti
offendo, ma tu sai parlare?» risero di gusto.
«Secondo te?»
gli disse e fu lui ad annuire questa volta per poi passarsi una mano
tra i capelli.
«Mi chiamo Ana, piacere di
conoscerti.» esordì lei facendo
qualche passo avanti tendendogli una mano che venne stretta poco dopo.
Lo sconosciuto aveva le mani molto calde e.. morbide.
Lui fece per aprire la
bocca ma fu bruscamente interrotto «Harry!»
lo chiamarono i suoi amici che lo aspettavano ancora vicino
quell’albero dove gli aveva lasciati. «Vuoi gentilmente venire qua o
preferisci rimorchiare qualche ragazza appena arrivata?»
disse uno squadrandola dalla testa ai piedi un paio di volte.
«S..si! Arrivo!»
disse per poi sorriderle e baciarle delicatamente la mano prima di
scappare via.
Rimase come
pietrificata per la terza volta in un’ora, quella scuola non
smetteva di stupirla e sperava non avrebbe smesso tanto preso visto
quello che si aspettava.
Prima che potesse
rendersene conto si ritrovò due ragazzi affianco che dopo
aver sistemato le borse affianco le sue si guardavano attorno con la
bocca aperta e gli occhi spalancati. Finalmente erano in tre gli
‘appena arrivati’, ne mancavano ancora cinque. Il
primo dei due era molto alto, capelli lisci e grandi occhi azzurri
mentre il secondo aveva gli occhi scuri e i capelli dello stesso colore
e si alternavano ciocche lisce e ciocche poco ondulate.
Iniziò a sperare ci fossero un paio di ragazze tra i ragazzi
che dovevano ancora arrivare, non sarebbe sopravvissuta un giorno con
compagni solamente maschi.
Si ritrovò a
sorridergli e loro ricambiarono calorosamente dicendo poi di chiamarsi
Louis il primo e Josh il secondo. Si scambiarono qualche informazione
tipo la città d’origine,
l’età e roba così per poi piombare di
nuovo nel silenzio.
Louis, il primo veniva
da New York mentre Josh da Denver ed entrambi, come lei, avevano 16
anni il che era ovvio visto che stavano per frequentare lo stesso anno.
A rompere quel silenzio
durato relativamente non troppo ci fu il suono di una voce femminile
che parlava al telefono con quella che sembrava essere sua madre date
le frasi tipo ‘sto bene’ o ‘ok, lo
farò’ o ancora ‘certo, sta
tranquilla’. Appena Ana la vide le brillarono gli occhi:
lunghi capelli neri, lisci ma sicuramente piastrati, occhi grandi e di
ghiaccio: quel grigio così intenso la fece rabbrividire.
Appena chiuse il telefono sorrise alle tre persone che si
ritrovò di fronte e disse di chiamarsi Natasha ma che loro
dovevamo assolutamente chiamarla Nat, 16 anni anche lei e Californiana
su tutti gli aspetti.
Altro silenzio.
Gli altri quattro
arrivarono stranamente insieme, due ragazze ed due ragazzi. Era ovvio
che non si erano mai visti in vita loro perché anche se
camminavano sulla stessa riga erano molto distanti l’uno
dall’altro e non si guardavano neanche con la coda
dell’occhio. Tutti e quattro tenevano gli occhi puntati su di
loro e le sembrò la stessero squadrando dalla testa ai piedi
più e più volte come se avessero davanti un
alieno o una qualche strana specie animale. Appena furono vicini si
sorrisero e si presentarono da persone educate quali erano. Eva,
Claire, Liam e Niall: Boston, Filadelfia, Houston e Dublino. Dopo una
manciata di secondi sentirono dei passi alle loro spalle, infatti poco
dopo nove persone si presentarono di fronte a loro con dei grandi
sorrisi. «Benvenuti
alla Hoffman University of Arts.» disse la donna nel mezzo
che sembrò la rettrice. «Sono la professoressa
Marie Terry e sarò la vostra preside per i prossimi tre anni
di studi..» iniziò cordiale ed
educata. Narrò velocemente la storia della scuola, di come
negli anni si era occupata principalmente di arti come la pittura e la
recitazione ma che offriva comunque corsi canori e lezioni di strumenti
musicali, da quanto tempo era alla guida di quel prestigioso istituto,
di come venivano svolte tutti i giorni le lezioni e, parte
più importante, cosa avrebbero dovuto fare subito dopo
l’interessante discorso che stava abilmente esponendo.
«I professori
che vedete alla mia destra e alla mia sinistra vi scorteranno nelle
vostre camere solo per posare i bagagli e successivamente dovrete
seguirli fino l’aula magna dove l’intero corpo
studentesco vi darà il benvenuto nella nostra scuola. A
più tardi.» e detto questo si
congedò.
Le si
avvicinò un professore alto, molto magro e con una folta
barba che lo rendeva affascinante.
