All About Us - anche noi diremo che eravamo giovani e che soffrivamo di vertigini

di RobDarko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo uno. ***
Capitolo 2: *** capitolo due. ***
Capitolo 3: *** capitolo tre. ***
Capitolo 4: *** capitolo quattro. ***



Capitolo 1
*** capitolo uno. ***


All About Us - anche noi diremo che eravamo giovani e che soffrivamo di vertigini.
Capitolo uno.

La mattina fredda e grigia salutava beffarda Kurt dalla finestra.

Era una mattina come tante altre, alla fin fine, dove il freddo ti entrava nelle ossa anche sotto strati di lana. Gennaio. No, non era neanche mattina, era semplicemente quello che iniziava a vedersi della mattina: erano le sei e trentacinque. fuori era ancora buio pesto. Sarebbe schiarito a minuti, però. Kurt buttò giù le gambe dal letto.

Camminava anche quella mattina. Respirava. Aveva pieno controllo del suo corpo e improvvisamente quella fu la prima cosa che lo scoraggiò : era vivo e stava bene.
Non aveva senso sperare di prendersi un bel malanno invernale quando usciva coperto come faceva lui, quindi sospirò e guardò fuori dalla finestra il deprimente panorama a cui era costretto tutte le mattine.

Più di Lima, il posto in cui viveva gridava provincia! in modo terribile e inderogabile. Strada. Asfaltata, grigia, con le strisce bianche. Poco marciapiede e poi tutta strada, che si allargava fino al palazzo una volta bianco -adesso grigio e rovinato- di fronte al suo. Gemello al suo, gemello alla maggior parte dei palazzi di Lima. Forse qualcuno era più basso, o più vecchio, ma le palazzine avevano sempre quel che di vecchio, anche se bianche immacolate come la nuova serie giù a Glassrod Street, pronte per essere abitate in quanto più sicure. Ma nessuno voleva lasciare la propria casa, quindi prima che il primo inquilino vi ci mettesse piede, quelle palazzine sarebbero ammuffite e diventate uguali a quelle già presenti.

Perdere tempo in quel modo, Kurt lo sapeva, era completamente inutile. Non gli avrebbe evitato un'altra giornata a scuola.
Andò dritto a fare la doccia, con passo felpato, perché sapeva che era il primo sveglio in casa. Attese la conferma di Finn, che russò quantomeno rumorosamente dal fondo del corridoio. Si lavò sfregando forte la spugna sulla pelle, come se non facesse una doccia da una vita, poi si passò la crema idratante velocemente, valutando o meno se applicare le altre.

Doveva, ma faceva troppo freddo per negoziare con le creme, quindi, in canottiera e pantaloni del pigiama sgusciò di nuovo in camera sua e aprì l'armadio : i vestiti, sebbene diversi e colorati, gli sembrarono tutti uguali e grigi. E fu in quel momento che Kurt capì di stare proprio male a vedere tutto uguale nel suo armadio.

Afferrò i vestiti a casaccio, improvvisamente stanco di guardarli e si infilò una camicia e un cardigan grigio, e catalogò quelli che si stava mettendo come semplici jeans. Sistemò i capelli con gesti meccanici, poi controllò i quaderni e i libri nello zaino. Niente, era tutto perfetto e minuzioso come al solito. Desiderò di sbagliare qualcosa, così qualcuno avrebbe capito che c'era qualcosa che non andava, ma prima ancora che potesse rendersene conto era andato in cucina e aveva apparecchiato per la colazione, certo che Carole lo avrebbe adorato una volta sveglia. Come tutte le mattine.

Uscì prima, con una sola galletta e un solo sorso di latte come colazione e scese in strada, imboccando la strada dello stazionamento di Elmar street.
Prendeva l'autobus perché uscire con Finn era fuori discussione. Preferiva farsi quattro fermate piuttosto che condividere con Finn il viaggio per arrivare a scuola, questo perché loro due non riuscivano a convivere insieme.

In anticipo, salì sull'autobus ancora fermo e dopo aver timbrato il suo biglietto prese posto in fondo, vicino al finestrino.

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Sebastian aveva iniziato ad odiare Lima sin dal primo momento in cui ci aveva messo piede.
Sua madre, al contrario, era entusiasta di viverci, perché era un posto tranquillo dove avrebbero vissuto in pace. Facile dirlo per una come lei, aveva pensato Sebastian nel guardare la sua nuova casa, un coso squadrato e enorme che stonava con l'ammasso di palazzine grigiastre che formava la città. La provincia, meglio ancora.

Aveva provato a convincere sua madre a farlo studiare a casa, ma lei non aveva voluto sentire ragioni : aveva bisogno di stare a contatto con persone della sua età. Il professor Wright era stato chiaro su questo, e poi aveva bisogno di amici.

Frequentava il McKingley da Settembre ed era schifato da quello che aveva visto : bullismo pesante, cheerleaders puttane e sportivi che si credevano onnipotenti. Il resto del corpo studenti era un vero e proprio gregge. Aveva provato a fare amicizia, perlopiù con gente semplice da conquistare, ma non aveva ottenuto granché.

Aveva provato a iscriversi a qualche club, ma le uniche cose disponibili erano le squadre sportive e il football sarebbe stato parecchio avvilente e sporco, quindi ci aveva rinunciato.
Sua madre lo aveva incoraggiato a non darsi per vinto, ma Sebastian sapeva che era già rassegnata al fatto di avere un figlio sociopatico.

Sebastian prendeva l'autobus perché era abituato. A Parigi prendeva la metropolitana, quindi vedeva la macchina come una novità riservata agli adulti.

Mercoledì sedici gennaio stava appoggiato al palo gelato della fermata,  attendendo l'autobus che arrivava dallo stazionamento di Elmar Street. Quando l'autobus arrivò ci salì e con un gesto meccanico mostrò al conducente il suo abbonamento. Quello lo guardò appena e gli fece segno di sedersi, quindi Sebastian partì verso il suo posto abituale, in fondo, vicino al finestrino.

