VII Age

di Chaosreborn_the_Sad
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il cacciatore e la preda ***
Capitolo 2: *** Cap II Le due Bionde ***
Capitolo 3: *** Lachol Celeb ***
Capitolo 4: *** Cap IV Minas Duin ***
Capitolo 5: *** Cap V Alastegiel Thalien e Tar Eglerion ***
Capitolo 6: *** Cap VI The Long Night ***
Capitolo 7: *** Cap VII Decisioni Lungimiranti ***
Capitolo 8: *** Cap VIII Un Tabagista e Due Alcolizzati ***
Capitolo 9: *** Cap IX Ciocche Bionde e Ciocche Corvine ***
Capitolo 10: *** Cap X The Inn Accident ***
Capitolo 11: *** Cap XI Blue Eyed Meldarion ***
Capitolo 12: *** Cap XII Passi e Cenge ***



Capitolo 1
*** Il cacciatore e la preda ***


VII Age I

VII Age

Cap I Il Cacciatore e la Preda

L’elfo correva, attraverso il sottobosco. Era l’ultima volta che si lasciava scappare una preda come quella. Il cervo correva in ciò che restava dell’Ithilien, fuggendo dal suo cacciatore. L’elfo, che dimostrava venticinque anni ma dai suoi occhi trasparivano almeno un paio di millenni, tese l’arco e tirò. La freccia penetrò la zampa posteriore dell’animale, costringendolo a rallentare la sua folle corsa. Eglerion si avvicinò ed estrasse il coltello da caccia.

- Mi dispiace…- disse, rivolto all’animale. Con un repentino gesto taglio la gola al cervo, che si accasciò inerte al suolo. Non sapeva ancora a cosa andava incontro. Eglerion legò i lunghi capelli dorati con un nastro e si caricò in spalla la cena per se e per il suo equipaggio.

Questo è proprio il colmo…, si disse. Siamo nella settima Era del Sole e sono costretto a procurarmi il cibo alla maniera della seconda.

Il suo pensiero andò alle tragedie che i menestrelli solevano cantare nei momenti di cerimonia, che narravano della Più Grande Disgrazia Della Terra di Mezzo. Di come dopo la Guerra dell’Anello e dopo il regno di Elessar Telcontar venne il buio.

Gli elfi continuarono a diminuire, insieme a nani e altre razze primogenite, come gli Ent o le Grandi Aquile. Ma, chiusi nei loro reami boscosi e sotterranei, misero a punto le tecnologie necessarie alla sopravvivenza. Le lame e gli archi furono messi da parte, mentre la polvere nera aveva cominciato a diffondersi sempre di più. Le prime armi, come quelle usate da Curunir l’Istar nel grande assedio del Fosso di Helm, erano imprecise, e spesso danneggiavano anche chi le usava. Con il passare degli anni però, l’industria bellica si evolse, fino a raggiungere il punto di non ritorno. Mentre gli elfi e i nani, che oramai avevano messo da parte la maggior parte dei disguidi e delle divergenze, conducevano i loro esperimenti in segreto; gli uomini seguivano pian piano la stessa strada, raggiungendo risultati sempre più simili. Così giunsero infine, negli ultimi anni della quarta Era, all’energia nucleare. Di pari passo con la tecnologia bellica si erano evolute anche l’elettronica e la meccanica, dando vita a cose impossibili, fino a qualche secolo prima. Automobili, case illuminate da luce elettrica e grandi metropoli con grattacieli, non erano neanche presenti nei sogni degli esseri più potenti, come Mithrandir o Sauron. E mentre nella Terra di Mezzo tutto ciò accadeva, nell’Ovest i Valar osservavano preoccupati lo svilupparsi delle cose.

Nel terzo anno della quinta Era, il cui inizio corrispondeva alla scoperta dell’energia nucleare e delle armi basate su essa, un’ambasceria di uomini provenienti da Gondor si presentò a Imladris, che era diventato il maggior complesso di armerie di tutto l’Eriador. Elladan, uno dei due figli gemelli di Elrond Peredhel che governava quella zona (il fratello Elrohir al momento era impegnato nel controllo dei confini con l’Enedwaith), ricevette quegli uomini. Essi proposero lui un accordo sullo sviluppo degli armamenti, poiché altrimenti Gondor avrebbe mosso guerra contro di loro. L’elfo avrebbe dovuto presentarsi nella capitale entro pochi giorni, per siglare questo trattato insieme al Re. Elladan convocò i capi dei suoi alleati, e insieme decisero di opporsi all’accordo. Uno degli inviati sparò ad Elladan nella sala del consiglio, mentre una squadra speciale d’infiltratori Gondoriani penetrò l’avamposto presidiato da Elrohir e uccise anche lui. Non è necessario dire che né gli ambasciatori né i militari Gondoriani sopravvissero per raccontare l’esito delle loro missioni ma in ogni caso la notizia del rifiuto di disarmo arrivò anche nelle alte sale di Minas Tirith, che col passare dei secoli si era espansa e la residenza regia era passata dal settimo cerchio della città vecchia ad un sontuoso palazzo nel centro della città nuova extra-muraria.

Il Re di Gondor all’epoca era un uomo di cui si sapeva poco. Il suo nome di nascita era sconosciuto, si faceva chiamare Adunakhor, "Signore dell’Ovest", come l’antico Re Numenoreano che mise in testa alla sua gente l’idea della conquista di Aman. Di certo si sapeva che aveva poco a che fare con la linea di Isildur, poiché essa si era estinta dopo Arathorn III, primogenito di Eldarion. Egli era morto dopo solo cinque anni di regno, probabilmente vittima di una congiura, lasciando la moglie incinta. Ma ciò che il popolo non sapeva era che il figlio in questione, chiamato poi Mardil, come il primo dei sovrintendenti reggenti, era figlio della regina Usahtiel e dell’allora sovrintendente Cirion II. Ella aveva avuto una relazione extraconiugale, ed era rimasta pregna un mese prima del matrimonio. Dopodiché aveva partecipato alla congiura per avvelenare il marito e far ricadere la colpa sul cuoco di corte, che fu giustiziato dal sovrintendente stesso. Da quel momento la virtù di Gondor era tornata in declino, com’era successo prima di Telcontar.

Adunakhor non accettò che una banda d’immortali rifiutasse le sue condizioni, quindi mobilitò l’esercito verso Nord. E così si tirò addosso l’ira divina. Nel medesimo istante in cui il Re stava per dare l’ordine di lanciare le prime bombe nucleari; un corpo celeste, probabilmente una cometa o un asteroide, (che gli elfi identificarono come "Punizione di Eru") cadde su Anfalas. Le conseguenze furono disastrose.

Gli unici che si salvarono in tutta la Terra di Mezzo, furono alcune tribù Haradrim che al momento si trovavano in pieno deserto (e quindi passarono anni immersi nelle tempeste di sabbia) e alcuni elfi e nani, che erano nascosti nelle profondità delle montagne o in zone di poca turbolenza. Pochi furono i Rohirrim o i Gondoriani che scamparono. Quasi tutto ciò che era conosciuto fu raso al suolo, per due interi secoli le placche si mossero, inabissando catene montuose e distruggendo città, inondando continenti e facendone emergere nuovi. Le Montagne Nebbiose, Bosco Atro e parte dell’Eriador, furono letteralmente divorati dall’onda. Persino alcuni porti dei Teleri, a Valinor, furono sottoposti a violente ondate per mesi. Come millenni prima, il Beleriand era franato, la storia si era ripetuta. Intere zone erano affondate, mentre nuove catene montuose si erano innalzate.

Dove un tempo sorgevano orgogliose le Montagne Nebbiose, ora vi era un lungo tratto di mare, chiamato Anduin in onore del grande fiume. Sulla sponda est vi era una regione chiamata Rohan, che probabilmente faceva parte dell’antico Rhovanion, o forse altro non era che l’innalzamento degli Emyn Muil. Più a sud di questo sorgeva una catena montuosa, che faceva da confine con l’antico Ithilien, divenuto reame degli elfi silvani. Ad est e a sud di questa contrada c’erano il Vallo di Elessar e il Vallo di Isildur, grandi muraglie erette dagli uomini di Nuova Numenor. Essi erano i discendenti dei gondoriani sopravvissuti al cataclisma, che avevano fondato il loro nuovo paese nella zona dove un tempo era Mordor. Quest’area, un tempo arida e incolta, era diventata rigogliosa e coperta di foreste e praterie. Protetti dal Vallo e da ciò che rimaneva dell’Ephel Duath, gli uomini ricominciarono a costruire città alla maniera di un tempo, con alte torri e possenti mura. A nord di Nuova Numenor c’era una zona chiamata Pinnath Gelin, in ricordo del feudo appartenuto tempo prima a Gondor. Purtroppo per loro, quella regione fu reclamata da qualcuno che non si sarebbero mai aspettati. I pochi Noldor rimasti avevano trovato dimora nell’arcipelago denominato da loro Manwetol, "Isola di Manwe". Questo arcipelago era formato da cinque isole, che gli abitanti avevano nominato come cinque degli "Amici degli elfi": Beren, Turin, Earendil, Hador, e Gimli. Questi elfi si erano dedicati poi alla pirateria, sotto il comando di Tegalad, loro signore; conquistando così Pinnath Gelin e fondando il porto di Dol Calan, sulla punta estrema settentrionale. In questo modo dissuasero gli uomini dal marciare nuovamente contro gli elfi. Invece questi fondarono varie città portuali sulle loro coste (le maggiori furono Porto Malo e Porto Veliko), e si espansero a sud dell’Ithilien. Non ebbero il coraggio di attaccare quest’ultimo, temendo una rappresaglia da parte d’entrambe le nazioni elfiche. Li espansero il loro possedimento sotto la bandiera di Nuova Numenor e edificarono il Vallo di Isildur, a protezione contro eventuali incursioni da parte dei Sindar dell’Ithilien.

In quanto alle terre ad ovest dell’Anduin si sa ben poco. Eccetto una foresta sotto il dominio di Rohan (più che altro si trattava della loro riserva di legname), le altre lande erano inesplorate e portavano il classico nome di Terre Selvagge. Pochi sanno che la lunga catena montuosa che sorge adiacente alla costa altro non è che l’Ered Luin, mentre sono ancora meno coloro che sanno della sopravvivenza del Mithlond e dei Rifugi Oscuri. Questo porto elfico passò in mano ai figli di Elrond, dopo che Cirdan partì con l’ultima nave e rimase sotto il governo dei loro satrapi fino alla catastrofe. I pochi che sopravvissero elessero autonomamente il proprio Signore, ed elli ancora comanda quest’area. Beriadan è il suo nome, "il difensore degli uomini". Egli era il solo a sapere che nella zona tra l’Anduin e il Mithlond, vicino ad una foresta e degli antichi tumuli, in riva ad un fiume chiamato Calanduin, sorgeva una piccola casetta dove un omino vive, calzando i suoi gialli stivali, indossando la sua giacca blu cielo, portando una lunga piuma azzurra sul cappello e cantando inni alla sua amata Figlia del Fiume.

Infine nell’estremo nord esiste un’isola, dalla forma che ricorda vagamente una stella, sopra di cui sorge Erebor: la Montagna Solitaria era sopravvissuta senza troppi danni dalle scosse; mentre all’estremo sudest vi è una terra desertica, reduce dell’Harad, ancora abitata da uomini dalla carnagione scura.

Il giovane elfo stava per ricominciare la sua marcia verso la costa. Nonostante fosse meno di un miglio, il peso sulle sue spalle lo rallentava non poco. Aveva fatto pochi passi quando udì un grido.

- Daro!-. Fermati. Eglerion si voltò, cercando la provenienza dell’ordine.

- Iston le?- chiese. Ti conosco?

- Pedich edhellen?!- fu la risposta sorpresa della sua misteriosa interlocutrice. Parli l’elfico?!

- Tancave-. Certamente. Eglerion mise in mostra le orecchie appuntite.

- Man sâd telil?-. Da dove vieni?

- Telin o Manwetol-. Provengo da Manwetol.

- Sen tîr?-. E’ vero? Chiese di nuovo la ragazza.

- Gwanno ereb nin!- esclamò l’elfo, spazientito da tante domande. Lasciami solo.

- Sedho!- lo zittì lei.

- Inizio a stufarmi di questa situazione. Mostrati!- disse.

- No diriel- rispose la voce. Fai attenzione.

Eglerion lasciò cadere in terra il cervo e mise mano alla cintura, dove la sua lunga spada pendeva.

- Non lo farei se fossi in te. Sei a pochi metri di distanza da me e una freccia in pieno petto non fa mai bene-. Eglerion imprecò ad alta voce contro i mantelli degli elfi Sindar e cominciò a sondare la zona circostante, cercando colei che lo stava minacciando. L’elfa decise di farsi vedere, lasciando cadere il cappuccio del manto dietro la nuca. Eglerion rimase attonito. Gli occhi smeraldini della sconosciuta incrociarono i suoi, mentre ella tendeva l’arco verso di lui. I suoi capelli, di un colore biondo aureo ma mescolati a qualche ciocca castana, erano tagliati all’altezza delle spalle. Una ciocca intrecciata in una maniera sconosciuta ad Eglerion simboleggiava la casata della ragazza. Egli non poteva sapere di trovarsi al cospetto di un’elfa d’alto lignaggio. La fanciulla sorrise ad Eglerion, e gli parlò ancora.

- Cosa ci fa un Noldo da solo in una foresta con un cervo in spalla? Probabilmente cerca di rimediare un pasto ai suoi compagni, accampati poco lontano…- disse.

- Non ti rendi conto di con chi hai a che fare- rispose Eglerion, con una punta d’orgoglio.

- Dimmelo tu, allora, visto che sembra essere una cosa tanto importante-.

- Ti dice nulla il nome Tegalad?-.

- Sono una semplice guardavia. Di certo non posso conoscere i nomi dei vostri condottieri-.

- Lasto lalaith nîn-. Ascolta la mia risata, la canzonò lui.

- E va bene. Conosco quel nome. Ma cosa importa… egli non ha potere qui…-.

- Forse perché non si hanno più sue notizie da tre secoli ormai?-. Aveva colto nel segno. La sconosciuta era stata brava a nascondere le proprie conoscenze fino a quel momento, ma un lampo di sorpresa attraversò i suoi occhi. Quella era una notizia che giungeva nuova alle sue orecchie.

- Come prego?-.

- La corona dei Noldo è passata a suo figlio- disse l’elfo.

- Interessante. E tu magari provieni da un’illustre casata di sanguinari pirati che rientra nelle grazie di questo giovane sovrano-.

- Ci sei andata vicino- rispose. Lei proruppe in una risata, scuotendo la chioma. Lui colse l’attimo. Sguainò la spada e in un momento le fu vicinissimo. Ma aveva sottovalutato il nemico. Non appena Eglerion si era mosso, la Sindar aveva estratto un corto pugnale dalla cintura e glielo aveva piantato senza troppi complimenti nella coscia. L’alto elfo rovinò al suolo, e l’elfa gli fu sopra in un attimo. Teneva in mano una freccia, molto vicino alle iridi blu mare di lui.

- Se non la smetti di fare queste stronzate ti cavo i tuoi bellissimi occhi piano piano, hai capito?-.

- Nai Valaraukar tye-mátar - le disse sprezzante. Possano i Balrog cibarsi di te.

- Simpatico il ragazzo. Ora dimmi: chi sei?-.

- Nin estar Eglerion- disse in un sussurro. Lei si portò una mano alla bocca.

- Non può essere!-.

- E invece sì…- disse lui, stiracchiando un sorriso. La Sindar estrasse una borraccia dalla sacca verde che portava a tracolla, sotto il mantello.

- Bevi-. Il liquore scese nella gola di Eglerion, che si addormentò poco dopo. Lei fece un fischio, simile al richiamo di un uccello, e due guerrieri elfi vestiti di mantelli apparvero.

- Aiutatemi a portarlo al rifugio più vicino- disse. I due non dissero una parola, ma presero Eglerion e se lo caricarono in spalla. Durante la marcia verso il nascondiglio la fanciulla rifletteva. Sperava di tutto cuore che l’antidoto facesse effetto velocemente, perché altrimenti il veleno del pugnale avrebbe portato presto il ragazzo alla follia.

Sicuramente la sua regina non avrebbe gradito che lei girasse nei boschi rendendo folli i Re delle altre nazioni.

Ed ecco finalmente la mia prima fanfic su LotR... il secondo capitolo è in lavorazione, ditemi come vi sembra per favore...

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Capitolo 2
*** Cap II Le due Bionde ***


VII AGE II

 

Cap II Le Due Bionde

Eglerion aprì gli occhi lentamente. Chissà quanto aveva dormito. L’ultima cosa che ricordava erano gli occhi verdi della sentinella e un bruciore alla gola. Probabilmente lei gli aveva versato un qualche liquore nella gola.

Si guardò attorno.

Si trovava in uno dei rifugi usati dagli elfi che presidiavano i confini come luogo di riposo e di ritrovo. Il rifugio si sviluppava su tre talan, collegati da passatoie. Quello dove era disteso lui era adibito a dormitorio, mentre quello centrale e quello più a sinistra erano rispettivamente l’armeria e la cambusa.

Stranamente il luogo era silenzioso. Eglerion guardò verso il Sole. Dovevano essere le sei del mattino o qualcosa di simile. In verità erano passate due ore dal Meriggio, ma egli non poteva saperlo.

Eglerion sbadigliò e si mise seduto. Il silenzio era leggermente scalfito dal rumore dell’acqua. Osservò il terreno circostante e individuò un lago, poco lontano.

Si alzò in piedi, deciso a farsi un bagno. Trovò dei teli vicino al tronco dell’albero, dove stavano anche i suoi vestiti. Infatti, in quel momento, indossava una toga che qualcuno gli aveva messo addosso. Afferrò uno degli asciugamani, se lo mise in spalla e si diresse verso il lago.

Quando arrivò là, il Noldo si lasciò sfuggire un sorrisetto. Un’elfa, probabilmente la stessa che lo aveva ferito, stava nuda al centro del lago, dandogli le spalle.

- Sai, non è carino spiare una fanciulla immersa nelle sue abluzioni- gli disse la ragazza.

- Contavo sul fatto che tu mi sentissi arrivare-. Lei gli sorrise.

- Chiudi gli occhi-. Eglerion eseguì, ridacchiando sommessamente. Stava chiudendo gli occhi di fronte una perfetta sconosciuta, che per di più aveva la sfacciataggine di dargli del tu. Se lo avesse visto Lancaeriel in quel momento, avrebbe detto che era patetico…

***

- Dove diamine è finito, per tutti i Valar!-.

L’elfa bionda, in piedi sulla tolda della nave stava sbraitando contro un suo sottoposto.

- Come sarebbe a dire "non lo abbiamo trovato"! Un elfo di sei piedi non svanisce nel nulla!-.

I suoi occhi, di un colore indefinito tra verde, grigio e azzurro, osservavano i due elfi a cui aveva incaricato di ritrovare il suo capitano.

- Mia signora…- cominciò uno dei due.

- Sedho! Non voglio udire altre scuse per oggi. Piuttosto mandatemi Meldarion… serve che qualcuno abbia successo dove il nostro comandante ha fallito-. I due annuirono e se ne andarono con la coda tra le gambe.

Lancaeriel si appoggiò alla balaustra. Dove poteva essere finito, quell’inetto di Eglerion… Non lo sapeva. Si rassettò la veste blu e argento con aria assente, mentre rifletteva. Se non ci fosse stata lei, gli abitanti di Manwetol avrebbero già rovesciato il governo da un pezzo. Eglerion era un bravo comandante, questo lo riconosceva, un buon condottiero in battaglia… ma per quanto concerneva il governare… L’alta elfa si lasciò sfuggire un sospiro… Quell’elfo era incorreggibile… non aveva preso moglie, si era fatto vedere in veste di Re in due occasioni e, per completare l’opera, soleva ubriacarsi di birra Haradrim una volta a settimana almeno… Ma perché ho accettato il posto di comandante in seconda della flotta… perché ho pensato al profitto e non alle conseguenze… Mai mettere il lavoro di un’elfa nelle mani di un elfo… pensò. Un altro ricordo affiorò nella sua mente: "Shei l’elfa più bbbela che io abia mai vishto…"

Questo le aveva fatto accettare… un complimento che egli le aveva fatto una sera mentre tracannava nella locanda dove lavorava al tempo…

- Mia signora-. Una voce profonda la fece voltare. Un elfo s’inchinò velocemente e punto i suoi occhi scuri su di lei.

- Mi avevate fatto chiamare?-.

- Sì Meldarion… raduna una squadra di cacciatori… Desidererei cenare questa sera…-.

- Come desiderate-. L’elfo moro fece un altro breve inchino e si allontanò. Il classico Noldo… occhi scuri, capelli neri… potrebbe benissimo far parte della linea di Feanor, si disse la giovane bionda. Si girò di nuovo verso il mare e maledì il giorno in cui Eglerion aveva avuto la brillante idea di scendere lungo l’Anduin. Erano partiti con tre navi; ma, mentre la Anor e la Galad erano tranquillamente ormeggiate a Minas Falas, l’ammiraglia della flotta Noldorin, comandata da quella spugna del loro Re, aveva continuato il viaggio verso Sud. La Ithil, quindi, si trovava ancorata al largo di una spiaggia poco più a sud del confine di Rohan con l’Ithilien.

Lancaeriel fissò i flutti che s’infrangevano contro la chiglia di legno della nave. Faceva caldo quel giorno. Troppo caldo. Aveva fatto male ad indossare un abito scuro e lungo. Avrebbe dovuto mettersi una tunica da cacciatore. Sarebbe stata più libera nei movimenti e non avrebbe sofferto per la temperatura. In due mosse scostò le spalline della veste dalle scapole e il vestito scivolò in terra. Prima che qualcuno dell’equipaggio potesse notarla, (Per fortuna, pensò ella), l'elfa salì sul parapetto e si lanciò nel mare sottostante.

***

Eglerion uscì dall’acqua e si asciugò.

Certo che quella sentinella è premurosa, si disse. Infatti aveva trovato i suoi vestiti sulla sponda e nel punto dove il coltello lo aveva colpito vi era una fasciatura. Quella ferita gli doleva da matti, ma egli non voleva darlo a vedere. Mentre si stava rivestendo, ringraziò i Valar e quella neurotossina per averlo fatto dormire un sonno umano, invece di spedirlo in quel coma meditativo che gli elfi hanno mentre riposano. Il Noldo odiava quei trip di visioni elfiche, "degne di un’indigestione di Lembas", come soleva dire. Questo anche perché gli riusciva difficile meditare con un’eccessiva dose d’alcol nel sangue. Il suo secondo, un’elfa con venti centimetri buoni in meno di lui ma che era capacissima di farlo sentire in colpa per le sue sbronze, aveva ragione… doveva moderarsi, altrimenti sarebbe andato incontro a brutte conseguenze.

L’elfo si alzò in piedi e si mise in cammino verso i Talan.

- Eccoti finalmente- disse l’elfa, quando Eglerion si presentò sulla cambusa.

- Grazie- disse egli, riferendosi a ciò che ella aveva fatto per lui.

- Dovere… non posso accoltellare un Re in un bosco e poi non accettarne le conseguenze. A proposito, spero che tu non sia seccato se non mi riferisco a te con titoli come "mio signore" o non ti do del voi… ma se devo essere sincera non ci riesco…-.

- In che senso?- chiese l’elfo, con un sorriso beffardo sulle labbra.

- Sembri così… immaturo! Non hai la faccia da Re…-.

- Sai, mi ricordi una mia amica ora… ma ad ogni modo poco importa. I titoli mi fanno accapponare la pelle…-.

- Anche a me…- sospirò l’elfa.

- Come prego?- chiese Eglerion interessato.

- Niente...- rispose velocemente la guardavia.

- Mmh… sarebbe anche ora che tu mi dicessi il tuo nome…-.

- Ogni cosa a suo tempo- rispose la Sindar.

-Ora si mangia- aggiunse poi.

I due elfi si misero a sedere e cominciarono il loro pasto.

Il cibo era appoggiato su un tavolino, se quello era il nome che gli si poteva dare, alto una decina di centimetri rispetto al pavimento d’assi; mentre i due commensali sedevano su alcuni cuscini.

Gli elfi mangiarono in silenzio, studiandosi a vicenda. Era la prima volta che Eglerion vedeva colei che l’aveva catturato in tutto il suo splendore.

I capelli ondulati erano raccolti, lasciando libere un paio di ciuffi, tra cui la ciocca che simboleggiava il suo rango. Gli occhi verdi lo osservavano attenti, mentre ella mangiava tranquillamente. Indossava una tunica di cuoio, decorata da frange, che terminava sopra le ginocchia. Ai piedi calzava degli stivali da viaggio logori e al suo fianco pendeva una lunga lama elfica, simile a quella di Eglerion.

Mentre Eglerion osservava l’elfa, ella a sua volta studiava i suoi tratti. I capelli gli ricadevano sulle spalle, mentre egli mangiava. Aveva addosso una veste color azzurro e argento tipica dei Noldor, formata da vari strati ma che lasciava i movimenti abbastanza liberi.

I due terminarono il proprio pasto in tranquillità.

- Ora cosa intendi fare? Trattenermi qui o bendarmi e riportarmi dove mi hai incontrato?- domandò il Noldo.

- Resterai qui… chiunque veda l’entrata deve in Gondolin vivere o in Gondolin morire- disse la bionda con voce grave, prima di scoppiare a ridere.

- Scherzavo… intendo fidarmi di te, a patto che tu ti fidi di me-.

- Vediamo quali sono le tue condizioni-.

***

Lancaeriel uscì dall’acqua e iniziò ad asciugarsi. Aveva fatto portare un paio di teli sulla spiaggia da uno dei cuochi di bordo. Si avvolse negli asciugamani come meglio poteva e si diresse dove la aspettavano il capo-cuoco e suo fratello, il timoniere.

I due erano umani, figli di un Rohirrim e di una donna di Nuova Numenor. Vivevano a Pinnath Gelin e vi erano rimasti dopo la conquista da parte degli elfi. Il primo aveva ereditato i tratti della madre, capelli neri e occhi scuri, mentre il secondo, di chiara discendenza del Riddermark, aveva i capelli color del lino e occhi grigi.

- Avete fatto un buon bagno, mia signora?- domandò il timoniere.

- Molto buono Gelirion, grazie per aver chiesto-.

Tuarwaithion, il ragazzo moro, cominciò a remare verso la Ithil. Lancaeriel approfittò del momento per riflettere. Il bagno nel mare le aveva decisamente schiarito le idee. Avrebbe guidato lei stessa la seconda squadra di ricerca. Doveva solo sperare che la notizia non si diffondesse. Sarebbe scoppiato il pandemonio se a Manwetol il popolo fosse venuto a conoscenza della sparizione del Re e della rottura della linea.

Doveva solo attendere che Meldarion tornasse per mangiare qualcosa.

***

- Ancora non capisco- disse Eglerion, incespicando in una radice con la gamba ferita.

- Che cosa c’è di tanto strano?- rispose la giovane.

-Che cosa ti fa pensare che arrivati in quella radura io non tenti di lasciarti là e tornare da solo alla nave?-.

L’elfa sospirò ed emise un fischio. Tre sentinelle apparvero tra le fronde degli alberi, con gli archi tesi verso Eglerion.

- Non ho intenzione di ficcarti quell’antidoto in gola una seconda volta- disse poi.

- Quindi sono nelle tue mani…-.

-Tancave-.

Eglerion imprecò a mezza voce e si fermò.

- Cosa c’è adesso?- disse la guardavia, spazientita.

- Tu non vuoi perdere tempo, io neppure. Ma c’è una cosa che voglio sapere e, a costo di rischiare la sanità mentale, non farò un altro passo prima di conoscerla-.

- E cos’è, di grazia, ciò che il gran signore vuole sapere?!- disse l’elfa sarcastica.

- Il vostro nome, mia signora-.

La ragazza restò interdetta, indecisa se dirglielo o meno.

- Sei disposto a rischiare la follia pur di sapere come mi chiamo?-.

- Sì-.

- Non so se considerarlo un complimento o meno…- disse la bionda in un sussurro. Egli sorrise.

- Nin estar Rhavanwen- asserì ella.

Eglerion sorrise nuovamente.

- Visto? Non era così difficile-. Rhavanwen roteò gli occhi.

- Forza, rimettiamoci in marcia-.

***

- Piano, piano…- sussurrò Meldarion. I due cacciatori alle sue spalle tesero gli archi. Il cinghiale si girò e so preparò a caricare. Meldarion lo fissò negli occhi, pronto a saltare. L’animale cominciò la folle corsa, puntando verso l’inguine dell’elfo. I due arcieri lasciarono le frecce, colpendo le zampe anteriori del cinghiale, che caracollò a terra. Meldarion saltò verso esso, pugnalandolo nel dorso.

- E con questo siamo a tre. Dovrebbero bastare per un paio di giorni-.

- Dovrebbero…- asserì uno dei due dietro di lui. Meldarion si girò, per incrociare gli occhi bruni di Castiel, l’elfa che aveva parlato.

- Desideri andare a cercarne un altro?- disse egli, in tono di sfida.

- Certo che no!- esclamò, - non vorrai mandare una ragazza a cercare un cinghiale da sola!-.

- Beh… è un’idea…- rispose l’elfo. I due si guardarono negli occhi con aria accigliata per qualche secondo, prima di scoppiare a ridere.

- Vieni qua amore!- disse Meldarion, abbracciandola. Si baciarono, finché l’altro cacciatore non si schiarì la voce.

- Ops! Scusaci Stephane-.

- Nessun problema Meldarion. Pensavo che magari sarebbe meglio se portassimo la cena alla nave, così che voi possiate continuare nei vostri quartieri- rispose l’uomo.

I tre risero.

L’uomo e l’elfo si caricarono il cinghiale in spalla e cominciarono a camminare verso la Ithil.

***

- Mia signora?- disse Gelirion, bussando.

- Entrate-. I due fratelli fecero il loro ingresso nella stanza dell’elfa. Tuarwaithion poggiò la teiera che portava su un tavolino e riempì una delle tazze.

- È bizzarro come, dopo tutti questi anni, l’Athelas esista ancora e abbia ancora la proprietà di alleggerire i cuori- disse Lancaeriel, sorseggiando la bevanda.

- Concordo…- disse il cuoco, versandosi una dose di decotto a sua volta.

- Ma non era di questo che volevo parlarvi. Vi ho convocati in mancanza di Eglerion, per alcune decisioni-.

- Diteci- la esortò il Rohirrim.

- Prima di tutto, lasciate perdere i formalismi, almeno in privato. Mi duole aver mandato Meldarion con i cacciatori, ma con lui posso stare sicura che qualcosa ci porterà indietro-.

- Sì… un elfetto nel grembo di Castiel…- borbottò Gelirion, sotto lo sguardo divertito del fratello. Lancaeriel ridacchiò, chiaramente divertita dall’affermazione del timoniere.

- Intendevo qualcosa per cena...- disse la dama, sorridendo.

- Ad ogni modo, - continuò, - stamattina ho deciso di scoprire che cosa il nostro Re avesse in serbo per noi, quindi ho letto il diario di bordo del capitano-. Si interruppe per respirare, mentre i due uomini aspettavano che ella arrivasse al punto.

- Nelle ultime annotazioni fa spesso riferimento a dei trattati e a Nuova Numenor. Per farla breve, egli teme che Nuova Numenor abbia intenzione di attaccare il Mithlond e gli altri reami elfici-. Tuarwaithion la guardò preoccupato.

- Il Mithlond non è mai stato una grande potenza bellica… a meno che non riceva aiuto da qualche altra regione, non può resistere a lungo- disse.

- Da quando Cirdan è partito, il Mithlond e le Falas sono a rischio d’invasione. Sotto Adunakhor, Gondor assoldò più di una volta flotte di corsari per attaccare quella regione. Se non fosse stato per le legioni d’arcieri sulle sponde, i porti sarebbero caduti in pochissimo tempo…- rincarò la dose il fratello.

- Non vi facevo così informati su noi elfi- disse Lancaeriel. I due le sorrisero, aggiungendo che ella non sapeva molte altre cose di loro.

- L’ironia è proprio il vostro forte…- sospirò ella.

- Insomma Eglerion ha intenzione di raggiungere il Mithlond e contattare i Sindar dell’Ithilien, giusto?- disse uno dei due, riportando la discussione sui binari predefiniti.

- Esatto. Intendevo indire un concilio stasera, ma ho preferito dirvelo subito. Informerò Meldarion non appena torna e poi andrò a cercare quello sciagurato…-.

- Come mai hai deciso di dirlo a noi?- domandò Tuarwaithion.

- Semplicemente perché mi fido di voi due e di Meldarion… dopotutto, non è un caso se Eglerion ha messo voi tre al terzo posto nella scala gerarchica-.

Ci fu un’altra pausa, in cui Gelirion si versò un’altra tazza di Athelas.

- Ma è vera la leggenda che Eglerion porta sempre con sé la chiave dell’armadietto dei liquori?- domandò poi, per ravvivare la conversazione.

- Non è una leggenda, è un fatto… è così da quando lo conosco…- rispose la bionda.

- E io che speravo di fregargli un goccio della tequila nanica…- asserì il cuoco, sospirando.

Detto ciò si alzò.

- Vado a vedere se i cacciatori sono di ritorno… il sole tramonterà tra una mezz’ora, quindi è meglio se ordinò di accendere i fuochi per la cena, già che ci sono-.

- Se ti serve una mano chiamami… non ho nulla da fare a pensarci bene…- lo avvisò suo fratello.

Uno ad uno si congedarono dall’elfa, lasciandola sola nella stanza.

Dove sei Eglerion... inizi a farmi preoccupare… Finì la sua tazza di Athelas e si stese sulla branda, per riposare un po’, prima di andare a cercare il proprio Re.

***

- Valar se è lontano!- disse Eglerion.

- Non è tanta strada in linea d’aria, sto solo tentando di fare il giro più sicuro e più vicino alla costa- rispose Rhavanwen.

- Capisco-.

- Tra poco saremo in quella radura, quindi passerò a te la guida- affermò ella. Egli annuì.

Camminarono per un altro tratto, finché Eglerion non riconobbe il posto dove aveva incontrato la Sindar.

- Eccoci- disse.

- Ssh- lo zittì l’elfa. Si fermarono e si misero in ascolto. Udivano chiaramente dei passi. Probabilmente due o tre persone. Di certo uno era un uomo. Un elfo non poteva avere il passo così pesante. L’elfa si tolse l’arco dalla spalla, spinse Eglerion dietro un albero e si avvolse nel mantello. Attese fino a quando i passi non furono più vicini e urlò, come aveva fatto il giorno prima.

- Daro!-.

- Hai sentito?-.

- Era un’elfa-.

- Non lo so, ma non mi piace-. Rhavanwen n’ebbe la conferma. Erano tre. Stava per dire qualcos’altro, ma fu fermata da Eglerion.

- Meldarion!- gridò.

- Eglerion!- fu il grido di risposta. I due sentirono un tonfo provenire da dietro un gruppetto d’alberi e videro un elfo moro uscirne correndo. Eglerion gli andò incontro, abbracciandolo.

- Mae govannen, mellon nìn!- disse Eglerion. Ben incontrato, amico mio.

- Im gelir ceni ad lín- rispose Meldarion. Sono felice di rivederti.

Dalle fronde uscirono altre due persone. Una giovane elfa, dai capelli castani e gli occhi bruni e un uomo, dagli occhi azzurro cielo e i capelli rossi che gli scendevano fin sulle scapole.

- Lady Rhavanwen, permettimi di presentarti Meldarion, figlio di Daeron, Castiel, della stirpe di Idhron e Stephane, discendente di Ciaran di Rohan- disse il Re. I tre s’inchinarono quando Eglerion pronunciò i loro nomi.

- Suilaid- rispose l’elfa. Salute.

Il biondo guardò i tre e sorrise.

- Allora, come va? Lancaeriel ha dato di matto perché sono sparito?- domandò. I tre lo guardarono storto. Meldarion decise di rispondere.

- Mah… abbastanza… Athradien si è beccato una strigliata perché non è riuscito a trovarti, ma nulla di più-.

- Niente di nuovo, insomma… poveraccio… se la prende sempre con lui quando ha i nervi a pezzi…- disse Eglerion pensieroso.

- Voi cosa ci facevate qui, invece?-.

- Citando il comandante in seconda, "serviva qualcuno che avesse successo dove il nostro Re ha fallito". Stavamo rimediando la cena-.

Stephane intervenne: - Io penso sia meglio se ci affrettiamo, altrimenti Lady Lancaeriel se la prenderà con te stavolta, Meldarion-.

Rhavanwen assisté allo scambio di battute senza parole. Le sembrava di vedere il ritrovo di amici in una birreria, non al ritrovamento di un Re da parte di alcuni suoi sudditi. L’uomo la risvegliò dai suoi pensieri.

- Se volete seguirci, dama Rhavanwen-.

Il gruppo si rimise in marcia verso il punto dove la Ithil era ancorata. Si fermarono a riprendere il cinghiale morto e camminarono speditamente attraverso lo stesso sottobosco dove Eglerion aveva inseguito il cervo il giorno prima.

 

 

Ed ecco finalmente il secondo capitolo. Come potete vedere ho introdotto qualche nuovo personaggio ("qualche"?!).

Allora, come vi sembra Lancaeriel?

Ad ogni modo ringrazio Uriko e Valentina per le recensioni.

@Uriko: grazie, contento che ti piaccia come ho descritto gli avvenimenti che scuotono la Terra di Mezzo durante tutti quegli anni. Come puoi vedere da questo capitolo, Eglerion è un elfo elfico quanto gli Dei omerici sono divini...

@Valentina: Grazie, addirittura la "reincarnazione di Tolkien"! Sono felice che ti piacciano storie del genere... la fic è  nata soprattutto perché avevo voglia di scrivere qualcosa di Fantasy, ma partendo da zero avrei comunque scritto qualcosa di troppo somigliante al "Signore degli Anelli" per ambiente e razze, quindi non mi è venuto in mente niente di meglio che ambientarlo anni dopo.

@Silvì: ecco finalmente la fantomatica storia fantasy di cui parlammo tempo fa (Silvia, rimembri quel tempo in cui ti parlai della fantastica storia? =)) felice che ti sia piaciuta. E no, Lancaeriel non sarà una pervertita come tu predicesti

Infine devo menzionare il fatto che l'idea del corpo celeste è ispirata al libro "Atlantis Found", di Clive Cussler e che la fantomatica ciocca di Rhavanwen non è altro che una ciocca rasta, ma non ho idea del nome che un elfo potrebbe darle.

Arrivederci al prossimo capitolo, che non so quando arriverà purtroppo o_O

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Lachol Celeb ***


VII age cap III

 

 

Cap III  Lachol Celeb

 

- È… è… -.

- Splendida, vero? Di solito sortisce quest’effetto su chi la vede per la prima volta- disse Eglerion, osservando divertito lo sguardo dell’elfa silvana, che a sua volta guardava la nave con gli occhi spalancati.

- Gelirion! Spero tu non stia tracannando dalla mia riserva di liquori!- gridò egli, una volta arrivato a portata di voce.

- TU!-. Non fu di Gelirion la risposta. Fu del comandante in seconda.

- Bella!- la salutò calorosamente Eglerion.

- TU! Tu come puoi presentarti così… così… spensieratamente qui, dopo avermi fatto preoccupare per un giorno intero!- gli urlò, quasi senza respirare. Gli corse incontro e lo abbracciò, gli occhi le lacrimavano per la felicità.

- Sia dannato Manwe, se tu non mi sei mancato!-. L’elfo le sorrise, asciugandole le lacrime.

- Fammi un favore ora: non piangere più e dì a Tuarwaithion di dare fuoco alle polveri, che stasera si mangia. Digli anche di impegnarsi, perché stasera abbiamo un’ospite-.

- E chi sarebbe, di grazia?- domandò la Noldo, ritrovando un po’ di contegno.

- Dama Rhavanwen, figlia di Gawain e Naerwen, al vostro servizio, mia signora- disse Rhavanwen, sentendosi chiamare in causa. Lancaeriel lanciò un’occhiata eloquente al proprio capitano. Possibile che, pur perdendosi in un bosco, egli fosse riuscito a trovare una dolce compagnia femminile? Possibilissimo.

Sorrise alla nuova arrivata, inchinandosi a sua volta.

- Farò preparare una camera per voi, in caso vogliate riposare- le disse.

- Vi ringrazio…-.

Il gruppetto di elfi salì sulla nave, seguito da Stephane, che si occupò di assicurare la lancia con cui avevano raggiunto la Ithil alle cime di sostegno.

 

***

 

- Posso entrare?-.

- Tu sei sempre ben’accetta qui, amica mia- rispose il Re, osservando il mare dalla finestra sulla poppa della nave.

- Devo parlarti- disse Lancaeriel.

- Dimmi, allora-. Eglerion non si mosse, preparandosi mentalmente alla discussione. Infatti, le prime cose che aveva fatto arrivato nei suoi quartieri erano state, nell’ordine: controllare che nessuno avesse violato la riserva personale delle bevande del capitano, controllare il sigillo del diario di bordo. Chi altri se non l’elfa che gli stava alle spalle, avrebbe potuto ardire a tanto. Di certo c’era che aveva nascosto bene le tracce, ma, dopo secoli di controlli, Eglerion aveva l’occhio allenato a riconoscere eventuali infrazioni della sua privacy.

- Ho letto il tuo diario di bordo- disse ella.

- L’ho notato- rispose il capitano, indicando il libretto rosso rilegato in pelle che era appoggiato sul tavolo. L’elfa sospirò.

- Quando intendevi dircelo?- chiese, tentando di non sembrare troppo acida.

- Se tutto fosse andato normalmente, tra un paio di giorni, una volta arrivati a Minas Duin; ma visto l’intoppo, che risponde al nome di Rhavanwen, te l’avrei detto appena tornato. A quanto pare, però, sei abbastanza autonoma-. Egli sorrise.

- Sono fiero di te, Lancaeriel. Non potevo scegliere persona migliore per assumere il comando in mia vece- le disse. La bionda era a dir poco sbalordita. Si aspettava tutto tranne che complimenti.

-Vi ringrazio, mio signore- disse, assumendo un’aria sottomessa.

- Lancaeriel, quante volte devo ripeterti che tu non devi sottometterti, inchinarti o trattarmi con onore?- le domandò.

- Lo so, lo so… devo trattarti come un amico ed essere schietta…-.

- Pane, pane e pero al pero, cantava un poeta…- rispose Eglerion. Fece il giro della scrivania e si mise di fronte a lei.

- Stai tremando- le disse. Ella annuì.

- Mi hai fatto preoccupare tantissimo- gli rispose, autocitandosi.

- Esiste un modo per farmi perdonare?- domandò lui. Lancaeriel sorrise maliziosa.

- Penso di sì-.

Egli le cinse la vita con le braccia e la baciò. Si staccarono dopo qualche secondo. L’elfa girò la chiave nella serratura, in modo da chiudere la porta, prima di essere nuovamente baciata dal Re. Si lasciarono prendere dalla passione, mentre la campana della cena suonava.

 

***

 

- Come mai né Lord Eglerion né Lady Lancaeriel si sono presentati?- domandò l’elfa silvana a Stephane, che sedeva accanto a lei. Egli sorrise all’ingenuità della Sindar.

- Probabilmente saranno occupati- disse evasivamente. Era compito di Eglerion spiegare alla dama il suo legame con il suo secondo. Nonostante tutto l’equipaggio n’era a conoscenza, ella non poteva sapere che i due erano amanti. L’uomo ridacchiò. Amanti… si disse. Amanti vuol dire che trombano quando hanno voglia, senza impegno…

L’elfa lo guardò poco convinta, ma non fece altre domande e si concentrò sulla fetta d’arrosto che giaceva nel suo piatto.

I cuochi si erano veramente impegnati, per riuscire a portare in tavola pietanze degne delle alte sale della sua regina. Ma d’altra parte, è un Alto Re dei Noldor a governare la nave, si disse. Osservò la sala.

Si notava che Eglerion non era in buoni rapporti con il suo titolo.

A differenza delle navi degli uomini o dei Teleri, dove il capitano e gli ufficiali di grado più alto cenano con cibo migliore in sede separata dal resto della ciurma, la Ithil aveva una sola grande sala. In essa vi erano tre lunghe tavolate, dove elfi e uomini, ufficiali e marinai, sedevano mescolati tra loro. Eglerion stesso non voleva posti d’onore, anzi, spesso si avvicinava ai mozzi o alle sguattere più giovani, chiedendo se fosse libero il posto accanto. Non serve dire che spesso gli interpellati restano esterrefatti e stupiti. Tutti ricordano con il sorriso la sera in cui il Re alzò troppo il gomito e salì sul tavolo centrale con il boccale in mano, incitando gli altri a cantare.

Rhavanwen ripensò a come aveva passato l’ora precedente: visitando la nave, guidata da Castiel, l’elfa mora che aveva conosciuto nel bosco.

 

La Ithil era l’orgoglio della flotta Noldorin. Lunga circa centoquindici piedi dalla punta della polena a forma di sirena (che, Rhavanwen ne era sicura, aveva i tratti molto somiglianti a quelli di Lancaeriel), alla poppa; si sviluppava su cinque ponti.

Il ponte A, il più basso prima della sentina, era adibito a magazzino per attrezzature varie da sbarco, come tende e attrezzi da lavoro. Sempre nel ponte A vi erano due barili di tabacco, un’erba scoperta da poco dagli Haradrim nelle foreste che caratterizzano la loro costa occidentale. Gli uomini e talvolta qualche elfo, solevano fumarla come tempo prima la gente fumava l’erba-pipa dei mezz’uomini. Essendo però sprovvisti di pipe, i marinai Noldorin avevano trovato un modo per farne a meno, arrotolando le foglie sbriciolate in una o due foglie più ampie. Infine nel ponte A, cosa più importante, stavano le riserve d’acqua.

Sopra al ponte A stava il ponte 1, che veniva utilizzato come cucina e cambusa. Esso era il regno di Tuarwaithion, in cui venivano creati i manicaretti come quello servito quella sera.

Nel ponte 2 vi era il refettorio e le brande dei marinai.

Il ponte 3 univa infine le funzioni di armeria e ponte d’offensiva. Infatti, in quel punto della nave stava la maggior parte delle armi, insieme alle baliste. Là si potevano trovare anche le poche celle, dove venivano messi i prigionieri.

A tutti questi ponti si accedeva tramite due scale di legno che scendevano attraverso la nave, una vicino al castello di poppa e una vicino alla prua.

Nel castello di poppa c’erano gli alloggi del capitano e del suo secondo, lo studio del capitano e i quartieri di alcuni personaggi di spicco dell’equipaggio, come Meldarion (che divideva la cabina con Castiel, da qualche giorno), Gelirion, Tuarwaithion e Stephane (che dividevano la stessa cabina). Per finire c’erano due cabine vuote in fondo al corridoio, utilizzate da eventuali passeggeri in più (come Rhavanwen) e una delle tre latrine. Le altre due erano situate nei ponti A e 3.

La nave procedeva grazie alle vele dei tre alberi ed era manovrata con maestria da Gelirion (o, talvolta, da Eglerion stesso), dalla cima del castello di poppa, ove era la ruota del timone.

Più di una volta era stata protagonista di scorrerie ai danni di Nuova Numenor e aveva avuto un ruolo di spicco durante l’assedio di Dol Firith, il colle del tardo autunno, ove ora sorge Dol Calan.

 

È proprio una gran bella nave… pensò l’elfa, rivolgendo di nuovo l’attenzione al suo pasto.

***

 

- Ti ho mai detto che sei fantastica?- chiese Eglerion.

- Probabilmente- rispose Lancaeriel sorridendo. I due giacevano sul ponte della nave, abbracciati. Il Re baciò la fronte dell’elfa e le parlò nuovamente.

- Meglio rivestirsi... sicuramente il resto dell’equipaggio starà ridacchiando per via della nostra assenza…- disse, inconsapevole che la ciurma stava sì, facendo commenti maliziosi, ma rivolti a Castiel e a Meldarion, anche loro assenti alla cena.

- Allora- asserì Lancaeriel, mentre indossava la sottoveste, - cosa è nato tra te e la Sindar?-.

- Come prego? No… non c’è nulla…- disse Eglerion.

- Sì, come no- rispose l’elfa in tono strafottente.

- Solo perché ci diamo del tu, non significa che c'è qualcosa di più tra noi-.

- Mh… Spero tu abbia notato che la tua amica è di famiglia nobile-.

- A dire il vero no. È stata molto evasiva per quanto concerne se stessa. Pensa che, fino a questo pomeriggio, non conoscevo nemmeno il suo nome… d’altronde, come lo potevo capire?-.

- La ciocca intrecciata alla maniera Haradrim che ha tra i capelli, magari?- proruppe ella, con il tono di chi spiega qualcosa ovvia per l’ennesima volta.

- Scusami se non sono colto come te nella cultura degli elfi grigi…- disse Eglerion, con una punta di risentimento nella voce. Lancaeriel sospirò. Era un tasto dolente quello. Se c’era qualcosa a cui Eglerion teneva, era la cultura che si era fatto negli anni, fosse essa di vini, liquori, strategie di battaglia o storia antica, non aveva importanza. Egli ci teneva e infierire sulla sua scarsa conoscenza di un qualche argomento lo rendeva in uno stato di freddezza, caratterizzato da risposte secche e poco amichevoli.

- Lasciamo perdere- disse poi la ragazza.

- Come vuoi tu…- rispose il Re.

- Io vado a darmi una lavata. Ti consiglio di mangiare qualcosa, poiché stasera desidererei indire un concilio per decidere sul da farsi e tu dovrai esserci-. Il suo tentativo di sviare l’attenzione dalla tensione di un momento prima riuscì.

- Va bene, amica mia. Passerò a vedere se è rimasto qualcosa in cambusa… di solito Tuarwaithion mangia per ultimo, quindi gli andrò a fare compagnia-. Il solito calore era tornato nella voce dell’elfo. Ella sorrise.

 - Non bere troppo, che stasera vorrei continuare ciò che abbiamo cominciato prima- lo canzonò ella. Il Re le sorrise di rimando. Lancaeriel uscì, chiudendo la porta dietro di se, mentre Eglerion si diresse verso il mobiletto che conteneva i suoi liquori. Estrasse una bottiglia di Tequila del Sud chiamata Lachol Celeb e si riempì un bicchiere. Assaporò l’alcolico con un paio di piccoli sorsi, prima di bere il resto tutto d’un fiato. Arricciò le labbra mentre la bevanda gli scivolava giù per la gola, provocandogli un piacevole bruciore. Più tardi avrebbe offerto un bicchiere alla sua ospite, per cortesia. Se poi le sarebbe piaciuto ne avrebbe versato un secondo. Poggiò il bicchiere sul mobile e chiuse l’anta, dopo aver riposto la bottiglia al suo posto. Si stiracchiò e uscì dallo studio, diretto verso la cambusa.

 

***

 

Rhavanwen era sul castello di poppa, appoggiata alla balaustra posteriore. Stava osservando la luce che pian piano scemava. Sebbene ella avesse spesso osservato i tramonti e apprezzato quei momenti crepuscolari, vederli da una nave come la Ithil era tutt’altra cosa. I suoi pensieri volavano veloci tra le fronde dell’Ithilien, diretti verso le Sale di Alastegiel, la città centrale dell’Ithilien, invisibile a chi non conosceva la strada per arrivarci. Era lì dove era nata e cresciuta, alla corte di Re Alyan. La roccaforte prendeva il nome dall’unica figlia di Alyan, Alastegiel.

Era tradizione che le Sale avessero il nome del primogenito, o della primogenita, del Re. Alastegiel era salita al trono ancora giovane, quando suo padre non tornò da una spedizione a Sud, per fermare le incursioni dei raminghi Numenoreani, che da qualche tempo tentavano d’infiltrarsi nei suoi domini. Il suo elmo fu trovato spezzato mentre galleggiava placidamente nel Celebduin, il fiume che attraversa l’Ithilien, le Sale e Rohan, prima di sfociare con un ampio delta nello Stretto di Theoden, che “separa” l’Anduin dal resto del mare. I pochi uomini che tornarono, portarono indietro il corpo esanime del Re.

Alastegiel giurò vendetta. Fece adattare alle sue forme femminili l’armatura del padre e guidò l’esercito in un cruento assedio al vallo di Isildur. Un uomo sopravvisse per raccontare ai propri compatrioti l’ira della nuova Regina. Infatti in quella battaglia Alastegiel si era guadagnata l’epiteto di Thalien, l’intrepida. L’uomo narrò la vicenda con l’orrore negli occhi, riferendosi alla neo-regina come se ella fosse una Valchiria. Secondo chi aveva ascoltato, l’uomo aveva incrociato la strada della degna sposa di Orome.

Dopo l’assedio al Vallo, Alastegiel aveva deciso di restaurare una divisione militare caduta in disuso dopo la catastrofe: le sentinelle. Arruolando dall’esercito e prendendo anche volontari, era stata creata così una folta schiera di elfi dediti al pattugliamento dei confini e alla guardia dei boschi, con lo scopo di prevenire le incursioni da parte degli uomini. Chiunque non fosse un immortale veniva fermato e catturato. I Rohirrim avevano presto imparato a portare stendardi insieme alle carovane di mercanti per evitare spiacevoli errori (Rohan e l’Ithilien erano in pace e spesso mercanti di entrambi i paesi viaggiavano tra le città delle due nazioni) e i Numenoreani erano stati ricacciati indietro più di una volta.

 

Rhavanwen sospirò. Si chiese quando il Re Noldorin le avrebbe detto cosa intendeva fare.

In quel momento sentì dei passi dietro di lei. Un uomo, di chiara provenienza Rohirrim, camminava verso di lei.

- Mae govannen, hareth Rhavanwen-. Ben incontrata, dama Rhavanwen.

- Suilainnon- rispose ella, stupita che l’uomo parlasse il Sindarin.

- Mi chiamo Gelirion. Re Eglerion mi manda a dire che siete invitata a partecipare al concilio che si terrà a breve nel suo studio- disse egli. L’elfa annuì. Osservò meglio l’uomo, mentre lo sguardo di lui si perdeva all’orizzonte. Dagli occhi traspariva malinconia e saggezza, nonostante egli non potesse avere più di trent’anni.

- Guardavate il tramonto?- chiese Gelirion d’improvviso, guardando di nuovo verso lei. Ella distolse velocemente lo sguardo.

- No, osservavo il crepuscolo… il Sole era già calato quando sono arrivata qui-.

- Vi comprendo… spesso io stesso vengo qua ad osservare l’effimera bellezza delle giornate che muoiono… effimera come la vita mortale…-.

- Questa è la grande differenza tra voi e i primogeniti- asserì l’elfa.

- Voi sapete cogliere, grazie alla brevità della vita, le cose buone in ogni momento, mentre gli elfi non fanno altro che vivere lasciando che gli avvenimenti scivolino loro addosso… immortali come il mare, ma altrettanto indifferenti alle sofferenze altrui-.

- Se vi sentisse Lady Lancaeriel direbbe che siete una depravata- disse Gelirion, sorridendo.

- Sarà meglio andare- disse Rhavanwen, sorridendo di rimando all’uomo. I due si avviarono, mentre le stelle cominciavano a brillare.

 

***

 

Le due ore del concilio passarono velocemente. Erano presenti, oltre al Re ed al comandante in seconda, i due fratelli, Meldarion, Stephane e Rhavanwen. Nella prima parte Eglerion disse, a chi ancora non ne era al corrente, qual’era lo scopo del viaggio. Poi discussero se era necessario esplorare la costa di Nuova Numenor a Sud dell’Ithilien ed infine decisero di fare scalo a Minas Duin, roccaforte Sindarin, posta circa metà dell’Anduin.

 

- Bene signori, potete andare. Gelirion, non preoccuparti, penso io alla rotta- disse Eglerion. I presenti si alzarono e cominciarono ad uscire dallo studio del capitano.

- Dama Rhavanwen, potete fermarvi un momento?- domandò. L’interpellata si fermò e tornò sui suoi passi.

- Desiderate?-.

- Volevo chiederti se potessi darmi una mano- rispose il Re, abbandonando il tono formale ed estraendo una carta della terra di Mezzo.

- Castiel, che oltre a far parte della guarnigione è la nostra cartografa, non conosce ancora bene queste terre, quindi, come puoi ben vedere, non sono segnate città o luoghi importanti. Mi servirebbe sapere circa a che distanza da qui, dove ci troviamo noi- indicò un punto sulla carta, - si trova Minas Duin-.

L’elfa osservò la carta. Era ben disegnata, nonostante l’Ithilien fosse solo una macchia verde a sud di Rohan. Chiese uno strumento per misurare le distanze, che Eglerion le fornì e ricordò la carta dell’Ithilien che avevano nel Talan. Prese un paio di minuti e poi parlò:

- Circa qui. Siamo abbastanza vicini. Sono circa dieci leghe di distanza-.

- Bene- asserì Eglerion. Prese un goniometro e la bussola e tracciò una rotta approssimativa.

