Diario di un lupo in un branco di lupi di Trick (/viewuser.php?uid=21078)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Primo - Missione suicida ***
Capitolo 3: *** Capitolo Secondo - Cappuccetto Rosso ***
Capitolo 4: *** Capitolo Terzo - Il Capo del Clan ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quarto - Buon Appetito ***
Capitolo 6: *** Capitolo Quinto - Lo strano forestiero del Sud ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sesto - Sinfonia d'opinioni ***
Capitolo 8: *** Capitolo Settimo - Plenilunio ***
Capitolo 9: *** Capitolo Ottavo - Londra, quarantotto ore fa ***
Capitolo 10: *** Capitolo Nono - La conversation d'amis ***
Capitolo 11: *** Capitolo Decimo - Il gioco della morte ***
Capitolo 12: *** Capitolo Undicesimo - Londra, qualche giorno dopo ***
Capitolo 13: *** Capitolo Dodicesimo - Faccia a faccia ***
Capitolo 14: *** Capitolo Tredicesimo - Spie ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quattordicesimo - Sotto la luna ***
Capitolo 16: *** Capitolo Quindicesimo - A Natale ***
Capitolo 17: *** Capitolo Sedicesimo - A Noël ***
Capitolo 18: *** Capitolo Diciassettesimo - Avevi un cane? ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciottesimo - I saggi non si rasano ***
Capitolo 20: *** Capitolo Diciannovesimo - Fra serpi e grifoni ***
Capitolo 21: *** Capitolo Ventesimo - Someone's waiting for you ***
Capitolo 22: *** Capitolo Ventunesimo - Sulle ali della mitologia classica ***
Capitolo 23: *** Capitolo Ventiduesimo - Sulla soglia ***
Capitolo 24: *** Capitolo Ventitreesimo - Lama di rasoio ***
Capitolo 25: *** Capitolo Ventiquattresimo - Al di là del bene ***
Capitolo 26: *** Capitolo Venticinquesimo - Tradizionali ***
Capitolo 27: *** Capitolo Ventiseiesimo - Le truppe ***
Capitolo 28: *** Capitolo Ventisettesimo - Una novellina che morde ***
Capitolo 29: *** Capitolo Ventottesimo - È il prezzo che si potrebbe pagare ***
Capitolo 30: *** Capitolo Ventinovesimo - Due parole ***
Capitolo 31: *** Capitolo Trentesimo - Direzione Londra ***
Capitolo 32: *** Capitolo Trentunesimo - Casa ***
Capitolo 33: *** Capitolo Trentaduesimo - Separati dal mondo ***
Capitolo 34: *** Capitolo Trentatreesimo - Camminando indietro ***
Capitolo 35: *** Capitolo Trentaquattresimo - Solo un bambino ***
Capitolo 36: *** Capitolo Trentacinquesimo - La licantropia ti ha reso migliore ***
Capitolo 37: *** Capitolo Trentaseiesimo - Nasconditi ***
Capitolo 38: *** Capitolo Trentasettesimo - D'amore e di morte si vive ***
Capitolo 39: *** Capitolo Trentottesimo - L'alchimia d'azzardo ***
Capitolo 40: *** Capitolo Trantanovesimo - Che sia un addio? ***
Capitolo 41: *** Capitolo Quarantesimo - Deciderà la sorte ***
Capitolo 42: *** Capitolo Quarantunesimo - Spalle al muro ***
Capitolo 43: *** Capitolo Quarantaduesimo - Intervallo di fortuna ***
Capitolo 44: *** Capitolo Quarantatreesimo - Sei uno scherzo del Fato ***
Capitolo 45: *** Capitolo Quarantaquattresimo - Al sapore di birra ***
Capitolo 46: *** Capitolo Quarantacinquesimo - Le fiamme del Mastro ***
Capitolo 47: *** Capitolo Quaranteseiesimo - Per gli umani la legge è uguale ***
Capitolo 48: *** Capitolo Quarantasettesimo - Ordito di ragno e ordito di verme ***
Capitolo 49: *** Capitolo Quarantottesimo - Macchiati di sangue ***
Capitolo 50: *** Capitolo Quarantanovesimo - Diplomazia e risentimento ***
Capitolo 51: *** Capitolo Cinquantesimo - Macchiati di colpa ***
Capitolo 52: *** Capitolo Cinquantunesimo - Colloqui ***
Capitolo 53: *** Capitolo Cinquantaduesimo - Preoccupazioni ***
Capitolo 54: *** Capitolo Cinquantatreesimo - Rivalità senza tempo ***
Capitolo 55: *** Capitolo Cinquantaquattresimo - Parte del branco ***
Capitolo 56: *** Capitolo Cinquantacinquesimo - D'ira funesta, d'odio e d'angoscia ***
Capitolo 57: *** Capitolo Cinquantaseiesimo - Chiacchiere di passato ***
Capitolo 58: *** Capitolo Cinquantasettesimo - Camminando ***
Capitolo 59: *** Capitolo Cinquantottesimo - Quiete di tempesta ***
Capitolo 60: *** Capitolo Cinquantanovesimo - Fulmini a ciel nuvolosi ***
Capitolo 61: *** Capitolo Sessantesimo - Non si scappa più ***
Capitolo 62: *** Capitolo Sessantunesimo - Nella trappola del topo ***
Capitolo 63: *** Capitolo Sessantadue - Trinomio di Auror ***
Capitolo 64: *** Capitolo Sessantatreesimo - Senza fiato ***
Capitolo 65: *** Capitolo Sessantaquattresimo - Ogni cosa ha il suo perché ***
Capitolo 66: *** Capitolo Sessantacinquesimo - Preparando il tramonto ***
Capitolo 67: *** Capitolo Sessantaseiesimo - Questione di scelte ***
Capitolo 68: *** Capitolo Sessantasettesimo - Fatti un bagno ***
Capitolo 69: *** Capitolo Sessantottesimo - Volere, potere, dovere ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
************************
Diario
di un Lupo
in
un Branco di Lupi
(Versione
riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)
PROLOGO
°°°°°°°
Se
all'albeggiare di quell'uggiosa domenica di giugno aveste
attraversato il parco che circondava l'imponente cattedrale di St.
Paul, gigante fra i giganti di Londra, avreste avuto anche voi la
possibilità di vedere Remus Lupin, che seduto su una delle
fredde panchine di cemento del giardino, fissava il vivace zampillare
delle fontane, perso fra l'oscurità dei propri pensieri.
Come
aveva potuto essere così sconsiderato? Come aveva potuto
permettere al suo desiderio di soffocare tutti i suoi più
fermi e radicati principi per un'unica e infinita notte di carezze?
Eppure, aveva ceduto al sorriso malizioso di Tonks, alle sue mani che
sembravano voler marchiare a fuoco la sua pelle ad ogni tocco, alle
sue labbra di whisky che gridavano tutta la passione che erano state
costrette a ingoiare negli ultimi mesi.
Socchiuse
gli occhi ambrati e trasse un profondo respiro. Sirius era morto da
tredici giorni. Tredici precisi, sì. Remus li aveva contati,
se li era sentiti scorrere nella carne e nell'anima, pesanti e
assassini come gli anni che aveva trascorso in completa solitudine.
Sirius era stato il suo migliore amico. Era stato una delle poche
persone che lo avevano sempre sostenuto e accettato, nonostante fosse
a conoscenza della sua delicata condizione. Fin dai primi anni di
scuola, la sconsiderata esuberanza di Sirius Black aveva sempre
compensato la calma e pacata razionalità di Remus Lupin,
dando
origine a un'amicizia che fuorviava dalla normalità, certo,
ma
che era stata in grado di resistere alle più forti tempeste.
Sirius
era stata l'unica spalla su cui Remus avesse mai pianto, e lo rimase
per anni. Né James, né tanto meno Peter, ebbero
mai
l'occasione di assistere alle sue lacrime. Non vi fu nessun motivo
logico a definire questa scelta, semplicemente il destino fece in
modo che Sirius fosse sempre presente quando Remus ne aveva
più
bisogno.
Come
avrebbe dovuto sentirsi, ora, Remus Lupin? Come avrebbe dovuto
reagire alla prospettiva di una vita senza l'ilarità e senza
l'incoerenza dell'amico, senza la spensieratezza di trovarselo
accanto nei momenti meno opportuni, senza il suo modo di essere
così... così, come? Era una domanda che l'aveva
sempre
tormentato, eppure, dopo quasi trent'anni, non era ancora capace di
definire a parole quello che sostanzialmente era Sirius Black.
Avrebbe
dovuto sentirsi abbattuto, frustrato, angosciato? Be',
probabilmente...
Avrebbe
dovuto perdere ogni speranza per il futuro? Be', quella l'aveva persa
da tempo incalcolabile, ormai...
Avrebbe
dovuto sentirsi colpevole, impotente e abbandonato? Be', forse...
E
invece, no. Ripensando all'amico, Remus Lupin si sentiva soltanto un
grande infame. Mentre vedeva Sirius scivolare con grazia oltre al
velo nero che aveva nuovamente distrutto la loro amicizia, mentre la
parte razionale della sua mente assimilava in un lampo
l'insopportabile verità di quella perdita, il suo cuore,
quello che avrebbe dovuto realmente piangere per Sirius, era
ostinatamente concentrato su Tonks, riversa col volto a terra ai
piedi della scalinata di marmo.
E meno
di dieci ore prima, a dodici giorni e dieci ore dalla morte del suo
migliore amico, Remus Lupin aveva osato dimenticarsi di lui.
Mentre
la passione esplodeva fra le lenzuola umide, si era scordato di
Sirius.
E si
era scordato di essere vecchio.
E di
essere povero.
Si era
scordato di essere un lupo mannaro.
Per
un'unica, infinita notte di carezze, era stato semplicemente un uomo
innamorato.
°°°°°°°
L'aroma
inebriante del caffè risalì lentamente le scale
di
Grimmauld Place e si soffermò pensieroso davanti alla grande
porta di frassino in fondo al corridoio.
L'aroma
inebriante del caffè pensò che forse non era il
caso di
disturbare l'inquilina della stanza, strappandola così al
dolce abbraccio del sogno.
Purtroppo
per lei, il caffè non si soffermava mai troppo a pensare.
Scivolò sotto la porta e circondò lentamente la
stanza,
avvicinandosi sempre di più alla ragazza addormentata fra le
lenzuola.
“Mmm...”
mugugnò, captando la presenza del caffè con
l'olfatto.
Ninfadora
Tonks sorrise placidamente nel dormiveglia, improvvisamente colpita
da un'ondata di immane felicità.
Quanto
aveva desiderato sentire le mani di Remus scorrerle sul corpo? Quanto
aveva sognato di poter assaporare quelle labbra sottili?
Si
voltò su un fianco, stringendosi nelle lenzuola, e quando si
decise ad aprire gli occhi, sussultò.
Si
rizzò a sedere, lasciandosi sfuggire un gemito. I Guaritori
le
avevano detto che si era perfettamente ripresa dalla battaglia
nell'Ufficio Mistero, ma di tanto in tanto, il ventre le si
riaccendeva di lancinanti fitte.
Fissò
sconvolta il posto vuoto accanto a lei per diversi minuti. La
metà
del letto dove avrebbe dovuto trovarsi lui, era perfettamente
sistemata, copriletto compreso. Ninfadora Tonks non poteva credere ai
suoi occhi; quell'uomo era così preciso da rifare
addirittura
la sua metà del letto, (in maniera perfetta e impeccabile,
oltretutto), mentre lei era beatamente addormentata!
Ispezionò
con lo sguardo il resto della stanza: i suoi vestiti erano finiti in
posti impensabili, ma gli indumenti di Remus erano spariti con il
proprietario.
L'aroma
inebriante del caffè rise di gusto fissando l'espressione
offesa sul volto pallido di Tonks, mentre afferrava la propria
biancheria e con un gesto spazientito si rivestiva.
°°°°°°°
“Qualcuno
sa dov'è andato Remus?” chiese Molly Weasley
mentre versava
il caffè ancora bollente nella tazza del marito,
completamente
eclissato dalla Gazzetta del Profeta. “Di solito è
il primo
a svegliarsi”.
“L'ho
visto uscire presto, stamattina” rispose suo figlio Bill.
“Saranno
state le cinque, forse sei...”
“Povero
Re-” si bloccò, lanciandogli improvvisamente
un'occhiata
sospettosa. “Ma che ci facevi in piedi alle
cinque-forse-sei?”
“Ehm...
mi stavo vestendo” balbettò Bill. ”Devo
andare alla
Gringott, e... “
“Di
domenica, Bill?” chiese a bruciapelo la madre.
“Be',
sì... ti ricordi di Fleur Delacour? La ragazza di
Beauxbatons
che partecipò al Torneo Tremaghi con Harry? Ecco, ora lavora
alla Gringott, ma ha problemi con l'inglese,
perciò...”
infilò tutto quello che rimaneva della brioche in bocca.
“Percò
lelo inseno io”
concluse,
sputacchiando briciole sulla tavola candida.
“Bill
Weasley! Non parlare con la bocca piena! Non è buona
educazione!”
“Buongiorno
a tutti... “
Molly
Weasley staccò lentamente gli occhi dal figlio per guardare
Tonks.
“Buongiorno,
Tonks, cara. Dormito bene? Preferisci pancetta, bacon, frittelle o
brioches?”
Tonks
ci pensò un istante. “Mmm... frittelle!”
Molly
sorrise deliziata e riprese a destreggiarsi con i fornelli.
“Avete
visto Remus, questa mattina?” chiese Tonks, mentre afferrava
al
volo la sedia che aveva urtato nel pericoloso tentativo di sedersi.
Sperava con tutta sé stessa che la sua voce non tradisse
nulla.
“Bill
l'ha visto uscire presto, questa mattina” rispose Arthur, di
cui
Tonks riusciva a vedere solo i capelli rossi oltre la prima pagina
della Gazzetta.
Bill
Weasley lanciò un'occhiatina furba in direzione della
vecchia
compagna di scuola. “Perché ti
interessa?”
Tonks
intravvedette con la coda dell'occhio un ciocca di capelli farsi
più
rossa. La afferrò con un gesto deciso e sorrise
nervosamente.
Era consapevole che se Molly Weasley fosse venuta a conoscenza di
quello che aveva fatto con Remus, a poche stanze dalle camere dei
figli minorenni, né lei, né tanto meno il suo
amante,
sarebbero vissuti a lungo per raccontarlo.
“Facevo
per parlare, Bill, tutto qui...” rispose, con il suo migliore
tono
da "niente di che". Peccato non sembrasse sortire l'effetto
desiderato. Bill la guardò di sottecchi per tutta la durata
della colazione, sogghignando di tanto in tanto e facendo gesti
ambigui tutte le volte che Molly si voltava verso i fornelli.
“Bill...”
sussurrò Tonks all'orecchio dell'amico, in modo che nessuno
potesse sentirla, “come fa la francesina a
sopportarti?”
Lui la
guardò terrorizzato, si picchiò la fronte e
gridò,
alzandosi di scatto: “Fleur! Merlino, mi sono dimenticato di
Fleur!”
Afferrò
un'ultima brioches - la quinta, per l'esattezza - e si
precipitò
verso la porta, salutando con un gesto i genitori.
“L'ho
visto andare verso la cattedrale di St.Paul“
mormorò Bill a
Tonks, con un sorriso affettuoso, prima di sparire con un fruscio del
mantello.
°°°°°°°
Se in
quell'uggiosa domenica di giugno aveste attraversato il parco che
circondava l'imponente cattedrale di St. Paul, gigante fra i giganti
di Londra, avreste avuto anche voi la possibilità di vedere
Ninfadora Tonks, mentre cercava con lo sguardo Remus Lupin. Lo
intravide in pochi minuti, seduto su una panchina, intento a fissare
il vivace zampillare delle fontane.
Si
avvicinò lentamente a lui, cercando di riordinare
mentalmente
le parole più adatte "da dire o non dire" in una
simile situazione. Aveva già fatto molti progressi, quando
lui
alzò lo sguardo e la vide. Il cuore di Remus Lupin fece un
salto.
“Ciao”
mormorò Tonks, non appena si fu avvicinata abbastanza.
“Posso
sedermi?”
Lui la
guardò un attimo, apparentemente perso nelle sue parole e
fece
un cenno col capo.
Rimasero
in silenzio diversi minuti. Lui, con gli occhi ancora incollati al
danzare dell'acqua, e lei, intenta a fissarsi imbarazzata le
ciabatte.
Le
ciabatte!?
“Non
è possibile!” strillò improvvisamente.
Remus
sobbalzò e si voltò rapido verso di lei. Voleva
dirle
qualcosa, qualsiasi cosa, ma sembrava che la sua bocca si fosse
tramutata in granito.
I
capelli di Tonks iniziarono a farsi più ardenti.
“Mi sono
dimenticata le scarpe...“ grugnì con un buffa
smorfia,
squadrandosi abbattuta le ciabattine rosa shocking.
Remus
non avrebbe dovuto ridere. Non avrebbe dovuto, e non avrebbe voluto.
Non in quel momento, almeno, ma quella ragazza era incredibile.
Nonostante il suo autocontrollo e la sua razionalità ce la
mettessero tutta, lei faceva o diceva sempre qualcosa che accendeva
in lui una scintilla di pazzia, una sorta di varco nella sua anima
che solo lei riusciva ad aprire, un varco che Remus, da solo, non
sarebbe mai riuscito ad attraversare.
Tonks
scoppiò a ridere a sua volta, e Remus desiderò
immensamente che non smettesse mai. Un silenzio nervoso
aleggiò
fra di loro per i minuti successivi. Tutte le frasi più
adatte
"da dire o non dire" che Tonks si era preparata, sembravano
essere fuggite dalla sua mente, nel momento stesso in cui si era
seduta accanto a lui. Alzò gli occhi, e lo trovò
ancora
concentrato sulla fontana. Guardò le sue labbra, e chiuse
gli
occhi per evitare di saltargli addosso.
Per
tutte le Banshee, ti voglio!
“Ninfadora,
dobbiamo parlare” disse, improvvisamente.
Lei
riaprì gli occhi e poté incrociare quelli ambrati
di
lui. Respirò profondamente, cercando di mantenere la calma.
”Remus,
se non ti bacio ora, credo che impazzirò” proruppe
lei,
senza riuscire a fermarsi. Le loro labbra si sfiorano per un
brevissimo, intenso attimo, nel quale Tonks poté perdersi
nel
profumo dell'uomo.
“Ninfadora,
ti prego... devi ascoltarmi”.
Tonks
sgranò gli occhi. Remus la stava supplicando.
“Remus,
cosa c'è?”
Lui
abbassò gli occhi, appellandosi al Grifondoro assopito
dentro
di lui.
“Non
posso”.
La
giovane lo fissò senza capire. “Non puoi... fare
cosa?
“domandò, chiedendosi se davvero voleva conoscere
la
risposta.
“Non
posso permetterti di amarmi”.
La
forza di quelle parole la investì in pieno, e Tonks
sentì
il suo cuore strizzarsi come uno strofinaccio usato.
“Che
significa che non puoi permetterlo?”chiese. “Non
è il tuo
permesso che voglio “.
Remus
si decise a guardarla, gli occhi che luccicavano di una fiera
determinazione.
“Ninfadora,
sono vecchio e povero. E malato. Non posso lasciarti sprecare la tua
vita con uno come me”.
L'espressione
che comparve sul volto di Tonks non avrebbe potuto essere
più
chiara. Era completamente incredula.
“E
questo
sarebbe
il problema?” domandò, divertita. “Tutto
qui?”
Lui la
fulminò con un'occhiata, e lei trasalì.
“Remus,
non riesco a capire dove tu veda il problema”
sbottò.
“Sono
vecchio, Ninfadora...”
“Non
lo sembravi, questa notte!”
“E
povero...”
“E
credi davvero che a importi?”
“Ninfadora,
dannazione! Sono un lupo
mannaro!”
“E a
me non importa un accidente, Remus!” strillò la
ragazza,
ormai al colmo della sopportazione.
Remus
sorrise malinconico. “So che non riesci a capire, ma credimi.
È
meglio per entrambi”-
“È
meglio... per entrambi...“ ripeté Tonks, fissando
sconvolta
il vuoto. “No, Merlino, non è meglio per entrambi!
Non è
meglio per nessuno!” esclamo tutto d'un tratto, alzandosi in
piedi
e fissando Remus furibonda.
“Cos'è
stato per te questa notte, Remus? Guardami negli occhi, e dimmi
cos'è
stato per te!” aggiunse, afferrandolo per il bavero della
giacca.
Remus
rimase spiazzato. È vero... cos'aveva significato per lui
quella notte?
La
debolezza di un momento? Il piacere del divertimento? Cos'era stato?
“È
stato un errore,
Ninfadora. Soltanto un errore”
mormorò
con voce roca, senza sapere se credeva o meno alla risposta che aveva
dato.
La
presa di lei si allentò improvvisamente, le braccia
cadettero
lungo i fianchi, le labbra si strinsero in una sottile linea di
rabbia, e gli occhi si riempirono di lacrime di furia.
Tirò
sul con naso, lasciandosi sfuggire un singhiozzo. “Stai
mentendo,
Remus Lupin. Te lo leggo in faccia”.
Le sue
parole furono accompagnate dall'eco di un tuono lontano, mentre
lentamente, iniziò a piovigginare.
“Io
ti amo. E nulla in questa vita potrà impedirmi di amarti,
Remus”.
Ninfadora
Tonks si voltò, e se Remus Lupin non fosse stato intento a
maledire tutti gli angeli del Creato, si sarebbe certamente accorto
che la pioggia, scivolando fra i capelli di lei, li aveva tinti di
grigio.
°°°°°°°
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo Primo - Missione suicida ***
************************
Diario
di un Lupo
in
un Branco di Lupi
(Versione
riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)
CAPITOLO
PRIMO
Il capo del Clan
°°°°°°°
Remus
Lupin si passò una mano sul viso segnato,
circondato dalla
penombra della modesta stanza che aveva affittato al Paiolo
Magico. Si trattava di una spesa piuttosto elevata, se consideraste
le sue precarie condizioni economiche, ma da quando Sirius se ne era
andato, Grimmauld Place non poteva più essere considerato un
posto sicuro, ammesso che prima si potesse definire tale. I mesi
trascorsi fra quelle tetre e inospitali mura avevano sortito il
medesimo effetto dell'acqua cristallina con il fiore secco, scalfendo
perfino quella barriera di solitudine nella quale il suo "io"
umano cercava disperatamente protezione.
Aveva
chiesto ad Arthur Weasley se gentilmente gli poteva spedire i suoi
bagagli al Paiolo Magico, e meno di dieci minuti dopo, si era
ritrovato a discutere con una scocciata Molly Weasley sul
perché
preferiva alloggiare in una locanda, quando avrebbe potuto sistemarsi
tranquillamente alla Tana, dove, aveva sottolineato diverse volte,
non avrebbe arrecato il minimo disturbo.
Si era
giustificato dicendo che aveva intenzione di trascorrere la maggior
parte del suo tempo al servizio dell'Ordine, e che non avrebbe
neppure avuto il tempo di sentirsi solo.
La
verità era un'altra, e nonostante l'ostinazione con la quale
la negava, Remus ne era pienamente consapevole: non avrebbe resistito
un solo secondo in compagnia di Tonks. Non sarebbe neppure riuscito a
guardarla respirare, senza che la voglia di stringere nuovamente il
suo corp0 a quello di lei lo sommergesse del tutto. Dannazione,
come ho potuto innamorarmi di lei?
- Sei
proprio un povero fallito - disse una voce disgustata alla sua
destra.
Remus
Lupin alzò leggermente il capo con
un'espressione annoiata,
in modo da poter vedere la propria immagine riflessa nello specchio.
- Ehi!
Mi hai sentito? - continuò il
riflesso, offeso.
- Ho detto che sei un povero fallito! -
- Ho
sentito... - rispose snervato Lupin. - Ti ho sentito questa
volta, così come ti ho sentito la penultima, la terzultima e
la quartultima volta... -
Il
riflesso sorrise con aria di superiorità. -
Perché non
te ne vai dalla ragazzina
? -
- Non
chiamarla così... -
- Oh,
scusa... - sbottò strafottente lo specchio. - Come siamo
permalosi, oggi. Ti sei svegliato con la luna
di
traverso?-
Lupin
si morse le labbra per non ribattere. Non si sentiva in vena di
alzarsi dal letto, figurarsi di discutere con il proprio,
stupido riflesso.
- Se io
fossi te... - riprese imperterrito lo specchio,
leccandosi
la bocca malizioso.
- Tu
sei me... - mugugnò Lupin, affondando il viso nel cuscino
per
non sentire la propria voce. - Purtroppo... -
- ...
me ne andrei dalla Non-Devo-Chiamarla-Ragazzina, la sbatterei per
terra, e poi... -
Remus
Lupin non venne mai a conoscenza di quello che il proprio riflesso
avrebbe fatto a Ninfadora Tonks, e di questo ne fu ben lieto. Un
paffuto gufo marroncino si era appena posato sul davanzale e ora
picchiettava impaziente il vetro. Remus si alzò lentamente
dal
letto e aprì la finestra quel poco che bastava al volatile
per
entrare, rabbrividendo mentre il vento s'intrufolava sotto la
sua canottiera.
Liberò gentilmente
la sua zampetta dalla pergamena azzurrina, e lo ringraziò
con
un pezzetto di cioccolata fondente.
(Lo so,
anch'io non credevo che i gufi potessero mangiare cioccolato
fondente, ma a quanto pare Remus Lupin era in grado di fare anche
questo).
-
Cos'è? - chiese curioso il riflesso, tentando invano di
allungare il collo oltre la cornice che lo imprigionava.
Lupin
tornò a sedersi sul letto e iniziò a leggere. Una
sottile ruga di concentrazione gli comparve
fra le
sopracciglia.
Carissimo
Remus,
avrei
il piacere di discorrere con te circa un argomento piuttosto delicato
e personale.
Ti
aspetto questa sera nel mio ufficio.
Sperando
che tu stia
bene,
Albus
Silente.
P.S
La
parola d'ordine è "Rotolino di ribes". È un
dolce dal sapore sublime, dovresti assaggiarlo.
°°°°°°°
Molly
Weasley fissava Ninfadora Tonks rigirarsi nervosamente la tazza di
the di gelsomino fra le mani pallide.
Era
rimasta senza parole, quando, pochi minuti prima, aveva aperto
la porta della Tana e se l'era trovata davanti, fradicia, tremante e
con il viso bagnato dalle lacrime. Temendo che Tonks fosse
lì
per portarle amare notizie di morte, si era aggrappata impulsivamente
allo stipite della porta e le aveva domandato tutto d'un
fiato
cosa mai fosse successo.
-
Nulla... - le aveva sussurrato la giovane. - Avevo solo bisogno di
qualcuno.
-
Solo dopo
essersi ripresa dallo spavento, si era resa conto dello strano
cambiamento nell'acconciatura di Tonks: i capelli grigio
sporco
le ricadevano piatti davanti al viso, invecchiandola impietosamente
di almeno dieci anni. La morte di Sirius l'ha proprio sconvolta,
pensò amaramente Molly.
La
lasciò con la sola compagnia della sua tristezza per pochi
istanti, il tempo sufficiente per raggiungere il bagno, issarsi sul
pericolante cassettone per poter prendere un asciugamano pulito e
ritornare nell'accogliente cucina della Tana.
- Cara,
hai voglia di parlarne? - si decise a dire, dopo svariati minuti di
silenzio. - Sono certa che ti sentiresti subito meglio. -
Tonks
alzò gli occhi arrossati dalle troppe lacrime verso di lei
solo un attimo, prima di riabbassare lo sguardo sulla tazza.
- Al
diavolo quell'idiota che ha detto che l'amore vince tutto... -
mormorò malinconica, tentando un debole sorriso.
Molly sgranò
gli occhi. Tonks!?
Innamorata!?
Dovette
aspettare alcuni secondi prima che lo stupore causato da quelle
parole si trasformasse in eccitante, e probabilmente
inopportuna felicità. Un'ipotesi azzardata si stava
facendo strada nella sua mente, un'ipotesi che se si fosse rivelata
corretta, l'avrebbe liberata da una quantità di irritanti
problemi, riassumibili in un'unica, insopportabile parola: Fleur
Delacour.
Il
piano era di una semplicità quasi matematica:
Tonks +
Bill = Au
revoir,
Fleur Delacour.
Cercò
di accantonare le immagini di Bill e Tonks felicemente sposati e
della francesina rinchiusa su un battello in partenza
per l'isola
di Non-Ritorno in un angolino remoto del proprio cervello,
onde
evitare di sorridere maliziosamente in faccia alla giovane Auror in
un simile momento.
- Era
proprio un idiota... - convenne Molly. -
Non
fece in tempo a finire la frase che Tonks le si gettò fra le
braccia, il corpo scosso da infiniti, impotenti singhiozzi. Molly le
accarezzò amorevolmente la
testa, sorridendo
tristemente. Cinque minuti più tardi, la ragazza si
staccò, asciugandosi le guance umide con dorso
della
mano.
- Scusa,
Molly... -
- Non
azzardarti a chiedermi scusa di nuovo. -
Tonks
fece un respiro profondo. - Mi sono innamorata, Molly. -
-
Questo l'avevo capito, cara. -
- Lui
è quello giusto. Lo so, me lo sento dentro,
è come
se... non so spiegartelo, ma so che è lui.
-
-
Capisco. Invece, lui? -
- Prova
qualcosa anche lui, ne sono sicura. - sussurrò la
ragazza, fissando il vuoto davanti a sé. - O non
saremmo
finiti a letto insieme, l'altra sera. - aggiunse, mentre le
gote
pallide si tingevano di un vago rossore.
Molly afferrò
il bracciolo della sedia, visibilmente agitata. Un conto era
consolare Tonks innamorata per Bill, a sua volta
misteriosamente
innamorato di Fleur Delacour, ma entrare nei loro dettagli intimi era
decisamente troppo imbarazzante... insomma, era sempre del suo
bambino di cui stavano parlando, cercate di capire il suo punto di
vista.
- Ha
detto che è stato un errore... - continuò Tonks,
chiudendo gli occhi e ispirando come se questo permettesse al dolore
di scorrerle via dall'anima. - Ha detto che non può legarsi
a
me... ha paura di farmi del male. -
Molly
la guardò accigliata. - Del male? -
ripeté, senza
capire. - E come potrebbe? -
Tonks
la guardò per la prima volta da quando avevano iniziato a
parlare, e abbozzò un sorriso carico di tristezza. - Conosci
Remus, Molly. Lui è semplicemente
fatto così. -
S
scoppiò in una leggera risata senza allegria, mentre
guardava
Molly con gli occhi sgranati e la bocca aperta.
Remus +
Tonks = Bill - Tonks = Bill + Fleur
Delacour.
Molly
scosse la testa, irritata con sé stessa. Come poteva pensare
al suo piano per far rimpatriare la francesina, mentre Tonks le
crollava disperata fra le braccia!? Vergognati, Molly Weasley, si
rimproverò mentalmente.
- Io lo
amo davvero - proseguì Tonks, ormai incapace di fermarsi. -
Amo tutto di lui... amo il modo in cui alza il sopracciglio sinistro
quando è divertito, o quando si copre la bocca per
non
ridere a sproposito... e... Merlino, quanto amo la sua bocca! -
affondò la testa fra le braccia, e
ricominciò a
piangere.
- Amo
anche il lupo che vive in lui, Molly... - biascicò in
maniera
incomprensibile fra le lacrime.
Molly
la strinse a sé, mentre sentiva gli occhi bruciare.
Remus,
sei veramente un cretino,
pensò, furibonda.
°°°°°°°
Mentre
camminava a passo svelto per il parco di Hogwarts, chino sotto il suo
vecchio ombrello nero, a Remus Lupin tornò in mente
un'antica
leggenda orientale, secondo cui la pioggia non sarebbe altro che
l'insieme delle lacrime degli uomini, raccolte dagli
dei
per essere gettate sulla Terra, in modo che gli umani potessero
capire di quanto male avevano tinto il mondo.
Non
poté fare a meno di pensare che fra le lacrime di quel
diluvio, si annidavano solitarie anche quelle di Ninfadora.
Alzò
lo sguardo verso il vecchio faggio in riva al lago e sorrise,
mentre permetteva a ricordi lontani di farsi strada nel suo cervello.
- Non
credo sia una buona idea. -
-
Lunastorta, per te niente di quello che facciamo
è una
buona idea. -
- Ma, Ramoso,
potrebbe essere pericoloso... e se ci scoprissero? E se
l'incantesimo finisse male? -
- Lunastorta,
ce l'hai già detto una quindicina di volte
nell'arco di
quaranta secondi, finiscila. Andrà tutto bene. -
Lunastorta
aprì la bocca per ripetere per la sedicesima volta
che
non sarebbe sicuramente andato tutto bene, quando una vocina sottile
lo interruppe.
- Non ci
succederà niente, Lunastorta - disse Codaliscia, con un
timido
sorriso impresso nel volto paffuto. - Vogliamo solo
farti
compagnia. Non ci piace vederti star male tutti i mesi. -
-
Parole sante - convenne Felpato, steso come una lucertola pochi passi
più in là. - Non vorrai tenerti tutto il
divertimento
per te, vero? -
Lunastorta
strizzò gli occhi per evitare di saltare addosso a Felpato e
strangolarlo seduta stante. Perché non volevano capire
quanto
fosse pericoloso un Lupo Mannaro?
- Siamo
i Malandrini, Lunastorta - aggiunse Ramoso, senza distogliere
lo
sguardo dalle ragazze in rive al lago. - La regola non era
forse
"I Malandrini non lasceranno mai solo un compagno"? -
Remus
dovette aspettare sotto la pioggia qualche istante prima che Argus
Gazza venisse ad aprirgli i cancelli. Rimase in silenzio mentre il
vecchio Magonò gli faceva strada verso la Sala Grande,
borbottando scocciato frasi sconnesse (di cui Remus
riuscì
a cogliere solo "Umbridge" e "benedizione"). Lo
ringraziò non appena ebbero varcato
l'imponente porta di
quercia, tranquillizzandolo sul fatto che sapeva
perfettamente dove si trovava l'ufficio del Preside, e che
non desiderava sottrarre altro tempo alle sue
faccende.
Gazza
lo fissò maligno, grugnì una rispostaccia,
e si
voltò senza aggiungere altro.
Remus sorrise
fra sé, e proseguì fra i quattro lunghi
tavoli
delle Case, soffermandosi malinconico accanto al tavolo di
Grifondoro.
Girò
a destra dopo la seconda rampa di scale, prese il corridoio del primo
piano che portava all'Aula di Trasfigurazione, svoltò a
sinistra, e rimase nuovamente stupito da quanto la Mappa del
Malandrino fosse incisa a fuoco nella sua memoria. Era in grado
rivederne ogni angolo, ogni linea, ogni parola in qualunque momento
lo desiderasse.
Si
fermò davanti all'imponente fenice di marmo posta
all'entrata
del ufficio di Albus Silente, un ala del castello che rimaneva un
mistero per la maggior parte degli studenti di Hogwarts. Per Remus J.
Lupin, ex-Malandrino ed ex-insegnante di Difesa Contro le Arti
Oscure, naturalmente non lo era.
-
Rotolino
di ribes
-, declamò a chiara voce. Le pietre della statua iniziarono
a
tremare, mentre le ali della fenice si aprivano per mostrare una
chiocciola di scale verde granito.
-
Professore? - domandò al nulla, non appena ebbe raggiunto
l'ultimo gradino. - Professore, sono Remus. Posso entrare? -
- Oh,
Remus, ben arrivato! - esclamò l'anziano
Preside, alzandosi educatamente dalla propria sedia.
-
Spero che questo mio improvviso invito non abbia interferito con
nessuno dei tuoi programmi. -
- Assolutamente
no, professore. -
- E
anche se così fosse, non me lo diresti per buona educazione,
non è vero, Remus? -
- Esatto,
professore. -
Silente
gli sorrise con fare paterno e indicò la sedia dinanzi a
sé.
- Accomodati, Remus. -
Remus
non riuscì a dire nulla mentre il professore lo
metteva
al corrente degli ultimi avvenimenti: ascoltava con
una
concentrazione tale, che i suoi polmoni potevano
respirare
solo a scatti. Le sue mani continuavano a sfregarsi
fra
loro agitate, prive di qualunque controllo.
Ascoltò
per filo e per segno l'ultimo resoconto della missione di Severus
Piton, da come fosse venuto magistralmente a conoscenza del patto fra
Lord Voldemort e la comunità dei licantropi, a
come si
fosse tempestivamente messo in contatto con l'Ordine della Fenice.
- Alla
luce di quanto hai appena saputo, Remus - concluse in un
flebile
sussurro Silente, - ti chiedo di
riflettere attentamente su
ciò che sto per chiederti. -
Remus
annuì lievemente, ancora incapace di
parlare.
- I
licantropi non si fidano di Severus. Ci occorre qualcuno che
riesca... - e qui si interruppe per inspirare profondamente,
- che riesca a interagire appieno con loro. -
Remus
incrociò gli occhi celesti di Silente, e scorse un'ombra di
impotenza nel suo sguardo solitamente fiero.
-
Qualcuno come me, insomma. - concluse per lui Remus, stupito
di
essere riuscito a emettere suono.
- Non
voglio che tu faccia qualcosa solo perché
ti senti
costretto, Remus. -
Remus
annuì con decisione. Sarebbe morto per il
nome di
Silente, questa era una delle poche, misere certezze che la
sua
esistenza gli aveva offerto. E in quel momento più che
mai, si
rese conto di quanto era grande la stima e la
lealtà che
lo legava all'anziano Preside. Avrebbe fatto qualunque cosa
gli
avesse chiesto. Qualunque
.
-
Lo farò, professore. - dichiarò
asciutto.
Silente
alzò stancamente il capo verso di lui. Rimase in silenzio un
attimo, massaggiandosi le tempie con i polpastrelli.
-
Preferirei che tu ci riflettessi maggiormente, Remus. -
- No,
professore - ribatté. - Il tempo non mi aiuterebbe
nella
scelta. -
-
Capisco. Ma vorrei che tu mi ascoltassi un altro minuto, Remus, se
ciò non ti disturba. -
- Mi
dica, professore. -
- Il
capo del clan è Fenrir Greyback. -
°°°°°°°
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo Secondo - Cappuccetto Rosso ***
Enter_Title_Here
************************
Diario di un Lupo in un Branco di Lupi
(Versione
riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione
dell'autrice...)
CAPITOLO
SECONDO
°°°°°°°
Il Vento scivolava dolcemente fra i Papaveri Rossi del campo,
dondolandoli sulle note di una canzone senza voce. Alzasti gli occhi
verso il cielo rosato e ti perdesti fra i colori di quel lontano
tramonto primaverile. La Luna riuscì a liberarsi dalla stretta morsa delle
nuvole e ti lasciasti irradiare dalla
sua luce celeste.
Ecco! Dalle nubi Selene si desta!
Per lei questa sarà notte di festa!
Il Vento voltò allarmato il capo e ti gridò di fuggire, Bambino. I suoi
occhi d'aria avevano visto quello che tu non eri riuscito a scorgere fra il
Rosso dei Papaveri. Si afferrò il petto, soffiò disperato tutta la sua anima di
elemento, ma nulla poté contro la Bestia che si avventò sulle esili spalle.
Tentò di implorare la Luna, tentò di dirle di smettere; credimi se puoi,
Bambino: quella notte il Vento cedette il suo onore per la salvezza del tuo
sangue. Ma la Luna non rispose alla sua preghiera, e sorrise.
Muta testimone di quel bacio maledetto,
sorride la luna al suo nuovo diletto.
Credesti di perdere l'anima fra i tuoi strilli di fanciullo, credesti di
smarrire lo spirito fra le tue lacrime di innocente.
Mentre sentivi il sangue fuggire dalle tue carni straziate, entrarti fra
le labbra e disgustarti col suo amaro sapore, credesti di morire, non è così?
Avremmo dovuto avvertirti, quella Notte. Noi abbiamo già letto i capitoli
successivi, Bambino. Avremmo dovuto raccontarli anche a te.
La Notte chiuse gli occhi per nascondersi nel buio della cecità, si coprì
le orecchie per non dover ricordare di quale spettacolo era stata scenografia.
Ma non poté evitare di sentire il sangue scivolarle sulla terra fredda, e
tingere le sue erbe e le sue margherite di rosso nel suo lento tragitto.
Ma non i Papaveri. Quelli erano già Rossi.
Tace la Notte e assiste alla scena,
non vuole vedere la Luna piena.
Tu non potesti vederla, Bambino, ma la Luna ti sorrise nel corso di
quella Notte. Avrebbe voluto cullarti, ma come poteva farlo, quando la Natura
l'ha resa Madre Senza Braccia? Avrebbe voluto canticchiare nel tuo
orecchio una dolce ninna nanna, ma come poteva farlo, quando la Natura l'ha
resa Madre Senza Voce? Avrebbe voluto esserti semplicemente Madre, ma la Natura
questo non poteva prevederlo.
Poté solo sorriderti, Bambino. E continuò a sorriderti tutte le Notti,
mentre la sua luce celeste si fondeva con l'ambra dei tuoi occhi. Era così
accecata dalla bellezza del suo Bambino, così fuorviata dall'orgoglio e dalla
fierezza che provava nei tuoi confronti, che non si accorse mai di quanto odio e
quanto disprezzo, in realtà era celato nel tuo
sguardo.
Pallida Madre, che da oggi veglierai sul tuo
diletto,
quando capirai che ad amarti sarà costretto?
Trent'anni dopo, Remus J. Lupin si svegliava di scatto nel letto della
stanza che aveva affittato al Paiolo Magico, con la fronte imperlata di sudore e
i polmoni incapaci di respirare. Chiuse gli occhi e pensò che un altro sogno del
genere, lo avrebbe certamente ucciso.
°°°°°°°
Seduta sui gradini freddi della Tana, Ninfadora Tonks scrutava il cielo
plumbeo sopra i propri capelli grigi. Molly le aveva assolutamente vietato (nel
senso più rigido e stretto della parola) di trascorrere la notte nella
solitudine del proprio, disordinato appartamentino, nonostante la ragazza
avrebbe di gran lunga preferito la seconda opzione. Aveva tentato di riposare
nel letto che era appartenuto a Charlie Weasley, ma si era rigirata fino
all'alba senza trovare riposo fra le lenzuola dal sapore di
lavanda.
Strinse gli occhi per non rivedere l'immagine di
Remus in ogni luogo posasse lo sguardo, immerse il volto fra le ginocchia,
e cercò invano di non pensare a nulla.
“Cara, hai fame?”
