Cinquanta sfumature di marrone di Belfagor (/viewuser.php?uid=51754)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cinquanta bionde per lui posson bastare ***
Capitolo 2: *** Cinquanta domande scottanti ***
Capitolo 3: *** Cinquanta pennellate di antiruggine ***
Capitolo 1 *** Cinquanta bionde per lui posson bastare ***
Cap. 1
A/N: Salve a tutti. Come avrete già intuito dal titolo, questa vuole essere una parodia di Cinquanta sfumature di grigio.
Le vicende seguiranno più o meno l'andamento della trama
originale. Non posso garantire che aggiornerò spesso (mai
fidarsi di uno studente universitario); in ogni caso, spero che
apprezziate. Le scene "esplicite" saranno virate sulla parodia, quindi
penso che il rating arancione sia sufficiente. Ovviamente non possiedo
nulla relativo a "Cinquanta sfumature di...", ma i personaggi sono di
mia creazione. Non vi auguro buona lettura. Vi dico di leggere... senza pietà.
Cinquanta sfumature di marrone
Dedicato ai giacobini che mi hanno fatto scoprire il capolavoVoH.
Capitolo 1
Cinquanta bionde per lui posson bastare
Mi guardo allo specchio,
incavolata nera. Al diavolo i miei capelli, che non vogliono saperne di
stare al loro posto, formando invece questa chioma ribelle e selvaggia
che, nonostante tutto, la popolazione maschile del campus
trova sexy. E al diavolo anche Jill Jackson-Jennings, che ha avuto
la bella idea di beccarsi una colite, per poi implorarmi di sostituirla
senza il minimo preavviso. Dovrei studiare per gli esami, a dispetto di
quello strano fenomeno per cui i protagonisti di opere come questa non
studiano una mazza e poi superano brillantemente il college. Ma sto
andando fuori tema. Il problema è che sono qui a cercare di
pettinarmi, senza alcun risultato. In queste condizioni, la luce del
sole fa risaltare ulteriormente le tonalità completamente
naturali del miei capelli: un disastro!
Jill è la mia coinquilina. Fra tutti i giorni possibili per
la gara di chili con Jacobo ha scelto proprio ieri. Ha passato la notte
sul
gabinetto e adesso, con l'idratazione di una mummia e una bella
presenza da funerale, non è certo in condizioni di intervistare
un pezzo grosso per il giornale universitario. Un tizio che non ho mai
visto neanche in foto, ma che Jill mi ha rapidamente descritto come una
specie di Ozymandias più giovane e meno ambiguo. Infatti, chi
è la sfigata a cui toccherà farsi mezz'ora di macchina
con ABS e aria condizionata, entrare in uno dei grattacieli più
eleganti del mondo e parlare in prima persona con l'amministratore
delegato della Brown G.F.B. Inc.? Esatto, io. La solita sfiga. Il tempo
di questo imprenditore è preziosissimo - anche se, in tutta
onestà non ho mai capito cosa debba fare un amministratore
delegato - ma questo non gli ha impedito di concedere a Jill
un'intervista.
Dal bagno, la voce di Jill mi strappa da queste elucubrazioni.
«Scusami Vagy» dice, prima di tirare lo sciacquone per
l'ennesima volta «Mi ci sono voluti sei
mesi e un paio di lavoretti per ottenere l'intervista, non
posso giocarmi questa possibilità».
Esce dal bagno. Ma come diavolo fa? Anche mezza stroncata dalla colite
è una meraviglia, con i capelli corvini come la mezzanotte in
perfetto ordine e il cielo blu zaffiro che risplende nei suoi occhi,
sebbene siano arrossati dalle vampate dovute al chili. Ignoro un
inopportuno moto di compassione, e ignoro anche quello che mi ha detto
Davis, che studia medicina, sul fatto che gli occhi arrossati non
possono risplendere.
«Ci vado, Jill, non preoccuparti. Tu pensa a riposarti. Hai preso un gastroprottettore?»
«Ne ho già presi cinque, credo che ora passerò direttamente al gesso» Mi porge un foglio e un piccolo registratore. «Qui ci sono scritte le domande da fare. Ci penserò io a trascrivere.»
«Non so niente di questo tizio»
dico, mentre l'ansia mi assale nuovamente, facendomi lievemente
impallidire in un modo che è stato descritto come "molto sexy".
«Ma che ti frega. Leggi le domande e lascia che sia il suo ego a parlare.»
«Sarà meglio che vada, adesso. Chiedi a qualcuno
del dipartimento di arte di portarti del gesso di Parigi, ci puoi fare
una zuppa.»
«In bocca al lupo, Vagy. E grazie ancora.»
La mia meta è il quartier generale della multinazionale di
Tristan Brown: un grattacielo di 66 piani, probabilmente disegnato da
un architetto che compra Playboy per nasconderci dentro delle foto del
Bauhaus. Sulle porte a vetri dell'ingresso, in caretteri oro sobri e
barocchi al tempo stesso, la scritta BROWN sovrasta il logo della
società: un uomo in posa trionfale con un piede sopra il globo
terrestre. Mi accorgo che sto respirando in modo affannoso, così
slaccio un bottone della mia camicetta e respiro più
profondamente. Mi faccio forza
ed entro.