- Se tutto va bene dovremmo arrivare domani, un paio d’ore dopo il meriggio-.

- Così tardi?- domandò ella.

- Purtroppo sì… la bonaccia in questo tratto è praticamente perenne e gli eventuali venti sono poco più di aliti- rispose.

- Capisco-.

I due rimasero in silenzio un paio di minuti.

- Prima di andare, c’è una domanda che vorrei farti-.

- Parla pure- disse il Re.

­- Posso sapere come mai né tu né Lady Lancaeriel eravate presenti a cena?- disse l’elfa. Egli abbozzò un sorriso.

- Lo scoprirai crescendo- rispose il Re, ironicamente. Ella rimase interdetta.

- Quindi… tu e lei…-.

- Siamo amanti, niente di più. Nessuno dei due è abbastanza serio da prender moglie o marito, quindi siamo sempre pronti l’uno per l’altra-.

- Ora capisco il sorrisetto di Stephane, quando gliel’ho chiesto-.

- Ormai lo sa l’equipaggio intero. Chi non lo sa, viene presto messo al corrente-. Ella si alzò.

- Se non ti dispiace, io andrei a riposare. Grazie per aver chiarito i miei dubbi, l’insonnia di stasera sarà meno pesante, avrò poco su cui arrovellarmi-.

- Vedo che anche tu preferisci il sonno vero alla meditazione. Se soffri d’insonnia però posso offrirti un rimedio- disse il Re, armeggiando con le chiavi che teneva appese alla cintura.

- Che rimedio?- domandò Rhavanwen.

- Ti avverto, è un po’ casereccio- rispose Eglerion, trovando finalmente la chiave cercata e aprendo l’armadietto vicino alla parete. Ritirò fuori il liquore Haradrim, insieme ad un paio di bicchieri.

- È tanto forte quella roba?-.

- Dipende da quanto sei abituata. Se non lo sei, allora sì-.

Versò il Lachol Celeb nei due bicchieri e ne offrì uno alla sua ospite.

- Alla pace- disse l’elfa.

- Molto nobile come brindisi… alla tua salute- rispose l’elfo, facendo cozzare il bicchiere con quello di lei. Bevvero il liquore e riappoggiarono i bicchieri.

- Oh Eru!- esclamò l’elfa, sentendo il bruciore della bevanda.

- Ti accompagno alla tua cabina, se vuoi-.

- Non serve, grazie. Passa una buona notte-. L’elfa si avviò, barcollando leggermente. Non appena arrivò nella sua cabina, si spogliò e si stese sul letto, addormentandosi molto velocemente.

 

***

 

L’elfa sospirò stancamente. Si alzò dalla poltrona che stava dietro alla sua scrivania e si diresse verso la porta. I burocrati continuavano a tartassarla di richieste e proposte, di giorno in giorno. Si ritirò nelle sue stanze, pensando alla giornata che sarebbe seguita. Si sdraiò sul letto e iniziò. Un respiro profondo. Due. Tre. Entrò in trance. Alastegiel Thalien, regina dei Sindar dell’Ithilien, cominciò a meditare. Ormai mancava poco. Gli assalti ai confini erano sempre più frequenti e i membri del concilio non facevano altro che inneggiare alla guerra.

Non accetterò una linea di condotta che ci porti alla guerra! Aveva risposto quel giorno, quando anche Galadhwen, la sua conciliata più fidata, aveva proposto di muovere l’esercito e invadere Nuova Numenor. Si mise in posizione seduta e incrociò le gambe. I lunghi capelli biondo scuro le coronavano la testa come un cespuglio. Oramai non sapeva più come fare. L’idea di riunire il concilio a Minas Duin le aveva fatto guadagnare un paio di giorni, ma non erano pochi i conciliati che fomentavano il popolo, descrivendola come una traditrice o come una nullafacente. Elfi troppo giovani per ricordare la sua cavalcata contro il Vallo Sud, o addirittura troppo giovani per averla vissuta. I figli della Settima Era cominciavano a divenire corrotti. Ella, nata agli inizi di quell’era, aveva ormai visto passarle davanti agli occhi più di mille anni, ma i più giovani non capivano la situazione.

Sospirò nuovamente e continuò la sua meditazione. Ormai solo un miracolo, degli alleati spuntati dal nulla, avrebbero potuto salvarla.

 

***

 

- Uno, due, tre!-.

- Uno due, tre! Più veloce-.

Il clangore metallico risuonò nell’armeria. Tuarwaithion si fermò un momento, permettendo a Castiel di respirare. Il sole stava sorgendo in quel medesimo momento.

- Sei molto veloce- asserì ella. Si erano trovati per caso nello stesso momento e avevano deciso di allenarsi insieme.

Castiel alzò le due lame e si mise in posa di guardia, pronta a respingere gli assalti del cuoco. Ella, Eglerion e Meldarion erano gli unici a saper combattere sia con una lama che con due.

Tuarwaithion strinse la spada con entrambe le mani e cominciò a vibrare colpi. Castiel li parò con maestria, schivando l’ultimo. I due furono interrotti nuovamente da un applauso. Meldarion sorrise, quando i due lo guardarono.

- Chi sta insegnando a chi?- domandò poi. Gli elfi e l’uomo risero.

Tuarwaithion gli passò la lama e gli disse:

- Continua tu, io devo andare a preparare colazioni-.

- Che cosa offre la cambusa oggi?- chiese l’elfa.

- Vinci un premio se indovini- rispose l’uomo.

- Il solito pan di via che abbiamo caricato su a Minas Falas e mele semi-marce?-.

- Abbiamo un vincitore. Oggi serviamo le ultime. Quelle che non vengono mangiate oggi finiscono fuori bordo-.

Il rumore delle armi che s’incrociavano riecheggiò ancora mentre il cuoco usciva.

 

***

 

Il sole era alto, quando Rhavanwen si svegliò. Aveva dormito bene, cullata dallo sciabordio delle onde.

Fuori dall’oblò vedeva la costa che scivolava via.

Si alzò in piedi, rischiando di perdere l’equilibrio per via del rollio della nave, e si rivestì. La bionda uscì dalla cabina, diretta verso la coperta in cerca di Eglerion o Lancaeriel. Trovò la seconda vicino all’albero maestro, mentre dava istruzioni all’equipaggio.

Rhavanwen si voltò verso il castello di poppa, incrociando lo sguardo di Gelirion, che seguiva la rotta tracciata dal Re la sera prima, aiutato da Castiel.

- Ben svegliata!- la salutò Lancaeriel con calore.

- Buongiorno!- rispose, utilizzando, inconsapevolmente, le stesse parole che segnarono l’avvento della grande avventura di un Istar, tredici nani ed un hobbit.

- Avete per caso visto Eglerion- domandò la silvana.

- Mh… ieri sera sono ripassata dopo che tu sei uscita… l’ho praticamente portato a letto… altrimenti avrebbe passato la notte con quella bottiglia-.

- Lachol Celeb- mormorò Rhavanwen.

- Sì… non ha un cattivo sapore… ma quell’elfo è capace di mandarla giù come acqua, quindi non voglio immaginare cosa possa succedere se ne beve troppa...-. In quel momento furono interrotti dalla troppo ben nota voce del capitano.

- Wher’m I gonna live, when I get home?… my ol’ lady stood out every plain now…-.

- Oh no…- gemette Lancaeriel.

Eglerion stava caracollando verso di loro, con una bottiglia vuota in mano, canticchiando una vecchia ballata, storpiandone alcuni tratti.

- She make what she said… she wish I was dead… so wher’m I gonna live, when I get home?...-.

Rhavanwen soffocò una risatina. Decisamente quell’elfo aveva poco di reale. Lei lo aveva intuito subito. Il sangue che scorreva nelle vene di lui era molto nobile, su questo non c’erano dubbi, ma per quanto riguardava i costumi... adesso comprendeva perché Lancaeriel era così severa con sé stessa. Almeno una testa a posto al governo ci voleva.

- Buonasera, signorine- biascicò. Perse l’equilibrio e si avvinghiò alle due per non sbattere sulla tolda della nave.

Tentò di riassumere una posizione eretta. Dopo un paio di tentativi, aiutato dalle due ragazze, ci riuscì. Circa.

- Hai passato una buona nottata?- domandò Lancaeriel, con la voce più posata che riusciva ad avere in quel momento. Quindi simile ad un ringhio.

- Mah… quando la quarta bottiglia è finita, è andata un po’ peggio… ma poi ho visto le luci qui fuori e ho pensato: “Non è che stanno facendo un festino sul ponte senza di me?” Allora sono venuto a vedere- rispose il disgraziato. Il comandante in seconda, il cui viso era color Magenta, lo guardò negli occhi. Stava per mettersi ad urlare, fregandosene altamente dei vari testimoni, quando si trovò le sue labbra attaccate alle proprie. Un bacio. Uno tra i più dolci. Quando si separarono, il capitano rispose al suo sguardo e parlò.

- Non sono ubriaco. Ho messo su questa piccola recita per mostrare alla nostra ospite perché sei spesso così tesa. La colpa è mia. Volevo lo capisse il prima possibile e non si facesse cattive idee su di te-.

- Sei irreprensibile… non so cosa dirti…- rispose Lancaeriel. La tensione era svanita. La ciurma aveva ormai ripreso a svolgere i propri compiti. Il capitano ubriaco e il secondo che sbraita non erano mai state cose insolite, ma le effusioni tra i due si vedevano poco. Persino Gelirion aveva distolto gli occhi un momento dall’orizzonte per lanciare uno sguardo ai due.

- Mi stavi cercando?- domandò poi il Re a Rhavanwen.

- Sì, ma è poco importante-.

- Invece lo è! L’ospitalità è sacra su questa nave, specialmente visti i comportamenti del comandante!- esclamò la Noldo, con una lieve punta di rimprovero nella voce.

- Beh…- cominciò ella imbarazzata, - mi chiedevo se fosse possibile mangiare qualcosa…-.

- Certo che sì. Lancaeriel, vuoi fare tu gli onori e accompagnarla da Tuarwaithion?-.

- Con piacere-.

Le due elfe si avviarono, mentre Eglerion saliva la rampa di scale che portava sul castello di poppa.

 

- Com’è la situazione?- domandò alla mora e all’uomo che stavano dirigendo la nave.

- Per ora bene- asserì Gelirion.

- Nessuna secca, niente scogli?-.

- No, per fortuna-.

- Cazzate di più la vela maestra, altrimenti finiremo inesorabilmente verso la scogliera!- gridò Castiel, prendendo le veci di Gelirion. Uomini ed elfi afferrarono le scotte e cominciarono a tirare, in modo da far virare leggermente la nave, mentre il Rohirrim girava la ruota del timone.

- Vi do il cambio; prendetevi pure un paio d’ore di pausa- disse Eglerion.

- La Ithil è tutta tua- rispose l’elfa. Castiel scese la scala e si ritirò nelle sue cabine, mentre Gelirion andò ad aiutare gli addetti alle vele.

Eglerion prese il timone e iniziò a pensare. Che cosa avrebbero fatto, una volta arrivati a Minas Duin? Non lo sapeva. Probabilmente si sarebbero presentati con stendardi e bandiere, chiedendo un’udienza con la Regina. O forse avrebbero attraccato molto discretamente e avrebbero bussato alla porta di Alastegiel. Si soffermò un momento sul nome. Significava “portatrice di beatitudine”. Bel nome

Sperava solo di non invischiarsi nella burocrazia locale, che, a detta di Rhavanwen, era onnipresente e pressante.

Virò pian piano verso sud-ovest, controllando di tanto in tanto la carta. Si ritrovò a pensare alla sua ospite. La osservò mentre sgranocchiava un po’ di lembas, appoggiata al parapetto di babordo in compagnia di Lancaeriel. Vederle insieme gli faceva uno strano effetto. Che si stesse innamorando? Sorrise a sé stesso. Sarebbe stata un’emozione nuova. Da quando la mora che gli aveva spezzato il cuore era sparita, non aveva mai provato quel sentimento di nuovo. Lancaeriel era sì, la sua amante, ma non le avrebbe mai chiesto di sposarlo. No… si disse… merita di meglio. Io saprò farmi da parte quando arriverà il momento…

Non mancava molto, lo sentiva dentro di sé.

Le due elfe proruppero in una risata. Eh sì… sentiva proprio il bisogno d’innamorarsi…

 

- Hai visto il Re?-.

- Al momento sta governando la nave… lo vedo molto pensoso. Continua a guardare il nostro secondo e la nostra ospite-. Meldarion s’incupì, alla risposta di Stephane. Si sporse dal cassero di prua per osservare il capitano. Sospirò. Conosceva bene quello sguardo, malinconico e assorto allo stesso tempo. Non presagiva nulla di buono. È lo sguardo che ha un uomo mentre s’innamora…

 

***

 

Mancavano ancora un paio d’ore al tramonto, quando apparve loro la vista di Minas Duin, la Torre del Fiume.

 

 

 

 

 

Ed ecco finalmente il capitolo III, dopo un lungo travaglio.

Capitolo un po' "Sex and Drugs and Rock'n'Roll", nonostante la canzone sia country (odio il genere, ma quella è un'eccezione).

 

Innanzitutto, grazie Silvi per la recensione. Come puoi vedere Rhavanwen comincerà ad essere più partecipe, ma senza mettere in ombra Lancaeriel. Eglerion forse metterà la testa un po' a posto, o forse butterà al vento la dignità visti i sentimenti. Per quanto riguarda Alastegiel, tu dovresti capire che sarà un po' pazza anche lei (basta che guardi al significato del nome...). E sì, se l'hai notato, cito quel film che a entrambi piace. Per essere più obbiettivi, quello del '99. 

 

Finalmente ho parlato un po' di più dell'Ithilien e di Alastegiel, il prossimo capitolo parlerà per lo più del suo incontro con i nostri eroi.

Il testo della canzone che Eglerion canta non è esatto al 100%, poichè al momento mi basavo su ciò che sentivo, non sul testo scritto (che non ho rimediato). Può essere intesa come una conseguenza della Tequila (sì, ne faccio uso anche io, questo è un tantino autobiografico).

La scena però (lo ammetto, è un po' debole, ma erano le dieci e mezza e avevo studiato Aristotele tutto il pomeriggio) serve anche a far capire che Eglerion tiene a Lancaeriel, quindi non è solo sesso ciò che c'è tra i due.

Ci si risente per il IV...

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Cap IV Minas Duin ***


VII age cap IV

Cap IV Minas Duin

La maggior parte dell’equipaggio rimase meravigliata alla vista della città. Nonostante gli abitanti di Manwetol fossero abituati allo sfarzo della loro capitale, molti dei marinai erano originari di Dol Calan o di Minas Falas (la roccaforte Rohaniana dove avevano ormeggiato la Anor e la Galad).

Minas Duin si sviluppava su quattro cerchie di mura, due esterne pentagonali e due interne, a forma di stella.

Al centro stava la reggia, circondata dalle residenze nobiliari. Sempre nel cerchio più interno stava il palazzo conciliare, ove i conciliati e la regina si riunivano durante le sedute amministrative.

Nel terzo cerchio stavano le case di cura e le caserme di addestramento dei soldati, insieme alle scuderie.

Nel secondo e nel primo infine si trovavano le fucine, i mercati, le armerie e la città vera e propria.

Ad ogni angolo delle mura sorgeva una torre, come ai lati di ogni portone o cancello ce n’era un paio.

Dal primo cerchio, infine, si accedeva al porto, posto poco più a Nord della città.

- Innalzate i vessilli!- gridò Lancaeriel. Eglerion sorrise tra sé. Aveva scelto la prima opzione senza neanche consultarlo.

Gli stendardi Noldorin salirono sulle cime degli alberi, mentre la Ithil si avvicinava lentamente alla banchina.

Un elfo biondo, dal molo, afferrò la cima che Meldarion gli lanciò, mentre Tuarwaithion si calò a terra dalle sartie per assistere il silvano.

Quando la nave fu assicurata alle bitte, il cuoco andò a presentarsi.

- Suilaid, edhel- disse.

- Le suilon, adan- rispose l’altro.

- Io sono Tuarwaithion, cuoco di bordo della Ithil. È un piacere incontrarti- continuò l’uomo.

In quel momento la passerella fu calata dalla nave. Il giovane Sindar s’inchinò mentre i Noldor scendevano, finché non udì una voce familiare.

- Daeron!-.

- Rhavanwen?!- disse incredulo, alzando la testa. La ragazza gli gettò le braccia al collo.

- È bello rivederti, fratello mio!-.

Eglerion trasse un impercettibile sospiro di sollievo dentro di sé. Poi si chiese il motivo di quell’azione. Scacciò dalla mente quei pensieri e decise di passare al dovere.

- Mi chiamo Eglerion- cominciò, abbozzando un sorriso. Era importante mostrarsi cordiali.

- Sono un legato di Tegalad e vengo a chiedere udienza alla somma Thalien-. Avevano deciso quello stratagemma contando sulla disinformazione degli abitanti dell’Ithilien, in modo da potersi muovere più liberamente.

Tuarwaithion li salutò e tornò sulla nave. Sarebbero stati egli e Meldarion ad avere il comando, mentre Gelirion, Rhavanwen e Lancaeriel avrebbero seguito il Capitano.

Il gruppo si mise in marcia per le vie della città. I due Noldor non poterono fare a meno di sentirsi osservati. Dopotutto era la prima volta che qualcuno della loro stirpe visitava la città, quindi era la prima volta che gli abitanti vedevano persone di tale lignaggio. Durante la salita Rhavanwen narrò al fratello parte di ciò che le era accaduto durante i mesi in cui non si erano visti, soffermandosi più sul periodo nei boschi come sentinella che sul periodo passato a bordo.

Marciarono attraverso le cerchie della città, fino ad arrivare al Caw, la vetta della città. Arrivati nella quarta cerchia, Daeron si fermò e si voltò a guardarli.

- Vi affido a mia sorella, che vi guiderà nella nostra casa, in modo che possiate riposare. Io andrò a parlare a Lady Galadhwen, la conciliata più vicina alla regina, per farvi avere un’udienza domattina-.

- Vi ringrazio per la vostra ospitalità, messer Daeron, spero di poterla ricambiare prima o poi- rispose Eglerion.

Qualcuno ridacchiò sommessamente alle sue spalle.

- Rhavanwen! Ma ti pare- la riprese il fratello, alquanto accigliato.

- Hanno già ricambiato la nostra ospitalità, se proprio vuoi saperlo. O credi che, avendo visto la nave avvicinarsi, mi sia gettata nell’Anduin e sia salita a bordo mentre attraccavano, per poi scenderne?!-.

Daeron sospirò.

- Ne parliamo più tardi. Ora conducili a casa e fa preparare delle stanze per loro-.

Daeron si avviò verso il palazzo conciliare, mentre Rhavanwen guidava gli altri verso la loro casa.

***

- Allora, come vanno le cose?-. Il cuoco si voltò per guardare il suo interlocutore.

- Calma piatta, Meldarion. Non c’è nulla da fare. Penso che scenderò per far rifornimento di cibo… Zoe verrà con me-.

- Va bene… prendo io le redini-.

Tuarwaithion si avviò verso la scala che portava alla cambusa, per andare a chiamare la sua assistente.

- Ehi!- lo richiamo l’elfo.

- Sì?- rispose l’altro, fermandosi e voltandosi.

- Passa da Castiel sulla strada. Ha un paio di cose da chiederti-.

- Come vuoi. A dopo-.

- Zoe!-.

- Eccomi, arrivo-.

Una ragazza snella, dalla fluente chioma scura e dagli occhi grigi uscì dalla cambusa, indossando un grembiule sopra le vesti.

- Lascia il grembiule, dobbiamo passare al mercato e rimediare qualcosa da accompagnare alla carne-.

- Va bene-.

I due salirono la scala e arrivarono sul ponte.

- Tu fai calare la passerella, io devo andare da Castiel. A quanto pare ha un paio di richieste per gli acquisti-.

- Si direbbe che qualcuno ha finito certe bacche e spera di rimediare un qualche metodo per evitarsi la gravidanza- asserì la ragazza.

- Ma come siamo maliziose oggi- rispose il cuoco ridendo. Si voltò ed entrò nel castello di poppa.

***

- Eccoci qui-.

Il gruppo si fermò di fronte ad un edificio di due piani, in fondo alla via. Oltrepassarono i cancelli e si avvicinarono verso l’ingresso. Una giovane venne ad aprire loro la porta.

- Buongiorno Limwen. Per favore, prepara delle camere per i nostri ospiti-.

- Bentornata signorina- rispose l’ancella inchinandosi.

I tre ospiti furono fatti accomodare in una saletta d’attesa a sinistra rispetto l’ingresso.

- Gli ospiti desiderano qualcosa da bere?- domandò Rhavanwen, sorridendo loro. I tre sorrisero di rimando, carpendo l’ironia della situazione. Ormai persino Gelirion aveva cominciato a darle del tu, nonostante alcuni attimi di timidezza in principio.

- Volentieri- rispose Lancaeriel, mentre gli altri due assentivano con il capo. Rhavanwen si girò verso un uomo dall’aria anziana che stava ritto vicino alla porta.

- Puoi portare una bottiglia di 1358?- disse.

- Con mio sommo piacere, signorina Rhavanwen- disse egli inchinandosi e scomparendo attraverso la porta.

- Addirittura 1358! Non credevo ci tenessi in così grande considerazione- disse Eglerion.

- Guarda che non è l’anno di produzione, altrimenti sarebbe aceto- rispose l’elfa silvana.

- Lo sapevo, tranquilla. È un vino tra i migliori, però, o sbaglio?-.

- Sì. Le bottiglie che abbiamo in cantina risalgono a circa cinquant’anni fa. Mio fratello le portò qui da un viaggio a Rohan. Ricordo che ero sconvolta, pensavo avesse dilapidato metà del patrimonio famigliare in vino. Invece le aveva trovate in una bettola a Ghal, ad un prezzo molto buono-.

- Molto buono?- chiese Gelirion, guardandola divertito.

- E va bene, aveva fatto ubriacare il proprietario, che gliele ha regalate verso l’alba-. Tutti quanti risero.

Il maggiordomo tornò, portando seco un vassoio su cui troneggiava la bottiglia, accompagnata da quattro calici.

- Mille grazie Rilien- disse la padrona di casa. L’elfo appoggiò il vassoio sul tavolino e stappò la bottiglia.

- Quale dei vostri ospiti avrà l’onore di degustare?- chiese Rilien alla Sindar.

- Eglerion, volete avere voi l’onore?-.

- Io penso che Lancaeriel sia più adatta. D’altronde, è lei che ha accettato per prima l’offerta-.

Il maggiordomo versò una piccola quantità di vino in uno dei calici e lo porse alla Noldo. Lancaeriel prese il bicchiere e bevve il vino a piccoli sorsi, assaporando il gusto.

- Divino- fu il suo commento.

Rilien riempì i calici degli ospiti quasi fino all’orlo, ma arrivò solo a metà quando si trattò di versare la bevanda nel bicchiere di Rhavanwen.

- Rilien, non ho più diciassette anni!- disse l’elfa, divertita.

- Vi prego di scusarmi, le vecchie abitudini sono dure a morire- rispose imperturbabile il maggiordomo, sorridendo per la prima volta.

Eglerion studiò l’elfo da sopra al bicchiere. Si trattava di un individuo molto anziano, nonostante non lo si potesse notare dall’aspetto fisico, emanava come un’aura di bonaria severità.

- Se mi permettete la domanda, Rilien, da quanti anni lavorate per la famiglia di Lady Rhavanwen?-.

- Da molti. Ho perso il conto ormai. Vi basti sapere che lavoro per questa casata da quando il padre della signorina era un elfo di venti anni-.

Quell’elfo è un figlio della Sesta Era, ha visto la fine del grande cataclisma! Ecco come mai mi ha colpito.

Gli elfi e Gelirion finirono il vino, brindando alla pace, come Rhavanwen aveva fatto la sera prima. Il sole stava tramontando fuori delle finestre, ma all’interno la casa era illuminata da varie candele e fiaccole.

- Bene- disse la Sindar alzandosi.

- La cena sarà pronta fra un’ora, vi mostrerò i vostri alloggi e le stanze da bagno, in caso vogliate darvi una rinfrescata prima di mangiare- continuò, adempiendo i suoi doveri di anfitrione.

- Prima di tutto devo ringraziarvi per l’aperitivo. Un vino di qualità è ciò che spesso manca nella stiva della Ithil- disse Gelirion.

I due Noldor si alzarono a loro volta e, insieme a Gelirion, seguirono Rhavanwen su per una scalinata.

- Le cameriere hanno preparato due stanze, pensando che voi due-, indicò Eglerion e Gelirion, - avreste diviso la stessa-. Gli ospiti annuirono.

- Ad ogni modo, qua c’è la stanza “doppia”, possiamo dire, mentre qui di fronte c’è quella “singola”- disse, mostrando loro due porte.

- Ci sono problemi se…- cominciò Lancaeriel.

- Se tu e Gelirion vi scambiate? Per me, no di certo. Basta che non facciate troppa confusione- aggiunse maliziosamente.

- Vedo che la nostra amica ha capito al volo- disse Eglerion.

La silvana li guidò in fondo al corridoio, mostrando loro due stanze da bagno pronte all’utilizzo.

- Direi che le due signorine dovrebbero andare per prime- asserì il Rohirrim, precedendo Eglerion di pochi millesimi di secondo. Infatti, il Re stava per dire la stessa cosa.

- Siete voi gli ospiti. Va prima tu, Gelirion, io attenderò- rispose Rhavanwen.

- Ne sei sicura?- disse l’uomo.

- Certamente-.

Gelirion entrò nel bagno ringraziando l’elfa, mentre ella ed Eglerion si avviavano nel corridoio.

- Ti toccherà sopportarmi ancora per un po’, a quanto pare- disse egli, sorridendo beffardamente.

- Povera me- rispose l’altra.

***

- Siamo a posto?- disse Tuarwaithion, sperando in una risposta positiva.

- Sì. Ciò che abbiamo preso dovrebbe durare quanto la carne- rispose Zoe.

- Possibile che pesi così tanto? È verdura e frutta, non piombo!- disse, vedendo che il Numenoreano minacciava di cedere sotto il peso del sacco che avevano riempito di beni alimentari.

- Tu non hai portato ‘sto affare su e giù per la collina per due ore, di corsa, perché altrimenti le botteghe avrebbero chiuso prima che tu potessi assaltarle-.

Zoe lo fissò negli occhi scuri.

- Scusami. Non intendevo suonare così acido. Ad ogni modo direi che è meglio affrettarci e tornare alla Ithil prima che faccia buio-.

- Concordo con te- rispose la ragazza.

I due scesero attraverso le banchine, fino ad arrivare alla Ithil.

- Eccovi finalmente, non ci speravo più- disse Meldarion vedendoli arrivare, con una sigaretta, rollata probabilmente qualche minuto prima, che gli penzolava da un angolo della bocca.

- Ma Castiel non dice nulla al fatto che tu fumi quella roba?-.

- Nah… non vuole che la baci subito dopo, ma niente di più-. L’elfo accese la cicca utilizzando un fiammifero.

- È un bene che la fabbricazione di questi affari sia sopravvissuta alla Tragedia- mormorò, riferendosi al fiammifero, che gettò in mare. Tirò un paio di boccate e aiutò i due a salire.

- Sì, devo ammettere che anche per cucinare ti fanno risparmiare un sacco di tempo- ammise il cuoco.

Zoe mise in mano a Meldarion un sacchetto.

- Queste erbe sono ciò che Castiel ha chiesto. La prossima volta, però, dille che se le vada a comprare da sola. Il venditore continuava a sorridermi in una maniera odiosa… scommetto che stava immaginando come sono senza vestiti-.

- Beh, di certo non un brutto spettacolo- disse l’elfo. La ragazza arrossì.

- Forza, portiamo questa roba in cambusa e mettiamo su qualcosa per la cena- intervenne Tuarwaithion.

La ragazza lo seguì giù per la scala che portava sottocoperta, mentre l’elfo finiva di fumare la sigaretta artigianale.

***

- Mia signora, Daeron, figlio di Gawain, chiede di potervi parlare-.

L’elfa alzò gli occhi castani dai fogli che stava leggendo e posò il suo sguardo sull’ancella.

- Fallo accomodare, arriverò tra qualche minuto-.

La ragazza s’inchinò e si dileguò, mentre l’elfa finiva di leggere il plico che teneva in mano.

Probabilmente la richiesta di Daeron centra con la nave che era apparsa all’orizzonte un’ora fa, pensò ella. Egli si è sempre interessato nel conoscere nuove persone; per questo spesso lo si incontra nelle vicinanze del porto.

Galadhwen si alzò in piedi.

Era bassa per essere un’elfa, raggiungeva sì e no il metro e sessantacinque. La corporatura era molto minuta e il viso, incorniciato da una cascata di capelli corvini, aveva un che di fanciullesco.

Non era sposata, ma aveva da tempo sposato il suo lavoro. Ligia in tutti i suoi doveri, si concedeva ben poche volte lo svago insieme a compagnie maschili. Eppure quelle volte sembrava totalmente un’altra persona. Quando si trovava nel palazzo conciliare, era di una serietà quasi maniacale. Al di fuori del contesto politico, invece, tornava una spensierata ragazza, incline a sorridere e a trarre il massimo divertimento dalla situazione.

Uscì dalla stanza e si diresse verso la sala dove Daeron sedeva.

- Buonasera. A cosa devo l’onore della vostra visita?- domandò, una volta arrivata. Daeron si alzò, in segno di rispetto.

- Ospiti- rispose molto semplicemente.

- Ha a che fare con la nave Noldorin che è ancorata nel nostro porto?-.

- Sì, mia signora-.

- Lo immaginavo. Raccontatemi come stanno le cose, allora. Ve ne prego-.

- Semplicemente, il comandante della nave, un certo Eglerion, dice di essere un ambasciatore di Tegalad, il Re di Manwetol. Egli chiede un’udienza con la regina Alastegiel e ho deciso di rivolgermi a voi per tentare di fargliela avere-.

- Parlerò alla Regina, ma mi servono un paio d’informazioni in più. Quante persone fanno parte della delegazione scesa a terra? Quali sono i loro nomi?-.

- Tre. Il capitano, un’elfa di nome Lancaeriel ed un Rohirrim chiamato Gelirion-.

- Bene. Tenterò di arrangiare un incontro per i tre. Se non ci sono altre informazioni importanti, direi che potete andare. Vi terrò informato-.

- Come volete. Passate una buona notte-. Daeron si alzò e s’inchinò, prima di uscire.

Galadhwen si rilassò e affondò nella poltrona, sorridendo.

***

- Posso entrare?-.

- Certamente-. Rhavanwen entrò nella stanza che Eglerion e Lancaeriel avrebbero diviso per quella sera.

- Ti va di chiacchierare mentre aspettiamo che quei due finiscano?-.

- Solo se mi permetti di lasciarti andare per prima, quando uno di loro avrà finito- rispose Eglerion.

- Allora, che te ne pare della città?-.

- Molto bella… Mi ricorda i vecchi dipinti di Minas Anor…- disse il Noldo.

- Malinconico per una città scomparsa prima che tu nascessi? Ti capisco… anche io avrei desiderato nascere in Gondolin, o vivere quando i priminati non avevano ancora visto una tale decadenza-.

- Gondolin...-. Eglerion ridacchiò.

- Che cosa c’è?-.

- “Chiunque veda l’entrata deve in Gondolin vivere o in Gondolin morire”!- rispose egli, con voce grave.

Rhavanwen scoppiò in una risata, mettendo in mostra una fila di denti che avrebbero reso fieri un qualunque odontoiatra della quarta Era.

- Suonavo davvero così pomposa?- chiese la bionda.

- No, tranquilla. Ti stavo prendendo un po’ in giro-. I due sospirarono, mentre Gelirion bussava alla porta.

- Io avrei finito. Se uno di voi vuole approfittare, adesso c’è una stanza libera-.

Si fermò per guardare i due.

- Non ho… interrotto nulla, vero?-.

- No, no, tranquillo. Rhavanwen, direi che è il tuo turno-.

L’elfa si alzò, salutando i due con la mano.

Che cos’era quella sensazione? Si domandò una volta fuori. Mentre rideva si era sentita talmente strana. Una sensazione mista tra fiducia e timore. Timore di cosa?, si chiese. Di cosa dovrei aver paura?

Questi quesiti non trovarono risposta, mentre incrociava Lancaeriel nel corridoio. La salutò e le disse che Eglerion era nella camera a loro assegnata.

Rhavanwen entrò nella stanza da bagno. Lentamente si svestì, con la testa da tutt’altra parte, poi s’immerse nella vasca che era stata riempita di nuovo dopo che Gelirion si era lavato.

Infatti, il Caw di Minas Duin era fornito, tramite un complesso sistema di pompe idrauliche, di acqua corrente. Il sistema era molto rudimentale e spesso si guastava, ma era molto comodo in situazioni del genere.

Velocemente si lavò e si concesse qualche minuto ammollo, per riflettere, rilassandosi.

Quando stava con Eglerion avvertiva uno strano sentimento, come di sicurezza. Qualcosa le aveva detto che poteva fidarsi di lui nel momento in cui l’aveva obbligata a rivelargli il suo nome. Potevo benissimo fargli sibilare una freccia davanti al naso e indurlo a continuare, ma non l’ho fatto…

Si alzò e si avvolse in un asciugamano, dopo essere uscita dalla vasca.

Mentre si frizionava il corpo e i capelli, pensò al pomeriggio del giorno prima, quando aveva deciso di farsi un bagno nel lago. Di solito era molto pudica, per i suoi eventuali bagni sceglieva i momenti in cui era sicura al cento per cento che non ci fosse nessuno nelle vicinanze e di solito li faceva nelle prime ore del mattino, quando i suoi capelli si asciugavano più velocemente. Invece quel giorno aveva scelto un’ora più tarda, sapendo che c’era un elfo in procinto di risvegliarsi su un flet poco lontano. Infine, quando sentiva il passo di qualcuno che si avvicinava, s’immergeva fino al collo il più velocemente possibile. Quella volta no. Era rimasta coraggiosamente esposta, dando le spalle ad un perfetto sconosciuto. Perché al momento non poteva neanche essere sicura che egli fosse chi diceva di essere. Potevano benissimo esserci altri Eglerion provenienti da Manwetol.

Sospirò, tornando alla realtà. Forse si era sentita sicura fin dal primo momento. C’era qualcosa nel suo comportamento, nel suo sguardo, che le faceva percepire questa sensazione. Egli si preoccupava per lei. In questo le ricordava suo fratello. Solo che Daeron era sempre preoccupato che lei si comportasse in maniera rispettosa, che tenesse alto il nome della famiglia. Invece Eglerion si preoccupava di farla sentire a suo agio. Questo particolare la colpì. Durante quelle poche ore che aveva trascorso sulla nave, per esempio, non le aveva fatto mancare nulla.

Uscì dalla stanza indossando solo l’asciugamano e si diresse verso la sua camera. Ci avrebbe pensato più tardi.

***


- Quindi Manwetol è sul piede di guerra?-.

- No, state tranquillo messer Daeron. Manwetol si limita ad occasionali scorrerie sulle coste di Nuova Numenor- rispose Gelirion, rassicurando il Sindar. Certo che quello non era un buon modo per cominciare la conversazione, si disse, pensando alle parole di Daeron.

- Vi narreremo tutto dopo aver parlato con la Regina- interloquì Lancaeriel, lanciando un’occhiata imperiosa ad Eglerion, che annuì.

Si trovavano nella sala da pranzo della casa dei due fratelli e avevano da poco finito di cenare. Daeron aveva intavolato la conversazione tentando di capire lo scopo della loro visita.

Rhavanwen era rimasta stranamente quieta per tutta la durata della cena. Daeron dal canto suo non aveva dato troppo peso all’atteggiamento della sorella. Giustificava il suo silenzio con la stanchezza per il viaggio.

A vedere oltre la “beata ignorantia” di Daeron, ci pensò non Eglerion, bensì Lancaeriel. Eglerion, ovviamente, si lambiccò su cosa turbasse quella bionda, che era da poco entrata nella sua vita. Ma non riuscì a venirne a capo e si rassegnò.

Lancaeriel invece intuì che qualcosa avvenuto da poco occupava la mente della ragazza. Promise a se stessa che le avrebbe parlato, perché aveva la netta sensazione che la causa dei suoi problemi fosse seduta poco lontano da lei.

Infatti, ella aveva notato il legame formatosi tra la Sindar e il capitano. Nonostante si fossero incontrati solo due giorni prima per la prima volta, tra i due c’era un’intesa simile a quella tra Eglerion e Lancaeriel stessa.

Promise a sé stessa che avrebbe parlato ad entrambi, quella sera. Tanto, il Re avrebbe dovuto sorbirsela per l’intera nottata.

***

- Mia signora?-. L’elfa s’inchinò al cospetto della Regina.

- Dimmi Galadhwen, ma sii concisa. Sono stanca, questa sera-. Galadhwen si stupì dell’uso del “tu” da parte della Regina. Solitamente in udienze ufficiali, anche se dopo il tramonto, era distaccata come l’etichetta imponeva.

- Riguarda la nave che ha attraccato questa sera al porto- cominciò la conciliata.

- Ah, sì. Mi stavo giusto chiedendo quando qualcuno fosse venuto a parlarmene-.

- Si tratta di Noldor, ambasciatori di Re Tegalad venuti a chiedere udienza alla Regina. Uno di loro è Eglerion, il figlio di Tegalad stesso-.

- E attuale Re, per tua informazione-.

Galadhwen rimase interdetta.

- Se tu meditassi in stato di lucidità e non sotto gli effetti della Falchonlass, scopriresti molte cose-.

- Volete farmi credere che questa notizia vi è giunta durante le meditazioni?-.

- Sì. Parlai con Lord Tegalad, anni fa. La notte della Dagor Ram, l’assedio al Vallo. Egli era partito da venti anni. Si mise in contatto con me durante la mia meditazione, la sera prima della battaglia. Discorremmo a lungo sulla situazione della Terra di Mezzo e mi rammaricai di non aver potuto parlargli prima. Verso la fine della conversazione, mi disse che egli aveva lasciato il trono al figlio ed era partito verso l’Ovest, ma senza una meta precisa. Intendeva navigare anche verso Nord e vedere il mondo. Mi avvertì che prima o poi suo figlio Eglerion, mi disse il suo nome, sarebbe venuto a Minas Duin portando con sé la rinnovazione-.

- Quindi voi credete che la comparsa di quella nave nel porto, questa sera, non sia casuale-.

- Esattamente. La preveggenza degli elfi è quasi svanita, limitandosi a pochi eletti. Mi fido delle profezie di Lord Tegalad e sono sicura che in qualche modo la venuta di questi Noldor porterà gli immortali ad uscire dalla semi-decadenza di questi tempi-. Alastegiel si alzò dal trono, che altro non era che una poltrona decorata finemente, posta su un palco rialzato di poco dal pavimento.

- Domani sera indirò un banchetto in onore dei nostri visitatori. Davanti ad una tavola imbandita ed ad un calice pieno si discute meglio, nella mia opinione. Fai pervenire l’invito a coloro che fanno parte della delegazione-.

- Come volete, mia Regina- rispose la conciliata, inchinandosi nuovamente.

- Ah, un’ultima cosa. Mi farebbe piacere sapere dove alloggiano questa notte?-.

- Sono ospiti di Lord Daeron e Lady Rhavanwen, i figli di Gawain Glirdir-.

- Estendi l’invito anche a loro due. Gawain Glirdir trovò la morte proteggendomi sotto il Vallo. Mi pare il minimo accogliere i suoi figli al nostro desco. Ovviamente desidero che anche tu sia presente, insieme a Megildur-.

Galadhwen represse un’imprecazione verso Melkor e si chiese come mai la Regina volesse quel guerrafondaio seduto al tavolo dell’ambasciata. Tenne per sé la domanda, sapendo che Alastegiel aveva i suoi buoni motivi per chiamare anche lui.

- Sarà fatto- disse. Si congedò ed uscì dalla reggia, volgendo i suoi passi verso casa.

***

- Posso entrare?-. Lancaeriel entrò, non udendo una risposta da parte di Rhavanwen.

La Sindar era seduta sul letto, immersa nella lettura di un libro.

- Scusami, non ti avevo sentito bussare-.

- Innanzi tutto, volevo ringraziarti per la cena. Dopo mesi in mare è stato bello riassaggiare cibo cucinato in una cucina che non ondeggi. Senza togliere nulla a Tuarwaithion, ma dopo un paio di giorni che mangi la stessa cosa, è bello cambiare-.

Rhavanwen annuì. Posò il libro sul letto e guardò la Noldo.

- Volevi dirmi qualcosa?- domandò.

- Volevo semplicemente parlarti-.

- È a proposito della cena, vero?-.

- Sì. Eri molto taciturna e credo che la stanchezza non c’entra.

- Hai inteso bene…-. La Sindar sospirò.

- Il problema è Daeron- disse poi.

- Daeron? Come mai?-.

- Per via di come si comporta, di come agisce…-.

- A me pare sia stato molto ospitale, anzi…-.

- Non intendevo questo. È per come mi tratta-. Lancaeriel annuì. Nonostante li avesse visti assieme per poco tempo

- Ho notato che il rapporto tra voi due non è dei più rosei. Vuoi parlarne?-.

- Ogni volta che io sono con lui, si preoccupa dell’immagine come un ossesso. È preso più dall’onore che dalle buone maniere. Sempre a dirmi come devo comportarmi, cosa devo fare, come devo rivolgermi alle persone. Non lo sopporto. Pensavo che arruolandomi nell’esercito egli mi avrebbe apprezzata di più e, nel frattempo io avrei potuto abituarmi di più a prender ordini. Perché è questo che mio fratello fa-.

Lancaeriel si sedette accanto a Rhavanwen.

- Invece, anche tra le sentinelle c’è un livello di cordialità a lui sconosciuto-.

- Almeno ha cambiato atteggiamento verso di te?- domandò l’altra.

- No!- esclamò la prima.

- Continua, imperterrito, a trattarmi come fossi una bambina che non sa come comportarsi in pubblico-.

- Daeron, di certo, non sopravivrebbe nemmeno un giorno sulla Ithil. È un ambiente troppo rilassato per lui-. Anche Rhavanwen rise.

- Va meglio ora che ne hai parlato con qualcuno?- chiese Lancaeriel, dopo che ebbero ripreso fiato.

- Molto. Non sai da quanto mi tenevo dentro queste parole-.

- Fa male trattenere le emozioni, sai? Lo so per esperienza- disse la Noldo, ripensando al suo passato. O meglio, a quello del suo capitano. La prossima volta che s’innamora, farò in modo di esserci, altrimenti ripetiamo la situazione del secolo scorso…

***

Meldarion si svegliò. Nonostante fosse ormai ottobre inoltrato, grondava di sudore. Si guardò attorno nella camera buia. Il respiro lieve e regolare di Castiel era l’unico rumore che poteva udire. La nave ondeggiava leggermente ma Meldarion non lo percepiva. Dopo anni a fare il marinaio ci si abitua.

Si mise a sedere sul letto. Una visione. L’ennesima.

E pensare che aveva smesso di meditare, la notte, per evitarle. Erano anni che visioni di preveggenza lo tormentavano. “Tormentavano”, perché spesso vedeva le morti di persone che conosceva. Poche volte invece riguardavano sconosciuti. E, purtroppo, la maggior parte delle volte si avveravano.

Tentò di calmarsi, mentre i suoi occhi si abituavano all’oscurità.

Era solo una visione, continuò a ripetersi mentalmente. Castiel si girò nel sonno, facendolo sussultare per il rumore improvviso.

Non morirà nessuno, si disse. Lo ripeté ad alta voce, nel buio, sperando che la cosa lo potesse convincere.

- Amore…-. Castiel si era svegliata.

- Dimmi?-.

- Che cosa c’è? Perché non dormi?-.

- Un sogno- mentì egli.

- Un sogno ti ha svegliato? Che tipo di sogno?-.

- Un incubo-. Sospirò.

- Spiegati, altrimenti non vedo come posso aiutarti-.

- L’Ithilien bruciava, Manwetol bruciava. Persino le Falas ardevano, mentre gli Uomini uccidevano senza pietà-. I suoi occhi scuri si erano come tramutati. Il suo sguardo era vacuo, la sua voce, fredda. La voce della Morte.

- Ho visto elfi, bambini, persone indifese, morire sotto lame crudeli, mentre imploravano pietà; mentre un tronfio individuo, passeggiava tra le macerie delle Sale di Alastegiel, riverito e osannato. Ho visto drappelli di uomini scoccare frecce verso elfi bendati e legati, come se essi potessero costituire una minaccia. Ho visto il sangue delle valorose, bagnare la neve. Ho visto elfe di stirpe regale, stuprate da soldati rozzi e violenti, sotto lo sguardo impotente delle loro madri e dei loro padri. Ho visto Eglerion in ceppi, sbeffeggiato dalle peggiori milizie di Nuova Numenor, colpito dai loro sputi. Ho visto Lancaeriel, ridotta a concubina di un uomo disgustoso, mutilata e ferita. Ho visto…- s’interruppe. La voce gli morì in gola.

- Cosa? Che cosa hai visto ancora?- lo esortò l’elfa, allarmata.

- Te. Bruciata sul rogo, avvolta da bianche vesti-. Gli occhi gli si riempirono di lacrime.

Castiel lo abbracciò. Era freddo e sudato. Meldarion rabbrividì, sentendo il calore della sua amata avvolgerlo. Si avvoltolarono di nuovo nelle coperte ed ella gli parlò.

- Era un incubo. Niente di più- disse, tentando di rassicurarlo.

- Non capisci… questo è ciò che accadrebbe se noi fallissimo-.

- Intendi dire che ciò che hai visto è ciò che il futuro ci riserva?-. L’elfo annuì.

- Sì. Se non riusciamo a riunire tutte le persone possibili sotto lo stesso stendardo, per fermare Nuova Numenor, i più fortunati di noi incontreranno Mandos nella maniera più dolorosa-.

- Non succederà. Non finché qualcuno s’impegnerà per evitarlo-. Egli la guardò.

- Hai ragione… il futuro è nostro e sta a noi definirlo, checché Mandos mi mostri-. L’elfa sorrise.

- Mi chiedevo quando ti saresti deciso ad ammettere di essere Mandos beriannen, protetto da Mandos-.

- È un grave peso da portare. Corch, sarebbe il nome appropriato-.

- Beh, - disse ella baciandolo, - io non ho nulla contro i corvi-.

- Promettimi che sarò solo il tuo corvo- asserì lui.

- Lo sarai. Ti prometto che resterà tra noi-.

Egli la strinse a sé e la baciò nuovamente. Il contatto con i seni di lei gli provocò un altro brivido. La abbracciò più forte e continuò a baciarla a lungo, senza che nessuno dei due dicesse altro.

***

- Buongiorno!-.

- Mh-.

- Ho detto: buongiorno!-.

Eglerion non si mosse. Lancaeriel si avvicinò al letto e diede uno scossone al proprio Re.

- Forza, alzati! È già la terza!*-. La reazione fu fulminea.

- La terza?! Ma…-**.

- Eglerion! Non essere scurrile, qui non sei sul ponte di una nave!- lo rimproverò l’elfa.

Eglerion si alzò dal letto e prese i suoi vestiti. Poi guardò la sua amica.

- Già pronta? Ma da quanto sei sveglia?-.

- Dall’alba. Medito dall’alba-. Eglerion emise un verso indistinto, per manifestare i suoi sentimenti verso la meditazione.

- Di pure quello che vuoi. Intanto io so che Zoe non ha dormito stanotte-.

- Come mai?- chiese Eglerion. Zoe era da poco a bordo della Ithil e quello era il suo primo viaggio impegnativo. Per questo molte persone dell’equipaggio tenevano a farla sentire bene, Eglerion incluso.

- Non so. Ho preferito non interferire. In ogni caso dava l’impressione di non essere nelle migliori condizioni-.

- Vuol dire che faremo una capatina veloce al porto, più tardi-.

- Intanto scendi, che c’è un’altra bionda che si chiede cosa tu stia facendo-. Il capitano non se lo fece ripetere. Si vestì e scese al piano terra, dove trovò Rhavanwen ad attenderlo.

- Ho fatto metter da parte qualcosa per la colazione. Hai dormito bene?- domandò questa.

- Splendidamente- rispose l’altro, sorridendo.

I tre si diressero verso la sala dove avevano cenato, dove trovarono Gelirion che parlava con Rilien, il maggiordomo della casa.

- Ben svegliato, Lord Eglerion- disse quest’ultimo, quando lo vide entrare.

- Buongiorno Rilien-.

Eglerion prese posto accanto al timoniere, mentre una cameriera lo serviva.

- Abbiamo in programma qualcosa per oggi?- domandò agli altri.

- Per ora nulla. Daeron è tornato al palazzo conciliare per sapere se avete ottenuto quell’udienza o meno, ma finché non torna non sapremo nulla- rispose Lancaeriel.

- Capisco-.

- Beh… se volete potrei mostrarvi la città- si offrì Rhavanwen.

I tre si scambiarono un’occhiata e accettarono l’invito con piacere.

***

- Meldarion, l’equipaggio freme- disse Tuarwaithion. I due si trovavano sul castello di poppa, guardando verso l’orizzonte. La maggior parte delle persone dell’equipaggio oziava, mentre altri svolgevano lavori quotidiani, come lavare il ponte o preparare le pietanze per il pranzo.

- Lo so, ma Eglerion è stato chiaro: nessuno tranne me, te o Zoe può scendere dalla nave. Non sai quanto vorrei prendere Castiel e visitare la città, ma non posso-.

- Per quanto mi riguarda, potresti spacciarla per Zoe e farti tutti i giri che vuoi-.

- E Zoe? Dopo ieri, non so quanta voglia avrà di far favori a Castiel-.

- Proverò a convincerla. Dopotutto, Castiel è una sua amica, capirà la situazione-.

- Come vuoi-.

Il cuoco si voltò e si diresse verso la scala che portava sottocoperta, sicuro di trovare la sua assistente ancora nella sua amaca.

Zoe si rivoltò nell’amaca. Non aveva dormito e si notava. La chioma nera scompigliata e le occhiaie, erano i chiari segni di una notte passata male. Tentava inutilmente di prender sonno, cullata dal lieve rollio, ma ormai non ci sarebbe più riuscita. Si mise a sedere come meglio poteva, guardandosi intorno e cercando i suoi vestiti.

Dei colpi sulla porta.

- Si può?-. Tuarwaithion.

- Un attimo, mi devo cambiare- rispose ella, con la voce impastata dal sonno.

- Va bene-.

Si alzò e si tolse la veste che metteva per dormire.

Indossò un paio di pantaloni, che assomigliavano ad una calzamaglia ed erano tenuti su da una cintura di cuoio; una camicia ampia e sopra di essa mise il farsetto. Le gonne proprio non poteva sopportarle. E poi, in cucina, le erano solo d’intralcio. Scrutò il pavimento, in cerca dei suoi stivali. Nel mentre disse al cuoco che poteva entrare.

Quando Tuarwaithion entrò lei stava saltellando su un piede solo, tentando d’infilarsi lo stivale sinistro.

- Cosa c’è?- domandò al moro.

- Mi potresti fare un favore?-.

- Che tipo, di favore?-.

- Dovresti permettere a Castiel di spacciarsi per te, in modo che lei possa scendere dalla nave- disse, stringendo i denti, aspettandosi una risposta acida.

- Mi stai chiedendo di confinarmi qua dentro?- domandò ella, indicando le pareti del dormitorio femminile.

- Questo è ciò che forse Meldarion si aspetta. Ma forse non è necessario- disse egli, guardando gli indumenti di lei.

***

- Se ho ben capito, il porto è da quella parte, giusto?-.

- Sì-.

- Ok, tenterò di arrivarci, qualcuno viene con me?-.

Eglerion aveva finito di fare colazione e aveva chiesto indicazioni a Rilien su dove si trovava il porto.

- Forse sarebbe meglio se io ti accompagnassi. Così eviteresti di perderti- si offrì Rhavanwen.

- Mi farebbe piacere. Voi due restate qui?- domandò poi, ai suoi due compagni.

- Non so. Se Gelirion ne ha voglia, potremmo far un giro per la città-.

- A me farebbe molto piacere. Troviamo un punto di riferimento e ci ritroviamo tutti quanti là, tra un paio d’ore-.

- Buona idea. Scendendo vi mostrerò la piazza dedicata a Fingolfin. Direi che come punto d’incontro va bene-.

Il gruppo s’incamminò verso i cancelli della villa, sotto lo sguardo di Rilien. Quando furono scomparsi dietro l’angolo, l’anziano elfo rientrò in casa, riflettendo sullo sguardo della sua superiore, mentre parlava con Eglerion. Era felice, dopo anni che l’aveva vista nascondere la tristezza dentro di sé, guardare il mondo con sguardo opaco.

I colori sono tornati anche per voi, Nethros…

***

- Ma sei tutto deficiente?!-.

- Non credo…-.

- Siamo su una nave elfica, attraccata al porto elfico di una città popolata da elfi. Tu pensi che, se mi travesto da Meldarion, nessun elfo capirà che non sono ciò che dovrei sembrare?- domandò Zoe.

- Stavo scherzando, ovviamente. Il mio piano era: tenerti qui un attimo mentre quell’altro spariva con la sua amata, facendogli credere di aver trovato un accordo e poi scendere dalla nave e vagare un po’ per la città in tua compagnia, se tu acconsenti a concedermi la tua dolce presenza-.

- Si può fare. Ma adesso, per favore, passiamo in cambusa. Sto morendo di fame!-.

I due uscirono dal dormitorio, diretti verso la cambusa, parlando del più e del meno. Ella non accennò minimamente al fatto di non aver dormito.

Una volta arrivati, Zoe prese una mela dal barile che stava vicino alla porta.

- Avevo quasi dimenticato che sapore avessero le mele fresche- disse, addentandola.

- Sono d’accordo. Però non puoi negare che ti sei divertita a smaltire quelle non mangiate-.

- Siamo a tre gabbiani di vantaggio per te. Quando anche queste inizieranno a fare schifo riprenderemo il gioco-.

- Colpire i gabbiani con le mele… ma quanto riusciamo a cadere in basso?!- disse Tuarwaithion.

- Tanto- ammise Zoe.

I due finirono la colazione e si diressero sul ponte.

- Athradien!-.

- Ditemi- rispose l’elfo interpellato.

- Lascio a te e a Stephane il comando. Sia io che Meldarion saremo fuori bordo per qualche ora. La signorina Zoe verrà con me. Voglio che questa nave resti esattamente nelle condizioni in cui l’ho lasciata. Stephane è l’unico ad avere il permesso di entrare in cambusa per procurare il pranzo al resto di voi, nessun altro. Sono stato chiaro?- disse, con il tono autoritario che lo caratterizzava in alcuni momenti.

- Cristallino- rispose Athradien.

- Bene. Spero che tutto vada per il meglio-.

L’uomo e la donna si diressero verso la passerella e scesero sul molo.

***

- Perché continuo ad avere questa brutta sensazione?-.

- Dai, la Ithil è ancora al suo posto-.

- Il problema è se l’equipaggio è ancora al suo posto…- rispose l’elfo.

Eglerion e Rhavanwen scesero lungo le banchine, osservando pescatori e mercanti, oltre a barche di vario genere. Finalmente raggiunsero la Ithil, che spiccava tra i vari bastimenti.

- C’è nessuno?- gridò il capitano.

Come risposta gli giunsero imprecazioni degne delle taverne più fumose di Pelargir.

- Non si aspettavano una visita, a quanto pare- disse Rhavanwen, imperturbabile. A dire il vero avrebbe voluto ridere, ma la faccia di Eglerion le sconsigliava di farlo.

Il Re salì lungo la passerella ed arrivò sul ponte.

- Allora! Che cosa sta succedendo qui?-.

- Mio signore- esclamò velocemente Athradien. Stephane invece non disse una parola. Si limitò a mettere la testa fuori del boccaporto collegato alla scala, per controllare chi stesse disturbando la sua siesta. Quando riuscì a mettere a fuoco il visitatore, non cambiò minimamente atteggiamento.

- Buongiorno- disse.

Si alzò dal gradino dove era sdraiato e si diresse verso i due. Era a torso nudo, capelli sciolti e piedi nudi. La veste adatta per ricevere il proprio Re.

- Mi potresti gentilmente dire, dove si trovano quei due sciagurati al comando?-.

- Ce li hai davanti agli occhi, Eglerion. Il nostro cuoco ha eseguito un piccolo “trasferimento di potere”. Lui e Zoe sono scesi, così anche Meldarion. Sospetto che anche Castiel sia stata fatta scendere, perché il sacco di “immondizie” che Meldarion ha portato fuori bordo profumava ed emetteva leggeri lamenti-.

Rhavanwen non poté trattenere più le risa. Per poco non si aggrappò ad Eglerion.

- Capisco. Quindi voi siete al comando. E gli altri?-.

- Sottocoperta. Alcuni ad eseguire le loro mansioni, altri a passare il loro tempo come meglio credono. Nessuno però riusciva a sopportare la calura sul ponte-.