Con sua grande sorpresa, c'era seduto qualcuno, e per un attimo i suoi occhi verde mare incontrarono quelli azzurri di Kurt Hummel.

Kurt ci mise un attimo a capire «Vuoi che mi sposti?» chiese, incerto di come comportarsi. Non timoroso, non prepotente, solo incerto.

«No, rimani» rispose Sebastian, e gli sorrise prima che potesse impedirselo. Si sedette nel posto davanti a quello di Kurt, escludendolo di nuovo dal suo mondo.

Kurt Hummel. Era nel suo stesso corso di francese, storia, inglese ed economia domestica ed era...intelligentissimo. Brillantemente acuto, anche se non era una qualità particolarmente apprezzata dai professori. A Parigi, uno come lui l'avrebbero alzato su un piedistallo, ma in Ohio, dove vivevano nel basso medioevo, la sua intelligenza era distruttiva. Sia mai che si presenti un ragazzino con delle qualità valide, uno indipendente e intelligente.

Fuori dal corso di francese, non ci aveva mai parlato. Era una persona difficile da conquistare, o perlomeno così sembrava a Sebastian. E poi non aveva voglia di fare amicizia anche con quelle sue amiche, l'asiatica e la nera, quindi aveva lasciato perdere sin dall'inizio con lui.


Dal canto suo, Kurt sapeva perché Sebastian Smythe non aveva amici. Giravano molte voci su di lui, nessuna delle quali gentile nei suoi confronti.

Aveva sempre voluto parlarci. Sapeva che era francese e che si era trasferito a Luglio per poi sparire tutto Agosto, ma questo era quanto. Si rifiutava di credere alle voci, mentre Tina lo trascinava via ogni volta lo vedeva svoltare l'angolo. Tina ne era terrorizzata.

Entrambi impegnati a pensare all'altro, scesero dall'autobus da due porte differenti, convinti che non ci sarebbero stati altri contatti.
Quanto si sbagliavano.

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Ciao bella gente!
Ebbene sì, è arrivata anche lei. All About Us, un pezzo della mia anima, praticamente ho creato un horcrux senza uccidere nessuno (battute squallidissime, sorvoliamo).
Adoro questa storia. E' un pezzo di me, sul serio. Adoro scriverla, e mi farebbe veramente piacere che mi faceste sapere cosa ne pensate. E' la mia bambina, sul serio, ci ho messo anima e corpo sia nella plotline che nei primi capitoli, e voglio davvero tanto mostrarla al mondo, anche se sono insicura, perché so che non avrà granché successo, sia per le tematiche che affronta più avanti, sia per la mia proverbiale sfiga xD
Questa storia si è scritta da sola e mi ha chiesto in ginocchio di pubblicarla, visto che è da Aprile che me la tengo nel pc.
Niente, angolino lacrimoso apparte, spero che vi sia piaciuta.

Ci vediamo al prossimo capitolo, see ya soon,
Robs

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Capitolo 2
*** capitolo due. ***


All About Us - Anche noi diremo che eravamo giovani e che soffrivamo di vertigini
Chapter
two.



La McKingley High, nel suo squallore rosso e bianco spezzava il grigio del cielo e il marciapiede.

Kurt tirò un sospiro di sollievo a vedere quanto prima fosse arrivato, a scuola ancora chiusa. Le sette meno venti, quindi aveva ancora circa mezz'ora prima delle sette e cinque, quando i bidelli si decidevano a aprire i cancelli.

Indeciso, girovagò davanti ai cancelli rossi arrugginiti, percorrendoli con la punta delle dita, poi si voltò a cercare Smythe con lo sguardo. Gli era venuto in mente dopo che con lui ci doveva essere anche Sebastian, e non sembrava una cattiva idea volerci fare conversazione.

L'essere arrivato prima lo aveva messo di buon umore, aveva dieci minuti di vantaggio su Karofsky o Shane o qualche altro coglione della squadra di football. Niente granite di prima mattina, niente spintoni, perché sarebbe stato già in classe.

Si guardò intorno un paio di volte, nel rettangolo di asfalto davanti ai cancelli, ma di Sebastian Smythe neanche l'ombra. Guardò nella strada davanti, gli angoli di destra e sinistra, ma non lo vide.

«Non te ne accorgi quando le persone sono proprio affianco a te?» gli chiese a un tratto la voce divertita dell'altro ragazzo, spaventosamente vicino. Kurt voltò subito la testa e lo vide, proprio affianco a lui, appoggiato al cancello rosso «Oddio, mi hai fatto prendere un colpo» riuscì a dirgli. Per un attimo non aveva riconosciuto la sua voce, e ne aveva avuto istintivamente paura. Gli faceva un po' paura anche adesso, a dirla tutta, ma di meno.

«Quando ho notato che mi cercavi» disse Sebastian «Ti sono venuto vicino e tu non mi hai notato. Non so quante volte l'hai fatto»alzò le spalle.
Kurt non capì subito il senso di quelle parole, quindi cambiò argomento «Tu arrivi sempre così presto?»
«Sempre» rispose Sebastian.
«E che cosa fai?» chiese vivace, ma si morse subito la lingua per averlo fatto. Magari a Sebastian non andava di rispondere.
Invece Sebastian rispose «Tutto e niente» mantenne il tono calmo e ammaliante con cui stava parlando, e quella sfumatura seducente nei suoi occhi mise a disagio Kurt. Sebastian lo notò, per questo aprì le labbra e sorrise, cercando di eliminare ogni traccia di quell'aria.
Peggiorò le cose «Tu invece cosa stavi facendo prima che ti togliessi dieci anni di vita?»

«Mi....mi annoiavo. Non sapevo cosa fare e se mi mettevo a ripassare era la fine» gli rispose, balbettando un po'.

«Ti piace studiare»constatò Sebastian.

«Già»

Rimasero in silenzio fino alle sette e cinque e appena fu possibile Kurt si fiondò dentro la scuola senza neanche salutarlo. Ma la scuola, la poca gente che c'era, aveva visto qualcosa di non indifferente. L'inquietante Smythe e il dolce Hummel appoggiati ai cancelletti, vicini e distanti, in armonia tra loro.


