Cinquanta sfumature di marrone

di Belfagor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cinquanta bionde per lui posson bastare ***
Capitolo 2: *** Cinquanta domande scottanti ***
Capitolo 3: *** Cinquanta pennellate di antiruggine ***



Capitolo 1
*** Cinquanta bionde per lui posson bastare ***


Cap. 1
A/N: Salve a tutti. Come avrete già intuito dal titolo, questa vuole essere una parodia di Cinquanta sfumature di grigio. Le vicende seguiranno più o meno l'andamento della trama originale. Non posso garantire che aggiornerò spesso (mai fidarsi di uno studente universitario); in ogni caso, spero che apprezziate. Le scene "esplicite" saranno virate sulla parodia, quindi penso che il rating arancione sia sufficiente. Ovviamente non possiedo nulla relativo a "Cinquanta sfumature di...", ma i personaggi sono di mia creazione. Non vi auguro buona lettura. Vi dico di leggere... senza pietà.


Cinquanta sfumature di marrone



Dedicato ai giacobini che mi hanno fatto scoprire il capolavoVoH.




Capitolo 1
Cinquanta bionde per lui posson bastare



Mi guardo allo specchio, incavolata nera. Al diavolo i miei capelli, che non vogliono saperne di stare al loro posto, formando invece questa chioma ribelle e selvaggia che, nonostante tutto, la popolazione maschile del campus trova sexy. E al diavolo anche Jill Jackson-Jennings, che ha avuto la bella idea di beccarsi una colite, per poi implorarmi di sostituirla senza il minimo preavviso. Dovrei studiare per gli esami, a dispetto di quello strano fenomeno per cui i protagonisti di opere come questa non studiano una mazza e poi superano brillantemente il college. Ma sto andando fuori tema. Il problema è che sono qui a cercare di pettinarmi, senza alcun risultato. In queste condizioni, la luce del sole fa risaltare ulteriormente le tonalità completamente naturali del miei capelli: un disastro!
Jill è la mia coinquilina. Fra tutti i giorni possibili per la gara di chili con Jacobo ha scelto proprio ieri. Ha passato la notte sul gabinetto e adesso, con l'idratazione di una mummia e una bella presenza da funerale, non è certo in condizioni di intervistare un pezzo grosso per il giornale universitario. Un tizio che non ho mai visto neanche in foto, ma che Jill mi ha rapidamente descritto come una specie di Ozymandias più giovane e meno ambiguo. Infatti, chi è la sfigata a cui toccherà farsi mezz'ora di macchina con ABS e aria condizionata, entrare in uno dei grattacieli più eleganti del mondo e parlare in prima persona con l'amministratore delegato della Brown G.F.B. Inc.? Esatto, io. La solita sfiga. Il tempo di questo imprenditore è preziosissimo - anche se, in tutta onestà non ho mai capito cosa debba fare un amministratore delegato - ma questo non gli ha impedito di concedere a Jill un'intervista.
Dal bagno, la voce di Jill mi strappa da queste elucubrazioni. «Scusami Vagy» dice, prima di tirare lo sciacquone per l'ennesima volta
«Mi ci sono voluti sei mesi e un paio di lavoretti per ottenere l'intervista, non posso giocarmi questa possibilità».
Esce dal bagno. Ma come diavolo fa? Anche mezza stroncata dalla colite è una meraviglia, con i capelli corvini come la mezzanotte in perfetto ordine e il cielo blu zaffiro che risplende nei suoi occhi, sebbene siano arrossati dalle vampate dovute al chili. Ignoro un inopportuno moto di compassione, e ignoro anche quello che mi ha detto Davis, che studia medicina, sul fatto che gli occhi arrossati non possono risplendere.
«Ci vado, Jill, non preoccuparti. Tu pensa a riposarti. Hai preso un gastroprottettore?»
«Ne ho già presi cinque, credo che ora passerò direttamente al gesso» Mi porge un foglio e un piccolo registratore. «Qui ci sono scritte le domande da fare. Ci penserò io a trascrivere.»
«Non so niente di questo tizio» dico, mentre l'ansia mi assale nuovamente, facendomi lievemente impallidire in un modo che è stato descritto come "molto sexy".
«Ma che ti frega. Leggi le domande e lascia che sia il suo ego a parlare.»
«Sarà meglio che vada, adesso. Chiedi a qualcuno del dipartimento di arte di portarti del gesso di Parigi, ci puoi fare una zuppa.»
«In bocca al lupo, Vagy. E grazie ancora.»