La reception è in marmo bianco, decorata con piccole colonne in
stile classico. Una bionda elegantissima mi sorride in modo amabile,
simile al modo in cui sorridono i genitori ai compagni d'asilo dei loro figli quando vedono i disegni che hanno fatto.
«Sono qui per vedere Mr Brown» dico, cercando di darmi un tono «Geena Zinke per conto di Jill Jackson-Jennings.»
«Un momento, Miss Zinke.»
Resto lì, muta e impacciata, mentre lei inizia a smaltarsi le
unghie di fucsia. Rimpiango di non essermi fatta prestare una giacca
elegante da Jill, invece di usare questa giacca sportiva che mette in
risalto le mie curve al posto giusto, per non parlare di dell'anonima
camicetta bianca che, noto solo ora, lascia intravedere il reggiseno nero in
pizzo e seta. E gli stivali col tacco 11? Catastrofe.
Sforzandomi di apparire impassibile, risistemo una ciocca ribelle
dietro l'orecchio. Finalmente, la valchiria ossigenata ripone lo smalto
e mi porge un documento.
«Firmi qui, Miss Zinke. Prenda l'ascensore centrale per il 66° piano. Non dimentichi il pass.»
Prendo il cartellino, la ringrazio e mi dirigo verso gli
ascensori. Persino gli addetti alla sicurezza sono vestiti meglio di
me: a loro il tacco 11 sta una meraviglia.
L'ascensore mi porta al 66° piano ad una velocità
supersonica. Non riesco a mantenermi in equilibrio. Quando si ferma, le
porte si aprono e cado addosso ad un'altra bionda. Con uno scatto
felino, lei si rialza roteando sui tacchi a spillo e, dopo avermi
rivolto uno sguardo fulminante, entra nell'ascensore. Cominciamo bene.
All'elegante reception in pietra nera, decorata con due pantere pronte
a balzare, è seduta una terza bionda. Si alza per accogliermi e
noto che è vestita in cuoio nero, con stivali alti e
lucidi decisamente migliori dei miei. «Miss Zinke, le dispiace aspettare qui, per cortesia?»
Mi indica un salottino elegantemente francese,
con un tavolino di cristallo e poltrone di velluto
rosso. Questo Brown ha anche buon gusto in fatto di arredamento.
Dietro, un'ampia vetrata offre una vista su quello che ha tutta l'aria
di essere un campo per la costruzione di una piramide. Un panorama che
mi toglie il respiro. Mi siedo e, ignorando le pur interessanti
riviste Sciovinismo oggi e Sindacato? Che assurdità!,
mi concentro sulla lista delle domande. Non faccio in tempo ad arrivare
in fondo, però. Quell'edificio assorbe tutta la mia attenzione.
A giudicare dallo stile, questo Brown potrebbe essere sulla quarantina,
anche se probabilmente dimostrerà meno dei suoi anni. Già me lo immagino: alto,
snello, abbronzato, senza dubbio il miglior amministratore delegato
degli ultimi 150 anni.
Una quarta bionda, con una minigonna lunga sì e no una ventina
di centimetri e delle calze a rete impeccabili, esce da una porta sulla
destra. Ma qui alla Brown si produce anche acqua ossigenata?
«Miss Zinke?» mi domanda.
«Sì» gracchio. L'aria condizionata sarà sui 15 gradi. Mi schiarisco la gola e rispondo nuovamente «Sì» cercando di sembrare più sicura. Poi mi accorgo di aver sputacchiato sulla camicetta della bionda numero quattro.
«Mr. Brown la riceverà fra un attimo» dice lei, col tono di chi vorrebbe fare una strage con l'antrace ma proprio non ne ha il tempo «Posso prendere la sua giacca?»
«Sì, grazie.»
Mentre me la sfilo, l'elastico per i capelli resta impigliato nella
cerniera e viene fiondato contro il naso della bionda. E, quel che
è peggio, non è più a contenere la mia chioma
ribelle, che ricade morbidamente sulle mie spalle.
Digrignando i denti, la bionda mi domanda: «Le hanno offerto qualcosa da bere?»
Esito prima di rispondere: «No.» Non avrò messo nei guai qualche altra bionda, vero?
«Mi scusi un attimo.»
Si dirige verso la reception e rivolge uno sguardo accigliato alla
bionda vestita di pelle. Questa si alza e le porge le terga, sulle
quali arriva un colpo di frustino. Dopodiché, la bionda con la
minigonna chiede: «Gradisce un tè, un caffè, un bicchier d'acqua?»
«Un bicchier
d'acqua» rispondo, piuttosto confusa. Questo Brown deve avere una
grande considerazione delle donne, viste le libertà che concede
loro.
La bionda vestita di pelle si allontana. «Yves è la nostra nuova stagista» spiega la bionda con la minigonna, arcuando il frustino con uno sguardo malizioso «Deve ancora entrare nei ritmi dell'azienda.»
Yves torna con un bicchiere di acqua ghiacciata. Ne bevo metà
prima di sentire il rumore di una porta che si apre. Ah no, quello è il rumore del mio intestino. Colite in arrivo. Adesso sento il rumore di una porta che si apre. Dall'ufficio esce
una prosperosa quarantenne (ovviamente bionda) con una sigaretta appena accesa fra le dita.
