As glass is the love that you are

di Contrast
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo; ***
Capitolo 2: *** The boy with the beautiful smile ***
Capitolo 3: *** T-Shirt ***



Capitolo 1
*** Prologo; ***



Conor.

Che nome buffo. Non l’avevo mai sentito prima d’ora. Forse sarebbe stato meglio con una ‘N’ in più. Connor. Ora si che andava meglio. Sapeva tanto di folleto quel nome, o del colore verde.
Di una macchia verde sopra ad uno sfondo interamente colorato di rosso.
 

Il letto da sempre questo effetto, ti droga momentaniamente.
E queste sono le classiche ‘pippe mentali’ che vengono in mente solo quando si è in uno stato di dormi-veglia.
Quante volte abbiamo fatto sogni fuori dal comune? Quante volte siamo arrivati a pensare le cose più pazze ed improbabili?
Sarà la posizione orizzrntale o l’aria della notte, ma il rigirarsi fra le coperte del letto da questo strano effetto di droga momentania.

 
Decisi di alazarmi; magari avrei ripreso un po’ di lucidà.
La sbronza di ieri sera era ancora in circolo nel mio corpo. L’alito sapeva di alcool raffermo e gli occhi rossi iniziavano a darmi prurito.
Aprii la porta finestra della mia camera ed un paesaggio mozzafiato mi si spalancò davanti.
Un’immensa distesa di pineti saliva lungo la montagna ai piedi della casa.
Un leggero strato di neve si poggiava su di ogni ramo esposto dalla parte nord e/o est, segno che quella notte – e probabilmente avrebbe continuato anche di mattina – c’era stato un venticello fresco da nord-est, il Grecale.
Un po’ più lontano, scostando l’occhio dal bosco e l’orecchio dal cinguettio degli uccellini e dal grugnire dei cinghiali, si intravedeva la seggiovia non troppo lontana, con i discorsi della gente di sottofondo.
Quella seggiovia.
E bene, quella è la mia vita. Una villetta sulle bellissime montagne della Scozia. Il ciò sta a significare scuola per un massimo di cinque ore al giorno, pranzo lungo il tragitto di ritorno verso casa e snowboard fino alle 5:00 PM, ovvero fino alla chiusura delle seggiovie.
Una delle cose che maggior mente mi piace di quel posto è la gente che abita là intorno. Tutte famiglie con figli della mia stessa età, con genitori ricchi alla spalle. Per cui anche il sabato sera non passa mai inutilizzato con festini e roba varia.
 
Non sono una ragazza alla quale piace molto bruciarsi ogni singolo neurone che le rimane, per cui non bevo molto, non mi drogo e non fumo. Ma non mi tiro mai indietro quando c’è da divertirsi.
Ieri sera ero arrivata al punto di essere completamente sbronza, ed il ciò è strano.
Ma perché? Perché avrei dovuto farlo? Perché riprovare l’ebrezza che avevo già testato altre volte?
Forse per dimenticare...
 
Era passto un mese, ormai, da quando avevamo litigato. Un mese da quando era finito tutto fra di noi, tutto quello che non c’era mai stato.
Non passavamo mai molto tempo insieme, non c'era abbastanza TEMPO per farlo.
Ma daltronde, lui era solo la mia distrazione estiva.
Quando non ce la facevo più, non sopportavo più la mia vita quotidiana, e lo stress giornaliero della scuola e della pressione delle gare si accumulava, mi bastava andare lì, cambiare stato per qualche settimana e non avere più preoccupazioni.
LUI ha questo potere. Sa sconvolegermi l'esistenza per tutto il tempo che sto con LUI, e poi sa riportarmi alla mia vita di sempre.

Conor.
Così si chiama la mia fuga estiva.
Che nome buffo, Conor. Forse sarebbe risulato in maniera migliore con una 'N' in più.
Connor.
Molto meglio.
Ecco il perché di quel discorso strampalato.
A forza di stare con lui stavo diventando anch'io pazza.
Ma la dovevo smettere di pensarci, ormai era una storia chiusa quella.