La mia meta è il quartier generale della multinazionale di Tristan Brown: un grattacielo di 66 piani, probabilmente disegnato da un architetto che compra Playboy per nasconderci dentro delle foto del Bauhaus. Sulle porte a vetri dell'ingresso, in caretteri oro sobri e barocchi al tempo stesso, la scritta BROWN sovrasta il logo della società: un uomo in posa trionfale con un piede sopra il globo terrestre. Mi accorgo che sto respirando in modo affannoso, così slaccio un bottone della mia camicetta e respiro più profondamente. Mi faccio forza ed entro.
La reception è in marmo bianco, decorata con piccole colonne in stile classico. Una bionda elegantissima mi sorride in modo amabile, simile al modo in cui sorridono i genitori ai compagni d'asilo dei loro figli quando vedono i disegni che hanno fatto.
«Sono qui per vedere Mr Brown» dico, cercando di darmi un tono «Geena Zinke per conto di Jill Jackson-Jennings.»
«Un momento, Miss Zinke.» Resto lì, muta e impacciata, mentre lei inizia a smaltarsi le unghie di fucsia. Rimpiango di non essermi fatta prestare una giacca elegante da Jill, invece di usare questa giacca sportiva che mette in risalto le mie curve al posto giusto, per non parlare di dell'anonima camicetta bianca che, noto solo ora, lascia intravedere il reggiseno nero in pizzo e seta. E gli stivali col tacco 11? Catastrofe. Sforzandomi di apparire impassibile, risistemo una ciocca ribelle dietro l'orecchio. Finalmente, la valchiria ossigenata ripone lo smalto e mi porge un documento.
«Firmi qui, Miss Zinke. Prenda l'ascensore centrale per il 66° piano. Non dimentichi il pass.»
Prendo il cartellino, la ringrazio e mi dirigo verso gli ascensori. Persino gli addetti alla sicurezza sono vestiti meglio di me: a loro il tacco 11 sta una meraviglia.
L'ascensore mi porta al 66° piano ad una velocità supersonica. Non riesco a mantenermi in equilibrio. Quando si ferma, le porte si aprono e cado addosso ad un'altra bionda. Con uno scatto felino, lei si rialza roteando sui tacchi a spillo e, dopo avermi rivolto uno sguardo fulminante, entra nell'ascensore. Cominciamo bene.
All'elegante reception in pietra nera, decorata con due pantere pronte a balzare, è seduta una terza bionda. Si alza per accogliermi e noto che è vestita in cuoio nero, con stivali alti e lucidi decisamente migliori dei miei.
«Miss Zinke, le dispiace aspettare qui, per cortesia?»
Mi indica un salottino elegantemente francese, con un tavolino di cristallo e poltrone di velluto rosso. Questo Brown ha anche buon gusto in fatto di arredamento. Dietro, un'ampia vetrata offre una vista su quello che ha tutta l'aria di essere un campo per la costruzione di una piramide. Un panorama che mi toglie il respiro. Mi siedo e, ignorando le pur interessanti riviste Sciovinismo oggiSindacato? Che assurdità!, mi concentro sulla lista delle domande. Non faccio in tempo ad arrivare in fondo, però. Quell'edificio assorbe tutta la mia attenzione. A giudicare dallo stile, questo Brown potrebbe essere sulla quarantina, anche se probabilmente dimostrerà meno dei suoi anni. Già me lo immagino: alto, snello, abbronzato, senza dubbio il miglior amministratore delegato degli ultimi 150 anni.
Una quarta bionda, con una minigonna lunga sì e no una ventina di centimetri e delle calze a rete impeccabili, esce da una porta sulla destra. Ma qui alla Brown si produce anche acqua ossigenata?
«Miss Zinke?» mi domanda.
«Sì» gracchio. L'aria condizionata sarà sui 15 gradi. Mi schiarisco la gola e rispondo nuovamente «Sì» cercando di sembrare più sicura. Poi mi accorgo di aver sputacchiato sulla camicetta della bionda numero quattro.
«Mr. Brown la riceverà fra un attimo» dice lei, col tono di chi vorrebbe fare una strage con l'antrace ma proprio non ne ha il tempo «Posso prendere la sua giacca?»
«Sì, grazie.» Mentre me la sfilo, l'elastico per i capelli resta impigliato nella cerniera e viene fiondato contro il naso della bionda. E, quel che è peggio, non è più a contenere la mia chioma ribelle, che ricade morbidamente sulle mie spalle.
Digrignando i denti, la bionda mi domanda: «Le hanno offerto qualcosa da bere?»
Esito prima di rispondere: «No.» Non avrò messo nei guai qualche altra bionda, vero?
«Mi scusi un attimo.» Si dirige verso la reception e rivolge uno sguardo accigliato alla bionda vestita di pelle. Questa si alza e le porge le terga, sulle quali arriva un colpo di frustino. Dopodiché, la bionda con la minigonna chiede: «Gradisce un tè, un caffè, un bicchier d'acqua?»
«Un bicchier d'acqua» rispondo, piuttosto confusa. Questo Brown deve avere una grande considerazione delle donne, viste le libertà che concede loro.
La bionda vestita di pelle si allontana. 
«Yves è la nostra nuova stagista» spiega la bionda con la minigonna, arcuando il frustino con uno sguardo malizioso «Deve ancora entrare nei ritmi dell'azienda.»
Yves torna con un bicchiere di acqua ghiacciata. Ne bevo metà prima di sentire il rumore di una porta che si apre. Ah no, quello è il rumore del mio intestino. Colite in arrivo. Adesso sento il rumore di una porta che si apre. Dall'ufficio esce una prosperosa quarantenne (ovviamente bionda) con una sigaretta appena accesa fra le dita. Prima di andarsene, mi guarda e dice:
«Con quel culo secco, non durerai una settimana.»
Dopo aver spedito Yves a chiamare l'ascensore, la bionda in minigonna mi si avvicina e dice:
«Mr. Brown è pronto a riceverla, Miss Zinke. Entri pure.»

