Through her eyes

di the princess
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


THROUGH HER EYES

THROUGH HER EYES

PROLOGO

 

Aprì la porta facendola sbattere contro la parete.

Sette giorni che andava in quel posto lurido, e sette volte era tornata a casa con la coda tra le gambe.

Aveva troppa paura, non c’era mai riuscita.

Mai.

Ma quella sera era la volta buona, non ce la faceva più a resistere.

Le voci dei suoi cosiddetti amici e dei suoi genitori le risuonavano nelle orecchie.

Le lacrime

Le porte chiusale in faccia.

Il sangue.

Si avvicinò allo specchio sporco di fronte a lei.

Si guardò e si toccò il volto segnato dalla matita sbavata, sorrise malinconicamente per poi passarsi una mano tra i capelli bagnati dalla pioggia, che fuori continuava a cadere a dirotto.

Si rivoltò verso quella figura, che la ritraeva per quello che era, quella schifosa ragazza che era diventata grazie al mondo in cui viveva.

Frantumò il vetro con un pugno. Scaglie di vetro si conficcarono nella mano, la mano destra. Quella fissò l’arto, vide il rosso fuoriuscire dai tagli profondi, e tirò su col naso.

Decise di smettere di piangere, di farla finita qui con quella fottuta falsa che le aveva rovinato l’esistenza, e che aveva trasformato quet’ultima in tale.

Prese un coccio che si era fermato sul lavabo, e guardò per l’ultima volta l’immagine di se stessa.

Si chiuse nell’ultimo gabinetto e si sedette sul vaso.

Appoggiò la schiena alla parete e sospirò profondamente.

La mano destra oramai non rispondeva quasi più agli stimoli.

Il sangue aveva creato una macchia cruenta sul pavimento a scacchi.

Con le poche forze che le rimanevano, incise con il pezzo di vetro che si era portata dietro, un solco sul polso sinistro.

Le scappò un grido, voltò il viso dall’altra parte per non vedere.

Continuò a tracciare quella riga fino a che la mano destra iniziò a tremare e si fece scappare il coccio.

Dopo i primi dieci minuti il dolore si iniziò a placare, facendo però imperversare un grande giramento di testa.

Iniziò a tenersi la fronte, sporcando i capelli del sangue che gocciolava giù dalla mano rovinata.

-Fine…- si disse.

 

-Io non ce la faccio ragazzi… mi fermo qui…-.

-Cazzo Frank, l’albergo è a due passi…-.

-Senti, voi andate io vado al bagno e vi raggiungo…- concluse il ragazzo abbandonando il gruppo, fuori da un pub, dall’aspetto poco invitante.

-Sempre il solito sei…- si lamentò Gerard.

Il chitarrista si fece avanti ed entrò.

Gli bisognarono  alcuni secondi per potersi orientare.

Con ancora il trucco da concerto, aveva destato sguardi poco convinti da parte delle persone sedute al bancone.

Si passò una mano tra i capelli, e quasi vergognandosi si avvicino al barrista.

-Scusi… mi sa dire dov’è il bagno?- domandò non alzando gli occhi dalla macchia di birra che segnava alcuni cerchi sul legno.

-In fondo…- rispose quello scorbutico.

Frank alzò la mano per ringraziare e ci si diresse.

-Mamma che schifo che è questo posto…- disse a bassa voce.

Si avvicinò al primo gabinetto e senti il vetro sotto i piedi.

-Che caz….- iniziò a dire per poi scostarsi immediatamente.

Dopo aver esaminato i primi due, optò per il terzo, sperando che almeno quello non avesse tracce di urina da tutte le parti.

Però quest’ultimo aveva la porta chiusa.

Bussò.

 

L’agonia di Max continuava ancora da qualche minuto. La ragazza aveva chiuso gli occhi e ora si chiedeva il momento in cui tutto il mondo le era caduto giù.

Quando i suoi stanchi d’averla tra i piedi le avevano detto che per loro era morta.

Quando le sue amiche le avevano voltato le spalle per un nonnulla.

Quando ebbe scoperto che il ragazzo che amava tanto l’aveva tradita.

I suoi pensieri furono interrotti dal bussare alla porta.

La ragazza trasalì, non aveva neanche la forza di rispondere.

-Ehi!- disse Frank dall’altro lato.

-Occupato…- sospirò quella, senza però farsi sentire dal ragazzo.

-Ti prego amico, me l’ha sto facendo di sopra…- continuava tirando pugni contro la porta.

-Cazzo occupato!- riuscì a sbottare lei, per poi iniziare a tossire per lo sforzo.

-Ok.. scusa…- Frank si allontanò, accendendosi una sigaretta.

Max oramai respirava a fatica, tutto ciò che la circondava spariva ad ogni battito di ciglio.

-Ma quanto cazzo ci mette quella?- si chiedeva il chitarrista.

Ad un tratto, mentre cercava di placare lo stimolo, notò sul pavimento il sangue che oramai aveva ingrandito la chiazza.

-Merda!- disse avvicinandosi alla porta.

-Ehi! Tutto bene lì dentro?- urlava.

Nessuna risposta.

-Ci sei??- continuava avvicinando l’orecchio alla porta per cercare di sentire qualcosa.

Silenzio.

Dopo qualche secondo, iniziò a tirare calci contro la porta, finché la serratura arrugginita cedette.

La vide.

Svenuta da un paio di secondi, Max aveva assunto un colorito pallido, quasi inesistente.

Frank si chinò su di lei e dopo aver visto le ferite alla mano ed al polso iniziò a chiamare aiuto.

 

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Capitolo 2
*** capitolo 1 ***


CHAP1

CHAP1

 

I rumori della corsia si facevano spazio tra il silenzio delle stanze, che si annullava ad ogni sospiro affannato o ad ogni lamento.

Max sussultò.

Si destò sul letto e iniziò a guardarsi intorno, il bianco che predominava nella stanza la costrinse a stringere gli occhi.

La finestra dalla quale entrava un gran fascio di luce illuminava la camera.

La pioggia incessante della sera prima aveva smesso di bagnare le strade.

-Dove diavolo sono..?- si chiese riappoggiando con forza la testa sul cuscino alle sue spalle.

La flebo che le avevano attaccato al braccio le dava un grande fastidio.

Fissò il liquido bianco simile ad acqua che a gocce scendeva.

Guardò la mano destra, era completamente fasciata, le bende erano sporche di sangue.

Il polso sinistro, aveva anch’esso una grande garza ingiallita dal medicinale.

Si tirò un pugno con violenza sulla fronte e strinse violentemente gli occhi, facendo scendere alcune calde lacrime.

Non avrebbe mai pensato che sarebbe andata a finire in quel modo.

Aspettò per qualche secondo che qualche infermiera o qualche dottore entrasse da quella porta.

I secondi erano scanditi dal rumore delle gocce del farmaco.

Ed ecco che finalmente un omone alto entrò dalla porta.

I capelli neri che cadevano sugli occhiali eccessivamente grossi, erano scompigliati.

Si avvicinò al letto con una cartella tra le mani agitandola avanti e indietro.

-Max Potter?- chiese alla ragazza, quella annuì fievolmente.

Il dottore senza dire altro prese le mani della ragazza e controllo le ferite.

-Sono dei tagli molto profondi, temiamo che alcuni tendini della mano destra siano stati rovinati in modo irreparabile…- continuò calmo.

Max non rispose, cercò soltanto di non scoppiare in lacrime o almeno di non mettersi ad urlare.

-Chi mi ha portato qui?- disse infine, sentendo la gola bruciarle e la gola rinvigorirsi come se avesse dormito per una notte durata troppo.

-Un ragazzo, ma ha specificato di voler rimanere anonimo…-.

-È ancora qui?- domandò, fissandosi l’arto destro.

-Non so se posso dirglielo…-.

-Credo di averne tutte le ragioni…- protestò, con tono placato, la ragazza sistemandosi sul letto.

Il dottore la fissò per qualche istante, i due si guardarono negli occhi, ma fu l’uomo a cedere per primo.

-Vado a vedere…-.

Max prese la cartella che l’uomo aveva lasciato sulle lenzuola.

Lesse quelle nozioni quasi incomprensibili per una persona senza un minimo diploma in materia.

-Questo cazzo di coso..- si lamentò strappandosi l’ago dal braccio, staccò lo scotch che le era rimasto e si scoprì.

La porta e la finestra aperta facevano entrare una forte corrente tra le pareti della stanza.

Mise i piedi sul pavimento gelido, bianco come tutto ciò che la circondava.

Cercò di issarsi, ma vacillando si risedette sul letto.

-Sei troppo debole per alzarti…- il medico di prima era rientrato nella camera ed ora era appoggiato alla soglia.

-I tuoi genitori saranno qui tra poco…- continuò, mentre la ragazza non dandogli confidenza cercava di compiere la sua impresa.

-Non contarci tanto…- disse indispettita alzandosi per poi tenersi la testa.

-Dov’è quello?- chiese poi strascicandosi fino al dottore.

-Dice che non c’è bisogno che lo ringrazi…- diede risposta.

Max sorrise fievolmente. –Bella faccia tosta…Comunque rivorrei i miei oggetti personali…- parlò socchiudendo gli occhi.

-Non posso costringerla a restare ma…-.

-Infatti non lo faccia… mi dica solo dove devo andare…-.

L’uomo le spiego il luogo esatto e dopo alcuni attimi le fece spazio.

La ragazza si strofinava il polso ancora dolorante e s’incamminò, seguendo le precise indicazioni del dottore.

 

 

Frank era seduto in una di quelle scomodissime sedie, bianche.

Bianca come tutto ciò che lo circondava.

Dopo aver chiamato l’ambulanza e aver fatto ricoverare la ragazza era rimasto seduto lì per un paio d’ore.

Fremeva dalla voglia di fumarsi una sigaretta, ma sapeva benissimo che in quei locali era vietato.

Le gambe gli tremavano per il freddo.

Il viso ancora sporco di trucco dava segni dell’arrivo di un raffreddore in piena regola.

Sbadigliò senza coprirsi la bocca e alzandosi in piedi si stiracchiò.

Dopo qualche secondo, il dottore che era stato congedato precedentemente da Max si avvicinò al chitarrista.

-Allora?- domandò il ragazzo mettendosi le mani nelle tasche. Il suo un metro e sassantacinque sembrava anche minore in confronto all’altezza eccessiva dell’uomo.

-La ragazza ha deciso di andarsene. Ora è a prendere i suoi oggetti personali…- rispose, spostando il ciuffo dalle lenti.

Frank lo fissò inarcando un sopracciglio.

-Mi scusi… non che io sia esperto in materia, ma non le sembra sconsiderato lasciar andar via una ragazza che ha tentato il suicidio e che ha perso molto sangue?- domandò.

Intanto una finestra si spalancò di colpo a causa del vento, che diventava sempre più forte.

Il dottore esitò un attimo, poi pulendosi gli occhiali con un lembo del camice, rispose.

-Io sono un medico… il mio dovere finisce qui…-.

-È bello sapere che se dovessi stare male troverei persone come lei a prendersi cura di me…- disse sarcasticamente il chitarrista, rimanendo sorpreso dalla pessima risposta che aveva appena udito.

-Beh, io avrei altro  da fare… arrivederci…- l’uomo prese la mano del ragazzo e la strinse con vigore.

Frank lo fissò stupito per qualche attimo, capì il gesto solo, quando quello si fu allontanato.

Il brunetto aprì la mano destra e vide un documento plastificato.

Max Potter

23 anni

Belleville, NJ

Dopo aver letto le informazioni scrutò la foto e la riconobbe subito.

La ragazza della sera passata.

Si diresse dalla prima infermiera che vide e le chiese informazioni sul luogo dove si ritirassero gli oggetti personali, e dopo, le eseguì alla lettera.

 

Max da qualche minuto era alle prese con un‘infermiera che diceva di non aver ricevuto la sua carta d’identità.

-Signora, la prego… sono stanca...- diceva con le palpebre a mezz’asta per la stanchezza, la testa le doleva in modo pazzesco, la cosa migliore sarebbe stata quella di rimanere lì per un altro po’ di tempo, ma non voleva vedere il viso dei suoi, o sentire le loro frasi su quanto fossero sfortunati ad avere una figlia come lei.

-Infatti, figliola… perché non torni nel tuo letto…-la donna vestita di rosa guardava la ragazza attraverso gli occhialini spessi.

-Le ho detto di non insistere… voglio solo andarmene…- continuava la riccia appoggiando il braccio sull’alto bancone, notando che le ferite alla mano si stavano riaprendo.

-Ehi!- Frank avendo vista la nuca della ragazza, e avendola conosciuta si avvicinò a lei.

Dopo essergli accostato le tamburellò con le dita sulle spalle.

-Mi sa che questo sia tuo…- disse, mentre quella si voltava.

Max lo fissò per qualche secondo, incredula che lui, il suo chitarrista preferito, fosse lì di fronte ai suoi occhi.

-Ah… sì… oddio…- sospirò, mentre quello sorrideva placidamente.

-Tieni… Max Potter…- disse leggendo il nome sul foglio.

-Grazie…- concluse quella prendendo l’oggetto e infilandoselo in tasca.

Frank sorrise nuovamente.

In quel momento Max focalizzò, era lì con davanti Frank Iero con il polso lacerato e con la mano destra dolorante.

-Beh, sì… devo andare… grazie ancora..- si congedò velocemente.

Prese da terra lo zaino, rovinato dal tempo e mettendoselo in spalla si diresse verso la porta a vetri.

-Aspetta…!- disse Frank seguendola.

Max era riuscita a mettere il piede fuori di quel maledettissimo ospedale.

Le nuvole stavano prendendo il loro precedente posto.

Il sole spariva lentamente dietro esse.

Il vento andava dentro il giubbotto, forse troppo leggero, della ragazza.

Max guardò in alto e sentì la prima goccia ghiacciata.

Prese dal bagaglio i guanti che le aveva regalato la sua amica Sarah, forse l’unica che le era mai stata veramente accanto.

Ed ecco il secondo gocciolone, più pesante e freddo del primo.

Frank uscì dalla porta e dovette socchiudere immediatamente gli occhi per la raffica di vento che si era appena alzata.

Finalmente, la vide.

-Non ti sembra un po’ presto per uscire dall’ospedale?- domandò.

-Non credo siano affari tuoi.. e comunque sto benissimo…- mentì con il volto sempre più pallido.

-A me non sembra.. anzi sei quasi peggio di ieri…- constatò quello soffiandosi tra le mani.

In quell’istante Max si fermò.

Frank che non aveva notato il movimento dovette arretrare di qualche passo per tornarle accanto.

-Tutto apposto?- chiese.

La ragazza alzò lo sguardo che s’incrociò con quello di lui, non ci poteva credere.

Proprio lui era stato il ragazzo che l’aveva portata lì, il bastardo che l’aveva fatta tornare in quello schifoso mondo.

-Allora sei stato tu…?- domandò cercando di placare la rabbia che imperversava dentro di lei.

-Sì, ma non devi ringraziarmi…- iniziò quello.

Max si allontanò di scatto.

-E ora mi spieghi dove stai andando?-.

-Lasciami in pace!- urlò quella accelerando il passo per quanto gliene concerneva in quella maledetta condizione.

-Neanche mi ringrazi per averti salvato, e per giunta reagisci andandotene!- la rimproverò quello tirando un calcio ad una lattina.

Max nell’udire quelle parole si girò per fissarlo, si avvicinò sospirando sempre più a fatica.

-Secondo te… una che cerca di suicidarsi… ha  voglia che qualcuno la salvi?- domandò alzando il tono della voce.

Frank la guardò, non sapeva che rispondere, non esistevano parole per controbattere ad un’affermazione del genere.

-Ecco, infatti… quindi adesso…- Max si piegò in due, appoggiò il gomito sulle ginocchia e si accostò al muro di mattoni alle sue spalle.

La pioggia oramai si era trasformata in un nubifragio.

I capelli schiacciati sulla fronte le andavano sugli occhi, aggiungendo un qualcosa in più al tremendo dolore che stava subendo.

-Ehi..- la chiamò il chitarrista, appoggiandole una mano sul braccio e chinandosi per guardarle il viso.

-Sto… be…- cercò di parlare, per poi sdraiarsi sul muro.

Il guanto nero era oramai inzuppato di sangue che stava iniziando ad uscire fuori del tessuto.

-Cazzo, ma qui ancora stai sanguinando…- constatò Frank, alzandole l’arto.

-Io ti riporto in ospedale…- ormai anche il polso sinistro aveva riiniziato a sanguinare violentemente.

-No…!- si oppose. –Fra un poco arriveranno… lasciami… ce la faccio da sola…- cercò di recuperare Max, mentre le forze si allontanavano sempre di più da lei.

-Non scherzare… ti porto a casa mia…-.

Dette quelle parole se l’appoggiò sulla spalla e iniziò ad aspettare l’arrivo di un taxi che fortunatamente dopo poco arrivò.

Intanto la pioggia torrenziale puliva la chiazza di sangue, facendo sparire ogni segno della permanenza della ragazza in quel luogo. Meno di dieci minuti dopo una Ford nera posteggiò nel parcheggio dell’ospedale e un uomo e una donna ne uscirono.

 

*

 

-Sì, stai tranquillo… Si mammina, sto bene… e dai scherzo, idiota…- Frank era da qualche minuto al telefono con Bob.

Il ragazzo lo aveva chiamato per assicurare di stare bene e che era tornato a casa per addormentarsi e per prendere qualcosa per il suo terribile mal di testa.

-Allora ci vediamo domani…?- chiese quello dall’altra parte.

-Si, certo… a domani…-.

Frank riattaccò e si diresse verso il divano.

Guardò l’ora nell’orologio appeso alla parete: 3.55.

Fra poche ore avrebbe ricevuto la visita di tutta la band, non aveva trovato niente da assumere per far calmare il dolore alla testa, arrivò al punto di chiedere aiuto ai vicini, ma vista l’ora rinunciò.

Era sfinito, non avrebbe mai pensato che il dopo concerto nella sua città natale si sarebbe trasformato in un totale disastro.

Dopo essersi struccato e spogliato, era rimasto per qualche ora a fissare la ragazza che non dava segni di ripresa.

Era riuscito a stento a fasciare le ferite, le gocce di sangue avevano macchiato le lenzuola del letto matrimoniale dove l’aveva adagiata con cura.

Aveva riflettuto sul doverla spogliare dei suoi vestiti, ma avendo notato il carattere abbastanza impulsivo di Max, preferì cacciarle solo le scarpe e il giubbotto bagnato.

Si sedette sul divano nero.

Si cacciò le scarpe poco delicatamente e le tirò sopra il camino alla sua destra, poi accese la televisione.

120 canali.. e nulla da vedere… l’unica possibilità erano…

Si voltò per dare un’occhiata alla camera da letto e controllare e assicurarsi che la ragazza ancora dormisse.

Ed ecco che velocemente postava sul primo canale porno che li venisse in mente, non che lo facesse spesso, ma in certe situazioni, aveva bisogno di un po’ di svago.

 

4.25

La sveglia d’acciaio sul comodino della camera e la finestra semichiusa erano le uniche cose che illuminavano la stanza altrimenti priva di illuminazione.

Max, aprì lentamente gli occhi. Davanti a lei la porta del bagno aperta mostrava uno specchio che brillava per il riflesso della finestra.

Alzò la testa dal cuscino bagnato per colpa dei capelli umidi.

Appoggiò le mani sul letto per farsi leva per issarsi, ma senza produrre risultati a parte un lancinante dolore.

Decise di riposarsi un altro paio di secondi.

Mentre gli occhi si abituavano al buio, anche la stanza prendeva forma attorno a lei.

Sapeva benissimo dove si trovava.

“Ti porto a casa mia”, queste furono le ultime parole che poté ascoltare, prima di perdere nuovamente i sensi.

Era a casa di Frank Iero.

Sbuffò, avvicinandosi le mani alla bocca per poi soffiarci dentro.

-Sono viva…- si disse, rassegnata e triste allo stesso tempo.

Guardò sul comodino e si scoprì con silenzio e cautela.

Si guardò gli arti, si notava che le fasciature erano state rifatte, e neanche in modo perfetto.

Si toccò il polso, anche con tutta la garza riuscì a sentire il solco. Allontanò immediatamente la mano, quasi spaventata.

Con delicatezza caccio la benda per controllarsi.

Il sangue che aveva formato dei grumi tutto intorno al taglio, aveva cambiato colore, divenendo quasi nero.