Sebastian ci rimase, letteralmente, di culo quando Kurt sgusciò via. Per quei due minuti si era dimenticato che nessuno gli rivolgeva la parola. Si era dimenticato  a chi aveva dato a parlare e si era divertito a rispondergli, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Ma si rassegnò al fatto che con lui Kurt ci avrebbe riparlato difficilmente.

Rimase fuori dalla scuola qualche altro minuto, giusto per vedere la squadra di football riunirsi vicino al cassonetto in attesa di Kurt, come facevano tutte le mattine. E rise, perché Kurt li aveva saggiamente fregati. Lo guardò proprio in faccia, Karofsky, mentre rideva. Voleva vedere se aveva il coraggio di prenderlo e buttarlo nel cassonetto. Gli lanciò la sfida di farlo con gli occhi, ma Karofsky distolse lo sguardo. Tipico, pensò Sebastian, se lo facessero a me gli aprirei il culo e lo sanno, perciò non mi toccano.

Entrò nella scuola e dopo aver recuperato il libro di matematica dall'armadietto si diresse verso la sua classe, incurante degli sguardi. Li conosceva bene, erano timorosi e tentavano di capirlo.

Proprio perché non li guardò non capì che erano più increduli che timorosi.

Kurt invece lo aveva notato. O meglio, glielo avevano fatto notare.
Mercedes si appoggiò all'armadietto vicino la suo «Ehi, ragazzo bianco» lo salutò. Kurt sorrise istantaneamente e gli rivolse il suo sorriso, ma notò che Mercedes era rabbuiata.

C'era qualcosa che non andava
. Il sorriso di Kurt si affievolì appena e assunse una sfumatura preoccupata. «Ehi. E' successo qualcosa?»
Mercedes scosse la testa «Niente» disse.

Kurt non ci cascò «No, a te è successo qualcosa» replicò.
Mercedes odiò l'intelligenza del suo migliore amico «A me non è successo un bel niente, Kurt. Tu piuttosto sei impazzito?»  gli chiese aggressiva. Kurt la guardò interrogativo

«Perché dovrei essere impazzito, scusa?» le chiese. Proprio stamattina te ne accorgi, con tutte le mattine in cui ho veramente qualcosa che non va.

«
Parli con Smythe, l'ha detto Jacob»disse Mercedes «Hai idea di cosa fa quel tipo?» cominciò col suo tono da ramanzina.

«E tu credi a Jacob?!» gli rispose arrabbiato Kurt «Comunque, non credo a una parola di quello che dicono di lui»si girò verso il suo armadietto e lo chiuse, mentre si incamminava a Geografia. Mercedes lo seguì «Quei gatti dietro la scuola li ha uccisi lui, Kurt, lo sai»

«Stronzate. Lo sa meglio di me che è stato Luke Charson» le rispose prontamente Kurt.

«Lo stai difendendo?» chiese accusatoria.

«No, sto vedendo le cose come stanno. Dov'è Tina, piuttosto?» le chiese guardandosi intorno alla ricerca dell'asiatica  

«Oggi non viene» rispose Mercedes, sedendosi vicino a lui in aula «Suo padre mi ha detto che sta male»
Kurt la guardò allarmato «Ha ancora la nausea?»

Mercedes si strinse nelle spalle «Non lo so, suo padre ha solo detto che sta male»
Kurt stava per dire qualcosa quando l'insegnate arrivò, quindi non disse nulla. Si ripromise di chiedere informazioni a Mike più tardi.


Le prime ore della giornata volarono. Di tanto in tanto, mentre percorreva i corridoi per arrivare all'aula dove si sarebbe svolta la lezione successiva, Kurt notava qualcosa di diverso. Due ragazzine del primo anno bisbigliavano e gli lanciavano occhiate timorose o curiose. Qualcuno distoglieva lo sguardo. Si trovò affiancato da Finch un paio di volte, ma tutte le volte il ragazzo desisteva dallo spingerlo o insultarlo. Ed era strano, perché più che occhiatacce di schifo o incredulità erano occhiate curiose e timorose.

Perplesso,  velocizzò il passo verso l'aula di Storia. Fu un attimo : Sebastian gli afferrò il polso e se lo tirò vicino, così veloce da capogiro, abbastanza veloce da fargli schivare appena in tempo la granita che si infranse contro gli armadietti vicino a loro. Karofksy gli lanciò uno sguardo di puro odio mentre si allontanava in fretta. Per un paio di secondi, Kurt analizzò la scena frastornato, incapace di capire cos'era successo.

«Tutto bene?» fu la voce di Smythe a riportarlo alla realtà. Girò la testa quasi di scatto, trovandosi vicino, un po' troppo vicino «G-grazie» balbettò prima di riuscire a rispondergli, cerando di mantenere un po' di distanza. Sebastian lo guardò per qualche secondo, e Kurt poteva chiaramente leggere una domanda divertita e scioccata nei suoi occhi verdemare.

Gli lasciò il polso, immediatamente, come resosi conto solo adesso che lo stava ancora tenendo «Non c'è di che»
La campanella dell'inizio dell'ora non aveva mai sollevato Kurt così tanto chiese Sebastian, indicando l'aula di storia a qualche metro. Annuì. Si incamminarono, lasciandosi alle spalle i compagni confusi. Kurt guardò Sebastian, incurante e  lo seguii fino al terzo banco. Si misero seduti fianco a fianco.