«Devi essere Ariana Jonson, io
sono il professor Brown, sarò il tuo insegnante di pittura.»
disse sorridendo. La ragazza ricambiò e andò
verso le sue borse e quando fece per prenderle il professore gliene
sfilò di mano una iniziando a camminare davanti a lei per
farle da guida.
Appena fece un passo
dentro si sentì come svenire. L’atrio era di una
grandezza spropositata e, come aveva intuito era talmente illuminato
che i pavimenti e le pareti sembravano brillare. In fondo, una lunga e
larga scala si fermava su un pianerottolo e poi continuava a ridosso
della parete a destra ed a sinistra senza alcun tipo di muratura da una
parte. Accanto a lei, da entrambi i lati, due file di colonne alte ed
imponenti catturavano subito l’attenzione e tra una e
l’altra svettavano grandi archi. Alle pareti erano appesi
centinaia di dipinti ma quello esattamente di fronte a lei era forse il
più grande e bello che avesse mai visto in tutta la sua
vita. Una donna seduta all’amazzone su un cavallo candido
dall’aria fiera: i particolari come i lunghi capelli rossi,
quasi dello stesso colore dei suoi ed i grandi occhi color nocciola era
ciò che la colpirono subito ma purtroppo non poté
stare altro tempo ad ispezionarlo a causa del professore che la
chiamava dalla scala sulla quale sarebbe dovuta passare cinque minuti
prima.
«Avrai tre anni per ammirare le
bellezze di quest’edificio.»
spiegò sorridendo il professore per poi continuare a salire
la rampa di scale. Arrivarono ad un corridoio molto lungo che si
concludeva con una svolta a destra ma loro si fermarono alla
terz’ultima stanza cioè la quindicesima o
sedicesima contando dalle scale. Il cuore cominciò a
batterle forte perché tra poco avrebbe visto il posto nel
quale avrebbe vissuto, studiato e soprattutto costruito ricordi. Quando
aprì la porta fece un passo avanti per poi farne due
indietro barcollando. La stanza era quadrata, saranno stati 10m2. Si
poteva perfettamente riconoscere la linea immaginaria che tagliava in
due quella stanza che si trovata tra i due comodini ai quali si
affiancavano i letti matrimoniali colmi di cuscini, le casse ai piedi
di questi ultimi, i due armadi uno di fronte all’altro e le
due scrivanie con le sedie. Era tutto perfettamente in ordine il che
voleva dire che la sua compagna di stanza sarebbe stata
un’altra degli otto appena arrivati e lei sperò
subito si trattasse di Nat perché era quella che le aveva
fatto l’impressione migliore. «Lascia i tuoi bagagli ai piedi
delle casse, potrai sistemarli più tardi.»
le spiegò l’uomo con voce calma e profonda ma che
la spingeva a fare in fretta. Posati i grandi borsoni neri
uscì dalla stanza chiudendo la porta e sempre dietro il
professore ripercorse i suoi passi fino alla scala per andare in aula
magna mentre ne sentì degli altri proprio alle sue spalle
segno che la sua compagna di stanza stava per fare ingresso in quella
che sarebbe stata casa loro per quelli che si prospettavano tre
meravigliosi anni.
look
here babes!
ok, questa non so da dove mi
è uscita però devo ammettere che non la trovo una
cattiva idea v.v
intanto ringrazio tanto tutti quelli che leggeranno e che
recensiranno♥
poi vorrei ringraziare la mia amata giusy per tutto il supporto morale
dato prima di pubblicare e il mio grande amore michi che è
stata la prima a darmi un parere :3
spero che vi piaccia e che non la prendiate come la solita fan fiction
perchè non l'ho pensata per questo.
vorrei aggiungere anche che il titolo è da una bellissma
canzone di mat kearney -ships in the night- che mi ha passato
giusy♥ grazie amore*c*
comunque, niente, al prossimo capitolo♥
kiss, frah.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Chapter two. ***
L’auditorium
era forse il più grande che avesse mai visto in tutta la sua
vita nonostante lo
stesse guardando attraverso una tendina. Il backstage era stranamente
affollato: oltre lei c’erano i sette nuovi alunni, gli
insegnanti, la rettrice
e una decina di altri ragazzi che squadravano tutti quanti da capo a
piedi con
qualcosa di irritante ma curioso allo stesso tempo.
La
rettrice riunì tutti in un cerchio e spiegò
velocemente cosa avrebbero dovuto
fare e subito dopo uscì sul palco con un grande sorriso.
«Buon pomeriggio a tutti voi ragazzi,»
iniziò con voce sicura e
squillante «sapete tutti quanti per
quale
motivo siamo riuniti tutti qua oggi e dopo settimane di spiegazioni non
penso
ci sia altro da dire!» continuò
fermandosi per una breve risata che fu
imitata da tutti «Quindi ora vi
saranno
presentati i nostri nuovi otto alunni che seguiranno regolarmente le
nostre
lezioni.» e fece qualche passo indietro per fare
spazio ai ragazzi che per
qualche causa ancora sconosciuta aspettavano con loro dietro le quinte.