- E tu come mai eri qui?- domandò la Sindar, curiosa. L’uomo le mostrò una sigaretta artigianale, ancora non accesa.

- Quello non è tabacco- osservò Eglerion.

- Infatti, è Falchonlass- rispose Stephane. Eglerion non poté fare a meno di evocare nella sua mente l’immagine di un’elfa dai capelli corvini.

- Come te la sei procurata?-.

- Minas Falas- asserì semplicemente il rosso.

- Basta che il vizio non si diffonda in tutto l’equipaggio-.

- Tranquillo. L’unica che la fuma, oltre a me, è Castiel-. Eglerion rimase interdetto.

- Questa mi mancava- disse.

- Ma Meldarion lo sa?- chiese la bionda.

- No, è questa la cosa divertente-.

- Ora capisco perché non fa storie, quando Meldarion fuma le altre erbe-.

- Vero. Comunque mi chiedo dove siano-.

- Spero che si stiano divertendo al momento, perché quando torneranno avranno meno da ridere-.

- Tutti quanti?-.

- No Rhavanwen. Se li conosco, so che gli unici da biasimare sono Meldarion e Castiel. Capisco i sentimenti, ma se ho dato un ordine, preferirei che venisse eseguito. Tuarwaithion potrebbe essere estraneo alla faccenda, per quanto ne so, ma dovrò comunque discutere anche con lui. Spero solo non facciano troppo casino in città-. Sospirò. Speriamo che non causino incidenti diplomatici o chissà cos’altro…

***

- Megildur-.

- Mae govannen, Galadhwen. A cosa devo questa gradita sorpresa?- rispose il conciliato, sardonicamente gentile.

L’elfo era alto, anche per i loro canoni. I suoi occhi erano di un azzurro chiarissimo. Fissarli era come guardare una lastra di ghiaccio. Aveva i capelli castani, tagliati corti, e il viso affilato. Non era lo stereotipo di elfo, per parlar chiaro.

- La Regina Thalien mi manda a dirti che sei convocato questa sera, ad un banchetto insieme agli ambasciatori Noldor-.

- E tu, da brava galoppina, fai tutto ciò che ti viene ordinato, giusto?- le sue parole erano affilate come lame, ma ella non diede loro peso. Si era abituata al disprezzo da parte di quell’elfo.

- No. Io lo faccio perché ciò che la regina ordina dev’essere fatto-.

- Anche subire continui e ripetuti assalti da parte degli Uomini?-.

- Sì, se necessario- rispose Galadhwen, senza esitare minimamente.

- Eppure un paio di giorni fa, persino tu le hai proposto di mobilitare le truppe- disse l’altro.

Galadhwen sospirò. Si trattava dell’ennesimo duello politico tra lei e l’elfo castano.

- Vedi, non rispondi- rincarò la dose Megildur.

- Era la terza volta in due settimane che i loro raminghi attaccavano una carovana di Rohan- rispose ella.

- Ma adesso non è più importante, vero?-.

- Non ho mai detto questo. La somma Thalien vuole evitare in tutti i modi possibili la guerra aperta. Dopo le perdite della Dagor Ram…-.

- Ah, sì… la gloriosa carica della nostra Regina. E dopo un solo anno, i Numenoreani dimenticarono la battaglia e continuarono ad attaccarci senza sosta. Quella non è stata una vittoria! Quando mandammo in rotta il loro esercito, eravamo un quarto di coloro che erano partiti!-.

- Lo so benissimo. Anche io, se non ti ricordi, ho combattuto quella battaglia-.

- E della tua fuga in Harad cosa mi dici?!-. Oramai i due politici stavano quasi gridando. Era una fortuna che fossero da soli, in quell’ala del palazzo conciliare.

- Fuga? FUGA?! Se non ricordi, foste tu e un paio d’altri guerrafondai, a pretendere che le coste dell’Haradwaith venissero perlustrate, per cercare eventuali disertori. Come tutto l’Ithilien sa, cademmo in un’imboscata-. Il conciliato sbuffò.

- Girano molte versioni di questa storia. Come quella in cui compare un Noldo che ti avrebbe fatto compagnia durante le settimane in cui eri dispersa-. Galadhwen arrossì leggermente, ma non cambiò espressione.

- Questo non è ciò per cui sono venuta a parlare con te. La Regina vuole che tu partecipi a questa cena insieme agli ambasciatori di Manwetol, a me e ai figli di Gawain Glirdir-.
- Ci sarò- rispose sprezzante l’elfo. Un lampo impercettibile gli attraversò gli occhi.

Ella gli voltò finalmente le spalle ed uscì dalla stanza.

Aveva vinto lei.

Quella volta.

***

- Castiel?!-.

- Cazzo!-.

- Meldarion!-.

Una risata.

Lancaeriel e Gelirion avevano incrociato la strada di Castiel e Meldarion.

- Lei cosa ci fa qui?- domandò Lancaeriel.

- Lo sai benissimo. È venuta insieme a me, a visitare la città-.

- Se non ricordo male, l’ordine esplicito era che solo tu, Zoe e Tuarwaithion, sareste potuti scendere dalla nave-.

- Lo so. Intendi farmi la predica?- rispose l’elfo moro.

- Meldarion, evita…- cominciò la sua amata.

- No! Non ho intenzione di smetterla. Tu, Lancaeriel, non ne hai colpa, ma io non ho intenzione di seguire quell’ordine di Eglerion-.

- Hai almeno una buona ragione?- chiese Gelirion.

- No. Io rispetto Eglerion, nonostante i suoi difetti. So che lei-, fece un cenno con la testa verso la bionda, - si fa un mazzo tanto, per far in modo che Eglerion non faccia cazzate, sia quando è ubriaco che quando è sobrio. Ma deve anche capire che, se scendo dalla nave per vedere una città, vorrei avere Castiel al mio fianco-.

- Lo sai che è solo questione di tempo, dopo l’udienza, potrete girare liberamente-.

- E se la Regina rifiutasse di ricevervi? O se rifiutasse di farci restare? Non sempre va bene- disse.

- Lo so, ma non è un motivo per infrangere un ordine esplicito-.

- Non importa. Io sono pronto ad accettare le conseguenze delle mie azioni. Se Eglerion ha qualcosa da ridire, dovrò ricordargli la tempesta di sabbia- continuò Meldarion, accennando ad eventi passati.

L’elfo si voltò e cominciò a camminare verso il porto.

- Mi dispiace. Ha i suoi motivi per essere scosso, ma non avrebbe dovuto prendersela con te- disse Castiel, prima di dirigersi anche lei verso le banchine.

Quando Castiel e Meldarion furono arrivati all’ingresso del porto, egli si fermò improvvisamente.

- Che cosa c’è?-. Egli non disse una parola.

L’elfa lo fissò negli occhi. Le sue pupille si erano contratte sempre più, mentre le iridi d’ebano erano diventate di un azzurro pallidissimo. Due anelli color ghiaccio, immersi nel bianco. Poi egli parlò, con la voce fredda della Morte. Lo stesso tono inespressivo di quella notte.

- La Ithil… dobbiamo… organizzare… difese…-.

Così com’era cominciato, improvvisamente terminò. I suoi occhi tornarono normali.

- Cosa?! Che cosa accadrà alla Ithil?-. Egli non rispose. Perse momentaneamente l’equilibrio e si aggrappò a Castiel.

Sulla Ithil, nel mentre, Eglerion scrutava la strada che portava al porto. Accanto a lui Stephane fumava e Rhavanwen lo osservava, in silenzio. Avvertiva la sua tensione. Volse lo sguardo nella stessa direzione del Re e capì cosa lo turbava. Poteva facilmente distinguere Castiel e Meldarion. Ma egli pareva star male. Era molto pallido. Improvvisamente lo vide perdere l’equilibrio ed aggrapparsi all’elfa.

Si alzò in piedi, seguita da Eglerion, e insieme si diressero verso i due Noldor.

***

- Certo che questa città è faticosa- disse Zoe. Ella e Tuarwaithion continuavano a far su e giù attraverso le stradine di Minas Duin da almeno due ore.

- Pensa alla fatica fatta portando un sacco in spalla- ribatté il ragazzo. Gli bruciava ancora la fatica del giorno prima.

I due avevano visitato la maggior parte delle due cerchie inferiori, ed al momento stavano salendo verso il Caw.

- Tu ed io stoniamo un po’ qui, sai?- disse la ragazza.

- Che cosa intendi?-.

- Beh, per lo più questi Sindar sono biondi. E poi, hanno una bellezza ultraterrena-.

- Mai quanto la tua, Lendhun- rispose il cuoco. La sua amica arrossì. Doveva ancora abituarsi ai complimenti da parte del resto dell’equipaggio, anche se così educati.

- Chissà come se la cavano gli altri- disse ella, tentando di muovere il discorso lontano dal suo aspetto fisico.

- Non lo so. Spero solo che Meldarion non si sia fatto beccare, perché mi pare di aver visto Eglerion e la sua amica silvana scendere per una via, qualche ora fa-.

- Mah… Però devo ammettere che Rhavanwen è veramente il tipo d’elfa per cui perdere la testa… viso dolce, educata nel comportamento-.

- Che pettegola!- esclamò l’altro, sorridendo.

- Che cosa ci posso fare?-.

Mentre continuavano a camminare, videro parecchie cose insolite ai loro occhi. Innanzi tutto, poche locande. Oramai erano entrambi abituati agli standard di Manwetol, dove ce n’era una ad ogni angolo della strada, quindi, vederne solo quattro o cinque parve loro molto strano.

Poi notarono che c’erano poche guardie di ronda nella città. Per le strade della capitale c’erano drappelli interi, mentre a Minas Duin incrociarono solo un paio di guardie, che presidiavano i cancelli delle cerchie.

Inoltre le case nelle cerchie più basse erano prive di camini ed avevano i tetti piatti, come nelle poche città Haradrim rimaste.

- Torniamo alla nave, che dici?-.

- Mi pare una buona idea. Tanto ormai abbiamo visto praticamente tutto-.

Il ragazzo e la ragazza s’incamminarono verso il porto, inconsapevoli di ciò che stava accadendo là in quel momento.

***

- Ti capisco Meldarion; hai le tue ragioni. Ma ciò non toglie che tu hai disobbedito ad un ordine esplicito-.

- Che cosa intendi fare? Lasciarmi qui? Gettarmi fuori bordo quando riprenderemo il largo?-.

- No. Semplicemente ti sollevo dall’incarico che hai ora. Stephane prenderà il tuo posto, mentre tu resterai confinato sulla Ithil per tutto il resto della nostra visita- disse Eglerion calmo.

- Bene. Allora resterò qui. Ma tu ripensa alla tempesta di sabbia. Alle perdite che avremmo potuto subire, se io non ti avessi avvertito-.

L’elfo non mutò espressione, anche se nella sua mente dava ragione a Meldarion. Il fatto che egli sapesse esattamente quando la tempesta sarebbe arrivata, aveva dato loro un grande vantaggio. Tutta la colonna d’elfi e uomini sopravvisse. L’unica nota negativa fu la sua scomparsa per un certo periodo. Durante gli attimi prima della tempesta era rimasto separato dal resto del gruppo, ed aveva cavalcato con la tempesta alle spalle, fino ad arrivare alla giungla, a poche leghe dalla costa. Da lì riuscì a risalire uno dei tanti torrenti pluviali, fino a raggiungere di nuovo i suoi compagni. Ciò era accaduto un secolo prima.

- Non intendo cambiare idea. Questa volta faresti meglio ad ascoltarmi- disse, freddo. Voltò le spalle all’elfo e scese dalla nave, seguito da Rhavanwen.

- Non hai accennato al pericolo che la nave corre- disse Castiel.

- No. È già abbastanza teso senza che io aggiunga ulteriori preoccupazioni alla sua mente. Hai sentito la sua freddezza. Solo questo può essere il motivo-.

***

- Non pensi di essere stato un po’ troppo duro?- domandò cauta l’elfa silvana.

- Forse. Ma è necessario in questo momento-.

I due elfi stavano risalendo verso il Caw, diretti alla casa dei fratelli Glirdir. Eglerion neanche si accorse di Tuarwaithion e Zoe, quando gli passarono accanto. Rhavanwen rivolse loro un silenzioso saluto, accompagnato da uno sguardo eloquente riguardo Eglerion, all’occhiata interrogativa della ragazza.

Continuarono per la loro strada, fino ad arrivare alla piazza di Fingolfin. Al centro della stessa, troneggiava un immenso monumento del Re elfico, durante il suo duello contro Morgoth.

Attesero là una mezz’ora, finché non furono raggiunti da Gelirion e Lancaeriel. Le due elfe cominciarono a chiacchierare, mentre Gelirion rivolse qualche veloce parola ad Eglerion, riguardo l’incontro con Meldarion ed Eglerion gli riferì dello sviluppo delle cose.

Finalmente arrivarono all’abitazione di Rhavanwen, dove trovarono Limwen ad attenderli al cancello.

- Mia signora, la stavamo attendendo-.

- Che cosa è successo?-.

- Venite- rispose frettolosa l’ancella.

Il gruppo di persone entrò in casa. Limwen li scortò dentro la saletta dove erano stati fatti accomodare il giorno prima. Lì videro Rilien, intento a versare del vino in un calice, tenuto in mano da un’elfa graziosa, eppur dall’espressione austera. Quando la vide, sorrise e si alzò in piedi.

- Buon pomeriggio. Mi chiamo Galadhwen, mi trovò qui sotto ordine della somma Thalien. Innanzitutto, devo ringraziare Lady Rhavanwen per l’ospitalità. In queste mura si respira un’aria molto confortevole. Ma veniamo al dunque. La Regina mi ha chiesto di comunicarvi che siete attesi ad un banchetto questa sera, per ascoltare i motivi della vostra venuta. Ovviamente siete invitati anche voi, Lady Rhavanwen, e vostro fratello Daeron. Siete attesi alla dimora reale tra un paio d’ore-. L’elfa disse ciò tutto d’un fiato, senza mai fermarsi per riprendere un respiro.

Eglerion s’impietrì.

- Galadhwen…-.

- Sono felice di rivederti, Eglerion-.

Ok. Si era capito no, che quei due già si conoscevano. Avete il permesso d'insultarmi quanto volete per aver interrotto la narrazione in questo punto.

E finalmente ecco anche il capitolo IV. Ce n'è voluto di tempo!

Ad ogni modo, grazie ad Elfa per la recensione, sì, la trama sta prendendo pian piano forma, ma ancora non c'è nulla di definito. Sono felice che ti piacciano i personaggi, sono ciò che danno spessore alla storia, nella mia opinione.

La scorsa volta avevo detto che in questo capitolo si sarebbe visto l'incontro dei nostri eroi (Alla faccia! ndLancaeriel) con Alastegiel. Ho deciso di dividere in due il capitolo, perché altrimenti ne sarebbe venuto fuori un tomo da venti pagine word (già questo è di quattordici!).

Comunque, come potete vedere, si sono uniti al cast anche Zoe e Daeron. La prima, in quanto parte dell'equipaggio, continuerà a stare tra i piedi (Scherzo Zoe! Nota dell'autore, che è stato incenerito da un'occhiata della mora) per ancora un po', mentre Daeron, probabilmente, lo lasceremo nella sua città, tanto ci sta bene e non si lamenta.

Quanto alla Falchonlass, si dovrebbe capire che non è altro che Cannabis. Il nome deriva da "Lass", "foglia" e "Falchon", "ascia a doppio taglio".

Piccolo disclaimer, non faccio uso di droghe e non è mia intenzione incoraggiarne l'utilizzo, né tantomeno voglio incoraggiare il consumo di alcol. I personaggi sono tutti originali e di mia proprietà, per utilizzarli dovete avere il mio esplicito permesso.

Mi pareva di dovere aggiungere queste righe, dopo aver descritto scene in cui i personaggi fumano stupefacenti o bevono alcolici.

* Terza= terza ora dopo l'alba, quindi le nove di mattina.

** Ho preferito lasciare alla vostra immaginazione le imprecazioni che Eglerion potrebbe usare in quel momento.

Ma ora, lasciamo spazio al Meldarion horror picture show!

Il sipario si apre su uno studio televisivo, dove alcuni membri dell'equipaggio della Ithil (tra cui spicca Tuarwaithion, che ha un'aria molto scazzata) ballano costretti in stretti costumi da bagno, tipicamente femminili. In sottofondo si sente una canzone truzza dal ritmo ripetitivo. Finito lo stacchetto dei "Velini" entra in scena Meldarion. Egli indossa un orrido frac di una sfumatura tra il melanzana e il viola livido, corredato da pantaloni e cilindro dello stesso colore. I capelli gli coprono gli occhi e l'autore sospetta che l'elfo stia tentando di assomigliare a Slash, ma con scarsi risultati.

"Benvenuti, signore e signori, al Meldarion Horror Picture Show". Degli applausi preregistrati scattano nonappena Meldarion finisce di parlare. Infatti il pubblico è piuttosto scarso: una decina di persone, tutte quante facenti parte dell'equipaggio, eccetto Rhavanwen, Galadhwen ed Alastegiel, che ancora si chiedono perchè siano lì. Quando gli applausi si fermano (cioè dopo due minuti buoni) Meldarion ricomincia a parlare:

"Facciamo entrare i concorrenti di questa sera!".

Entrano Eglerion, che sta ancora ridendo alla visione del suo equipaggio costretto a fare lo stacchetto e che in mano tiene una bottiglia di Four Roses mezza piena, e Lancaeriel, che indossa una veste molto succinta e lancia baci a destra e a manca.

"Cominciamo subito con la nostra 'Intervista doppia'!" dice Meldarion estatico. I due concorrenti roteano gli occhi.

"Nome".

"Lancaeriel".

"Eglerion".

"Occupazione".

"Comandante in seconda della Ithil e del regno di Manwetol".

Alcuni tra il pubblico ridacchiano, osservando la bottiglia tenuta in mano da Eglerion e capendo l'allusione dell'elfa.

"Re di Manwetol e comandante della flotta Noldorin".

"Vera occupazione".

"Parare il culo al Re di Manwetol".

"Alcolista anonimo".

Eglerion si siede in terra e beve due lunghe sorsate dalla bottiglia, mentre Lancaeriel lo guarda male.

"Stato civile".

"Nubile".

"Celibe".

Meldarion si gratta la testa, guardando i due.

"Innamorato/a?".

"No".

"Sì".

"Di chi?".

"Ma ho detto no!".

"Dovresti capirlo" risponde Eglerion, fissando con sguardo adorante il liquido ambrato. Meldarion lo guarda male.

"Demente! Comunque, attore preferito".

"Diego Luna".

"John Belushi".

"Attrice preferita".

"Uma Thurman, lei sì che è una donna con i controcoglioni".

"Piper Perabo".

Meldarion si scervella per capire chi sia, ma non ricorda di averla mai sentita. decide di continuare con le sue domande.

"Il posto più strano dove hai fatto l'amore".

"Ma ti paiono domande da fare! Comunque, sotto un palcoscenico".

Il pubblico mormora allusioni, divertito.

"Mh", ci pensa su, "In un oasi nell'Harad".

Galadhwen arrossisce violentemente, ma nessuno sembra notarla.

"Quando è stata l'ultima volta che lo hai fatto".

I due controllano l'orologio e rispondono in coro:

"Trentasei minuti fa".

Eglerion e Lancaeriel si guardano stupiti.

"Anche tu?!".

"E tu con chi eri?".

Lancaeriel si volta verso il presenatore, che tenta di allargarsi il colletto, visibilmente sudato.

"No! Io ero con Castiel!". I concorrenti ridono, mentre sia il presentatore che la sua ragazza arrossiscono in maniera vistosa. Meldarion tenta di ridarsi contegno e di continuare ad intervistare i due.

"C'era proprio bisogno di scoparsi la mia ragazza, Eglerion?"

"Beh, la mia attuale amante era un po' impegnata, e lei mi pareva un po' triste!". Ormai il pubblico sta sghignazzando senza contegno.

"Andiamo avanti, che è meglio. Gruppo o cantante preferito?".

"Orishas".

"Gli Squall" (omaggio ad Alagos... Hary, non ci posso far nulla, mi ha preso troppo quella tua fic! nda).

"Canzone preferita".

"Represent Cuba".

"November Rain".

"Ti sei mai fumato/a una canna?".

"Mai".

"Trentasette minuti fa".

Meldarion decide di sorvolare sulle allusioni fatte dal pubblico.

"Libro preferito".

"Il Signore degli Anelli".

"Il Silmarillion".

"Perché hai i capelli così lunghi".

"Ma che c-beeep di domanda è?".

"Perché sono uno Hippie". Eglerion svuota la bottiglia in un ultimo sorso e resta seduto sul palco con un sorriso ebete.

"Lancaeriel, cosa pensi di Eglerion".

"Che è un alcolizzato, continuando così il popolo si ribellerà e lo spodesterà, che non ha mai voglia di fare un cazzo e tocca a me fare tutto. Però a letto ci sa fare".

"Eglerion, cosa pensi di Lancaeriel".

"Che, nonostante mi dia un sacco di aiuto nella conduzione del regno, continua a tazzarmi l'anima per ogni minima questione. Però a letto è semplicemente fantastica".

Meldarion lo osserva mentre oscilla leggermente.

"Perché Eglerion sta oscillando".

"Perché è un deficiente e ha bevuto durante la trasmissione".

"A forza di... stare su una nave... " Eglerion si interrompe per voltare la testa da una parte e buttare fuori ciò che ha ingerito.

"Ci scusiamo per l'interruzione, ma cause di forza maggiore ci impediscono di continuare il nostro programma. Alla prossima puntata!" dice Meldarion, tentando di salvare la faccia al programma. Si volta e, insieme a Lancaeriel, trascina il corpo di Eglerion dietro le quinte. I "Velini" tentano di chiudere con lo stacchetto finale, ma scivolano sulla "produzione" del Re, cadendo in un'ammucchiata di corpi in calzamaglia. Il pubblico è a metà tra il divertito e lo schifato. I "Velini" provano a ricomporsi, inutilmente, mentre cala il sipario. Sullo sfondo rieccheggia la musichetta truzza dell'inizio. Ore 3:30 del mattino, l'autore ha finito di scrivere.

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Capitolo 5
*** Cap V Alastegiel Thalien e Tar Eglerion ***


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Cap V Alastegiel Thalien e Tar Eglerion

Gli occhi di Lancaeriel squadrarono la sconosciuta che affermava di chiamarsi Galadhwen. Non l’aveva mai vista, eppure conosceva Eglerion. Il quesito restò senza risposta, dentro di lei, mentre il suo capitano, nello stupore generale, abbracciava la conciliata.

- Eglerion… conoscevi già Lady Galadhwen?- domandò Rhavanwen.

- Sì. La conobbi anni fa, nell’Harad-.

Lancaeriel rise dentro di sé. Anche quella volta, aveva trovato una compagnia femminile. Si fece avanti.

- Sono felice di conoscervi, Lady Galadhwen. Io sono Lancaeriel, comandante in seconda della Ithil-.

- Piacere di conoscervi-.

Il gruppo si accomodò nella saletta, mentre Galadhwen ripeté loro i dettagli per il banchetto. Per tutta la conversazione Eglerion non le tolse gli occhi di dosso. E Lancaeriel non fu l’unica a notarlo.

Dopo che la mora ebbe finito di parlare, si alzò, dicendo di dover andare via. Ringraziò nuovamente Rhavanwen e li salutò.



- È lei! E’ lei quella che gli ha fatto perder la testa, un secolo fa!-.

- Che cosa intendi?-.

Gelirion e Lancaeriel si trovavano nella camera di lui, mentre Eglerion era impegnato a lavarsi.

- Un secolo fa eravamo impegnati in una scorreria sulla costa dell’Harad. Mentre stavamo inseguendo i nemici che avevano disertato, ci siamo trovati una tempesta di sabbia davanti. Eglerion è rimasto diviso dalla sua compagnia e si è trovato da solo. A quanto ci ha riferito, ha passato una settimana vagando nelle giungle Haradrim, seguendo il corso di un fiume che si getta nel mare a Nord. Lo avevamo notato in pochi, ma era cambiato, dopo quella solitudine. Spesso guardava a Sud con sguardo malinconico e cantava odi a Tinuviel e ad una fantomatica dama dai capelli corvini. A quanto pare, l’abbiamo incontrata oggi-.

- Intendi dire che la politica che abbiamo incontrato oggi è l’elfa di cui Eglerion si è innamorato un secolo fa?- domandò Gelirion, ancora incredulo.

- Sì- rispose laconica la bionda.

- C’è solo da sperare che non faccia cazzate- aggiunse, ripensando agli anni passati, in cui il Re passava da stati di tristezza profonda a malinconia in un batter d’occhio, si prendeva sbronze colossali e scriveva, scriveva e scriveva su un taccuino ormai semi-distrutto, con un’anatra sulla copertina.


***


- Mi potresti, per favore, ripetere cosa dobbiamo fare?-.

- Mollare gli ormeggi ed ancorare la nave al largo-.

- E potresti, per favore, spiegarmi perché?-.

- No-.

Tuarwaithion sospirò. Nel momento in cui egli era salito sulla Ithil, Meldarion glia aveva detto di dovergli parlare. Si erano chiusi nella camera che il cuoco divideva con il fratello e Stephane, in compagnia di quest’ultimo e Castiel.

Una volta dentro, Meldarion aveva detto loro che la Ithil correva un grande rischio, restando ormeggiata nel porto e che, secondo la sua opinione, sarebbe stato meglio portarla al largo al calar delle tenebre. Non aveva dato un motivo preciso per cui loro avrebbero dovuto agire in quel modo, aveva solo detto di aver un brutto presentimento e ciò doveva bastare.

Ora si trovava sulla tolda, in compagnia dell’elfo, che si ostinava a non volergli dire nulla.

- Mettiamola così: se la Ithil resta nel porto, questa notte potremo fare conoscenza con le persone più spregevoli della città. Ora sta a te credermi o meno, fidarti di me o no. In caso Eglerion se la prenda, mi assumerò la totale responsabilità. Se proprio non vuoi muovere la Ithil, allora consiglio di far armare l’equipaggio, perché c’è la possibilità di una battaglia-.

- Scendiamo ad un compromesso. Lasciamo degli arcieri di guardia sul ponte, questa notte, e portiamo la nave un po’ più al largo, ma comunque non troppo-. Meldarion annuì.

- Come vuoi. Vado a radunare gli arcieri-.

- C’è solo un problema: chi farà da timoniere?-.

Meldarion sorrise.

- Io un’idea ce l’avrei-.


***


Quando Daeron rientrò in casa, restò piacevolmente sorpreso dalla notizia della visita di Galadhwen. Mentre gli ospiti si preparavano, egli prese da parte Rhavanwen.

- Questa cena è molto importante, quindi ti chiedo di restare in silenzio durante la maggior parte delle discussioni. Non voglio che, a causa nostra, l’Ithilien si trovi a dover combattere Manwetol-.

Rhavanwen represse il desiderio di rispondergli male e assentì, silente.

- Bene- disse Daeron, con un veloce sorriso.

Quando se ne fu andato, Rhavanwen si concesse di sorridere a sua volta. Le parole del fratello erano andate insieme ad Eru. Avrebbe sicuramente preso parola anche lei, poiché conosceva già i piani dei Noldor.


***


- Non se ne parla neanche!- esclamò Castiel.

- Sei l’unica che ha le capacità di governare la nave, ora. Non c’è nessun altro a cui possiamo affidarci- disse Meldarion. Stava tentando in tutti i modi di convincere l’elfa a far da timoniere.

- Un conto è provare in mare aperto. Un altro è governare una nave da cento piedi in un porto-.

- Dobbiamo solo arrivare ad un miglio dal molo. Non ci vorrà nulla- rincarò la dose il cuoco, anch’egli presente.

- Ma se non c’è un alito di vento!-.

- Per questo esistono i remi-.

Ella sospirò, sconfitta.

- Se la nave cola a picco, la colpa è vostra. Io andrò a rifugiarmi tra i Rohirrim-.

- Accordato- disse Meldarion, per terminare il discorso.



- Siano dannati tutti gli Ainur, cazzo!-.

La nave avanzava lentamente, nelle acque calme dell’Anduin, mentre Castiel faceva uscire dalla sua bocca volgarità degne di Eglerion.

- Castiel!- disse Meldarion, che le era accanto.

Il resto della ciurma remava con foga, a coppie sui grandi remi che uscivano dalle fiancate della nave. Come un’antica trireme greca, la Ithil raggiunse la meta prefissata.

- Meldarion! Gli arcieri sono pronti!- gridò Tuarwaithion, dal castello di prua.

- Perfetto! Hai fatto riempire d’acqua i secchi?- urlò, di rimando. La risposta fu affermativa e Meldarion si dichiarò soddisfatto.

Ora c’era solo da aspettare l’attacco che aveva previsto.

 

***

 

Esattamente un’ora dopo, i due Noldor, i fratelli Glirdir e Gelirion stavano camminando verso la reggia.

L’entrata era presidiata da due guardie, vestite con cotte di maglia e tuniche verde e oro. In una mano tenevano una lunga lancia, mentre con l’altra reggevano uno scudo che portava lo stemma di Minas Duin, una stella a cinque punte sormontata da due rami d’alloro.

I cinque ospiti entrarono e furono scortati da un altro elfo, vestito anche lui con un’armatura, dentro la sala del banchetto.



La stanza era molto ampia. Nel centro vi era un lungo tavolo, con quattro seggi da ogni lato. Due delle sedie erano state rialzate rispetto alle altre e poste l’una di fronte all’altra. Vicino ad uno dei capi della tavola stava un gran camino, dove un fuoco ardeva, mentre all’altra estremità, erano appoggiati dei cuscini.

Ad accoglierli c’erano Galadhwen, vestita in un lungo abito rosso scuro, ed un elfo castano, dai capelli corti, che si presentò come Megildur.

Essi li fecero accomodare al tavolo. Eglerion fu fatto sedere sul seggio rialzato sul lato sinistro del tavolo. Alla sua destra sedeva Lancaeriel, mentre dall’alto lato stava Gelirion. Accanto al comandante in seconda, sedeva Rhavanwen. Di fronte ad ella stava il fratello.

Di fronte ad Eglerion stava l’altro seggio d’onore, riservato alla Regina. Galadhwen prese posto di fronte a Gelirion e Megildur sedé accanto a Daeron.

Dopo qualche minuto la regina arrivò. I commensali si alzarono in segno di rispetto ed attesero che ella prendesse posto tra i due conciliati.

Quando anche Alastegiel si fu sistemata, Eglerion parlò.

- Sono onorato di potervi incontrare, somma Thalien-.

- Sono onorata di ricevervi, Tar Eglerion- rispose ella, utilizzando il Prefisso Tar , cioè "Re" . Eglerion non diede segno di stupore, udendo che ella sapeva che egli era Re, al momento. Daeron invece rimase senza parole.

- Vi ringrazio per il vostro invito, mia signora. Spero che, dopo aver assaggiato le pietanze che voi ci proporrete, potremmo parlare. C’è una questione che desidererei portare alla vostra attenzione-.

- Sarò felice di ascoltarvi, ma dopo che avremmo terminato il nostro pasto- rispose ella, sorridendo. Un sorriso gentile ed accogliente. Sembrava essere molto felice di vederli, nonostante Eglerion non sapesse dire come mai.

I camerieri portarono i vassoi con le pietanze e servirono i convitati, che gustarono una cena a base di carne, verdure fresche e un dolce proveniente da una pianta Haradrim detta "cacao".



Quando anche l’ultimo dei convitati ebbe finito di mangiare, la Regina porse ad Eglerion un Cìatus, cioè un calice molto capiente, per adempiere al rito della Commissatio. Verso del vino nel calice del Re e nel proprio, dopodiché brindò con lui e bevve il bianco assaporando ogni sorso.

A turno, tutti i presenti brindarono con colui, o colei, che gli o le stava davanti.

Dopo che anche la Commissatio fu eseguita, entrò dalla porta un vecchio dalla barba canuta. Egli prese posto sui cuscini disposti alla fine del tavolo, portando con se uno strumento musicale di legno. Era formato da una semisfera di legno, bucata nel mezzo, e da una tavola lunga e stretta. Alla fine della tavola erano attaccate cinque corde, che correvano fino all’estremità della semisfera. Dopo che ebbe pizzicato le corde un paio di volte, per saggiarne il suono, il bardo parlò.

- Buonasera, gentili signori e graziose signore, permettetemi di intrattenere la vostra serata-.

- Buonasera a te, o Merilairon. Quale storia intendi narrarci, questa sera?-.

- Una storia che risale ai tempi dell’inizio della quarta Era, quando Elessar era il Re e la razza degli uomini prosperava. La storia di Zahal Laurevorn e di Zefiro Luinsul, alla ricerca del tesoro di Aule, l’Harma Ondo- disse in tono solenne.

Il menestrello cominciò a suonare il suo strumento e a cantare con voce profonda la vicenda dell’uomo e l’elfo alla ricerca del tesoro insieme ai loro vari compagni di viaggio.

Passò un’ora, mentre egli narrava e i commensali ascoltavano, rapiti dalle sue parole, finché la storia non raggiunse il suo epilogo.

- Poiché solo questo poco tempo mi è stato concesso, vi narrerò in un altro momento la seconda avventura dei protagonisti- disse Merilairon, dopo aver cantato l’ultimo verso.

- Ti ringraziamo, Merilairon- disse la Regina, alzandosi e congedando l’aedo.

Il resto degli invitati si alzò a sua volta e, tutti quanti, si diressero in una stanza adiacente.



- Questa è la sala dello stato maggiore- esordì Alastegiel. Il gruppo prese posto sulle sedie disposte intorno ad una tavola circolare.

- Molto bene- rispose Eglerion.

La Regina silvana aprì sul tavolo un’ampia carta dell’attuale Terra di Mezzo. Era molto dettagliata per quanto concerneva Rohan e l’Ithilien, ma molte zone erano appena accennate, come le regioni oltre i Valli o le terre al di là dell’Anduin. La costa dell’Harad era rappresentata da una lunga macchia verde, la foresta pluviale che ricopriva il litorale Ovest, mentre Manwetol e Pinnath Gelin erano dipinti in maniera molto vaga. Era ora di riallacciare i rapporti tra le due razze sorelle.

- La parola a voi, Eglerion-.

- Grazie. I motivi della nostra visita sono molti, il più importante di tutti è la richiesta di alleanza.

Come avrete notato anche voi, Nuova Numenor sta tentando di espandersi oltre i confini attuali-. Indicò sulla carta la zona a sud dell’Ithilien, oltre il Vallo di Isildur.

- Temiamo che i Numenoreani stiano tentando di espandersi tramite i possedimenti a Sud dell’Ithilien fino ad arrivare qui-. Detto ciò, indicò un altro punto della carta, la punta più a sud-ovest di tutte le terre conosciute.

- Le Falas ed il Mithlond-.

- Le Falas sono una leggenda- intervenne Megildur, con tono acido. Non gli andava giù che la Regina desse credito alle parole di un Noldo piovuto dal cielo, piuttosto che a quelle di più della metà del concilio.

- Voi come potete saperlo?- disse Rhavanwen. Il silenzio calò sulla sala, mentre i due Noldor si scambiavano un fugace sorriso.

- Come potete saperlo?- ripeté, non udendo alcuna risposta.

- Avete forse viaggiato fino alle Terre Selvagge e avete trovato solo rovine e desolazione?-.

Megildur la fissò, immobile come una statua.

- Vi ringrazio per il sostegno, Lady Glirdir- disse Eglerion, rompendo il silenzio.

- Ritornando ai motivi della nostra visita, siamo venuti qua da Manwetol per stringere un’alleanza con il vostro popolo, contro la minaccia di Nuova Numenor e con una richiesta-.

- Che richiesta?- domandò Galadhwen, precedendo la Regina.

- Tre rappresentanti dell’Ithilien disposti ad imbarcarsi sulla Ithil, la nave ancorata in questo momento al porto, per allargare tale alleanza agli abitanti del Mithlond. Sì, credo nell’esistenza di tale Regno- aggiunse, aspettandosi un altro intervento caustico da parte di Megildur.

- Io sarei disposta ad accogliere con piacere tale richiesta, ma non posso. Domani indirò una seduta del concilio e presenterò entrambe le proposte. Ovviamente siete invitati anche voi- disse Alastegiel.

- Vi ringraziamo, Somma Thalien-.

- Se esse verranno accettate, sceglieremo tre esponenti del popolo di Minas Duin. Avete già qualche idea su chi sarebbe utile ai fini della missione che intendete portare a termine?- domandò la Regina.

- Non saprei. Sicuramente un vostro rappresentante, un politico abile, che possa darci manforte quando esporremo le nostre opinioni ai Signori del Mithlond-.

- Bene. Domani chiederò se ci siano conciliati disposti ad imbarcarsi con voi- disse con un sorriso.

- Direi che possiamo chiudere qui la riunione. In caso non siate presenti alla seduta, invito voi tre ad una cena informale, domani sera- disse Alastegiel.

- Ne saremmo onorati- disse Eglerion.



Si alzarono dai loro seggi e Galadhwen e Megildur li scortarono nuovamente nella sala dove avevano cenato. Lì s’inchinarono nuovamente di fronte alla Regina e furono congedati. Stavano per uscire dalla porta quando un suono di campane lontane ruppe il silenzio della notte.

Un elfo entrò nella stanza, trafelato e, dopo essersi inginocchiato, parlò:

- Mia signora, al porto!-.

La Regina diede una veloce occhiata ai Noldor, che ricambiarono confusi. Insieme uscirono e videro ciò che stava succedendo.

 

Ed ecco finalmente il tanto sospirato incontro.
Innanzitutto, grazie ad Hareth, che mi ha dato il permesso per citare la sua fanfiction "Harma Ondo". Potete trovarla in questa sezione del sito, se vi

piace questa fiction, o l'AU in generale, vi piacerà.
Dopo questo, un grazie ad Elfa per la recensione. Certo che farò uno schema dei personaggi (lo trovi più in fondo). un unica nota che ti faccio è

farti notare che ho un cromosoma Y, quindi, per favore, non dirmi "Ciao bella" ad inizio recensione =P.
Colpa anche mia che dovevo fartelo notare nell'altro capitolo...
Grazie poi a Silvì, che anche se non ha recensito so che tenta di leggere (ma, tra me che ti faccio i discorsi su Uppsala, i tuoi studi e l'ispirazione

per le tue fic ti capisco).
Ed ora, per la gioia di Elfa, e per quella di tutti coloro che si son persi tra i vari personaggi, ecco per voi un breve riassunto.

Nome: Tar Eglerion
Capelli: Biondi
Occhi: Blu
Occupazione: Capitano della Ithil e Re di Manwetol
Razza: Noldo
Note: Etilista militante, amante di Lancaeriel
Nome tradotto: Può esser sia Sebastian che Jude

Nome. Lancaeriel
Capelli: Biondi
Occhi: Grigio-verde-blu (non si capisce)
Occupazione: Comandante in seconda della Ithil, Bubbetz (Factotum) delle questioni politiche di Manwetol, "coscienza" di Eglerion
Razza: Noldo
Note: Amante di Eglerion
Nome tradotto. Morgana

Nome: Rhavanwen Glirdir
Capelli: Biondi
Occhi: VERDI
Occupazione: Sentinella dell'esercito dell'Ithilien
Razza. Sindar
Note: di famiglia nobile, ha una ciocca rasta che simboleggia il suo casato, i Glirdir (Letteralmente, "bardo").
Nome tradotto: Selvaggia (o Yrsa)

Nome: Meldarion Corch
Capelli: Neri
Occhi: Scuri, o azzurro chiaro (colo husky, per capirsi)
Occupazione: Comandante della guarnigione di stanza sulla Ithil
Razza: Noldo
Note: Tabagista militante, amico di Eglerion fin dalle prime battaglie, gode di grande stima da parte del Re, perseguitato da visioni di disgrazie, da

qui il nome Corch, "corvo", fidanzato con Castiel
Nome tradotto: Davide

Nome: Castiel
Capelli: Castani/Neri
Occhi: Bruni
Occupazione: Cartografa della Ithil e schermagliatrice/cacciatrice
Razza: Noldo
Note: Fidanzata di Meldarion, fumatrice di erbe stupefacenti, una delle poche a saper governare la Ithil
Nome tradotto: Agnese

Nome: Gelirion
Capelli: Biondi
Occhi: Grigi
Occupazione: Nocchiero della Ithil e diplomatico
Razza: Umano
Note: Fratello di Tuarwaithion, uno dei pochi membri razionali dell'equipaggio
Nome tradotto: Letteralmente sarebbe "Felice", quindi Joy

Nome: Tuarwaithion
Capelli: Neri
Occhi: Scuri
Occupazione: Capo-cuoco della Ithil
Razza: Umano
Note: Fratello di Gelirion, spesso incline alla risata
Nome tradotto: Nicola

Nome: Stephane
Capelli: Rossi
Occhi: Azzurri
Occupazione: Milite appartenente alla guarnigione della Ithil, schermagliatore/cacciatore
Razza: Umano (Rohirrim)
Note: Fumatore di Falchonlass
Nome tradotto: Stephane =P resta così...

Nome: Alastegiel Thalien
Capelli: a cespuglio, biondo scuro
Occhi: verdi/nocciola
Occupazione: Regina dell'Ithilien
Razza: Sindar
Note: L'aggettivo Thalien, con cui i sudditi si rivolgono a lei, le fu dato dopo la battaglia al Vallo di Isildur e significa "L'intrepida"
Nome tradotto: Beatrice ("portatrice di gioia")

Nome: Galadhwen
Capelli: Neri
Occhi: Castani
Occupazione: Politica
Razza: Sindar
Note: Fumatrice di Falchonlass, conobbe Eglerion nell'Harad, quando entrambi si trovarono separati dai loro gruppi. Amata da Eglerion, che

continuò a pensarla per lunghi anni, finché non si rassegnò.
Nome tradotto: Laura (come quella petrarchesca, bella ed irraggiungibile)

Nome Daeron Glirdir
Capelli: Biondi
Occhi: Bruni
Occupazione: N/A (non ci ho ancora pensato, si accettano suggerimenti)
Razza. Sindar
Note: Fratello di Rhavanwen, ha una preoccupazione maniacale per tenere in piedi le apparenze
Nome tradotto: Magnus

Nome: Rilien
Capelli: Argentati
Occhi: Chiari (a voi la scelta del colore)
Occupazione: Maggiordomo della casa dei Glirdir da anni ormai
Razza: Sindar
Nome tradotto: Clarence ("Luminoso", poiché egli ha visto la catastrofe con i suoi occhi)

Nome: Megildur
Capelli: Castani
Occhi: Azzurro ghiaccio
Occupazione: politico
Razza: Sindar
Note: non condivide affatto la politica della Regina
Nome tradotto: Brandon

 

 

 

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Capitolo 6
*** Cap VI The Long Night ***


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Cap VI The Long Night

- Dartho!-.

La fila d’arcieri tese gli archi.

- Leithio i phillin!-.

La salva di frecce s’innalzò in cielo, compiendo una parabola e ricadendo sulle banchine. Gli attaccanti si rifugiarono sotto gli scudi.

Tuarwaithion correva da una parte all’altra della Ithil, gridando ordini, mentre Meldarion sorvegliava le botti d’acqua e i sacchi di sabbia, pronto a radunare gente per spegnere eventuali incendi.

L’attacco era venuto, precisamente quando se lo aspettavano.

Per tutto il pomeriggio avevano visto gruppi di persone radunarsi sulle banchine, osservare la Ithil e fare avanti e indietro tra i moli e la città.

Poi, non appena la luce aveva cominciato a calare, i primi dardi avevano cominciato a fischiare, cadendo in acqua a pochi metri dalla nave. Non erano elfi, ma mercenari.

- Tangado a chadad!- gridò il cuoco, improvvisato generale.

La linea d’elfi e uomini sulla murata del veliero continuò a scoccare le frecce, colpendo alcuni degli uomini.

Videro alcuni di loro montare su delle barche a remi e cominciare ad avanzare verso di loro, coperti dal fuoco nemico.

- Leithio! Salpate l’ancora, Castiel, al timone!-.

Meldarion si unì agli arcieri, portando con se un piccolo recipiente di latta.

- Pronti con le frecce incendiarie- ordinò. Intinse le punte di un fascio di frecce dentro la sostanza e le incendiò con un fiammifero. Poi le distribuì velocemente alla linea. Gli arcieri ripresero a tirare, incendiando così due delle imbarcazioni nemiche.

Le barche avevano già compiuto un quarto del miglio, quando finalmente la nave fu pronta a muoversi.

- Non possiamo usare le vele, le renderebbero inutili in pochi secondi. Ci servono i remi- gridò la cartografa, dalla poppa. Tuarwaithion annuì e chiamo alcune delle persone che non erano impegnate a tirare contro le barche che si stavano avvicinando.

In pochi com’erano, però, non esercitavano una forza sufficiente a muovere la nave.

Il cuoco corse velocemente verso il ponte.

- Ci servono altre persone!-.

Vide gli elfi gettare gli archi in terra e sguainare le lame elfiche. Meldarion in testa a loro, con una spada in ogni mano. Tornò velocemente sottocoperta, incitando i rematori a seguirlo.

 

- Proteggete Castiel!- disse Meldarion, a due degli elfi più vicini alla poppa.

Gli uomini continuarono a tirare sulle barche in continuo avvicinamento. Oramai mancavano sì e no duecento metri.

Improvvisamente, un colpo partito dalla nave divelse una delle barche, uccidendo la maggior parte dei suoi occupanti e lasciando gli altri in mare.

Le baliste! Tuarwaithion deve aver ordinato ai rematori di utilizzarle!

Le baliste continuarono a far fuoco, insieme con alcuni membri dell’equipaggio, mentre gli elfi si preparavano a respingere l’imminente abbordaggio.

Una delle barche riuscì a farsi strada attraverso il fuoco di sbarramento dei difensori, arrivando pericolosamente vicina alla Ithil.

- Fatemi spazio!- gridò Stephane. Era ancora a torso nudo, da quel pomeriggio, e teneva una gigantesca spada a due mani. Corse dalla balaustra di babordo fino a quella di tribordo, il fianco assediato, fece leva sul parapetto stesso e saltò verso la barca più vicina, atterrando con i piedi sull’uomo più vicino alla prua e cominciando a mulinare lo spadone, spaccando scudi, armature, crani e costole.

La nave, nel mentre, aveva preso a muoversi impercettibilmente, grazie ad una leggera corrente poco lontana dalla costa, la stessa che avevano sfruttato in quei giorni.

Castiel cominciò a girare il timone, facendo così virare la nave e posizionandola al centro della corrente. In poco tempo distanziarono le barche dei mercenari e si trovarono lontani abbastanza da poter spiegare le vele.

Con l’ausilio delle vele superarono velocemente la città e ancorarono la nave poco più a Sud. Dopodiché, Stephane, che, nel frattempo, era risalito sulla Ithil, e Tuarwaithion presero una delle scialuppe e remarono fino a terra, per andare a cercare Eglerion ed il resto della delegazione.

 

***

 

- Mardion, li abbiamo persi!-.

- Dannati siano i Valar!- imprecò l’uomo. Egli era alto, aveva i capelli neri e la carnagione chiara. Sarebbe potuto sembrare attraente se non fosse stato per lo sfregio che gli correva attraverso la parte destra del viso. Portava una benda a coprire l’occhio destro, probabilmente reso inutile dalla stessa lama che aveva causato la cicatrice. Era vestito di una semplice tunica, che copriva però una cotta di maglia finemente lavorata.

Si rivolse al suo accolito.

- Prendi alcuni uomini e inseguili. La taglia sulla loro testa è troppo grande perché noi possiamo permetterci di perderla-.

- Come faremo con gli elfi del luogo? Sicuramente si saranno accorti che qualcosa è successo-.

- Oh, ma è ciò che voglio. In caso non abbiano sentito nulla, darò loro un grande aiuto-.

L’uomo di rango inferiore si voltò e chiamò a sé un paio di altri. Insieme salirono su una delle barche rimaste e si misero a remare, verso il punto in cui la Ithil era scomparsa.

Mardion si avvicinò ad un altro dei suoi sottoposti, che reggeva una fiaccola. Prese la torcia dalla sua mano e mandò verso il bosco il resto dei suoi. Poi cominciò ad appiccare fuoco alle navi ed alle barche rimaste, una ad una.

***

L’acre odore di fumo colpì le narici di Revion. Fuoco. Si chiese come mai nessuno avesse ancora suonato le campane dell’allarme. Si alzò dalla sedia, prendendo la lancia, ed uscì sulla cinta muraria. Era di guardia alle porte del secondo cerchio. Da là riusciva a vedere con chiarezza l’Anduin, ma solo uno scorcio del porto. Corse lungo il muro, diretto verso la torre più a Nord rispetto a quella dov’era lui. Le due sentinelle giacevano in terra, sgozzate. Chi poteva essere stato?

Guardò fuori della finestra e davanti ai suoi occhi si presentò la causa del fumo: il porto era totalmente immerso nelle fiamme. Salì al piano superiore della torre ed incendiò il segnale. In pochi secondi anche dalla torre gemella a quella dove stava, si accese un lume. Presto tutte le torri con occupate avevano i segnali accesi. Presto udì anche le campane suonare, in lontananza. Non ci pensò due volte. Scese ed uscì dalla torre, correndo su per la strada, diretto al Caw.

Arrivò il più veloce possibile, entrò nella reggia senza dire una parola alle due guardie fuori delle porte ed irruppe dentro la stanza del banchetto, trovandosi davanti la Regina insieme a due dei conciliati, due Sindar dall’aria nobile e tre sconosciuti. Uno di loro emanava un’aura di regalità che non aveva mai sentito in nessuno di coloro che aveva conosciuto, se non in Re Alyan. Doveva sicuramente far parte dei Noldor che erano arrivati la sera prima in città.

Revion s’inginocchiò e parlò: - Mia signora, al porto!-.

La Regina lanciò un’occhiata ai Noldor e fece loro cenno di seguirla.

***

- Fermi! Nessuno può entrare dopo il tramonto!-.

- Dobbiamo entrare, è una questione importante!-.

- Mi dispiace, dovrete attendere domani mattina. Ora abbiamo abbastanza problemi con l’incendio al porto per poter ascoltare due forestieri-.

Tuarwaithion e Stephane si scambiarono due occhiate gravi. Si trovavano fuori dei cancelli principali di Minas Duin. Le guardie non volevano farli entrare.

- Fateci entrare e vi aiuteremo. Vi assicuro che non tenteremo di scappare. Potete assegnare ad una guardia il compito di sorvegliarci e lasciare le nostre armi a voi- disse Stephane.

Una delle due guardie rimase pensierosa un momento, considerando la proposta dell’uomo.

- E sia. Ma sappiate che verrete uccisi, se tenterete la fuga-.

- E sia-.

I cancelli si aprirono lentamente. I due entrarono, trovando le due guardie ad attenderli. Le guardie puntarono le lance alle gole dei due, intimando loro di lasciare ogni arma. Stephane estrasse la spada dal fodero, che teneva sulla schiena, dandola ai soldati, per poi estrarre un pugnale dallo stivale destro. Si era messo indosso un paio d’indumenti in più durante il tragitto fino alla spiaggia.

- Conservatele con cura- disse. Tuarwaithion, nel mentre, aveva estratto anch’egli la lama elfica dalla guaina e l’aveva messa in mano ad una guardia, per poi consegnargli due coppie di pugnali da lancio.

Le due guardie rimasero esterrefatte, vedendo la fattura elfica di tali armi.

- Ma…-.

- Sì, sono strumenti molto buoni. Ora per favore, consegnateci a qualcuno e mandateci a quel dannato porto- disse Tuarwaithion, che ancora non aveva capito perché Stephane fosse sceso a tale compromesso.

Mentre stavano camminando verso il porto, sotto l’occhio vigile di una delle due guardie, che disse di chiamarsi Sadron, glielo chiese, parlando in uno stretto dialetto Rohirrim.

- Intendi dirmi che piani hai?-.

- Nessuno. Ho solo pensato che se la notizia raggiungerà la Regina, anche Eglerion lo saprà. E se Eglerion lo saprà, di sicuro vorrà andare al porto, per due motivi-.

- Controllare le condizioni della Ithil e…-.

- Mostrare ai Sindar, ed alla sua bella, che tiene a questa città come fosse sotto il suo dominio. Sono sicuro che, se lo troveremo là, si starà dando da fare per aiutare gli altri a spegnere l’incendio-.

- Capisco- disse il cuoco, soddisfatto dalle spiegazioni del rosso.

Sadron li guardò, sospettoso. Del discorso aveva capito che tale Eglerion doveva far qualcosa con la Luna e con i Sindar. Si ripromise d’imparare al più presto anche il Rohirric.

 

***

 

Eglerion ed Alastegiel furono i primi ad uscire dalla reggia. Il fumo colpì subito i loro polmoni, mentre le campane d’allarme continuavano a suonare.

- Mia Signora, devo chiedervi il permesso di recarmi al porto. La mia nave, insieme con i miei uomini, si trova là. Non mi potrei mai perdonare che qualcuno di loro perisca mentre io sono qui- disse Eglerion, rivolto alla Regina.

- Andiamo, verrò con voi-.

Lancaeriel, Gelirion, Daeron e Rhavanwen si accodarono ai due sovrani, mentre Galadhwen e Megildur  andavano a chiamare il resto del concilio.

Velocemente il gruppo arrivò al porto, dove trovarono molti elfi e uomini che tentavano di domare le fiamme.

Si stupirono quando notarono la mancanza della Ithil.

- Eglerion!-.

Il Re si voltò, sentendo il suo nome. Si stupì non poco quando vide Stephane e Tuarwaithion, entrambi sporchi di fuliggine, che gesticolavano verso di lui.

Si avvicinò a loro, mentre gli altri si davano da fare per dare una mano, compresa la Regina stessa.

- A dopo le spiegazioni- disse concisamente Eglerion.

I tre ripresero a lavorare con foga.

 

Quando, finalmente, riuscirono a domare l’incendio, il Re si avvicinò ai due uomini, che gli raccontarono dell’attacco alla Ithil e della fuga.

- Non avete la più pallida idea di chi potessero essere?- domandò Eglerion, quando essi ebbero finito di parlare.

- Di certo non elfi, altrimenti non penso saremmo qui per raccontarlo. Probabilmente si trattava di mercenari. Avremmo dovuto catturarne uno o due per interrogarli-.

- Avreste…- fece loro eco una voce alle loro spalle.

Il gruppo si voltò, cercando la provenienza della voce. Apparteneva ad uno sconosciuto, che al momento era appoggiato ad una delle bitte. L’uomo era alto ed aveva uno sfregio lungo la guancia destra, che si prolungava sopra e sotto l’occhio, coperto da una benda.

- Mi permettiate, mia signora. Io ho assistito a ciò che è successo qui, stanotte-.

- Come ti chiami, mortale?- chiese Alastegiel.

- Il mio nome è Mardion. Vi potete fidare di me, mia Regina, a differenza di quanto fate con questi stranieri- disse egli. I due Noldor e i tre uomini lo guardarono male. Daeron e Rhavanwen fissarono l’uomo e poi parlarono.

- Come puoi dire queste cose?- disse Rhavanwen.

- Eglerion e i suoi compagni sono persone affidabili- rincarò la dose Daeron, nascondendo il titolo di Eglerion.

- Allora ditemi, come mai, di tutte le navi, solo la loro è fuggita?-.

- Siamo stati attaccati, la cosa più logica da fare era fuggire!- esclamò Tuarwaithion.

- Silenzio! Seguitemi, dobbiamo parlare in privato-.

Il gruppo si avviò verso i cancelli del porto, quando una voce li chiamò.

- Fermatevi!-.

Si voltarono e videro chi aveva parlato.

 

La creatura era alta sì e no quattro piedi e mezzo. Aveva una lunga barba castana, che gli copriva la maggior parte del petto e in cui erano intrecciati dei pendagli di legno. Indossava un lungo tabarro color sabbia, sotto il quale stava una cotta di maglia, e sul capo era posato un elmo metallico. Al suo fianco pendeva un’ascia, mentre in spalla portava uno zaino dall’aria pesante.

Stavano guardando un nano.

Egli si avvicinò al gruppo, si fermò di fronte Alastegiel ed abbozzò un inchino.

- Somma Regina, vi prego di ascoltare anche le mie parole, prima di giudicare la faccenda- disse.

Alastegiel rimase interdetta. Un nano era l’ultima cosa che si aspettava di vedere, quella sera. Manca solo che si presenti Morgoth, insieme al redivivo Finrod Felagund e ad Elu Thingol, si disse la Regina.

- Ditemi, messer nano, il vostro nome e il motivo della vostra presenza, poi deciderò se ascoltarvi o meno-.

- Il mio nome è Burin, figlio Bornin. Mi trovo in queste belle lande per via del mio mestiere: sono un commerciante. Ero imbarcato su una delle navi Rohirrim che sono bruciate. Siamo arrivati questo pomeriggio e i proprietari hanno deciso di scendere a terra, per vedere com’era la situazione in città e passare ad una locanda. Io ho declinato il loro invito poiché avevo alzato un po’ troppo il gomito già ieri sera e non volevo bissare l’esperienza questa notte-.