Il rosso era arrivato fino a sopra il gomito.

Si sedette alla fine del letto e notò anche l’ampia macchia scarlatta che aveva lasciato sul lenzuolo.

Si spostò, riuscendo finalmente ad alzarsi.

Ci mise qualche secondo per ritrovare l’equilibrio.

Prima di andare verso il salotto, dove sapeva trovarsi Frank, si avvicinò al bagno.

La matita nera sul suo viso aveva formato immense chiazze attorno agli occhi nocciola.

Quegli occhi che le sue compagne le avevano sempre invidiato, in cui lei non vedeva nulla di speciale… nulla che potesse minimamente essere a confronto alle meravigliose iridi verdi d’alcune sue coetanee.

Il pallore, anche se in minor intensità, era rimasto a far contrasto con la capigliatura nera.

Quest’ultima era schiacciata sulla testa.

Si sciacquò il viso.

Dopo aver sospirato ed essersi presa di coraggio s’incamminò verso il salottino che aveva intravisto dal letto.

Ad ogni passo una nuova preoccupazione, una nuova paura si faceva largo tra i suoi pensieri.

Come avrebbe risolto la cosa con i suoi genitori, se sempre loro le avessero dato la possibilità di farlo.

Come spiegare ai suoi amici il suo gesto.

E soprattutto, come avrebbe affrontato l’incontro con la mente più lucida con il suo “salvatore”, nonché suo amato idolo.

Tante domande nessuna risposta, topos della sua vita.

Dopo essere uscita dalla camera, le caviglie iniziarono a farle male.

Il pavimento freddo aveva iniziato a far dolorare le ossa del piede e di conseguenza quelle della caviglia, questo poi va ad aggiungersi alla stanchezza che non dava segno di placarsi.

Passò accanto alla grande libreria d’acero che portava al soggiorno, quando ad un tratto senti alcuni rumori strani.

Sospiri.

Gemiti, provenivano dalla televisione.

Si avvicinò e con un ghigno riconobbe immediatamente le immagini, socchiudendo maggiormente gli occhi per focalizzare meglio, notò la testa del chitarrista sul divano di fronte ad essa.

Con passo lento si avvicinò a lui.

Tossicchiò leggermente due volte, facendo seguire i colpi di tosse da un riso silenzioso.

Frank preso dalla visione del film, solo grazie a quei forti rumori si rese conto della presenza di Max.

Velocemente prese il telecomando da accanto a se, ma per la troppa fredda lo fece cadere a terra ben due volte.

Intanto la ragazza era riuscita a sedersi alla destra di questo, e guardava la scena divertita.

Finalmente il chitarrista era riuscito a chiudere quella televisione.

Diventato rosso, dall’imbarazzo si girò verso Max.

-Allora ti sei svegliata…- disse per rompere quel silenzio, passandosi la mano dietro la nuca.

-Si… è da un po’ che osservo il programma educativo che stavi guardando…- mise il dito nella piaga lei.

-Ah sì quello…- enunciò Frank sempre più rosso.

-Ma ora cambiamo discorso…- riprese successivamente, risistemandosi sul cuscinone del divano.

-Cazzo, ti sei cacciata la garza…!- disse arrabbiato, prendendo la mano di Max e avvicinandosela al volto.

-Si, volevo vedere la condizione del graffio…-confessò.

-Mi sembra un po’ limitativo chiamarlo graffio…- il chitarrista si era alzato e si era avvicinato ad un comeau da dove aveva tirato fuori alcune garze e dello scotch medico per tenerle unite.

-Per fortuna che di bende ne ho in abbondanza…- dopo essersi riaccomodato, aveva ripreso la mano sinistra di Max.

-Almeno all’ospedale te l’hanno medicata…- constatò.

Max che inizialmente guardava il grosso taglio, aveva spostato lo sguardo al viso concentrato di Frank.

A mano a mano, il rossore delle guance era sparito.

Gli occhi verdi lucidi per la stanchezza si socchiudevano per poter controllare meglio il lavoro.

-Quando aveva 14 anni ho sognato di andare a letto con il professore di batteria di mio cugino e il giorno dopo gliel’ho confessato, sapendo che aveva circa 15 anni in più di me…- disse tutto d’un tratto Max, ritornando a guardare le bende che stavano fasciando il polso.

-E perché mi hai detto ciò?- domandò Frank, ridendo.

-Così siamo pari…- diede risposta pacata lei.

Quello continuò a dare mostra del suo bellissimo sorriso.

-Ecco fatto…!- disse dopo poco, appoggiando con delicatezza la mano sul polso e poi riappoggiarlo sul divano.

I due si fissarono per qualche secondo negli occhi, stranamente la prima ad abbassare lo sguardo fu Max.

-Beh… io vado a coricarmi… sono stanca…-.

-Si… ok…vai… io starò qui.. a… dormire…- concluse facendola sorridere.

Quella si alzò e ritornò nella camera da letto.

Mentre Frank le fasciava la mano aveva pensato se fosse stato il caso di ringraziarlo, ma ancora non si sentiva pronta o almeno aveva la testa troppo piena per far sopraggiungere anche questo problema.

Si appoggiò al cuscino, evitando le tracce di sangue, guardò la sveglia: 5.00

Decise di chiudere gli occhi ,affannati da una giornata così stressante, e pensare al fatto che il giorno dopo li avrebbe riaperti…

 

 

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Capitolo 3
*** capitolo 2 ***


CHAP 2

CHAP 2

 

Il sole era riuscito a sovrastare le nuvole grigie che infestavano quel cielo di Febbraio.

Da più di tre ore il silenzio regnava nella casa.

Max era riuscita a prendere sonno quasi immediatamente, cercando con tutta se stessa di non ricordarsi nulla che la facesse soffrire. Le lacrime che bagnavano il cuscino ogni sera, le urla soppresse, per non farsi sentire, che facevano bruciare la gola.

Il cuore che per il nervosismo batteva troppo forte, che le faceva dolorare il petto.

Cercava di nascondere tutto quello in una finta illusione che fosse tutto finito.

Solo una lacrima, l’era scesa quella sera, una sola le aveva rigato il volto bianco.

E lei l’aveva fatta correre.

Ora il sonno stava passando, socchiuse gli occhi rossi e respirò.

A quanto pare era tutto vero, la notte i tagli e lui… Frank, non era un sogno né una fantasia, era la terribile realtà.

La porta di legno che divideva il salotto dalla camera, era chiusa, ma alcune voci si riuscivano a sentire attraverso lo spessore.

Prima di andare a scoprire di chi fossero quelle voci, andò nel bagno e si lavò le braccia rosse.

Per far uscire le chiazze di sangue ci vollero alcuni minuti, la maglia era anch’essa rovinata.

Se la sfilò e la mise nel lavandino.

Sul nero, il sangue si notava poco, ma di certo non avrebbe più indossato quella maglietta.

Si avvicinò all’armadio immenso del chitarrista e ne uscì un maglione rosso, lo infilò, senza pensare alla reazione che il ragazzo avrebbe potuto avere.

Poi se lo ricacciò.

Si sentiva sporca.

Si spogliò immediatamente e velocemente si infilò sotto il getto d’acqua della doccia ghiacciata.

L’acqua calda non si decideva ad arrivare: sicuramente c’erano problemi con lo scaldabagno.

Decise, comunque, di rimanere a lavarsi.

Dopo alcuni minuti dove, con il viso contro la parete di mosaico aveva fatto scorrere le gocce sul viso, scoppiò a piangere.

Le labbra che già tremavano per il freddo ed avevano assunto un colorito viola, ora si raggrinzivano in una smorfia, tipica della disperazione.

Tirò un pugno alla parete.

Non aveva pensato alle bende che le fasciavano le ferite.

Quelle che avvolgevano la mano si era quasi completamente tolte. Senza dare conto al fatto che l’acqua aumentava lo scorrere del sangue, rimase lì sotto per un altro paio di minuti, a mandare giù quelle lacrime che si era risparmiata la sera prima.

Dopo essere passati alcuni attimi, uscì e prese l’accappatoio attaccato alla sua destra e lo infilò.

Si lego il laccio alla vita, per far rimanere uniti le due estremità del capo.

Indossò il cappuccio e iniziò a frizionare i capelli bagnati.

Dopo questo uscì dal bagno, tremando ancora come una foglia.

-Frank…?- chiamò con voce fievole.

Il brusio fuori dalla stanza cessò.

-Frank…?- richiamò quella, alcuni secondi dopo il ragazzo entrò nella stanza e la vide seduta sul letto.

Anche dalla porta si poteva notare i brividi che attraversavano il corpo della ragazza.

-Mi sono scordato di dirti che lo scaldabagno era rotto…- disse quello avvicinandosi.

-L’avevo notato… comunque… potresti darmi qualcosa da mettermi…?- domandò timidamente.

-Beh … si… qualcosina te la  posso dare…- iniziò per poi notare il maglione messo sul letto.

 

-Come sta?- chiese Gerard, seduto sul divano a Frank che era appena uscito dalla stanza.

Quello alzò le spalle e si accasciò sfinito sulla poltrona, appoggiò con poca delicatezza la testa sullo schienale e si strofinò la mano in pieno viso.

Sbadigliò.

-Sonno, eh?- chiese retorico Mikey, vicino al frigo.

-Non sono riuscito a chiudere occhio sta notte…- rispose il brunetto, facendo seguire la frase da un altro profondo sbadiglio.

-Mi spiace…- Max era appena uscita dalla stanza, il maglione rosso era due volte più grande di lei, le maniche non facevano trasparire le mani, i pantaloni erano altrettanto grandi e tenevano su, solo grazie all’aiuto di una cintura stretta.

Al sentire quelle parole, tutti i membri della band presenti nella stanza si voltarono a fissarla.

Quella arrossì, per poi alzarsi le maniche e sistemarsi i capelli dietro l’orecchio.

Il silenzio, peggiorò solamente la situazione.

Max era lì davanti a tutti.

Cosa si faceva li?

Cosa avrebbero pensato di lei quei ragazzi, che lei stimava tanto?

Che cosa ci faceva lì, con i vestiti di Frank Iero e con delle fasce che coprivano i segni del suo tentato suicidio?

-Ciao…- sussurrò Bob, accennando un sorriso.

-C…ciao…- sibilò impercettibilmente Max.

-Perché non ti siedi qui, invece di stare lì impalata?- la voce di Frank risuonò nella stanza.

Quella non rispose e si sedette tra Gerard e il batterista.

Il silenzio ritornò.

Max, respirava affannosamente, quegli occhi che la fissavano erano pesanti più di cento macigni.

-Allora, se dobbiamo andare avanti con questo silenzio mortuario… meglio che ci cacciamo ora il peso! Lei è Max, è quella che si è quasi suicidata! Ecco fine!- sbottò Frank per poi riappoggiare le mani con forza sulle cosce.

La ragazza non rispose, ma quelle parole la colpirono come un dardo.

Spalancò gli occhi e strinse i pugni sui jeans, facendo raccogliere il tessuto.

Gerard tirò una forte gomitata all’amico che lo guardò stringendosi tra le spalle, annoiato.

-Coglione…- sussurrò Mikey alle sue spalle bevendo da una bottiglietta.

Max continuò a fissare le venature del parquet, aspettando un qualcosa che a quanto pare non arrivava.

I capelli ancora bagnati dall’acqua della doccia avevano inzuppato il collo del maglione.

Non le sembrava vero che la stessa persona che la sera precedente era stata così tenera con lei si potesse comportare in questo modo.

Aprì la bocca, come per parlare ma dopo aver tirato un gran sospiro la riserrò.

Si alzò in piedi e si diresse verso la camera da letto.

-E adesso che deve fare?- si lamentò Frank roteando gli occhi e cacciando le mani da dietro la nuca.

Max era rientrata in quella camera, aveva preso il suo zaino che era stato appoggiato accanto alla poltrona e se lo mise sulle spalle.

Prese le scarpe accanto al letto e le indossò senza legare i lacci.

-Ehi! Dove vai?- le chiese il ragazzo che era sulla porta, quella non lo fissò e scansandolo uscì dalla stanza.

La band seduta sul divano li guardava.

-Mi rispondi?!- domandò infine quello alla porta che sbatteva.

 

*

 

Ed ecco il freddo sole di febbraio.

Sporco di pioggia, privo di quel calore estivo che lo dovrebbe distinguere.

Le macchine facevano schizzare l’acqua lurida che ancora infestava le strade del New Jersey…

Max scese di corsa le scale, ad ogni gradino il dolore al braccio, da due giorni diventato la cantilena dei suoi attimi, aumentava.

Aprì il portone di vetro e si trovò sul marciapiede.

Sistemò lo zaino su entrambe le spalle e ne tirò fuori un pacchetto di fazzoletti.

Ne uscì uno e lo aprì, appoggiò i veli sulla mano. In pochissimi secondi quelli furono ricoperti di sangue e la carta andò a penetrare le ferite.

-Cazzo…- sospirò fissando il disastro sull’appendice destra. Prese un lembo del fazzoletto rimasto pulito, e lo tirò con calma.

Fu una sensazione orribile quella che provò.

Dopo aver abbandonato il fazzoletto a terra, tirò indietro la mano e la fece entrare nell’immenso maglione.

Sistemò la fine della manica chiudendola.

Non sapeva dove andare.

Casa sua non era di certo uno degli asili migliori dopo tutta la faccenda.

Le amiche, beh neanche loro avrebbero saputo accettarlo.

Sarah, solo lei le era rimasta, forse però troppo lontana, e poi con il sangue che stava perdendo non sarebbe potuta andare lontano.

Tossicchiò e si alzò i capelli, per evitare di bagnare ulteriormente il maglione.

Girò l’angolo alla sua destra e s’incamminò per la strada.

 

-Che stai facendo, ancora qui?- domandò Ray a Frank che aveva appena aperto la televisione.

-Io… mi guardo la televisione… tanto che qui nessuno ha voglia di lavorare…- rispose.

Gerard gli tirò una botta sulla mano e gli prese il telecomando, per poi incitarlo a seguire la ragazza.

-Ma santo Dio lei ha deciso di andarsene… che devo fare io?- domandò fissando l’amico negli occhi.

-Ora? Andare a chiederle perdono in ginocchio del fatto che sei un coglione!- diede risposta spegnendo la televisione.

 Il chitarrista cercò aiuto negli occhi degli altri che lo circondavano, ma l’unica cosa che trovò fu altro dissenso.

-Vado, vado! disse infine alzandosi e uscendo dalla casa.

Arrivò sulla strada; ora, solo alcune macchine ingombravano le corsie.

Si guardò intorno, nessuna traccia di lei. L’unica cosa che gli rimaneva da fare era ritornare nella sua calda casa e scusarsi con tutti, mentendo sul fatto di averla cercata in maniera zelante.

Ritornò verso la porta e spinse questa per entrare, ma si dovette fermare.

Sapeva benissimo che non se lo sarebbe mai perdonato. Questo peso sulla coscienza gli avrebbe reso ancora più difficile dormire la notte.

Respirò profondamente e riuscì.

Decise di imboccare l’angolo alla sua destra, il più vicino all’uscita.

Si voltò e perseguì la stradina per qualche metro.

Il sole scintillava a mala pena.

Finalmente riuscì a vederla: era vicina ad un albero e camminava strascicando le gambe pesanti.

-Max!!!- forse era la prima volta che la chiamava per nome, escludendo la scenata che aveva fatto poco prima.

Quella non si voltò.

-Ma certo che mi devi fare sempre faticare!- disse, iniziando a correre.

Finalmente la raggiunse.

-Che cazzo vuoi?-gli chiese brusca mentre continuava a camminare.

Frank scosse la testa e rispose. –Che torni sopra! Qui, combinata in quel modo morirai dissanguata…-.

-E se pure fosse? Non sono fatti tuoi!- urlò quella, fermandosi per guardarlo e per riprendere fiato.

-Ora, però, mi devi spiegare cosa ti costa risalire le scale e venire in un posto al caldo??- sbottò il chitarrista.

-Mi costa che…- respirò, ingoiando un po’ di saliva in eccesso. –Che non voglio essere sfottuta davanti a quei ragazzi!-.

-Io ho solo fermato quel maledetto silenzio imbarazzante!-.

-Ma tu sempre che devi riparare sei!Ma farti i fatti tuoi, no vero?!-.

-Possibile che nessuno riesca a capire che io lo faccio per bene… Cristo.-. Si passò una mano dietro i capelli e strinse il pugno.

-Allora … fai quello che cazzo ti pare! Io ho altro a cui pensare!- concluse voltandosi perdente.

Mise la mano nella tasca e ne uscì una sigaretta.

La mise in bocca e iniziò a cercare con foga l’accendino, mancante.

-Merda…- sibilò, sempre più su tutte le furie.

Max era rimasta lì a fissarlo, con un’espressione irritata e dolorante. Non riuscì a mantenere lo sguardo ancora a lungo, vedere il ragazzo cercare disperatamente l’oggetto la fece quasi sorridere.

Il riso. Cosa che non prendeva in considerazione da mesi oramai, solo, quando era in compagnia di questo ragazzo era riuscita a far ritornare quello sulle sue labbra.

-Tieni…- disse poi, ritornata alla calma, consegnando un accendino a Frank.

-G…grazie..- espose quello con la sigaretta ancora in bocca.

Come se il nervosismo precedente si fosse dissolto, si accese la cicca e inspirò il primo tiro, per poi ributtare fuori il fumo.

-Allora?- chiese poi, ritornando a guardare la ragazza negli occhi.

Quella sospirò.

-Mettiamola in questo modo… credo di aver intuito che ti piacciono i My Chem… e allora fallo per loro, io non riuscirò a suonare se ti avrò sulla coscienza…-.

Il tono indispettito del ragazzo si era finalmente tramutato.

-Per favore… -. Bastarono quelle due parole a convincere Max, due parole che le risuonarono nella mente, con la loro fresca e tenera melodia.

-Okay… ma lo faccio solo per loro…- rispose sarcastica, per poi allontanarsi e dirigersi verso casa.

Il rossore che l’era apparso sulle guance gli aveva dato un po’ più di vita.

-Appena arrivati sopra devo risistemarti quella mano… e sei pregata di non farmelo ripetere un’altra volta…- concluse lui.

I due si diressero a passo silenzioso e lento verso il palazzo.

 

-Secondo me lei lo ha morso…- Mikey che aveva occupato il posto di Frank, aveva appoggiato la testa nella spalliera del divano.

-Se è così, ha fatto bene…- assentì il fratello.

In quel momento la porta di casa si aprì e i due entrarono.

-Eccovi…- disse Ray che cercava qualcosa di commestibile nelle credenze.

-Senti, Bob mi prendi per favore delle garze nel cassetto dei medicinali…-iniziò il cantante, alla vista dei due.

Quello annuì e si avvicinò al posto e prese le bende.

Max che era riuscita a far sparire il rossore, si sedette accanto al bassista, che le sorrideva dolcemente.

-Fammi vedere la mano…- Gerard le apparve alle spalle, e dopo essersi seduto sul tavolino di fronte al divano le prese la mano.

-Dovremmo disinfettarla… ci sono rimasti dei pezzi di fazzoletto…- constatò, avvicinando il volto al palmo.

-No, stai tranquillo, va tutto bene…- cercò di calmarlo lei, mostrando un sorriso.

-No… ora provvediamo a fasciarla ed a disinfettarla… poi, andrà tutto bene…- sintetizzò per poi girarsi verso Frank.

-Frankey hai del disinfettante?- domandò.

-Mi sa proprio di no, ma se n’abbaiamo tanto bisogno, posso chiedere ai vicini, di certo loro ne avranno…- il cantante annuì e tornò a mostrare tutta la sua concentrazione sulla ferita.

-Intanto ti volevo dire, come rappresentante di noi tutti che non c’interessa nulla di quello che hai fatto, okay?- le chiese Ray, cercando di essere il più fraterno possibile.

Frank era già uscito dall’appartamento, prima che Max potesse rispondere alla domanda.

Scese i gradini a due a due. Fissò i nomi sui campanelli: Morrison o Harrison…

Quelli col bambino petulante, o quelli petulanti e basta?

Optò per il primo e suonò.

In quei pochi secondi che passarono dal premere il tasto all’aprirsi della porta, mille pensieri gli passarono in mente.

Era strano trovarsi in una condizione così complicata da numerosi punti di vista.

Ovviamente la presenza di una ragazza in casa non gli aveva mai creato fastidio, figuriamoci, lui era Frank Iero. Ma questa volta era diverso.