Apro la porta e infilo per sbaglio la manica nella maniglia. Sento un forte strattone mentre i bottoni della camicetta si strappano, perdo l'equilibrio e cado distesa sul pavimento dell'ufficio.
"Cretina, imbecille!" esclama la mia dea interiore "Potresti almeno avvertire quando fai questi capitomboli! Ho quasi rotto lo strap-on."
Due mani forti e salde mi afferrano i seni. Probabilmente starà cercando di praticarmi il massaggio cardiaco. Apro gli occhi e... merda, è davvero giovane.
«Miss Jackson-Jennings» mi dice, porgendomi una mano, quando mi sono rimessa in piedi «Va tutto bene? Non sta sanguinando, vero? Far pulire questo pavimento costa un casino.»
Giovanissimo, raffinato e bello da morire. È alto, indossa un elegante completo marrone, una camicia blu e una cravatta nera. Ha un'intensa chioma leonina di capelli biondo rame scuro e luminosi occhi castani che mi scrutano con attenzione. Si vede che non ha mangiato il chili ieri sera.
Sono così imbarazzata che passa qualche secondo prima che riesca ad articolare la risposta.
«Sto bene» dico, stringendogli la mano. Quando le nostre dita si toccano, sento una scossa inebriante. Poi mi accorgo che mi sta stritolando la mano. E la stritola in modo così sexy.
«Miss Jackson-Jennings è indisposta» spiego, riposizionando le nocche «Mi ha chiesto di sostituirla. Sono Geena Zinke.»
«Capisco» dice lui «Vuole accomodarsi?»
Indica un divano in pelle nera. Davanti alla vetrata, dalla quale si ha una vista generale del campo di costruzione, c'è un'enorme scrivania che potrebbe essere rivestita in pelle umana. Tutto il resto è bianco. Sul muro a sinistra sono appesi alcuni quadri di donne nude in pose esplicitamente osé. Una si avvale dell'ausilio di un pollo di gomma.
«Mi sembra di conoscere lo stile di quei quadri» dico, cercando di di mostrarmi acculturata «Un artista locale, vero? Mi piace il modo in cui eleva al livello di pura arte quella che potrebbe essere scambiata per pornografia.»
«In realtà» spiega lui «Quelle sono le pagine del calendario in tiratura limitata allegato a SUV per manager del dicembre 1999. Ma non perdiamo altro tempo.»
Si lascia morbidamente cadere su una delle poltrone davanti a me, scivola sul bordo e finisce col sedere a terra. Con sconcertante nonchalance, si rialza e si siede normalmente. Prendo il registratore dalla borsa e lo appoggio sul tavolino. Accidentalmente, schiaccio il tasto "Play" e la voce di Jill inizia a diffondersi. Deve averlo acceso per sbaglio ieri sera, visto che la sento parlare di chili e peperoncini verdi con Jacobo. Cerco di spegnere il registratore, ma inavvertitamente faccio avanzare la registrazione fino al punto in cui la conversazione viene sostituita da gemiti, gridolini eccitati e un rumore ovattato simile a quello di una persona che sbatte ripetutamente contro il muro. Brown mi guarda con aria interrogativa.
«Dev'esserci un problema tecnico» dico imbarazzata, cercando di riavvolgere il nastro «Ecco, ci siamo. Jill le detto che l'intervista comparirà sul giornale universitario?»
«Sì, dato che quest'anno sarò io a consegnare i diplomi di laurea alla cerimonia di quest'anno.»
«Non lo sapevo» dico «Quindi sarà lei a consegnare il diploma e a dare la tradizionale stretta di mano.»
«Sì... di mano...» esita lui,
Premo il pulsante "Rec".
«Possiamo iniziare l'intervista, signor Brown.»

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Capitolo 2
*** Cinquanta domande scottanti ***


Cap. 1 A/N: Ecco il tanto atteso secondo capitolo. Ringrazio tantissimo winola per la betatura. Grazie mille, caVaH!


Capitolo 2
Cinquanta domande scottanti


Leggo la prima domanda sul foglio. «Ha una lince modificata geneticamente come animale da compagnia?»
Inarca un sopracciglio sexy. «Come, prego?»
«È la prima domanda».
«No, non ho animali da compagnia».
«Possiede una base operativa in Antartide?»
«No».
«Capisco. Ha fatto qualcosa di terribile esattamente trentacinque minuti fa?»
«No».
Mi affretto a leggere la domanda successiva: «Dunque, Brown GFB: Glamour, Fitness & Bioweapons, giusto?»