 


 

Salve a tutti Mayniacs e non! grin
Vorrei iniziare col dire che questo è SOLO il prologo. Come avrete potuto notare ci sono davvero parecchi punti lasciati in sospeso, ma ovviamente è stata una cosa voluta.
La storia, da ora in poi - come se avessi scritto tanti capitoli - avrà una prima parte narrata al passato; una sorta di lungo Flashback raccontato dalla protagonista( a cui devo ancora trovare un nome) che spiegherà tutto quello è successo fra i due negli anni addietro. Per poi arrivare al presente, in cui a narrare saranno tutti e due.

Spero che vi siate già appassionate smile
In qualunque caso fatemi sapere cosa ne pensate nelle recensioni.
Al prossimo capitolo,

Annie x 

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Capitolo 2
*** The boy with the beautiful smile ***



CAPITOLO UNO



  « Non c'è patto che non sia stato rotto, non c'è fedeltà che non sia stata tradita, fuorché quella di un cane fedele. »  

 


Lunedì mattina di una giornata di scuola. Non si poteva scegliere inizio migliore. Ma per fortuna mancava solo una settimana all'inizio delle vacanze estive.
Ovvio, non era vacanza per tutti. Molti dei miei amici, infatti, con la fine della scuola, iniziavano i lavori estivi.
Economicamente parlando io non ne avevo bisogno, ma quasi ogni giorno andavo a passare i pomeriggi con loro e a dargli una mano.
Martedì: Ellie, bar;
Mercoledì: Rice, negozio di vestiti;
Giovedì: Ethan, dog sitter;
Sabato: festa!;
La domenica, invece, era riservata esclusivamente alla mia famiglia. E con "famiglia" intendo anche i miei adorati cani.
Otis e Elvis. I miei piccoli idoli. Che poi di piccolo non avevano davvero niente…
Otis, Boxer, prende il nome dalla famosa canzone di Jay-z e Kanye West. Stando hai miei gusti musicali si sarebbe comadamente potuto chiamare Tre Cool in onore del batterista dei Green Day, o direttamente Kanye West, mio idolo personale; ma quando gli diedi il nome decisi che Otis era quello giusto, quello che più era fatto per lui.
Alto, slanciato, con il pelo corto ma allo stesso tempo molto morbido; quando passo la mano su di esso alcune volte riporto un po' dei sui peli marroni chiaro e bianchi sul palmo.
Facilmente iscrivibile ad una competizione cinofila per il suo portamento altezzoso e il suo fisico perfetto, ha allo stesso tempo il muso più dolce del mondo. Con i suoi occhietti dolci e completamente immersi nel colore nero, è facilmente riconoscibile quando sta insieme ad Elvis, un bellissimo Bovaro bernese dalla felicità e dalle proporzioni un po' eccessive. A quest'ultimo, gli basta vedermi rientrare a casa che mi è già saltato addosso facendomi finire per terra. Con Elvis si può essere alti anche due metri, ma quando un cane di 60 kg ti viene incontro prendendo la rincorsa, c'è poco da fare se non cadere a terra.
Il suo pelo alquanto lungo fa invidia ai miei capelli, in quanto richiede, ogni volta che gli si viene fatto il bagno, di usare anche il balsamo.
Di un nero lucente, la pancia color avorio, le zampe color rame e un carette solare ed allegro, Elvis è il cane più dolce ed ubidiente che si possa trovare.
Ha anche una funzione molto importante: pronto per lui in garage da attacare al suo collo quando andiamo a sciare, c'è un kit di pronto soccorso di quelli che si usano per la neve.
La domenica è interamente riservata a loro due, per cui anche quella è sempre sfruttata per lo più in passeggiate. Fu proprio grazie ad una di queste a farmi tenere quel lunedì pomeriggio impegnato.

Stavamo camminando felicemente a passo di cane tutti e tre insieme. Elvis, come suo solito, era molto attivo e rischiò più di una volta di farmi mollare la presa dal guinzaglio. Otis, al contrario, non si permetteva quasi mai di perdere il controllo e di iniziare ad andare a destra e a sinistra. Così continuammo quasi tranquillamente, fino a che il primo non decise di cambiare direzione e di passare per fratte.
Non era, per mia fortuna, una strada sconosciuta all'uomo; così riuscimmo dall'altra parte del percoso.
Seduto ad uno dei tavoli da picnic lì presenti c'era il mio migliore amico Jamie.
Un ragazzo biondo dai capelli lunghi ed occhi azzurri, paragonabile ad un serfista australiano con uno stile non da meno. Al polso portava sempre braccialetti di ogni tipo - per lo più di corda - tipici di quelle parti e magliette con su scritto 'Santa Cruz' con un'onda stampata sopra. Insomma, parecchio figo.
Con il saluto dei serfisti( mignolo e pollice alzati i aria) - neanche a farlo a posta - mi salutò e mi fece cenno di avvicinarmi.
Arrivata davanti a lui non mi fece neanche abbracciarlo che aveva già iniziato a spiegarmi la situazione del giorno a venire: suo padre era riuscito in qualche modo ad incastrarlo per farlo lavorare per lui ogni lunedì e giovedì fino alla fine di luglio. Così mi aveva chiesto se andavo a fargli compagnia.