Oltre che per la situazione in sé, anche per il fatto che, questa ragazza aveva come ultimo pensiero quello di avere una relazione di qualunque tipo con lui.

L’unica cosa che bisognava a quella ragazza era qualcuno che la facesse ritornare in sé, e lui non era di certo la persona più adatta.

Non gli avrebbero affidato un essere umano in ottime condizioni, figuriamoci un caso di tentato suicidio.

Comunque, anche dopo aver pensato tutto ciò, non era arrivato ad altra situazione di tenerla da lui, almeno fino a quando sarebbe stata capace di tornare a casa con le sue gambe.

-Chi è?- la porta si spalancò, e un bambino di all’incirca 10 anni era sulla soglia.

-Ciao,Jeremy…- sbuffò il chitarrista.

Dopo discussioni e risposte ai genitori impiccioni, riuscì a recuperare una bottiglietta di disinfettante, tornò di sopra.

-Eccomi…- sospirò avvicinandosi al divano.

-Bravo…- sorrise Gerard senza guardarlo, prese la bottiglietta e dopo aver accostato la mano ad un fazzoletto, adagiò il medicinale sullo squarcio.

Max fece una smorfia, dovuta al bruciore.

-Male?- domandò Frank.

-No…- mentì la ragazza.

-Max, vuoi qualcosa da mangiare?- domandò Bob, mentre cercava nella libreria un qualche libro.

-Si, grazie…- rispose girandosi per fissarlo.

-Mikey, provvedi tu…- continuò il batterista.

-Ai suoi ordini… allora signorina, cosa le preparo?- domandò ridendo e avvicinandosi al fratello.

-Quello che vuoi, sto morendo di fame mangerei di tutto…-.

-Frankino, non hai pensato di darle niente da mangiare!- lo rimproverò, scherzando il bassista.

-Ma io non so, che padrone di casa snaturato…- si aggiunse Gerard, ridendo.

-Okay, mi prendo tutte le colpe… ma ora perché non vi state un po’ zitti?- sorrise Frank sedendosi accanto a Max.

-Allora? Okay?- domandò.

Quella annuì, spostandosi leggermente. Questo fece sbuffare Gerard.

-Ora stai ferma, che altrimenti dobbiamo fare tutto da capo…-.

-Ti consiglio di ascoltarlo, devi sapere che lui sembra tanto carino in televisione, ma è un pignolo…- sussurrò il chitarrista all’orecchio della ragazza, che si trattenne per poco dallo scoppiare a ridere.

-Guarda che ti ho sentito, Iero…- sbuffò il cantante.

 

*

 

-Era davvero buono… grazie, Mikey…- disse Max, appena ebbe finito di mangiare. Il bassista le sorrise e le prese il piatto per metterlo nel lavello.

-Allora, Max… - iniziò Bob, con scarsi risultati di attaccare un discorso, rendendosi conto solo dopo che in quella situazione erano poche, o addirittura inesistenti, le domande che erano lecite porre alla ragazza.

-Non ne hai vestiti dietro?- cercò di recuperare Ray, peggiorando solo la situazione.

-Sai, non avevo idea che mi sarebbero serviti…- disse la verità la ragazza, arrossendo.

-Si, scusa…-.

-Dai… facciamo così, qualcosa domani vado e te la prendo io…- si propose Frank, facendo tirare un sospiro di sollievo a tutti nella stanza.

-No, non ti permettere… già sto creando abbastanza disturbo, non voglio che tu debba spendere del denaro per me…- lo zittì immediatamente alzandosi.

-Non crei nessun disturbo, figurati…!-.

-E comunque non c’è bisogno, tra poco dovrei levarmi dai piedi….- continuò sedendosi sul divano, seguita da tutti i My Chemical Romance al completo.

-E dove hai intenzione di andare?- domandò Gerard.

-Ho un’amica un po’ lontano da qui… se riesco a partire anche domani, entro un paio di giorni dovrei essere da lei…-.

-Tu credi realmente che ti lasceremo andare via, in quelle condizioni?- domandò retoricamente Bob.

-Posso sperarlo…?- i membri della band scossero la testa e accesero la televisione.

-Ma mamma e papà?- domandò Ray, mentre l’amico sintonizzava su RockTv.

-Beh… sono vivi…- rispose Max , scomparendo tra i cuscini neri.

-Non ne vuoi parlare…?- richiese lo stesso.

-Si vede tanto? Comunque sì, non è uno degli argomenti a me più lieti…-

-Capisco… e di cosa vuoi parlare?-.

-Mhm… non saprei… libri!- concluse successivamente, voltandosi verso la fornita libreria alla destra del divano.

-Si… qualcosa alla quale potremmo interessarci pure noi…- constatò Bob.

-Con tutta questa meraviglia, avrete letto qualcosa …- Max si alzò e prese uno dei volumi, all’altezza del suo naso.

-Veramente, è roba che la nonna di Geer, gli aveva lasciato, più libri presi qua e là, ma forse n’avrò letti due… tre…- ammise Frank.

-Comunque, ti spiace se me ne prendo io… ? Poi te lo restituisco…- domandò.

-Certo, fai come vuoi… tanto non è che a me cambia tanto se ne sparisce uno…- rispose il chitarrista calmo.

-C’è l’imbarazzo della scelta…- Max si appoggiò un dito sul mento e iniziò a scrutare uno ad uno i volumi rilegati.

-Allora?- domandò Mikey. –Posso darti una mano a scegliere qualcosa?- il bassista si avvicinò.

-Tu almeno qualcuno ne hai letto?- chiese la ragazza.

-Si, posso vantarmi di aver letto quasi i tre quarti di tutti questi!- rispose gioviale lui.

-Ok… allora mi fido di te!-, i due risero.

-Senti Frank, ti posso parlare un attimo?- domandò Gerard, indicando con il capo la stanza degli ospiti.

Il chitarrista lo annuì e lo seguì.

I due entrarono e, l’ultimo a varcare la soglia, chiuse la porta.

-Che mi devi dire, Gee?- Frank si sedette sul divano-letto che risiedeva nella stanza.

-Cazzo Frank…- sorrise il brunetto appoggiato alla parete. L’altro che aveva iniziato a guardarsi la mano sinistra, fissò l’amico.

-Io non sono capace di tenerla qui…- sbuffò infine, per poi coricarsi.

-È quello che pensavo io… senza offesa, Frankey, ma non sei la persona più adatta per aiutare una ragazza in quelle condizioni…-.

-Lo so anche io questo. Ma che ci posso fare.. abbandonarla, non l’abbandono. E poi mi sembra che stia tanto bene qui…- Frank cominciò a fissare il soffitto.

-Si, ma… oddio, non lo so…- sbuffò il cantante, passandosi una mano sulla nuca, scivolando fino a terra.

-Io direi di dare tempo al tempo…-.

-Mi sembra che, dopo tutto, è l’unica cosa che possiamo fare…-.

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Capitolo 4
*** capitolo 3 ***


Chap 3

CHAP 3

 

Un altro giorno.

Alte 24 ore erano passate.

Aveva sorriso per la maggior parte di quei momenti; e ora, coricata sul letto, si domandava il perché.

Il letto matrimoniale, pulito da quelle lenzuola sporche, era più comodo del solito.

Frank aveva convinto la ragazza ad addormentarsi nella sua camera, mentre lui avrebbe dormito nella camera degli ospiti.

Max, ebbe bisogno di alcuni minuti per chiudere finalmente gli occhi stanchi.

Il sonno non si decideva ad arrivare. Passò un’ora a guardarsi le mani sotto le coperte, e vedere fino a dove era riuscita ad arrivare.

Aveva sempre sentito storie ai telegiornali su ragazzi che tentavano il suicidio, ma era stata sempre sicura di non giungere a tanto.

Ma quelle ferite, quelle bende, quel luogo, tutto quello che stava vivendo… provavano esattamente il contrario.

Notò il sangue incrostato sotto le unghie, quelle unghie che aveva sempre cercato di tenere pulite.

Avvicinò la mano alla bocca e con l’aiuto dei denti cercò di cacciare quella sporcizia.

Sputò immediatamente.

Nascose le dita sotto le lenzuola nere.

Si rese conto che alcuni movimenti della mano destra, le erano impediti.

Pensò che sarebbe dovuta andare in un ospedale per alcuni accertamenti, per controllare se le funzioni erano facilmente recuperabili o meno, ma non le sembrava giusto dare altre preoccupazioni Frank. Frank Iero. Il Frank che suonava nella sua band preferita. Il ragazzo che l’aveva aiutata.

Guardò la sveglia, che segnava le 10.35.

Decise che era arrivata l’ora di alzarsi.

Dopo essersi scoperta si diresse in bagno.

Il colorito sul volto stava iniziando a riapparire, ma le sembrava sempre troppo bianco. Mentre si specchiava notò sul lavabo una scatolina contenente alcune matite per gli occhi.

Decise di prenderne una, dopo averla applicata, si riguardò.

-Decisamente, meglio…- sussurrò.

Il parquet gelato, le dava sempre lo stesso dolore, controllò accanto al letto se ci fossero le scarpe ma nulla.

Si riappoggiò alle coperte, e si strinse le caviglie con le mani. Successivamente uscì dalla stanza.

-Frank?- domandò, timidamente.

Nessuna risposta.

-C’è nessuno?- richiese.

La casa era deserta, i suoi passi erano gli unici che risuonavano.

Sul tavolino, al centro del salotto, risiedeva il libro che aveva deciso di prendere.

“Il rosso e il nero”.

Dopo aver dato una nuova occhiata verso la cucina si coricò sul divano.

Prese il libro e lo aprì sulla pagina che aveva abbandonato.

Da quella ne cadde un bigliettino.

Io sono a girare, non ti ho voluto svegliare…! Dovrei tornare verso l’ora di pranzo!

 A dopo!

Baci… Frank.

 

Sorrise e posò il foglietto sul divano, continuando a leggere le pagine.

I minuti passarono come le righe scendevano sotto lo sguardo di Max.

Si fece mezzo giorno e mezza.

Arrivata già a pagina 380, decise di serrare la lettura e cucinare per lei ed il ragazzo.

Dopo tutto quello che aveva fatto per lei, questo era il minimo, che potesse fare.

Si avvicinò al frigo e lo spalancò, questo era pieno di roba impacchetta, il freezer era circa nelle medesime condizioni.

Non che fosse mai stata una brava cuoca ma aveva sempre adorato cucinare, o almeno aveva sempre amato fare qualunque cosa comprendesse l’uso di fornelli o fuoco.

Preso un impolverato libro di ricette nell’immensa libreria decise di eseguire la prima ricetta che le appariva dinnanzi: Pasticcio di patate al forno.

-Non sembra male…- si disse.

Prese un coltello e le patate, e iniziò a tagliuzzarle, con la mano sinistra. L’altra calata sul fianco tremava in modo involontario ogni minuto.

Dopo una mezz’oretta concluse la prima parte della ricetta, ma il dolore alla mano si era fatto troppo forte, decise di fermarsi.

Si sedette al tavolo, e appoggiò la mano sul legno.

Sua madre era infermiera ma non le aveva mai spiegato nulla di medicina.

Decise di provare a piegare ogni dito singolarmente.

Il pollice non dava problemi, come l’indice e il medio. Sfortunatamente le ultime due, in particolare il mignolo non rispondevano.

-Merda…- si lamentò tossendo, per poi voltarsi e notando che dalla pentola usciva un fumo poco invitante.

 

Finalmente era pronto in tavola, e giusto in tempo all’arrivo di Frank alla porta.

Il calore aveva fatto dilatare alcuni capillari che avevano ripreso a sanguinare, ma non le davano nessun problema.

Il citofono suonò.

Prima di andare a rispondere prese una fasciatura che Gerard aveva lasciato sul tavolo e l’applicò velocemente sulla mano.

-Si, chi è?- domandò.

-Io…- disse il ragazzo.

Il tono profondo e basso era inconfondibile.

-Ti apro…- sussurrò lei, prima di andare a sistemare le ultime cose in cucina.

Aspettò alcuni secondi e finalmente Frank entrò.

-Eccomi…- disse sorridente, lasciando la porta aperta alle sue spalle.

-Hai dormito comodo in quel divano-letto?- chiese Max , ancora sull’idea che avrebbe potuto dormirci tranquillamente lei lì.

-Benissimo… come non mai… e comunque, cos’è questo odorino?- domandò avvicinandosi alla cucina.

-Beh, dovevo trovare un modo per sdebitarmi… lo so che è una sciocchezza ma…-.

-Scherzi?! Ha un aspetto bellissimo! È più di un mese che non mangio roba fatta in casa…!- pronunciò baciando la ragazza sulla guancia.

Max sbatté le palpebre, quasi sconvolta da quel gesto.

-Posso chiudere la porta…?- domandò poi, andando verso l’uscio.

-Veramente…- iniziò Frank.

-Ci siamo noi!- Gerard mise la testa dentro  la porta, facendo sobbalzare la ragazza.

-Ah, scusate non sapevo foste qui…- si scusò.

-Non preoccuparti…- la calmò Mikey, mentre il fratello appoggiava un grosso pacco dall’altra parte della stanza.

-Oddio! Sento odore di cibo commestibile in casa di Frank Iero? Forse abbiamo sbagliato appartamento…- rise Ray, salutando Max con la mano.

Quella ancora sulla porta aspettava l’arrivo del batterista.

-Bob non c’è…- la rassicurò Frank.

-Io… ho preparato, solo per due…- disse a bassa voce, notando che tutti i ragazzi si erano avvicinati al tavolo.

Sentite quelle parole, la band si girò a fissarla.

-Ah…- sospirarono in coro.

-Ok… allora mangeranno… Max…- riprese Gerard, allontanando la sedia per far invitando la ragazza. –E mio fratello, che è sempre così sciupato…- rise, facendo apparire un riso sulla bocca di Mikey.

-No, io ho già mangiato mentre cucinavo, ve lo potete dividere voi il mio piatto…- li rassicurò lei.

-A parte gli scherzi… tu hai più bisogno di noi di mangiare… non sei proprio in gran forma…- riprese Frank, facendola avvicinare al tavolo.

-Ecco… bravo a Frank che qualche volta dice qualcosa di sensato…e parlando di ciò, come ti senti?- domandò Ray.

-Non male…- mentì con un tirato sorriso, come se la sua mano l’avesse sentita in quel momento iniziò a tremare.

Prese una forchetta e ingoiò un boccone, tenendosi da non rimetterlo; non che fosse brutto, ma il dolore era insopportabile.

-È davvero ottimo! Ti faccio i miei complimenti…!- assentì Mikey, non notando nulla, come il resto dei ragazzi dopo tutto.

Max si alzò di corsa, e andò in bagno.

Arrivata, si appoggiò al lavandino. Si sporse in avanti e rimise quell’unico boccone.

Si fissò.

Lo stimolo di vomitare, come il dolore non si era placato.

Riaprì la bocca, ma non avendo mangiato nient’altro, le sembrò di vomitare l’anima.

-Max, tutto okay?- le domandò Frank, bussando alla porta.

-Eh? Si, sto arrivando, tranquillo…-.

La porta si spalancò e lei barcollò fuori, vicino al letto.

-Che ti è preso?-.

-No, nulla … solo… il cibo… sai, il mio organismo è stato sconvolto da quell’enorme perdita di sangue…- disse sedendosi sulle lenzuola.

-Ora, deve riprendere il normale…- parlava a stento, controllando ogni singola parola.

-Okay… ho capito… dai vieni di là…-lui  gli allungò la mano, che venne subito afferrata.

Max, notò che il dito del ragazzo sfiorava le fasciature del polso, senza farle male, come per controllare che andasse tutto bene.

Arrivati di fronte ai ragazzi, lei lasciò immediatamente la stretta.

Frank guardò la sua mano vuota, quasi dispiaciuto.

-Stai bene?- le chiese apprensivo Gerard, avvicinandosi mettendole due mani sul viso e alzandolo, per guardarle meglio.

-Sì, sì…- sorrise quella, arrossendo, perdendosi in quegli occhi meravigliosi.

Quello, resosi conto che la stava imbarazzando, rilasciò il volto.

-Ora, però siediti…- Ray le prese un braccio e la fece accomodare sul divano.

-Che devo fare?- domandò, inarcando un sopracciglio.

-Tu, niente… Mikey!- il fratellino, appoggiò una grande busta sul tavolino basso.

-Tranquilla… non è una bomba…- la tranquillizzò Frank.

-Cazzo… che ti avevo detto??- chiese quella, voltandosi verso il chitarrista.

-Ma… è stato Gerard… io non ho fatto nulla…- si scusò. –Ma ora, chiunque sia stato… voglio vedere la tua reazione..!-

Quella sospirò, non riuscendo a nascondere un sorriso.

-Ed ecco qui!- Ray, alzò una magliettina a strisce bianche e nere.

-Per la taglia… ho preso quella che mi sembrava più simile alla tua, non sono mai stato un genio con le misure femminili…-.

-No, è perfetta…- e lo era davvero… come tutti gli altri vestiti che le avevano preso.

Jeans, maglioncini, camicie, cravatte… tutto perfetto.

-E allora cosa ne pensi?-

-Grazie ragazzi… ma non mi merito tutto questo… cavolo, già sto dando tanti di quei problemi…- .

-Smettila…-.

-No fatemi finire… io non voglio più rompere nessuno…- concluse.

-Finito?- domandò Frank, quella annuì.

-Allora parlo io… tu non mi dai fastidio… altrimenti ti avrei già mandato in mezzo ad una strada…quindi stai tranquilla…-.

Gli mise una mano dietro la testa, come sapendo quello che stava per accadere.

Infatti, quando Max appoggiò il viso sul petto di lui scoppiò in lacrime.

Singhiozzò amaramente un paio di volte.

Strinse i denti, per evitare di mostrarsi ancora così, ma comunque le lacrime bagnavano ancora quella maglietta e il suono di quei singhiozzi riempiva il silenzio.

Lui la strinse ancora più forte.

-Frank.. noi andiamo…- sussurrò Mikey.

-No… no… rimanete…- li bloccò Max, staccandosi da quel rifugio.

-Sei sicura?- chiese il bassista.

-Sì.. e scusa.. per la chiazza…- disse poi rivolta a Frank.

-Si lava… ora… vediamoci un po’ di televisione…-.

La ragazza mise i piedi sotto le sue gambe e appoggiò la testa alla spalla di Frank, socchiudendo gli occhi, mentre Gerard sintonizzava su un canale a caso.

 

*

 

Era passato qualche minuto da quando i ragazzi se ne erano andati.

Frank e Max erano ancora davanti al televisione.

-Ormai per questa settimana, dobbiamo rassegnarci… le nubi che provengono dal centro Canada oscureranno il nostro cielo, vero Pierre?- chiedeva il conduttore al collega.

-Peccato, saremmo potuti uscire a farci una bella passeggiata…- sbuffò Frank, con ancora Max china su di lui.

Dopo la scenata non aveva aperto bocca.

-Voglio solo dirti che io non sono in quel modo…- disse ad un tratto lei, cambiando completamente discorso.

-In che senso?-.

-Non sono di lacrima facile, anche se nessuno lo direbbe in questo periodo…- continuò, non smettendo di fissare lo schermo.

-Non devi preoccuparti, non sono qui per giudicarti…- la incoraggiò.

-E invece ne avresti di cose da dire…- rise Max amaramente.

-Dopo tutto ho solo tentato il suicidio…- aggiunse sottovoce.

Frank non riuscì a rispondere, ogni volta che si riapriva quel maledetto argomento, lui rimaneva impalato.

Deglutì.

-Non devi dire nulla… preferisco questo silenzio…-.

-Giustissimo Carl, specialmente verso la zona di Belleville ci dobbiamo aspettare dei bei nubifragi…-.

 

-Max…?-.

-Puoi lasciarla dormire poveretta?? -.

-Ma se la lascio dormire come faccio ad alzarmi, imbecille?- questa volta, la voce di Frank si era alzata forse un po’ troppo.

La ragazza, che si era assopita sulla spalla di lui, si svegliò.

-Ci sono…- sussurrò, alzandosi, passandosi una mano sulle labbra umide.

Bob, seduto sul tavolino che le stava di fronte, sorrise.

-Mi spiace che ti abbiamo svegliata, ma Frank deve venire con noi....- specificò Mikey alle spalle del divano.

-Figuratevi… e che avevo sonno e mi sono addormentata…- cercò di scusarsi.

Frank accanto a lei si stava stirando la spalla, con un’espressione dolorante.