La voce di Molly aleggiò piano attorno ai suoi
Non-Pensieri, risvegliandola dall'oblio in cui era precipitata.
“No, Molly” rispose alzando il capo in direzione della finestra della
cucina da cui la donna si era sporta. “Grazie”.
“Ma, cara, non mangi nulla da ieri sera!” sbottò spazientita Molly,
fissandola severamente. “Suvvia, fammi il piacere di mettere in quella pancia
qualcosa di commestibile”:
Tonks accennò un sorriso storto, e alzò le spalle con fare impotente.
“Scusa, Molly. Non ho proprio fame”.
Molly sospirò e ricacciò la testa nella cucina. - Arthur, ma l'hai vista
bene? -
Arthur lanciò un ennesimo sguardo furtivo verso l'entrata della propria
casa, e mormorò tristemente:
- Non possiamo fare nulla, più di quello che già stiamo facendo, Molly. E
assolutamente no - aggiunse secco, mentre la moglie apriva la
bocca per ribattere, - ti impedisco di andare a parlare con Remus. Non possiamo
intrometterci nelle decisioni né dell'uno, né dell'altra. -
Gli occhi di Molly si sgranarono dallo stupore.
- Ti amo da una vita, Molly - spiegò con semplicità
Arthur, - so perfettamente cosa pensa in quella tua adorabile
testolina rossa. -
Molly sorrise dolcemente, lasciandosi pervadere dal calore di quelle
dolci parole. Accese la vecchia radio con un colpo di bacchetta e riprese le
faccende domestiche che aveva interrotto. Accompagnò canticchiando tutti gli
acuti di Celestina Warbeck fino a perdersi nella sicurezza della propria
quotidianità. Molly Weasley era così occupata, che non si accorse della figura
alta e scura appena Smaterializzatasi nel proprio
giardino.
°°°°°°°
- Buongiorno, Ninfadora - salutò con
freddezza Severus Piton, calcando fastidiosamente sul nome della
ragazza seduta sui gradini della Tana.
No, pregò Tonks mentalmente, Merlino, no... tutti ma non
lui.
- Il tuo nuovo look è... sì, decisamente interessante - continuò imperterrito Piton, mentre i suoi
occhi scuri saettavano curiosi verso i capelli di Tonks.
Lei sospirò afflitta e guardò il pallido viso dell'uomo. - Cosa la porta
qui, professore? Non la cortesia, immagino. -
- Ho un messaggio da parte del professor Silente. -
Tonks lo guardò perplessa. - Un messaggio per me? -
Piton scoppiò in una risatina di scherno. - Ti credi davvero così
importante, ragazzina? Il messaggio è per l'Ordine. -
- Io ne faccio parte,
professore. - ribatté Tonks, con
eccessiva enfasi sul soggetto "io".
- Oh, hai ragione, Ninfadora. Me ne dimentico
troppo spesso. -
Se Tonks non fosse stata di quel cupo umore, avrebbe avuto sicuramente il
coraggio di sputare in un occhio al suo ex-professore, ma considerate le sue
attuali condizioni, non ebbe neppure la forza di difendere il suo orgoglio da
novellina, miseramente calpestato da Piton.
Lui la guardò un attimo, e un ghigno di divertimento incrinò le sue
labbra. - Lupin ha finalmente deciso di partire per l'isola di Jura.
-
Tonks si alzò di scatto, tremando leggermente sulle gambe
intorpidite dalle troppe ore trascorse seduta sui gradini.
- Partire? Quando? Perché? Per dove? -
- Ci occorreva una spia fra i licantropi, e Lupin è l'unico che abbia...
le qualità necessarie, sì. -
- Fra... fra i licantropi? - balbettò in un sussurro appena udibile
Tonks, gli occhi terrorizzati fissi in quelli scuri dell'uomo.
- Scopro con rammarico che non hai ancora perso quello stupido vizio di
non ascoltare, Ninfadora. Sì, fra i
licantropi. -
La fissò nuovamente con quell'espressione fra la superiorità e il
disprezzo che riservava a Tonks da quando la ragazza aveva oltrepassato per
la prima volta la soglia dell'aula di Pozioni, con i capelli verdi e gli occhi
fucsia.
- Nel clan di Greyback. - aggiunse Piton, con una leggerezza che non
aveva nulla di umano.
Le sopracciglie di Tonks si alzarono così tanto che scomparvero
completamente sotto i suoi capelli flosci. Rimase immobile a guardare i
fiori perfettamente curati di Molly, senza vederli realmente, mentre Piton si
avvicinava alla porta della Tana.
- Per quanto mi riguarda - concluse lui, deciso fino in fondo ad
affondare il colpo di grazia, - mai notizia è stata più bella. Se la Fortuna ci
assiste, questa volta ci libereremo finalmente della sua assurda e inutile
presenza. -
Se Tonks non si fosse trovata in un mare di tormenti, sarebbe saltata
addosso al suo ex-professore di Pozioni, e lo avrebbe preso a calci fin
quando avesse avuto forza nelle gambe. Ma Tonks non si sentiva
più le gambe, così come non riusciva a sentire la presenza di nessun'altra parte
del suo corpo. Rimase ferma sui piedi tremanti, mentre il Vento
tentava di asciugare le lacrime che ora le rigavano il volto
pallido.
°°°°°°°
Albus Silente rilesse per l'ennesima volta la lussuosa pergamena che un
allocco dall'aria raffinata li aveva appena recapitato. Si concentrò
intensamente sulla pomposa calligrafia di Percival Weasley e sul
significato di quelle frasi rigirate. Erano trascorsi solo pochi minuti
quando un leggero rumore risalì leggermente dalle scale.
- Professore? - domandò una voce femminile attraverso la statua di marmo
che chiudeva l'entrata del suo ufficio. - Professore, sono...
-
Ninfadora Tonks non finì la frase: le ali della fenice
avevano iniziato a tremare e dopo pochi istanti, la ragazza poté salire per
la tortuosa entrata.
- Buongiorno, professore - salutò Tonks, leggermente impacciata. - Non
vorrei disturbare, ma... -
Silente le sorrise affettuosamente, e le indicò la poltrona di chiltz
davanti alla scrivania. Lei si sedette e iniziò a sfregarsi nervosamente le
mani.
- Professore, mi chiedevo... ecco... - tentò di spiegare, ma nessuna
delle parole che conosceva sembravano in grado di illustrare il girone di
problemi nei quali era stata scaraventata.
- Remus vuole e
deve partire per Jura, Tonks. - la anticipò lui,
fermamente. - Le informazioni che potrebbe ottenere nel corso di questa missione
sono di importanza vitale per l'Ordine della Fenice. -
Non saprei dirvi se fu il tono distaccato con cui Silente pronunciò
queste parole, o cos'altro, ma la voce calma e pacata dell'uomo ebbero
l'effetto di una bomba a mano nella scatola cranica di Tonks.
Si alzò in piedi di scatto e sbatté le mani sulla scrivania, facendo
cadere la poltrona di chiltz. I suoi occhi scuri lampeggiavano pericolosi verso
Silente.
- L'Ordine! L'Ordine! L'Ordine! - strillò, ed ogni strillo sembrava
alleggerigli l'anima da grossi e roventi macigni. - A lei non interessa
nient'altro che l'Ordine! -
Silente la guardò apparentemente distaccato, la ascoltò gridare i motivi
per cui Remus non avrebbe dovuto accettare quell'impresa folle e i motivi per
cui lui, il saggio e anziano Preside, non avrebbe dovuto neppure pensarlo.
Non la interruppe neppure quando apostrofò, con alcune parole che Silente non
aveva mai neppure udito, il suo professore di Pozioni.
Tonks non lo avrebbe mai saputo, ma il vecchio cuore di Silente stava
piangendo con lei, sanguinando di colpa grido dopo grido.
- Non può lasciarglielo fare, professore - mormorò Tonks con la gola
in fiamme e gli occhi lucidi dopo diversi minuti. Le gambe tremarono
un'altra volta e si ritrovò in ginocchio davanti alla scrivania di Silente.
Non riuscì a trattenersi oltre e scoppiò a piangere, mentre una parte del
suo cervello si faceva inondare dalla vergogna.
- Me lo uccideranno... - riuscì a dire, fra un singhiozzo e l'altro. - La
prego, professore... me lo uccideranno... -
Silente si alzò, girò attorno alla scrivania e si chinò lentamente
accanto a quella giovane straziata dall'Amore e dalla Guerra. La strinse
forte a sé, con la mente carica di domande senza risposte, e le accarezzò
delicatamente i capelli grigi per un'ora che sembrò durare
un'eternità.
Se in quell'eternità aveste potuto sbirciare attraverso le finestre
dell'ufficio del Preside di Hogwarts, così come ho potuto fare io, non avreste
potuto impedire a quell'immagine di soffocarvi l'anima di pianti silenziosi e
sorrisi commossi.
°°°°°°°
Remus Lupin si sentiva nudo senza la propria bacchetta. Cercava di
mantenere un'andatura rapida e disinvolta anche fra le sterpaglie dei boschi di
Jura, illuminato solo dalla fievole luce di un quarto di luna. Lanciò un rapido
sguardo carico di rancore verso l'astro e per la prima volta nella sua vita, si
lasciò guidare dal lupo con cui condivideva l'esistenza.
Chiuse gli occhi e tentò di orientarsi con l'istinto animalesco che
teoricamente avrebbe dovuto possedere da decenni. L'idea fu pessima quanto il
risultato: Remus Lupin era un licantropo quanto poteva esserlo un orologio
a cucù e i suoi sensi di lupo non solo scarseggiavano, ma mancavano
addirittura. Si chiese come avrebbe potuto sopravvivere nel clan di Jura, quando
neppure era in grado di trovarlo. Pensò di sedersi su un masso a pochi passi da
lui per recuperare le forze perse durante il viaggio, quando una luce accecante
lo investì in pieno, riflettendo la sua ombra fra le radici degli
alberi.
- Benvenuto nella tana del lupo,
umano. - disse una voce avida alle sue
spalle.
°°°°°°°
Un gigantesco grazie a tutti, e al prossimo capitolo.
Trick
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo Terzo - Il Capo del Clan ***
************************
Diario
di un Lupo
in
un Branco di Lupi
(Versione
riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)
CAPITOLO
TERZO
Il
capo del Clan
°°°°°°°
-
Benvenuto nella tana del lupo, umano -
disse una voce
avida alle spalle di Lupin. Lui chiuse gli occhi istintivamente e si
irrigidì come una statua di ghiaccio, improvvisamente
inondato
dal panico. Credeva di essere pronto, aveva provato e riprovato
quella scena: non immaginava che fingersi ciò che non solo
non
era, ma che oltretutto disprezzava con tutto sé stesso, si
sarebbe rivelata un'impresa così ardua. Tentò di
riprendere il controllo, e si voltò così come
aveva
provato e riprovato mille volte davanti allo specchio.
- Chi
hai chiamato umano?
- sibilò con una freddezza che non credeva di possedere.
Riuscì
a stento a ingoiare il proprio stupore. Il licantropo che l'aveva
scovato era poco più che un ragazzino: i suoi
capelli
avevano il colore del miele, ma erano completamente ricoperti di
terra e fango. Una frangia sporca gli ricadeva sugli occhi chiari,
stretti dalla diffidenza e dalla curiosità.
- Mi
hai preso per un idiota, vecchio? - ridacchiò il ragazzino
mentre la vecchia lanterna che reggeva in mano illuminava meglio il
viso segnato di Lupin. - So riconoscere uno
di voi quando li
incontro. -
Lupin
alzò un sopracciglio. - Ah, sì? -
- Sì
-
Lupin
si mosse con una velocità tale che il ragazzino neppure
lo vide: la sua mano destra si strinse
attorno al suo
esile collo, e in meno di pochi secondi, si ritrovò appeso
al
ramo della quercia più vicina per il sudicio
colletto
della camicia.
Lupin
sorrise fra sé e sé: forse non era in grado di
competere con i licantropi di Jura, ma poteva ancora sperare di
uscire vincitore da uno scontro con un bambino.
- Ehi!
- strillò quest'ultimo, mentre le sue gambette sottili si
agitavano nell'aria. - Ehi! Schifoso vecchiaccio! Tirami
giù!
-
Le
labbra sottili di Lupin si piegarono in un piccolo ghigno divertito.
- Come ti chiami, moccioso
? -
-
Moccioso, a chi!? Io
ho
già nove anni! -
- Oh...
- esclamò Lupin, fingendosi spaventato. - Sì...
sì,
davvero impressionante. Allora? Come ti chiami? - aggiunse, tentando
di suonare seccato.
Il
ragazzino lo fissò furibondo fra gli sporchi ciuffi biondi
della frangia.
- Trick
- rispose, con un tono di voce sconfitto. - Siamo sicuri che non sei
un umano? -
- Mi
chiamo Bizèt, e... - sbottonò la camicia quanto
bastava
per mostrare al giovane Trick l'inconfondibile cicatrice di un morso
sulla spalla sinistra, - se mi chiami ancora "umano
", diventerai la mia colazione, ragazzino. -
Lupin
non avrebbe mai creduto che la sua voce potesse arrivare ad
avere toni così minacciosi e
glaciali. Trick
non sembrava tuttavia impressionato, quasi fosse abituato a ricevere
minacce a destra e a manca, ma la vista di quel marchio sulla spalla
di Lupin sembrava averlo finalmente convinto, e ora guardava
l'estraneo con una buffa espressione incuriosita sul volto sporco.
- Ok,
non sei un umano... - ragionò ad alta voce, mentre con la
mano
sinistra si grattava a scatti uno zigomo con lo stesso piglio che
avrebbe potuto avere un cucciolo di cane. Lupin si
sforzò
di non sorridere.
- Ma
allora, dimmi perché puzzi di umano. -
- Gli
umani hanno una puzza particolare? -
- Sì.
Puzzano di... umano.
-
-
Capisco. Be', probabilmente puzzo di umano
perché vivevo con loro. -
Trick
fece un verso che non avrebbe saputo esprimere meglio il proprio
disgusto. - Che schifo. Ehi, mi tiri giù, adesso che siamo
amici? -
Lupin
lo afferrò per un braccio e lo rimise con i piedi a terra.
Trick lo squadrò un'altra volta, pensieroso.
- Non
devi parlare con Fen, vero, Bizèt? -
-
Perché me lo chiedi? -
-
Perché non c'è, adesso. È partito non
so per
dove - rispose, alzando le spalle.
- E
quando torna? -
- Non
lo so. C'è Rouge
, però. -
-
Rouge? -
Trick
sgranò gli occhi, come se non credesse possibile che
qualcuno
non conoscesse il nome di Rouge. Evidentemente non aveva idea di
quanto grande e popolato fosse in realtà il mondo.
- Non
sai chi è Rouge? - domandò a bocca aperta.
Lupin
arricciò il naso e alzò le spalle con noncuranza.
-
Perché dovrei? -
- È
il capo qui. Quando non c'è Fen, naturalmente -
puntualizzò
in fretta, come se Greyback potesse sentirlo dal remoto e misterioso
posto in cui si trovava.
-
Allora portami da questo Rouge, Trick. -
°°°°°°°
Si era
immaginato svariate volte il genere di luogo in cui potessero vivere
i licantropi come Fenrir. Ma mai, neppure nelle sue più
lontane fantasie, avrebbe potuto immaginare che il villaggio di Jura,
altro non era che una distesa di antiche rovine celtiche, derubate
della loro storia e del loro onore dalla depravazione e
dall'inciviltà dei lupi mannari.
Le
sottili luci di un alba ancora distante rilucevano sugli antichi
massi biancastri, scivolando sui profili addormentati di alcuni
uomini. Lupin soppresse a forza un gemito mentre li fissava
inorridito: i capelli unti coprivano la maggior parte del loro volto,
ma fra la barba illuminata dal debole sole mattutino, poté
scorgere inconfondibili e per nulla rassicuranti tracce di sangue
rappreso.
"Di
cosa ti sorprendi, Remus Lupin?" si disse
con amarezza. "Sapevi
perfettamente cosa avresti trovato qui".
Si
sforzò di apparire a suo agio onde evitare prematuri
sospetti,
nonostante il villaggio sembrasse immerso in un profondo e
indisturbato sonno.
Attraversarono
quella che doveva essere la "piazza" del villaggio, e
qui Lupin dovette richiamare a sé tutto il sangue
freddo
di cui disponeva, mentre scavalcavano quello che in un passato non
troppo remoto era sicuramente stato un uomo. Voltò rapido il
capo, nel tentativo di risparmiarsi quell'orrenda immagine, ma
ovunque il suo sguardo si posasse, trovava solo resti di abominevoli
cene.
Crack.
Abbassò
agitato gli occhi verso i propri piedi, e per un attimo non si
lasciò
sfuggire un urlo. Aveva pestato un cranio di dimensioni minuscole,
che a causa dell'ossatura ancora fragile, si era frantumato sotto il
suo peso. Strizzò gli occhi e inspirò
profondamente,
sperando che la sua agitazione passasse inosservata agli occhi della
giovane guida.
- Rouge
dorme lì. - illustrò Trick, indicando con un dito
una
capanna a pochi metri da loro. Be', capanna... si fa per dire.
Diciamo
che era una grande e logora coperta giallastra, legata
malamente
attorno a tre colonne celtiche con delle grosse corde. Considerando
il resto del villaggio, comunque, quella primitiva abitazione
sembrava la più lussuosa.
- Che
tipo è Rouge? - chiese Lupin, sfruttando l'occasione per
riprendere fiato.
Trick
lo guardò attraverso la frangia e si
grattò di
nuovo il naso con lo stesso fare animalesco di prima.
Nonostante
l'ansia crescente lo stesso straziando dall'interno delle proprie
viscere, Lupin non poté fare a meno di notare
quanto quel
gesto fosse adorabile.
-
Be'... - rispose Trick, dopo averci pensato a lungo, - se lo vuoi un
consiglio, Bizèt: scappa finché c'hai tempo. O
finisci
come quelli lassù
. -
Lupin
seguì il suo dito finché i suoi occhi non ebbero
incrociato la curva di un rudimentale argine. Gli occorsero diversi
minuti prima che l'immagine paratasigli davanti arrivasse al
cervello, sommergendolo con tutta la sua forza espressiva.
Una
scia di lunghi pali lignei, di cui Lupin non riusciva a scorgere la
fine al di là della curva, seguiva regolare il corso del
fiume. Su ognuno di essi, immobile nella deformità della
morte, era stata piantata una testa umana. Sentì un conato
di
vomito risalirgli l'esofago, e finse di grattarsi la fronte per
soffocarselo nella gola.
- Se
si arrabbia, stai sicuro che uno o due ci rimette la testa -
continuò con tono noncurante Trick. - Yurk
e Ghima
hanno iniziato a chiamarla la "Vedova Nera". Ed eccoli là
-. E indicò nuovamente un punto indistinto
sull'argine
del fiume.
-
"Vedova Nera"? Rouge sarebbe... una
donna?
-
°°°°°°°
- Forse
è meglio se prima glielo dico che sei
qua - propose
Trick, con una nota nervosa nella voce sottile. - Non sarebbe mica un
bell'affare se finisci sull'argine prima che Fen torni, no? -
Lupin
evitò di sottolineare che non sarebbe stato un bell'affare
neppure se l'avessero decapitato dopo l'arrivo di Greyback, evento
che gli pareva sempre più concreto e possibile. Ma come
aveva
potuto essere così sciocco da pensare di poter passare
inosservato a Jura?
Quella
missione era una completa follia. Alla cieca, come se non bastasse.
Considerò
le proprie possibilità di salvezza, mentre fissava Trick
entrare timorosamente nella tenda di Rouge. Respirò
profondamente e nonostante tutta la paura, l'agitazione e il ribrezzo
che si sentiva addosso, dovette ammettere che la situazione aveva il
suo che di ridicolo.
Da
bambino, suo padre aveva tentato di iscriverlo ai boy-scout, ma il
piccolo Remus Lupin era fuggito dall'accampamento meno di un'ora
dopo, scandalizzato dall'assenza di adeguati servizi igenici e dalla
presenza di disgustosi insetti.
Ai
tempi della scuola, nel lontano 1976, il gruppo
dei Malandrini si risvegliò con i letti del
dormitorio
pieni di pulci e zecche. Sirius Black, James Potter e Peter Minus
erano rimasti in quarantena per l'intera settimana successiva,
controllati (e sì, anche lavati), da una scioccata,
incredula Madama Chips al colmo della sopportazione. E mentre
tutta la scuola si chiedeva dove mai fossero stati per ritrovarsi
ricoperti di parassiti, gli sventurati ragazzi si chiedevano un'unica
cosa: "Perché
noi sì, e Lunastorta, invece, no? È
"biologicamente" impossibile!
Remus
Lupin, meno licantropo di quanto avrebbe mai
ammesso,
si ritrovava nel villaggio di Jura, circondato da criminali della
peggiore specie, guidato da un bambinetto di nove anni, e in
attesa di essere probabilmente decapitato. La prospettiva non era
certo delle più rosee, ma si consolava nella sua
stessa ridicolaggine.
-
Bizèt? -
La
vocetta di Trick lo riscosse dal dolce conforto dei propri ricordi,
riportandolo a una realtà di cui ancora non si capacitava.
Lupin lo fissò confuso un attimo, prima di rendersi conto
del
ruolo che avrebbe dovuto coprire a Jura. Tentò di imitare lo
sguardo fiero e noncurante che Sirius sfoggiava pubblicamente
quando camminava per i corridoi di Hogwarts, sperando che non si
rivelasse un biglietto di sola andata per l'argine.
- Rouge
dice che ti vuole vedere. -
- Devi
venire anche tu? - chiese, cercando di risultare il più
scocciato possibile. Se fosse stato troppo gentile con lui,
certamente si sarebbe insospettito.
Trick
scosse la testa con vigore. - No, io aspetto qui. Se Rouge
s'incavola, preferisco starle alla larga. -
Lupin
alzò le spalle con il minimo interesse, mentre con uno
sforzo
immane scivolava all'interno della tenda di Rouge.
°°°°°°°
Quando
Lupin vide Rouge, un'espressione di completo stupore gli si dipinse
sul viso. L'aveva immaginata come un'imponente donnona dai
capelli sudici, intenta a staccare a morsi brandelli di carne cruda
mentre il sangue le colava lentamente dai lati della bocca putrida.
Il particolare più disgustoso era che l'immagine
sputacchiava
residui di colazione ovunque si girasse. Non chiedetemi come la mente
agitata di Lupin abbia potuto partorire una così orripilante
fantasia.
Rouge
era una donna sulla trentina, dai voluminosi capelli scuri e dalla
mascella pronunciata. Le folte sopracciglia conferivano allo
sguardo, già di per sé piuttosto allarmante,
un'aria di
perversa malvagità che Lupin aveva avuto l'occasione
di scorgere solo in un'altra donna:
Bellatrix Lestrange.
È
la fine,
pensò immediatamente.
Questa mi smaschera nel giro di pochi secondi e buonanotte, Remus
Lupin.
Poi,
realizzando improvvisamente che nessun lupo mannaro come si
deve si
sarebbe mai comportato da educato gentiluomo londinese,
dimenticò
rapido le buone maniere con cui era stato istruito, e
si lasciò
ricadere su un mucchio di sudicie coperte dalla forma di
una poltrona.
- Non
ti ho dato il permesso di sederti, straniero
- esordì
imperiosa, mentre i suoi occhi lo studiavano con circospezione.
-
Mi taglierai la testa per questo? - ribatté
sprezzante,
senza rifletterci un secondo. Le sopracciglie gli s'incurvano
automaticamente in un'espressione di totale indifferenza.
Sì, cretino!
Ti taglierà la testa! Ma cosa sei andato a dirgli!?
Le
labbra di Rouge s'incurvarono lievemente in un preoccupante
sorrisetto diabolico.
-
Possibile - si passò il lungo indice sul mento
squadrato,
lasciando scivolare l'unghia scarlatta sul suo profilo. Lupin si
chiese dove si fosse procurata lo smalto.
-
Trick dice che ti chiami Bizèt. -
-
Probabilmente perché mi
chiamo Bizèt.
-
Sei
un pazzo suicida! Sta' zitto e abbassa la cresta, idiota!
- Da
dove vieni? - La sua voce era secca, decisa e carica di curiosa
diffidenza.
- Sud.
-
-
Quanto sud? -
- Più
di sud di qua - rispose, come se fosse la cosa più ovvia del
mondo. Naturalmente era la cosa più ovvio del mondo, ma non
era l'occasione più adatta per farlo presente a Rouge.
Ecco.
Bravo. Ora ci ammazza. Geniale, Remus... davvero geniale.
Rouge
non sembrava particolarmente impressionata da quell'impertinente
straniero impregnato dall'odore di umano.
Socchiuse
gli occhi in un'espressione concentrata, e fissò
Lupin
pensierosa.
- Spogliati
- ordinò improvvisamente.
Lupin
riuscì a mascherare la propria meraviglia sotto un ironico
ghigno. Nella sua memoria, riaffiorarono rapidi i ricordi della
scuola e ringraziò Nostradamus per aver messo sul suo
cammino
bastardi cronici come James Potter, Sirius Black e Severus
Piton.
- Solo
se ti spogli con me, bimba
. -
Se
c'era una cosa che Sirius gli aveva ripetuto più di "Merlino,
grazie di aver inventato l'alcool",
era sicuramente "Se
vuoi piacere a una donna, sii bastardo".
Remus
Lupin si era sempre dichiarato profondamente contrario a quest'ultima
affermazione. Ora come ora, rivestendo gli scomodi panni di un
licantropo girovago, si era ritrovato a pensare che forse, per una
volta soltanto, dare retta a quell'irresponsabile di Sirius non si
sarebbe rivelata una pessima idea.
Rouge
lo fissò immobile come una statua e si
lasciò
sfuggire un sorrisetto divertito, che non passò
certo
inosservato a Lupin.
Neppure
lui avrebbe potuto spiegarvi come era riuscito a superare sano e
salvo il breve ma potenzialmente mortale colloquio
con
Rouge. Sapeva solo che appena entrato in quella sudicia tenda, una
parte del suo cervello si era definitivamente spenta, e la bocca,
ormai elemento staccato dal resto del corpo, aveva iniziato a danzare
da sola, priva di controllo.
°°°°°°°
Se
foste passasti, solo due ore più tardi, fra la mezza luce
del
bosco di Jura, avreste trovato Remus Lupin, seduto in riva al
ruscello gorgogliante.
Dalla
sua espressione avreste potuto pensare che quell'uomo era sovrastato
da fardelli più grandi e pesanti di quanto fosse in grado di
reggere. Guardando i suoi occhi avreste potuto credere che la vita
non gli aveva riservato che dure amarezze, che fosse in procinto di
partire per il più lungo dei viaggi, magari.
Avreste
sbagliato in qualunque caso.
Remus
Lupin si era appena reso conto di non essersi salvato per la una
qualche nascosta dote recitativa. Non era riuscito a incantare Rouge
semplicemente imitando i ricordi della sua adolescenza. Sarebbe stato
troppo semplice. E troppo bello.
Remus
Lupin si era appena reso conto che qualcosa
di assopito
si stava lentamente risvegliando dentro di sé.
°°°°°°°
________________
Ed ecco il Terzo Capitolo
della storia di Trick...
Be', non credevo di
postare il Terzo Capitolo così in fretta, ma meglio
così, dopotutto.
Siete riusciti tutti ad
arrivare sani e salvi alla fine di tutti i capitoli, o qualcuno ha
deciso che sarebbe stato più interessante fare un salto
fuori dalla finestra?
Direi di no, o l'avrei
certamente letto sul giornale.
Vi è piaciuto
il mio piccolo "omonimo"??? Parla sgrammaticato apposta, ho preso
l'idea dal personaggio di Hagrid.
OK, gente... "credo" di
poter affermare con sufficiente sicurezza un aggiornamento a distanza
di qualche giorno... ("credo").
Fino ad adesso, un GRAZIE GIGANTESCO a fennec e a Nebula91, che mi fanno sempre
arrossire...=°
Un altrettanto GIGANTESCO GRAZIE a tutti coloro che hanno
letto la mia storia!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Capitolo Quarto - Buon Appetito ***
************************
Diario
di un Lupo
in
un Branco di Lupi
(Versione
riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)
CAPITOLO
QUARTO
Buon
appetito
°°°°°°°
Seduto
sul duro letto della stanza "umilmente" concessagli dai
propri zii, Harry Potter fissava l'oscurità fra le sbarre
della finestra. I suoi occhi verdi studiavano ogni riflesso che la
luna creava sui giardini curati di Privet Drive, la mente persa nella
dolcezza di un ricordo lontano.
-
È
crudele che io abbia passato così tanto tempo con loro e tu
così poco. Ma ricorda questo: le persone che ci amano non ci
lasciano mai veramente. E tu puoi sempre ritrovarle... qui dentro. -
Gli
sembra ancora di sentire la mano dalla pelle rovinata di Sirius Black
sfiorargli lievemente il cuore, quasi temesse di fargli più
male di quanto, seppur involontariamente, non avesse già
fatto
in passato.
Harry
Potter si sentiva vecchio. Una morsa gli stringeva un punto
sconosciuto del proprio ventre, provocandogli continue sensazioni di
nausea. La verità resta troppo grande per poter essere
trasformata in parole. Se vi dicessi semplicemente che Harry Potter
si sentiva divorato dalla frustrazione, dalla colpa e dai rimpianti,
non sareste in grado di capire quanto realmente affranta fosse
l'anima del ragazzo.
Neppure
io, Narratrice Esterna di Questa Vicenda, ne sono in grado.
Seduto
sul duro letto della stanza "umilmente" concessagli dai
propri zii, Harry Potter desiderava con tutto sé stesso
poter
tornare indietro col tempo di qualche settimana. Desiderava
intensamente poter rimediare all'ingenuo sbaglio che lo aveva
strappato all'abbraccio dell'unica figura paterna che avesse mai
avuto.
Seduto
nell'ombra, Harry Potter pensò a quanto, in quel cupo
momento
di devastante solitudine, sarebbe stata confortante la presenza di
Remus Lupin accanto a lui. Si sarebbe lasciato avvolgere dalla
sua aria malinconica, e forse, dopo quindici giorni, avrebbe
trovato conforto in un lieve riposo.
°°°°°°°
Un
mormorio eccitato circondava il clan di
Jura, in
attesa attorno ai resti del falò della notte precedente. Uno
straniero? A Jura? E chi l'aveva mai sentita una
novità
del genere?
Il
giovane Trick si gongolava beatamente in un angolo, ostentando
un'aria di superiorità
dettata, probabilmente, dall'essere
stato il primo a incontrare (il termine più corretto sarebbe
"scovare") il nuovo arrivato. Per una volta, anche lui
avrebbe avuto voce in capitolo.
- Silenzio!
-
Gli
uomini tacquero immediatamente, mentre la figura di Rouge compariva
imperiosa dinanzi a loro, il passo elegante quanto una regina
e
lo sguardo truce quanto un'arpia. I suoi occhi saettarono da
una
parte all'altra della schiera di imponenti uomini,
mentre li
contava mentalmente.
-
Avremmo un ospite, fratelli - iniziò con voce dura.
Per
Rouge quelle poche parole sarebbero state più che
sufficienti,
lei era una donna tutt'altro che loquace. - Viene da
sud. Più
sud di qua.
-
- Da
dove sud? - ringhiò un licantropo in prima
fila,
dai radi capelli rossicci e gli occhi sporgenti.
Rouge
voltò lentamente il capo e
lo fissò visibilmente
scocciata. L'uomo tremò leggermente sotto il suo sguardo di
fuoco, abbassò il capo in fretta e mormorò un
indistinto "Perdonatemi, mia signora".
- Il
suo nome è Bizèt
- continuò Rouge, scoccando un'ultima occhiata intimidatoria
al lupo mannaro. - E finché Fenrir non
sarà
tornato, esigo
- e calcò eccessivamente su
quest'ultima, - che
gli venga riservato il trattamento adeguato.
Sono stata abbastanza chiara? -
Il clan
borbottò qualcosa che sarebbe dovuto
suonare come un
rassegnato sì.
- Ho
detto: sono
stata chiara?
-
-
Sì, nostra signora! - gridarono
all'unisono, come se
una scarica elettrica li avesse appena attraversati.
Rouge
annuì con una smorfia indispettita e fece un cenno
seccato verso Trick. Il ragazzino si alzò di scatto
con
un gran sorriso e corse verso il retro di una tenda. Un
secondo
dopo eccolo ricomparire, seguito da...
- Chi
è quel damerino?
- esclamò il licantropo dagli occhi sporgenti.
- Ecco
che cos'è che era la puzza che sento! - sbraitò
un
secondo, un ragazzone dalla grossa faccia rotonda e l'aspetto
campagnolo.
-
Speriamo che il sapore sia migliore del suo odore... - disse ancora
un terzo, un ometto piuttosto basso, ma dall'aspetto minaccioso.
- Lui è
Bizèt! - spiegò fieramente Trick. La gioia di
essere,
seppur solo secondariamente, sotto le luci dei riflettori di Jura,
aveva per lui lo stesso effetto che il Paese dei Balocchi poteva
avere su Pinocchio.
Remus
Lupin aveva ragionato parecchio sul modo più sicuro ed
efficace per presentarsi al clan, mentre ascoltava nervosamente gli
ordini di Rouge. Storse il viso in quell'espressione annoiata che
aveva visto fare a James Potter un numero sconsiderato di volte,
così
tante che ormai l'imitazione gli riusciva perfettamente. Si sedette
su un masso senza degnare nessuno di un'occhiata particolare,
frugò
pigramente in una tasca del logoro mantello qualche secondo,
finché
non ne estrasse un pacchetto stropicciato di sigarette francesi e una
scatoletta di fiammiferi.
Si era
attrezzato di tutto punto per il ruolo di "ribelle solitario",
non c'era che dire. Decise che tanto valeva fare le cose per bene,
perciò li guardò divertito e ridacchiò.
- La
bimba
è stata anche troppo chiara, ragazzi - disse loro, aspirando
lentamente una boccata di fumo. - Datele retta, o quella pazza
vi trasferisce sull'argine. Con
vista panoramica
- aggiunse, con lo stesso tono leggero che avrebbe
potuto tenere
in una conversazione sull'albergo più rinomato di
Londra.
La parte razionale del suo cervello iniziò a piangere
sommessa.
Remus
Lupin... tu non vuoi proprio vedere Natale prossimo. Ma che ti sta
succedendo?
Le
teste dei licantropi si voltarono come un unico corpo in
direzione di Rouge. Un unico pensiero li accomunava in quel momento,
mentre fissavano ansiosi il loro sadico vice-capo.
Adesso
gli taglia la testa a quel damerino idiota, così possiamo
mangiarcelo a cena..
Ma
Rouge era già scivolata all'interno della propria
tenda e
non sembrava aver alcuna intenzione di decapitare Lupin. Non ancora,
almeno.
°°°°°°°
-
Come
ha potuto essere così incosciente da...! Ah, quanto mi fa
arrabbiare! - stava sbraitando Molly Weasley, a centinaia di
chilometri di distanza.
Si
aggirava convulsamente per la cucina della Tana da almeno un'ora,
alzando di tanto in tanto le mani al cielo e scoccando occhiate di
fuoco in direzione del marito, seduto a tavola.
Dal
canto suo, Arthur Weasley aveva smesso di preoccuparsi della
moglie da parecchi minuti, e ora, sperava solo di poterla ignorare e
tornare presto a concentrarsi unicamente sul proprio lavoro.
- Ma
come... come... - balbettò, con il volto rosso quasi quanto
i
suoi capelli. - Come
ha potuto!?
-
Arthur
sospirò. - Molly, cerca di calmar... -
-
Non-voglio-calmarmi-Arthur-Weasley!
- strillò nuovamente, sbattendo
il piede sul pavimento ad ogni parola. - Hai visto
com'è
ridotta quella povera ragazza!? L'hai vista!? -
Arthur affondò
il viso fra le mani, ormai sicuro che non sarebbe stato in
grado
di riprendere i suoi progetti di lavoro se la moglie non si
fosse calmata completamente.
- Sì,
Molly, l'ho vista - ripeté stancamente per
la decima
volta in un'ora. - Ma noi non... -
- Non
mangia da quattro giorni, Arthur! Quattro!
-
- Tonks
non è un tacchino, Molly. Non puoi ingozzarla a forza, se
non
ha fa... -
- E
sono tre notti che non dorme! Tre!
-
- Sono
certo che prima o poi crollerà addormentata come tutti gli
essere viventi, Molly. Non credi sia ora di smetter... -
-
Quell'uomo è un insensibile egocentrico! -
Ci
risiamo, pensò Arthur. - Molly non credo sia il
caso
di... -
- Sì,
Arthur! È perfettamente
il caso! -
Incrociò
le braccia al petto, e si sedette bruscamente a fianco
del marito. Fissò la credenza davanti a lei senza
realmente vederla per alcuni istanti.
-
Quando torna da Jura, giuro che lo strangolo -
borbottò
Molly, con una smorfia infantile.
Arthur alzò
gli occhi dai propri documenti e attese placidamente che la
moglie ricominciasse a sbraitare contro l'incoscienza e l'egoismo di
Remus Lupin.
Non
udendo più nulla, voltò lentamente la
testa.
Molly
Weasley fissava ancora la credenza, gli occhi gonfi di lacrime e le
labbra tremule.
- Sempre
che ritorni da quel postaccio... - mugugnò, mentre
il
marito l'abbracciava dolcemente, con un malinconico e
impotente
sorriso che si faceva strada sul volto.
°°°°°°°
Tonks
scostò con un gesto automatico la tendina di paiette e
lustrini rosa che nascondeva allo sguardo la propria camera da
letto. Aveva sempre adorato quel buffo ornamento, a
volta
la muoveva per il semplice scopo di sentire l'allegro
tintinnare.
La
tendina sperò che la mano della padrona la
costringesse a
cantare un'ennesima volta, in modo che potesse dar mostra di tutti
i riflessi che il sole le regalava così
arditamente. Rimase delusa, quando vide la ragazza entrare
nella
stanza senza degnarla della solita occhiata orgogliosa.
Orgogliosa,
sì. Ninfadora Tonks era sempre stata orgogliosa di quella
particolare decorazione.
Entrò
nella mansarda che tanto aveva cullato i suoi sogni di giovane, e
come da copione, non s'accorse del pouf verde che la separava dal
letto. Fu questione di pochi attimi, e si ritrovò stesa sul
peloso e bizzarro tappetto viola, in un'intrigata e scomoda
posizione.
La
tendina di paiette e lustrini rosa si morse le labbra.
Il pouf
verde iniziò a ridere.
Il
peloso e bizzarro tappetto viola alzò gli occhi al cielo,
esasperato.
Rimasero
a guardarla, aspettando che ridesse con loro. Era sempre stata
quella la regola del gioco: lei cadeva, loro ridevano,
e lei
si sarebbe unita a loro, stretti da quella silenziosa amicizia
dettata dalla convivenza.
Perché
non ridi?
Rimasero
a guardarla per delle ore, domandandosi per
quale
motivo stesse tremando.
Perché
copri il viso? È un nuovo gioco?
Annuirono
con un sorriso carico di comprensione, e si coprirono a loro volta il
viso fra le mani. Iniziarono a piangere con lei, perché
avevano capito che era quella la regola del gioco nuovo.
Cosa
credete ne possano sapere una tendina, un pouf e
un tappetto
di quanto male faccia, in realtà, l'Amore?
°°°°°°°
-
Damerino,
tu non mangi? -
Lupin
mosse appena il capo verso il licantropo che gli aveva appena rivolto
la parola. Yarne, gli pareva fosse il nome. Affondò i denti
gialli nel pezzo di carne con cui si stava cibando. Una goccia di
sangue gli colò da un lato della bocca
storta, insidiandosi
fra i peli del petto incrostato di fango e terra.
- Non
ho fame -
Yarne
si alzò in piedi con evidente fatica, e trascinò
le sue
eccessive libbre verso di lui. Aveva bevuto, si sarebbe visto da un
miglio di distanza.
- Ia
iamo eo ento eno, ai? - biascicò
a due centimetri dal suo viso, permettendo a Lupin di godersi il
disgustoso spettacolo all'interno della sua bocca putrida. L'odore
della carne masticata era così acido che gli pareva
di
sentire il setto nasale incendiarsi ad ogni respiro.
- Cosa?
-
Yarne
ingoiò il boccone e si pulì con il dorso della
mano. -
Ho detto che non ci abbiamo messo il veleno. -
-
Sarebbe stato piuttosto infame da parte vostra. -
-
Perché non mangi? -
- Non
ho fame -
- Non
mangiate mai, voi del sud? -
- Non
vi fate mai gli affari vostri, voi del nord? -
Yarne
rimase zitto un attimo prima di scoppiare in una risata
eccessivamente
divertita.
Diede una pacca sulla schiena di Lupin, (eccessivamente
forte), ed esclamò: - Oh, mi piace troppo questo damerino!
Dai, non voglio che Rouge pensi che ti affamiamo apposta! -
Cacciò
brutalmente il pezzo di carne fra le mani di Lupin, che lo
osservò
impietrito.
Nonostante mancasse
buona parte del pollice e dell'indice e
fosse completamente
ricoperto di sangue, ciò che stringeva fra le mani era
inconfondibile.
Le
unghie della mano erano spezzate, le dita piegate in maniera
innaturale.
Oddio,
ti prego...
Un
grosso millepiedi completamente rosso sbucò da un'insenatura
lasciata da un morso di Yarne, risalendo con la
classica
velocità fino al mignolo della mano.
Yarne
lo afferrò con un gesto rapido, interrompendo
la sua
inutile fuga.
-
Scusami, damerino - disse, - ma questo è
il boccone
del re. -
Aprì
esageratamente la bocca e vi infilò dentro
l'insetto.
- Manza
quea tu - mugugnò,
sputacchiandosi delle zampette sul mento.
Lupin
si sentì addosso gli sguardi diffidenti di alcuni
licantropi,
mentre metà del millepiedi era ancora intento a
dibattersi disperato fra le labbra insanguinate di Yarne.
Avvicinò
la carne al viso e diede un leggero morso alla falange del mignolo.
Il sapore del sangue ancora caldo gli accese il
ventre fino
ad inondargli il cervello.
Il lupo
in lui alzò il muso, inebriato e
incuriosito da
quella nuova e piacevole sensazione allo stomaco.
L'uomo
in lui fu costretto a subire quell'oscenità, vomitando in un
angolo della sua mente tutto il disprezzo e la vergogna che
andava provando di morso in morso.
Sorride
perverso il quarto di Luna,
guardando
il Bambino, vergogna alcuna.