Iniziavo davvero a domandarmi se i miei amici mi avessero preso per una compagna da lavoro; solo in quest'estate erano già in quattro ad avermelo chiesto! Avrei potuto aprire una mia azienda.

Se vi annoiate durante il lavoro, se siete dei tipi socievoli che non possono stare senza qualcuno con cui stare, acquistate anche voi la vostra compagna da lavoro!
Solo dieci euro l'ora.

Sarei senza dubbio diventata milionaria…
Alzai con forza la sbarra della seggiovia e feci attenzione a non cadere scendendo.
In cinque minuti di camminata ero già arrivata nel centro del paesino in cui andavo a scuola. Presa una viuzza laterale alla strada principale, mi ritrovai davanti ad un camion che stava caricando mobili. Sorpassai il colosso che mi impediva di vedere l'entrata del negozio del padre di Jamie.
Aprendo la porta trasparente misi a fuoco il locale dalle parenti bianche. Un posto molto luminoso e ben arredato, in quanto fosse un negozio di arredamento.
Seduto dietro al bancone - che faceva da scrivania moderna - c'era Jamie che si destreggiava fra mille ricevute.
«Ciao bellissimo!» dissi poggiando la borsa sul bancone e andando da lui.
Poggiai le miei labbra sulla guancia e gli lasciai un bacio rumorosamente. Profumava del bagnoschiuma all'orodore di pini, adorabile.
«Hey, pronta per lavorare?» chiese con un sorriso convincente.
«Che cosa? Lavorare? Io sono venuta per vederti massacrare di fatica mentre scarichi i mobili dal camion e ora tu mi dici che devo faticare anch'io?» domandai colta dalla sopresa.
«Tu starai qui al bancone, devi solo dividere queste carte dalle ricevute.» mi spiegò.
«Ok, si può fare!» acconsentii prontamente. Fare da segretaria mi era sempre piaciuto.

