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Aprì
la porta facendola sbattere contro la parete.
Sette
giorni che andava in quel posto lurido, e sette volte era tornata a casa con la
coda tra le gambe.
Aveva troppa paura, non c’era mai riuscita.
Mai.
Ma
quella sera era la volta buona, non ce la faceva più a resistere.
Le
voci dei suoi cosiddetti amici e dei suoi genitori le
risuonavano nelle orecchie.
Le
lacrime
Le
porte chiusale in faccia.
Il
sangue.
Si
avvicinò allo specchio sporco di fronte a lei.
Si
guardò e si toccò il volto segnato dalla matita sbavata, sorrise
malinconicamente per poi passarsi una mano tra i capelli bagnati dalla pioggia,
che fuori continuava a cadere a dirotto.
Si
rivoltò verso quella figura, che la ritraeva per quello che era, quella
schifosa ragazza che era diventata grazie al mondo in cui viveva.
Frantumò
il vetro con un pugno. Scaglie di vetro si conficcarono nella mano, la mano destra. Quella fissò l’arto, vide il rosso
fuoriuscire dai tagli profondi, e tirò su col naso.
Decise
di smettere di piangere, di farla finita qui con quella fottuta
falsa che le aveva rovinato l’esistenza, e che
aveva trasformato quet’ultima in tale.
Prese
un coccio che si era fermato sul lavabo, e guardò per l’ultima
volta l’immagine di se stessa.
Si
chiuse nell’ultimo gabinetto e si sedette sul vaso.
Appoggiò
la schiena alla parete e sospirò profondamente.
La
mano destra oramai non rispondeva quasi più agli stimoli.
Il
sangue aveva creato una macchia cruenta sul pavimento a scacchi.
Con
le poche forze che le rimanevano, incise con il pezzo di vetro che si era
portata dietro, un solco sul polso sinistro.
Le
scappò un grido, voltò il viso
dall’altra parte per non vedere.
Continuò
a tracciare quella riga fino a che la mano destra iniziò a tremare e si
fece scappare il coccio.
Dopo
i primi dieci minuti il dolore si iniziò a
placare, facendo però imperversare un grande giramento di testa.
Iniziò
a tenersi la fronte, sporcando i capelli del sangue che gocciolava giù
dalla mano rovinata.
-Fine…-
si disse.
-Io
non ce la faccio ragazzi… mi fermo qui…-.
-Cazzo Frank, l’albergo è a due passi…-.
-Senti,
voi andate io vado al bagno e vi raggiungo…- concluse
il ragazzo abbandonando il gruppo, fuori da un pub, dall’aspetto poco
invitante.
-Sempre
il solito sei…- si lamentò Gerard.
Il
chitarrista si fece avanti ed entrò.
Gli
bisognaronoalcuni
secondi per potersi orientare.
Con
ancora il trucco da concerto, aveva destato sguardi poco convinti da parte
delle persone sedute al bancone.
Si
passò una mano tra i capelli, e quasi vergognandosi si avvicino al barrista.
-Scusi…
mi sa dire dov’è il bagno?- domandò
non alzando gli occhi dalla macchia di birra che segnava alcuni cerchi sul
legno.
-In
fondo…- rispose quello scorbutico.
Frank
alzò la mano per ringraziare e ci si diresse.
-Mamma
che schifo che è questo posto…- disse a
bassa voce.
Si
avvicinò al primo gabinetto e senti il vetro
sotto i piedi.
-Checaz….- iniziò a dire
per poi scostarsi immediatamente.
Dopo
aver esaminato i primi due, optò per il terzo,
sperando che almeno quello non avesse tracce di urina da tutte le parti.
Peròquest’ultimo aveva
la porta chiusa.
Bussò.
L’agonia
di Max continuava ancora da qualche minuto. La ragazza aveva chiuso gli occhi e
ora si chiedeva il momento in cui tutto il mondo le era caduto giù.
Quando
i suoi stanchi d’averla tra i piedi le avevano detto
che per loro era morta.
Quando le sue amiche le avevano voltato le spalle per un nonnulla.
Quando ebbe scoperto che il ragazzo che amava tanto l’aveva
tradita.
I
suoi pensieri furono interrotti dal bussare alla porta.
La
ragazza trasalì, non aveva neanche la forza di
rispondere.
-Ehi!-
disse Frank dall’altro lato.
-Occupato…-
sospirò quella, senza però farsi sentire dal ragazzo.
-Ti
prego amico, me l’ha sto facendo di
sopra…- continuava tirando pugni contro la porta.
-Cazzo occupato!- riuscì a sbottare lei, per poi iniziare a
tossire per lo sforzo.
-Ok.. scusa…- Frank si allontanò, accendendosi una
sigaretta.
Max
oramai respirava a fatica, tutto ciò che la circondava spariva ad ogni
battito di ciglio.
-Ma
quanto cazzo ci mette
quella?- si chiedeva il chitarrista.
Ad
un tratto, mentre cercava di placare lo stimolo, notò sul pavimento il
sangue che oramai aveva ingrandito la chiazza.
-Merda!- disse avvicinandosi alla porta.
-Ehi!
Tutto bene lì dentro?- urlava.
Nessuna
risposta.
-Ci
sei??- continuava avvicinando l’orecchio alla
porta per cercare di sentire qualcosa.
Silenzio.
Dopo
qualche secondo, iniziò a tirare calci contro la porta, finché la
serratura arrugginita cedette.
La
vide.
Svenuta
da un paio di secondi, Max aveva assunto un colorito pallido, quasi
inesistente.
Frank
si chinò su di lei e dopo aver visto le ferite alla mano ed al polso
iniziò a chiamare aiuto.
I
rumori della corsia si facevano spazio tra il silenzio delle stanze, che si
annullava ad ogni sospiro affannato o ad ogni lamento.
Max
sussultò.
Si
destò sul letto e iniziò a guardarsi intorno, il bianco che predominava
nella stanza la costrinse a stringere gli occhi.
La
finestra dalla quale entrava un gran fascio di luce illuminava la camera.
La
pioggia incessante della sera prima aveva smesso di bagnare le strade.
-Dove
diavolo sono..?- si chiese riappoggiando con forza la testa sul cuscino alle
sue spalle.
La
flebo che le avevano attaccato al braccio le dava un grande fastidio.
Fissò
il liquido bianco simile ad acqua che a gocce scendeva.
Guardò
la mano destra, era completamente fasciata, le bende erano sporche di sangue.
Il
polso sinistro, aveva anch’esso una grande garza ingiallita dal
medicinale.
Si
tirò un pugno con violenza sulla fronte e strinse violentemente gli
occhi, facendo scendere alcune calde lacrime.
Non
avrebbe mai pensato che sarebbe andata a finire in quel modo.
Aspettò
per qualche secondo che qualche infermiera o qualche dottore entrasse da quella
porta.
I
secondi erano scanditi dal rumore delle gocce del farmaco.
Ed
ecco che finalmente un omone alto entrò dalla porta.
I
capelli neri che cadevano sugli occhiali eccessivamente grossi, erano
scompigliati.
Si
avvicinò al letto con una cartella tra le mani agitandola avanti e
indietro.
-Max
Potter?- chiese alla ragazza, quella annuì fievolmente.
Il
dottore senza dire altro prese le mani della ragazza e controllo le ferite.
-Sono
dei tagli molto profondi, temiamo che alcuni tendini della mano destra siano
stati rovinati in modo irreparabile…- continuò calmo.
Max
non rispose, cercò soltanto di non scoppiare in lacrime o almeno di non
mettersi ad urlare.
-Chi
mi ha portato qui?- disse infine, sentendo la gola bruciarle e la gola
rinvigorirsi come se avesse dormito per una notte durata troppo.
-Un
ragazzo, ma ha specificato di voler rimanere anonimo…-.
-È
ancora qui?- domandò, fissandosi l’arto destro.
-Non
so se posso dirglielo…-.
-Credo
di averne tutte le ragioni…- protestò, con tono placato, la
ragazza sistemandosi sul letto.
Il
dottore la fissò per qualche istante, i due si guardarono negli occhi,
ma fu l’uomo a cedere per primo.
-Vado
a vedere…-.
Max
prese la cartella che l’uomo aveva lasciato sulle lenzuola.
Lesse
quelle nozioni quasi incomprensibili per una persona senza un minimo diploma in
materia.
-Questo
cazzo di coso..- si lamentò strappandosi l’ago dal braccio,
staccò lo scotch che le era rimasto e si scoprì.
La
porta e la finestra aperta facevano entrare una forte corrente tra le pareti
della stanza.
Mise
i piedi sul pavimento gelido, bianco come tutto ciò che la circondava.
Cercò
di issarsi, ma vacillando si risedette sul letto.
-Sei
troppo debole per alzarti…- il medico di prima era rientrato nella camera
ed ora era appoggiato alla soglia.
-I
tuoi genitori saranno qui tra poco…- continuò, mentre la ragazza
non dandogli confidenza cercava di compiere la sua impresa.
-Non
contarci tanto…- disse indispettita alzandosi per poi tenersi la testa.
-Dov’è
quello?- chiese poi strascicandosi fino al dottore.
-Dice
che non c’è bisogno che lo ringrazi…- diede risposta.
Max
sorrise fievolmente. –Bella faccia tosta…Comunque rivorrei i miei
oggetti personali…- parlò socchiudendo gli occhi.
-Non
posso costringerla a restare ma…-.
-Infatti
non lo faccia… mi dica solo dove devo andare…-.
L’uomo
le spiego il luogo esatto e dopo alcuni attimi le fece spazio.
La
ragazza si strofinava il polso ancora dolorante e s’incamminò,
seguendo le precise indicazioni del dottore.
Frank
era seduto in una di quelle scomodissime sedie, bianche.
Bianca
come tutto ciò che lo circondava.
Dopo
aver chiamato l’ambulanza e aver fatto ricoverare la ragazza era rimasto
seduto lì per un paio d’ore.
Fremeva
dalla voglia di fumarsi una sigaretta, ma sapeva benissimo che in quei locali
era vietato.
Le
gambe gli tremavano per il freddo.
Il
viso ancora sporco di trucco dava segni dell’arrivo di un raffreddore in
piena regola.
Sbadigliò
senza coprirsi la bocca e alzandosi in piedi si stiracchiò.
Dopo
qualche secondo, il dottore che era stato congedato precedentemente da Max si
avvicinò al chitarrista.
-Allora?-
domandò il ragazzo mettendosi le mani nelle tasche. Il suo un metro e
sassantacinque sembrava anche minore in confronto all’altezza eccessiva
dell’uomo.
-La
ragazza ha deciso di andarsene. Ora è a prendere i suoi oggetti
personali…- rispose, spostando il ciuffo dalle lenti.
Frank
lo fissò inarcando un sopracciglio.
-Mi
scusi… non che io sia esperto in materia, ma non le sembra sconsiderato
lasciar andar via una ragazza che ha tentato il suicidio e che ha perso molto
sangue?- domandò.
Intanto
una finestra si spalancò di colpo a causa del vento, che diventava
sempre più forte.
Il
dottore esitò un attimo, poi pulendosi gli occhiali con un lembo del
camice, rispose.
-Io
sono un medico… il mio dovere finisce qui…-.
-È
bello sapere che se dovessi stare male troverei persone come lei a prendersi
cura di me…- disse sarcasticamente il chitarrista, rimanendo sorpreso
dalla pessima risposta che aveva appena udito.
-Beh,
io avrei altroda fare…
arrivederci…- l’uomo prese la mano del ragazzo e la strinse con
vigore.
Frank
lo fissò stupito per qualche attimo, capì il gesto solo, quando
quello si fu allontanato.
Il
brunetto aprì la mano destra e vide un documento plastificato.
Max Potter
23 anni
Belleville, NJ
Dopo
aver letto le informazioni scrutò la foto e la riconobbe subito.
La
ragazza della sera passata.
Si
diresse dalla prima infermiera che vide e le chiese informazioni sul luogo dove
si ritirassero gli oggetti personali, e dopo, le eseguì alla lettera.
Max
da qualche minuto era alle prese con un‘infermiera che diceva di non aver
ricevuto la sua carta d’identità.
-Signora,
la prego… sono stanca...- diceva con le palpebre a mezz’asta per la
stanchezza, la testa le doleva in modo pazzesco, la cosa migliore sarebbe stata
quella di rimanere lì per un altro po’ di tempo, ma non voleva
vedere il viso dei suoi, o sentire le loro frasi su quanto fossero sfortunati
ad avere una figlia come lei.
-Infatti,
figliola… perché non torni nel tuo letto…-la donna vestita
di rosa guardava la ragazza attraverso gli occhialini spessi.
-Le
ho detto di non insistere… voglio solo andarmene…- continuava la
riccia appoggiando il braccio sull’alto bancone, notando che le ferite
alla mano si stavano riaprendo.
-Ehi!-
Frank avendo vista la nuca della ragazza, e avendola conosciuta si
avvicinò a lei.
Dopo
essergli accostato le tamburellò con le dita sulle spalle.
-Mi
sa che questo sia tuo…- disse, mentre quella si voltava.
Max
lo fissò per qualche secondo, incredula che lui, il suo chitarrista
preferito, fosse lì di fronte ai suoi occhi.
-Ah…
sì… oddio…- sospirò, mentre quello sorrideva
placidamente.
-Tieni…
Max Potter…- disse leggendo il nome sul foglio.
-Grazie…-
concluse quella prendendo l’oggetto e infilandoselo in tasca.
Frank
sorrise nuovamente.
In
quel momento Max focalizzò, era lì con davanti Frank Iero con il
polso lacerato e con la mano destra dolorante.
-Beh,
sì… devo andare… grazie ancora..- si congedò
velocemente.
Prese
da terra lo zaino, rovinato dal tempo e mettendoselo in spalla si diresse verso
la porta a vetri.
-Aspetta…!-
disse Frank seguendola.
Max
era riuscita a mettere il piede fuori di quel maledettissimo ospedale.
Le
nuvole stavano prendendo il loro precedente posto.
Il
sole spariva lentamente dietro esse.
Il
vento andava dentro il giubbotto, forse troppo leggero, della ragazza.
Max
guardò in alto e sentì la prima goccia ghiacciata.
Prese
dal bagaglio i guanti che le aveva regalato la sua amica Sarah, forse
l’unica che le era mai stata veramente accanto.
Ed
ecco il secondo gocciolone, più pesante e freddo del primo.
Frank
uscì dalla porta e dovette socchiudere immediatamente gli occhi per la
raffica di vento che si era appena alzata.
Finalmente,
la vide.
-Non
ti sembra un po’ presto per uscire dall’ospedale?- domandò.
-Non
credo siano affari tuoi.. e comunque sto benissimo…- mentì con il
volto sempre più pallido.
-A
me non sembra.. anzi sei quasi peggio di ieri…- constatò quello
soffiandosi tra le mani.
In
quell’istante Max si fermò.
Frank
che non aveva notato il movimento dovette arretrare di qualche passo per
tornarle accanto.
-Tutto
apposto?- chiese.
La
ragazza alzò lo sguardo che s’incrociò con quello di lui,
non ci poteva credere.
Proprio
lui era stato il ragazzo che l’aveva portata lì, il bastardo che
l’aveva fatta tornare in quello schifoso mondo.
-Allora
sei stato tu…?- domandò cercando di placare la rabbia che
imperversava dentro di lei.
-Sì,
ma non devi ringraziarmi…- iniziò quello.
Max
si allontanò di scatto.
-E
ora mi spieghi dove stai andando?-.
-Lasciami
in pace!- urlò quella accelerando il passo per quanto gliene concerneva
in quella maledetta condizione.
-Neanche
mi ringrazi per averti salvato, e per giunta reagisci andandotene!- la
rimproverò quello tirando un calcio ad una lattina.
Max
nell’udire quelle parole si girò per fissarlo, si avvicinò
sospirando sempre più a fatica.
-Secondo
te… una che cerca di suicidarsi… havoglia che qualcuno la salvi?-
domandò alzando il tono della voce.
Frank
la guardò, non sapeva che rispondere, non esistevano parole per
controbattere ad un’affermazione del genere.
-Ecco,
infatti… quindi adesso…- Max si piegò in due,
appoggiò il gomito sulle ginocchia e si accostò al muro di
mattoni alle sue spalle.
La
pioggia oramai si era trasformata in un nubifragio.
I
capelli schiacciati sulla fronte le andavano sugli occhi, aggiungendo un
qualcosa in più al tremendo dolore che stava subendo.
-Ehi..-
la chiamò il chitarrista, appoggiandole una mano sul braccio e
chinandosi per guardarle il viso.
-Sto…
be…- cercò di parlare, per poi sdraiarsi sul muro.
Il
guanto nero era oramai inzuppato di sangue che stava iniziando ad uscire fuori
del tessuto.
-Cazzo,
ma qui ancora stai sanguinando…- constatò Frank, alzandole
l’arto.
-Io
ti riporto in ospedale…- ormai anche il polso sinistro aveva riiniziato a
sanguinare violentemente.
-No…!-
si oppose. –Fra un poco arriveranno… lasciami… ce la faccio
da sola…- cercò di recuperare Max, mentre le forze si
allontanavano sempre di più da lei.
-Non
scherzare… ti porto a casa mia…-.
Dette
quelle parole se l’appoggiò sulla spalla e iniziò ad
aspettare l’arrivo di un taxi che fortunatamente dopo poco arrivò.
Intanto
la pioggia torrenziale puliva la chiazza di sangue, facendo sparire ogni segno
della permanenza della ragazza in quel luogo. Meno di dieci minuti dopo una
Ford nera posteggiò nel parcheggio dell’ospedale e un uomo e una
donna ne uscirono.
*
-Sì,
stai tranquillo… Si mammina, sto bene… e dai scherzo,
idiota…- Frank era da qualche minuto al telefono con Bob.
Il
ragazzo lo aveva chiamato per assicurare di stare bene e che era tornato a casa
per addormentarsi e per prendere qualcosa per il suo terribile mal di testa.
-Allora
ci vediamo domani…?- chiese quello dall’altra parte.
-Si,
certo… a domani…-.
Frank
riattaccò e si diresse verso il divano.
Guardò
l’ora nell’orologio appeso alla parete: 3.55.
Fra
poche ore avrebbe ricevuto la visita di tutta la band, non aveva trovato niente
da assumere per far calmare il dolore alla testa, arrivò al punto di
chiedere aiuto ai vicini, ma vista l’ora rinunciò.
Era
sfinito, non avrebbe mai pensato che il dopo concerto nella sua città
natale si sarebbe trasformato in un totale disastro.
Dopo
essersi struccato e spogliato, era rimasto per qualche ora a fissare la ragazza
che non dava segni di ripresa.
Era
riuscito a stento a fasciare le ferite, le gocce di sangue avevano macchiato le
lenzuola del letto matrimoniale dove l’aveva adagiata con cura.
Aveva
riflettuto sul doverla spogliare dei suoi vestiti, ma avendo notato il
carattere abbastanza impulsivo di Max, preferì cacciarle solo le scarpe
e il giubbotto bagnato.
Si
sedette sul divano nero.
Si
cacciò le scarpe poco delicatamente e le tirò sopra il camino
alla sua destra, poi accese la televisione.
120
canali.. e nulla da vedere… l’unica possibilità erano…
Si
voltò per dare un’occhiata alla camera da letto e controllare e
assicurarsi che la ragazza ancora dormisse.
Ed
ecco che velocemente postava sul primo canale porno che li venisse in mente,
non che lo facesse spesso, ma in certe situazioni, aveva bisogno di un
po’ di svago.
4.25
La
sveglia d’acciaio sul comodino della camera e la finestra semichiusa
erano le uniche cose che illuminavano la stanza altrimenti priva di
illuminazione.
Max,
aprì lentamente gli occhi. Davanti a lei la porta del bagno aperta
mostrava uno specchio che brillava per il riflesso della finestra.
Alzò
la testa dal cuscino bagnato per colpa dei capelli umidi.
Appoggiò
le mani sul letto per farsi leva per issarsi, ma senza produrre risultati a
parte un lancinante dolore.
Decise
di riposarsi un altro paio di secondi.
Mentre
gli occhi si abituavano al buio, anche la stanza prendeva forma attorno a lei.
Sapeva
benissimo dove si trovava.
“Ti
porto a casa mia”, queste furono le ultime parole che poté
ascoltare, prima di perdere nuovamente i sensi.
Era
a casa di Frank Iero.
Sbuffò,
avvicinandosi le mani alla bocca per poi soffiarci dentro.