Tutti
sorridevano e il primo della fila prese il microfono e
presentò il primo
ragazzo, Louis, il secondo presentò Josh, il terzo Nat e
così via finché la
terzultima ragazza con un grande sorriso presentò il suo
nome e dopo essersi
guardata attorno prese un bel respiro e uscì sul palco tra
applausi e sorrisi.
Pensò un tantino sorpresa se ogni volta che arrivava un
ragazzo nuovo
allestivano tutto questo corteo. La preside riprese la parola e disse
qualcosina su ogni ragazzo e dopo un ultimo applauso furono liberi di
tornare
nel backstage dagli insegnati che avevano guardato tutto da
lì.
«Benissimo ragazzi, siete liberi di
andare
alle vostre stanze per sistemare le vostre valigie.»
esordì tranquillamente
il professor Brown dopo aver regalato ad Ana un grande sorriso. Tutti
annuirono
e andarono verso l’uscita. Attraversarono lentamente
l’atrio, le scale e il
lungo corridoio fino alle proprie stanze e con sua gioiosa sorpresa Nat
entrò
proprio nella sua insieme a lei. Si sorrisero e ognuna andò
verso il proprio
bagaglio per poterlo sistemare. «Di
dove
sei?» chiese la mora quando ebbe finito mentre si
sedeva sul letto. «Sono nata a
Londra ma da quando avevo due
mesi vivo a Boston!» le rispose imitandola dopo
aver ripiegato e ficcato i
borsoni sotto al letto. «Tu sei di
Los
Angeles?» continuò poi ricordandosi che
neanche lei le aveva detto di dove
fosse esattamente. «Magari! Ci sono
stata
molte volte ma purtroppo non ci vivo, sono di Sacramento.»
disse
sorridendole. Ana annuì e le fece segno con la mano di
scusarla per poi entrare
in bagno per darsi una rinfrescata perché si era appena
accorta di star sudando
tantissimo e non le piaceva sentirsi sporca davanti gli altri. Fece una
lunga
doccia tiepida e quando uscì si avvolse in un asciugamano e
dopo averli
tamponati per bene legò i lunghi capelli in una coda molto
alta. Prima di
uscire indossò i pantaloncini e la maglia che aveva
velocemente afferrato
dall’armadio prima di entrare in bagno. «Scusami
se non ti ho chiesto un consenso ma mi stavo sentendo un po a disagio
tutta
sudata..» spiegò Ana sedendosi di fronte
a Nat che era stesa sul letto a
leggere una rivista. La ragazza si girò, le sorrise e le
disse di non
preoccuparsi per poi alzarsi ed andare anche lei a fare una doccia.
Quando
fu sola iniziò a squadrare la stanza nei minimi particolari
in modo da poterne
apprezzare di più la bellezza. I comodini erano alti quanto
i letti, laccati
color panna e con delle decorazioni a ghirigoro per tutto il perimetro.
Avevano
due cassettini molto ampi divisi in scompartimenti così da
facilitare l’ordine
delle cose. I letti erano interamente in legno di un marroncino chiaro,
molto
probabilmente acero, perfettamente levigato e liscio, di una bellezza
sorprendente. Armadi dello stesso colore, molto alti e con quattro
ante, all’
interno di due di queste si trovava un grande scompartimento per
appendere gli
abiti e le altre due si aprivano su una serie di scaffali e cassetti di
diverse
misure. Le scrivanie erano una di fianco all’altra e
nonostante non si toccavassero,
condividevano una grande libreria che si estendeva sulla parete. Era
tutto così
ordinato da sembrare irreale.
Ana
adorava l’ordine e non riusciva a capire cosa ci fosse di
così difficile nel
raccogliere un paio di scarpe o una maglietta da terra o una sedia e
sistemare
tutto in cassetti e armadi; e dopo tutto una stanza ordinata
è molto più bella.
Nat
uscì dal bagno una decina di minuti dopo con un turbante in
testa e una maglia
che le arrivava fino a metà coscia; era una ragazza
così minuta che qualunque
cosa le sarebbe stata così.