Prima di andarsene, mi guarda e dice: «Con quel culo secco, non durerai una settimana.»
Dopo aver spedito Yves a chiamare l'ascensore, la bionda in minigonna mi si avvicina e dice: «Mr. Brown è pronto a riceverla, Miss Zinke. Entri pure.»
Apro la porta e infilo per sbaglio la manica nella maniglia. Sento un
forte strattone mentre i bottoni della camicetta si strappano, perdo
l'equilibrio e cado distesa sul pavimento dell'ufficio.
"Cretina, imbecille!" esclama la mia dea interiore "Potresti almeno
avvertire quando fai questi capitomboli! Ho quasi rotto lo strap-on."
Due mani forti e salde mi afferrano i seni. Probabilmente starà
cercando di praticarmi il massaggio cardiaco. Apro gli occhi e...
merda, è davvero giovane.
«Miss Jackson-Jennings» mi dice, porgendomi una mano, quando mi sono rimessa in piedi «Va tutto bene? Non sta sanguinando, vero? Far pulire questo pavimento costa un casino.»
Giovanissimo, raffinato e bello da morire. È alto, indossa un
elegante completo marrone, una camicia blu e una cravatta nera. Ha
un'intensa chioma leonina di capelli biondo rame scuro e luminosi occhi
castani che mi scrutano con attenzione. Si vede che non ha mangiato il
chili ieri sera.
Sono così imbarazzata che passa qualche secondo prima che riesca ad articolare la risposta. «Sto bene»
dico, stringendogli la mano. Quando le nostre dita si toccano, sento
una scossa inebriante. Poi mi accorgo che mi sta stritolando la mano. E la stritola in modo così sexy.
«Miss Jackson-Jennings è indisposta» spiego, riposizionando le nocche «Mi ha chiesto di sostituirla. Sono Geena Zinke.»
«Capisco» dice lui «Vuole accomodarsi?»
Indica un divano in pelle nera. Davanti alla vetrata, dalla quale si ha
una vista generale del campo di costruzione, c'è un'enorme
scrivania che potrebbe essere rivestita in pelle umana. Tutto il resto
è bianco. Sul muro a sinistra sono appesi alcuni quadri di donne
nude in pose esplicitamente osé. Una si avvale dell'ausilio di un pollo di gomma.
«Mi sembra di conoscere lo stile di quei quadri» dico, cercando di di mostrarmi acculturata «Un
artista locale, vero? Mi piace il modo in cui eleva al livello di pura
arte quella che potrebbe essere scambiata per pornografia.»
«In realtà» spiega lui «Quelle sono le pagine del calendario in tiratura limitata allegato a SUV per manager del dicembre 1999. Ma non perdiamo altro tempo.»
Si lascia morbidamente cadere su una delle poltrone davanti a me,
scivola sul bordo e finisce col sedere a terra. Con sconcertante
nonchalance, si rialza e si siede normalmente. Prendo il registratore
dalla borsa e lo appoggio sul tavolino. Accidentalmente, schiaccio il
tasto "Play" e la voce di Jill inizia a diffondersi. Deve averlo acceso
per sbaglio ieri sera, visto che la sento parlare di chili e
peperoncini verdi con Jacobo. Cerco di spegnere il registratore, ma
inavvertitamente faccio avanzare la registrazione fino al punto in cui
la conversazione viene sostituita da gemiti, gridolini eccitati e
un rumore ovattato simile a quello di una persona che sbatte
ripetutamente contro il muro. Brown mi guarda con aria interrogativa.
«Dev'esserci un problema tecnico» dico imbarazzata, cercando di riavvolgere il nastro «Ecco, ci siamo. Jill le detto che l'intervista comparirà sul giornale universitario?»
«Sì, dato che quest'anno sarò io a consegnare i diplomi di laurea alla cerimonia di quest'anno.»
«Non lo sapevo» dico «Quindi sarà lei a consegnare il diploma e a dare la tradizionale stretta di mano.»
«Sì... di mano...» esita lui,
Premo il pulsante "Rec". «Possiamo iniziare l'intervista, signor Brown.»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Cinquanta domande scottanti ***
Cap. 1
A/N: Ecco il tanto atteso secondo capitolo. Ringrazio tantissimo winola per la betatura. Grazie mille, caVaH!
Capitolo 2
Cinquanta domande scottanti
Leggo
la prima domanda sul foglio. «Ha una lince modificata geneticamente
come animale da compagnia?»
Inarca un sopracciglio sexy. «Come,
prego?»
«È la prima domanda».
«No, non ho animali da
compagnia».
«Possiede una base operativa in
Antartide?»
«No».
«Capisco. Ha fatto qualcosa di terribile
esattamente trentacinque minuti fa?»
«No».
Mi affretto a
leggere la domanda successiva: «Dunque, Brown GFB: Glamour,
Fitness & Bioweapons, giusto?»
«Esatto»
conferma lui con un sorriso smagliante.
«Com'è nata questa
unione vincente?»
«Ricorda l'esperimento di Tuskgee sulla
sifilide? La mia famiglia ne ha visto le enormi
potenzialità».
Resto sorpresa da una simile creatività.
«Davvero?»
«Davvero. Fra un paio di settimane lanceremo una
nuova versione della Variola minor».
