E se gli angeli fossimo noi?

di Sarah Collins
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ancora tu. ***
Capitolo 2: *** Voltati, se vuoi. ***
Capitolo 3: *** Sostegno. ***
Capitolo 4: *** Se ci fossi stato. ***
Capitolo 5: *** Se vale la pena aspettare.. ***
Capitolo 6: *** ... Allora ti prego, fallo. ***
Capitolo 7: *** Occhio non vede. ***
Capitolo 8: *** Chiarimenti? ***
Capitolo 9: *** Una scelta difficile. ***
Capitolo 10: *** L'ultima fermata. Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Ancora tu. ***


Ancora tu.
________

Angelica era seduta su d'una panchina di fronte all'ospedale St. Susan.
Non riusciva a rimanere ferma e si alzò poggiandosi sullo schienale, dando le spalle
all'entrata.
Sapeva di non dover essere lì, almeno non così sfacciatamente, forse nemmeno a Chicago doveva recarsi.
Angelica era una psicologa e sapeva perfettamente che gli uomini non amano vedersi
arrivare una donna di fronte. Ma da destra, da sinistra o da qualsiasi altra parte.
Però lei era proprio di fronte, e non aveva il coraggio di spostarsi e mettersi in un
altro posto.
E nemmeno ne ha avuto il tempo perchè Declan, l'uomo che lei ha scoperto troppo tardi essere quello della sua vita, stava appena uscendo dall'ospedale.
Il bell'infermiere dai capelli color del carbone, aveva ancora la divisa celeste
sotto il lungo spolverino nero. Una valigetta, l'mp3 e delle cuffie erano le uniche
cose che occupavano le sue mani. Camminava a testa bassa convinto che quella fosse una delle tante serate che lo vedevano protagonista dagli ultimi due anni.
Gli ultimi due da quando sua moglie se ne andò senza dire una parola.

Fece una decina di passi e quando alzò lo sguardo, vide una figura familiare
appoggiata alla panchina dove lui si sedeva per bere il caffè la mattina.
Era sera, e quella donna aveva dei capelli troppo lunghi per essere chi pensava chi
fosse.
Eppoi non ci faceva più caso a quelle cose.. per troppo tempo cercò tra la gente il
volto della sua amata. Per strada, in metropolitana, sulle notizie di cronaca nei tg.
Camminò fino a pochi metri da quella donna, e svoltò a sinistra, dritto verso quella
casa che un tempo divideva con lei.
C'era gente, e si sentivano rumori e clacson di auto arroganti. Camminava tra la
leggera folla che occupava quel lato del marciapiede quando si sentì tenere per il
braccio.Sapeva che era quella donna, e pregava che fosse e che non fosse lei allo stesso momento.
"Dè.."
Quella voce lo fece rabbrividire, bastò il suono e il modo in cui venne chiamato per
farlo precipitare.
"Ti prego, voltati."
"I tuoi capelli.."
Angelica sorrise, anche se lui non potè vederla.
"Sono cresciuti, li hai visti? Anche io sono cresciuta.."
"Anch'io. Senza te."
Mentre la gente passava Angelica andò vicino a Declan, non staccando mai la mano  dalla sua giacca. Quasi non avrebbe voluto lasciarlo mai più.
Lei lo guardava negli occhi, ma lui no.
Il suo sguardo era basso, e Angelica sapeva che aveva fatto breccia nei suoi ricordi.
Riaprendo chissà quante ferite.

"Come stai?" iniziò lei.
"Bene. Sei ritornata, perchè?"
"Perchè mi manchi."
"Pensavo ti fossi rifatta una vita."
Lei lo guardava con gli occhi più grandi che abbia mai fatto, e tristi, malinconici e ingenui.
Anche lui la guardava,adesso, ma era stanco.
Per il lavoro, per la situazione e sinceramente anche stanco del suo ritorno.
Del suo desiderare così palesemente il suo perdono.

Declan prese un gran respiro e le rispose:
"Voglio andare a casa."
"Abiti ancora lì?"
"A casa mia, dici?"
"Nostra...?"
"Sì, quella lì."
I due cominciarono a camminare tra stupide domande e risposte scocciate.
Camminarono in silenzio nell'ultimo tratto, nella via, e di fronte il portone della villetta.
Declan stava prendendo le chiavi per aprire e appena la serratura fece quei tre secchi tonfi, la porta si aprì di netto.
Angelica, Angie, ai tempi del matrimonio, si stava chiedendo se le avrebbe mai chiesto di entrare.
L'uomo varcò la soglia gettando con troppa foga le chiavi sul mobile dell'entrata, chiedendosi anche lui la stessa cosa.
"Insomma Declan, sono qui! Posso entrare?"
"Solo perchè è tardi."
Mentre lei entrava e chiudeva la porta, un'altra venne sbattuta e alcune foto caddero dal muro.
Tutto l'arredamento era cambiato, persino il pavimento, e le foto. Anche quelle cadute, non riguardavo lei.
Non c'era più quel suo tocco casalingo, femminile. Notò anche, entrando nel soggiorno, un plasma da cinquanta pollici. E delle consolle, due, tre addirittura.
Giochi originali e dvd vari erano invece sparsi sul tavolino.
Non c'era più nessuna traccia del suo passato in quella casa.
Del futuro poi.. peggio ancora.

Declan Palmer aveva un cognome che agli inizi faceva ridere Angie. Fu il primo sorriso che gli rivolse, e più lui sorrideva, più lei sorrideva. Era un circolo che non finiva mai, il loro innamoramento.
Era bello, e reale, fino al giorno in cui lei se ne andò.
Declan iniziò a tenere un diario chiuso nel cassetto del suo ufficio dove era ora rinchiuso.
Ermetico; che appena Angie si avvicinava alla porta, poteva sentire delle scariche di allerta.
S'era fatta l'ora di cena; lei poteva cucinare solo per se stessa, ma un piatto in più in caso qualcuno avesse avuto fame.. ci sarebbe stato.
Pentolini, neanche poi tanti, non scoraggiarono la donna che preparò delle uova sode, un insalata ed'una macedonia. I rumori che provenivano dalla cucina arrivarono alla porta dell'uffico.
Era ancora chiusa, ma dentro, Declan era appoggiato con la mano sulla maniglia, in preda ad'una crisi. Di panico, di pianto, di qualsiasi altra cosa difficile da sostenere.
Angie sembrava un fantasma del passato; era lì adesso, a far riaffiorare il ricordo
che se ne era andata. Nel modo di cucinare, sì, anche in quello.
Mai sfacciata, mai troppo rumorosa. C'era ma si sentiva a malapena.
Non come la sua assenza, che, invece, era sempre stata presente, e rumorosa e
fastidiosa e maledettamente difficile da sopportare.
Ora che Declan aveva imparato a non pensarla prima di dormire, e subito appena
sveglio, eccola lì, che dal nulla, lo stava uccidendo con la sua presenza distante.

Ho messo via un bel pò di cose,
ma non mi spiego mai il perché,
io non riesca a metter via te…
-Luciano Ligabue, Ho messo via-

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Capitolo 2
*** Voltati, se vuoi. ***


Voltati, se vuoi.
____________


Verso le sei del mattino, Angie era ancora sveglia; non era riuscita a prender sonno, in parte perchè stava attenta a sentire Declan fare qualsiasi cosa. Era pronta a scattare non appena avesse sentito la porta della sua camera aprirsi.
Appunto, successe alle sei.
Angie aveva dei pantacollant blu con una lunga tunica bianca, la stessa che si incastrò nel comodino mentre si alzava.
Quando aprì la porta, Declan si girò a guardarla; era vestito e indossava ancora il lungo cappotto della sera precedente. Aveva la valigetta ed era intento a prendere le chiavi.
Si guardarono un attimo, poi l'uomo aprì la porta di casa e prima di uscire, disse:
"Vai a casa di tua madre."
"No."
Declan quindi si volse a guardarla con fare sorpreso.
"Cosa?!"
"No, non ci vado. Questa è casa mia." puntò Angie, avvicinandosi di qualche metro a lui.
La valigetta cadde e gli occhi di Declan pulsavano di rabbia e shock.
"La tua cosa..?!" cominciò a ridere di gusto, continuando a sfogarsi "Tu hai abbandonato questa casa anni fa, hai tralasciato il lavoro, la tua famiglia e la NOSTRA famiglia! Non hai nessun diritto do essere qui, vattene subito!"
Angie era intimorita ma non poteva spiegare il perchè della sua scomparsa, nemmeno a lui.
"Mi.. mi dispiace tanto."
"Oh.. ooh nono! Non dispiacertene, ad esempio a me non frega proprio un cazzo. Stai tranquilla."
Angie era inerme di fronte quella sua frase, non tanto per le parole, quanto per il modo in cui vennero dette.
Era distante, freddo e piatto. L'aveva perso da troppo tempo. E le persone guariscono, non dimenticano ma la vita la continuano con o senza di te.
"Ti prego.."
Declan non le rispose nemmeno, aprì la porta e uscì senza chiuderla. Angie continuava a chiamarlo continuando a chiedere se per l'amor di Dio l'avrebbe mai perdonata.
Lei era scalza e lo rincorreva sul marciapiede.
"VAI A CASA!" urlò lui voltandosi furiosamente.
Lei non rispose e rimase a guardarlo con quei grandi occhi blu.
Declan ci si poteva spiecchiare, per quanto erano lucidi.
Ma due anni è tanto tempo, di solito non si aspetta nessuno per così tanto, ma questo caso è diverso.