- Io direi che è stato abbastanza esauriente, Somma Thalien- disse Eglerion.

- Sono d’accordo. Potete seguirci, mastro Burin-.

 

Giunsero finalmente dentro la città e seguirono la Regina fino ad una casa nel primo cerchio.

- Questa fu una delle prime case di Minas Duin. Vi prego di portar rispetto e di far attenzione-.

Si sederono intorno ad una lunga tavolata, come avevano fatto poche ore prima al banchetto ed attesero che Alastegiel prendesse parola. Guardò per primi Tuarwaithion e Stephane.

- Voi due affermate che la vostra nave sia stata attaccata da una banda di mercenari, se non sbaglio-.

Essi confermarono.

- E voi, mastro Burin, confermate la loro versione-.

- Sì, mia signora-.

Ella si voltò, guardando Mardion.

- Quale sarebbe, invece, la vostra versione dei fatti?- domandò.

- Mi trovavo su una delle navi andate distrutte, come il nostro amico nano…-.

- Non chiamarmi “amico”- disse Burin, acido. Mardion lo ignorò.

- Sono stato svegliato dall’odore del fumo. Sono uscito a vedere che cosa stessa succedendo ed ho visto la loro nave dirigersi fuori del porto, mentre degli arcieri sopra di essa scoccavano frecce incendiarie sulle altre imbarcazioni-.

- Questa è una calunnia!- esclamò Stephane, facendo sussultare gli altri. Solitamente era una delle persone più calme, quando si trattava di discutere.

- Tentiamo di guardare alla cosa con logica. Secondo voi, se noi siamo fuggiti, perché Stephane ed io saremmo tornati in città, litigando con le sentinelle, ed avremmo aiutato a spegnere l’incendio al porto?- domandò Tuarwaithion.

- Molto semplice: per aiutare i vostri amici ancora in città- rispose Mardion.

- Queste sono…- cominciò il nano.

- Silenzio. Io non posso sapere chi di voi sta dicendo il vero. Che il concilio decida la vostra sorte. Nessuno di noi si muoverà da questa stanza fino a domani mattina, eccetto Rhavanwen, che ora andrà ad informare Megildur e Galadhwen. Dopodiché tornerà qui. Sono stata chiara?-.

In risposta ricevette un mormorio d’assenso.

Rhavanwen si alzò, si diresse verso la porta ed uscì dalla casa, mentre gli altri rimasero seduti.

 

Lancaeriel continuava a spostare lo sguardo dal nano a Mardion. Del secondo, ovviamente, non si fidava, ma si chiedeva quale fosse il proposito di Burin.

Eglerion, dal canto suo, era felice di aver trovato un nuovo alleato. A Morgoth le divergenze razziali, era sicuro che quel nano non potesse avere cattive intenzioni. O, almeno, non nei suoi confronti. Si sorrise, pensando che avrebbe potuto sfidarlo in una gara in osteria, una volta discussa la loro situazione.

Alastegiel si rilassò sulla sedia. Sarebbe finita bene, ne era sicura. Nonostante tutto, era la parola di un uomo contro quella di un intero equipaggio e di un testimone imparziale. Il concilio sarebbe stato dalla sua parte, non c’erano capri espiatori.

Stephane, seduto il più lontano possibile da Mardion, continuava a lanciargli occhiatacce. Quell’uomo aveva tentato di ucciderli tutti, quindi lo riempiva d’ira non poter agire avendolo a pochi metri di distanza. Non sarebbe servita nessun’arma. Gli sarebbe bastato un colpo ben assestato, tra capo e collo, e Mardion non avrebbe più potuto calunniare nessuno.

 

- Man mathach?- gli chiese Gelirion, vedendolo turbato.

- Rachol-. Imprecante. Gelirion rise, mentre Alastegiel li guardava, incuriosita. Non si aspettava che due uomini dell’equipaggio parlassero Sindarin.

Daeron osservò i due. La risata di Gelirion gli pareva fuori luogo, ma evitò di fare commenti. Doveva ancora fare i conti con sua sorella. 

Egli era rimasto letteralmente senza parole, sentendola contraddire Megildur. C’era solo da sperare che il politico non se la fosse presa troppo.

Dopo quelle che parvero ore, sentirono bussare alla porta. Rhavanwen rientrò nella stanza, seguita dai due conciliati.

Essi si scambiarono uno sguardo, vedendo Mardion ed il nano, poi Megildur parlò.

- Abbiamo informato il concilio della situazione. Nonostante la maggior parte dia la colpa agli stessi Noldor, siamo riusciti a convincerli ad ascoltare le loro testimonianze. È stata indetta una seduta per domattina, durante la quale potrà prendere parola chiunque ha assistito-.

- Vi ringrazio. Siete liberi di andare- disse la Regina.

I due si scambiarono un’altra occhiata.

- Se permettete, preferiremmo restare- disse la mora.

- Come volete- disse Alastegiel, abbozzando un sorriso.

In quel momento, i tre uomini e il Capitano s’alzarono, lasciando il posto libero ad uno dei due elfi. Galadhwen si sedé al posto di Tuarwaithion, mentre Megildur rimase in piedi, al fianco di Galadhwen.

Son tutti molto galanti, su quella nave, si disse Rhavanwen, che aveva avuto occasione di notare la gentilezza degli uomini dell’equipaggio nei confronti dei membri femminili anche a bordo.

Tuarwaithion osservò il conciliato. Sentiva una tacita ostilità da parte di quell’elfo, nei confronti di Eglerion e del resto dell’equipaggio, che si mostrava nelle azioni. Infatti, gli era stato raccontato dal fratello e dai due Noldor della sua ostilità durante l’udienza. Anche i quel momento, spostava lo sguardo freddo da Eglerion a Mardion. Probabilmente, non si fidava di nessuno dei due. Decise di sorprenderlo.

- Non ci siamo ancora presentati- disse, guardando Megildur.

Si fece avanti e tese la mano.

- Sono Tuarwaithion, cuoco di bordo della Ithil, onorato di conoscervi-.

Megildur rimase interdetto. Non si aspettava una tale azione.

- Piacere di incontrarvi. Io sono Megildur, faccio parte del concilio dell’Ithilien- disse, stringendo la mano al cuoco.

- Direi che delle presentazioni sarebbero di rito- interloquì la Regina.

- Mi scuso per la scortesia. Io sono Alastegiel, Regina dell’Ithilien- disse, rivolta ai due uomini della Ithil che aveva appena conosciuto.

- L’avevamo intuito- disse Stephane, sorridendole. Poi passò a presentare sé stesso.

- Io sono Stephane, faccio parte della guarnigione della Ithil. Onorato di esser tra voi, nobili signori- disse, riferendosi anche ai conciliati ed ai Glirdir.

Galadhwen prese parola a sua volta.

- Per coloro che non mi conoscono, io sono Galadhwen. Come Megildur, faccio parte del concilio dell’Ithilien-.

Il gruppo mosse lo sguardo verso Daeron, che sorrise.

- Manco solo io, a quanto pare. Sono Daeron, fratello della qui presente Rhavanwen. Ci siamo già conosciuti, se rimembrate- aggiunse, rivolto al cuoco.

- Vero, ora ricordo. Mi avete aiutato durante l’attracco-.

La conversazione cadde nuovamente nel silenzio.

 

***

 

- Rapporto danni?-.

- Allora, tre buchi sulle vele, due feriti e un remo perso. Direi che ce la siamo cavata egregiamente-.

Castiel sospirò. Per via degli ordini di Eglerion, Meldarion non poteva avere il comando, per cui i due uomini avevano lasciato a lei le redini.

- Bene. Ora non ci resta che attendere gli altri- disse.

Si rilassò un momento, sedendosi sul ponte del castello di poppa.

- Meldarion-.

- Dimmi?-.

- Era questo ciò che avevi visto?-.

- No. Avevo visto solo l’attacco. Tutta la nostra fuga non c’era-.

- Bene. Ti devo ringraziare sentitamente. Se non fosse stato per te, al momento potremmo essere stati morti, se non peggio-.

- Non sei tu quella che deve ringraziarmi e nemmeno l’’equipaggio- rispose Meldarion, con voce grave.

- Lo so bene, Meldarion. Ma ora possiamo solo attendere che tornino Stephane e Tuarwaithion- rispose la fanciulla.

Ella sospirò. Si sdraiò sul ponte, fissando le stelle, mormorando un canto rivolto ad Elbereth. Meldarion le si sdraiò accanto.

- Eglerion capirà, ne sono sicura. E so che ti ringrazierà- disse ella.

 

***

 

Finalmente, l’eterna danza del giorno e della notte compì un altro giro, mentre Anor, il sole, sorgeva in lontananza.

Del gruppo di persone dentro la casa, poche s’erano concesse il lusso di riposare.

Stephane era crollato verso la quarta ora dopo la mezzanotte, tra uno sbadiglio e l’altro. S’era quindi accasciato in un angolo, poco lontano da Gelirion.

Tuarwaithion e Mardion sembravano decisi a vincere una gara di resistenza, mentre Eglerion aveva trovato un compagno di conversazione in Burin.

Dopo averlo ringraziato, s’erano trovati a parlare di un po’ di tutto. Cominciarono con Manwetol, di cui il nano aveva visitato Gimli un paio di volte. Dopodiché, Burin narrò ad Eglerion dell’attuale Erebor, dove egli abitava. La montagna aveva resistito alla furia dei Valar, ma molte delle sale più profonde erano ora sommerse. Lo stesso si poteva dire della ridente città di Dale.

Nel mentre, gli altri elfi avevano deciso di meditare. Tranne Galadhwen, che rimase anch’ella seduta in un angolo, armeggiando con delle foglie. Ogni tanto Eglerion le lanciava uno sguardo, per poi ritornare velocemente a parlare con Burin, che non dava segni di stanchezza.

 

- Amrûn- mormorò Lancaeriel, stiracchiandosi ed alzandosi in piedi. Fissò Eglerion per un momento, vedendolo ancora impegnato in una conversazione con Burin sugli usi medicinali del Canad Meril, un liquore ambrato proveniente dalla parte occidentale di Rohan.

Scosse la testa, capendo che quell’irresponsabile del capitano non aveva chiuso occhio, e gli si avvicinò.

- Buongiorno, Faengwend- le disse Eglerion, vedendola.

- Mah… non mi pare d’essere raggiante- rispose ella, riferendosi al soprannome.

- Ma certo che lo sei, fidati- asserì Gelirion, da dietro di lei, iniziando ad alzarsi. Lancaeriel non poté far altro che sorridere.

Nelle ore che seguirono, anche il resto del gruppo cominciava a svegliarsi o ad uscire dalla meditazione.

Tuarwaithion sbadigliò. Nessuno dei due aveva ceduto, ma il sonno perso si faceva sentire. Doveva anche recuperare le sue armi.

Quando tutti furono in piedi, Mardion puntò il suo occhio nero sulla Regina, attendendo informazioni. Alastegiel parlò al gruppo.

- Adesso ci dirigeremo al palazzo conciliare. M’aspetto la collaborazione da parte di tutti voi- disse, passando gli occhi sui Noldor, i quattro uomini e Burin. Essi annuirono, silenti.

- Se qualcuno ha bisogno di darsi una sistemata, c’è una stanza da bagno, dietro quella porta- aggiunse, indicando una porta in fondo alla sala.

- Tra non molto andremo. Il concilio si ritrova due ore dopo l’alba. È tutto-.

 

***

 

- Nessuna notizia-.

Zoe sospirò, mentre Castiel distoglieva gli occhi dalla riva, voltandosi verso l’amica.

- Stanno bene, fidati- le disse. Zoe non parve troppo rassicurata.

- Lo spero. Ma vorrei poterne essere sicura- rispose l’umana.

Castiel la guardò e si sentì veramente vecchia. Nonostante fosse molto giovane, per i criteri elfici -aveva meno di due secoli-, vedere l’apprensione di Zoe, appena ventenne, le aveva fatto sentire il peso della responsabilità.

Mise una mano sulla spalla della ragazza e la rassicurò nuovamente. Zoe si rasserenò, almeno un poco.

Dopodiché, si voltò e guardò Castiel.

- Vuoi che ti dia il cambio? Non riposi da ieri- disse. Nonostante neanche Zoe stessa avesse dormito bene, nelle ultime due notti, aveva notato la stanchezza presente nell’animo dell’elfa.

Castiel accettò l’offerta, piena di gratitudine, e si diresse verso i suoi quartieri.

Zoe si appoggiò alla balaustra di babordo, quella che era stata soggetta all’attacco, e volse il suo sguardo verso il bastione elfico, sperando di scorgere segnali da parte del gruppo sceso sulla terraferma.

Sentì dei passi dietro di sé.

Si voltò appena in tempo per vedere Meldarion crollare sul ponte, a pochi pollici da lei.

 

***

 

- Suilaid, Alastegiel Thalien Rîs-.

- Suilannon- rispose la Regina al coro dei conciliati, entrando nella sala.

Si trovavano nella Sala del Concilio di Minas Duin, uno dei cuori politici dell’Ithilien.

Burin osservò la stanza con occhi sgranati. Riconosceva il lavoro della sua stirpe, ma non aveva mai visto un lavoro di tale cura. Ed era sicuro che gli artefici non provenissero da Erebor.

La sala era perfettamente circolare, scolpita, sembrava, in uno sperone di roccia viva, attorno al quale era sorto il palazzo. Duecento seggi erano scolpiti, lungo le pareti della stanza, mentre al centro della stessa stavano due tavolate, poste una di fronte all’altra.

Eglerion scorse velocemente i conciliati. Vide Galadhwen prendere posto vicino ad un elfo dall’aria nobile, mentre Megildur si sedé dall’altra parte della stanza, di fronte alla mora, insieme con un altro paio d’elfi dai capelli tagliati corti.

Alastegiel si sedé dietro di una delle due tavolate, invitando il gruppo a sistemarsi dietro al tavolo di fronte.

E così, cominciò.

- Si apra la riunione straordinaria del concilio, indetta per richiesta dei conciliati Megildur e Galadhwen- disse un elfo, seduto dietro alla Regina.

L’elfo si schiarì la voce e cominciò a leggere da una pergamena.

- In seguito agli accadimenti della notte passata, durante i quali il porto e la maggior parte delle navi dentro di esso ospitate sono arsi, siamo ivi ora per definire la sorte dei qui presenti Noldor e abitanti di Manwetol, proprietari dell’unica nave riuscita a salvarsi e, per questo motivo, sospettati d’essere colpevoli-.

Eglerion roteò gli occhi. Ora capiva perché Rhavanwen l’aveva messo in guardia di fronte alla politica del luogo: i conciliati potevano essere di un pomposo mai visto.

- La parola viene lasciata al nobile Maeglad, che esporrà l’accusa-.

Un elfo dai capelli corvini e corti, di quelli seduti accanto a Megildur, s’alzò dal suo seggio e camminò in mezzo ai due tavoli.

Cominciò a parlare, mantenendo però un tono meno pomposo e notarile dell’elfo che aveva parlato precedentemente. Stava dando fondo a tutto il suo carisma, soppesando ogni frase detta e dando il tempo al resto dei conciliati di pensare a ciò che aveva appena detto. Nel mentre, camminava tra le due tavolate, ogni tanto guardando uno degli accusati negli occhi, ma mai per più di qualche secondo. Sembrava quasi una danza. Una danza che Maeglad conosceva molto bene, dovuta ad anni d’esperienza. Ogni tanto si fermava, per fare qualche domanda a Mardion o a Burin, ma estrapolando dalle risposte solo ciò che poteva essergli utile. Fece molta attenzione a non rivolgere la parola a nessuno dell’equipaggio. Nonostante nessuno gliel’avesse detto, probabilmente sentiva che entrambi i Noldor, insieme a Gelirion, potevano riuscire a stargli alla pari, se non batterlo, dialetticamente.

Quando egli terminò la sua filippica, circa un’ora dopo, la Regina decise di dare a tutti qualche minuto di pausa.

- Amica mia, siamo finiti- disse Eglerion, guardando Lancaeriel negli occhi. Sorrise, mestamente.

- Questo dipende anche da chi ci difenderà. Penso uno dei conciliati, se non noi stessi- disse ella decisa.

 

Quando la Regina dichiarò la pausa conclusa, i membri dell’equipaggio si guardarono.

L’elfo pomposo si rialzò e, schiarendosi nuovamente la gola in quel modo che sia Eglerion che Stephane oramai odiavano, riprese in mano la pergamena.

- In difesa degli accusati-cominciò, - ha insistito per prendere la parola Lady Galadhwen-.

L’elfa dalla chioma corvina si eresse in tutti i suoi cinque-punto-cinque piedi d’altezza e cominciò anch’ella a danzare. Eglerion notò che ciò che a Galadhwen mancava, per ciò che riguardava il carisma, veniva coperto dalla sua passionalità nell’eloquio.

Chiese a Burin di ripetere ciò che aveva narrato agli altri la sera prima, gettando le fondamenta della difesa in tal modo, e chiamando a testimoniare vari elfi che avevano visto i Noldor e gli uomini aiutare a domare le fiamme, giù al porto.

- Per ultimo, intendo chiamare a testimoniare Sadron, figlio di Aranhil, guardia del primo cerchio-.

Stephane e Tuarwaithion non poterono fare a meno di rasserenarsi, quando videro entrare Sadron, lo stesso Sadron che li aveva accompagnati al porto, la sera prima.

Egli entrò, s’inchinò, come di rito, di fronte alla Regina e poi fronteggiò la sala.

- Sadron, figlio di Aranhil, siete stato chiamato in difesa dei Noldor e degli uomini provenienti da Manwetol, presenti in questa stanza. Ne conoscete alcuni- cominciò la Sindar.

Sadron annuì e disse di aver conosciuto Tuarwaithion e Stephane, la sera prima. Narrò per filo e per segno che cosa era accaduto, di come i due uomini avevano acconsentito a lasciare le armi e di come si erano impegnati per aiutare gli abitanti di Minas Duin nel domare le fiamme.

Come prova di tutto ciò estrasse da sotto la tunica un pugnale di evidente fattura elfica.

- Quest’arma- disse Galadhwen, dopo essersi fatta dare la lama dall’elfo, - appartiene al qui presente Tuarwaithion. La riconoscete?-.

Il moro allungò la mano e si fece dare il pugnale. Lo rigirò tra le mani e lo soppesò per qualche secondo, finché non trovò ciò che cercava.

- Vi prego di notare, mia signora, come qui siano presenti delle rune incise. Esse sono le iniziali di mio fratello Gelirion, di mia madre e di Iris, figlia di Alassë, la fanciulla che io ho amato e che, purtroppo, perì di febbre, cinque anni fa. Chiunque sappia leggere le rune Angerthas potrebbe comprenderlo. In più, mio fratello Gelirion- indicò il fratello con un gesto, - può confermarlo anch’egli-.

- Come potete vedere da tale prova, le parole di Sadron sono state veritiere-.

Galadhwen continuò la sua danza, mettendo sempre più passionalità nelle sue parole, riuscendo a muovere gli animi. Improvvisamente, però, scattò, quasi come un serpente.

- Messer Mardion. Secondo le testimonianze, voi siete apparso sulla scena del porto durante l’incendio, dicendo di essere un passeggero di una delle navi. Eppure, nessuno dei capitani sembra aver riconosciuto la sua descrizione. E, come i presenti possono notare, non penso che la sua sia una sembianza facilmente obliata-.

Mardion non rispose alla provocazione, ma restò silente, aspettando che Galadhwen finisse.

- Potreste dirmi qual'è la vostra opinione sul motivo del ritorno dei due uomini dell’equipaggio nella città che, secondo voi, avevano appena attaccato?-.

Egli non rispose neanche questa volta.

La Regina Alastegiel intervenne per la prima volta.

- Non avete nulla da dire? Eppure a me è parso che voi avevate una vostra teoria, ieri notte- disse, per poi ripetere le parole di Mardion.

Egli non sembrò reagire neppure in questo momento, seppure a Lancaeriel parve di scorgere un brillio rossastro passare attraverso l’occhio di Mardion, per una frazione di secondo.

- Se non c’è altro da aggiungere, io passerei ai voti, Lady Galadhwen- disse la Regina. La mora annuì una volta e poi si voltò verso il concilio.

- La mia opinione, dopo aver esaminato i fatti, è che i rappresentanti di Manwetol siano innocenti e che per questo debbano essere assolti- disse. Dopodiché, prese posto su un seggio, alla destra della Regina.

Simultaneamente, Maeglad si sedé alla sinistra di lei. Il resto del concilio si alzò in piedi, dirigendosi o a destra, accanto all’elfa, o a sinistra.

Il sorriso di Lancaeriel s’allargò sempre di più, quando vide che i seggi alla destra di Alastegiel si riempivano con una velocità di molto maggiore rispetto a quelli alla sua sinistra. Eglerion, dal canto suo, fu sorpreso nel vedere Megildur alzarsi e sedersi anch’egli alla destra di Galadhwen.

Quando tutti i conciliati ebbero preso posto, Alastegiel lanciò uno sguardo da entrambe le parti.

Sorrise, quando vide che alla sua destra erano sedute venticinque persone in più di quelle dalla parte di Maeglad.

- Il concilio ha deciso. La delegazione di Manwetol non è colpevole di aver appiccato l’incendio al porto-.

 

 

 

 

 

Ed ecco, finalmente, anche il VI capitolo.

Come potete vedere, la storia si fa più intricata e il cast si sta ampliando sempre di più. E, per colpa del sottoscritto che non può farne a meno, continuerà ad ampliarsi man mano che la vicenda si svilupperà.

Chi è Mardion? Perché ha tentato in tutti i modi di far finire male i nostri protagonisti? Come mai Megildur ha votato per la loro innocenza? E, soprattutto, che cos'ha Meldarion? Che cosa vedrà questa volta? 

Passando ai ringraziamenti, grazie mille a Silvì, per la tua recensione, e grazie a tutti coloro che hanno solo letto, sperando gli sia piaciuta e sperando che la prossima volta recensiscano: fa sempre piacere.

 

 

 

p.s.

Eglerion si trova sul castello di poppa della Ithil.

Non si ricorda come ci è arrivato. Accanto a lui è steso Meldarion.

Entrambi hanno un sorriso che và da un orecchio all'altro. I due elfi si fissano per qualche secondo negli occhi, per poi scoppiare a ridere.

-Mldrion- riesce a biascicare il biondo.

- Eh?- risponde l'altro. Sghignazzando senza motivo apparente.

- Cshaifttocaplli?-. Meldarion non comprende una parola, ma, in compenso, ride ancora. Eglerion si unisce a lui.

- Che cosa hai fatto ai capelli- riesce a domandargli, dopo aver preso fiato qualche minuto.

- Cosa hai fatto tu, ai tuoi- risponde l'altro. Eglerion si prende una ciocca, allarmato, trovandosi in mano una treccina.

*Espressione di Eglerion: O_o - WTF?-* (perdonatemi, ma non ho potuto resistere =) NdChaos).

Meldarion scoppia a ridere di nuovo. Ormai ha le lacrime agli occhi. Eglerion lo guarda meglio e ripete la domanda.

- Io non ho fatto nulla ai miei capelli, vedi?- risponde egli. A sostenere la sua tesi, si passa una mano nella chioma.

L'espressione di beato divertimento svanisce pian piano, lasciando il posto ad un'espressione d'orrore. La sua fluente chioma scura è sparita. Ciò che sente con la mano sono ciocche rasta. Eglerion scoppia a ridere nuovamente. Anche se non ci trova nulla di divertente.

I due si fissano, stavolta seri.

- Chi può essere stato?- domanda Eglerion.

- Non ne ho idea. Non ricordo nemmeno come sono arrivato qui!-.

I due sforzano le meningi, cercando di ricordare che cosa avessero fatto quella sera.

*La serata di Eglerion* (Mr Sandman di sottofondo)

(Immagini in bianco e nero partono nella mente di Eglerion, come un film muto).

"Vado a farmi un goccetto, con Meldarion".

(L'espressione di Lancaeriel non è per niente felice).

"Versa qui, versa qui..."

(Eglerion e Meldarion sono sul tavolo della bettola, con il braccio l'uno intorno alla spalla dell'altro, cantando).

Nero.

Nero.

Nero.

(Eglerion e Meldarion vengono gettati fuori della bettola da un oste con la faccia poco allegra, atterrando in mezzo alla strada fangosa).

Nero.

Nero.

Nero.

(Eglerion si sveglia, trovandosi accanto a Meldarion che ha già quella ridicola pettinatura).

(Fine di Mr. Sandman)

La serata di Meldarion assomiglia a quella di Eglerion. L'unica differenza è una scena dell'oste che li rincorre brandendo la scopa attraverso il locale.

- Io non ne ho la più pallida idea- ripete.

 

Nel mentre, sul castello di prua, due elfe ed un uomo dai lunghi capelli rossi stanno ridendo anch'essi come dei folli, passandosi una sigaretta artigianale. Che probabilmente non contiene tabacco.

- Fargli fumare la Falchonlass è stata la più grande idea che potesse venirti- dice Stephane, guardando Castiel. Ella aspira un tiro della canna e la passa all'elfa alla sua destra.

- Ma senza l'aiuto della nostra conciliata non saremmo mai riusciti a trovarli e portarli fin qui- asserisce Castiel, ridacchiando.

Galadhwen lancia uno sguardo al castello di poppa.

- Modestamente, siamo tre menti diaboliche- dice, sorridendo.

Passa la cicca a Stephane, mentre tutti e tre cominciano a sghignazzare ancora una volta.

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Capitolo 7
*** Cap VII Decisioni Lungimiranti ***


VII Age VII

Cap VII Decisioni Lungimiranti

- TALIA! Talia, svegliati!-.
La ragazza prese sua sorella per le spalle e la scosse, tentando di farla rinvenire. Talia ebbe una convulsione ed aprì gli occhi verdi.
- Hestia, non preoccuparti- disse alla sorella, con voce tranquilla. Gli occhi cerulei di Hestia osservarono Talia. Non sembrava essere troppo convinta.
- Che cosa è successo?- domandò.
- Nulla di che. Gli eventi prenderanno una piega inconsueta, però- rispose l’altra.
Talia si mise a sedere su una sedia poco lontana. Le due ragazze si trovavano in una casa formata da due stanze.
In quella dove erano adesso c’era un tavolo, qualche sedia ed il camino. Contro di uno dei muri esterni c’era una cassapanca, sopra della quale stava un’ampia finestra. Alle spalle di Hestia c’era la porta (ancora aperta), mentre alla loro destra vi era la camera dove stavano i loro letti.
Hestia si abbassò al livello della sorella, per poterla guardare negli occhi, come se stesse cercando qualcosa.
Entrambe le fanciulle dimostravano circa venticinque o ventiquattro anni ed entrambe avevano i capelli di un rosso fiamma molto intenso. Ma, mentre quelli di Hestia erano lisci, quelli di Talia le coronavano la testa con una massa di ricci.
Hestia si erse di nuovo in tutti suoi cinque-punto-sette piedi e si diresse verso la porta. Si chinò a raccogliere la lancia e l’arco, che aveva lasciato cadere in terra quando aveva visto Talia in preda agli spasmi, insieme alla coppia di conigli che aveva cacciato.
- Sei in grado di cucinare? Pensavo di farmi un bagno, questo dannato mi ha fatto sprecare mezza dozzina di frecce e m’ha costretta a corrergli dietro per un miglio- disse, alzando uno dei due conigli.
- Ammettilo che ti sei divertita. Lo fai apposta a lasciar loro una minima possibilità di fuga- disse Talia, sorridendo.
- Perché negarsi un po’ di sano divertimento? Se avessi avuto tempo, sarei andata a cercare un cinghiale, ma non ne avevo voglia- rispose Hestia, abbozzando anch’ella un mezzo sorriso. Lasciò armi e cena sul tavolo, si sfilò la tunica di cuoio che indossava e afferrò un telo di lino ed uscì di nuovo.
- Sempre in movimento- sospirò Talia. Prese una pentola dalla cassapanca e seguì i passi della sorella, dirigendosi verso la vicina sorgente.

***

- Tutto a posto?-.
- Come sta?-.
Meldarion aprì gli occhi.
Era ancora steso sul ponte della Ithil. Una coperta lo avvolgeva quasi del tutto ed aveva un panno bagnato appoggiato sulla fronte. Sentiva un odore salubre intorno a lui e comprese che qualcuno doveva avergli strofinato dell’Athelas sulla fronte.
Castiel era china su di lui, che gli teneva la mano sinistra.
- Amore, che cosa…?- cominciò a domandare.
- Sei stato senza sensi per più di due ore- disse lei. Aveva la voce rotta, probabilmente doveva essersi preoccupata molto. Zoe era seduta alla sua destra.
- Come ti senti?- domandò quest’ultima.
- Da schifo. Che aspetto ho?-.
- Da schifo-. Nessuno dei tre poté nascondere un sorriso.
- Ho preparato un decotto di Athelas, se lo vuoi. Castiel, dovresti prenderne un po’ anche tu, sei troppo stressata-.
Entrambi declinarono l’offerta, seppur con gentilezza.
- Neanche se ve lo correggo un po’?- domandò, mostrando una piccola chiave.
- Dove diamine hai trovato quella…- cominciò Castiel.
- Eglerion sa che sarebbe stupido tenere solo una copia. Ma ancora più stupido è stato nasconderla in cucina tra le altre, il giorno prima che facessi un inventario- disse, sorridendo.
S’alzò e si diresse nel castello di poppa, per poi uscirne pochi minuti dopo, portando una bottiglia di Miruvor .
Versò il cordiale in tre tazze (-Pensate che lasci brindare solo voi? D’altronde, la chiave l’ho trovata io!-) e le passò ai due elfi.
Il trio bevve, mentre intorno a loro il resto dell’equipaggio passava a salutare Meldarion, chiedendogli se andasse tutto bene, o a chiedere a Castiel se c’erano informazioni o ordini da eseguire.
- Che cosa hai visto tale da farti restare svenuto per così tanto tempo?- chiese Zoe sottovoce, dopo che ebbero finito. Gli altri due ammutolirono.
- Tu come sai?- domandò Castiel. Zoe arrossì.
- L’altra notte ero insonne e non ho potuto fare a meno di udire la vostra conversazione- disse, un po’ esitante.
- Vi prometto che potete fidarvi. Non ne ho parlato con nessuno- aggiunse dopo.
Meldarion si aprì in un sorriso.
- Grazie. Ad ogni modo, era molto contorto. Ho visto molte immagini di vari luoghi alternarsi. Ricordo  un porto delle Falas, le dune dell’Harad, un esercito di nani caricare la cavalleria Numenoreana, una tribù di Haradrim combattere, Porto Malo e, soprattutto, una donna- disse, aspettandosi uno sfogo di gelosia da parte di Castiel. Che non tardò ad arrivare.
- Che donna?- domandò l’elfa.
- Non lo so. Non l’ho mai vista, se non in quest’ultima visione. Emetteva un grande potere, comunque-.
Castiel emise un verso indistinto.
- Tranquilla, non provo attrazione per le rosse ricce- le disse, sorridendo.

***

- Ti dobbiamo i nostri più sentiti ringraziamenti- disse Eglerion.
Si trovavano nell’anticamera che portava alla sala del concilio. Essendo stati assolti, avevano ricevuto il permesso di lasciare l’aula. Ma la seduta non era ancora finita, la Regina aveva solo indetto altri dieci minuti di pausa.
- Ho solo fatto ciò che dovevo. Non pensavate che vi avrei lasciato alla mercé dei Maethor- rispose Galadhwen, alle parole dei Noldor.
- Maethor?- domandò Lancaeriel.
- “I guerrieri ”. Sono uno dei partiti politici. Proclamano la guerra come unica risoluzione. La sventura è che sono anche molto influenti. Chi per carisma- lanciò uno sguardo a Maeglad, - chi con altri mezzi-.
- Ne parleremo in un altro momento- interloquì Gelirion, notando alcune occhiate piene d’astio che gli erano rivolte dagli elfi che avevano preso posto alla sinistra della Regina.
- Piuttosto mi chiedo come mai Megildur non si sia schierato ancora una volta contro di noi-.
- Semplicemente, perché non n’aveva ragione. È un elfo ragionevole, dopotutto- rispose la conciliata.
In quel momento una campana suonò.
- Devo tornare dentro. Spero di potervi incontrare di nuovo- disse Galadhwen.
- Lo speriamo anche noi, nìn Hiril- disse Eglerion, con un mezzo sorriso.
Ella sorrise al gruppo e si diresse di nuovo nella Sala del Concilio.

- Se volete, mia sorella potrà scortarvi fino a casa nostra. Io resterò qui per ascoltare gli ulteriori sviluppi- disse Daeron, una volta che Galadhwen fu sparita oltre la porta.
I membri dell’equipaggio si voltarono verso Rhavanwen.
- Se non è un peso per voi, Lady Glirdir …- cominciò Gelirion.
- Non lo è, anzi. Sarò felice di ospitarvi per pranzo, poiché è quasi il meriggio-. Aveva detto ciò con voce calma, ma nei suoi occhi era sceso un velo di tristezza.
- Perché non ci accompagnate voi, messer Daeron?- disse Lancaeriel, sfoggiando uno dei suoi sorrisi più ammalianti. L’elfo ed i tre uomini si scambiarono occhiate divertite. Conoscevano bene i modi di Lancaeriel, quando doveva convincere qualcuno. Infatti, riconobbe Eglerion una volta, non importava quanto eri ubriaco nella locanda dove lavorava Lancaeriel: finché il tuo borsello era pieno, ella t’avrebbe convinto ad ordinare un’altra birra.
- D’altronde, né Stephane né io abbiamo avuto l’onore di desinare con voi- continuò Tuarwaithion, con lo stesso tono lusinghiero.
- Come volete- disse l’elfo.
Rhavanwen sorrise.
- In tal caso, resterò qui e parlerò con i conciliati quando essi usciranno, per scoprire che cosa hanno deciso- disse.
Fecero per avviarsi verso le porte, quando notarono Burin venirgli incontro.
- Salve, sire Eglerion. Volevo solo esprimere la mia gioia nel vedervi tutti quanti assolti- disse.
- Vi ringrazio, mastro Burin. Senza il vostro intervento, non penso ce l’avremmo fatta-.
- Piuttosto, vi devo mettere in guardia verso Mardion. A quanto pare se n’è andato subito dopo la sentenza, mormorando minacce. Vi siete fatti un nemico pericoloso-.
- Per caso lo conoscete?- interloquì Stephane.
- No, per mia fortuna. Ma alcuni della mia razza hanno avuto problemi con un “assassino con un occhio solo”, tempo fa. Sospetto si tratti dell’uomo che abbiamo incontrato stanotte-.
- Dovremo guardarci le spalle, a quanto pare- asserì Eglerion.
Il gruppo uscì dal palazzo conciliare.
- Ed ora? Dove andrete?- domandò Tuarwaithion al nano. Il cuoco, infatti, aveva sviluppato presto una simpatia verso di lui.
- Non saprei. Potrei cercare il capitano della nave su cui ero imbarcato, ma penso sarebbe inutile. La mia merce è bruciata, quindi mi sa che dovrò mettermi in marcia verso Minas Falas, al più presto. Magari mi prenderò qualche giorno di riposo, in una locanda, ma poi dovrò ritornare ad Erebor-.
I due elfi e i tre uomini si scambiarono un’occhiata.
- Perché non vi unite a noi?- propose Lancaeriel.
- Non so se il Signor Daeron qui presente è d’accordo. Non vorrei autoinvitarmi-.
- Non intendevo a pranzo. A quello ci penserà Lord Daeron. Intendevo sulla Ithil-.
Il nano rimase silente per alcuni secondi, ponderando l’offerta.
- Non saprei. Vorrei sapere dove siete diretti, prima-.
- Direi che a questo punto è più facile se voi pranzate con noi. Così che Eglerion e i suoi compagni potranno spiegarvi la situazione- disse Daeron, comprendendo, ormai, di non poter negare l’offerta di fronte a Lady Lancaeriel.
Il nano accettò l’invito e seguì il drappello d’elfi e uomini, verso la casa dei Glirdir .

Il gruppo arrivò in pochi minuti e si sistemò nella sala da pranzo.
Rilien servì loro del vino, mentre attendevano il pranzo. Quando arrivò a Burin, però, si fermò.
Senza perdere la sua flemma, squadrò il nano.
- Forse il nostro insolito ospite preferisce un’altra bevanda- disse, calcando sull’”insolito”.
Nonostante i tempi in cui gli elfi ed i nani non potevano sopportare la presenza reciproca nella stessa stanza erano finiti con l’Anello Sovrano, restava un vago tono di canzonamento, da parte d’entrambe le razze.
Burin incassò con un sorriso la frecciata.
- Il vino andrà benissimo. Nonostante preferisca la birra, sto già usufruendo abbastanza della vostra ospitalità- disse, alludendo alla pila di pesanti volumi che erano stati posti sulla sua sedia per pareggiare l’altezza del tavolo con la sua.
Rilien versò il rosso nel calice del nano, che n’assaggiò un paio di sorsi.
- Decisamente buono- disse, pensoso.
- Vi ringrazio, messer Burin- disse Daeron. Il nano continuò a gustare il vino.
- I miei complimenti. Tenere le vigne vicino al confine di Rohan è stato un colpo da maestro. Infatti, siete riusciti ad ottenere una perfetta miscela tra il gusto… campestre dei vini di quelle zone, senza perdere il gusto forte che caratterizza i vini di queste terre- asserì.
La tavolata si voltò verso di lui.
- Non vi facevo così esperto, i miei complimenti, messere- disse Eglerion.
Burin abbozzò un inchino.
In quel momento arrivarono le pietanze. I commensali mangiarono l’ottimo arrosto di cervo, condito da erbe aromatiche tipiche della costa, con gioia.
- Mi sa tanto che torneremo sulla Ithil con più di un’oncia di troppo. Senza offesa per la tua cucina, fratello, ma è da quando siamo scesi che mangiamo pasti di proporzioni immani, confrontate alle razioni che abbiamo sulla nave- disse Gelirion, a fine pranzo.
Tuarwaithion sorrise.
- Io, piuttosto, vorrei parlare con il cuoco. Quel cervo aveva un che d’insolito, desidererei chiedergli con che cosa è stato insaporito-.
- Ogni cosa a tempo debito- disse Eglerion.
Si voltò verso Burin e gli espose la situazione.

***

- Ancora nessuna notizia?-.
- No, signora, sono desolato- rispose l’elfo, con un’espressione mesta.
Castiel sospirò. Era già passato il meriggio e non avevano ancora ricevuto notizie dalla terraferma. Ma era restia a mandare in città un’altra ambasciata. N’avevano perse già due.
Tornò nel castello di poppa, diretta verso lo studio d’Eglerion. Magari quel posto l’avrebbe tranquillizzata.
- Castiel!-.
Si voltò, sorpresa di trovarsi davanti Zoe. Quella ragazza non dormiva da più di ventiquattr’ore, eppure continuava a battere la nave palmo a palmo, in cerca d’eventuali danni non riferiti, a scrutare la costa in cerca di segni di vita e a confortare gl’animi come meglio poteva.
- Dimmi, Zoe-.
- Se vieni in cucina t’ho preparato qualcosa da mangiare. Starai morendo di fame, poiché hai saltato a piè pari il pasto che ho messo in tavola verso le nove- disse, quasi tutto d’un fiato.
- Ho scelta?- domandò retoricamente l’elfa. Zoe sorrise.
Sconfitta, la comandante improvvisata seguì la cuoca.
Le due si sederono al piccolo tavolo nella cucina, solitamente ingombro di pentole che né Tuarwaithion né Zoe volevano lavare (e che alla fine lavava sempre lui), o di cibi in preparazione.
Zoe passò una scodella di zuppa a Castiel, prendendone una anche per sé.
- Nessuna novità?-.
L’elfa scosse la testa. La ragazza annuì in silenzio, prendendo una cucchiaiata della bevanda.
- Spero che stiano tutti bene- asserì poi Castiel.
- Meldarion s’è ripreso?- chiese Zoe.
L’elfa abbozzò un sorriso.
- Non appena è stato in grado d’alzarsi, ha preso e s’è rintanato in camera a dormire. Ma non prima di scolarsi il resto del Miruvor -.
Zoe rise.
- L’infame…-.
Le due ragazze finirono di pasteggiare parlando del più e del meno, evitando di pensare alla sera prima.
- Ma, secondo te, la ragazza vista da Meldarion chi poteva essere?- domandò la ragazza, verso la fine del pasto.
- Mah… chi può saperlo. Ha solo detto che emanava un grande potere, era rossa ed era riccia-.
- Un’elfa?-.
- Secondo me è una sua vecchia “amica ” e non vuole dirmelo- disse Castiel, sorridendo.
- Chi può saperlo, finché il nostro veggente dorme-.
- Stavate parlando di me?- disse una voce, dalla porta della cambusa. Entrambe si voltarono, vedendo Meldarion entrare.
- Sei tu quello che ha le premonizioni, dovresti saperlo- rispose la sua metà. Egli s’avvicinò, si sedé e baciò Castiel.
- Com’era il Miruvor ?- domandò la ragazza, quando i due ebbero finito.
- Dei migliori-.
- E adesso al capitano chi gliela spiega la mancanza di una bottiglia intera dalla sua riserva?- chiese Castiel, con un altro sorriso.
- Penso che avremo cose più importanti di cui parlare, quando sarà qui. Ogni cosa a suo tempo- rispose il moro, incupendosi.

***

Ma perché dovevo essere la primogenita reale? Ma perché dovevo entrare in politica?!
Queste erano le domande che Alastegiel si stava ponendo in quel momento.
Aveva appena esposto la proposta dei Noldor al concilio, e per questo era scoppiato il putiferio.
Da una parte v’erano i Maethor , che strepitavano riguardo ai problemi ai confini, le dicevano che avrebbe dovuto mobilitare l’esercito, anziché ascoltare i primi venuti. Tra loro si faceva riconoscere Maeglad, che continuava ad incolpare i Noldor dell’incendio, nonostante ne fossero già stati scagionati.
Dall’altra parte v’erano gli appartenenti al Gwannen Moth , il partito lealista. Spesso Galadhwen, l’esponente più in vista di tale partito, aveva preso parola in difesa della proposta.
- È inutile litigare, mentre oltre i Valli gli uomini riuniscono i loro eserciti!- proruppe Megildur, ad un certo punto.
S’alzò in piedi e scese al centro della platea.
- Per quale motivo ci stiamo riducendo ad urlarci contro come barbari? Perché non possiamo fermarci un momento e respirare?-.
I conciliati ammutolirono.
Maeglad fece per parlare, ma Megildur lo bloccò.
- So che cosa stai per dire, amico mio. Che è inutile sprecare forze nella ricerca di una terra inesistente- disse, spostando lo sguardo sulle persone dentro la sala. Si fermò quando notò Rhavanwen che lo fissava, da un angolo della stessa. Un sorrisetto gl’incurvò le labbra, aspettandosi che ella lo contraddisse di nuovo. Ma la sentinella rimase in silenzio.
- Resta da dire, però, che la richiesta postaci dal capitano Eglerion non è troppo folle, considerando che il governo Manwetol ha spedito l’ammiraglia della flotta in questa ricerca-.
Maeglad sorrise a sua volta. Megildur continuò, rivolgendosi direttamente ai Maethor .
- Per questo motivo, miei compagni, vi chiedo di cessare le polemiche e dichiararvi favorevoli alla proposta dei Noldor. Dopotutto, si tratta solo di tre persone-.
L’elfo seduto al fianco di Galadhwen, lo stesso notato da Eglerion al suo ingresso nella sala, s’alzò in piedi. Nonostante non si potesse vedere, era uno degli elfi più anziani della sala. L’unica traccia dell’età sul suo corpo erano i lunghi capelli argentei, che gli ricadevano sulle spalle, mentre scrutava la sala con gli occhi grigi. Come Megildur, aveva un mento molto pronunciato e la fronte alta.
- Per quanto strano possa sembrare, mi trovo d’accordo con Megildur- disse. Si voltò verso gli elfi seduti intorno a lui.
- Se non ci sono obiezioni, dichiarerei che anche noi, del Crepuscolo Dipartito, siamo favorevoli a mandare un’ambasciata di tre persone con i Noldor, alla ricerca di nuovi alleati- disse.
I Gwannen Moth si scambiarono qualche occhiata, per poi annuire.
Le Regina prese di nuovo la parola.
- Megildur, Bellrauthien, mi devo congratulare con voi, per essere riusciti a far calmare ciò che poteva degenerare in una lite degna d’una bettola. Ma resta comunque una questione in sospeso: chi di voi è disposto a seguire i Noldor alla volta del Mithlond?-.
Galadhwen s’alzò.
- Eglerion ha chiesto specificatamente almeno un appartenente a questo Concilio. Io m’offro volontaria per imbarcarmi sulla Ithil e seguire la delegazione di Manwetol verso Ovest-.
I lealisti esplosero in applausi, seguiti dal resto della sala. Persino Megildur batté le mani un paio di volte, insieme agli altri Maethor.
Quando l’ovazione s’acquietò Alastegiel parlò ancora.
- C’è nessun altro che vuole seguire l’esempio di Galadhwen ed imbarcarsi?-.
- Mia signora- esordì una voce, da un angolo della sala.
I presenti si voltarono, stupendosi di vedere Rhavanwen.
Indossava ancora l’abito con cui aveva cenato la sera prima, non avendo avuto occasione di cambiarsi. I capelli erano sciolti e spettinati, ed appariva alquanto stanca. Ma, nonostante l’apparenza, riusciva comunque a mantenere un certo contegno.
- Ditemi, Lady Glirdir -.
- Se nessuno dei qui presenti conciliati intende offrirsi, volevo comunicarvi che sono pronta ad unirmi all’ambasciata. In quanto sentinella dell’esercito dell’Ithilien, potrei adempiere il ruolo di guardia del corpo di Lady Galadhwen -seppur io non metta in dubbio ch’ella sia sicuramente capace di difendersi- e, in quanto di nobile famiglia, potrei aver una certa influenza nel convincere gli abitanti delle Falas ad aiutarci-.
I conciliati guardarono la ragazza seduta in disparte, vicino alla porta, per poi applaudire anch’ella, con un entusiasmo pari a quello per Galadhwen.
Il silenzio calò di nuovo.
- Nessun altro?- chiese la Regina, dopo lunghi minuti.
- In tal caso, ho deciso: andrò io stessa. Se c’è da trattare con un’altra nazione, è giusto che vada io, in quanto Regina-.
L’intera platea era stupefatta. Nessuno s’immaginava tale azione da Alastegiel stessa.
- Somma Thalien … ne siete sicura?- domandò Bellrauthien, stupito.
- Sì. Più che sicura- rispose concisa.
Dopo pochi silenziosi secondi, si levò un applauso anche per la Regina.
- Direi che anche quest’argomento dell’ordine del giorno è risolto. Prima di concludere la riunione, v’è un’ultima cosa che devo fare. Bellrauthien, Megildur, avvicinatevi-.
I due elfi interpellati s’alzarono e s’avvicinarono al centro della sala, dov’era seduta la Regina.
- Nel periodo in cui sarò lontana, sarete voi due a governare in mia vece. Il vostro potere è eguale, quindi nessuno dei due sarà superiore all’altro. So di potermi fidare di voi due. Non deludetemi- disse Alastegiel.
Vedendo che nessuno aggiungeva commenti, s’alzò in piedi.
- La riunione è aggiornata. Le hannon a tholel -.
Detto ciò, si diresse fuori della sala.

***

Burin sorseggiò l’ultimo goccio di vino rimasto nel bicchiere, soffermandosi a pensare a ciò che Eglerion gli aveva narrato.
- La vostra impresa è ben pianificata. Ma avete dimenticato un particolare- disse.
- Che particolare?-.
- Come potremo avere informazioni su ciò che Nuova Numenor intende fare, se saremo tutti impegnati nell’esplorare le terre più a Sud di qui?-.
Le labbra di Eglerion s’incurvarono in un sorriso cospiratore.
- Non prevedo nulla di buono- disse Stephane, a Tuarwaithion.
- No, Stephane? E come puoi saperlo?- chiese il capitano.
- Sono ormai anni che navighiamo assieme, Eglerion, - intervenne Tuarwaithion, gettando alle ortiche la finta deferenza, - riconosco quell’espressione. Stai tramando qualcosa. Qualcosa di estremamente avventato e folle-.
- E qualcosa per la quale tu e Stephane vi siete offerti volontari- aggiunse Eglerion. Stephane prese un paio d’attimi per respirare. Poi si rivolse a Daeron.
- Lord Glirdir , vi recherebbe dispiacere se io m’assentassi per qualche minuto dal tavolo?- domandò.
- Nessun problema- rispose Daeron.
Stephane s’’alzò e si diresse fuori della porta. Una volta oltrepassata quella, continuò a camminare, fino ad uscire dalla casa. Arrivato al cancello della villa, imprecò a voce alta e a pieni polmoni, in un dialetto Rohirric.
Quando rientrò dentro la casa, i convitati sorrisero. L’avevano tutti udito, anche se non tutti l’avevano capito.
- Adesso, Eglerion, illustraci la missione suicida per la quale ci siamo offerti- disse, con calma.
Eglerion era sul punto di cominciare, quando furono interrotti dall’arrivo di Rhavanwen.
- Buongiorno, signorina- disse Eglerion, voltandosi a guardarla. Ella salutò il gruppo e prese posto al capo della tavola, opposta al fratello.
- Buone notizie- esordì.
Spostò lo sguardo sul gruppo e sorrise.
- La proposta è stata accettata e ci sono tre volontari disposti ad imbarcarsi sulla Ithil-.
Rilien stappò un’altra bottiglia e riempì i calici.
- Mi pare un ottimo motivo per festeggiare, signore- disse a Daeron.
Daeron levò il bicchiere, seguito dagli altri. Brindarono, bevvero e guardarono di nuovo Rhavanwen.
- I Maethor han dato problemi?- chiese Lancaeriel, memore delle parole di Galadhwen.
- Alcuni. Ma, stranamente, Megildur è accorso in vostro aiuto-.
- Come?-.
- Ha detto che, nonostante tutto, si trattava solo di tre persone. Quindi ha pregato i Maethor di approvare la proposta-. L’elfa prese un altro sorso di vino, prima di continuare.
- Ad ogni modo, è andata più che bene-.
- E potresti dirci chi sono i tre che si sono offerti per seguire Sire Eglerion e il suo equipaggio?- chiese Daeron.
- Lady Galadhwen ha deciso d’imbarcarsi, poiché avevate richiesto qualcuno con buone nozioni di politica- disse. Lancaeriel trattenne uno sbuffo. Non voleva veder Eglerion ripiombare nello stato di un secolo prima. Avrebbe di gran lunga preferito veder Rhavanwen salire a bordo.
- Chi altri a deciso di venir con noi?- domandò Lancaeriel.
- Questa è stata una gran sorpresa per tutti: la Regina stessa vuole salire a bordo. Sospetto che non voglia far pensare agl’elfi del Mithlond che la Regina dell’Ithilien abbia di meglio da fare, mentre il Re di Manwetol si prende la briga di far tutta la strada fin laggiù- disse Rhavanwen.
Fece un’altra pausa, aspettando che il fratello le chiedesse dell’ultimo volontario. Daeron non si fece attendere molto.
- E il terzo rappresentante? Chi sarà?-. Rhavanwen sorrise, dentro di sé.
- Qualcuno che funga da guardia del corpo per la Regina e Lady Galadhwen- cominciò a dire.
Eglerion la interruppe, avendo compreso la situazione.
- E chi meglio di una sentinella, discreta e silenziosa, può adempiere tale ruolo?- domandò.
- Avete inteso bene, sire Eglerion. Di una sentinella trattasi, infatti- disse Rhavanwen.
Daeron la fissò, sperando che le sue prossime parole non confermassero i suoi timori. Cosa che, però, fecero.
- Spero sarete lieti di riaccogliermi a bordo, poiché io sono la sentinella che s’è offerta per tale ruolo-.
- Raich !- imprecò Daeron, infischiandosene beatamente dell’etichetta da lui tanto osannata.
- Qualcosa non va, fratello mio?-.
Senza una parola, l’elfo s’alzò in piedi e lasciò la tavola.
- Se posso esprimere il mio umile giudizio, siete stata forse un po’ troppo diretta, milady- disse Rilien, nel silenzio generale.

***

- Eglerion…-.
Nulla.
- Eglerion!-.
Ancora nessuna risposta. Alastegiel sospirò. S’alzò in piedi e comincio a camminare avanti ed indietro. Non riusciva ad avviare la risonanza con la mente d’Eglerion.
Sarebbero dovuti partire il prima possibile, la sera stessa, al massimo. Ma prima sentiva il bisogno di scambiare due parole in privato con il Re.
Aveva percepito solo un forte sentimento di sorpresa, nella mente del capitano, quando aveva tentato di contattarlo. Probabilmente, Rhavanwen aveva annunciato i nomi di coloro che sarebbero partiti assieme ai Noldor.
Sospirò nuovamente e si sedé. Entrò in trance e diresse i propri pensieri verso una mente che aveva notato essere più attenta.
-Lancaeriel-.
Lancaeriel sussultò. Le era parso che qualcuno l’avesse chiamata. Nessuno attorno a lei, però, sembrava averle rivolto la parola.
- Lancaeriel-.
Di nuovo. E fu allora che comprese. La voce le era familiare, ma sembrava remota. La riconobbe come quella della Regina Thalien .
- Ditemi, somma Thalien-.
- Mi scuso per quest’intrusione nella vostra mente, Lady Lancaeriel, ma il vostro Re sembra non voler rispondere. Desideravo comunicarvi un paio di notizie-.
- V’ascolto-.
- Come penso che Rhavanwen v’abbia detto, saremmo io, ella e Lady Galadhwen a partire assieme a voi. A capo del concilio saranno Megildur e Bellrauthien, nel mentre. Appartengono a due partiti opposti, quindi saranno costretti a collaborare per il bene comune e il potere sarà comunque diviso. Dopo di ciò, volevo comunicarvi che sia io che le altre due vostre ospiti sono tenute ad essere pronte a partire entro stanotte, vi pregherei di convincere Eglerion a preparare la nave per il tramonto-. Non era tutto quello che avrebbe dovuto dire al Re, ma poteva bastare. Avrebbero sicuramente trovato dei momenti, durante la traversata.
La Regina s’alzò e si diresse nei suoi quartieri.
La stanza era ampia ad ariosa, in una delle pareti era incassata una grande vetrata, che mostrava un ampio tratto dell’Anduin e della città. Sulla sinistra della finestra stava un letto a due piazze, mentre adiacente alla parete opposta c’era una scrivania, riempita da scartoffie varie.
Alastegiel sospirò, vedendo quest’ultime, e si segnò mentalmente di portarle nella sala del trono, una volta finito il bagaglio. Facevano parte dei disegni di legge futuri, di cui si stava discutendo in quel periodo, quindi sarebbe stato meglio lasciarli dove i due conciliati avrebbero potuto trovarli.
L’elfa finì in poco tempo il suo bagaglio. Dopodiché, si chinò ed estrasse una pesante scatola di legno da sotto il letto.
Era passato un secolo, da quando l’aveva riposta.
Dopo qualche minuto perso a rimembrare, prese coraggio e l’aprì.
Levò dal contenitore un lungo involto, che srotolò sul letto. L’impugnatura della sua lama elfica scintillò alla luce del sole. Sfoderò l’antica arma e riprovò qualche affondo. Se la sarebbe cavata. In più, era sicura che avrebbe avuto occasione d’allenarsi, durante il viaggio. Ripose la spada nel fodero e prese in mano l’altro oggetto uscito dalla scatola.
Saggiò la corda del suo lungo arco, trovandola ancora in ottime condizioni. Dopotutto, si disse, sono i miei capelli, a formare questa corda.
Appoggiò anche l’arco, con la lama, in cima al proprio bagaglio, e prese il mucchio di fogli e pergamene dal tavolo, decisa ad apportare un paio d’ultime correzioni, prima di partire.

***

- Ehi! Voi della nave!-.
Castiel e Zoe accorsero, sentendo delle grida dalla terraferma.
Si stupirono di trovare un’elfa dalla fluente chioma scura, una veste elegante ed un bagaglio in spalla a fissarle dalla riva.
Castiel guardò Zoe, che s’affrettò a far calare la passerella.
Dopodiché, le due scesero.
- Sto cercando la Ithil di Manwetol, direi d’averla trovata-.
- Sì. Io sono Castiel, cartografa della nave e temporaneo Capitano. Sapete qualcosa delle ambasciate in città?-.
- Stanno tutti bene, sono vivi e indenni. Io sono Galadhwen, conciliata dell’Ithilien e vostro futuro ospite. Ma non penso che la notizia vi sia ancora giunta- disse la conciliata, presentandosi e leggendo le occhiate stupite che s’erano dipinte sulle facce delle due.
Galadhwen appoggiò il bagaglio in terra.
- A quanto pare Sire Eglerion non vi ha lasciato informazioni su dove avrebbe condotto la nave dopo essere passati a Minas Duin, se non sbaglio- disse, vedendo le ragazze ancora incredule.
Per loro fortuna, Meldarion accorse in loro aiuto.
- Buon pomeriggio Miss. Anche voi siete pronta per imbarcarvi verso l’ignoto?- disse, in tono scherzoso.
Galadhwen restò interdetta. Era mai possibile che su quella nave ci fosse qualcuno serio, oltre Lancaeriel?
- Seguitemi, Lady…- si fermò, per farsi dire il nome dalla conciliata.
- Galadhwen-.
- Galadhwen… bel nome avete, signorina. Seguitemi, vi mostrerò il vostro alloggio- continuò Meldarion, dopo un attimo di pausa. Quel nome gli era familiare, ma non sapeva dove collocarlo.
Prese il bagaglio di Galadhwen e si fece seguire nel castello di poppa. Castiel e Zoe risalirono silenziose sulla nave, domandandosi che cosa poteva ancora attenderle.