«Sul mercato?»
chiedo preoccupata.
«Santo cielo, no!» risponde lui con una tale
veemenza che mi viene il dubbio di aver insultato i suoi principi
morali «Sulla Corea del Nord».
Faccio un sospiro di sollievo:
«Ah, meno male». Credevo che la gente nella sua posizione non
avesse un codice etico così forte.
Passo alla domanda successiva.
«Lei ha raggiunto una posizione invidiabile a soli ventisette anni.
Qual è il segreto di un simile successo?»
Lui mi fissa negli
occhi prima di rispondere e non capisco se stia cercando di catturare
il mio sguardo con le sue pupille magnetiche o se ho qualcosa
incastrato fra i denti. Finalmente risponde: «Vede, miss Zinke,
molti pensano che gestire simili attività sia qualcosa difficile da
afferrare per i comuni mortali...»
Si ferma. Probabilmente si è
reso conto di non aver usato un termine appropriato. «Volevo dire,
per gli esseri inferiori».
«Molto meglio» convengo.
«Comunque,
quello che stavo dicendo è che, al di là dei tecnicismi, è
piuttosto semplice. Questo è il mio segreto. Io gestisco senza
pietà».
A quelle parole, la mia dea interiore ripone il costume
da cameriera francese e tende l'orecchio per ascoltare
meglio.
«Gestisce senza pietà» ripeto. «In che senso,
esattamente?»
La domanda non è sul foglio, ma non posso fare a
meno di chiederglielo. La voce di quell'uomo ha una strana influenza
su di me. Per di più non ho capito una mazza di quello che ha
detto.
Sorride. «Non è qualcosa che può essere spiegato
interamente, penso che ci sia qualcosa di innato. Alcuni sono portati
al comando e altri sono fatti per essere sottomessi, bisogna solo
cogliere i segnali e capire qual è il proprio ruolo. Io ho
realizzato quale sarebbe stato il mio destino il giorno in cui una
copia de La rivolta di Atlante mi cadde sulla fronte.
Copertina rigida. Ci vollero diciannove punti e un
elettroencefalogramma di sei ore, ma mi ha permesso di forgiare il
mio carattere. Ora sono un uomo che non deve chiedere. Mai.»
A
quel 'mai', sento un brivido attraversarmi la spina dorsale. Poi mi
accorgo che è solo la mia dea interiore che ha inserito il vibratore
nella presa della 380. Fantastico, ora i miei chakra puzzano di pollo
strinato. Forse è meglio passare alla domanda seguente.
«Lei non
ha fondato personalmente la Brown GFB. Com'è nata questa grande
azienda?»
«Tutto questo è stato possibile grazie al mio
bisnonno, Jorgen Braun».
Un'altra sorpresa. «Lei ha origini
tedesche?»
«Sì. Il mio bisnonno era un grand'uomo,
intraprendente e lungimirante. Sul fronte orientale era noto come 'il
macellaio di Minsk'. Era un uomo così determinato che i sovietici lo
dovettero affogare, impiccare e poi bruciare, per andare sul sicuro.
Cose che capitano. Invece di perdere tempo a disperarsi, la mia
bisnonna ha spostato la sua fabbrica di mangime per pesci negli Stati
Uniti.»
Mi accorgo che la sua narrazione si fa sempre più
coinvolgente ed appassionante, al punto che mi sento quasi
ipnotizzata. Dovrei concentrarmi solo sulle domande. O sul fatto che
la mia camicetta sia ancora strappata.
«Mentre ero al college, ho
iniziato a dirigere la mia prima attività. Ho seguito le orme di mio
padre.»
Mi mostra la foto di un uomo che indossa una vistosa
pelliccia bianca e tiene ben saldo in una mano un lungo bastone nero.
Con l'altra mano, ricoperta di anelli d'oro, sta schiaffeggiando una
giovane donna.
«Wesley Brown» spiega, con la voce carica
d'orgoglio «Fondatore della Brown Brothels. Grazie ai proventi delle
case di tolleranza ha potuto finanziare le attività di questa grande
azienda. Forse ha ragione, c'è un segreto.»
Lo sapevo!
«Davvero?»
«Sono convinto che, per raggiungere il successo in
un qualsiasi settore, si debba diventare padroni di quel campo.
Modificare i paradigmi preesistenti per adattarli al proprio stile di
gestione, ribaltare le consuetudini socio-finanziarie, distruggere
una spietata macchina statale che impedisce agli uomini di genio di
realizzare le proprie ambizioni, se nececssario, non farsi più
simulacri di una banale plutocrazia, ma applicarne i canoni nella
nuova realtà della globalizzazione...»
Questo linguaggio tecnico
mi confonde. «In parole povere?»
«Avere una famiglia con i
soldi.»
«Quindi la fortuna c'entra, in ogni caso.»
«Non mi
sottometto alla fortuna o al caso, Miss Zinke. È questione di avere
le persone giuste nella propria squadra e di saperne guidare le
energie al meglio. Mi permetta di citare un brano del mio libro
preferito, La rivolta di Atlante: il discorso di John
Galt.»
Prima che mi ricordi quanto sia lunga quell'arringa,
lui prende un libro (probabilmente rilegato in pelle umana) che
potrebbe fungere tranquillamente da contrappeso per una catapulta e
inizia a leggere.