Quando una persona lascia l'altra in maniera brusca, bisogna stare certi che uno dei due soffrirà per mesi, e ricorderà per anni. E' una condanna. Perchè lo sai, che certi amori non terminano mai se strappati con violenza. Il carnefice ritornerà indietro per chiedere scusa.
Vuole lavarsi la coscienza per poi riandarsene. Succede sempre, e sono situazione che uccidono le persone. Le annienta dal punto di vista emotivo.
Ma quando Angie se ne andò, per i mesi successivi, chi era il carnefice e chi la vittima?
A primo impatto Declan è la vittima, ma appunto perchè tale, cominciò a diffondersi nella sua testa l'idea di essere il carnefice.
Era colpa sua, Angie era andata via perchè non fu un bravo marito.
Non la amava, non l'ascoltava ed era assente.
Come le donne, gli uomini uguale, si addossano la colpa, addossandosi cose assurde e spesso non veritiere..
Soprattutto quando essi sono le vittime. Mentalità contorte.
Spesso mi chiedo come faccia una persona ad'amarne un'altra.
Siamo troppo difficili e sbagliamo sempre, abbiamo così tante imperfezioni da non riuscire ad amarci, ma vorremmo che qualcun altro invece lo faccia.
Siamo un branco di contraddizioni con le gambe.

Declan la prese per il braccio, stringendola quanto basta per farle capire che era davvero serio.
"Vai-a-casa. Basta così, sei un'estranea e tutto questo è frutto del bel viaggietto che ti sei fatta, ho smesso di darmi le colpe. Mi fai schifo."
Erano vicini un respiro, faceva freddo e Angelica stava tremando. Non sicura di chi fosse la colpa dei suoi tremolii.
"Lasciami."
Le lasciò il braccio voltandosi continuando a camminare verso il St. Susan.
Due, quattro, sei metri di passi secchi e decisi. Stava per attraversare la strada e sentiva uno sguardo bucargli le spalle.
L'uomo sentiva una strana sensazione calda, come se i suoi muscoli si stessero tendendo nervosamente. Subito dopo sentì la voce di Angelica:
"ATTENTO DE'!!!"
Fece in tempo a voltarsi verso di lei che con le mani distese indicava di correre. Con la coda dell'occhio poteva vedere un'auto rallentare in un senso, e accorgersi di un'altra auto in panne a tutta velocità dall'altro.
Gli caddero gli occhiali a terra e fece un metro e mezzo di corsa cadendo oltre la staccionata bassa di una casa. I capelli si scompigliarono mentre l'auto che veniva dal lato opposto, e sbagliato, prese di fianco l'auto bianca che andava piano nel senso giusto di marcia.
Un triplo cappottamento e mezzo. Pezzi ovunque e l'odore del fumo copriva ogni cosa.
L'auto bianca si chiuse di fianco come un telefono startac facendo sbalzare fuori dal finestrino passeggero il guidatore.
L'auto rossa, invece, non aveva più la parte anteriore della carrozzeria.
Molto probabilmente le gambe dell'uomo che guidava, non sarebbero più esistite.

Declan era fortunatamente caduto oltre quel legno e chiodi che aveva sempre odiato sentir montare dal vicino. Alcuni pezzi lo raggiunsero ma delle grandi pianti attutirono la caduta dei pezzi più imponenti. Aveva le mani sulla testa e attraverso la fessura tra una stecca e l'altra, aveva visto tutto.
Angelica, che scalza, era sul ciglio della strada, non aveva nessun tipo di protezione nei suoi dintorni. Fece in tempo a fare un passo indietro ma rimase in piedi, coperta dalle sole mani sul viso. Il paraurti anteriore della berlina bianca, volò di piatto in direzione di Angie, ruotò seguito da altri migliaia di pezzi di vetro.
Declan aveva gli occhi aperti, e quando scorse lo sguardo di lei, rivolto verso di lui, non ebbe tempo di avvisarla.
Il paraurti prima, vetri e pezzi di carrozzeria poi, la presero piena in tutta la sua altezza.
Sembrava un film horror di serie B, dove tutte le morti sono assurde e inspiegabile.
Invece la situazione era possibile, perchè lo schianto avvenne a pochi metri da lei.
Angie venne sbalzata a sette metri di distanza facendola colpire il mattonato del garage di una casa.
Alcuni allarmi cominciarono a scattare e parecche persone si precipitarono fuori assordati dal frastuono.
Certi urlavano, altri soccorevano Declan e altri ancora chiamavano la polizia, i vigili del fuoco e l'ambulanza.
Tutto insieme, tutto in una volta sola.
E sembrava che nessuno si fosse accorto di Angie a dieci metri da loro.
Forse perchè era rannicchiata, o forse perchè piena di sangue, si confondeva con il muro color mattone di quel garage.
Ed erano ancora le sei e diciotto del mattino.
 

Spero che un giorno capirai quanto rancore hai lasciato in me.
Potresti forse assaporare briciole della delusione che mi hai regalato.
Spero, invece, che tu possa non capire mai fino in fondo, dai miei occhi, quanto ti ho amata:
quello che hai perso, potresti non perdonartelo mai. 
-Guido Paolo De Felice-


EE 

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Capitolo 3
*** Sostegno. ***


Sostegno.
________


Declan era seduto sulla staccionata con una coperta sulle gambe; aveva un paramedico che gli stava pulendo il viso da alcuni graffi strofinandoci del cotone imbevuto.
Angie era stata trasportata di urgenza al St. Susan.
Sirene spiegate, vicini che chiedevano di lei e della sua ricomparsa.
"Lascia stare A'" disse Declan al paramedico chiamandolo per nome "Sto' bene, vai in ospedale, avranno bisogno di te, no?"
"Sei sicuro? I due automobilisti son stati portati di già."
"Vai.. io arrivo."
Allan sbuffò lievemente e salutandolo con un cenno di testa, si rivolse all'altro paramedico che stava parlando con la polizia.
L'uomo della berlina bianca era completamente graffiato. Da quanto potè vedere Declan, aveva escoriazioni ovunque e sicuramente qualche costola e arto rotto.
L'uomo nella coupé rossa, invece, venne estratto dai vigili del fuoco morto. Era in vita ma perse molto sangue quando gli venne tolto il cruscotto dalle gambe. Evidentemente fermava l'emorraggia, ma non poteva rimanere lì per sempre.

Rimase ancora un attimo seduto, Declan, prima di raccontare alla polizia quello che era successo pochi minuti prima. Finito con loro, ecco le vicine che chiedono, e chiedono, e chiedono.
"ANDATEVENE CAZZO!" Sputò lui a tutte quelle arpie.
Si diresse verso casa, entrò e vide le ciabatte di Angie vicino all'ingresso.
Come faceva sempre negli anni prima che lei...
Corse in bagno e si lavò il viso dolorante, il braccio gli faceva male e con dei gemiti di dolore si massaggiava il muscolo. Allan era ancora fuori con la sua ambulanza; corse fuori sbattendo la porta e si fece dare un passaggio fino al St Susan.

L'aria del mattino era gelida e faceva male al viso; quando entrarono in ospedale, le varie assistenti lanciavano occhiate di riguardo a Declan.
Firmò il diario di presenza e chiese a Clara, l'infermiera del turno di notte, dove avessero portato Angelica:
"Al momento è al pronto soccorso, è sotto controllo e le stanno curando le ferite superficiali. Non so' cosa dire per confortarti Dè.."
"No, niente, non preoccuparti, vai a casa e riposa."
Mentre Declan camminava di corsa per i corridoi per arrivare all'ala del pronto soccorso, Allan gli correva dietro.
Aprirono insieme le porte dandosi prima una rapida occhiata di sostegno; cercarono tra le varie tende la donna, e quando capirono che era stata spostata in una stanza a parte, capirono che qualcosa dev'essere andato storto.
Incontrarono il capo reparto, Dr. Joohna Calver, che disse ai due ragazzi:
"Palmer, è Angelica?"
"Sì dottore.." Allan gli mise una mano dietro la spalla inclinando la destra a novanta gradi per guardarlo di sbieco. "Se ne sta' prendendo cura lei?" continuò Declan.
"Per il momento ci pensano le infermiere; le ho solo aggiornate sulla cura."
"Che tipo di cura?"
"Progestax."
Allan si portò una mano alla bocca, coprendo la sua bocca simile ad'una oscura voragine a O.
"Quanti cc?"
"Al momento dieci, ma andiamo per gradi: se arrivati a cinquanta, non si riprende, dovremmo farle una tac e ricoverarla ufficialmente."
"Posso fare qualcosa?"
"Assolutamente no, vada a casa, piuttosto."
"Ho firmato.."
"La congedo io, vada pure."
"E potrebbe rimanere qui senza essere di servizio, non è meglio?" intervenne Allan "Potrebbe rimanere vicino ad Angelica."
"Per le prime ventiquattr'ore non è possibile far visita a..."
"Dottore.." spezzò Declan.
"Va bene, ma non essere d'intralcio con le cure, e rimanga fuori dalla stanza, signor Palmer."