La risposta arrivò un’ora dopo quando, finalmente, le ambasciate tornarono.
Assieme a loro c’erano anche Rhavanwen, la sentinella che avevano incontrato qualche giorno prima, ed un’elfa che, seppur fosse vestita in modo semplice, emanava un gran potere. Infatti, persino Eglerion si rivolgeva a lei con deferenza, durante il tragitto. Seguivano due elfi dagl’occhi grigi, vestiti molto elegantemente. Il più anziano dei due aveva una lunga chioma argentea, mentre l’altro aveva i capelli molto corti.
Zoe si chiese chi fossero quei due, poiché non rientravano nel gruppo di persone contato da Galadhwen, che aveva preso quell’ora di tempo per informare le due, assieme a Meldarion, su ciò che sarebbe successo.
In fondo al gruppo, che chiacchierava con Tuarwaithion, c’era un nano. Zoe spalancò gli occhi. Le pareva impossibile, nonostante ci fossero leggende di nani ancora vivi, nelle Terre Selvagge, trovarsene uno davanti.
Aiutata da Meldarion, calò di nuovo la passerella ed accolse il gruppo di nuovi arrivati.
- Benvenuti sulla Ithil, miei nobili ospiti- esordì Eglerion, voltandosi verso la folla.
I membri dell’equipaggio si unirono a Castiel, Meldarion e Zoe, contro le balaustre di dritta, mentre Eglerion e Lancaeriel discutevano le ultime cose con i due sconosciuti che, Zoe scoprì tramite Tuarwaithion, erano due dei conciliati dell’Ithilien e attuali reggenti. Quanto all’elfa, le disse Gelirion, altri non era che la Regina.
Le ambasciate raccontarono ai tre che cosa era avvenuto in città, dal momento in cui il Re aveva messo piede a terra, fino al loro ritorno; mentre i politici terminavano le loro raccomandazioni.
- Un’ultima cosa, somma Thalien-.
- Ditemi-.
- Devo chiedervi il permesso di lasciar attraversare a tre dei miei marinai l’Ithilien, in direzione di Nuova Numenor-.
- Raich- imprecò Tuarwaithion. Aveva capito a che cosa si riferiva Eglerion, durante il pranzo.
- Tuarwaithion, mi sa che ci tocca fare i bagagli- disse Stephane, accanto a lui. Zoe li guardò, non capendo.
- Ovviamente il permesso vi è accordato, Sire Eglerion- stava dicendo la Regina, mentre i due scendevano sottocoperta.
Eglerion sorrise.
- Vi ringrazio. Lancaeriel, potresti mostrare alle due nostre ospiti il loro alloggio, mentre attendiamo Lady Galadhwen?-.
Prima che il secondo potesse rispondere, una voce dal castello di poppa parlò.
- Non serve che tu attenda a lunga, Eglerion-.
Galadhwen scese la scala e si unì dal gruppo. Castiel s’avvicinò al gruppo.
- È arrivata qua un’ora fa. Se permettete, potrei mostrarvi io i quartieri a voi riservati. Li abbiamo preparati durante l’attesa-.
Le due elfe seguirono Castiel, mentre Eglerion si voltava verso Burin, che era rimasto silente durante tutto il colloquio.
- Purtroppo non abbiamo alloggi pensati per i nani, amico mio, ma se hai la pazienza d’attendere ancora un po’, ti mostrerò la nave, per farti trovare un’adeguata sistemazione-.
- Onorato, Sire- disse.
Nella mezz’ora che susseguì, i preparativi per la partenza furono ultimati. Restava solo una questione da risolvere.
Tuarwaithion e Stephane fecero un giro della nave, per raccogliere le cose che sarebbero state loro utili durante il viaggio che sapevano stare per percorrere.
- Sai- cominciò Stephane, mentre prendevano degli archi dall’armeria, assieme ad un paio di faretre ben ricolme, - potrebbe essere l’ultima volta che vediamo la Ithil-.
- So… speriamo non lo sia- disse Tuarwaithion. Il suo tono mesto, comunque, lasciava trasparire il suo pessimismo.
Ritornarono sul ponte, poco dopo, con i bagagli in spalla, pronti a partire.
Eglerion era là, assieme a Zoe.
- Direi che ci siamo, Eglerion- disse il rosso, avvicinandosi.
- Sì, amici miei. Goheno nin-. Perdonatemi.
- Rachon le, Eglerion- rispose Stephane. Che tu sia maledetto, Eglerion. Ma lo disse con un sorriso.
Tuarwaithion guardò Zoe.
- E tu? Anche tu qui per vedere due pessimi elementi partire?- domandò.
- Veramente no. Son qui per vedere tre elementi partire- disse, muovendosi di lato e mostrando il suo bagaglio.
I due rimasero senza parole.
- No. Sarebbe troppo pericoloso, amica mia…- cominciò Stephane.
- Stephane, ho solo pochi anni meno di te. Saprò cavarmela. E se non riuscirò perfettamente, avrò due ottimi mentori- disse la ragazza.
I due non parvero convinti, ma sapevano che la determinazione di Zoe era tale che discutere non sarebbe stato utile.
- Belain na le, Aran nin- disse Tuarwaithion, mettendo una mano sulla spalla di Eglerion. Che i Valar siano con te, mio Re.
Eglerion ricambiò il gesto.
- Che siano con voi- rispose.
I tre scesero dalla nave e si avviarono verso l’entroterra della Landa della Luna, rivolgendo alla Ithil un ultima occhiata.
Il sole stava tramontando, ad occidente, mentre gli ormeggi venivano levati e i tre viandanti prendevano la strada.

 

Un po’ malinconico, questo finale, so…
E così, il gruppo comincia a dividersi e finalmente si parte da Minas Duin.
L’azione pian piano comincerà, mentre Eglerion&co andranno a cercare aiuto nel Mithlond e i tre si dirigono verso la tana del lupo.
Ma passiamo ai ringraziamenti:
@Silvì: grazie mille, amica mia, per la recensione. Mardion è abbastanza un verme, ma ti toccherà attendere prima di scoprire chi è veramente.
@Elfa: so, forse come capitolo è un po’ veloce, ma era necessario, come questo, per mandare avanti il tutto. Meldarion il suo spazio lo avrà, tranquilla, è uno dei personaggi che sto iniziando ad apprezzare di più anche io. Mi dispiace solo averti fatto attendere così a lungo prima di sfornare questo VII.
@Hareth: grazie mille, anche a te. Perdonami per le due ragazze all’inizio, t’assicuro che i personaggi resteranno quelli che sono ora, ma le due sono necessarie, si vedrà più avanti. Spero di non far sforzar troppo i poveri neuroni, che son già impegnati a dirigere quel cast di maghi indemoniati ed elfe più o meno elfiche, a ritmo di CCR. Zahal e Rain li avranno i numeri, prima o poi, anzi, Eglerion manda i suoi saluti ad entrambi, invitandoli a passar una serata tra bettole. Meldarion invece lascia un saluto a Verugast, il mago di Morte da Harma Ondo, compagno di preveggenza.
Ma cosa temevi, quando leggevi di Eglerion e la mora? Una ripetizione di Rhi-Zefiro?

Detto ciò, vi saluto, mie lettrici ed eventuali lettori che non recensiscono. Ci si risente per il capitolo VIII

 

 

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Capitolo 8
*** Cap VIII Un Tabagista e Due Alcolizzati ***


VII Age VIII

Cap VIII Un Tabagista e Due Alcolizzati

- Da quant’è che stiamo marciando?-.
- Quattro ore, Zoe. Ma non intendo fermarmi prima di un'altra lega- rispose il rosso.
Zoe sospirò, chiedendosi come facesse l’uomo a tenere il conto dello spazio percorso.
Tuarwaithion mosse lo sguardo su Zoe.
- Stephane, pausa- disse, semplicemente. La ragazza, nonostante non volesse farlo vedere, era esausta.
Stephane si voltò a guardare i due.
- Come volete-. Appoggiò il proprio bagaglio sotto un albero e tirò fuori un pacchetto. Estrasse del tabacco, notando con tristezza che gliene rimaneva poco, e cominciò a girarsi una sigaretta.
Gl’altri due posero la loro roba sul terreno e si sedettero.

Erano al terzo giorno dalla partenza dalla Ithil.
I due avevano concordato con Eglerion un piano per far in modo che potessero infiltrarsi a Nuova Numenor senza destare troppi sospetti.
Avrebbero finto di non conoscersi, arrivati oltre i confini. Stephane si sarebbe presentato alla corte di Salph, la capitale, sotto le mentite spoglie di un maestro di spada. La sua destrezza non aveva pari, ormai, tra gl’uomini dell’equipaggio, ed arrivava quasi a rivaleggiare con quella d’alcuni elfi.
In quel modo avrebbe avuto l’occasione di essere dentro il cuore governativo della nazione e di venire a conoscenza d’eventuali mosse militari.
Tuarwaithion, invece, avrebbe preso posto ad una locanda, offrendosi di pagare cucinando ed aiutando i gestori, così da avere una base all’interno della città. Zoe si sarebbe finta la sorella di Tuarwaithion ed avrebbe condiviso con lui il lavoro.

- Che dite, ci accampiamo qua vicino?- disse Tuarwaithion.
Stephane alzò gli occhi. Stava leggendo una delle mappe disegnate da Castiel ultimamente, confrontandola con una dell’Ithilien che gl’era stata fornita prima di partire. Di questo passo, sarebbero giunti alle Sale di Alastegiel tra due giorni, se non la sera dell’indomani.
- Direi che è una buon’idea, mancherà un’oretta, al tramonto…-.
Zoe s’alzò.
- Andrò a cercare della legna per la cena, allora- disse, calandosi il cappuccio sul capo ed avviandosi tra le fronde alla sua sinistra.
Tuarwaithion e Stephane cominciarono ad accerchiare delle pietre per il fuoco, dopo aver mosso le loro cose un poco più in là dal sentiero.
Il moro si sedé, una volta aver finito.
- Non mi piace la situazione. È troppo pericoloso per lei, Waith- disse Stephane.
- Lo so. Ma è stata una sua scelta. Neanche Eglerion era troppo felice-.
Stephane prese un ultimo tiro dalla sigaretta, prima di gettarla in terra e spegnerla con il tacco dello stivale.
- Dovrò sperare che ci sia qualcuno che venda tabacco, alle Sale. Sperando che sia importato dall’Harad- disse.
- Speriamo. Passami la mappa un attimo, che vorrei vedere di nuovo il nostro itinerario-.
Il rosso passò la cartina all’uomo, che cominciò a scorrere gl’occhi sull’Ithilien.
- Dove intendevi passare il Vallo?- domandò.
- Più a sud possibile, dove i monti sono più bassi-.
Waith sospirò e cominciò ad estrarre ciò che gli occorreva per cucinare.

Dopo aver cenato, i tre discussero brevemente sul da farsi. L’indomani avrebbero avanzato il più possibile, per arrivare alle Sale la sera stessa o, comunque, il più vicino attuabile.
Dopodiché, Stephane estrasse dal suo fagotto uno stocco e lo lanciò alla ragazza.
Zoe guardò l’arma, confusa, poi alzò gli occhi sull’uomo.
- Con questo che cosa dovrei farci? Pelarci le patate?- chiese.
- No, bella. È l’arma in dotazione alle milizie di Nuova Numenor. Non possiamo presentarci là con delle armi elfiche. Poi, io necessito d’allenamento- continuò, estraendo un altro fioretto dai bagagli, - e tu devi imparare a difenderti un po’ meglio. Non metto in dubbio che Waith t’abbia insegnato qualcosa, ma tentare di migliorare non è mai un male-.
- Dovresti vederla lanciare coltelli- intervenne il moro, ricordando la volta che Zoe aveva cominciato a scagliargli contro ogni lama della cucina, perché egli era entrato mentre la ragazza aveva deciso di cambiarsi.
Stephane sorrise.
- Ti sarà utile anche quello, ma ora non c’è abbastanza luce- disse. Poi si mise in posa di guardia, invitando la mora a far lo stesso.
Ella piantò i suoi occhi grigi sull’uomo ed attese. Cominciarono a camminare piano, formando un immaginario cerchio sul terreno.
Improvvisamente, ella tentò una stoccata contro il rosso. Egli scartò di lato e attaccò velocemente. Zoe riuscì a parare per un soffio e fece un passo indietro.
Attaccò di nuovo, incalzando l’uomo. Stephane rimase sulla difensiva, finché non si trovò con la schiena contro un albero. Si ritrovarono in un aggancio, dal quale si liberò facilmente, per poi riprendere spazio, effettuando un ampio colpo davanti a sé.
Il duello continuò. Gli scambi di colpi si susseguivano sempre più feroci, finché la lama di Zoe non volò in aria dopo un’abile torsione del polso di Stephane. Waith la recuperò.
Zoe ansimò e si sedé. Stephane le mise la mano sulla spalla.
- I miei complimenti. Ho fatto male a dubitare di te. Ma dovremmo comunque continuare, le prossime sere-.
- Grazie- ansimò la ragazza. Tuarwaithion le passò un otre d’acqua e le fece bere qualche sorso.
Stephane s’accese una sigaretta sulle braci del fuoco, che cominciò a riattizzare. Poi diede ai due la buonanotte, dicendo a Waith che avrebbe fatto lui il primo turno di guardia.

***

La mattina dopo Waith svegliò gli altri due. Dopo una frugale colazione, si rimisero in marcia.
Non parlarono molto, nel mentre, presi ognuno da pensieri diversi.
Stephane continuava a ripetersi nella mente il piano. Ritenendolo sempre più folle, ogni minuto che passava. Era convinto che non gliel’avrebbero fatta. Ma ciò non lo faceva desistere.
In più, temeva che il passaggio del Vallo sarebbe stato molto più arduo di quanto loro s’immaginassero.
Tuarwaithion continuava, dal canto suo, a preoccuparsi per Zoe. Nonostante egli sapesse di che pasta era fatta la ragazza, nonostante ella stesse dando tutta sé stessa per dimostrare di potercela fare, Waith non era ancora sicuro che l’averla lasciata venire fosse stata una buona idea. Sospirò e si affrettò a seguire Stephane, in cima all’ennesimo colle della giornata.
Zoe arrancò sulla cima, scacciando alcuni pensieri. A differenza degli altri, non vedeva la missione verso la quale si stavano dirigendo come una fredda nube scura, che scendeva verso di loro. Le porte delle Aule di Mandos erano ben lontane.
- Che dite, ci fermiamo un po’?- esordì.
Stephane la zittì con gesto della mano. Poi si voltò, sorridendole.
- Mi sa che ti toccherà metter in atto ciò che hai imparato ieri- disse.
Posò in terra il bagaglio ed estrasse di nuovo le spade. Le avrebbe tenute lui fino al confine, affinché non fossero state di troppo impiccio a Zoe.
Waith, accanto al rosso, aveva appoggiato anche lui il suo zaino per terra, e stava saggiando la corda del suo arco.
I due si spostarono, per mostrare a Zoe il motivo del loro armamento.
Un fuoco era acceso, giù nella valle, circondato da tre figure vestite di verde. Avevano lunghi mantelli, i cui cappucci erano tirati giù. Delle lunghe barbe coprivano le guance dei tre uomini.
- Numenoreani?- domandò la ragazza, seppur conoscendo la risposta.
- Esatto. Waith resterà qui, con l’arco puntato sul collo di quello più a sinistra. Non so se l’hai notato, ma ha un mantello più pesante e decorato degli altri due. Di certo è un superiore. Tu ed io, invece, scenderemo laggiù a disarmarli- disse tranquillo Stephane.
Zoe annuì e prese lo stocco che Stephane le stava porgendo. Waith incoccò una freccia e puntò l’uomo indicato dal rosso, coperto alla vista di quelli dalla boscaglia.
La ragazza ed il suo mentore scesero silenziosamente il pendio. Dopo anni di convivenza con gli elfi, avevano imparato egregiamente l’arte del camminare nei boschi senza farsi sentire. Certo, se i tre raminghi fossero stati sentinelle elfiche, non avrebbero avuto speranze. Ma per le orecchie mortali di quei tre, era come se non esistessero.
Arrivati in fondo, i due cominciarono ad avvicinarsi lentamente, facendo attenzione a non far frusciare i mantelli in cui s’erano avvolti. Stephane si calò sul capo il cappuccio e si coprì naso e bocca con un drappo di stoffa. Ne passò un altro alla ragazza, invitandola a fare lo stesso. Non potevano rischiare, una volta arrivati a Nuova Numenor, di farsi riconoscere.
I due della Ithil erano a pochi metri dai tre uomini, quando si fermarono ad ascoltare i loro discorsi.
- Mi chiedo quando il Re si deciderà a mobilitare l’esercito. Sono stufo di queste incursioni. Per quanto ne sappiamo, potrebbero esserci centinaia di quegli assassini elfici a guardarci, in questo momento-.
Stephane rise tra sé.
- Ah… ma dovresti saperlo, Arcelt, il Re è il Re…- cominciò un altro.
- Il Re è un caprone- lo interruppe Arcelt, stizzoso. Il loro superiore ghignò.
- E se il Re è un caprone, perché siamo qui?- domandò ironico ai due.
- Tu meglio di noi dovresti saperlo, Rabastan. Non sei stato tu a dire che le redini del Regno sono in mano al consigliere Mardion? Non sei stato tu a dire che ci ricompenserà profumatamente, se restiamo più tempo possibile ad esplorare questa terra di stregoneria?-.
Zoe e Stephane si guardarono. Negli occhi d’entrambi si leggeva una grande preoccupazione.
- Al mio tre- sussurrò il rosso.
- Sì, l’ho detto. E sono certo che lo farà, quel bastardo da un occhio solo- stava dicendo Rabastan.
- Uno…-.
- Altrimenti? Che cosa gl’accadrà, Rabastan? Lo metterai alle strette?- rispose il terzo.
- Due…-.
- Fosse l’ultima cosa che faccio, Pavles- disse Rabastan.
- Se non mi paga- continuò, -lo inseguirò fin in capo al mondo, per infilargli questa spada dritta nel…-.

Né i due raminghi, né Zoe e Stephane seppero mai in quale orifizio di Mardion Rabastan avrebbe messo la spada -seppur ognuno di loro aveva una propria teoria-. La frase gli si spense in gola, assieme ad un grido strozzato, mentre una freccia lo colpiva alla spalla sinistra. Zoe e Stephane si guardarono confusi: non era una freccia Noldorin. Lasciarono stare tale questione ed uscirono allo scoperto.
I due raminghi estrassero le spade, ma furono troppo lenti: in pochi secondi furono sopraffatti dall’azione combinata di Stephane, Zoe e di due elfi silvani usciti dalle fronde alla loro sinistra.
Nella radura calò il silenzio.
Stephane osservò le sentinelle, senza smettere di puntare la spada alla gola d’Arcelt. Levò la sinistra, in segno di saluto, per poi levarsi il cappuccio.
- Mae govannen-.
Gl’elfi si guardarono confusi, mentre pure Zoe si calava il cappuccio sulle spalle.
Altri tre elfi, armati di lance, uscirono dalle fronde alle loro spalle. Due di loro avevano degli archi a tracolla, assieme a delle faretre. Tutti e tre erano incappucciati.
Senza una parola, puntarono le loro armi ai due marinai.
- Ma che diamine…?-.
- Sedho- lo zittì uno degli incappucciati. Un’elfa.
Stephane continuava a tenere lo stocco sul collo del numenoreano.
- Vorreste darci una spiegazione?- continuò a domandare Stephane. I due raminghi avevano rinunciato a comprenderci qualcosa, mentre Rabastan restava inerte accanto a loro.
- Man carel le?- domandò di nuovo l’elfa. Che cosa state facendo?
- Heniach nin ae pedin Ovestron?- domandò a sua volta Stephane, sempre più spazientito. Mi comprendi se parlo in Ovestron?
L’elfa, che sembrava avere il comando, lo scrutò da sotto il cappuccio. Poi abbassò la lancia e si levò il cappuccio.
Stephane si ritrovò a guardare due iridi d’un azzurro profondo, poco dissimili dalle sue. Il volto dell’elfa era circondato da una chioma castano rossiccio scura.
- Io sono Manwathiel- disse, -capitano delle sentinelle delle Sale di Alastegiel. Voi due chi siete, così gentili da fare il nostro lavoro-.
- Non sei un po’ giovane per esser capitano?- disse Stephane. Arcelt rise, con l’unico risultato di esser punzecchiato distrattamente dallo stocco del rosso, che stava ancora fissando il capitano.
- Taci, mortale. Portate le armi dei Numenoreani, eppure siete vestiti come se proveniste da Rohan. In più, il vostro amico in cima al colle sta ancora tendendo un arco di chiara fattura elfica. Qual è il vostro proposito qui?-.
Stephane e Zoe si guardarono. Poi lanciarono un veloce sguardo ai due raminghi e tornarono a fissare l’elfa.
- Non possiamo parlarne qui. Ma, - disse Stephane, utilizzando lo stesso espediente di qualche sera prima, - se voi sareste così gentili da condurci nella Capitale, saremmo più che lieti nell’esporvi la situazione. Siamo disposti a consegnar voi tutte le armi che abbiamo, finché non avrete deciso di rendercele-.
Manwathiel sembrò pensarci su. Poi, fece un lieve cenno con la testa ai due elfi che tenevano sott’occhio i due raminghi. Simultaneamente, le else di due spade calarono sul capo dei due Numenoreani, facendo perder loro i sensi.
Stephane porse l’elsa del suo fioretto al capitano, che lo prese senza troppi complimenti. Zoe diede il suo ad uno degli elfi ancora incappucciati. Dopodiché, il rosso aiutò i silvani, caricandosi in spalla Pavles.
- Raggiungiamo il vostro compagno. Poi vi scorteremo alle Sale. La Regina non è in città, al momento, ma son sicura che potrete esporre a me la vostra situazione- cominciò Manwathiel, mentre il gruppo cominciava a salire su per la collina.
In poco tempo arrivarono da Tuarwaithion, che nel mentre aveva raccolto attorno a se il loro bagaglio.
- Tutte le armi sono tra le varie sacche. Tu- disse, rivolgendosi ad uno degli elfi, che portava in spalla il corpo esanime di Rabastan, - dammi quel corpo e portate voi le sacche-. Anch’egli aveva compreso subito la situazione.
Manwathiel gli lanciò un’occhiata veloce, per dopo rimettersi in marcia.
Percorsero in poco tempo il miglio che li separava dalla città, per arrivare di fronte a due immensi battenti.
Manwathiel non bussò, i cancelli s’aprirono di fronte all’elfa senza preavviso.
- Abbiam fatto una buona caccia, vedo…- li accolse una voce sardonica.
- Risparmiati i commenti, Naerwen- rispose il capitano, sorridendo. Detto ciò, si volto verso i tre marinai.
- Vi presento Naerwen, il mio secondo- disse. I tre alzarono lo sguardo, trovandosi davanti un’esile elfa che li scrutava con gli occhi color acquamarina. Aveva la fronte alta e il capo coronato da ricce ciocche castane. Naerwen li salutò con un cenno del capo, mettendosi dopo in marcia in testa al gruppo.
Una volta dentro la cinta muraria, Stephane, Zoe e Waith ebbero occasione di posare gli occhi sulla capitale dell’Ithilien.

A differenza di Eärendil, la capitale di Manwetol, le Sale mancavano dell’austerità, la grazia e la sinuosità che caratterizzava le città elfiche.
Nonostante gl’architetti e gl’artisti avessero comunque dato molto spazio alle curve, nelle sculture e nei Talan, la città manteneva una vitalità non indifferente.
La città intera sembrava sorgere su vari Flet, riportando alla mente i dipinti della gloriosa ed antica Caras Galadhon.
Le strade erano piene di bancarelle, elfi, uomini e donne vendevano le loro merci, Rohirrim ubriachi riposavano accasciati sulle panche fuori delle taverne, scrivani e scrivane offrivano i loro servigi ai forestieri meno colti, suonatori di cetra, flauto e mandolino ravvivavano l’ambiente ai lati delle piazze.
Una giovane fanciulla dalla chioma castana scriveva, seduta ad un tavolo, con un ottavo di rosso accanto al foglio, fuori d’una bettola. Sorrideva, ed il suo sorriso pareva esser contagioso. Dai suoi occhi si leggeva la vitalità preponderante del luogo e la felicità dei giorni e delle notti.
Le guardie pattugliavano le vie a coppie e facevano la ronda sull’estesa cinta muraria, mentre carovane di mercanti provenienti da Ghal, da Minas Duin o addirittura dalla lontana Host, passavano attraverso i cancelli a nord della città.
Il fiume Celebduin passava attraverso la città, dividendola in due. Al centro, costruito su di un isolotto in mezzo al lento fiume, stava il mastio, uno dei pochi edifici in muratura, al centro della seconda cinta, intra moenia.
A causa della grande estensione della città, ad intervalli regolari di cinquecento iarde stavano delle torri d’osservazione di legno, da cui le guardie potevano comunicare con il resto della città tramite segnali luminosi fatti con degli specchietti. In più, oltre a quelli da segnalazione, tutte le torri avevano montato uno specchio più grande orientabile, del diametro di cinque piedi, utilizzato a scopo difensivo.

Il drappello di persone arrivò nei pressi del fiume, per poi svoltare in una stretta stradina. Arrivarono così alle caserme delle Sale.
- Lasciate pure quei due raminghi. Se n’occuperanno i miei uomini- disse Manwathiel, - Naerwen, assicurati che vengano messi in celle separate e controllateli finché non si risvegliano-.
Naerwen annuì e cominciò a dare ordini, dirigendosi con le altre sentinelle verso le prigioni.
Il capitano invitò i marinai a seguirla. Salirono d’alcuni piani, fino ad arrivare sul Talan più alto dell’albero.
L’arredamento era essenziale. Come sui Talan delle sentinelle, sparsi nei boschi, anche su questo si trovava un basso tavolo e vari cuscini. Sotto di uno dei supporti di quest’ultimo, stavano vari rotoli di pergamena e di papiro, mentre alcune penne bianche erano poggiate in una scatola, assieme a calamai e boccette d’inchiostro. Accanto alla scatola spiccava un trespolo, di certo l’oggetto più insolito del Flet, su cui erano appollaiate due colombe bianche come la neve.
Waith guardò i compagni, poi prese parola.
- Mi chiamo Tuarwaithion, i miei compagni sono Stephane e Zoe. Tutti e tre proveniamo dall’equipaggio della Ithil, nave Noldorin proveniente da Manwetol. Partimmo quattro giorni fa da Minas Duin, con il permesso della Somma Thalien. Non mi stupirei se non ve ne fosse giunta notizia, poiché la nostra missione era conosciuta solo alla Regina stessa, oltre che a tre conciliati, Galadhwen, Megildur e Bellrauthien, oltre che al nostro Re e alle persone ai vertici dell’equipaggio-.
L’elfa li guardò, per un attimo pensierosa.
- Ditemi, quali sono i vostri ruoli, sulla nave?- chiese.
- Io sono il cuoco di bordo o, meglio, il capo cuoco. Zoe, è la mia aiutante, mentre Stephane fa parte della guarnigione-.
Con loro gran sorpresa, l’elfa sorrise.
- Direi che tutto combacia. Alba è arrivata ieri, con questo messaggio- disse, riferendosi ad una delle due colombe.
Mostrò loro una pergamena, firmata da Megildur, che la informava dell’eventualità d’un incontro con i tre.
- Quindi? Siamo liberi di andare, lady Manwathiel?- domandò Zoe.
- Prima preferirei che voi tre mi ribadiste il vostro proposito. Secondo, chiamatemi solo Thiel- disse.
Stephane sospirò e cominciò ad esporle il piano concordato, con la promessa che sarebbe dovuto restare tra loro. Nel mentre, Thiel annuiva e scriveva una risposta per il conciliato.
Quando Stephane ebbe finito di parlare, l’elfa fece un fischio. Una delle due colombe volò sul tavolo.
Ella firmò la lettera e la legò alla zampa dell’animale, per poi lanciarlo verso il cielo.
Zoe lanciò un’occhiata a Waith.
- “Melon le, lîn Muinthel”?- sussurrò, sorridendo. Aveva notato la peculiare firma dell’elfa.
Thiel non fece caso ai loro bisbigli, nonostante li avesse sentiti.
- Direi che siete liberi di andare. Prima, però, vi accompagnerei volentieri in cambusa. Sarete affamati, da Minas Duin a qui resta comunque una lunga marcia. Potremmo pranzare e vi farò dare qualche provvista per il viaggio che vi accingete a compiere-.
- Quanto dista da qui il Vallo d’Elessar?- domandò Stephane.
- Più o meno venti leghe, circa le stesse che avete percorso da Minas Duin a qui. Dovrete uscire dai boschi, per l’ultimo tratto, e passare attraverso le piane. Questo, ovviamente, restando nell’Ithilien. Andando più a Nord vi troverete nelle piane di Rohan- disse Thiel, mentre cominciavano a scendere dal Flet.
I tre della Ithil si scambiarono uno sguardo. Improvvisamente, l’attraversamento del Vallo sembrava loro molto più facile.
- Sai dirci per caso dove potremo comprare dei cavalli?- domandò Waith.
- V’accompagnerei io stessa, ma purtroppo i doveri mi chiamano. Dovrò interrogare quei due raminghi e decidere che cosa far di loro e del loro compagno-.
- Mh… sai, dubito fortemente che sia sopravvissuto a quella freccia- disse Zoe.
- Poco male. Sono sicura che gl’altri due sapranno dirci tutto ciò che sanno- rispose l’elfa, cinica.
Stephane la guardò, vagamente incredulo.
- Una freddezza degna di tuo fratello, Thiel- le disse, ironico.
- Siamo in guerra, rosso. Nonostante non sia una guerra aperta, queste incursioni si stanno facendo troppo frequenti. E a Sud del Vallo di Isildur sta accadendo qualcosa- affermò ella.
- In ogni caso, posso farvi accompagnare da Naerwen alla ricerca d’un mercante. Siete stati fortunati ad arrivare proprio oggi, poiché ieri sera è arrivata una delle carovane da Rohan. Sono loro i responsabili di tutto il casino nelle strade- aggiunse con un sorriso.

Dopo che ebbero desinato, Thiel chiamò il suo secondo e la istruì sul suo immediato compito. Stephane, Waith e Zoe seguirono la riccia nelle strade delle Sale, discorrendo sulla strada migliore da farsi.
Vagarono a lungo tra le bancarelle del mercato, chiedendo di tanto in tanto se qualcuno avesse tre cavalli da vendere.
Tre ore dopo il meriggio la loro ricerca s’era rivelata ancora infruttuosa.
Passarono per l’ennesima volta la strada principale della città, ormai stanchi ed assetati.
- Se a voi non dispiace, i miei compagni ed io preferiremmo fermarci per qualche momento- disse Waith, rivolto a Naerwen.
Ella sorrise.
- Allora so io dove andare-.
Li condusse attraverso una strada laterale, per arrivare di nuovo vicini alla cinta muraria.
Di fronte a loro, tra le bancarelle e sotto i Talan, sorgeva una casa. Waith la riconobbe come una delle tante davanti alle quali erano passati entrando in città.
- La “Vite del Sud”. Gode della nomea di peggiore bettola di tutte le Sale. In verità, ha il vino più buono che potreste trovare in questa zona- esordì.
I quattro s’avviarono verso l’ingresso della locanda. Stephane si staccò un momento dal gruppo.
- Vi raggiungo tra poco-.
Ancora seduta, allo stesso tavolo, stava la ragazza che avevano visto scrivere.
L’uomo s’avvicinò alle sue spalle, curioso di leggere qualche sprazzo dello scritto della fanciulla. Sbirciò oltre la chioma della scrittrice, cogliendo qualche parola.

Quegl’impercettibili frammenti di segreti che non hanno fine, quelle cose che non smetterò mai di scoprire, misteri inspiegabili che mai finiranno di attrarmi, di stuzzicarmi, di incuriosirmi.

Inafferrabili istanti,
incomprensibili sguardi,
impenetrabili pensieri”.

Più in basso v’era una domanda, posta forse al foglio o forse al mondo.

And it makes me wonder…
…Or wander?”

 - Siete molto poetica, miss- esordì Stephane, ancora alle spalle della ragazza.
Ella lanciò un grido e si voltò di scatto, rovesciando il bicchiere di vino accanto a sé sul pavimento.
- Voi chi siete?- chiese a Stephane, ancora con il fiato corto.
- Scusatemi, non intendevo spaventarvi. Ero solo curioso di dare un’occhiata al vostro scritto. Sapete, v’ho notata entrando in città e mi sono sorpreso di vedervi ancora qui, ore dopo-.
Ella sorrise e si voltò per raccogliere le pergamene e raddrizzare il bicchiere, ormai vuoto.
- Ho giusto finito. Son felice che vi sia piaciuto, quel poco ch’avete letto-.
La ragazza prese il bicchiere vuoto, per riportarlo dentro.
- Mi dispiace solo per il vino- disse.
- Lasciate che rimedi al danno, signorina…?-.
- Mad. Solo Mad-.
- È un piacere conoscervi. Io mi chiamo Stephane-.
I due entrarono nella locanda e si diressero verso il tavolo dove già stavano Zoe, Waith e Naerwen.
L’elfa sorseggiava del bianco da un calice, mentre gl’altri due sorridevano di fronte ai boccali di bionda che gl’erano appena stati portati.
Stephane presento Mad al gruppo, per poi invitarla a sedere con loro. Dopo di che, fermò una cameriera ed ordino una caraffa di rosso.
- E voi donde arrivate?- domandò Mad ai tre.
- Siamo mercanti- disse Waith. Anche quello faceva parte del piano: a meno che non potessero sicuramente fidarsi di coloro con cui parlavano, avrebbero detto d’esser mercanti provenienti da Rohan.
- Non vedo merci- disse Mad, sorridendo. Naerwen li scrutò da sopra il calice. Anch’ella era curiosa di saperne di più su questi stranieri, non avendo sentito la loro storia.
- Non so se la notizia è giunta fin qui, ma cinque notti fa, un incendio ha devastato il porto di Minas Duin, compresa la nave dove erano le nostre mercanzie. Noi alloggiavamo in una locanda e, una volta vista la situazione, abbiamo deciso di tornare verso Ghal. Per questo ci servono dei cavalli- disse Stephane.
- Comprendo- disse Naerwen.
Poco dopo arrivò anche il rosso ordinato da Stephane. I cinque brindarono, scordando per un momento i propri crucci e discorrendo del più e del meno.
- Mi chiedo quando il Concilio deciderà che cosa fare contro i Numenoreani. Quei tre ch’avete incontrato oggi sono la prova che stanno diventando sempre più sfrontati. Erano ad un miglio dalla capitale, voglio dire…- disse Naerwen, dopo un’ora. I boccali eran vuoti, la caraffa era stata sostituita da una seconda e tutti sembravano più rilassati.
Ma ci voleva più che un po’ di vino o birra a scioglier le lingue a tre marinai della ciurma di Eglerion -un Capitano con troppo sangue nel suo flusso d’alcol-.
- Speriamo nulla di troppo aggressivo- disse saggiamente Mad.
- Concordo. Ma almeno Thiel dovrebbe decidersi a mobilitar di più le sentinelle attorno alla capitale- rispose la riccia.
Il discorso cadde nel vuoto. Waith si voltò verso il bancone ed alzò due dita in direzione della cameriera, sorridendole. Ella non si fece aspettare ed arrivo in poco tempo con altri due boccali di chiara.
- Quanto vi dobbiamo, signorina?- le chiese poi.
La cameriera pose gl’occhi sul tavolo e fece due rapidi calcoli nella sua mente.
- Allora, quattro chiare, un bianco e due caraffe di rosso, son tredici Celeb- disse.
Prima che gl’altri potessero far un mossa, Stephane stava porgendo quindici monete d’argento alla ragazza.
- Tenetevi pure gl’altri due, per il servizio impeccabile- affermò.
La cameriera arrossì ed abbozzò un inchino, per poi allontanarsi con i boccali e i bicchieri vuoti.
- Ma da quando i Rohirrim sono così galanti?- domandò Mad.
- Da quando le belle fanciulle fioccano ad ogni angolo della strada, Mad- le rispose Zoe, tra le risate generali.
Dopo che tutti i recipienti furono vuotati, i tre si rialzarono, assieme all’elfa.
- E' ora che riprendiamo la nostra ricerca. Speriamo di rivederci, prima o poi, Mad- disse Stephane.
Mad salutò il gruppo e li seguì con lo sguardo.

Il sole descrisse il suo corso ed era già basso, quando finalmente trovarono ciò che cercavano.
Il mercante stava per chiudere le stalle con il catenaccio, quando lo fermarono e gl’esposero la loro situazione.
Egli sembrò squadrarli per qualche momento, per poi invitarli a seguirlo nell’edificio.
- A voi, signorina, posso dare Gareth- disse l’uomo, rivolto a Zoe, mostrandole un cavallo snello dal manto grigio.
- Proviene dalle savane dell’Harad, è un animale molto veloce e dal buon cuore- continuò.
Ella s’avvicino al cavallo e pose gentilmente un’esile mano sul suo muso. Il cavallo chiuse gl’occhi e mosse il capo orgogliosamente.
- Potrebbe andare- disse la mora.
- Per voi, signore- cominciò, rivolto a Tuarwaithion - potrebbe andare Frealaf-.
Gli indicò un grande cavallo bruno dal portamento fiero.
Waith s’avvicino al cavallo, che nitrì amichevolmente. Il cuoco rivolse un sorriso all’allevatore.
- Per voi, infine…- cominciò una terza volta.
- Quanto vuole per lui?- chiese Stephane, interrompendolo. Stava indicando un grande stallone che li fissava, dal fondo della stalla.
- Son restio a darlo via. Quello è Guthwine, uno dei migliori cavalli da guerra che si siano mai visti in queste stalle- disse l’uomo.
- Cinquanta Celeb?- domandò Stephane.
- Non saprei…-.
- Sessanta? Sessantacinque?- lo incalzò il rosso.
- Voi mi state veramente tentando…-.
- Settanta? Badate che è la mia ultima offerta- disse.
Zoe e Waith si scambiarono un’occhiata. Doveva tenerci veramente a comprare quel cavallo.
- E sia- cedette l’uomo.

Pochi minuti dopo, stavano salutando Naerwen ai cancelli orientali della città.
- Grazie di tutto-.
- Speriamo di rivederci, alla fine di tutto- disse Stephane.
- Anche perché devo offrirti un calice, se non erro- rispose l’elfa, sorridendo. Nonostante fosse sicura che i tre erano più di ciò che dicevano essere, le erano risultati simpatici fin da subito.
- Non sia mai!- esclamò Waith.
Dopo un ultimo saluto, i tre viaggiatori si misero in marcia, conducendo i cavalli per le briglie attraverso i sentieri nei boschi, tra radici e cespugli.

***

Zoe si stiracchiò, svegliandosi. Poco più in là Waith montava la guardia, avvolto nel pesante mantello, spada alla mano, di tanto in tanto riattizzando il fuoco, ormai ridotto a braci.
- Buongiorno-.
- Ciao Waith. Che cosa c’è per colazione?-.
L’uomo s’alzò e si diresse verso il suo fagotto.
- Lembas, ma lo terrei per dopo… poi… vediamo… ah!- mormorò, rovistando tra le provviste.
- Cosa c’è?-.
- Proviamo le tecnologie Sindarin?- propose Tuarwaithion, estraendo dal sacco uno strumento di metallo somigliante ad una clessidra, di pianta esagonale.
- Che cosa sarebbe quel… coso?!-.
- La nostra amica sentinella me ne ha parlato durante il viaggio verso Minas Duin, dopodiché, ce ne ha fornito uno prima di partire, assieme all’alimento che cucina- spiegò il moro.
- Intendi dire che quella sarebbe una pentola che cucina solo un determinato tipo di cibo? Che spreco- commentò la ragazza.
- Vedremo- disse l’uomo, sorridendo.
Estratte un sacchetto contenente della polvere marrone e ne versò abbastanza da riempire parte dello strumento, che nel frattempo aveva smontato, rivelandone così le tre parti.
Riempì la parte inferiore d’acqua, poi richiuse il tutto e lo pose sulle braci.
- Ed ora s’attende-.
Ben presto, l’aroma del caffè si diffuse tra le fronde degli alberi.
Avevano percorso poche leghe, il giorno addietro, e ancora non sapevano quanto avrebbero benedetto la bevanda, di lì a poche ore.
Ben presto il caffè fu pronto.
Stephane apparve tra gl’alberi, nel momento in cui Waith versava il liquido nelle tazze dei tre.
- Valar se è amaro!- esclamò la ragazza, sorbendone un po’.
- Devi zuccherarlo, dolcezza- le disse il rosso, sarcastico ma sorridente, vedendo la bevanda, già conosciuta nelle piane di Rohan.
Tuarwaithion osservò l’altro.
- Dove sei stato?-. Stephane non smise di sorridere.
- Non lo vuoi sapere- disse.
- Sì che lo voglio, in caso tu abbia trovato qualcosa d’interessante sulla strada davanti a noi-.
Stephane sospirò.
- A dire il vero, dopo averti svegliato per l’ultimo turno, sono tornato in città. La strada non è molto lunga e in un’oretta l’ho percorsa. Dopo tutto il trambusto di ieri, avevo scordato una cosa di vitale importanza- disse.
- Salutare la tua moretta?- interloquì Zoe, vendicandosi della frecciata ricevuta poco prima. Stephane l’ignorò, ma estrasse un pingue sacchetto.
Poi, con tono solenne, declamò:
- Tabacco Haradrim di prima qualità, proveniente dalle foreste pluviali del Sud-.
- Drogato- gli disse la ragazza, ridendo.
- Passami il caffè, su. E quale mora avrei dovuto salutare? N’abbiamo conosciute tre, tutte molto belle-.
Zoe preferì tacere.
In poco tempo, i tre erano pronti a ripartire.
Percorsero altre quattro leghe, quel giorno, avanzando più spediti dopo aver caricato i cavalli con la maggior parte dei loro bagagli. Intendevano raggiungere le piane il prima possibile, per poi raggiungere Rohan e passare attraverso il Vallo da Rohan, anziché attenersi al piano concordato giorni prima.
Alla sera erano quasi del tutto usciti dai boschi. Le radure si facevano più frequenti e l’aria più fresca ed umida, di notte, segno che si stavano avvicinando sempre più alle praterie dell’Est del paese.
Dopo una cena frugale, Zoe estrasse una sorpresa dalla sua sacca.
- Dopo il caffè, per cui dovremo tanto ringraziare Rhavanwen, ho pensato anche io a qualcosa per consolarci, durante le marce- disse.
Mostrò loro una bottiglia, contenente una bevanda ambrata.
- Ma tu come…?- stava chiedendo Waith, osservando la bottiglia, quando Stephane gliel’aveva già presa di mano, stappata e n’aveva bevute due lunghe sorsate.
- Cazzo, se c’era qualcosa che mi mancava, è il Rum!- disse, memore delle razioni di Rum a cui avevano diritto i marinai.
- Eccolo qua, il vero marinaio, - lo rimbeccò Zoe, mentre egli s’accendeva una sigaretta, per poi prender un altro sorso, - volgare, drogato e alcolista-.
- Zoe, dai pace- le disse Waith, dopo aver bevuto anch’egli. Passò la bottiglia alla ragazza.
- Piuttosto, come te lo sei procurata? È uno dei migliori di Manwetol, non proviene di certo dalle nostre dispense- disse poi.
Ella non rispose, ma sorrise e bevve un altro sorso.
Passarono qualche ora a parlare, intorno al fuoco, passandosi la bottiglia di tanto in tanto, pensando a ciò che li aspettava e sperando di arrivare alle piane il giorno seguente.
- Chissà come se la cavano gli altri- disse Stephane, pensieroso.
- Staranno bene, dai. Eglerion si sarà già portato a letto la sentinella, Castiel sarà incinta e Lancaeriel starà sclerando malamente per far restare a galla quella nave- disse Zoe.
Dopo l’ultime risate, decisero d’andare a dormire, in vista della marcia del giorno dopo. Waith prese il primo turno di guardia, dando la buonanotte ai due.

L’indomani, dopo un’altra dose abbondante di caffè e di lembas, i tre si misero in marcia.
Dopo appena un’ora di percorso, uscirono definitivamente dai boschi, trovandosi di fronte ad un’immensa piana erbosa. Ad Est, torreggiava minaccioso il Vallo di Elessar, mentre a Nord non v’era altro che erba, colline, assieme a qualche rara formazione rocciosa.
I viaggiatori montarono a cavallo e partirono sfrecciando attraverso le pianure, in direzione Nord, per leghe e leghe.


 

 

E rieccoci qua, a fine capitolo. Avete visto le Sale, conosciuto qualcuno del posto, visitato la sua bettola migliore e il mercato della città.
Che parto questo capitolo!
Scusatemi se ci metto sempre tempi così lunghi ad aggiornare, ma è stata un’estate un po’ così, tra montagne, Grado, debiti formativi… che poi, questa legge la trovo sempre più inutile.
Sì, ok, non m’è andato bene l’esame. Ma passiamo ai ringraziamenti.
In primis, la mia amica Maddy, che m’ha dato l’ispirazione per le Sale, una sera in cui ero fermo a pensarci, con un solo aggettivo. Non a caso, appare anche lei (infatti, parte dello scritto di Mad è stato scritto da lei, anche se rivendico la paternità della domanda “It makes me wonder… or wander?”, che le è stata molto gentilmente prestata).
Dopodiché, le mie irriducibili lettrici.
@Silvì: per Talia ed Hestia dovrai attendere ancora un po’, che non ho ancora le idee chiare su quando riappariranno, ma almeno ho le idee chiare su chi sono. La battuta, non ho resistito, devo ammetterlo, era perfetta. Quanto al partito Lealista, è passato un annetto, ormai, da quando t’ho detto a cosa mi sarei ispirato per la politica dell’Ithilien (la battuta di Alastegiel nel cap III, la struttura del concilio, l’architettura della sala delle udienze… non ti ricordan nulla?). Meldarion, in questo capitolo non c’era, ma sono certo che avrà il suo spazio quando riapparirà, comunque il miruvor è qualcosa ch’assomiglia più all’idromele che al vino. A proposito, felice che ti piaccia anche Burin, son sempre stato incerto sul suo fato.
@Hareth: eccomi, finalmente. Grazie mille per la pubblicità tramite la tua fic (accanto a Rhi velina appare Lancaeriel in vesti succinte -e dall’aria un po’ contrita, convinta che sia stato Eglerion a sceglierle- che regge un cartello con scritto “Leggete Harma Ondo e Alagos - War, sempre in questa sezione).
Il Rocky Horror è un ovvio omaggio al Zahal Show (se noti, sia lui che Meldarion han la passione per i capi viola). Quando quei due si troveranno sotto le coperte, chiedi? Beh, dipende da quando la smettono di chiedermi l’aumento per fare una scena del genere. Nel mentre ci si consola con le scene d’ubriacatura (loro e tue, Rain, la prossima volta chiama anche me, che così lascio tutto in mano a Zoe, che si sta rivelando molto furba, e vengo a sbronzarmi anch’io. Ah, Eglerion mi dice che sarebbe onorato per l’intervista, c’è solo da trovare il momento). Quanto alle abbreviazioni, come vedi, per Tuarwaithion ho trovato un degno sostituto del nome, che mi suona anche bene, così come per Manwathiel. Quanto a Rhavanwen, non saprei, ci sto pensando in vista dei prossimi capitoli. Non disperare, riusciremo a trarne qualcosa.
Detto ciò, vi saluto, sperando che il prossimo capitolo arrivi in tempi migliori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Cap IX Ciocche Bionde e Ciocche Corvine ***


VII Age Cap IX

Cap IX Ciocche Bionde e Ciocche Corvine

- Eglerion!-.
Zoe n’aveva azzeccata solo una su tre.
Castiel non era ancora in procinto di diventare madre e il Capitano, ahimè, non s’era ancora portato a letto Rhavanwen.
- Sto arrivando! Aspetta un secondo!-.
- Muoviti, che Nimloth sta per dare di matto!-.
D’altra parte, la povera Lancaeriel era decisamente sull’orlo d’un esaurimento nervoso.
- Che cos’ha il mio povero cavallo, adesso?!-.
- A forza di stare con il suo padrone, ha finito per assomigliargli, ecco cosa!-.
- Che cosa intendi insinuare con questo?!-.
Alastegiel osservò, dall’alto del castello di poppa, l’Alto Re dei Noldor correre attraverso il ponte verso la scala di poppa, seguendo le urla del suo secondo.
- Ma quei due son davvero amanti?- domandò a Gelirion, al timone in quel momento.
- Non preoccupatevi, mia signora. Questa è normale routine. E, sì, quei due sono amanti. Per cui non si sposerebbero mai l’uno con l’altra- rispose l’uomo, senza distogliere lo sguardo dall’orizzonte.
- Capisco-.
- Lady Galadhwen s’è ripresa?- domandò poi l’uomo, riferendosi alle condizioni in cui verteva la politica durante quei cinque giorni di viaggio passati.
- Inizia a star meglio, forse stasera riusciremo anche ad avere la sua compagnia per cena. Povera elfa, non è fatta per le navi- disse sorridendo la Regina.
L’elfa s’alzò.
- Meglio che vada in cucina. È quasi il meriggio, tra poco sarà tempo di mangiare. Chissà se Rhavanwen mi darà una mano, oggi-.

Insomma, la situazione, sulla Ithil, non era delle più rosee. Lancaeriel ed Eglerion avevano aumentato esponenzialmente il numero dei loro battibecchi. La Regina, nello stupore generale e dopo molte insistenze da parte di quest’ultima, aveva gentilmente preso il posto di Waith in cambusa, talvolta aiutata da Rhavanwen o dal nano Burin. Galadhwen aveva scoperto a sue spese (e a spese di Rhavanwen, con cui condivideva i quartieri) di soffrire di mal di mare. Castiel e Meldarion non avevano ancora fatto parola con nessuno dell’ultima visione di lui. Ella, dal canto suo, continuava a tartassarlo di domande, convinta che la rossa apparsa fosse una sua vecchia conoscenza. Gelirion, infine, riusciva a mantenere il contegno dietro ad una maschera di stoicismo, con cui accoglieva ogni disgrazia.
Se questi son cinque giorni, spero proprio che le città della sponda occidentale si mostrino presto, si disse il timoniere, vedendo la sentinella svuotare l’ennesimo secchio fuori bordo.
- Raich!- imprecò quest’ultima. Un improvviso rollio della nave le aveva fatto versare metà del secchio sul ponte.
- Castiel!- chiamò il timoniere. L’elfa alzò gl’occhi dalla carta che stava consultando per l’ennesima volta.
- Prendi tu il timone, che laggiù c’è bisogno d’una mente razionale, prima che questa nave vada a fondo definitivamente- disse, sorridendole. Ella ricambiò con un sorriso mesto.
Gelirion scese dal castello di poppa e s’avvicinò alla Sindar.
- Come va? Sembra che ti serva una mano-.
- No, tranquillo, basta che mi dici dove trovare qualcosa per lavar via questa schifezza dal ponte- rispose la sentinella, voltandosi.
- Sinceramente, tu sembri aver necessità di un po’ di sonno, più che altro-.
Ella non si trattenne.
- È impossibile, son tre notti che non dormo! Ed in quella stanza è impossibile anche respirare, ormai! Mi dispiace per la Ithil, ma penso che l’unico modo per togliere l’odore ormai sia un rogo purificatore-.
- Vedrò cosa fare una volta raggiunta la costa Ovest. Se vuoi una stanza meno odorosa, puoi usare uno dei letti di Waith o Stephane. Le lenzuola sono pulite ed io non entrerò fino a stasera in quella stanza, quindi hai tutto il tempo che vuoi- le disse, porgendole una chiave.
- Gelirion, batti per gentilezza persino il più nobile degl’elfi- rispose ella, mostrandogli un sorriso a trentadue denti.
Felice di potersi finalmente liberare delle occhiaie, Rhavanwen si diresse verso i quartieri del timoniere, pronta a dormire.
Gelirion sospirò e, armatosi di ramazza e santa pazienza, cominciò a togliere il vomito della politica dal ponte della Ithil, sotto lo sguardo divertito di Castiel.