-Sono
viva…- si disse, rassegnata e triste allo stesso tempo.
Guardò
sul comodino e si scoprì con silenzio e cautela.
Si
guardò gli arti, si notava che le fasciature erano state rifatte, e
neanche in modo perfetto.
Si
toccò il polso, anche con tutta la garza riuscì a sentire il
solco. Allontanò immediatamente la mano, quasi spaventata.
Con
delicatezza caccio la benda per controllarsi.
Il
sangue che aveva formato dei grumi tutto intorno al taglio, aveva cambiato
colore, divenendo quasi nero.
Il
rosso era arrivato fino a sopra il gomito.
Si
sedette alla fine del letto e notò anche l’ampia macchia scarlatta
che aveva lasciato sul lenzuolo.
Si
spostò, riuscendo finalmente ad alzarsi.
Ci
mise qualche secondo per ritrovare l’equilibrio.
Prima
di andare verso il salotto, dove sapeva trovarsi Frank, si avvicinò al
bagno.
La
matita nera sul suo viso aveva formato immense chiazze attorno agli occhi
nocciola.
Quegli
occhi che le sue compagne le avevano sempre invidiato, in cui lei non vedeva
nulla di speciale… nulla che potesse minimamente essere a confronto alle
meravigliose iridi verdi d’alcune sue coetanee.
Il
pallore, anche se in minor intensità, era rimasto a far contrasto con la
capigliatura nera.
Quest’ultima
era schiacciata sulla testa.
Si
sciacquò il viso.
Dopo
aver sospirato ed essersi presa di coraggio s’incamminò verso il
salottino che aveva intravisto dal letto.
Ad
ogni passo una nuova preoccupazione, una nuova paura si faceva largo tra i suoi
pensieri.
Come
avrebbe risolto la cosa con i suoi genitori, se sempre loro le avessero dato la
possibilità di farlo.
Come
spiegare ai suoi amici il suo gesto.
E
soprattutto, come avrebbe affrontato l’incontro con la mente più
lucida con il suo “salvatore”, nonché suo amato idolo.
Tante
domande nessuna risposta, topos della sua vita.
Dopo
essere uscita dalla camera, le caviglie iniziarono a farle male.
Il
pavimento freddo aveva iniziato a far dolorare le ossa del piede e di
conseguenza quelle della caviglia, questo poi va ad aggiungersi alla stanchezza
che non dava segno di placarsi.
Passò
accanto alla grande libreria d’acero che portava al soggiorno, quando ad
un tratto senti alcuni rumori strani.
Sospiri.
Gemiti,
provenivano dalla televisione.
Si
avvicinò e con un ghigno riconobbe immediatamente le immagini,
socchiudendo maggiormente gli occhi per focalizzare meglio, notò la
testa del chitarrista sul divano di fronte ad essa.
Con
passo lento si avvicinò a lui.
Tossicchiò
leggermente due volte, facendo seguire i colpi di tosse da un riso silenzioso.
Frank
preso dalla visione del film, solo grazie a quei forti rumori si rese conto
della presenza di Max.
Velocemente
prese il telecomando da accanto a se, ma per la troppa fredda lo fece cadere a
terra ben due volte.
Intanto
la ragazza era riuscita a sedersi alla destra di questo, e guardava la scena
divertita.
Finalmente
il chitarrista era riuscito a chiudere quella televisione.
Diventato
rosso, dall’imbarazzo si girò verso Max.
-Allora
ti sei svegliata…- disse per rompere quel silenzio, passandosi la mano
dietro la nuca.
-Si…
è da un po’ che osservo il programma educativo che stavi
guardando…- mise il dito nella piaga lei.
-Ah
sì quello…- enunciò Frank sempre più rosso.
-Ma
ora cambiamo discorso…- riprese successivamente, risistemandosi sul
cuscinone del divano.
-Cazzo,
ti sei cacciata la garza…!- disse arrabbiato, prendendo la mano di Max e
avvicinandosela al volto.
-Si,
volevo vedere la condizione del graffio…-confessò.
-Mi
sembra un po’ limitativo chiamarlo graffio…- il chitarrista si era
alzato e si era avvicinato ad un comeau da dove aveva tirato fuori alcune garze
e dello scotch medico per tenerle unite.
-Per
fortuna che di bende ne ho in abbondanza…- dopo essersi riaccomodato,
aveva ripreso la mano sinistra di Max.
-Almeno
all’ospedale te l’hanno medicata…- constatò.
Max
che inizialmente guardava il grosso taglio, aveva spostato lo sguardo al viso
concentrato di Frank.
A
mano a mano, il rossore delle guance era sparito.
Gli
occhi verdi lucidi per la stanchezza si socchiudevano per poter controllare
meglio il lavoro.
-Quando
aveva 14 anni ho sognato di andare a letto con il professore di batteria di mio
cugino e il giorno dopo gliel’ho confessato, sapendo che aveva circa 15
anni in più di me…- disse tutto d’un tratto Max, ritornando
a guardare le bende che stavano fasciando il polso.
-E
perché mi hai detto ciò?- domandò Frank, ridendo.
-Così
siamo pari…- diede risposta pacata lei.
Quello
continuò a dare mostra del suo bellissimo sorriso.
-Ecco
fatto…!- disse dopo poco, appoggiando con delicatezza la mano sul polso e
poi riappoggiarlo sul divano.
I
due si fissarono per qualche secondo negli occhi, stranamente la prima ad
abbassare lo sguardo fu Max.
Mentre
Frank le fasciava la mano aveva pensato se fosse stato il caso di ringraziarlo,
ma ancora non si sentiva pronta o almeno aveva la testa troppo piena per far
sopraggiungere anche questo problema.
Si
appoggiò al cuscino, evitando le tracce di sangue, guardò la
sveglia: 5.00
Decise
di chiudere gli occhi ,affannati da una giornata così stressante, e
pensare al fatto che il giorno dopo li avrebbe riaperti…
Il
sole era riuscito a sovrastare le nuvole grigie che infestavano quel cielo di
Febbraio.
Da
più di tre ore il silenzio regnava nella casa.
Max
era riuscita a prendere sonno quasi immediatamente, cercando con tutta se stessa
di non ricordarsi nulla che la facesse soffrire. Le lacrime che bagnavano il
cuscino ogni sera, le urla soppresse, per non farsi sentire, che facevano
bruciare la gola.
Il
cuore che per il nervosismo batteva troppo forte, che le faceva dolorare il petto.
Cercava
di nascondere tutto quello in una finta illusione che fosse tutto finito.
Solo
una lacrima, l’era scesa quella sera, una sola le aveva rigato il volto
bianco.
E
lei l’aveva fatta correre.
Ora
il sonno stava passando, socchiuse gli occhi rossi e respirò.
A
quanto pare era tutto vero, la notte i tagli e lui… Frank, non era un
sogno né una fantasia, era la terribile realtà.
La
porta di legno che divideva il salotto dalla camera, era chiusa, ma alcune voci
si riuscivano a sentire attraverso lo spessore.
Prima
di andare a scoprire di chi fossero quelle voci, andò nel bagno e si
lavò le braccia rosse.
Per
far uscire le chiazze di sangue ci vollero alcuni minuti, la maglia era
anch’essa rovinata.
Se
la sfilò e la mise nel lavandino.
Sul
nero, il sangue si notava poco, ma di certo non avrebbe più indossato
quella maglietta.
Si
avvicinò all’armadio immenso del chitarrista e ne uscì un
maglione rosso, lo infilò, senza pensare alla reazione che il ragazzo
avrebbe potuto avere.
Poi
se lo ricacciò.
Si
sentiva sporca.
Si
spogliò immediatamente e velocemente si infilò sotto il getto
d’acqua della doccia ghiacciata.
L’acqua
calda non si decideva ad arrivare: sicuramente c’erano problemi con lo
scaldabagno.
Decise,
comunque, di rimanere a lavarsi.
Dopo
alcuni minuti dove, con il viso contro la parete di mosaico aveva fatto
scorrere le gocce sul viso, scoppiò a piangere.
Le
labbra che già tremavano per il freddo ed avevano assunto un colorito
viola, ora si raggrinzivano in una smorfia, tipica della disperazione.
Tirò
un pugno alla parete.
Non
aveva pensato alle bende che le fasciavano le ferite.
Quelle
che avvolgevano la mano si era quasi completamente tolte. Senza dare conto al
fatto che l’acqua aumentava lo scorrere del sangue, rimase lì
sotto per un altro paio di minuti, a mandare giù quelle lacrime che si
era risparmiata la sera prima.
Dopo
essere passati alcuni attimi, uscì e prese l’accappatoio attaccato
alla sua destra e lo infilò.
Si
lego il laccio alla vita, per far rimanere uniti le due estremità del
capo.
Indossò
il cappuccio e iniziò a frizionare i capelli bagnati.
Dopo
questo uscì dal bagno, tremando ancora come una foglia.
-Frank…?-
chiamò con voce fievole.
Il
brusio fuori dalla stanza cessò.
-Frank…?-
richiamò quella, alcuni secondi dopo il ragazzo entrò nella
stanza e la vide seduta sul letto.
Anche
dalla porta si poteva notare i brividi che attraversavano il corpo della
ragazza.
-Mi
sono scordato di dirti che lo scaldabagno era rotto…- disse quello
avvicinandosi.
-L’avevo
notato… comunque… potresti darmi qualcosa da mettermi…?-
domandò timidamente.
-Beh
… si… qualcosina te laposso dare…- iniziò per poi notare il maglione messo sul
letto.
-Come
sta?- chiese Gerard, seduto sul divano a Frank che era appena uscito dalla
stanza.
Quello
alzò le spalle e si accasciò sfinito sulla poltrona,
appoggiò con poca delicatezza la testa sullo schienale e si
strofinò la mano in pieno viso.
Sbadigliò.
-Sonno,
eh?- chiese retorico Mikey, vicino al frigo.
-Non
sono riuscito a chiudere occhio sta notte…- rispose il brunetto, facendo
seguire la frase da un altro profondo sbadiglio.
-Mi
spiace…- Max era appena uscita dalla stanza, il maglione rosso era due
volte più grande di lei, le maniche non facevano trasparire le mani, i
pantaloni erano altrettanto grandi e tenevano su, solo grazie all’aiuto
di una cintura stretta.
Al
sentire quelle parole, tutti i membri della band presenti nella stanza si
voltarono a fissarla.
Quella
arrossì, per poi alzarsi le maniche e sistemarsi i capelli dietro
l’orecchio.
Il
silenzio, peggiorò solamente la situazione.
Max
era lì davanti a tutti.
Cosa
si faceva li?
Cosa
avrebbero pensato di lei quei ragazzi, che lei stimava tanto?
Che
cosa ci faceva lì, con i vestiti di Frank Iero e con delle fasce che
coprivano i segni del suo tentato suicidio?
-Ciao…-
sussurrò Bob, accennando un sorriso.
-C…ciao…-
sibilò impercettibilmente Max.
-Perché
non ti siedi qui, invece di stare lì impalata?- la voce di Frank
risuonò nella stanza.
Quella
non rispose e si sedette tra Gerard e il batterista.
Il
silenzio ritornò.
Max,
respirava affannosamente, quegli occhi che la fissavano erano pesanti
più di cento macigni.
-Allora,
se dobbiamo andare avanti con questo silenzio mortuario… meglio che ci
cacciamo ora il peso! Lei è Max, è quella che si è quasi suicidata!
Ecco fine!- sbottò Frank per poi riappoggiare le mani con forza sulle
cosce.
La
ragazza non rispose, ma quelle parole la colpirono come un dardo.
Spalancò
gli occhi e strinse i pugni sui jeans, facendo raccogliere il tessuto.
Gerard
tirò una forte gomitata all’amico che lo guardò
stringendosi tra le spalle, annoiato.
-Coglione…-
sussurrò Mikey alle sue spalle bevendo da una bottiglietta.
Max
continuò a fissare le venature del parquet, aspettando un qualcosa che a
quanto pare non arrivava.
I
capelli ancora bagnati dall’acqua della doccia avevano inzuppato il collo
del maglione.
Non
le sembrava vero che la stessa persona che la sera precedente era stata
così tenera con lei si potesse comportare in questo modo.
Aprì
la bocca, come per parlare ma dopo aver tirato un gran sospiro la
riserrò.
Si
alzò in piedi e si diresse verso la camera da letto.
-E
adesso che deve fare?- si lamentò Frank roteando gli occhi e cacciando
le mani da dietro la nuca.
Max
era rientrata in quella camera, aveva preso il suo zaino che era stato
appoggiato accanto alla poltrona e se lo mise sulle spalle.
Prese
le scarpe accanto al letto e le indossò senza legare i lacci.
-Ehi!
Dove vai?- le chiese il ragazzo che era sulla porta, quella non lo fissò
e scansandolo uscì dalla stanza.
La
band seduta sul divano li guardava.
-Mi
rispondi?!- domandò infine quello alla porta che sbatteva.
*
Ed
ecco il freddo sole di febbraio.
Sporco
di pioggia, privo di quel calore estivo che lo dovrebbe distinguere.
Le
macchine facevano schizzare l’acqua lurida che ancora infestava le strade
del New Jersey…
Max
scese di corsa le scale, ad ogni gradino il dolore al braccio, da due giorni
diventato la cantilena dei suoi attimi, aumentava.
Aprì
il portone di vetro e si trovò sul marciapiede.
Sistemò
lo zaino su entrambe le spalle e ne tirò fuori un pacchetto di
fazzoletti.
Ne
uscì uno e lo aprì, appoggiò i veli sulla mano. In
pochissimi secondi quelli furono ricoperti di sangue e la carta andò a
penetrare le ferite.
-Cazzo…-
sospirò fissando il disastro sull’appendice destra. Prese un lembo
del fazzoletto rimasto pulito, e lo tirò con calma.
Fu
una sensazione orribile quella che provò.
Dopo
aver abbandonato il fazzoletto a terra, tirò indietro la mano e la fece
entrare nell’immenso maglione.
Sistemò
la fine della manica chiudendola.
Non
sapeva dove andare.
Casa
sua non era di certo uno degli asili migliori dopo tutta la faccenda.
Le
amiche, beh neanche loro avrebbero saputo accettarlo.
Sarah,
solo lei le era rimasta, forse però troppo lontana, e poi con il sangue
che stava perdendo non sarebbe potuta andare lontano.
Tossicchiò
e si alzò i capelli, per evitare di bagnare ulteriormente il maglione.
Girò
l’angolo alla sua destra e s’incamminò per la strada.
-Che
stai facendo, ancora qui?- domandò Ray a Frank che aveva appena aperto
la televisione.
-Io…
mi guardo la televisione… tanto che qui nessuno ha voglia di
lavorare…- rispose.
Gerard
gli tirò una botta sulla mano e gli prese il telecomando, per poi
incitarlo a seguire la ragazza.
-Ma
santo Dio lei ha deciso di andarsene… che devo fare io?- domandò
fissando l’amico negli occhi.
-Ora?
Andare a chiederle perdono in ginocchio del fatto che sei un coglione!- diede
risposta spegnendo la televisione.
Il chitarrista cercò aiuto negli
occhi degli altri che lo circondavano, ma l’unica cosa che trovò
fu altro dissenso.
-Vado,
vado! disse infine alzandosi e uscendo dalla casa.
Arrivò
sulla strada; ora, solo alcune macchine ingombravano le corsie.
Si
guardò intorno, nessuna traccia di lei. L’unica cosa che gli rimaneva
da fare era ritornare nella sua calda casa e scusarsi con tutti, mentendo sul
fatto di averla cercata in maniera zelante.
Ritornò
verso la porta e spinse questa per entrare, ma si dovette fermare.
Sapeva
benissimo che non se lo sarebbe mai perdonato. Questo peso sulla coscienza gli
avrebbe reso ancora più difficile dormire la notte.
Respirò
profondamente e riuscì.
Decise
di imboccare l’angolo alla sua destra, il più vicino
all’uscita.
Si
voltò e perseguì la stradina per qualche metro.
Il
sole scintillava a mala pena.
Finalmente
riuscì a vederla: era vicina ad un albero e camminava strascicando le
gambe pesanti.
-Max!!!-
forse era la prima volta che la chiamava per nome, escludendo la scenata che
aveva fatto poco prima.
Quella
non si voltò.
-Ma
certo che mi devi fare sempre faticare!- disse, iniziando a correre.
Finalmente
la raggiunse.
-Che
cazzo vuoi?-gli chiese brusca mentre continuava a camminare.
Frank
scosse la testa e rispose. –Che torni sopra! Qui, combinata in quel modo
morirai dissanguata…-.
-E
se pure fosse? Non sono fatti tuoi!- urlò quella, fermandosi per
guardarlo e per riprendere fiato.
-Ora,
però, mi devi spiegare cosa ti costa risalire le scale e venire in un
posto al caldo??- sbottò il chitarrista.
-Mi
costa che…- respirò, ingoiando un po’ di saliva in eccesso.
–Che non voglio essere sfottuta davanti a quei ragazzi!-.
-Io
ho solo fermato quel maledetto silenzio imbarazzante!-.
-Ma
tu sempre che devi riparare sei!Ma farti i fatti tuoi, no vero?!-.
-Possibile
che nessuno riesca a capire che io lo faccio per bene… Cristo.-. Si
passò una mano dietro i capelli e strinse il pugno.
-Allora
… fai quello che cazzo ti pare! Io ho altro a cui pensare!- concluse
voltandosi perdente.
Mise
la mano nella tasca e ne uscì una sigaretta.
La
mise in bocca e iniziò a cercare con foga l’accendino, mancante.
-Merda…-
sibilò, sempre più su tutte le furie.
Max
era rimasta lì a fissarlo, con un’espressione irritata e
dolorante. Non riuscì a mantenere lo sguardo ancora a lungo, vedere il
ragazzo cercare disperatamente l’oggetto la fece quasi sorridere.
Il
riso. Cosa che non prendeva in considerazione da mesi oramai, solo, quando era
in compagnia di questo ragazzo era riuscita a far ritornare quello sulle sue
labbra.
-Tieni…-
disse poi, ritornata alla calma, consegnando un accendino a Frank.
-G…grazie..-
espose quello con la sigaretta ancora in bocca.
Come
se il nervosismo precedente si fosse dissolto, si accese la cicca e
inspirò il primo tiro, per poi ributtare fuori il fumo.
-Allora?-
chiese poi, ritornando a guardare la ragazza negli occhi.
Quella
sospirò.
-Mettiamola
in questo modo… credo di aver intuito che ti piacciono i My Chem… e
allora fallo per loro, io non riuscirò a suonare se ti avrò sulla
coscienza…-.
Il
tono indispettito del ragazzo si era finalmente tramutato.
-Per
favore… -. Bastarono quelle due parole a convincere Max, due parole che
le risuonarono nella mente, con la loro fresca e tenera melodia.
-Okay…
ma lo faccio solo per loro…- rispose sarcastica, per poi allontanarsi e
dirigersi verso casa.
Il
rossore che l’era apparso sulle guance gli aveva dato un po’
più di vita.
-Appena
arrivati sopra devo risistemarti quella mano… e sei pregata di non
farmelo ripetere un’altra volta…- concluse lui.
I
due si diressero a passo silenzioso e lento verso il palazzo.
-Secondo
me lei lo ha morso…- Mikey che aveva occupato il posto di Frank, aveva
appoggiato la testa nella spalliera del divano.
-Se
è così, ha fatto bene…- assentì il fratello.
In
quel momento la porta di casa si aprì e i due entrarono.
-Eccovi…-
disse Ray che cercava qualcosa di commestibile nelle credenze.
-Senti,
Bob mi prendi per favore delle garze nel cassetto dei
medicinali…-iniziò il cantante, alla vista dei due.
Quello
annuì e si avvicinò al posto e prese le bende.
Max
che era riuscita a far sparire il rossore, si sedette accanto al bassista, che
le sorrideva dolcemente.
-Fammi
vedere la mano…- Gerard le apparve alle spalle, e dopo essersi seduto sul
tavolino di fronte al divano le prese la mano.
-Dovremmo
disinfettarla… ci sono rimasti dei pezzi di fazzoletto…-
constatò, avvicinando il volto al palmo.
-No,
stai tranquillo, va tutto bene…- cercò di calmarlo lei, mostrando
un sorriso.
-No…
ora provvediamo a fasciarla ed a disinfettarla… poi, andrà tutto
bene…- sintetizzò per poi girarsi verso Frank.
-Frankey
hai del disinfettante?- domandò.