«Ti va di chiacchierare?»
le chiese la
bruna una volta seduta sul suo letto. Ana annuì sedendosi a
sua volta a gambe
incrociate proprio davanti a lei. «Siccome
saremo compagne di stanza per i prossimi tre anni dobbiamo conoscerci.»
disse poi ridendo. «Chiedimi tutto
quello
che vuoi ed io ti rispondo.» esordì Ana
e la ragazza annuì iniziando a
pensare a qualche domanda, stupida che sia. Le chiese come si
chiamassero i
suoi genitori, se fosse figlia unica, cosa le piacerebbe fare da
grande, dove
aveva studiato prima di arrivare in quella scuola, come mai avesse
deciso di
tentare l’ammissione lì, cosa le piacesse fare nel
tempo libero, quale fosse la
sua celebrity crush, il suo film preferito, che tipo di musica
ascoltasse, se
avesse mai avuto un ragazzo, che tipo di vita faceva, il suo cibo
preferito e
tanto, tanto altro. Lei si limitò a dire si o no, oppure,
all’occorrenza
iniziava dei lunghi discorsi dettagliati che alla californiana
piacevano molto.
«I miei si chiamano Laure e
Nicholas.
Sono figlia unica. La pittrice. Ho frequentato una scuola superiore di
Boston.
Non so perché; mi ha colpito tantissimo l’eleganza
e l’imponenza di questo
posto ma più di tutto mi è piaciuta
perché qui posso coltivare quello che mi
piace. Adoro passeggiare, chiacchierare al telefono, mangiare e tanto
altro che
scoprirai col tempo, è inutile fare un elenco adesso. Johnny
Depp da quando mi
ricordi. Non penso di avere un film preferito, me ne piacciono troppi.
Ascolto
di tutto, non ha importanza chi sei o che tipo di musica tu faccia
abitualmente, se mi piace una tua canzone finisci sul mio iPod. Diciamo
che i ragazzi
non sono il mio punto forte. La mia era ed è ancora una vita
normale, sono una
ragazza normale a cui piace fare cose normali, penso. Assolutamente la
cioccolata. » ad Ana piaceva chiacchierare e
quando fu il suo turno nel
fare le domande si sbizzarrì per bene dato che le piaceva
anche curiosare nella
vita delle persone; questa era una delle poche cose che a volte la
rendevano
fastidiosa ma fortunatamente aveva così tanti pregi da
offuscare tutti i
difetti. Un altro dei quali era il parlare: parlava tanto, forse troppo
ma lei,
al contrario dei suoi genitori, non lo vedeva come un difetto, lei
amava
parlare e parlando passarono il pomeriggio. «Che
ore sono?» chiese la bruna guardando fuori dalla
finestra. «Quasi le otto.»
Nat storse il naso e si
alzò per poi aprire la porta della camera e sbirciare il
corridoio nel quale
c’era un gran via vai. Tutti i ragazzi stavano uscendo dalle
loro camere e si
stavano dirigendo verso non sapeva
cosa,
forse la mensa. «Dici che bisogna
andare
in mensa?» chiese la bruna girandosi verso Ana che
alzò le spalle. In quel
momento davanti la camera passò Josh, uno dei ragazzi appena
arrivati. «Scusami! Josh! Josh
giusto? Bene, dove vanno
tutti?» chiese cordialmente cercando il
più possibile di non far notare il
modo in cui era vestita e acconciata. «A
mangiare! Non ho capito bene dove ma io seguo solo gli altri!»
rispose
ridendo il ragazzo. Ana si alzò dal letto e andò
vicino l’amica. «Veniamo
anche noi! Potresti aspettarci?
Penso che da sole saremmo perse nonostante la folla!»
disse ridacchiando
anche lei. Il ragazzo le sorrise e annuì e subito dopo
entrambe erano davanti
l’armadio per scegliere qualcosa da mettere. Nat era
decisamente nel panico,
era ovvio a guardarla che lei era una di quelle persone che ci
mettevano ore a
prepararsi per bene. Ana al contrario era molto acqua e sapone, non
amava
particolarmente truccarsi se escludiamo il filo di matita nera che
metteva
sugli occhi sempre prima di uscire e per quanto riguarda i vestiti era
solo
fatta a modo suo.
Sapendo
che non potevano far attendere Josh a lungo in cinque minuti furono
bene o male
pronte per scendere. Nat aveva indossato un jeans lungo e una maglia a
mezze
maniche color panna e aveva lasciato i capelli umidi e ricci sciolti
sulle
spalle mentre Ana aveva infilato velocemente uno dei tanti paia di
pantaloncini
a vita alta e aveva abbinato una canottiera bianca con su delle
scritte, una di
quelle unite direttamente alla fascia perché molto
smanicata. I capelli erano
raccolti in una lunghissima treccia che le scendeva sulla schiena con
il ciuffo
che cadeva liberamente sulla fronte e sulla guancia sinistra come
sempre.
Uscirono
dalla camera e trovarono Josh appoggiato al muro di fronte al loro al
quale si
era affiancato Liam, il ragazzo che gli era stato assegnato come
compagno di
stanza. Si erano appena conosciuti anche loro ma sembravano
già molto in
confidenza.
«Eccovi finalmente, andiamo?»
chiese il
moro sorridendo. Annuirono e fianco a fianco si diressero verso la
mensa
insieme al fiume di ragazzi che sembrava non finire mai.