«Sei figo così» urlai da dentro il negozio a Jamie, del quale si vedevano solo le gambe dietro ad un enorme divano che portavano in due.
«Vorrei vedere te che porti 'ste cose!» disse facendo il finto arrabbiato. Scoppiai a ridere insensatamente, come se nel resto del pomeriggio avessi fatto altro.
Subito dopo si sentì, da lontano, lo strusciare di un paio di scarpe da ginnastica contro la breccia.
«Aspetta Jamie, ti aiuto io!» disse una voce dando vita al paio di scarpe. Si capiva subito che colui non poteva essere di queste parti. Il suo accento forse un po' troppo inglese si distingueva benissimo fra il nostro scozzese.
E non c'è davvero nulla di peggio per uno scozzese che sentire un inglese parlare con il tipico e scocciante accento del sud, l'accento di Londra.
I londinesi si vantano di parlare un inglese perfetto, con una pronuncia ed una dizione da invidiare. Ma non è affatto così. Sicuramente noi della Scozia non saremo i migliori nell'esprimerci - dire 'a' al posto di 'e' è un vizio davvero brutto da togliere - ma almeno non ci vantiamo. Invece, quelli del sud… farebbero rabbia a chiunque!
E proprio per questo già mi stava simpatico. Come si dice, gli opposti si attraggono.
In tre riuscirono finalmente ad alzare il divano anche dall'altro lato, e gli si potettero intravedere le gambe.
Indossava dei pantaloni baige un po' calati sul sedere ed ad un occhiello della cintura era attaccato un capello rosso della Obey. Che senso aveva portarlo ai pantaloni?
Con molta lentezza riuscirono a trasportare il divano dentro e, dopo due minuti, l'avevano sistemato nell'altra stanza.
Ancora non avevo visto la faccia dell'inglese.
Jamie arrivò davanti a me con un balzo.
«Allora signorina - da quando mi chiamava così? - volevo presentarti mio cugino. È venuto qui dall'inghilterra, così in questi giorni ci aiuterà anche lui per il lavoro. Cerca di non essere troppo acida» gli feci una smorfia di rimando.
Ci scambiammo un rapido sguardo di intesa; in seguito prese aria nei polmoni ed iniziò a chiamarlo. «Conor!» si sentì rimbombare per tutto il negozio.
Conor, davvero, Conor? Davvero esisteva qualcuno al mondo che si chiamasse Conor!?
«Ma che razza di nome è» me ne uscii molto tranquillamente.
«Che razza di nome è Nim?» esordì 'Conor', sbucando da dietro la parete.
Alto, occhi azzurri, maglietta nera; «Come fai a sapere come mi chiamo?»
Labbra fine, pelle chiara «è stato Jamie ad illuminarmi» ed infine il sorriso: luminoso, vivace ed allegro risplendeva su tutto il suo viso.
«Sono Conor» si presentò porgendomi la mano.
«Nim, piacere» risposi mostrando uno dei miei migliori sorrisi. Afferrai la mano davanti a me. Da essa si poteva sentire il battitto del cuore lievemente accellerato del londinese.
«Non sei di queste parti, giusto?» domandai già sapendo la risposta e lasciando andare la sua mano.
«Sì infatti. Sono di Brighton, Inghil-»
«Brighton! La conosco, mio padre lavora lì vicino, a Newbury» intervenni io, non lasciandolo finire.
Sfoggiò di nuovo il suo sorriso.
Guardandolo un'altra volta nel volto notai un piccolo neo sotto l'occhio sinitro. Sembrava tanto un 'punto di riconoscimento personale', ma allo stesso tempo non risultava brutto su di lui. Al contrario, gli aggiungeva un non so che di particolare.
«Io dovrei andare a casa a sistemare le valige. È stato un piacere Nim! - mosse il capo indicandomi - Ci vediamo dopo Jamie.» E, salutando anche il cugino, si avviò verso la casa di quest'ultimo con il capello attacato ai pantaloni. La prossima volta che ci saremmo riincontrati gli avrei chiesto della sua utilità.
Non appena ebbe chiuso la porta, guardai Jamie.
«Allora?» chiesi senza aver fatto una domanda precedente.
«Allora cosa?» rispose il biondo non capendo.
«Perché non mi hai detto di avere un cugino che viene dall'inghilterra?!»
«Era una sorpresa il suo arrivo, per tutti quanti, non solo per te.» Ogni volta che affrontava questo discorso finiva sempre col dire che fossi 'Miss Universo'; il che da un lato non era del tutto falso, perché la mia modestia scarseggiava un pochino. Ma mi dava fastidio che pensasse questo di me. Almeno non me lo diceva alle spalle.
Ma come si dice, se si ama qualcuno si amano anche i suoi diffetti. Ovviamente il nostro è un amore fraterno.
Feci finta di non aver sentito c'ho che mi aveva detto e variai.
«Per quanto rimarrà?» mostrai un'espressione indefferente.
«Fino agli inizi d'agosto, non di più - prese un po' di tempo per pensare - perché, ti interessa?» chiese con un sorriso malizioso.
Guardai con gli occhi il cielo e sospirai rumorosamente «non mi può intessare una persona di cui conosco solo il nome il quale mi fa anche schifo» dissi con convinzione. Alzò un sopracciglio e mi guardò per farmi intendere che per me era proprio così. «No, no, no, no, no Jamie, non pensarlo neanche. Ma forse potrebbe essere il tipo da una sveltina e via…» ammisi abbassando lo sguardo.
«Nim!» mi richiamò giocosamente Jamie, anche se quello che gli avevo detto era la verità, forse.
Il cugino del mio migliore amico come *divertimento* estivo; era un'idea da prendere in considerazione.