Il Dr. Calver andò a far visita a tutti gli altri pazienti portandosi dietro una massa inclacolabile di tirocinanti nuovi nuovi d'accademia. Buttando l'occhio di tanto in tanto sulla coppia di infermieri.
"L'hai investita tu?" Chiese Allan.
"Ma perchè non ti fotti a saltelli?" Chiese gentilmente ridendo.
"Bhe dài.." fece Allan appoggiandosi alla porta aperta della stanza dove riposava Angie " E' plausibile: lei è tornata e tu per la rabbia l'hai rincorsa per tutto il viale mettendola sotto. Scommetto che portavi la solita fascia da Rambo."
"Non sfidarmi; e smettila."
"...Sai perché è tornata?"
"Dice che gli manca star con me."
"Dopo DUE anni 'sta cosa?"
"Lo so', è uno schifo, non trovi?" Confermò Declan, portandosi le braccia al petto a conservarle.
Entrambi guardavano il volto della donna; bellissimo e graffiato.
"Bella e dannata, come è sempre stata, no Dè?"
Continuava a guardarla, tornando indietro nel tempo a ricordarne il matrimonio.
"Dè?"
"Sì.. come sempre."
"E' scappata con uno?"
"Ma che cazzo ne so'! Non ha il coraggio di dirmelo, stava solo zitta. Niente, non una parola al riguardo."
"Boh, però è strano.." Finì Allan andando via. Dopo tre metri si voltò a chiedere all'amico ancora a braccia conserte di fronte alla porta:
"Vieni?"
"Dove?"
"Dagli altri all'ingresso, ci prendiamo un caffè."
"Vabene."

I due si diressero all'ingresso del reparto dove incontrarono tutti gli altri infermieri.
La caffettiera elettrica era accesa di già nella stanza relax e Clara era ancora lì, di spalle, a versarsene una tazza.
"Che ci fai qui?" Chiese Allan.
"Mio marito ha portato nostra figlia a scuola, e ora va a lavorare. Non voglio stare a casa da sola.. Vuoi una tazza? Hey, Dè! Vuoi una tazza anche tu?" Gli chiese alzando la brocca bollente.
"Si grazie."

Tre tazze di cartone piene fino all'orlo; quella di Clara era piena a metà, ma quando vi buttò dentro sei marshmallow, strabordò un po'.
"Insomma" continuò lei, sedendosi "Il figliol prodigo, il nonno di Heide, la pecorella smarrita è tornata? Eh, tutti tornano.."
"Così sembra."
"Non fargli le solite domande Clà.. non sa' niente."
"Fatti gli affaracci tuoi ragazzino!" Ringhiò Clara dall'alto dei suoi quarantatré anni.
"No, ha ragione Allan, ignoro dove sia stata, cosa voglia da me e perchè dopo tutto questo tempo.."
"Fermati." lo interruppe Clara "Non è il momento per queste domande, lei non può controbattere e se ci pensi troppo finirai per esplodere. Adesso lei è in ospedale, e non so' se la sua famiglia ne è al corrente, perciò ci sei solo tu. Stalle vicino e basta, il resto viene dopo. Ok?"
Declan sorrise e spostandosi dalla caffettiera, andò verso Clara, e se l'abbracciò con gusto.
"Ok."
"Attento attento! Mi fai cadere i marshmallow!"
"Grazie."


 

Dimenticare il dolore è difficilissimo, ma ricordare la dolcezza lo è ancora di più.
La felicità non ci lascia cicatrici da mostrare.
Dalla quiete impariamo così poco.
-Chuck Palanhiuk-
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Capitolo 4
*** Se ci fossi stato. ***


Se ci fossi stato.
_____________

Declan rimase tutta la giornata in ospedale ad aspettare che Angelica si riprendesse dalle ferite riportate dall'incidente.
Aveva posto una sedia di fronte la sua stanza, e la osservava sperando aprisse gli occhi. Magari chiamando il suo nome.
Aveva le braccia conserte ed era quasi completamente sdraiato; toccava a terra con i talloni e le scapole erano attaccate alla stecca di plastica sul muro.
Rifletteva, mentre alcuni inservienti ripulivano il pavimento ogni giorno alle quindici del pomeriggio. Con l'odore di lavanda nel cervello, pensava a chi lei adesso fosse.

Conobbe Angelica il ventitré di Aprile di sette anni fa. Allora frequentavano entrambi l'università. Ma Declan ed altri della facoltà di infermieristica, erano stati incaricati di prelevare del sangue a chi si offriva.
Declan allora aveva il codino e alcune ciocche di capelli gli penzolavano sul viso.
Mentre preparave alcune fialette e aghi a farfalla sul tavolino, si presentò Angelica.
"Ciao.." Inizò lei con un sorriso.
"Ciao!"
"Sono qui per donare il sangue."
"Certo, hai compilato il modulo e risposto alle domande?"
"Massì, per chi mi hai presa?"
I due ragazzi risero e si presentarono reciprocamente.
Declan la fece accomodare dentro il tendone all'interno della facoltà, preparando laccio emostatico e succo di frutta.
"Quale succo preferisci?"
"Hm, vediamo... alla pera, se c'è, grazie."
"E' il mio preferito, è più denso di tutti gli altri."
"Lascia i grumini che fanno impazzire!
"Già esatto, mi fanno morire!"
Le stava allacciando il laccio e Angelica si spostò i lunghi capelli biondi sull'altra spalla.
Ogni tanto Declan le lanciava uno sguardo e quando, ogni volta, incrociava il suo, ridevano ancora più forte.
Nei dieci minuti che ci vollero per prelevare due sacche, si raccontarono un po' di loro; della facoltà, delle aspettative e del futuro.
"Come lo vedi il tuo futuro?"
"La vedo come un coglione: Con me che torno stanco da lavoro e mia moglie che mi attende sull uscio. Proprio vicino alla targhetta con inciso Palmer e il suo cognome."
"Scusa? Palmer?"
"Sì.."
"Oh.. hahahahahahaha Palmer, tradotto in inglese sembra Palmatore."
"Non ho capito."
"Ho origini italiane; la radice della parola Palmer è la palma, l'albero che produce i cocchi."
"Davvero? Sono un palmatore, e.. OCCIELO, anche io ho due noci di cocco!!"
"HAHAHAHA dammi un fazzoletto, scemo!"

Sette lunghi anni dopo si ritrovava a ridere ancora per quell'episodio; quando si rese conto e ritornò alla realtà, si coprì quasi immediatamente la bocca.
Ora si teneva le tempie, e spostava tutto il busto in avanti prendendosi la testa tra le mani. Ricordava a spezzoni; l'incontro, quegli interminabili appuntamenti e il loro viaggio in Italia.
La nonna Annamaria e le sue frittelle di zucchine. Il profumo dell'orto e le fotografie vicino alla torre a Pisa.
La sera in cui le chiese di sposarlo, o meglio, la sera che lei prese il discorso e si ritrovò con lui che ci aveva già pensato.
La sua espressione incredula continuando ad invocare la Candid camera, gli fece sbocciare un sorriso enorme.
Allan, che passava di lì, lo notò.
"Oh?"
Declan si riprese dai suoi pensieri e alzò la testa di botto a guardare l'amico. Giurò di aver sentito un crack affatto divertente.
"Oh!"
"Che ridi?"
"No, macché, rido?"
"Vabbè, allora? Sai come sta'?"
"Niente di niente, so' solo che stanno a venti cc"
"Di Progestax giusto?"
"Sì, quella merda.."
"Dai non ti preoccupare, si riprenderà."
Declan gli lanciò un'occhiata penetrante, e serio, gli chiese:
"Ne sei sicuro?! Perchè non si è ancora svegliata?"
"Chiedilo al dottore no?"
"Lascia stare..."
"No dai, serio! Chiediglielo."
"Lascia stare!" Allan a quella risposta storse il naso e tirò dritto nella stanza di un vecchio signore.
"Pronto per la bomba nonno?!"

Rimise la sedia al suo posto e quando andò alla macchinetta incontrò Diana, anche lei un'infermiera.
Anche se non era d'obbligo, lei metteva sempre il berretto di lato e si arrotolava i capelli a cipollotto dall'altro. Non si truccava mai; solo una volta Declan la scoprì specchiarsi per mettersi il mascara.
Lei, leggera, si voltò sorridendo. Dio quanto era bella!
I pulsantini facevano un suono acuto ad ogni pressione. Doveva ancora scegliere quando Diana gli posò una mano sulla schiena.
"Ti consiglio di non prendere questa robaccia."
"E' solo per buttare giù qualcosa.."
"Allora dai, vieni a pranzo con me!"
"Cosa?"
"Ho il sacco, tutta roba sana, andiamo fuori. Vuoi?"
"Hm.."
"Ho le polpette!"
"Va bene, se ci son le polpette.."

Dopo un primo distacco decise di lasciarsi trasportare; stare sempre seduto non gli giovava.
Uscirono nell'area verde al centro del St. Susan: era tutta una vetrata nella parte interna, dal primo al quinto piano. Una specie di polmone verde, come il Central park di Manhattan.
Si dice che l'ospedale si stato eretto intorno al giardino, il perché non fu molto chiaro.
Si sedettero direttamente sull'erba e Diana aprì la sacca da dove esplosero mille profumi. Declan si sedette vicino a lei, aiutandola a prendere i tovaglioli di stoffa.
"Che buon profumo!"
"Vero? E' la prima volta che mi riescono."
"Ma come?!" Esclamò lui ridacchiando.
"Già! Ma sono buone perché le ho assaggiate, non ti avvelenerò, promesso."
"Tanto siamo già sul posto."
"Allora dovevo approfittarne.."
"MA!!"
Lui gli diede una leggera spinta e lei, per farsi perdonare, gli portò una polpettina alla bocca.
"Dimmi com'è." Disse guardandolo negli occhi. Che neri come la pece, rispecchiavano quelli verdi di lei.
Declan la mangiò.
"Allora?" Disse unendo le mani a mo' di preghiera.
"Deliziose! Dammene un'altra."
"Sono anche per me sai?"
"L'hai voluto tu."
"Accidenti!"