- Mandos, che cos’hai contro di me? Per quale dannato motivo continui ad essere così criptico?-.
Meldarion si abbandonò sulla sedia.
Aveva già discusso un’altra volta con Eglerion, il giorno prima, quando questi s’era accorto della mancanza di una bottiglia di Miruvor e di una di rum, nel suo armadietto etilico. Aveva deciso di prendersi la colpa anche per quello, non voleva che la povera Zoe c’andasse di mezzo. Per di più, una visione della cavalleria numenoreana che caricava una falange elfica l’aveva tormentato, la stessa sera.
In quel momento sedeva, solo, nel refettorio, davanti ad un boccale di birra ch’aveva spillato da una delle botti caricate a Minas Duin.
Il pranzo era passato e la nave continuava ad avanzare, nella corrente dell’Anduin. Ma mancavano parecchie miglia al punto in cui sarebbero approdati.
Osservò il liquido scuro nel boccale, prima di vuotarlo.
Una voce fioca lo fece voltare.
- Di solito non si beve in compagnia?-.
Una pallida Galadhwen avanzava a passi malfermi attraverso il refettorio. Meldarion si alzò ed andò ad aiutarla.
- Vedo che vi sentite meglio, Lady- le disse, dopo che si furono entrambi seduti.
- Sì, più o meno. Non sono proprio fatta per le navi-. Meldarion le sorrise.
- Dopo il settimo giorno di solito sparisce, fidatevi- le disse.
- Comunque, devo dire che resta una gran bella nave, la Ithil. Non avevo mai visto qualcosa del genere. Anche quando dovetti andare nell’Harad, qualcosa come cent’anni fa, ho viaggiato su qualcosa che assomigliava più ad una chiatta-.
- Chiatte in quel tratto di mare? Avete decisamente un bel coraggio- commentò il moro, rimuginando sulle parole della dama.
Continuavano a fargli venir in mente un Qualcosa, che sembrava irraggiungibile.
- Anche in quel frangente il viaggio fu una vera esperienza- disse l’elfa, perdendosi nei ricordi.
Meldarion tacque, continuando a cercare nella sua mente.
- E voi, perché siete qui solo?- domandò la fanciulla.
- Beh… la mia compagna è al timone, al momento. Ieri ho discusso con il Capitano ed ora affogo i pensieri- disse, accennando al boccale.
- Comprendo… e come mai avete discusso?-.
- Nulla di tale, tempeste di sabbia e bottiglie che scompaiono- le disse, sorridendo. Poi si rese conto.
Tempesta di sabbia, Harad, un secolo prima.
- Dunque siete voi!- esclamò.
- Come prego?-.
- Ora ho capito dove avevo udito il vostro nome prima. Siete voi che avete incontrato Eglerion nell’Haradwaith, un secolo fa!-.
- Ne aveva parlato?-.
- Sì… insomma, non molto, ma si capiva che qualcosa era successo, in quella settimana in cui era stato dato per disperso-. Ella arrossì.
- Cantava odi alle dame dalle chiome corvine… avreste dovuto vedere Lady Lancaeriel-.
- Era gelosa?-.
- Abbastanza. Al tempo era molto più legata, solo negl’ultimi decenni hanno definito il loro rapporto-.
- Comprendo-.
Ci fu una pausa silenziosa.
- Non sarei troppo indiscreto, se vi chiedessi di narrarmi che cosa accadde?- domandò poi Meldarion.
- Oh Valar… è passato un sacco di tempo… però se proprio lo volete, potrei raccontarvi la storia dal mio punto di vista-.
Galadhwen si sistemò sulla panca e cominciò a narrare.
- Erano passati solo sei mesi dalla Dagor Ram, la battaglia del Vallo, in cui la nostra Regina si guadagnò l’appellativo di Intrepida. Avevamo subito molte perdite, nonostante la vittoria, e i Maethor -il partito guerrafondaio dell’Ithilien- insistevano che qualcuno andasse in cerca dei disertori del nostro schieramento.
Non ricordo perfettamente le peripezie politiche e dialettiche che mi misero al comando della spedizione, fatto sta che il giorno della partenza ero là, sulla costa meridionale dell’Ithilien, in armatura e con un battaglione di quattrocento elfi, tra picche, spade, asce ed archi-.
Meldarion annuì, visualizzandosi il battaglione nella mente.
- Decisi di lasciarne metà a guardia delle chiatte, assieme ad uno dei miei migliori capitani, e di condurre io stessa l’altra metà delle truppe.
Marciammo per giorni attraverso pantani, paludi e giungla ininterrotta. Ringrazio Eru che gl’Eldar non possano ammalarsi, altrimenti avrei perso chissà quanta gente, in quella zona. Certi insetti che non ti dico, mi meraviglio ancora che le punture siano andate via, altrimenti avremmo avuto duecento elfi butterati-. Meldarion rise, seguito dalla conciliata.
- Poveracci, non li vedo proprio, duecento elfi butterati. Ma, ti prego, va’ avanti- commentò il moro.
- Al quinto giorno senza aver trovato nessuno, cominciammo a meditare di tornare indietro. Probabilmente tutta la spedizione era stata organizzata dai Maethor in modo che io non potessi essere sulla scena. Bellrauthien è più bravo di me, quanto a nozioni di politica, ma in quei mesi si stava compiendo la mia ascesa e probabilmente avranno ben pensato che sarebbe stato utile togliermi dalla scena per un po’-.
- È così meschina la politica, nell’Ithilien?- domandò Meldarion.
- Purtroppo sì. Spesso ci son lotte interne tra i partiti, anche dello stesso schieramento-.
- Allora son felice del nostro Capitan Etilico e dei suoi metodi di governo, sinceramente-.
Galadhwen sorrise e continuò il racconto:
- All’alba del settimo giorno fummo attaccati. I numenoreani ci superavano di numero ed erano assistiti da una fiera tribù di Mahud, gli Haradrim delle zone più a Sud.
Sopraffacemmo molti nemici, ma era inutile. Il sangue bagnava la foresta, l’aria era pesante per l’umidità, il caldo insopportabile. Molti non fecero neanche in tempo a raccogliere le armi che le frecce dei mori li avevano già trafitti. Chi ebbe il tempo di mettersi l’armatura, fece uno dei più grandi errori: il caldo e l’umidità, aggiunti al peso dell’usbergo rendevano ancora più difficile combattere.
Dopo poco tempo il muro di scudi cedé, gl’arcieri si trovarono senza nulla da scagliare. I nostri nemici avevano usato bene le loro conoscenze riguardo al territorio e ci ritrovammo circondati.
Io stessa mi trovai in una selva di lance e fui costretta alla resa.
Uccisero tutti i sopravvissuti tranne me. Forse speravano di utilizzarmi come ostaggio per invadere l’Ithilien-.
Meldarion si alzò e versò della birra in due bicchieri.
- Forse non sarà un toccasana per il tuo stomaco, ma son certo che ti ridarà un po’ di colore- disse.
- Come?-.
- Sei più pallida di prima- disse Meldarion.
- Non preoccuparti, è la mia carnagione- disse.
Bevve un paio di sorsi e continuò a parlare.
- Mi portarono al loro accampamento, a poche miglia di distanza, ai margini  del deserto.
Quella sera fu una delle peggiori della mia vita. La maggior parte degli uomini s’ubriacò, e venne il momento in cui mi tirarono fuori della tenda. Mi spogliarono, pronti a lanciarsi su di me uno dopo l’altro.
Ma, come il primo dei numenoreani s’accingeva a violentarmi, due frecce lo trafissero. Una al collo e una tra le gambe-.
- Poco dopo apparve.- disse ella, - Un elfo dalla capigliatura dorata, che combatteva con furia contro tutti quegli uomini. Mi pareva d’aver di fronte un eroe delle antiche leggende, pensavo d’aver incontrato l’ennesima reincarnazione di Glorfindel o di Fingolfin. Quando l’ultimo degli uomini cadde, sotto la sua lama, s’avvicinò a me-.
Si fermò un momento, a ricordare la scena, per poi riprendere a narrare:
- La sua espressione era mutata, da quella di fredda ira ad una di notevolmente calda gentilezza. Mi porse i vestiti che m’erano stati tolti e mi chiese se stavo bene.
Attese ch’io mi fui rivestita e mi fece cenno di seguirlo.
Poco più in là trovammo il suo cavallo, assieme ai suoi bagagli. Fu solo in quel momento che si presentò. Mi parlò in Ovestron.
“Mi chiamo Eglerion” disse.
“Io sono Galadhwen”.
“E che cosa ci faceva un’elfa così bella nelle mani di quegl’uomini?” mi domandò-.
- Sempre il solito. Se può far un complimento, non si trattiene- commentò Meldarion.
- Gli feci un riassunto di ciò che m’era capitato da quella mattina fino a quel momento. Non domandò altro.
Semplicemente, mi fece salire sul suo cavallo e lo diresse verso Est.
“C’è un’oasi, più avanti, se non ricordo male. Mi sembra il posto migliore dove passare il resto di questa notte”.
Cavalcammo per un’ora o poco più, sotto le stelle di Varda in pieno deserto, finché non arrivammo in una macchia di vegetazione.
Lì scese e condusse l’animale a piedi, dicendomi di restare in sella. Poco più avanti v’era un lago, da cui partiva un fiume.
“Questo” disse, “è il Duin, il Fiume. Parte da qui, luogo di comunione tra Yavanna, Ulmo ed Aule, per poi correre verso Nord. Ci sono vari punti in cui s’inabissa, più avanti nel deserto, ma sbocca comunque nel grande Mare, dopo esser passato attraverso il Santuario d’Ulmo”.
“Come prego?”.
“Il Santuario d’Ulmo. Non ne avevi mai sentito parlare?”.
“No”.
“È uno dei templi dei grandi di Arda. Esistono da molte ere, ormai. Una volta erano la culla della magia elementale, ma dopo il cataclisma ne sono rimasti solo due, qui nell’Haradwaith: quello di Ulmo e il Santuario di Varda, sulla costa più a Nord-est”.
Ascoltai in silenzio le sue parole.
È strano come tutto sia collegato. Solo pochi giorni fa il menestrello di corte c’ha narrato un’antica leggenda che accenna anche all’esistenza di questi templi. Ma, se non avessi visto il Santuario di Ulmo con i miei occhi, dubito che avrei creduto ad ogni singola parola, sia di Eglerion, sia di Merilairon.
Tralasciando la parentesi, campeggiammo in quell’oasi, per quella sera e per maggior parte del giorno dopo. Non che fossimo tanto stanchi, ma Eglerion non accennava a partire, la mattina dopo, ed io accolsi con gioia il riposo, dopo i giorni di ricerca- disse l’elfa.
Meldarion annuì. Peccato non ci sia un Santuario di Mandos, pensò, forse lì riuscirebbero a chiarirmi le idee. Scacciò tali pensieri, per tornar ad ascoltare la politica.
- Sul calar della sera, egli s’allontanò dicendomi qualcosa riguardo alla cena.
Tornò poco dopo con un paio di conigli, che furono la nostra colazione e cena nello stesso momento.
A fine pasto raccolse la sua roba e mi guardò.
“Io seguirò il corso del Duin, fino alla costa. Tu sembri aver bisogno d’aiuto. Vuoi venire con me o preferisci tornare indietro in cerca dei tuoi compagni?”.
Decisi che sarei stata certamente più al sicuro, con lui, anche perché avevo perso le mie armi nella lotta e di certo non sarei tornata a cercarle. Cavalcammo a lungo, quella notte, seguendo il corso del fiume -che poi era poco più d’un ruscello, nonostante il nome così altisonante- fermandoci a metà d’una larga ansa di quello. Ormai cominciava ad albeggiare-.
- Viaggiavate di notte, quindi. Ecco perché le vedette non riuscivano a vedervi-.
- Come?-.
- Dopo la tempesta di sabbia, noi ci dirigemmo ad Alas, una città Haradrim poco più ad Est dell’ansa del Fiume. Rimanemmo là tre giorni, nei quali le nostre vedette scrutarono il Duin in ogni suo singolo miglio, dalle torri di Alas. Poi, perdemmo la speranza e ci muovemmo verso Kadura, a Nord-Est- disse Meldarion.
Galadhwen annuì. Eglerion insisteva per viaggiare di notte per evitare incontri con Numenoreani che, nella sua opinione, erano ancora in giro per quelle contrade. Oltre a ciò, il caldo del giorno desertico lo patiscono anche gli elfi, purtroppo per loro.
- Eglerion scese da cavallo e si voltò verso di me.
“Se hai freddo, dimmelo. Ho una coperta e non esiterei a dartela, per le traversate notturne” mi disse.
La sua premura nei miei confronti gl’aveva fatto dimenticare che gl’elfi non provano il freddo. Glielo ricordai, poco dopo. Mi sorrise, per la prima volta in quel paio di giorni.
“Vedi che cosa accade, a preoccuparsi troppo?” mi disse. Ridemmo.
Mangiammo del Lembas per “cena”, se così la si può chiamare, parlando un po’ di tutto. Gli chiesi da dove veniva e che cosa ci facesse nell’Harad, ma mi disse soltanto che proveniva da Manwetol. All’epoca ero vagamente a conoscenza della sua esistenza, per cui gli chiesi di narrarmi qualcosa di più sull’arcipelago. Mi parlò a lungo della storia di esso e di come Tegalad costruì il suo reame negl’anni successivi alla catastrofe, sulla falsariga degli antichi reami come l’Hithlum.
“Devi conoscere veramente bene il Re, se sai tutte queste cose” gli dissi, ad un certo punto.
“Certo che lo conosco. È mio padre” mi disse, sorridendo.
Rimasi interdetta, per utilizzare un eufemismo-.
- Sempre il solito, Eglerion. Preferisce che gli altri non sappiano chi egli sia veramente, prima di conoscerli. Un’eccezione è stata la nostra amica sentinella, ma penso che gliel’abbia detto solo per istinto di sopravvivenza- disse Meldarion. Ella confermò, per poi ricominciare a parlare.
- “Quindi tu…?" chiesi.
“Sì, sono l’erede al trono… e anche l’unico, purtroppo”.
“Perché “purtroppo?”.
Non rispose, ma fissò le dune per qualche momento.
“Splendido spettacolo, non trovi?” mi disse, riferendosi al sole, che in quel momento si stava alzando sopra le dune più grandi.
Decisi di non ritornare sul discorso di prima. Solo qualche giorno fa seppi che, in quel momento, era già Re.
Quella giornata la passai meditando, mentre Eglerion, dopo avermi esposto le sue teorie sull’inutilità e i danni della trance elfica, si stese sulla sabbia e passò il tempo russando, svegliandosi solo di tanto in tanto per chiedermi come stavo.
Verso l’imbrunire mangiammo e ripartimmo, pronti ad un’altra notte al galoppo-.
- Che atmosfera romantica- disse Meldarion. Galadhwen sorrise.
- Devo ammetterlo, lo era molto, tra le albe e i tramonti, le stelle, le sabbie e l’aria stessa. Ad ogni modo, le sabbie correvano sotto i piedi del destriero, ed Eglerion era ben attento a seguire il corso del Duin, la nostra unica risorsa d’acqua. Dopo poche ore, però, egli fermò il cavallo, in vista d’un’altra oasi.
“Qui il fiume s’inabissa e non riemerge per miglia. Potremmo anche fermarci qui, per le poche ore di buio rimasti e per domani. Poi riempiremo le otri e continueremo. Di questo passo raggiungeremo il Santuario dopodomani, se i miei calcoli sono esatti” disse. Annuii e scendemmo dal dorso dell’animale.
Anche qui il fiume formava un lago, profondo solo poche braccia. S’inabissava poi in un pertugio sul fondo petroso, per cui passava una violenta corrente, pericolosa per chi decideva di sfidarne le acque.
“Puoi farti un bagno, se vuoi. Attenta solo a non andare troppo al centro del lago. Io caccerò qua intorno, ma, tranquilla, non ho intenzione di spiarti. Poi, penso tu mi sentirai, al mio avvicinarmi” mi disse. Colsi la sincerità, nelle sue parole.
Attesi che si fosse allontanato abbastanza, per poi spogliarmi e immergermi nell’acque del lago.
Rimasi ammollo per ore, o almeno così mi pareva, mentre intorno a me cominciavano a vedersi le prime luci ed il cielo s’ingrigiva, prima di diventare azzurro.
Uscii dall’acqua -nuda- per dirigermi verso il mio bagaglio-.
- Rischioso, però-.
- Mi fidavo di Eglerion, in quel momento. Dopotutto, m’aveva già vista senza nulla addosso, no?-.
Meldarion non rispose, ma ridacchiò, invitandola a continuare.
- Estrassi una veste ed una busta di cuoio, che giaceva in fondo al fagotto da troppo tempo.
Mi asciugai le mani e mi procurai una foglia di tabacco, che cresceva selvatico nei dintorni. Dopodiché mi dedicai al rollo della sigaretta. Trovai un’esca e riuscii ad accendere una fiammella da delle foglie secche, raccattate là attorno. Mi accesi la sigaretta e tornai nell’acqua.
Mi stavo godendo la mia Falchonlass quando sentii un trambusto alle mie spalle. Era Eglerion che tornava con qualcosa da mangiare e stava facendo più rumore possibile, per avvertirmi.
Sentii la sua voce chiamarmi e parte di me mi suggerì d’asciugarmi e rivestirmi. Ma me ne fregai altamente. Stavo così bene in mezzo a quell’acqua, e gli effetti della foglia stavano pian piano rilassando la mia mente.
Quando arrivò, si stupì di trovarmi ancora nel lago.
“Galadhwen, ancora lì?” mi domandò, con una punta d’ironia.
Mi coprii il seno con un braccio e mi voltai a guardarlo.
“Sì. Perché non ti unisci a me?” gli domandai-.
- Molto ardita. Devo ritenere quella domanda effetto della Falchonlass?-.
- No. Ho un lucidissimo ricordo delle mie intenzioni. La sua gentilezza mi aveva fatto sciogliere, come direbbe una ragazzina di Rohan, e sentivo un prurito dalle parti dell’inguine ogni volta che sorrideva, che mi trattava gentilmente o, semplicemente, mi guardava, con quegli occhi, profondi come il mare aperto- disse la ragazza. Meldarion non diede voce al suo pensiero sul ripetersi dei paragoni sul mare.
- “Mi prendi in giro? Su, esci fuori e rivestiti, che tra un poco preparo la cena. Tranquilla che non ti guardo”.
“Oh, ma io voglio che tu mi guardi” pensai.
“Come?”.
Il mio pensiero era risuonato nella sua mente, che io lo volessi o meno. Piuttosto, direi che il recondito di me, liberato da quella situazione, lo voleva eccome, ma non l’avrei mai detto così sfacciatamente.
Ma, poiché ormai sapeva, decisi d’ardire ancora di più. Tolsi il braccio che mi copriva il petto e lo guardai negli occhi, tirando un’altra boccata e buttando fuori l’ultima voluta di fumo, per poi buttar il mozzicone lontano, nel centro del lago-.
- Alla faccia della Femme Fatale!- esclamò Meldarion. Entrambi gl’elfi risero di gusto.
- Sì, quella penso fosse la Falchonlass. Ad ogni modo, non ero mica contenta.
“Ancora non ti muovi?” gli urlai.
Mi alzai. L’acqua mi lambiva le ginocchia, per cui non lasciai nulla alla sua immaginazione.
Egli non distolse lo sguardo dalle mie iridi.
Lentamente, si avvicinò. Mi strinse in un abbraccio e mi baciò.
Non ti racconto i dettagli di ciò che accadde dopo, ti basti sapere che eravamo entrambi nudi, nelle acque basse del lago. Ciò ti dovrebbe far capire che, di certo, non stavamo parlando di filosofie o della storia della nostra vita- disse l’elfa.
- Ah! E io che pensavo avreste parlato proprio di quei due temi!- esclamò Meldarion.
Galadhwen fu lieta ch’egli sdrammatizzasse l’argomento.

- Quella sera ripartimmo, entrambi con un sorriso ampio ed il cuore più leggero.
Arrivammo in quei due giorni al Santuario d’Ulmo. Ci fermammo a poche centinaia di metri da esso.
“Qui termina il nostro viaggio assieme, Eglerion” gli dissi, triste. La sera prima, le dune sabbiose erano state le testimoni al nostro amore, come le acque del lago il giorno ancora prima.
Mi guardò, mesto.
“Capisco. Devi tornare alla tua terra. Ci sarà qualcuno ad aspettarti, immagino” mi disse. Non pareva ferito, nei sentimenti -o, almeno, non lo dava a vedere-, piuttosto, era malinconico-.
- Tipico d’Eglerion. Non vuole far pesare sugl’altri la propria tristezza, ma preferisce tenerla per sé. Solo con pochi si confida-.
- Capisco. Comunque, mi parlò ancora.
“Son felice d’averti conosciuta, nìn hiril” disse.
“Non è come credi. Non c’è nessuno. Le malelingue, ormai, dicono che ho sposato il mio lavoro. E forse hanno ragione, perché è per quello che devo tornare. I Gwannen Moth hanno bisogno d’aiuto, e devo esser io a darglielo. Questi giorni con te mi son sembrati la vita di un’altra”.
“Forse perché eri un’altra, in questi giorni. E adesso stai tornando colei ch’ha sposato la sua causa. Per cui posso solo dirti vai, Galadhwen. Capisco quanto tu abbia a cuore ciò in cui credi, ma non scorderò mai questi giorni. Fammi solo un favore: ricordali anche tu e, se mai ci rivedremmo, siine felice”.
Mi baciò un’ultima volta, alle ultime luci di Anor. Ci staccammo e mi disse solo una parola:
“Ricordami”.
Poi, salì sul suo cavallo e si diresse verso Est, mentre io volgevo i miei passi verso il santuario, sperando di trovare aiuto. Ma di ciò non m’è lecito parlare, per cui il mio racconto termina qui.

Meldarion guardò la conciliata da sopra il boccale.
- Soddisfa la tua curiosità?- chiese Galadhwen al moro, sorridendo.
- Si riunì a noi due giorni dopo. Ci disse che aveva ricevuto asilo nel Santuario e null’altro. Mi chiedo solo il perché di quel “Ricordami”- rispose egli.
- Mi sono interrogata a lungo anch’io su questo. Penso sapesse che non avrebbe potuto funzionare, ma voleva solo ch’io ricordassi la felicità provata in quei giorni assieme a lui, nonostante tutti i diverbi politici ed il mio lavoro-.
- Probabilmente è così. Altrimenti, penso avrebbe rivolto la prua della prima nave verso Ovest, non appena gli sarebbe stato possibile. Non l’ha fatto perché sapeva di dover passare avanti-.
I due rimasero silenti, a meditare sulle ultime parole, finché Meldarion non riempì di nuovo i due boccali.
- Non c’è due senza tre, si suol dire- disse, offrendo un bicchiere alla dama.
Ella rise.

***

Eglerion sospirò.
S’accese la sigaretta con un fiammifero e rimase in piedi pensoso, sul cassero di poppa. Il mare era liscio come l’olio. Prese un paio di boccate, tenendo fermo il timone.
Anche quel giorno era giunto alla sua fine.
Osservò la posizione di Valacirca e corresse di qualche grado la direzione della nave.
La Luna non c’era, quella notte. Ma le stelle facevano sì tanta luce da esser sufficienti.
- E resto solo con i pensieri miei…- mormorò Eglerion, citando una vecchia canzone.
Continuò a canticchiare, con i pensieri che s’inseguivano nei meandri della mente.
E lui? Che cosa voleva?
La fredda aria notturna gli lambiva il volto. Degli occhi smeraldini erano ben fissi nella sua mente.
Erano cinque giorni che non riusciva a parlarle per bene, come qualche tempo prima. Sempre a correre da una parte all’altra della nave, per evitare ch’essa affondasse.
Oggi l’aveva vista solo a pranzo, per quanto era preso a far su e giù.
Sospirò di nuovo.
Non riusciva a levarsela dalla testa.

Vide una figura solitaria attraversare il ponte.
- Ehi! Vieni qua un secondo!- abbaiò. Oltre ai pensieri per la sentinella, era ancora irritato con Lancaeriel, che gli aveva sbraitato contro tutto il giorno. Dannata la mania di quell’elfa sul voler tener alte le apparenze.
La persona si avvicinò, rivelandosi essere Alastegiel.
- Oh, scusatemi, vi prego. Non volevo rivolgermi in così malo modo a voi, ma è una giornata tendente allo storto-.
- Non è un problema, Eglerion. E basta con questi titoli, che cominciano a stufarmi- rispose ella, aprendosi in un ampio sorriso. Egli ricambiò, riconoscente.
- Senti, puoi farmi un favore?-.
- Dimmi pure-.
- Potresti tener il timone fermo in questa posizione, mentre vado a gettare l’ancora? Preferirei fermarmi, stanotte-.
- Sicuro-. La Regina prese il timone, tenendolo saldo, mentre Eglerion s’allontanava sottocoperta.
Pochi minuti dopo l’elfo biondo riapparve sulla tolda.
- Ti ringrazio sentitamente. Ci son certe notti in cui si rischia d’addormentarsi sulla ruota- disse, accendendosi una seconda sigaretta.
- Ti dispiace?- domandò alla Regina, indicandole il tabacco.
- No, anzi, ne avresti una? Non son riuscita a procurarmi del tabacco, prima di partire-.
Eglerion sorrise e le porse quella già accesa, mentre se ne girava un’altra.
- E così, anche tu presa da questo vizio- disse.
Ella annuì.
I due sovrani si appoggiarono alla balaustra a poppa, dove giorni prima Gelirion aveva trovato Rhavanwen.
Alastegiel ruppe il silenzio.
- La nostra politica sembra si stia riprendendo. O, meglio, l’ho vista parlare con Meldarion, questo pomeriggio, nel refettorio-.
- Capisco. Povera lei… per fortuna tra non molti giorni dovremmo arrivare alla costa occidentale-.
Fumarono, silenti, finché Alastegiel non fece una domanda.
- Tu la conoscevi già, giusto?-.
- Sì, la conobbi un secolo fa. Nell’Haradwaith- tagliò corto Eglerion.
- Non ti vedo troppo propenso a parlarne- commentò l’elfa.
Il Capitano sbuffò.
- Sapevo che sarebbe stato doloroso lasciarla. Ma l’ho fatto, perché si vedeva che aveva più a cuore il suo lavoro che me. Avrebbe sofferto per l’inedia, a restare con me-.
- Sarebbe diventata Regina di Manwetol, però- gli fece notare Alastegiel.
- Seh… allora avrebbe divorziato da un lavoro per sposarne un altro, lasciandomi nel mezzo. A ben pensarci sarebbe stato più doloroso restar con lei-.
- Direi che hai fatto bene, allora. E di Lancaeriel che mi dici?-.
- Te l’avran detto. Siamo solo amanti, nel senso che ci siam l’uno per l’altra, ma non ci sposeremmo. Può sembrare strano, forse immorale, ma non importa. Quell’elfa si merita molto meglio di me-.
- E tu chi ti meriteresti?- domandò Alastegiel.
Eglerion prese un paio di boccate, mentre pensava alla risposta.
- Nessuna. Non sarei degno neanche d’una contadina del Rhovanion-.
- Perché sei così duro con te stesso? Fidati che non è vero-.
- Mah… con il carattere che mi ritrovo sarei un pessimo marito-.
- Il carattere che ti ritrovi ha conquistato Galadhwen, che aveva da tempo preso il lavoro per marito-.
- È un po’ diverso. Penso che anche tu saresti molto grata se io t’avessi appena salvato da un’orda di uomini che stava per stuprarti-disse Eglerion.
Alastegiel sorrise.
- Devo darti ragione, ma non esser così disilluso. Avrai sicuramente una qualità che ti farà piacere-.
- Mh… l’essere fin troppo premuroso non la calcolerei come qualità- disse egli.
- Che cosa intendi dire?-.
Eglerion le narrò dell’episodio della coperta, nell’Harad con Galadhwen. Entrambi risero.
- Ah, ma io sono certa che c’è un’elfa che accetterebbe con piacere tutte le premure che le dai, essendo abituata ad una famiglia fin troppo dura con lei- disse Alastegiel, sibillina. Eglerion le sorrise.
- E tu, invece? Hai intenzione di donare l’Ithilien d’un regal consorte?- chiese il biondo.
- Non c’ho mai pensato. Nessuno di coloro che conosco, però, m’ha colpito a tal punto- rispose la Regina, brevemente. Eglerion comprese che non era il caso d’insistere.

Fu così che i due si conobbero veramente, continuando a parlare per la durata di quella notte, osservando le stelle, dissertando e domandando, finché il Sole non sorse ed il pacco di tabacco fu finito; fu così che divennero come fratelli.

- Fame?- domandò poi Eglerion. Doveva esser passata mezz’ora dall’alba.
- Abbastanza. Direi d’andare a frugare in cambusa- rispose ella.
I due si diressero verso le dispense, tentando di far meno rumore possibile.
Rumori d’acciaio che strideva provenivano dalle armerie dei ponti sottostanti.
Si stupirono non poco di trovare Rhavanwen già sveglia, seduta davanti ad una tazza di caffè fumante.
- Buongiorno, mia signora, buongiorno, Capitano- li salutò, vedendoli. O, biascicò, più che altro.
- Altra notte in bianco?- domandò Eglerion.
- Mio malgrado. Lady Galadhwen non ha avuto malori, durante stanotte, ma ho preferito restar sveglia a controllare-.
- Capisco-.
Rimasero in silenzio, mentre la sentinella si abbandonava di nuovo sulla sedia e sorseggiava dell’altro caffè. La Regina ne preparò dell’altro, per sé e per il Capitano.
Parlarono poco, preferendo bere il caffè tentando di darsi una svegliata dall’abbiocco post-veglia.
Al quinto sbadiglio, Alastegiel s’alzò.
- Vi dispiacerebbe pensar voi alla colazione? Purtroppo non penso riuscirei a fare qualunque cosa che non sia dormire, al momento…-.
I due annuirono.
- Siete stati svegli tutta la notte?- domandò Rhavanwen, curiosa, dopo che la Regina fu uscita.
- Sì, più o meno. Abbiamo avuto occasione, finalmente, di conoscerci…- disse egli, assonnato.
- Conoscervi?- chiese l’elfa. Ad Eglerion parve di sentire una punta di gelosia, nel tono di lei.
Egli annuì. Bevve un altro sorso di caffè -l’ultimo- e poi rispose:
- Sì. Abbiamo parlato, un po’ di tutto. Mi trovo a volerle bene, nonostante la conosca poco-.
Ella lo guardò con un’espressione indefinita. Eglerion dovette sforzarsi molto per non perdersi in quelle iridi verdi.
- Invitami, quando Manwetol e l’Ithilien diverranno un unico stato-.
- Come? No! Non è nulla di tale!- disse Eglerion. Ella non parve ammorbidirsi.
- La sento quasi fosse una sorella. Non penso convoleremo a nozze. E, ad ogni modo, stai certa che saresti stata la prima ad essere invitata al mio eventuale matrimonio- spiegò l’elfo.
Anche perché, pensò, di questo passo saresti la prima a cui chiederei la mano.
Rhavanwen si rilassò e, finalmente, sorrise.
- Grazie per la gentilezza- disse, ritornando al tono allegro di sempre.
- Di niente. Lo sai, oramai, che fa parte dei miei innumerevoli difetti, quest’ultima-. Alastegiel aveva ragione. Risero un’ultima volta, per poi lasciare che il silenzio calasse sulla nave ancora quasi del tutto addormentata.
Rhavanwen finì di bere il suo caffè e poi, sempre in silenzio, si mise a preparare il refettorio per la colazione della ciurma, aiutata da un altrettanto silente Eglerion.
Chiunque fosse entrato, in quel momento, avrebbe potuto respirare un misto d’imbarazzo e complicità nell’aria.

 

 

 


Ed ecco finalmente il cap IX.
Capitolo un po’ di passaggio, questo…
La vita sulla Ithil è sempre quella e finalmente sappiamo cosa accadde tra la mora e Capitan Alcol, quel secolo fa.
MA, mi son scordato un paio di credits del capitolo VIII.
Innanzitutto, c’è una libera citazione a Stairway to Heaven che tutti -spero- conoscerete.
Poi, nascosta, troviamo una citazione a Dylan e alle porte del Paradiso, altra canzone che DOVETE conoscere.
Poi, citazione cinematografica, l’uscita sul caprone dei tre raminghi è liberamente ripresa dal film “Alatriste - Il Destino di un Guerriero”. Oh, io l’ho visto in originale (in spagnolo, per cui), se nel doppiaggio han cambiato han fatto una grande cagata.
Infine, l’idea degli specchi ovviamente è di Archimede a Siracusa. Confido nella vostra cultura per non dover riportare il fatto. Casomai, una breve ricerca dovrebbe darvi le nozioni cercate.
Fine parte riguardante il cap VIII.
In questo cito solo il Cesco (Guccini) e la sua “Vorrei”, che tra l’altro ho già citato nel capitolo III.
Dopodiché, ringrazio Dama Gilraen, che ha gentilmente concesso la citazione alle sue piccole storie, riguardo rigetti e fuochi purificatori.
E, infine, un immenso Grazie a Hareth, consulente, betareader improvvisata e lettrice accanita.
Dai, che hai avuto la scena a luci rosse che tanto chiedevi. Tanto io quei due non li pago, che si so' pure divertiti. E, poi, dopo Harma Ondo, penso tu sappia quanto costa portare negli studios tutta quella sabbia per avere un Harad credibile, per cui siamo a corto. Senza scordare i Santuari. Per fortuna qua me la son cavata con una sagoma di cartone. Tralasciando gli scherzi, grazie anche per quelli... sono e non sono gli stessi, dopo tutti i cataclismi.
E pensare che tra non molto mi toccheranno anche le montagne...
Ad ogni modo, grazie mille per la recensione e per il beta-reading. Mi è piaciuta veramente l’idea di questo finale silenzioso, sai.
Quanto agli altri, spero che vi sia piaciuto, statemi bene.
Ci si sente al prossimo.

 

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Capitolo 10
*** Cap X The Inn Accident ***


VII Age X

Cap X The Inn Accident

La sera dopo apparve alla loro vista un faro, dapprima nascosto dai più alti promontori settentrionali.
- Quella dev’essere Anduintirion-.
Galadhwen si voltò verso Burin, che buttò fuori una nube di denso fumo acre.
- Anduintirion? Non n’avevo mai sentito parlare-.
La Sindar ed il nano si trovavano sul castello di prua della nave.
L’ora era tarda, sul ponte non c’era nessuno tranne Castiel, nuovamente al timone. Gelirion voleva a tutti i costi che lei imparasse a governare la nave, dopo l’incidente al porto di Minas Duin dove, nonostante tutto, s’era destreggiata molto bene.
Burin prese un altro tiro dalla sua pipa, per poi illuminare l’elfa sulla città in vista.
- È una delle poche città su questa sponda dell’Anduin. Mi pare siano quattro, in totale: Anduintirion, Yelinta, Gothlam ed Arva. Non son troppo conosciute nel resto d’Arda ma, dopotutto, quanti conoscevano la Contea dei mezzuomini, prima della Guerra dell’Anello? Ad ogni modo, gli uomini di queste città non sono dissimili dagli Eotheod dell’antico Nord-.
- Fieri cavalieri o, semplicemente, gente onesta?-.
- I pochi che ho conosciuto, ai confini con Rohan, appartengono alla seconda categoria, ma preferirebbero far parte della prima-.
- Ai confini con Rohan? Non pensavo tu avessi viaggiato così tanto- esclamò la politica.
- Il mio cuore appartiene all’Erebor, ma nel mestiere di mercante ne ho viste di città-.
L’elfa sorrise. Non avrebbe mai pensato di poter effettivamente imparare qualcosa da un nano, ma dovette ricredersi.
- Immagino che Anduintirion sia l’unica sulla costa-.
- Esatto. In linea con essa, verso Ovest, c’è Yelinta. Più a Nord di Yelinta c’è Gothlam, con il suo lago, mentre dalla parte opposta di quest’ultima, verso Nord-Est, troviamo Arva-.
Galadhwen fissò il faro lontano, interessata. Si chiese che cosa l’attendeva, oltre quella luce. Poi decise che c’avrebbe pensato una volta arrivata a quell’oltre.
- Grazie per avermi erudita, messer Burin- disse.
- È stato un piacere, lady-.
- Andrò a riposare. Molto probabilmente domani arriveremo a quel faro e comincerà la marcia- disse l’elfa, avviandosi verso i quartieri.
Burin la salutò inchinandosi, per poi restar solitario a fumare la sua pipa, in compagnia dello sciabordio delle onde e della silente Castiel alla ruota.

***

- Elfi? Ma che diamine…?!-.
L’uomo salì in cima alla torre del faro e cominciò a suonare una campana.
In breve, buona parte della popolazione d’Anduintirion era ai moli, nonostante l’ora tarda.
Eglerion ed Athradien scesero sulle banchine dalle sartie,  assicurando la nave alle bitte.
- Meldarion! Cala la passerella!- gridò Athradien, scostandosi una ciocca castana da davanti agli occhi.
Dalla Ithil, Meldarion e Gelirion calarono l’asse sul molo, permettendo ai due elfi di risalire a bordo.
Un cavallo nitrì poderosamente, quando il Re fu risalito.
Eglerion gli pose una mano sul muso grigio.
- Dispiace anche a me, amico mio, vederti ridotto a bestia da soma, ma non pensare sia un compito ingrato. Porti molte delle cose che ci saranno indispensabili- gli disse.
Esso sollevò la testa fieramente e batté una delle zampe anteriori sul ponte.
- Siamo pronti?- disse Eglerion, rivolgendosi al resto del gruppo che sarebbe sceso a terra.
Un mormorio d’assenso gli arrivò per risposta. Si voltò verso Gelirion e Lancaeriel, che erano dietro di lui.
- La Ithil è vostra- disse.
- Fino al tuo ritorno- aggiunse Lancaeriel.
Eglerion sospirò. In questi ultimi giorni s’era ritrovato ad esser molto fatalista.
- Amata mia, non so neanche se tornerò, stavolta. E mi rammarico molto d’aver mandato Waith, Stephane e Zoe al mio stesso fato- asserì. Prima che Lancaeriel potesse rispondere, egli l’abbracciò, stringendola a lungo, temendo ch’esso fosse l’ultimo abbraccio che le potesse mai dare.
- Sei tu al comando, in mia vece. Sempre- le disse poi. I due si staccarono ed ella sorrise, nonostante il nodo che le si stava formando in gola.
Il Capitano mise una mano sulla spalla di Gelirion.
- Prenditi cura della nostra Lancaeriel, ch’avrà bisogno di tutto l’aiuto possibile- gli disse, non sapendo bene neanche egli a che tipo d’aiuto si stesse riferendo. Egli annuì.
- Troverai tutta la tequila nanica al suo posto, quando tornerai- gli rispose.
Dopodiché, Eglerion si volse verso le tre Sindar ed il nano, che avrebbero seguito lui e Meldarion nella loro ricerca del Mithlond.
- Spero che il soggiorno a bordo sia stato di vostro gradimento, perché ci toccherà avventurarci tra le terre più selvagge, ora-.
Detto ciò, condusse Nimloth e scese dal bastimento.
Le tre elfe lo seguirono, a loro volta seguite da Burin -carico di bagagli come non mai- e da Meldarion, che aveva approfittato d’ogni minuto prima della partenza per salutare Castiel.
L’elfo moro e il nano slegarono la Ithil, appena arrivati a terra, mentre qualcuno ritirava la passerella e la nave salpava nuovamente verso Sud.
- Hai dato te l’ordine di continuare verso Sud, una volta che noi saremmo scesi?- domandò la Regina.
- No. Hanno la libertà totale, ora. Probabilmente stanno solo prendendo spazio per virare più ampiamente e ritornare a Minas Duin- rispose egli.
Poi, finalmente, gl’elfi e il nano volsero lo sguardo al comitato di benvenuto che li attendeva. Sembrò che tutto il paese si fosse riunito al porto.
- Salve. C’è per caso qualcuno che sappia darci le indicazioni per una buona locanda? Vorremmo passar la notte al chiuso- disse Burin.
Nessuno rispose all’appello del nano.
Burin ripeté la domanda, mentre le tre elfe dietro di lui fissavano la folla sgomente ed i due Noldor parlottavano in Sindarin.
Dopo un altro minuto di religioso silenzio -qualcuno stava effettivamente pregando i Valar, tra gli uomini del posto- Galadhwen proruppe:
- Insomma, m’è stato detto che gl’abitanti di queste terre son gente onesta ed ospitale. Devo forse chiamar il mio amico un bugiardo?-.
Un uomo calvo, con un prominente girovita e una barba nera si fece avanti e parlò, con una voce squillante.
- No sia mai, mia Signora. Ve podessi ospitar mi nela mia de locanda, ma xé che go solo quatro leti liberi- disse, con un pesantissimo accento che rischiò di causare un accesso di risa nella politica.
- Come ti chiami?- chiese Eglerion, gentilmente.
- Osvald, mio Signore- rispose quello, intimorito. Si trattava d’una delle poche volte in cui Eglerion mostrava la luminosità latente dei Noldor, notò Meldarion.
- Sei assolutamente certo che le altre locande siano piene?-.
- Sì mio Signore. Anca perché l’unica locanda verta in ‘sta città xé la mia. Comunque, vo’ e una dele putele podessi ‘ndar fin Yelinta. Ghe vivi mi cugin, che fa anca lui el locandier. Ghe dixé che ve mando mi, cussì ve fa anca un preso più basso-.
Eglerion prese due respiri profondi, prima di rispondere ad Osvald. Non poteva farci nulla, ma anche lui rischiava d’esser preso da risa incontrollabili.
- Intanto, buon Osvald, conducici alla tua locanda. Là decideremo-.
Il gruppo sfilò in mezzo alla folla, guidato da Osvald e chiuso da Eglerion e Nimloth.
In poco tempo arrivarono alla locanda, seguiti da metà del paese.
- È vuota- disse il nano, calmo, guardando Osvald.
- Xé perché semo vignudi tuti al porto per vederve arivar- disse questi.
Eglerion si rivolse all’oste, dalla soglia.
- Fai sedere i miei ad un tavolo, in modo che noi possiamo decidere- disse. Poi si voltò e tolse la maggior parte dei carichi dal dorso del suo cavallo.
Dopo aver preso posto assieme agli altri, scrutò ognuno negli occhi.
- Il suo consiglio non è da buttare. Una di voi tre, mie ospiti, potrebbe venire con me fino a Yelinta- disse.
- Eglerion, non sarebbe meglio se andassimo noi due?- interloquì Meldarion.
- Forse. Ma allora rimarrebbe solo il nobile Burin a proteggere le nostre care fanciulle- disse, sorridendo.
- Non facevo il Re di Manwetol così sessista. T’assicuro che non abbiamo bisogno di protezione, Eglerion- disse la Regina, con tono duro.
- Non sto insinuando che tu non sappia difenderti, mia Somma Thalien. Al contrario, sono sicuro che lo sappiate fare egregiamente tutte e tre. Ma gli abitanti del posto non lo sanno e, come avevamo concordato l’altra sera, sarebbe meglio se non lo scoprissero, non credi?- disse Eglerion. Ella gli sorrise.
- Non posso darti torto- rispose.
- Bene. Chi delle tre andrà, allora?- domandò Burin, guardando le tre Sindar.
Le tre si guardarono in silenzio finché Galadhwen parlò.
- Andrò io-.
- Riterrei sia il meglio che io vada. Lady Galadhwen, voi siete stata praticamente malata, durante quest’ultimo periodo, e ci son stati casi di febbri anche tra gli elfi, se ben ricordate le saghe della Tempesta di Vento- asserì Rhavanwen.
Il resto del gruppo si trovò d’accordo con Rhavanwen.
- È deciso, allora. V’attenderemo a Yelinta domani pomeriggio. Passate una buona notte- disse Eglerion, prendendo parte dei bagagli.
Gli altri salutarono ed osservarono i due uscire.
Burin s’alzò.
- Direi che è ora di testare la birra della zona- disse, dirigendosi al bancone. Ormai il locale si stava riempiendo di persone, ma nessuno prestava più troppa attenzione agli ospiti.
Alastegiel s’alzò a sua volta.
- Andrò a parlar con Osvald riguardo alla nostra sistemazione. A tra poco- disse. Fece un paio di passi, per poi voltarsi di nuovo.
- Se passa una cameriera o se qualcun altro prende da bere, io assaggerei volentieri del bianco della casa- disse.
I due risero. Sembrava esser complementare ad Eglerion, in certi casi. La parte razionale della stessa mente.
- Ritorno di fiamma, dopo le parole dell’altro giorno?- domandò Meldarion, dopo.
- Come prego?-.
- Dai, che hai capito-.
- Ah, quello… no, non direi. Era solo per toglier l’impaccio della decisione- disse la politica.
Meldarion ne fu convinto: era sincera. Ed aveva seriamente sposato il suo lavoro, ormai.

***

- E si ritorna agli inizi, parrebbe- disse Eglerion.
Rhavanwen annuì.
I due marciavano speditamente lungo la strada per Yelinta. In due ore l’avrebbero raggiunta.
Avvolti nei mantelli elfici procurati a Minas Duin, sembravano due flebili ombre che si muovevano per volontà propria lungo la strada. La luna aveva cominciato a crescere, nel mentre, ed emanava una flebile luce che permetteva loro di vedere il percorso.
Camminarono in silenzio per lunghi minuti. Ad un tratto, l’elfa si fermò, d’improvviso.
- Hai udito qualcosa di strano?-.
- M’è sembrato. Ma dev’esser suggestione. E, poi, di che mi preoccupo, ho qui il mio gentile cavaliere che mi proteggerà, in caso accada qualcosa d’imprevisto-. Eglerion rise ma, sotto il mantello, allento l’elsa della spada dal fodero.
Percorsero molte altre miglia, fermandosi solo ogni tanto per bere qualche sorso d’acqua. Dalle ultime parole si muovevano con più circospezione: suggestione o no, è sempre meglio non rischiare.
Quando le flebili luci di Yelinta si mostrarono, in lontananza, rallentarono il passo, concedendosi più tranquillità.
- Sei così fatalista su questa ricerca?- domandò la Sindar.
- Come?-.
- Beh, da come hai salutato la Ithil ed il suo equipaggio, sembra quasi che tu non li debba mai più rivedere…-.
Eglerion sospirò.
- Non so. Questa è una ricerca verso l’ignoto, ammettiamolo. Le altre volte che lasciavo la Ithil per andare in terre straniere o era per cacciare o gl’altri erano con me e stavamo razziando qualche avamposto Numenoreano-.
- Avamposti? Non villaggi?- domandò l’elfa.
- I paesani non c’hanno fatto nulla. Sono i soldati che continuano ad attaccare Pinnath Gelin e Manwetol-.
- I soldati, però, spesso eseguono ordini. Chi meglio di te, ex generale ed ora Re, può saperlo-.
- Non a caso tentiamo di limitare le uccisioni. Ma, purtroppo, ci toccherà uccidere molti uomini, più avanti. Me lo sento e non ne sono felice-.
Percorsero l’ultimo tratto sprofondando di nuovo nel silenzio, finché non arrivarono ai cancelli di Yelinta.
La città non s’estendeva molto, era poco più che un villaggio, ma era cinta da una palizzata alta almeno otto piedi.
Eglerion chiamò, nel buio.
- Chi siete?- rispose qualcuno dal muro, probabilmente una sentinella.
- Pellegrini che cercano ricovero ad una locanda di Yelinta. Ci manda Osvald d’Anduintirion, poiché là non c’è più posto- rispose Rhavanwen.
Con loro sorpresa, il cancello gli fu aperto. S’aspettavano di restar chiusi fuori.
Un uomo -lo stesso che aveva parlato loro- gli venne incontro.
- Ben incontrati, in questa notte- disse. I due si stupirono. S’aspettavan d’udire un pesante accento al corrente, com’era accaduto ad Anduintirion.
- Se vi manda Osvald, dovete prendere la terza strada sulla destra e poi voltare a sinistra. La locanda la riconoscerete sicuramente. Una volta dentro, chiedete di Bepi- continuò la sentinella.
- Grazie. Passa una notte tranquilla- disse Eglerion al portiere, lanciandogli una moneta d’argento.
Le porte furono richiuse alle loro spalle, mentre i due s’avviarono lungo la via.

- Aveva di certo ragione, dicendo che l’avremmo riconosciuta- disse Rhavanwen, dopo che furono arrivati fuori della locanda.
Un paio di nani e qualche uomo, dormivano sulla strada fuori dell’edificio, mentre dal suo interno provenivano urla e canti.
Eglerion volse lo sguardo all’insegna che penzolava sopra alla porta.
- “De Bepi”. Beh, ormai siamo qui- disse, togliendo lo sguardo dal cartello e girandosi a guardare l’elfa.
I due entrarono.
Il piano terra era accogliente e caldo. L’odore non era dei migliori ma, ammise Eglerion, era stato in bettole peggiori. Il pavimento d’assi scricchiolava ad ogni loro passo, mentre gli avventori attorno a loro continuavano nelle loro gare di bevute e nei loro canti.
I due s’avvicinarono al banco, senza levarsi i cappucci.
- Scusatemi, messere. Stiamo cercando Bepi, che dovrebbe esser il proprietario di questa locanda-.
L’uomo dietro al bancone si voltò a guardarli.
Aveva due occhi azzurro cielo molto profondi, la faccia rasata di fresco, la fronte alta, un anello dorato all’orecchio sinistro ed una lunga chioma castana, raccolta in una coda.
- Bonasera. Son mi Bepi, in cossa posso esserve utile?- disse gentilmente, ma con lo stesso accento del cugino.
- Ci manda Osvald. La sua locanda era piena. Stiamo cercando un posto dove passare quel che resta della notte- rispose Eglerion.
- No xè problemi. Seguime su e ve mostrerò le camere che go libere. Ovviamente, se gavé soldi con cui pagarme- aggiunse, con un sorriso.
- Stanne certo. Ma ne riparleremo dopo aver visto le camere-.
Bepi si volse verso un uomo alto, dall’aria truce e dalla barba nera, che stava assistendo ad una delle gare di bevute. La più chiassosa, per esser precisi.
- Ou Toni, fa un favor, da un’ociada al banco, intanto che ghe fazo veder le camere ai ospiti-.
Quello sorrise, togliendo ogni traccia di cupezza dal suo volto.
- Va ben, ma no staghe metter come sempre una vita, te prego- disse, canzonando Bepi. I due dovevano conoscersi da molto.
Bepi scosse la testa e menò i due al piano superiore.
- Alora, per la signorina gavemo questa. Per voi, sior, xé quela là, in fondo al coridoio. A meno che, ovviamente, no volé dormir assieme- disse, mostrando loro delle porte. Quella di Eglerion aveva un tre attaccato sopra, mentre quella assegnata a Rhavanwen un numero uno.
- No, penso vadano bene queste due- disse il Noldo.
Bepi sfilò due chiavi da un largo anello che portava alla cintura e le consegnò ai due.
- Sistemeve come che preferì. Mi go de ‘ndar zo, ora, prima che Toni cominci a buttar de bever a metà dela gente-.
I due elfi sistemarono i loro bagagli nelle camere, per poi ritrovarsi in cima alle scale.
- Vuoi bere qualcosa, prima d’andare a dormire?- domandò Eglerion alla compagna.
- Volentieri. Questo posto m’ispira-.
Rhavanwen ed il Capitano scesero di nuovo nella sala e si sederono ad un tavolo un po’ discosto dal casino centrale.
Presto Toni fu da loro.
- Alora, cossa posso portarve? Volé qualcossa de bever?-.
- Che cosa ci proponi di buono?- domandò l’elfa.
- Qua xè tuta roba bona: malvasia nostrana, vin nero, un bianco frizzantin, del rosso un poco più forte...- disse, cominciando ad elencare vari vini.
- A me interessa il frizzantino. Che dici, prendiamo una brocca di quello?- chiese Eglerion.
- Andata. Dopotutto, sei tu l’intenditore-.
- Benon, la riva subito- disse Toni.
Toni s’allontanò, lasciando i due nel loro angolo di locanda.
- Mi piace questo posto… ha un che di vitale. Un po’ come le Sale- disse l’elfa.
Eglerion la guardò.
- Da come ne parli, dev’esser veramente un bel posto, la tua Capitale- disse.
- Penso proprio ti piacerebbe- affermò ella.
Toni ritornò con il vino, poco dopo.
- Ecco qua, siori. El bianco più bon che podé trovar in questa città- disse, versandone un po’ in un bicchiere, che passò ad Eglerion.
Egli assaggiò ed assaporò. Era effettivamente molto buono, doveva dar credito agli osti.
- I miei complimenti. Ottimo- disse.
Toni sorrise.
- Per qualunque cosa, chiedé de mi o de Bepi, semo al vostro servizio-.
Poggiò la brocca sul tavolo, dopo aver riempito i due bicchieri, e si diresse di nuovo verso la gara al centro della locanda, che stava raggiungendo gli stadi finali: tre nani dormivano sulle panche, assieme ad un uomo. Restavano svegli solo un nano dalla lunga barba chiara ed un uomo dal viso avvolto in bende, quasi alla maniera Haradrim. Toni tifava spudoratamente verso il nano.
- Daghe zo, Urich, no ‘sta a farte batter da un de fora!-.
Il nano alzò per l’ennesima volta due dita verso Toni, che sparì brevemente per tornare con due vassoi, carichi di cinque boccali l’uno.
- Qua gareggiano a vassoi, a quanto pare- disse Eglerion, sorseggiando il vino. Rhavanwen seguiva anch’ella interessata la gara.
- Birra… non riuscirei a superare il terzo boccale, di quella roba-.
- Non ti piace?-.
- Mh… non troppo. Ho altre passioni- disse, levando il calice.
- Al nostro vinello, dunque- disse Eglerion, brindando con lei.
Batterono i bicchieri sul tavolo e beverono.
Nel momento in cui poggiarono i calici vuoti sul tavolo, s’udì un tonfo ed una raffica d’imprecazioni miste a lamenti vari.
- Ciò, Urich, te me ga fatto perder venti Celeb!-.
- T’son ‘na bevandela che no’ reggi un cazzo!-.
- Urich! La prossima volta usa un’altra panca!- biascicò uno dei nani, svegliato dal tonfo.
In poche parole, Urich non aveva retto il terzo boccale dei cinque del vassoio ed era caduto, sbilanciando la panca e facendo cadere anche i suoi compagni addormentati. Oltre a ciò, s’era preso gl’insulti di chi aveva scommesso su di lui.
- Urich! No’ sta ‘spetarte credito! Tra ti e quel’altro me gavé fatto fora quaranta pinte! Te ga el conto de pagar!- gli gridò Bepi, da dietro al bancone.
L’uomo dal volto coperto rise. Salutò gli avventori e si diresse fuori della porta.

- Valar, che masnada di folli- rise Rhavanwen.
- Ed io che pensavo che Manwetol fosse la culla dell’etilismo-.
Entrambi risero nuovamente.
- Che dici, saliamo?- domandò Rhavanwen, poi.
- Tu intanto vai. Ti raggiungo tra un po’- disse Eglerion.
- Mi raggiungi?-.
- Passo a salutarti, intendo- rispose egli, sorridendo.
Ella bevve l’ultimo sorso del suo bicchiere e lasciò Eglerion al tavolo.
Egli vuotò il fondo della brocca e si alzò, portando brocca e bicchieri al bancone.
- Ma vi capita spesso di assistere a spettacoli del genere?- chiese a Bepi, poggiando i recipienti.
L’uomo gli rispose, senza smetterei pulire un bicchiere con uno straccio.
- Ara, quasi due sere sì e una anche. Xé routine, ormai-.
- Per fortuna dalle mie parti si limitano ad alternare le sere- disse Eglerion.
- Comunque, ve ga piasso el vin?-.
- Molto, grazie. Decisamente buono-.
- Doman però gavé de provar el nostro rosso, che fa sangue- disse Bepi, ripescando un vecchio detto delle sue parti.
Eglerion sorrise e salutò l’uomo, per poi dirigersi al piano superiore.
In quel momento gli venne una strana sensazione.
Qualcosa non andava.

***

Rhavanwen salì le scale.
Arrivata in cima, davanti alla sua camera, prese una candela dallo scrittoio posto a pochi piedi dalla sua porta e l’accese, tramite una delle lanterne appese ai muri.
Prese la chiave ed aprì la porta, per poi entrare nella camera.
Lì trovò un altro paio di candele, che accese per dar più luce alla stanza.
Essa era ampia. Il letto era a ridosso della parete destra, al centro stavano un tavolino basso ed una poltrona. Una finestra era di fronte a lei, rivolta verso Oriente.
Notò un’altra porta, sul lato sinistro della stanza. Vi s’avvicinò, per scoprire una piccola stanza da bagno.
Posò la candela vicino al rudimentale lavello e ritornò nella camera.
Si spogliò dei suoi abiti da viaggio, estrasse una leggera veste di lino da uno dei bagagli e la poggiò sul letto.
Entrò in bagno per darsi una veloce rinfrescata e ne uscì dopo qualche minuto.
S’infilò la veste e fece per voltarsi. Le si mozzò il respiro. Non era sola.
Dita d’acciaio le serrarono i polsi, mentre il piatto di una fredda lama le si poggiava sul collo.
Tentò di divincolarsi, ma il suo silente aggressore le premé il coltello più forte sotto il mento.
- Ferma- le disse una voce, fredda e maligna. Che, ne era sicura, aveva già sentito da qualche parte.
Eglerion!
I suoi pensieri si rivolsero a lui, l’unico che poteva far qualcosa. Nonostante non potesse raggiunger la concentrazione necessaria per una risonanza, sapeva che sarebbe riuscita a trasmettergli il suo stato d’animo.
Lo sconosciuto le strinse più forte il polso, fino a farle male. Sembrava felicitarsene.
- Brava, la mia piccola elfa. Adesso sta buona, mentre attendiamo il tuo amico. Dopo che egli sarà morto, potremmo finalmente concentrarci sulle tue grazie- disse.
Eglerion, ti prego, non lasciare che quest’uomo mi stupri.
- Rhavanwen? Stai bene?-. La voce di Eglerion proveniva da dietro la porta.
Entra! Ti prego…
L’uomo la strinse a sé. Poteva sentirne l’alito pesante sul collo, l’odore ripugnante così vicino a lei.
Eglerion batté un colpo sulla porta.
- Rhavanwen?-.
Sfonda quella porta, ti prego!
E così Eglerion fece.

***

Eglerion si fermò di fronte alla porta di Rhavanwen.
- Rhavanwen? Stai bene?-.
Il silenzio dentro quella stanza era troppo irreale.
Da una parte sentiva qualcosa che lo chiamava verso quella stanza. Come se, in quel silenzio, la Sindar stessa lo stesse cercando.
Ma dall’altra, v’era una sensazione d’imminente pericolo, nelle vicinanze.
- Rhavanwen?- chiamò, di nuovo.
Questa volta lo sentì chiaramente.
La voce supplichevole dell’elfa gli rimbombò nella mente.
Sguainò la spada e spalancò la porta con un calcio.
Per trovarsi a guardare le spaventatissime iridi verdi di Rhavanwen. Dietro di lei, torreggiava un volto familiare: Mardion.
Questi lo fissò, senza abbassare il coltello dalla gola dell’elfa, e sorrise sprezzante.
 -Chi si rivede- disse.
In due rapidissime mosse, diede un forte schiaffo a Rhavanwen, facendola cadere in terra e perdere i sensi, ed estrasse una spada anch’egli.
- Vedo che sei venuto a salvare la tua sgualdrina. Ottima scelta, devo dartene atto. Il suo corpo è perfetto. Per ora- disse l’uomo, senza distogliere lo sguardo da Eglerion.
Le due lame cozzarono, nel silenzio del piano.
Lentamente, i due cominciarono a muoversi in circolo, studiandosi a vicenda.
- Chissà se potrai vedermi ancora, quando calerò il coup de grace sulla tua testa- disse Eglerion.
Mardion sputò.
- Quella puttana che m’ha reso guercio sapeva il fatto suo. Dovrai esser più bravo di lei, se vorrai accecarmi- rispose Mardion.
Poi, improvvisamente, ci fu un altro rapido scambio di colpi, che terminò con una stoccata da parte d’Eglerion, che Mardion schivò.
Mardion calò il suo spadone su Eglerion, che scartò di lato per evitare il colpo. La lama batté con violenza sul pavimento.
Ormai il resto della gente dovrebbe cominciare a svegliarsi o ad insospettirsi riguardo a tutto questo casino, pensò l’elfo.
Mardion incalzò Eglerion, costringendolo ad arretrare verso la porta. E fu in quel momento che l’aiuto giunse. Non da fuori, come Eglerion s’aspettava, ma da Rhavanwen.
Ella, dopo essersi svegliata, era lentamente strisciata verso il suo bagaglio ed aveva estratto una freccia dalla sua faretra.
Velocemente, l’aveva piantata nel polpaccio di Mardion che, perso l’equilibrio, era rovinato in terra.
Eglerion gli fu sopra in un momento, ma l’uomo era innaturalmente veloce, o resistente. Dopo aver sferrato un calcio all’elfa, s’era rialzato e, parando i colpi di Eglerion, era tornato ad attaccarlo.
In una manciata di secondi i due erano di nuovo impegnati in un aggancio.
Eglerion, sfruttando la ferita dell’avversario, riuscì a premer abbastanza da far cedere Mardion. Egli, però, non si diede per vinto e tentò di piantare la lama nell’inguine di Eglerion.
Il Noldo evitò il colpo ma, quando si trovò pronto a ricominciare l’offesa, Mardion era già uscito zoppicando dalla stanza ed era fuggito giù per le scale.
L’elfo lo inseguì al piano inferiore, ma desisté quando lo vide montare a cavallo. Non sarebbe stata quella la sera in cui avrebbe sconfitto il suo avversario.