°°°°°°°
************************
Giuro,
non credevo che una storia a capitoli potesse rivelarsi così
complicata... inizio ad andare in panico un po' troppo stesso...
È
stato difficile scrivere questo quarto capitolo, e continua a
non convincermi di rilettura in rilettura...
Avete
voglia di aiutare la mia autostima traballante con qualche critica
costruttiva? Dai... la tastiera non ne ha a male se la usate un po'
di più... =P
Ho
tanti-tanti-tanti GRAZIE
da
fare:
a
fennec,
stupita dalla figura di Rouge (sarà una figura
importantissima
per il corso della storia...), GRAZIE!!!!!!!
a
CUCCIOLA_83,
mi scuso per questo aggiornamento un po' in ritardo... avevo promesso
pochi giorni d'attesa, ma le mie non sono promesse attendibili al
100%... GRAZIE!!!!!!!
a
nebula91,
che non smetterei mai di ringraziare per gli immancabili e
positivissimi commenti, GRAZIE!!!!!!!
a
__darklily__,
per la recensione che mi ha allontanato dai dubbi che avevo sulla
scorribilità del testo, GRAZIE!!!!!!!
a
Cappychan,
(temo che le complicazioni siano solo all'inizio...), un enorme
GRAZIE
e
due occhioni luccicanti in attesa dell'aggiornamento di "Il mio
nome è Tonks, Ninfadora Tonks... no, aspetta... solo
Tonks"!!!!!!!
(Leggetelo, fa veramente sbudellare dalle risate!!! ^__^)
E
SE HO DIMENTICATO QUALCUNO, CHIEDO
SCUSISSIMA!!!
UN
GRANDISSIMO GRAZIE A TUTTI COLORO CHE SONO RIUSCITI AD ARRIVARE FINO
AL QUARTO CAPITOLO... RESTISTETE, VE NE ASPETTANO ANCORA UN BEL
PO'...
SPERANDO
DI POTER AGGIORNARE "PRESTISSIMAMENTE",
Trick
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Capitolo Quinto - Lo strano forestiero del Sud ***
************************
Diario
di un Lupo
in
un Branco di Lupi
(Versione
riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)
CAPITOLO
QUINTO
Lo
strano forestiero del Sud
°°°°°°°
Innumerevoli
sono i colori con cui il tramonto può tingere l'isola di
Jura:
in queste particolari ore, le montagne dalla cima irraggiungibile, i
boschi solitamente avvolti dall'ombra dei propri alberi e le aride
praterie senza fine sembravano abbracciare i colori del fuoco,
avvampando in una sublime e rovente danza. Il sole, fulcro di questo
abbagliante spettacolo era solito accendere gli argini del fiume
Shannon, velandoli in una patina dorata.
Così
come la sua terra, anche Rouge era solita lasciarsi avvolgere nella
medesima patina dorata. Lei, che non permetteva a nessun altro di
vincerla, godeva nel sentire il calore del sole sulla pelle bronzea,
rinfrescata dal Vento del Nord, che come un taciturno amante, muoveva
con grazia la sua criniera di capelli scuri.
Si
lasciò cullare da quest'ultimo, finalmente persa nel suo
elemento.
- È
tornato Fen! Fen è tornato! -
Un
assordante vociare si levò dal villaggio poco distante,
riafferrandola dallo stato di estasi in cui si era lasciata scivolare
e costringendola a tornare sulla secca terra di Jura.
Sei
stato via più del solito, bastardo,
pensò.
I suoi
occhi lanciarono un'ultima occhiata lungo il corso dell'argine.
Così
come la sua terra, così come le sue montagne,
così come
le sue prateria, anche le sue teste rilucevano alla luce del tramonto
di Jura, la cruda espressione di una morte dolorosa illuminata sui
loro visi ormai deformi.
Rouge
sorrise, mentre fissava i riflessi luminosi dell'ultimo palo che
aveva fatto piantare, due notti prima.
Mosse
il capo in direzione del villaggio, e il suo sorriso si
trasformò
in un ghigno sadico, che sembrava gridare "nessuno può
battermi".
Sorrise,
ripensando che presto, quel freddo e solitario sostegno sarebbe
diventato un sacrario di morte.
Perché
nessuno può battermi.
°°°°°°°
Un
folle dotato di abbastanza stoltezza e altrettanto vigore da apparire
un capo.
Sostanzialmente
Fenrir Greyback era questo. Uno sciocco individuo a capo di un branco
di sciocchi individui. Ma pochi degli abitanti di Jura ne erano
consapevoli, e i più saggi fra loro si erano convinti che il
mezzo più rapido per raggiungere l'Aldilà fosse
esprimere questo concetto ad alta voce. Un segreto dei più
colti, oserei dire.
-
Fratelli miei! Amate sorelle! Figli e figlie! - gridò, una
volta sceso dal carro col quale era giunto al centro del villaggio. -
Porto grandi notizie per noi tutti! L'Oscuro Signore, nostro alleato,
ci aveva promesso immense fortune! Non è forse
così!? -
- Sì!
-
- Ci
aveva promesso infinito potere, in cambio dei nostri servigi, non
è
vero!? -
- Sì!
-
- E
cos'altro ci aveva promesso, fratelli miei!? -
Gli
sguardi perplessi dei licantropi si incrociarono l'uno con l'altro.
Cos'altro
ci aveva promesso? Lo sai tu?
-
Stupidi... - mormorò Greyback. - Ferk! Waskolf! -
ruggì
a due grossi uomini dalla notevole muscolatura, immobili sul
carretto. Mosse la mano con un gesto teatralmente impetuoso.
Gli
uomini chiamati Ferk e Waskolf si abbassarono, e con il minimo sforzo
gettarono un cadavere ai piedi del loro capo. Un mormorio ansioso e
un sorriso di innocente eccitazione circondò immediatamente
il
villaggio di Jura. Alcuni si umettarono le labbra, altri iniziarono a
sfregarsi ansiosamente le mani. Anche i più saggi non
poterono
evitare di fissare avidamente quel pasto, nonostante non approvassero
(seppur silenziosamente), il rapporto che da qualche tempo legava
Greyback ai Mangiamore dell'Oscuro.
Ferk e
Waskolf continuarono a liberare il carro dal suo macabro carico con
una facilità impressionante:ben presto, una ventina di occhi
privi di vita si ritrovarono a fissare l'arida terra di Jura.
- Ci
aveva promesso cibo,
fratelli! -
Quaranta
desiderose e sataniche bocche si avventarono con la potenza di una
tempesta su ciò che erano stati uomini e donne. I loro denti
azzannarono qualunque parte riuscissero a raggiungere, le mani
artigliavano con durezza ogni parte di quei corpi.
Iniziarono
a ringhiare fra di loro, a battersi per chi meritava la porzione
più
succulenta di quella cena così inaspettata.
Nascosto
dall'arrivo della notte di Jura, respirava tuttavia un altro
licantropo. Le sue mani continuavano a premere sulle orecchie, nel
disperato tentativo di non sentire l'eco dei risucchi, dei morsi e
delle polpe strappate a chi il Destino, non aveva permesso neppure un
compianta sepoltura.
Concentrato
com'era sul tenersi lontani quei rumori non si accorse della parte di
lui, che sdegnata, continuava a chiedergli perché mai non si
unisse a quell'invitante banchetto.
°°°°°°°
- Come
hai detto che si chiama? -
-
Bizét. -
- E da
dov'è che verrebbe, questo Bizét?
-
- Sud.
-
- Sud,
dove? -
Rouge
sorrise mentalmente, mentre un bagliore spietato gli attraversava gli
occhi scuri. - Più sud di qua. -
Fenrir
Greyback si voltò di scatto. Le sue cespugliose sopracciglie
grigie si erano avvicinate così tanto da sembrare un'unica
linea minacciosa.
- Mi
stai prendendo in giro, Rouge? -
Rouge
strinse le labbra in un'espressione di totale ingenuità che
non le si addiceva per nulla. - Non oserei mai, Fen. -
Razza
di bastardo che non sei altro.
- Sai
che a me non piacciono gli stranieri, Rouge. -
- E tu
sai
di
poterti fidarti dei miei giudizi, Fenrir. -
- È
dei filo-umani che non mi fido. -
Ah,
sì? E allora perché ci stai facendo ammazzare
dagli
Auror nel nome di un umano? Perché di nuovo?
- Che
ti hanno detto? - chiese Rouge, decisa a spostare l'argomento dal
nuovo arrivato. Odiava il ghigno di palese superiorità che
compariva sulla faccia di Greyback ogniqualvolta doveva ascoltare i
resoconti della donna sugli avvenimenti di Jura, in sua assenza.
Lei
era il migliore capo che Jura avesse mai avuto. La più
sleale
fra i licantropi. Le sue furbe strategie militari avevano salvato la
vita ai pochi di loro sopravvissuti alla prima guerra degli umani. I
maghi e le streghe di tutta la Gran Bretagna avrebbero dovuto tremare
al suono del suo
nome,
non a quello di Fenrir Greyback. Lei
avrebbe
dovuto essere il capo di Jura. Della sua
Jura.
Il
petto di Fenrir si gonfiò di patetica importanza. - Il
Signore
Oscuro è soddisfatto del nostro ultimo lavoro. - La
guardò
per assistere all'effetto di quelle parole, ma si stupì di
trovarla completamente indifferente.
- Tutto
qui? - sbottò Rouge, soffocando una risatina che si
trasformò
in un ghigno divertito. - Sei stato via più di una settimana
e
l'unica notizia che mi porti è che quell'umano
è contento di noi? -
-
Chiudi la bocca e non parlare di cose che non puoi capire, stupida
ragazzina.
-
Io
capisco meglio di quanto tu non creda, schifoso bastardo.
- Il
Signore Oscuro - continuò Greyback, voltando le spalle a
Rouge
e fissando con aria estasiata il manto stellato sopra di loro. - Mi
ricompenserà infinitamente... cioè, voglio dire, ci
ricompenserà... -
Lurido,
schifoso bastardo.
- Il
suo potere è immenso, Rouge... non puoi immaginare quanto. -
Maledetto,
lurido, schifoso, bastardo. Ci porterai tutti all'inferno.
- Non
possiamo che guadagnarci da questa alleanza, capisci, almeno questo?
-
- Sì,
Fen. -
Se
solo capissero anche gli altri il casino in cui ci stai andando a
cacciare, viscido, lurido, schifoso, bastardo... ma no! Ti sei fatto
dio ai loro sciocchi occhi! Emeriti deficienti! Ecco, da cosa sono
circondata: emeriti deficienti!
Greyback
allontanò lo sguardo dalla mezzaluna e concentrò
la sua
attenzione su Rouge. - Come hai detto che si chiama, lo straniero? -
Rouge
richiamò tutto il suo autocontrollo per non sbuffare. - Bizét
- rispose, con maggiore enfasi.
-
Bizét... Bizét... - ripeté lui,
grattandosi
accigliato la barba incolta. - Non l'ho mai sentito. -
- Sei
mai stato nel sud, Fen? - chiese Rouge, con un filo di ironia appena
riconoscibile.
- Sud,
dove? -
Povera,
meravigliosa terra di Jura: tanta bellezza abbandonata fra le braccia
di un simile idiota e di altri seguaci ugualmente idioti.
Rouge
si voltò e mosse un passo in direzione del villaggio,
avvolto
dalle luci dei fuochi. Sogghignò nella notte.
- Più
sud di qua
- rispose, mentre una fredda e cinica risata gli percorreva
dolcemente la spina dorsale.
°°°°°°
Quando
le giornate si facevano più lunghe e soleggiate, il vento
del
nord portava nell'isola di Jura tutti i sapori del mare, inebriando
le sterili terre con i suoi più tristi colori. Era il
periodo
che Calima, giovane membro del branco di Jura, amava sopra ogni
altro.
Il
contatto con le erbe del bosco di Tulip, a est del villaggio, le
solleticavano maliziosamente le piante dei pallidi piedi nudi,
strappandole piccole smorfie divertite di tanto in tanto. Scorse la
persona che cercava a pochi metri di distanza dalla sponda del
ruscello di Harrier, limpido e placido ramo dello Shannon.
Specchiandovi nell'acqua dai colori del sole, da poco destato, non
avreste potuto pensare che le medesime acque, avevano cullato la
morte dei nemici di Rouge, solo pochi chilometri più ad
ovest.
Intravide
la figura dell'uomo che stava cercando, inginocchiato sulla riva
dell'Harrier e celato dall'ombra di un vecchio pesco rinsecchito
quanto la terra ove era nato. Calima aprì la bocca per
attirare verso di sé la sua attenzione, ma questi, ancor
prima
che lei arrivasse, aveva voltato il capo con un'espressione di
completa preoccupazione.
- Sei
tu, Bizét? - domandò Calima. Fissò gli
occhi
dell'uomo, e si perse per un attimo nella malinconica ambra di quelle
pupille.
Occhi
da lupo, non c'è dubbio.
L'uomo
annuì lentamente; sembrava più rilassato ma il
suo
sguardo era velato di diffidenza.
- Mi
manda Fen - continuò Calima, mentre un grazioso sorriso gli
attraversava i lineamenti ancora acerbi.
-
Perché? - Aveva parlato con una rapidità
sorprendente,
quasi a voler liberarsi da un peso. - Che vuole? -
Calima
alzò le spalle, con un sorrisetto. - Be'... per farti
compagnia.
-
Vide la
sua mano tremare leggermente e aggrapparsi disperata a un ciuffo
d'erba, ma non vi diede troppa importanza.
- Sto
bene così - rispose freddamente, posando nuovamente gli
occhi
sull'Harrier. - Grazie. -
Grazie?
-
Grazie? - ripeté Calima.
-
Grazie. -
- Che
significa "grazie"? -
-
Esprimere a qualcuno la propria gratitudine. -
Madre
Selene, ma da dove viene, questo?
- Lo
so,
cosa significa "grazie"! -
- E
allora non fare domande inutili, ragazzina. -
- Ho
sedici anni - puntualizzò Calima.
- E con
ciò? -
- Non
sono una ragazzina. -
- Non
mi interessa. -
- E che
devo dire a Fen? -
La
risposta di Bizèt tardò un po' ad arrivare.
- Che
voi del nord non vi fate mai gli affari vostri. -
Calima
strabuzzò gli occhi e si grattò pensierosa la
testa
bionda.
- Vuoi
morire? -
- Sei
così cattiva? -
-
Intendevo per Fen. -
- No,
non ho ancora voglia di morire per Fen. -
-
Volevo dire che muori di sicuro se lo dico a Fen. -
- E tu
non dirglielo, allora. -
- Ma me
l'hai detto tu! -
-
Allora, diglielo. -
- Devo
dirglielo, o non devo dirglielo? -
- Come
preferisci. -
La
ragazza si scostò nervosamente una ciocca di capelli sporchi
da davanti al viso, si diresse con ampie falcate verso l'uomo e gli
sferrò un violento calcio in uno stinco.
- Ahia!
- gemette lui.
- Così
impari, bastardo di un forestiero del sud! -
- È
questo il concetto di "compagnia" che avete da questa
parti? - mormorò lui con voce roca, sfregandosi
distrattamente
la parte lesa.
- No. È
questo.
-
Calima
si sporse verso di lui e assaporò con la lingua il suo
collo,
mentre la mano iniziava a scivolare con fare esperto lungo la sua
coscia destra.
Lo
straniero la scansò con una delicata spinta. - No.
-
- Che
significa "no"? -
- È
una negazione. -
- Lo so
cosa vuol dire "no"! -
-
Perché continui a fare domande inutili, allora? -
-
Perché... - iniziò lei, rossa in viso
dall'indignazione. Si alzò in piedi con uno sbuffo stressato
e
portò le mani ai fianchi esili.
- Sei
un bastardo di un forestiero del sud! -
- Mi
pareva di averlo già sentito, da qualche parte... -
ribatté
lui, voltandosi finalmente a guardarla.
L'agitazione
di Calima crebbe ancora di più quando vide il sorrisetto
divertito comparso sul viso dell'uomo. Si voltò di scatto e
riprese il sentiero che l'aveva portata all'Harrier.
- Sei
un tipo strano, bastardo di un forestiero del sud - concluse, mentre
la penombra del bosco di Tulip l'avvolgeva una seconda volta.
Ma
hai un buon sapore.
°°°°°°°
Remus
John Lupin, sei qui da meno di quarantotto ore, e stai già
perdendo il controllo.
Taci!
Ma
non ti senti? Parli da solo e perdi l'uso del raziocinio in
continuazione.
Vuoi
stare zitto!?
No...
no, no, no... aspetta. Ho capito: non stai perdendo il lume della
ragione...
Piantala,
ho detto.
Tu
lo stai ritrovando... hai capito quale è sempre dovuto
essere
il tuo posto, vero, Remus John Lupin?
Scemenze.
Cerchi
di convincerti, minuto dopo minuto, che non sei come loro, che il tuo
destino non è questo, che la tua vita non è
questa...
ma inizi a dubitare, non è così?
No, non
è così.
Ah...
ma se non è così, allora saprai spiegarmi
perché
te ne stai sempre a fissare questo dannato ruscello? Non porterai
molte informazioni a Silente, in questo modo.
Ne sono
perfettamente consapevole. Ma considerando che in gioco c'è
la
mia vita, se permetti preferisco andarci con i piedi di piombo.
Balle,
Remus. Tutte balle. Io so di cos'hai paura.
No, che
non lo sai.
Non
dire stupidaggini, sono la tua testa. È naturale che io lo
sappia.
Tu non
sai niente.
Dici?
Allora, illuminami: perché mentre l'odore del sangue ti
avvolge, il tuo cuore inizia a battere rapido come non è mai
andato?
Disgusto.
Disgusto?
E allora perché i tuoi sensi si sono inebriati quando hanno
sentito il sapore di quella mano?
Vergogna.
Vergogna?
Vergogna e disgusto? Te lo dico io, il motivo. Tu vuoi lasciarti
avvolgere dall'odore del sangue, vuoi sentirlo sulle tue labbra,
sulla tua pelle, vuoi liberare finalmente ciò che ti ostini
ancora a chiamare pazzia, vuoi essere...
Smettila!
Adesso, basta!
Perché
vuoi zittirmi, Remus? Perché non la smetti di fingere anche
con te stesso? Perché non vuoi capire? Due notti e un'alba
sono state sufficienti a cancellare quello che hai disperatamente
cercato di importi negli ultimi trent'anni. Tu non sarai mai in grado
di mescolarti fra maghi e streghe, Remus. Non ti sentirai mai
veramente a casa. Perché è qui...
Stai
zitto... stai zitto, stai zitto!
Perché
è qui che saresti dovuto crescere.
Lupo.
Soffia
e scivola il Vento fra i fiori di pesco,
l'Aurora
si specchia in quello sguardo lupesco.
Nell'ambra
degli occhi vi è il segreto celato,
ma
frenar la bestia ormai gli toglie il fiato.
E
dal buio lo scruta ansiosa la pallida Luna,
fissando
il suo Bimbo, attende ventura.
°°°°°°°
************************
...mamma
mia, sono riuscita a finire anche il Quinto Capitolo... diventa
sempre più difficile.
Ho
una domanda: siete geograficamente pignoli? Spero proprio di no.
-
Ho scoperto che Jura è tutt'altro che un'isola deserta,
arida
e selvaggia, anzi: non sembra un brutto posticino per una vacanza...
-
Il fiume Shannon scorre in Irlanda e non in Scozia.
-
Non saprei dirvi se il Bosco di Tupin esiste realmente: "Tupin"
è il nome di un bar.
-
Per quanto riguarda l'Harrier... be', è una razza di cani.
Mi
spiace aver dipinto Greyback come un incompetente arrogante, anche
perché l'idea che mi ero fatta di lui leggendo il sesto
libro
era completamente diversa. Io credo che sia un personaggio sadico,
perverso e malvagio, ma avendo concentrato le mie espressioni
sadiche, perverse e malvagie per Rouge, dovevo pur bilanciare in
qualche modo...
Indi
per cui, giunti fin qui e diligentemente informati dei miei paradossi
geografici, ho il dovere di ringraziare tutti quanti hanno letto
finora la mia storia, il che mi fa un piacere assurdo, e tutti coloro
che hanno recensito:
Rue
Meridian, Lupin e Raptor (=P
non ho tolto nessun capitolo, forse è per il pasticcio dei
capitoli invertiti...),
nebula 61, CUCCIOLA_83, e __darklily__.
Grazie-grazie-grazie!!!
Sperando
di aggiornare presto,
Trick
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Capitolo Sesto - Sinfonia d'opinioni ***
************************
Diario
di un Lupo
in
un Branco di Lupi
(Versione
riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)
CAPITOLO
SESTO
Sinfonia
d'opinioni
°°°°°°°
Mmm...
-
Ninfadora... -
Com'è
calda la
tua mano. Sento la pelle nuda della mia spalla incendiarsi al suo
lieve passaggio, la sento quasi tremare per la piacevole sensazione
che mi procura starti accanto.
-
Ninfadora... su,
sveglia. -
Non
voglio
svegliarmi, Remus. Voglio restare così per tutta
l'eternità...
no, di più. Per piacere, voglio sentire il calore della tua
mano per sempre, non permettere che mi svegli, Remus...
-
Ninfadorà,
Molì vuole
sapere se vieni jù
a
dìner.
-
...eh?
La
ragazza avvolta nelle
lenzuola candide si aggrovigliò maggiormente in esse,
intuendo
troppo tardi di essersi letteralmente incastrata nelle coperte.
-
Chi...? - mugugnò,
intontita.
-
Vieni a dìner?
-
-
Dov'è è
che vengo? -
-
A dìner!
A
scèna!
-
Tonks
alzò leggermente il capo e si rese conto del livello di
pazzia
in cui era clamorosamente precipitata. Oh,
Santissimo Merlino Benedetto! Credevo che Fleur fosse Remus...
Affondò
la faccia
nel cuscino e iniziò a scalciare contro il materasso,
urlando
come una pazza.
-
Basta!
Basta!
BASTA
!
-
Fleur
Delacour si erse
in tutto il suo splendore e la fissò con i suoi occhioni
blu.
Si lisciò i lunghi capelli biondi con un gesto delicato, e
sbuffò innervosita. Se Tonks non fosse stata così
concentrata sul cuscino che stava brutalmente prendendo a pugni,
avrebbe potuto scorgere quello strano e sottile tono divertito
nell'angelica voce dell'altra ragazza.
-
Alòrs?
-
-
Fleur, ti spiace
parlare una qualunque lingua io possa comprendere!? -
-
Sci
siamo
svegliate con la lune
stortà,
Ninfadorà?
-
Tonks
si morse le labbra
così violentemente che sentì il sapore del
proprio
sangue in bocca. Richiamò a sè tutto
l'autocontrollo di
cui disponeva, (sì, anche Ninfadora Tonks possedeva
autocontrollo), onde evitare di dover ripulire il pavimento da
frammenti di Flebo esplosa.
-
Fleur, ti ho detto di chiamarmi Tonks
.
E guai a te se pronunci ancora le parole "luna" e "storta"
in mia presenza - sibilò minacciosa.
Si
mise a sedere e si
grattò distrattamente la testa, scompigliandosi maggiormente
i
capelli color topo. I suoi occhi ricaddero quasi casualmente sul
grande specchio posto sul comò della camera dove Molly
l'aveva
costretta a restare per l'ennesima notte. Scrutò sconvolta
il
suo viso tinto di quel pallore malato che non aveva nulla a che fare
con il viso che aveva posseduto. Pesanti occhiaie grigiastre le
appesantivano gli occhi, intonate, fu costretta a notare laconica,
alla sua floscia capigliatura.
-
Ti piasce
quello
che vedi? - disse Fleur, con durezza. Anche lei si era messa a
fissare il riflesso di Tonks, con una strana espressione di
rimprovero scolpita sul bellissimo volto.
-
Come? -
-
Ti piasce
vederti
ainsì?
-
Tonks
le lanciò
un'occhiata perplessa, mentre lottava con le lenzuola e afferrava la
prima cosa "indossabile" a portata di mano. - Di cosa stai
parlando? -
-
Non sombri
nemmeno
tu, Ninfadorà.
-
-
Tonks,
grazie. -
-
Pourquoi
i
tuoi capelì
non sono
più di quel terrifiant
rose?
-
-
Se "terrifiant
rose",
o qualunque cosa tu abbia detto, significa "terrificante rosa"
la risposta è "non sono dell'umore da terrificante rosa,
Fleur."
-
Sombri
più
vieux.
-
-
Cos'è che
sembro, adesso? -
-
Vieux.
Vecchià.
-
-
Mi fa piacere -
ribattè fra l'ironico e l'amareggiato Tonks. - Almeno un
problema su tre, l'ho risolto. -
Fleur
sorrise. - Trop
vieux, trop pauvre et trop dangereux?
-
Tonks
fece sbucare la testa da una vecchia maglietta delle Sorelle
Stravagarie, di cui non ricordava la provenienza, e guardò
la
francesina con le sopracciglia lievemente inarcate. Si
domandò
con un sospiro come facessero i francesi a comprendere una lingua
così... fastidiosamente
musicale.
-
Non ho capito niente di quello che hai detto - ribattè
amaramente, stiracchiando le labbra in un debole sorrisetto, - ma ho
l'impressione che sia una frase orrendamente
familiare
...
-
Fleur
stupì Tonks ridacchiando sommessamente, mentre con la mano
destra tentava di coprire la bocca. Non l'aveva mai sentita ridere.
Non l'aveva mai neppure vista sorridere, ora che ci pensava. E quanto
diceva "non l'aveva mai
vista
sorridere", Tonks intendeva "non l'aveva veramente
mai vista
sorridere".
-
Courage,
Ninfadorà!
È meglio se mettiamo qualcosa in quella panscia,
o quando quel fou
di
Lupìn
ritornerà
si ritroverà con niont'altro
che
il tuo squelette
fra
le brascia.
-
Tonks
guardò Fleur Delacour uscire canticchiando dalla vecchia
camera di Charlie Weasley, e fra un pensiero e l'altro, si
ritrovò
a considerare che forse
,
la compagnia della promessa sposa di Bill Weasley non sarebbe stata
poi così irritante.
°°°°°°°
-
Professore, ha mica
notizie di Remus? - domandò Rubeus Hagrid, sfregando
nervosamente uno dei grandi piedi sul raffinato pavimento
dell'ufficio del Preside.
Albus
Silente gli lanciò
uno sguardo penetrante al di sopra delle lunghe dita intrecciate.
-
Certo che no, Hagrid - proruppe scocciata la professoressa McGranitt,
in piedi accanto a lui. - Come potrebbe Remus mandarci sue notizia da
là?
-
-
Magari c'era riuscito
a mandarcele - ribatté Hagrid, agitato. -E se non ci sono
arrivate perché ce le hanno prese quelli di Voi-Sapete-Chi?
E
se quelli di Jura hanno scoperto che lui è con i nostri? E
se
quel mostro di Greyback gli ha fatto qualcosa? Già una volta
lo ha quasi ammazzato, non è che si ferma perché
adesso
Remus è grande, quello. -
-
Oh, Hagrid, smettila -
sbottò la McGranitt, rivolgendogli un'occhiata esasperata. -
Remus è abbastanza in gamba da non farsi smascherare dopo
meno
di un mese! -
Severus
Piton emise uno
sbuffo divertito, senza distogliere gli occhi scuri dalla finestra.
-
Severus, piantala
anche tu! - gli inveì contro la McGranitt. Iniziò
a
strofinarsi le mani fra loro e strinse le labbra fino a ricreare
quella tipica espressione che tanto terrorizzava i suoi studenti. Era
già sufficientemente impensierita per conto suo, senza dover
aggiungere le continue congetture di morte di un singhiozzante Hagrid
e i sadici mormorii di Piton. Ma quella volta, non era per la rabbia
che la sua bocca si era assottigliata.
Minerva
McGranitt era
preoccupata per le condizioni di Lupin come poteva esserlo, non dico
una madre, ma una zia, sicuramente. Aveva visto quel bambino dolce e
gentile, più timorato da sè stesso che degli
altri,
trasformarsi prima in un adolescente intelligente e spigliato e poi
in un uomo pronto a sacrificare tutto per perseguire i propri ideali.
Non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma lei aveva sempre provato
un grande affetto per quel ragazzo dal viso periodicamente ricoperto
di graffi. Avrebbe continuato a definirlo uno dei suoi migliori
studenti per moltissimi anni, alla pari, forse, con Hermione Granger.
-
Se fosse morto, lo avremmo già saputo - disse Piton,
voltandosi finalmente per guardare in viso la professoressa McGranitt
e storcendo il naso in un'espressione a cavallo fra il divertito e il
disgustato. - Non dubitatene: ci avrebbero sicuramente mandato
indietro i pezzi. Dubito fortemente che Lupin abbia un buon sapore. -
aggiunse,
in un sussurro quasi
impercettibile.
-
SEVERUS! - gridò la McGranitt, improvvisamente sbiancata. Ve
l'avevo detto: quasi
impercettibile.
-
Severus, Minerva - li
interruppe Silente, con voce pacata. - Non credo siano nè il
momento, nè il luogo più adatto a una simile
discussione. -
La
McGranitt scagliò
un'ultima occhiata di rimprovero in direzione di Piton, prima di
chiudere gli occhi e fare un respiro profondo. - E Tonks, Albus? Come
sta? -
Il
testone di Hagrid si
voltò rapido verso di lei. - Tonks? Che le è
successo a
Tonks? - esclamò allarmato. I suoi occhi sgranati fissarono
ansiosamente la McGranitt.
-
Non hai saputo la bella novità,
Hagrid? - cantilenò Piton.
Silente
lo guardò
da sopra gli occhiali a mezza luna, poi concentrò la sua
attenzione sulla torreggiante figura di Hagrid.
-
Ninfadora è innamorata di Remus, Hagrid. E... a quanto pare,
è
una cosa seria. E a
suo modo ricambiata.
-
-
Tonks è... di
Remus? - ripetè Hagrid, completamente incredulo.
Sbattè
perplesso le palpebre un attimo, dopodichè il volto barbuto
si
aprì in un sorriso gigante quasi quanto lui. - Ma
è una
cosa bellissima! -
Colpì
con forza la spalla sinistra di Piton, che fu costretto ad
aggrapparsi alla tenda per non ritrovarsi steso sul pavimento. - Oh,
sì... - mormorò lui, massaggiandosi con fare
irritato
l'arto indolenzito. - Ho quasi
le
lacrime agli occhi dalla gioia. -
-
Ma a me perché
non lo ha detto nessuno? - continuò Hagrid, mentre il
sorriso
gli si allargava maggiormente. - Una cosa bella da sentire,
finalmente! -
-
Hagrid, forse non ti rendi conto della situazione - disse la
McGranitt, ponendo definitivamente la parola "fine"
all'ilarità del collega. - Remus è fra i
licantropi di
Jura e non possiamo contattarlo in nessun modo. Emmeline Vance
è
morta da poco più di tre settimane e Amelia Bones... - si
bloccò, tentando di soffocare la parte più
emotiva di
sè stessa e richiamando tutto il suo freddo e distaccato
raziocinio. - E ci sono anche gli attentati ai Babbani che continuano
ad aumentare, come se non bastasse - concluse in fretta.
Silente
sorrise. - È
sempre bello vedere che c'è un po' più d'amore
nel
mondo,
Minerva. Soprattutto in questi tempi bui. -
Rimasero
in silenzio, e come se il filo invisibile di un burattinaio guidasse
le loro teste, rivolsero lo sguardo al cielo stellato e a una luna
che, furono costretti a constatare, diventava sempre più
piena.
°°°°°°°
A
quattro giorni
dalla luna piena,
attento,
lettore: si cambia la scena.
°°°°°°°
-
Bizèt! Bizèt,
aspettami! -
Il
giovane Trick fu
costretto a correre sulle sue lunghe ed esili gambette per
raggiungere l'uomo. Questo, per tutta risposta, continuò
imperterrito nel suo cammino, noncurante di nient'altro che la
propria strada.
-
Bizèt!
- strillò Trick, fermando la sua corsa improvvisamente e
guardando con una smorfia stizzita le spalle di Lupin. Lui si
voltò
e gli lanciò un'occhiata sorpresa, prima di sorridere
divertito.
-
Ciao, cucciolo
di lupo
-
disse.
-
Ti ho già detto che a
me non
mi
piace,
quando mi chiami così! -
Lupin
sogghignò. - Temo dovrai sopportarlo, cucciolo
di lupo.
-
Trick
storse la bocca,
ma non ribattè ancora. Ormai era passato un mese dall'arrivo
di Bizèt al villaggio, e il ragazzino si stava affezionando
a
quello strano forestiero. In fondo, era l'unico abitante di Jura che
gli prestasse attenzione.
E
poi, piace anche a Fen,
pensò. E il semplice fatto che piacesse a Greyback, era
più
che sufficente a zittire tutte le dicerie che correvano sul conto del
nuovo arrivato. Inoltre, aveva ancora la testa sulle spalle.
Letteralmente.
-
Dove stiamo andando? -
chiese Trick, alzando lo sguardo verso il viso del compagno
più
anziano.
-
Dove sto
andando.
-
-
Dove stai andando,
allora? -
-
Vieni con me? -
-
Sì. -
-
No. -
-
Perché no? -
-
Perché sei irritante, cucciolo
di lupo.
-
-
Non è vero! -
si lagnò Trick. Si strofinò il nasino sporco con
il
dorso della mano e guardò Lupin con un'espressione delusa. -
Mi lasci venire con te? -
Lupin
scoppiò a ridere. - Da quando sai fare quella faccia da
cagnetto
bastonato,
cucciolo di lupo? -
Cagnetto
bastonato.
-
Non se ne parla
neanche, Felpato! Non mi lascierò coinvolgere di nuovo nella
tua ennesima follia! E non guardarmi con quell'espressione da
cagnetto bastonato! Sei patetico! Piantala! Lasciami studiare! Tanto
non abbocco per la decima volta, Felpato... puoi scordartelo. Hai
finito di fare quella faccia? Non guardarmi così, Felpato,
mi
rendi nervoso. Basta... uff! D'accordo! D'accordo! Hai vinto! -
-
Sapevo che tu non
mi avresti mai abbandonato! -
-
Ti prego,
risparmiati l'abbraccio... oh, per tutti gli gnomi di Nottingham! Mi
sono scavato la fossa con le mie mani. -
-
Ehi, Bizèt! -
Lupin
scosse la testa,
riemergendo da quel penoso ricordo dal sapore di giovinezza. - Che
c'è? -
-
Non mi hai risposto. -
Alzò
le spalle. -
Fa' come ti pare, Trick. -
Il
ragazzino sorrise e
diede dimostrazione di tutta la sua agilità scatenandosi in
una sottospecie di danza tribale. - Evvai! Sì! Vado con
Bizèt!
Vado con Bizèt! Vado con Bizèt! -
-
Ad una condizione - continuò Lupin, ghighando fra
sè e
sè. - Non
una singola parola. Intesi?
-
Trick
cessò di
ballare e lo guardò con naso all'insù. - Questo
mica
puoi chiedermelo. Io parlo sempre. -
Lupin
rise di nuovo.
-
Bizèt... -
mormorò dieci minuti dopo Trick, mentre trotterellava al
fianco di Lupin in direzione del bosco di Tupin.
-
Che c'è,
ancora? - sbuffò Lupin.
-
Tu per quanto resti
qui? -
Lupin
si fermò.
La voce di Trick era velata da una strana e malcelata tristezza.
-
In che senso, cucciolo
di lupo? -
-
Resti per sempre con
noi? -
Lupin
alzò gli
occhi al cielo. La dolce brezza di Jura s'insinuò fra i suoi
capelli lunghi.
-
Non lo so, Trick. -
Non
lo so.
°°°°°°°
La
donna guardò
le nuvole farsi più rosee all'orizzonte e si
passò una
mano sul volto.
Non
ti permetto di
farmi questo, Remus John Lupin.
°°°°°°°
Ed
ecco che abbasso
modesta il sipario:
concludo
per ora di
scriver diario.
°°°°°°°
************************
(Tranquillizzante
sospiro per aver finalmente completato il Sesto Capitolo di transito
di Trick...)
Chiedo
umilmente e
compassionevolmente perdono per i miei radi aggiornamenti. PERDONO!!!
Madame
e Messere!
Grazie a tutti per aver resistito fino ad ora con me! (Sì,
anch'io sto resistendo...)
Nel
corso di una
settimana piuttosto burrascosa, mi è venuto il "pallino"
delle filastrocche, perciò dovrete sopportarne parecchie. XD
I
LOVE FILASTROCCHE!
Un
GRAZIE
gigantesco
a tutti quanti! E un GRAZIE
extra,
speciale, e completo di rossore sulle guancie ad Arya87,
Rue Meridian, fennec, CUCCIOLA_83, Christine, nebula91 e ultima, ma
non certo meno importante, Luna92!
OH,
VI
ADORO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
P.S
Non
ho mai studiato francese, perciò perdonatemi se nel dialogo
fra Tonks e Fleur ci sono delle frasi franco-italiane campate in
aria... spero che il senso si capisca ugualmente.
L'unica
parola che
forse, forse può lasciare perplessi, potrebbe essere
"squelette", scheletro.
"Trop
vieux,
trop pauvre et trop dangereux", be', ormai lo saprete a
menadito, ma è naturlamente "troppo vecchio, troppo
povero e troppo pericoloso".
Alla
prossima, giuro
che cercherò di aggiornare il prima possibile (incrociando
tuttavia le dita...)
UN
SALUTO GIGANTE A TUTTI
QUANTI,
Trick
************************
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Capitolo Settimo - Plenilunio ***
************************
Diario
di un Lupo
in
un Branco di Lupi
(Versione
riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)
CAPITOLO
SETTIMO
Plenilunio
°°°°°°°
Senti
questa pioggia.
Come
entra nelle ossa.
Piange il
cielo di Jura; piange, e permette alle sue lacrime di scivolare sulle
montagne dalla cima irraggiungibile, sui boschi avvolti dall'ombra
dei propri alberi e sulle aride praterie sconfinate.
Le
gocce s'insinuavano anche fra gli scompigliati capelli e la barba
ispida di Remus Lupin, incapaci con la loro trasparenza di coprire il
pallore della sua pelle.
Mi
sembra
di
sentirti
qui
vicino.
Lupin
guardò il cielo fosco e nuvoloso, chiudendo gli occhi per
resistere al violento acquazzone. Il forte odore dell'umida foresta
di Tupin e l'energico tocco del vento elettrizzavano i suoi sensi e
inebriavano i suoi pensieri.
Anche
se i suoi pensieri non neccessitavano di ulteriori entusiasmi.
Le
immagini continuavano a scorrergli sotto le palbebre chiuse come una
tormentata serie di fotogrammi privi di suoni. Jura si era imposta
come eterna colonna sonora dei suoi sogni, ormai.
Sarà
la
sinfonia.
Rivedeva
le sue labbra. Colpevoli di averlo assaporato avidamente nel corso di
quella notte. La percezione dei suoi baci roventi sul suo collo.
Remus Lupin si era ritrovato a ringraziare il whisky che avevano
condiviso insieme, lo stesso whisky che aveva appannato la sua
ragionevolezza.
Delle
goccie
per
la via.
I suoi
occhi così profondi davano l'impressione di potergli leggere
nell'anima, di poterlo spogliare di tutta la menzogna e l'ipocrisia
con cui aveva tentato di nascondere il proprio desiderio. Le
scintille di luce che scaturivano dal suo sguardo malizioso gli
fecero perdere la testa. Voleva solo lei.
Vento.
Porta
il mio
canto.
Lupin
avvertì il ricordo della sensazione delle sue mani fra i
capelli di Tonks come una scarica elettrica che gli coinvolse tutti
gli arti. Lo spettacolo di quei capelli di cui l'estasi e il piacere
continuavano a mutare il colore, era sicuramente la sensazione
più
elettrizzante che avesse mai provato.
Vola
nel
firmamento.
Aprì
gli occhi e scorse il profilo indistinto della luna, offuscata dalle
nuvole grigie di Jura. Soppresse la voglia di piangere in fondo al
proprio cuore e ingoiò nuovamente tutte le lacrime che
avrebbe
voluto versare.
Un'umile
e pressochè invisibile striscia luminosa gli
attraversò
il viso, dileguandosi immediatamente con la stessa rapidità
con la quale era comparsa. Una luce schiva e bizzarra che si
lasciò
alle spalle soltanto l'immensa convinzione di quanto l'amore che
Lupin provava per Tonks non fosse altro che un prezioso scrigno di
dubbi e incertezze. Ma esisteva.
Vento.
Dille
che l'amo.
°°°°°°°
- A
cosa stai pensando? -
-
Domani ci sarà il plenilunio. -
- Se
la caverà, Molly - mormorò Arthur nel buio della
loro
camera da letto, stringendo dolcemente la mano della moglie. - Sono
certo che continueremo ad averlo intorno per ancora molto tempo. -
Sorrise,
nonostante fosse pienamente consapevole che Molly non sarebbe
riuscita a vederlo.
-
Quando P... Percy... - iniziò lei, ma si bloccò
improvvisamente, pregando Merlino che il marito restasse in silenzio.
Sentì la stretta alla mano farsi più forte, ma
continuò
imperterrita. - E anche Fred e George... mi raccontarono che il loro
professore era un... un... -
- Un
licantropo,
Molly. -
-
Sì... licantropo.
- Fu il suo turno di sorridere all'oscurità. - Ora che lo
conosco, mi sembra quasi offensivo chiamarlo così... era
sempre così gentile, così... così
affidabile e
così calmo... -
-
Molly, smettila di parlare di Remus come se fosse morto - la
interruppe bruscamente Arthur. - Lo avremo a cena per Natale e allora
tu potrai costringerlo a mangiare tutto ciò che
preferirà.
Per il momento, limita la tua preoccupazione a Tonks. È
molto
vulnerabile in questo momento e ha bisogno di tutto il nostro
appoggio. "Appoggio", Molly. Non "soffocamento"
da madre ossessiva. -
- Io
non soffoco nessuno e non sono una madre ossessiva. -
-
Molly... - la rimproverò il marito.
-
Arthur Weasley, come osi darmi della madre ossessiva? -
-
Molly... -
- Io
non sono ossessiva... non esageratamente
, almeno. -
-
Molly, questa mattina volevi che spiassi Bill e Fleur dal tetto,
fotografandoli ogniqualvolta si fossero avvicinati troppo. Meno di
dieci minuti dopo, hai minacciato di uccidere Tonks con il mattarello
se si fosse rifiutata di cenare. E due settimane fa, hai tirato un
orecchio a Ginny perché aveva lanciato una pallina di
purè
addosso a Ron.-
Non
ricevette alcuna risposta.