Dal terzo piano, il Dr. Calver che camminava sulla pedana che dava sul giardino interno, gettò l'occhio in basso, osservando per caso i due ragazzi ridere e mangiare insieme.
Continuò a camminare e a scendere le scale per incontrare un infermiere.
Prese una fialetta dalla tasca del camice e gliela consegnò.
"Stanza undici."
"Aumento la dose?"
"Sì, arriva a trenta."
Il dottore congedò il ragazzo con una pacca sulla spalla e risalì le scale.
Il ragazzo invece le scese, arrivando al piano terra entrando nel Pronto soccorso, camminò per tutta la sala aperta e affacciata sull'interno. Con il suo camminare svelto, ad ogni metro faceva svolazzare le tende che separavano ogni letto. Le passò tutte e si diresse in un corridoio dove c'erano le stanze coi pazienti non ancora pronti per dimettersi.
Stanza uno, tre, cinque. Entrò nella sette e cambiò la medicina ormai finita.
Un'altra fiala di Progestax era pronta per gocciolare più velocemente e abbondante nelle vene della signora Palmer.
Mentre poneva la fialetta voltata sentì delle leggere parole.
Angelica aveva aperto gli occhi ed osservò l'infermiere che la guardava sorridente.
"Buongiorno!"
Subitò andò a chiamare le due infermiere che la tenevano in cura per dare quella notizia.
Angie si stropicciò gli occhi doloranti; cercava di aprirli per bene e di alzare la testa per vedere chi ci fosse in camera.
Nessuno.
Dei fiori? Qualche biglietto o..
Niente, nemmeno delle sedie.
-Che qualcuno non sia mai andata a trovarla?- Si chiedeva.

Quando l'infermiera arrivò, le accarezzò la testa assicurandosi di metterle bene il cuscino.
"Ciao tesoro, come ti senti?"
"Mi fa male la testa.."
"E' normale. Passerà fra qualche minuto, riposati ancora un po'."
"Mio marito? Sta bene, come sta?"
"Lui non si è fatto niente, stai tranquilla."
"E ora dov.."
"Sta mangiando fuori, è stato qui tutto il tempo sai?"
"Bene... molto, molto bene."
Così dicendo si riaddormentò con la testa nel palmo della donna.
"Angelica?"
La testa cadde troppo velocemente e i valori sul monitor stavano sbalzando da un angolo all'altro.
"ANGELICA? MI SENTI?!"

L'infermiere di prima sentì la donna urlare e quando vide la lucina rossa lampeggiare sullo stipite della porta, vide arrivare altre tre persone che si affrettavano.
Non sapeva se entrare, andare via e continuare a prendersi cura di altri pazienti o correre dal marito.
"Ma quale? Quello che si sta facendo imboccare dall'infermiera più bella del St. Susan?" Disse borbottando. E lasciò stare.


 

La verità è che la cosa più dolorosa
è perdersi nel processo di amare troppo qualcuno
dimenticando che anche tu sei speciale.
-Ernest Hemingway-

 

A.U.
Il titolo di ogni capitolo riguarda Angie, mentre le citazioni finali son tutte da parte di Declan.
Ecco spiegati i titoli insoliti e la presenza di citazioni ogni fine capitolo.
Pensieri ed opinioni da parte di entrambi.
Grazie.
Sarah

 
 

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Capitolo 5
*** Se vale la pena aspettare.. ***


Se vale la pena aspettare...
_____________________

Allan venne a sapere della ricaduta di Angelica da Clara.
La donna venne ricoverata ufficialmente ed'ora la sua stanza era al piano superiore; la trentatré.
I due cercarono Declan da tutte le parti e una volta scesi al piano terra, lo videro in giardino con Diana. Allan rallentò il passo pensando a cosa lui stesse facendo. A lui che non c'era quando Angie s'era svegliata. Tutt'altra cosa Clara che invece spalancò la porta a vetri e si tuffò fuori a prendere per le orecchie quel coglione di Declan. Quanto avrebbe voluto farlo.
A passo svelto si diresse dai due ragazzi e a un metro da loro puntò i piedi a terra e posò i pugni sui fianchi.
"Angelica si era svegliata." Sputò immediatamente.
Declan si alzò da terra lasciando la forchetta nel cestino di Diana.
"Si è svegliata?!"
"ERA."
"Come ERA?! Che significa?"
"Ha chiesto di te e non ti ha trovato.."
"Cosa ne sapevo io!"
"Vergognati."
"Eh? Clà ma che cazzo stai dicendo?" Declan guardò dietro le spalle della donnona e riconobbe Allan che si avvicinava a passi piccoli. "Allan, dov'è adesso?"
"Primo piano stanza trentatré."
"Mi accompagni?"
Allan scosse la testa.
Declan era talmente esausto del loro essere così stronzi che guardò Diana facendogli un cenno con la testa.
"Vabene." Rispose.
Quando la bella si alzò buttando tutto il suo pranzo nel cestino, guardò Clara che gli stava lanciando continuamente fulminate.
"Cosa ti guardi in quel modo?!"
Clara non rispose a quell'intimidazione e lasciò che Declan prendesse per il braccio la ragazza e se la portasse via.
I due aprirono le porte e insieme salivano le scale.
Nello stesso momento Allan era così incuriosito dal disagio tra Clara e Diana che non riuscì a stare in silenzio.
"Clà?"
"Quella ha una doppia faccia, e non la sopporto."
"Vabè ma che ti frega! Non ti ha fatto niente no?"
"Lascia stare ragazzino.." Così dicendo rientrò in ospedale mollando Allan indientro.

Quando arrivarono alla stanza di Angie, Declan quasi ebbe le palpitazioni tanto era bella.
Diana rimase sull'uscio ma lui entrò senza farsi troppe domande; prese una sedia e la trascinò vicino il letto e si sedette al suo fianco.
Dal corridoio arrivava il Dr. Calver che salutando a malapena Diana, entrò come una ventata ghiacciata nella stanza.
"Allora.." iniziò lui "La paziente ha reagito male alla dose di Progestax di trenta cc, si stava già riprendendo ma in quel momento non se ne accorse nessuno."
Il suo sguardo era fisso sulla cartelletta e quando Declan ribattè, alzò gli occhi guardandolo da sopra gli occhiali.
"Non se ne accorse nessuno?!"
"Per il momento la paziente è stabile e se entro domani non si sarà risvegliata interverremo con una tac per approfondire la diagnosi. Domande?"
"No."
"Bene." Così dicendo uscì trasportato dalla stessa ventata con cui era entrato.
Diana era dispiaciuta e prese la seconda sedia presente nella stanza e la posò vicino a quella di Declan.
"Io non volevo allontanarti da lei.." Gli confessò prendendogli la mano.
"Mannò, non potevamo sapere."
"Mi dispiace ugualmente." Sospirò e passò a guardare il viso di Angelica.
Declan scostò la mano dalla sua ed entrambi si sentirono un attimo a disagio.
"Pensavo non ritornasse più, avevo preso l'abitudine di ripetermelo ogni mattina e questo mi aiutava ad andare avanti giorno dopo giorno."
"Dev'essere stato difficile rivederla."
"Non avrei mai voluto ritornasse da me, è inspiegabile."
"Sì che lo è; hai sofferto troppo per la sua assenza e non hai più voglia di soffrire."
"No non è così facile!" si alzò di scatto e si avvicinò alla finestra appoggiandosi sul davanzale " Lei non doveva tornare affatto; se ne è andata perché le ho fatto troppo male e adesso me ne sta' facendo a me. Sembra una punizione così simile.. E va bene, accetto tutto il male che vuole farmi, è giusto così!"
"Ma lei è incosciente Dè, non lo sta' facendo apposta."
"Sarò forte ancora una volta, è tornata per riandersene ancora. Ed'è così che sta' andando, volente o nolente. Aspetterò che si risvegli per chiudere tutto questo dolore una volta per tutte."
Diana si alzò e si avvicinò a lui; mise entrambe le mani sulle sue braccia e lo guardò negli occhi.
"Vorrei che il tuo cuore ritrovasse la pace, a volte le persone vanno via ma sono degli insegnamenti speciali. Non soffrire come una volta, perfavore."
Declan la abbracciò e subito dopo Diana se ne andò.

Il suo nome non aveva lo stesso sapore nella bocca di Diana; era più bello quando era Angie a chiamarlo Dè. Questo Declan l'ha notato.
Perciò quelle parole era insignificanti per lui: Diana era stata assunta da un anno e mezzo e non conosceva l'espressione di Declan quando era con Angie. Non lo aveva mai visto aprire la valigetta e trovarsi dentro un fiore. I sorrisi, lo sguardo, e tantomeno conosceva il Declan felice. Quello di una volta. Ma era ok.
Clara invece lo vide arrivare il primo giorno di lavoro, quando sia Declan che Allan correvano dietro al Dr. Calver. Lei li ha cresciuti e sentì tante volte le loro storie private.
Con Clara, Declan poteva lasciarsi andare.