Camminavano
fianco a fianco parlottando di quello che si aspettavano e di come
avevano
trovato la scuola, i ragazzi, tutto. Lei non poté
trattenersi dall’esprimere
tutta l’adorazione che provava per quella struttura, per ogni
singola mattonella
che componeva quel meraviglioso palazzo dell’arte, era follemente innamorata di
un istituto, strano
ma vero. Dopotutto Ana era fatta così, una ragazza strana,
diversa dalle altre;
sin da quando era piccola non le era mai piaciuto quello che piaceva
alle sue
coetanee, le piaceva sperimentare cose nuove, andare in giro per il suo
piccolo
mondo, provare di tutto e non se ne pentiva mai, era fiera di essere la
ragazza
strana della compagnia, era un particolare che la rendeva interessante.
«Avete la più pallida
idea di dove stiamo
andando?» chiese ad un tratto la rossa guardandosi
attorno. Gli altri
scossero la testa per poi scoppiare a ridere e lei fu contenta di
ridere
insieme a loro, i suoi nuovi amici. «Scusami,
dove stiamo andando?» chiese un po imbarazzato Liam
ad un ragazzo moro che
proprio davanti a loro rideva e scherzava con i suoi amici. Lui si
voltò e dopo
una risatina inquietante si ricompose facendo capire di aver intuito
che loro erano
alcuni dei nuovi ragazzi. Sorrise «A
mensa, è in fondo a questo corridoio!»
disse gentilmente per poi girarsi di nuovo e tornare a
parlare con gli
amici. Ana continuò a guardarlo per un po: era bello, molto
bello, fin troppo.
«Ana? Amore a prima vista?»
rise Nat
schioccando le dita di fronte il suo viso. Lei rise scuotendo la testa
«Ma ti prego, è
praticamente scolpito nella
ceramica, banale!» rispose lei continuando a ridere
facendo nascere sul
volto dei tre ragazzi un’espressione curiosa e divertita. Si
sentì sollevata
quando notò che i suoi amici non l’avevano preso
come un insulto, non intendeva
assolutamente essere cattiva, solo diretta e sincera. Annuì
tra se e se prima
di arrivare ad un grande portone spalancato che dava su un enorme
stanza
totalmente bianca con pavimenti di mattonelle lisce e candide tra le
quali si
riconosceva solo la fuga di un grigio chiaro. I tavoli sembravano
centinaia,
tutti perfettamente tondi e sistemati con ordine in modo strategico
attorno ai
quali c’erano tante belle sedie bianche di legno verniciato.
Tutti i ragazzi le
stavano muovendo e sistemando in modo da poter accomodarsi tutti
insieme ai
propri amici. Josh notò un tavolo vuoto quasi nel mezzo
della sala e si
avvicinarono cauti e sorridenti. Quando fu abbastanza vicina ad essi
notò che
proprio al centro di ognuno c’era una H stampato in un font
elegante,
bellissimo e color panna. Come poteva quella donna avere
così tanto gusto?
Perché lo sapeva che le stanze interne erano arredate dallo
staff scolastico a
capo del quale c’era e c’è
tutt’ora la rettrice.
Avrebbe
potuto rimanere in quella scuola per sempre, era troppo bella per
essere reale,
troppo.
Si
accomodarono e si guardarono attorno in cerca di visi familiari, magari
di
quelli degli altri ragazzi oppure del ragazzo che lei aveva incontrato
appena
arrivata. Notò che il ragazzo moro era seduto un paio di
tavoli più in la
insieme ad un paio di ragazzi e tre ragazze, molto probabilmente le
fidanzate.
«Ok, e ora?»
chiese Liam guardandosi
attorno. Non c’era nessun tipo di bancone dal quale passare
coi vassoi come
alle normalissime mense delle superiori quindi nessuno
riuscì a dare una
risposta, neanche la preside che entrò in
quell’istante facendo fermare e
zittire tutti. «Buonasera a tutti
ragazzi
e buon appetito.» disse per poi dirigersi verso un
tavolo all’estrema
sinistra uguale agli altri dove si sedettero poi anche i professori che
avevano
conosciuto all’entrata. Si guardarono con aria interrogativa
ma stettero zitti
e aspettarono qualcosa, sarebbe successo qualcosa, nessuno si muoveva o
fiatava, segno che stava per accadere qualcosa. Qualche minuto dopo
fecero il
loro ingresso nella sala centinaia di camerieri con vassoi su vassoi
con su dei
piattini bianchi perfettamente ordinati contenenti la loro cena.
Rimasero tutti
e quattro meravigliati; era davvero assurdo.
Mangiarono
con calma perché poterono avere questo privilegio mentre
chiacchieravano e
ridevano, era davvero una delle giornate più belle della sua
vita, nel posto
più bello del mondo. Quando tutti ebbero finito la preside
si alzò e disse che
potevano tutti andare. Pensò ne sarebbe seguito il caos
invece tavolo per tavolo
in ordine di distanza dal portone i ragazzi si alzarono e uscirono con
calma e
silenzio: non aveva mai visto niente del genere.