«Esatto» conferma lui con un sorriso smagliante.
«Com'è nata questa unione vincente?»
«Ricorda l'esperimento di Tuskgee sulla sifilide? La mia famiglia ne ha visto le enormi potenzialità».
Resto sorpresa da una simile creatività. «Davvero?»
«Davvero. Fra un paio di settimane lanceremo una nuova versione della Variola minor».
«Sul mercato?» chiedo preoccupata.
«Santo cielo, no!» risponde lui con una tale veemenza che mi viene il dubbio di aver insultato i suoi principi morali «Sulla Corea del Nord».
Faccio un sospiro di sollievo: «Ah, meno male». Credevo che la gente nella sua posizione non avesse un codice etico così forte.
Passo alla domanda successiva. «Lei ha raggiunto una posizione invidiabile a soli ventisette anni. Qual è il segreto di un simile successo?»
Lui mi fissa negli occhi prima di rispondere e non capisco se stia cercando di catturare il mio sguardo con le sue pupille magnetiche o se ho qualcosa incastrato fra i denti. Finalmente risponde: «Vede, miss Zinke, molti pensano che gestire simili attività sia qualcosa difficile da afferrare per i comuni mortali...»
Si ferma. Probabilmente si è reso conto di non aver usato un termine appropriato. «Volevo dire, per gli esseri inferiori».
«Molto meglio» convengo.
«Comunque, quello che stavo dicendo è che, al di là dei tecnicismi, è piuttosto semplice. Questo è il mio segreto. Io gestisco senza pietà».
A quelle parole, la mia dea interiore ripone il costume da cameriera francese e tende l'orecchio per ascoltare meglio.
«Gestisce senza pietà» ripeto. «In che senso, esattamente?»
La domanda non è sul foglio, ma non posso fare a meno di chiederglielo. La voce di quell'uomo ha una strana influenza su di me. Per di più non ho capito una mazza di quello che ha detto.
Sorride. «Non è qualcosa che può essere spiegato interamente, penso che ci sia qualcosa di innato. Alcuni sono portati al comando e altri sono fatti per essere sottomessi, bisogna solo cogliere i segnali e capire qual è il proprio ruolo. Io ho realizzato quale sarebbe stato il mio destino il giorno in cui una copia de La rivolta di Atlante mi cadde sulla fronte. Copertina rigida. Ci vollero diciannove punti e un elettroencefalogramma di sei ore, ma mi ha permesso di forgiare il mio carattere. Ora sono un uomo che non deve chiedere. Mai
A quel 'mai', sento un brivido attraversarmi la spina dorsale. Poi mi accorgo che è solo la mia dea interiore che ha inserito il vibratore nella presa della 380. Fantastico, ora i miei chakra puzzano di pollo strinato. Forse è meglio passare alla domanda seguente.
«Lei non ha fondato personalmente la Brown GFB. Com'è nata questa grande azienda?»
«Tutto questo è stato possibile grazie al mio bisnonno, Jorgen Braun».
Un'altra sorpresa. «Lei ha origini tedesche?»
«Sì. Il mio bisnonno era un grand'uomo, intraprendente e lungimirante. Sul fronte orientale era noto come 'il macellaio di Minsk'. Era un uomo così determinato che i sovietici lo dovettero affogare, impiccare e poi bruciare, per andare sul sicuro. Cose che capitano. Invece di perdere tempo a disperarsi, la mia bisnonna ha spostato la sua fabbrica di mangime per pesci negli Stati Uniti.»
Mi accorgo che la sua narrazione si fa sempre più coinvolgente ed appassionante, al punto che mi sento quasi ipnotizzata. Dovrei concentrarmi solo sulle domande. O sul fatto che la mia camicetta sia ancora strappata.
«Mentre ero al college, ho iniziato a dirigere la mia prima attività. Ho seguito le orme di mio padre.»
Mi mostra la foto di un uomo che indossa una vistosa pelliccia bianca e tiene ben saldo in una mano un lungo bastone nero. Con l'altra mano, ricoperta di anelli d'oro, sta schiaffeggiando una giovane donna.
«Wesley Brown» spiega, con la voce carica d'orgoglio «Fondatore della Brown Brothels. Grazie ai proventi delle case di tolleranza ha potuto finanziare le attività di questa grande azienda. Forse ha ragione, c'è un segreto.»
Lo sapevo! «Davvero?»
«Sono convinto che, per raggiungere il successo in un qualsiasi settore, si debba diventare padroni di quel campo. Modificare i paradigmi preesistenti per adattarli al proprio stile di gestione, ribaltare le consuetudini socio-finanziarie, distruggere una spietata macchina statale che impedisce agli uomini di genio di realizzare le proprie ambizioni, se nececssario, non farsi più simulacri di una banale plutocrazia, ma applicarne i canoni nella nuova realtà della globalizzazione...»
Questo linguaggio tecnico mi confonde. «In parole povere?»
«Avere una famiglia con i soldi.»
«Quindi la fortuna c'entra, in ogni caso.»
«Non mi sottometto alla fortuna o al caso, Miss Zinke. È questione di avere le persone giuste nella propria squadra e di saperne guidare le energie al meglio. Mi permetta di citare un brano del mio libro preferito, La rivolta di Atlante: il discorso di John Galt.»