-
Molly? -
Tese
il braccio sinistro verso di lei e si rese conto che la donna aveva
iniziato a singhiozzare silenziosamente. La strinse a sè, e
pochi secondi dopo si ritrovò a consolare le sue lacrime
nell'incavo del collo.
- È
la mia famiglia,
Arthur... siete tutti... la mia f...famiglia.
E con la... la guerra...
e se il negozio di F...Fred e George andasse male? Lo sai come sono i
nostri b...bambini, Arthur... loro prendono tutto come un g...
gioco...
e se succede qualcosa al M...Ministero, Arthur? E se a B...Bill e
Charlie s...succede qualcusa in una m...missione. E se tu e P...Percy
venite coinvolti in un a...attentato?
E se Ron... Harry... e Hermione... combinano sempre qualcosa di
p..pericoloso,
Arthur. E se G...Ginny li seguisse? Emmeline
è morta... era così gentile. E ora T...Tonks sta
male,
e Remus forse non... non tornerà più,
e S...Sirius...
-
-
Basta, Molly - la interruppe Arthur con foga. - Nessuno di noi
morirà: te lo prometto . I nostri ragazzi -
preferì
sottolineare, - sono in gamba. E ormai sono degli uomini. Il negozio
di scherzi di Fred e George sarà un successo: è
sempre
stato il loro sogno , Molly. -
Si
fermò, e trasse un respiro profondo. - Anche Percy ed io
siamo
al sicuro. Il Ministero è sorvegliato da un centinaio di
preparatissimi Auror, nessuno dei due è in pericolo. Ron,
Harry e Hermione... -
- Bill
e Charlie. -
-
Cosa? -
-
C'erano... c'erano prima Bill e C... Charlie. -
Arthur
sospirò mentre affondava il volto fra i capelli della
moglie,
abbracciandola maggiormente. - D'accordo. Allora... Bill e Charlie
sono due maghi incredibilmente in gamba e sono abituati alle
situazioni critiche. Non gli succederà nulla di male. Per
quanto riguarda Ron, Ginny, Harry, e Hermione... suvvia, Molly: sono
ad Hogwarts con Silente. Che rischi pensi possano correre
finché
c'è lui ? E Remus: ti assicuro che è innamorato
di
Tonks esattamente quanto lei di lui e quando tornerà da
Jura,
vedrai che ci toccherà insegnare a quei due a cambiare
pannolini e preparare pappette. -
Molly
ridacchiò leggermente. - Sarebbe bello avere ancora dei
bambini
per casa... - aggiunse, nostalgica.
Arthur
mugugnò un ironico consenso. - Oh, sì... mi
chiedo solo
di colore potrebbero essere i loro capelli. -
Molly
si lasciò andare in una risata liberatoria, e cullata dalle
carezze di lui, il respiso si fece più regolare e si
riaddormentò fra le sue braccia.
Arthur
rimase sveglio tutta la notte, contemplando la luna ormai
completamente piena e lanciando di tanto in tanto tormentate occhiate
al viso rilassato della moglie.
Di
ore solo un soffio alla Luna rotonda.
Selene
sorride, finchè in Aurora affonda.
°°°°°°°
Alzò
lo sguardo verso il freddo sole di Jura.
Quattordici
ore. E sarà luna piena, non è vero, Remus?
Non
poteva permettersi di evitare i licantropi anche durante il
plenilunio. Sarebbe parso sicuramente troppo sospettoso.
Affondò
la mano nella tasca del mantello sempre più suducio e logoro
(più logoro del solito, se riuscite a figurarvelo) e strinse
prepotentemente la piccola boccettina di vetro che aveva gelosamente
custodito nell'ultimo mese.
La
sua pozione.
Era
pienamente consapevole di come quella misera quantità di
infuso fosse insufficente. Sperava, tuttavia, che quell'unico sorso
avanzatogli sarebbe riuscito, magari non a renderlo innocuo, ma
perlomeno lievemente consapevole delle sue azioni sotto l'influsso
della luna piena.
Si
ripetè che il piano non avrebbe potuto fallire. Un attimo
prima del sorgere della luna, avrebbe bevuto il contenuto della
boccetta e si sarebbe allontanato dal villaggio, lasciando i
licantropi ai loro istinti primordiali. Si sarebbe quindi nascosto in
un angolo del bosco di Tupin e si sarebbe graffiato,
cosicchè,
ritornato la mattina presto avrebbe potuto fingere di aver presto
parte anch'egli alle zuffe.
Non
poteva
fallire.
-
Bizèt! -
Lupin
sussultò e si voltò di scatto. Riconobbe la
colossale
figura di Yarne (il licantropo della mano, ricordate?) e si
affrettò
a rimettere la maschera del giovano strafottente.
- Che
c'è? - domandò nel suo miglior tono scocciato.
Non vi
dico neppure che tentò di suonare scocciato: c'erano dei
momenti in cui il ruolo che si era dovuto imporre gli risultava
talmente semplice da sembrare spontaneo.
-
Fenrir - disse Yarne.
-
Fenrir, cosa? -
- Deve
parlare. -
-
Lascia che parli, allora. Evidentemente si diverte. -
- Deve
parlare con tutti, Bizèt. -
-
Qualcuno mi riferirà, non temere. -
Yarne
ridacchiò sommessamente, facendo tremare tutta la sua grossa
muscolatura. - Non fare lo scemo, Bizèt. Muoviti. -
Afferrò
Lupin per un braccio e lo trascinò senza la minima
delicatezza
verso il villaggio.
°°°°°°°
- Il
Signore Oscuro, nostro fedele alleato, ci ha chiesto di collaborare
con Lui a Glasgow, questa notte - stava dicendo con gesti infervorati
Fenrir Greyback.
Lupin
si appoggiò a un albero poco distante, sbadigliando
annoiato.
- Ehi
- mormorò Calima, alle sue spalle. - Come hanno fatto a
staccarti dall'Harrier? -
-
Yarne può diventare un tipo esageratamente convincente, se
mi
credi - rispose, in un esasperato e appena udibile sussurro.
- Ed è
questo motivo - continuò Greyback, agitando violentemente le
braccia, - che ho dovuto scegliere solo alcuni di voi, fratelli miei!
-
-
Trick mi ha detto che non sa se resti. -
Lupin
distolse lo sguardo da Greyback e guardò il giovane volto di
Calima. - Devo ricordarmi di tagliare la lingua a quel cucciolo di
lupo. Segnamelo sull'agenda, Calima. -
Calima
soffocò una risatina nella mano.
-
Taegu,
Linna, Ekilè!
Voi agirete nella parte più a nord - ordinò
Greyback a
tre licantropi che dalla sua posizione, Lupin non riusciva a
scorgere. - Bergen,
Holaf, Muria!
A voi la zona orientale. -
- Non
mi hai risposto - continuò Calima, sporgendosi sulla sua
spalla e scostandogli un ciuffo di capelli per potersi avvicinare al
suo orecchio..
- A
quale domanda avrei dovuto rispondere? -
- A
quella in cui ti chiedevo se saresti rimasto a Jura. -
-
Ah... - esclamò Lupin, fingendo di aver capito solo in quel
momento. - Non mi era sembrata una domanda. -
-
Norsk,
Samen, Aasen!
La parte ad ovest è vostra! -
Lupin
cercò di riconcentrare la propria attenzione sul discorso di
Greyback, ma Calima lo distrasse nuovamente.
- Di
solito sei così orrendamente cortese. Perché
adesso non
mi rispondi, Damerino? -
-
Naturalmente non è nulla di personale, Calima, ma... - si
voltò ancora per lanciarle un'occhiata seccata, - preferirei
che incollassi quelle dolci labbra rosee fra loro, cosicchè
io
possa finalmente sentire cosa dice Fen. -
Fen.
All'inizio pronunciare quel nome gli costava tutto l'autocontrollo di
cui disponeva.
Fen,
Fen, Fen, Fen, Fen...
Ora la
sua voce si velava di una cinica indifferenza, frutto dell'arrogante
e inoppugnabile ipocrisia a cui quotidianamente si ritrovava a far
affidamento. Colui che aveva distrutto la sua vita di bambino e di
uomo, che aveva calpestato con ferocia i suoi sogni, distrutto ogni
speranza di avere un futuro sereno. Nell'unica azione di un morso.
L'uomo che...
Uomo?
Poteva Remus John Lupin considerare Greyback come un uomo?
Certo
che no. Ma dopotutto, noi uomini siamo uguali e diversi nel medesimo
istante, facciamo parte di una massa di schiavi della vita, pronti ad
attaccarci a qualunque cosa, pronti a tradire chiunque, pur di poter
vivere un solo giorno ancora in questo mondo ingannatore.
Siamo
uomini, dopotutto. L'infamia è un nostro diritto.
I
licantropi iniziarono a disperdersi attorno al grande focolare spento
di Jura, mormorando tra loro pareri incomprensibili.
Calima
lanciò un'ultima occhiata interrogativa a Lupin. - Be', Fen
ha
finito la sua solita strapazzata. Ora, puoi rispondermi. -
Lupin
la guardò e inarcò curioso un sopracciglio,
grattandosi
distrattamente il mento. - No - rispose con leggerezza, mentre le
voltava le spalle.
- Che
significa "no"? -
- È
una particella negativa; generalmente viene usata per indicare un
rifiuto, Calima. -
- So
cosa significa "no"! - protestò la giovane. Lo
guardò farsi inghiottire nuovamente dalla cupa foresta di
Tupin, sperando di ottennere una risposta che non arrivò.
Bastardo
di un forestiero del Sud.
°°°°°°°
Alla
Luna, le ore contate son sulle dita:
di
sangue e grida la notte sarà farcita.
I
licantropi di Jura che la "saggezza" e la "ragionevolezza"
di Fenrir Greyback avevano portato ad escludere dalla missione per
Lord Voldemort, erano riuniti nella valle di Losna, i volti in
fremente attesa che scrutavano con ansia fra le nubi del cielo.
Il respiro
di Remus Lupin si faceva sempre più affannoso minuto dopo
minuto, pensiero dopo pensiero. Aveva l'impressione che il proprio
cuore sarebbe sicuramente esploso da un momento all'altro, tanta era
la rapidità con cui i battiti si stavano succedendo
all'interno del suo petto.
Adesso.
Affondò
la mano nella tasca e...
La
Pozione. Dov'è la Pozione? Merlino infame, dov'è!?
Le sue
dita cercarono freneticamente il contatto con il vetro freddo e
rassicurante dell'ampolla, ma più queste si dibattevano
all'interno del mantello, più la pesante consapevolezza di
averla perduta si affacciava alla finestra della mente di Lupin.
- Ehi,
Damerino! Hai perso qualcosa? -
Lupin alzò
il capo di scatto, deglutendo a fatica. Strizzò gli occhi e
voltò il capo per non mostrare a nessuno l'espressione
terrorizzata che probabilmente gli era apparsa in viso.
- Non
trovo le sigarette... - mormorò, e ad ogni parola aveva
l'impressione che una violenta pugnalata gli aprisse il ventre.
- Ma,
Damerino! Che ci fai adesso con quelle? Dai, goditi lo spettacolo:
Selene sta sorgendo. -
La mano di
Lupin iniziò a tremare in maniera incontrollabile, ma non fu
a
causa della luna. Aprì la bocca per poter inglobare una
quantità maggiore di ossigeno, tentò in ogni modo
possibile di calmare il suo tormentato stato d'animo, di soffocare il
panico che ormai si era impadronito completamente di tutto il suo
essere.
La belva,
fida compagna dei suoi più temuti pleniluni,
iniziò a
inebriare la sua mente, avvolgendo i suoi pensieri nella più
totale confusione.
Voltò
automaticamente la schiena alla luna e chiuse nuovamente gli occhi
per non vedere.
Inno del
sorgere di Selene, furono dei potenti ululati che squarciarono la
silenziosa notte di Jura. Remus Lupin strinse i pugni così
violentemente che le unghie penetrarono nella carne, ma non
riuscì
a capacitarsi del dolore.
La candida
e romantica luce di Selene lo aveva già abbracciato
completamente.
°°°°°°°
Tramonta
la Luna, regina del cielo:
ritorna
pelle ciò che era pelo.
Del
sangue la notte ha lasciato il sapore,
riemerge
il pensiero, riaffora il dolore.
°°°°°°°
Anche
Jura, arida e magica culla della natura più selvaggia, si
ritrovava di tanto in tanto a tranquilizzarsi nella vita dei propri
abitanti. Bagnati dalla luce del sole, avreste potuto vedere
licantropi intenti a fasciarsi malamente recenti ferite con stoffe
logore, altri addormentati all'ombra delle imponenti quercie o seduti
stancamente su un masso. Perversi, immorali e spietati: ma una volta
al mese, dopo aver mostrato alla notte il meglio della loro
crudeltà
e della loro forza, eccoli tornare cuccioli,
desiderosi solo
di leccarsi a vicenda le ferite, accucciarsi in un fresco
cantuccio che li ristorasse dal caldo dell'estate, e finalmente
sognare la prossima luna.
Rouge,
tornata da poche ora da Glasgow, scostò con una mano un
sottile ramo di acero per potervi passare sotto e proseguire il suo
cammino nel bosco di Tupin. Conosceva quelle terre meglio di quanto
non avesse mai imparato a conoscere sè stessa.
S'inoltrò
nella fitta vegetazione del bosco, con una grazia che aveva
quasi del solenne.
I suoi
piedi calpestavano gli stessi percorsi
che calpestavano
da una vita: dai suoi primi tempi nella comunità di
Jura,
quando il suo sguardo era ancora innocente e spaurito, agli
anni
della giovinezza, durante la quale aveva imparato
a sopravvivere
in un mondo fatto dagli uomini, per gli uomini, e per le loro
guerre che nulla avrebbero mai dovuto aver a che fare con la
sacra terra di Jura.
Si issò
per forza d'abitudine sui grandi massi erosi dall'eternità
dell'Harrier e mentre fissava l'ombra delle grosse quercie giocare
con i riflessi dell'acqua sotto di lei, si ritrovò
a
pensare che Jura era veramente troppo ricca per poter
essere oltraggiata dalla presenza di stolti individui
come
Greyback e tutti quei patetici sciocchi al suo seguito. Come gli
umani che sovente lo allontanavano dal villaggio
e che
tanto disprezzavano la loro sublime razza. Nessun
umano
avrebbe mai capito quale onore, era in realtà, essere un
figlio di Selene. Nessuno.
Ma di
questo, Rouge non se ne curava affatto: a lei non
era mai
importato di cosa gli umani pensassero o non pensassero. Era
completamente indifferente alla loro esistenza, sempre che questi non
invadessero le loro con stupide leggi, o patetiche paure.
Sciocchi
umani, che avevano osato dimenticarsi della vera legge: vince chi
vive, e vive chi vince. E chi vince, è sempre chi si
dimostra
più forte.
Mentre
restava sospesa in questi pensieri, Rouge colse una
figura addormentata sull'erba, seminascosta da un
arbusto. Sogghignò, avvicinandoglisi.
Il duro
contrasto fra la carnagione chiara dell'uomo e fra il nero
dell'ombra del bosco di Tupin aveva qualcosa di simbolicamente
filosofico. Unico, incongruente dettaglio di quella mistica
unione erano le traccie di sangue che macchiavano quella pelle
pallida. S'inginocchio accanto a lui, e
scostò un
ciuffo dei suoi capelli chiari, contemplando il modo in
cui essi
ricadevano con leggerezza sulla tempia.
Il suo
dito scivolò lungo il profilo del lungo e dritto
naso
dell'uomo, arrivando a cogliere ogni screpolatura sulle sue labbra
sottili.
Le
palpebre dell'uomo furono scosse da un fugace tremito. Mosse
il
capo con una smorfia. - Ni... ora - mugugnò.
La bocca
di Rouge s'incrinò in un sorriso perverso. La sua mano
continuò a serpeggiare sul petto di lui con un'insistenza
sempre più assillante.
Lo vide
aprire lentamente gli occhi. Dovette attendere qualche istante prima
che lui fosse in grado di riconoscerla e parlare.
-
R...Rouge? -
-
Buongiorno, Damerino. Mi hanno detto che hai fatto il lupetto
cattivo,
questa notte. -
- Cosa...
- tentò di dire lui, ma una fitta lancinante gli
infiammò
il fianco, e fu costretto a stringere il labbro inferiore fra i denti
per non gridare.
- Sto
dicendo che ci sono tre o
quattro inutili sciocchi che
questo mese le hanno prese più del solito. A quanto pare,
sei
davvero un'incontrollabile
e
malvagia
creatura.
- lo canzonò.
Lupin
artigliò la terra umida e tentò di alzarsi in una
posizione più comoda e meno umiliante, chiedendosi il
perché
Rouge gli stesse parlando in quel modo ironico che non le aveva mai
sentito nella voce. Non fece in tempo ad accorgersi di essere
completamente nudo, che una logora e puzzolente coperta color panna
lo colpì in viso.
- Copriti
- intimò Rouge, sogghignando nuovamente. - Sei uno
spettacolo
decisamente più orrido di quanto non
immaginassi. -
Lupin fu
rapidissimo ad eseguire l'ordine della donna, e ostentando la
classica aria da menefrego totale, guardò negli occhi Rouge
e
tentò di capire ciò che le passava per
la mente.
Sembrava divertita dal suo imbarazzo, che a quanto pare, non era
riuscito a celare. Lui aprì la bocca
per ribattere, ma
lei non gliene diede il tempo.
- Tu
programmi sempre tutto, vero? - lo interruppe Rouge.
Lupin
inarcò un sopracciglio, nonostante questo gli costasse
notevoli sofferenze. - Cosa? -
-
Pianifichi la tua esistenza giorno per giorno, temi di
lasciarti
andare ai deliziosi imprevisti della vita. - Non era una
domanda, era un'affermazione con tanto di punto fermo. -
Cos'è
andato storto, questa notte? Cosa non avevi programmato? -
- Rouge,
ma che stai dicendo? -
La vide
infilare la mano dalle lunghe e stranamente curate unghie rosse
all'interno della tasca. Lupin si sentì morire, quando Rouge
gli mostrò il contenuto.
Stretta in
quella presa così dannatamente sensuale e illuminata dai
pochi
riflessi del sole di Jura, Rouge stringeva la piccola ampolla di
Pozione Antilupo.
La fece
dondolare davanti agli occhi ambrati di Lupin. - Un gingillo
veramente patetico, non trovi? -
Lupin la
fissava a bocca aperta, incapace di rispondere alle sue tacite
accuse in qualcunque maniera. Deglutì faticosamente e
alzò lo sguardo dalla boccetta al
viso di
Rouge, illuminato da una strana luce calcolatrice.
La donna
si sporse sulla sua spalla e Lupin, forse per il dolore della recente
trasformazione o per il terrore che lo aveva immobilizzato, non
riuscì a muoversi. Avvicinò la bocca al suo
orecchio, spostandogli un altro ciuffo di capelli con la mano
libera.
- Come hai
potuto anche solo pensare che l'avresti scampata? - sussurrò
Rouge, con un ghigno vittorioso. Sul volto dell'uomo si
dipinse
il panico puro.
-
Per quanto tempo credevi di potermi mentire ancora, Remus
Lupin?
-
°°°°°°°
************************
Aloha!
Capitolo
Settimo del Diario finalmente concluso. E visto che non ho nulla di
rilevante da dirvi, (lo so che state gioendo perché per una
volta me ne sto zitta, ma sappiate che non è educazione! XD)
Indunque,
dicevo... mi accingo a ringraziare tutti.
Intanto,
un grande pacca di gratidune (carica di muto sadismo
per
l'ossessione con cui ti tormenterò per concludere la
storia...
XD) ad ari, mia fida
beta che spero non mi uccida da qui a un mese.
A
redistherose, non
mi è mai capitato di leggere le filastrocche di Sclavi, ma
ora
che me l'hai detto mi metterò alla ricerca.
Sì, Fleur
cercava di scuotere un po' la povera Tonks. Non
mi ispira
che venga dipinta come un'ochetta senza cervello, anzi, la
trovo
un personaggio molto interessante.
A
Christine, dinanzi
i quali piedi mi prosto per il ritardo dell'aggiornamento,
grazie mille per i complimenti e un bacione grande grande!
A
fennec,
un altro grandissimo grazie, è bellissimo vedere
che la
storia piace a così tanti! Ho pensato che ogni
tanto fa
bene rilassare un po' gli occhi con qualche scena simpatica, e chi
meglio del corpo docenti di Hogwarts? XD
A
Luna92,
lo so: Fleur può dare quell'impressione,
soprattutto nel
sesto libro. Ma sono convinta che si sia guadagnata il nostro
rispetto nella famaosa scena dell'infermeria, e non
volevo
dipingerla come un sciocca francesina. Ti svelo una
curiosità: il
personaggio di Trick, è liberamente ispirato a mio
cugino, (nome, naturalmente escluso...) Grazie 1000, spero che ti
piaccia anche questo capitolo!
A
nebula91,
un gigantesco grazie con effetto sfondamento e tanto di rossore sulle
guancie! Grazie, grazie, grazie! Veramente grazie!!! Un bacione!!!
A Rue
Meridien,
a cui voglio innanzitutto chiedere perdono per non aver ancora
trovato il tempo di leggere il nuovo capitolo di "Basta solo
accendere la luce", ma che è già segnato e
sottolineato nelle mie prossime cose da fare. Tante grazie per i
complimenti, veramente, mi fa un piacere assurdo... (peccato che mio
cugino non sia innocente come il suo alter-ego, Trick...v__v - no
comment in proposito).
Grazie
a tutti quanti hanno letto finora, GRAZIE VERAMENTE A TUTTI QUANTI!!!
UN
BACIO A TUTTI QUANTI,
Trick
************************
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Capitolo Ottavo - Londra, quarantotto ore fa ***
************************
Diario
di un Lupo
in
un Branco di Lupi
(Versione
riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)
CAPITOLO
OTTAVO
Londra,
quarantotto ore fa
°°°°°°°
Da
qualche parte di Londra, quarantotto ore fa
Sembra
quasi che Londra, questa notte, voglia competere con le più
umide e fredde serate di Jura. Voglia, badate: non ho detto che
riesca nell'intento. Troppo magica Jura, per poter
essere ridicolarmente scimmiottata da una
città
futile e squallida come Londra. Posata mattone per mattone da mani
umane. Mani errate per loro natura.
Seguo
la scia di Fenrir come solo un bravo cagnolino potrebbe fare: mi sto
odiando, quasi quanto odio lui. Il che, vi assicuro, è tutto
dire.
-
Fen, sei sicuro che verranno? - sbotto, dopo diversi minuti di
irritante camminata sui marciapiedi deserti delle strade cittadine.
Non c'è nulla che non mi innervosisca in questa
città.
Fenrir,
maledettamente compreso.
- Certo
che sono sicuro - mi risponde seccato con la sua classica voce carica
di presunta superiorità. - E dovresti esserlo anche
tu,
Rouge. Devi fidarti di loro, non sono come gli altri della
loro
razza. -
Ringrazio
l'oscurità che mi permette di alzare gli occhi
al cielo e
imprecare senza emettere suono. Bella stronzata,
Fenrir. Sono
veramente fiera di te.
-
Dovrebbero arrivare qui - spiega, fermandosi in un incrocio ancora
più deserto del resto di Londra. - Adesso. -
-
Fen, dovevamo proprio metterci questo schifo? - mi
lamento nel
buio, tirando la lunga veste nera che mi impedisce la maggior parte
dei movimenti. Stupide vesti umane.
-
È
un segno di rispetto verso il nostro Signore, Rouge. -
- Perché
dovremmo rispettare un umano che non fa altro che sfruttarci? -
-
Rouge, chiudi la bocca. E guai a te se mi incasini la riunione con le
tue paranoie, chiaro? -
Paranoie?
Schifoso bastardo, ci stai mandando a morire per un
vecchio, decrepito umano, e io sarei paranoica?
Lurido,
arrogante, bastardo, figlio di una lupa storpia...
-
Greyback. -
Una
voce zittisce il mio pensiero, interrompendo bruscamente la
scia
di preghiere a favore di un prossimo e
mortale incidente a
danno di Fenrir. Accidentale, naturalmente.
-
Jugson - saluta Fenrir, con un cenno rigido del capo.
- Macnair.
-
Non
ho ancora visto le loro facce, e già li detesto. Oh, Selene!
La serata si preannuncia orribilmente tediosa.
Si
avvicinano a noi, e solo ora che sono illuminati dalla luce di
un lampione, posso notare le maschere che usano per coprirsi il
volto. Le famosissime maschere dei famosissimi Mangiamorte, seguaci
del famosissimo Signore Oscuro! L'onore è così
grande
che potrei svenire... non resisterò a lungo in silenzio.
-
Vedo con piacere che voi gentiluomini londinesi non avete l'abitudine
di essere cortesi - Fenrir mi lancia uno sguardo di fuoco; non lo
vedo, ma sento la violenta sferzata d'aria prodotta dal rapido
movimento della sua testa. - Sarebbe educazione togliere le maschere,
Messere. -
I
loro occhi si posano su di me con lo stesso bagliore
intimidatorio che immagino riserbino alle loro vittime. Sogghigno,
ancora una volta protetta dal manto della notte.
- Ho
come l'impressione che la tua ragazzina sia stata abituata ad usare
troppo la lingua, Greyback... e la cosa non mi piace.
-
-
Devo dedurne che voi preferiate altro, alla lingua femminile? -
Colpiti e affondati. Uno a zero per me, bastardi.
-
Mi complimento per l'ineccepibile linguaggio - mi dice la voce
divertita di un Mangiamorte che l'oscurità mi impedisce
ancora
di vedere. - Ed io che ero convinto che voi lupi foste solo in
grado di ringhiare. -
-
Piton - saluta nuovamente Greyback, lanciandomi
contemporaneamente un'occhiata minacciosa.
-
Greyback. -
-
Sareste stupito di vedere cos'altro so fare con la lingua - continuo
ostinata, permettendo alle labbra di incrinarsi in un ghigno.
La
debole luce giallastra di un lampione illumina il viso del mio
sconosciuto interlocutore. I capelli scuri gli ricadono unticci sulla
lunga faccia pallida, aumentando l'impressione di un enorme e
infido ragno. La cosa che mi sorprende,
però, è il
suo naso: che persona può avere una protuberanza
del genere?
Mi
fissa disgustato con i suoi occhiacci neri. Occhi di morte. -
Patetica. -
Il
suo tono è così gelido e tagliente, che per la
prima
volta dopo tanti anni, non so cosa rispondere. Mi sento una
scolaretta alle prime armi e mi chiedo come abbia potuto un umano
farmi questo effetto.
Forse,
la notte sarà più lunga del previsto.
°°°°°°°
Ancora da
qualche parte di Londra, quarantasei ore e venti minuti fa
-
Codaliscia, cosa stai aspettando? -
Allungo
il collo oltre alla spalla di Fenrir, senza rendermi conto di avere
le labbra leggermente imbronciate. Lascio che il mio sguardo
diffidente scivoli sulle persone che siedono accanto a noi,
in questa
baracca dal puzzo orrendamente umano.
Sono solo
in sei, se non conto quel tizio piccoletto che è scappato
non
appena io e Fen abbiamo varcato la soglia. Devo ammettere che
il
Signore Oscuro si sceglie proprio dei
soldatini veramente valorosi.
Ha anche
la faccia da ratto, come se ciò non
bastasse a
completare il bizzarro quadro che mi sono fatta
del tozzo
Mangiamorte senza nome.
Lancio
un'occhiata in tralice al tizio dal naso dalle proporzioni
assurde. Odora di chiuso, come se non vedesse mai la luce del sole. E
non mi convince, il che significa solo che nasconde qualcosa: se lo
dico io, fidatevi. È così.
Si
accorge del mio sguardo su di lui, ed io avrei una gran voglia di
distogliere i miei occhi da quei buchi neri che la madre di
quell'uomo ha pensato di infilargli nelle orbite. Ma non posso.
Perderei la battaglia, ancor prima di scendere nell'arena.
Mi
sorride con uno strano piglio che non avevo mai visto, e alza il
calice da cui stava sorseggiando in mia direzione.
Mi
chiedo se i suoi modi siano sempre così
indecifrabili, o
se io debba iniziare a complimentarmi
con la mia
buona stella per le meravigliose persone che mette sul mio cammino.
La
voce tonante di un uomo dai capelli scuri e il pizzetto perfettamente
curato mi riporta ad assaporare il nauseante odore
della
stanza.
- Mentre
aspettiamo che Codaliscia termini gli ardui compiti da me
affidatigli, ossia servirci qualunque cosa Severus
tenga
in questa... come l'hai chiamata, Severus? Casa? -
Volto
il capo di scatto. Severus. Non male come nome, per
uno che
al posto del naso ha il modellino in scala 1:1 del monte Mall.
-
Sono veramente spiacente, Rodolphus, che la mia attuale dimora non
sia di tuo gradimento - risponde, per nulla offeso.
Anzi, sembra
compiaciuto da quelle parole. -Tuttavia, non puoi negare che il mio
elfo domestico sia incredibilmente divertente - aggiunge,
posando il calice vuoto sul vassoio che l'ometto
tozzo gli
porgeva. Alle sue parole di scherno, quest'ultimo gli rivolge
un'occhiata sprezzante.
-
Suvvia, Codaliscia - esordisce l'uomo di nome Severus, battendo le
mani fra di loro. Ha ancora quel ghigno sulle labbra. Possibile che
oltre agli occhiacci da morte, sua madre gli abbia anche
cucito
la bocca in quella posizione?
Sinceramente,
non ne sarei stupita.
-
Quante volte di ho detto che è scortese far
attendere gli
ospiti? -
"Voce
Tonante con Pizzetto" ride di gusto, e non appena i
restanti Mangiamorte si accorgono della sua risata, ecco che la
baracca risuona di fastidiose e orrendamente ipocrite risate.
Fenrir,
ovviamente compreso.
Anzi,
la sua supera le altre in quantità di fastidio procurato
alle
mie orecchie sottili.
Severus
non ride.
Che
uomo tutto d'un pezzo.
-
Siete qui, oltre che per godere dello splendido servizio di
Codaliscia - e qui, s'interruppe a causa di altre risatine, -
perché possiate ascoltare le ultime, interessanti
novità
che Severus ci ha fornito. - Innanzitutto, a riguardo dell'Ordine
della Fenice, dovrei... -
-
L'Ordine di cosa? - lo interrompo, con uno sbuffo annoiato. Non
che m'interessi quello che "Voce Tonante con
Pizzetto" ha da dire, ma perlomeno, gradirei capire
il
senso delle sue parole.
-
Rouge, taci - ringhia Fenrir.
- Tu
sai cos'è l'Ordine? -
-
Più o meno. -
- E
allora, fattelo spiegare bene, Fen. Che ci stiamo a fare qui,
altrimenti? -
Razza
di deficente, tira un po' fuori le palle. So che le hai da qualche
parte sotto quella veste, non costringermi a tirartele fuori a
forza. Non sopporto che ci trattino così.
Non
sopporto niente, a partire dal naso del tizio con gli occhiacci da
morte.
Lui
volta il capo con uno scatto, e mi regala un sorrisetto ironico. Come
se avesse sentito ciò che ho appena detto a voi altri umani.
Tze,
sto diventando davvero paranoica. Vuoi vedere che per una volta,
Fenrir ha ragione?
Afferro
con un gesto seccato un bicchiere dal vassoio che l'ometto di nome
Codaliscia mi allunga tremante.
-
Pupetto, se non la pianti di tremare, te la farai addosso. E
considerando il tuo importante ruolo qui dentro, ti toccherà
anche passare lo straccio. -
Porto
il bicchiere alle labbra, alzando lo sguardo verso "Voce Tonante
con Pizzetto" e dando subito mostra della mia celebre pazienza.
- Quindi?
-
Fen
mi guarda in cagnesco come solo un lupo sa fare.
Ed
io sorrido, ostentando un'innocenza di cui non mi sono mai vantata.
-
L'Ordine è un gruppo di persone che sostiene Albus
Silente - mi risponde il tizio dagli occhiacchi di morte, con un tono
annoiato che ha dell'irritante. - Mi auguro tu sappia, almeno, chi
è
Silente. -
-
Il vecchietto con la barba bianca? - chiedo, appoggiando stancamente
il mento sul dorso della mano destra. So che la mia voce
suona alquanto tediata, ma non posso farci niente. Forse, il
mio
inconscio non vuole neppure fare qualcosa a riguardo.
-
Il vecchietto con la barba bianca - ripete disgustato un
Mangiamorte dal volto smunto alle mie spalle.
- Sarebbe ora
che tirasse le cuoia, quello schifoso. -
-
È
esattamente quello che cerchiamo di far accadere
da più
di vent'anni, Jugson - ribattè "Voce Tonante con
Pizzetto".
-
Cercate di ucciderlo da più di vent'anni? - gli domando,
mentre le soppracciglia mi scompaiono sotto i capelli
per lo
stupore. - Un vecchio? -
-
Non prendere alla leggera la figura di Silente, ragazzina - risponde
per lui un altro Mangiamorte, un uomo tarchiato e
dalle fattezze
quasi suine. - Purtroppo, è un
mago dotato di
grandi capacità. -
-
Già, ma la vecchiaia inizia a farsi sentire - ridacchia
"Voce
Tonante con Pizzetto". - Una volta che lui sarà fuori
gioco, il Signore Oscuro non avra più
problemi. Nessuno
proteggerà più Potter. Nessuna mammina e
nessun
nonnino. -
I
Mangiamorte sghignazzano di nuovo alla sua battuta. Io non riesco
a coglierne il lato comico, e dubito di volervo
anche vedere.
È roba da umani, questa.
-
Potter? Il moccioso che ha sbaraccato il vostro capo? Gran
bella
figura, quella, non c'è che dire. -
Non
faccio in tempo a terminare la frase, che la pelle del collo freme al
tocco della fredda punta di una bacchetta. Muovo il capo quel poco
che basta per scorgere la figura sfocata di uno di
loro. È
uno dei due umani che ho avuto l'onore di incontrare
per
primi.
Costringo
il mio corpo a non muoversi. Freddo e impassibile, lo obbligo a
dimostrare, ora più che mai, tutta
l'imperturbabilità
di cui, da anni, sono solita complimentarmi.
Non
ho intenzione di mostrarmi debole. Non abbasserò il
capo
dinanzi a dei sudici uomini.
-
Abbassa la bacchetta, Macnair - ordina imperioso "Voce
Tonante con Pizzetto". - La nostra compagna non
voleva
certo suonare offensiva. Non è forse così? -
Sto
per aprire la bocca e affermare contrariata che era
esattamente
ciò che intendevo, quando il tizio dagli occhiacci
di
morte, che, per mia pura comodità,
definirò da qui
innanzi "Occhiacci di Morte con Naso Mostruoso", mi
interrompe. È un uomo fortunato: se non mi
sentissi
così esaurita nello spirito e nel corpo, gli avrei
tagliato la testa. Odio essere interrotta.
- Vi
pregherei di non perdere tempo con queste assurde ridicolaggini -
proclama, portando nuovamente il calice alle labbra perennemente
sogghignanti. - Mi duole avvertirvi che questa sera
sarà
costretto a tornare ad Hogwarts, e questo,
come potete ben
capire, limita enormemente il tempo a nostra disposizione. -
-
Severus ha perfettamente ragione -
concorda il Mangiamorte
dalla faccia da suino. Inizio a pensare che il
"Signore-Oscuro-Non-Devi-Nominarmi-Mai" si scelga i
soggetti più anormali in circolazione, come soldatini.
-
L'Ordine della Fenice è un gruppo di morti che
camminano - decanta con un impeto di furia "Voce
Tonante con Pizzetto". - Dopo la... - si blocca, fingendosi
pensieroso. - Sì, la sventurata dipartita del loro Preside,
temo non resterà loro che pochi mesi di ostinata, inutile, e
orrendamente irritante resistenza. -
-
Una descrizione che ha del poetico, mi complimento - ironizzo,
garantendomi un'ennesima occhiataccia di Fenrir. - E queste persone
sono così astute e dotate da mettere fuori gioco i famosi
Mangiamorte? -
Si
scambiano sguardi interrogativi. È "Occhiacchi di Morte
con Naso Mostruoso" a rispondermi.
-
Alcuni sono Auror. -
-
Auror? -
- Squallidi e
futili impiegati ministeriali, addestrati a
combattere... noi
cattivoni - ridacchia il tizio dalla faccia suina,
sputacchiando
un po' di vino sul viso del compagno.
-
In quanti sono? -
-
Abbastanza - dice "Voce Tonante con Pizzetto". - La
cosa più disgustosa, comunque, è la
loro...
eterogeneità. -
-
Eterogeneità? - Guardo Fenrir, lo trovo con le folte
sopracciglie incredibilmente corrucciate, e mi costringo a non
ridere. Adoro vederlo perso nella propria ignoranza, nonostante
ciò
mi irriti notevolmente.
-
Sinonimo di immondizia e inettitudine -
declamò il
Mangiamorte di nome Jugson. - Striscianti traditori del proprio
sangue babbanofili, usurpatori Mezzosangue e, senza
offesa, infidi ibridi. -
-
Ibridi? - domando, smussando appensa leggermente il tono
minaccioso della mia voce. Mi chiedo di nuovo dove
siano
finite le proverbiali palle di Fenrir. Mangiate, inghiottite e
digerite da qualche cane rognoso, a quanto pare.
-
Senza offesa - ripete, con un sorriso falsamente educato.
Storco
il naso, e decido di dedicare la mia attenzione a Mangiamorte
meno idioti. Il destino mi concede una sarcastica e imbarazzante
scelta, a proposito.
-
Mezzigiganti, Mezzosangue, Babbanofili, Magonò... - inizia
ad
elencare con un ghigno divertito il Mangiamorte dalla faccia suina.
- Per non parlare degli Auror - concluse,
con una
risatina di scherno.
- E
come dimenticarsi dell'animaletto di casa? - continua il compagno
seduto al suo fianco. - Un altro, valorosissimo elemento fra le file
del grande Silente. -
-
Animaletto di casa? - domando, confusa.
Si
scambiano occhiate complici, e non ho intenzione di negare
quanto la cosa inizi a dare esageratamente sui nervi.
-
Un lupetto addomesticato. Una creatura completamente inutile, e
personalmente, dotata di un'idiozia abissale - spiega "Occhiacci
di Morte con Naso Mostruoso". -
-
Lupetto? -
-
Uno di voi - commenta maligno il Mangiamorte dalla bacchetta veloce.
- Un lupo mannaro. -
Guardo
Fenrir, in attesa di spiegazioni logiche. Per tutta risposta, quello
deglutisce rumorosamente l'ultimo sorso di vino e mi fa le spallucce.
- Mica pretenderai che mi ricordi tutti quelli che mordo, vero? -
mugugna.
-
Dove è stato morso? -
-
Ma che vuoi che mi ricordi? -
-
Non chiedevo a te - ribatto, fissando "Occhiacci di Morte con
Naso Mostruoso".
-
Non sono mai stato così fortunato da vederlo nudo,
mi
spiace - mi risponde beffardo, senza guardarmi. Ma
com'è
possibile che sappia ciò che sto per dirgli prima che io
apra
bocca? È stressante. Ed io, ovviamente, odio essere
stressata.
-
Perché vuoi saperlo, ragazzina? - mi
interrompe "Voce
Tonante con Pizzetto". - Di certo, non vaga per la vostra isola
come se nulla fosse. -
-
Come si chiama? -
- Lupin. Remus
John Lupin. -
- Quanti
anni ha? -
- Più
o meno come te, Severus, vero? -
"Occhiacci
di Morte con Naso Mostruoso" alza lo sguardo verso l'altro, e
annuisce con vago interesse. - Trentacinque. -
- E
com'è fatto? - continuo.
"Voce
Tonante con Pizzetto" sbuffa con superiorità. - Un
poveraccio con i capelli chiari e qualche striscia di grigio. Un
tipo dalle gambe lunge... -
-
Cerchi un compagno, ragazzina? - lo interrompe scocciato il
Mangiamorte dalla bacchetta facile.
-
Era solo curiosità. -
-
Non mi piacciono le donne curiose. -
-
Io non sono una donna. -
-
Già... - mormora maligno. - Tu sei un'orrida bestiaccia".
-
Prima
che abbia terminato di parlare, le dita della mia mano si serrano
attorno al suo collo taurino, dando prova dell'inattaccabile forza di
cui siamo dotati noi "orride bestie". Il secco rumore dello
schianto della mia sedia sul pavimento, rompe il
delicato
equilibrio che ero riuscita a stabilire con loro, eliminando
definitivamente ogni traccia della mia, già di per
sè
misera, collaborazione.
Fenrir
si alza bruscamente, mi afferra con durezza il polso
e me
lo gira in modo che i miei occhi si ritrovino incollati ai suoi.
-
Comportati bene, Rouge - mi rimprovera, quasi fossi una
bambina che
fa i capricci e lui un padre severo. - Non farmi fare
mai
più queste figure. Scusati immediatamente con
Macnair. -
Guardo Macnair
con una smorfia disgustata, intento a strofinarsi il
collo,
dove le mie unghie hanno lasciato lunghi segni rossi.
-
Te lo puoi scordare - sibilò in un soffio che non lascia
trasparire che il mio odio.
È
questione di un lampo. Non ho neppure il tempo di accorgermi
della folata di vento che inizia a sferzarmi il viso,
che il
suo violento schiaffo mi costringe ad appoggiarmi saldamente al
muro, per evitare di cadere a terra. I Mangiamorte non
fiatano,
anzi, sembrano quasi divertiti dalla scena.
Alzo
gli occhi verso di lui. La guancia mi pulsa dolorosamente, ma
sono cresciuta a carne e manrovesci, e ora, dopo
tutto
l'allenamento della giovinezza, riesco a
riprendere rapidamente il controllo della situazione.
Sogghigno,
nonostante questo non serva ad allietare il male. - Sei un
lupo
senza palle, Fen. -
Gli
volto le spalle e mi dirigo a grandi falcate verso la porta. Mi fermo
sull'uscio e lancio un'ultima occhiata a "Voce Tonante con
Pizzetto".
- Grazie per
le informazioni. Se mai ne avrò l'occasione, farò
in
modo che riceviate i pezzetti avanzati dei membri del vostro amato
Ordine. Il resto, vogliate perdonarmi, ma ho intenzione di digerirlo
con un goccio di vino di Jura. -
Volto
il capo verso "Occhiacci di Morte e Naso Mostruoso".
- A
proposito di vino... il suo è delizioso. Sa
quasi di
morto - termino sprezzante, per poi lasciare i
Mangiamorte
alle loro battute divertite sull'enorme influenza che Fenrir
ha
sul mio comportamento.