-Mi
sa proprio di no, ma se n’abbaiamo tanto bisogno, posso chiedere ai
vicini, di certo loro ne avranno…- il cantante annuì e
tornò a mostrare tutta la sua concentrazione sulla ferita.
-Intanto
ti volevo dire, come rappresentante di noi tutti che non c’interessa
nulla di quello che hai fatto, okay?- le chiese Ray, cercando di essere il
più fraterno possibile.
Frank
era già uscito dall’appartamento, prima che Max potesse rispondere
alla domanda.
Scese
i gradini a due a due. Fissò i nomi sui campanelli: Morrison o
Harrison…
Quelli
col bambino petulante, o quelli petulanti e basta?
Optò
per il primo e suonò.
In
quei pochi secondi che passarono dal premere il tasto all’aprirsi della
porta, mille pensieri gli passarono in mente.
Era
strano trovarsi in una condizione così complicata da numerosi punti di
vista.
Ovviamente
la presenza di una ragazza in casa non gli aveva mai creato fastidio,
figuriamoci, lui era Frank Iero. Ma questa volta era diverso.
Oltre
che per la situazione in sé, anche per il fatto che, questa ragazza
aveva come ultimo pensiero quello di avere una relazione di qualunque tipo con
lui.
L’unica
cosa che bisognava a quella ragazza era qualcuno che la facesse ritornare in
sé, e lui non era di certo la persona più adatta.
Non
gli avrebbero affidato un essere umano in ottime condizioni, figuriamoci un
caso di tentato suicidio.
Comunque,
anche dopo aver pensato tutto ciò, non era arrivato ad altra situazione
di tenerla da lui, almeno fino a quando sarebbe stata capace di tornare a casa
con le sue gambe.
-Chi
è?- la porta si spalancò, e un bambino di all’incirca 10
anni era sulla soglia.
-Ciao,Jeremy…-
sbuffò il chitarrista.
Dopo
discussioni e risposte ai genitori impiccioni, riuscì a recuperare una
bottiglietta di disinfettante, tornò di sopra.
-Eccomi…-
sospirò avvicinandosi al divano.
-Bravo…-
sorrise Gerard senza guardarlo, prese la bottiglietta e dopo aver accostato la
mano ad un fazzoletto, adagiò il medicinale sullo squarcio.
Max
fece una smorfia, dovuta al bruciore.
-Male?-
domandò Frank.
-No…-
mentì la ragazza.
-Max,
vuoi qualcosa da mangiare?- domandò Bob, mentre cercava nella libreria
un qualche libro.
-Si,
grazie…- rispose girandosi per fissarlo.
-Mikey,
provvedi tu…- continuò il batterista.
-Ai
suoi ordini… allora signorina, cosa le preparo?- domandò ridendo e
avvicinandosi al fratello.
-Quello
che vuoi, sto morendo di fame mangerei di tutto…-.
-Frankino,
non hai pensato di darle niente da mangiare!- lo rimproverò, scherzando
il bassista.
-Ma
io non so, che padrone di casa snaturato…- si aggiunse Gerard, ridendo.
-Okay,
mi prendo tutte le colpe… ma ora perché non vi state un po’
zitti?- sorrise Frank sedendosi accanto a Max.
-Allora?
Okay?- domandò.
Quella
annuì, spostandosi leggermente. Questo fece sbuffare Gerard.
-Ora
stai ferma, che altrimenti dobbiamo fare tutto da capo…-.
-Ti
consiglio di ascoltarlo, devi sapere che lui sembra tanto carino in
televisione, ma è un pignolo…- sussurrò il chitarrista
all’orecchio della ragazza, che si trattenne per poco dallo scoppiare a
ridere.
-Guarda
che ti ho sentito, Iero…- sbuffò il cantante.
*
-Era
davvero buono… grazie, Mikey…- disse Max, appena ebbe finito di
mangiare. Il bassista le sorrise e le prese il piatto per metterlo nel lavello.
-Allora,
Max… - iniziò Bob, con scarsi risultati di attaccare un discorso,
rendendosi conto solo dopo che in quella situazione erano poche, o addirittura
inesistenti, le domande che erano lecite porre alla ragazza.
-Non
ne hai vestiti dietro?- cercò di recuperare Ray, peggiorando solo la
situazione.
-Sai,
non avevo idea che mi sarebbero serviti…- disse la verità la
ragazza, arrossendo.
-Si,
scusa…-.
-Dai…
facciamo così, qualcosa domani vado e te la prendo io…- si propose
Frank, facendo tirare un sospiro di sollievo a tutti nella stanza.
-No,
non ti permettere… già sto creando abbastanza disturbo, non voglio
che tu debba spendere del denaro per me…- lo zittì immediatamente
alzandosi.
-Non
crei nessun disturbo, figurati…!-.
-E
comunque non c’è bisogno, tra poco dovrei levarmi dai
piedi….- continuò sedendosi sul divano, seguita da tutti i My
Chemical Romance al completo.
-E
dove hai intenzione di andare?- domandò Gerard.
-Ho
un’amica un po’ lontano da qui… se riesco a partire anche domani,
entro un paio di giorni dovrei essere da lei…-.
-Tu
credi realmente che ti lasceremo andare via, in quelle condizioni?-
domandò retoricamente Bob.
-Posso
sperarlo…?- i membri della band scossero la testa e accesero la
televisione.
-Ma
mamma e papà?- domandò Ray, mentre l’amico sintonizzava su
RockTv.
-Beh…
sono vivi…- rispose Max , scomparendo tra i cuscini neri.
-Non
ne vuoi parlare…?- richiese lo stesso.
-Si
vede tanto? Comunque sì, non è uno degli argomenti a me
più lieti…-
-Capisco…
e di cosa vuoi parlare?-.
-Mhm…
non saprei… libri!- concluse successivamente, voltandosi verso la fornita
libreria alla destra del divano.
-Si…
qualcosa alla quale potremmo interessarci pure noi…- constatò Bob.
-Con
tutta questa meraviglia, avrete letto qualcosa …- Max si alzò e
prese uno dei volumi, all’altezza del suo naso.
-Veramente,
è roba che la nonna di Geer, gli aveva lasciato, più libri presi
qua e là, ma forse n’avrò letti due… tre…-
ammise Frank.
-Comunque,
ti spiace se me ne prendo io… ? Poi te lo restituisco…-
domandò.
-Certo,
fai come vuoi… tanto non è che a me cambia tanto se ne sparisce
uno…- rispose il chitarrista calmo.
-C’è
l’imbarazzo della scelta…- Max si appoggiò un dito sul mento
e iniziò a scrutare uno ad uno i volumi rilegati.
-Allora?-
domandò Mikey. –Posso darti una mano a scegliere qualcosa?- il
bassista si avvicinò.
-Tu
almeno qualcuno ne hai letto?- chiese la ragazza.
-Si,
posso vantarmi di aver letto quasi i tre quarti di tutti questi!- rispose
gioviale lui.
-Ok…
allora mi fido di te!-, i due risero.
-Senti
Frank, ti posso parlare un attimo?- domandò Gerard, indicando con il
capo la stanza degli ospiti.
Il
chitarrista lo annuì e lo seguì.
I
due entrarono e, l’ultimo a varcare la soglia, chiuse la porta.
-Che
mi devi dire, Gee?- Frank si sedette sul divano-letto che risiedeva nella
stanza.
-Cazzo
Frank…- sorrise il brunetto appoggiato alla parete. L’altro che
aveva iniziato a guardarsi la mano sinistra, fissò l’amico.
-Io
non sono capace di tenerla qui…- sbuffò infine, per poi coricarsi.
-È
quello che pensavo io… senza offesa, Frankey, ma non sei la persona
più adatta per aiutare una ragazza in quelle condizioni…-.
-Lo
so anche io questo. Ma che ci posso fare.. abbandonarla, non l’abbandono.
E poi mi sembra che stia tanto bene qui…- Frank cominciò a fissare
il soffitto.
-Si,
ma… oddio, non lo so…- sbuffò il cantante, passandosi una
mano sulla nuca, scivolando fino a terra.
-Io
direi di dare tempo al tempo…-.
-Mi
sembra che, dopo tutto, è l’unica cosa che possiamo fare…-.
Aveva
sorriso per la maggior parte di quei momenti; e ora, coricata sul letto, si
domandava il perché.
Il
letto matrimoniale, pulito da quelle lenzuola sporche, era più comodo
del solito.
Frank
aveva convinto la ragazza ad addormentarsi nella sua camera, mentre lui avrebbe
dormito nella camera degli ospiti.
Max,
ebbe bisogno di alcuni minuti per chiudere finalmente gli occhi stanchi.
Il
sonno non si decideva ad arrivare. Passò un’ora a guardarsi le
mani sotto le coperte, e vedere fino a dove era riuscita ad arrivare.
Aveva
sempre sentito storie ai telegiornali su ragazzi che tentavano il suicidio, ma
era stata sempre sicura di non giungere a tanto.
Ma
quelle ferite, quelle bende, quel luogo, tutto quello che stava vivendo…
provavano esattamente il contrario.
Notò
il sangue incrostato sotto le unghie, quelle unghie che aveva sempre cercato di
tenere pulite.
Avvicinò
la mano alla bocca e con l’aiuto dei denti cercò di cacciare
quella sporcizia.
Sputò
immediatamente.
Nascose
le dita sotto le lenzuola nere.
Si
rese conto che alcuni movimenti della mano destra, le erano impediti.
Pensò
che sarebbe dovuta andare in un ospedale per alcuni accertamenti, per
controllare se le funzioni erano facilmente recuperabili o meno, ma non le
sembrava giusto dare altre preoccupazioni Frank. Frank Iero. Il Frank che
suonava nella sua band preferita. Il ragazzo che l’aveva aiutata.
Guardò
la sveglia, che segnava le 10.35.
Decise
che era arrivata l’ora di alzarsi.
Dopo
essersi scoperta si diresse in bagno.
Il
colorito sul volto stava iniziando a riapparire, ma le sembrava sempre troppo
bianco. Mentre si specchiava notò sul lavabo una scatolina contenente
alcune matite per gli occhi.
Decise
di prenderne una, dopo averla applicata, si riguardò.
-Decisamente,
meglio…- sussurrò.
Il
parquet gelato, le dava sempre lo stesso dolore, controllò accanto al
letto se ci fossero le scarpe ma nulla.
Si
riappoggiò alle coperte, e si strinse le caviglie con le mani.
Successivamente uscì dalla stanza.
-Frank?-
domandò, timidamente.
Nessuna
risposta.
-C’è
nessuno?- richiese.
La
casa era deserta, i suoi passi erano gli unici che risuonavano.
Sul
tavolino, al centro del salotto, risiedeva il libro che aveva deciso di
prendere.
“Il
rosso e il nero”.
Dopo
aver dato una nuova occhiata verso la cucina si coricò sul divano.
Prese
il libro e lo aprì sulla pagina che aveva abbandonato.
Da
quella ne cadde un bigliettino.
Io sono a girare, non ti ho
voluto svegliare…! Dovrei tornare verso l’ora di pranzo!
A dopo!
Baci… Frank.
Sorrise
e posò il foglietto sul divano, continuando a leggere le pagine.
I
minuti passarono come le righe scendevano sotto lo sguardo di Max.
Si
fece mezzo giorno e mezza.
Arrivata
già a pagina 380, decise di serrare la lettura e cucinare per lei ed il
ragazzo.
Dopo
tutto quello che aveva fatto per lei, questo era il minimo, che potesse fare.
Si
avvicinò al frigo e lo spalancò, questo era pieno di roba
impacchetta, il freezer era circa nelle medesime condizioni.
Non
che fosse mai stata una brava cuoca ma aveva sempre adorato cucinare, o almeno
aveva sempre amato fare qualunque cosa comprendesse l’uso di fornelli o
fuoco.
Preso
un impolverato libro di ricette nell’immensa libreria decise di eseguire
la prima ricetta che le appariva dinnanzi: Pasticcio di patate al forno.
-Non
sembra male…- si disse.
Prese
un coltello e le patate, e iniziò a tagliuzzarle, con la mano sinistra.
L’altra calata sul fianco tremava in modo involontario ogni minuto.
Dopo
una mezz’oretta concluse la prima parte della ricetta, ma il dolore alla
mano si era fatto troppo forte, decise di fermarsi.
Si
sedette al tavolo, e appoggiò la mano sul legno.
Sua
madre era infermiera ma non le aveva mai spiegato nulla di medicina.
Decise
di provare a piegare ogni dito singolarmente.
Il
pollice non dava problemi, come l’indice e il medio. Sfortunatamente le
ultime due, in particolare il mignolo non rispondevano.
-Merda…-
si lamentò tossendo, per poi voltarsi e notando che dalla pentola usciva
un fumo poco invitante.
Finalmente
era pronto in tavola, e giusto in tempo all’arrivo di Frank alla porta.
Il
calore aveva fatto dilatare alcuni capillari che avevano ripreso a sanguinare,
ma non le davano nessun problema.
Il
citofono suonò.
Prima
di andare a rispondere prese una fasciatura che Gerard aveva lasciato sul
tavolo e l’applicò velocemente sulla mano.
-Si,
chi è?- domandò.
-Io…-
disse il ragazzo.
Il
tono profondo e basso era inconfondibile.
-Ti
apro…- sussurrò lei, prima di andare a sistemare le ultime cose in
cucina.
Aspettò
alcuni secondi e finalmente Frank entrò.
-Eccomi…-
disse sorridente, lasciando la porta aperta alle sue spalle.
-Hai
dormito comodo in quel divano-letto?- chiese Max , ancora sull’idea che
avrebbe potuto dormirci tranquillamente lei lì.
-Benissimo…
come non mai… e comunque, cos’è questo odorino?-
domandò avvicinandosi alla cucina.
-Beh,
dovevo trovare un modo per sdebitarmi… lo so che è una sciocchezza
ma…-.
-Scherzi?!
Ha un aspetto bellissimo! È più di un mese che non mangio roba
fatta in casa…!- pronunciò baciando la ragazza sulla guancia.
Max
sbatté le palpebre, quasi sconvolta da quel gesto.
-Posso
chiudere la porta…?- domandò poi, andando verso l’uscio.
-Veramente…-
iniziò Frank.
-Ci
siamo noi!- Gerard mise la testa dentrola porta, facendo sobbalzare la ragazza.
-Ah,
scusate non sapevo foste qui…- si scusò.
-Non
preoccuparti…- la calmò Mikey, mentre il fratello appoggiava un
grosso pacco dall’altra parte della stanza.
-Oddio!
Sento odore di cibo commestibile in casa di Frank Iero? Forse abbiamo sbagliato
appartamento…- rise Ray, salutando Max con la mano.
Quella
ancora sulla porta aspettava l’arrivo del batterista.
-Bob
non c’è…- la rassicurò Frank.
-Io…
ho preparato, solo per due…- disse a bassa voce, notando che tutti i
ragazzi si erano avvicinati al tavolo.
Sentite
quelle parole, la band si girò a fissarla.
-Ah…-
sospirarono in coro.
-Ok…
allora mangeranno… Max…- riprese Gerard, allontanando la sedia per
far invitando la ragazza. –E mio fratello, che è sempre così
sciupato…- rise, facendo apparire un riso sulla bocca di Mikey.
-No,
io ho già mangiato mentre cucinavo, ve lo potete dividere voi il mio
piatto…- li rassicurò lei.
-A
parte gli scherzi… tu hai più bisogno di noi di mangiare…
non sei proprio in gran forma…- riprese Frank, facendola avvicinare al
tavolo.
-Ecco…
bravo a Frank che qualche volta dice qualcosa di sensato…e parlando di
ciò, come ti senti?- domandò Ray.
-Non
male…- mentì con un tirato sorriso, come se la sua mano
l’avesse sentita in quel momento iniziò a tremare.
Prese
una forchetta e ingoiò un boccone, tenendosi da non rimetterlo; non che
fosse brutto, ma il dolore era insopportabile.
-È
davvero ottimo! Ti faccio i miei complimenti…!- assentì Mikey, non
notando nulla, come il resto dei ragazzi dopo tutto.
Max
si alzò di corsa, e andò in bagno.
Arrivata,
si appoggiò al lavandino. Si sporse in avanti e rimise quell’unico
boccone.
Si
fissò.
Lo
stimolo di vomitare, come il dolore non si era placato.
Riaprì
la bocca, ma non avendo mangiato nient’altro, le sembrò di
vomitare l’anima.
-Max,
tutto okay?- le domandò Frank, bussando alla porta.
-Eh?
Si, sto arrivando, tranquillo…-.
La
porta si spalancò e lei barcollò fuori, vicino al letto.
-Che
ti è preso?-.
-No,
nulla … solo… il cibo… sai, il mio organismo è stato
sconvolto da quell’enorme perdita di sangue…- disse sedendosi sulle
lenzuola.
-Ora,
deve riprendere il normale…- parlava a stento, controllando ogni singola
parola.
-Okay…
ho capito… dai vieni di là…-lui gli allungò la mano, che venne
subito afferrata.
Max,
notò che il dito del ragazzo sfiorava le fasciature del polso, senza
farle male, come per controllare che andasse tutto bene.
Arrivati
di fronte ai ragazzi, lei lasciò immediatamente la stretta.
Frank
guardò la sua mano vuota, quasi dispiaciuto.
-Stai
bene?- le chiese apprensivo Gerard, avvicinandosi mettendole due mani sul viso
e alzandolo, per guardarle meglio.
-Sì,
sì…- sorrise quella, arrossendo, perdendosi in quegli occhi
meravigliosi.
Quello,
resosi conto che la stava imbarazzando, rilasciò il volto.
-Ora,
però siediti…- Ray le prese un braccio e la fece accomodare sul
divano.
-Che
devo fare?- domandò, inarcando un sopracciglio.
-Tu,
niente… Mikey!- il fratellino, appoggiò una grande busta sul tavolino
basso.
-Tranquilla…
non è una bomba…- la tranquillizzò Frank.
-Cazzo…
che ti avevo detto??- chiese quella, voltandosi verso il chitarrista.
-Ma…
è stato Gerard… io non ho fatto nulla…- si scusò.
–Ma ora, chiunque sia stato… voglio vedere la tua reazione..!-
Quella
sospirò, non riuscendo a nascondere un sorriso.
-Ed
ecco qui!- Ray, alzò una magliettina a strisce bianche e nere.
-Per
la taglia… ho preso quella che mi sembrava più simile alla tua,
non sono mai stato un genio con le misure femminili…-.
-No,
è perfetta…- e lo era davvero… come tutti gli altri vestiti
che le avevano preso.
Jeans,
maglioncini, camicie, cravatte… tutto perfetto.
-E
allora cosa ne pensi?-
-Grazie
ragazzi… ma non mi merito tutto questo… cavolo, già sto dando
tanti di quei problemi…- .
-Smettila…-.
-No
fatemi finire… io non voglio più rompere nessuno…- concluse.
-Finito?-
domandò Frank, quella annuì.
-Allora
parlo io… tu non mi dai fastidio… altrimenti ti avrei già
mandato in mezzo ad una strada…quindi stai tranquilla…-.
Gli
mise una mano dietro la testa, come sapendo quello che stava per accadere.
Infatti,
quando Max appoggiò il viso sul petto di lui scoppiò in lacrime.
Singhiozzò
amaramente un paio di volte.
Strinse
i denti, per evitare di mostrarsi ancora così, ma comunque le lacrime
bagnavano ancora quella maglietta e il suono di quei singhiozzi riempiva il
silenzio.
Lui
la strinse ancora più forte.
-Frank..
noi andiamo…- sussurrò Mikey.
-No…
no… rimanete…- li bloccò Max, staccandosi da quel rifugio.
-Sei
sicura?- chiese il bassista.
-Sì..
e scusa.. per la chiazza…- disse poi rivolta a Frank.
-Si
lava… ora… vediamoci un po’ di televisione…-.
La
ragazza mise i piedi sotto le sue gambe e appoggiò la testa alla spalla
di Frank, socchiudendo gli occhi, mentre Gerard sintonizzava su un canale a
caso.
*
Era
passato qualche minuto da quando i ragazzi se ne erano andati.
Frank
e Max erano ancora davanti al televisione.
-Ormai per questa settimana, dobbiamo
rassegnarci… le nubi che provengono dal centro Canada oscureranno il
nostro cielo, vero Pierre?- chiedeva il conduttore al collega.
-Peccato,
saremmo potuti uscire a farci una bella passeggiata…- sbuffò
Frank, con ancora Max china su di lui.
Dopo
la scenata non aveva aperto bocca.