Quando entrò nella stanza, Declan la guardò sorpreso e disinteressato, ma ascoltò comunque quello che Clara voleva dirgli.
"Non va tutto bene, io lo vedo il tuo cuore. E non va bene."
"Per niente."
"Sfogati un po' con me, ho un ora libera.."
"Non fa niente, aspetto solo che si risvegli."
Clara si stava avvicinando a lui e nel frattempo rimboccò le coperte di Angie.
"Può sentirti lo sai?"
"Non è in coma."
"E allora? Perché non le parli comunque?"
"Non ce la faccio.." Lo disse sorridendo, imbarazzato dalla richiesta.
"Posso provarci io?"
"In che senso?"
"Mettiti seduto."
Tutti e due si sedettero e Clara mise la mano di Declan sopra quella di Angie, e cominciò a parlare.
"Angie? Sono Clara e qui con me c'è Declan, ti sta' tenendo la mano."
Declan scoppiò a ridere.
"Smettila! Dicevo.. Lo senti ridere ma i tuoi occhi non possono vederlo. In questi anni ho visto un uomo venire a lavorare ogni giorni con lo stesso sguardo spento, con l'aria di perenne adolescente. Potevo leggere nella sua mente tutte le domande che si poneva. E anche se non se ne è mai accorto, un giorno lo vidi piangere negli spogliatoi. Con un filo di voce si chiedeva il perché e buttava per terra ogni cosa che gli capitava tra le mani."
Ora non sorrideva più, Declan.
"Si è reso conto di non averti fatto abbastanza domande, di non essersi preso troppo cura di te e ha dato tutto per scontato. Lo vedevo barcollare per i corridoi aspettando di ricevere una tua telefonata. Un segno per strada o qualsiasi altra cosa ti riguardasse. Noi tutti potevamo vedere il suo cuore in frantumi. Angie, cosa è successo?"
Quando Declan pianse, si coprì il viso e lasciò la mano di Angie. Clara se ne accorse a uscì dalla stanza soddisfatta di aver fatto esplodere tutte le lacrime represse del ragazzo.
Declan si asciugò gli occhi ma servì a ben poco; riprese la mano di Angie e si decise a parlare.
"Vorrei ti svegliassi, e litigare per ore e sentire la tua voce in ogni sua sfumatura. Mi vanno bene anche gli schiaffi e potrai tirarmi addosso anche la coppa del golf nella vetrina di casa.
Possiamo insultarci anche adesso, se ti svegli giuro che ti farò fare qualsiasi cosa. Però svegliati. Svegliati Angie, ti prego... Non lasciarmi ancora una volta.."


E se ti ho detto che ti amavo
tu avresti potuto pensare che c'era qualcosa di sbagliato.
Io non sono un uomo con troppe facce,
la maschera che indosso è una.
Quelli che parlano non sanno niente
e lo scoprono a spese loro.
-Shape of my heart. Sting-

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Capitolo 6
*** ... Allora ti prego, fallo. ***


... Allora ti prego, fallo.
__________________


Angelica si svegliò di notte trovando Declan con la testa poggiata sul suo letto. Non sapeva quanto tempo rimase con lei e cercava di capire che giorno fosse.
Soprattutto, dove lei si trovava. Si toccava la testa dolorante e con l'altra mano accarezzò i capelli di lui. Si stava lentamente svegliando, Declan, e quando la vide negli occhi le sorrise con fare affettuoso.
Le prese la mano e Angelica lo guardò con circospezione.
"Ti sei svegliata.."
"Sì, ho ancora mal di testa però."
Intanto lui premette il pulsante che accendeva sia la luce sullo stipite della stanza, sia nella guardiola del pronto soccorso.
"Mi dispiace non essere stato con te al tuo risveglio."
"Non importa, tu sei Declan, non è vero?"
Gli occhi di lui si socchiusero a formare una leggera fessura. "Sai dove ti trovi?
La risposta di Angie non venne scandita da alcun suono; il movimento della sua testa disse tutto: No.
"Sai dirmi il tuo nome?"
"Io.. io sono Angelica!"
"Ti trovi al St.Susan, abitiamo al numero civico settantasette e tu sei.."
"Abitiamo? Scusa.. aiutami ad alzarmi.."
"No aspetta.."

Declan si fece da parte aspettando che Clara la fece mettere in sesto.
Decise di alzarsi e di mettersi un accappatoio rosa e accettò di bere una tazza di the verde.
"Tre di zucchero!"
Angie non beveva mai il the con lo zucchero, difatti quando Declan la sentii, quasi credette di assere stato vicino a un'altra persona.
La domanda ora era solo una: Fino a che momento non ricordava?
Lui intanto aveva ripreso la sedia dove era seduto poco prima, la spostò fuori e si sedette spalle alla porta. Clara uscì per prima e si chiuse nelle spalle guardandolo; non c'era bisogno di parole perché il punto interrogativo che avevano al posto del viso, era chiaro.
Subito dopo uscì Angelica; prese l'altra sedia -dove prima era seduta Diana- e la mise di fianco a Declan.
Ancora con la tazza fumante decise di parlare con lui.
"Noi, abitiamo insieme?"
"Eravamo sposati."
La tazza quasi le cadde e con un filo di voce gli chiese da quando.
"A dire il vero è successo un sacco di roba.."
"In che senso?"
"Niente, ora pensa a riprenderti."
Declan si alzò di scatto e se ne andò, lasciando Angelica seduta, o quel che ne rimaneva.

Quando incontrò Diana, la superò a testa bassa dirigendosi a gran velocità fuori dall'ospedale. Tirava un gran vento ma non gli importava; si sedette sulla stessa panchina e si prese la testa tra le mani.
Diana, ovviamente, non lo lasciò stare e andò a prendere la sua giacca dentro la guardiola. Corse, pregando che quello stupido non si prendesse un raffreddore.
Quando uscì anche lei, lo vide di spalle e con un colpo deciso, quasi come fosse il telo di un mago, gli posò la giacca sulle spalle e si sedette vicino a lui.
"Non si ricorda di me, dove abitiamo, chi sia lei o in quale cazzo di città abita. Ti rendi conto?!"
"E' stata colpita alla testa, l'hai visto anche tu. Probabilmente tra qualche giorno si riprenderà e potrete finalmente parlare."
"Hai ragione.."
"Non c'è bisogno di prenderla così, succede che un paziente dimentichi pezzi della sua vita e che li recuperi subito dopo."
"Grazie, per tutto, anche della giacca." Le lanciò un sorriso che venne immediatamente catturato e messo in tasca.
"E dell'abbraccio di prima? Nemmeno un grazie, io mi vergognerei se fossi in te!"
"Non ti allargare, quello era d'obbligo."
"Ah pure?!" Diana fece per alzarsi stizzita come tutte le donne fanno, ma lui la prese per il braccio e la rimise a sedere.
"No!" Si rialzò e si diresse verso l'entrara, ma pochi passi prima ecco che Declan la riprese e la girò.
La guardò negli occhi e le sorrise nuovamente; ultimamente il loro feeling stava crescendo senza volerlo, e questo stava bene ad entrambi.
"E' inutile che scappi, so' dove lavori."
"Non ho scampo?"
"Assolutamente."
"E allora..." Diana voleva finire la frase articolandola con un bacio; si avvicinò al viso di Declan prendendogli la divisa per portarselo a sé.
"Cosa stai facendo?" Le chiese quando lei era a due centimetri dalle sue labbra.
"Volevo vedere se ci cascavi!" Con queste parole si allontanò di scatto da lui colpendolo al petto.
"Se ti prendo ti ammazzo Dià."
"Ma levati, vecchio!"

Diana aveva quattro anni meno di Declan, pochi, ma abbastanza per consentirle di avere un atteggiamento molto più femminile e biricchino di tutte le altre.
Un carattere che faceva impazzire tutti gli uomini, perché donne così sono irragiungibili.
Declan prima di rientrare pensò proprio a questo. Poi subito dopo si catapultò con la mente vicino ad Angelica, e tremava.
Prese l'ultima grande boccata d'aria e rientrò, lasciandosi avvolgere dalla scia di profumo che Diana aveva lasciato pochi attimi prima.

Ciò che hai dentro, lo sai solo tu.
Io non posso capire fino in fondo nessuno,
come nessuno può capire fino in fondo me,
anche se a volte diventa una pretesa
perché abbiamo tutti un bisogno disperato di essere capiti.
-A. Serra-

 

A.U.
Un grazie gigantesco ad Armony che ha recensito ogni capitolo di questa storia.
E grazie a tutti coloro che ogni giorno continuano a leggerla.
Scusate l'attesa, la scuola è una brutta bestia. (??)
Sarah.

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Capitolo 7
*** Occhio non vede. ***


Occhio non vede.
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Fuori tutto il viale era percorso dall'acqua, dalla finestrella sulla porta di casa Palmer si poteva vedere l'ennesima giornata di pioggia, e con una mano nella tasca, Declan, prese il cellulare.
Stava squillando e sullo schermo apparve il viso sorridente di Diana.
"Pronto?"
Una voce distante rispose nel caos urbano. "Declan! Vengo a prenderti, due minuti."
"Vabbè ma prendo la macchina."
"Nono, aspettami!"

E due minuti dopo ecco che tre tonfi colpirono la porta. Declan aprì e fece entrare l'acqua adornata da una donna.
"Guarda che sei proprio scema.."
Lei si girò, aveva i capelli bagnati e se li tirò su' raccogliendoli in una coda alta, sensualissima.
"E' che non saprei, ero qui in giro quando ha cominciato a piovere..."
"E' presto per andare al lavoro, vuoi un caffè?"
"Un altro? massì."