Mi
lascio inghiottire dall'oscurità di Londra, e l'ultima cosa
che vedo prima di chiudere la porta,
è il sorriso
compiaciuto che "Occhiacci di Morte" mi rivolge, nascosto
sotto le sue lunghe dita pallide.
Sospiro
alla brezza leggera che mitiga il pulsare della mia guancia, e
guardo la mia Selene spiccare nel cielo.
Cammino
per le strade buie e deserte, leggermente impacciata nel mio mantello
nero. Non ce la faccio proprio a non ridere.
Sei
mio.
Remus
Lupin.
°°°°°°°
************************
Ciao
a tutti!
Ho
una cosa IMPORTANTISSIMA da dire: nel capitolo precedente, ho
dimenticato di specificare che le parole "Vento, porta il mio
canto" & company, che intervallano i pensieri
di Lupin,
sono strofe di una canzone che mia madre è solita ascoltare
pressochè giornalmente a tutto volume.
"Vento"
di Gianni Morandi. Alla fine, quel dannato cd che mi impedisce
qualcunque riposino pomeridiano ha avuto il suo merito, non
c'è
che dire.
È
un capitolo-esperimento con un personaggio-esperimento. Spero
vi sia piaciuto.
Un
gigantesco e meritatissimo grazie con tanto di
abbraccio virtuale
alla mia Ari, che, titolo informativo, non ha ancora
tentato di strangolarmi attraverso lo schermo del pc. GRAZIE
ARI, JE T'AME!
Un
altro, stratosferico grazie a tutti i lettori di questa storia
che sembra farsi più complicata da scrivere ad ogni
capitolo.
Grazie a gollum93,
nebula91, Christine, HermioneCH, Luna92 e KylieMalfoy.
Mi
spiace veramente non riuscire a postare con intervalli meno
consistenti, ma tra scuola, pseudo-lavoro, corsi extra e iniziative
di volontariato in cui mi sono infilata, quando arrivo a casa
l'ispirazione si prende una pausa-pranzo di ter o quattro ore...
Appena
questa distruzione psicologica sarà terminata,
avrò
tutta l'estate da dedicare a voi, non temete.
E
tutta l'estate per ossessionare l'Ari... ^__^
UN
SALUTO CON TANTO DI SBRACCIATA,
Trick
************************
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Capitolo Nono - La conversation d'amis ***
************************
Diario
di un Lupo
in
un Branco di Lupi
(Versione
riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)
CAPITOLO
NONO
La
conversation d'amis
°°°°°°°
Ninfadora
Tonks non sarebbe mai riuscita a spiegarsi il perché, in
quel
torrido tardo pomeriggio di agosto, avesse sentito una forza
incontrollabile spingerla oltre le cupe scale di Grimmauld Place, i
cui cupi e iniqui corridoi straripavano di scatoloni in ogni angolo,
e percorrere a passi lenti e indecisi quel lungo e stretto androne
che portava al vecchio alloggio di Remus Lupin.
Si era
presa l'arduo incarico di controllare un'ultima volta tutte le stanze
della grande, e probabilmente destinata a non conoscere altra
allegria, dimora dei Black, affinchè Molly fosse certa di
aver
fatto sparire ogni loro traccia.
Ogni
traccia.
Ogni
barlume di vita imprigionato dalle macchie di umidità sulle
pareti.
Tonks
voltò il capo a sinistra, quasi inconsciamente, il tempo
sufficiente per assaporare l'oscurità che tanto gelosamente
celava le ripide scale che portavano alla soffitta.
-
Sirius, so che sei lì dentro -
-
Stai tirano a indovinare. -
-
Non fare lo scemo, aprimi. -
-
... -
-
Sirius? -
-
Non ho voglia di parlarne, Tonks -
-
D'accordo: vorrà dire che mi siederò qui, su
questi
sporchi e freddi gradini di pietra, e tu sarai costretto ad
ascoltarmi parlare ininterrotamente per ore, e ore, e ore, e ancora
ore... sapevi che l'eternità e fatta di ore, Sirius? -
-
Credo di aver cambiato idea. Entra. -
Gli
occhi di Tonks si assottigliarono senza il comando della padrona.
Rimase lì, impalata davanti a quelle scale con il suo
piccolo
naso a punta immobilizzato in una smorfia indecifrabile. Strinse i
pugni e si morse le labbra con forza sempre maggiore.
Sirius.
L'unico
rampone che la legava ad una famiglia di cui non aveva sentito che
storie vergognose e di una perversità inconcepibile. Ma pur
sempre il ramo da cui anch'ella discendeva, e che una parte taciuta
di lei, avrebbe sempre voluto conoscere. Perché in
qualcunque
situazione, sarebbero comunque rimasti legati da quel cingolo di
sangue indissolubile che chiamiamo parentela.
Sirius,
non c'è più.
Il suo
fare dolce e allo stesso tempo irritante di imbrogliarla mentre
giocavano a poker.
Quelle
imbarazzanti e inopportune ipotesi sulla sua vita sentimentale che il
cugino soleva raccontare a chiunque avesse dieci minuti da
dedicargli.
Il suo
difenderla dalle rigide e umilianti ramanzine di Malocchio Moody,
riguardo la sua sbadataggine e la sua poca esperienza.
Il suo
abbraccio fraterno, in grado di consolare le lacrime che il medesimo
Malocchio Moody faceva scendere sul suo pallido viso a forma di
cuore: a nessuno piace essere sottoposto a esami continui e
ininterroti, fidatevi.
E
adesso...
Nessuno
l'avrebbe più imbrogliata a poker, nascondendo l'asso di
picche sotto il bavero della giacca e ostentando quel sorrisetto
innocente che solo lui riusciva a sfoderare con tanta enfasi.
-
Sirius, ti ho visto! -
-
Cosa hai visto, di grazia, ora? -
-
Non fare quel sorrisetto innocente con me! L'asso di picche! Tiralo
fuori immediatamente! -
-
Tonks... non ti credevo così maliziosa. -
-
SIRIUS! -
Nessuno.
-
Sirius... -
-
Mmh? -
-
Ecco... mi stavo chiedendo... se quando... cioè... ehm... -
-
Sul quarto ripiano a destra dovrebbe esserci l'enciclopedia di Remus,
cugina. Potrebbe rivelarsi utile leggerla, di tanto in tanto. Ho un
full di regine, tu?. -
-
Sirius, va' a mangiare Vermicoli marci insieme al tuo full! Per una
volta che parlo seriamente! -
Nessuno.
-
Cosa stavi dicendo, prima? -
-
Adesso non te lo dico più -
-
Come preferisci -
-
Sirius? -
-
Mmh? -
-
Quando... insomma, se un giorno... ecco, se un giorno mi dovessi
sposare... un giorno lontano, s'intende... -
-
Ovviamente. -
-
Ecco... mi chiedevo... tu verrai? -
-
Naturale. Qualcuno deve pur fare le condoglianze allo sposo -
-
Dai, seriamente... -
-
Piccola... come potrei mancare? -
Nessuno.
Ninfadora
Tonks si sedette quasi senza volontà sui quei gradini freddi
che avevano avuto l'arduo compito di separare il brio con cui
Grimmauld Place sembrava essersi finalmente essersi animata da i
momenti cavernosi in cui Sirius si lasciava sprofondare di tanto in
tanto.
Lacrime
di amara disperazione iniziarono a farsi largo fra i lineamenti del
suo viso.
Nessun
Ippogrifo scalmanato l'avrebbe più svegliata alle due del
mattino con il suo molesto starnazzare.
Nessuno
Stupido PortaOmbrelli l'avrebbe più fatta inciampare
all'ingresso ad ogni suo arrivo.
Nessun
Ritratto di Famiglia l'avrebbe più chiamata "sozza
mezzosangue dai capelli disonorevoli".
Nessun
Cugino Black le avrebbe più rivolto la parola.
Nessun
ghigno malandrino.
Nessun
sorriso complice.
Nessun
Remus Lupin l'avrebbe più...
No.
Ora più
che mai, Ninfadora Tonks era convinta che l'uomo che le aveva
strappato il cuore con l'impeto di un tornado non sarebbe tornato fra
le sue braccia.
Forse,
non tornerai neanche tu, disgraziato.
°°°°°°°
Ninfadora
Tonks non sarebbe mai riuscita a spiegarsi il perché, in
quel
torrido e tardo pomeriggio di agosto, avesse sentito una forza
incontrollabile spingerla oltre le cupe scale di Grimmauld Place, i
cui cupi e iniqui corridoi straripavano di scatoloni in ogni angolo,
e percorrere a passi lenti e indecisi quel lungo e stretto androne
che portava al vecchio alloggio di Remus Lupin.
Ed
eccola, immobile e inerte davanti a quella porta scura come neppure
una statuina di cera sarebbe in grado di fare. I suoi occhi scuri,
arrossati e brillanti per le ulteriori lacrime che erano stati
costretti a versare ancora, contemplavano l'antiquata maniglia come
se questa fosse in grado di anticiparle con lo sguardo tutto
ciò
che era rinchiuso oltre quella soglia.
Non
ci credo.
Lo
sto baciando.
E,
che Merlino mi fulmini! Lui sta baciando me.
La
maniglia... la maniglia... la maniglia...
Per
tutti gli spiritelli della Normandia, dov'è quella dannata
maniglia!?
La mano
di Tonks afferrò lentamente il pomello, e lo
ruotò con
una delicatezza di cui era sempre stata geneticamente sprovvista,
quasi temesse di frantumare l'unico accesso alla stanza.
Una
soffocante e velata luce avvolgeva l'ambiente, incrementando il suo
aspetto vecchio e imprigionante. Le labbra di Tonks si
assottigliarono, mentre immagini di pile e pile di grossi tomi
enciclopedici prendevano impalpabilmente corpo negli angoli in cui la
sua memoria li aveva lasciati.
STUMP!
-
Ahi! -
-
...cosa? -
-
"Crestomazia delle Arti Oscure" di Batterius Crime, ha
appena cercato di spappolarmi il mignolo del piede -
-
Mi spiace -
-
Non importa -
-
Intendevo per Batterius -
Nulla
era rimasto dell'ultimo inquilino della stanza più ad est di
Grimmauld Place.
Il
nulla e il nessuno, erano tornati sui loro polverosi troni d'origine.
Tonks
si lasciò cadere come un peso morto sul logoro e stridente
letto dalle sponde d'ottone. Si era sempre chiesta perché
mai,
in una di quelle che erano stato le più lussuose dimore di
Londra, vi fosse quel misero letto dal materasso duro e dalle
spondine di bassa qualità. Non avrebbe mai avuto risposta.
Fece
scivolare una mano sulle cuciture sfilacciate del cuscino, tentando
invano di ricostruire su quella superficie candida il profilo
dell'uomo che vi aveva gelosamente affidato i propri sogni.
Merlino
benedica il Whisky Incendiario...
O,
santissime cariche di centauri! E io che lo credevo...
-
Remus... -
...un
uomo all'antica...
Si
stese su quel letto umido dei suoi più infuocati ricordi, e
affondò il viso nel cuscino. Inspirò
profondamente,
cercando inutilmente tracce del suo profumo.
Accidenti
a Molly e alle sue quotidiane pulizie domestiche!
Strinse
con forza un lembo della coperta, mentre gli occhi iniziavano a
socchiudersi con delicatezza, lasciando che i contorni di quella
stanza austera e abbandonata si dissolvessero lentamente con i suoi
assilli.
Mentre
si rigirava nel sonno, Ninfadora Tonks si aggrappò
tenacemente
al cuscino, come se da un momento all'altro, avesse potuto
ritrasformarsi nel colto Malandrino che le stava lacerando petto,
anima e corpo, istante dopo istante di quelle malinconiche giornate
che ora, si erano imposte padrone della sua vita.
°°°°°°°
-
Ninfadorà?
-
L'affusolata
mano dalle curatissime unghie di Fleur Delacour sospinse lievemente
la porta della stanza, quel tanto che bastava ai suoi grandi occhioni
blu di sbirciare all'interno della stanza.
-
Ninfadorà, es-tu
ici ?
-
Non
ricevendo risposta alcuna, Fleur decise di entrare completamente
nell'ambiente. Non riuscì a non sorridere, quando scorse la
figura addormentata di Tonks, abbracciata così saldamente al
cuscino. I suoi passi quasi scivolavano sul pavimento, tanto era poco
il rumore che essi producevano mentre la giovane si avvicinava al
letto. Si sedette con la stessa delicatezza con la quale aveva
attraversato la stanza, e guardò il volto di Tonks.
Purquoi
continues-tu à te faire mal ?
Le
scostò un ciuffo di capelli grigio topo con la premura che
avrebbe potuto avere una madre. Be', magari non proprio una madre...
una cugina, ecco, così va meglio.
Si
sporse verso di lei con uno sguardo divertito, e iniziò a
soffiarle sullo zigomo, risalendo su una delle palbebre chiuse e
scivolando sul naso a punta dell'addormentata.
Que
paresseuse !
Aspettò
che si svegliasse, ma la ragazza non sembrava averne la minima
intenzione. Con uno sguardo, se possibile, ancora più
divertito di prima, iniziò a grattarle il dorso del naso, a
tirarle leggermente le orecchie e a picchiettare le dita sulle
guancie di Tonks a ritmo della Marsigliese.
-
Allons
enfants de la Patrie, le jour de gloire est arrivé!
-
Finalmente
Tonks scosse irritata la testa, stringedosi ancora di più al
cuscino con una buffa smorfia. La risata argentina di Fleur invase la
stanza, illuminandolo per un rapido momento di quell'allegria che non
aveva mai conosciuto.
Tonks
strizzò gli occhi cercando di focalizzare la figura che
tanto
antipaticamente l'aveva destata.
- Mmh...
- mugugnò. - Fleur... -
- Oui,
il est ainsì que je m'appelle
-
Tonks
borbottò qualcosa di incomprensibile nel cuscino. Fleur
riuscì
a capire soltanto qualcosa come: "n'altra-rola
francese, la mazzo".
- Molì
era
tonto
preoccupata,
Ninfadorà.
Sono
jà
le
trois
del
pomerijio,
sais-tu?
-
- Cosa
sono? -
- Le
trois
del
pomerijio!
- rispose irritata Fleur, mostrandole con enfasi tre dita
della
mano. - Moins
de mal che
è il tuo jorno
libero
-
- Moins
di
cosa? -
- Lascia
starè.
Il n'importe pas -
-
Fleur...
ti prego. Non parlare in francese - supplicò Tonks, alzando
gli occhi ancora pesanti dal cuscino. - Te lo chiedo in ginocchio, se
preferisci. -
-
Pardòn,
Tònks
-
Si alzò
dal letto e fece per uscire, ma si fermò sull'uscio
per
guardare Tonks un'ultima volta.
-
Ponsavo
di
fare un jirò.
Et tu viendras avec moi. -
-
Fleur, lo stai facendo apposta!? Non-capisco-niente! -
sbottò
Tonks, con un'espressione a cavallo fra l'incredulo e l'infuriato.
-
Solo peu
peu -
concluse con un sorrisino. - Su dalle brandè,
Tònks
! Ti aspetto jù
fra scinque
minuti,
d'accord?
-
Tonks
la fissò allibita chiudersi la porta alle spalle, quasi
convinta di essersi risvegliata in un universo parallelo.
°°°°°°°
-
Immajino
che
sarebbe più
semplisce parlare
del tompo,
ma ponso
che
tu abbia bisogno di parler d'altro,
vrai?
-
Tonks fermò
la cigolante altalena su cui si stava dondolando da dieci, silenziosi
minuti e guardò la giovane francese seduta sul
seggiolino
accanto.
- Il
punto non è di cosa ho bisogno di parlare: il punto
è
di cosa non ho voglia di parlare. - Portò alle
labbra la
cannuccia rosa shocking e bevve un altro sorso del
frappè alla
fragola che lei e Fleur avevano appena acquistato. Non era niente di
speciale, se confrontato con quelli del vecchio Florian Fortebraccio.
Poveretto.
Che brutta storia, anche questa.
- Non
mi pare che tu sia in conditions
da
descidere
di
cosa parler,
Tònks
-.
- Non
sono in condizioni di decidere di cosa parlare? - ripetè con
durezza. - Fleur, non credo tu riesca... -
- A
capire comme
ti senti, Tònks?
- la precedette lei, mentre assaporava il proprio frappè. -
Scerto
che
capisco. Sono avec
toi,
proprio pour
questo. Non
importa se tu non parleras,
porquoi
io
continuerò a parler,
e tu mi ascolterai, tu
es arrivè?
-
- No,
sono arrivata
solo alla prima frase, Fleur... - mormorò
spazientita
Tonks.
- Il
n'importe pas.
Ora ascoltami molto bene, Tònks. Io
non ponso
che
Molì
fascia
bene a trattarti ogni jorno
come fossi
un
petit enfant.
-
-
Gentile da parte tua - rispose accoratamente Tonks.
- Dico
solo sciò
che è
justo
dire.
E non ponso
neppure
che lei fascia
bene
a dirti che è solo un instant
passager,
un periodo ainsì.
Comprends-tu?
-
Tonks
annuì debolmente, riprendendo a cullarsi con le
gambe.
-
Voglio farti une
question -
continuò Fleur, fermando con una mano la catena
dell'altalena
di Tonks. - E voglio che tu me
regardes
negli occhi -
Alzare
lo sguardo dalla punta degli anfibi ai splendenti occhi blu di Fleur
fu per Tonks un'impresa decisamente ardua. Sospirò.
- Cosa
vuoi chiedermi, Fleur? -
-
Porquoi soffri?
-
Tonks
le regalò la sua miglior occhiata incredula. - Che
significa "perchè soffro"? È la domanda
più
cretina che... -
- No,
no, no - intervenne Fleur. - Io non intendevo "pour
chi o
cosa soffri". Io intendevo "pour
che
motivo soffri". -
-
Fleur, mi sembra più che evidente il
motivo. -
- Oui,
è
vero. Ti "sembra"
più
evident.
Mais il n'est pas ainsì, non
è così. Se ti chiedessi "Pour
chi
soffri", cosa mi dirais?
-
Tonks
sbuffò sonoramente. - Ti direi per lui, Fleur! Che razza di
doman... -
- E se,
invesce,
ti chiedessi "cosa ti fa soffrire", cosa mi dirais?
-
Tonks
aprì la bocca per parlare, convinta in maniera automatica di
quanto quella risposta risultasse altrettanto scontata. E
invece
si ritrovò a pensare a cosa significavano in senso stretto
quelle parole, e in pochi istanti si ritrovò sperduta fra
quel
groviglio di pensieri filosofici.
-
As-vous
vu? - disse Fleur,
con un sorriso compiaciuto. - Non è fascile
e non è ovvio. Persciò,
ora dimmi: "Cosa senti dans
toi,
dentro te, quale orribile
crèatures si
ajita
nel
tuo petto, cosa veramonte
ti fa capire che soffri? -
Tonks
distolese lo sgaurdo da quello di Fleur, e fissò le rigide
file di villette a schiera che circondavano il piccolo parco dove si
erano fermate.
- È
qualcosa... - iniziò, ma s'interruppe quasi immediatamente,
colpevole di essere troppo umana per poter esprimere un così
ampio concetto. Fleur venne in suo soccorso.
- Mal
di panscia?
-
- Come?
-
- Era
un
exemple.
Hai mal di panscia
quando soffri? -
Tonks
la guardò accigliata e cercò
di rispondere
seriamente alle domande più strane che gli avessero mai
fatto.
Il che, è tutto dire.
- Non
è proprio mal di pancia,
è come... come se
una mano invisibile mi stesse strizzando le viscere, con l'aggiunta
di... di... che ne so, cos'è. È tipo una
scarica
elettrica... un colpetto che riesce a strapparmi ai momenti di
tranquillità. E poi... -
-
Poi...? - la incitò a continuare Fleur.
Tonks
appoggiò i gomiti sulle gambe e si strofinò gli
occhi con le mani.
-
Continuo a vedermelo davanti, Fleur... in ogni luogo io
guardi, qualunque cosa mi dicano, c'è sempre
qualcosa
che fa riafforare il suo ricordo, e... Fleur, io sto
impazzendo,
credo. -
- Je
le vois.
Me ne sono accorta. -
- È
solo che... non riesco. Non riesco a non pensarci, e come potrei,
dopotutto, farlo? È a Jura, Fleur. A
Jura
. Sta vivendo con dei mostri e sta soffrendo. -
- Comme
fai a
dirlo? -
- Lo so
e basta. Remus sta male, lui non è come loro, lui... - si
bloccò di nuovo, e un singhiozzo che non avrebbe
mai
voluto, la fece sussultare sull'altalena. - Io
lo amo, Fleur.
-
Fleur
sorrise con tristezza, e si alzò per chinarsi davanti a
Tonks,
ormai in lacrime.
-
Ascoltami, Tònks.
Alcuni
dicono che pianjere
è
sbagliato, altri, invesce,
dicono che è justo. Persciò,
tu fai quello che ritieni possa farti bien,
sonza ponsare a sciò che
disce
la
jente.
Io non ho parlato che scinque
minuti
con le
Monsieur Lupìn,
ma capisco porquoi
ti
sei innamorata di il. Uomini
così jentili e
intelligents
non li fanno più nemmeno à
Paris.
-
Tonks
sollevò gli occhi e tentò di stiracchiare le
labbra in
un debole sorriso. - Peccato... - scherzò, ma nulla
nel
suo tono riusciva a risuonare allegro. - Avrei potuto trovarne
un altro un po' meno idiota... -
Risero.
Era una
scena più che incredibile da vedere: Fleur
Delacour, la
raffinata e, a detta di tutte le abitanti della Tana, sciocca
e
superficiale futura moglie di Bill Weasley stava ridendo in
compagnia di Ninfadora Tonks, l'eterna novellina pasticciona
dell'Ordine della Fenice, dall'umorismo e dal sorriso momentaneamente
a riposo.
- Vorresti rivederlo, Tònks?
O
forse, ponsi
che
sci
starai
pejio?
- chiese Fleur.
Tonks
la fissò intensamente, ponderando con tutta sè
stessa
la questione.
- Sì.
-
- "Oui, vuoi
rivederlo", ou
"Oui, t i
farà stare pejio"?
-
-
Voglio vederlo. Voglio essere sicura che lui stia... -
- Ne
pas courir, Tònks,
rallenta. Una volta scerta
che lui stia bene, riuscirai a vederlo senza souffrir?
-
Tonks
non rispose. Era vero. Come avrebbe reagito davanti a lui?
Era assurdo come non se lo fosse mai chiesta. E lui? Lui, cosa
avrebbe fatto? Una soffocante senzazione di ansia iniziò ad
attanagliarle lo stomaco.
- En
es-vous autoconvaincue?
-
- Come,
scusa? -
- Ne
sei scerta?
Ora, sai dire con scertezza
che
rejjerai,
vedendolo
ancora? -
Tonks
scosse la testa, impietrita. Anche questo era vero. Avrebbe resistito
alla tormenta che la visione di lui avrebbe provocato in lei? Sarebbe
stata in grado di ignorare tutte le sensazioni che la sua
presenza avrebbero sicuramente creato in lei?
- Fra
deux semaines, Tònks.
-
- Eh?
Cosa? -
- Deux
settimane.
Bill ha sentito quel Pitòn
parlarne
con Artùr, questa
mattina. Le
Monsieur Lupìn sarà
avec
nous ad
agosto. Tornerà pochi jorni
prima
che arrivi Arrì
- aggiunse Fleur,
con un sorriso raggiante. Si alzò in piedi,
afferrò le
mani di Tonks e la costrinse ad alzarsi. - Celle-ci
est l'occasione
justa
per
parler
avec Lupìn. Devi
dirgli tutto sciò che
hai detto e non hai detto a moi,
Tònks.
-
Tonks guardava
Fleur senza lasciar trasparire altro che la propria insicurezza.
Niente da fare: la vecchia Tonks sembrava andata proprio
in ferie.
- E se
non dovesse ascoltarmi? E se dovesse ripetere che... -
- Il
t'aime, Tònks,
ti ama. Ti ama ainsì
tanto che
fujje
pour non
farti male. Ma, nonostante sia ainsì
intelligent, Lupìn
resta
comunque un male,
un maschio. E che resti entre
moi et toi,
les
males fanno
sompre
cose stupide
di cui poi si pentono. Ma jeneralmente,
noi
femmelles abbiamo
ainsì
tanta
pazienza, che quando tornano a chiedere le nostre èxcuses,
il nostro perdono, noi non riusciamo a dire no.
Comprends-tu?
-
Tonks
ridacchiò leggermente, asciugandosi gli occhi
con una
manica della maglia. - Ho capito che sei una
femminista dichiarata, Fleur. -
Fleur
sorrise maliziosamente. - Les
males sce ne
fanno passare ainsì
tonte, che alla
fine, essere feministes, è
solo il minimo. -
Il viso
di Tonks si illuminò con un sorriso
divertito. -
Mercì,
Fleur - disse con una risatina.
-
De rien, Ninfadòra
-
-
Credevo
avessimo superato lo scoglio iniziale del mio nome. Tonks non ti
piace più? -
- Non
mi piasce
nè
Ninfadorà,
nè
Tònks.
Ma in
qualche modo devo pur chiamarti, juste?
-
- Molto
juste
-
- Mi
stai prendendo in jiro,
Ninfadorà
Tònks?
- disse Fleur scherzosamente, imitando alla perfezione lo sguardo
minaccioso di Molly Weasley.
- Solo
un peu
peu - ribattè
Tonks. Si sentì improvvisamente più leggera, come
sei i
suoi problemi, le sue paure e tutti i suoi tormenti si fossero
assopiti per permetterle di respirare.
- Fleur
- disse rivota alla schiena della ragazza, intenta a coprirsi le
spalle con un elegante golfino color panna. - Grazie. -
- Non
l'ho fatto per te, Ninfadòra:
parlare
migliora il mio englese,
quindi
non ti sci
abituare
troppo.
Courage,
è tardi. Non voglio che Molì
s'arrabbi
ancora. Non mi sopporta jà
abbastanza
di per sè. -
Tonks
non l'avrebbe mai detto, ma mentre seguiva la scia di profumo di
Fleur, si disse che Bill Weasley, era veramente un
uomo
fortunato.
°°°°°°°
-
Calima! -
Silenzio.
Irritante
silenzio.
-
Calima! -
La
porta della tenda si apre rapidamente. La giovane dai lunghi capelli
biondi irruppe nella dimora
di
Rouge con la prepotenza di un branco di centauri in corsa.
- Mi...
mi hai chiamato...? - boccheggiò, portandosi una mano al
petto.
- Sì,
Calima, ti ho chiamato - disse con disinteresse Rouge.
-
Posso... posso fare qualcosa... Rouge? -
- Sì.
Innanzitutto, respira.
E una volta che l'ossigeno ti sembrerà sufficente, vai a
cercare Bizèt.
-
-
Bizèt? Ma, Rouge! Sta sempre dall'altra parte del bosco! -
protestò Calima, sconvolta. Solo a una persona in tutta Jura
era permesso protestare a un ordine di Rouge. E... sì, avete
indovinato: Calima.
-
Mandaci Trick, allora. Non mi importa chi lo chiami, basta che sia
qui entro dieci minuti. -
-
D'accordo, Rouge. Vado a cercare quell'esserino rompiscatole. -
Si
soffermò davanti all'entrata della tenda, e voltò
il
capo verso l'amica.
- È
per quella strana boccettina che mi hai fatto rubare, vero? -
- In
parte. -
- Devo
dire a Ferk e Waskolf di piantare un altro palo? - chiese Calima, con
la stessa leggerezza con cui avrebbe potuto parlare di un paio di
scarpe. Se a Jura fossero esistite le scarpe, naturalmente.
-
Quanta fretta, Calima, quanta fretta... - rispose con
un ghigno divertito Rouge. - E ora muoviti: va' a
cercare
quella mezzapulce di Trick, e digli che se non si sbriga gli taglio
le orecchie. -
Calima
rise. - Povero Trick... ha il terrore che tu gli tagli le orecchie. -
- Secondo
te, perché glielo ripeto in continuazione? -
Calima
uscì dalla tenda ridacchiando; Rouge la
sentì strillare
il nome del ragazzino come un'ossessa, e sorrise
allietata. Per
quanto si sforzasse di insegnargliela, Calima non avrebbe
mai neppure
imitato la sua classe nel sbrigare la vita.
Si
sedette più comodamente sul suo giaciglio e si distrasse
contando mentalmente i secondi di ritardo accumulati da Trick. Non
riusciva a concentrarsi. Un solo pensiero continuava a balenarle
insistentemente nella mente.
Sono
curiosa di vedere come ne uscirai, questa volta.
Remus.
°°°°°°°
************************
A coloro
che anelavano a conoscere il destino di Lupin... mi spiace, dovrete
attendere il prossimo capitolo!
Bua-hua-hua-hua!!! (risata
perfida)
Ho
voluto centralizzare un po' l'attenzione su Tonks: poveretta,
c'è
anche lei nella storia, e se andavo avanti così, mi faceva
la
figura del contorno alla bistecca!
Per
quanto riguarda Fleur... non credo sia il caso di tradurvi tutto
ciò
che ha detto, (anche perché, come già in
precedenza, il
mio francese è un francese per modo di dire). Mi pare che il
senso resti comunque leggibile, no?
Ed
ora, i soliti, doverosi e sinceramente sinceri ringraziamenti a tutti
quanti!
Luna92,
ti ringrazio per tutti i complimenti, e ti chiedo umilmente di
perdonare l'attesa che preferisco prolungare su cosa
succederà
al povero Remus. Non mi espongo in inutili anticipazione, mi spiace!
^__^
HermioneCH,
grazie anche a te per i complimenti. L'unica cosa che posso dirti
è
che nella mia storia, Fenrir Greyback è un perfetto
imbecille,
purtroppo. (Dico purtroppo, perché 1) non penso che il
personaggio della Rowling lo sia; e 2) mi piace parecchio come
antagonista. Spero che il nono capitolo ti piaccia! Alla prossima!
MCat, adesso
non esageriamo! ^__^ Magari fossi un genio!!!! Grazie mille
per
l'eccessivo complimento, spero che il nono capitolo sia di tuo
gradimento.
GRAZIE
A TUTTI COLORO CHE CONTINUANO A RESISTERE INTEGRI, BELLI E SANI A
QUESTA LETTURA!!! GRAZIE 1000!
************************
SPERANDO
DI AGGIORNARE PRESTO,
Trick
vi saluta!!!
************************
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Capitolo Decimo - Il gioco della morte ***
************************
Diario
di un Lupo
in
un Branco di Lupi
(Versione
riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)
CAPITOLO
DECIMO
Il
gioco della morte
°°°°°°°
Le corte
e ossute gambe di Trick zampettavano ritmicamente fra le
antiche
rovine del villaggio di Jura, schizzando gocce di fango al loro
rumoroso passaggio.
Il suo
giocoso trotterellare guidava un secondo paio di gambe: alte e
allampanate, ripercorrevano le piccole orme lasciate dal
bambino
con l'andatura nervosa e metallica tipica di chi ha la testa immersa
in mille e forse più pensieri.
-
Chissà che vuole Rouge, da te - disse Trick, mentre si
atteggiava ad equilibrista con tanto di braccia tese su un
vecchio tronco caduto e marcito dal tempo. - Mica porta bene che lo
faccia, lo sai, Bizèt? Bizèt, mi sai ascoltando?
-
aggiunse, fermandosi a guardare l'uomo. Quest'ultimo,
proseguì
imperterrito nella sua camminata meccanica, lo sguardo perso nella
melma di Jura e le braccia rigide quanto tronchi di quercia, quasi
Trick fosse improvvisamente divenuto invisibile.
-
Bizèt! - gridò il ragazzino, mostrando
la propria
indignazione storcendo il naso.
Sbuffò
irritato e si sedette su un masso ricoperto da un leggero strato
umidiccio di muscio verdastro, continuando a scrutare
da lontano
l'ombra dell'uomo.
Uffa.
Hanno sempre tutti cose più importanti a cui
pensare.
°°°°°°°
Rouge
non parlò per dieci minuti.
Rimase
immobile sul suo barbaro trono, dondolandosi a ritmo di una nenia
infantile che non ricordava di aver mai saputo e
fissando
con i suoi occhi divertiti la sua ultima preda. Poteva quasi toccare
tutte le sensazioni che stavano straziando Remus
Lupin in
quel momento: l'agitazione aveva aumentato il suo respiro, che
inutilmente stava tentando di calmare; la consapevolezza del
destino che lo attendeva gli aveva conferito
uno sguardo fra
l'assoluto sconforto e la più tenace delle
temerarietà.
Un mostro feroce gli stava lentamente divorando le viscere, per
farvela breve.
Non
riuscì a resistere. Si costrinse a guardare Rouge.
- Fin
quando continuerà questa straziante tortura? - chiese, con
un
filo di vece.
- Temo
che questo sia il minimo che ti aspetta, Lupin. -
Lupin
inspirò profondamente, assottigliando le labbra.
- E, se
posso saperlo, come mi aspetta, dunque? - chiese ancora, tradendo nel
suo tono falsamente calmo il panico che aveva ormai preso
assoluto dominio su ogni sua azione.
Rouge
allontanò con un gesto secco del capo un ricciolo scuro che
gli era scivolato davanti alla fronte. Si passò
più
volte il lungo indice sinistro lungo il contorno della mandibola
marcata, pensierosa. Sogghignò.
- Ti
piacciono i fiumi,
Lupin? -
Lupin
sapeva che avrebbe detto qualcosa del genere, ma non riuscì
a
trattenersi dal trasalire. Era la sua fine. Ecco dov'era sfociata la
sua presunzione: in un'atroce e umiliante morte.
Ciò
nonostante, non riusciva a pensare a quanto vicina fosse la sua ora,
non riusciva neppure a crederci. Non era paura quella che provava.
Certo,
era anche paura, ma... qualcosa di più perfido della paura
gli
stava soffocando l'anima, qualcosa che non...
Non
le hai mai detto che la ami.
...riusciva
a spiegarsi.
Rouge
si alzò improvvisamente e il brusco movimento della sua
figura
riscosse Lupin dallo stato di apatia nel quale era
precipitato. Lei si avvicinò a lui, ma
continuò a
restare in silenzio, con quell'unico sorriso divertito a
testimonianza della sua infamia.
-
Maledizione, smettila - sibilò
inaspettatamente
Lupin, fissandola furibondo. - Falla
finita subito e
piantala di torturarmi.
-
Rouge
chinò il capo con un sorriso beffeggiatore,
mentre le
sue mani iniziavano a giocherellare negligentemente con il colletto
della sua logora camica.
- Perché tanta
fretta, Remus Lupin? -
Posò
un dito sul collo dell'uomo, che confrontato con le
gole massicce dei licantropi di Jura, sembrava fragile quanto
la
resistenza dell'ultima foglia delle quercie all'autunno. Lo
sentì irrigidirsi.
Iniziò
a disegnare una sottile linea retta suò suo petto,
attraversando quel torace di una magrezza e di una
gracilità a cui non era
abituata. Continuò
a fissare la reazione di Lupin, sogghignando divertita al
suo sguardo impietrito, che così ostinatamente
l'uomo
aveva concentrato sulla terra umida.
Rouge
afferrò con un gesto rozzo il suo mento, obbligandolo a
guardarla. Nell'ambra dei suoi occhi brillava la
più
angosciata confusione, e la donna si complimentò
del
risultato ottenuto.
-
Potrei ucciderti, Remus Lupin - gli
sussurrò. - O
potrei dire a Fenrir che ho avuto il piacere di incontrare la
spia dell'ambito Ordine della Fenice. Le sue mani non sembravano
intenzionate a fermarsi. - Tu hai qualche preferenza, in proposito? -
Assaporò
con lentezza il suo collo, piacevolmente divertita nel sentire i
muscoli di Lupin trasformarsi in marmo.
Lui la
afferrò per le spalle e la allontanò con
un gesto
secco, ben deciso a non fissarla negli occhi. Temeva lo
sguardo
folle di quella donna.
Lei
sorrise. - Non hai preferenze, in proposito, Lupin? -
Lupin
alzò il capo verso di lei e con uno sforzo che non
aveva
nulla di umano, la fissò. Aprì la bocca, senza
sapere
cosa avrebbe detto di preciso. La sua mente era completamente
annebbiata, persa in un confuso universo dalle più disparate
sensazioni.
- Temo
che tu non abbia capito l'antifona - esordì Rouge,
anticipando
qualsiasi mossa Lupin avesse progettato.
- Non
puoi scappare da me.
-
°°°°°°°
-
Lumos-
La
punta della bacchetta s'illuminò di una candida luce che
strappò al buio gli arredi della stanza. Arthur Weasley si
diresse immediatamente verso la cucina, ma gli unici segni di vita
erano una misera e striminzita piantina di cactus e un'edizione del
Settimanale delle Streghe risalente a due mesi prima.
-
Tonks? Tonks, dove sei? - chiese alla semioscurità che si
era
lasciato alle spalle. L'eco di una filastrocca canticchiata gli
arrivò alle orecchie, facendolo sobbalzare.
- Lupo,
lupo, vieni su... io paura non ho più. -
Avanzò
versò la porta che dava nel piccolo soggiorno
dell'appartamento e sbirciò attraverso uno
spiraglio,
visibilmente preoccupato.
-
Tonks...? - chiese, incerto.
- Io
paura non ho più... -
Fece un
respiro profondo e decise di entrare nella stanza. Ninfadora
Tonks era seduta su un modesto divano color violetto, le gambe nude
incrociate intente a dondolare l'intero corpo a ritmo della
canzoncina. Arthur studiò con le sopracciglie inarcate
di stupore le guancie arrossate della ragazza, i suoi occhi
lucidi e il sorriso che aleggiava sulla sua bocca. Non ci mise
molto a collegare lo strano comportamento della ragazza alla
bottiglia ambrata che stringeva fra le mani.
-
Tonks... - iniziò lui, ma dovette interrompersi al
suo
risolino.
Tonks buttò
il capo indietro e ridacchiò. - Ciao... -
disse, prolungando
esageratamente la pronuncia della lettera "a".
Arthur
sospirò. - Tonks, per tutti i rospi di Bristol,
sei completamente ubriaca. -
Per tutta
risposta, lei fece una pernacchia. - Bugia , sì,
sì
- biascicò lei. Tentò di portare alla
bocca la
bottiglia, ma Arthur la precedette e gliela strappò dalle
mani.
- Credo
che tu abbia bevuto abbastanza, Tonks - proclamò con un tono
che non ammetteva repliche, ma che non riusciva a suonare severo.
- Dammi,
Arnold,
dammi - borbottò la ragazza, portandosi la
mano
sinistra sul volto e allungando l'altra verso l'uomo.
-
Arthur.
-
- Arthur? Dove?
- chiese con innocenza, guardandosi attorno in cerca di una persona
invisibile, con tutta la velocità che il corpo le
permetteva.
Molto lentamente, quindi.
-
Tonks, andiamo in cucina. Ti preparò qualcosa di caldo, e
poi
ti accompagno a letto, d'accordo? -
Tonks
scosse la testa con enfasi. - No. -
-
Perchè "no"? -
Le
labbra della ragazza iniziarono a tremare. Tirò su col naso
un
paio di volte, e fissò Arthur con uno sguardo disperato. Lui
senti stringersi una morsa al petto, e si maledisse per la propria
incapacità di fare qualcosa per lei. Si chinò
davanti a
lei, fissandola intensamente.
- Non
voglio dormire. -
- Ma ti
farà bene - sussurrò lui dolcemente. - Fidati. -
Tonks
scosse inequivocabilmente la testa. - Non voglio. -
-
Perché? - chiese Arthur, la cui preoccupazione si faceva
più pesante secondo dopo secondo di quella
straziante visione. Come avevano potuto permettere
che si
riducesse in quello stato?
-
Non... voglio vederlo - borbottò Tonks, dondolandosi
avanti e
indietro, gli occhi sempre più lucidi fissi in un
punto
indefinito. - Non voglio... sognare di averlo con me. Non voglio
svegliarmi... e scoprire che... non
c'è
. -
Arthur
la fissò senza riuscire a dire nulla, senza neppure riuscire
a
immaginare cosa fosse più giusto fare in un simile momento.
Appuntò mentalmente di non accertarsi mai più
delle
condizioni di una giovane innamorata in crisi, per quanto Molly
avesse potuto minacciarlo.
- Non
ti andrebbe neppure una bella tazza di tè? -
Scosse
ancora la testa. Arthur sospirò nuovamente.
-
Non voglio che tu trascorra ancora la notte da sola,
Tonks
- esordì, con un velo di impazienza. - Vieni con me
alla
Tana. Per piacere. -
I
brillanti occhi scuri di Tonks guizzarono in direzione del viso di
Arthur.
-
Arthur, non voglio perderlo... -
Arthur
aprì la bocca per dire qualcosa che potesse suonare almeno
remotamente confortante, ma prima che potesse anche
solo formularne
il pensiero, Tonks si era gettata sulla sua spalla con una forza tale
che l'uomo fu costretto ad aggrapparsi alla spalliera del divano per
non cadere. I singhiozzi che scuotevano ora il corpo di Tonks
facevano tremare anche Arthur, a ritmo di una musica disperata
e svuotata di tutta la speranza.
-
Tonks... - mormorò lui, incapace di qualunque altra azione.
Arthur
sentì le mani di Tonks serrarsi maggiormente attorno al suo
mantello.
-
Arthur... cosa
devo fare?
-
Arthur
Weasley chiuse gli occhi e ispirò profondamente, chiedendosi
miseramente se mai una domanda gli avesse fatto più male.
°°°°°°°
La
lingua di Rouge sembrava non desiderare altro che marchiare a fuoco
la pelle di Lupin, tanto era il fervore con cui lo stava assaporando.
Ritornò avida alle labbra dell'uomo, la cui unica
ostentazione
di dissenso si limitava ad un rigido susseguirsi dei movimenti.
Ma
che diavolo stai facendo!? Fermati!
Rouge
sembrò leggergli nei pensieri, perchè
sollevò
rapida il capo selvaggio e lo imprigionò sotto il
suo
peso con una violenta manata al petto. Lo fissò dall'alto
con
un diabolico sorriso canzonatorio, decisa a gustare la
sua ultima preda come il boccone più
delicato al
quale si fosse mai trovata davanti.
Sei
in mano mia, Damerino.
Si
leccò le labbra con un gesto lento e smanioso, e si
abbassò
nuovamente su di lui.
Quella,
fu la prima volta in cui Remus John Lupin,
disprezzò il
piacere che una donna poteva procurare.