Wellaaaaaa

Ho scoperto che anche Conor lo dice, mi sento realizzata adesso.
Salve a tutti!
Come avrete potuto notare non sono una che aggiorna velocemente e come avrete potuto notare mi piace dire "come avrete potuto notare", è la quarta volta in 2 capitoli che lo scrivo *faccia alla Conor nel video dell'aereoporto(?)*
Quindi è iniziato questo lungo flashback in cui, a volte, mi vedrete scrivere con alcuni verbi al presente, che stanno a significare che è una cosa che è ancora presente nel tempo reale della storia.
Ci tenevo a dirvi che l'intero capitolo l'ho scritto in presenza del mio gatto( ciao Ombra) che credo vi saluti tutti quanti - anche se sta dormendo - e vi chiede anche di recensire c:
Accetto sia le critiche che i commenti positivi, purchè più lunghi di 10 parole.
Mi dileguo, altrimenti sto qui a parlare per ore.
Grazie mille delle 7 recensioni al prologo, siete stati pazzeschi!
Un bacio,
Annie x


Cazzo quanto è bello.

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Capitolo 3
*** T-Shirt ***


CAPITOLO DUE



Quell’anno, il Natale, tardava ad arrivare.
Certo, ammetto che fosse solo luglio, ma l’estate non era proprio fatta per me. Tutto quel caldo, i giorni passati a fare tantissime cose oppure ad andare al mare erano tutto l’opposto di ciò che piaceva a me.
Queste furono le ultime cose che potetti pensare fino a che non venni interrotta da un rumore meccanico di sottofondo.
«E’ suonata bella addormentata, puoi uscire dal mondo della scuola ormai» un James a caso mi si piazzò davanti al banco, sorridendomi.
Ricambiai il sorriso e preparai lo zaino per uscire.
«Non ce la facevo davvero più; la voce della prof di matematica è sconcertante» gli dissi mentre attraversavamo il corridoio della scuola.
«Pensa per chi, come me, la stava ascoltando davvero che incubo possa essere!» rispose sarcastico.
Feci una faccia abbozzando un sorriso falso. «Lasciamo perdere… che fai oggi?»
«E’ il 18, non ricordi?» mi fece notare.
Al suono di quelle parole ricordai cosa accadesse quel giorno.
Il 18 luglio equivale alla festa più importante che ci possa essere per la nostra città.
L’intera giornata è dedicata alla festa poiché viene solo una volta l’anno.
Di mattina si va in processione per mare, ma non tutti – come noi bloccati a scuola – possono andarci oppure ci vogliono andare.
La sera, invece, non c’è anima viva che non festeggi. Si scende e si va al lago, dove si cena all’aperto con le prime cose che capitano sotto mano e si balla sotto le stelle.
Ma, la parte più bella, viene a mezzanotte. Proprio in quell’ora, dall’altro lato del lago, sparano i fuochi d’artificio, ed il bello di questo spettacolo sta nel guardarli in acqua.
 «E’ vero! Oggi c’è la festa… te lo farai il bagno quest’anno?»
«Non lo so… - rispose un po’ deluso – c’è anche Conor con noi e non so se lui se lo faccia. Insomma, alla fine non è di queste parti, lo capisco e non posso lasciarlo da solo» continuò la sua auto consolazione.
«Ma lascialo perdere! Se non se lo fa significa che è sfigato, semplicemente; e da quando tu frequenti sfigati? Senti, sei il mio migliore amico, stiamo sempre insieme e ho anch’io una reputazione da difendere. Viviamo affianco ad un lago da quando siamo nati, cosa credi che possano pensare gli altri se ti rifiuti di fare la cosa più bella che si fa d’estate? Quindi se non se lo vuoi fare, problema suo! E poi stiamo facendo i conti senza l’oste…» conclusi sottolineando l’ovvio.
Poco prima che finissi la frase, avevamo varcato il cancello dell’uscita. Proprio lì davanti, un ragazzo con le Air Max stava aspettando.
«Come mai quell’aria accigliata?» chiese quest’ultimo, tenendo le braccia conserte.
«Oggi c’è una festa e lei ha paura per la sua reputazione» rispose Jamie al posto mio.
Roteai gli occhi.
«Reputazione?» chiese confuso il ragazzo.
«E’ semplice: oggi c’è la festa più importante dell’anno e se tu, caro Conor, provi a metterti in mezzo a tuo cugino e alla sua voglia di fare festa, sei finito.» risposi senza mai prendere aria.
Conor, che intanto mi guardava interessato, fece una faccia dubbiosa.
Jamie intervenne: «Lascia perdere, vuole semplicemente che non tu non rimanga come un fesso a non farti il bagno».
Non essendo state le nostre descrizione particolarmente chiare, era ancora un po’ confuso.
«Dai andiamo, ti spiego a casa!» cocluse il biondo spingendo via il cugino.
Li salutai con un cenno della mano e mi avviai anch’io verso casa.
 