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«E che cazzo...» imprecò Sebastian, sentendo il rumore di un tuono in lontananza. Alzò lo guardo verso il cielo e una goccia di pioggia gli si infranse sulla guancia. Ne attese un'altra, e ne arrivarono a milioni. Queste cazzo di previsioni, mai che ne azzecchino una. Trasalì per il brusco calo di temperatura e, ormai bagnato, si rimise a camminare verso la fermata.
«Ehi, Smythe!» gli gridò Kurt alle spalle. Sebastian si girò e lo video corrergli incontro con un ombrello aperto. Quando arrivò, aveva il fiatone e le guance rosse, non sapeva se per il freddo o la corsa «Facciamo la strada insieme, ti va?» lo coprì con l'ombrello «Abbiamo perso entrambi l'autobus e volevo....ricambiare il favore di oggi»
Sebastian lo guardò per alcuni secondi. Se è uno scherzo è uno stronzo, se è vero è proprio un idiota. «Capisco, non ti va. Non fa niente, ma sotto questa pioggia....»
«Ma certo che mi va, è solo che abito lontano» rispose Sebastian, desideroso di rivedere la sua espressione accesa dall'entusiasmo timido di prima  
«Non importa. Andiamo, altrimenti perdiamo anche questo!» ribattè, e si incamminarono.

Sebastian si offri di portare l'ombrello in quanto più alto, e Kurt glielo cedette con un falso broncio da manuale. In una frazione di secondo, le loro mani si sfiorarono fredde sul manico dell'ombrello. Mentre camminavano in silenzio , ormai al buio inframmentizzato dalle luci artificiali dei lampioni, sentirono il rumore dell'autobus che gli passava davanti per arrivare alla prossima fermata, a qualche metro di distanza.

Si guardarono, complici, poi corsero senza rimpianti fino alla fermata, giusto un minuto prima che l'autobus chiudesse l'ultima portiera. Ci si fiondarono dentro e
quando l'autobus partì, Kurt sbattè il sedere contro i sediolini di plastica, cadendoci in lungo. Sebastian, che aveva avuto l'accortezza di aggrapparsi alla sbarra di metallo rossa, rise fragorosamente e poi gli tese la mano per rialzarsi.

Quando furono entrambi seduti si guardarono, in un primo momento serissimi, poi scoppiarono a ridere. E più si guardavano, più ridevano. Più guardavano altrove e più ridevano. Una vecchietta lanciò loro uno sguardo di disapprovazione. «E l'ombrello?» chiese Kurt, una volta scemate le risa.
«Ancora a Fairfax, suppongo. Scusami.» rispose Sebastian.
«Ma dai, almeno non siamo a piedi»osservò Kurt, facendo ridacchiare entrambi. Calò un silenzio confidenziale. idiota, certo. Qui l'idiota sono io.

Per il resto del viaggio, Kurt tenne la testa appoggiata al finestrino. Sebastian gli diede una spallata leggera «Non ti addormentare. Qual'è la tua fermata?» chiese.
«St.Claire» rispose Kurt, sistemandosi meglio sul sediolino.
 «Ah, la prossima allora.»osservò Sebastian. Kurt si raddrizzò immediatamente e corse a prenotare la fermata, tenendosi alla sbarra rossa mentre l'autobus era in corsa «La tua qual'è?»  chiese.
«Hornicker, la penultima» rispose Sebastian.
 L'autobus si fermò e le portiere si spalancarono «Allora ciao, eh!» lo salutò Kurt.
«Ciao. Ti aspetto domani» lo salutò Sebastian, e Kurt sorrise e annuì con vigore.
A domani. E se sono un idiota, intendo farlo per bene.

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Ciao! Ma quanti siete? :O
E io che pensavo che questa fanfiction sarebbe caduta nel dimenticatoio e non sarebbe piaciuta a nessuno! Sono commossa ç___ç Grazie a tutti!
Niente....le cose iniziano a smuoversi :'D  Dal prossimo capitolo sarà tutto angst - pucciamme - angst - angst , mi odio da sola. Ho amato la scena della granita, btw.
Com'è ? Vi è piaciuto? Commenti, opinioni, pomodori virtuali? Lemme know it!
Ci vediamo la settimana prossima,

Robs.

EDIT : come Ross mi ha fatto notare (grazie Ross <3) mancava un pezzo nella scena della granita. Adesso, nel documento originale c'è, ma non so perché EFP non l'ha caricato D: Comunque, tutto risolto.

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Capitolo 3
*** capitolo tre. ***


All About Us - Anche noi diremo che eravamo giovani e che soffrivamo di vertigini
Chapter
three.

A Keiko Suenobu, che ha fatto molto di più che disegnare manga.


Circa due settimane dopo "l'incidente della granita" (l'intera scuola aveva deciso di chiamare così l'inusuale salvataggio di Kurt da una granitata in piena faccia)  e dalle prime volte che erano tornati a casa insieme, Kurt e Sebastian avevano acquisito una specie di routine.
Di mattina si aspettavano per andare a scuola insieme e di pomeriggio per tornare a casa; se condividevano le lezioni si sedevano vicini (il problema dei loro compagni di banco non si presentava, perché nessuno voleva sedersi vicino al gay e allo strano inquietante), se non le avevano in comunque si aspettavano e accompagnavano fino alle lezioni successive.

Pranzavano insieme. Le prime volte c'erano anche Mercedes e Tina con loro, ma col passare del tempo le due preferivano andare a far compagnia ai propri ragazzi. «Quelle due non mi sopportano» aveva detto Sebastian, indicandole con una patatina fritta «anzi, non sopportano il fatto che tu le abbia scaricate prima che loro potessero scaricare te.»  a Kurt quasi si chiuse lo stomaco per quello che aveva detto «Ma sono le mie migliori amiche! Insomma, non mi avrebbero mai scaricato!» protestò. Sebastian si limitò a stringersi nelle spalle e sorridergli sornione. Tanto hai me avrebbe voluto dirgli che te ne fai di loro.

Kurt aiutava Sebastian in biologia e chimica, Sebastian ricambiava spiegandogli tutto quello che sapeva sulla poesia e la letteratura. Scoprirono insieme di essere bravi nell'atletica leggera, a giocare a pallavolo («Ma è ovvio che sei bravo, sei così alto che la superi, la rete!» gli aveva gridato Kurt, e Sebastian aveva riso per mezz'ora al suo broncio, che cresceva man mano che Sebastian rideva) e che bisognava evitare il bagno del secondo piano nelle ore di spagnolo, perché ci andavano a fumare quelli della squadra di hockey. Più che per timore, Sebastian non ci andava perché non gli piaceva l'odore della marijuana scadente che fumavano «Quelli lì una canna decente non l'hanno vista neanche da lontano» proclamava, e Kurt lo guardava perplesso, strappandogli un sorriso.