°°°°°°°
************************
Chiedo
immensamente scusa per un aggiornamento così indecorosamente
tardivo. Cercherò di non farlo mai più.
Be',
che dire. Decimo capitolo. How. Sono fiera della mia resistenza.
La
mia fida beta è stata inghiottita dal mostro delle vacanze,
ma
per non farmi odiare troppo, ho aggiornato lo stesso. Non merito un
abbraccio? ^__^
Christine,
se
sei una sostenitrice delle Remus-Tonks, probabilmente mi ucciderai.
Ti prego, ripensaci.
gollum93,
anch'io
ho sempre pensato a Fleur non come a un'ochetta tutta gonnelline e
tacchettini, ma a una ragazza semplice e
incredibilmente romantica.
Per quanto riguarda Calima... be', mi piace pensare che anche i
licantropi conoscano relativamente il significato dell'amicizia.
Luna92, ho sempre
immaginato il rapporto che due ragazze dai caratteri così
contrastanti potessero avere. E... mi spiace: per sapere cosa
succederà al ritorno di Remus dovrai aspettare...
XD
HermioneCH, stessa
cosa che ho detto a Christine: non uccidetemi se siete amanti
delle Remus-Tonks... vorrei prima veder realizzato il mio
Diario... ma sai che mi chiedo sempre cosa significhino le CH del tuo
nick???
Rue
Meridien,
non ho mai spiaccicato una parola di francese, ma da quando sono
andata a Parigi non riesco a farne a meno.... ah, Paris...
chissà
che non mi ricapiti di infilare ancora Fleur... be', tanto non te lo
dico: ti lascio sulle spine ancora un po'. Buahuahua!!! XD
muriel,
mi fa tanto piacere che ti sia piaciuta e non vedo naturalmente l'ora
di poter leggere la tua.
E
così concludo, sperando che l'Ari torni presto a sostenermi
nelle mie crisi d'ispirazione e che il Decimo Capitolo (Decimo!!!) vi
sia piaciuto nonostante la media lunghezza.
UN GIGANTESCO
BACIONE, Trick
************************
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Capitolo Undicesimo - Londra, qualche giorno dopo ***
************************
Diario
di un Lupo
in
un Branco di Lupi
(Versione
riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)
CAPITOLO
UNDICESIMO
Londra,
qualche giorno dopo
°°°°°°°
La
pioggia non sembrava intenzionata ad esaurirsi, o perlomeno a placare
il martellante impeto con il quale si stava abbattendo sul prato che
abbracciava la scuola di Hogwarts. Giganteschi nuvoloni
grigi si
stavano divertendo da ore a celare qualunque altro elemento un
cielo possa mostrare alla terra. Appena
visibile sotto
quello scroscio, un buffo ombrello a fiori rosa riparava, per
quanto gli fosse possibile, l'uomo dalle fattezze
più
grosse che riusciate a immaginare. I suoi occhi scuri
scrutavano fin dove le intemperie
permettevano, brillanti
di ansia ed eccitazione ormai da un'ora.
Rubeus
Hagrid si grattò distrattamente l'ispida barba scura.
-
Severus, ma che ci vuoi fare sotto questo diluvio? Vieni sotto
l'ombrello, che ci stiamo io e te - ribadì per la
centesima volta al mago che gli stava accanto. Questo, per
tutta
risposta... no, dimenticate l'ultima riga. Non si
degnò
di rispondere.
Hagrid
sbuffò sonoramente e allungò la mano
libera
dall'ombrello (grande come un coperchio di un bidone, se riuscite a
figurarvela) verso Piton, in modo che fosse riparato il più
possibile da quel diluvio.
- La
tua mano mi sta gocciolando sul mantello, Hagrid - disse, senza
preoccuparsi di celare la propria stizza.
-
Meglio le mie gocce della mano, che tutte le gocce del cielo. E se ti
prendi una malattia? Conoscevo un tizio che di nome
faceva Amarcus, e devi sapere che questo tizio... -
- È
in ritardo - lo interruppe bruscamente Piton, incrociando le braccia
al petto e continuando a fissare imperterrito davanti a sè.
-
E per colpa sua, mi sto bagnando.
Non
nego che la situazioni inizi a darmi sui nervi. -
- Mica
è colpa di Remus se tu non ci vuoi venire sotto al mio
ombrello con me - ribattè Hagrid, un po' scocciato. - Dai,
Severus, vieni sotto. -
-
Smettila! -
- Ma
che ti costa? Che ti bagni tutto! -
- Non
ho la minima intenzione di ripararmi sotto a quel tuo inutile
accessorio, Hagrid. -
Silenzio.
Hagrid
mosse lievemente l'ombrello verso...
- No. -
L'ombrello
tornò a coprire il suo proprietario. - Ma io mica
la
voglio sentire Poppy, se poi dopo ti prendi qualche accidente,
però.
-
- Eccolo -
disse Piton, accennando col mento a un punto indistinto del parco.
Voltò le spalle ad Hagrid e iniziò a risalire le
scale
verso il castello. Hagrid strizzò gli occhi verso il punto
indicatogli da Piton e la sua barba sembrò ingigantirsi
ancora
di più, tanto era grande il sorriso che gli si
aprì
sulla faccia. Solo dopo qualche istante, si rese conto che Piton
stava rientrando a scuola.
- Ehi,
ma dove te ne vai? Non aspetti che arriva fino al cancello? -
Piton
sbuffò sonoramente. - Non ero certo venuto per
Lupin, Hagrid. Mi dispiaceva
che tu dovessi aspettarlo da solo sotto questo nubifragio. -
Hagrid fece
per aprire la bocca, ma Piton sembrò leggergli nel
pensiero. Naturale, visto che sapeva
leggere nel pensiero.
- No,
non mi interessa accertarmi personalmente delle sue condizioni. Ma se
mai dovesse aver contratto un qualche germe potenzialmente mortale,
ti concedo il privilegio di informarmi della meravigliosa novella
seduta stante. -
Hagrid
lo guardò risalire le scale e immergersi nel calore della
Sala
d'Ingresso, con un'espressione confusa.
-
Grazie, Severus! - gridò. Ma, come potete benissimo
immaginare, nessuno rispose.
Che
strano uomo, Severus Piton.
°°°°°°°
-
Non
sognarti di andartene prima che io te lo abbia concesso, Remus, sono
stata abbastanza chiara?
Voglio ancora provarti la febbre e... -
- Non
ho la febbre, Poppy, ma... -
- E non
piace il colorito delle tue pelle. Per tutte le barbe fulminanti di
Merlino, sei pallido e... -
- Sono
sempre pallido, Poppy, ma... -
- E
scommetto che non hai neanche dormito! Ah, ma mi sente Silente! Oh,
se mi sente! Permettere a uno dalla salute cagionevole come la
tua di... -
- La
mia salute è meno cagionevole del solito, Poppy,
ma... -
- E non
ti ho mai visto con così tanti segni come in questo
momento, quindi sarà meglio che... -
- Ho
sempre il viso segnato, Poppy, ma... -
Madama
Chips portò le mani ai fianchi esili e lanciò
un'occhiata intimidatoria a uno degli allievi che avevano contribuito
a rendere la sua diffidenza in merito a ciò che i suoi
giovani
pazienti ammettevano o non ammettevano di aver fatto, incredibilmente
diffidente. Remus Lupin sorrise con innocenza.
- Sto
solo morendo di fame, Poppy. -
°°°°°°°
- Il
signor Lupin gradisce ancora un po' di pollo, signore? -
squittì
un piccolo elfo domestico dal lungo naso a matita, saltellando
energicamente da un piede all'altro. - O preferisce del porridge,
signore? Qualunque cosa, signore, e Dobby gliela fa avere, signore. -
- Ti
ringrazio, Dobby. Siete stati gentilissimi. Prendo volentieri un
altra porzione di pollo, e grazie ancora - disse con dolcezza
Lupin, posando il sesto piatto vuoto sul tavolo.
La
bocca dell'elfo si aprì in un sorriso che avrebbe potuto
contenere tutta la sua testa. Ed è tutto dire. - Dobby gli
porta subito il pollo, signore! -
- Non
dirmi che sono due mesi che non mangi, o è la volta buona
che
ti strangolo - s'intromise la professoressa McGranitt,
scrutandolo torva afferrare la settima pagnotta di pane.
Lui la
azzannò come se nei suoi trentasei anni di vita non avesse
mai
fatto un pasto decente, e la McGranitt si ritrovò a pensare
a
cosa poteva avergli fatto Jura per ridurlo in quello stato. I
capelli erano cresciuti a tal punto che scorgere i suoi occhi
sotto quella frangia bagnata e incrostata di fango risultava
praticamente impossibile; la parte del volto che la
barba lasciava visibile era pallida come non gliela aveva mai
vista. Qualunque parvenza di buona educazione sembravano
essersi eclissate misteriosamente. E dire che Remus
Lupin era stato forse l'allievo
più garbato e
malaticcio che le mura di Hogwarts avessero mai ospitato.
-
Diciamo che - rispose lui, inghiottendo un grosso boccone di pane, -
preferisco la cucina nostrana. -
- Sei
in ritardo, ragazzo - sbottò Malocchio Moody, seduto su una
sedia all'altro capo di uno dei lunghi tavoli delle cucine. Il
nervoso picchiettio della sua gamba di legno era irritante, ma
nessuno osava farglielo notare. - Di ottantatrè
minuti,
per essere precisi. -
- Mi
dispiace - disse Lupin, e per un attimo i suoi toni compiti e cortesi
ebbero la meglio sulla fame che, a quanto pare, lo stava mangiando a
sua volta. - Non ho potuto accellerare più di quanto abbia
fatto. -
- Ti
hanno seguito? -
- No,
non mi hanno seguito. -
- Hai
lasciato tue tracce mentre tornavi qui? -
- No,
non ho lasciato alcuna traccia. -
- Qualcuno
di loro sospetta qualcosa? -
Lupin
ringraziò Dobby per il settimo piatto che gli
serviva, e
addentò un'ennesima coscia di pollo, mentre con la mano
riempiva quello che doveva essere il quarto o il
quinto bicchiere di vino.
- No.
Nessuno sospetta di me. -
°°°°°°°
La luce
del quarto di luna illuminava i lineamenti stanchi e lo sguardo
sfiancato di Lupin. Silente si chiese se la sua
proposta di
mandarlo come spia a Jura, non fosse stata proposta in maniera
avventata, e se invece, avesse potuto trovare una soluzione
alternativa. Ma chi altro avrebbe potuto farlo, dopotutto?
- Credo
sia meglio se non perdiamo tempo - proferì Silente,
lanciandogli un'occhiata imperscrutabile al di sopra della lenti a
mezzaluna. - Avrai certamente bisogno di riposarti, Remus. -
- E di
una doccia - s'intromise Piton, squadrando Lupin con la
medesima
espressione che avrebbe potuto assumere in compagnia di una
Acromantula gigantesca. - Puzzi come un animale.
-
Un
ghigno divertito attraversò il volto di Lupin, che
non
potè trattenersi dal ribattere. - Sarà
una magra
consolazione, ma perlomeno ho un motivo sensato per avere i capelli
unti, Severus - disse con un tono di voce
così affabile
da rasentare l'ipocrisia.
- Basta
- li interruppe Moody, scoccando ad entrambi fugaci occhiate
d'avvertimento con l'occhio magico. La visione era... sì, la
definirei raccapricciante. -
Non siamo qui per assistere ai vostri inutili diverbi, vogliate
perdonarci - concluse bruscamente.
I due
maghi ebbero appena il tempo di scambiarsi un'ultimo sguardo prima
che la voce pacata di Silente li costringesse a riemergere dai
rispettivi ricordi d'infanzia.
- Hai
trovato appoggio da parte loro, Remus? -
- Non
ancora, professore. Ho creduto fosse ancora troppo
presto
per espormi a un simile rischio. Sono a Jura da poco
più
di due mesi, in fin dei conti.-
- Li
hai studiati, quindi? - domandò Moody, agitando la
mano
destra in un gesto impaziente. - E cos'hai scoperto? -
- Fenrir
Greyback non è la macchina da guerra che crediamo.
È
sadico e perfido, certo, ma non lo è di
più del
resto dei licantropi. La mia impressione è che
si lasci
manovrare da Voldemort come una bambola di pezza.
Temo sia
completamente al suo servizio. -
La
professoressa McGranitt, al momento intenta a
riaggiustarsi gli
occhiali che le erano scivolati al suono di
"Voldemort", s'inserì
finalmente nel discorso. - E hai anche avuto l'impressione che
tutto
il
resto del clan sia convinto di servire Vol
... be', avete capito di chi parlo. -
-
Suvvia, Minerva... - sospirò Silente. -
È solo un
nome, a conti fatti. -
La
donna voltò maggiormente il capo verso Lupin, decisa a non
dar
peso alle ultime parole pronunciate da Silente. - Allora,
Remus?
-
- Non
tutti gioiscono all'idea di
servirlo. Voldemort sarà
pure il più grande dei maghi oscuri, ma resta pur
sempre
un umano, e per loro, non c'è razza peggiore di
questa. -
Piton
sbuffò. - Non dirmi che dopo due mesi le uniche informazioni
che riesci a fornirci sono queste?
Mi auguro che tu abbia scoperto almeno qualcosa riguardo a una
certa... Rouge.
-
Lupin
voltò il collo così in fretta che lo
sentì
schioccare. Portò meccanicamente la mano sulla nuca e
fissò
accigliato Piton.
- È
inutile che mi guardi con quell'espressione da perfetto beota, Lupin.
Non sei l'unico ad avere contatti con i vecchi
amici.
-
I
Mangiamorte. Me l'ero scordato.
- Ho
avuto il piacere di incontrarla a una riunione di Mangiamorte, in
dolce compagnia di Greyback. E, mi duole terribilmente dirlo, ho
avuto la tua stessa valutazione a riguardo - concluse Piton,
lanciandogli un'occhiata sentenziosa.
Non
hai la più pallida idea di cosa significhi incontrare quella
donna.
- La
cosa non può che farmi piacere - mormorò Lupin,
nascondendo abilmente il proprio risentimento. Iniziava a
pensare che le informazioni che era in grado di fornire si sarebbero
rivelate perfettamente inutili. - È una donna tenace - si
limitò a dire.
-
Pericolosa? - chiese Moody.
Pericolosa?
Dipende da che parte del fiume la si guarda.
-
Sicuramente più di Greyback. È
intelligente,
scaltra e calcolatrice - rispose Lupin, senza riuscire a mascherare
il velo di disprezzo che aveva offuscato la sua voce roca. -
È
incredibile che sia riuscita a imporre il proprio dominio in una
società maschilista ed esclusivista come quella di Jura. -
- È
sempre meglio temere il burattinaio, che il burattino in
sè
- sospirò Silente, fissandosi pensieroso le mani rugose. -
Ben
fatto, Remus. Sono fiero
di te. -
Lupin
sentì un vago rossore sulle guancie e benedisse il fatto che
il sudiciume che gli ricopriva il volto e la barba incolta gli
nascondessero gran parte del viso.
- Credo
non ci sia più nulla da aggiungere, dunque - concluse Moody,
alzandosi e zoppicando verso le scale a chiocciola dell'ufficio.
- Lupin, se non dovessimo più vederci, sappi che
sei
stato uno dei miei soldati migliori. -
Lupin
scambiò un'occhiata eloquente con la McGranitt. - Grazie,
Alastor - si limitò a rispondere con gentilezza.
- Fai
attenzione - mormorò la McGranitt. Lui annuì. -
Non ho
intenzione di assistere a un tuo prematuro funerale, è
chiaro?
-
Lui
annuì con un debole sorriso.
Severus
Piton si alzò dalla sedia e imitò gli altri due.
- Con
me non si sono sprecati in simili sdolcinatezze -
sibilò,
passandogli accanto. - Comunque, puzzi.
-
Lupin
gli pestò l'orlo del mantello, e per poco Piton non
cadde
in avanti.
-
Perdonami - disse Lupin con un sorriso. - Non crederai che l'abbia
fatto intenzionalmente, vero? -
Per
tutta risposta, lui salutò freddamente Silente e
sparì
per le scale a chiocciola. Lupin tornò a posare gli occhi
sul
vecchio mago e aprì la bocca per congedarsi.
-
Remus... - sussurrò Silente, e Lupin si
chiese se
mai lo avesse visto l'anziano preside così provato come
in questo momento.
- Sì,
professore? -
- Sii
prudente. -
- Lo
sarò, professore. -
-
Sopratutto
con quella donna.
-
Lupin
fece un respiro profondo, e il suo volto si aprì in un
sorriso
di amara comprensione. - La mia mente è così
facilmente
decifrabile? - chiese.
- Per
un Legimens del mio calibro, sì, Remus. E ti prego - lo
supplicò, - cerca di sfruttare tutta la cautela di cui
disponi. -
Lupin
annuì, e incapace di aggiungere altro, si
affrettò a
raggiungere le scale.
- Non
voglio perdere anche te, Remus. -
Hai
sentito, Sirius? Dannato bastardo, ti sei portato via un
pezzo di
ognuno di noi.
°°°°°°°
- Come
ti senti? -
- Come
ieri, come l'altro ieri e come la settimana scorsa, Molly. -
Molly
Weasley guardò la giovane seduta al tavolo della cucina
della
Tana, studiò per l'ennesima volta il suo viso pallido e i
suoi
capelli color topo, prima di costringersi a fissare il giardino dalla
finestra socchiusa. Guardando il cielo, quella mattina, nessuno di
voi avrebbe potuto dire che solo poche ore prima la terra fosse stata
il palcoscenico di uno dei più grandi diluvi che
quell'estate
avrebbe visto. Strana cosa, il tempo, vero?
- C'è
il sole - disse Molly, come se questo fosse sufficente a rendere
meraviglioso tutto il resto della giornata.
- Che
bello - rispose Tonks, con il tono più piatto e indifferente
che avesse mai avuto.
Molly
Weasley stava per voltarsi per ribattere la prima cosa che potesse
smuoverla, quando il suo sguardo scorse un movimento fra
i curati fiori del giardino.
O
Merlino. E adesso?
Tonks
dovette accorgersi dello scatto agitato dell'altra
donna, perchè
allungo il collo, preoccupata.
-
Molly, è successo qualcosa? -
- No...
invece sì. -
- Sì
o no? -
Molly
la guardò con gli occhi fuori dalle orbite.
- C'è Remus.
-
°°°°°°°
************************
Et...
voilà!
Ho
aggiornato, non dico con la velocità di un lampo, ma quasi.
^__^ Mi stupisco di cotanto impegno.
E
a chi pensava che avrei finalmente fatto incontrare Remus
e Tonks... XP LINGUACCIA! Faccio la perfida
ancora per
un pochettino.
Sono
contenta di sapere che la mia Tonks ubriaca vi ha fatto piacere,
è
stata un'ispirazione del momento e temevo di esagerare.
gollum93,
se i sostenitori delle Remus/Tonks vorranno uccidermi, posso contare
sulla tua protezione??? Pleaaaaaaase..... p.s La tua storia era molto
bella, e non ho potuto non lasciare un commento. E già che
ci
sono: GENTE!!! Leggete "Sogni"
di gollum93! È di un agrodolcezza (si può dire?)
eccezionale. Un bacio.
Luna92,
lo so: Remus non si è dimostrato il massimo della
resistenza,
ma poverino, dopotutto non è che potesse mettersi
a strillare... p.s. Anch'io sono una fiera sostenitrice delle
Remus/Tonks, e mi sono quasi odiata per quello che scrivevo...
v__v Diciamo che ho litigato con la mia seconda
personalità. Un
bacio.
Christine,
temevo veramente che qualcuno mi avrebbe insultato. La mia povera
Beta-Ari (misteriosamente scomparsa, e io mi sto preoccupando...) ha
tentato di uccidermi via fax quando gli ho accennato la cosa. Spero
che ti piaccia anche l'undicesimo. Un bacio.
HermioneCH,
POTRESTI
PENTIRTI DEL MIO ASSASSINIO, spero che tu ne sia consapevole, indi
per cui, ti scongiuro, fermati... cercherò
di farmi perdonare per aver accoltellato la coppia Remus/Tonks. Un
bacio.
Svizzera!
Io adoooooro la Svizzera!
muriel,
spero
che tu riesca a trova presto l'ispirazione. quando va via è
una tragedia... v__v Sono decisa a finire questa storia, dovesse
costarmi tutta la costanza di cui dispongo.
Banzaaaaaaaaaaaiiiiii!!!!! Un bacio.
KylieMalfoy,
ho aggiornato più rapidamente che ho potuto, e spero di
poter
fare altrettanto con il dodicesimo. Anche
perchè... no.
Non dico nient'altro... XD Un bacio.
fennec,
eventuali particolare sono stati
naturalmente sequestrati
per i capitoli successivi... XD E
ora, permettimi una
domanda: la tua sete di curiosità è stata saziata
in
questo undicesimo capitolo??? Ho l'impressione che la risposta
sia tutt'altro che positiva, indi per cui, concludo
con un
bacio e con un vigoroso
CI
VEDIAMO AL PROSSIMO CAPITOLO,
Trick
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Capitolo Dodicesimo - Faccia a faccia ***
************************
Diario
di un Lupo
in
un Branco di Lupi
(Versione
riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)
CAPITOLO
DODICESIMO
Faccia
a faccia
°°°°°°°
Sapete
quanti secondi impiega il nostro cervello prima di essere in grado di
analizzare, e solo successivamente riconoscere, un determinato
elemento visivo? Non ne ho la minima idea, ma quando Remus Lupin
varcò la soglia della cucina della Tana, fu l'unico pensiero
che Ninfadora Tonks riuscì a concepire.
Se
solo si fosse sforzata di alzare gli occhi verso di lui, piuttosto
che ostinarsi a fissare la tazza vuota stretta fa le mani, sarebbe
sicuramente riuscita a leggere nello sguardo di Lupin
l'immensità
di parole che lui avrebbe voluto dirle, ma che invece, continuava a
nascondere con tutta la propria tenacia. Fu questione di pochi
istanti, il tempo sufficente ad un uomo di bussare a una porta e ad
una donna di aprirla, e lo stomaco di Tonks si accartocciò
come una pagina della Gazzetta del Profeta vecchia di due mesi,
bloccato come se nella sua bocca fosse stato infilato un macigno di
una tonnellata.
Lo
sentiva raggrinzirsi secondo dopo secondo, attimo dopo attimo di
quell'infinità trascorsa nella muta compagnia di Lupin.
Cosa
diavolo dove fare? Cosa diavolo faccio?
-
Remus! - esclamò Molly, che ripresasi dallo shock iniziale,
ora lo fissava raggiante - Arthur ci aveva detto che saresti tornato
presto, ma non immaginavo così presto! Suvvia, dammi il
mantello! Cielo, ma sei magrissimo! Remus, per tutte le fate di
Bristol! Hai mangiato!? -
Remus
sorrise timidamente. - Ho mangiato qualcosa a Hogwarts, non
preoccuparti. Ero... - si fermò titubante, senza degnare di
uno sguardo la giovane seduta al tavolo, ancora intenta a studiare i
fondi di tè nella tazza di ceramica. - Ero solo passato a
salutare - concluse con un altro debole sorriso.
-
Ci mancherebbe altro! E ti fermi a pranzo, così sono sicura
che mangi. Lancillotto
traditore!
Sei magro come un Asticello, guardati! -
-
Cosa? Oh, no, Molly, ti ringrazio. Ho ancora delle faccende da
sbrigare e... -
Si
bloccò di nuovo, mentre fissava titubante il sorrisetto
malvagio che aveva inarcato le piccole labbra di Molly.
-
Ho detto che resti a mangiare. Non
te l'ho chiesto -
decretò, voltandosi con una piroetta e avviandosi verso il
cortile. - Vado a cercare Ginny, così mi darà una
mano
ad apparecchiare. Tonks, cara, tu non preoccuparti di nulla, sei
ospite anche tu - aggiunse lievemente preoccupata.
Insomma,
nonostante con la magia le stoviglie potessero essere riparate con un
colpo di bacchetta, permettete che una casalinga risoluta come Molly
Weasley preferisse salvaguardare la loro integrità fisica
per
il maggior tempo possibile?
Tonks
scosse la testa e alzò gli occhi verso Molly. - Oh, no,
Molly,
ti ringrazio. Ho ancora... delle
faccende da sbrigare
- concluse con un movimento nervoso della mano che per poco non
costò
l'integrità fisica di cui vi parlavo della tazza vuota.
Il
sorriso di Molly si fece più ampio. Brutto segno.
-
Non costringermi a legarti, Tonks, cara - disse con voce premurosa. -
Torno subito, scusatemi un attimo. Oh, Remus, il te' è
ancora
caldo e... - sospirò, - Tonks sa dove sono le altre tazze. -
Sparì
dalla porta che dava al cortile canticchiando qualcosa di
incomprensibile, lasciandosi alle spalle uno dei più
imbarazzanti, angoscianti, inappropriati e sicuramente leciti silenzi
a cui la Tana avesse mai assistito.
°°°°°°°
Lupin
tossicchiò lievemente. - Be'... è bello
rivederti,
Ninfadora. -
È
bello rivederti? Ma sei scemo? Non hai trovato nient'altro nel tuo
repertorio di patetiche frasi pronte, Mister
Parola-Giusta-Al-Momento-Giusto? Hai un cervello del mio calibro a
tua disposizione... e mi usi con la stessa leggerezza di uno
spazzolino da denti?
Tonks
iniziò a torturare il singolare pendente che portava al
collo.
- Anch'io sono felice di vederti. Spero che tu stia bene, Remus. -
Speri
che stia bene? Ma sei scema? Due mesi! Due mesi, e non sapevi se
tornava, e non sapevi cosa faceva, e non sapevi se era vivo, e non
sapevi se morto... e tu cosa gli dici? Oh, ma che ci sto a fare io
nella tua scatola cranica se poi non mi usi?
-
Sì - mormorò lui, grattandosi distratto il mento.
- Sì,
sto bene. Tu... ehm... tu stai bene? -
Tu...
stai bene?? No, razza di idiota! Non sta bene! E ricollegami
immediatamente alla bocca, cretino: temo si sia staccato il contatto
principale.
-
Sto bene anch'io. -
Cos'è
che stai tu? Ah, ci rinuncio! Digli che stai male! Digli che ti
è
mancato! Digli che avevi paura di non rivederlo più! Piangi
se
è necessario! Anzi, piangi, in qualunque caso: gli uomini
s'inteneriscono con queste cose!
-
Bene. -
Bene???
-
Già. Bene. -
Bene???
-
Ci... ci sono novità al Ministero? -
Ci
sono novità... ci sono novità al Ministero!?
Razza di
rincitrullito penoso! Dille la verità! La sai la
verità,
io so che lo sai, e tu lo sai. Diglielo!
-
Caramell si è dimesso. -
Caramell?
No, no, no... l'argomento non interessa a nessuno! Digli che lo ami!
Santa Oloferne, apri la tua boccuccia e scandisci queste due dannate
paroline!
-
Ah, davvero? -
Fantastico.
Fantastico, Remus, fantastico. Fingiamo addiritura di essere
interessati a Caramell! No, no, ma vai... procedi pure per la tua
strada... cretino.
-
Sì. Ora è Scrimgeour il nuovo Ministro. -
Sono
sicuro che lui ne è molto felice, ma ti spiace aggirare
tutti
questi banali convenevoli e raggiungere il succo della questione che
interessa a tutte e due?
-
Ah. -
Sì,
ecco. Ecco, non potevi trovare nulla di più arguto da dire.
E
adesso, caro cretino, cosa fai?
-
Uhm. -
Giuro
su quanto è vero che sono un cervello che se avessi le gambe
uscirei dalla tua testa per trasferirmi nell'orto dei cavoli.
-
Cosa... cos'hai fatto hai capelli? -
No!
No, no, no, no! Sei-un-deficente!
-
Volevo cambiare. -
Prendilo
a pugni!
-
Non... non stai, insomma... nel senso, così... -
Cosa
stai cercando di dirle, imbecille di un imbecille, che non sta male?
Lei sta male e noi siamo morti. Sì. Sì,
è così.
Siamo sopravvisuti a Jura, e ora periremo qui, per mano di una
giovane che tu hai misteriosamente rifiutato, e qui aggiungo un altro
insulto al tuo non ascoltarmi, Remus.
-
Ah. -
Ok,
i monosillabi li hai finiti, ora diamoci un taglio, e
d-i-g-l-i-e-l-o!
-
Siamo patetici, Remus - sbuffò Tonks, dopo un minuto di un
silenzio che sarebbe benissimo potuto durare in eterno.
Puntò
lo sguardo sul viso segnato di lui, e per un attimo Lupin perse la
stabilità nelle gambe. Riuscì a camuffare
l'improvviso
tremolio aggrappandosi allo schienale di una sedia.
-
I miei sentimenti non sono cambiati in questi due mesi -
continuò
la giovane, mentre studiava ogni dettaglio del volto dell'uomo con
apprensione sempre crescente. - E non cambieranno certo con i
prossimi. -
Lupin
respirò profondamente, mentre seguitava a guardare le
proprie
mani strette saldamente attorno alla sedia.
-
No, Ninfadora, ti prego - la supplicò con voce strozzata. -
Non puoi... -
-
Amarti? - lo interruppe lei. Lupin sollevò la testa di
scatto
e si perse fra i luccicori dei suoi occhi, con le labbra leggermente
dischiuse in attesa che il cervello riprendesse il suo solito e
funzionale metodo di ragionamento.
-
Perchè è quello che sto già facendo,
Remus. E
guarda un po: sei
l'unico che vuole impedirmelo -
sibilò con una freddezza che non avrebbe mai desiderato.
-
Con ragione, aggiungerei. -
Lei
sgranò gli occhi e lo fissò con un sorriso di
falso
divertimento. - Con ragione? Un uomo probo e integro come Remus Lupin
crede che portarmi via il cuore, per poi calpestarmelo mille volte,
sia lecito? -
Lupin
mascherò rapidamente la fitta dolorosa che le parole di
Tonks
gli avevano creato in petto, e scosse la testa.
-
Ninfadora... -
-
Tonks.
-
-
Ninfadora, sei... -
-
Tonks.
-
-
Sei... - tentò di ricominciare lui, ma aveva la sensazione
che
la gola secca non gli avrebbe permesso nessuna risposta che superasse
le tre parole. - Sei giovane. Troppo per un uomo come me. -
Tonks
rise senza allegria, e Lupin si ritrovò a pensare, senza un
determinato motivo, a chi dei due fosse cambiato di più
negli
ultimi mesi. Il lato più evidente era che lei non era
più
lei. E questa consapevolezza gli appesentiva l'animo più di
quanto non fossero stati in grado di farlo i dodici anni che aveva
passato in solitudine. La guardò contare ad alta voce gli
anni
che li separavano, scandendo bene ogni numero.
-
...tredici, e quattordici. Oh, hai ragione sono tantissimi -
aggiunse, fingendosi stupita. Era di un'infamia quasi perversa il
modo in cui lei lo stava trattando. Si era scordata tutte le frasi
delicate e sensibili che Fleur le aveva fatto imparare a memoria. Ora
come ora, non riusciva a ricordarne neppure un quarto.
-
Pensa - proseguì, - in anni di cane sono novantasei. Una
cifra
veramente insormontabile, non trovi? -
-
Ninfadora, basta - proruppe lui, seccato.
Lei
trasalì di fronte al suo ordine imperioso, ma riprese
rapidamente il controllo e si alzò in piedi. I lati della
sua
bocca erano ancora incrinati in quello strano e inappropriato sorriso
divertito. E vi ripeto: sarebbe veramente potuto essere un sorriso
divertito, se solo le sue pupille non avessero danzato come se sotto
la retina si stesse agitando un mare in tempesta.
-
Tu
mi ami -
disse.
Tonks
alzò le sopracciglia, in attesa di una risposta che non
sarebbe arrivata. La considerò una piccola vittoria e
riprese
a infierire.
-
Perchè vuoi farmi del male? -
-
Voglio solo proteggerti. -
-
Non voglio che tu lo faccia se questo significa che non posso averti.
-
Era
vicina. Pericolosamente vicina. E Lupin era stremato. Orrendamente
stremato. Il lupo sembrava aver perso la cognizione dello spazio,
mentre cercava disperatamente di riaffiorare in superficie. L'uomo
non si accorse di averlo sconfitto, impegnato com'era a fissare tutto
ciò che lo circondava, meno che la ragazza davanti a lui.
-
Perchè io ti
voglio
- sussurrò lei, a un palmo dal viso di Lupin. -
Perchè
ti
amo,
Remus. E non ti permetto di impedirmelo - concluse, con la voce resa
impastata dall'imminente pianto. Sfiorò le spalle di Lupin e
appoggiò la testa al suo petto, lasciandosi sfuggire un
flebile singhiozzo. Non voleva piangere. Maledizione, non davanti a
lui. Strinse con energia la presa sul suo logoro maglione, quasi
temesse che potesse di nuovo svanirgli davanti agli occhi.
-
Ho paura di perderti, Remus - biascicò.
Lupin
si morse le labbra e strizzò gli occhi umidi, scuotendo il
capo con foga. La scostò delicatamente e cercò i
suoi
occhi attraverso la frangia di capelli.
-
Non posso amarti, Ninfadora - mormorò rauco. - Non voglio
vivere nel terrore di poterti fare del male, perchè non vuoi
capirlo? Questa è la mia vita, la mia maledizione. -
-
Io posso cambiarla. -
-
Nessuno può farlo. -
-
Tu... - iniziò lei, alzando il capo, - tu hai
mai provato,
a cambiarla? O hai continuato a non vivere fino ad oggi? -
Lui
non rispose, ma lasciò che parte di lui assimilasse e
silenziosamente confermasse quelle parole. Lei lo guardò un
ultima volta prima di posare con leggerezza le proprie labbra su
quelle di lui. Fu un contatto di pochi istanti, che riuscì
però a contrarre i muscoli del corpo di entrambi.
-
Non sperare di non trovarmi al tuo ritorno, Remus - mormorò
Tonks. - Ti aspetterei anche fino alla fine dei miei giorni. -
Fu
costretta a combattere contro il desiderio di baciarlo un'ultima
volta, ma una vocina dentro la sua testa gli disse che lui non glielo
avrebbe permesso ancora. Decise di Smaterializzarsi rapidamente a
casa, in modo che lui non avesse modo di ribattare e fosse costretto
a restarsene coi propri pensieri.
Una
volta che i contorni del salotto del proprio appartamento si furono
fatti meno sfocati, Ninfadora Tonks sorrise. Forse non aveva risolto
il problema, ma ora era certa, che lui la amava. E
non se lo sarebbe fatto sfuggire.
°°°°°°°
-
Hai proprio una brutta cera - esordì Arthur Weasley. - Un
altro goccio? -
Lupin
annuì un paio di volte, senza alzare lo sguardo dal tavolo
della cucina della Tana. Arthur si chiese se l'amico lo avesse
sentito realmente, o se la sua fosse semplicemente una reazione
automatica. Versò un altro goccio di liquido rosso nel
bicchiere di Lupin, facendo attenzione che nessuna gocce zampillasse
ribelle sul legno. Molly riusciva a vedere anche le macchie che non
c'erano, era sempre meglio evitare l'evitabile.
-
Grazie - mormorò Lupin, stringendo le dita attorno al
bicchiere, ma senza portarlo alle labbra.
Arthur
si grattò i pochi capelli rossi rimastigli sulla nuca, e
fissò
il viso pensieroso di Lupin.
-
È inutile fuggire, Remus. Lei non vuole sapere ragioni. -
Lupin
alzò lo sguardo, perplesso. Stava per chiedergli come fosse
venuto a saperlo, quando si rese conto di quanto stupida fosse in
realtà quella domanda.
-
Lei non immagina neppure lontanamente quanto siano rilevanti, per me,
quelle ragioni. -
Arthur
lo guardò divertito. - Sono così importanti,
Remus? -
Lupin
rispose con un'occhiata allibita. - Arthur, sono un licantropo. Non
posso permetterle di rischiare così la sua vita. -
-
Ma lei ti ama. -
Lupin
storse la bocca e bevve un sorso di vino.
-
E tu ami lei - continuò Arthur, con un sorrisino. -
Dov'è
il problema? -
-
Il problema è nel tenore di vita che si merita, e che non
sarò
mai in grado di offrirle; il problema è che lei è
giovane, e non ho intenzione di costringerla a gettare i suoi anni
con uno nelle miei condizioni - sbottò Lupin, muovendo
concitato le mani. Possibile che neppure Arthur lo capisse?
-
Costringerla? - ripetè lui. - Remus, l'unica cosa a cui la
stai costringendo e rinunciare all'amore. -
-
E a un futuro che non merita. -
-
Come puoi dire che il vostro futuro sarà così
orrendo,
se non lasci neppure che lei entri nel tuo presente? - eruppe Arthur,
mettendosi più comodo sulla sedia e portando il bicchiere
alla
labbra. - Io non ti capisco. -
Ecco.
Appunto.
-
Remus, hai visto Tonks, oggi, non è vero? -
continuò
Arthur. - Dimmi, l'hai vista? -
Lupin
annuì.
-
È in quello stato da quando sei partito per Jura. Mangia
poco
più di un Vermicolo, non la vedo ridere da giugno e la
settimana scorsa l'ho trovata ubriaca, Remus - disse Arthur,
fiaccamente. - Non puoi fingere che la situazione stringa solo te,
Remus. -
-
Deve dimenticarmi, Arthur. Non merita quello che io posso offrirle. -
Arthur
sorrise.
- Quale
donna non merita l'amore,
Remus? -
°°°°°°°
Ti
sfido, Selene, con quel tuo fare giocondo,
imprimilo
a fuoco nel tuo ventre rotondo.
Scegli
con cura i tuoi assi vincenti,
in
guerra impietosi saranno i fendenti.
Regina
di notte, ti credi sua sposa:
t'illudi
non poco. Mi sogna e riposa.
Ninfadora
Tonks scostò con un gesto stizzito la tendina che tante
volte
aveva protetto il suo sonno dalla debole luce mattutina. Chiuse gli
occhi per assaporare meglio la piacevole sensazione del vento, che
delicato le azzarezzava il viso, rabbrividendo ogni tanto quando esso
si approffitava della sua disponibilità, intrufolandosi
sotto
la sformata maglietta delle Sorelle Stravagaria, che quella notte era
stata promossa a pigiama.
-
Buonasera, Selene - disse, - sono io. -
La
maggior parte delle persone l'avrebbero probabilmente creduta
pazza, se avessero avuto l'occasione di vederla intraprendere
una conversazione con niente meno che la luna. Io non
sono
mai stata innamorata di un licantropo, non saprei spiegarvi
esattamente i motivi che portarono Ninfadora Tonks, in quella
ventilata notte d'agosto, ad aprire quella finestra.
Portò
alle labbra l'ultimo bicchiere di Idromele.
Ripensandoci,
forse un motivo riuscirei a trovarlo, ora come ora.
- È
tornato, sai? - continuò, incurante della stravaganza di
quell'incontro. - Oggi. E sai cosa mi ha detto, Selene? -
Le sue
labbra si storsero in un ghigno. Fortunatamente nessuno la vide,
perchè mai, come in quel momento, la sua espressione era
stata
più simile a quella di una Black.
- Ha
detto che non può amarmi. Immagini il motivo, Selene? -
disse
ancora, fissando il bicchiere che dondolava nella sua mano. -
Perchè
tu sei
la sua maledizione. E ora, anche la
mia.
-
Guardò
nuovamente l'astro, sporgendosi maggiormente dalla finestra.
- Siamo
in guerra, Selene. Tu ed io. Un giorno riderò della tua
sconfitta. Perchè lui vuole me. E tu, nella tua
immortalità,
non puoi sperare di amarlo. Bisogna essere vivi, per amare. Tu
hai il suo cuore, ma perchè gliel'hai strappato. -
Ho
intenzione di riprendermelo.
Ridi
e sghignazzi, Selene. Mi credi solo una pazza?
Sii
calma per ora: non sottovalutar la mia razza.
Arriverà
il tuo momento, arriverà la mia gloria,
e del
vostro legame non resterà che la storia.
Saluta
da ora il tuo pallido fiore;
senza
pietà verrà strappato al tuo amore.
°°°°°°°
************************
Ed
ecco qui il dodicesimo. (Dodicesimo!?!? Un applauso alla mia
resistenza)
Questo
capitolo mi ha fatto dannare: era già gaio e sorridente,
pronto per essere postato... e non mi si cancellano tre quarti della
storia??? O__O
L'Ari,
mia fida Beta e somma consigliere di infidi momenti di
anti-ispirazione è stata rapita dal mostro delle vacanze, mi
pareva di avervelo già
detto, indi per cui,
chiedo perdono se ci sono più errori di battitura del
solito,
a me scappano sempre e l'Ari ha l'occhio di lince in queste
cose...
ARI!!!!!!!
Stop.
Sono quasi totalmente certa che se la caverà. Bando alle
ciancie, indunque.
HermioneCH,
scusa se non ho potuto aggiornare più in fretta di
così,
ho fatto veramente del mio meglio. Spero che
l'incontro fra
quelle due povere anime ti sia piaciuto! P.s
Il cioccolato in Svizzera è davvero buono come dicono??? Un
bacione! =*
gollum93,
io adoro il personaggio di Severus Piton, con quel suo essere
misterioso e pungente, e mi sono sentita in obbligo di onorare un
personaggio che stranamente non sembra riscuotere un grande successo.
Accetto molto volentieri la tua protezione, cercherò di non
oltrepassare il limite del possibile... Non assicuro, naturalmente.
Un bacione! =*
fennec,
scusa ma questo aggiornamento non è stato altrettanto
rapido,
spero di poter fare miracoli con il prossimo. Hai centrato in pieno
il punto: Jura ha sconquassato un po' Remus... Voglio sapere dalla
tua curiosità cosa ne pensa del mio nuovo capitolo. Un
bacione! =*
Christine,
povero Piton... XD E io che pensavo di organizzare una colletta per
comprargli uno stock di shampoo + balsamo alla Coop. Un bacione! =*
Luna92,
lo sai, ho l'abitudine di tranciare nel punto più irritante
i
capitoli... siete stati fortunati, pensavo di farlo in questo in
maniera drastica. Spero ti piaccia, un bacione! =*
nebula91,
mi sei mancata! ^__^ Mi piace intervellare scene drammatiche a scene
più leggere, anche perchè mi sarei suicidata a
scrivere
un Non-So-Ancora-Quanti-Capitoli tutto a base di sangue, grida, e
angoscia... ç__ç Stripperei... Mi fa tantissimo
piacere
che gli ultimi capitoli ti siano piaciuti, un bacione! =*
KylieMalfoy,
grazie 1000! Spero che ti piaccia altrettanto anche questo capitolo!