Rientrò dentro la locanda. Stava per salire le scale, quando un gemito attirò la sua attenzione.
S’avvicinò al bancone e trovò, dietro di esso, Bepi e Toni distesi per terra.
Il primo sembrava esser addormentato, mentre il secondo si stava muovendo lentamente, tentando di rialzarsi.
L’elfo lo aiutò a sedersi. Il barbuto si massaggiò la testa. Pareva aver ricevuto una bella botta.
- Come va?-.
- Un mal… grazie, comunque…-.
- Hai visto chi è stato?-.
- Iera quel stronzo che ga vinto, dei, quel co’ la testa bendada... el xé entrà, el se ga cavà le bende e ga da un colpo a Bepi. Mi me son avvicinà, pronto a darghele, ma me ga da una per la testa anca a mi-.
- Quanti occhi aveva?- domandò Eglerion.
- Un. Su l’altro el gaveva un benda-.
Eglerion sospirò. Almeno aveva la sicurezza che Mardion avesse agito da solo.
- Devo andare su. Ti consiglio di metter dell’acqua fredda sulla botta e provar a svegliare il tuo amico. Ci si vede domattina- disse.
Salì le scale e tornò da Rhavanwen.
- Fuggito. Quell’infame aveva un cavallo-.
Ella non rispose. Sembrava sotto choc. Restava seduta sul pavimento, abbracciata alle ginocchia.
Una macchia nera sporcava la veste nel punto in cui lo stivale di Mardion l’aveva colpita, poco sopra l’anca.
- Rhavanwen?- la chiamò. Ella parve risvegliarsi. Scosse un momento la testa per poi voltarsi a guardarlo. Gli occhi inespressivi.
Egli le si sedé accanto e la strinse a sé.
- Grazie- la sentì mormorare.
- Non devi. Sono o non sono il tuo gentile cavaliere?- le disse.
Ella abbozzò un sorriso.
- Ho avuto paura. Molta, troppa paura-.
- Non pensarci, ora. Piuttosto, il fianco come va?-.
- Fa male, ma non penso sia grave-.
- Se vuoi controllar meglio, esco un attimo-.
Ella annuì. L’elfo l’aiutò ad alzarsi e a sedersi sul letto, prima d’uscire.
Dopo pochi minuti, si sentì chiamare.
Rhavanwen era seduta sul letto. La coperta la copriva dalla vita in giù, mentre ella teneva la veste alzata fin sotto il seno.
- Non riesco a fasciarmi da sola, mi servirebbe una mano- gli disse.
Eglerion richiuse la porta dietro di sé e si avvicinò alla fanciulla.
- Brutta botta- disse, osservando il livido bluastro sul fianco di Rhavanwen.
- Riesci a muoverti normalmente?- le chiese.
- Non fluidamente come prima-.
- Può esser ch’abbia incrinato una costola, allora-.
- Non penso, sai. Se si fosse incrinata, mi sarebbe stato molto più difficile alzarmi-.
- Ad ogni modo, meglio fasciare ed attendere. Non possiam far di più, adesso-.
L’elfo prese le bende dalla sacca di Rhavanwen e avvolse la vita della sentinella.
- Troppo stretto?-.
Ella fece un paio di respiri profondi.
- No. Anzi, è perfetta- disse.
- Allora vado. Ci si vede domattina- disse egli, alzandosi.
Le diede un bacio sulla fronte, augurandole una buonanotte, e si diresse verso la porta.
- Eglerion?-.
L’elfo si voltò.
- Grazie-.
Egli sorrise.
- Non t’ho già detto che non devi?-.
Sorrise anche lei.
- Non m’importa. Non la smetterò- disse ella, stendendosi sul letto come meglio poteva. Sia a causa della ferita, sia per non mostrar nulla ad Eglerion.
- Spengo le candele?- le domandò questi.
- Veramente, vorrei chiederti un altro favore- disse ella, esitante.
Egli la guardò, non capendo.
- So che è stupido, forse. Ma son ancora molto scossa. Ti dispiacerebbe restare?-.
Eglerion richiuse la porta e si avvicinò all’elfa.
- La tua presenza mi da sicurezza- disse ella. Eglerion sorrise: era lievemente arrossita.
- Va bene, non c’è problema. Ad una condizione-.
- Quale?-.
- Che tu dorma tranquilla e fino a tardi. Se provi ad alzarti all’alba, ti ricaccio nel letto e ti ci lego- le disse.
Ella rise.
- Grazie. Buonanotte, Eglerion-.
L’elfo spense le candele, mentre Rhavanwen si voltò da un lato e s’addormentò presto.

L’elfo però non dormì. Non tentò neanche, a dire il vero. Si sedé con la schiena contro il letto e s’immerse nei suoi pensieri.
Il più grande interrogativo restava su chi fosse veramente Mardion.
Doveva esser rimasto nelle vicinanze del palazzo conciliare, per aver sentito del loro viaggio, altrimenti non si spiegava come avesse potuto trovarli.
Poi, restava la questione sul perché ce l’aveva con loro.
- Magari è qualcuno a cui ho fatto un torto da bambino- si disse Eglerion, nel buio della camera. Sorrise a sé stesso per la cazzata detta. Però, qualcosa d’incognito restava.
Non è un elfo. Ma non può esser neanche un normale uomo. È troppo veloce. Escluse la probabilità delle orecchie tagliate. Gli mancavano proprio i lineamenti della razza elfica.
Forse è Mandos, deciso ad estinguere definitivamente la razza dei Noldor, si disse, ripensando alla maledizione caduta sulla casa di Finwe, millenni prima.
Si concesse un altro sorriso. Era alquanto irreale che un Vala si scomodasse per uccidere un singolo Noldo. Avrebbe fatto molto prima facendo inabissare Manwetol e Pinnath Gelin.
Sentì Rhavanwen muoversi, alle sue spalle, ma non ci fece caso.
Stava sognando, intuì.
Eglerion represse uno sbadiglio. Forse era meglio se si concedeva anch’egli qualche minuto di riposo.

***

Le prime luci dell’alba baciarono il viso di Rhavanwen, svegliandola.
Si stiracchiò leggermente, evitando di sforzare troppo la fasciatura.
Guardò più in là e vide Eglerion. Russava, seduto per terra e con la testa poggiata al letto. Sembrava sul punto di scivolare definitivamente sul pavimento. Ma, Rhavanwen n’era certa, pur battendo la testa sul pavimento di legno avrebbe continuato a dormire, il Noldo.
Le tornarono alla mente le parole dell’elfo, la sera prima.
Se provi ad alzarti all’alba, ti ricaccio nel letto e ti ci lego.
Avrebbe rischiato.
Il più silenziosamente possibile tento di uscire da sotto le coperte ma, purtroppo per lei, urtò leggermente la testa di Eglerion con il piede.
Quello neanche aprì gl’occhi.
- Devo andare a cercare una corda?- le disse.
Ella rise.
- Sei alquanto inquietante, sai?- gli rispose.
Egli alzò la testa e volse lo sguardo verso di lei.
- T’ho detto io che avrei vegliato su di te. Anche nel sonno-.
La fanciulla rise di nuovo.
Eglerion si alzò, chiedendole se volesse proprio alzarsi in quel momento.
- Inizio ad avere un po’ di fame, non per altro- disse Rhavanwen.
- Andrò a vedere se c’è qualcosa, qua sotto. Nel mentre, puoi cambiarti in tranquillità- asserì Eglerion.
Ella annuì. L’elfo l’aiutò ad alzarsi, per poi uscire dalla stanza e dirigersi giù dalle scale.
Nonostante tutto, non era ancora giunto ad una conclusione, riguardo a Mardion. Né chi potesse essere né perché ce l’avesse tanto con loro.
Gli tornò in mente una frase detta da Mardion durante il loro duello: era stata una donna a rendergli inutile l’occhio.
Vuoi vedere che è meno abile di quanto lascia credere, si disse. Ad ogni modo, se mai avesse incontrato quella ragazza, le avrebbe offerto da bere a vita, si ripromise. Non sapeva quanto vicino era quell’incontro.

 

 


E fuor dieci anche per VII Age.
Ne mancano…? Molti, direi.
Ad ogni modo, spero vi sia piaciuto, questo cambio di scena. Da terre elfiche siam passati alle selvagge terre degli uomini. Chissà che cosa avrebbe detto Elendil, vedendo il suo Arnor ridotto in questo modo. Sinceramente, penso sarebbe più felice di vederlo così che diviso nei tre staterelli.
Ma basta con le cazzate, che c’è gente da ringraziare.
Innanzitutto, Hary e Silvì, irriducibili lettrici che leggono e leggono. A proposito, andate a legger anche l’ultimo cap di Alagos War, che c’è l’intervista di Rain ad Eglerion. Due menti del genere assieme fan paura anche a me.
Quanto al “More Naked Eglerion”, dovrò veder come comportarmi più avanti. Quanto al sangue, invece, stai tranquilla Hareth, che arriverà. E dai una carezza a Pan da parte mia, che da brava e furba gatta nera ti salva il sistema binario dei neuroni e ti farà notare la citazione alle “malattie”.
Silvì, te invece devi smettere di farti venire ispirazioni per i tuoi scritti leggendo VII, ch’altrimenti sarai ancora a questo capitolo quando avrò venduto i diritti alla Saul Zaentz =D (seh, come no…).
Comunque, son felice che ti sian piaciuti entrambi i precedenti. L’VIII è stato lungo da scrivere, ma alla fine è venuto bene e ne son felice. E quell’aria di complicità tra i tre è proprio ciò che tien su tutto, tra le frecciate e tutto il resto. Il titolo è venuto di conseguenza. Quanto al IX, l’intermezzo del vomito serviva sia a dar un altro frammento di carattere a Gelirion sia a mostrare quanto era veramente disastrata la situazione sulla Ithil. Il flashback, invece, andava fatto al più presto: serviva spiegare che cosa era effettivamente successo tra i due, senza nasconder indizi qua e là come ho fatto negl’altri capitoli.

Ah, vi prego, non sparatemi per l’accento degli abitanti.
Era mia intenzione dar loro un accento peculiare, ma l’unico che conosco abbastanza da poterlo scrivere per bene (o quasi) è quello triestino, per cui i miei locandieri parlano triestino. Bepi e Toni, nello specifico, assomigliano molto a due miei amici tra una ventina d’anni, perché ce li vedo molto a far tale lavoro.

Note sulla pronuncia.
A: tutte le X nel triestino sono lette come la S in “rosa”, per cui un misto tra S e Z.
B: dicasi “bevandela” una persona (o nano) molto dedito al bere.
C: per qualunque traduzione necessaria contattatemi o domandate in recensione, risposta sarà data.
D: (per il Sindarin, cosa ch’avrei dovuto far prima) in caso non ne siate al corrente (confido che le due irriducibili non abbiano bisogno di questa nota, come la maggior parte dei lettori), tutte le C e le G dei nomi elfici hanno suono duro, SEMPRE.

Detto ciò, vi saluto. Ci si sente per l’undicesimo.

 

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Capitolo 11
*** Cap XI Blue Eyed Meldarion ***


VII Age cap XI

Cap XI Blue Eyed Meldarion

Aveva qualcosa nella schiena. Era piantato proprio in mezzo alle scapole. Aprì gl’occhi.
La sala della locanda era in una situazione disastrosa.
Sedie e panche erano rovesciate in giro, boccali e bicchieri erano abbandonati sui tavoli e vari uomini dormivano sulle poche panche ancora in piedi. Meldarion fumava, sulla porta. Il sole era a metà del suo cammino verso lo zenit.
Chiuse di nuovo gl’occhi. Fitte di emicrania attraversarono la sua testa. Lasciò perdere anche il dolore alla schiena, tentando di ricordare che cosa fosse accaduto la sera prima.
Nero.
Non ricordava nulla. Forse qualcosa. Ma era troppo stancante pensarci.
Era ora di chiedere aiuto. Provò a chiamare Meldarion.
Dalle sue labbra uscì un verso indistinto.
Non apparteneva a nessuna lingua conosciuta ma bastò ad attirare l’attenzione dell’elfo.
Egli si voltò e s’avvicinò.
Dopo essersi chinato all’altezza del suo volto, parlò.
- Ben svegliata, somma Thalien-.

***

- Ed ora?- chiese Rhavanwen, dopo che i due ebbero finito la loro colazione.
- Ed ora s’attende- rispose Eglerion, reprimendo uno sbadiglio. Se non dormire è male, dormire poco è peggio, si disse.
Erano ancora in camera di Rhavanwen, seduti sui cuscini. Eglerion aveva portato del caffè e dei biscotti al piano superiore, in modo da poter mangiare in tranquillità.
- Intendevo: nel mentre noi che cosa facciamo?- domandò la Sindar.
Eglerion sorrise, pensando al commento cinico che sarebbe potuto uscir dalle labbra di Stephane in un momento del genere.
- Non ne ho idea. Ma ho il vago sospetto che tu abbia già qualche programma per la mente-.
Manwe, Ulmo, Varda e tutti quanti, vi prego, fate che non abbia voglia di visitare questa città, vi prego dal profondo!
Rhavanwen gli regalò uno dei sorrisi più belli.
- A dire il vero sì. Son curiosa di veder il resto di questa città- disse.
Eglerion sospirò.
- I Valar non mi ascoltano- borbottò.
Ella s’alzò, mentre egli estrasse un sacchetto dalla tasca.
- Eglerion?-.
- Mh…- rispose egli, armeggiando con tabacco e cartina.
- Ti dispiacerebbe uscire? Non son riuscita a cambiarmi, nel tempo che mi hai dato prima- disse ella.
Eglerion s’alzò anch’egli, cicca ancora aperta in mano.
- Vado. A tra poco- le disse. Chiuse la sigaretta ed uscì dalla stanza, dirigendosi al piano inferiore.
Una calma innaturale regnava nel luogo. Bepi dormiva ancora, su una sedia dietro al bancone.
Eglerion uscì in strada e s’accese la sigaretta.
Chissà come stanno quegl’altri, pensò.
Poco dopo sentì i passi della sua amica scendere le scale.
- Eccomi. Che dici, andiamo?-.
Egli spense il mozzicone e s’avviò, assieme all’elfa per le stradine.

Se c’era un aggettivo per descrivere quella città, pensò Eglerion, più tardi, poteva essere Archetipo. Oppure Folk.
Era viva, sempre scossa da un viavai di gente. Videro mercanti di Gothlam, nani e, i due rimasero stupefatti, vedendolo, un centauro.
- Questo viaggio sta mostrando cose sempre più inaspettate- disse Rhavanwen.
- Nel senso?-.
- Beh, nani a Minas Duin, uomini decisi fino all’ultimo ad ucciderci, Noldor che spuntano dal nulla, nel momento più inaspettato, ed ora centauri. Mancano giusto i Valar- disse.
- Ti sei scordata qualcosa- disse Eglerion.
- Come?-.
- A me han mostrato anche sentinelle, avvezze a battaglie e sotterfugi che affermano d’essere molto scosse dopo un tentativo d’assassinio- le disse.
Al momento non c’aveva fatto troppo caso -era anche felice che ella trovasse sicurezza nella sua presenza- ma c’aveva pensato quella mattina: com’era possibile che un avvenimento del genere potesse scuotere così tanto Rhavanwen. Sorrise, notando ch’ella arrossiva leggermente.
- Sarà stato quell’uomo ad inquietarmi. Poi, non avevi affermato tu d’essere pronto a proteggermi?- domandò, sulla difensiva.
- Allora la mia presenza non ti fa bene, se poi non t’accorgi che qualcuno è nella tua stanza- rispose, canzonandola.
Ella parve offendersi. O, perlomeno rabbuiarsi.
- Su, che scherzo- le disse, cingendole la vita con un braccio.
Continuarono a vagare per le stradine, fermandosi talvolta a qualche bancarella. Verso il meriggio presero un paio di mele dalla bancarella d’un’anziana signora, che insisté per regalargliele.
- Non potrei mai far pagare due esseri così luminosi- disse, mostrando loro un sorriso. Evidentemente, coprire le orecchie tra i capelli e con i copricapo più orrendi -Eglerion indossava un cappello che a noi rimembrerebbe subito il Texas- che fossero riusciti a trovare non era bastato per nascondere la loro natura. E pensare che ci tenevano a non dare nell’occhio.
- I Valar siano con voi, signora- risposero, grati.
Continuarono ad errare per le strade, finché, verso la prima dopo il meriggio -o la settima dopo l’alba, che dir si voglia- ritornarono verso la locanda.
- Bepi, te ne porti una caraffa de nero?- disse Eglerion, entrando. Rhavanwen rise, sentendo la cadenza dialettale delle sue parole e lo stesso fece Toni, che stava giocando a scacchi con Bepi dietro del bancone.
- Da quando te parli cussì, ti?- domandò Bepi, portando la caraffa allo stesso tavolino della sera prima, dove avevano di nuovo preso posto.
Eglerion rise e si verso un calice di nero. Assaggiò e guardo Rhavanwen.
- Questo è ottimo, consiglio di berlo anche a te- disse, versando del vino anche nel suo bicchiere.
Ella prese qualche sorso, mentre la porta della locanda si apriva.
- Non si dovrebbe bere in servizio- disse una voce conosciuta, in tono scherzoso.
- Da che pulpito…- rispose un’altra.
I due si voltarono, per vedere il resto del gruppo sceso a terra sull’ingresso del locale.
- Ben arrivati!- disse Eglerion, alzandosi.
Essi si avvicinarono al tavolo, per poi sedersi, mentre Bepi segnava sul conto di Eglerion altre due caraffe di rosso. E una di birra per il nano.
L’oste portò il vino al tavolo, mentre Eglerion studiava i suoi compagni di viaggio.
La Regina Alastegiel sembrava provata. Dagli occhi iniettati di sangue s’intuiva che non aveva passato la migliore delle notti.
Meldarion, seduto accanto a lei, continuava a sorridere beffardamente, fissando il bicchiere vuoto della Regina.
Burin e Galadhwen, infine, sembravano freschi e riposati come non mai, se non fosse stato che il primo aveva delle foglie di edera impigliate nella barba e la seconda mostrava una chioma tra le più scarmigliate.
- Meldarion, vuoi dirmi che cosa c’è da ridere? E voi due, che diamine avete fatto ai capelli?- disse Eglerion.
Il primo scoppiò a ridere, mentre gl’altri due cominciarono a narrare della sera precedente.
Galadhwen era stata la prima a cedere, dopo aver sfidato un uomo che le faceva gl’occhi dolci fino all’ultimo boccale. Era crollata a dormire sul pavimento della locanda, con Meldarion che le vegliava accanto, mano sull’elsa della spada.
Alastegiel aveva dato prova di sé battendo un paio di uomini, ma poi s’era improvvisata direttrice d’orchestra di cori da bettola, in piedi su uno dei tavoli. Per poi rovinare giù ed addormentarsi, con il gomito di Galadhwen piantato tra le scapole.
Burin, infine, dopo essersi ubriacato anch’egli, era finito a litigare con l’oste, che l’aveva gettato -aiutato da altri tre nani- nel vicolo dietro alla locanda. Dopo varie minacce in Kuzdhul -e parecchie secchiate d’acqua- Burin s’era addormentato beatamente tra l’edera del vicolo.
- Non quella che si dice una serata tranquilla- concluse Rhavanwen, dopo un secondo bicchiere.
Risero nuovamente tutti.
Eglerion poi s’alzò.
- Andrò a prendere i nostri bagagli. Dopodiché direi di pagare e di rimetterci in marcia. Abbiam già speso troppo tempo qui, almeno noi due- disse.
Il resto del gruppo gli lanciò occhiate interrogative.
- Ab- disse, in Sindarin. Dopo.

Pochi minuti dopo si trovavano tutti all’esterno della locanda. Avevano calorosamente salutato i due osti, che avevano insistito per fargli uno sconto tanto quanto Eglerion aveva insistito per dar loro un’extra. Alla fine nessuno dei due l’ebbe vinta e pagarono solo ciò di dovuto.
- Qualche idea sulla strada da farsi?- chiese Galadhwen.
- N’abbiamo parlato, Eglerion ed io, pochi giorni prima di approdare. L’idea era di proseguire a Sud, da Yelinta, fino ad incrociare il Calanduin. Da là proseguiremo leggermente a Sud-ovest, arrivando poi nel Mithlond- disse la Regina.
Il gruppo si mise in marcia, uscendo dal cancello Sud della città. Lì Burin si fermò.
- Qualcosa non va?- domandò Eglerion, lasciando le redini di Nimloth.
- Ho meditato a lungo ed ho preso una decisione: amici miei, le nostre strade si dividono qui. Non intendo proseguire verso Sud, ma continuerò verso Ovest, fino ad arrivare alla sorgente del Calanduin. Ivi sorge il Santuario di Aule, dove vivono molti della mia razza. Vi ringrazio molto dell’ospitalità, ma è giunto il momento di separarci-.
Alastegiel si avvicinò.
- Ti comprendo, Burin. È stato un piacere ed un onore conoscerti. Spero che i nostri sentieri s’incroceranno nuovamente, prima o poi- disse.
Il resto degl’elfi salutò Burin, augurandogli ogni fortuna per il suo viaggio.
Eglerion parlò per ultimo.
- Che Aule t’illumini il cammino, amico mio. E ricorda che dobbiamo ancora vedere chi dei due regge di più, poiché non ne abbiamo ancora avuto occasione. Infine, - continuò, abbassando la voce per evitar di farsi sentire dagli altri, - ti avverto: tieni l’ascia pronta ed il passo svelto, perché Mardion potrebbe esser ancora nelle vicinanze. Se ti capiterà d’incontrarlo, mi auguro che la tua lama conoscerà il piacere di spiccargli la testa dal capo-.
Udendo gl’ultimi avvertimenti, il nano si rabbuiò.
- Che i tuoi auguri possano realizzarsi, Eglerion Tegaladion- rispose. Esitò, come sul punto d’aggiungere qualcosa, ma poi si congedò definitivamente, inchinandosi e volgendo i suoi passi ad Ovest.
Eglerion lo lasciò andare, sebbene le parole del nano l’avevano lasciato turbato: come conosceva Burin il nome di suo padre?
Decise di lasciar correre e si riunì al resto dei suoi compagni.

Quel pomeriggio marciarono silenti lungo sentieri antichi, residui della Terra di Mezzo che ancora non aveva visto il cataclisma. Camminarono a lungo, a passo svelto, fino al tramonto.
Senza una parola, Eglerion fermò Nimloth ed il gruppo s’arrestò.
Non persero tempo a cacciare ma mangiarono una cena fredda con il cibo portato dalla Ithil. Non accesero neanche un fuoco, non avendone effettivo bisogno.
Si sederono nello spiazzo erboso e mangiarono, senza parlare.
Quando tutti ebbero finito, Alastegiel guardò Eglerion e Rhavanwen.
- Adesso vorrei che ci comunicaste i motivi di questa frettolosa dipartita da Yelinta-. Non parlò in tono freddo, ma fece sentire ogni briciolo d’autorità in quelle parole.
Eglerion sospirò, per poi estrarre dal suo bagaglio il tabacco.
Cominciò a girarsi una sigaretta nello stesso momento in cui prese a parlare.
In poche parole raccontò della sera prima e di Mardion, sempre rollando, lasciando Alastegiel basita.
- Questo Mardion ce l’ha con te, sembrerebbe- disse Meldarion, rompendo il silenzio. Aveva da pochi momenti fregato l’armamentario da rollo ad Eglerion e si stava dedicando anche lui al suo piccolo cancro al polmone.
Eglerion accese un piccolo fuoco di paglia ed infiammò la punta della sua cicca. Prese una lunga boccata, pensoso, per poi rispondere a Meldarion.
- Sembrerebbe di sì. Peccato che io non abbia la più pallida idea di chi sia-.
- Di certo c’è che non si tratta di un elfo- interloquì Galadhwen.
- Ma non è neanche umano. Ed escluderei la possibilità che si tratti di un nano: difficilmente raggiungono i sei piedi d’altezza- disse Eglerion.
- Ne sei certo, Eglerion, che non si tratti di un uomo? Magari un qualche Lord numenoreano che hai attaccato precedentemente-.
- Più che certo. E lo saresti anche tu, se l’avessi visto combattere. Nessun uomo, neppure se cresciuto tra gl’elfi, come Stephane, può combattere con quella velocità e forza-.
- Non vorrai mica dire che si tratta di un Maia- disse Meldarion, dando alle fiamme la punta della sua sigaretta con un fiammifero.
- Non lo escluderei, sai- disse Eglerion, serio.
Meldarion ridacchiò.
- Sì. E, magari, si tratta di uno dei sette in persona, ancora arrabbiato per la storia dei Silmaril. O, magari, Mandos stesso, pronto a adempiere le sue maledizioni, dopo millenni. Perché, se non erro, c’era anche la tua linea, immischiata in quegl’intrallazzi. O sbaglio?-.
Eglerion prese un paio di boccate, prima di rispondere, incurante degli sguardi confusi delle Sindar.
- Più o meno. Mi pare che qualcosa l’abbia perdonato, ai miei avi. Penso sia dovuto, dopo quell’immensa camminata tra i ghiacci che gli toccò fare. Ma, tralasciando la genealogia, escluderei tale probabilità. Se Mandos volesse distruggere i Noldor, non gli basterebbe inabissare Manwetol e feudi vari?- rispose, riprendendo la conclusione che aveva raggiunto la sera prima.
- Per cui resti dell’idea che sia un Maia- asserì Rhavanwen, estraendo una bottiglia da una delle sacche di Nimloth.
- Non posso esserne certo, ma andando per esclusione direi di sì- rispose il biondo, prendendo l’ultimo tiro.
Rhavanwen passò la bottiglia a Galadhwen, che l’aprì e n’annusò il contenuto.
- Tequila?- domandò al Capitano.
- Aye. Ottima tequila-.
Galadhwen bevve due sorsi, per poi passare la bottiglia alla Regina, alla sua sinistra. Anch’ella bevve, per poi passarla a Meldarion. Il Noldo gettò anch’egli il suo mozzicone, per poi bere un paio di sorsi.
Passando la bottiglia ad Eglerion, parlò nuovamente:
- Quindi resti della tua opinione- affermò, incerto.
- La mia opinione è incerta quanto il tuo tono. Possiamo far ben poco, al momento-.
Detto ciò, il Re bevve qualche sorso.
- Yoho, beviamoci su- asserì, laconico, Meldarion.

***

La mattina dopo Galadhwen svegliò il resto degli elfi. Era toccato a lei l’ultimo turno di guardia.
Dopo una veloce colazione si misero di nuovo in marcia. Camminarono a lungo, sempre in silenzio, quasi per non disturbare la Terra dormiente: eran secoli che un elfo non posava i suoi piedi su quei sentieri. Gl’unici ad utilizzarli erano i fuorilegge delle città, in fuga, o gl’animali selvatici, per quanto ne sapevano.
Presto apparve loro la vista, in lontananza, d’alcuni colli. Meldarion s’arrestò, improvvisamente. Sembrò crollare sotto il suo stesso peso e restò in ginocchio a fissare il terreno di quello che -nonostante non lo sospettassero- una volta veniva chiamato Verdecammino.
- Man mathach?- gli chiesero. Egli non rispose.
- Meldarion?- chiamò Eglerion. Il moro non disse parola neanche stavolta. Alzò semplicemente il mento in direzione di chi lo aveva interpellato e lo fissò con sguardo gelido. E con delle iridi di un azzurro talmente intenso da far rabbrividire il più coraggioso degl’uomini.
Eglerion non disse nulla, ma tese solo la mano verso l’amico. Questi l’accettò e si rialzò da terra, ringraziandolo.
- Che cosa è successo, Meldarion?- domandò Galadhwen.
- Nulla di tale, son inciampato in una radice- rispose egli.
- Meldarion, - cominciò Eglerion, in tono serio, - tu puoi beccare tutte le radici di questa terra, ma nessuna, nessuna di nostra conoscenza può farti cambiare il colore degli occhi-.
Meldarion si rabbuiò. Non poteva più nasconderlo, l’odiato dono che Mandos gl’aveva concesso.
- Le spiegazioni le rimanderei a stasera. Adesso è meglio se ci rimettiamo in marcia. Possiamo ancora raggiungere quei colli entro l’imbrunire, per poi accamparci là- interloquì Alastegiel.
Gl’altri annuirono. Senza una parola sull’accaduto, ripresero ad avanzare verso il punto indicato da Alastegiel.

Verso il tardo pomeriggio fecero un’ulteriore scoperta: non si trattava affatto di colli. Erano tumuli.
Sparsi in gruppetti di due o tre, essi chiudevano una piccola radura, il cui centro era segnato da un monolito, eroso dalle intemperie.
Il gruppo si fermò, sul far della sera, tra quei tumuli; avendo concordato qualche ora prima di utilizzare il luogo per quella notte.
Stavolta Meldarion raccolse della legna ed accese un piccolo falò.
- E quello? Per la suggestione?- domandò Rhavanwen, sorridendo.
Meldarion le scoccò un’occhiata gelida, ma rispose con voce calma:
- Fidati di me, è meglio averlo-.
Eglerion non prestò attenzione ai due, ma estrasse la bottiglia di tequila della sera prima e ne prese un sorso: la situazione cominciava a farsi troppo contorta, senza concentrarsi sui battibecchi dei compagni. Guardò la bottiglia, sospirando, e prese un ulteriore sorso. Per fortuna aveva portato una riserva sufficiente, per quel viaggio.
Quando si voltò, si trovò faccia a faccia con Alastegiel.
- Abbiam bisogno di parlare- disse ella. Gli fece cenno di seguirla, mentre s’avviava verso il tumulo più vicino.
I due s’inerpicarono sul colle e si sedettero sulla sommità di esso, poco lontani da una pietra intagliata.
- Che cosa c’è che volevi dirmi?- domandò il Noldo, cominciando a girarsi l’ennesima cicca.
- Sono preoccupata. Tra Mardion e Meldarion che adesso comincia a recitare la parte del folle, comincio a pensare che questo viaggio non ci porterà alcun bene- disse ella.
- Mardion è un problema non da poco, concordo. Non penso sarebbe strano se spuntasse da uno di questi tumuli, stanotte-. Alastegiel rabbrividì.
- Paura?-.
- No. O, meglio, non di questo luogo, nonostante si possa percepire il male che porta-.
I due si guardarono attorno, mentre l’umidità della sera li avvolgeva in una spessa nebbia.
- Lo so. È antico. Probabilmente c’è qualcosa di più antico di entrambi, sotto quest’erba-.
- I problemi sono: s’interesserà a noi? E: sarà benigno, in caso lo faccia?-.
- Dubito, riguardo alla seconda. E comprendo perché Meldarion ha acceso quel fuoco-.
- Ritornando a lui, non sei preoccupato?-.
- Non molto, veramente-.
- Come mai? Non mi par normale che una radice possa cambiarti il colore delle iridi- incalzò Alastegiel.
- Vero. Ma lo conosco abbastanza da comprenderlo. Sta bene, per ora- rispose Eglerion.
Com’aveva finito di dir quelle parole, un grido proveniente dalla radura attirò la loro attenzione. L’eco di questo riecheggiò tra le colline. Eglerion raggelò quando udì un grido di risposta.
Scesero velocemente lungo il crinale, per trovare le due Sindar inginocchiate vicino a Meldarion, disteso.
Il suo corpo era scosso da tremiti, le dita si flettevano veloci, ma i suoi occhi, mai così azzurri, erano immobili e fissi.
- Rhavanwen, prendi l’arco e mettiti vicino al fuoco- disse Eglerion, conciso. Ella eseguì, senza fiatare, mentre Eglerion afferrava un tizzone dal falò.
- Che cosa c’è, Eglerion?- domandò Alastegiel.
- Ti ricordi quella presenza? Probabilmente s’è accorta di noi e non è per niente benigna. Voi due pensate a Meldarion, Rhavanwen ed io vedremo che fare se decide di farci visita- rispose.
Alastegiel annuì.
I due attesero, tesi come la corda dell’arco di Rhavanwen, mentre Galadhwen ed Alastegiel vegliavano su Meldarion, che aveva cominciato a mormorare qualche parola in una lingua a loro sconosciuta.
- Adveniunt… celere colles descendunt…-.
Nel mentre sembrava contorcersi, spaventato da qualcosa che non vedevano. Eppure percepivano, più forte di prima, il male avvicinarsi.
- Hic sunt- concluse il Noldo, prima di svenire definitivamente.
Tre pallide figure emersero dalle nebbie.
Erano vestite di stracci, che una volta erano probabilmente stati ricchi abiti, e d’armature consunte, su cui la luce delle fiamme si rifletteva e guizzava, rendendo le apparizioni ancora più tremende. Sul capo d’ognuna v’era una corona di foggia diversa, e stringevano, nelle dita ossute e coperte d’anelli, delle spade arrugginite.
Eglerion sguainò la sua lama, mentre scambiava due parole in Sindarin con Rhavanwen, dicendole di tenersi pronta a scoccare. Quando il primo dei tre fu abbastanza vicino, Eglerion si rivolse a loro.
- Chi siete, ch’ancora vagate per quest’erme lande? Tornate al vostro riposo, più vostra quiete non turberemo- disse.
Lo spettro emise un suono strano, a metà tra un ringhio e una risata cavernosa, per poi parlare.
- Fini nostri turbare audete. Ciò che già siamo, a breve sarete- rispose esso, in un sibilo minaccioso.
Gl’altri due spettri s’unirono al primo nelle risa, per poi levare le spade.
Eglerion si preparò, brandendo sia spada che tizzone. Lanciò una rapida occhiata a Rhavanwen, che intese il segnale. La freccia dell’elfa si piantò nella mano dell’avversario più a destra, subito seguita da una dritta all’altezza del cuore, mentre Eglerion incrociava la lama con gl’altri due. Il Noldo si ritrovò a fissare due paia d’orbite vuote, ad udire due risate prive d’ogni gioia, a sentire l’immondo puzzo di decomposizione emanato dai suoi nemici.
- Ch’ei a noi venga, lascia!- disse uno dei due, mentre l’elfo premeva per rompere l’aggancio.
Eglerion si staccò, arretrando di un paio di passi, per poi tornare ad incalzare i due nemici, mentre il terzo, a cui le frecce non parevano aver fatto alcun effetto, veniva combattuto da Rhavanwen, che aveva lasciato l’arco per estrarre anch’ella la sua spada.
I due elfi continuarono a scambiare colpi con i loro nemici, perdendo e guadagnando terreno ogniqualvolta Eglerion allungava il tizzone ardente verso essi.
Con un colpo di maestria, Rhavanwen riuscì a spiccare la testa dal capo di uno dei tre. Il corpo cadde a terra, lasciando cadere l’arma, ma la testa rotolò poco lontana e continuò a fissarli con le sue orbite buie, lasciando uscire la sua macabra risata da una gola inesistente. Rhavanwen indietreggiò, impietrita da ciò che vedeva.
- Avo ‘osto, Rhavanwen, avo ‘osto!- le disse Eglerion. Non temere.
Stavolta comprendeva l’eventuale paura della sentinella: per quanto i mortali, vivi o deceduti, non l’avessero mai spaventato, le fredde dita dell’incertezza cominciavano ad afferrare anche il suo animo.
Rhavanwen non rispose ma, ripresa la fredda lucidità, calciò lontano la testa del nemico abbattuto e, con un grido, si avventò assieme al Capitano contro gl’altri due spettri.
Dopo un rapido, ulteriore, scambio di colpi, Eglerion improvvisò una stoccata verso lo spettro alla sua sinistra, contro cui si stava accanendo anche la Sindar. Il colpo riuscì ed il ramo incendiò le consunte vesti e le carni in decomposizione dell’essere.
Ma pagò caro il rischio preso: lo spettro rimanente, approfittando della momentanea distrazione di Eglerion, lo colpì alla coscia. L’elfo emise un verso di dolore, ma fu un momento soltanto. Pochi secondi dopo, grazie agli sforzi combinati dei due elfi, il corpo dell’ultimo spettro giaceva in pezzi sul suolo.
Rhavanwen prese il tizzone dalle mani di Eglerion e, mentre anche questo spettro s’accomiatava da loro ridendo, glielo piantò in gola.
I due tornarono al falò, dove trovarono le due elfe intente a vegliare su Meldarion, armi alla mano.
- Bisogna cauterizzare quel colpo: quella lama era arrugginita come non mai, farà infezione se non agiamo in fretta- disse Rhavanwen, dopo essersi assicurata che gl’altri fossero illesi.
- Fammi girare una sigaretta, prima, poi hai il permesso di darmi fuoco totalmente, se vuoi- rispose Eglerion, nervosamente. Impiegò qualche minuto di troppo, nel rollarsi la cicca, per via delle mani tremanti, ma riuscì. Poggiò la creazione accanto a sé e si voltò verso l’elfa bionda.
- Meglio se mordi qualcosa, non sarà quello che si dice “un piacere”- disse ella.
Galadhwen, nel mentre, si era avvicinata, portando con sé un otre d’acqua.
Il Re estrasse un corto pugnale dalla cintura e ne morse la lama dalla parte smussata.
- Pronto- mugugnò.
Rhavanwen prese un altro legno acceso dal falò morente e fissò Eglerion.
- Uno. Due. Tre!-.
Eglerion strinse i denti sul freddo acciaio, quando il tizzone incandescente venne a contatto con la sua carne, procurandogli lunghi secondi di dolore intenso. Subito dopo Galadhwen versò dell’acqua sulla carne viva, per raffreddarla. Rhavanwen concluse la medicazione disinfettando la ferita con il primo liquido utile che trovò -la tequila di Eglerion- e fasciandola.
- Zoppicherai un paio di giorni, ma dovresti rimetterti presto-.
- Bene- rispose egli, accendendosi la sigaretta e afferrando la bottiglia dalle mani di Rhavanwen. Fece un lungo tiro, per poi bere un paio di sorsi. Gli ultimi.
- Cazzo, un’altra bottiglia finita. Dannati spettri, porca troia- imprecò.
Le due elfe risero.
- Degno… degno d’un Haradrim sbronzo... Eglerion…- sentirono farfugliare, poi.
Si voltarono, per vedere Meldarion che avanzava, sorretto da Alastegiel.
I suoi occhi erano ancora dello stesso azzurro intenso di prima, ma meno freddi.
- Dobbiamo muoverci di qui- asserì quest’ultima.
- Concordo. Meldarion, Sali su Nimloth, ché non sei in condizioni di camminare- assentì Eglerion.
Si guardò un attimo attorno, per poi trovare, abbandonato vicino al falò, un ramo abbastanza lungo.
Si caricarono i bagagli in spalla e si rimisero in marcia, attraverso le nebbie che andavano diradandosi.


Al mattino avevano messo una lega tra loro e i tumuli e si concessero qualche ora di riposo.
Si trovavano sulla riva d’un ruscello che scorreva veloce, ai margini d’una piccola radura, immersi in un fitto bosco.
Galadhwen montò la guardia, assieme ad Alastegiel, entrando nella trance meditativa utilizzata dagl’elfi come forma di riposo. Consce ed inconsce di tutto ciò che accadeva loro attorno. Gl’altri preferirono gettarsi sotto l’ombra dei pini odorosi e dormire.
Il mattino passò pigramente e, verso il meriggio, si svegliarono per mangiare qualcosa.
- Tutto calmo?- domandò Meldarion. S’era ripreso, una volta lasciati i tumuli, ma possedeva ancora gl’occhi azzurri che non gl’appartenevano.
- Nessun suono- replicò la Regina, senza interrompere la meditazione.
Eglerion si stiracchiò, dietro di loro, guardandosi attorno. Si sentiva riposato, finalmente, e le fronde sopra di lui, con il loro odore di pioggia, gli davano una sensazione di pace.
Ma v’era comunque una vaga, remota, nota stonata.
Galadhwen fu la prima a notarla: ad un certo punto, quando s’apprestavano ad alzarsi per decidere sul da farsi, s’irrigidì nella meditazione e si rivolse agl’altri.
- Lo sentite?-.
I quattro elfi si misero in ascolto, cercando d’udire ciò di cui Galadhwen li aveva avvertiti.
Zoccoli, lontani, assieme a passi leggeri e clangore di metallo.
Meldarion ed Eglerion si scambiarono un’occhiata.
- Tu su Nimloth, io correrò- disse il primo.
- Accordato-. Assieme, cominciarono a togliere le sacche dalla sella di Nimloth, poggiando il bagaglio per terra.
- Dove credete di andare? Veniamo anche noi- disse Alastegiel, vedendoli indaffarati.
- Meglio di no, meglio non rivelare il nostro numero fin da subito. Vi prego, rimanete qui e state pronte a tutto- le rispose Eglerion.
Il Capitano salì sul suo cavallo e guardò Meldarion.
- Pronto?-.
- Andiamo-.
E i due partirono, inoltrandosi più in fretta possibile nella foresta.

***

Le lame cozzarono per l’ennesima volta, mentre piedi e zoccoli si bloccavano, sulla riva del Calanduin.
La ragazza eseguì una complicata mossa per liberarsi dall’aggancio in cui il suo avversario l’aveva costretta, per poi attaccare con il manico della sua lancia. Il centauro parò con una delle sue lame, muovendo repentinamente la seconda verso il fianco scoperto della fanciulla.
Con un movimento fluido ella schivò, in un turbinio di ciocche fiammeggianti, per poi tornare ad attaccare. Le armi s’incrociarono nuovamente, quando ella si bloccò.
- Che cosa accade?- domandò il centauro.
- Abbiamo ospiti. Un elfo, assieme ad un cavaliere, stanno venendo verso di noi. E sento la presenza d’altri elfi, più in là- rispose ella.
- La radura di confine, giusto?-.
- Esattamente. Vai tu? C’è qualcosa di strano, nell’elfo che sta arrivando, sono curiosa di scoprire chi egli sia-.
- Come preferisci, Hestia. Ci si vede tra poco-.
Detto ciò, il centauro saltò lo stretto fiume e cominciò a galoppare verso la radura, dove le tre elfe attendevano, quasi ignare.
Hestia si guardò attorno, ascoltando i rumori causati dai due in arrivo e cercando il luogo migliore da dove disarmarli, in caso ce ne fosse stato bisogno.
Si nascose, quindi, dietro un affioramento roccioso e attese.
- Hai sentito? L’altro cavaliere è andato verso le altre- sentì dire da una voce. Era profonda, ma comunque gioviale e, in quel momento, alquanto preoccupata.
- Ho sentito, Meldarion. Speriamo solo sappiano cavarsela, in caso si tratti di colui che temo- rispose un’altra voce.
Era arrivato il momento d’interrompere la loro conversazione. Uscì dal suo nascondiglio, con la lancia in pugno, pronta a difendersi.
- Chi siete voi?- domandò loro, con una voce non sua, baritonale ed antica.
I due elfi sussultarono ed alzarono le armi.
La ragazza vestiva una tunica di cuoio e puntava verso di loro una lancia che sembrava uscita dalle forge della scomparsa Gondolin, o da Nan Elmoth, per quanto era splendida.
Li fissava con i suoi occhi azzurri, ancora più azzurri e profondi di quelli di Meldarion ed Eglerion in quel momento.
- Chi siete?- domandò di nuovo.
I due elfi decisero di abbassare le armi. Eglerion scese da cavallo e si avvicinò, con le mani alzate in segno di resa.
- Mi chiamo Eglerion. Io ed alcuni compagni stiamo viaggiando per queste terre, diretti verso il Mithlond, non pensavamo fossero abitate. In più pensavamo che il cavaliere che abbiamo sentito vi stesse attaccando e che fosse una nostra vecchia conoscenza, di cui non desideriamo incrociare di nuovo il cammino. Questi è Meldarion, uno dei miei sodali. Vi dispiacerebbe dirci il vostro nome?-.
- Sono Hestia. Vivo in queste terre dagli albori di quest’Era, nonostante cammini su Arda da molto più tempo. Il messere di queste terre ha concesso l’ospitalità a me, mia sorella e ad un altro nostro amico, il cavaliere che udiste prima- disse ella, non nascondendo un sorrisetto quando definì la natura del centauro.
- Onorati di conoscervi- disse Meldarion.
Eglerion, invece, non rispose, ma fissò la donna. Se tale poteva esser definita.
- Voi non siete un’elfa, mia signora- le disse, quasi più per obbligarsi a crederlo.
Ella sorrise, mentre gl’occhi di Meldarion si muovevano velocissimi verso le orecchie di lei.
- Arguta osservazione, giovane elfo. Non sono né una primogenita né una dei figli minori di Iluvatar. Questo ti lascia poche opzioni sulla mia stirpe-.
- Vedi, Eglerion? Parli del nano e ne spunta la barba- disse Meldarion, riferendosi ai discorsi della sera prima.
- Come, prego?- domandò Hestia.
- Nulla di tale. Mi sta ricordando che, giusto ier sera, parlavamo di un possibile Maia. Che, però, ci vuole morti-.
Ella si ricordò improvvisamente dei discorsi dei due, riguardo al centauro. Sorrise, per rassicurarli.
- Potete star tranquilli, riguardo al mio amico: lui appartiene ad un’altra razza e, in più, non s’è mosso da questi boschi negl’ultimi giorni-.
Cominciò, poi, a camminare, nella direzione presa dal suo compagno. Si fermò, poco dopo, vedendo che i due elfi non si muovevano.
- Allora? Non volete riunirvi alle vostre compagne e conoscere questo fantomatico cavaliere?- disse loro, per poi cominciare a correre verso la radura da dove erano partiti.
- Maiar- borbottò Meldarion, accodandosi ad Hestia nella corsa, seguito a sua volta da Eglerion, ch’era risalito su Nimloth.

Impiegarono meno tempo, stavolta, poiché Hestia li aveva condotti per un sentiero ben nascosto di sua conoscenza.
- Come state?- domandò Meldarion, trafelato, una volta uscito dalla selva.
- Noi stiamo bene, Meldarion. Te, piuttosto, continui ad avere l’aria di chi ha visto negli occhi di Morgoth-.
Eglerion soggiunse poco dopo, accompagnato da Hestia, che aveva rallentato la sua corsa per parlare con il Capitano.
- Tutto bene?-.
- Tutto a posto, - rispose Alastegiel, - poi, con Diomede a proteggerci, che cosa vuoi che ci sia accaduto?-.
Fu in quel momento che Eglerion notò il centauro che lo guardava.
Due spade erano poste nelle guaine, che Diomede portava a tracolla. Una curata barba nera gli copriva il mento, mentre i capelli, anch’essi corvini, erano tagliati corti, eccetto che per un gruppo di ciocche, raccolte in una coda che gli ricadeva sulle spalle nude. Dal busto in giù aveva in tutto e per tutto l’aspetto d’un baio.
Parlò con voce profonda, ma che manteneva una vaga nota ironica, mentre lo scrutava con le iridi scure.
- Benvenuti, signori, nelle terre del Messere-.
- Ben incontrato a voi- rispose Eglerion.

***

Gl’elfi camminarono, a lungo, attraverso i boschi, risalendo il Calanduin, guidati da Hestia e da Diomede, che avevano offerto loro ospitalità.
Arrivarono nel pomeriggio inoltrato in vista d’una casupola.
- Talia!- chiamò Hestia.
- Non occorre che tu gridi, son qui- rispose la sorella, uscendo dalle fronde accanto a loro con una pentola piena d’acqua. Dietro di lei si sentiva il gorgogliare del fiume.
Talia, vestita d’un peplo candido, posò in terra la pentola e si presentò al gruppo, fissandoli uno ad uno negl’occhi.
Eglerion sorrise, quando si trovò a guardare in quelle iridi: il “rituale” gli riportò alla mente l’incontro della Compagnia dell’Anello con dama Galadriel, millenni prima.
Sorridi, Capitano, sorridi, finché puoi.
Il sorriso d’Eglerion svanì, mentre ne nasceva uno sulle labbra di Talia.
Infine venne il turno di Meldarion, ch’era rimasto in disparte, in attesa.
- Mia signora, è un onore incontrarvi- disse, ricambiando lo sguardo di Talia.
- L’onore è mio-.
Mandos beriannen. La tua venuta non poteva causare meno scompiglio.
Meldarion abbassò velocemente gl’occhi, turbato.
I venti possono cambiare, mea domina, le rispose, con la mente.
- Venite, immagino vorrete riposarvi- propose Hestia, interrompendo il colloquio tra Meldarion e Talia.
Il gruppo entrò nella casa delle due Maiar, seguiti da Diomede.
- Hestia, c’è ancora quel cinghiale che hai catturato ieri?- domandò il centauro.
- È legato poco lontano, verso il Calanduin. Fai tu gli onori?- rispose la rossa.
Diomede annuì, prendendo un coltello acuminato dalla cassapanca posta sotto la finestra, ed uscì.
Le due Maiar fecero accomodare gl’elfi attorno al tavolo, informandosi sulla loro provenienza.
Prese la parola Alastegiel.
- Io, assieme a Galadhwen e Rhavanwen, vengo dall’Ithilien. I nostri due accompagnatori, invece, sono Noldor di Manwetol- disse, concisa.
Talia sorrise. Gl’elfi s’ostinavano ad omettere i titoli, e le piaceva: era ora che i primogeniti -Noldor o Sindar o che altro- imparassero l’umiltà.
- Siam felici di avere ospiti di così alto lignaggio sotto il nostro tetto, somma Thalien- le rispose Talia, facendo sussultare la Regina.
- Son loro, dunque, la piega inconsueta di cui mi parlasti qualche tempo fa, sorella?- domandò Hestia.
- Esattamente- rispose Talia, soffermandosi a guardare Meldarion.
- Di che piega inconsueta state parlando?- domandò Eglerion. Aveva un pessimo presentimento.
- Lascia perder la commedia, Eglerion. Lei sa- disse Meldarion.
Le elfe lo guardarono, confuse.
- Come sarebbe a dire, “sa”?- domandò Galadhwen.
- È più semplice di quanto pensi, mia giovane elfa- disse Talia, muovendo da davanti agl’occhi una ciocca color fiamma.
Meldarion sospirò ed iniziò ad esporre la situazione.
- Hestia e Talia, come avete potuto intuire, sono due Maiar. Talia, nello specifico, serve Mandos, per cui possiede il dono della preveggenza. Ed è a conoscenza d’ogni possibile motivo per il quale siamo qui, ora-.
Gl’elfi rimasero interdetti, mentre Talia s’accendeva una sigaretta, con un sorriso beffardo sulle labbra.
- Vedo che ha studiato, il nostro amico. Ma sono certa che non ha raccontato al suo Re il motivo per cui i suoi occhi non sono scuri, ora- disse. Sembrava divertirsi molto. Volse il suo sguardo verso Eglerion.
- Non è così, Sire?- gli domandò.
- Non ne sbagliate una- rispose, conciso.
- Non sembrano felici d’avervi conosciuto. Scommetto che Talia ha fatto l’onnisciente come suo solito- l’interruppe una voce dall’esterno. Diomede entrò nella casa con la carne pronta ad essere cucinata. Poggiò sul tavolo la cena e si diresse ad accendere il fuoco.
- Avete ragione, Diomede. Sospetto che avrei preferito rincontrare Mardion- borbottò Eglerion.
Rhavanwen lo fulminò con lo sguardo, seguita da Meldarion e -con sorpresa degli elfi- Hestia.
Talia mosse lo sguardo da Eglerion a Hestia con una rapidità incredibile.
- Mardion?! Quel Mardion?-.
- È a lui che vi riferivate prima, quando parlavate di un possibile Maia che vi vuole morti?- domandò Hestia ai due Noldor.
- Suppongo sia lo stesso. Moro, con un occhio solo e uno sfregio sulla parte destra del viso-.
Un silenzio calò nella casa.
- Sì. È lui, Hestia-.
Eglerion cominciò a perdere le staffe.
- Mia carissima Talia, non tutti siamo degli stracazzo di Maiar onniscienti come te. Forse Meldarion sa qualcosa ma, come hai notato, non m’ha ancora voluto dire niente. Per cui, potresti dare una cazzo d’illuminazione a questo cazzo di Noldo che sta sbraitando nella tua cucina?- disse.
Talia gli rivolse un sorrisetto, dopo aver buttato fuori una voluta di fumo. S’appoggiò allo stipite dietro di lei, cominciando a parlare.
- Finalmente mostri un pochino d’autorità, mio caro Eglerion. Ma ti pregherei di evitare d’usare quel tono in questo contesto: neanche noi abbiamo ricordi felici di questo Mardion- disse.
Eglerion rimase silente, attendendo che la Maia proseguisse. Meldarion gli porse una sigaretta che aveva girato nel mentre. Il Capitano la prese e se l’accese. Poi qualcosa lo colpì. Un’illuminazione, dovuta a qualcosa che era rimasto nei recessi della sua mente.
- Siete state voi?!- domandò, esterrefatto.
- A cavargli l’occhio? Esattamente. È stata Hestia, per esser precisi- disse Talia.
Il gruppo sposto la sua attenzione verso l’altra Maia, che sedeva dandogli le spalle, attizzando il fuoco del camino per cucinare la loro cena.
- Tentò di stuprarmi- cominciò, senza voltarsi.
- Tentò di stuprarmi, ma con un pessimo finale. Gli strappai l’occhio e lo calpestai con il tacco dello stivale. Sono certa che si sogna ancora il rumore, durante le notti. Nel duello che seguì gli procurai lo squarcio sulla faccia. Capì di non essere in grado di battermi e fuggì. Accadde circa centocinquanta anni fa. Non so cos’abbia fatto, nel mentre, ma sembra esser rimasto su Arda, a quanto pare-.
La Maia si alzò, prendendo dal tavolo i pezzi di carne ben tagliati da Diomede, per buttarli nella pentola, dove l’acqua già bolliva.
- Ma - riprese a dire, mentre supervisionava la cottura della cena, - non roviniamo la serata parlando di quell’essere. Preferirei di gran lunga parlare d’altro, se non vi dispiace-.
Gli ospiti assentirono, impegnandosi a mantener altri temi nei discorsi futuri.