Sebastian impazziva per la risata candida di Kurt. Kurt scoprì quando fosse piacevole perdere un paio di battiti per un ragazzo che gli sorrideva, specialmente se il ragazzo in questione era Sebastian.
Loro due, insieme, stavano meglio di quanto sarebbero stati con un milione di amici a testa.

Qualcuno però non era altrettanto felice della loro amicizia.
Juliet stava seduta in sala studio in cerca di qualcuno da insultare o infastidire. Rapida, scrutava la stanza coi suoi occhi cangianti, le gambe seminude accavallate sotto il tavolo, insensibili ai morsi del gelo, i gomiti appoggiati alle pagine del libro di storia, col mero intento di stropicciarlo. Ma che mi importa della storia? I miei compiti li fa Luke, a quel fallito piace.
Persa nei suoi pensieri e nel suo cattivo umore, notò in ritardo la scena più scioccante del secolo :

Kurt sonogaymanonlonascondo Hummel sedeva rigidamente sembra sempre che abbia una scopa in culo, quello tenendo gli occhi fissi sul quaderno in un mero tentativo di studiare che Sebastian Smythe sventava abilmente parlandogli all'orecchio. QUEL Sebastian Smyhte! Il SUO Sebastian Smythe, che di tanto in tanto mostrava a Kurt un foglietto, che ogni volta che lo vedeva si copriva la bocca con la mano colpito da una risatina incontrollata. Oltre a loro due, il tavolo era vuoto, quasi avessero un'aura che respingeva chiunque altro.
A un certo punto, Kurt diede gli diede una gomitata e tornò, ridacchiante, ai suoi appunti.
Sebastian, al quale non bastava certo una gomitata per zittirlo, lo lasciò in pace per qualche secondo, poi, a sorpresa, gli ficcò un braccio intorno al collo e lo tirò giù affettuosamente. L'inevitabile gridolino spaventato di Kurt lo fece scoppiare a ridere «Ehi!» li riprese un ragazzino basso e brufoloso «Io fto cercando di ftudiare qui!» disse con la sua s moscia.

«Scusa Tom, se il qui presente cretino» scoccò un'occhiataccia a Sebastian «si decide ad aprire un libro non facciamo più rumore» si scusò Kurt. Tom aprì la bocca come per rispondere, ma solo dopo si rese conto chi stava riprendendo. Non sostenne lo sguardo di Sebastian per più di quattro o cinque secondi.
Juliet era esterrefatta. Era inconcepibile! Proprio lì, sotto il suo naso!  Come si permettevano?! Si alzò, facendo fare alla sedia un rumore atroce, prese la borsa e corse fuori dalla sala studio. Questa me la paghi, fottuta checca.

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«Che poi secondo me è assurdo» proclamò Sebastian, camminando affianco a Kurt «Un autobus ogni ora. Perché non installano una metropolitana e via?»
«Perché la metropolitana è, appunto, per le metropoli, non per i buchi come questo» spiegò Kurt «Meno male che sei tu quello bravo con le parole qui. Poi pensa che a Arkon sono messi peggio, loro hanno le corriere che passano ogni due ore....» Kurt si bloccò di colpo, fissando l'anta chiusa del suo armadietto. In bella vista, su tutta l'anta, comparivano scritte di pennarello rosa e nero "Frocio!", "I froci come te devono morire!", "Succhicazzi!", "Perché non muori? Sei inutile!" , "Invertito!", "Schifoso!" e insulti simili.

Sgranò gli occhi e gli tremarono le labbra, mentre lo shock si faceva largo dentro di lui. Sentì polmoni che si restringevano, vuoti d'aria. E poi la rabbia. E subito dopo l'impotenza, quella dannata, muta impotenza. Si morse forte le labbra, immobile, incapace di parlare. O mettersi a urlare. Sentì le lacrime arrivare, ma rimanere dentro e lasciare posto a qualcosa di ancora più tremendo e significativo : il silenzio fuori, il dolore dentro.

Sebastian fissò disgustato l'anta coperta di graffiti offensivi . Lui, invece, si fermò alla rabbia «ADESSO VADO A SCRIVERE "CICCIONE" SULL'ARMADIETTO DI KAROFKSY, VEDIAMO COME LA PRENDE!» urlò, e la sua rabbia sembrò sproporzionata rispetto al suo corpo. Voltò le spalle e corse verso lo spogliatoio, ma la sua corsa non durò tanto. Kurt lo raggiunse e lo tirò indietro per la mano. Sebastian lo guardò, e nei suoi occhi lesse un no. Kurt scosse la testa.

«No? Perché no, Kurt? Perché non farlo sentire come fa sentire te?» gli chiese, a voce alta, alterata dalla rabbia.

«Perché no, Bastian, perché siamo migliori di lui, noi...» ingoiò un singhiozzo «siamo migliori, capisci? Non ci abbassiamo al suo livello, noi....noi.....» singhiozzò, e Sebastian capì come doveva essere piangere senza lacrime.

«Perché non piangi?» gli chiese, con tante domande che voleva fargli. Tante cose che voleva fargli capire, tante cose che voleva capire, gli chiese proprio quello.

«Non c'è niente per cui piangere» rispose Kurt.

«Come no? Ti hanno appena cosparso l'armadietto di insulti e tu non puoi fare niente, non dovresti essere arrabbiato? Non dovresti voler vendicarti?»  Sebastian indicò l'armadietto, metri più dietro, confuso.

«E' così e basta. Sono abituato.» Kurt alzò le spalle, rassegnato, ma le sua mano teneva ancora stretta quella di Sebastian, e la teneva stretta forte. Fortissimo.

«Sei...» un idiota. troppo buono. vetro sottile. speciale. troppo forte, non ci credo che sei così forte. come fai. dimmi come fai. voglio sapere come cazzo fai. come tiri avanti.

«Sono cosa?» chiese Kurt spiazzato.