Alcune pentole erano state messe in cassetti sbagliati; probabilmente colpa di Angie.
La macchina del caffè si azionò e Declan con colpi di asciugamano cercò di ripulire dall'acqua il cappotto di Diana.
"Che casa maschile che hai." Fece lei con il naso all'insù.
"Non ho tempo di abbellirla."
"Non dico che è brutta, non fraintendere, è che non vedo un fiorellino.."
Declan si girò verso di lei e si indicò il petto con sguardo ironico ma sbigottito. "Fiorellino? Oddio, sono un uomo, nessun fiore in casa."
"Che mentalità chiusa che hai."
"Come mai da queste parti?" Le chiese mettendosi finalmente seduto.
"Volevo venire a prenderti per andare insieme al St. Susan." Rispose vagando avanti e indietro per il salone.
"Madonna Dià, siediti."
E lei si sedette vicino a lui sul divano. "Il caffè?"
"Quando è pronto la macchinetta suona, pazienta ragazzina."
"Mi piace -Ragazzina-"
"Davvero?"
"Sì."
"Allora non lo dirò mai più."

Un momento prima lei gli tirava un pugno sul braccio, in quello dopo lui rideva e in quello dopo ancora, senza un minimo di attesa, Declan si ritrovava nella bocca la lingua della ragazza.
Lei si mise sulle ginocchia sul divano e gli prese la testa tra le mani, lo stava baciando e alcune ciocche bionde caddero sul viso di lui. Diana aveva un buon sapore e un profumo avvolgente; forse era per questo che Declan non si spostò.
Si voltò con il corpo verso di lei gettandola delicatamente indietro sul divano; la coda di cavallo si sciolse e i capelli stavano gocciolando di pioggia da tutte le parti, insudiciando il cuscino. Si posò sul suo corpo e cominciò a baciarla per parecchio tempo.
In casa echeggiava il silenzio e apparivano eccessivamente schioccanti i loro baci.
Di certo non erano come quelli tra lui e Angie: se tutt'attorno c'era il silenzio, c'era anche mentre loro facevano l'amore.
Non capita spesso; a volte è persino raro che in certi momenti regni la tranquillità.
Ma erano così saldi l'uno con l'altro che non servivano le urla per far sentire la propria presenza.
E invece, com'è carino il destino eh? Pensò.

Declan non chiuse mai gli occhi, non sapeva nemmeno lui il perché.
Baciò altre donne dopo che Angie se ne andò, non subito dopo ovviamente, ma Diana era diversa.
Lavorava con lui, eppure poteva essere davvero quella la spiegazione?
La trovava banale persino mentre le sfiorava il collo con le dita.
Non andarono oltre, diciamo che era tutto surreale e i vari profumi stavano cominciando a miscelarsi.
Detersivo, caffè, il profumo del balsamo che sprigionavano i capelli di Diana.

Si bloccarono non appena la macchinetta del caffè fece il bip; entrambi imbarazzatissimi e disorientati.
Declan forse un po' meno, infatti fu lui che, fortunatamente, cominciò a parlare.
Prima buttò fuori un lungo soffio di sbuffo, poi la guardò.
"Vuoi ancora quel caffè?"
"... Sì grazie."
Diana voleva svenire, poi morire e una volta fantasma nascondersi da qualche parte per la vergogna.
Quando le portò la tazza di caffè ne bevve due o tre sorsi e decise che era ora di andare.
"Faremo tardi se non ci sbrighiamo."
"Hm!" Bofonchiò Declan con il caffè bollente sulla lingua e il bicchiere vicino al naso. "Hai ragione!"

I capelli col tepore della casa, e il cuscino che assorbì buona parte dell'acqua, si asciugarono, così come il cappotto.
Declan finì di spazzolarsi i capelli e prese cappotto, chiavi e ombrelli.
"Macchina?"
"No andiamo a piedi, sta smettendo."
Un ombrello nero e uno rosso fiammante si elevavano sopra le loro teste; camminvano non troppo velocemente e non sempre rimasero in silenzio.
In breve non risero, non parlarono e non si guardarono per tutto il tragitto.
Forse è meglio precisare che lei sorrise a più non posso dopo che, senza dire una parola, Declan all'improvviso la baciò sotto il suo ombrello rosso.
Lui stesso non sapendo, poi, nemmeno il perché.

 
 

Ci sono le coppie storiche, belle da morire.
Ci sono i ragazzini annoiati che si 'amano' dopo una settimana.
Ninfomani che scopano coi puttanieri.
Amori che sbocciano all’improvviso.
Ci sono i fidanzatini possessivi che si incatenano l’un l’altro fino ad odiarsi.
Ci sono i coniugi insofferenti.
Gli amanti teneri e sognatori.
E poi ci siamo noi.
Dove, di preciso, non si sa.
-The Haunted-

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Capitolo 8
*** Chiarimenti? ***


Chiarimenti?
__________

Angelica si stava rivestendo con gli stessi vestiti dell'incidente, quasi a brandelli.
Era nella sua stanza, la trentatré, che cercava di rivestirsi quando Clara bussò sullo stipite della porta aperta.
"Oh Clara! Entra pure, non riesco a capire il senso della maglietta.."
"Ma sono stracci tesoro, aspetta qui!"
Clara alzò i tacchi e se ne andò di corsa lasciando la ragazza incastrata nella maglia.
"Oh, ma insomma, ma come si mette questa cos-
Qualcuno ribussò sullo stipite.
"Clara aiutami un po'!" Disse Angie oramai intrappolata.
"Sono Declan."
"Aiutami.. uffa!"
Le si avvicinò e con gesti decisi riuscì a farle infilare quella strana maglietta.
"Ecco fatto."
"Gentile!"
Lui ancora le teneva le maniche, però adesso erano riempite dalle sue braccia perciò in pratica la stava tenendo salda. No?
Era così strano. Questo sentiva Angie.
Clara ritornò velocemente con la fronte brillantinata dal sudore, con un paio di camicie e dei pantaloni colorati.
"Scegli: rosso.." disse alzando la mano destra con la camicia del medesimo colore "... o blu?" Finì alzando invece quella sinistra.
Clara guardava Angie, Angie guardava Declan.
"Declan, quale colore avrei scelto? Qual'è il mio preferito?"
"Il blu, ti sono sempre piaciuti i colori scuri e opachi."
"Ah belli! Confermo la mia preferenza, grazie!"
"Bene, adesso prendi questa blu, ti lascio vestire in pace." Concluse Clara andandosene.
Angie stava cercando di togliere la maglia con scarsi successi.
"..Scusa?"
"Haha, eccomi."

Declan rimase nella stanza voltandosi alla finestra, non lo aveva fatto apposta, ma si vedeva
Angelica sul riflesso e notò che aveva ancora un fisico snello, statuario, assolutamente perfetto.
Aveva un intimo sobrio e bianco, asciutto che non faceva altro che far risaltare la raffinatezza di lei.
Era seduto sul letto con le mani incrociate e gettava l'occhio sulla ragazza.
Lei intanto si stava mettendo i pantaloni ma quei lunghi capelli biondo cenere le cadevano sempre davanti al viso.
"CHE FASTIDIO!" Sbraitò lei.
"Ho un laccetto se ti serve." Commentò lui giocherrellando col laccio dei capelli che aveva attorno al polso.
"Grazie grazie grazie!" Esultò prendendoglielo dalla mano.

La scena era questa: Declan era seduto sul lato sinistro del lettino, spalle alla porta, aveva davanti la finestra dove si vedeva una Chicago in lacrime.
Dal riflesso poteva vedere Angelica con addosso solo la camicia blu e a gambe scoperte. Esili e lunghissime. Si era appoggiata con un ginocchio sul letto e si affacciò da sopra la spalla destra di Declan.
I capelli si gettarono eclatanti sul corpo di lui inondandolo di profumo.
Gli prese la mano, e con l'altra gli sfilò il laccietto. Si alzò, si rigirò di spalle e lui potè vederla dal riflesso raccogliersi i capelli in un'onda elegante.