Dopo un'ora non è arrivato neanche a metà. A
quel punto la mia dea interiore, che nel frattempo ha imbiancato le
pareti del mio karma e ha rassettato la ayurveda, mi impone di fare
una domanda ad hoc per sbloccare la trama.
«È vero quel che si
dice sul suo conto, che lei è un maniaco del controllo?»
Lui
chiude il libro e con eleganza lo poggia sulla scrivania, che
scricchiola con altrettanta eleganza.
«Oh, io esercito il
controllo su tutto, miss Zinke. A questo proposito, mi scusi un
attimo...»
Apre la portafinestra alle spalle della sua scrivania
ed esce sull'ampio balcone, mentre il suono di una sirena riecheggia
per il campo di costruzione.
«Schiavi!» esclama «Il vostro
signore e padrone porge la sua benedizione a uno di voi.»
Noto
che ha in mano una frusta particolarmente lunga. Senza farmi notare,
mi alzo per vedere cosa ha intenzione di fare. Con un colpo deciso la
solleva e l'abbassa, affibiando una frustata sulle natiche di uno
degli operai, che sono prostrati come se stessero adorando un dio
vero e proprio.
«Ecco fatto» dice, chiudendo la portafinestra e
sedendosi nuovamente alla scrivania. «Vede, è questo che intendo
per controllo.»
Lo guardo negli occhi, e lui regge il mio
sguardo, impassibile. Per un attimo penso che abbia una collezione di
cadaveri nascosta in cantina, ma poi mi convinco che un uomo della
sua posizione non lo farebbe mai. Al limite, la nasconderebbe nella
dependance.
Perché quest’uomo ha un effetto così inquietante
su di me? Sarà la sua bellezza travolgente? Il suo modo elegante e
conciso di parlare? I suoi occhi che mi guardano come se fossi una
riccastra da spennare al casinò? Il modo in cui si accarezza il
labbro inferiore con il dito? Il pacco, probabilmente imbottito di
ovatta, ma comunque di dimensioni non indifferenti?
«Inoltre, se
nelle proprie fantasie segrete ci si convince davvero di essere un
dio in terra, si acquisisce un potere immenso e si può davvero
giungere a dominare ogni cosa. A meno che non ci si metta in testa di
conquistare la Russia, quello è sempre un gran casino. Meglio
iniziare con l'Alsazia e la Lorena.»
«Lei pensa di poter
dominare ogni cosa?» Al diavolo le domande di Jill.
«Ho più di
settantamila persone alle mie dipendenze, Miss Zinke. Questo comporta
un certo equilibrio fra potere e responsabilità… anzi no, potere
e basta. Se io dovessi decidere che il settore delle
pistole-rossetto o dei rossetti-pistole non mi interessa più e che
voglio vendere, dalle diecimila alle quindicimila persone finirebbero
sotto un ponte nel giro di un mese.»
Lo guardo a bocca aperta. La
sua mancanza di umiltà e di empatia mi fanno pensare che potrebbe
davvero avere una collezione di cuori umani sotto formaldeide.
«Non
ha un consiglio di amministrazione a cui rispondere?»
chiedo.
«Perché, secondo lei hanno mai protestato?»
Mi ha
presa in contropiede. Meglio cambiare argomento. «Ha qualche
interesse, al di fuori del lavoro?»
«Ho interessi molto vari,
Miss Zinke» l’ombra di un sorriso gli sfiora le labbra. «Molto
vari.» Per qualche ragione la sua voce si è abbassata e per un
istante sembra Barry White con le fregole. Nei suoi occhi luccica un
pensiero perverso. O forse si è beccato l'influenza spagnola.
«Che
cosa fa per rilassarsi?»
«Rilassarmi?» Sorride, rivelando denti
bianchissimi e affilati, da far invidia ad un lupo. Mi sembra che
siano macchiati di sangue, ma probabilmente è solo una mia
impressione. È davvero bellissimo, nessuno dovrebbe essere così
attraente. Diamine, dovrebbe essere un crimine punibile con la
prigione.
«Sono molto ricco, Miss Zinke, qualora non si fosse
capito. Per rilassarmi, come dice lei, mi diletto in
attività costose ed impegnative che probabilmente avrà visto
solo sullo schermo di uno squallido 21 pollici.» Fa un ghigno
divertito, risultando ancor più sexy. «Pratico diversi sport: vela,
deltaplano, sci di fondo, lancio del giavellotto, lancio della
granata a frammentazione... alle riunioni di famiglia pratichiamo
anche la caccia allo schiavo nella foresta.»
Leggo la domanda
successiva. «Perché concentra nelle sue mani delle attività
industriali così diverse?» chiedo.
«Mi piacciono le cose. Mi
piace sapere come funzionano e come posso modificarle.»
La mia
dea interiore, immersa nella lettura di un romanzo erotico di bassa
lega, mi suggerisce una replica su misura. «Ora sembra che stia
parlando con il cuore in mano.»
«Perché, non è possibile?»
chiede lui.
«Alcune persone sono convinte che lei non ce l'abbia,
un cuore.»
«E sbagliano. Certo che ce l'ho.»
Si alza e
apre quello che ha l'aspetto di un mobile bar. Estrae un vasetto
colmo di un liquido trasparente, nel quale galleggia un cuore umano.