«Niente. Sono solo...confuso.» rispose Sebastian. Gli tirò la mano «Andiamocene.»

«Ma i libri?»

«Ti presto i miei. Andiamocene da questo schifo di posto adesso, o spacco qualcosa.» rispose deciso Sebastian. E il suo tono era così serio, tanto serio, che Kurt temette che fosse davvero sul punto di spaccare qualcosa, possibilmente le ossa a qualcuno. Tirò via la mano, ma Sebastian gliela strinse di più. Non era un tenero tenersi per mano, era più un aggrapparsi, solo che non si capiva chi doveva  tenersi, chi avesse bisogno di un sostegno.

----

Sebastian si chiuse la porta di casa alle spalle.

Si liberò di scarpe e giaccone
«Maman?» chiese, ma gli rispose il silenzio più totale «Maman, ci sei?» gli rispose ancora il silenzio, il ticchettare dell'orologio e il rumore di un' automobile  che passava fuori, oltre casa sua «Mi hai lasciato da solo anche oggi?» sussurrò addolorato «Proprio oggi che avevo bisogno di parlare con qualcuno?»

Andò in cucina e accese la luce : sul tavolo, un sacchettino di carta bianca e vicino un biglietto azzurro. Frettolosa, la calligrafia elegante di Aurelie Dumont - Smythe comunicava al figlio :

Non mi aspettare alzato, sono dovuta correre a Columbus da un cliente. Torno domani mattina.
La cena è in forno, devi solo scaldarla. Scusami se ti lascio sempre solo! Mi farò perdonare ;)

 - Mamma

p.s : prendi le medicine dopo mangiato, mi raccomando.

Appallottolò il biglietto e si sedette in cucina, tenendosi la testa tra le mani colto da un mal di testa improvviso «Io quella roba non la prendo, maman» disse.


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.....ciao xD Lo ammetto, vi avevo promesso l'angst, e ne ho messo relativamente poco, calcolando quanto ce ne sarà nella fanfiction u_u
Però voglio dedicare le note autrice a un discorso un po' più serio oggi : in Giappone un ragazzino si è suicidato perché era vittima di bullismo.Questo è quello che è successo. Voglio dedicare un minuto a questo ragazzo  e a tutte le vittime del bullismo. Non sarete mai dimenticati, mai. Riposate in pace.
Mi rivolgo alle vittime di bullismo, quelle che vanno avanti e lo affrontano : non mollate, vi garantisco che tutto andrà bene. Non siete soli!
A chi vede atti di bullismo, ma non fa nulla per fermarlo : siete colpevoli anche voi se rimanete impotenti. Vittime, sì, ma più colpevoli. Non permettete che la cosa venga insabbiata.
Infine ai bulli, agli omofobi, ai bigotti, a quelli che si credono superiori :  Se qualcuno di voi sta leggendo questa storia e prende in giro le persone disabili, brutte, omosessuali o semplicemente diverse levatevi dalle palle. Non mi interessa se la storia vi piace o se recensite, levatevi dalle palle adesso. Vi odio.

Scusate se mi sono dilungata molto e non ho detto una parola sul capitolo, ma era una cosa importante.
Ci vediamo giovedì,
Robs.

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Capitolo 4
*** capitolo quattro. ***


All About Us - Anche noi diremo che eravamo giovani e che soffrivamo di vertigini
Capitolo quattro.


Luke Richardson, a differenza della gemella, era un tipo timido. Lo era sempre stato, e lo sarebbe stato per sempre. Gli sarebbe sempre mancato il coraggio di guardare negli occhi le persone speciali, quelle luminose, quelle che invidiava tanto e allo stesso tempo ammirava.

Luke Richardson era un timido che, per via del suo aspetto, passava per scemo : spalle grandi, grosso, muscoloso, naturale aria intimidatoria. E secondo Juliet andava bene così, che lo prendessero per uno scimmione senza cervello : stare in cima sarebbe stato ancora più facile.

Non se lo ricordava quando era successo esattamente : forse in quelle lunghe ore di punizione, forse una delle tante volte che lo aveva visto togliersi la granita dalla faccia con una dignità invidiabile, o forse quando aveva fatto cadere i libri apposta vicino ai suo piedi, e lui si era chinato per aiutarlo. Così, anche se faceva parte della gente che lo tormentava.
Semplicemente perché era buono, anche se portava un sacco di rancore.

Non si ricordava di preciso quando Kurt Hummel aveva smesso di essere un bersaglio che era obbligato a puntare e aveva iniziato a essere quella creatura meravigliosa dai lineamenti delicati e la pelle di neve che turbava le sue notti e i suoi desideri più reconditi, ma anche quelli superficiali.

E, da bravo timido, Luke Richardson aveva anche un'autostima notevolmente bassa.
Si diceva un giorno lo invito a prendere un caffè a Westerwille, lontano da qui, così non deve preoccuparsi e neanche io
ma si rispondeva, automaticamente ma lui mi dirà di no, perché mi odia. Lo so che mi odia, solo che non me lo vuole dire perché ha paura di me, e paura di cosa poi, non gli torcerei un capello
ribatteva ma forse se gli spiego le mie ragioni, se glielo dico una volta per tutte, forse lui ricambia, forse lui.... e non finiva mai questo discorso con sè stesso, perché neanche nei suoi più ottimistici sogni Kurt Hummel lo ricambiava.

Li vide arrivare insieme. Si muovevano con una specie di sincronia, una bella naturalezza, anche se completamente diversi nella camminata : Smythe era sciolto, Kurt invece teneva la schiena dritta, drittissima, ma questo non lo aiutava a sembrare più alto, non vicino a Smythe.

C'era qualcosa di incredibilmente doloroso nel vederli camminare insieme. Magari non era vero. Magari erano solo dicerie. Luke era mancato da scuola per tutta la settimana, quindi non aveva avuto né tempo né modo di verificare se le dicerie su quei due erano vere. Si aspettava di vederli separarsi da un momento all'altro, ma andarono avanti fino all'armadietto di Kurt -8, 2, 44, 7 , Luke ne aveva imparato a memoria la combinazione tante delle volte che l'aveva guardato da dietro l'angolo- e Smythe si appoggiò a quello affianco, poi chiese una cosa a Kurt, e lui gli rispose con un sorriso gentile. Avrebbe dato una gamba per sentire cosa dicevano. Perché stavano sussurrando?