-Voglio
solo dirti che io non sono in quel modo…- disse ad un tratto lei,
cambiando completamente discorso.
-In
che senso?-.
-Non
sono di lacrima facile, anche se nessuno lo direbbe in questo periodo…-
continuò, non smettendo di fissare lo schermo.
-Non
devi preoccuparti, non sono qui per giudicarti…- la incoraggiò.
-E
invece ne avresti di cose da dire…- rise Max amaramente.
-Dopo
tutto ho solo tentato il suicidio…- aggiunse sottovoce.
Frank
non riuscì a rispondere, ogni volta che si riapriva quel maledetto
argomento, lui rimaneva impalato.
Deglutì.
-Non
devi dire nulla… preferisco questo silenzio…-.
-Giustissimo Carl, specialmente verso la zona
di Belleville ci dobbiamo aspettare dei bei nubifragi…-.
-Max…?-.
-Puoi
lasciarla dormire poveretta?? -.
-Ma
se la lascio dormire come faccio ad alzarmi, imbecille?- questa volta, la voce
di Frank si era alzata forse un po’ troppo.
La
ragazza, che si era assopita sulla spalla di lui, si svegliò.
-Ci
sono…- sussurrò, alzandosi, passandosi una mano sulle labbra
umide.
Bob,
seduto sul tavolino che le stava di fronte, sorrise.
-Mi
spiace che ti abbiamo svegliata, ma Frank deve venire con noi....-
specificò Mikey alle spalle del divano.
-Figuratevi…
e che avevo sonno e mi sono addormentata…- cercò di scusarsi.
Frank
accanto a lei si stava stirando la spalla, con un’espressione dolorante.
-Ti
ho distrutto l’arto?- domandò la brunetta.
-No,
tranquilla… sono abituato a colpi ben peggiori…- rise, buttando un
occhio a Gerard, che beveva un bicchiere d’acqua.
-Allora,
siamo pronti?- domandò Ray, sulla porta.
-Si,
eccoci… allora Max, ci vediamo sta sera… se faccio tardi, anche se
non credo, ti chiamo…-assentì il chitarrista avvicinandosi
all’uscio.
-Sembrate
marito e moglie…- rise Mikey, già uscito.
-Okay,
allora buon lavoro ragazzi… io credo che… non lo so, qualcosa la
troverò da fare…- concluse alzando la mano sinistra e cercò
di agitarla senza provare eccessivo dolore.
La
porta si chiuse.
Si
ritrovò da sola.
Come
quella mattina, fissò il legno della porta per qualche attimo.
Decise
di dare un occhiata nuovamente ai vestiti che le avevano portato i ragazzi.
Quei
fantastici ragazzi, li conosceva da troppo poco e loro avevano fatto tutto
quello per lei. Lei, una ragazza che fina a qualche giorno prima non aveva
desiderato niente di meglio che porre fine a questo martirio, chiamato vita.
Uscì
dalla busta il jeans blu scuro, con la camicia rossa e la cravatta nera e si
trasferì nella camera da letto.
Prima
però di arrivarci, rovesciando la busta, notò che ne era uscito
un piccolo pacco.
Lo
aprì e si chiese il perché non glielo avessero mostrato prima, ma
capì.
La
busta conteneva capi d’intimo. Sorrise e si portò tutto con se.
Si
guardò allo specchio vicino all’armadio, ancora indossava i
vestiti di Frank, che le stavano a dir poco immensi.
Si
cacciò la maglietta e con questa anche il reggiseno che aveva sotto.
Si
fissò un attimo, in quel periodo era decisamente calata di peso, le
costole le si potevano intravedere attraverso la carnagione chiara.
Sfiorò i buchi dati del flebo fattogli in ospedale e iniziò a
vestirsi.
Indossato
il tutto, l’unica cosa che mancava era la cravatta.
La
prese e alzato il colletto, iniziò a fare il nodo. Era sempre stata
brava in ciò: dopo tutto le cravatte erano il punto forte del suo
abbigliamento.
Sistemata,
notò che sarebbe stata perfetta per girare il nuovo video di Helena.
Prese
la roba che si era cacciata e mise tutto a lavare.
Tornata
nel salone si riaccomodò sul divano.
Il
mal di testa che le era venuto per aver dormito le vietava di leggere il libro.
Aprì
il televisore, ma prima che le immagini potessero apparire una musica
risuonò nella stanza.
Capì
immediatamente che era la suoneria del suo cellulare, questo si trovava ancora
nello zaino, e a quanto pare la batteria non era ancora scarica.
Chi
poteva essere?
Al
solo pensare la risposta, le si irrigidirono tutti i muscoli.
Iniziò
a pervenire una strana sensazione al petto. La sensazione di tensione che tanto
odiava.
Partiva
dal centro del petto fino ad arrivare alle orecchie.
Le
note della musica continuavano ad andare.
Si
alzò di scatto e andò in camera da letto, svuotò il
contenuto della sacca sul letto e prese il telefono.
212-458212
Era
il prefisso di Manhattan, il numero non le era familiare. Ma solo una persona
di sua conoscenza abitava in quella città.
Sfortunatamente
non fece in tempo ad accettare la chiamata che questa cessò.
Sarah
aveva cercato di chiamarla.
Le
due non si sentivano da tempo, oramai, la lontananza aveva logorato
l’amicizia.
Ma
anche con tutto ciò, rimaneva l’unica persona di cui si fidava.
Si
chiese il perché la stesse chiamando proprio ora, o se i suoi genitori
le avessero detto qualcosa.
Tossicchiò,
e andò nell’elenco delle chiamate perse.
Fece
per ripetere il numero un paio di volte, ma non ce la fece.
Sotto
questa notò che ce ne erano ben 4 perse nelle ultime ore.
Due
di queste era il numero di casa sua, le altre due dovevano corrispondere a
quello di altri suoi amici.
Eppure
non aveva sentito squillare il telefono, e forse con la televisione alta
neanche i ragazzi ci avevano fatto caso.
Poggiò
l’aggeggio nel cuscino accanto a lei, e da seduta riuscì a
rannicchiarsi comodamente.
Chiuse
gli occhi, rendendosi conto che non avrebbe potuto dormire o nascondersi per
sempre. Ma per ora, era l’unica cosa che riusciva a fare.
Non
ricordava di essersi spostata nelle coperte, l’ultima cosa che vide prima
di addormentarsi era la cucina al lato del divano.
Sicuramente
Frank aveva deciso di metterla a letto.
Era
ancora notte, i lampioni illuminavano a stento le vie, mentre il via vai delle
macchine era ancora frequente.
3.05
Segnava
la sveglia sul comodino.
Max
si rigirò tra le coperte, sperando di riprendere sonno almeno fino a che
il sole fosse salito in cielo, ma niente da fare.
Voltandosi
aveva però notato che il letto non era grande come il solito.
Le
sere precedenti le era stato permesso, dall’ampiezza del materasso, di
stendere il braccio; ora invece, sentiva alle sue spalle un corpo estraneo.
Aveva
notato anche precedentemente che il materasso pendeva leggermente alle sue
spalle, ma non ci aveva fatto caso.
Si
voltò lentamente, cercando di ricompensare ai movimenti bruschi fatti in
precedenza.
Appoggiatosi
dall’altro lato lo vide.
Non
sussultò, non si mosse, rimase immobile a fissarlo.
Gli
occhi scrutavano le labbra perfettamente rosee.
I
capelli scompigliati sul viso facevano comunque intravedere gli occhi chiusi.
Con
la mano si spostò un ciuffo dal viso e ritornò ad ammirare il
ragazzo.
Riusciva
a vedere, anche se poco, il tatuaggio sul collo di questo.
Sarebbe
riuscita a stare ore a fissarlo. Mentre respirava. A guardare quei piercing che
la facevano impazzire, o quei rimasugli di matita sotto le ciglia.
Nel
fissarlo però le palpebre iniziarono a chiudersi.
La
bocca si aprì in un profondo sbadiglio, dopo alcuni minuti cadde in un
sonno profondissimo.
Frank
aprì gli occhi.
Senza
volerlo dopo aver disteso Max, aveva preso sonno anche lui.
La
testa gli scoppiava per il lavoro svolto e per tutti i pensieri che lo stavano
distruggendo.
Notò
che la ragazza si era voltata e si trovava con il viso rivolto verso di lui.
Si
passò una mano sugli occhi stanchi e assonnati.
Pur
non leggendo l’orario sapeva che era troppo presto per alzarsi o per fare
qualsiasi cosa.
Sentenziò
di rimanere in silenzio a contemplare l’atmosfera e con essa, la ragazza
che aveva di fronte.
Sospirava
lentamente, quel fiato che gli usciva dalle narici, riusciva comunque a
scostarli i ciuffi di lei dalla fronte.
Guardò
per poco il braccio che aveva quella sotto il cuscino bianco.
Esitò
a passare un dito sulle fasciature, un gesto che gli veniva istintivo fare ma
che avrebbe di certo destato la ragazza.
Allora
rimase immobile nella sua posizione anche se scelse di allontanarsi qualche
centimetro, per quanto gli era consentito dal letto, dal viso di Max.
In
quel momento gli occhi della ragazza si aprirono.
I
due sguardi si incrociarono, nessuno dei due sussultò o divenne rosso.
Non
un sorriso apparve sulle labbra dei due.
Il
clacson di alcune macchine si udirono in lontananza, ma nulla riuscì a
far muovere i due da quella posizione.
I
respiri si scontravano l’uno contro l’altro.
Solo
dopo qualche secondo, Max decise di voltarsi dall’altro lato.
Avendo
voltato le spalle al ragazzo, gli angoli delle sue labbra si alzarono in un
dolce riso.
Alcuni
rumori provenienti dal bagno fecero sussultare Max, con lo sguardo rivolto
verso quella stanza poté notare i movimenti del ragazzo.
Mentre
si lavava i denti, accidentalmente fece cadere il porta sapone, e per fermare
la caduta libera dell’oggetto, fece scontrare il porta spazzolini col
pavimento, provocando un rumore assordante.
-Cazzo…-
sussurrò lui, piegandosi per raccogliere il tutto.
Con
gli occhi ancora non completamente aperti per il sonno, Max vide tutta la scena
e non riuscì a trattenersi da un sorriso.
Quando
Frank si accorse di ciò alzò lo sguardo e fissò la ragazza
che si era avvolta con le coperte per non essere vista.
Il
chitarrista si avvicinò al letto, mise una mano sulle poche ciocche nere
che si intravedevano da sotto il piumone.
-Guarda
che ti ho visto…- sussurrò dolcemente.
Pronunciate
queste parole, baciò sulla fronte la ragazza e si allontanò.
Max
rimase con gli occhi spalancati a fissare le lenzuola che si era tirata sulla
fronte.
Poté
sembrar strano, ma solo in quei momenti le veniva in mente che il ragazzo che
le stava accanto era il suo Frank.
Quando
la baciava, o le prendeva la mano… in quelle situazioni le saliva una
strana sensazione alla bocca dello stomaco.
Strinse
forte gli occhi, come per esser sicura che fosse tutto vero.
Lo
era.
Con
calma uscì dal letto, con la mano sinistra avvolta attorno al braccio
destro si avviò per il salottino.
-Ben
sveglia…- disse Frank, accostato alla cucina, mentre sorseggiava il suo
caffé.
-Potrei
averne una tazza anche io?- domandò ella.
Lui
annuì, non potendo rispondere avendo la bevanda bollente in bocca.
Versò
il contenuto della caffettiera in una tazza rossa e la appoggiò sulla
penisola, tornando al suo posto.
-Mi
spiace che tu mi abbia dovuto portare fino al letto, avrei potuto dormire
tranquillamente sul divano…- esclamò lei dopo il primo lungo
sorso.
-Ma
non scherzare, non è stato per niente faticoso… sei piccola e
leggera…- rise quello, finendo il suo caffé e appoggiando nel
lavandino la tazza.
-Comunque,
non abbiamo più parlato di come stanno i tuoi arti…- disse, non
voltandosi, aprendo l’acqua e facendola traboccare dal recipiente.
-A
volte mi provocano dolore… ma niente di che…-.
-Io
direi di andare da un dottore nei prossimi giorni…- sentenziò il
chitarrista guardando la mano destra, che mostrava dei tremori.
-Non
sono d’accordo…-.
-Beh,
la mia non era una domanda, ma un’affermazione…- tagliò
corto; il discorso fu interrotto dal citofono.
Frank
si avvicinò e rispose.
-Chi
è?- domandò.
-Sì,
un paio di minuti e scendo… non ti incazzare, siete arrivati in
anticipo!- sbraitò ai compagni qualche piano più giù.
Dopo
aver riagganciato la cornetta, si avvicinò al divano dove era appoggiato
il cappotto.
-Ora
vado, torno per l’ora di pranzo…- uscì dalla porta e la
chiusa alle sue spalle.
Max
si diresse ai fornelli e appoggiò anche lei la tazza nel lavandino.
Si
sentiva tanto un animale domestico che il padrone lasciava in casa,quando se ne andava e ritrovava al suo
rientro, e stranamente non aveva da lamentarsi.
La
casa era nuovamente semivuota.
Max
si riappropriò del suo comodo divano.
Appoggiò
la testa al solito cuscinone nero e iniziò a pensare.
Si
stava approfittando della dolcezza di un ragazzo, aveva occupato la sua casa,
il suo letto e lo aveva riempito di problemi.
Gli
spifferi che entravano dalle finestre spalancate la fecero rabbrividire, ma non
si alzò. Si strinse ancora tra quelle federe e si strofinò le
braccia.
Si
chiese se fosse arrivata l’ora di chiamare a qualcuno dei suoi
famigliari, ma l’unica persona che con lei avesse un legame di sangue e
con la quale riuscisse a scambiare qualche parola era ormai venuto a mancare da
tempo.
Sarah,
lei era l’unica sua possibilità, ma non avrebbe saputo cosa dirle.
Sarebbe rimasta in silenzio, mentre l’amica la riempiva di domande sul
perché avesse fatto tutto ciò.
Oggi
era l’ultimo giorno di febbraio, la primavera era alle porte, ma il tempo
fuori dalla finestra diceva tutt’altro.
Si
soffiò tra le mani e se le strofinò l’una contro
l’altra, finendo per imprecare contro se stessa.
La
mano destra iniziò a dolorare ancora di più.
Sporse
il braccio dietro alle sue spalle, facendo sparire le bende dietro di se.
Non
che fosse esperta di medicina ma sapeva che se i legamenti erano stati lacerati
in modo serio avrebbe dovuto ricorrere alla chirurgia, ed era l’ultima
cosa che avesse intenzione di fare.
Avrebbe
resistito un altro paio di giorni, fino a che non si fosse allontanata da
quella casa e allora, avrebbe dato il permesso ai dottori di riaggiustarle
l’arto.
Ma
fino ad allora avrebbe fatto a meno delle due dita e avrebbe sopportato il
lancinante dolore a denti stretti.
Allora,
si sentì nella casa il suono del campanello della porta.
Max
sussultò e si diresse verso la porta.
Dopo
aver guardato dallo spioncino e aver notato un ragazzino dall’altra
parte, aprì.
-Salve!-
disse quello, gli occhiali stavano a stento in equilibrio sul piccolo nasino.
I
capelli biondi, ricoperti di gel, alzavano la figura del bambino di qualche
centimetro, facendolo arrivare poco sopra il fianco di Max.
-Ciao
piccolo…- rispose al saluto.
-Mamma
e papà sono fuori, la mamma mi ha detto che il signor Iero mi avrebbe
potuto ospitare, mentre loro sono fuori…- pronunciò tutto
d’un fiato, mostrando alla ragazza la mancanza dei piccoli dentini da
latte posti nella parte anteriore della bocca.
-Allora,
il signor Iero non è in casa… ma ci sono io, se vuoi ti posso
tener compagnia …-.
-Okay…-
finì entrando in casa, passando comodamente sotto il braccio di Max.
-Allora,
come ti chiami?- chiese quella sedendosi accanto al bambino che aveva
già sintonizzato sui cartoni animati.
-Jeremy…-
sussurrò, con gli occhi che riflettevano le immagini colorate.
-E
quanti anni hai?-.
-Ne
compio 6 ad aprile…- rispose, alzando sei dita verso la ragazza,
facendola sorridere.
-Sei
un ometto, allora…! E dimmi Jeremy, capita spesso che Frank ti faccia
rimanere a casa con lui?-.
-A
volte… anche se quasi sempre, io rimango a giocare con il suo amico con
tanti capelli…-.
Max
rise.
-Ray,
ha la faccia di chi è portato con i bambini…- sospirò,
buttando un occhio alla televisione.
-Che
ti è successo alla mano?- domandò Jeremy, indicando l’arto
destro.
-Mi
sono tagliata…- rispose con calma.
-E
ti fa male?- chiese quello, disinteressandosi alla televisione.
-Si,
abbastanza…-.
-E
non vai dal dottore?-.
-No…-.
-E
perché?-.
-Perché…
ho paura…- rispose sinceramente, mentre il bimbo le afferrava la mano
dolorante con estrema delicatezza.
-Mia
mamma dice che non si deve avere paura dei dottori…-,
Max
arrossì: esser ripresa da un bambino.
-La
mamma ha ragione…-.
-E
allora ti farai visitare?- chiese, alzando gli occhiali rossi.
-Va
bene…- rispose.
-Brava…-
lui riappoggiò la mano di quella sul divano e ritornò a guardare
la televisione.
Verso
le due meno un quarto i genitori del bambino non erano ancora rientrati.
Contrariamente Frank aveva appena aperto la porta di casa.
-Eccomi…
sono stanchissimo è stata una giornata pesantissima…-
sentenziò, lanciando il cappotto sul divano di fronte a se.
-Salve!-
salutò Jeremy, seduto sui cuscini, alzando la manina, che apparve dietro
il grosso bracciolo.
Il
chitarrista sussultò e si avvicinò al fanciullo.
-
E tu cosa ci fai qui?-.
-I
miei genitori non ci sono, e io sono rimasto qui con Max…- diede risposta
alzandosi, non cambiando la situazione di sbilancio di altezze tra lui e Frank.
-Ah,
capisco… Max!- chiamò quello, allentandosi e andando accanto alla
ragazza.
Lei
sorrise e si voltò per guardarlo.
-Sei
viva! Mi aspettavo che quella poste ti avesse mangiato…- sospirò.
-Ma
dai… è tanto carino…-.
-Sì
certo, tutti dicono così all’inizio…- Max rise.
–Comunque ti sta davvero bene il grembiulino rosa…- finì il
chitarrista.
Mentre
la ragazza era tornata a mescolare la pasta che stava preparando si
sentì chiamare.
-Max,
lo sai che oggi viene a casa mia mio zio?- domandò Jeremy.
Frank
sbuffò –E chi se ne frega?- sussurrò.
Lei
gli diede una gomitata e si avvicinò al bambino.
-Tuo
zio… e come si chiama?-.
-David…
è canadese… ogni volta che viene, mi porta tantissimi regali!-
esultò saltellando sul divano.
-Allora,
oggi sarà una bella giornata…-.
Quello
annuì contento, facendo scivolare le lenti.
Max
si alzò passandogli una mano tra i capelli.
-E
tu non ce l’hai uno zio che ti porta i regali?- domandò Jeremy.
-Prima
sì… ma ora non c’è più…-
sentenziò, rimanendo a guardare il bambino che sembrava non aver capito.
-E
dov’è?-.
-Beh…-
quella non seppe cosa rispondere.
-Forse
anche lui è canadese, ed è tornato là…- propose, Max
annuì ridendo amaramente.
-Sì,
hai ragione tu…-.
-E
lui ti portava i regali?-continuò a chiedere.
Frank
dopo aver sistemato la tavola, si appoggiò alla penisola per ascoltare
il discorso.
-Sì,
me ne portava tantissimi, era uno zio bravissimo… era un poeta…- la
ragazza si riaccomodò.
-Quindi
inventava le poesie per te?-.
-Anche…
e poi me le recitava per farmi addormentare…-.
Il
bimbo rimasto con la bocca aperta, serrò le labbra al suon del citofono.
-Mamma
e papà!- esclamò, dirigendosi per rispondere.
Dopo
esser saltato leggermente per prender la cornetta rispose.
-Casa
signor Iero e Max, chi è?-.
I
due ragazzi risero, per poi guardarsi.
-Zio!
Si arrivo!!- esclamò, felicissimo.
Leiprese il giubbottino del bambino e lo
portò vicino alla porta.
-Max,
io vado…-.