-Ti ho distrutto l’arto?- domandò la brunetta.

-No, tranquilla… sono abituato a colpi ben peggiori…- rise, buttando un occhio a Gerard, che beveva un bicchiere d’acqua.

-Allora, siamo pronti?- domandò Ray, sulla porta.

-Si, eccoci… allora Max, ci vediamo sta sera… se faccio tardi, anche se non credo, ti chiamo…-assentì il chitarrista avvicinandosi all’uscio.

-Sembrate marito e moglie…- rise Mikey, già uscito.

-Okay, allora buon lavoro ragazzi… io credo che… non lo so, qualcosa la troverò da fare…- concluse alzando la mano sinistra e cercò di agitarla senza provare eccessivo dolore.

La porta si chiuse.

Si ritrovò da sola.

Come quella mattina, fissò il legno della porta per qualche attimo.

Decise di dare un occhiata nuovamente ai vestiti che le avevano portato i ragazzi.

Quei fantastici ragazzi, li conosceva da troppo poco e loro avevano fatto tutto quello per lei. Lei, una ragazza che fina a qualche giorno prima non aveva desiderato niente di meglio che porre fine a questo martirio, chiamato vita.

Uscì dalla busta il jeans blu scuro, con la camicia rossa e la cravatta nera e si trasferì nella camera da letto.

Prima però di arrivarci, rovesciando la busta, notò che ne era uscito un piccolo pacco.

Lo aprì e si chiese il perché non glielo avessero mostrato prima, ma capì.

La busta conteneva capi d’intimo. Sorrise e si portò tutto con se.

Si guardò allo specchio vicino all’armadio, ancora indossava i vestiti di Frank, che le stavano a dir poco immensi.

Si cacciò la maglietta e con questa anche il reggiseno che aveva sotto.

Si fissò un attimo, in quel periodo era decisamente calata di peso, le costole le si potevano intravedere attraverso la carnagione chiara. Sfiorò i buchi dati del flebo fattogli in ospedale e iniziò a vestirsi.

Indossato il tutto, l’unica cosa che mancava era la cravatta.

La prese e alzato il colletto, iniziò a fare il nodo. Era sempre stata brava in ciò: dopo tutto le cravatte erano il punto forte del suo abbigliamento.

Sistemata, notò che sarebbe stata perfetta per girare il nuovo video di Helena.

Prese la roba che si era cacciata e mise tutto a lavare.

Tornata nel salone si riaccomodò sul divano.

Il mal di testa che le era venuto per aver dormito le vietava di leggere il libro.

Aprì il televisore, ma prima che le immagini potessero apparire una musica risuonò nella stanza.

Capì immediatamente che era la suoneria del suo cellulare, questo si trovava ancora nello zaino, e a quanto pare la batteria non era ancora scarica.

Chi poteva essere?

Al solo pensare la risposta, le si irrigidirono tutti i muscoli.

Iniziò a pervenire una strana sensazione al petto. La sensazione di tensione che tanto odiava.

Partiva dal centro del petto fino ad arrivare alle orecchie.

Le note della musica continuavano ad andare.

Si alzò di scatto e andò in camera da letto, svuotò il contenuto della sacca sul letto e prese il telefono.

212-458212

Era il prefisso di Manhattan, il numero non le era familiare. Ma solo una persona di sua conoscenza abitava in quella città.

Sfortunatamente non fece in tempo ad accettare la chiamata che questa cessò.

Sarah aveva cercato di chiamarla.

Le due non si sentivano da tempo, oramai, la lontananza aveva logorato l’amicizia.

Ma anche con tutto ciò, rimaneva l’unica persona di cui si fidava.

Si chiese il perché la stesse chiamando proprio ora, o se i suoi genitori le avessero detto qualcosa.

Tossicchiò, e andò nell’elenco delle chiamate perse.

Fece per ripetere il numero un paio di volte, ma non ce la fece.

Sotto questa notò che ce ne erano ben 4 perse nelle ultime ore.

Due di queste era il numero di casa sua, le altre due dovevano corrispondere a quello di altri suoi amici.

Eppure non aveva sentito squillare il telefono, e forse con la televisione alta neanche i ragazzi ci avevano fatto caso.

Poggiò l’aggeggio nel cuscino accanto a lei, e da seduta riuscì a rannicchiarsi comodamente.

Chiuse gli occhi, rendendosi conto che non avrebbe potuto dormire o nascondersi per sempre. Ma per ora, era l’unica cosa che riusciva a fare.

 

 

 

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Capitolo 5
*** capitolo 4 ***


CAPITOLO 4

CAPITOLO  4

 

Era la seconda notte che quel letto la ospitava.

Non ricordava di essersi spostata nelle coperte, l’ultima cosa che vide prima di addormentarsi era la cucina al lato del divano.

Sicuramente Frank aveva deciso di metterla a letto.

Era ancora notte, i lampioni illuminavano a stento le vie, mentre il via vai delle macchine era ancora frequente.

3.05

Segnava la sveglia sul comodino.

Max si rigirò tra le coperte, sperando di riprendere sonno almeno fino a che il sole fosse salito in cielo, ma niente da fare.

Voltandosi aveva però notato che il letto non era grande come il solito.

Le sere precedenti le era stato permesso, dall’ampiezza del materasso, di stendere il braccio; ora invece, sentiva alle sue spalle un corpo estraneo.

Aveva notato anche precedentemente che il materasso pendeva leggermente alle sue spalle, ma non ci aveva fatto caso.

Si voltò lentamente, cercando di ricompensare ai movimenti bruschi fatti in precedenza.

Appoggiatosi dall’altro lato lo vide.

Non sussultò, non si mosse, rimase immobile a fissarlo.

Gli occhi scrutavano le labbra perfettamente rosee.

I capelli scompigliati sul viso facevano comunque intravedere gli occhi chiusi.

Con la mano si spostò un ciuffo dal viso e ritornò ad ammirare il ragazzo.

Riusciva a vedere, anche se poco, il tatuaggio sul collo di questo.

Sarebbe riuscita a stare ore a fissarlo. Mentre respirava. A guardare quei piercing che la facevano impazzire, o quei rimasugli di matita sotto le ciglia.

Nel fissarlo però le palpebre iniziarono a chiudersi.

La bocca si aprì in un profondo sbadiglio, dopo alcuni minuti cadde in un sonno profondissimo.

 

Frank aprì gli occhi.

Senza volerlo dopo aver disteso Max, aveva preso sonno anche lui.

La testa gli scoppiava per il lavoro svolto e per tutti i pensieri che lo stavano distruggendo.

Notò che la ragazza si era voltata e si trovava con il viso rivolto verso di lui.

Si passò una mano sugli occhi stanchi e assonnati.

Pur non leggendo l’orario sapeva che era troppo presto per alzarsi o per fare qualsiasi cosa.

Sentenziò di rimanere in silenzio a contemplare l’atmosfera e con essa, la ragazza che aveva di fronte.

Sospirava lentamente, quel fiato che gli usciva dalle narici, riusciva comunque a scostarli i ciuffi di lei dalla fronte.

Guardò per poco il braccio che aveva quella sotto il cuscino bianco.

Esitò a passare un dito sulle fasciature, un gesto che gli veniva istintivo fare ma che avrebbe di certo destato la ragazza.

Allora rimase immobile nella sua posizione anche se scelse di allontanarsi qualche centimetro, per quanto gli era consentito dal letto, dal viso di Max.

In quel momento gli occhi della ragazza si aprirono.

I due sguardi si incrociarono, nessuno dei due sussultò o divenne rosso.

Non un sorriso apparve sulle labbra dei due.

Il clacson di alcune macchine si udirono in lontananza, ma nulla riuscì a far muovere i due da quella posizione.

I respiri si scontravano l’uno contro l’altro.

Solo dopo qualche secondo, Max decise di voltarsi dall’altro lato.

Avendo voltato le spalle al ragazzo, gli angoli delle sue labbra si alzarono in un dolce riso.

 

Alcuni rumori provenienti dal bagno fecero sussultare Max, con lo sguardo rivolto verso quella stanza poté notare i movimenti del ragazzo.

Mentre si lavava i denti, accidentalmente fece cadere il porta sapone, e per fermare la caduta libera dell’oggetto, fece scontrare il porta spazzolini col pavimento, provocando un rumore assordante.

-Cazzo…- sussurrò lui, piegandosi per raccogliere il tutto.

Con gli occhi ancora non completamente aperti per il sonno, Max vide tutta la scena e non riuscì a trattenersi da un sorriso.

Quando Frank si accorse di ciò alzò lo sguardo e fissò la ragazza che si era avvolta con le coperte per non essere vista.

Il chitarrista si avvicinò al letto, mise una mano sulle poche ciocche nere che si intravedevano da sotto il piumone.

-Guarda che ti ho visto…- sussurrò dolcemente.

Pronunciate queste parole, baciò sulla fronte la ragazza e si allontanò.

Max rimase con gli occhi spalancati a fissare le lenzuola che si era tirata sulla fronte.

Poté sembrar strano, ma solo in quei momenti le veniva in mente che il ragazzo che le stava accanto era il suo Frank.

Quando la baciava, o le prendeva la mano… in quelle situazioni le saliva una strana sensazione alla bocca dello stomaco.

Strinse forte gli occhi, come per esser sicura che fosse tutto vero.

Lo era.

Con calma uscì dal letto, con la mano sinistra avvolta attorno al braccio destro si avviò per il salottino.

-Ben sveglia…- disse Frank, accostato alla cucina, mentre sorseggiava il suo caffé.

-Potrei averne una tazza anche io?- domandò ella.

Lui annuì, non potendo rispondere avendo la bevanda bollente in bocca.

Versò il contenuto della caffettiera in una tazza rossa e la appoggiò sulla penisola, tornando al suo posto.

-Mi spiace che tu mi abbia dovuto portare fino al letto, avrei potuto dormire tranquillamente sul divano…- esclamò lei dopo il primo lungo sorso.

-Ma non scherzare, non è stato per niente faticoso… sei piccola e leggera…- rise quello, finendo il suo caffé e appoggiando nel lavandino la tazza.

-Comunque, non abbiamo più parlato di come stanno i tuoi arti…- disse, non voltandosi, aprendo l’acqua e facendola traboccare dal recipiente.

-A volte mi provocano dolore… ma niente di che…-.

-Io direi di andare da un dottore nei prossimi giorni…- sentenziò il chitarrista guardando la mano destra, che mostrava dei tremori.

-Non sono d’accordo…-.

-Beh, la mia non era una domanda, ma un’affermazione…- tagliò corto; il discorso fu interrotto dal citofono.

Frank si avvicinò e rispose.

-Chi è?- domandò.

-Sì, un paio di minuti e scendo… non ti incazzare, siete arrivati in anticipo!- sbraitò ai compagni qualche piano più giù.

Dopo aver riagganciato la cornetta, si avvicinò al divano dove era appoggiato il cappotto.

-Ora vado, torno per l’ora di pranzo…- uscì dalla porta e la chiusa alle sue spalle.

Max si diresse ai fornelli e appoggiò anche lei la tazza nel lavandino.

Si sentiva tanto un animale domestico che il padrone lasciava in casa,  quando se ne andava e ritrovava al suo rientro, e stranamente non aveva da lamentarsi.

La casa era nuovamente semivuota.

Max si riappropriò del suo comodo divano.

Appoggiò la testa al solito cuscinone nero e iniziò a pensare.

Si stava approfittando della dolcezza di un ragazzo, aveva occupato la sua casa, il suo letto e lo aveva riempito di problemi.

Gli spifferi che entravano dalle finestre spalancate la fecero rabbrividire, ma non si alzò. Si strinse ancora tra quelle federe e si strofinò le braccia.

Si chiese se fosse arrivata l’ora di chiamare a qualcuno dei suoi famigliari, ma l’unica persona che con lei avesse un legame di sangue e con la quale riuscisse a scambiare qualche parola era ormai venuto a mancare da tempo.

Sarah, lei era l’unica sua possibilità, ma non avrebbe saputo cosa dirle. Sarebbe rimasta in silenzio, mentre l’amica la riempiva di domande sul perché avesse fatto tutto ciò.

Oggi era l’ultimo giorno di febbraio, la primavera era alle porte, ma il tempo fuori dalla finestra diceva tutt’altro.

Si soffiò tra le mani e se le strofinò l’una contro l’altra, finendo per imprecare contro se stessa.

La mano destra iniziò a dolorare ancora di più.

Sporse il braccio dietro alle sue spalle, facendo sparire le bende dietro di se.

Non che fosse esperta di medicina ma sapeva che se i legamenti erano stati lacerati in modo serio avrebbe dovuto ricorrere alla chirurgia, ed era l’ultima cosa che avesse intenzione di fare.

Avrebbe resistito un altro paio di giorni, fino a che non si fosse allontanata da quella casa e allora, avrebbe dato il permesso ai dottori di riaggiustarle l’arto.

Ma fino ad allora avrebbe fatto a meno delle due dita e avrebbe sopportato il lancinante dolore a denti stretti.

Allora, si sentì nella casa il suono del campanello della porta.

Max sussultò e si diresse verso la porta.

Dopo aver guardato dallo spioncino e aver notato un ragazzino dall’altra parte, aprì.

-Salve!- disse quello, gli occhiali stavano a stento in equilibrio sul piccolo nasino.

I capelli biondi, ricoperti di gel, alzavano la figura del bambino di qualche centimetro, facendolo arrivare poco sopra il fianco di Max.

-Ciao piccolo…- rispose al saluto.

-Mamma e papà sono fuori, la mamma mi ha detto che il signor Iero mi avrebbe potuto ospitare, mentre loro sono fuori…- pronunciò tutto d’un fiato, mostrando alla ragazza la mancanza dei piccoli dentini da latte posti nella parte anteriore della bocca.

-Allora, il signor Iero non è in casa… ma ci sono io, se vuoi ti posso tener compagnia …-.

-Okay…- finì entrando in casa, passando comodamente sotto il braccio di Max.

-Allora, come ti chiami?- chiese quella sedendosi accanto al bambino che aveva già sintonizzato sui cartoni animati.

-Jeremy…- sussurrò, con gli occhi che riflettevano le immagini colorate.

-E quanti anni hai?-.

-Ne compio 6 ad aprile…- rispose, alzando sei dita verso la ragazza, facendola sorridere.

-Sei un ometto, allora…! E dimmi Jeremy, capita spesso che Frank ti faccia rimanere a casa con lui?-.

-A volte… anche se quasi sempre, io rimango a giocare con il suo amico con tanti capelli…-.

Max rise.

-Ray, ha la faccia di chi è portato con i bambini…- sospirò, buttando un occhio alla televisione.

-Che ti è successo alla mano?- domandò Jeremy, indicando l’arto destro.

-Mi sono tagliata…- rispose con calma.

-E ti fa male?- chiese quello, disinteressandosi alla televisione.

-Si, abbastanza…-.

-E non vai dal dottore?-.

-No…-.

-E perché?-.

-Perché… ho paura…- rispose sinceramente, mentre il bimbo le afferrava la mano dolorante con estrema delicatezza.

-Mia mamma dice che non si deve avere paura dei dottori…-,

Max arrossì: esser ripresa da un bambino.

-La mamma ha ragione…-.

-E allora ti farai visitare?- chiese, alzando gli occhiali rossi.

-Va bene…- rispose.

-Brava…- lui riappoggiò la mano di quella sul divano e ritornò a guardare la televisione.

 

Verso le due meno un quarto i genitori del bambino non erano ancora rientrati. Contrariamente Frank aveva appena aperto la porta di casa.

-Eccomi… sono stanchissimo è stata una giornata pesantissima…- sentenziò, lanciando il cappotto sul divano di fronte a se.

-Salve!- salutò Jeremy, seduto sui cuscini, alzando la manina, che apparve dietro il grosso bracciolo.

Il chitarrista sussultò e si avvicinò al fanciullo.

- E tu cosa ci fai qui?-.

-I miei genitori non ci sono, e io sono rimasto qui con Max…- diede risposta alzandosi, non cambiando la situazione di sbilancio di altezze tra lui e Frank.

-Ah, capisco… Max!- chiamò quello, allentandosi e andando accanto alla ragazza.

Lei sorrise e si voltò per guardarlo.

-Sei viva! Mi aspettavo che quella poste ti avesse mangiato…- sospirò.

-Ma dai… è tanto carino…-.

-Sì certo, tutti dicono così all’inizio…- Max rise. –Comunque ti sta davvero bene il grembiulino rosa…- finì il chitarrista.

Mentre la ragazza era tornata a mescolare la pasta che stava preparando si sentì chiamare.

-Max, lo sai che oggi viene a casa mia mio zio?- domandò Jeremy.

Frank sbuffò –E chi se ne frega?- sussurrò.

Lei gli diede una gomitata e si avvicinò al bambino.

-Tuo zio… e come si chiama?-.

-David… è canadese… ogni volta che viene, mi porta tantissimi regali!- esultò saltellando sul divano.

-Allora, oggi sarà una bella giornata…-.

Quello annuì contento, facendo scivolare le lenti.

Max si alzò passandogli una mano tra i capelli.

-E tu non ce l’hai uno zio che ti porta i regali?- domandò Jeremy.

-Prima sì… ma ora non c’è più…- sentenziò, rimanendo a guardare il bambino che sembrava non aver capito.

-E dov’è?-.

-Beh…- quella non seppe cosa rispondere.

-Forse anche lui è canadese, ed è tornato là…- propose, Max annuì ridendo amaramente.

-Sì, hai ragione tu…-.

-E lui ti portava i regali?-  continuò a chiedere.

Frank dopo aver sistemato la tavola, si appoggiò alla penisola per ascoltare il discorso.

-Sì, me ne portava tantissimi, era uno zio bravissimo… era un poeta…- la ragazza si riaccomodò.

-Quindi inventava le poesie per te?-.

-Anche… e poi me le recitava per farmi addormentare…-.

Il bimbo rimasto con la bocca aperta, serrò le labbra al suon del citofono.

-Mamma e papà!- esclamò, dirigendosi per rispondere.

Dopo esser saltato leggermente per prender la cornetta rispose.

-Casa signor Iero e Max, chi è?-.

I due ragazzi risero, per poi guardarsi.

-Zio! Si arrivo!!- esclamò, felicissimo.

Lei  prese il giubbottino del bambino e lo portò vicino alla porta.

-Max, io vado…-.

La ragazza si abbassò per fargli indossare l’indumento e dopo che ci riuscì, lui le schioccò uno bacio sulla guancia.

-Grazie, ciao!- uscì dalla porta.

 -E chi era questo zio?- domandò Frank alla ragazza, che si stava avvicinando.

Quella scrollò le spalle.

-Scommetto che non si trova in Canada…- cercò di sdrammatizzare, facendola ridere.

-E no… è morto un anno fa… l’undici aprile di un anno fa…-.

-Mi spiace…eri molto affezionata?-.

-Si, era l’unica persona della mia famiglia su cui potevo realmente contare…poi quando anche lui è sparito…- la voce le si strozzò in gola, facendo compagnia alle lacrime che stavano per uscire.

-Se vuoi parlarne… io sono qui…- cercò di consolarla il chitarrista.

-Ma a  che serve parlarne, lui è morto…la storia finisce qui…- concluse, alzandosi lasciando intatto il suo piatto di pasta.

Frank, fissò la sedia vuota e sbuffò, prima di tornare a pranzare, ma subito dopo aver inghiottito il primo boccone, abbandonò anche lui.

Decise però di non alzarsi e stare a guardare la ragazza, seduta sul divano.

Max, aveva gli occhi che traboccavano di lacrime, singhiozzava amaramente. Guardava fisso davanti a se, tirando su col naso ad ogni scoccar di secondo.

Le lacrime tracciavano linee sul volto rosso.

Quando si sentì osservata, voltò il viso verso Frank, che in silenzio la scrutava.

Non riuscì a dire nulla, si abbassò solamente, nascondendosi dai cuscini.

Quello convinse il ragazzo ad alzarsi, le si sedette vicino.

-Basta piangere…- le disse asciugando ogni goccia che usciva da quegli occhi tristi.

-Basta…- continuava, cercando di sorridere.

Lei, accettando le sue carezze, lo guardava come una bimba che fissa il padre che la consola.

Dopo qualche secondo si calmò.

Allontanò il viso dalle mani di lui e tirando su le gambe, le abbracciò.

-È morto il giorno del mio compleanno… sono stata ad aspettarlo tutta la notte, pur sapendo che era morto…- confessò, cercando di non tornare a piangere.