«Anzi, ne ho più di uno. Questo è stato il primo. Ah, Roger... non
avresti mai dovuto mostrarmi il progetto di quel tapis roulant prima
di brevettarlo...»
Allora ha davvero una collezione di cuori
umani! Un vero tocco di classe, devo ammetterlo.
«Lei investe
anche in tecnologie agricole. Perché le interessa questo
settore?»
«Non vorrà che tutti quegli africani sviluppino delle
tecnologie indipendenti, vero?» replica, sedendosi.
Sbircio la
domanda successiva. Dovrei chiedergli se ha una filosofia di vita, ma
l'idea di sorbirmi un'altra ora di quelle boiate (seppure così sexy,
lette dalla sua voce) non mi aggrada particolarmente. Guardo la
domanda successiva.
«Lei è stato adottato. In quale misura
ritiene che ciò abbia influenzato il suo modo di essere?»
Lui
aggrotta la fronte. Pure quelle linee di espressione che si formano
alla sommità del naso sono sexy. Mi sa che anche i suoi villi
intestinali sono sexy.
«Non ho modo di saperlo.»
«Quanti
anni aveva quando è stato adottato?»
«Questa è un'informazione
di pubblico dominio, miss Zinke» il suo tono si è fatto
improvvisamente severo. Avrei dovuto saperlo, in effetti. Merda.
«Non
dev'essere stato facile superare la perdita dei suoi genitori
biologici».
«Questa non è una domanda» mi fa
presente.
«Giusto. Eh... se i suoi genitori biologici sono morti,
deve averli persi».
«Questa è una tautologia».
«Volevo
dire, le persone muoiono».
«Questa è una legge biologica».
«Per
due punti passa una e una sola retta».
«Assioma».
«Sono
sufficienti le coordinate di due punti per determinare l'equazione di
una retta».
«Corollario».
«Allah è dio e Maometto è il
suo profeta».
«Dogma».
«L'assassino è il
maggiordomo».
«Cliché».
Cerco di concentrarmi e,
finalmente, riesco ad esprimere il concetto in forma interrogativa. E
meno male che studio letteratura e ho letto pure Tess dei
d'Urbervilles. «È stato difficile superare la perdita dei suoi
genitori biologici?»
«Non è stato facile, in effetti. Insomma,
mi ero impegnato molto per sabotare i freni della loro auto e...» si
interrompe e cerca di dissimulare l'imbarazzo per aver rivelato dei
dettagli così intimi. «Mi sembra di aver risposto in modo
esauriente».
«Lei è omosessuale, Mr Brown?»
Lui fa un
sospiro irritato e io chino il capo, mortificata. Ma che... Perché
non ho usato una sorta di filtro prima di sparare questa domanda?
Devo avere la ghiaia che drena tutti i pensieri. Come faccio a dirgli
che mi sono limitata a leggerla? Ma Jill non può limitarsi a
slashare i ragazzi del college?
«No, Geena, non lo sono»
risponde lui, probabilmente sul punto di sfoderare la verga del
comando per dimostrarlo. Vorrei sprofondare.
«Mi scusi» dico «È
solo che Jill mi ha lasciato queste domande e lei è una patita dello
slash. Insomma, basta che due maschi si urtino mentre escono da
un'aula e lei parte a scrivere fanfiction piene di vasellina
e...»
Grazie al cielo il mio sproloquio è interrotto dal rumore
della porta che si apre. Entra la bionda con la minigonna. «Scusi se
la interrompo, Mr Brown, ma il suo appuntamento con i rappresentanti
dall'American Nazi Party è fra due minuti.»
«Non abbiamo ancora
finito, Inga. Dì che rimandiamo a domani».
E, tanto per chiarire
il concetto, le allunga una pacca sul sedere. Inga esce, arrossendo
visibilmente.
«Dove eravamo, Miss Zinke?» Ah, adesso siamo
tornati al Miss Zinke.
"E certo, scema" mi
rimbecca la dea interiore "Cosa ti aspetti? Che ti chiami Vagy,
magari?"
«Voglio sapere qualcosa di lei. Mi sembra
doveroso.»
Appoggia i gomiti sui braccioli della poltrona e
unisce le dita di fronte alla bocca. Le dita a piramide della
contemplazione malvagia, un po' come Mr Burns, ma molto più
sexy. Deglutisco.
«Non c’è molto da sapere» rispondo.
«Che
progetti ha dopo la laurea?»
«Non ho fatto progetti, Mr Brown.
Per il momento, mi basta superare gli esami, cosa che farò senza
problemi. Si è mai visto un film americano in cui qualcuno non
supera un esame?»
«Questo è vero. Ha ottenuto le risposte che
cercava?»
Do un'occhiata al foglio e mi rendo conto che le
domande sono finite. «Sì» rispondo «Sarà meglio che vada ora,
devo portare la registrazione a Jill».
Lui si alza e mi anticipa,
aprendo la porta. «Solo per assicurarmi che arrivi indenne a casa,
Miss Zinke».
"Allora ha un minimo di premura" penso.