Prima che mi ricordi quanto sia lunga quell'arringa, lui prende un libro (probabilmente rilegato in pelle umana) che potrebbe fungere tranquillamente da contrappeso per una catapulta e inizia a leggere.
Dopo un'ora non è arrivato neanche a metà. A quel punto la mia dea interiore, che nel frattempo ha imbiancato le pareti del mio karma e ha rassettato la ayurveda, mi impone di fare una domanda ad hoc per sbloccare la trama.
«È vero quel che si dice sul suo conto, che lei è un maniaco del controllo?»
Lui chiude il libro e con eleganza lo poggia sulla scrivania, che scricchiola con altrettanta eleganza.
«Oh, io esercito il controllo su tutto, miss Zinke. A questo proposito, mi scusi un attimo...»
Apre la portafinestra alle spalle della sua scrivania ed esce sull'ampio balcone, mentre il suono di una sirena riecheggia per il campo di costruzione.
«Schiavi!» esclama «Il vostro signore e padrone porge la sua benedizione a uno di voi.»
Noto che ha in mano una frusta particolarmente lunga. Senza farmi notare, mi alzo per vedere cosa ha intenzione di fare. Con un colpo deciso la solleva e l'abbassa, affibiando una frustata sulle natiche di uno degli operai, che sono prostrati come se stessero adorando un dio vero e proprio.
«Ecco fatto» dice, chiudendo la portafinestra e sedendosi nuovamente alla scrivania. «Vede, è questo che intendo per controllo.»
Lo guardo negli occhi, e lui regge il mio sguardo, impassibile. Per un attimo penso che abbia una collezione di cadaveri nascosta in cantina, ma poi mi convinco che un uomo della sua posizione non lo farebbe mai. Al limite, la nasconderebbe nella dependance.
Perché quest’uomo ha un effetto così inquietante su di me? Sarà la sua bellezza travolgente? Il suo modo elegante e conciso di parlare? I suoi occhi che mi guardano come se fossi una riccastra da spennare al casinò? Il modo in cui si accarezza il labbro inferiore con il dito? Il pacco, probabilmente imbottito di ovatta, ma comunque di dimensioni non indifferenti?
«Inoltre, se nelle proprie fantasie segrete ci si convince davvero di essere un dio in terra, si acquisisce un potere immenso e si può davvero giungere a dominare ogni cosa. A meno che non ci si metta in testa di conquistare la Russia, quello è sempre un gran casino. Meglio iniziare con l'Alsazia e la Lorena.»
«Lei pensa di poter dominare ogni cosa?» Al diavolo le domande di Jill.
«Ho più di settantamila persone alle mie dipendenze, Miss Zinke. Questo comporta un certo equilibrio fra potere e responsabilità… anzi no, potere e basta. Se io dovessi decidere che il settore delle pistole-rossetto o dei rossetti-pistole non mi interessa più e che voglio vendere, dalle diecimila alle quindicimila persone finirebbero sotto un ponte nel giro di un mese.»
Lo guardo a bocca aperta. La sua mancanza di umiltà e di empatia mi fanno pensare che potrebbe davvero avere una collezione di cuori umani sotto formaldeide.
«Non ha un consiglio di amministrazione a cui rispondere?» chiedo.
«Perché, secondo lei hanno mai protestato?»
Mi ha presa in contropiede. Meglio cambiare argomento. «Ha qualche interesse, al di fuori del lavoro?»
«Ho interessi molto vari, Miss Zinke» l’ombra di un sorriso gli sfiora le labbra. «Molto vari.» Per qualche ragione la sua voce si è abbassata e per un istante sembra Barry White con le fregole. Nei suoi occhi luccica un pensiero perverso. O forse si è beccato l'influenza spagnola.
«Che cosa fa per rilassarsi?»
«Rilassarmi?» Sorride, rivelando denti bianchissimi e affilati, da far invidia ad un lupo. Mi sembra che siano macchiati di sangue, ma probabilmente è solo una mia impressione. È davvero bellissimo, nessuno dovrebbe essere così attraente. Diamine, dovrebbe essere un crimine punibile con la prigione.
«Sono molto ricco, Miss Zinke, qualora non si fosse capito. Per rilassarmi, come dice lei, mi diletto in attività costose ed impegnative che probabilmente avrà visto solo sullo schermo di uno squallido 21 pollici.» Fa un ghigno divertito, risultando ancor più sexy. «Pratico diversi sport: vela, deltaplano, sci di fondo, lancio del giavellotto, lancio della granata a frammentazione... alle riunioni di famiglia pratichiamo anche la caccia allo schiavo nella foresta.»
Leggo la domanda successiva. «Perché concentra nelle sue mani delle attività industriali così diverse?» chiedo.
«Mi piacciono le cose. Mi piace sapere come funzionano e come posso modificarle.»
La mia dea interiore, immersa nella lettura di un romanzo erotico di bassa lega, mi suggerisce una replica su misura. «Ora sembra che stia parlando con il cuore in mano.»
«Perché, non è possibile?» chiede lui.
«Alcune persone sono convinte che lei non ce l'abbia, un cuore.»
«E sbagliano. Certo che ce l'ho.»