-Era l’ex-marito della sorella di mia madre, anche dopo il divorzio lui mi è rimasto sempre accanto, e io sono rimasta vicino a lui…Diceva che ero la sua unica ragione di vita, quando è morto mi sono sentita insignificante…-.

Frank la guardava in silenzio, meditava su ogni parola da lei pronunciata.

-Se lui era morto… io a cosa sarei servita più?- domandò Max amaramente, non fece uscire nessuna lacrima.

Si voltò versò il ragazzo.

Passarono alcuni attimi in silenzio.

-Ecco tutto…- tirò per l’ultima volta su col naso e si diresse in camera da letto.

Prese il telefono che aveva posato nel comodino.

Ritornò nel salottino.

-Che fai?- le chiese Frank, sistemandosi sul cuscino.

Quella non rispose, aprì lo sportellino e avviò l’ultima chiamata ricevuta.

Primo squillo

Secondo squillo.

Si sentì il suono della cornetta che si alza.

-Salve, qui risponde la segreteria telefonica di Sarah McKenzie se avete bisogno di qualcosa lasciate un messaggio dopo il segnale acustico, vi richiamerò al più presto! Baci!-

-Ciao… sono io… ho visto che hai cercato di chiamarmi… speravo non fossi in casa… comunque io, ora… credo di essere pronta…beh, ciao…- giusto in tempo.

Il secondo segnale acustico risuonò.

Max, chiuse la chiamata e appoggiò il telefono sul tavolino.

-I tuoi genitori?- chiese Frank.

Quella scosse la testa.

-Amica?-.

La ragazza annuì.

-Hai fatto bene, anche se io ti ripeto che qui puoi rimanere quanto vuoi…- la tranquillizzò.

-Lo so Frank… e ti ringrazio per questo, ma non posso scappare per sempre, no?- chiese ironicamente con un sorriso che esprimeva tutto tranne che gioia.

-Va bene piccola…ora io però vado…- Frank la baciò sulla fronte, come di consueto.

-Comunque se non vuoi stare sola, posso dire ai ragazzi di rimandare le riprese…-.

-Non pensarci neanche… vai! Su, il lavoro ti aspetta! E comunque… riprese di un nuovo video giusto…?-.

-Sì, ma non posso dire niente…-.

-Okay, in ogni modo “Famous last words” era davvero meraviglioso…tanto fuoco… mi è piaciuto tantissimo!-.

-Grazie… anche a me piace molto, comunque parlando di fuoco… io ho ancora il tuo accendino…-.

-Non preoccuparti, non fumo, puoi tenerlo…- lo anticipò lei.

-E a cosa ti serviva allora?- domandò quello curioso.

-Beh… nulla…- rispose lei, alzando le spalle. Sperando che il ragazzo cambiasse discorso.

-Okay, tanto ho capito… ricorda che sono amico di un certo Gerard Way, i piromani li riconosco…- disse scherzoso.

-Non sono piromane, scemo!- rise anch’ella , tirandogli un cuscino in testa.

-Va bene… facciamo finta che ci creda…- continuò Frank  rilanciando il cuscino, avvicinandosi alla porta.

-Ora vado, cerca di non incendiare la casa…- rise uscendo.

Max non riuscì a rispondere.

Si sedette comodamente sul divano, e rise.

Con il viso sereno, fissò il cellulare… ora era realmente pronta a parlare… non sapeva cosa avrebbe detto, ma qualunque cosa fosse era arrivato il momento, e sapeva che era solo merito di lui.

Quel maledetto ragazzo che l’aveva salvata.

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** capitolo 5 ***


Capitolo 5

Capitolo 5

 

La pioggia, incessante, batteva sui vetri.

Anche se il sole si era alzato da qualche ora, le nuvole coprivano totalmente la sua luce.

L’umidità tipica aveva portato con se a le influenze e i raffreddori altrettanto tipici.

Fortunatamente, né Frank né Max risultarono contagiati.

Erano passati due giorni, dal momenti in cui Max aveva cercato di rintracciare la sua amica.

Sarah non si era fatta ancora viva, la batteria del cellulare era oramai agli sgoccioli.

Max, distesa ancora tra le lenzuola, tossicchiava leggermente.

La notte precedente l’aveva passata a fissare il telefono, immobile sul comodino.

Frank si era accomodato accanto a lei e in silenzio, entrambi, avevano aspettato.

Circa verso mezzanotte lei si era alzata senza dire una parola e si era coricata, con le lacrime agli occhi.

Non le veniva in mente un motivo per cui la sua amica non l’avesse chiamata.

Oramai gli occhi di Max erano completamente aperti.

Ancora con la testa tra i guanciali, sospirava, tirandosi la coperta sul capo.

Ad un tratto bussarono alla porta.

-Si può?- la voce di Gerard era penetrata nella stanza.

Al non udire risposta, comprese che poteva entrare.

-Ciao Gee…- disse lei, sorridendo.

-Buongiorno a lei Madama…- rise lui.

Max, cercando di issarsi sul letto, si provocò un dolore alle braccia che le provocò un sussulto.

-Ehi, Ehi!- Gerard le si avvicinò, prendendola dai fianchi, per farla sedere.

-Andare da un dottore no, eh- chiese ironico.

-Ssh…- fece lei –Non ricordarlo a Frank…-.

-Mi sa che più che altro, lo dovresti ricordare a te stessa, e non a Frank…-.

Quella sbuffò amaramente, e uscì dal letto, stirandosi.

-Ti sbagli, io so benissimo com’è la mia condizione.-.

-E ti va bene?-.

-No, ma questo non vuol dire che per un mio piccolo fastidio devo chiamare in allarme tutto il mondo…-.

-Se è questo il problema, fatti dire che sei una stupida…-.

Pur sentendo e accogliendo il modo gentile, Max pensò molte volte nei giorni che si susseguirono, a quelle parole.

-Lo so, ma ti prego, ancora non sono pronta…- sibilò.

Il vocalist, non infierì, dolcemente le sfiorò la guancia e la invitò a raggiungere gli altri nella sala accanto.

Frank era seduto sul divano, col telecomando in mano.

Mikey e Bob erano sulle poltrone accanto ad esso e guardavano i programmi trasmessi.

-Salve…!- disse

-‘Giorno principessa…- rise Frank.

-‘Giorno, ranocchio…!- rispose quella, sedendogli accanto.

-Qualche notizia di Sarah?- domandò Ray.

-No, ancora non si è fatta sentire… mi spiace di dovermi trattenere ancora più a lungo qui, ma non so dove altro andare…-quando finì di pronunciare la frase, Frank le tirò una cucinata.

-Questa è la risposta. Non permetterti neanche di dirlo…-.

Max sorrise, si girò verso Frank, e abbracciandolo gli baciò la guancia.

Lui arrossì, non smettendo di fissare lo schermo, come non volendo farlo notare più del previsto.

-Grazie, Frank Iero…- rise Max, tornando anche lei a guardare il televisore.

 

-Sei sicuro di voler cucinare tu?- domandò lei, seduta sul divano a gambe incrociate.

-Sì, non voglio farti sentire come la mia schiavetta… quindi, ora stai tranquilla…- rispose Frank , vicino ai fornelli con un tovagliolo sulla spalla destra.

-Il problema è sapere adesso cosa cucinare…- disse tra sé e sé.

-Cosa?- domandò Max, non essendo riuscita a  recepire tutte le parole.

-Niente…- la ragazza, notò il cellulare che risiedeva ancora nello stesso identico luogo della sera precedente.

Sintonizzò su “I Simpson”, qualche risata non le avrebbe di certo nociuto.

Qualche secondo dopo, si sentì una leggera vibrazione, e le note di “Helena” si alzarono per casa.

Lo schermetto del cellulare si era illuminato di una fioca luce azzurra, data dalla batteria scarica.

Max lo prese velocemente, rischiando quasi di farlo cadere.

Aspettò il quarto squillo prima di decidersi a rispondere.

-Pronto…?- disse, facendo seguire la parola da una breve tosse.

-Max?- la voce di Sarah era acuta e squillante come al solito.

-Sì….- riuscì a rispondere la ragazza, prima che la voce le si strozzasse.

-Come stai?- chiese quella , tranquillamente.

-Sto… sono a casa di un amico… hai sentito i miei?-

-Sì, sono molto preoccupati per te, Max… chiamali… almeno per far loro sapere che stai bene…-.

-Non credo sia il momento adatto…-.

-E quando credi che questo avverrà? Quando li farai morire di infarto?-.

-Sei già arrivata in città?- domandò Max, sapendo che l’amica non sarebbe rimasta impalata nel suo appartamentino nella grande mela.

-Sì, e mi piacerebbe molto sapere dove sei…-.

-In questo non so se posso accontentarti…- concluse, dando un occhiata a Frank, che si stava avvicinando.

-Finalmente ha chiamato…- sospirò il chitarrista, prendendole il telefono dalle mani.

-Ciao…- disse, mentre Max lo guardava prendersi cura di lei. Per la seconda volta.

-Senti, non so se tu mi conosci… ma io abito sai vicino al…- iniziò a spiegarle nei minimi dettagli dove esso abitava.

Max, non sapeva se reagire chiudendo il telefono, o ringraziarlo dal profondo del cuore.

Lui era sempre vicino a lei, per aiutarla, a sorreggerla, cosa avrebbe fatto quando le loro strade si fossero divise?

Finalmente il ragazzo riattaccò e le si accostò, porgendole il cellulare.

-Verrà oggi pomeriggio…-.

-Non me ne voglio andare…- si fece scappare Max, diventando tutta rossa.

-Tranquilla, non te ne andrai…- la rassicurò lui.

 

*

 

L’ora di pranzo passò più velocemente del solito.

La televisione riempiva la stanza con quel rumore che mancava tanto, in quei momenti.

Max fissava il piatto, senza nessuna voglia di mangiare.

-Dovresti magiare qualcosa…- la incitò lui, continuando a ingurgitare le pietanze.

-Non ho fame..-  rispose quella.

-Sì, ma se non inizi a magiare stai tranquilla che la fame non ti tornerà…-.

La ragazza non sbuffò, e scostò in bacino in avanti, scivolando sulla sedia.

Scosse i lunghi capelli neri.

Frank la guardò, estasiato da quel viso.

Max, alzò ulteriormente il ventre, emettendo uno strano verso.

Il chitarrista ancora fisso su di lei, non riusciva  a smettere di guardarla.

Notò una piccola cicatrice, sotto il mento.

Guardò le labbra, e infine si bloccò sugl’occhi, che ella spostava dal piatto al televisore.

Neri.

Profondi.

Ad un occhio disattento, forse, vuoti… ma per lui ricchi di tutto.

-Tu pensi che verrà?- domandò ad un tratto.

Frank, ritornato sulla terra rispose. –Certo.-.

-Dimmi che non verrà…- continuò lei, guardando il programma televisivo.

-Non illudermi…- finì, con voce placida.

Lui rimase in silenzio.

Allora si sentì il suono del citofono.

Max, alzandosi di scatto, si avvicinò all’apparecchio.

-Si…?-.

-Max, sono Gerard…-.

Quella tiro un sospiro, forse di sollievo, ed aprì.

-Gerard…- sussurrò a Frank, per poi appoggiarsi alla parete e scendere giù, fino a terra.

Frank, dopo aver appoggiato i piatti dentro i lavandino,spalancò la porta all’amico.

-Salve…- il cantante oltrepasso la soglia, e notò Max a terra.

-Ehi, tu che ci fai laggiù?- chiese, porgendole la mano.

-Controllavo le mattonelle…- rispose quella, alzandosi.

-MI immagino che divertimento…- rise Gerard.

-Se vuoi la prossima volta, ti invito, e lo facciamo insieme…- continuò Max, ridendo.

-Okay, guarda che ci conto…-.

-Certo che siete bellissimi, fate pure botta e risposta su delle cazzate smisurate…- si intromise Frank, facendo voltare entrambi.

-Ha parlato…!- dissero in coro.

-Okay, comunque Gee, hai visto qualcuno sotto?- domandò la ragazza.

-No, mi spiace, aspettavate qualcuno?-.

-Ha chiamato Sarah, ha detto che sarebbe venuta questo pomeriggio…- diede risposta il chitarrista.

-Ancora non è pomeriggio, poveretta datele tempo di digerire il pasto…-.

-Conoscendola, non avrà toccato cibo da quando ha saputo quello che mi è successo…- sorrise amaramente, Max, accoccolatasi sul divano.

Gerard, si strinse nelle spalle, e guardò Frank.

-Oggi sarà l’ultimo giorno di ripresa… finalmente…- gli disse.

-Oggi?-.

-Sì, lo so che non ti puoi muovere, ma abbiamo delle date… non possiamo fare altro…-.

Frank si passò una mano tra i capelli, stringendo con forza e rabbia le ciocche.

-Puoi andare…- sussurrò la ragazza, che dopo essersi coricata, stava ora fissando il soffitto.

-Sicura?- insisté, apparendo dalla spalliera.

-Certo, me la so cavare da sola…- rispose, sorridendo, alla vista del viso di lui.

-Se ne sei certa…- detto questo la baciò la fronte bianca e indossò il cappotto.

I due uscirono, chiudendo la porta.

-Sì, certissima…- disse Max, come per darsi coraggio, rimasta sola.

I minuti, le ore passarono.

Ancora nessuno arrivò nella casa.

Il libro, finito, giaceva a terra.

Max, con un cuscino tra le braccia, guardava le coppie di personaggi che si alternavano sullo schermo.

Ad un tratto qualcuno arrivò.

-Chi è?- disse Max, appena arrivata al citofono.

-Max, sono io…-  era la voce di Sarah.

Quella aprì, e aprì la porta.

Tirò istintivamente le maniche verso i polsi.

Si appoggiò al divano, aspettando.

Abbassò il capo, facendo ricadere le ciocche nere sul viso.

-Posso?- chiese Sarah.

Max, alzò la testa, senza essersene resa conto, aveva iniziato a piangere.

Non sentiva le lacrime che uscivano, ma le sentiva invece sulle guance, correre per poi cadere a terra.

Sarah, la guardò.

Non disse niente, le si avvicinò in silenzio e l’abbracciò.

La strinse a se.

-Piangi-.

Quella, ancora con le braccia lungo i fianchi, esplose.

Singhiozzò, bagnò la spalla dell’amica. I capelli biondi di questa, coprivano il viso dolorante di Max.

Era forse, la prima volta che la situazione si svolgeva in questo modo. Quasi sempre era Sarah, dopo qualunque delusione, a piangere sulla spalla della amica.

Max, considerata da tutti una roccia, era ora debole come un castello di carte.

-Ehi dai basta, basta, basta…- le sussurrò Sarah all’orecchio, non smettendo di ripetere le ultime parole.

-Con chi vivi qui?- chiese dopo qualche minuto, l’amica.

Max, staccatosi dalle spalle di quella, si era seduta sul bracciolo del divano.

-Un ragazzo…- rispose, asciugandosi gli occhi.

-E questo ragazzo, io lo conosco?- domandò poi.

-In un certo senso sì….-.

Sarah fissò l’amica.

-Certo che chiunque sia, deve avere un bel po’ di soldi… questa casa è una reggia !-.

L’argomento preoccupante, non era stato neanche sfiorato, e Max preferiva tenere la situazione in questo modo.

Allora il telefono di casa squillò, la ragazza si diresse a rispondere.

-Si…?-.

-Max, sono Frank… senti potresti controllare se ho lasciato il cellulare in cucina?- chiese il ragazzo dall’altro lato della cornetta.

-Sì…- rispose, notandolo sulla penisola.

-Okay, allora sto tornando a prenderlo… a fra poco…- e riattaccò.

-Ora, se ti interessa sta tornando il padrone di casa… così lo puoi conoscere…-.

Sarah sorrise e si sedette sul divano, facendo accomodare l’amica di conseguenza.

Le due si appoggiarono l’una all’altra.

-Non ti chiederò nulla… aspetterò finché non sarai pronta...-.

-Grazie….- riuscì solo a dire Max.

Il silenzio durato minuti, fu interrotto dall’arrivo di Frank.

Quello, stranamente non suonò e le due lo videro direttamente aprire la porta di casa.

-Ehi… eccomI…-.

Sarah si voltò e lo vide.

-Porco cazzo… tu sei Frank Iero…- si disse, alzandosi.

-Eh, sì…- rispose quello chiudendo la porta alle sue spalle, avvicinando la mano che fu stretta immediatamente.

Sarah si voltò verso Max, che fissava i due.

-Ecco il “ragazzo”…-.

-È un piacere conoscerti…- sorrise il chitarrista.

-Il piacere è tutto mio, Frank Iero…- lui, con un altro sorriso, si avviò a prendere il cellulare.

-Frank Iero… Frank Iero?!- chiese, isterica all’amica.

-Sì…- rise.

-Beh, io devo andare… che Gee mi aspetta sotto… e voi avrete di certo molte cose da dirvi…-.

-Gee… Gerard Way?- domandò al ragazzo.

Lui annuì.

-Se ti svengo sul pavimento, succede qualcosa?- esclamò, sarcasticamente.

-Basta, che non mi muori, che poi inizi a puzzare…- Frank, con un gesto di saluto, uscì.

Sarah, si sedette vicino alla ragazza, con una strana espressione sul volto.

-E tu volevi tenermi all’oscuro di tutto?-.

-No… beh quasi…-.

-Era Frank… Frank Iero…-.

 

*

 

 

 

-Quindi non vuoi dire nulla ai tuoi?-.

Le due ragazze erano sedute al tavolo, mangiando due brioche che Frank aveva lasciato quella mattina.

-No… e ti pregherei di non intrometterti…-.

-Lo sai che se lo farei, lo farei per il tuo bene…- continuò Sarah, ingoiando un boccone.

-Sì, ma comunque tu non lo farai… non farmi pentire di averti chiamato.-.

-Prometto che non lo farò!-.

Max, rise al tono sicuro e rassicurante dell’amica, di quell’amica che aveva sempre considerato come sua sorella.

Alla morte dell’amato zio, l’unica che aveva accettato di vedere, era lei; neanche i suoi genitori erano riusciti a consolarla.

Le due erano amiche sin dalle elementari.

Sempre così diverse, una bionda e l’altra bruna, una con gli occhi luminosi come il cielo e l’altra oscuri come la notte. Il fatto che passavano molto tempo insieme,però, aveva permesso loro di assomigliarsi.

I sorrisi, le espressioni, le frasi, erano divenute comuni ad entrambe.

-E invece per queste braccia, quando hai la visita?-.

-Se devo essere sincera, non l’ho ancora prenotata…- diede risposta quella, a bassa voce.

-Ma sei impazzita?- quasi urlò.

-Non voglio dare altri pensieri a Frank…-.

-E per questo hai deciso di volerti privarti dell’uso delle dita?-.

-No, anche perché credo che non ce ne sia bisogno…- constatò, voltando il capo.

-Avrai sicuramente distrutto qualche tendine… lo sai che per ripararli si deve ricorrere ad un’operazione?-.

-Non esagerare… sto benissimo…-.

-E allora se stai benissimo, afferra quel fazzoletto…- propose Sarah, incrociando le braccia.

Max, prese l’oggetto con la mano destra, e strinse.

-Con tutte le dita…- le ordinò l’amica.

Le ultime due dita, erano rimaste immobili, come morte.

Gli impulsi che il cervello cercava di inviare non arrivavano a destinazione.

Infine, lanciò l’oggetto a terra.

Si guardò la mano, scossa da alcuni brividi.

-Vai da un dottore, Max…-.

Quella alzò lo sguardo, arrabbiato e deluso e annuì.

 

Le ragazze passarono insieme un altro paio di ore.

Fattesi le sette, Sarah disse all’amica di dover andare.

-Ho l’aereo che parte fra un’ora…-.

-E quindi torni a New York…?-.

-Sì, ma lo sai vero che di qualunque cosa tu abbia bisogno io ci sono, vero?-.

Max, cercò di sembrar convinta, mentre annuiva, ma tutto quello che aveva fatto diceva esattamente il contrario.

-Ti prego promettimi che non farai mai più una cosa del genere…-.

-Te lo prometto…-.

Le due si abbracciarono.

-Ti voglio bene…- disse Max.

-Anche io, te ne vorrò per sempre, ricordalo…- detto questo si allontanò, e sparì oltre la porta.

Max si ritrovò a fissare la porta.

Si sedette per aspettare Frank, appoggiò la testa tra le braccia, dopo aver appoggiato queste al tavolo e attese.