Qualche ora dopo Alastegiel si trovava fuori della casa. La stretta radura dove stavano era bagnata dalla fioca luce di uno spicchio di luna, mentre attorno sorgevano alti pioppi, mandorli ed agrifogli.
L’elfa fumava, pensosa, rivedendo nella mente gl’avvenimenti degl’ultimi giorni.
In poco meno di due settimane i Noldor avevano portato parecchio scompiglio nella sua vita. Ed ora si trovava nel giardino di due Maiar, nel pieno delle Terre Selvagge, senza alcuna certezza riguardante il domani.
- Dubbiosa?- le fece una voce profonda.
Ella si voltò per trovarsi faccia a faccia con Diomede. Dietro al centauro stava Eglerion, intento per l’ennesima volta a fumare.
- Parecchio. Comincio a chiedermi il motivo di questo viaggio- rispose Alastegiel.
- Non posso risponderti, mia cara, non m’interesso a ciò che accade al di fuori di queste radure da fin troppi anni, ormai. Ma puoi fidarti del giudizio di Talia-.
- Dici? Non lo so-.
- Ella sapeva della vostra venuta, da almeno una decina di giorni-.
Alastegiel fece un paio di calcoli a mente. Undici giorni prima c’erano stati l’incendio al porto, l’attacco alla Ithil e i diverbi tra Eglerion e Meldarion.
Nessuno sembrava saperne di più, su questi ultimi, per cui si ripromise di chiedere informazioni ad Eglerion non appena ne avrebbe avuta l’occasione.
Alastegiel spense la sigaretta, sedendosi sul manto erboso.
- Non lo so. Non tutti siamo veggenti come lei. Se io provo a figurarmi come sarà ciò che m’attende, vedo solo un’informe massa nebulosa- disse.
- Ben detto, thêl- le fece eco Eglerion, che aveva seguito la conversazione.
Il Noldo si avvicinò, sedendosi di fianco ai due.
- Sinceramente, son sempre meno convinto dei miei propositi, e mi dispiace avervi trascinati con me in questa folle crociata. Verso dove, poi? A cercare i nostri consanguinei che non si son fatti sentire per secoli? Per quanto ne sappiamo potrebbero non esserci affatto-.
- Non dire così. Probabilmente i tuoi sospetti su Nuova Numenor sono fondati: anche nell’Ithilien la situazione comincia ad esser critica-.
- Per questo son scettico: sarebbe stato meglio se fossimo rimasti nell’Ithilien ed avessimo agito da là- disse Eglerion.
- Forse- rispose Alastegiel, - ma forse non saremmo riusciti comunque a resistere. A sud del Vallo d’Isildur qualcosa è in movimento, non possiamo negarlo. E poi c’è il problema di Mardion: che cosa può volere un Maia da noi?-.
- Per quanto ne so son secoli che a Nuova Numenor c’è una taglia sulla mia testa. Potrebbe esser semplicemente in cerca di denaro, ma non ne son troppo sicuro- asserì Eglerion.
- No. C’è qualcosa di più losco nel ritorno di quell’individuo- interloquì Diomede.
- Devo dartene atto. Suona strano che un Maia sia interessato solo ad arricchirsi-.
Eglerion spense la sua sigaretta sotto il tacco dello stivale, mentre Hestia s’univa a loro.
- Cos’è questo, l’angolo dei tabagisti? Questi elfi stanno trovando ogni modo per sfuggire alla loro immortalità- disse, con tono di rimprovero.
Diomede sospirò.
- Hestia è una Maia al servizio d’Oromë, per cui non vede di buon occhio l’utilizzo di sostanze che possano causare male all’organismo. Sua sorella invece è l’estremo opposto- disse, informando i due elfi.
- Mi è già più simpatica- disse Eglerion, sorridendo.
- E Mardion? Quale dei grandi soleva servire, prima di ribellarsi?- domandò Alastegiel.
- Nienna- rispose Hestia.
- Colei che piange? Ora capisco…- disse Eglerion, pensoso.
Gli altri lo guardarono, confusi.
- L’altra notte Rhavanwen ed io siamo stati attaccati da Mardion, a Yelinta. Rhavanwen, essendo una sentinella, dovrebbe esser abituata all’adrenalina nelle vene, ai possibili attentati, al muoversi sempre circospetta. Ma quella sera non s’è accorta di Mardion nella sua camera ed è rimasta molto scossa, anche dopo la sua fuga-.
- Sospetti sia colpa del Maia?- domandò la Regina.
- È sicuramente colpa sua. Essendo stato un tempo fedele a Nienna, ha imparato il controllo sulla sfera delle emozioni. Ovviamente, ribellandosi ha perso la maggior parte dei suoi poteri, ma sembra aver acuito la capacità di far percepire le emozioni più spiacevoli come disperazione, paura e agitazione. Deve aver trovato il modo di farle sentire tranquillità e pace, di farla rilassare, prima di rivelarsi. Al che gl’è bastato farla disperare, tentando di farle perdere le speranze in modo che non potesse più far altro- spiegò Hestia.
Eglerion s’accese un’altra sigaretta, riflettendo sulle ultime informazioni. I suoi sospetti erano confermati e, in più, gl’era stata rivelata l’arma più pericolosa di cui il suo nemico potesse disporre.

Il mood si tranquillizzò quando ai quattro in giardino s’unirono gl’altri ospiti della casa. Talia si redense completamente agl’occhi d’Eglerion quando gli porse una bottiglia di vino bianco fruttato estratto dalla sua cantina.
- Son certo che questo ti piacerà- gli disse, porgendogli una bottiglia. Egli le sorrise e le porse la sigaretta appena rollata.
- Grazie. E mi scuso per il tono di questo pomeriggio, ma -comprendimi- ero alquanto irritato dal tuo atteggiamento- rispose.
- Nessun problema, Capitano-. Al che la Maia s’era accesa la cicca sulla candela accesa appositamente per quest’intento, guadagnandosi l’ennesima occhiata di rimprovero da parte della sorella.
Ithil viaggiava, nel cielo, ridotta ad uno spicchio crescente, mentre Noldor, Sindar, Maiar e un centauro discorrevano sotto le stelle di Varda, chiedendo consiglio, esponendo i loro piani o, semplicemente, raccontando aneddoti di ciò ch’avevano vissuto.
Meldarion fu preso da risa incontrollabili quando Talia raccontò della volta in cui era riuscita a far bere Hestia, con risultati disastrosi.
Alastegiel, però, restava taciturna. Spesso il suo sguardo si perdeva nel vuoto o indugiava verso Meldarion, tanto che egli se ne accorse, ad un certo punto.
- Manen nalyë?- le domandò, con la mente. Come stai?
- Prestannen- rispose. Preoccupata.
- È per gl’occhi?-.
- Sì. Non è normale. Lo siamo tutti, in effetti-.
- Non esserlo. Presto vi spiegherò tutto- rispose. Stava per aggiungere “Non devi preoccuparti”, ma non vi riuscì. Nello stesso momento sia lui che Talia s’irrigidirono.
Gl’occhi di Talia passarono dal verde all’azzurro intenso, di sfumatura perfettamente uguale a quelli di Meldarion.
Poi ella parlò.
- Mandos Beriannen inter vos est-.
- Hic sum, mea domina- rispose Meldarion.
Le due voci avevano lo stesso timbro, profondo e freddo.
Il dialogo tra i due continuò per qualche minuto, finché Eglerion non s’alzò, deciso a versare il proprio bicchiere in faccia a Meldarion, per farlo rinvenire.
Hestia lo trattenne per un braccio. Egli si voltò a guardarla, gelido, ma ella scosse la testa, facendogli intendere ch’era meglio non intervenire.
La cantilena dei due raggiunse toni sempre più alti ed inquietanti, per poi interrompersi bruscamente.
I due smisero simultaneamente di parlare e cominciarono a prendere respiri profondi e boccheggiare, come se appena usciti dalle gelide acque di un lago.
Meldarion appoggiò la schiena sul prato, cercando di riprendere fiato. Talia gli poggiò una mano sul petto.
- Stai bene?-.
- Sì, mia signora. Solo scosso-.
Galadhwen muoveva lo sguardo rapidamente dall’elfo alla Maia, cercando di capire che cosa fosse appena successo.
Eglerion s’avvicinò al duo. Non sapeva bene che cosa dire, ma sentiva che le domande gli s’accavallavano nella mente.
Fu Hestia a rompere il silenzio per lui.
- Dove?- chiese.
- Naind i Haudh-o-Linnaid- rispose la sorella, in un sussurro.
- I “Campi del Tumulo dei Canti”?- domandò Galadhwen.
- A sud-est da qui, in fondo all’Anduin. È dove fu combattuta la Battaglia della Sesta Era. Ma le spiegazioni a dopo, vado a prender dell’acqua- rispose Diomede, avviandosi dentro casa e uscendone poco dopo con un otre.
- Eglerion?- chiamò Talia, con voce flebile, - Non avresti una sigaretta per la povera veggente, così che lei ti possa spiegare che cosa è appena successo?-.
Fragili sorrisi illuminarono i volti degli astanti, sentendo che la Maia -nonostante provata- avesse ancora voglia di scherzare.
Meldarion alzò la testa.
- Se ne rolli una anche a me spiego io che, ormai, penso di dovertelo-.
Eglerion sorrise di nuovo e rollò di buona lena le due sigarette.
- Yenì ve lintë yuldar avànier, mi oromandi lisse-miruvoreva,* - disse Talia, - ma non per me. E non per il nostro comune amico-.
- Mandos Beriannen, lo hai chiamato. Che cosa significa?-.
- Trattasi d’un dono e di una maledizione, allo stesso tempo. Sono secoli che Mandos mi grazia con visioni. Visioni che spesso parlano di morte e distruzione, che tento sempre di far in modo che non avvengano, invano-.
- “Invano”?- domandò Galadhwen.
- Sì-.
Si rivolse ad Eglerion:
- Ti ricordi di Arandion?- disse, parlando del secondo che Eglerion aveva quando era ancora generale e Meldarion era appena arruolato.
- Tancave-.
- La sua morte. La vidi la sera prima. Quella fu la prima-.
- Ma in tutti questi anni non l’ha mai saputo nessuno?-.
- No. Era il mio peso da portare. Dopo Arandion ho sempre avvertito chi potevo, seppur poche volte m’hanno dato ascolto. La tempesta di sabbia è una delle poche eccezioni-.
- Mi son sempre chiesto come tu potessi saperlo prima- rispose Eglerion.
- Quando avvenne?- domandò Talia.
- Circa un secolo fa- risposero assieme Meldarion, Eglerion e Galadhwen. Il Capitano si voltò verso quest’ultima, sorpreso.
- Mh… quadra. Fu la prima volta che ti avvertii- rispose la riccia.
- Poi, improvvisamente, s’interruppero- continuò Meldarion.
Gl’elfi lo guardarono, interrogativamente, mentre egli prendeva un paio di sorsi d’acqua.
- Sono stata io. Durante la tua visione della tempesta sei riuscito a trasmettermi il peso delle tue visioni. Ero dunque al corrente della tua esistenza e, ogni volta che percepivo qualcosa di similare, tentavo di schermarti-.
- Devono esser stati anni difficili- osservò Rhavanwen.
- Non troppo. Un secolo, secondo i nostri standard, non è molto-.
- In ogni caso te ne ringrazio, Talia- disse Meldarion, - ma hanno ripreso a mostrarsi comunque, da circa…-.
- Poco più di una decina di giorni?-.
- Sì-.
- Lo so. Sospetto che la sola presenza di Mardion nelle tue vicinanze sia riuscita a bloccar le mie difese. Per questo mi sono mostrata, dopo la terza visione- disse.
- La sera dell’attacco al porto- disse Meldarion, informando gl’altri.
- Ad ogni modo- continuò Talia, rispondendo alla domanda inespressa del gruppo, - di queste ultime visioni solo quella dell’assalto alla vostra nave era specifica. Le altre son alquanto generiche-.
- E in questa? Avete visto solo i Naind i Haudh-o-Linnaid?- domandò Galadhwen.
- Il posto era quello. Si vedeva la costa di Vylsiach sullo sfondo, le falangi di picchieri prepararsi allo scontro e voi- disse Talia.
- Noi?- chiese Alastegiel.
- Sì, voi. Te, Alastegiel, il nostro amico Eglerion e un terzo elfo, chiaramente della stirpe dei Teleri, in testa allo schieramento. V’è una battaglia, nel vostro futuro più prossimo-.
Eglerion sospirò. Che cos’altro dovevano aspettarsi?

 

 

No, non è un miraggio, è veramente un capitolo undici che avete appena letto.
Finalmente ci siamo inoltrati un po’ di più nelle terre selvagge e spero che sia piaciuto alle varie fan di Meldarion.
Ringrazio parecchio Hareth, Elfa e Silvì, facendo un appunto alle ultime due: bestemmia! È triestino, NON veneziano, quello parlato dai tre osti! Che non ricapiti!
Scherzi a parte, son felice sia piaciuto come capitolo. E, sì, Hary, come ormai sai ho preferito andarci leggero su Rhavanwen, che già m’hai detto che sto scendendo sempre più nei meandri del Pulp.
Infine, m’è stato fatto notare che in questo capitolo i miei elfi stanno fumando e bevendo un po’ troppo, al che scatta l’avvertimento: ascoltate questo scrittore, loro non esistono, ma i polmoni e i fegati nostri sì, non seguite il loro esempio.
Ah, sì, si ringrazia Tarantino per aver ispirato alla lontana il dettaglio dell’occhio di Mardion.
Detto ciò, vi lascio a questo piccolo fuori scena.

Cose che accadono, su un set del genere.

Studios di VII Age. Refettorio esterno. 14:27.
- Che è ‘sta morchia?!-.
- Oi, come osi?-.
- Dai, Meldarion, ‘sta tranquillo…-.
- Lascia perdere, Castiel, è incazzato amaro-.
- Che cosa succede qui?-.
Chaos si avvicina all’angolo del tavolo dove Meldarion sta sbraitando.
Meldarion, Castiel, un fonico e la costumista stanno discutendo animatamente. Meldarion in particolare sembra alquanto adirato con il fonico in questione, un ragazzo sui venticinque con i capelli lunghi castani, gl’occhi azzurro intenso, la barba sfatta e un’anda da tossico resa ancor più accentuata dalla miriade di pendagli e cianfrusaglie attaccate ai polsi.
- Meldarion?- chiama di nuovo Chaos, togliendosi dalla testa il berretto da baseball che dovrebbe conferirgli il grado di regista (in realtà gli da un’aria da idiota patentato, ma nessuno ha avuto il cuore di dirglielo).
- Che c’è?!- risponde questi.
- Che-cosa-succede?- domanda di nuovo, scandendo bene le parole.
- Assaggia!- gli dice Meldarion, porgendogli il suo calice di vino.
Chaos afferra il bicchiere e prende un paio di sorsi del bianco contenuto. Reprime un conato.
- Fa cagare, vero?! Sa di pop-corn!- strepita Meldarion.
- Voi non apprezzate l’arte…- afferma il fonico, con aria affranta.
- L’hai comprato te?- domanda il regista, riconoscendolo come uno dei compagni di bevute di quella sera in cui s’è preso una piomba fenomenale assieme ad Eglerion e Talia. Anzi, a ben pensarci, glielo aveva presentato proprio Eglerion, quando il tecnico del suono precedente s’era licenziato dopo aver notato il livello di serietà nullo sul set di tutti.
Chaos sorride. Era quando ho finto di essere Eglerion con un sombrero in testa, durante la scena della partenza da Minas Duin, si dice.
- Sì. L’altra sera m’hai firmato un foglio che mi dava piena padronanza dei soldi del catering per comprare il vino dei prossimi giorni- risponde il fonico, accendendosi una paglia.
Chaos se n’accende una a sua volta.
- E allora perché questo fa schifo? Mi pare che tu avessi una buona conoscenza dei vini-.
Il fonico sospira, tirando fuori un portafoglio. Lo apre, buttando fuori una voluta di fumo, per estrarne uno scontrino.
Chaos lo prende e comincia a leggere.
- Hrvatska Republika?! Macheccaz? Ma dove sei andato a comprarlo? Che cosa sono le KUNE?!-.
- Son dovuto andare fino ad Umago, dove me lo hanno fatto a quattordici kune al litro e mezzo- risponde il tecnico.
- Che sarebbe?-.
- Due euro-.
Chaos non sa più se strangolare il fonico con i lacci delle sue stesse Converse, uccidersi con il vino al delicato aroma di pop-corn o chiudere gli studios dichiarando fallimento.
- Capisco il risparmiare, ma un minimo di qualità-prezzo…- comincia Chaos.
- Sai che cosa vuol dire che tu m’hai dato quaranta, dico quaranta euro per comprare il vino?! Lo sai che stiamo mangiando cibo cinese e kebab comprati all’ingrosso per pochi euro? Stiamo per andare in bancarotta e vi lamentate se non possiamo permetterci del vino decente? Cazzo, io mi dimetto, ci si rivede al baretto, Chaos-.
Chaos si lascia cadere sulla panca tra la costumista e Zoe.
- Ok. Non abbiamo vino. Non abbiamo un tecnico del suono. Non abbiamo come pagar la colonna sonora, perché il fonico doveva frodare in qualche modo i detentori dei vari diritti. Dobbiam ancora trovare una modo per andar a in Cadore a girare gl’esterni del dodici. Devo trovare uno stuntman per Waith, che altrimenti mi sviene per le vertigini…- comincia a cantilenare il regista.
- Bluescreen?- propone Zoe, al suo fianco.
- Ha detto che gli fa venire il mal di mare. Ti ricordi per la scena dell’attracco? È quasi caduto due volte dal Molo Audace! Da fermo!- commenta Chaos, con una nota di isteria nella voce.
Si ferma un secondo a guardare Zoe, che gli sorride tentando di rassicurarlo.
Il sorriso di Zoe comincia a svanire mentre quello di Chaos si allarga.
Il regista cinge le spalle alla ragazza e, con fare professionale, comincia a parlarle.
- Sai, Zoe… stavo pensando: che cosa vuole vedere la gente? Vuole violenza, e gliela daremo; vuole ridere, e ridono; e vuole sesso-.
- A che cosa vuoi arrivare, Chaos?- risponde ella, nervosamente.
- Beh, te sei una bella ragazza… potresti essere… un po’ più lasciva, potrei aggiungere qualche scena nel dodici in cui potresti mostrarti per la bellezza che sei…- dice.
Zoe si ferma a pensarci un momento. Sorseggia un po’ di vino, per poi sputarlo dietro di lei. Poi si volta verso Chaos.
- Ok- comincia. Chaos sembra sprizzare gioia da tutti i pori, ha trovato il modo di salvare la sua fic.
- Doppio stipendio- continua ella. Il sorriso di Chaos comincia a svanire anch’esso.
- Doppio stipendio. Suite prepagata. Un nuovo paio di scarpe-. Il sorriso di Chaos è ormai un ricordo.
- 10% dell’incasso totale. Del vino decente. Possibilità di scegliere la controparte maschile…-.
Chaos si alza, sconfitto.
- EHI! Guarda che non ho mica finito-.
Chaos neanche si volta, va diretto a passo spedito verso l’osmizetta di Cavana, dove è sicuro di trovare conforto.
- Ben arrivato boss- lo saluta Lancaeriel, vedendolo arrivare.
Rain è seduto poco più in là, acustica in mano, che canticchia.
- Rollin’… rollin’… rollin’ on a river…-.
L’ex fonico lo saluta con un cenno del capo.
Dietro di lui Eglerion è intento a pomiciare con Rhavanwen, evidentemente alticcia.
Chaos s’accascia sulla sedia più vicina.
- Pensavo- comincia Lancaeriel, - che ne diresti se facciamo far una scena a quei due in cui solo lei è sbronza?-.
Chaos lancia un’occhiata ai due e nota quanto accaldata sia lei e quanto sobrio -per i suoi standard- sia lui.
- Potrebbe essere un’idea. Torno subito-.
Ritorna al tavolo poco dopo con due bicchieri e una caraffa di vino.
- Scena notturna senza stipendio- esordisce l’elfa bionda.
Chaos, preso da uno slancio affettivo, la bacia appassionatamente per poi versarsi un bicchiere di vino decente.
- Parliamone-.

Si ringrazia Hareth per avermi prestato Rain, mago di vento chitarrista che strimpella Proud Mary dei Creedence, presente in Alagos Rain’s Rioters e Alagos War, sempre in questa sezione. Il vino di Umago che sa di pop-corn esiste e fa veramente schifo: se capitate in Hrvatska, attenzione a quale vino comprate.

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Capitolo 12
*** Cap XII Passi e Cenge ***


Cap XII Passi e Cenge

Il sentiero scendeva, ripido, perdendosi nel ghiaione sul fianco est della montagna. Più in basso v’era un bosco di conifere. Abeti, sembravano, visti dal passo.
Stephane strizzò gli occhi, guardando in basso. Sì, erano proprio abeti.
- Waith! Muoviti!-.
- Arrivo!- rispose il moro, muovendosi con circospezione, tenendo Frealaf per le redini.
Guthwine, accanto a lui, stava immobile. Stephane gli diede una pacca sul collo, mormorando:
- Non preoccuparti, presto saremo fuori da questi dannati monti-.

Era passata una settimana da quando avevano cominciato la traversata delle piane. Grazie ai cavalli, in tre giorni avevano coperto un tratto che avrebbe portato via loro almeno una settimana, a piedi.
Stephane sorrise, ricordandosi la prima sera dopo una giornata al galoppo.
- Cazzo!- aveva detto Zoe - Non ero così rigida da... da... cazzo, non ricordo di esser mai stata così rigida! Cazzo!-.
- E poi sarei io, quello volgare, eh?- aveva risposto egli, sorridendole.
Al terzo giorno di traversata avevano ricevuto la prima sorpresa di quel viaggio.
Si trovavano ancora in territorio Rohirric -seppur molto vicini al Vallo- quando avevano visto in lontananza una linea di cavalieri.
- Quanti sono?- aveva domandato Zoe, fermando il cavallo in cima al colle sul quale erano saliti i suoi due compagni.
- Molti. Troppi- aveva risposto Waith.
Stephane le aveva dato un mezzo sorriso, che aveva un che di sardonico.
- Che ne dite, andiamo a far conoscenza?-.
Senza attendere risposta, aveva lanciato Guthwine giù per la collina, andando incontro alla linea ordinata.
I due non avevano potuto far altro che seguirlo.
S'erano fermati a un miglio di distanza, vicino ad un affioramento roccioso, e lì avevano atteso.
Non era passato molto tempo, quando l'inizio della compagnia s'era fermata accanto a loro.
I cavalieri erano vestiti di cotte di maglia, coperte da sorcotti neri. Portavano lunghe lance e sui loro scudi v'era un rilievo di metallo raffigurante una torre cuspidale argentata.
Numenoreani.
Il capitano, in testa alla fila, aveva fatto fermare la sua compagnia e si era accostato ai tre, senza smontare.
- Che cosa abbiamo qui?- aveva detto, sguainando la spada.
Zoe poté notare che Stephane non si sbagliava: portavano effettivamente dei ridicoli stocchi.
Waith aveva preso parola.
- Buon pomeriggio, sior capitano. Che cosa possiamo fare per aiutarvi?- aveva detto, dando al suo tono di voce tutta la cadenza dialettale che gl'era possibile.
- Dirmi quale sia il vostro proposito in questa desolazione. Non vi sono villaggi per miglia, che cosa dovrebbe portare tre viaggiatori male in arnese in questa zona?-.
- Mia sorella ed io siamo in viaggio verso Salph. Partimmo due giorni fa da Ghal. Egli invece non so che propositi abbia ne dove sia diretto, lo abbiamo incontrato poco prima voi arrivaste-.
Il capitano si era tolto l'elmo, mostrando dei cortissimi capelli castani e una barba curata.
- Tu. Dove sei diretto?- aveva chiesto.
Stephane era rimasto impassibile.
- Ti ho fatto una domanda. Rispondi!- aveva domandato di nuovo il capitano.
- Purtroppo comprende poco l'Ovestron, sior capitano: parla solo uno stretto dialetto Rohirric di cui conosco qualche parola- aveva detto Waith, reggendo il gioco all'amico.
Il capitano aveva sbuffato, impaziente, mormorando improperi contro le altre lingue: era da così tanto tempo che tra le due nazioni non v'erano contatti che nessuno della fila conosceva il Rohirric.
- Ottima trovata- aveva detto Stephane, rivolgendosi a Waith.
- Che risposta volere che gli do?- aveva risposto Waith, fingendo un'incertezza nel tono e nella grammatica.
Stephane aveva riso.
- Digli che può ficcarsi quella lancia su per il culo-.
Waith aveva imprecato contro la leggerezza d'animo dell'amico.
- Ha detto che è diretto verso Kye. Non ha specificato quali propositi, ma suppongo sia originario di quella zona-.
Il capitano aveva sbuffato di nuovo.
- Se siete diretti a Salph, dovete arrivare al Vallo entro il tramonto. Da domani sarà chiuso per ordine del Re- li aveva avvertiti.
Poco dopo la compagnia di soldati era ripartita, in uno sventolare di stendardi nero e argento, dirigendosi verso sud.
- Simpatico, eh?- aveva asserito Zoe, quando anche l'ultimo della fila era ormai lontano da loro.
- E pensa che mi toccherà aver a che fare con gente del genere, una volta arrivati. Diamoci una mossa, dai, non vorrei dover scalare un muro, stanotte- aveva risposto Stephane, montando di nuovo su Guthwine.

Stephane guidò Guthwine giù per il sentiero, imprecando di tanto in tanto contro Eglerion: quelle povere bestie non erano fatte per inerpicarsi su e giù per i monti e le forcelle.
- Stephane, vedi di rallentare, cazzo!-.
Il rosso si voltò per vedere Zoe scendere a piccoli passi, seguita da Gareth. Il cavallo s'era dimostrato un ottimo animale, veloce e affidabile, ma non sembrava troppo felice di trovarsi continuamente tra quei monti.
Stephane ignorò le grida della ragazza e continuò a scendere a passo sostenuto, seguito dai due compagni.

Presto giunsero in una piccola radura, tra le conifere che avevano potuto vedere dalla forcella.
Zoe si sedé sull'erba, con il fiatone, dopo aver legato i cavalli ad uno dei pini.
- Non m'interessa nulla di quello che tu possa dire, Stephane, ma io adesso mi piglio un'ora di pausa. Fumati tutte le sigarette che vuoi, caccia la cena, fai quel cazzo che ti pare, ma io da qui non mi muovo- disse la ragazza.
Stephane sospirò, mentre le mani erano già impegnate nel rollo.

***

Quella sera i tre si accamparono in una stretta valle. Waith insisteva per proseguire ancora, ma Stephane e Zoe lo fecero desistere: i cavalli erano stanchi, loro erano stanchi ed era quasi un suicidio tentare d'inerpicarsi al buio per quei monti.
Accesero un fuoco e, mentre Waith preparava la cena, Zoe prese parola.
- Era da un paio di giorni che ci pensavo, ma non abbiamo ancora avuto occasione per parlare per bene: vi ricordate i Numenoreani?-.
- Certamente. Come potrei scordarmi capitan pomposo e la sua allegra marmaglia?- rispose Stephane, frugando nel suo bagaglio impegnato nella solita ricerca.
- Avete notato l'umore del resto delle truppe? C'era il capitano che faceva domande, serissimo, l'alfiere, accanto a lui, che sembrava avesse il palo dello stendardo infilato nel fondoschiena e il resto della compagnia che aveva un'aria veramente annoiata e rassegnata- disse Zoe.
- “Fondoschiena”, addirittura? Dov'è finita la Zoe volgare di sempre?- domandò Waith, senza distogliere gl'occhi dal coniglio che stava cucinando in una pentola.
- Fottiti, tu, e rispondete alla mia domanda-.
Stephane sospirò, trovando finalmente la sua busta di tabacco.
- Certamente l'abbiamo notata. Ne discutevamo giusto l'altra sera, vero Waith?-.
- Ricordo. Questo loro atteggiamento ci renderà le cose parecchio più facili, una volta nella capitale-.
Zoe assunse un'espressione oltraggiata.
- Ed io dov'ero, mentre voi ne parlavate?!-.
- Dormivi, mia cara, e non ho avuto cuore di svegliarti-.
- Stephane, se tu solo provi a combinarmene un'altra del genere, giuro che ti spengo una di quelle tue sigarette in una narice!-.
- Va bene! La prossima volta ti sveglierò- rispose il rosso.
Stephane s'alzò e si inoltrò nel bosco alle sue spalle.
- Dove vai, ora?!- gli gridò dietro la ragazza.
- A pisciare!-.
Waith sospirò.
- Ma dovete tirarla così per le lunghe, voi due?-.
Zoe lo guardò, non capendo.
- Si nota- disse semplicemente l'uomo.
- Non capisco di che cosa tu stia parlando- rispose la ragazza, nonostante il lieve rossore che le colorò le guance.
- Come vuoi, indianeggia pure-.
Zoe sbuffò.

Qualche ora dopo, Stephane gettò l'ennesimo mozzicone nel falò morente e si diresse verso Waith, che dormiva poco più in là.
L'aria era fredda e l'umidità pesante.
Strano, si disse, mi sarei aspettato di trovar neve, a queste altezze.
- Waith- sussurrò il rosso, scuotendo l'amico.
- È già ora? Che palle- rispose questi.
- O, io non ho sonno, ancora, resto a farti un po' di compagnia-.
Tuarwaithion si alzò e si stiracchiò, voltandosi verso l'amico.
- Però, non male come scena. Con questa nebbia sfido chiunque a trovarci- osservò, guardandosi attorno.
Stephane s'accese un'altra sigaretta, reprimendo un colpo di tosse.
- Scommetto che ne hai appena spenta una- fece Waith.
Stephane non gli rispose. Il moro si sedé accanto a lui, avvolto in uno scuro mantello da viaggio. I mantelli Sindar giacevano ripiegati sul fondo dei loro bagagli, per evitare di destare sospetti.
- Fumi troppo. E di certo questo non ti fa bene- continuò l'uomo.
Stephane, in risposta, soffiò fuori una voluta di fumo che si perse nella nebbia pesante. Poi si voltò verso Waith.
- Mi basta che lei non cominci- rispose.
Waith guardò verso la ragazza, che dormiva sul suolo, raggomitolata sotto una coperta.
- Certo che la state tirando veramente per le lunghe, voi due- disse Waith, ripetendo le parole di qualche ora prima.
Stephane lo guardò.
- Chi? Zoe ed io? Ma no, dai-.
- Stephane, basta che me lo diciate. Io son capacissimo di sprecar due ore a cercar legna, prima di tornare all'accampamento, domani sera-.
Stephane s'alzò in piedi e fece un paio di passi verso gl'alberi.
- Ehi, non c'è bisogno di offendersi, ora!- gli disse Waith.
Un secondo dopo Stephane s'era lanciato in terra. Anche Waith udì chiaramente il sibilo nell'aria e vide la freccia conficcarsi su un albero, poco lontano da dov'era seduto in quel momento.
Strisciando lentamente, s'avvicinò a Stephane.
- Quanti?-.
- Ne vedo solo uno. Ma solitamente nessuno viaggia mai da solo, in queste zone-.
Altre due frecce volarono, conficcandosi sugl'alberi attorno a loro.
I due uomini non si mossero, tenendo d'occhio il loro assalitore e scrutando la zona circostante per individuare altre minacce.
- Rischio e prendo l'arco. Magari vederlo crollare in terra farà saltar fuori i suoi amici- disse Waith. Rotolò dietro un masso e strisciò fino al suo bagaglio. Prese l'arco e, avvoltosi nel mantello, incoccò una freccia. Coperto da un albero tese la corda e cercò il suo avversario, nella foschia.
Una freccia si conficcò nel tronco, a pochi pollici dal suo viso.
Cambiando subito la direzione del suo sguardo, Waith individuò il secondo tiratore e scoccò.
Il colpo andò a segno, penetrando nella coscia dell'uomo, che rovinò in terra con un lamento.
Stephane, nel mentre, disfatosi del mantello e della spada, s'era avvicinato all'arciere che per primo aveva tirato, tenendo il pugnale stretto nella sinistra.
Silenzioso come non mai, si muoveva di ombra in ombra, passando da una copertura all'altra, avvicinandosi sempre di più all'uomo.
Waith si avvicinò all'uomo che aveva abbattuto. Lo trovò boccheggiante, che cercava di estrarsi la freccia dalla ferita.
Senza troppi complimenti, Waith gli mollò un manrovescio che gli fece perdere i sensi e lo trascinò per quei pochi metri che lo separavano dall'accampamento.

Stephane era sempre più vicino. Un passo dopo l'altro, aveva percorso quasi tutta la distanza tra l'assalitore e lui. Ancora poche decine di piedi.
L'uomo era vestito come i raminghi che avevano incontrato vicino alle Sale.
Raich, pensò Stephane.
Il ramingo gli dava le spalle. Il cappuccio gl'era scivolato via dalla testa, mostrando dei capelli corvini lunghi e mal curati.
Impegnato com'era a scrutare nel buio, l'uomo non si accorse dei movimenti alle sue spalle. Un braccio muscoloso gli cinse la gola, mentre sentiva il freddo del metallo poggiato sulla sua gola.
- Lascia cadere quell'arco-.
Il ramingo eseguì.
- Cammina, ora. Muoviti- ordinò Stephane, spingendolo verso l'accampamento.
In pochi minuti Stephane condusse l'uomo e lo fece sedere vicino al fuoco morente. Volse lo sguardo verso Waith e l'altro uomo, steso.
- Ha cuiol?- domandò, il rosso. È vivo?
- Per ora-.
Waith mosse lo sguardo verso l'altro uomo. Nonostante la situazione in cui si trovava, continuava a guardarli con un espressione tra le più sprezzanti.
- Pensi ci toccherà ucciderli?- chiese Waith, passando al Sindarin.
- Non dobbiamo rischiare. I due nelle Sale non possono nuocerci, questi due sì- rispose Stephane.
Waith annuì. Il moro si avvicinò all'uomo ancora cosciente.
- Sei parte dell'esercito?- gli chiese.
- Non parlo con i traditori- rispose quello.
- Ti conviene rispondermi. Perché ci hai attaccato?-.
- Vi ho riconosciuto. Voi siete quei bastardi della nave elfica!- disse.
- Abbiamo finalmente trovato qualcuno che lavora con quel bastardo da un occhio solo-.
- Non sarà l'ultimo- rispose Stephane, ricordando le parole dei tre raminghi.
- Che cosa volete da me? Io stavo facendo solo il bene per la mia patria!-.
I due lo ignorarono.
- Speriamo non se ne siano salvati molti altri-.
- In ogni caso, hai ragione: non possiamo tenerli in vita. Specialmente ora che sappiamo che loro sanno- rispose Waith.
- Dago hain- disse Stephane, con un tono svogliato. Uccidili.
- E tu che cosa farai?-.
- Andrò a dormire. È ancora il tuo turno di guardia, almeno per un'altra ora-.
Waith sospirò, mentre costringeva il prigioniero ad alzarsi.
Guardò l'uomo cosciente, che sembrava aver capito la situazione.
- Namarië- disse Waith.
Prima che l'uomo potesse protestare, Waith gli spezzò il collo in un rapido movimento.
Il corpo cadde con un tonfo, mentre l'uomo rivolgeva la sua attenzione al suo compagno.
- Certo che sei proprio uno stronzo, Steph. Il lavoro sporco te lo pigli te-.
- Cioè?- domandò il rosso, che già si stava stendendo in terra.
- Io non li sposto da qua-.
- Ah, quello... non preoccuparti. Li carichiamo sui cavalli, domani, e li lanciamo giù dal primo dirupo. Non ci vorrà molto-.
Waith si chiese come il suo amico potesse ironizzare anche in un frangente tale.
Provò a chiederlo all'amico, ma Stephane lo zittì.
- Sh! Ascolta!-.
Waith tese le orecchie, pronto a cogliere un altro rumore minaccioso.
Non capendo, volse di nuovo lo sguardo verso l'amico, che ridacchiava.
- Cosa?- domandò.
Stephane lasciò che fosse il silenzio a rispondere per lui.
O, meglio, il russare di Zoe, che ancora dormiva, nella posizione in cui l'avevano lasciata.

***

- Piano, Frealaf, piano!-.
Waith guardò avanti. La cengia si allargava, pochi metri più avanti, ma in quel punto erano stati costretti a procedere con le schiene attaccate alla parete e a condurre i cavalli uno per volta, molto lentamente.
- Ci siamo?- domandò l'uomo, una volta arrivato dall'altra parte.
Stephane gli rispose affermativamente, mentre osservava il dirupo sottostante.
- Direi che abbiamo trovato il punto giusto, Waith- disse.
I due presero i corpi esanimi dei Numenoreani e li spinsero oltre l'orlo del burrone, senza troppi complimenti.
- Bene, anche questa è fatta. Direi che possiamo avviarci. Se non erro, dietro quella forcella dovrebbe esserci la vallata dell'Uruiduin. Ancora un paio di giorni e saremo a Salph- disse Stephane. Dopodiché, s'avviò con passo sostenuto lungo la cengia, che a poco a poco ritornava ad essere un sentiero, canticchiando una vecchia canzone.
- I see the bad moon rising, I see trouble on the way...-.
- Proprio ottimista, Stephane- disse Zoe.
- Meglio non prendersi in giro, dolcezza, e cantar il proprio futuro tranquillamente- rispose il rosso, con un sorriso.
Continuarono imperterriti a camminare per i sentieri degli antichi Ephel Duath, attraversando radure e guadando torrenti di tanto in tanto, senza fermarsi se non per un breve pranzo.
Al tramonto i tre si fermarono in una macchia di conifere, sull'ultimo versante che avrebbero dovuto salire.

***

- Ci siamo, finalmente!- esclamò Waith.
Accanto a loro scorreva un torrente impetuoso, ma non più largo di sei piedi.
- Questo sarebbe l'Uruiduin?- disse Zoe.
- Esattamente. Questo torrente crolla in una cascata, tra qualche lega, raccogliendosi in un lago che ha dato vita al fiume che ha scavato la valle dell'Uruiduin. Quel fiume scorre per miglia, passa per la capitale e poi si dirige a Nord, verso Porto Veliko. Non dobbiamo far altro che scendere oltre la cascata e seguire il corso del fiume. Se abbiamo fortuna ed evitiamo incontri molesti, dovremmo arrivare a Salph al tramonto- spiegò Stephane.
Seguirono il torrente finché non udirono il rombo della cascata. Il sentiero, che fino a quel punto aveva costeggiato il torrente, deviava verso Nord.
I marinai condussero i cavalli lungo il sentiero, che discendeva a circa mezzo miglio dalla cascata in ripidi tornanti.
In quel punto il sentiero sembrava scavato direttamente nel fianco della montagna, ma mostrava vari segni di trascuratezza. In un punto furono costretti a fermarsi per mezz'ora, il tempo necessario a Waith e a Stephane per aprire un varco abbastanza largo da far passare i cavalli nel punto in cui parecchie rocce erano franate.
Dopo aver mosso l'ultima pietra, Waith si sedé in terra.
- Prendiamoci dieci minuti- disse semplicemente. Stephane estrasse il tabacco e si dedicò al suo vizio, mentre Zoe si guardava attorno.
- Ragazzi, sospetto che la nostra solitudine sarà interrotta, a valle-.
I due la guardarono, non capendo.
- C'è una casa, alla fine del sentiero. E ha tutta l'aria di essere un avamposto-.
- Ottimo. Direi che è ora di mettere in moto la nostra messinscena- disse Stephane.
- Concordo pienamente. Zoe, prima di tutto, le tue armi- disse Waith.
- Come?-.
- Nuova Numenor è un paese estremamente sessista, rimasto alle concezioni umane della Terza Era secondo le quali le donne dovrebbero restare a casa. S'insospettirebbero parecchio, se trovassero delle armi tra i tuoi bagagli. Le terrò io-.
La ragazza sbuffò, cominciando ad armeggiare sul proprio bagaglio.
- Secondo, chiamatemi Nick, d'ora in poi. Non posso presentarmi con un nome Sindarin- continuò Waith.
- Sinceramente, non penso sappiano distinguere l'etimologia di una parola derivante dal Sindarin da quella di una parola Haradrim. Ma hai ragione, Tuarwaithion è alquanto appariscente, come nome- concordò Stephane.

Mezz'ora dopo avevano raggiunto la base del precipizio e stavano sfilando silenziosi accanto all'avamposto.
Non c'era anima viva, intorno, e la cosa li insospettì non poco.
- Ci stanno sicuramente osservando. Espressioni tranquille, non abbiamo nulla da temere- mormorò Waith a Zoe.
Stephane camminava un po' più indietro rispetto a loro, con lo sguardo attento che scorreva la vegetazione circostante. Avevano deciso di cominciare fin d'ora a far finta di non conoscersi.
I tre costeggiarono il lago, finché gli abitanti di quella zona non si fecero finalmente vedere.
Erano una decina, vestiti di lunghi mantelli verdi e incappucciati. Le armature erano fatte di cuoio e portavano -almeno loro- delle spade a doppio taglio alla cintura.
Waith si trovò in mezzo ad una selva di lance, mentre Zoe faceva del suo meglio per assumere un espressione impaurita. Stephane, dietro di loro, mise mano al fioretto, ma i raminghi risposero puntando le lance anche verso di lui.
Un uomo si tolse il cappuccio, mostrando il volto segnato dalle intemperie. La barba castana aveva parecchi giorni e la fronte era segnata da parecchie rughe.
- Nominatevi e dichiarate i vostri propositi- disse, con un tono inflessibile.
- Mi chiamo Nick Ulrichsson, questa è mia sorella Zoe. Siamo diretti a Salph per trovare lavoro in una locanda- disse.
- E tu, Rohirrim? Sei con loro?- domandò il capitano a Stephane.
- Non li conosco. Scendevano lentamente il dirupo e li ho raggiunti camminando dietro di loro. Mi chiamo Stephane-.
- Per quale motivo vaghi per queste terre. Così armato, poi?-.
- Sono un mercenario e un maestro di spada. Anch'io sono diretto a Salph, in cerca di un'occupazione-.
L'uomo lo guardò, dubbioso.
- Avvicinati e dimostramelo- disse, estraendo la spada dal fodero.
Stephane si disfò del bagaglio, diede le redini di Guthwine ad uno dei raminghi e, estratto lo stocco, si avvicinò all'uomo.
- Al disarmo, messere?- domandò al capitano.
- E sia-.
Il ramingo e il marinaio s'avventarono l'uno sull'altro. Le lame cozzarono più volte, mentre i piedi dei due componevano una bizzarra e veloce danza, sul terreno.
Il ramingo pensava di essere avvantaggiato per via della sua spada ad una mano e mezza, ma dovette presto ricredersi: la destrezza di Stephane unita alla leggerezza dello stocco lo costringevano a parare continuamente con mosse che sarebbero state scomode per chiunque combattesse con un'arma diversa da quella del rosso.
Il duello durò lunghi minuti, mentre il resto dei presenti assisteva in silenzio.
Il ramingo era sudato e si stava stancando sempre di più, finché l'ennesima stoccata di Stephane non lo costrinse a parare con una strana torsione. Il Rohirrim non perse l'occasione e incalzò con un altro colpo, che il ramingo parò con ancora più difficoltà. Il capitano tentò un flebile attacco, ma poi, gettata la spada in terra, alzò le palme delle mani in resa.
- Ti credo, messere, e spero troverai presto lavoro tra le fila del nostro esercito: con un maestro come te, neppure un elfo potrà sconfiggere i nostri guerrieri- disse. Poi si rivolse a tutti e tre i viaggiatori:
- Potete andare-.

Sul far della sera giunsero finalmente nella capitale.
Al centro della città sorgeva un castello dalle linee morbide, le cui murature avevano assunto un colore rosato, mentre il sole tramontava ad Ovest. Le torri a pianta circolare erano poste ad ogni angolo dell'esagono formato dalle mura, mentre il mastio sorgeva alto sopra le case. Ad una distanza di circa un miglio dal castello sorgeva un'altra cinta muraria, di fattura decisamente più antica. Queste mura segnavano il confine tra la città vecchia e le costruzioni più recenti, infatti al di fuori di esse le case erano ammassate, coprendo una vasta porzione di pianura.
L'Uruiduin scorreva lento tra le case, costeggiando la cinta muraria esterna, per poi curvare verso Nord, dove i tre riconobbero dei moli ai quali molte zattere e chiatte erano ancorate e un piccolo porto fluviale.
Mentre le tenebre avanzavano, i tre viaggiatori entrarono nella città.
Le strade erano quasi deserte, se non per qualche drappello di guardie messo a pattugliare le vie più esterne. Le case ammassate proiettavano lunghe ombre sulle strade e formavano molti vicoli bui ai lati di esse.
Ogni tanto incrociarono dei mendicanti, appoggiati agli angoli delle abitazioni, o uomini dall'aria poco raccomandabile.
Delle donne semi-svestite sorrisero, vedendoli passare, e fischiarono a Stephane.
- Vieni a divertirti con noi, dai! Non te ne pentirai!-.
Raggiunte le mura esterne, i tre cominciarono a costeggiarle, chiedendo informazioni ad una sentinella per una locanda a buon mercato.
Poco dopo, Waith e Zoe entrarono nell'edificio a due piani denominato l'Osteria del Mirtillo, mentre Stephane restava con i cavalli.
Alla loro sinistra v'era il bancone, dove un uomo con una folta barba e l'attaccatura dei capelli che arretrava s'occupava di prendere le ordinazioni. La maggior parte dei tavoli era occupata da persone dall'aria poco raccomandabile, che bevevano le loro birre guardandosi attorno circospetti e parlando per mormorii. Tutta la sala comune era immersa nella penombra, e l'odore di tabacco regnava sovrano.
Un piccolo palcoscenico era posto sulla destra, dove cinque uomini suonavano un tango.
I tre viaggiatori si avvicinarono al bancone.
- 'Sera, stranieri. Che volete?- chiese il barista.
- Avete posto per dormire?- domandò Waith.
- Certamente. Dormite assieme?- rispose l'uomo, lanciando un sorrisetto a Zoe.
- Stessa camera, letti separati. Mia sorella dice che russo- rispose Waith.
- Bene. Vi serve altro?-.
- Spazio nelle stalle per i nostri cavalli. E due birre scure-.
Il barista fece un fischio ad un uomo alto e allampanato seduto ad un tavolino poco lontano.
- Tim, mostra le stalle ai signori. E dagli le chiavi di una camera-.
L'uomo si alzò e accompagnò i due, mentre Stephane entrava a sua volta nella locanda.

- Interessante, come posto. Mi chiedo come sarà lavorarci- disse Waith, una volta che egli e Zoe furono seduti davanti alle loro birre.
- Di certo c'è che quel fumatore se la sta passando- disse Zoe, accennando a Stephane.
Il rosso era seduto da solo ad uno dei tavoli, il fioretto bene in vista, che sorseggiava la sua birra con fare tranquillo, mentre fumava l'ennesima sigaretta.
- Di certo c'è che ha attirato l'attenzione degli altri avventori- mormorò Waith. Zoe seguì il suo sguardo e notò che due uomini dietro il Rohirrim s'erano alzati e si stavano dirigendo verso di lui. La ragazza trattenne il respiro, per poi sospirare di sollievo vedendo che questi oltrepassavano Stephane e si dirigevano al banco.
In quel momento i suonatori smisero di suonare per prendersi una pausa.
- Guarda un po' cosa abbiamo qui!-.
Waith e Zoe si voltarono verso il punto da cui proveniva la voce. In piedi dietro Zoe stava un uomo dalla mascella squadrata e le spalle larghe, con un boccale in mano.
- Desiderate, signore?- domandò Waith.
- Oh, stavo solo facendo un apprezzamento alla ragazza. Non se ne vedono spesso di così belle, da queste parti-.
L'uomo mise la mano sulla spalla di Zoe, che tentò invano di divincolarsi dalla stretta.
- Mia sorella accetta il complimento. Ora vi consiglio di lasciarci in pace- rispose Waith, mettendo mano all'elsa del pugnale, sotto il mantello.
- Perché tanta fretta?- domandò lo sconosciuto. Finì il boccale in due sorsi e lo poggiò sul tavolo più vicino.
- Se stai cercando rogne, ti consiglio di andartene. Potrebbe finire male-.
- Ne sei certo?-.
I due uomini estrassero le lame.
- Signori, vi prego di tranquillizzarvi. La notte è giovane e sono certo che entrambi preferireste un'altra birra. Offro io- intervenne una voce.
Entrambi si girarono. Stephane si era alzato e silenziosamente s'era avvicinato ai due.
Lo sconosciuto lasciò la spalla di Zoe e fronteggiò il nuovo arrivato.
- E tu chi saresti?- domandò, mentre i suonatori attaccavano un'altra canzone.
- Qualcuno che non ama vedere le ragazze importunate- disse il rosso, lanciando un'occhiataccia all'uomo.
Lo sconosciuto non parve apprezzare l'intrusione e puntò il coltello verso Stephane.
- Vi sconsiglio di non puntare quell'arma verso di me. Siete solo contro due persone e visibilmente ubriaco. Tornate a sedervi-.
- Solo?!- esclamò l'uomo. Rise e fece un cenno dietro di lui. Quattro persone si alzarono, avvicinandosi ai due.
- Chi è solo, adesso?- disse l'uomo.
- Vi avevo avvertito- rispose Stephane.
In un fluido gesto, estrasse lo stocco e disarmò l'uomo che aveva di fronte, per poi rivolgere la sua attenzione verso gl'altri. Questi avevano a loro volta estratto vari tipi di armi.
A breve Stephane e Waith erano uno di fianco all'altro, mentre tenevano a bada i cinque ubriachi. Attorno a loro si creò il vuoto, Zoe si allontanò verso il bancone e altre persone si unirono alla bolgia.
Lo scontro degenerò e, quando molti si trovarono disarmati, ogni suppellettile divenne buona per picchiare. Stephane era l'unico con ancora la spada in mano, e menava fendenti a destra e a manca, allontanando gli assalitori. Waith invece aveva presto lasciato perdere il pugnale, e al momento usava uno sgabello per tenere buoni quelli attorno a lui.
I suonatori continuarono imperterriti a suonare, cambiando canzone e cominciandone una dal ritmo parecchio veloce.

I'll wait for you till I turn blue
There's nothin' more a man can do
Don't get your bollocks in a twist
Settle down, don't take a fit

Stephane saltò su uno dei tavoli, mentre con un ampia rotazione della spada allontanava le tre persone più vicine.
Provò poi una stoccata verso un quarto, che parò con uno sgabello. La spada si incastrò nel legno, costringendo Stephane a lasciarla. Senza perdersi d'animo, Stephane saltò sull'uomo, continuando lo scontro a mani nude.

The ship went down we all near drowned
Ya stood there on the deck
Till the Elves came and flogged yer arse
And dragged you from the wreck

Parecchi avventori che s'erano uniti alla rissa s'allontanarono dal locale, boccali volavano senza sosta, Waith atterrò due uomini con un singolo fendente dello sgabello, spaccando le gambe di quest'ultimo.
Abbandonò anch'egli l'arma, continuando a però a picchiare chi gli si parava davanti.

One flew down plucked out yer eye
The other he had in his sights
Ya snarled at him, said leave me be
I need the bugger so I can see

Un uomo volò oltre il bancone e il barista vi salì sopra, con uno strano arnese in mano.
S'udì uno scoppio fragoroso e tutti ammutolirono, mentre il moschetto del barista ancora fumava.
- Che cosa diamine pensate di fare?! Dovrei uccidervi uno ad uno!- esclamò.
- Ben detto, Grant- disse un'altra voce, da uno dei recessi bui.
L'uomo s'alzò, lentamente. I capelli ingrigiti stavano arretrando, sul suo capo, e gli occhi castani avevano un brillio inquietante in loro. Indossava abiti ricchi e la faccia era rasata, eccetto per i baffi e la barba che gli circondava la bocca, piegata in un sorriso ironico. Dal labbro gli pendeva una sigaretta.
L'uomo si avvicinò ai due viaggiatori e all'uomo che per primo aveva cominciato ad importunarli, che al momento era tenuto per il bavero da Waith.
- Signori, permettetemi di presentarmi. Sono Francesco Costello, padrone di questo locale. Sareste così gentili da darmi il mio dipendente?- disse, facendo un gesto con la sigaretta verso l'uomo.
Waith rimise l'uomo in piedi, che si avvicinò a Costello, quasi con un timore reverenziale.
- Jackie, mi deludi. Non saresti dovuto essere qui, oggi, se non erro- disse Costello, calmo.
Jackie ebbe un tremito.
- No, avete ragione...-.
- E dove saresti dovuto essere?-.
Jackie mormorò qualcosa che solo Costello poté udire. L'altro annuì.
- E dunque, che cosa dovrei fare di te, Jackie?-.
Non udendo risposta, Costello sospirò.
- Vai a casa. Sei fin troppo sbronzo per capire qualcosa. Ma non finisce qui- aggiunse, con tono minaccioso.
Stephane e Waith erano stupefatti dal potere di quell'uomo. Con un semplice gesto, Costello invitò i due a seguirlo. Si fermò e si voltò verso Zoe, che era ancora rannicchiata vicino al bancone.
- Signorina, venite anche voi-.

I tre seguirono l'uomo in un salottino privato adiacente. Qualche poltrona e un paio di sedie circondavano un tavolino. Costello prese posto su una di esse, invitando gl'altri a sedersi. Stephane e Waith presero posto sulle sedie, invitando Zoe a sedersi sulla poltrona in mezzo a loro. Nel caminetto alle loro spalle ardeva un fuoco.
- Arnold- fece Costello, rivolgendosi al barista, che li aveva seguiti, - portaci una bottiglia di Scotch e cinque bicchieri-.
Il barista uscì e tornò poco dopo con quanto richiesto. Distribuì i bicchieri e prese posto accanto a Costello. I suonatori avevano ripreso a suonare la prima delle canzoni di quella sera.
- Ah, di nuovo “Il Tango del Defunto”. Ma non divaghiamo e veniamo al dunque. Signori, vi starete chiedendo perché vi ho chiesto di venire qui con me- disse Costello, spegnendo la sua sigaretta in un posacenere poggiato sul tavolino. Sorseggiò il suo Scotch, invitando i presenti a fare altrettanto.
- Se volete esser ripagato dei danni, signore, devo avvertirvi che il primo ad estrarre la lama è stato il vostro dipendente, Jackie- asserì Stephane.
- Ne sono certo. Jackie può esser molesto, specialmente in casi del genere. Ma mi è molto utile, quando è sobrio-.
Stephane bevve un sorso di Scotch, per poi estrarre il tabacco.
- Posso?-.
- Fate pure, non v'è problema- rispose, con un sorriso. Zoe sentì il sangue gelare, vedendo di nuovo quel sorriso. Bevve due sorsi di Scotch, per tranquillizzarsi. Quell'uomo la metteva a disagio, nonostante i suoi modi gentili.
- Bene. Stavo dicendo prima, che vi ho chiamati qui per un motivo. Voi tre siete volti nuovi, da queste parti-.
- Siamo arrivati oggi in città- affermò Waith, - mia sorella ed io siamo in cerca di un'occupazione. Potremmo ripagarvi per i danni causati lavorando qui, se volete. Entrambi eravamo imbarcati come cuochi su varie navi-.
Costello annuì.
- Mi sembra onesto. Grant, falli cominciare dopodomani. Per quanto riguarda domani, hanno il diritto di riposarsi dal viaggio- disse.
Poi si rivolse di nuovo a tutti e tre:
- Potrei conoscere i vostri nomi? D'altronde, io v'ho detto il mio-.
- Mi chiamo Nick, mia sorella è Zoe. Per quanto riguarda il nostro benefattore, qui presente, non lo conosciamo, né abbiamo avuto occasione di presentarci, prima-.
- Mi chiamo Stephane- rispose semplicemente egli, accendendosi la sigaretta.
- E che intenzioni avevate, qui a Salph?-.
- Sto cercando un impiego. Pensavo di presentarmi domani alla corte reale, per diventare uno dei maestri di spada- rispose.
Costello annuì di nuovo, pensoso.
- Questo è un caso fortuito. Decisamente fortuito-.
- Come, prego?-.
Costello sorrise.
- Diciamo solo che potreste avere il mio aiuto ad ottenere un posto simile, se vi presenterete domani al palazzo, diciamo verso la quarta ora dopo l'alba- disse, versandosi un altro bicchiere di liquore.
- Ovviamente, se decidete di restituire il favore, quando sarà il momento-.
Stephane annuì, esalando lentamente una voluta di fumo.
Costello batté le mani una volta.
- Allora, è deciso. Un brindisi, signori, che questo momento possa esser ricordato come l'inizio di una buona amicizia-.
Bevve il liquido ambrato tutto d'un fiato, mentre gl'altri vuotavano i loro bicchieri.
Costello li congedò e i tre seguirono Grant fuori della stanza, fino ai loro alloggi.
- Benvenuti a bordo- li salutò Grant, fuori delle porte.

- Che cosa ne pensi?- domandò Zoe a Waith, una volta che si furono sistemati.
- Non lo so. Questo Costello ha potere, potrebbe aiutarci molto-.
- M'inquieta, quell'uomo- disse Zoe. Waith sorrise.
- Su questo concordo, ha un aspetto alquanto inquietante. Ma non penso sia malvagio-.
- Speriamo. Buonanotte, Nick-.
- Buonanotte-.





Finally! Cominciavo a perdere le speranze di riuscire a scrivere questo capitolo.
Mi mancavano questi tre, in verità, e una volta cominciato a scrivere di loro non c'era voglia di finire.
Ovviamente, si ringraziano i lettori INFAMI che non commentano, oltre alle due irriducibili.
Silvia, i Maia sono delle semidivinità, inferiori ai Valar. Per darti un'idea, nel libro se ne incontrano ben cinque: Gandalf, Radagast, Saruman, Sauron e il Balrog.
In ogni caso sono felice ti sia piaciuto il capitolo. Gli spettri dei tumuli son venuti fuori all'improvviso, mentre le scene in latino e gli scleri di Talia e Meldarion risalgono ad anni fa, ormai, quando decidi di introdurre Hestia e Talia.
Giorgia, lo so che fumo troppo, te lo dico sempre e tu mi dici che dovrei smettere. Non avendone voglia, invece, ti tiro colpi bassi facendo cambiare gli occhi ai miei personaggi =D
In ogni caso, son felice ti piaccia la contaminazione. Come hai potuto leggere qua, non è l'unica. E visto, meno di un anno!

Infatti, si ringrazia Scorsese per avermi “prestato” il suo Francis Costello, da “The Departed”, un film che consiglio a tutti quanti, ispirandomi Francesco Costello. Non accusatemi di aver poca fantasia con i nomi, vi prego, perché sapete benissimo che non è così. Semplicemente, suona benissimo e preferisco lasciarlo là come omaggio.

Passando alla soundtrack, ci sono ben quattro canzoni da citare:
Bad Moon Rising, dei Creedence Clearwater Revival, cantata da Stephane mentre marcia felice tra i monti, The Departed Tango la sentiamo due volte nel locale e infine, mentre tutti si pestano allegramente, l'orchestrina suona Sway, di Dean Martin, e Salty Dog, dei Flogging Molly, di cui è riportata parte del testo. Un premio a chi nota il piccolo cambio nel testo, per renderla più in linea con la fiction.

Ci si risente tra qualche mese.

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