Si alza e apre quello che ha l'aspetto di un mobile bar. Estrae un vasetto colmo di un liquido trasparente, nel quale galleggia un cuore umano. «Anzi, ne ho più di uno. Questo è stato il primo. Ah, Roger... non avresti mai dovuto mostrarmi il progetto di quel tapis roulant prima di brevettarlo...»
Allora ha davvero una collezione di cuori umani! Un vero tocco di classe, devo ammetterlo.
«Lei investe anche in tecnologie agricole. Perché le interessa questo settore?»
«Non vorrà che tutti quegli africani sviluppino delle tecnologie indipendenti, vero?» replica, sedendosi.
Sbircio la domanda successiva. Dovrei chiedergli se ha una filosofia di vita, ma l'idea di sorbirmi un'altra ora di quelle boiate (seppure così sexy, lette dalla sua voce) non mi aggrada particolarmente. Guardo la domanda successiva.
«Lei è stato adottato. In quale misura ritiene che ciò abbia influenzato il suo modo di essere?»
Lui aggrotta la fronte. Pure quelle linee di espressione che si formano alla sommità del naso sono sexy. Mi sa che anche i suoi villi intestinali sono sexy.
«Non ho modo di saperlo.»
«Quanti anni aveva quando è stato adottato?»
«Questa è un'informazione di pubblico dominio, miss Zinke» il suo tono si è fatto improvvisamente severo. Avrei dovuto saperlo, in effetti. Merda.
«Non dev'essere stato facile superare la perdita dei suoi genitori biologici».
«Questa non è una domanda» mi fa presente.
«Giusto. Eh... se i suoi genitori biologici sono morti, deve averli persi».
«Questa è una tautologia».
«Volevo dire, le persone muoiono».
«Questa è una legge biologica».
«Per due punti passa una e una sola retta».
«Assioma».
«Sono sufficienti le coordinate di due punti per determinare l'equazione di una retta».
«Corollario».
«Allah è dio e Maometto è il suo profeta».
«Dogma».
«L'assassino è il maggiordomo».
«Cliché».
Cerco di concentrarmi e, finalmente, riesco ad esprimere il concetto in forma interrogativa. E meno male che studio letteratura e ho letto pure Tess dei d'Urbervilles. «È stato difficile superare la perdita dei suoi genitori biologici?»
«Non è stato facile, in effetti. Insomma, mi ero impegnato molto per sabotare i freni della loro auto e...» si interrompe e cerca di dissimulare l'imbarazzo per aver rivelato dei dettagli così intimi. «Mi sembra di aver risposto in modo esauriente».
«Lei è omosessuale, Mr Brown?»
Lui fa un sospiro irritato e io chino il capo, mortificata. Ma che... Perché non ho usato una sorta di filtro prima di sparare questa domanda? Devo avere la ghiaia che drena tutti i pensieri. Come faccio a dirgli che mi sono limitata a leggerla? Ma Jill non può limitarsi a slashare i ragazzi del college?
«No, Geena, non lo sono» risponde lui, probabilmente sul punto di sfoderare la verga del comando per dimostrarlo. Vorrei sprofondare.
«Mi scusi» dico «È solo che Jill mi ha lasciato queste domande e lei è una patita dello slash. Insomma, basta che due maschi si urtino mentre escono da un'aula e lei parte a scrivere fanfiction piene di vasellina e...»
Grazie al cielo il mio sproloquio è interrotto dal rumore della porta che si apre. Entra la bionda con la minigonna. «Scusi se la interrompo, Mr Brown, ma il suo appuntamento con i rappresentanti dall'American Nazi Party è fra due minuti.»
«Non abbiamo ancora finito, Inga. Dì che rimandiamo a domani».
E, tanto per chiarire il concetto, le allunga una pacca sul sedere. Inga esce, arrossendo visibilmente.
«Dove eravamo, Miss Zinke?» Ah, adesso siamo tornati al Miss Zinke.
"E certo, scema" mi rimbecca la dea interiore "Cosa ti aspetti? Che ti chiami Vagy, magari?"
«Voglio sapere qualcosa di lei. Mi sembra doveroso.»
Appoggia i gomiti sui braccioli della poltrona e unisce le dita di fronte alla bocca. Le dita a piramide della contemplazione malvagia,  un po' come Mr Burns, ma molto più sexy. Deglutisco.
«Non c’è molto da sapere» rispondo.
«Che progetti ha dopo la laurea?»
«Non ho fatto progetti, Mr Brown. Per il momento, mi basta superare gli esami, cosa che farò senza problemi. Si è mai visto un film americano in cui qualcuno non supera un esame?»
«Questo è vero. Ha ottenuto le risposte che cercava?»
Do un'occhiata al foglio e mi rendo conto che le domande sono finite. «Sì» rispondo «Sarà meglio che vada ora, devo portare la registrazione a Jill».
Lui si alza e mi anticipa, aprendo la porta. «Solo per assicurarmi che arrivi indenne a casa, Miss Zinke».
"Allora ha un minimo di premura" penso. Ovviamente, questo non mi impedisce di inciampare mentre raggiungo l'ascensore. Urto la bionda che avevo steso al mio arrivo, facendola cadere nuovamente. Si rialza infuriata e con un ceffone mi spedisce dentro la cabina dell'ascensore. Prima che le porte si chiudano noto che qualcuno si avvicina a me. Sono ancora scombussolata e non riconosco chi sia.
«Tristan...» dico, con voce sognante.
Invece è Yves che, con uno sguardo sprezzante, mi getta addosso la giacca.
Finalmente, le porte si chiudono.