Da almeno un’ora stavo sopportando un via vai di vestiti.
«Allora, vado bene così?» chiese per la trentesima volta Ellie.
Era da quando eravamo tornate dal bar che andava avanti così: io da un lato, sprecando la batteria del mio telefono giocando ad uno di quei giochini stupidi, e lei, la mia migliore amica, davanti a me, che continuava a provare, togliere e scegliere tutti i vestiti che avesse nell’armadio.
Mi chiedevo perché lo fosse ancora.
Ogni tanto mi arrivava qualche messaggio da parte di Rice, con cui ci stavamo organizzando per il mangiare.
L’anno precedente avevamo fatto un pic-nik, ma quella sera saremo stati dimeno del dovuto, per cui non avevamo deciso nulla.
Probabilmente la maggior parte avrebbe mangiato a casa, sicuramente. Difatti Rice ed io stavamo discutendo proprio su questo fatto.
«Oh, Rice ha detto che ci saranno un bel po’ di ragazzi al nostro lido» istigai Ellie.
Ovviamente il perché si stava cambiando così tante volte, con lei, appariva chiaro; nel suo vocabolario povero di parole, solo una cosa risultava ai suoi occhi: ragazzi.
Carini, possibilmente, ma si faceva la gatta morta con chiunque. Non aveva alcun secondo scopo, ma le piaceva tantissimo avere attenzioni su di lei.
Come previsto, si girò verso di me strabuzzando gli occhi e urlò «oddio, devo cambiarmi assolutamente!».
La guardai con un’espressione di disapprovazione mista a consapevolezza della sua reazione, poi tornai al telefono.
 