Una volta vestita si mise seduta vicino a lui, si tolse il laccetto e lasciò cadere naturali i capelli. Glielo restituì e rimasero un po' in silenzio.
"Sono una psicologa con due specializzazioni: Igene mentale e studi sul linguaggio non verbale. Ho ventinove anni e la mia famiglia abita nell'Oregon, ho un cane di nome Buddy e ricordo la mia prima tesina al college. So' che non mi piace il pane con l'uvetta e ricordo il codice in banca ma non so' niente di noi. Noi? Io so' il tuo nome, so' dove lavori ma qual'è il tuo gelato preferito? Il libro del cuore, o come lo prendi il caffè? Io non lo so', e dici di essere mio marito ma io queste cose non le so'.."
Declan non la stava guardando; lo faceva sempre invece quando lei non poteva accorgersene.
"Il tuo succo preferito è quello alla pera."
"Davvero?"
"So' che quando dormi non ami essere toccata perché vuoi mantenere il tuo tepore naturale. Il caffè me lo preparavi sempre doppio perché facevamo le ore piccole, mi dicevi di sbrigarmi perché al lavoro mi avresti distrutto."
Lei lo stava ascoltando in silenzio.
"Hai sempre portato i capelli lunghi ma non ti piaceva se qualcuno li toccava. I prescelti eravamo io e tua madre. Lei abita nell'Oregon ma continuava a farmi la frittelle italiane. So' che ci siamo sposati con quattro amici come invitati. C'era anche Buddy e tu insistetti sul mettergli il frack."
"Non posso crederci.." affermò lei ridendo. "Quanto tempo?"
"Non ha importanza."
"Come no! E' la mia vita!" Affermò lei prendendolo per il braccio.
"E' ANCHE LA MIA!" Sentenziò lui alzandosi. Fece un paio di giri per la stanza e cercava di pensare aiutandosi col rumore della pioggia battente.
"Ti prego, raccontami di noi."
"Non hai la fede, non ce l'ho nemmeno io. Non più. Te ne sei andata per due anni, è tanto tempo due anni."
"E' tanto tempo.."
"E io non lo sapevo! Lo capisci? Non mi hai detto niente, hai preso le cose indispensabili e sei sparita. I tuoi genitori non mi hanno detto niente, non lo sapevano all'inizio. Ma poi li avrai raccontato che eri ancora viva e non lo so' perché ma... sono stati in silenzio senza dirmi dove tu fossi."
"Ti ho fatto questo?!"
"Guardami. L'hai fatto eccome. Senza pensarci, così da un giorno all'altro. PUFF, più niente di te, dell'auto, dei vestiti. Niente. Il vuoto, ecco cosa mi hai lasciato. Il solo vuoto."
"Non posso dirti che mi dispiace, sicuramente avrò avuto i miei validi motivi."
Validi motivi. Validi. Motivi.
"L'amore non era un valido motivo? Il matrimonio non era forse un valido motivo? IO NON ERO UN VALIDO MOTIVO?!" Le urlò.
"DECLAN" Intervenne Clara.
Entrambi la guardavano entrare e con forza gettare fuori il ragazzo.
Da dentro la stanza Angie poteva sentirli litigare.
"CHE COSA CAZ- si interruppe, abbassando prima la voce. " che cosa cazzo fai!"
"Lasciami stare."
"Vattene subito, pronto soccorso. Vai. ADESSO!"

Declan si diresse verso l'ala scendendo le scale in tutta fretta; Allan lo vide sfrecciare via senza riuscire a fermarlo.
Diana anche lo notò, posò le sue cartelle che doveva compilare entro le dodici, e si diresse verso il pronto soccorso, da lui.

Ero sul punto di troncare la conversazione,
poiché nulla mi manda in bestia come il fatto che
qualcuno se ne esca con luoghi comuni,
mentre io sto parlando con tutto il cuore.
-Goethe. I dolori del giovane Verther-

 

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Capitolo 9
*** Una scelta difficile. ***


Una scelta difficile.
______________

Declan stava sistemando l'occorrente per i prelievi nel pronto soccorso e stava smuovendo roba troppo rumorosamente. C'era stato, quel giorno, un incidente lieve vicino al All street journal, sulla omonima strada. Niente di grave; ma due ragazzi su tre avevano subito una lussazione e il terzo aveva bisogno del gesso.
Loro stavano guardando questo stupido ragazzo arrabbiato che metteva apposto le cose. Uno di loro, uno dei due con la spalla lussata, stava avvicinandosi a Declan che era invece di spalle.
"Hey."
"Hey!" rispose a pappagallo.
"Il mio amico laggiù, si sta' sentendo male per colpa tua."
"Dammi del lei ragazzino, primo. E secondo il tuo amico dovrà rimanere immobile per almeno mezz'ora ed è visibilmente schoccato. Scommetto che la macchina era la sua e i genitori ancora devono finire di pagarla. E' terrorizzato dal padre che lo sgriderà una volta scoperto e non vuole farsi umiliare davanti alla sua banda di amichetti. Ecco cosa. Ecco perché sta male."
"Il tuo eccessivo rumore da fastidio a tutti qui, lo ha detto anche l'infermiera che lo sta ingessando." Finì il ragazzo indicando con il braccio buono il lettino dove era sdraiato l'altro ragazzo.

Diana stava entrando a tutta velocità nella sala e spostò il ragazzo delicatamente e prese per il braccio Declan, trascinandolo nella sala relax degli infermieri.
"Siediti e dimmi tutto quello che è successo." Disse spingendolo a sedersi.
"Potrei non volerti rispondere."
"Sfogati con me! Adesso che sei ancora in quello stato d'animo. Non me la prenderò se mi urlerai contro.. perché quello che è successo stamattina dovrebbe..."
"Ma che centri tu adesso?" Obiettò guardandola con fare stupefatto e atterrito.
"Io, no io.."
"Stammatina è stato un errore."
"Lavi via l'accaduto con quella frase?"
"Ho i miei validi motivi."

Aveva appena ricopiato la frase di Angelica. Non lo aveva fatto apposta; capita che in una coppia si possano fondere insieme modi di parlare e frasi. Lo aveva detto - pensava Declan in quegli istanti in cui Diana stava sbarrando gli occhi - perché si stava riferendo ad un'altra donna. Lei non centrava niente perché non era lei la donna a cui voleva parlare.
Quindi Angie disse quelle stesse due parole perché si stava riferendo ad un'altro?
Possibile che inconsciamente si ricordi che il suo valido motivo sia stato un altro uomo?

Si alzò velocemente e abbandonò Diana, inconsciente dei suoi pensieri, nella camera.
"Declan! DECLAN!"
Saliva ora veloce le scale dirigendosi al primo piano da Angie. Doveva sapere, doveva chiedere e sperava di uscirne fuori una volta per tutte.
Slittò sul pavimento e prima di passare oltre la sua porta si tenè con le mani sulla maniglia.
Angelica era ancora lì, in lacrime, nelle braccia di Clara che adesso lo stava guardando con dei fulmini al posto degli occhi.
Lei non poteva vederlo, aveva la testa sul seno della donnona e singhiozzava per conto suo.
"Vai via!" Sentenziò Clara con un filo di voce.
No! Affermò con la testa Declan. Si stava avvicinando al lettino e si sedette piano dietro di Angie. Non si sapè mai come Clara capisse di doversi alzare e togliersi di dosso la ragazza, ma lo fece e lei la guardò andare via senza parole. Senza sapere che dietro di lei c'era Declan.
Si stava asciugando gli occhi e il naso con il bordo della camicia blu e Declan la prese e l'abbracciò da dietro.
Con una braccio le cingeva la vita e con l'altro le spostò i capelli di lato; aveva una piena paronamica della spalla, del collo, della guancia rigata e arrossata ancora da alcune escoriazioni.
"Mi dispiace per avere urlato cone te, prima. Non hai mai pianto davanti a me, eri sempre stata una forte. Erano gli altri che piangevano, non tu, mai. Mi dispiace. Mi dispiace davvero tanto."
"Non conosco quasi niente di te, eppure.." confessò lei ridendo con ancora delle briciole di lacrime negli occhi " ... ho pianto."
La voltò verso di sé e decise di guardarla negli occhi. Sapeva che non lo aveva mai visto così da vicino da quando è ritornata. Lo aveva fatto quando si ripresentò fuori il St Susan ma lei non lo sapeva.
"Sei ritornata da me, e non lo sai."
"Non lo so."
"Mi hai chiamato e mi hai preso il braccio, hai cucinato mentre io ero chiuso in camera a distruggere roba e.. e hai pensato ancora a me cucinando un piatto in più."
"Ho fatto questo?"
"Sei uscita scalza per dirmi quanto volessi rimanere a casa nostra. Hai puntato i piedi nonostante non ne avessi alcuna autorità."
Continuava lui. "E dopo tutto questo ancora non mi hai lasciato scampo, hai continuato a essere dannatamente presente in modi così importanti.."
"Ti ho salvato la vita, Clara me lo ha raccontato."
"Mi hai salvato la vita pensando prima alla mia che alla tua. Hai pensato alla mia di vita dopo due anni di vuoto. Di oblio e.."
"Non dirmi nient'altro, io questo non lo ricordo, ma se ho avuto dei validi motivi per andarmene, allora ne avrò avuti altrettanti per ritornare. Per cucinare per te e per dirti quanto io voglia rimanere in casa nostra. Ne ho avuto così tanti di motivi, anche per salvarti la vita. E io non te l'ho salvata." affermò lei mettendosi seduta meglio, con le gambe incrociate dritte davanti a lui " Io non ho salvato niente, ho distrutto, ho demolito una persona che mi amava lasciandola senza dire una parola."
"Non è così semplice.."
"E' semplicissimo invece: te ne parlo come farebbe una persona fuori dalla storia, perché infondo è così no? E le persone che non centrano niente parlano sempre bene. Senza accondiscendenza, ma con realtà. Non so il perché, ma ho abbandonato una persona che, fino a propria contraria sta ritornando  sempre da me. E che dopo due anni ha accettato di tenermi con se in casa sua."
"Era solo perché era tardi."
"Ne sei proprio sicuro? Hai accettato che IO entrassi nel tuo spazio più privato, dopo tutto il tempo trascorso senza sapere. Non era tardi, né perché il sole era calato nè perché era tardi per NOI. Non lo è mai stato per te. Quella porta rimase aperta da sempre, anche in questi due anni. Non si chiuse mai. No, non hai mai voluto dimenticarmi e non mi hai mai allontanata dal tuo cuore. Se lo avessi fatto anche la tua casa sarebbe stata invalicabile."
"Maledetta laurea che hai."