N/A: Le pistole-rossetto sono quelle rese immortali da Lady Gaga in Judas. I rossetti-pistola, invece, sono un marchio depositato della Brown GFB.

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Capitolo 3
*** Cinquanta pennellate di antiruggine ***


Cap. 3

A/N: Scusate per l’enorme ritardo. In fondo al capitolo trovate le risposte alle recensioni. Un grosso ringraziamento giacobino a Lucy Light per il suo lavoro di betatura.

 

Capitolo 3

Cinquanta pennellate di antiruggine

  

Il cuore mi batte la marcia di Radetzky nel petto. Non appena l’ascensore arriva al pianoterra e le porte si aprono, mi precipito fuori. Sento il rumore di un tacco che si rompe e cado lunga distesa. La bionda alla reception posa il piegaciglia per puntarmi contro l’indice curatissimo ed esclama “Ah-ah!” con voce nasale.
Umiliata, corro verso le grandi porte a vetri, contro le quali mi schianto. Non avevo notato il cartellino con la scritta Tirare.
Finalmente mi ritrovo libera nella rinfrancante aria umida. Alzo il viso per accogliere le prime gocce di pioggia, poi mi accorgo che si tratta di un gatto che ha deciso di marcare la sommità dell’arcata dell’ingresso e ha una pessima mira. Almeno non è una lince. Mi pulisco con un fazzoletto di carta e cerco di recuperare un minimo di equilibrio mentale prima di tornare alla macchina.
«Sta’ a sentire, che devi aggiornarti» mi dice la dea interiore, leggendo un articolo dall’ultimo numero di Passive sfrante, sulla cui copertina campeggia un’immagine di Loki con una canotta a rete «Oggi è quanto mai sconveniente chiedere ad un uomo se è un omosessuale. È più appropriato, invece, domandare con nonchalance se “gli piace sentire la presenza”, eventualmente accennando il movimento delle anche tipico dei cani quando montano le gambe dei tavoli».
«Ti prego, smettila» le dico.
Mentre mi lascio alle spalle il quartier generale della Brown GFB, ripenso all’intervista e mi sento in imbarazzo. Per scacciare questi pensieri, mi dico che forse sto reagendo in modo eccessivo a qualcosa che esiste solo nella mia immaginazione (tranne la caduta all’inizio, le mie costole mi suggeriscono che quella era vera). Certo, Brown è una persona attraente ed intraprendente, ma allo stesso tempo è così arrogante e dispotico. Però, forse se lo può concedere: è arrivato a capo di un impero finanziario ad una così giovane età, qualora non si fosse ancora capito…
“Lascia perdere, Vagy” mi dico. Tutto sommato, non vale la pena di rimuginarci sopra. Non lo rivedrò mai più. E non rivedrò mai più quell’esercito di valchirie ossigenate, né tantomeno quegli addetti alla sicurezza che sanno calzare il tacco 11 con molta più naturalezza ed eleganza della sottoscritta. Che invidia!

Io e Jill abitiamo in un complesso di villette a schiera vicino al campus. Ho avuto fortuna: quando ha acquistato la villetta, la madre di Jill ha accidentalmente accavallato le gambe à la Basic Instinct e ha ottenuto uno sconto da favola. In più, l’affitto che le pago è ridicolo. Insomma, le classiche sfortune di una studentessa universitaria.
«Vagy, sei tornata!» Jill è seduta in soggiorno, con un libro aperto sul tavolo di fianco ad un sacchetto di gesso mezzo vuoto. Mi corre incontro e mi abbraccia forte, ruttando come un beone mentre mi stringe. «Non pensavo che l’intervista ti prendesse così tanto tempo. Perché c’è questa puzza di ammoniaca?».
«Non farci caso. L’intervista si è un po’ prolungata».
«Non so proprio come ringraziarti. Magari ti compro un nuovo deodorante per abiti. Ma dimmi un po’: com’è andata? Che tipo è?».
Certo che a volte è davvero asfissiante con le sue domande. Ah no, non sono le domande, è il gas intestinale. Che posso dire?
«Diciamo che sono felice che sia finita. Mi ha messo una certa soggezione. È un tipo strano, intenso e… giovane».
«Piccoli dilf crescono» commenta laconica Jill «Mi dispiace di non averti dato qualche informazione in più, ma non pensavo di trovarmi in queste condizioni».
«Hai un aspetto migliore, però. Hai mangiato la zuppa?».
«Sì» annuncia felice, e con un rutto poderoso spande una nuvola di polvere di gesso per tutta la stanza.
Controllo l’orologio. «Se mi sbrigo, riesco ancora a fare il mio turno da Fernow».
«Forse prima dovresti cambiarti il vestito. E scacciare quel nugolo di gatti che stanno raspando contro la porta».