La
ragazza si abbassò per fargli indossare l’indumento e dopo che ci
riuscì, lui le schioccò uno bacio sulla guancia.
-Grazie,
ciao!- uscì dalla porta.
-E chi era questo zio?- domandò
Frank alla ragazza, che si stava avvicinando.
Quella
scrollò le spalle.
-Scommetto
che non si trova in Canada…- cercò di sdrammatizzare, facendola
ridere.
-E
no… è morto un anno fa… l’undici aprile di un anno
fa…-.
-Mi
spiace…eri molto affezionata?-.
-Si,
era l’unica persona della mia famiglia su cui potevo realmente
contare…poi quando anche lui è sparito…- la voce le si
strozzò in gola, facendo compagnia alle lacrime che stavano per uscire.
-Se
vuoi parlarne… io sono qui…- cercò di consolarla il
chitarrista.
-Ma
ache serve parlarne, lui è
morto…la storia finisce qui…- concluse, alzandosi lasciando intatto
il suo piatto di pasta.
Frank,
fissò la sedia vuota e sbuffò, prima di tornare a pranzare, ma
subito dopo aver inghiottito il primo boccone, abbandonò anche lui.
Decise
però di non alzarsi e stare a guardare la ragazza, seduta sul divano.
Max,
aveva gli occhi che traboccavano di lacrime, singhiozzava amaramente. Guardava
fisso davanti a se, tirando su col naso ad ogni scoccar di secondo.
Le
lacrime tracciavano linee sul volto rosso.
Quando
si sentì osservata, voltò il viso verso Frank, che in silenzio la
scrutava.
Non
riuscì a dire nulla, si abbassò solamente, nascondendosi dai
cuscini.
Quello
convinse il ragazzo ad alzarsi, le si sedette vicino.
-Basta
piangere…- le disse asciugando ogni goccia che usciva da quegli occhi
tristi.
-Basta…-
continuava, cercando di sorridere.
Lei,
accettando le sue carezze, lo guardava come una bimba che fissa il padre che la
consola.
Dopo
qualche secondo si calmò.
Allontanò
il viso dalle mani di lui e tirando su le gambe, le abbracciò.
-È
morto il giorno del mio compleanno… sono stata ad aspettarlo tutta la
notte, pur sapendo che era morto…- confessò, cercando di non
tornare a piangere.
-Era
l’ex-marito della sorella di mia madre, anche dopo il divorzio lui mi
è rimasto sempre accanto, e io sono rimasta vicino a lui…Diceva
che ero la sua unica ragione di vita, quando è morto mi sono sentita
insignificante…-.
Frank
la guardava in silenzio, meditava su ogni parola da lei pronunciata.
-Se
lui era morto… io a cosa sarei servita più?- domandò Max
amaramente, non fece uscire nessuna lacrima.
Si
voltò versò il ragazzo.
Passarono
alcuni attimi in silenzio.
-Ecco
tutto…- tirò per l’ultima volta su col naso e si diresse in
camera da letto.
Prese
il telefono che aveva posato nel comodino.
Ritornò
nel salottino.
-Che
fai?- le chiese Frank, sistemandosi sul cuscino.
Quella
non rispose, aprì lo sportellino e avviò l’ultima chiamata
ricevuta.
Primo
squillo
Secondo
squillo.
Si
sentì il suono della cornetta che si alza.
-Salve, qui risponde la segreteria telefonica
di Sarah McKenzie se avete bisogno di qualcosa lasciate un messaggio dopo il
segnale acustico, vi richiamerò al più presto! Baci!-
-Ciao…
sono io… ho visto che hai cercato di chiamarmi… speravo non fossi
in casa… comunque io, ora… credo di essere pronta…beh,
ciao…- giusto in tempo.
Il
secondo segnale acustico risuonò.
Max,
chiuse la chiamata e appoggiò il telefono sul tavolino.
-I
tuoi genitori?- chiese Frank.
Quella
scosse la testa.
-Amica?-.
La
ragazza annuì.
-Hai
fatto bene, anche se io ti ripeto che qui puoi rimanere quanto vuoi…- la
tranquillizzò.
-Lo
so Frank… e ti ringrazio per questo, ma non posso scappare per sempre,
no?- chiese ironicamente con un sorriso che esprimeva tutto tranne che gioia.
-Va
bene piccola…ora io però vado…- Frank la baciò sulla
fronte, come di consueto.
-Comunque
se non vuoi stare sola, posso dire ai ragazzi di rimandare le riprese…-.
-Non
pensarci neanche… vai! Su, il lavoro ti aspetta! E comunque…
riprese di un nuovo video giusto…?-.
-Sì,
ma non posso dire niente…-.
-Okay,
in ogni modo “Famous last words” era davvero
meraviglioso…tanto fuoco… mi è piaciuto tantissimo!-.
-Grazie…
anche a me piace molto, comunque parlando di fuoco… io ho ancora il tuo
accendino…-.
-Non
preoccuparti, non fumo, puoi tenerlo…- lo anticipò lei.
-E
a cosa ti serviva allora?- domandò quello curioso.
-Beh…
nulla…- rispose lei, alzando le spalle. Sperando che il ragazzo cambiasse
discorso.
-Okay,
tanto ho capito… ricorda che sono amico di un certo Gerard Way, i
piromani li riconosco…- disse scherzoso.
-Non
sono piromane, scemo!- rise anch’ella , tirandogli un cuscino in testa.
-Va
bene… facciamo finta che ci creda…- continuò Frankrilanciando il cuscino, avvicinandosi
alla porta.
-Ora
vado, cerca di non incendiare la casa…- rise uscendo.
Max
non riuscì a rispondere.
Si
sedette comodamente sul divano, e rise.
Con
il viso sereno, fissò il cellulare… ora era realmente pronta a
parlare… non sapeva cosa avrebbe detto, ma qualunque cosa fosse era
arrivato il momento, e sapeva che era solo merito di lui.
-No,
ancora non si è fatta sentire… mi spiace di dovermi trattenere
ancora più a lungo qui, ma non so dove altro andare…-quando
finì di pronunciare la frase, Frank le tirò una cucinata.
-Questa
è la risposta. Non permetterti neanche di dirlo…-.
Max
sorrise, si girò verso Frank, e abbracciandolo gli baciò la
guancia.
Lui
arrossì, non smettendo di fissare lo schermo, come non volendo farlo
notare più del previsto.
-Grazie,
Frank Iero…- rise Max, tornando anche lei a guardare il televisore.
-Sei
sicuro di voler cucinare tu?- domandò lei, seduta sul divano a gambe
incrociate.
-Sì,
non voglio farti sentire come la mia schiavetta… quindi, ora stai
tranquilla…- rispose Frank , vicino ai fornelli con un tovagliolo sulla
spalla destra.
-Il
problema è sapere adesso cosa cucinare…- disse tra sé e
sé.
-Cosa?-
domandò Max, non essendo riuscita arecepire tutte le parole.
-Niente…-
la ragazza, notò il cellulare che risiedeva ancora nello stesso identico
luogo della sera precedente.
Sintonizzò
su “I Simpson”, qualche risata non le avrebbe di certo nociuto.
Qualche
secondo dopo, si sentì una leggera vibrazione, e le note di
“Helena” si alzarono per casa.
Lo
schermetto del cellulare si era illuminato di una fioca luce azzurra, data
dalla batteria scarica.
Max
lo prese velocemente, rischiando quasi di farlo cadere.
Aspettò
il quarto squillo prima di decidersi a rispondere.
-Pronto…?-
disse, facendo seguire la parola da una breve tosse.
-Max?- la voce di Sarah era acuta
e squillante come al solito.
-Sì….-
riuscì a rispondere la ragazza, prima che la voce le si strozzasse.
-Come stai?- chiese quella ,
tranquillamente.
-Sto…
sono a casa di un amico… hai sentito i miei?-
-Sì, sono molto
preoccupati per te, Max… chiamali… almeno per far loro sapere che
stai bene…-.
-Non
credo sia il momento adatto…-.
-E quando credi che questo
avverrà? Quando li farai morire di infarto?-.
-Sei
già arrivata in città?- domandò Max, sapendo che
l’amica non sarebbe rimasta impalata nel suo appartamentino nella grande
mela.
-Sì, e mi piacerebbe
molto sapere dove sei…-.
-In
questo non so se posso accontentarti…- concluse, dando un occhiata a
Frank, che si stava avvicinando.
-Finalmente
ha chiamato…- sospirò il chitarrista, prendendole il telefono
dalle mani.
-Ciao…-
disse, mentre Max lo guardava prendersi cura di lei. Per la seconda volta.
-Senti,
non so se tu mi conosci… ma io abito sai vicino al…- iniziò
a spiegarle nei minimi dettagli dove esso abitava.
Max,
non sapeva se reagire chiudendo il telefono, o ringraziarlo dal profondo del
cuore.
Lui
era sempre vicino a lei, per aiutarla, a sorreggerla, cosa avrebbe fatto quando
le loro strade si fossero divise?
Finalmente
il ragazzo riattaccò e le si accostò, porgendole il cellulare.
-Verrà
oggi pomeriggio…-.
-Non
me ne voglio andare…- si fece scappare Max, diventando tutta rossa.
-Tranquilla,
non te ne andrai…- la rassicurò lui.
*
L’ora
di pranzo passò più velocemente del solito.
La
televisione riempiva la stanza con quel rumore che mancava tanto, in quei
momenti.
Max
fissava il piatto, senza nessuna voglia di mangiare.
-Dovresti
magiare qualcosa…- la incitò lui, continuando a ingurgitare le
pietanze.
-Non
ho fame..-rispose quella.
-Sì,
ma se non inizi a magiare stai tranquilla che la fame non ti
tornerà…-.
La
ragazza non sbuffò, e scostò in bacino in avanti, scivolando
sulla sedia.
Scosse
i lunghi capelli neri.
Frank
la guardò, estasiato da quel viso.
Max,
alzò ulteriormente il ventre, emettendo uno strano verso.
Il
chitarrista ancora fisso su di lei, non riuscivaa smettere di guardarla.
Notò
una piccola cicatrice, sotto il mento.
Guardò
le labbra, e infine si bloccò sugl’occhi, che ella spostava dal piatto
al televisore.
Neri.
Profondi.
Ad
un occhio disattento, forse, vuoti… ma per lui ricchi di tutto.
-Tu
pensi che verrà?- domandò ad un tratto.
Frank,
ritornato sulla terra rispose. –Certo.-.
-Dimmi
che non verrà…- continuò lei, guardando il programma
televisivo.
-Non
illudermi…- finì, con voce placida.
Lui
rimase in silenzio.
Allora
si sentì il suono del citofono.
Max,
alzandosi di scatto, si avvicinò all’apparecchio.
-Si…?-.
-Max,
sono Gerard…-.
Quella
tiro un sospiro, forse di sollievo, ed aprì.
-Gerard…-
sussurrò a Frank, per poi appoggiarsi alla parete e scendere giù,
fino a terra.
Frank,
dopo aver appoggiato i piatti dentro i lavandino,spalancò la porta
all’amico.
-Salve…-
il cantante oltrepasso la soglia, e notò Max a terra.
-Ehi,
tu che ci fai laggiù?- chiese, porgendole la mano.
-Controllavo
le mattonelle…- rispose quella, alzandosi.
-MI
immagino che divertimento…- rise Gerard.
-Se
vuoi la prossima volta, ti invito, e lo facciamo insieme…-
continuò Max, ridendo.
-Okay,
guarda che ci conto…-.
-Certo
che siete bellissimi, fate pure botta e risposta su delle cazzate
smisurate…- si intromise Frank, facendo voltare entrambi.
-Ha
parlato…!- dissero in coro.
-Okay,
comunque Gee, hai visto qualcuno sotto?- domandò la ragazza.
-No,
mi spiace, aspettavate qualcuno?-.
-Ha
chiamato Sarah, ha detto che sarebbe venuta questo pomeriggio…- diede
risposta il chitarrista.
-Ancora
non è pomeriggio, poveretta datele tempo di digerire il pasto…-.
-Conoscendola,
non avrà toccato cibo da quando ha saputo quello che mi è
successo…- sorrise amaramente, Max, accoccolatasi sul divano.
Gerard,
si strinse nelle spalle, e guardò Frank.
-Oggi
sarà l’ultimo giorno di ripresa… finalmente…- gli
disse.
-Oggi?-.
-Sì,
lo so che non ti puoi muovere, ma abbiamo delle date… non possiamo fare
altro…-.
Frank
si passò una mano tra i capelli, stringendo con forza e rabbia le
ciocche.
-Puoi
andare…- sussurrò la ragazza, che dopo essersi coricata, stava ora
fissando il soffitto.
-Sicura?-
insisté, apparendo dalla spalliera.
-Certo,
me la so cavare da sola…- rispose, sorridendo, alla vista del viso di
lui.
-Se
ne sei certa…- detto questo la baciò la fronte bianca e
indossò il cappotto.
I
due uscirono, chiudendo la porta.
-Sì,
certissima…- disse Max, come per darsi coraggio, rimasta sola.
I
minuti, le ore passarono.
Ancora
nessuno arrivò nella casa.
Il
libro, finito, giaceva a terra.
Max,
con un cuscino tra le braccia, guardava le coppie di personaggi che si
alternavano sullo schermo.
Ad
un tratto qualcuno arrivò.
-Chi
è?- disse Max, appena arrivata al citofono.
-Max,
sono io…-era la voce di
Sarah.
Quella
aprì, e aprì la porta.
Tirò
istintivamente le maniche verso i polsi.
Si
appoggiò al divano, aspettando.
Abbassò
il capo, facendo ricadere le ciocche nere sul viso.
-Posso?-
chiese Sarah.
Max,
alzò la testa, senza essersene resa conto, aveva iniziato a piangere.
Non
sentiva le lacrime che uscivano, ma le sentiva invece sulle guance, correre per
poi cadere a terra.
Sarah,
la guardò.
Non
disse niente, le si avvicinò in silenzio e l’abbracciò.
La
strinse a se.
-Piangi-.
Quella,
ancora con le braccia lungo i fianchi, esplose.
Singhiozzò,
bagnò la spalla dell’amica. I capelli biondi di questa, coprivano
il viso dolorante di Max.
Era
forse, la prima volta che la situazione si svolgeva in questo modo. Quasi
sempre era Sarah, dopo qualunque delusione, a piangere sulla spalla della
amica.
Max,
considerata da tutti una roccia, era ora debole come un castello di carte.
-Ehi
dai basta, basta, basta…- le sussurrò Sarah all’orecchio,
non smettendo di ripetere le ultime parole.
-Con
chi vivi qui?- chiese dopo qualche minuto, l’amica.
Max,
staccatosi dalle spalle di quella, si era seduta sul bracciolo del divano.
-Un
ragazzo…- rispose, asciugandosi gli occhi.
-E
questo ragazzo, io lo conosco?- domandò poi.
-In
un certo senso sì….-.
Sarah
fissò l’amica.
-Certo
che chiunque sia, deve avere un bel po’ di soldi… questa casa
è una reggia !-.
L’argomento
preoccupante, non era stato neanche sfiorato, e Max preferiva tenere la
situazione in questo modo.
Allora
il telefono di casa squillò, la ragazza si diresse a rispondere.
-Si…?-.
-Max, sono Frank… senti potresti
controllare se ho lasciato il cellulare in cucina?- chiese il ragazzo
dall’altro lato della cornetta.
-Sì…-
rispose, notandolo sulla penisola.
-Okay, allora sto tornando a prenderlo…
a fra poco…- e riattaccò.
-Ora,
se ti interessa sta tornando il padrone di casa… così lo puoi
conoscere…-.
Sarah
sorrise e si sedette sul divano, facendo accomodare l’amica di
conseguenza.
Le
due si appoggiarono l’una all’altra.
-Non
ti chiederò nulla… aspetterò finché non sarai
pronta...-.
-Grazie….-
riuscì solo a dire Max.
Il
silenzio durato minuti, fu interrotto dall’arrivo di Frank.
Quello,
stranamente non suonò e le due lo videro direttamente aprire la porta di
casa.
-Ehi…
eccomI…-.
Sarah
si voltò e lo vide.
-Porco
cazzo… tu sei Frank Iero…- si disse, alzandosi.
-Eh,
sì…- rispose quello chiudendo la porta alle sue spalle,
avvicinando la mano che fu stretta immediatamente.
Sarah
si voltò verso Max, che fissava i due.
-Ecco
il “ragazzo”…-.
-È
un piacere conoscerti…- sorrise il chitarrista.
-Il
piacere è tutto mio, Frank Iero…- lui, con un altro sorriso, si
avviò a prendere il cellulare.
-Frank
Iero… Frank Iero?!- chiese, isterica all’amica.
-Sì…-
rise.
-Beh,
io devo andare… che Gee mi aspetta sotto… e voi avrete di certo
molte cose da dirvi…-.
-Gee…
Gerard Way?- domandò al ragazzo.
Lui
annuì.
-Se
ti svengo sul pavimento, succede qualcosa?- esclamò, sarcasticamente.
-Basta,
che non mi muori, che poi inizi a puzzare…- Frank, con un gesto di
saluto, uscì.
Sarah,
si sedette vicino alla ragazza, con una strana espressione sul volto.
-E
tu volevi tenermi all’oscuro di tutto?-.
-No…
beh quasi…-.
-Era
Frank… Frank Iero…-.
*
-Quindi
non vuoi dire nulla ai tuoi?-.
Le
due ragazze erano sedute al tavolo, mangiando due brioche che Frank aveva
lasciato quella mattina.
-No…
e ti pregherei di non intrometterti…-.
-Lo
sai che se lo farei, lo farei per il tuo bene…- continuò Sarah,
ingoiando un boccone.
-Sì,
ma comunque tu non lo farai… non farmi pentire di averti chiamato.-.
-Prometto
che non lo farò!-.
Max,
rise al tono sicuro e rassicurante dell’amica, di quell’amica che
aveva sempre considerato come sua sorella.
Alla
morte dell’amato zio, l’unica che aveva accettato di vedere, era
lei; neanche i suoi genitori erano riusciti a consolarla.
Le
due erano amiche sin dalle elementari.
Sempre
così diverse, una bionda e l’altra bruna, una con gli occhi
luminosi come il cielo e l’altra oscuri come la notte. Il fatto che
passavano molto tempo insieme,però, aveva permesso loro di
assomigliarsi.
I
sorrisi, le espressioni, le frasi, erano divenute comuni ad entrambe.
-E
invece per queste braccia, quando hai la visita?-.
-Se
devo essere sincera, non l’ho ancora prenotata…- diede risposta
quella, a bassa voce.
-Ma
sei impazzita?- quasi urlò.
-Non
voglio dare altri pensieri a Frank…-.
-E
per questo hai deciso di volerti privarti dell’uso delle dita?-.
-No,
anche perché credo che non ce ne sia bisogno…- constatò,
voltando il capo.
-Avrai
sicuramente distrutto qualche tendine… lo sai che per ripararli si deve
ricorrere ad un’operazione?-.
-Non
esagerare… sto benissimo…-.
-E
allora se stai benissimo, afferra quel fazzoletto…- propose Sarah,
incrociando le braccia.
Max,
prese l’oggetto con la mano destra, e strinse.
-Con
tutte le dita…- le ordinò l’amica.
Le
ultime due dita, erano rimaste immobili, come morte.
Gli
impulsi che il cervello cercava di inviare non arrivavano a destinazione.
Infine,
lanciò l’oggetto a terra.
Si
guardò la mano, scossa da alcuni brividi.
-Vai
da un dottore, Max…-.
Quella
alzò lo sguardo, arrabbiato e deluso e annuì.
Le
ragazze passarono insieme un altro paio di ore.
Fattesi
le sette, Sarah disse all’amica di dover andare.
-Ho
l’aereo che parte fra un’ora…-.
-E
quindi torni a New York…?-.
-Sì,
ma lo sai vero che di qualunque cosa tu abbia bisogno io ci sono, vero?-.
Max,
cercò di sembrar convinta, mentre annuiva, ma tutto quello che aveva
fatto diceva esattamente il contrario.
-Ti
prego promettimi che non farai mai più una cosa del genere…-.
-Te
lo prometto…-.
Le
due si abbracciarono.
-Ti
voglio bene…- disse Max.
-Anche
io, te ne vorrò per sempre, ricordalo…- detto questo si
allontanò, e sparì oltre la porta.
Max
si ritrovò a fissare la porta.
Si
sedette per aspettare Frank, appoggiò la testa tra le braccia, dopo aver
appoggiato queste al tavolo e attese.