Ed ora? Cosa avrebbe fatto? Avrebbe fatto radici su quel divano, in casa di un ragazzo che avrebbe avuto di certo qualcosa di meglio da fare che stare dietro ad una come lei.

Sbadigliò e si stropicciò gli occhi.

Rimase seduta fino al ritorno del chitarrista, che si avvicinò con una sedia a lei.

-Visto?Sei ancora qui con me…- rise.

Quella, rispose al sorriso e si appoggiò sulla sua spalla.

Quello, le accarezzò la testa, per poi sfiorarle il braccio.

Rimasero per più di mezz’ora in quella posizione, e nessuno dei due si stancò, ma entrambi si chiesero quanto questo sarebbe durato.

 

 

 

 

Salve, vorrei scusarmi per l’enorme ritardo… ma ho avuto problemi con il computer, la vena artistica era sparita per qualche giorno, e ora sono cotta raffreddata con l’influenza.

Per il resto, ringrazio tutti voi per le recensioni.

Grazie

La vostra The Princess

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Capitolo 7
*** capitolo 6 ***


Erano passati quasi una ventina di muniti nei quali Frank aveva scrutato ogni più piccolo particolare della ragazza, come se non li conoscesse tutti perfettamente

Capitolo 6

 

Erano passati quasi una ventina di muniti nei quali Frank aveva scrutato ogni più piccolo particolare della ragazza, come se non li conoscesse tutti perfettamente.

Erano le 7 del mattino. Fra qualche minuto Gerard sarebbe entrato dalla porta della camera da letto, per risvegliare il ragazzo.

Il chitarrista appoggiato allo stipite della porta del bagno, respirava affannosamente.

Le braccia incrociate al petto, il ciuffo sul viso e gli occhi fissi sulla creatura dinnanzi a lui.

Si morse il labbro inferiore, scuotendo il capo, sentì uno spiffero venire dalla finestra aperta, e notò che anche Max ne aveva risentito.

Fuori il tempo andava via via a migliorare.

L’uggiosità diminuiva ora in ora.

Fece qualche passo avanti, trovatosi davanti al letto, alle lenzuola bianche disordinate.

Prese il lembo di uno di queste e lo fece salire fino a sopra le spalle della ragazza.

Vide l’espressione tesa, raddolcirsi e trasformarsi in uno strano sorriso.

Chi sa se l’aveva sentito… se nel sonno si era resa conto della sua presenza, e della sua apprensione.

Sicuramente la risposta a tutte queste domande era un semplice no, ma a lui piaceva credere il contrario, che lei non era rimasta indifferente a tutta la dolcezza che le aveva dimostrato nei giorni passati.

Si sentiva stupido a ripensare a tutte le carezze che le aveva concesso, ai baci sulla fronte, agli abbracci sorti senza una particolare richiesta.

Max aveva accettato tutto ciò con il sorriso sulle labbra, senza però ricambiare in maniera eclatante.

Frank l’avrebbe tanto voluta baciare.

Si era sempre chiesto cosa fosse successo nel momento in cui le loro labbra si fossero incrociate o anche solo sfiorate.

Come avrebbe reagito lei, se sarebbe stata felice o l’esatto contrario.

E cosa avrebbe provato lui.

L’emozione di un bacio non può esser compresa appieno fino al momento in cui questo viene scoccato.

Fino a quando i due sentono ognuno il respiro dell’altro, e riescono a percepire il calore.

Allora, e solo allora, si può capire l’importanza e il valore di un semplice bacio.

 

Max, sveglia da qualche minuto, si era accorta della presenza di qualcun altro in camera.

Aveva sentito le mani di questo sfiorarla involontariamente, mentre tirava su le coperte, e questo le era bastato per riconoscere la persona.

Frank.

Sentiva il suo sguardo, dolce e sereno.

Non volle aprire gli occhi, avrebbe di certo rovinato tutto il momento, l’atmosfera che si era creata tra i due; quindi decise di non dare segni che fosse sveglia.

Respirava con la stessa pesantezza di una persona nel pieno del sonno.

La finestra ancora aperta faceva entrare i rumori dell’autostrada nella stanza, altrimenti immersa nel silenzio. Ad un tratto però senti alcuni passi.

 

Frank passò un dito sulle labbra di Max, arrivato agli angoli della bocca ritirò immediatamente l’indice tra le altre dita.

Si sentì attraversare da un brivido, la stessa sensazione provata dalla ragazza.

Si chinò sulle ginocchia, arrivando ad essere di fronte al suo viso.

Chinò la testa verso destra, per poi scostarle i capelli, come di consueto.

Sorrise, guardandola. La chiarezza della sua pelle e le labbra rosee la facevano apparire più di quanto fosse bella.

Frank, si avvicinò ancora di più, saltellando verso il bordo del letto.

Socchiuse gli occhi verdi e fece scontrare le loro labbra.

Rimasero in quella posizione alcuni secondi, attimi, ticchetti,o come li si voglia chiamare furono comunque bellissimi.

Max al sentire quel peso sulle sue labbra, non poté trattenersi dal sussultare leggermente.

Cercò di non dare altri segni del suo esser desta.

Non ricambiò quel bacio, che aveva da sempre desiderato.

Tutti i pensieri che aveva, erano spariti.. dissolti in una nuvola che era svanita fuori dalla finestra.

Frank, tirava le coperte del letto, facendo spostare il corpo di Max sempre più vicino a lui, ma in quel momento qualcuno entro dalla porta.

Gerard sul ciglio dell’entrata fissava la scena, sbuffando.

Alla vista dell’amico, Frank si alzò di scatto, passandosi colpevole, una mano dietro la nuca.

-Frank…- sussurrò il vocalist.

Come se si fosse svegliata, grazie a quelle parole, Max si destò.

-Ehi…- disse assonnata, sorridendo, cercando di nascondere il rossore sulle guance.

-‘Giorno…- rispose Frank, che intanto si era avvicinato al cantante, e gli aveva fatto segno con gli occhi di allontanarsi.

Gerard, alzò un dito verso la ragazza, come per dire un attimo, e si tirò fuori il chitarrista.

Usciti, i due si fissarono.

Si sedettero sul divano.

-Lo so, lo so… non c’è bisogno che tu mi dica tutto quello che ti passa per la testa…-.

-Se hai fatto ciò che hai fatto… vuol dire che non sai un emerito cazzo…-.

-Non è colpa mia…-.

-No, e di chi sarebbe?-.

-Gerard.. non sono un bambino…-.

-No, ma sei immaturo come se lo fossi…-.

Quello continuò: -Non hai capito.. che lei ha bisogno di tutto tranne che di uno come te?-.

Frank, diede un pugno sul tavolino di fronte a lui.

-E tu che ne sai che forse, quello di cui lei ha bisogno, sono proprio io?- domandò, cercando di non urlare.

 

Intanto nell’altra stanza Max, era davanti allo specchio che si sciacquava il viso.

Lui l’aveva baciata.

Non un semplice bacio sulla fronte, un vero bacio, dolce, passionale, ricco di tutto.

E lei, non aveva neanche potuto rispondere, come avrebbe voluto.

Lei stava dormendo, non dovrebbe sapere nulla di ciò.

Quindi l’unica cosa da fare, sarebbe stata quella di comportarsi come se niente fosse accaduto.

Ma era stata una cosa giusta?

Se lui l’avesse baciata, quando lei fosse stata sveglia… lei che avrebbe dovuto fare…?

Rispondere al bacio avrebbe significato impegnarsi, diventare qualcosa di più di una sconosciuta presa per la strada.

Avrebbe dovuto iniziare a considerarsi la fidanzata del chitarrista dei My Chem… avrebbe dovuto far accettare tutto questo ai suo genitori, che ancora non sapevano nulla di lei… avrebbe dovuto avvertire tutti i suoi amici… avrebbe dovuto smettere di esser triste, e raggiungere finalmente quell’amata felicità… ma avrebbe anche recato molti problemi a lui…

Lui, era lui… e lei… beh… era solo lei… solo Max Potter…

 

*

 

-Allora volete un po’ di caffé?- domandò Max uscendo dalla camera, mentre ancora i due erano seduti sul divano.

-Sì grazie…- rispose Frank, non guardandola.

-Tu Gee?- chiese poi rivolta al chitarrista.

-No, per me no… sono troppo incazzato per il caffé, peggiorerebbe solo la situazione…- sentenziò rivolgendo un’occhiataccia al chitarrista.

Max, mettendo a fere la bevanda, non sapeva se doveva o no rispondere a quella specie di provocazione, chiedere un “perché” avrebbe solo peggiorato tutto… quindi rimase zitta.

-Dormito bene?- chiese successivamente Frank, spostandosi, voltandosi verso Max.

-Sì, abbastanza… la mano non mi ha dato poi tutto questo fastidio…-.

-Parlando di mano… la settimana prossima abbiamo la visita…- disse, aspettandosi una reazione contrariata dalla ragazza, che non arrivò.

Quella alzò le spalle.

-Tanto se ti dico che non voglio venirci tu mi porti comunque, vero?-.

-Brava… vedo che hai capito come funziona in questa casa…- sorrise lui, per poi accettare la tazza che Max gli porgeva.

-Forse anche troppo bene…- sussurrò infine la ragazza, passandosi un dito sulle labbra. Frank troppo impegnato a degustare il suo caffè non la notò, cosa che invece fece Gerard.

.

-Senti Max, posso dirti una cosa in privato?- domandò, lei annuì al vocalist.

Andarono insieme in camera da letto, mentre Frank guardava la porta chiusa chiedendosi cosa si dicessero dall’altra parte.

-Eri sveglia…- sorrise appena entrato, allontanandosi dall’uscio.

-Cosa? Quando?- chiese lei, arrossendo.

-Non fare la finta-tonta con me… ti ho visto fuori… ti giuro che non lo dirò a Frank… eri sveglia?- insisté.

Max annuì, alzando lo sguardo, scostando i ciuffi che aveva sul volto.

-E allora?-.

-E allora cosa? Che ti dovrei dire?- la ragazza si diresse in bagno.

-Non lo so, che ne pensi di tutto ciò? Di lui.. di te.. di voi?-.

-Credo che sia ancora presto per parlare di questo “noi”…- disse dandosi un occhiata allo specchio.

-Lo penso pure io… ma forse… Frank… non la pensa allo stesso modo…-.

-Che vuoi dire con questo?-.

Gerard le si avvicinò e le appoggiò una mano sulla testa, scuotendole il capo.

-Che forse lui… ci crede veramente… Max… non farlo soffrire… sembra un duro, ma è uno tenero… non ferirlo…-.

Detto ciò la baciò sulla guancia ed uscì dalla camera.

I pensieri di Max si moltiplicavano ad ogni battito d’orologio nella sua mente.

Che fare?

Una volta sua madre le disse, mentre era coricata con lei dopo una tremenda lite :sai qual è il tuo problema? Hai paura della felicità…

Inizialmente non ci aveva fatto tanto caso a quelle parole, che ora invece le spiegavano molto.

Aveva davvero timore di smetter di essere triste?

Di finalmente trovare una causa per sorridere la mattina appena sveglia e la sera prima di addormentarsi?

Forse sì, stare con Frank però non le sembrava la cosa giusta… almeno per il momento… una settimana, avrebbe aspettato una settimana, il responso del medico e poi… .avrebbe preso una decisione.

Uscì dalla camera, e si rese conto che fuori non c’era nessuno ad attenderla.

Solo un bigliettino, lasciato sulla poltrona.

Gerard mi ha trascinato… scusa devo andare… un bacione! Il tuo Frank…

Il tuo Frank… sarebbe potuto diventare realmente suo, starebbero stati sempre insieme, e si sarebbe finalmente risposta alla domanda che si era sempre posta: come sarebbe esser la fidanzata di un personaggio importante.

Lui cantava per gli altri ma poi… eccolo rientrare… solo per te…

Le crebbe il rossore sul volto e sorrise amabilmente; ma si era promessa di aspettare una settimana, quindi aprì la televisione.

 

Dopo circa mezz’ora di zapping dove il programma più interessante si era rivelato: cento modi per decorare le tue tazze da tè, decise di andare verso i canali scientifici, altrimenti da lei scartati dal principio.

-Droga, perché tutto ciò?-

Questo era il titolo del primo programma, appoggiò il telecomando accanto a sé , e incrociò le gambe.

Immagini di immense piantagioni di marijuana si mostrarono sullo schermo, ad un tratto un uomo apparentemente di 50 anni, con barba lunga e grandi occhiali iniziò a parlare delle condizioni in cui i lavoratori vivono.

Mentre le scene continuavano a susseguirsi in quella scatola, a Max gli tornò in mente un fatto accaduto tempo addietro.

Due volte nella sua vita aveva provato droghe, e la seconda volta sua madre era venuta a saperlo.

Certa gente, fa uso di queste sostanze tutta la vita, e nessuno né sospetta di loro né li scopre… poi un giorno quando essi, avranno il cervello fumo dagli acidi, tutti si chiederanno cosa faceva quei venerdì sera quando tornato a casa non ricordava neanche il suo nome.

Comunque quella sera, sua madre, svuotandole i pantaloni trovò la prova in una delle tasche.

Più delusa che infuriata si diresse in camera della figlia che guardava la televisione.

Le spese l’aggeggio e si sedette accanto.

Iniziò con la solita ramanzina… la droga fa male… eccetera eccetera… ad un tratto però, gli occhi gli si riempirono di lacrime, e Max non poté più far finta di non dar peso a quelle parole.

-Tu hai una madre che è sempre a contatto con la morte… e non riesci ad apprezzare la vita…- le aveva detto, la madre di Max era un cardiologo in un ospedale fuori città.

Quelle parole rimasero sempre nella mente della ragazza.

Il giorno dopo, circa verso la stessa ora, la donna entrò in camera della giovane e le consegnò un foglio.

Una foto, un ragazza… una bellezza sfiorita, gli occhi cerulei erano opachi, come coperti da una patina. I capelli quasi del tutto assenti, davano l’idea di esser stati folti biondi, ed infine la pelle ricca di tagli e rovinata… la donna le spiegò che quella ragazza si chiamava Joy, era morte un mese prima per overdose… aveva 17 anni.

Max da allora non fece più uso né volle sentir parlare di droghe.

 

Frank era in macchina con Bob e Mikey, l’ultimo nel sedile del passeggero.

Nel totale silenzio, il chitarrista pronunciò: -L’ho baciata…-.

I due lo fissarono, Bob infilò la testa attraversò i due sedili per guardarlo meglio.

-Ci hai messo di più del previsto… devo dei soldi a Ray…- sentenziò il batterista, tornando comodo tra i sedili.

-E con questo che stai insinuando?- domandò Frank.

-Che ce l’aspettavamo tutti…--

-Sono così prevedibile?-

-Direi di sì… o almeno per noi che ti conosciamo…- rispose il bassista.

-Certo che però, potevi aspettare solo un altro giorno…- disse Bob, facendo ridere Mikey.

-Comunque… lei come l’ha presa?-.

-Lei… beh… diciamo che non ha potuto rispondere…- rispose Frank.

-Perché?-.

-Stava dormendo…- diede risposta.

-Ah bello…- assentì Mikey.

-Il problema è che io… vorrei tanto sapere… beh se le è piaciuto…- continuò il chitarrista.

-Anche se non ne ho mai avuto la conferma, dicono che sei un buon baciatore…- sorrise il bassista.

-Certo che sei proprio scemo… a volte mi chiedo chi sia peggio tra te e tuo fratello…- lo spense in giro Frank.

-Sicuramente lui… comunque dovresti provare di nuovo…-.

-E se proprio lo fai… controlla che si sveglia… - confermò Bob.

-Altre idee?- chiese Frank.

Un silenzio cadde nell’auto, la domanda recepita come retorica non aveva ricevuto responso.

-Aspettate un attimo!- disse però, ad un tratto Bob. –Lei stava dormendo, quindi non ha risposto al bacio! La scommessa è ancora valida! Posso tenermi il mio centone!- esultò.

I due si guardarono, per poi esplodere in una grande risata.

 

*

 

-Eccoci!- i tre ragazzi, salirono velocemente le scale e spalancarono la porta di casa.

Nessuno era nel salotto o in cucina.

-Ehi Max… ci sei?- domandò Frank, appoggiato il suo cappotto sulla potrona.

-Ci sono…!- rispose quella, facendo spuntare la testa da sotto la penisola.

-Ci stavamo preoccupando…non farci più di questi scherzi…- rise Bob, stringendola contro il suo petto e guardando l’espressione di Frank.

Mentre Max cercava di respirare, stretta ancora in quella morsa, il chitarrista si era avvicinato a Bob e alzandosi per arrivare al suo orecchio gli sussurro: -Sono piccolo… ma ti posso fare molto, ma molto male…-.

Il batterista lasciò la presa e ridendo si diresse accanto a Mikey per guardare qualcosa in tv.

--Oggi non abbiamo preparato niente?- chiese il brunetto, con il broncio, notando i piatti vuoti.

-Mi spiace… avevo iniziato a preparare qualcosa di buono ma… dopo aver finito di cucinare mi sono resa conto di averci messo anche del prosciutto… e allora… l’ho mangiata solo io…-.

-Ah, allora sei perdonata…-.

Max sorrise, e gli diede una leggera botta sulla testa.

-Comunque mi chiedevo, che ci fa del prosciutto nel frigo di un vegetariano?- chiese poi, sedendosi.

-Devi ricordare gli amici che ho… c’è Ray che quando ha fame non guarda in faccia a nessuno… e quindi io mi devo tener preparato…-.

Ella rise.

-Frank…- sussurrò poi, quello si avvicinò, per poi chinarsi.

Appoggiò i gomiti sulle gambe di lei, e alzando il viso la guardò.

Lei allora, lo baciò.

Velocemente, un battito di ciglia.

Si allontanò con calma e sorrise.

Frank aprì la bocca, ma lei lo fermò.

Appoggiò un dito sulle sue labbra si alzò, facendolo cadere verso dietro.

Dopo che quella si chiuse in stanza, Bob e Mikey si avvicinarono all’amico.

-Tutt’okay? Cos’è successo?- domandò il primo.

-Mi sa che devi dare quei 100 dollari a Ray…- sospirò, sfiorandosi le labbra per poi tornare a fissare il pavimento su cui era seduto.

Ed ora?

Si erano baciati…

Per  una frazione le loro labbra, si erano riunite.

Ed ora?

--

ettavamo tutti...nsinuando?. o?.  i sedili.

 

 

Non ho scuse per questo ritardo lo so.. quindi non so che scrivere, se qualcuno di voi ne vuole avere alcune, potrebbe leggere quelle del capitolo passato… tanto sono circa queste… ora però vi saluto… anzi un ultima cosa…

Per primo ringrazio tutti coloro che leggono e recensiscono.

Per secondo, diretto a tutti i fan dei my chem… i ragazzi hanno fatto uscire un nuovo video, quindi… andate a vederlo!

Kiss kiss

The Princess

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Capitolo 8
*** capitolo 7 ***


Capitolo 7

Capitolo 7

 

Max chiusa nella camera da letto, camminava su e giù, per il parquet freddo.

Si passava le mani tra i capelli, ma non riusciva a trattenersi dal sorridere.

Si sedette sulle lenzuola, per poi sdraiarsi completamente, rimbalzando sul materasso.

Con un’espressione ebete stampata sul volto, la mente rimasta ancora al bacio, fissava il tetto.

Rise.

Si voltò, trovandosi ad infilare la testa sotto i cuscini.

Con la gioia e l’euforia che ancora le imperversavano nelle vene, decise di rimandare i pensieri e le preoccupazione per le conseguenze di quel bacio.

Rimase in camera, canticchiando dolci canzoni, e ringraziando il cielo per la prima volta dopo tanto tempo.

Appoggiò la schiena alla testata e abbracciò un cuscino.

Lo strinse forte vicino al suo petto, fino a quando quello stringere non le fece intorpidire il braccio.

La mano iniziò a tremare in maniera forse eccessivamente energica.

Un dolore le raggiunse il gomito dove si fermò per condensarsi e farle scendere le lacrime.

Sembra impossibile con quanta velocità la felicità immensa segnata da un riso possa trasformarsi in una tristezza rigata da lacrime.

Avvicinò le gambe al petto, con la mano funzionante le abbracciò, socchiudendo le urla tra le cosce.

Allora, qualcuno si era avvicinato alla porta, e bussò.

-Max…- sussurrò Frank, ancora imbarazzato dall’altra parte.

La ragazza non rispose, e con la bocca segnata da una smorfia di dolore, preferì rimanere in silenzio.