Fernow è la ferramenta più rinomata e, di conseguenza, la più frequentata della contea. Sono contenta di avere qualcosa per distrarmi da Tristan Brown. Oggi sono iniziati i saldi nel reparto rosso e la clientela più raffinata si è riversata nel negozio. C’è chi sventola una confezione da dodici candele falliche, chi chiede dei consigli sulle catene da bondage, chi ritira la testiera del letto decorata con frasi di Sacher-Masoch.
«Vagy!» esclama il signor Fernow, un Thénardier bostoniano che, almeno così si dice, si finge un immigrato polacco per beccarsi gli spiccioli dello IOR «C’è da verniciare la gabbia king size!».
Diamine, l’avevo dimenticato. Dato che la gabbia è particolarmente alta, indosso l’imbracatura di sicurezza: una tenuta nera da servetta francese con grembiule bianco e tacchi alti.
«L’antiruggine è quello verde occhi-di-tua-madre» dice Fernow poggiando una scala a pioli contro la gabbia «Sbrigati e vedi di mostrare un filo di chiappe, che voglio battere il record d’incassi».
Sospiro e, prima di salire sulla scala, accendo la radio. Nell’aria si diffondono le note di un sax, e quasi mi par di vedere Brooke Logan in vestaglia che aspetta il prossimo con cui condividere l’alcova. Che sia Tristan Brown?
No, non devo pensare a queste cose. Mi concentro sul lavoro che devo fare e, nonostante l’equilibrio decisamente precario, inizio a passare l’antiruggine sulla gabbia. Nel farlo, mi domando chi possa acquistare una gabbia così grande e kitsch, peraltro verniciata in questo modo incedente…
«Vagy, hai finito?» La voce di Fernow mi distrae dai miei pensieri. «È arrivato il cliente!».
Bene, voglio proprio vederlo questo perver…
«Salve».
Merda. È lui. Tristan Brown.
«Sbaglio o si è imbottito il pacco con l’ovatta?» osserva la dea interiore. Ma non è questo il problema, al momento.
«Lei» dico, pietrificata.
«Lo conosci?» domanda Fernow arricciandosi i baffi da villain, prima di affrettarsi a dire: «Non si fanno sconti agli amici del personale».
«Io e la signorina Zinke ci siamo conosciuti stamattina» spiega lui, sistemandosi una cravatta a righe fucsia e verde oliva molto sexy.
Annuisco.
«Non sapevo che fosse brava anche con il bricolage» commenta lui «Voglio che questa gabbia sia perfetta. Dovrò averla sotto gli occhi per tutto il giorno ».
«A-ha!» esclamo con fare trionfante «Quindi ce l’ha una lince!».
«No, è per la promozione di Inga».
Il sorriso mi si spegne sul volto.
«Ma vorrei che le altre ragazze non lo sapessero» spiega lui «È un regalo perché ha dimostrato di sapersi adattare ad un orario… flessibile».
«Capisco» dico «Mi ci vorranno altri cinque minuti».
«Prego» dice lui. Riprendo a lavorare e mi pare di sentire un commento da parte sua: «Brava, Geena… brava».
Non appena ho passato l’ultima pennellata di antiruggine, improvvisamente la musica alla radio cambia. Dal nulla si materializzano dodici aitanti magazzinieri che, armati di phon, iniziano ad asciugare la vernice. Altri due mi fanno scendere dalla scala a pioli, mentre tutti intonano “Brava Geena, brava…”.
«Silenzio!» grida Fernow, sfoderando la frusta «Non vi pago per cantare! Vedete di asciugare quella gabbia, se volete riavere il gabinetto nella toilette!»
Partono un paio di frustate che si mescolano a degli applausi, un po’ come i miei occhi si erano mescolati con quelli della mia prima cotta, un dolore pazzesco. Tutti si voltano a guardare Brown. E quell’infame sorride.


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E ora le risposte alle recensioni.

@blacksmokey: Ho pensato un bel po’ allo scambio di battute sul corollario, anche perché volevo che fosse breve ma efficace. Mi fa piacere che sia stato apprezzato.

@msmiumiu: Sono sempre felice quando riesco a far ridere qualcuno in un’aula studio (cosa che a me capita spesso, perché anch’io ho l’abitudine di girovagare per Internet durante le pause caffè XD). Spero che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento.

@Mrs_Depp: Se avessi saputo che quella sequenza sarebbe stata così gradita, avrei aggiunto anche un paio di figure retoriche extra XD Spero che l’attesa per il terzo capitolo sia stata ripagata.

@lilyj: Chiaro che c’è ammmmmoreh. Perché c’è un noi. XD

@fanny_rimes: Grazie per i complimenti e anche per la pazienza nell’attendere un nuovo capitolo. Anch’io sono esigente per quanto riguarda le parodie, quindi sono felice di sapere che sto facendo un buon lavoro.

Spero che manteniate la vostra pazienza nell’attesa del quarto capitolo. Si sa, l’università impera ed è senza cuore. A presto! (si fa per dire)

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