Un bacione! =*
************************
Un
bacione gigante,
Trick
^__^
************************
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Capitolo Tredicesimo - Spie ***
************************
Diario
di un Lupo
in
un Branco di Lupi
(Versione
riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)
CAPITOLO
TREDICESIMO
Spie
°°°°°°°
Nessuno
degli assordanti rumori che le pulizie quotidiane della
cameriera del Paiolo Magico provocarono, riuscirono a strappare dal
profondo sonno nel quale si era lasciato precipitare la notte
precedente, Remus Lupin. La luce del sole, che facilmente era stata
capace di evitare le vecchie e puzzolenti tendine che
addobbavano la camera, gli illuminava quel poco del volto non
affondando nel cuscino, in un modo irritante per cui la maggior parte
delle persone si sarebbe svegliata di colpo, magari con qualche
feroce parolaccia, e avrebbe risposto con stressati brontolii
a
qualunque domanda gli avessero posto in giornata.
Remus John
Lupin, era quasi troppo stanco per respirare. Alzarsi
a
causa di una tenda semiaperta, era inconcepibile. Il semplice atto di
alzarsi dal letto era inconcepibile. Ma probabilmente lo era solo per
il diretto interessato, considerando che qualche non interessato
iniziò a bussare con insistenza alla porta della camera.
-
Aprimi - ordinò una voce scocciata. - Non ho certo
intenzione
di sprecare un'intera giornata, in cui potrei
tranquillamente dedicarmi a faccende di importanza
decisamente più considerevole, a farmi intrattenere
dalla
tua ridicola presenza, Lupin. -
Lupin
si rigirò scocciato fra le lenzuola. - Chi è? -
mugugnò
contrariato.
- Uno
fra i tanti che preferirebbero tu perdessi la
facoltà
di respirare. -
-
Severus? - domandò perplesso alla porta chiusa, mentre si
alzava per afferrare i pantaloni sgualciti. - Che ci fai qui? -
-
Pensavo di invitarti a fare un pic-nic, Lupin. Ti chiederei con
cortesia se hai di meglio da fare, se solo non sapessi che le tue
giornate trascorrono nel più patetico e monotono
dei
modi. -
Lupin
inarcò le sopracciglie, mentre si avvicinava alla porta e
allungava una mano verso la chiave nella toppa. - Perché ho
come l'impressione che tu mia stia prendendo in giro? - chiese,
aprendo la porta con un sorrisino storto. - Cosa vuoi, Severus? -
- Noto
con non poco piacere che Jura ti ha fatto il lavaggio del cervello,
Lupin. Non ti ricordavo così sgarbato. -
- Devo
dunque ringraziare la cortesia con cui i Mangiamorte sembrano averti
contagiato, se sto per accettare il tuo educato e signorile invito? -
- Ma
sei patetico, come sempre - ribatté con disgusto Piton.
- Come
pensi che io possa attraversare la soglia, se tu continui a sostarci,
senza un preciso motivo, sopra? -
-
"Remus, ben lungi da me disturbarti, ma devo
assolutamente parlare con te. Potresti, per
favore, permettermi
di entrare nella tua umile stanza d'albergo?" -
recitò
Lupin, gesticolando esageratamente. - "Oh, ma certo, Severus,
non preoccuparti. Entra pure." -
- Hai
finito? -
- Sì.
-
- Mi
fai entrare, adesso, o pensi di deliziarmi con il
bis del
tuo patetico monologo? -
- Sei
qui da dieci minuti e mi hai già chiamato
"patetico"
tre volte. Non esagerare con i complimenti, o
finirò per
innamorarmi di te, Severus - disse Lupin, prima di spostarsi
dalla porta e permettere a Piton di entrare nella stanza. Si
richiuse la porta alla spalle e lo fronteggiò.
- Deve
essere una questione incredibilmente importante, se è stata
sufficiente a costringerti a venire - iniziò gravemente
Lupin.
- Sono
qui su ordine di Silente - puntualizzò Piton.
- Non
avevo dubbi in proposito - esclamò Lupin,
sorridendo
divertito.
Piton
storse il naso, guardandosi attorno. Infilò la mano sotto al
mantello scuro, estrasse la bacchetta a con un gesto fluido
evocò
dal nulla un'elegante poltrona viola. Si accomodò e
fissò
Lupin con un sorriso sardonico. - Vorrai perdonarmi, ma visto
che non sembra usanza di casa pregare i propri visitatori di
mettersi comodo, ho preferito adattarmi per conto mio. Ma non
vorrei mai che tu mi giudicassi eccessivamente scortese, Lupin. -
Mosse
ancora una volta il braccio, e un vecchio e malmesso sgabello di
letto comparve a pochi passi da Lupin, che
fissò quella
specie di offerta di pace con un misto di
incredulità e
divertimento. Incrociò le braccia al petto e
sollevò
gli occhi verso Piton, diffidente.
- Ora
che ho avuto il piacere di assaggiare la tua innata simpatia,
credi sia il caso di svelarmi il misterioso motivo che ti ha condotto
a me? -
- Sono
stato troppo affrettato a crederlo ovvio, non avevo considerato la
stoltezza di voi Grifondoro, perdonami - disse, portando
la mano
sinistra al petto come se veramente fosse dispiaciuto. - Per
quelle,
Lupin. Per cos'altro? - aggiunse, indicando la camicia di
Lupin.
Lui
avvicinò automaticamente i due orli della camicia, tentando
di
coprire maggiormente i segni rossi che ancora spiccavano sul suo
collo.
-
Immagino siano i meno gravi - continuò Piton, con una
smorfia
annoiata.
- Da
quando la mia salute ti interessa? -
- Da
quando la tua salute è diventata essenziale per il
corso
di questa guerra, Lupin. Nulla di premuroso, sia chiaro. -
- Molto nobile
da parte tua - rispose Lupin, avvicinandosi alla finestra con
l'intenzione di aprire completamente le tende. - Puoi dire a
Silente che Madama Chips è stata così
gentile da
medicarmi al mio arrivo ad Hogwarts. Non ho bisogno di altro e
sono pronto a ripartire per Jura anche domani, se necessario. -
- Oh,
lo immagino - ribatté divertito Piton. Lupin aprì
violentemente le tendine, lasciando che la luce del sole
scivolasse sulla stanza, dal letto disfatto al profilo aguzzo
di
Piton. Attese qualche istante, e si voltò tentando
di
mitigare la propria rabbia.
- Mi
auguro che tu non stia supponendo che io brami a ritornare a Jura,
perché non riuscirei a sorvolare anche su questo commento,
Severus. -
-
Ringhia meno, Lupin, o finirò per dimenticarmi che sei
addomesticato.
-
Lupin
aprì bocca per rilanciare con una stoccata pungente.
-
Sirius, ti spiace sederti e iniziare a comportarti come l'uomo maturo
che teoricamente dovresti già essere? -
- Quello
ci vuole fregare, Remus, te lo dico io. Silente è un pazzo
se continua a credere che Mocciusus sia dalla nostra
parte,
adesso! -
-
Sirius, Silente ha sempre detto che ha dei motivi più che...
-
- Ed
è meglio che lasci in pace, Harry. O il Ministero
mi
dovrà innalzare una statua per avere cancellato il
suo
untume dalla faccia della Terra. -
-
Sirius, perché non sembri mai
aver voglia di
ascoltarmi? -
-
Perché tu lo difendi, e difendendolo, mi irriti, Remus. E
non
mi piace essere irritato. -
-
Io non lo difendo, ma sono convinto che dovremmo, magari non
dimenticare, ma sicuramente accantonare le futili divergenze
che
ancora ci impediscono di avere un buon rapporto lavorativo fra di
noi. -
- Ci
manca solo che mi tocca fare il carino pissi-pissi e
bacio-bacio con Mocciosus! -
-
Non mi pare di aver detto che devi andarci a letto, Sirius. -
- Ci
sta fregando. Va a finire che ci manda all'altro
mondo Silente, e allora sì, che avremmo delle gran
brutte
rogne. -
-
Uccidere Silente? Sirius, non crederai davvero che Severus potrebbe
farlo? -
-
Ne sarebbe capace. -
-
Sciocchezze. -
Lupin
si obbligò a porgere nuovamente le spalle a Piton,
socchiudendo gli occhi e respirando con placida lentezza.
-
Madama Chips ha sicuramente informato Silente delle mie condizioni,
Severus. Per quale motivo, sei qui? - chiese, dimostrando di non aver
perso completamente il senno nei due mesi trascorsi a Jura.
- Sei
un discreto Occlumante, Lupin, ma non abbastanza per
il mio
livello. Ti
ha scoperto. -
Lupin
non mostrò alcun segno di stupore. Aveva previsto
che
Piton sarebbe venuto a conoscenza di quel particolare
aggravamento della sua missione, ma non immaginava
che avrebbe dovuto discuterne direttamente con lui.
- E
questa volta, nonostante la mia perplessità
in proposito,
la colpa non è completamente
della tua totale inefficienza - proseguì Piton, fissandosi
tediato il dorso della mano destra.
Lupin
voltò il capo quel poco che bastava per scorgere la
sua
figura scura, comodamente rilassata sulla poltrona, con le
sopracciglia lievemente inarcate.
- Dimmi
che tu non sei coinvolto - sussurrò lentamente.
Piton
sogghignò. - Frena i tuoi bollenti spiriti,
Lupin. Anche
io sono sotto copertura; non potevo rischiare di essere smascherato.
-
Lupin
sgranò gli occhi. - Hai detto al licantropo
più
pericoloso di Jura che sono un infiltrato? - esclamò,
concitato. - Sei un folle! Come diavolo hai potuto
anche
solo pensare che io... -
- Non
le ho detto che sei un infiltrato, Lupin, mi hai forse preso
per
un idiota? -
A
giudicare dall'espressione ammutolita comparsa sul viso di Lupin,
sì.
- Rouge
è astuta e covava già parecchi dubbi sul tuo
conto.
Questo, va naturalmente ad aggiungersi all'inefficienza di cui ti
parlavo. -
- Cosa
le hai detto? -
-
Che fai parte dell'Ordine. -
Lupin
strinse i pugni violentemente, mordendosi le labbra per non
impazzire. - Come hai potuto... -
mormorò minaccioso.
- Non è
stato difficile - concluse Piton con indifferenza, alzandosi in piedi
ed estraendo la bacchetta per evanescere la poltrona e lo
scomodo e inutilizzato sgabello.
-
Quella donna mi ucciderà, Severus! - gridò Lupin,
squadrando Piton come se non desiderasse altro
che sbranarlo.
- Se
non l'ha già fatto, non credo lo farà in un
futuro
prossimo, purtroppo. E
se può esserti di consolazione -
aggiunse Piton,
avvicinandosi alla porta e ruotando la maniglia,
- Silente
è d'accordo con me. -
- Silente
è d'accordo con te, o tu sei d'accordo con Silente? -
sbottò.
- Fa
differenza? -
- Sì,
considerando che in ballo c'è la mia vita. -
- Non
credevo ti importasse così tanto, Lupin. -
Lupin
lo guardò confuso. - Che significa? -
- Sciocco
Grifondoro. Come pretendi che la gente creda che tua sia attaccato
alla vita, se sprechi le tue giornate affogandoti in un passato che
non potrà tornare. I tuoi prodi compagni sono morti, Lupin.
Svegliati.
-
Aprì
la porta e salutò Lupin con un gesto beffardo del
capo. -
E inizia a vivere realmente. Non mi va di combattere
i
Mangiamorte al fianco di uno stitico
sentimentale.
-
°°°°°°°
-
Molly, non so davvero come ringraziarti. -
-
Tonks, dillo un'altra volta e ti faccio sparire la bocca. -
Tonks
sollevò lo sguardo triste verso Molly, tentando si
stiracchiare un debole sorriso.
-
Bravissima, fammi un bel sorriso, d'accordo? Si sistemerà
tutto, vedrai. Gli uomini sono sempre un po', come dire... -
si
bloccò, sforzandosi di trovare un aggettivo con cui
definirli.
-
...uomini? - tentò Tonks, con un ghigno depresso.
- Sì,
uomini. Gli uomini sono troppo uomini, ecco qual'è il
problema. E ti dirò un'altra cosa: devi sempre pensare
che...
-
Toc,
toc, toc.
Molly
trattenne il fiato, lanciando un'occhiata fulminea a un bizzarro
orologio in bilico sopra una pila di lenzuola nel cesto della
biancheria in fondo al tavolo.
Tonks
scattò in piedi come se sulla sedia ci fosse stato un
ElettroSeggiolone dei gemelli Weasley. Afferrò la bacchetta
con un gesto deciso e la puntò, con la presa standard che
aveva appreso al Corso di Addestramento, in direzione
della
porta sul retro della cucina.
-
Non è Arthur - sussurrò Molly, alzandosi in piedi
e
aggrappandosi saldamente alla sedia. Lanciò un'occhiata
terrorizzata a Tonks.
- Non
aspettavi visite, vero? -
Molly
scosse il capo lentamente, mentre si avvicinava titubante alla porta.
Ogni singola cellula del suo corpo vibrava di paura, l'adrenalina
sembrava scorrere come un fiume in piena nelle sue vene.
- Chi è
là - squittì nervosamente, tormentando la
bacchetta con
le mani.
- Sono
io, Silente, e accompagno Harry. -
Tonks
sospirò e si lasciò cadere sulla sedia. Molly
aprì
la porta di scatto, borbottando qualcosa con gli occhi rivolti al
soffitto.
-
Harry, caro! Santo cielo, Albus, mi hai spaventato, avevi detto di
non aspettarti prima di domattina! -
-
Abbiamo avuto fortuna. Lumacorno si è dimostrato
più
facile da convincere di quando mi aspettassi. Merito di Harry,
naturalmente. Ah, salve, Ninfadora! -
Tonks
evitò di sollevò lo sguardo per non incontrare
quello
del Preside. In un differente momento avrebbe sicuramente
sottolineato la sottile eresia che il chiamarla con il proprio
nome di battesimo comportava, ma considerando il
disagio
in cui ancora una volta si sentiva perduta, si
limitò a
sorridere. Mi correggo: si limitò al vano
tentativo di
un sorriso.
-
Salve, professore - salutò con voce piatta. - Ciao, Harry. -
- Ciao,
Tonks. -
Strinse
con più forza le mani attorno al grosso boccale di
tè,
cercando di riprendere il
controllo. Non riusciva a
darsi una spiegazione logica, ma la presenza di Albus Silente la
rendeva particolarmente in imbarazzo. Tonks attribuiva la
colpa
alla discussione nell'ufficio dell'uomo, di soli pochi mesi
prima, e
all'imbarazzante modo in cui lei non era riuscita a controllarsi.
Non
resistette alla tensione la stava soffocando. - Meglio che
vada
- disse rapidamente. Guardò Molly, sperando che non fosse
troppo dispiaciuta per quell'improvvisa fuga. - Grazie per il
tè
e il conforto, Molly. -
- Per
favore, non andartene per causa mia - rispose educato Silente. Tonks
si chiese come diavolo quell'uomo fosse in grado di comprendere il
significato dietro ad ogni suo gesto. Era sempre riuscito a leggere
in lei, cose che neppure lei credeva di sapere di sé, fin
dal
suo primo anno ad Hogwarts. - Ho affari urgenti da discutere con
Rufus Scrimgeour - concluse Silente.
- No,
no, devo proprio andare - disse Tonks, alzandosi in fretta e
guardando qualunque elemento non si trattasse del Preside. Si direzze
rapida in direzione della porta, ogni singolo arto intenzionato a
svanire da lì nel minor tempo possibile.
- Cara,
perché non vieni a cena nel fine settimana? Ci saranno anche
Remus
e
Malocchio. - L'apprensione con cui Molly pronunciò il nome
di
Lupin era appena percepile nella sua voce ansiosa, ma non
sfuggì
alle orecchie di Tonks. Cercò di sorridere.
- No,
davvero, Molly... grazie comunque... Buona notte a tutti. -
Avanzò
rapidamente nel cortile, Smaterializzandosi con una piroetta a pochi
passi dal cancello, sentendo lo sguardo preoccupato di Molly Weasley,
penetrarle nella schiena.
°°°°°°°
La
pioggia le aveva reso pesante i capelli, da cui irritanti goccioline
continuavano a saettarle davanti agli occhi. Aveva gli abiti zuppi, e
muoversi in quel mantello era facile quanto cavalcare un Dorsorugoso
di Norvegia imbizzarrito. Strinse i pugni nelle tasche umide e
alzò
gli occhi verso la dondolante insegna di legno.
Le
lettere rosse che componevano le parole Al
Paiolo Magico,
erano praticamente invisibile attraverso quell'acquazzone.
Ninfadora
Tonks fece un respiro profondo.
Entro
o non entro?
°°°°°°°
************************
Fine
Capitolo Tredicesimo.
E
ora mi preparo ad essere linciata: lunedì inizio lo stage di
restauro, quindi potrei avere veramente poco tempo per continuare la
storia, ma giuro che farò del mio meglio.
Mi
pare doveroso sottileneare che la maggior parte dei dialoghi della
seconda scena, dove Tonks incontra Harry e Silente alla tana sono
esattamente quelli del Principe Mezzosangue, non me la sentivo di
cambiarli, erano perfetti così la
Rowling li ha scritti,
e nessuno potrebbe imitarla.
Ho
cambiato carattere, spero non vi dispiaccia, ma io non ce la facevo
più... *__*
Christine,
mi fa piacere che ti sia piaciuto il dialogo
Remus-cervello-Tonks-cervello. Volevo smorzare un po' la
serietà che il capitolo avrebbe altrimenti avuto,
e temevo che fosse un espediente patetico. Un bacio!
gollum93,
adoro le filastrocche, non posso farci niente.
E adoro
il fatto che a voi non dispiacciano! Grazie mille, un bacio!
Luna92,
grazie mille! Lo ripeto: mi fa piacere che vi siano
piaciuti gli
intralazzi con i due cervelli, perchè non ne ero molto
convinta. E mi fa ancora più piacere che le mie filastrocche
piacciano altrettanto. Un bacio!
HermioneCh,
cercherò di essere più veloce della luce,
prometto e
non garantisco!
KylieMalfoy,
grazie
anche a te. Spero non mi lincierete se vi ho tagliato qui il
capitolo... buahuahua! Perversamente malvagia!!!! ^__^
UN
GRAZIE GIGANTE E AL QUATTORDICESIMO CAPITOLO,
Trick
************************
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Capitolo Quattordicesimo - Sotto la luna ***
************************
Diario
di un Lupo
in
un Branco di Lupi
(Versione
riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)
CAPITOLO
QUATTORDICESIMO
Sotto
la luna
°°°°°°°
Ama
saziarsi della mia essenza,
quasi
fossi il unico amante.
Spicca
il suo viso fra le ombre della notte,
incurante
come sempre, della mia schiena tremante.
I
suoi passi risuonavano ovattati in quel corridoio illuminato a
malapena da poche torce appese ai muri scrostati e sottomessi alle
macchie d'umidità. Per la prima volta, oserei dire, in tutta
la sua vita, Ninfadora Tonks fu uno spirito spaurito, silenzioso e
muto. Percorse lentamente il tratto che ancora la separava dalla
camera 432, sorvolando senza occhiate particolari nessun'altra porta.
Continuò a mordicchiarsi nervosamente il labbro inferiore
finché non si ritrovò davanti all'ultimo,
imponente e
psicologicamente insormontabile ostacolo.
La
grossa porta di legno sembrava guardarla sprezzante, quasi volesse
sfidare la giovane a bussare. Tonks chiuse gli occhi e tentò
di calmare il proprio respiro, che negli ultimi dieci minuti era
aumentato in una maniera che aveva dell'eccezionale.
Torna
indietro. Torna indietro. Ti prego, torna indietro.
Stava
per voltare le spalle a quella beffarda soglia, quando
l'inconfondibile rumore di una chiave che gira nella toppa le
pietrificò le gambe.
“Ninfadora?”
Riuscì
a riconoscere solo dopo qualche istante di panico il proprietario di
quella voce roca. E ciò ha dell'incredibile, considerando
che
non desiderava altro che sentirla ancora.
Sentirla
per sempre.
“È
successo qualcosa?” chiese Lupin, consapevole di quanto
falso, in
realtà, suonasse il suo tono. Non era successo assolutamente
niente, o avrebbe ricevuto un messaggio molto più rapido da
parte di un qualunque membro dell'Ordine. Sperò con tutte le
sue forze che lei non se ne fosse accorta, mentre le fissava la
schiena fradicia. Ci mise un po' più del normale a
focalizzare
la macchia di bagnato che continuava ad allargarsi sotto gli anfibi
di pelle di drago di lei.
“Ninfadora,
sei tutta bagnata. Vieni dentro ad asciugarti”
mormorò.
“Stavo
giusto per andarmene a casa, grazie” rispose lei, continuando
a
dargli le spalle. Sentì un lieve fruscio, prima di sentire
le
mani di lui afferrarle con delicatezza il colletto del mantello e
sfilarglielo con grazia.
“Ti
prego, non voglio che ti ammali per causa mia”
ripeté
mestamente Lupin.
Lei
irrigidì i muscoli del collo e si voltò per
poterlo
guardare in viso. I suoi occhi caddero quasi immediatamente sui segni
rossi che la camicia semiaperta non riusciva a nascondere.
“Remus...”
disse agitata. Le sue mani scattarono in avanti, come se volessero
controllare personalmente l'entità di quelle ferite. Si
bloccò
all'ultimo momento, e umettandosi le labbra, alzò lo sguardo
verso il viso di Lupin.
“Ti
va una tazza di tè?” domandò lui, con
un sorriso
gentile sulle labbra sottili.
Maledette
siano le tue labbra...
Tonks
non riuscì a capacitarsi di quello che stava facendo.
Annuì.
°°°°°°
“Rouge?“
Calima
sbuffò spazientita, incrociando le mani con una smorfia.
“Trick, va' a vedere se riesci a trovarla dietro”
Il
ragazzino si grattò distratto una spalla e alzò
gli
occhi verso Calima. “Perché devo sempre farla io,
la fatica?
Vacci tu, per una volta”.
La
mano di Calima scattò rapida in aria e Trick chiuse gli
occhi
in attesa della proverbiale sberla. Li riaprì stupito solo
quando sentì la presa della mano di lei attorno al suo polso
sottile. Calima sogghignò, spostò la mano del
bambino e
si avvicinò al suo orecchio.
“Muoviti,
o dico a Rouge di tagliarti le orecchie”.
Trick
sbiancò, mentre ogni singolo muscolo della sua faccia si
contraeva dalla paura. Fece uno scatto talmente veloce, che quasi
inciampò nella melma di Jura. Calima scoppiò a
ridere,
mentre lo osservava correre come un folle, urlando qualcosa di
incomprensibile. Alzando lo sguardo verso la mezzaluna che le
sorrideva dal cielo, ringraziò il Fato di avere ancora alle
calcagna quel rompiscatole capace di farla divertire.
°°°°°°°
“Zucchero?”
“Sì,
grazie”.
Nessuno
dei due riuscì a dire nulla nel tempo che occorse a Lupin
per
preparare il tè; Tonks si limitò ad osservarsi le
dita
come fossero la cosa più interessante in quella stanza,
mentre
lui continuava a guardare a destra e a sinistra qualunque cosa
potesse impegnarlo nel più silenzioso dei modi.
Tonks
smise di studiarsi le mani e fissò la schiena di Lupin,
cercando il coraggio di domandare ciò che più le
stava
a cuore in quel momento. Sospirò senza volerlo, e lui si
irrigidì, in attesa.
“Quando
dovrai tornare a Jura?” disse debolmente.
“Probabilmente
verso i primi di agosto”.
“E...”
iniziò Tonks, mordicchiandosi le labbra per cercare di
moderare l'agitazione.
“Non
tornerò prima di Natale” la precedette Lupin.
Tonks
ebbe la sensazione che non sarebbe più riuscita a trovare il
respiro: un incolmabile vuoto si era appena aperto nel suo stomaco, e
si maledisse mentalmente per aver accettato quel dannato tè.
Lupin
versò la stessa dose di tè in due modeste tazze
bianche, e facendo attenzione a non sporcare i rispettivi piattini,
si avvicinò alla poltrona su cui Tonks si era accomodata. Si
accorse di quanto le mani di lei stessero tremando, e ritenendo che
un'eventuale pasticcio non fosse l'ideale per tranquillizzare Tonks,
decise di scegliere l'opzione
che
Sirius preferiva più di ogni altra: bugia
a fin di
bene.
“Il
tè è bollente” mentì,
“credo sia meglio
aspettare che si raffreddi, se non vogliamo trascorrere la notte al
San Mungo con la lingua ricoperta da fastidiose bolle.”
Tonks
ridacchiò
sommessamente.
“Quanto
sei rimasta sotto la pioggia, Ninfadora?” domandò
improvvisamente Lupin, squadrandola torvo.
“Tonks,
Remus” lo corresse rapidamente lei. “Solo Tonks.”
Lui
sorrise, suo
malincuore. Avrebbero potuto discuterne per il resto della vita, se
solo Lupin, in quel momento di apparente tranquillità, fosse
stato più sincero con sé stesso.
“Non
hai risposto alla mia domanda”.
Lei
respirò
profondamente, e stiracchiò le labbra in un sorrisetto.
“Non
tanto”.
“Allora
hai un concetto del non tanto notevolmente
discutibile” rispose lui, con tono rassicurante.
“Torno subito”.
“Dove
vai?” chiese Tonks, un po' troppo in fretta.
Lui
si voltò e
sorrise debolmente. “Non voglio che tu prenda il
raffreddore”.
°°°°°°°
“Che
stai facendo?”
Rouge
non si mosse
minimamente. Continuò a scrutare la volta celeste come se
volesse leggere fra le costellazioni il futuro della propria gente.
Ed effettivamente, era quello che cercava di fare, ma non aveva mai
dato eccessiva importanza a quel genere di superstiziose credenze, e
perse presto la pazienza.
“Niente
di particolare”.
“Possiamo
non fare niente di particolare
con te?”
Rouge
inclinò il
capo verso di loro e si spostò a sinistra, in modo che sul
freddo masso sul quale si era seduta, comparisse abbastanza posto per
tre persone.
°°°°°°°
Tonks
infilò la
testa nel piccolo e modesto bagno della stanza. Le piastrelle
azzurrine erano velate di una patina verdognola, e la giovane
dubitò
fosse una trovata estetica del vecchio proprietario del Paiolo
Magico.
“Mi
hai chiamato?” chiese a Lupin, al momento occupato a
sistemare un
asciugamano su una mensola dall'aspetto instabile.
“Sì,
e per un fugace attimo ho creduto che non saresti venuta”.
“Forse
dovresti iniziare a chiamarmi come fanno tutti”.
“No,
non credo” rispose, passandole davanti e iniziando a cercare
qualcosa in un vecchia e consunta valigia. “C'è un
asciugamano pulito sulla mensola nell'angolo, e se vuoi farti una
bella doccia calda, il sapone è nel secondo
cassetto”.
Prese
una maglietta
bianca dalla valigia e la tese a Tonks, che la afferrò
titubante fra le braccia.
Se
solo capissi cosa gli passa per la testa.
“Mi
spiace” disse lui, “ma temo di non poterti offrire
nulla che sia
anche solo lievemente migliore di questa vecchia maglietta”.
“Grazie”
borbottò impacciata.
Se
solo lui avesse immaginato quanto sembrasse prezioso agli occhi di
lei, quell'indumento.
°°°°°°°
“Lo
sai da dove veniamo, Trick?” disse Rouge, muovendo annoiata
la mano
verso il cielo.
“Dalla
piazza, Rouge” rispose prontamente Trick, mentre strizzava
gli
occhi per concentrarsi meglio sulla disposizione di quei puntini
luminosi.
Calima
ridacchiò.
“Rouge, non puoi dargli torto, questa volta”.
Rouge
lanciò
un'occhiata a Trick che sarebbe potuta sembrare minacciosa, se solo
gli angoli delle sue labbra non fossero stati rivolti verso l'alto.
“Intendevo
da cosa discendiamo.”
Trick
la guardò
con le fini sopracciglia aggrottate. Rimase in silenzio un attimo,
prima di decidersi a scuotere la testa. Calima rise di nuovo nel
vedere la sua espressione confusa.
“Perché
ridi?” esclamò Trick, con il broncio.
“Non lo sai neanche
tu!”
“Sì,
invece” si gongolò Calima, guardandolo divertita.
“A me,
Rouge l'ha già raccontata questa storia”.
°°°°°°°
Lo
scroscio dell'acqua
sarebbe stato rilassante se Remus Lupin fosse stato in grado di
concentrarsi. Cercò di distrarsi con qualunque modo
possibile,
ma ogni volta il fragore della doccia lo riportava al pensiero dal
quale stava disperatamente tentando di fuggire.
Se
solo lei avesse
immaginato quali sensazioni il sentirla così vicino a lui,
gli
stava procurando.
°°°°°°°
“Sai
chi è Selene,
vero?”
“È
la luna!” rispose Trick, orgoglioso di aver risposto
correttamente
almeno a quella domanda.
Rouge
annuì con
un sorriso, senza abbassare gli occhi dal pallido astro. “E
sai chi
è Endimione, Trick?”
“È
uno del nostro gruppo?”
Calima
e Rouge risero di
nuovo.
“Ma
no, cucciolo di lupo,
non dire sciocchezze” lo rimproverò
affettuosamente Rouge.
“Endimione era un giovane bellissimo ed un potentissimo
re.”
Trick
la fissava con la
bocca semiaperta e gli occhi brillanti di ingenua curiosità.
“Selene
s'innamorò di
lui”.
°°°°°°°
“Remus,
ho steso i vestiti bagnati al filo che c'è appeso in
bagno”.
“Hai
fatto bene”.
“Ok”.
Lupin
portò la
tazza alle labbra.
“Com'è
il tè?” chiese Tonks, indicandolo con un cenno del
mento. La
maglia bianca le era fin troppo lunga: l'orlo inferiore quasi le
sfiorava le ginocchia pallide. Lupin si sforzò di non alzare
lo sguardo sulla trasparenza che lasciava intravedere il reggiseno
scuro di lei.
“Freddo”.
°°°°°°°
“Rouge,
se è una storia d'amore non voglio sentirla. Che
schifo”
aggiunse, con un moto di disgusto.
Rouge
sorrise, e
continuò a fissare silenziosa il cielo per alcuni minuti.
Trick
la guardò
con un'espressione perplessa. “Cosa successe a
Selene?” domandò
piano.
“Avevi
detto che non volevi saperlo”.
“Per
piacere?”
Calima
sgranò gli
occhi verso il bambino. “Cos'hai detto?”
esclamò. “Rouge,
l'hai sentito?”
Rouge
non distolse gli
occhi dal cielo. “Chi te lo ha insegnato?” chiese,
divertita.
“Bizèt”
rispose a mo' di giustificazione Trick.
Il
sorriso di Rouge si
allargò maggiormente. “Dovrò fargli un
bel
discorsetto, quando torna.”
°°°°°°°
“Ti
sei fatto vedere quelle ferite?” domandò
debolmente Tonks.
Lupin
annuì con
un sorriso. “Credi che Madama Chips mi avrebbe permesso di
allontanarmi da Hogwarts, se non fossi stato nelle condizioni per
farlo?”
Lo
sguardo indagatore
che lei lanciò nella sua direzione, gli fece capire che la
sua
risposta non le era affatto piaciuta.
“Non
devi preoccuparti per me. Sto bene”.
“Perché?”
“Perché
sto bene?”
“No.
Perché non dovrei preoccuparmi?”
°°°°°°°
“Selene
non poteva permettere che la Morte gli portasse via Endimione,
così
lo fece cadere in un sonno profondo. Ed eterno”.
“Eterno?
Cioè... non si svegliò più?”
chiese stupito
Trick. “Perché?”
“Vuoi
sapere perché non si svegliò
più?”
“No.
Perché far addormentare per sempre la persona che ami, se
poi
non potrai più stare con lei?”
Calima
scoppiò a
ridere. “Il nostro cucciolo è un
romanticone!” lo derise.
Trick
arrossì.
“Non è vero!” protestò.
“Sono solo curioso, tutto
qui!”
“Credo
che lo abbia fatto solo perché lo amava, Trick”
spiegò
Rouge. “In questo modo, dopo ogni tramonto, avrebbe potuto
vederlo
in eterno”.
“Chissà
che bella compagnia dev'essere, uno che dorme sempre...”
borbottò
Trick.
°°°°°°°
“Non
puoi pretendere che io non mi preoccupi per te, Remus”.
“Non
posso permettermi di non tornare a Jura, Ninfadora. Potrei venire a
conoscenza di dettagli essenziali per l'Ordine”
ribatté lui,
mentre l'agitazione continuava ad attanagliarlo.
“Sono
così importanti?”
“Potrebbero
decidere le sorti della guerra, oppure potrebbero essere
completamente inutili. L'unica certezza è che qualcuno deve
farlo”.
Tonks
strinse le labbra,
e fissò in silenzio il liquido ambrato nella tazza per
diversi
minuti, prima di alzare di nuovo gli occhi su di lui.
“Perché
non vuoi stare con me?”
°°°°°°°
“Mi
stai dicendo che discendiamo da un essere umano!?”
urlò
Trick, schizzando in piedi. Rouge scoppiò a ridere.
“È
solo una leggenda, Trick!” esclamò Calima, fra una
risatina
e l'altra.
“Ah...”
mormorò il bambino, calmandosi improvvisamente e
rimettendosi
a sedere. “Non ti avrei creduto.”
“Perché?”
°°°°°°°
“Ninfadora,
guardati attorno” disse Lupin, fissando implacabile Tonks.
“È
questa la vita che vuoi?”
“Sì,
se tu sarai in quella vita”.
Lupin
non riuscì
più a sostenere il suo sguardo brillante, e dovette
abbassare
la testa.
“E
tu lo vuoi quanto me” continuò Tonks, mentre la
voce si
faceva più sottile, più vicina al semplice soffio
che
alle reali parole. “Vorrei capire da cosa fuggi,
Remus”.
“Da
te, Ninfadora”.
°°°°°°°
“Gli
umani sono deboli” iniziò Trick, annuendo alle
parole che
pronunciava, cercando di incrementarne la veridicità.
“E ci
odiano”.
“Hanno
solo paura, Trick “rispose Rouge. “E nella loro
debolezza, è
comprensibilissimo”.
“Tu
non li odi, Rouge?”
“Non
meritano neppure il nostro odio. La cosa più intelligente da
fare, sarebbe ignorarli completamente e fingere che Madre Natura non
abbia mai fatto l'errore di affiancarceli in questa vita”.
“Ma
così moriamo di fame!”
°°°°°°°
“Da
me o da ciò che comporterebbe stare con me?”
domandò
a bruciapelo Tonks, dopo essersi ripresa dallo shock che le parole di
lui le avevano procurato.
Lui
alzò gli
occhi, ma non rispose.
“Perché
se mi rispondessi che è da me che stai fuggendo, io non ti
crederei. L'unica cosa da cui continui a scappare, è dalla
tua
dannata paura di vivere, Remus”.
°°°°°°°
Rouge
si sfilò il
pesante mantello dalle spalle, con un'eleganza che non avreste mai
attribuito alla leader indiscussa di un branco di licantropi.
Coprì
il corpo rannicchiato e profondamente addormentato del bambino
accanto a lei, con un sorrisino.
“Il
solito maleducato” commentò Calima con un sorriso.
“Si è
addormentato mentre parlavamo.”
Rouge
scompigliò
i capelli di Trick con fare affettuoso, e rimase a fissarlo per un
istante.
“Mi
sembra ieri che Waskolf tornò al villaggio con
quell'esserino
tremante fra le zanne” disse.
“E
invece sono già trascorsi sei anni”.
“Non
erano cinque?”, domandò Rouge.
“No”.
Rouge
annuì. “Sei
sempre stata più brava di me a ricordarti queste
cose”.
“Peccato
sia l'unica cosa che ricordi”.
Rouge
la fissò
con le pesanti sopracciglie inarcate.
°°°°°°°
“Ogni
mese, Ninfadora, ogni dannato mese”.
“Perché
non riesci a capire che per me non è un problema?”
“Perché
lo è per me” ribatté Lupin, alzandosi
nervosamente
dalla poltrona, ed avvicinandosi alla finestra a grandi falcata.
“Non
posso permettere che ti accada qualcosa, Ninfadora. Morirei,
piuttosto.”
“E
io morirei, piuttosto che abbandonarti. Vedi te, quello che puoi
fare, a questo punto.”
Lupin
scostò
leggermente la tendina, in modo che gli fosse possibile vedere la
mezzaluna stagliata sul cielo di Londra.
°°°°°°°
“Non
ti sei mai chiesta cosa ne sarebbe stato della tua vita, se non
fossimo state portate qui?” domandò Calima,
fissando il
cielo stellato. “Se non fossimo state morse... cosa ne
sarebbe
stato di noi?”
“Da
quanto ti assilla questo dilemma?”
“Come
fai a saperlo?”
“Calima,
ti conosco da quando avevi cinque anni. Non pretendere che io non
riesca a leggerti nel pensiero”.
“Anch'io
ti conosco da undici anni. E non sono mai riuscita a farlo”.
Rouge
rise. “Non dirmi
che Bizèt ti ha insegnato a fare di conto.”
°°°°°°°
Tonks
lo guardò
avvicinarsi alla finestra, studiò il suo viso malinconico
riflesso sul vetro della finestra. Lo vide fissare insistentemente la
luna. Appoggiò la tazza sul tavolino davanti a sé
e,
cercando e sperando nello stesso momento di non cadere e non
provocare qualche imbarazzante disastro, si avvicinò alla
sua
schiena.
°°°°°°°
“Ricordi
qualcosa” esordì Rouge, distogliendo gli occhi dal
cielo per
scrutare la reazione sul viso dell'amica. “C'è
qualche
dettaglio che non ti dà pace, non è
così?”
Le
labbra di Calima si
contorsero in un sorriso amaro. Annuì lentamente.
“Se
ne parli, starai meglio” le consigliò Rouge,
tornando a
guardare le stelle.
Calima
ridacchiò.
“Che ipocrita. Se non te lo dico, mi costringesti a restare
qua per
tutta la notte!”
°°°°°°°
Lui
si era sicuramente
accorto che Tonks non era più sulla poltrona. Era riuscito a
sentire i suoi passi nel corridoio attraverso la porta chiusa e il
suo sospiro sommesso, nonostante lo sbuffo della teiera. Gli occhi di
lei guizzarono dal viso di Lupin, illuminato teatralmente dalla luce
azzurrina della luna, al profilo candido della luna al di là
della finestra. Posò una mano sul vetro freddo, nascondendo
la
vista dell'astro ad entrambi.
“Dimenticati
di lei” sussurrò al suo orecchio. “Fa
finta che non
esista. E ora che lei non esiste più, prova a ripetere che
non
mi vuoi”.
°°°°°°°
“Non
è proprio un ricordo” tentò di spiegare
Calima, “è
più... una sensazione.”
“Una
sensazione?”
“Sì,
una specie di... di sensazione, Rouge, non so come
spiegartelo”
concluse Calima, avvicinando fra loro le mani e iniziando a
studiarle.
“È
una bella sensazione, almeno?”
Calima
sorrise, quasi
fosse persa davvero in un ricordo lontano.
“Sì”.
“Allora,
tientela stretta.”
°°°°°°°
Lupin
sorrise con
tristezza davanti al gesto delicato di Tonks. Lei posò
l'altro
mano sulla sua spalla, iniziando ad accarezzargli la schiena. Lui
chiuse gli occhi, aggrappandosi disperatamente al suo raziocinio. Le
mani di lei lo abbracciarono, come se temessero che la sicurezza
della sua camicia sotto la pelle delle braccia nude, potesse svanire
da un momento all'altro. Di nuovo.
“Voglio
fare l'amore con te, Remus”.
°°°°°°°
Olè!
Fine quattordicesimo capitolo!
Non
preoccupatevi, vi lascerò col fiato sospeso per poco, lo
giuro! XD
Purtroppo
in questo periodo ho veramente pochissimo tempo per mettermi al
computer, ma pur di finire il Diario sono disposta a non dormire!
XDXDXD
Un
grazie immenso a Christine, gollum93, LylieMalfoy, Luna92 ed
HermioneCH.
Un
bacio a tutti quanti, Trick.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Capitolo Quindicesimo - A Natale ***
************************
Diario
di un Lupo
in
un Branco di Lupi
(Versione
riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)
CAPITOLO
QUINDICESIMO
A
Natale
°°°°°°°
A
volte, ci sono storie la cui fine è scontata e inevitabile.
A
volte, invece, il destino preferisce destreggiarsi beffardo con i
propri attori, ed ecco che ci ritroviamo imprigionati nei problemi
che rendono umana la nostra esistenza.
Non
saprei dirvi se la colpa fu del destino, quella notte. In fondo, io
il destino neppure lo conosco.
Ninfadora
Tonks, raggomitolata sul divano del proprio appartamento, dovette
ammettere che Remus Lupin era un portatore sano di controllo e
raziocinio solo fino a un certo punto. Affondò il viso nel
cuscino candido che stava abbracciando, perdendosi per un attimo
nell'odore del sandalo.
“Domani
sarai già sparito, vero?”
Lui
abbassò gli occhi. “Non possiamo”.
“Mi
sveglierò e tu sarai a chilometri di distanza”.
“Ninfadora,
non-” iniziò, ma lei lo interruppe con un bacio.
“Voglio
pensarci solo domani mattina. Non prima. E non ora.”
Alcuni
pensano che il destino giochi con noi destreggiandosi con i copioni
delle nostre vite. Tonks sorrise amaramente; una strana sensazione la
stava attraversando in quel momento: era angosciata, depressa e
demoralizzata. Ma aveva una terribile voglia di ridere.
Si
era svegliata all'alba a causa della luce del sole che filtrava
fastidioso attraverso le tendine, arrotolata attorno alle lenzuola
madide della notte precedente. Aveva allungato la mano alla sua
sinistra, convinta che non avrebbe trovato nient'altro che un cuscino
vuoto, ma l'aveva ritratta automaticamente quando aveva sentito la
presenza della nuca di Lupin sotto le dita. Aveva sorriso
esterrefatta e si era persa sognante nella visione di lui
addormentato. Facendo leva sul gomito, gli si era avvicinata e aveva
giocherellato un po' con una ciocca di capelli grigi. Doveva essere
terribilmente stanco, perché non si mosse neppure quando lei
aveva posato un ultimo bacio dolcissimo sulle sue labbra sottili.
°°°°°°°
Remus
Lupin strizzò gli occhi per abituarsi alla luce del mattino.