Quando
fu il loro turno imitarono solo gli altri e con eleganza si avviarono
verso
l’uscita ed una volta fuori non poterono trattenere le
risate, era tutto
talmente perfetto da sembrare irreale e anche leggermente ridicolo.
Ana
controllò l’orario e insieme a Nat decisero di
tornare in stanza perché oltre
ad essere stanche volevano quale ora in più per conoscersi e
diventare amiche,
dopotutto il giorno dopo sarebbero iniziate le lezioni e ogni momento
era
prezioso. I ragazzi le accompagnarono e le diedero la buonanotte con un
gran
sorriso. «Piacere di avervi
conosciute
ragazze!» esclamò Josh prima di sparire
dietro l’angolo. Le due si
guardarono e si sorrisero per poi entrare in camera chiudendosi la
porta alle
spalle.
look here babes!
ok,
eccovi amaramente servito il secondo capitolo.
so che non è fantastico ma sinceramente questa storia mi
convince, è che devo trovare un po di ispirazione in
più D:
di questi tempi sono vuota, sarà che sta per iniziare la
scuola c.c
by the way, spero vi sia piaciuto e ringrazio chi si sia fermato a
leggero o addirittura recensire.
ringrazio come ogni volta quella santa della giusy che mi ha supportaro
e corretto e che può capire la mia agonia da pre liceo
classico xD
grazie ancora a tutti e al prossimo capitolo♥♥
kiss,
frah.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Chapter three. ***
Era
la prima volta che si svegliava in quella stanza eppure iniziava
già ad amare
l’odore del legno del letto, il profumo di pulito delle
lenzuola, il respiro
tranquillo di Nat che ancora dormiva, la luce che illuminava
completamente la
stanza così da abbellire tutto ancor di più.
Spostò una ciocca di capelli
dietro l’orecchio e scostò le coperte per poter
scendere a terra e infilare le
ciabatte. Aprì l’armadio per potersi sistemare un
po’ prima del risveglio della
compagna: non le piaceva apparire disordinata. I lunghissimi capelli
rossi e
ricci le scendevano arruffati intorno al viso fino al fondo della
schiena
mentre i grandi occhi verdi apparivano più piccoli
perché assonati.
Si
voltò verso il comodino per poter afferrare un elastico e
domare la chioma ma
si accorse che Nat era sveglia e la osservava sorridente e mezza
addormentata.
«Tu hai dei capelli assurdi.»
disse
scherzosa mettendosi seduta. Ana annuì soffiando via dagli
occhi uno dei tanti
riccioli. «Come si chiama quel film
Disney che sta per uscire? Rebel tipo, boh, vabbè, i tuoi
capelli sembrano
quelli della protagonista, rossi e ricci e tanti ed arruffati e belli.
Si sono
ispirati a te per farglieli?» continuò
sorridendo. La rossa arricciò il
naso per poi specchiarsi di nuovo. Beh, effettivamente aveva ragione e
lei
amava i suoi capelli ma non era mai uscita di casa lasciandoli sciolti
e liberi
come in quel momento. Quando era arrivata li aveva legati in uno
chignon ben
stretto abilmente fatto da sua madre perché per lei era un
po difficile
sistemare benissimo i capelli. Per qualche momento esitò nel
legarli ma poi li
raccolse in una coda molto alta mentre i soliti riccioli le cadevano
sulla
fronte e sulle guance. «A che ora
iniziano le lezioni?» chiese Ana dal bagno mentre
si lavava velocemente. «Alle nove e
sono le otto e un quarto quindi
abbiamo tutto il tempo che ci serve.» rispose la
bruna apparendo alle sue
spalle per poi entrare in doccia con i capelli legati sulla testa in
modo da
non bagnarli visto che li aveva lavati la sera prima. La rossa
tornò in camera
ed aprì l’armadio per scegliere cosa mettere; dopo
svariati tentativi scelse un
vestito color panna fino a metà coscia con una cinta sottile
in vita dello
stesso colore, una giacca più scura di cotone alla quale
arrotolò le maniche
appena sopra il polso, un paio di stivaletti bassi marroni e la prima
collana
dorata che trovò nel porta gioie, lasciò i
capelli legati e prese la lista
delle lezioni di quella mattina per poter sistemare la borsa per i
libri. Una
volta fatto tornò in bagno per truccarsi e con sua grande
sorpresa trovò Nat
che si allacciava le scarpe. «Sei
pronta!»
disse avvicinandosi allo specchio. «Strano
ma vero, mi ero preparata cosa mettere ieri sera, dovrei farlo tutti i
giorni!»
spiegò la bruna tornando a passarsi la piastra visto che
molte ciocche erano
ancora mosse. Mise il solito filo di eye-liner sugli occhi e la matita
all’interno e torno nella camera per sedersi sul letto e
riposarsi un altro po.