«Il diavolo e l'acquasanta, non pensi, Luke?» domandò Juliet, poggiata all'armadietto affianco al suo esattamente come Smythe su quello vicino a Kurt. Solo che lei teneva le braccia incrociate.

«Il diavolo sei tu, Julie, non Smythe e tanto meno Kurt » rispose Luke, guardandola. Non gli era mai piaciuta la divisa delle Cheerios, quella gonna troppo corta e quel colore così acceso «Comunque hai ragione, quei due...» finì la frase borbottando, Juliet non recepì bene cosa.

«Penso che farò qualcosa» disse la ragazza guardandosi le unghie. 

«
Farai qualcosa?» chiese confuso il ragazzo. Juliet annuì piano mentre continuava a studiarsi le unghie rosa.

La ragazza 
non ebbe bisogno di guardare per sapere che suo fratello gemello aveva occhi spalancati, allarmato «E...e cosa hai intenzione di fare?» domandò il ragazzo appunto, con una nota allarmata nella voce mascolina. Juliet sorrise un pochetto, poi alzò lo sguardo dalle sue unghie perfettamente smaltate.

«Ti prometto che non faccio male a nessuno, o perlomeno non tanto. Buona giornata!» esclamò allegra, salutandolo con un bacio sulla guancia.  Luke alzò un braccio e stava per gridarle di fermarsi, ma rinunciò. Rivolse di nuovo lo sguardo alle sue spalle, dov'erano Kurt e Sebastian, ma erano andati via.

Che diamine vuole fare quella pazza di mia sorella? si trovò a pensare preoccupato, mentre camminava verso la sua lezione.




Quel pomeriggio alla fermata nessuno dei due disse una parola. Sebastian era stato agitato e scontroso per tutta la giornata. Aveva persino urlato contro una ragazzina del primo anno quando li aveva guardati a pranzo mentre ridacchiava con l'amica.

Eppure Kurt capiva. Era come sbirciare nelle emozioni di Sebastian, capiva che c'era altro, molto altro, e che non era arrabbiato. Capiva che era spaventato qualcosa, c'era questo terrore che aleggiava nei modi bruschi, nel vago tremolio della penna, il modo in cui deglutiva a vuoto e si stringeva nelle spalle. Lo stava facendo anche in quel preciso istante.

Sebastian si agitò un bel po' quando arrivarono a Keith street, e a un certo punto parlò. Sentire la voce di Sebastian fu un mezzo shock per Kurt «Senti, io devo scendere prima oggi. Domani non vengo a scuola, ma tu non preoccuparti se non mi vedi, sto bene. Ti chiamo io, okay? Comunque non ti preoccupare per me.» disse, agitato.

Kurt lo guardò preoccupato e gli poggiò una mano sulla gamba «Che succede? Perché non vieni domani?»

«Io...è troppo difficile. Chiedimi qualcos'altro e promettimi di non preoccuparti e farti trovare vivo domani sera» rispose Sebastian con quel tono agitato, quel tono che non gli si addiceva per niente.

«Come faccio a chiederti qualcos'altro? Mi hai appena detto che salti un giorno e di non preoccuparmi! Pensavo che avessimo chiarito che....insomma, possiamo parlare tra noi.» ribatté Kurt, leggermente irritato.

«Ti prometto che domani ti spiego, ma adesso promettimi che non ti preoccuperai per me. Starò...starò...non lo so come starò, ma tu mi farai stare meglio come fai sempre, quindi starò bene!» sbottò. Seguì un silenzio che parve eterno, e solo poi Sebastian guardò la faccia che stava facendo Kurt. Sorpresa. Frastornata. Quella di uno che non può credere alle proprie orecchie.

«Scusa» borbottò. Quando l'autobus rallentò, in prossimità della fermata di Sebastian, lo sentì espirare profondamente «Ci vediamo domani, okay?»

«No!» rispose immediatamente Kurt, ma Sebastian lo ignorò e scese.

Camminò di fronte alle imponenti scale della chiesa e guardò per un attimo la piazza deserta, poi si infilò nel lagno di destra, una strada che saliva fino al confine con le campagne.
Ovunque guardasse, lo stesso spettacolo : case malandate, più grandi delle palazzine, ma altrettanto malandate. Le macchie di umidità scendeva sulle pareti esterne come grovigli di capelli scuri.

Continuò a salire, e quando i muscoli delle gambe iniziarono a tirare spiacevolmente, seppe di essere arrivato. Guardò la targa lucida a destra della porta dell'edificio, che riportava quello che c'era scritto sul biglietto da visita :
Steve Wright.
Psicologo.

Cercò di rimuovere quella parola dalla mente e fece roteare gli occhi prima di entrare, affondando le mani nelle tasche. Solo quando avvertì un discreto dolore ai palmi si accorse di averle strette a pugni.



«Allora Sebastian, c'è qualcosa che vuoi raccontarmi?»

Il dottor Steve Wright,un uomo di mezza età magro e alquanto stempiato, sedeva dietro la scrivania. Sebastian gli lanciò l'ennesimo sguardo torvo in un'ora e mezza che si trovava lì. L'uomo sospirò «Hai fatto qualcosa di interessante in questi giorni? Hai saltato un sacco di sedute ultimamente.» disse il dottore paziente.

Sebastian lo guardò con sincera incomprensione «Vengo qui a farmi strizzare il cervello una volta al mese, mi pare di non aver mancato proprio nessuna seduta»

Il dottor Wright sorrise «Certo, questo fino a Dicembre. Con l'anno nuovo avevamo deciso che saresti venuto qui ogni settimana, ricordi?»