Ed
ora? Cosa avrebbe fatto? Avrebbe fatto radici su quel divano, in casa di un
ragazzo che avrebbe avuto di certo qualcosa di meglio da fare che stare dietro
ad una come lei.
Sbadigliò
e si stropicciò gli occhi.
Rimase
seduta fino al ritorno del chitarrista, che si avvicinò con una sedia a
lei.
-Visto?Sei
ancora qui con me…- rise.
Quella,
rispose al sorriso e si appoggiò sulla sua spalla.
Quello,
le accarezzò la testa, per poi sfiorarle il braccio.
Rimasero
per più di mezz’ora in quella posizione, e nessuno dei due si
stancò, ma entrambi si chiesero quanto questo sarebbe durato.
Salve, vorrei scusarmi per
l’enorme ritardo… ma ho avuto problemi con il computer, la vena
artistica era sparita per qualche giorno, e ora sono cotta raffreddata con
l’influenza.
Per il resto, ringrazio
tutti voi per le recensioni.
Erano passati quasi una ventina di muniti nei quali Frank aveva scrutato
ogni più piccolo particolare della ragazza, come se non li conoscesse
tutti perfettamente
Capitolo 6
Erano
passati quasi una ventina di muniti nei quali Frank aveva scrutato ogni
più piccolo particolare della ragazza, come se non li conoscesse tutti
perfettamente.
Erano
le 7 del mattino. Fra qualche minuto Gerard sarebbe entrato dalla porta della
camera da letto, per risvegliare il ragazzo.
Il
chitarrista appoggiato allo stipite della porta del bagno, respirava
affannosamente.
Le
braccia incrociate al petto, il ciuffo sul viso e gli occhi fissi sulla
creatura dinnanzi a lui.
Si
morse il labbro inferiore, scuotendo il capo, sentì uno spiffero venire
dalla finestra aperta, e notò che anche Max ne aveva risentito.
Fuori
il tempo andava via via a migliorare.
L’uggiosità
diminuiva ora in ora.
Fece
qualche passo avanti, trovatosi davanti al letto, alle lenzuola bianche
disordinate.
Prese
il lembo di uno di queste e lo fece salire fino a sopra le spalle della
ragazza.
Vide
l’espressione tesa, raddolcirsi e trasformarsi in uno strano sorriso.
Chi
sa se l’aveva sentito… se nel sonno si era resa conto della sua
presenza, e della sua apprensione.
Sicuramente
la risposta a tutte queste domande era un semplice no, ma a lui piaceva credere
il contrario, che lei non era rimasta indifferente a tutta la dolcezza che le
aveva dimostrato nei giorni passati.
Si
sentiva stupido a ripensare a tutte le carezze che le aveva concesso, ai baci
sulla fronte, agli abbracci sorti senza una particolare richiesta.
Max
aveva accettato tutto ciò con il sorriso sulle labbra, senza però
ricambiare in maniera eclatante.
Frank
l’avrebbe tanto voluta baciare.
Si
era sempre chiesto cosa fosse successo nel momento in cui le loro labbra si
fossero incrociate o anche solo sfiorate.
Come
avrebbe reagito lei, se sarebbe stata felice o l’esatto contrario.
E
cosa avrebbe provato lui.
L’emozione
di un bacio non può esser compresa appieno fino al momento in cui questo
viene scoccato.
Fino
a quando i due sentono ognuno il respiro dell’altro, e riescono a
percepire il calore.
Allora,
e solo allora, si può capire l’importanza e il valore di un
semplice bacio.
Max,
sveglia da qualche minuto, si era accorta della presenza di qualcun altro in
camera.
Aveva
sentito le mani di questo sfiorarla involontariamente, mentre tirava su le coperte,
e questo le era bastato per riconoscere la persona.
Frank.
Sentiva
il suo sguardo, dolce e sereno.
Non
volle aprire gli occhi, avrebbe di certo rovinato tutto il momento,
l’atmosfera che si era creata tra i due; quindi decise di non dare segni
che fosse sveglia.
Respirava
con la stessa pesantezza di una persona nel pieno del sonno.
La
finestra ancora aperta faceva entrare i rumori dell’autostrada nella
stanza, altrimenti immersa nel silenzio. Ad un tratto però senti alcuni
passi.
Frank
passò un dito sulle labbra di Max, arrivato agli angoli della bocca
ritirò immediatamente l’indice tra le altre dita.
Si
sentì attraversare da un brivido, la stessa sensazione provata dalla
ragazza.
Si
chinò sulle ginocchia, arrivando ad essere di fronte al suo viso.
Chinò
la testa verso destra, per poi scostarle i capelli, come di consueto.
Sorrise,
guardandola. La chiarezza della sua pelle e le labbra rosee la facevano
apparire più di quanto fosse bella.
Frank,
si avvicinò ancora di più, saltellando verso il bordo del letto.
Socchiuse
gli occhi verdi e fece scontrare le loro labbra.
Rimasero
in quella posizione alcuni secondi, attimi, ticchetti,o come li si voglia
chiamare furono comunque bellissimi.
Max
al sentire quel peso sulle sue labbra, non poté trattenersi dal
sussultare leggermente.
Cercò
di non dare altri segni del suo esser desta.
Non
ricambiò quel bacio, che aveva da sempre desiderato.
Tutti
i pensieri che aveva, erano spariti.. dissolti in una nuvola che era svanita
fuori dalla finestra.
Frank,
tirava le coperte del letto, facendo spostare il corpo di Max sempre più
vicino a lui, ma in quel momento qualcuno entro dalla porta.
Gerard
sul ciglio dell’entrata fissava la scena, sbuffando.
Alla
vista dell’amico, Frank si alzò di scatto, passandosi colpevole,
una mano dietro la nuca.
-Frank…-
sussurrò il vocalist.
Come
se si fosse svegliata, grazie a quelle parole, Max si destò.
-Ehi…-
disse assonnata, sorridendo, cercando di nascondere il rossore sulle guance.
-‘Giorno…-
rispose Frank, che intanto si era avvicinato al cantante, e gli aveva fatto
segno con gli occhi di allontanarsi.
Gerard,
alzò un dito verso la ragazza, come per dire un attimo, e si tirò
fuori il chitarrista.
Usciti,
i due si fissarono.
Si
sedettero sul divano.
-Lo
so, lo so… non c’è bisogno che tu mi dica tutto quello che
ti passa per la testa…-.
-Se
hai fatto ciò che hai fatto… vuol dire che non sai un emerito
cazzo…-.
-Non
è colpa mia…-.
-No,
e di chi sarebbe?-.
-Gerard..
non sono un bambino…-.
-No,
ma sei immaturo come se lo fossi…-.
Quello
continuò: -Non hai capito.. che lei ha bisogno di tutto tranne che di
uno come te?-.
Frank,
diede un pugno sul tavolino di fronte a lui.
-E
tu che ne sai che forse, quello di cui lei ha bisogno, sono proprio io?-
domandò, cercando di non urlare.
Intanto
nell’altra stanza Max, era davanti allo specchio che si sciacquava il
viso.
Lui
l’aveva baciata.
Non
un semplice bacio sulla fronte, un vero bacio, dolce, passionale, ricco di
tutto.
E
lei, non aveva neanche potuto rispondere, come avrebbe voluto.
Lei
stava dormendo, non dovrebbe sapere nulla di ciò.
Quindi
l’unica cosa da fare, sarebbe stata quella di comportarsi come se niente
fosse accaduto.
Ma
era stata una cosa giusta?
Se
lui l’avesse baciata, quando lei fosse stata sveglia… lei che
avrebbe dovuto fare…?
Rispondere
al bacio avrebbe significato impegnarsi, diventare qualcosa di più di
una sconosciuta presa per la strada.
Avrebbe
dovuto iniziare a considerarsi la fidanzata del chitarrista dei My Chem…
avrebbe dovuto far accettare tutto questo ai suo genitori, che ancora non
sapevano nulla di lei… avrebbe dovuto avvertire tutti i suoi amici…
avrebbe dovuto smettere di esser triste, e raggiungere finalmente
quell’amata felicità… ma avrebbe anche recato molti problemi
a lui…
Lui,
era lui… e lei… beh… era solo lei… solo Max
Potter…
*
-Allora
volete un po’ di caffé?- domandò Max uscendo dalla camera,
mentre ancora i due erano seduti sul divano.
-Sì
grazie…- rispose Frank, non guardandola.
-Tu
Gee?- chiese poi rivolta al chitarrista.
-No,
per me no… sono troppo incazzato per il caffé, peggiorerebbe solo
la situazione…- sentenziò rivolgendo un’occhiataccia al
chitarrista.
Max,
mettendo a fere la bevanda, non sapeva se doveva o no rispondere a quella
specie di provocazione, chiedere un “perché” avrebbe solo
peggiorato tutto… quindi rimase zitta.
-Dormito
bene?- chiese successivamente Frank, spostandosi, voltandosi verso Max.
-Sì,
abbastanza… la mano non mi ha dato poi tutto questo fastidio…-.
-Parlando
di mano… la settimana prossima abbiamo la visita…- disse,
aspettandosi una reazione contrariata dalla ragazza, che non arrivò.
Quella
alzò le spalle.
-Tanto
se ti dico che non voglio venirci tu mi porti comunque, vero?-.
-Brava…
vedo che hai capito come funziona in questa casa…- sorrise lui, per poi accettare
la tazza che Max gli porgeva.
-Forse
anche troppo bene…- sussurrò infine la ragazza, passandosi un dito
sulle labbra. Frank troppo impegnato a degustare il suo caffè non la
notò, cosa che invece fece Gerard.
.
-Senti
Max, posso dirti una cosa in privato?- domandò, lei annuì al
vocalist.
Andarono
insieme in camera da letto, mentre Frank guardava la porta chiusa chiedendosi
cosa si dicessero dall’altra parte.
-Non
fare la finta-tonta con me… ti ho visto fuori… ti giuro che non lo
dirò a Frank… eri sveglia?- insisté.
Max
annuì, alzando lo sguardo, scostando i ciuffi che aveva sul volto.
-E
allora?-.
-E
allora cosa? Che ti dovrei dire?- la ragazza si diresse in bagno.
-Non
lo so, che ne pensi di tutto ciò? Di lui.. di te.. di voi?-.
-Credo
che sia ancora presto per parlare di questo “noi”…- disse
dandosi un occhiata allo specchio.
-Lo
penso pure io… ma forse… Frank… non la pensa allo stesso
modo…-.
-Che
vuoi dire con questo?-.
Gerard
le si avvicinò e le appoggiò una mano sulla testa, scuotendole il
capo.
-Che
forse lui… ci crede veramente… Max… non farlo soffrire…
sembra un duro, ma è uno tenero… non ferirlo…-.
Detto
ciò la baciò sulla guancia ed uscì dalla camera.
I
pensieri di Max si moltiplicavano ad ogni battito d’orologio nella sua
mente.
Che
fare?
Una
volta sua madre le disse, mentre era coricata con lei dopo una tremenda lite
:sai qual è il tuo problema? Hai paura della felicità…
Inizialmente
non ci aveva fatto tanto caso a quelle parole, che ora invece le spiegavano
molto.
Aveva
davvero timore di smetter di essere triste?
Di
finalmente trovare una causa per sorridere la mattina appena sveglia e la sera
prima di addormentarsi?
Forse
sì, stare con Frank però non le sembrava la cosa giusta…
almeno per il momento… una settimana, avrebbe aspettato una settimana, il
responso del medico e poi… .avrebbe preso una decisione.
Uscì
dalla camera, e si rese conto che fuori non c’era nessuno ad attenderla.
Solo
un bigliettino, lasciato sulla poltrona.
Gerard mi ha
trascinato… scusa devo andare… un bacione! Il tuo Frank…
Il
tuo Frank… sarebbe potuto diventare realmente suo, starebbero stati sempre
insieme, e si sarebbe finalmente risposta alla domanda che si era sempre posta:
come sarebbe esser la fidanzata di un personaggio importante.
Lui
cantava per gli altri ma poi… eccolo rientrare… solo per te…
Le
crebbe il rossore sul volto e sorrise amabilmente; ma si era promessa di
aspettare una settimana, quindi aprì la televisione.
Dopo
circa mezz’ora di zapping dove il programma più interessante si
era rivelato: cento modi per decorare le tue tazze da tè, decise di
andare verso i canali scientifici, altrimenti da lei scartati dal principio.
-Droga,
perché tutto ciò?-
Questo
era il titolo del primo programma, appoggiò il telecomando accanto a
sé , e incrociò le gambe.
Immagini
di immense piantagioni di marijuana si mostrarono sullo schermo, ad un tratto
un uomo apparentemente di 50 anni, con barba lunga e grandi occhiali
iniziò a parlare delle condizioni in cui i lavoratori vivono.
Mentre
le scene continuavano a susseguirsi in quella scatola, a Max gli tornò
in mente un fatto accaduto tempo addietro.
Due
volte nella sua vita aveva provato droghe, e la seconda volta sua madre era
venuta a saperlo.
Certa
gente, fa uso di queste sostanze tutta la vita, e nessuno né sospetta di
loro né li scopre… poi un giorno quando essi, avranno il cervello
fumo dagli acidi, tutti si chiederanno cosa faceva quei venerdì sera
quando tornato a casa non ricordava neanche il suo nome.
Comunque
quella sera, sua madre, svuotandole i pantaloni trovò la prova in una
delle tasche.
Più
delusa che infuriata si diresse in camera della figlia che guardava la
televisione.
Le
spese l’aggeggio e si sedette accanto.
Iniziò
con la solita ramanzina… la droga fa male… eccetera eccetera…
ad un tratto però, gli occhi gli si riempirono di lacrime, e Max non
poté più far finta di non dar peso a quelle parole.
-Tu
hai una madre che è sempre a contatto con la morte… e non riesci
ad apprezzare la vita…- le aveva detto, la madre di Max era un cardiologo
in un ospedale fuori città.
Quelle
parole rimasero sempre nella mente della ragazza.
Il
giorno dopo, circa verso la stessa ora, la donna entrò in camera della
giovane e le consegnò un foglio.
Una
foto, un ragazza… una bellezza sfiorita, gli occhi cerulei erano opachi,
come coperti da una patina. I capelli quasi del tutto assenti, davano
l’idea di esser stati folti biondi, ed infine la pelle ricca di tagli e
rovinata… la donna le spiegò che quella ragazza si chiamava Joy,
era morte un mese prima per overdose… aveva 17 anni.
Max
da allora non fece più uso né volle sentir parlare di droghe.
Frank
era in macchina con Bob e Mikey, l’ultimo nel sedile del passeggero.
Nel
totale silenzio, il chitarrista pronunciò: -L’ho baciata…-.
I
due lo fissarono, Bob infilò la testa attraversò i due sedili per
guardarlo meglio.
-Ci
hai messo di più del previsto… devo dei soldi a Ray…-
sentenziò il batterista, tornando comodo tra i sedili.
-E
con questo che stai insinuando?- domandò Frank.
-Che
ce l’aspettavamo tutti…--
-Sono
così prevedibile?-
-Direi
di sì… o almeno per noi che ti conosciamo…- rispose il
bassista.
-Certo
che però, potevi aspettare solo un altro giorno…- disse Bob,
facendo ridere Mikey.
-Comunque…
lei come l’ha presa?-.
-Lei…
beh… diciamo che non ha potuto rispondere…- rispose Frank.
-Perché?-.
-Stava
dormendo…- diede risposta.
-Ah
bello…- assentì Mikey.
-Il
problema è che io… vorrei tanto sapere… beh se le è
piaciuto…- continuò il chitarrista.
-Anche
se non ne ho mai avuto la conferma, dicono che sei un buon baciatore…-
sorrise il bassista.
-Certo
che sei proprio scemo… a volte mi chiedo chi sia peggio tra te e tuo
fratello…- lo spense in giro Frank.
-Sicuramente
lui… comunque dovresti provare di nuovo…-.
-E
se proprio lo fai… controlla che si sveglia… - confermò Bob.
-Altre
idee?- chiese Frank.
Un
silenzio cadde nell’auto, la domanda recepita come retorica non aveva
ricevuto responso.
-Aspettate
un attimo!- disse però, ad un tratto Bob. –Lei stava dormendo,
quindi non ha risposto al bacio! La scommessa è ancora valida! Posso
tenermi il mio centone!- esultò.
I
due si guardarono, per poi esplodere in una grande risata.
*
-Eccoci!-
i tre ragazzi, salirono velocemente le scale e spalancarono la porta di casa.
Nessuno
era nel salotto o in cucina.
-Ehi
Max… ci sei?- domandò Frank, appoggiato il suo cappotto sulla
potrona.
-Ci
sono…!- rispose quella, facendo spuntare la testa da sotto la penisola.
-Ci
stavamo preoccupando…non farci più di questi scherzi…- rise
Bob, stringendola contro il suo petto e guardando l’espressione di Frank.
Mentre
Max cercava di respirare, stretta ancora in quella morsa, il chitarrista si era
avvicinato a Bob e alzandosi per arrivare al suo orecchio gli sussurro: -Sono
piccolo… ma ti posso fare molto, ma molto male…-.
Il
batterista lasciò la presa e ridendo si diresse accanto a Mikey per
guardare qualcosa in tv.
--Oggi
non abbiamo preparato niente?- chiese il brunetto, con il broncio, notando i
piatti vuoti.
-Mi
spiace… avevo iniziato a preparare qualcosa di buono ma… dopo aver
finito di cucinare mi sono resa conto di averci messo anche del
prosciutto… e allora… l’ho mangiata solo io…-.
-Ah,
allora sei perdonata…-.
Max
sorrise, e gli diede una leggera botta sulla testa.
-Comunque
mi chiedevo, che ci fa del prosciutto nel frigo di un vegetariano?- chiese poi,
sedendosi.
-Devi
ricordare gli amici che ho… c’è Ray che quando ha fame non guarda
in faccia a nessuno… e quindi io mi devo tener preparato…-.
Ella
rise.
-Frank…-
sussurrò poi, quello si avvicinò, per poi chinarsi.
Appoggiò
i gomiti sulle gambe di lei, e alzando il viso la guardò.
Lei
allora, lo baciò.
Velocemente,
un battito di ciglia.
Si
allontanò con calma e sorrise.
Frank
aprì la bocca, ma lei lo fermò.
Appoggiò
un dito sulle sue labbra si alzò, facendolo cadere verso dietro.
Dopo
che quella si chiuse in stanza, Bob e Mikey si avvicinarono all’amico.
-Tutt’okay?
Cos’è successo?- domandò il primo.
-Mi
sa che devi dare quei 100 dollari a Ray…- sospirò, sfiorandosi le
labbra per poi tornare a fissare il pavimento su cui era seduto.
Ed
ora?
Si
erano baciati…
Peruna frazione le loro labbra, si erano
riunite.
Ed
ora?
--
ettavamo tutti...nsinuando?. o?.i sedili.
Non
ho scuse per questo ritardo lo so.. quindi non so che scrivere, se qualcuno di
voi ne vuole avere alcune, potrebbe leggere quelle del capitolo passato…
tanto sono circa queste… ora però vi saluto… anzi un ultima
cosa…
Per
primo ringrazio tutti coloro che leggono e recensiscono.
Per
secondo, diretto a tutti i fan dei my chem… i ragazzi hanno fatto uscire
un nuovo video, quindi… andate a vederlo!
-No!-
rispose quella, con un urlo involontario, facendo scendere altre lacrime, che
sfiorarono le labbra rosso vivo.
-Tutto
okay?- si unì Mikey, che vicino all’amico aveva capito
che qualcosa non andava.
-Sì…-
iniziò, ma lo stimolo di vomito che le venne le impedì di continuare.
Il
dolore atroce, poco prima fermatosi al gomito si era fatto
strada fino alla spalla.
Ancora
chiusa tra le sue stesse gambe Max, cercava di distendere il braccio quanto le
era possibile.
Frank
allora decise di entrare.
Aprì
di scatto la porta, e la vide, lì sul suo letto.
Il
viso nascosto, e il braccio bianco che tremava.
-Max...!- quasi urlò accostandole e
alzandole il viso.
Quegli
occhi pieni di lacrime, al contrario della sua voce o dei suoi
modi di fare, non potevano mentirgli.
Attraverso
i suoi occhi lui percepiva e capiva tutto di lei.
-Ohi…
ohi, tranquilla… dai che finisce, dove ti fa male?-
chiese, prendendole il braccio dolorante, facendola imprecare.
-Tutto!
Tutto!- rispose, continuando a dimenarsi.