Ovviamente, questo non mi impedisce di inciampare mentre raggiungo
l'ascensore. Urto la bionda che avevo steso al mio arrivo, facendola
cadere nuovamente. Si rialza infuriata e con un ceffone mi spedisce
dentro la cabina dell'ascensore. Prima che le porte si chiudano noto
che qualcuno si avvicina a me. Sono ancora scombussolata e non
riconosco chi sia.
«Tristan...» dico, con voce sognante.
Invece
è Yves che, con uno sguardo sprezzante, mi getta addosso la
giacca.
Finalmente, le porte si chiudono.
N/A: Le pistole-rossetto sono quelle rese immortali da Lady Gaga in Judas. I rossetti-pistola, invece, sono un marchio depositato della Brown GFB.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Cinquanta pennellate di antiruggine ***
Cap. 3
A/N:
Scusate per l’enorme ritardo. In fondo al capitolo trovate le
risposte alle recensioni. Un grosso ringraziamento giacobino a Lucy
Light per il suo lavoro di betatura.
Capitolo 3
Cinquanta pennellate
di antiruggine
Il
cuore mi batte la marcia di Radetzky nel petto. Non appena
l’ascensore arriva al pianoterra e le porte si aprono, mi
precipito fuori. Sento il rumore di un tacco che si rompe e cado lunga
distesa. La bionda alla reception posa il piegaciglia per puntarmi
contro l’indice curatissimo ed esclama “Ah-ah!” con
voce nasale.
Umiliata, corro verso le grandi porte a vetri, contro le quali mi schianto. Non avevo notato il cartellino con la scritta Tirare.
Finalmente
mi ritrovo libera nella rinfrancante aria umida. Alzo il viso per
accogliere le prime gocce di pioggia, poi mi accorgo che si tratta di
un gatto che ha deciso di marcare la sommità dell’arcata
dell’ingresso e ha una pessima mira. Almeno non è una
lince. Mi pulisco con un fazzoletto di carta e cerco di recuperare un
minimo di equilibrio mentale prima di tornare alla macchina.
«Sta’
a sentire, che devi aggiornarti» mi dice la dea interiore,
leggendo un articolo dall’ultimo numero di Passive sfrante,
sulla cui copertina campeggia un’immagine di Loki con una canotta
a rete «Oggi è quanto mai sconveniente chiedere ad un uomo
se è un omosessuale. È più appropriato, invece,
domandare con nonchalance se “gli piace sentire la
presenza”, eventualmente accennando il movimento delle anche
tipico dei cani quando montano le gambe dei tavoli».
«Ti prego, smettila» le dico.
Mentre
mi lascio alle spalle il quartier generale della Brown GFB, ripenso
all’intervista e mi sento in imbarazzo. Per scacciare questi
pensieri, mi dico che forse sto reagendo in modo eccessivo a qualcosa
che esiste solo nella mia immaginazione (tranne la caduta
all’inizio, le mie costole mi suggeriscono che quella era vera).
Certo, Brown è una persona attraente ed intraprendente, ma allo
stesso tempo è così arrogante e dispotico. Però,
forse se lo può concedere: è arrivato a capo di un impero
finanziario ad una così giovane età, qualora non si fosse
ancora capito…
“Lascia
perdere, Vagy” mi dico. Tutto sommato, non vale la pena di
rimuginarci sopra. Non lo rivedrò mai più. E non
rivedrò mai più quell’esercito di valchirie
ossigenate, né tantomeno quegli addetti alla sicurezza che sanno
calzare il tacco 11 con molta più naturalezza ed eleganza della
sottoscritta. Che invidia!
Io
e Jill abitiamo in un complesso di villette a schiera vicino al campus.
Ho avuto fortuna: quando ha acquistato la villetta, la madre di Jill ha
accidentalmente accavallato le gambe à la Basic Instinct e ha
ottenuto uno sconto da favola. In più, l’affitto che le
pago è ridicolo. Insomma, le classiche sfortune di una
studentessa universitaria.
«Vagy,
sei tornata!» Jill è seduta in soggiorno, con un libro
aperto sul tavolo di fianco ad un sacchetto di gesso mezzo vuoto. Mi
corre incontro e mi abbraccia forte, ruttando come un beone mentre mi
stringe. «Non pensavo che l’intervista ti prendesse
così tanto tempo. Perché c’è questa puzza di
ammoniaca?».
«Non farci caso. L’intervista si è un po’ prolungata».
«Non
so proprio come ringraziarti. Magari ti compro un nuovo deodorante per
abiti. Ma dimmi un po’: com’è andata? Che tipo
è?».
Certo
che a volte è davvero asfissiante con le sue domande. Ah no, non
sono le domande, è il gas intestinale. Che posso dire?
«Diciamo
che sono felice che sia finita. Mi ha messo una certa soggezione.
È un tipo strano, intenso e… giovane».
«Piccoli
dilf crescono» commenta laconica Jill «Mi dispiace di non
averti dato qualche informazione in più, ma non pensavo di
trovarmi in queste condizioni».
«Hai un aspetto migliore, però. Hai mangiato la zuppa?».
«Sì» annuncia felice, e con un rutto poderoso spande una nuvola di polvere di gesso per tutta la stanza.
Controllo l’orologio. «Se mi sbrigo, riesco ancora a fare il mio turno da Fernow».
«Forse prima dovresti cambiarti il vestito. E scacciare quel nugolo di gatti che stanno raspando contro la porta».