Stavano sorridendo guardandosi dritti negli occhi, intimi senza toccarsi. Stavano cominciando ad essere di nuovo pieni di loro.
"Cosa farai adesso?" Chiese lui.
"Credo me ne andrò nell'Oregon dai miei. Attualmente ho solo loro."
"Hai anche me."
"Lo so ma.."
"Non andartene un'altra volta.."
"Mi sarà impossibile dimenticarti, davvero, io ritornerò."
"Lo sai, potrai restare in casa nostra anche per sempre se vuoi."
"Declan, se mai ritroverò la memoria e ricordassi il motivo del mio allontanamento, cosa farò?"
"Se vorrai dirmelo io ci sarò."
"Davvero lo vorrai sapere? Penso che in ogni caso, se la memoria ritornasse davvero, dovrai dimenticare il passato. Il matrimonio per primo, perché non si potrebbe mai ricominciare. Tu non dimenticherai mai. E non meriti di aspettarmi tutta la vita."
"Io ti amo."
"Ami l'Angelica del matrimonio. Non io, non QUESTA Angelica. Tu mi ami, ma non ami ME. Lasciami andare senza questo peso."
"Me lo stai chiedendo davvero?"
"Sì."
"Ti lascio andare."

 

Inizia a fare davvero male solo quando inizi a fingere che non lo faccia.
-Francesco Monetti-
 

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Capitolo 10
*** L'ultima fermata. Epilogo. ***


13/09/2010
Le persone vanno via, tornano, e se ne rivanno ancora.
Devono ribadirlo e vabene così. Cioè non va affatto bene così ma non c'è niente da fare.
Ognuno è libero di fare ciò che vuole, persino con il cuore di altri.
A cos'è che aspirano? A rimanere vivi nei loro ricordi sottoforma di squarcio mai cicatrizzato?
Paradossalmente son sempre le persone più importanti a farlo.
Penso che queste persone devono solo che andare a farsi fottere.
Angelica, deve andare a farsi fottere.

Declan decise di aggiornare il diario con queste poche righe.
Lo ripose nel cassetto nel suo ufficio di casa, ricordando che non lo aggiornava da quattro mesi.
Le sue ultime frasi erano rivolte a se stesso; doveva vivere davvero.
Così avrebbe voluto. Ma non ce ne è stato verso.
Le persone vanno via continuamente, decidendo contemporaneamente di portarsi via la tua vita.
Qualunque cosa tu stia programmando. Ad un tratto, non ha più importanza.

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L'ultima fermata. Epilogo.
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Angelica stava radunando tutte le sue cose correndo di tanto in tanto come una pazza. Non riusciva a ricordarsi dove aveva messo questo, dove aveva posato quello. Di certo non poteva chiedere a Declan di aiutarla. Che smacco sarebbe stato?
Mentre lei faceva le sue cose lui era appoggiato all'arco che divideva il salone dalla cucina.
Era con tutto il peso su di una spalla e aveva le braccia incrociate, pensieroso come non lo era mai stato. Addirittura.
Se ne stava in disparte silenzioso a guardarla. Ne seguiva i passi e questa volta se ne fregava di non doverla guardare negli occhi.
I lunghi capelli biondi cadevano a gettata ogni volta che si abbassava, o correva, si girava.
"Cosa stai cercando?" Chiese lui stanco di vederla correre.
"Oh.. non farlo, non parlarmi e se proprio vogliamo essere chiari, girati. Fa qualcos'altro ma non.. ti prego, non guardarmi andare via."
"Non hai il diritto. Cazzo! Cosa stai cercando?!"
"Lascia perdere."
"No aspetta." continuò avvicinandosi indifferente. "Cosa devo lasciar perdere?"
"ME!" Urlò lei furiosa.
"Ah ecco, non la scarpa che è sotto la poltrona."
Per la cronaca, era proprio quello che Angie stava cercando.
"E' lì quindi.."
"Si è lì, sei sempre la solita. Non parli e io devo cercare di capirti. E' sempre stato così, all'inizio era divertente ma quando hai cominciato a restare in silenzio con le cose importanti.. Non ho più potuto sopportarlo."
"Senti, non dirmi certe cose."
"Noi eravamo normali."
"Che cosa?" Chiese lei fermandosi un attimo a guardarlo.
"Eravamo persone semplici e ci respiravamo. Ho dovuto sorbirmi serie tv per serate intere. Ma in fondo mi andava bene perché in ogni caso ti accovacciavi vicino a me. Ed io ero felice."
"Mi dispiace."
"Ti dispiace."

Aveva indosso il cappotto ed'era pronta ad uscire. Declan intanto era da qualche parte nel suo ufficio e quando Angie si affacciò per guardarlo, lo vide mettere qualcosa in un cassetto.
"Vuoi che ti accompagni in stazione?"
"Non ce n'è bisogno."
"Allora ti chiamo un taxi." Così dicendo uscì dalla stanza e si diresse in salone per chiamare.
Aveva chiuso la porta ma Angie doveva sapere. Aprì piano la porta e corse in punta di piedi oltre la scrivania che regnava su tutti gli altri mobili.
Aprì tutti i cassetti ma uno era più difficile da scassinare. Una botta e un calcio lo fece sbalzare fuori. Con a seguito un diario.
Era nero con un cordoncino azzurro. Lo guardò un attimo e lo aprì.
Non fece in tempo a scegliere una pagina, che lesse il suo nome.
Lo chiuse di botto e uscì da quella stanza. Declan stava per tornare a lei si strinse il diario sotto il cappotto verde.

Mentre si avviava vicino alla strada, notò ancora le sgommate e alcuni frammenti che giacevano sotto ad alcune piante.
Si voltò indietro cercando Declan e lo vide chiudere il portoncino.
Lo vide girarsi e trasportare di peso una sua valigia, avvicinandosi infine a lei.
"Tra quanto arriva?"
"Tra un paio di minuti."
"Vabene."
Erano impalati l'uno di fianco all'altro senza rivolgersi la parola, quando arrivò il taxi.
Angie aprì lo sportello e ordinò all'autista di portarla alla Union Station.
Mentre il tassista posava le valigie nel portabagagli, Declan non poté più stare in silenzio.
"Io non te l'ho promesso."
"Cosa non mi hai promesso?" Chiese voltandosi un'ultima volta verso di lui.
"Non ti ho promesso di non aspettarti. Lo farò tutta la vita."
"Declan..."
"No, ti prego, non posso promettertelo. Non so come dirti che ti amo."
"Non amerai la nuova me."
"Sbagli, come posso non amare anche l'idea di avere la possibilità di ricominciare per bene?"
"Perché questa possibilità non c'è."
Non c'è. E l'amerò ancora di più per questo."

Declan chiuse lo sportello e si incamminò verso il S. Susan a piedi.
Angie invece guardava in avanti, verso la strada, attendendo che per caso Declan entrasse piano nel suo campo visivo.
Non voleva guardarlo, aspettava fosse il caso a decidere per lei.
Ma non ne ebbe tempo perché l'auto partì, superandolo.
Mentre attraversavano Adams Street scoprì il diario nero e cominciò a sfogliarlo. La prima pagina era datata diciannove Settembre duemilaotto e delle parole inchiostrate erano scritte velocemente sulla prima pagina.

Sono tre giorni che non torna a casa, come al solito scappa dalle difficoltà. Io non capisco,
la mattina mi preparò il solito caffè doppio e adesso nemmeno una chiamata.
Forse non le prende il telefono, forse è dai suoi.
Dovrei chiamare la polizia, ma le sue cose non sono in casa.
Che voglia il divorzio?

Sfogliò alcune pagine e si ritrovò catapultata nel ventiquattro Novembre duemilaotto.

Non è possibile, non può essersene andata così.
Non è da nessuna parte e Dio, ti prego, fa che sia viva. Non importa con chi è, cosa stia facendo, il mio unico pensiero è che stia bene. Salva da qualche parte.
A ridere di me che scrivo su un diario, non ha importanza nemmeno questo.
Io continuerò a cercarla per sempre, dovesse essere in capo al mondo, io mi girerò sempre se per strada dovessi vedere quel taglio di capelli, quel paio di scarpe.
E se mai dovessi sentire il suo profumo, sempre tu, Dio, fa che io non svenga.
Non so più cosa fare. Nella sua vita non c'era più posto per me?

Adesso, era solo questione di scegliere.
Quel treno l'avrebbe portata dai suoi genitori, dalla sua famiglia. Ma Angie si rese conto che un'altra persona l'amava. E che probabilmente dopo tutte le cose passate, l'avrebbe amata ancora. Era ferma in stazione davanti ai binari, il treno le era di fronte e mancavano solo tre minuti alla partenza.
Aveva mille ragioni per andarsene, e solo una per rimanere. Paradossalmente avevano la stessa importanza e i suoi pensieri ricadevano da una parte all'altra.
Dentro di lei, inconsciamente, aveva già scelto.
Mancava un minuto e un uomo annunciò, attraverso degli altroparlanti, che il treno al binario dodici stava per lasciare la stazione.
Treno, casa, famiglia, Declan.
Amore contro amore. Era solo questione d'istinto.

 

"... Non ero forse un valido motivo per restare?"

"Sei ritornata da me, e non lo sai."

"Mi hai salvato la vita pensando prima alla mia che alla tua."

"Io ti amo."

"Ti lascio andare."

"Non ti ho promesso di non aspettarti. Lo farò tutta la vita."
"Declan..."
"No, ti prego, non posso promettertelo. Non so come dirti che ti amo."


E salì sul treno.
"Mi sarà impossibile dimenticarti, davvero, io ritornerò."

 

Tu hai paura dei cambiamenti.
Preferisci immaginare di poter scappare invece di provarci;
perché se ti va male non avrai più niente.
Rinunci alla possibilità di fare qualcosa di vero,
così puoi aggrapparti alla speranza.
Ma vedi, la speranza è roba da femminucce.
-Dr. House- 

 

6/10/2012

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