-Ora
ferma! Bob, chiama qualcuno!- ordinò, voltandosi verso il batterista; ma quello
non fece neanche in tempo ad allontanarsi per prendere il telefono che la voce
di Max lo fermò.
-No,
no… datemi un tranquillante… qualunque cosa… e mi passerà…- disse,
spalancando di tanto in tanto la bocca, come se fosse sul punto di vomitare.
-Certo,
così se non ti uccide il dolere, ti uccidiamo noi con
le medicine…- disse Frank, alzandosi.
Max
allora, col braccio non dolorante lo prese per un lembo della t-shirt e lo
tirò.
-Frank
ti prego… per favore…- lo supplicò, chiudendo gli
occhi per il dolore, facendo traboccare ulteriormente le lacrime amare.
Lui
non riuscì a resistere a quel volto che a suo malgrado stava
iniziando ad amare, ordinò a Mikey di controllargli le ferite del braccio e
uscì dalla stanza.
Si
diresse nel cassetto dove teneva le medicine.
Imprecando
lo aprì e dopo aver preso fuori qualche benda, ne uscì anche alcune pillole.
Cercò
di chiudere il cassetto ma questo non ne voleva
sapere, con uno scatto lo serrò facendo cadere a terra un vaso, che si ruppe
per il contatto col pavimento.
Non
dando conto al disastro, prese un bicchiere d’acqua in cucina e si diresse di
corsa in camera da letto.
Qui,
Mikey con l’aiuto di Bob avevano liberato la ragazza dalle bende zuppe di
rosso.
-Eccomi…
tieni queste… dovrebbero bastare…-.
Max
prese il bicchiere con il braccio libero, che per la tensione aveva iniziato a
tremare anch’esso.
Mise
in bocca le pillole e sorseggiò l’acqua, il bicchiere tremante batteva contro i
denti creando un ticchettio continuo, interrotto solo dall’allontanamento del
vetro.
Frank
intanto, aveva preso il posto dei suoi amici,
allontanatosi, e tenendo il braccio stretto, iniziò a sistemare le bende.
Quanto
sarebbe andata avanti quella maledetta situazione?
Quanti
giorni pieni di lacrime e di sangue si mostravano d’innanzi a loro?
Quando finì di sistemare la mano, quasi tutto il corpo
aveva smesso di tremare.
-Dio…-
sussurrò sedendosi accanto al corpo senza forze di lei.
-TI
prego scusami…- riuscì a sussurrare Max, prima di
socchiudere gli occhi.
Lui
non rispose, e la guardò addormentarsi.
Appoggiò
la fronte al palmo della mano posto sul ginocchio.
Ingoiò
della saliva, e stirò il collo.
Chiuse
anch’esso gli occhi e chiese al cielo di aiutarlo, per la prima volta dopo
tanto tempo.
*
Da
allora passò circa una settima… i due si rivolsero in tutto qualche parola, ma
i loro sguardi dicevano tutto.
I
sentimenti chiusi e bloccati sul nascere dalle situazioni, si
intravedevano nelle iridi.
Max
mangiava quel poco che bastava per permetterle di respirare, e Frank non
riusciva ad insistere più del necessario per farlo dormire la notte con la
coscienza pulita.
Ad
ogni pasto, i due erano seduti l’uno di fronte all’altro. I loro visi non erano
lontani più che un metro, ma riuscivano a non darsi confidenza.
A
non guardarsi.
Lui
alzava lo sguardo e incontrava solo la nuca di quella, che giocherellava col
cibo; lei issava il capo per guardarlo e la situazione si ripeteva fino a che i
due sbuffando abbandonavano l’impresa.
Fu
una delle settimane peggiori per Frank, lei era così vicina a lui, ma non
riusciva a sentirla come tale.
Quando usciva dalla stanza, appena sveglia, l’istinto
di salutarla o di sorriderle semplicemente si dissolveva nell’indifferenza
della ragazza.
Nel
sfiorarla non sentiva che un muro costituito da candida pelle bianca.
Di
notte, con lo sguardo fisso sulla parete la pensava… fino a finire a sognarla…
Nei
sogni tutto era perfetto.
I
polsi e le mani esenti da ogni graffio, i loro occhi che si incontravano
ogni secondo, e le loro labbra che li seguivano.
Voleva
rimediare a tutto ciò… ma non ne era capace… non aveva
la forza di prenderla e baciarla.
Dopo
tutto lui non l’aveva mai baciata.
La
prima volta, quella stava dormendo, e la seconda… lui era stato preso di
sorpresa.
Si
sentiva un vigliacco, senza spina dorsale… ma non
aveva idea di cosa fare per recuperare… aspettare… solo quello.
La
mattina dopo, il sole illuminava le stanze.
Il
calore, che aveva seguito la luce abbracciava i cittadini di tutta Bellville…
Max,
sveglia da ore ormai… scrutava il muro, sede di suoinumerosi pensieri da tempo.
Perché non veniva ad abbracciarla? O
perché lei non correva da lui?
Senza
sbattere ciglio, si rispondeva pensando che entrambi erano
due stupidi testardi….
Sarebbe
andata avanti così all’infinito… ma quanto ancora lei si sarebbe potuta
trattenere a casa di un ragazzo con il quale non proferiva parola?
Di
certo poco… e pensare che tutto andava così bene…
Tutta
colpa di quelle ferite… che li avevano uniti… e ora li
avevano divisi nettamente…
Sentì
alcuni rumori provenienti dal salotto e decise di alzarsi.
Indossò
la sua maglietta preferita… una t-shirt nera con una piccola rosa sulla spalla
destra.
Si
legò i capelli con un codino che Gerard le aveva comprato
notando il suo disappunto nel tenere i capelli sciolti.
Aprì
la porta non guardando nessuno, come di consueto.
Tutti
i ragazzi si trovavano nel salotto.
Ray
fu l’unico a salutare, con la sua solita voce acuta.
Quella
si voltò e lo degnò solo di un frettoloso sorriso.
-Allora
possiamo iniziare?- domandò Bob.
Intanto
Max, si era versata del caffé e ora con l’aiuto di un cucchiaino lo mescolava
in senso orario.
-Max vuoi unirti a noi?- domandò Frank, presosi di coraggio.
Quella
alzò lo sguardo, incredula delle sue stesse orecchie.
I
ragazzi si trattennero dal sorridere in maniera troppo evidente.
-Che
state facendo?- domandò avvicinandosi comunque al
divano di pelle.Anche
prima che quello potesse rispondere, gli si accomodò accanto, raccolse le gambe
e lo iniziò a fissare, impaziente.
Lui
aprì la bocca, e solo un scatto di Gerard dietro le
spalle di Max gli evitò di rimanere imbambolato.
-È
il nostro nuovo video…. Ti va di vedere l’anteprima?-.
-Anche noi dobbiamo vedere com’è il risultato finale…-
precisò Mikey.
-Il
… vostro..nu…nuovo video…?-
chiese la ragazza, balbettando.
-Sisi… la canzone è “I don’t love you” se ti interessa…- precisò il
vocalist.
Max
non rispose, li guardò con la bocca spalancata, fino a
poi voltarsi verso il grande schermo.
-Credo
sia un sì…- rise Frank, facendo partire il video.
Il
bianco e nero invase lo sfondo.
Le
note corsero per la casa.
Max,
con gli occhi da bambina guardava il tutto, incredula.
Ed ecco tutti loro, con i loro strumenti e la loro bravura.
Frank,
non poté evitare di voltarsi qualche volta a scrutarla, e rimanere estasiato da
quell’espressione tanto dolce.
La
prima inquadratura singola di Frank…
Con
quel ciuffo meraviglioso… Max sussultò, facendo sorridere un po’ tutti i
ragazzi accomodati.
Ed ecco i protagonisti del video.
I
due ragazzi, profondamente diversi.
Il
loro primo bacio, seduti in un prato…
La
voce di Gerard così calda accompagnava le scene, come un meraviglioso
cantastorie dalle unghie nere.
Max
tirò su col naso; non avrebbe mai creduto di iniziare a commuoversi, ma quello
avvenne.
E in quell’istante, la magia di Ray
iniziò.
L’assolo
rischiarò.
La
ragazza iniziò a stringere il tessuto dei pantaloni che teneva vicino al petto.
Guardò
per un attimo Ray accanto a se, quello con un sorriso, annuiva e si poteva
chiaramente notare che con la mano sinistra cercava di riprodurre al meglio le
note.
Quando
quello spettacolo si concluse non riuscì a trattenersi
dal sussurrare un -sei il mio mito- che venne però udito da tutti.
Ed ecco che il viso di Gerard si riappropriava dello schermo.
Con
una voce fioca e tenera Max, seguita dal Gerard
accanto a lei canticchiò:
“When you go….Would you even turn to say…I don't love
you…Like I did…Yesterday”.
La
prima chitarra esplose, le schegge di legno si diffondevano
in quello sfondo nero.
Ed
ecco la fine… le lacrime che oramai le erano scese sulle gote aumentarono quando, la stessa ragazza, pianse sangue…
I
ragazzi iniziarono a battere le mani ed ha stirarsi.
-Dai è uscito carino…- disse Gerard.
Max
ancora senza parole, era immersa nello schermo oramai privo di
ogni immagine.
Respirava
profondamente, facendo inclinare il cuscino appoggiato al suo petto.
Frank
fu l’unico a rimanere seduto, quando tutti gli altri si diressero nella zona
cottura per iniziare a commentare.
-Spero
ti sia piaciuto…- disse avvicinandosi a quella ancora
inerte.
Allora
Max si issò leggermente per risedersi questa volta con
lo sguardo e il corpo rivolto verso di lui.
Strizzò
gli occhi.
-Sei fantastico…- gli sussurrò.
Riaprì
la bocca ma non riuscì a fare altro che boccheggiare;
serrò le labbra e si avvicinò per baciarlo.
Quando
quello si avvicinò, per assentire a quello che lei voleva fare, essa spostò la
testa, facendo concludere il bacio alla guancia destra
di lui.
Allora,
Max sorrise e si diresse verso gli altri.
Frank,
si sfiorò la guancia, e rise anch’esso.
-Ma
tu!! Io ti adoro!- gridava
Max, rivolta a Gerard, prima di saltargli sulle spalle.
Quello
fece in tempo a prenderla prima che essa cadesse al suolo, e ancora con lei
sulle spalle disse: -Quindi possiamo andarne fieri?-.
-Certo!!
È… fantastico! Bravi!- concluse, passando da ognuno
per schioccargli un tenero bacio.
-Che bello! Posso rivederlo?- domandò successivamente
a Frank.
Quello
tra le risate annuì.
-Si!-
esclamò la ragazza, saltellando, si rilanciò sul divano e fece ripartire le
immagini.
-Well, whenyougo- attaccò per poi passare ad interpretare gli
strumenti.
I
ragazzi rimasti soli, iniziarono a parlare…
-Si
è ripresa per fortuna…- iniziò Bob, per poi prendere a
bere della coca-cola.
-Dio…
speriamo…- si aggiunse Ray, guardandola.
-È
così carina quando ride…- ammise Frank.
-Certo,
solo quando ride…- Gerard alzò un sopracciglio tirando
una gomitata all’amico, prima di alzare il braccio e passarglielo intorno al
collo e stringerlo.
Max,
allora si voltò.
-Non
voglio scene di sesso gay in casa mia…- rise guardandoli.
-Casa
tua… beh cara… troppo tardi dovevi dirlo tempo fa…-
continuò il chitarrista avvicinandosi al viso di Gerard.
Ma prima che quei due si baciassero lei si appressò,
interrompendoli.
-Non
ci fermi?- chiese Gerard, con ancora il viso tra le mani di Frank.
-No,
mi sono avvicinata per vedere la scena da vicino…- rise.
-Che scema…- precisò Mikey, che seduto sulla penisola tirò uno schiaffetto sulla testa di Max.
-Io
non sono scema… sono solo troppo intelligente…-
continuò la ragazza allontanandosi.
-Se lo dici tu…- assentì Bob, passandole una lattina di coca.
-Comunque
tornando al video… è triste…-enunciò.
-Non
credo che con un testo come quello della canzone potevamo
metterci due maialini che cantano…- chiarì il vocalist, separatosi dal
chitarrista.
-Questo
è vero… ma fate esplodere le chitarre…-.
Quelli
risero, notando l’espressione triste di Max.
Allora
la ragazza disse: -Aspetta… parlando di chitarre… possibile
che non ho visto l’ombra di una sei corde in questa grande casa?-.
Frank
risvegliatosi, rispose.
-Ce
le ho chiuse in quella stanza… sai in questo periodo non ho
avuto tempo di suonarle…-.
Allora
Max, gli prese la mano. –Ora mi dici dove sono… e mi suoni
qualcosa…- sorrise, tirandolo.
Frank,
strinse anch’esso la mano, sperando che il corridoio di casa sua si potesse
allungare per chilometri e chilometri.
-Qui?-
domandò Max, indicando con la mano libera una porta.
-Si…-
allora il chitarrista aprì e fece vedere tutta la sua collezione di strumenti.
Per
tutta la “visita” per quel bellissimo luogo, la ragazza non smise di stringere
la mano; anche quando si chinava verso una chitarra per controllarne le
rifiniture, faceva scendere con se il ragazzo.
Lui
rimase perplesso da tutto ciò. Non capiva il perché lei si stesse comportando
in quel modo, quel bacio sulla guancia ed ora… quella
mano che si era ostinata a non lasciarlo andare.
-Pansy! Pansy!- esclamò Max quando vide questa appoggiata ad un piedistallo.
-Che
bella!!!- esultò.
-Se vuoi, quando le mani ti faranno meno male… te la farò
suonare…- propose il chitarrista, appoggiando la mano alla nuca di quella china
sulla chitarra.
-Davvero?
Allora vedrò di guarire il più in fretta possibile…- sorrise, sedendosi sul
pavimento.
Non
trattenendo l’equilibrio, anche Frank cadde accanto a lei.
-Suonami qualcosa…- disse poi Max.
Frank
la guardò.
-Cosa?-.
-Qualunque
cosa… tutto ciò che suonerai mi andrà bene…- detto ciò gli mollò
la mano, non spostando però eccessivamente la sua.
Il
chitarrista prese allora la chitarra, e mentre gli altri si allontanavano iniziò
a suonare dolci note solo per lei.
Max
sola in casa, camminava lentamente sul pavimentofreddo. Il cd dei Lostprophets risuonava per
la casa, la musica ad alto volume la distraeva da tutto, forse anche per questo
l’amava in modo così intenso… perché la rendeva libera da tutti quei pensieri
tristi, malinconici che le intasavano il cervello durante le ore del giorno.
Si
avvicinava allo stereo e appoggiava il cranio alle casse, che rimbombavano.
Cantava, anche se la sua voce era impercettibile, nascosta da quelle note così
alte e potenti.
Conosceva
il testo di ogni singola canzone, e ne dava prova rispettando le sillabe
pronunciate dal caro Ian.
Un
paio di giorni prima Gerard le aveva comperato il cd, facendoglielo trovare
sotto la sua, ormai diventata tale, tazza di caffé.
Lei
aveva insistito sul fatto che la stavano viziando, tutti… e di certo non si
meritava nessuno di quei privilegi.
In
quel lasso di tempo che velocemente passò, ricevette innumerevoli chiamate da parte di
Sarah, alla quale aveva provveduto a dare il numero di casa del chitarrista,
dato che il suo cellulare era fuori uso da tempo.
Le
due si erano scambiate innumerevoli convenevoli, e racconti di tutti giorni,
durante le numerose e interminabili chiamate.
Un
giorno però, tutto si fece molto più interessante quando uscì fuori il racconto
del bacio, anzi dei baci, con Frank. Sarah, trattene un sospiro, misto tra
incredulità e gioia, e iniziò a tempestare l’amica delle domande; poche di
queste ebbero una risposta chiara, ma dopo tutto se neanche la stessa Max
sapeva come stavano in realtà le cose, come avrebbe potuto raccontarle a
chiunque altro.
Frank
non aveva riaperto il discorso, non aveva fatto o almeno cercato di fare nessun
passo avanti, e la ragazza lo aveva assecondato, facendo così rimanere la
storia ad un punto fermo.
Adesso
con quei suoni penetrati attraverso le sue orecchie, lei non pensava a nulla…
respirava e cantava, e le andava bene.
Non
aveva più sentito i suoi genitori o i suoi amici, a parte Sarah, da un tempo
indeterminato.
Il
cellulare era rimasto chiuso e quindi irraggiungibile, a nessuno sarebbe mai
potuto venire in mente che le si trovava nella casa di un famoso chitarrista, a
vivere spalla a spalla con Frank Iero, e questo le dava un grande vantaggio.
Avrebbe
aspettato la visita del medico, che si sarebbe tenuta quel pomeriggio stesso, e
dopo aver saputo il responso, avrebbe iniziato a riapparire nella vita dei
suoi.
Finalmente
Frank era riuscito a convincerla, insieme sarebbero andati dal dottor.
Stevenson, uno dei migliori specialisti della zona. La mano oramai era vicina all’esser
irrecuperabile, le dita non rispondevano agli stimoli, tremavano solo durante i
soliti attacchi, dolorosi che si diffondevano per tutto il braccio.
Giunto
l’attacco di “Everybody Screaming” decise di chiudere lo stereo, spinse il
tasto, e bloccate le note, la casa tornò al suo solito silenzio.
Frank
era fuori tutte le mattine, e tornava verso l’ora di pranzo… Max non sapeva
quello che faceva, ma non aveva voglia di impicciarsi nella sua vita più di
quanto non facesse già.
Accese
la televisione, e si dedicò a guardare lo schermo.
Giunta
su un canale di musica riconobbe la voce e la musicalità di Michael Bublè…
“Everything” riecheggiava, appoggiò il telecomando accanto a sé.
Attaccò
a canticchiare, sorridendo.
Un
paio di anni prima, ad un matrimonio al quale era stata costretta a partecipare
con la sua famiglia, lei, suo padre e lo zio avevano ballato sopra le note di
una sua canzone. Ridendo come dei pazzi avevano iniziato a parlare ad un
ipotetico matrimonio della ragazza, e questa aveva ammesso che non sarebbe
stato male avere proprio il signor Bublè a cantare per lei; i due uomini
avevano riso, facendola arrossire, ma poi con un -tutto è possibile, se ci
credi- l’avevano rassicurata.
Ora,
ritrovandosi sola a canticchiare quelle stupende parole, non sapeva se ridere o
piangere.
Chissà
se si sarebbe mai sposata, se un fatidico Lui l’avrebbe aspettata all’altare
con cravatta e smoking, di certo avrebbe tanto desiderato essere accompagnata
all’altare da suo padre… questo gliel’aveva sempre omesso, gli diceva sempre
che sarebbe stato il tanto amato zio, il suo accompagnatore ideale, e il padre
ci rimaneva sempre più male.
In
realtà, lei lo avrebbe tanto voluto avere a suo fianco, al suo papà… con i
capelli che oramai tendevano al bianco, e gli occhi chiari che lei non aveva
ereditato.
Lui
sicuramente, non aveva chiuso occhio durante tutte queste notti segnate dalla
sua mancanza, l’aveva cercata in lungo e in largo.. non arrivando a nessuna
conclusione; lei sapeva che lui odiava ciò… il non arrivare a nulla, non averla
vinta… una delle poche cose che avevano in comune era proprio questa… ed era
anche il motivo per il quale non andavano d’accordo… lui con lei non l’avrebbe
mai avuta vinta…
Erano
quasi giunte le 2 di pomeriggio, e di Frank non si aveva traccia. Il
chitarrista l’aveva avvertita che avrebbe fatto tardi, e quindi lei aveva
mangiato sola e lo aveva atteso davanti alla televisione.
Finalmente,
verso le due e trenta, qualcuno citofonò alla porta.
-Si?-
chiese al citofono.
-Io…
Max, senti puoi scendere, senza che io salga? Perché i ragazzi se ne devono
andare…- la voce di Frank, inconfondibile anche se arrugginita dai rumori
metallici.
-Certo…
aspetta quanto mi preparo…- detto ciò riagganciò. Giunta in camera da letto,
prese una t-shirt nera, con una cravatta a strisce bianche e nere… e si diresse
fuori.
Non
usciva di casa da così tanto tempo, che non si ricordava di che cosa sapesse
l’aria.
Quando
chiuse la porta alle se spalle, rimase a fissare le scale per circa 10 minuti…
spaventata.
Riaffrontare
tutto, ecco cosa avrebbe significato raggiungere Frank di sotto.