Scendemmo, finalmente, in spiaggia verso le dieci di sera.
Ellie era davvero bella. Aveva messo un velo molto leggero di matita e aveva lasciato i capelli, nero mogano, sciolti sulle spalle, eppure quella sera sembrava essere la più bella fra tutte,
Sicuramente le sopracciglia perfette la aiutavano molto, ma il portamento elegante e la grazia sono due cose che l’estetista non può curare, e lei era provvista di tutte e due.
Tornando alla festa, il movimento era già cominciato.
Ci catapultammo a trovare qualcosa da mangiare; lo spuntino delle sette non aveva tenuto a lungo, e le nostre pance brontolavano come non mai.
L’odore della carne alla brace ci guidò fino a dei panini con la salsiccia che, affiancati da un paio di birre, erano i compagni perfetti.
Alla fine della nostra cena, molto sostanziosa, ci riunimmo con gli altri.
C’erano Rice, Ethan, Ginny, Jamie, Ian e Matt. Ma non ebbi il tempo di salutarli che iniziò lo spettacolo.
Una valanga di gente ci travolse, pronta ad andare verso la spiaggia.
Non ci facemmo perdere l'occasione. Un minuto dopo eravamo già in acqua.
Mi abbandonai all'acqua salata del mare.
Un altro sparo.
Quello sarebbe stato l'ultimo prima del vero e grande spettacolo.
Improvvisamente il cielo si colorò di fucsia, poi di verde e ancora di fucisa, blu e bianco.
Che spettacolo che era da guardare.
E poi arrivarono i miei preferiti, somiglianti a spighe di grano bianche.
Feci caso alla gente sulla spiaggia. Per lo più c'erano famiglie, coppie innamorate o compagnie di amici, tutte con lo sguardo puntato verso l'alto.
Noi certamente eravamo i più fighi, o almeno quelli che si stavano divertendo di più; ma all'appello mancava qualcuno.
Rice stava prendendo sulle spalle la ragazza che aveva appena abbordato; stava schizzando d'acqua Eathen; e Jemie… a sì, lui era quello che mi aveva appena presa in braccio.
Se prima non ero bagnata completamente, beh… dopo quel tuffo potevo dire di esserlo da capo a piedi.
La maglietta bianca che indossavo - pessima scelta - era diventata trasparente, nel *vero e proprio* senso della parola.
Mi sentivo completamente appiccicosa.
Il venticello che tirava iniziava a darmi freddo.
Mi girai per un'ultima volta verso quella banda di scapestrati che chiamavo "amici" e poi decisi che per me era arrivato il tempo di ritirarmi. Presto, purtroppo, ma iniziavo a non farcela più.
Camminai verso la riva e, una volta arrivata sulla spiaggia, mi sgrollai l'acqua di dosso.
«Attenta, rischi di bagnarci tutti!» esclamò sorridendo un ragazzo difianco a me.
Conor!
 Ecco chi mancava!
«Scusa… - sorrisi a mia volta - non ci avevo fatto caso».
«Come mai sei uscita?» chiese.
«Avevo freddo» dissi stringendomi nelle spalle.
«Aw, poverina. – Cercò di fare del sarcasmo – E’ proprio per questo che non mi sono fatto il bagno.» affermò sicuro.
«O perché hai paura del mare di notte?» chiesi alzando un sopracciglio e girandomi verso di lui per la prima volta da quando ero arrivata.
La mia domanda retorica lasciò un silenzio gelido. Che fosse davvero così? Aveva paura del mare di notte? O semplicemente del buio? In ogni caso tutte paure infantili, che non lo giustificavano.
Temporeggio un po’ prima di rispondere, «Ovvio che non ho paura, solo che mi piace più stare a riva e vedere i fuochi da asciutto…» abbassò lo sguardo.
Come avevo detto, aveva paura; ma non dissi niente, probabilmente era già a disagio di suo.
Calò di nuovo il silenzio.
Mi misi a guardare gli spari. Dovevano essere verso la fine.
Con la punta dell’occhio notai che Conor si stava guardando intorno; ed, effettivamente, anche io iniziavo a sentirmi un po’ a disagio. Forse il fatto di non avere argomenti di cui parlare ci faceva sentire un po’ come due estranei, eppure c’era qualcos’altro… certo, il freddo! Durante quel mini dialogo avuto con Conor, mi ero scordato del motivo per cui ero uscita dall’acqua.
Inizia a tremare. Mi strinsi ancora una volta nelle spalle, strofinandomi le braccia con le mani. Cercai di asciugarmi in tutti i modi possibili, ma il freddo si faceva ancora sentire.
Non ci dovevo pensare. Cambiai subito visuale e mi concentrai sui miei amici ancora in acqua.
Sembrava funzionare; il freddo stava svanendo piano piano. Ma uno spiffero di vento fece saltare tutti i miei piani.
«Nim?» mi richiamò Conor.
Mi girai verso di lui e feci finta di niente. «S - sì?» la bocca non era dalla mia parte… e fu proprio questo a tradirmi.
«Ma stai tremando!» affermò. Sul suo volto si dipinse un’espressione interessata e allo stesso tempo preoccupata, tutto questo mentre continuava a guardarmi.
Mi dava fastidio che l’avesse notato, non volevo la comprensione di nessuno.
«Vieni qui…» disse facendomi un cenno. La cosa si iniziava a fare preoccupante.
Con le ciglia corrugate mi avvicinai a lui. Tutt’a un tratto si levò la maglietta.
Moltopreoccupante.
Lo guardai totalmente stranita. Sulla mia faccia si leggeva benissimo “che cosa stai facendo?”, in risposta a Conor.
Mi alzò entrambe le braccia e mi infilò la sua maglietta senza neanche chiedere.
Rimasi stupita.
Io, Nim, con la maglia di Conor addosso.
Sapeva del suo profumo.
 
 


E' passato TROPPO tempo da che non aggiorno. Me ne rendo ogni responsabilità! Per cui se volete me ne potete dire di tutti i colori, me lo merito :|
Ecco, vi devo fare una confessione… devo ammettere che il posto in cui vivo io non è proprio un piccolo paesino - io la chiamo caput mundi, ma potete chiamarla anche Roma hahah - per cui capite come deve essere per me scrivere di una storia ambientata in un paese situato sulle montagne… in ogni caso passo TUTTE le vacanze da mia cugina( appunto), che vive in un paese a cui mi ispiro tantissimo per la storia.
Grazie mille per le DIECI recensioni allo scorso capitolo, siete stati pazzeschi!
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo. e non vi abituate ai capitoli lunghi, di solito i miei sono abbastanza corti.
Un bacio,
Annie x
 
P.S.: c’è qualcuno di voi che ha letto i promessi sposi e mi vuole dire di che parlano il terzo, il quarto e il quinto capitolo? *sono disperata*

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