«Io non ho nulla da dirle» sibilò il ragazzo

«E invece sì, Sebastian, solo che non vuoi aprirti. Con me devi parlare liberamente di qualsiasi cosa tu voglia» spiegò lo psicologo, mantenendo il sorriso. Sebastian sbuffò una risatina senza allegria.

«Proprio il fatto che io DEBBA parlare con lei, dottore, mi sugerisce che non sono libero di fare un bel niente e questo, come sa, mi da incredibile fastidio e mi mette fortemente a disagio» rispose in tono di sfida, con le braccia incrociate.

Lo psicologo aprì le mani che teneva chiuse sotto il mento e produsse uno schiocco, simile a un applauso, poi mostrò le mani, come per arrendersi. Aveva dipinto sul viso un sorriso sgradevole che Sebastian avrebbe voluto immediatamente cancellare. Sebastian inarcò un sopracciglio.

«Ma bravo Sebastian, mi hai incastrato. Sì, sei decisamente molto furbo. Ma adesso voglio che tu mi parli di qualsiasi cosa, così posso scrivere qualcosa di diverso nella relazione e tu potrai andare a casa» il tono del dottor Wirght era improvvisamente cambiato, più tagliente di prima «Allora, di cosa vuoi parlarmi?»

Sebastian represse la voglia di mandarlo a quel paese,  perché se l'avesse fatto sarebbe rimasto là un sacco di tempo. E voleva andarsene al più presto, andare a casa, andare da Kurt, parlare con Kurt....

«Ho un nuovo amico.» disse senza rendersene conto. 

«Lui è reale o immaginario?» chiese lo psicologo, con una nota annoiata nella voce, riallacciando le dita sotto il mento.

«Reale» rispose Sebastian «E' reale, io...almeno penso che sia reale, non ho più quelle allucinazioni spaventose da una vita, lui...lui è reale, l'ho toccato. Lo tocco di continuo e lui non sparisce» la voce di Sebastian si incrinò di nervosismo febbrile «Non ho più le allucinazioni, non sono pazzo» gemette.

«Tranqillo Sebastian, ho capito. Se non sparisce è reale.» annuì «E come si chiama?»

«Kurt. Si chiama Kurt.» rispose Sebastian, ancora agitato.

«Ed è un tuo amico.» incalzò il dottor Wright. Sebastian annuì e sibilò un "sì" tra i denti. Il dottore sorrise sgradevolmente «Lo chiedevo per confermare» spiegò, mentre scribacchiava alcune parole sul blocco note. «Lui è etero?» chiese, guardandolo neglio occhi. Il professor Wright aveva gli occhi azzurri, ma non come quelli di Kurt. Quelli di Kurt erano spettacolari.

«No.» rispose immediatamente Sebastian. Un attimo dopo trasalì, e balzò in piedi dalla sedia «LEI E' UN ESSERE SPREGEVOLE SE PENSA CHE IO ME LO PORTI A LETTO!» gli urlò, puntandogli l'indice contro.

«Sebastian, siediti.» disse calmo il dottor Wright, con un gesto della mano.

«Ma col cazzo! Me vado!» rispose Sebastian arrabbiato. Afferrò il giaccone e lo zaino dallo schienale della sedia e se ne andò sbattendo la porta forte, ignorando le esortazioni dello psicologo a tornare indietro, non ci voleva stare un secondo di più  no che non ci torno ho parlato anche troppo lo sapevo che non ne dovevo parlare io lo sapevo lo sapevo cazzo.

Spalancò la porta - quella antincendio- e si catapultò fuori. Si rese conto di stare correndo solo quando l'aria che mandava giù affannosamente gli faceva bruciare spaventosamente la gola e alimentava poco i polmoni. Si appoggiò al muro bianco e sporco del vicolo tra due palazzine in cui si era infilato e fece respiri profondi, tentando di regolare il respiro. Fece aderire  la testa al muro e guardò lo scuro cielo di febbraio, stanco e affannato chissà dove cazzo sono.

Proprio in quel momento, nel vicolo si affacciò qualcuno «Sebastian?
» chiese stupefatto «Che ci fai qui?»
Ci mise qualche secondo a metterlo a fuoco. Capelli castani, felpone marrone scuro, gambe lunghe, la pelle bianco latte e quegli occhi spettacolari. Kurt.

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Il ritardo si faceva più grande,
Dovevo aggiornare per i lettori prima che mi mandassero a fanculo,
Le mie ricerche sulla sociopatia erano durate ore,
Il capitolo andava finito.
Sembrava impossibile, ma ce l'abbiamo fatta!

....ossia, io ce l'ho fatta. Mandando a fanculo Gabriele e tutti quelli che mi interrompevano, ma ho finito sto benedetto capitolo. Col cliffahanger, ma l'ho finito. Che epopea che è stato sto capitolo, veramente : avevo bene in mente cosa doveva succedere, ma non sapevo come legare le scene tra loro. A finale ho fatto la cosa più semplice : me ne sono sbattuta le palle e ho scritto come veniva.
Parlando del capitolo...well, ecco che tutti noi scopriamo il grande segreto di Sebastian : è pazzo. No, okay, non è proprio pazzo, ma ha seriamente bisogno di uno psicologo competente e che magari non gli propini medicine, visto che con lui servono a poco. Ma quando mai sono stata giusta? (AAAA) Infatti lo psicologo di Sebastian...l'avete visto. Lo psicologo di Effy era un professionista a confronto.
MA QUANT'E' PATATO LUKE? Lo amo, sappiatelo. E lo dovete amare anche voi, perché lui ama Kurt e ama anche voi, quindi amatelo (?) Sì, avete capito bene : sono gemelli xD
Niente, dal prossimo capitolo ci dovrebbe essere Finn, e finalmente la madre di Sebastian. E niente, se shippate Davebastian/Sebofsky/Smythofsky come me, preparatevi, perché prevedo una scena che spezzerà il cuore a voi shippers.
Ah, prima che mi dimentico :  I gemelli Richardson (non so come possano scambiarli per gemelli ma okay) e lo psicologo di Sebastian, che non a caso ha questa faccia .

Ci vediamo giovedì o venerdì,
Robs.

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