Riaffrontare
la tristezza, il dolore, la solitudine, la vergogna, il pentimento…
Stette
china sul legno dell’uscio ancora… ancora… sperando che qualcosa l’avrebbe, prima
o poi spinta a scendere quei gradini.
Ma
solo sé stessa si sarebbe potuta aiutare…
Tirò
un grande sospiro, si allargò il cravattino, più di quanto non fosse già largo
e riprese a respirare regolarmente.
Appoggiò
il piede destro davanti a quello sinistro e iniziò a scendere.
Uno.
Ed
un altro.
Ed
un altro ancora.
Finalmente
raggiunse il piano terra, dove i ragazzi l’aspettavano.
Frank
appoggiato alla carrozzeria dell’auto, con le braccia incrociate, alzò il capo
appena la vide uscire.
Il
viso bianco di Max, si rinvigorì alla sola vista del ragazzo. Questo la strinse
forte a sé, capendo da quei suoi fantastici occhi che aveva bisogno di aiuto.
-Pronta?-
le domandò, appoggiando la bocca all’orecchio.
-Se
ci sei tu, sì…- rispose, guardandolo attraverso in quei due fari verdi.
Allora
il chitarrista, fece cenno a Gerard, come per dire che andava tutto bene… e la
strinse ancora una volta.
I
due entrarono in macchina, entrambi nel sedile posteriore.
Davanti
i fratelli Way, litigavano su stupidaggini, che Max non aveva avuto possibilità
di comprendere.
-Allora,
aspetta ricapitoliamo… appena finite, Frank mi fa uno squillo… e noi
ritorniamo…- disse ad un tratto Mikey.
-Sì,
grazie ragazzi…- rispose il brunetto, la sua macchina era dal carro-attrezzi da
qualche giorno, il motore non dava più cenni di vita, e aveva ormai deciso di
ricomprarla nuova.
-Ma
figurati! Noi siamo a disposizione degli amici…!- rise Gerard imboccando la
prima via a destra.
-Certo,
quando ho bisogno io di un passaggio, invece…- mugolò il fratellino.
-Scusa
hai detto qualcosa?- chiese li maggiore, minaccioso.
-Io?
Niente…- rispose quello, facendo ridere i due passeggeri posti alle loro
spalle.
Frank
guardava la mano destra della ragazza, vicino alla sua coscia.
Pensava
a cosa potesse provare in quel momento Max, lui non avrebbe mai potuto
sopportare una cosa del genere…
Notava
gli scatti involontari del mignolo, dei quali lei sembrava non accorgersi.
Sospirò
e sperò che tutto questo potesse finire. Quando questo pensiero gli balenò
nella mente, venne sostituito da altri migliaia; cosa intendeva lui con questo
“tutto”, il rapporto tra i due, l’avere una ragazza in casa, l’esser costretto
a non dormire la notte per preoccupazione…
Era
sicuro solo del fatto che l’avrebbe voluta avere sempre accanto… quasi non
ricordava la vita prima del suo arrivo, o la ricordava monotona, sempre nei limiti
della monotonia di un chitarrista rock. Non voleva pensare che avrebbe dovuto
perdere le mattine senza qualcuno accanto a sé, con cui gustare un caffè, anche
se in pieno silenzio… lo stare sveglio fino a tardi a commentare film horror di
bassa categoria, chiedendosi tra risate come un mostro che riesce a stento a
muoversi potesse far paura… o anche il semplice guardarla mentre mangiava,
dormiva, parlava, giocherellava con i capelli, sorrideva, piangeva, e formulava
frasi per lui senza senso… non avrebbe più potuto riniziare una vita senza
tutto ciò, ora che lo aveva provato.
-Ho
paura…- disse ad un tratto Max; venne però, udita solo dal chitarrista, essendo
che i due davanti era presi dalle loro chiacchiere.
-Lo
so… ma non devi…- la rassicurò, guardando davanti a sé.
-Ma
ho molta paura…- il tono da bambina con cui queste parole erano suonate, fece
sorridere Frank si voltò.
-Allora…
io starò sempre accanto a te, okay? Quindi non vedo di cosa tu debba aver
paura…- detto ciò, la baciò sul naso, per poi sfiorarle le labbra con un dito,
riassaporando i momenti passati.
Lei
sorrise, il sorriso-FrankIero- l’aveva soprannominato Gerard facendo arrossire
entrambi, anche se lei sapeva che aveva ragione, quel sorriso nasceva solo
grazie a lui.
-Grazie…-
sussurrò, con gli occhi socchiusi, come per fermare nella sua memoria quel
dolcissimo momento.
*
Arrivarono
davanti al Dominic Hospital, un grande edificio bianco, circondato da un
altrettanto grande parcheggio.
-Allora
ragazzi, noi andiamo… aspettiamo la vostra chiamata…- disse Mikey, mentre
Gerard fuori dall’auto si era accostato un attimo a Max.
-Stai
tranquilla… tu sei forte… e poi… lo vedi quel ragazzo…- esclamò indicando Frank,
chinato a parlare col bassista.
-È
pazzo di te… ed è qui solo per te… non hai niente di cui temere…- detto ciò,
l’abbracciò.
-Ciao
piccola… a fra poco…- si allontanò raggiungendo il fratello, che attendeva
sbuffando in auto.
-Che
ti ha detto?- domandò Frank, accendendo una sigaretta.
-Niente…-
rispose lei, sorridendo al suo chitarrista, che con la cicca in bocca rispose
al sorriso.
Rimasero
altri minuti fuori dall’edificio, per aspettare che Frank finisse la sua
sigaretta e che Max si tranquillizzasse.
-E
cosa gli dirò se mi chiede come me li sono procurati?- domandò la ragazza,
mentre fissava le ambulanze che con la sirena al massimo, sfrecciavano fuori
dai garage.
-Non
credo te lo chieda… e comunque, non ci pensare ora… ti devo ripetere per
l’ennesima volta di stare tranquilla?- domandò, spengendo la sigaretta sotto la
suola della scarpa destra.
-No,
ho capito… ora però… andiamo?- chiese. Quello per tutta risposta le afferrò la
mano sinistra, e facendo incrociare le dita, iniziò a camminare.
-Un
passo alla volta…- la rassicurò, notando la sua incertezza.
Insieme,
lentamente, giunsero all’entrata. Max respirava con la bocca aperta, e stringeva
la mano del ragazzo, quasi spaventata che questo se ne potesse andare.
Guardava
dinnanzi a sé, non sapendo cosa aspettarsi.
Arrivarono
in sala d’aspetto.
Un’altra
stanza, anche questa completamente bianca… l’unico colore era dato dalle piante
che con il poco verde cercavano di rendere il tutto un po’ più accogliente.
Frank
disse alla ragazza di sedersi, mentre lui sarebbe andato a chiedere
informazioni del dottore a qualche infermiera.
Lei
annuì, cercando di apparire la meno terrorizzata possibile.
Si
accomodò, su una scomoda sedia di plastica.
Fra
tutte le voci che le circolavano intorno, lei riusciva a percepire solo una
cosa: le gocce di un qualunque flebo che cadevano, ritmiche… il ricordo di quel
liquido che aveva scandito i secondi, anche se pochi, passati in quella stanza,
le fece salire i brividi.
Lo
sentiva, rimbombarle nelle orecchie, e iniziava a percepire anche un bruciore
agli occhi.
Frank
che intanto era riuscito a scoprire che il medico sarebbe tornato a momenti, le
si sedette accanto, ma quella non se ne avvide.
-Che
succede?- le domandò quando, vide la prima lacrima.
-Non
riesco a cacciarlo dalla mente…- rispose confusa, cercando di tapparsi le
orecchie.
-Cosa?-
chiese quello, non essendo riuscito ad apprendere il senso della risposta.
-Questo
ticchettio… è lo stesso di quando ero qui io… lo senti…? Una goccia… un’altra…
un’altra…- espose, muovendo il dito, sincronizzandolo con le parole.
-Dai…
non ci pensare…- cercò di consolarla.
Ma
Max, non riusciva a svuotarsi il cervello da quell’odioso rumore.
Riusciva
a sentire solo quello, ed era forte, imponente e doloroso.
-Well I was there on the day
They sold the cause for the queen,
And when the lights all went out
We
watched our lives on the screen…- finalmente qualche altra cosa si unì a quel
tetro suono.
Frank
con la sua bellissima voce iniziò la fantastica Disenchanted.
Max,
lo guardò, come poteva fare un ragazzo a farle provare quelle sensazioni, ed ad
essere sempre pronto per lei, in ogni momento.
Mentre
quelle parole, come una stupenda melodia si facevano spazio dissolvendo quel
ticchettio, anche ella iniziò a cantare.
Le
due voci, basse attraversarono il corridoio privo di qualunque essere vivente.
La
ragazza si appoggiò a lui.
-You're just a sad song with nothing to say
About a life long wait for a hospital stay
And if you think that I'm wrong,
This never meant nothing to ya…- continuavano a cantare.
E in quel
gioco di voci tutto sparì.
Ad
un tratto però una donna, sulla sessantina si avvicinò a loro, dicendogli che
il dottore era appena arrivato e fra qualche minuto li avrebbe accolti nel suo
ufficio.
Loro
annuirono, e ringraziarono la donna, che si allontanò.
Il
momento si stava avvicinando, e la preoccupazione si stava facendo sentire.
Max
sospirò, guardandosi la mano, accarezzando il palmo di questa, priva di
speranze.
-Perché
hai smesso?- la richiamò Frank.
-Eh?
Ah sì, scusa…- rispose lei, tirando un lato della bocca.
-Cambiamo
canzone se vuoi… ma non voglio che tu ti disperi… dai…They're gonna clean up
your looks… With all the lies in the books- finì, attaccando con
Teenegers.
Max,
decise di seguirlo, ed evitare che la rabbia e la paura si rimpossessassero
nuovamente di lei, non voleva permetterglielo.
I
minuti passarono, ma nessun’altra infermiera si fece avanti per dargli altre
notizie.
Il
medico a quanto pare aveva avuto qualche contrattempo, ed i due erano già
arrivati alla fine della 4 e ultima canzone.
-Certo
che le sai proprio tutte…- rise Frank, guardandola.
-Sì,
io invece ti vorrei chiedere una cosa… ma perché urli? Hai una voce così
bella…- domandò, arrossendo e facendo arrossire anche il ragazzo.
-Beh,
non puoi dire che le mie urla non siano bellissime… e poi io mica sono il
cantante…- diede risposta, sorridendole, e spingendo il suo dito indice contro
la fronte di Max, che per la pressione allontanò in maniera impercettibile la
testa, per poi tornare alla sua posizione precedente.
-Okay,
come dici tu… e poi sarebbe un po’ difficile fare… beh tutto quello che fai tu
sul palco, con la costrizione di un microfono…- constatò, facendolo ridere.
-Eh
sì, ed è quello che mi diverte di più negli spettacoli… un giorno di questi mi
romperò l’osso del collo, ma… chi se ne frega!- pronunciò, alzando forse di
troppo la voce, tanto che un’infermiera uscì dallo studiolo per fissarlo, e
bacchettarlo con lo sguardo.
-Forse
è meglio se abbassiamo la voce… anche per il fatto che mi sta venendo un gran
mal di testa…- sospirò Max.
-Vieni…-
la incitò, a sdraiarsi su di lui, e lei lo fece.
Appoggiò
la sua testa alle gambe del ragazzo, e socchiuse gli occhi.
Quello
giocherellando con i suoi capelli, iniziò a mugolare una dolce canzoncina…
-Cos’è?-
chiese lei, non smettendo di tener le palpebre abbassate.
-Me
la cantava la mia mamma quando ero nervoso, non ricordo precisamente le parole,
ma la sinfonia non me la caccerò mai dalla testa…- detto questo, riattaccò.
-Dormi…
angelo… la mamma è con te… quando la notte finirà, la tua mamma qui sarà…-
intonò la ragazza.
-Sì,
è questa…- rise Frank.
-Anche
la mia mamma me la sussurrava prima di dormire….-.
Allora
quello ritornando a cantare venne seguito dalla voce di Max, che ricordò tutte
le parole.
Alcune
persone si sedettero nella stessa sala, ma nessuno osò interrompere questo
bellissimo momento.
I
due fecero sorridere molti volti quel giorno.
Finalmente,
circa un quarto d’ora dopo arrivò l’infermiera che prima aveva rimproverato i
due.
-Ragazzi…-
al suono di questa parola, Max si destò e ,dopo essersi strofinata gli occhi
tornò ad ascoltare la signora.
-Il
dottore è pronto per ricevervi…- allora i due si alzarono e attraversarono il
corridoio.
La
sala del dottore, come fu loro spiegato successivamente era l’ultima sala a
destra.
Arrivati
di fronte l’infermiera che li aveva portati fino a quel posto gli avvertì che
solo i familiari potevano accompagnare colui che si visitava, durante la
visita.
Max
allora si girò verso Frank e scuotendo il capo disse: -Io senza di te, non ce
la faccio…-.
Lui,
la guardò per tranquillizzarla e rivolgendosi alla donna esclamò.
-Siamo
fidanzati… dobbiamo sposarci tra un mese… posso essere considerato un
familiare…?- domandò, con lo sguardo da cucciolo, afferrando la mano della
ragazza.
-Sì,
dai puoi andare… ed auguri, sia per la visita che per il matrimonio allora…-.
-Grazie…-
dissero in coro i ragazzi, ridendo.
Entrarono.
Lo
studio era abbastanza grande, una parete era ricoperta da attestati di laurea e
foto di bambini, sicuramente figli del dottore.
La
scrivania d’acero aveva sopra di sé scartoffie di ogni genere, una pianta
fiorita, ed un orologio a pendolo, che segnava i secondi con il consueto
ticchettio.
Il
lettino alla loro destra era coperto da un lenzuolo ancora intatto.
Ed
infine ecco il dottore.
Un
uomo basso e panciuto, gli occhi infossati nelle orbite.
Una
barba incolta era la cornice adatta per quei lineamenti non propri adatti ad un
dottore, i capelli erano brizzolati irti sulla testa come tante spine.
Sul
volto un sorriso di circostanza.
-Salve,
ragazzi…- pronunciò, per poi invitarli a sedere, nelle due sedie di pelle di
fronte alla scrivania.
-Allora,
cosa abbiamo qui?- domandò avvicinandosi alla ragazza.
-Più
di un mese fa, la mia ragazza si è fatta male con uno specchio rotto… da allora
non riesce più a controllare i movimenti della mano destra…-.
Il
dottore per tutta risposta mugolò, ed indirizzò la ragazza e sedersi sul
lettino.
-E
se posso, perché non è venuta prima da un dottore?-.
Il
cuore di Max iniziò a battere sempre più forte, era arrivato il momento di
confessare a qualcuno quello che aveva fatto?
Il
medico, alzato lo sguardo e vista l’espressione tesa della ragazza evitò di
insistere.
-Le
ricordo solo che ho l’obbligo del segreto professionale, per il resto… andiamo
avanti con la visita…-.
Slacciò
le bende che avvolgevano il braccio, la pelle finalmente riprese aria.
Prima
controllò il polso sinistro.
Sapeva
bene come la ragazza si fosse fatta i seguenti tagli, e per questo evitò di
pressare con domande di alcun genere.
-Beh
qui le ferite si sono quasi del tutto rimarginate, le bende hanno aiutato
molto, ma ti consiglio comunque di disinfettarle, perché non vorrei che
sorgesse qualche infezione, anche se vedo che non ci sono segni…-.
Frank
che si era accostato all’uomo intervenne.
-Sì,
ho provveduto a disinfettarla varie volte…-.
Il
dottore annuì, per poi passare a controllare l’altra mano.
-Allora…
mi spieghi… sente mai dolore?- chiese, mentre tastava con delicatezza le
falangi.
-Sì,
molto spesso…mi vengono attacchi che mi intorpidiscono tutto il braccio…-.
Quello
mugolò nuovamente.
-Provi
a muovere il mignolo…-.
Quella
strinse gli occhi, mostrando l’estenuante sforzo, ma niente.
-I
legamenti sono sicuramente rovinati, anche in maniera abbastanza grave
direi...-.
-E
dottore… cosa dobbiamo fare?- Frank nervoso, dopo essersi seduto aveva iniziato
a tamburellare le dita sul tavolo.
Max
si fissava la mano, spaventata… perché non aveva seguito quello che gli aveva
detto Frank?
-Beh
ci sarebbe un’operazione…-.
-Okay…
è pericolosa?-.
-Ogni
operazione ha i suoi rischi signor…-.
-Iero,
signor Iero…-.
-Beh
dicevo… ha i suoi rischi, ma permetterebbe alla sua ragazza di tornare ad
utilizzare la mano destra con tutte le sue dita…-.
Max
non aveva proferito parola, anche se aveva ascoltato tutto quello che i due si
erano detti.
-Okay,
allora ne parleremo… ma credo di poterle dare già il nostro consenso… vero
Max?- domandò Frank.
Quella
rispose annuendo.
-Allora
se vuole gliela prenoto, ma credo che non ci siano giorni buchi fino alla settimana
prossima…- continuò il dottore sfogliando l’agendina d cuoio, che risiedeva
sulla scrivania.
-Bene,
ci faccia sapere… noi ora andiamo… arrivederci…- Frank si avvicinò a Max –Amore
andiamo…- dettò ciò la prese per la mano ed uscirono.
*
Giunsero
fuori dall’ospedale e si ritrovarono indifesi, sotto un grande acquazzone.
-Oddio…
aspetta quanto dico a quelli di muoversi…- sospirò Frank, prendendo il
cellulare dalla tasca.
Max
ancora in silenzio, si sedette in una panchina sotto la pioggia.
Rimase
con la testa china, mentre tutti i capelli grondanti di acqua le circondavano
il viso bianco.
La
maglietta e la cravatta aderivano al suo corpo, che dopo alcuni secondi iniziò
a tremare.
-Gee…
abbiamo finito, ma qui sta piovendo a dirotto… okay, grazie… a tra poco…-
riattaccò.
-Stanno
arrivando…- disse voltandosi, rendendosi conto di essere solo.
La
vide seduta sola in quella grande panchina, e correndo la raggiunse.
Fece
schizzare alcune pozzanghere d’acqua e poi arrivò accanto a lei.
-Ti
farai venire qualcosa… non ti potevi portare qualcosa da metterti sopra?-
chiese cacciandosi il giubbotto ed appoggiandolo alle spalle di lei, inerte.
-Perché
fai tutto questo per me?- gli chiese Max, alzando lo sguardo, mostrando il viso
pieno di pioggia.
Frank,
anch’esso completamente zuppo, la guardò. Aveva il ciuffo bagnato che gli
pressava sull’occhio destro, gli occhi verdi si vedevano anche attraverso quei
capelli e quei goccioloni.
-Come
scusa?-.
-Perché
lo fai? Non sono venuta a letto con te… non abbiamo vincoli di sangue… non
capisco…-.
-Beh
allora sei stupida…- disse quello, mostrando un sorriso tra la pioggia.
Max
alzò gli occhi al cielo. Adorava stare col viso sotto la pioggia.
Adorava
la pioggia, e starci sotto la rendeva felice.
Lui
la guardava, e guardava quella pioggia che le cadeva addosso, avrebbe tanto
voluto essere nei panni di quelle gocce che scendevano sulle sue labbra rosse,
che ripassavano il contorno delle sue gote, o che le calavano giù per il corpo.
-Posso
baciarti?- le chiese.
Quella
sorrise, per poi voltarsi e prendere il volto di lui tra le sue mani.
Un
bacio sotto la pioggia.
Le
gocce che si intromettevano tra quelle labbra che avevano sofferto ed aspettato
tanto quel momento.
-Hai
capito adesso perché io ho fatto tutto questo per te?- domandò Frank,
separandosi un attimo.
-Sarei
una stupida se non lo avessi capito… e comunque anche io ti amo…- concluse con
un sorriso, sfiorando il viso di lui.
-Questo
io non lo ho mai detto…- insisté lui, fissando i lineamenti di quella ragazza,
come se stesse guardando una dea.
-Lo
hai dimostrato che è anche meglio…-.
Le
loro labbra si rincontrarono.
Le
macchine che sfrecciarono non interferirono minimamente nei loro pensieri, non
c’era nulla a parte loro, ed il loro amore.
Max
sapeva che se lui le sarebbe rimasto accanto, tutto avrebbe avuto un lieto
fine; Frank invece… beh per lui il tanto ambito lieto fine era arrivato...
sotto una fredda pioggia primaverile…