-Ehi… posso entrare?- domandò aprendo leggermente l’uscio.

-No!- rispose quella, con un urlo involontario, facendo scendere altre lacrime, che sfiorarono le labbra rosso vivo.

-Tutto okay?- si unì Mikey, che vicino all’amico aveva capito che qualcosa non andava.

-Sì…- iniziò, ma lo stimolo di vomito che le venne le impedì di continuare.

Il dolore atroce, poco prima fermatosi al gomito si era fatto strada fino alla spalla.

Ancora chiusa tra le sue stesse gambe Max, cercava di distendere il braccio quanto le era possibile.

Frank allora decise di entrare.

Aprì di scatto la porta, e la vide, lì sul suo letto.

Il viso nascosto, e il braccio bianco che tremava.

-Max...!- quasi urlò accostandole e alzandole il viso.

Quegli occhi pieni di lacrime, al contrario della sua voce o dei suoi modi di fare, non potevano mentirgli.

Attraverso i suoi occhi lui percepiva e capiva tutto di lei.

-Ohi… ohi, tranquilla… dai che finisce, dove ti fa male?- chiese, prendendole il braccio dolorante, facendola imprecare.

-Tutto! Tutto!- rispose, continuando a dimenarsi.

-Ora ferma! Bob, chiama qualcuno!- ordinò, voltandosi verso il batterista; ma quello non fece neanche in tempo ad allontanarsi per prendere il telefono che la voce di Max lo fermò.

-No, no… datemi un tranquillante… qualunque cosa… e mi passerà…- disse, spalancando di tanto in tanto la bocca, come se fosse sul punto di vomitare.

-Certo, così se non ti uccide il dolere, ti uccidiamo noi con le medicine…- disse Frank, alzandosi.

Max allora, col braccio non dolorante lo prese per un lembo della t-shirt e lo tirò.

-Frank ti prego… per favore…- lo supplicò, chiudendo gli occhi per il dolore, facendo traboccare ulteriormente le lacrime amare.

Lui non riuscì a resistere a quel volto che a suo malgrado stava iniziando ad amare, ordinò a Mikey di controllargli le ferite del braccio e uscì dalla stanza.

Si diresse nel cassetto dove teneva le medicine.

Imprecando lo aprì e dopo aver preso fuori qualche benda, ne uscì anche alcune pillole.

Cercò di chiudere il cassetto ma questo non ne voleva sapere, con uno scatto lo serrò facendo cadere a terra un vaso, che si ruppe per il contatto col pavimento.

Non dando conto al disastro, prese un bicchiere d’acqua in cucina e si diresse di corsa in camera da letto.

Qui, Mikey con l’aiuto di Bob avevano liberato la ragazza dalle bende zuppe di rosso.

-Eccomi… tieni queste… dovrebbero bastare…-.

Max prese il bicchiere con il braccio libero, che per la tensione aveva iniziato a tremare anch’esso.

Mise in bocca le pillole e sorseggiò l’acqua, il bicchiere tremante batteva contro i denti creando un ticchettio continuo, interrotto solo dall’allontanamento del vetro.

Frank intanto, aveva preso il posto dei suoi amici, allontanatosi, e tenendo il braccio stretto, iniziò a sistemare le bende.

Quanto sarebbe andata avanti quella maledetta situazione?

Quanti giorni pieni di lacrime e di sangue si mostravano d’innanzi a loro?

Quando finì di sistemare la mano, quasi tutto il corpo aveva smesso di tremare.

-Dio…- sussurrò sedendosi accanto al corpo senza forze di lei.

-TI prego scusami…- riuscì a sussurrare Max, prima di socchiudere gli occhi.

Lui non rispose, e la guardò addormentarsi.

Appoggiò la fronte al palmo della mano posto sul ginocchio.

Ingoiò della saliva, e stirò il collo.

Chiuse anch’esso gli occhi e chiese al cielo di aiutarlo, per la prima volta dopo tanto tempo.

 

*

 

Da allora passò circa una settima… i due si rivolsero in tutto qualche parola, ma i loro sguardi dicevano tutto.

I sentimenti chiusi e bloccati sul nascere dalle situazioni, si intravedevano nelle iridi.

Max mangiava quel poco che bastava per permetterle di respirare, e Frank non riusciva ad insistere più del necessario per farlo dormire la notte con la coscienza pulita.

Ad ogni pasto, i due erano seduti l’uno di fronte all’altro. I loro visi non erano lontani più che un metro, ma riuscivano a non darsi confidenza.

A non guardarsi.

Lui alzava lo sguardo e incontrava solo la nuca di quella, che giocherellava col cibo; lei issava il capo per guardarlo e la situazione si ripeteva fino a che i due sbuffando abbandonavano l’impresa.

Fu una delle settimane peggiori per Frank, lei era così vicina a lui, ma non riusciva a sentirla come tale.

Quando usciva dalla stanza, appena sveglia, l’istinto di salutarla o di sorriderle semplicemente si dissolveva nell’indifferenza della ragazza.

Nel sfiorarla non sentiva che un muro costituito da candida pelle bianca.

Di notte, con lo sguardo fisso sulla parete la pensava… fino a finire a sognarla…

Nei sogni tutto era perfetto.

I polsi e le mani esenti da ogni graffio, i loro occhi che si incontravano ogni secondo, e le loro labbra che li seguivano.

Voleva rimediare a tutto ciò… ma non ne era capace… non aveva la forza di prenderla e baciarla.

Dopo tutto lui non l’aveva mai baciata.

La prima volta, quella stava dormendo, e la seconda… lui era stato preso di sorpresa.

Si sentiva un vigliacco, senza spina dorsale… ma non aveva idea di cosa fare per recuperare… aspettare… solo quello.

 

La mattina dopo, il sole illuminava le stanze.

Il calore, che aveva seguito la luce abbracciava i cittadini di tutta Bellville

Max, sveglia da ore ormai… scrutava il muro, sede di suoi  numerosi pensieri da tempo.

Perché non veniva ad abbracciarla? O perché lei non correva da lui?

Senza sbattere ciglio, si rispondeva pensando che entrambi erano due stupidi testardi….

Sarebbe andata avanti così all’infinito… ma quanto ancora lei si sarebbe potuta trattenere a casa di un ragazzo con il quale non proferiva parola?

Di certo poco… e pensare che tutto andava così bene…

Tutta colpa di quelle ferite… che li avevano uniti… e ora li avevano divisi nettamente…

Sentì alcuni rumori provenienti dal salotto e decise di alzarsi.

Indossò la sua maglietta preferita… una t-shirt nera con una piccola rosa sulla spalla destra.

Si legò i capelli con un codino che Gerard le aveva comprato notando il suo disappunto nel tenere i capelli sciolti.

Aprì la porta non guardando nessuno, come di consueto.

Tutti i ragazzi si trovavano nel salotto.

Ray fu l’unico a salutare, con la sua solita voce acuta.

Quella si voltò e lo degnò solo di un frettoloso sorriso.

-Allora possiamo iniziare?- domandò Bob.

Intanto Max, si era versata del caffé e ora con l’aiuto di un cucchiaino lo mescolava in senso orario.

-Max vuoi unirti a noi?- domandò Frank, presosi di coraggio.

Quella alzò lo sguardo, incredula delle sue stesse orecchie.

I ragazzi si trattennero dal sorridere in maniera troppo evidente.

-Che state facendo?- domandò avvicinandosi comunque al divano di pelle.  Anche prima che quello potesse rispondere, gli si accomodò accanto, raccolse le gambe e lo iniziò a fissare, impaziente.

Lui aprì la bocca, e solo un scatto di Gerard dietro le spalle di Max gli evitò di rimanere imbambolato.

-È il nostro nuovo video…. Ti va di vedere l’anteprima?-.

-Anche noi dobbiamo vedere com’è il risultato finale…- precisò Mikey.

-Il … vostro.. nu…nuovo video…?- chiese la ragazza, balbettando.

-Sisi… la canzone è “I don’t love you” se ti interessa…- precisò il vocalist.

Max non rispose, li guardò con la bocca spalancata, fino a poi voltarsi verso il grande schermo.

-Credo sia un sì…- rise Frank, facendo partire il video.

Il bianco e nero invase lo sfondo.

Le note corsero per la casa.

Max, con gli occhi da bambina guardava il tutto, incredula.

Ed ecco tutti loro, con i loro strumenti e la loro bravura.

Frank, non poté evitare di voltarsi qualche volta a scrutarla, e rimanere estasiato da quell’espressione tanto dolce.

La prima inquadratura singola di Frank…

Con quel ciuffo meraviglioso… Max sussultò, facendo sorridere un po’ tutti i ragazzi accomodati.

Ed ecco i protagonisti del video.

I due ragazzi, profondamente diversi.

Il loro primo bacio, seduti in un prato…

La voce di Gerard così calda accompagnava le scene, come un meraviglioso cantastorie dalle unghie nere.

Max tirò su col naso; non avrebbe mai creduto di iniziare a commuoversi, ma quello avvenne.

E in quell’istante, la magia di Ray iniziò.

L’assolo rischiarò.

La ragazza iniziò a stringere il tessuto dei pantaloni che teneva vicino al petto.

Guardò per un attimo Ray accanto a se, quello con un sorriso, annuiva e si poteva chiaramente notare che con la mano sinistra cercava di riprodurre al meglio le note.

Quando quello spettacolo si concluse non riuscì a trattenersi dal sussurrare un -sei il mio mito- che venne però udito da tutti.

Ed ecco che il viso di Gerard si riappropriava dello schermo.

Con una voce fioca e tenera Max, seguita dal Gerard accanto a lei canticchiò:

“When you go….Would you even turn to say…I don't love you…Like I did…Yesterday”.

La prima chitarra esplose, le schegge di legno si diffondevano in quello sfondo nero.

Ed ecco la fine… le lacrime che oramai le erano scese sulle gote aumentarono quando, la stessa ragazza, pianse sangue…

 

I ragazzi iniziarono a battere le mani ed ha stirarsi.

-Dai è uscito carino…- disse Gerard.

Max ancora senza parole, era immersa nello schermo oramai privo di ogni immagine.

Respirava profondamente, facendo inclinare il cuscino appoggiato al suo petto.

Frank fu l’unico a rimanere seduto, quando tutti gli altri si diressero nella zona cottura per iniziare a commentare.

-Spero ti sia piaciuto…- disse avvicinandosi a quella ancora inerte.

Allora Max si issò leggermente per risedersi questa volta con lo sguardo e il corpo rivolto verso di lui.

Strizzò gli occhi.

-Sei fantastico…- gli sussurrò.

Riaprì la bocca ma non riuscì a fare altro che boccheggiare; serrò le labbra e si avvicinò per baciarlo.

Quando quello si avvicinò, per assentire a quello che lei voleva fare, essa spostò la testa, facendo concludere il bacio alla guancia destra di lui.

Allora, Max sorrise e si diresse verso gli altri.

Frank, si sfiorò la guancia, e rise anch’esso.

-Ma tu!! Io ti adoro!- gridava Max, rivolta a Gerard, prima di saltargli sulle spalle.

Quello fece in tempo a prenderla prima che essa cadesse al suolo, e ancora con lei sulle spalle disse: -Quindi possiamo andarne fieri?-.

-Certo!! È… fantastico! Bravi!- concluse, passando da ognuno per schioccargli un tenero bacio.

-Che bello! Posso rivederlo?- domandò successivamente a Frank.

Quello tra le risate annuì.

-Si!- esclamò la ragazza, saltellando, si rilanciò sul divano e fece ripartire le immagini.

-Well, when you go- attaccò per poi passare ad interpretare gli strumenti.

I ragazzi rimasti soli, iniziarono a parlare…

-Si è ripresa per fortuna…- iniziò Bob, per poi prendere a bere della coca-cola.

-Dio… speriamo…- si aggiunse Ray, guardandola.

-È così carina quando ride…- ammise Frank.

-Certo, solo quando ride…- Gerard alzò un sopracciglio tirando una gomitata all’amico, prima di alzare il braccio e passarglielo intorno al collo e stringerlo.

Max, allora si voltò.

-Non voglio scene di sesso gay in casa mia…- rise guardandoli.

-Casa tua… beh cara… troppo tardi dovevi dirlo tempo fa…- continuò il chitarrista avvicinandosi al viso di Gerard.

Ma prima che quei due si baciassero lei si appressò, interrompendoli.

-Non ci fermi?- chiese Gerard, con ancora il viso tra le mani di Frank.

-No, mi sono avvicinata per vedere la scena da vicino…- rise.

-Che scema…- precisò Mikey, che seduto sulla penisola tirò uno schiaffetto sulla testa di Max.

-Io non sono scema… sono solo troppo intelligente…- continuò la ragazza allontanandosi.

-Se lo dici tu…- assentì Bob, passandole una lattina di coca.

-Comunque tornando al video… è triste…-  enunciò.

-Non credo che con un testo come quello della canzone potevamo metterci due maialini che cantano…- chiarì il vocalist, separatosi dal chitarrista.

-Questo è vero… ma fate esplodere le chitarre…-.

Quelli risero, notando l’espressione triste di Max.

Allora la ragazza disse: -Aspetta… parlando di chitarre… possibile che non ho visto l’ombra di una sei corde in questa grande casa?-.

Frank risvegliatosi, rispose.

-Ce le ho chiuse in quella stanza… sai in questo periodo non ho avuto tempo di suonarle…-.

Allora Max, gli prese la mano. –Ora mi dici dove sono… e mi suoni qualcosa…- sorrise, tirandolo.

Frank, strinse anch’esso la mano, sperando che il corridoio di casa sua si potesse allungare per chilometri e chilometri.

-Qui?- domandò Max, indicando con la mano libera una porta.

-Si…- allora il chitarrista aprì e fece vedere tutta la sua collezione di strumenti.

Per tutta la “visita” per quel bellissimo luogo, la ragazza non smise di stringere la mano; anche quando si chinava verso una chitarra per controllarne le rifiniture, faceva scendere con se il ragazzo.

Lui rimase perplesso da tutto ciò. Non capiva il perché lei si stesse comportando in quel modo, quel bacio sulla guancia ed ora… quella mano che si era ostinata a non lasciarlo andare.

-Pansy! Pansy!- esclamò Max quando vide questa appoggiata ad un piedistallo.

-Che bella!!!- esultò.

-Se vuoi, quando le mani ti faranno meno male… te la farò suonare…- propose il chitarrista, appoggiando la mano alla nuca di quella china sulla chitarra.

-Davvero? Allora vedrò di guarire il più in fretta possibile…- sorrise, sedendosi sul pavimento.

Non trattenendo l’equilibrio, anche Frank cadde accanto a lei.

-Suonami qualcosa…- disse poi Max.

Frank la guardò.

-Cosa?-.

-Qualunque cosa… tutto ciò che suonerai mi andrà bene…- detto ciò gli mollò la mano, non spostando però eccessivamente la sua.

Il chitarrista prese allora la chitarra, e mentre gli altri si allontanavano iniziò a suonare dolci note solo per lei.

 

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Capitolo 9
*** Epilogo ***


EPILOGO

 

EPILOGO

 

Max sola in casa, camminava lentamente sul pavimento  freddo. Il cd dei Lostprophets risuonava per la casa, la musica ad alto volume la distraeva da tutto, forse anche per questo l’amava in modo così intenso… perché la rendeva libera da tutti quei pensieri tristi, malinconici che le intasavano il cervello durante le ore del giorno.

Si avvicinava allo stereo e appoggiava il cranio alle casse, che rimbombavano. Cantava, anche se la sua voce era impercettibile, nascosta da quelle note così alte e potenti.

Conosceva il testo di ogni singola canzone, e ne dava prova rispettando le sillabe pronunciate dal caro Ian.

Un paio di giorni prima Gerard le aveva comperato il cd, facendoglielo trovare sotto la sua, ormai diventata tale, tazza di caffé.

Lei aveva insistito sul fatto che la stavano viziando, tutti… e di certo non si meritava nessuno di quei privilegi.

In quel lasso di tempo che velocemente passò,  ricevette innumerevoli chiamate da parte di Sarah, alla quale aveva provveduto a dare il numero di casa del chitarrista, dato che il suo cellulare era fuori uso da tempo.

Le due si erano scambiate innumerevoli convenevoli, e racconti di tutti giorni, durante le numerose e interminabili chiamate.

Un giorno però, tutto si fece molto più interessante quando uscì fuori il racconto del bacio, anzi dei baci, con Frank. Sarah, trattene un sospiro, misto tra incredulità e gioia, e iniziò a tempestare l’amica delle domande; poche di queste ebbero una risposta chiara, ma dopo tutto se neanche la stessa Max sapeva come stavano in realtà le cose, come avrebbe potuto raccontarle a chiunque altro.

Frank non aveva riaperto il discorso, non aveva fatto o almeno cercato di fare nessun passo avanti, e la ragazza lo aveva assecondato, facendo così rimanere la storia ad un punto fermo.

Adesso con quei suoni penetrati attraverso le sue orecchie, lei non pensava a nulla… respirava e cantava, e le andava bene.

Non aveva più sentito i suoi genitori o i suoi amici, a parte Sarah, da un tempo indeterminato.

Il cellulare era rimasto chiuso e quindi irraggiungibile, a nessuno sarebbe mai potuto venire in mente che le si trovava nella casa di un famoso chitarrista, a vivere spalla a spalla con Frank Iero, e questo le dava un grande vantaggio.

Avrebbe aspettato la visita del medico, che si sarebbe tenuta quel pomeriggio stesso, e dopo aver saputo il responso, avrebbe iniziato a riapparire nella vita dei suoi.

Finalmente Frank era riuscito a convincerla, insieme sarebbero andati dal dottor. Stevenson, uno dei migliori specialisti della zona. La mano oramai era vicina all’esser irrecuperabile, le dita non rispondevano agli stimoli, tremavano solo durante i soliti attacchi, dolorosi che si diffondevano per tutto il braccio.

Giunto l’attacco di “Everybody Screaming” decise di chiudere lo stereo, spinse il tasto, e bloccate le note, la casa tornò al suo solito silenzio.

Frank era fuori tutte le mattine, e tornava verso l’ora di pranzo… Max non sapeva quello che faceva, ma non aveva voglia di impicciarsi nella sua vita più di quanto non facesse già.

Accese la televisione, e si dedicò a guardare lo schermo.

Giunta su un canale di musica riconobbe la voce e la musicalità di Michael Bublè… “Everything” riecheggiava, appoggiò il telecomando accanto a sé.

Attaccò a canticchiare, sorridendo.

Un paio di anni prima, ad un matrimonio al quale era stata costretta a partecipare con la sua famiglia, lei, suo padre e lo zio avevano ballato sopra le note di una sua canzone. Ridendo come dei pazzi avevano iniziato a parlare ad un ipotetico matrimonio della ragazza, e questa aveva ammesso che non sarebbe stato male avere proprio il signor Bublè a cantare per lei; i due uomini avevano riso, facendola arrossire, ma poi con un -tutto è possibile, se ci credi- l’avevano rassicurata.

Ora, ritrovandosi sola a canticchiare quelle stupende parole, non sapeva se ridere o piangere.

Chissà se si sarebbe mai sposata, se un fatidico Lui l’avrebbe aspettata all’altare con cravatta e smoking, di certo avrebbe tanto desiderato essere accompagnata all’altare da suo padre… questo gliel’aveva sempre omesso, gli diceva sempre che sarebbe stato il tanto amato zio, il suo accompagnatore ideale, e il padre ci rimaneva sempre più male.

In realtà, lei lo avrebbe tanto voluto avere a suo fianco, al suo papà… con i capelli che oramai tendevano al bianco, e gli occhi chiari che lei non aveva ereditato.

Lui sicuramente, non aveva chiuso occhio durante tutte queste notti segnate dalla sua mancanza, l’aveva cercata in lungo e in largo.. non arrivando a nessuna conclusione; lei sapeva che lui odiava ciò… il non arrivare a nulla, non averla vinta… una delle poche cose che avevano in comune era proprio questa… ed era anche il motivo per il quale non andavano d’accordo… lui con lei non l’avrebbe mai avuta vinta…

 

Erano quasi giunte le 2 di pomeriggio, e di Frank non si aveva traccia. Il chitarrista l’aveva avvertita che avrebbe fatto tardi, e quindi lei aveva mangiato sola e lo aveva atteso davanti alla televisione.

Finalmente, verso le due e trenta, qualcuno citofonò alla porta.

-Si?- chiese al citofono.