Fernow
è la ferramenta più rinomata e, di conseguenza, la
più frequentata della contea. Sono contenta di avere qualcosa
per distrarmi da Tristan Brown. Oggi sono iniziati i saldi nel reparto
rosso e la clientela più raffinata si è riversata nel
negozio. C’è chi sventola una confezione da dodici candele
falliche, chi chiede dei consigli sulle catene da bondage, chi ritira
la testiera del letto decorata con frasi di Sacher-Masoch.
«Vagy!»
esclama il signor Fernow, un Thénardier bostoniano che, almeno
così si dice, si finge un immigrato polacco per beccarsi gli
spiccioli dello IOR «C’è da verniciare la gabbia
king size!».
Diamine,
l’avevo dimenticato. Dato che la gabbia è particolarmente
alta, indosso l’imbracatura di sicurezza: una tenuta nera da
servetta francese con grembiule bianco e tacchi alti.
«L’antiruggine
è quello verde occhi-di-tua-madre» dice Fernow poggiando
una scala a pioli contro la gabbia «Sbrigati e vedi di mostrare
un filo di chiappe, che voglio battere il record d’incassi».
Sospiro
e, prima di salire sulla scala, accendo la radio. Nell’aria si
diffondono le note di un sax, e quasi mi par di vedere Brooke Logan in
vestaglia che aspetta il prossimo con cui condividere l’alcova.
Che sia Tristan Brown?
No,
non devo pensare a queste cose. Mi concentro sul lavoro che devo fare
e, nonostante l’equilibrio decisamente precario, inizio a passare
l’antiruggine sulla gabbia. Nel farlo, mi domando chi possa
acquistare una gabbia così grande e kitsch, peraltro verniciata
in questo modo incedente…
«Vagy, hai finito?» La voce di Fernow mi distrae dai miei pensieri. «È arrivato il cliente!».
Bene, voglio proprio vederlo questo perver…
«Salve».
Merda. È lui. Tristan Brown.
«Sbaglio
o si è imbottito il pacco con l’ovatta?» osserva la
dea interiore. Ma non è questo il problema, al momento.
«Lei» dico, pietrificata.
«Lo
conosci?» domanda Fernow arricciandosi i baffi da villain, prima
di affrettarsi a dire: «Non si fanno sconti agli amici del
personale».
«Io
e la signorina Zinke ci siamo conosciuti stamattina» spiega lui,
sistemandosi una cravatta a righe fucsia e verde oliva molto sexy.
Annuisco.
«Non
sapevo che fosse brava anche con il bricolage» commenta lui
«Voglio che questa gabbia sia perfetta. Dovrò averla sotto
gli occhi per tutto il giorno ».
«A-ha!» esclamo con fare trionfante «Quindi ce l’ha una lince!».
«No, è per la promozione di Inga».
Il sorriso mi si spegne sul volto.
«Ma
vorrei che le altre ragazze non lo sapessero» spiega lui
«È un regalo perché ha dimostrato di sapersi
adattare ad un orario… flessibile».
«Capisco» dico «Mi ci vorranno altri cinque minuti».
«Prego»
dice lui. Riprendo a lavorare e mi pare di sentire un commento da parte
sua: «Brava, Geena… brava».
Non
appena ho passato l’ultima pennellata di antiruggine,
improvvisamente la musica alla radio cambia. Dal nulla si
materializzano dodici aitanti magazzinieri che, armati di phon,
iniziano ad asciugare la vernice. Altri due mi fanno scendere dalla
scala a pioli, mentre tutti intonano “Brava Geena,
brava…”.
«Silenzio!»
grida Fernow, sfoderando la frusta «Non vi pago per cantare!
Vedete di asciugare quella gabbia, se volete riavere il gabinetto nella
toilette!»
Partono
un paio di frustate che si mescolano a degli applausi, un po’
come i miei occhi si erano mescolati con quelli della mia prima cotta,
un dolore pazzesco. Tutti si voltano a guardare Brown. E
quell’infame sorride.
-
-
- - -
E ora le risposte alle recensioni.
@blacksmokey: Ho pensato un bel po’ allo scambio di battute sul
corollario, anche perché volevo che fosse breve ma efficace. Mi
fa piacere che sia stato apprezzato.
@msmiumiu: Sono sempre felice quando riesco a far ridere qualcuno in
un’aula studio (cosa che a me capita spesso, perché
anch’io ho l’abitudine di girovagare per Internet durante
le pause caffè XD). Spero che anche questo capitolo sia stato di
tuo gradimento.
@Mrs_Depp: Se avessi saputo che quella sequenza sarebbe stata
così gradita, avrei aggiunto anche un paio di figure retoriche
extra XD Spero che l’attesa per il terzo capitolo sia stata
ripagata.
@lilyj: Chiaro che c’è ammmmmoreh. Perché c’è un noi. XD
@fanny_rimes: Grazie per i complimenti e anche per la pazienza
nell’attendere un nuovo capitolo. Anch’io sono esigente per
quanto riguarda le parodie, quindi sono felice di sapere che sto
facendo un buon lavoro.
Spero che manteniate la vostra pazienza nell’attesa del quarto
capitolo. Si sa, l’università impera ed è senza
cuore. A presto! (si fa per dire)
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1234152
|