Era emozionata per questo suo primo giorno di scuola, aveva sempre
desiderato
poter frequentare un istituto come quello, la Hoffman era
più che perfetta, la
amava senza neanche aver frequentato una lezione e sapeva che anche
quelle
sarebbero state interessanti data la tenerezza dei professori.
Sarebbero stati
i tre anni più belli della sua vita, molto meglio delle
superiori, molto, molto
meglio. Nat uscì dal bagno e andò anche lei a
sistemare i libri mentre Ana,
avendo sentito bussare, si avvicinava alla porta per aprire. «Buongiorno!» le disse un
sorridente Josh
dal corridoio avvicinandosi alla porta. Lei gli sorrise e lo
invitò ad entrare.
«Che lezione hai a prima ora?»
chiese
Ana al ragazzo che si era seduto alla sua scrivania dopo aver girato la
sedia
verso di loro. «Brown, pittura
suppongo.»
disse appoggiato coi gomiti sulle proprie gambe. La rossa
sgranò gli occhi «Anch’io!
Possiamo andare insieme!»
propose e lui annuì per poi controllare l’orario
sul suo telefono. «Penso sia ora di
andare.» le disse poi
sorridendo. Ana annuì e si alzò prendendo il
libro che aveva sistemato sulla
scrivania. «Ci vediamo
più tardi Nat.»
salutò avvicinandosi a lei per poterle dare un bacio. La
mora sorrise e li
guardò finché non si chiusero la porta alle
spalle con un’espressione
emozionata.
«Di dove sei precisamente?»
le chiese il
ragazzo voltandosi qualche secondo verso di lei a guardarla. «Boston, ma sono nata a Londra!»
rispose
educatamente lei. Il ragazzo la sovrastava di una quindicina di
centimetri e
quando fu lei a voltarsi dovette alzare la testa per poterlo guardare
per bene.
Sorrideva. «Guarda tu la
coincidenza,
anch’io sono nato lì ma mi sono trasferito quando
avevo tre anni, non ricordo
niente di Londra.» spiegò Josh
infilandosi le mani in tasca. Lei sorrise
meravigliata e subito dopo si resero conto di essere davanti la classe.
Entrarono, salutarono il professore e si sedettero. Lui
ricambiò con tanta
gioia negli occhi. Brown era un uomo talmente gentile da sembrare
irreale,
sarebbe stato una guida ottima.
«Ragazzi benvenuti a questa nuova
lezione.
Oggi, per prima cosa, presenteremo a tutti i nuovi alunni due dei quali
si
trovano in questa classe assieme a noi. Signorina Jonson, signor
Devine, potete
alzarvi in piedi?» chiese l’uomo facendo
un cenno con la mano. I due si
alzarono e si guardarono attorno sorridenti ma imbarazzati per poi
risedersi. «Come? Già
seduti?» chiese Brown
guardandoli come se fosse triste. Ana lo guardò
interrogativa e si alzò di
nuovo. «Ha qualcosa da chiederci
professore?» chiese sorridendogli. Lui le si
avvicinò un po’ e la fissò per
qualche istante, poi, dopo un piccolo colpo di tosse
continuò. «Come si trova
in questa scuola signorina
Jonson?» le chiese sfidandola.
«Questa scuola è
perfetta. È il posto dove ho
sempre sognato di studiare, non ce n’é
un altro al mondo dove vorrei trovarmi. È tutto
così ordinato e
coordinato, mi sono ritrovata ad amare il colore del legno degli armadi.»
iniziò per poi fermarsi per una risatina seguita al volo da
alcuni degli
studenti che la ascoltavano attentamente, quasi rapiti «Io so di essere una ragazza a cui piace molto
osservare, trovare i
particolari, saperli descrivere e più di tutto disegnarli,
dipingerli e sono
convinta che una scuola d’arte debba essere esattamente come
questa, non cambierei
niente. Io amo disegnare da quando ero molto piccola, non
c’è nulla che una
matita e un foglio non possano curare, poi se mi mettete un pennello in
mano
vado letteralmente su di giri. Sono qua per fare della mia passione un
mestiere, essere conosciuta e poter avere la soddisfazione che qualcuno
nel
mondo mostri un mio dipinto con orgoglio su un proprio muro di casa. La
mia
aspirazione è diventare grande e ancora più brava.»