-Io… Max, senti puoi scendere, senza che io salga? Perché i ragazzi se ne devono andare…- la voce di Frank, inconfondibile anche se arrugginita dai rumori metallici.

-Certo… aspetta quanto mi preparo…- detto ciò riagganciò. Giunta in camera da letto, prese una t-shirt nera, con una cravatta a strisce bianche e nere… e si diresse fuori.

Non usciva di casa da così tanto tempo, che non si ricordava di che cosa sapesse l’aria.

Quando chiuse la porta alle se spalle, rimase a fissare le scale per circa 10 minuti… spaventata.

Riaffrontare tutto, ecco cosa avrebbe significato raggiungere Frank di sotto.

Riaffrontare la tristezza, il dolore, la solitudine, la vergogna, il pentimento…

Stette china sul legno dell’uscio ancora… ancora… sperando che qualcosa l’avrebbe, prima o poi spinta a scendere quei gradini.

Ma solo sé stessa si sarebbe potuta aiutare…

Tirò un grande sospiro, si allargò il cravattino, più di quanto non fosse già largo e riprese a respirare regolarmente.

Appoggiò il piede destro davanti a quello sinistro e iniziò a scendere.

Uno.

Ed un altro.

Ed un altro ancora.

Finalmente raggiunse il piano terra, dove i ragazzi l’aspettavano.

Frank appoggiato alla carrozzeria dell’auto, con le braccia incrociate, alzò il capo appena la vide uscire.

Il viso bianco di Max, si rinvigorì alla sola vista del ragazzo. Questo la strinse forte a sé, capendo da quei suoi fantastici occhi che aveva bisogno di aiuto.

-Pronta?- le domandò, appoggiando la bocca all’orecchio.

-Se ci sei tu, sì…- rispose, guardandolo attraverso in quei due fari verdi.

Allora il chitarrista, fece cenno a Gerard, come per dire che andava tutto bene… e la strinse ancora una volta.

I due entrarono in macchina, entrambi nel sedile posteriore.

Davanti i fratelli Way, litigavano su stupidaggini, che Max non aveva avuto possibilità di comprendere.

-Allora, aspetta ricapitoliamo… appena finite, Frank mi fa uno squillo… e noi ritorniamo…- disse ad un tratto Mikey.

-Sì, grazie ragazzi…- rispose il brunetto, la sua macchina era dal carro-attrezzi da qualche giorno, il motore non dava più cenni di vita, e aveva ormai deciso di ricomprarla nuova.

-Ma figurati! Noi siamo a disposizione degli amici…!- rise Gerard imboccando la prima via a destra.

-Certo, quando ho bisogno io di un passaggio, invece…- mugolò il fratellino.

-Scusa hai detto qualcosa?- chiese li maggiore, minaccioso.

-Io? Niente…- rispose quello, facendo ridere i due passeggeri posti alle loro spalle.

Frank guardava la mano destra della ragazza, vicino alla sua coscia.

Pensava a cosa potesse provare in quel momento Max, lui non avrebbe mai potuto sopportare una cosa del genere…

Notava gli scatti involontari del mignolo, dei quali lei sembrava non accorgersi.

Sospirò e sperò che tutto questo potesse finire. Quando questo pensiero gli balenò nella mente, venne sostituito da altri migliaia; cosa intendeva lui con questo “tutto”, il rapporto tra i due, l’avere una ragazza in casa, l’esser costretto a non dormire la notte per preoccupazione…

Era sicuro solo del fatto che l’avrebbe voluta avere sempre accanto… quasi non ricordava la vita prima del suo arrivo, o la ricordava monotona, sempre nei limiti della monotonia di un chitarrista rock. Non voleva pensare che avrebbe dovuto perdere le mattine senza qualcuno accanto a sé, con cui gustare un caffè, anche se in pieno silenzio… lo stare sveglio fino a tardi a commentare film horror di bassa categoria, chiedendosi tra risate come un mostro che riesce a stento a muoversi potesse far paura… o anche il semplice guardarla mentre mangiava, dormiva, parlava, giocherellava con i capelli, sorrideva, piangeva, e formulava frasi per lui senza senso… non avrebbe più potuto riniziare una vita senza tutto ciò, ora che lo aveva provato.

-Ho paura…- disse ad un tratto Max; venne però, udita solo dal chitarrista, essendo che i due davanti era presi dalle loro chiacchiere.

-Lo so… ma non devi…- la rassicurò, guardando davanti a sé.

-Ma ho molta paura…- il tono da bambina con cui queste parole erano suonate, fece sorridere Frank si voltò.

-Allora… io starò sempre accanto a te, okay? Quindi non vedo di cosa tu debba aver paura…- detto ciò, la baciò sul naso, per poi sfiorarle le labbra con un dito, riassaporando i momenti passati.

Lei sorrise, il sorriso-FrankIero- l’aveva soprannominato Gerard facendo arrossire entrambi, anche se lei sapeva che aveva ragione, quel sorriso nasceva solo grazie a lui.

-Grazie…- sussurrò, con gli occhi socchiusi, come per fermare nella sua memoria quel dolcissimo momento.

 

*

 

Arrivarono davanti al Dominic Hospital, un grande edificio bianco, circondato da un altrettanto grande parcheggio.

-Allora ragazzi, noi andiamo… aspettiamo la vostra chiamata…- disse Mikey, mentre Gerard fuori dall’auto si era accostato un attimo a Max.

-Stai tranquilla… tu sei forte… e poi… lo vedi quel ragazzo…- esclamò indicando Frank, chinato a parlare col bassista.

-È pazzo di te… ed è qui solo per te… non hai niente di cui temere…- detto ciò, l’abbracciò.

-Ciao piccola… a fra poco…- si allontanò raggiungendo il fratello, che attendeva sbuffando in auto.

-Che ti ha detto?- domandò Frank, accendendo una sigaretta.

-Niente…- rispose lei, sorridendo al suo chitarrista, che con la cicca in bocca rispose al sorriso.

Rimasero altri minuti fuori dall’edificio, per aspettare che Frank finisse la sua sigaretta e che Max si tranquillizzasse.

-E cosa gli dirò se mi chiede come me li sono procurati?- domandò la ragazza, mentre fissava le ambulanze che con la sirena al massimo, sfrecciavano fuori dai garage.

-Non credo te lo chieda… e comunque, non ci pensare ora… ti devo ripetere per l’ennesima volta di stare tranquilla?- domandò, spengendo la sigaretta sotto la suola della scarpa destra.

-No, ho capito… ora però… andiamo?- chiese. Quello per tutta risposta le afferrò la mano sinistra, e facendo incrociare le dita, iniziò a camminare.

-Un passo alla volta…- la rassicurò, notando la sua incertezza.

Insieme, lentamente, giunsero all’entrata. Max respirava con la bocca aperta, e stringeva la mano del ragazzo, quasi spaventata che questo se ne potesse andare.

Guardava dinnanzi a sé, non sapendo cosa aspettarsi.

Arrivarono in sala d’aspetto.

Un’altra stanza, anche questa completamente bianca… l’unico colore era dato dalle piante che con il poco verde cercavano di rendere il tutto un po’ più accogliente.

Frank disse alla ragazza di sedersi, mentre lui sarebbe andato a chiedere informazioni del dottore a qualche infermiera.

Lei annuì, cercando di apparire la meno terrorizzata possibile.

Si accomodò, su una scomoda sedia di plastica.

Fra tutte le voci che le circolavano intorno, lei riusciva a percepire solo una cosa: le gocce di un qualunque flebo che cadevano, ritmiche… il ricordo di quel liquido che aveva scandito i secondi, anche se pochi, passati in quella stanza, le fece salire i brividi.

Lo sentiva, rimbombarle nelle orecchie, e iniziava a percepire anche un bruciore agli occhi.

Frank che intanto era riuscito a scoprire che il medico sarebbe tornato a momenti, le si sedette accanto, ma quella non se ne avvide.

-Che succede?- le domandò quando, vide la prima lacrima.

-Non riesco a cacciarlo dalla mente…- rispose confusa, cercando di tapparsi le orecchie.

-Cosa?- chiese quello, non essendo riuscito ad apprendere il senso della risposta.

-Questo ticchettio… è lo stesso di quando ero qui io… lo senti…? Una goccia… un’altra… un’altra…- espose, muovendo il dito, sincronizzandolo con le parole.

-Dai… non ci pensare…- cercò di consolarla.

Ma Max, non riusciva a svuotarsi il cervello da quell’odioso rumore.

Riusciva a sentire solo quello, ed era forte, imponente e doloroso.

-Well I was there on the day

They sold the cause for the queen,

And when the lights all went out

We watched our lives on the screen…- finalmente qualche altra cosa si unì a quel tetro suono.

Frank con la sua bellissima voce iniziò la fantastica Disenchanted.

Max, lo guardò, come poteva fare un ragazzo a farle provare quelle sensazioni, ed ad essere sempre pronto per lei, in ogni momento.

Mentre quelle parole, come una stupenda melodia si facevano spazio dissolvendo quel ticchettio, anche ella iniziò a cantare.

Le due voci, basse attraversarono il corridoio privo di qualunque essere vivente.

La ragazza si appoggiò a lui.

-You're just a sad song with nothing to say

About a life long wait for a hospital stay

And if you think that I'm wrong,

This never meant nothing to ya…- continuavano a cantare. E in quel gioco di voci tutto sparì.

Ad un tratto però una donna, sulla sessantina si avvicinò a loro, dicendogli che il dottore era appena arrivato e fra qualche minuto li avrebbe accolti nel suo ufficio.

Loro annuirono, e ringraziarono la donna, che si allontanò.

Il momento si stava avvicinando, e la preoccupazione si stava facendo sentire.

Max sospirò, guardandosi la mano, accarezzando il palmo di questa, priva di speranze.

-Perché hai smesso?- la richiamò Frank.

-Eh? Ah sì, scusa…- rispose lei, tirando un lato della bocca.

-Cambiamo canzone se vuoi… ma non voglio che tu ti disperi… dai…They're gonna clean up your looks… With all the lies in the books- finì, attaccando con Teenegers.

Max, decise di seguirlo, ed evitare che la rabbia e la paura si rimpossessassero nuovamente di lei, non voleva permetterglielo.

 

I minuti passarono, ma nessun’altra infermiera si fece avanti per dargli altre notizie.

Il medico a quanto pare aveva avuto qualche contrattempo, ed i due erano già arrivati alla fine della 4 e ultima canzone.

-Certo che le sai proprio tutte…- rise Frank, guardandola.

-Sì, io invece ti vorrei chiedere una cosa… ma perché urli? Hai una voce così bella…- domandò, arrossendo e facendo arrossire anche il ragazzo.

-Beh, non puoi dire che le mie urla non siano bellissime… e poi io mica sono il cantante…- diede risposta, sorridendole, e spingendo il suo dito indice contro la fronte di Max, che per la pressione allontanò in maniera impercettibile la testa, per poi tornare alla sua posizione precedente.

-Okay, come dici tu… e poi sarebbe un po’ difficile fare… beh tutto quello che fai tu sul palco, con la costrizione di un microfono…- constatò, facendolo ridere.

-Eh sì, ed è quello che mi diverte di più negli spettacoli… un giorno di questi mi romperò l’osso del collo, ma… chi se ne frega!- pronunciò, alzando forse di troppo la voce, tanto che un’infermiera uscì dallo studiolo per fissarlo, e bacchettarlo con lo sguardo.

-Forse è meglio se abbassiamo la voce… anche per il fatto che mi sta venendo un gran mal di testa…- sospirò Max.

-Vieni…- la incitò, a sdraiarsi su di lui, e lei lo fece.

Appoggiò la sua testa alle gambe del ragazzo, e socchiuse gli occhi.

Quello giocherellando con i suoi capelli, iniziò a mugolare una dolce canzoncina…

-Cos’è?- chiese lei, non smettendo di tener le palpebre abbassate.

-Me la cantava la mia mamma quando ero nervoso, non ricordo precisamente le parole, ma la sinfonia non me la caccerò mai dalla testa…- detto questo, riattaccò.

-Dormi… angelo… la mamma è con te… quando la notte finirà, la tua mamma qui sarà…- intonò la ragazza.

-Sì, è questa…- rise Frank.

-Anche la mia mamma me la sussurrava prima di dormire….-.

Allora quello ritornando a cantare venne seguito dalla voce di Max, che ricordò tutte le parole.

Alcune persone si sedettero nella stessa sala, ma nessuno osò interrompere questo bellissimo momento.

I due fecero sorridere molti volti quel giorno.

Finalmente, circa un quarto d’ora dopo arrivò l’infermiera che prima aveva rimproverato i due.

-Ragazzi…- al suono di questa parola, Max si destò e ,dopo essersi strofinata gli occhi tornò ad ascoltare la signora.

-Il dottore è pronto per ricevervi…- allora i due si alzarono e attraversarono il corridoio.

La sala del dottore, come fu loro spiegato successivamente era l’ultima sala a destra.

Arrivati di fronte l’infermiera che li aveva portati fino a quel posto gli avvertì che solo i familiari potevano accompagnare colui che si visitava, durante la visita.

Max allora si girò verso Frank e scuotendo il capo disse: -Io senza di te, non ce la faccio…-.

Lui, la guardò per tranquillizzarla e rivolgendosi alla donna esclamò.

-Siamo fidanzati… dobbiamo sposarci tra un mese… posso essere considerato un familiare…?- domandò, con lo sguardo da cucciolo, afferrando la mano della ragazza.

-Sì, dai puoi andare… ed auguri, sia per la visita che per il matrimonio allora…-.

-Grazie…- dissero in coro i ragazzi, ridendo.

Entrarono.

Lo studio era abbastanza grande, una parete era ricoperta da attestati di laurea e foto di bambini, sicuramente figli del dottore.

La scrivania d’acero aveva sopra di sé scartoffie di ogni genere, una pianta fiorita, ed un orologio a pendolo, che segnava i secondi con il consueto ticchettio.

Il lettino alla loro destra era coperto da un lenzuolo ancora intatto.

Ed infine ecco il dottore.

Un uomo basso e panciuto, gli occhi infossati nelle orbite.

Una barba incolta era la cornice adatta per quei lineamenti non propri adatti ad un dottore, i capelli erano brizzolati irti sulla testa come tante spine.

Sul volto un sorriso di circostanza.

-Salve, ragazzi…- pronunciò, per poi invitarli a sedere, nelle due sedie di pelle di fronte alla scrivania.

-Allora, cosa abbiamo qui?- domandò avvicinandosi alla ragazza.

-Più di un mese fa, la mia ragazza si è fatta male con uno specchio rotto… da allora non riesce più a controllare i movimenti della mano destra…-.

Il dottore per tutta risposta mugolò, ed indirizzò la ragazza e sedersi sul lettino.

-E se posso, perché non è venuta prima da un dottore?-.

Il cuore di Max iniziò a battere sempre più forte, era arrivato il momento di confessare a qualcuno quello che aveva fatto?

Il medico, alzato lo sguardo e vista l’espressione tesa della ragazza evitò di insistere.

-Le ricordo solo che ho l’obbligo del segreto professionale, per il resto… andiamo avanti con la visita…-.

Slacciò le bende che avvolgevano il braccio, la pelle finalmente riprese aria.

Prima controllò il polso sinistro.

Sapeva bene come la ragazza si fosse fatta i seguenti tagli, e per questo evitò di pressare con domande di alcun genere.

-Beh qui le ferite si sono quasi del tutto rimarginate, le bende hanno aiutato molto, ma ti consiglio comunque di disinfettarle, perché non vorrei che sorgesse qualche infezione, anche se vedo che non ci sono segni…-.

Frank che si era accostato all’uomo intervenne.

-Sì, ho provveduto a disinfettarla varie volte…-.

Il dottore annuì, per poi passare a controllare l’altra mano.

-Allora… mi spieghi… sente mai dolore?- chiese, mentre tastava con delicatezza le falangi.

-Sì, molto spesso…mi vengono attacchi che mi intorpidiscono tutto il braccio…-.

Quello mugolò nuovamente.

-Provi a muovere il mignolo…-.

Quella strinse gli occhi, mostrando l’estenuante sforzo, ma niente.

-I legamenti sono sicuramente rovinati, anche in maniera abbastanza grave direi...-.

-E dottore… cosa dobbiamo fare?- Frank nervoso, dopo essersi seduto aveva iniziato a tamburellare le dita sul tavolo.

Max si fissava la mano, spaventata… perché non aveva seguito quello che gli aveva detto Frank?

-Beh ci sarebbe un’operazione…-.

-Okay… è pericolosa?-.

-Ogni operazione ha i suoi rischi signor…-.

-Iero, signor Iero…-.

-Beh dicevo… ha i suoi rischi, ma permetterebbe alla sua ragazza di tornare ad utilizzare la mano destra con tutte le sue dita…-.

Max non aveva proferito parola, anche se aveva ascoltato tutto quello che i due si erano detti.

-Okay, allora ne parleremo… ma credo di poterle dare già il nostro consenso… vero Max?- domandò Frank.

Quella rispose annuendo.

-Allora se vuole gliela prenoto, ma credo che non ci siano giorni buchi fino alla settimana prossima…- continuò il dottore sfogliando l’agendina d cuoio, che risiedeva sulla scrivania.

-Bene, ci faccia sapere… noi ora andiamo… arrivederci…- Frank si avvicinò a Max –Amore andiamo…- dettò ciò la prese per la mano ed uscirono.

 

*

 

Giunsero fuori dall’ospedale e si ritrovarono indifesi, sotto un grande acquazzone.

-Oddio… aspetta quanto dico a quelli di muoversi…- sospirò Frank, prendendo il cellulare dalla tasca.

Max ancora in silenzio, si sedette in una panchina sotto la pioggia.

Rimase con la testa china, mentre tutti i capelli grondanti di acqua le circondavano il viso bianco.

La maglietta e la cravatta aderivano al suo corpo, che dopo alcuni secondi iniziò a tremare.

-Gee… abbiamo finito, ma qui sta piovendo a dirotto… okay, grazie… a tra poco…- riattaccò.

-Stanno arrivando…- disse voltandosi, rendendosi conto di essere solo.

La vide seduta sola in quella grande panchina, e correndo la raggiunse.

Fece schizzare alcune pozzanghere d’acqua e poi arrivò accanto a lei.

-Ti farai venire qualcosa… non ti potevi portare qualcosa da metterti sopra?- chiese cacciandosi il giubbotto ed appoggiandolo alle spalle di lei, inerte.

-Perché fai tutto questo per me?- gli chiese Max, alzando lo sguardo, mostrando il viso pieno di pioggia.

Frank, anch’esso completamente zuppo, la guardò. Aveva il ciuffo bagnato che gli pressava sull’occhio destro, gli occhi verdi si vedevano anche attraverso quei capelli e quei goccioloni.

-Come scusa?-.

-Perché lo fai? Non sono venuta a letto con te… non abbiamo vincoli di sangue… non capisco…-.

-Beh allora sei stupida…- disse quello, mostrando un sorriso tra la pioggia.

Max alzò gli occhi al cielo. Adorava stare col viso sotto la pioggia.

Adorava la pioggia, e starci sotto la rendeva felice.

Lui la guardava, e guardava quella pioggia che le cadeva addosso, avrebbe tanto voluto essere nei panni di quelle gocce che scendevano sulle sue labbra rosse, che ripassavano il contorno delle sue gote, o che le calavano giù per il corpo.

-Posso baciarti?- le chiese.

Quella sorrise, per poi voltarsi e prendere il volto di lui tra le sue mani.

Un bacio sotto la pioggia.

Le gocce che si intromettevano tra quelle labbra che avevano sofferto ed aspettato tanto quel momento.

-Hai capito adesso perché io ho fatto tutto questo per te?- domandò Frank, separandosi un attimo.

-Sarei una stupida se non lo avessi capito… e comunque anche io ti amo…- concluse con un sorriso, sfiorando il viso di lui.

-Questo io non lo ho mai detto…- insisté lui, fissando i lineamenti di quella ragazza, come se stesse guardando una dea.

-Lo hai dimostrato che è anche meglio…-.

Le loro labbra si rincontrarono.

Le macchine che sfrecciarono non interferirono minimamente nei loro pensieri, non c’era nulla a parte loro, ed il loro amore.

Max sapeva che se lui le sarebbe rimasto accanto, tutto avrebbe avuto un lieto fine; Frank invece… beh per lui il tanto ambito lieto fine era arrivato... sotto una fredda pioggia primaverile…

 

Fine

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