Ana aveva gli occhi che
le luccicavano. Mentre parlava si immaginava davanti a se tutte le
bellezze che
aveva visto in neanche mezza giornata e soprattutto tutto quello che
l’arte
aveva fatto per lei. Il professore la guardava entusiasta e
batté un paio di
volte le mani per farle comprendere la sua approvazione. La rossa
sapeva di
essere motivata e avrebbe fatto di tutto pur di piacere agli altri e a
se
stessa, diventare qualcuno, un nome che i ragazzi avrebbero ricordato
come
quello della ragazza che non solo aveva un talento sovrannaturale ma
che era
determinata e pronta a sfidare chiunque pur di realizzare i propri
sogni. Brown
aveva capito tutto questo solo da quelle poche parole che Ana
riuscì a dire
forse perché emozionata e impaziente di iniziare. «Davvero molto bene. Può sedersi
signorina. Come vedete, sul vostro
banco c’è un foglio d’album, come prima
lezione del trimestre vorrei solo che
disegnate qualcosa, qualsiasi cosa, la prima cosa che vi viene in
mente. Prima
di iniziare scrivete il vostro nome sul retro del foglio, avete
un’ora da
adesso.» spiegò per poi sedersi alla
cattedra e prendere un libricino che
continuò a leggere tranquillamente. Nell’aula si
sentiva solo il rumore della
grafite che macchiava la carta bianca e tutti i volti dei ragazzi erano
chinati
sul proprio foglio concentrati.
Esattamente
un’ora dopo il professor Brown si alzò in piedi e
annunciò che dovevano posare
le matite; così fecero tutti quanti. Passò per
ritirarli tutti senza neanche
guardarli e successivamente li mise sulla sua cattedra ordinatamente
accanto ad
una cartellina blu contente centinaia di fogli d’album.
«Potete andare ragazzi.»
disse un istante prima del suono della
campanella. Ana si alzò e con piacere pensò che
anche la campanella aveva un
suono soave, non come quelle delle superiori che ti trapanano il
cervello e ti
fanno venir voglia di scappare ogni volta che le senti. «Ariana, potrebbe fermarsi qualche minuto?»
le chiese Brown mentre
lei le andava incontro. La ragazza annuì e si
fermò in piedi davanti alla
cattedra sorridendo all’uomo che la guardava interessato.
«Davvero complimenti signorina, non
ho mai avuto nella mia classe una
ragazza più determinata di lei, la sua passione potrebbe
farmi commuovere.»
le disse serio ma con sguardo quasi adorante. Cercò dal
mucchio il disegno
della ragazza e non appena lo ebbe in mano fece un grande sorriso e
glielo
mostrò. Aveva disegnato la facciata della scuola in tutta la
sua bellezza, i
suoi particolari, tutto quello che le era rimasto impresso.
C’erano anche
alcuni alberi, le panchine e i ragazzi stesi sull’erba a
studiare. «Lei ha talento Ariana.»
continuò
guardando fisso il disegno. «Può
chiamarmi Ana se vuole e comunque la ringrazio molto, detto da lei
è un grande
complimento.» il professore alzò lo
sguardo e la guardò con un sorriso
compiaciuto. Sapeva che avrebbe potuto instaurare un rapporto bello e
forte con
quella ragazza, avrebbe potuto aiutarla a diventare così
come lei voleva essere
e insieme ci sarebbero riusciti sicuramente. «Può
andare, Ana.» le sorrise e dopo aver ricambiato
uscì dalla
classe trovandosi Josh che l’aspettava appoggiato al muro
accanto la porta. Si
scambiarono un grande sorriso e iniziarono a camminare per i corridoi.
«Che ti ha detto?»
chiese curioso. «Niente di che,
solite cose, gli piaccio,
pensa che io abbia talento.» spiegò
disinvolta. Lui si voltò a guardarla e
sorrise di nuovo. «Ti va di fare
qualcosa
un giorno di questi? Abbiamo il permesso di uscire dal campus.»
propose
Josh infilandosi le mani in tasca. Ana annuì. «Dovremmo dirlo anche a Nat e Liam, sarebbero
contenti di unirsi a noi!»
disse sorridente. Josh alzò gli occhi al cielo e scosse la
testa in modo
impercettibile così da non farsi vedere dalla ragazza, poi
sforzò un sorriso. «Si,
perché no.»
look here
babes!
saranno
tipo tre mesi che non aggiorno e mi sento una merdaccia!
ma dovete capirmi, tra scuola nuova e tutto il resto non ci sto capendo
più niente XD
oggi, dal nulla mi è venuta voglia di postare
perchè mi sono stancata di lasciare le storie incomplete e.e
prometto che durante queste vacanze mi metterò sotto anche
con 'Unexpected', mancano solo 3 capitoli e ci tendo tanto, tanto a
finirla.
spero che non mi abbiate abbandonata tutti perchè ci tengo
tanto anche a voi che mi supportate e mi spingete a non smettere di
sfornare ste cazzate XD
grazie a tutti per tutto, la parte principale di questo 'lavoro' siete
voi che leggete dopotutto!
voglio anche augurarvi un felicissimo Natale e un anno nuovo anche
migliore!
kisses, frah♥
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1233215
|