Mosse un po' le braccia sotto le lenzuola, stiracchiandosi
silenziosamente. Con la coda dell'occhio, si accorse immediatamente
che lei non era accanto a lui, ma dovette attendere qualche secondo
per esserne certo, il tempo sufficiente al suo cervello di
risvegliarsi completamente dal dormiveglia. Sciolse una gamba
dall'intrico della coperta leggera, rabbrividendo un poco quando il
piede nudo fu in contatto con il freddo del pavimento. Gli ci volle
ancora qualche secondo, prima di notare il vassoio posato sul
comodino con un equilibrio decisamente precario. La maglietta bianca
che aveva indossato Tonks, che ricordava vagamente di aver gettato a
terra, era il motivo principale di quella scarsa stabilità.
La
consistenza morbida dell'indumento, riposto sotto l'angolo destro del
vassoio, lo rendeva un oggetto pericolosamente instabile. Facendo
attenzione a non rovesciarlo, prese una tazzina, osservandone i bordi
sporchi di caffè, che scivolavano lungo tutto il dorso fino
a
formare una piccola macchia scura sul rispettivo piattino. Sorrise
mentre lo sorseggiava.
Freddo.
Spostò
di nuovo lo sguardo verso il vassoio, e solo in quel momento, la sua
attenzione venne attirata da un angolo di carta azzurrino che usciva
dall'orlo della maglietta. Lo sfilò con delicatezza e se lo
rigirò con le mani.
Il
significato impresso in quella calligrafia curva e disordinata era
fin troppo chiaro.
Ora
siamo pari. Ti amo.
°°°°°°°
Furiosa
la Luna ha osservato il peccato,
muto e
sconfitto fu l'orgoglio celato.
Sulla
terra di Jura tornerà rinforzata.
Attento,
Remus: è veramente arrabbiata.
La
frescura della sera non tardò ad arrivare. Il vento
aumentò
il suo soffio attraverso le fronde degli alberi, scuotendo le foglie
dei frassini e sibilando nelle orecchie dei passanti. Il cielo poteva
vantare una delle più vaste scale cromatiche che Londra
avesse
mai visto: colori freddi e colori caldi sembravano danzare davanti
agli occhi di Remus Lupin, in un turbinio di sfolgorante
luminosità,
per poi immergersi nel riflesso del Lago Nero.
“Che
ci fai tutto da solo?”
Lupin
avrebbe potuto riconoscere quella voce tonante anche nella
più
assordane delle cacofonie, ma non poteva mentire a sé
stesso:
era riuscito a sentire il suono dei suo piedi possenti sull'erba
vellutata, fin da quando era uscito dalla propria capanna. Sorrise,
mentre alzava le spalle.
“Pensavo”.
Hagrid
si grattò la barba incolta. “Pensi sempre troppo,
tu. Ci sei
andato a salutare i Weasley? Molly mica la prende bene, se parti
senza salutarla”.
“Non
sarei mai partito senza salutarli, Hagrid. Dopotutto, potrei anche
non tornare”.
“Non
lo dire neanche se stai scherzando, Remus”
borbottò Hagrid,
improvvisamente innervosito.
“Lo
sai” riprese Hagrid, dopo qualche istante in cui si erano
limitati
a fissare silenziosi il tramonto, “io me lo ricordo ancora il
giorno che eravate arrivati per la prima volta a Hogwarts”.
Lupin
non disse nulla.
“Sirius
e James andavano già d'accordo dopo un secondo che erano
saliti sull'Espresso. Dovevi vederli, come ridevano. Penso che erano
gli unici del primo anno che non avevano paura.”
“Li
ho visti, Hagrid” mormorò Lupin, in un triste
sussurro. “Ho
sempre continuato a vederli così”.
“E
poi c'eri tu, che ti nascondevi dietro tutti gli altri bambini, te lo
ricordi?”
Lupin
sorrise a quella malinconica reminiscenza lontana.
“Piccolo
e mingherlino, non ci avresti dato nemmeno uno Zellino bucato, a
vederti!” esclamò Hagrid, osservando ridente il
danzare del
cielo nell'acqua del lago. “E poi, c'era anche Peter, con
quel suo
musetto ton-”
“Hagrid”
lo interruppe senza troppi convenevoli Lupin.
Hagrid
rimase a bocca aperta per qualche minuto, incapace di rimediare al
proprio, grossolano errore. “Mica volevo dire che non ha
colpa...”
si giustificò con una vocina mesta, “ma allora non
era
ancora come è adesso.”
Guardò
Lupin in attesa di una risposta che tardò ad arrivare.
“La
guerra ha il privilegio di distruggere le maschere dietro cui
solitamente amiamo nasconderci, Hagrid. È inevitabile
cambiare, durante il suo corso” disse Lupin. “Ma
nonostante mi
sforzi, continuo ad attribuirgli la colpa di tutto ciò che
è
accaduto”.
“Non
devi andarci in quel posto, se non lo vuoi. Io ti capisco, se non ci
vuoi più andare”:
“Sono
l'unico in grado di farlo, Hagrid. Ed è necessario che
qualcuno lo faccia, indipendentemente da quanto lo voglia o
no”.
Hagrid
si passò una mano fra la ragnatela di capelli arruffati sul
suo grande cranio, con un sorriso storto.
“Guarda
che con me, mica ti serve mentire” eruppe, dopo un attimo di
silenzio. “Io lo so cosa significa vedere con i propri occhi
tutto
quello che la tua gente fa di male”.
Lupin
distolse lo sguardo dal cielo, improvvisamente rapito da una piccola
coccinella intenta ad arrampicarglisi sulla scarpa destra. Non
rispose.
“Dopo
un po', quando hai visto tutto e hai sentito tutto, ti
senti...”
iniziò Hagrid, ma dovette ragionare qualche secondo prima di
essere in grado di trovare la parola più adatta.
“Ti inizi a
sentire strano anche tu, Remus”.
“Vorresti
rimanerci, là dove sei, perché per una volta, tu
riesci
a vedere quelli che sono come te, e i problemi che ci abbiamo qui,
là
mica ci sono. Ma però non si può:
perché qui,
comunque, ci sono le persone che ti vogliono bene. E se ti vogliono
bene, mica gli importa se sei un Mezzogigante o un mannaro, a
quelli”.
Lupin
sorrise malinconicamente. “Siamo condannati a non avere un
posto
definito nel mondo, Hagrid. Non possiamo cambiare ciò che
siamo”.
“È
vero” convenne Hagrid, “ma questo mica deve volere
dire che
dobbiamo per forza essere carne o pesca,
no?”
“Pesce”.
“Uh?”
“Non
importa”.
“Io
lo so come ti senti, Remus. Passo quello che ti tocca passare anche a
te ogni giorno”.
“Hagrid”
soppesò Lupin, fissando nuovamente il cielo sempre
più
scuro, “hai pensato che, magari, non siamo noi ad essere diversi?
Ti sei mai fermato a pensare che potrebbe semplicemente essere il
resto del mondo, a non aver seguito la giusta rotta della
Natura?”
Hagrid
scoppiò in una risata che riuscì a rimbombare
attorno a
loro, nonostante si trovassero all'aria aperta.
“Ma
che ti capita, in questo tempo? Mica è una frase da te, una
frase così!”
Le
sottili labbra di Lupin s'incrinarono lievemente.
“Già...”
mormorò, “che mi capita?”
°°°°°°°
“Hai
preso tutto?”
Lupin
sogghignò senza volerlo. “Cos'altro avrei dovuto
prendere?”
Arthur
Weasley si grattò pensieroso il mento.
“Effettivamente...”
Una
leggera e delicata scia di pennellate bianche solcavano il cielo, non
ancora abbastanza chiaro per potersi dire mattino, e non più
abbastanza scuro per potersi dire notte. Un ibrido celeste,
poeticamente parlando.
“Hai
pensato a come giustificherai la tua assenza?”
domandò
Arthur, sfregando fra loro le mani agitate. “Sei stato via
una
settimana, dopotutto, e non vorrei che-”
“Non
preoccuparti” lo interruppe Lupin, “sono pronto ad
ogni
imprevisto”.
“Davvero?”
Lupin
storse le labbra e affondò le mani in tasca con un gesto
annoiato. “No”.
“Nessuno
ti obbliga a farlo”.
“Ho
perso il conto del numero di volte che me lo sono sentito ripetere.
Peccato, avrei potuto stabilire un nuovo record”.
Arthur
lo fissò in silenzio, come se cercasse di entrare nella sua
mente e studiare ogni sua frase inespressa.
“Se
potessi, ti obbligherei a restare”.
“Potremmo
perdere la guerra, così facendo”.
“È
così importante, a questo punto?”
Una
folata di vento freddo si alzò rapida, attraversando le
fronde
dei pioppi e scuotendo la brughiera che li circondava. Gli occhi di
Lupin seguirono il placido volo di uno stormo di uccelli,
finché
questi non si perdettero all'orizzonte. Voltò il capo verso
il
compagno solo dopo qualche minuto.
“Non
dovrebbe esserlo?”
Arthur
si fissò la punta leggermente consunta delle scarpe marroni.
“Non volevo dire che sono indifferente alla guerra,
scusami...”
“Non
l'hai detto, infatti”.
“È
solo... che non la ritengo così importante”.
“Sarei
curioso di vedere la faccia di Alastor in questo momento”
disse
Lupin, divertito.
Arthur
ridacchiò, socchiudendo le palpebre per resistere alla luce
del sole nascente. “Sono convinto che non debba essere la
guerra,
la nostra ragione di resistenza. Non dovremmo continuare a combattere
solo perché siamo in guerra, o
perché non
possiamo permetterci di perderla”.
“Cosa
ti spinge a combattere, allora?”
“Non
il desiderio di vincere; e neppure la speranza di un futuro migliore
per tutti. Non sono interessato a salvare il mondo con un'azione
eroica, Remus, non più di un qualunque cittadino inglese,
perlomeno”.
Lupin
lo guardò con un sopracciglio inarcato e un sorrisetto
soddisfatto sulle labbra.
“È
per loro che voglio
combattere” continuò con decisione maggiore
Arthur. “Per
Molly e i ragazzi. Loro sono il mio mondo, e se ti dicessi che sarei
pronto a sacrificare uno di loro, per vincere la guerra, sarei il
più
grande ipocrita del mondo”.
Alzò
gli occhi verso Lupin, accorgendosi solo in quel momento della strana
espressione che gli era comparsa sul volto segnato.
“Ma
tu questo lo sapevi già, Remus” disse.
“Perché me
lo hai chiesto?”
“Perché
è confortante sapere che al mondo esiste ancora qualcuno
come
te, Arthur”.
“Un
padre?”
Lupin
annuì. “Un padre”.
“Nessuno
ti ha mai vietato di esserlo, Remus”.
“Sì,
invece. In una notte di luna piena, una trentina di anni fa”.
Arthur
scosse la testa con un sorriso. “Folle”.
“Potrebbe
essere l'ultima volta in cui ci vediamo, davvero vuoi che le ultime
parole da te pronunciate, siano – nuovamente – una
paternale sui
motivi che dovrei considerare, prima di prendere una decisione a
riguardo?”
“Non
devi comprare una casa, Remus” ribatté Arthur.
“Non ci
sono considerazioni da fare, a riguardo. Devi solo accettare il fatto
che Tonks ti ami, incondizionatamente da ciò che sei o non
sei, e che tu ami lei, incondizionatamente da ciò che dici o
non dici”.
“Ti
aspettiamo per Natale, allora”.
“Non
vorrei disturb-”
“Non
era una domanda”.
“Tu
e Molly non chiedete mai il permesso prima di invitare qualcuno alla
Tana?” scherzò Lupin, con un sorriso.
“No,
preferiamo costringerli” rispose Arthur, ridacchiando.
“Allora,
a Natale”.
“A
Natale”.
Arthur
Weasley fissò la schiena di Lupin allontanarsi verso un
luogo
misterioso e dannato, a lui inaccessibile. Prima di vederlo svanire
con una piroetta, si ritrovò a pensare, per la prima volta
con
serietà, che quella avrebbe davvero potuto
essere la
loro ultima conversazione.
°°°°°°°
Lascialo
in pace, Luna infeconda,
non
vede Amore nel tuo essere tonda.
Per
lui non sei madre, per lui non sei dama:
lascialo
in pace, ti odia e non ama.
Ma tu
non ascolti dal tuo cielo lontano,
continuando
a sperar, in questo Amor vano.
E in
attesa non cessi di fargli dispetto,
perché
è questo che fai, al tuo dolce diletto.
Appoggio
la penna, e aspetto per ora,
il
momento in cui a scriver ricomincerò ancora.
°°°°°°°
Sono
veramente contenta che il mio espediente per rendere più
“umani” i personaggi di Rouge, Calima e Trick vi
sia piaciuto. Ed
ora che anche il quindicesimo capitolo (continuo a stupirmi della mia
tenacia) è giunto al termine non mi resta che salutarvi con
un
sorriso e ringraziarvi tutti di cuore, dal primo all'ultimo.
Un
grazie particolare a HermioneCH, a Frytty, a Christine, Luna92, Rue
Meridien e fennec. Sperando di non aver dimenticato nessuno, un
bacione!
Trick
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** Capitolo Sedicesimo - A Noël ***
CHIEDO
PERDONO!
So che non
dovrei neppure azzardarmi ad
aprire la bocca dopo quasi quattro mesi (quattro mesi!) di assoluto
blocco del Diario. Cercherò di farmi perdonare, lo giuro...
*occhioni dolci*
NdA:
Ho letto
DH, ma non ci saranno spoiler nel corso di questa storia, non mi
sembrerebbe corretto aggiungerne in seguito. Potrei inserire dettagli
così irrilevanti che neanche ve ne accorgereste, ma sta di
fatto che NON ci saranno SPOILER, per rispetto verso chi ha
iniziato la storia e non ha ancora letto il libro.
Le
descrizioni fisiche
di personaggi che non sono stati descritti nei primi sei libri, si
atterrano dunque solo alla mia fantasia, indipendentemente da quanto
la Row mi abbia fatto leggere.
Probabilmente,
tuttavia, ci saranno due
versioni dell’epilogo: l’idea originale di base,
pensata prima di
leggere DH, e una seconda, mutata in base al suddetto libro.
Ma la fine
è ancora lontana,
perciò c’è tempo.
Chiedo
ancora scusa e vi lascio a questo
travagliato capitolo...
************************
Diario
di un Lupo
in
un Branco di Lupi
(Versione
riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)
CAPITOLO
SEDICESIMO
A
Noël
°°°°°°°
Il
secco rumore dei tacchi risuonava lungo i corridoi dei lussuosi
interni della villa di Lucius Malfoy, diffondendosi nell’aria
come
l’eco di infiniti spari. La donna superò con
distante
alterigia il grande salone delle feste, che da tanti anni ormai
rimaneva freddo e inutilizzato; il gigantesco lampadario di cristallo
la fissò indignato, come era solito fare con tutti coloro
attraversassero quelle mura senza degnarlo di un solo sguardo, lui
che era stato lo splendore di quella villa, l’elogio e
l’invidia
di tutti gli ospiti ai gran balli, e che ora non sapeva rendersi
conto di essere diventato solo il ricordo amarognolo di un tempo
infranto, inutile quanto il blasone cigolante e arrugginito affisso
ai cancelli del giardino trascurato.
Ruotò
con grazia la maniglia dorata della porta di quercia, continuando a
ignorare i raffinati intarsi rococò e gli elaborati putti in
marmo che le sorridevano birbanti dalla cornice. Una debole e
traballante luce illuminò per un attimo fugace i preziosi
arazzi appesi alle pareti, creando contrastanti chiaroscuri
sull’arcigno volto di marmo del mezzobusto di Abraxas Malfoy.
«Bella»
chiamò nella penombra della stanza Narcissa Malfoy,
«ho
un messaggio da parte di Rodolphus».
Non
ricevendo alcuna risposta, si avvicinò lentamente al camino,
davanti al quale la sorella maggiore stava gustando un bicchiere di
vino rosso. La osservò ondeggiare con movimenti esperti del
polso il calice, senza distogliere gli occhi dal fuoco scoppiettante.
«Vuoi
un bicchiere di vino, Cissy?» le chiese con educato distacco.
«Non è neppure lontanamente paragonabile
all’intruglio
che serve Piton in quella catapecchia a Spinner’s
End».
«No,
Bella, grazie».
«Siedi».
Narcissa
girò attorno alla poltrona vuota accanto a quella occupata
dalla sorella, e muovendo con eleganza la stoffa celeste della lunga
gonna, si sedette. Fissò il profilo di Bellatrix illuminato
dal camino, cercando nel suo viso un qualunque segno le permettesse
di capire i pensieri che attraversavano la sua mente. Non
riuscì
a scorgere nient’altro che il fuoco, fremere nelle sue orbite
incavate come se cercasse di riemergere da
quell’oscurità.
«Ho
un messaggio di tuo marito» ripeté.
«Cosa
dice?»
«Ha
ricevuto dal Signore Oscuro l’ora della vostra prossima
riunione».
Bellatrix
non rispose, né fece cenno di averla sentita.
«Fra
tre giorni, alle dieci in punto» continuò
Narcissa,
sistemandosi meglio sulla poltrona.
«Quanto
tempo è trascorso, Cissy, dall’ultima volta in cui
ci siamo
sedute insieme davanti al camino?» mormorò
Bellatrix,
portando il calice alle labbra e sorseggiandone delicatamente un
sorso. «Quanto tempo?»
«Non
ricordo, Bella».
«Guarda
il fuoco, Cissy. Guarda come brucia il legno dei ciocchi. Guarda come
sono costretti a piegarsi davanti alla sua forza».
«Lo
sto guardando, Bella».
«Io
sono come il fuoco, vero, Cissy?»
«Sì,
Bella. Sei il fuoco».
Il
viso tirato di Bellatrix Lestrange si aprì in un leggero
sorriso. Bevette l’ultimo sorso del calice e volse finalmente
il
capo verso Narcissa. La luce ingigantiva inclemente i segni sul suo
volto: pesanti occhiaie circondavano i suoi occhi, mentre lievi ma
implacabili rughe allungavano le sue labbra verso l’alto, in
rigidi
e spietati ghigni.
«Dove
sarà la riunione?»
«Nella
vecchia Casa Riddle».
Narcissa
la vide storcere il naso. «Babbani» la
sentì
mormorare con disprezzo, più al fuoco che a lei.
«Rodolphus
ha avvisato Greyback?»
«Sicuramente
l’avrà fatto».
Un
altra smorfia di Bellatrix, accompagnata da un borbottio indistinto
che Narcissa non riuscì a comprendere. Restarono immobili e
silenziose per diversi minuti, accompagnate dal solo sfrigolio del
legno arso.
Io
sono come il fuoco.
«Trascorrevamo
le serate sedute davanti al camino, ricordi, Cissy?»
«Sono
passati molti anni da allora».
Bellatrix
si alzò con calma, si lisciò le pieghe del
vestito e si
diresse verso la porta di quercia, lanciando alla sorella
un’unica
occhiata imperscrutabile in prossimità dell’uscio.
«Sono
passati troppi anni»
mormorò di rimando, richiudendosi la porta alle spalle.
Narcissa
Malfoy continuò a scrutare il fuoco danzare, immergendosi in
malinconici ricordi lontani, quando davanti a quello stesso
volteggiare intratteneva spensierate conversazioni con le sorelle
più
grandi. Allungò una mano verso la bottiglia che Bellatrix
aveva lasciato sul lucido tavolino di noce, si versò un
bicchiere e continuò a restare immobile davanti al camino,
sorseggiando di tanto in tanto il liquido vermiglio, che la luce
illuminava allo stesso modo degli occhi della sorella. Solo quando
anche l’ultima fiamma, lentamente, fu spenta, Narcissa si
alzò
in piedi.
«Sono
passati troppi anni» ripeté al nulla.
°°°°°°°
«Shopping,
Ninfadorà: voilà ce dont tu
as besoin»
Ninfadora
Tonks abbassò gli occhi dalla rivista che stava sfogliando
fiaccamente da più di venti minuti per puntarli al viso
perfettamente ovale di Fleur Delacour. Aggrottò la fronte e
si
morse il labbro inferiore.
«Cosa?»
Fleur
sbuffò, agitando con la stessa negligenza con cui Tonks si
era
rigirata la rivista fra le mani, la lunga chioma aurea.
«Shopping,
Ninfadorà. Su, su, courage, o
faremo tardì!»
esclamò, strappandole con un gesto secco la
rivista e
gettandola malamente sul tavolo della cucina della Tana – non
prima
di aver lanciato un’occhiata sdegnosa al genere di letture
predilette da Tonks – e costringendola ad alzarsi dalla sedia.
«Ti
prego, Fleur» la scongiurò Tonks, senza tuttavia
opporre
la minima resistenza alle insistenti spinte dell’altra
giovane.
«Non sono in vena di fare proprio un bel niente».
«Basta
ainsì» tagliò corto Fleur,
afferrando il
cappotto di Tonks dall’attaccapanni e gettandoglielo fra le
braccia. «Rapide, Ninfadorà:
metti questo
strascio, s’il vous plait.»
«Ehi»
protestò con veemenza Tonks, «questo straccio
è
il mio cappotto».
Fleur
la studiò infilarsi con poca cura l’indumento,
squadrando
con un smorfia di disappunto ogni particolare del tessuto. «Oui,
è pour questo che andiamo a
Diagòn Allì.
I tuoi vètements sono indescenti
quanto i tuoi
cheveux».
«Fantastico»
concluse scocciata Tonks, infilando un braccio dentro una manica e
scagliando minacciose occhiate a Fleur. «Davvero fantastico.
Finalmente potrò acquistare un dizionario al Ghirigoro,
maledizione».
°°°°°°°
«Avremmo
dovuto ricordarci che tutti i negozi di Diagon Alley hanno chiuso i
battenti. Siamo due cretine».
«Il
parle pour toi, excuses moi» ribattè
aspramente
Fleur. «Parla per te» spiegò,
incrociando lo
sguardo snervante di Tonks.
«Andiamocene
Fleur» consigliò Tonks, alzandosi il bavero del
cappotto
per ripararsi dal vento pungente che si era appena alzato.
«Non
c’è anima viva ed è pericoloso restare
qui».
«Credo
sia aperto lajiù, Ninfadorà»
disse Fleur,
indicando un punto indefinito oltre le spalle di Tonks.
«Andiamo
a prendersci qualcosa di caldo».
Afferrò
Tonks per una manica e senza troppi convenevoli la trascinò
fino a una traballante porta, dalle assi di legno agganciate
malamente fra loro e i cardini arrugginiti. Tonks sollevò lo
sguardo alla ricerca di una qualche insegna, ma non trovò
nient’altro che traccie del passaggio di uccelli sulle travi
del
porticato. Fleur, intanto, tentava di aprire la pesante porta.
«Veux-tu
,’aider?» sbottò Fleur.
«Cosa?»
«Aiutami!»
«È
chiuso, Fleur».
«Questo
non signifie che non possiamo ontrare».
Tonks
alzò gli occhi al cielo. «Fleur, in inglese
‘chiuso’
ha lo stesso valore di ‘non puoi
entrare’».
«So
cosa signifie, mercì»
ribattè
l’altra, sprezzante. «Mais nous entrerons
le mème».
Estrasse la bacchetta e con un gesto secco del polso scandì:
«Alohomora!»
Dopo
qualche secondo di attesa, Tonks decise di aver sprecato troppo
tempo, e dando le spalle al dimesso locale, fece per Smaterializzarsi
nuovamente alla Tana. Una serie di scatti metallici aldilà
della porta, interruppe la sua fuga. Fleur ghignò trionfante.
«Tu
as vu? Je suis un gènie» disse,
aprendo con
un cigolio sommesso la porta ed entrando nel locale buio.
«Vieni,
Ninfadorà».
«Fleur,
è pericoloso. Torniamocene alla Tana»
ribattè con
decisione Tonks, lanciando fugaci occhiate cariche di preoccupazione
ai lati del vicolo. «Fleur?»
«Vieni,
Ninfadorà. Dentro è
mieux che dehors».
Imprecando
contro il cielo plumbeo e scongiurando di non inciampare in nulla di
tagliente, Tonks seguì la scia profumata di Fleur.
Allungò
un piede aldilà della porta, senza accorgersi del gradini.
Fu
questioni di pochi istanti, e Tonks si ritrovò aggrappata
alla
maniglia traballante, i piedi distesi sulla scala di pietra e gli
occhi ancora sgranati dallo stupore.
«Ninfadorà,
accident! Fa silensio, o sci scopriranno!»
eruppe Fleur in un sibilo poco più che udibile.
«Chi,
di grazia, potrebbe scoprirci? Non c’è
nessuno».
«Non
hai visto che sc’erano i
gradini?»
«Se
li avessi vista, non ci starei stesa sopra, non credi?»
ribattè
Tonks irata, tastandosi delicatamente il sedere dolorante e tentando
con scarsi risultati di rimettersi in piedi. «Fleur, per
tutti
i Troll di Glasgow, torniamocene alla Tana. È pericoloso».
«Che
fine ha fatto il proverbiale courage di voi Auròr?»
la schernì Fleur. «Lumos»
sentì
Tonks nel buio. La punta della bacchetta di Fleur
s’illuminò
improvvisamente, rivelando i profili di una ventina di sedie
ribaltate sui tavoli, incatenate fra loro da mille, volteggianti fili
di ragnatele; sul pavimento, un incrocio di piastrelle porpora di
forma triangolare era ricoperto da uno spesso strato di polvere.
«Cavolo»
mormorò Tonks, «Molly darebbe di testa, qua
dentro».
Fleur
emise un borbottio indistinto.
«Scusa»
si affrettò a dire Tonks. Raggiunse Fleur al centro della
stanza, sollevando la polvere di un tavolino con la punta
dell’indice. Si studiò il polpastrello sporco e
disse:
«Diavolo, sembra che sia chiuso da anni».
«Probabilmonte
i jestori hanno lansciato incantesimi
per farlo
sombrare tale» congetturò
Fleur, «ainsì
i Manjiamorte avrebbero creduto che la tavèrne era
stata abandonnée da molto
più tompo».
«Molto
astuto» ironizzò Tonks, «considerando
che è
di Mangiamorte che stiamo parlando, e non di detrattori
ministeriali».
«Alle
volte sono da temere majjormente i détracteurs
ministériels, Ninfadorà».
Ridacchiando
sommessamente, ribaltarono due sedie addormentate sul tavolino
più
vicino al bancone.
«Il
gratte et nette» mormorò Fleur, agitando
con
maestria la propria bacchetta. Con uno sbuffo smorzato e una leggera
nuvoletta, la polvere sparì con la stessa
velocità con
cui probabilmente era stata Evocata.
«Carino»
commentò Tonks, sedendosi in modo da aver una perfetta
visuale
della porta. Vigilanza costanza, pensò
automaticamente.
«Forse avrei più fortuna con la versione
francese».
Fleur
sorrise. «Ne dubito fortemonte».
Rimasero
in silenzio qualche istante, ascoltando il fischiare del vento
attraverso le finestre sconnesse.
«Comme
tu es?» le domandò ad un tratto Fleur.
«In
Inghilterra, generalmente, tendiamo a fare questo genere di colloqui
dopo i saluti iniziali, Fleur»
ribatté Tonks,
sollevando lo sguardo dal nodo del legno con cui stava giocherellando
con l’indice ancora sporco.
«Hai
capito perfettamonte cosa intendo, Ninfadorà».
«Ti
spiace dare un taglio a questi irritanti
‘’Ninfadorà’’,
Fleur?»
«Ti
spiasce smettere di éviter l’argomento?»
Tonks
sbuffò. «Che vuoi che ti dica?»
«Hai
fatto come ti avevo sujjerito?»
«Presentarmi
improvvisamente al Paiolo Magico? Sì, e già che
ne
stiamo parlando, devo ringraziarti per il raffreddore con cui mi sono
svegliata il mattino dopo».
«Où
ti sei
svegliata?» chiese
con un’espressione divertita Fleur.
Tonks
si appoggiò sui gomiti e avvicinò le mani al
mento,
fissando intensamente l’altra strega.
«Ullalà»
esclamò Fleur con un sorriso e rizzandosi meglio sullo
scomodo
schienale della sedia. «Hai fatto una nuit
de
follie?»
ridacchiò
maliziosamente.
«Ti
sarei grata se risparmiassi questi commenti per il futuro»
obiettò Tonks, arrossendo lievemente e squadrandola torva.
«Excuses
moi»
tagliò corto
Fleur, alzando le mani in segno di resa ma senza smettere di
sogghignare.
Tonks
riprese a giocherellare con il nodo del legno, seguendone pensierosa
le curve; Fleur, nel frattempo, controllò che lo smalto
chiaro
delle proprie unghie non si fosse rovinato nel rigirare la sedia.
«Una
notte di follia che ripeterei volentieri » aggiunse in un
sussurro Tonks, mordendosi il labbro inferiore e alzando gli occhi
verso l’altra ragazza. «Assolutamente
volentieri»
precisò con un movimento imbarazzato del capo.
Il
vento dovette attendere diversi minuti prima di essere in grado di
sopraffare i frizzanti risolini delle due giovani. Continuò
a
far oscillare pericolosamente le assi sconnesse delle finestre,
mentre i suoi spifferi gelidi si diffondevano sempre più
rapidamente all’interno del locale, insinuandosi sotto la
vecchia
porta cigolante e scuotendo le delicate ragnatele delle sedie.
«Dicono
che non tornerà prima di Natale» disse Tonks dopo
qualche attimo di silenzio, le labbra non più arricciate in
un
sorriso malizioso e gli occhi intenti a studiarsi con falsa
attenzione le mani. «Quasi quattro mesi, senza sue
notizie».
«Quel
Pitòn non riferisce a Silonte
sciò che
dicono i Manjiamorte? Sicuramonte
saprà comme
sta, e lo dirà anche a te,
Ninfadorà».
Tonks
inarcò un sopracciglio e le fece una smorfia scettica.
«Piton
sarebbe capace di Trasfigurare una pecora dello Yorkshire nel suo
corpo e spedirmelo a pezzi via gufo, fidati».
«Che
horreur».
°°°°°°°
Fleur
allungò un braccio per cingere le spalle di Tonks, il capo
nascosto fra le mani e la schiena incurvata sul tavolo di legno
scossa dai singhiozzi. I capelli color topo sembravano
tutt’uno con
la polvere, quasi fossero diventati un manifesto alla malinconia e
all’abbandono.
«Courage,
Ninfadorà: à Noël ne manque pas
beaucoup*».
**********************************
*Coraggio,
Ninfadora: a Natale non manca
tanto.
Forse porta
sfiga, o forse dovrei smettere
di ripeterlo per pura creanza, sta di fatto che non dirò
niente del tipo "aggiornerò presto", "giuro di
postare fra breve", nè tantomeno darò date
definitive. Cercherò indubbiamente di sbrigarmi, e mi
spiace,
ma dovrete accontentarvi della mia parola, per questa volta.
Un grandissimo
grazie a Frytty
(mi sono
commossa leggendo la tua
recensione... mi meriterei una sberla a mano aperta in faccia,
altroché), a Luna92
(a
meno che tu non abbia fatto una vacanza attorno all'interno sistema
solare, sei sicuramente in tempo per il sedicesimo capitolo ^__^), a
Mary_Sue (grazie
mille, soprattutto per i "suoni stupendi"... molto
poetico ^__^), a Christine
(che
mi fulminerà per questo aggiornamento a distanza record), a
Desdemona
(ripensandoci, forse i miei lupi mannari sono un po' troppo "umani",
ma hai ragione: Trick è adorabile così
com'è.
Io, un po' meno, purtroppo), a Kylie
Malfoy (un
grazie immenso come sempre),
a HermioneCH ("aggiorna
presto"... poteva andare peggio, dopotutto...), a gollum93
(anch'io ho adorato scrivere il quattordicesimo capitolo. A
differenza del sedicesimo le dita mi scorrevano più
libere... dev'essere il numero 16 che mi porta sfiga), e a puciu,
immancabile fra le recensioni ovunque posti, (grazie mille, come
sempre: siamo proprio ripetitive, io e te! ^__^)
Perdonatemi se
ho scordato qualcuno... è
inevitabile dopo una giornata stressante come quella che ho appena
passato.
Edit:
Cavolo... mi sono accorta adesso di
aver raggiunto le 100 recensioni... un traguardo che non credevo
avrei mai raggiunto...
RAGAZZI,
RAGAZZE, MESSERI E
MESSERE, GRAZIE 1000 A TUTTI QUANTI!!!
Trick
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** Capitolo Diciassettesimo - Avevi un cane? ***
************************
Diario
di un Lupo
in
un Branco di Lupi
(Versione
riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)
CAPITOLO
DICIASETTESIMO
Avevi
un cane?
°°°°°°°
Gli
occhi indulgenti e
cerulei dell’anziano mago scrutarono il volto di Remus dal
basso
verso l’alto.
«Ciò
che
sei, è qui dentro» proferì con un
sorriso
benevolo, posando la mano sana sul suo petto, laddove sapeva esserci
un cuore pulsante. «Non sulla tua spalla, Remus».
Remus
Lupin, stanco e
provato dalla lunga camminata appena fatta, sedette sotto i rami
ormai spogli di una betulla e posò la schiena dolorante
contro
la sua corteccia chiara. E mentre la fresca brezza autunnale di Jura
lo ritemprava soffio dopo soffio, la sua mano
s’avvicinò
pigramente alla clavicola sinistra, sfiorandola ritmicamente con i
polpastrelli.
Al
di sotto della logora
e ruvida giacca, la pelle deturpata tremò
impercettibilmente,
scossa al ricordo di quel dolore lontano.
Non
sulla
tua spalla, Remus.
Non
sulla tua spalla.
°°°°°°°
Guarda
la Luna, figlio
infedele;
Guarda
la Luna, occhi di
miele.
«Ti
sei rasato».
«Grazie
di averlo
notato».
«Sei
un idiota».
«Grazie
di averlo
notato».
Rouge
arricciò il
naso e riservò a Lupin una delle sue migliori occhiate
superbe. Squadrò gli orli lievemente scuciti della giacca
–
come poteva essere così stupido da tornare a Jura a con una
lurida giacca da umani – e il taglio nuovamente corto dei
capelli
striati.
«Sei
davvero un
idiota, Lupin» ripetè, accentuando
l’affermazione con
un deciso cenno del capo, «tanto vale inciderti sulla fronte
‘sono il cagnolino di Silente’».
Lupin
la fissò
taciturno negli occhi, tentando di rendersi imperscrutabile e di
intuire nel contempo cosa le passasse per la testa. Affondò
le
mani nelle tasche e inarcò un sopracciglio. Si
stupì
nel ritrovarsi a pensare a quanto poco le sue intenzioni gli
interessassero, intenzioni che invece avrebbero dovuto impensierirlo,
considerando la sua problematica situazione. Aveva capito che Rouge
–
per il momento, se non altro, e questo gli era più che
sufficiente – non aveva in programma rivelare a Greyback la
sua
vera identità, e nonostante questo avrebbe reso diffidente e
completamente propenso ad abbandonare la missione qualunque altra
persona, Lupin continuava, senza essere in grado di capirlo, a
fregarsene altamente le palle, come avrebbe detto Sirius Black, se
solo non fosse caduto al di là di quel velo
all’Ufficio
Misteri.
La
guardò negli
occhi. «Non dirai nulla a Greyback».
«Devo
proprio
risponderti?»
«Non
era una
domanda».
«Allora
dovresti
imparare a non fare dichiarazioni simili con tanta sicurezza,
Lupin»
ribattè franca Rouge, controllando distrattamente lo smalto
rosso delle proprie unghie. Alzò subito lo sguardo su di lui
e
aggiunse con un ghigno divertito: «Inoltre, sono quasi certa
che farai tutto da solo, senza bisogno che io decreti di persona la
tua morte».
Gli
diede le spalle e
iniziò a incamminarsi lungo il sentiero arido che portava
alla
riva del Harrier, ma dopo pochi secondi Lupin l’aveva
già
raggiunta, adeguando il proprio passo a quello della donna e
scrutandola confuso.
«Di
che stai
parlando?» le chiese.
«I
Mangiamorte
hanno organizzato un’altra riunione alla quale avremmo
l’onore di
partecipare» rispose lei con indifferenza, scostando il
sottile
ramo di una betulla spoglia e abbassandosi per entrare nel fitto
della boscaglia.
«Noi,
chi?»
«Noi,
Lupin.
Plurale».
«Dammi
i nomi».
«Mi
hai preso per
la tua informatrice personale, Lupin?» replicò
pungente
Rouge.
Lui
la afferrò
per un polso e la costrinse a fermarsi.
«Aiutami,
Rouge»
disse.
«Prego?»
«Aiutami.
Odi
Greyback quasi quanto lo odio io, è per questo che non gli
hai
ancora rivelato il vero motivo per cui sono in questo posto».
Rouge
scoppiò in
una risata fragorosa. «Sbagliato, Lupin»
obiettò
scuotendo la chioma folta, «non gli ho detto niente
perché
i tuoi sciocchi tentativi mi allietano la giornata. E mi stupisce che
tu mi chieda una cosa del genere, dopo quello che è
successo».
Lupin
trasalì,
liberandola dalla stretta come se la sua pelle avesse iniziato a
bruciare improvvisamente e distogliendo rapido lo sguardo dai suoi
occhi. Si riscosse non appena la vide voltarle nuovamente le spalle.
«Lasciamo
perdere
questa questione» tagliò corto, scuotendo
nervosamente
una mano. Forse aveva trovato il modo di entrare appieno nel cuore di
Jura: non restava altro da fare se non di convincere quel modo,
magari non a collaborare attivamente, ma perlomeno a sostenerlo da
lontano.
Lei
si voltò e
gli sorrise divertita. «Lasciamo perdere la
questione?»
lo canzonò. «Non è che per caso non
vuoi toccare
l’argomento perché hai paura di ammettere che ti
è
piaciuto, in fondo, Lupin?»
Lupin
si morse
violentemente le labbra, socchiudendo gli occhi e convocando a
sé
tutto il proverbiale autocontrollo di cui credeva di disporre.
«Voglio semplicemente lasciare perdere la questione,
Rouge»
terminò laconico, enfatizzando il tutto con un secco
movimento
della mano destra, «ho cose più importanti a cui
pensare, al momento».
Rouge
emise un verso di
ironica comprensione. «Capisco» disse,
«un’altra
anima innamorata».
Lupin
la ignorò.
«Mi
aiuterai?»
«Perché
dovrei?»
«Perché-»
«Non
ripetere che
odio Greyback quasi quanto lo odi tu, o mi sentirò in dovere
di assaporare nuovamente la tua gola, Lupin»
sibilò,
lanciandogli un’occhiata fulminante. «E questa
volta sarà
decisamente più doloroso della precedente».
Lupin
si bloccò
un attimo. «Per quale motivo lo odi?» chiese
infine,
stupendosi di quanto tranquilla suonasse la propria voce. Decisamente
stava impazzendo.
Rouge
lo guardò
con un’espressione stupita che avrebbe potuto sembrare quasi
indulgente, comprensiva.
«Tu»
rispose
dopo averci pensato qualche istante, «perché lo
odi?»
«Ha
distrutto la
mia vita» rispose Lupin forse con una rapidità
eccessiva, «e con la mia, quella della mia
famiglia».
«Ha
ucciso la tua
famiglia?» domandò Rouge, con lo stesso tono
leggero con
cui avrebbe potuto informarsi sulle condizioni metereologiche di
Londra.
Lupin
le sorrise
debolmente. «La morte non è l’unico
mezzo con cui si
può distruggere un uomo, Rouge. I miei genitori cercarono
disperatamente un modo per... be’, farmi tornare come
prima».
«Tentarono
di
curarti pur sapendo che non esiste cura al morso dei
licantropo?»
domandò in sussurro lei.
«Già».
Rouge
si bloccò
improvvisamente, lo sguardo fisso davanti a sé e le braccia
incrociate al petto. Lupin si fermò a pochi passi da lei,
studiando con interesse la sua reazione.
«Scommetto
che di
notte sentivi tua madre piangere attraverso il muro della tua
cameretta» sussurrò, scrutando apparentemente fra
le
ombre delle felci. «Scommetto che tuo padre le gridava di
smetterla, perché le sue lacrime non avrebbero cambiato
nulla.
Magari lo sentivi sbattere la porta di casa con furia, e prima di
accorgertene, hai iniziato a trovarlo addormentato sulla poltrona del
vostro salotto, con la barba ruvida e i capelli più grigi di
quanto non ricordassi. Forse apriva gli occhi, ad un certo punto, e
allora ti accorgevi di quanto pesanti fossero le sue occhiaie e di
quante piccole vene rosse attraversassero I suoi occhi. Può
darsi che avessi anche un fratello, e chissà, magari ha
smesso
di parlarti dal giorno in cui sei stato così sciocco e
sconsiderato da sgattaiolare all’aperto quando tutti gli
altri
bambini dormivano nei loro letti, completamente indifferente al
profilo della luna piena nel cielo. E avevi un cane, magari, Remus?
Un cucciolo di labrador che ti seguiva ovunque andassi, scodinzolando
allegro ad ogni tuo movimento? Ha iniziato a ringhiarti contro,
Remus, una volta che Greyback ti ha morso? Ha smesso di scodinzolare
e ha iniziato a rizzare il pelo, ogni volta che i vostri sguardi
s’incrociavano nel cortile?».
Lupin
socchiuse
leggermente la bocca, fissandola sconcertato.
«Rouge-»
«Non
siamo così
diversi come credi, Remus» tagliò corto lei.
«Abbiamo
solo scelto strade diverse».
Lupin
la guardò
sparire fra la fitta vegetazione del bosco di Tupin, senza dire
nulla. Rimase a fissare il punto dov’era sparita, pensieroso.
Avevi
un cane, Remus?
°°°°°°°°
Grimmauld
Place n°12,
Londra;
diversi
mesi prima;
Remus
era finalmente
riuscito a ricordare il titolo di quel vecchio romanzo che aveva
letto all’età di tredici anni, in un freddo fine
settimana
d’inverno. Si era quindi alzato dalla poltrona del salotto,
interessato a scoprire se la vecchia biblioteca dei Black ne
possedesse una copia. Stava per imboccare la seconda rampa di scale,
quando un borbottio indistinto e lamentoso raggiunse le sue orecchie,
incuriosendolo più della ricerca dell’agognato
testo.
Allungò il collo verso lo spiraglio di luce che filtrava
dalla
porta del bagno, illuminando la polverosa moquette porpora.
«Maledetto
Malocchio!» sentì sbottare, seguito da un
frastuono di
oggetti scagliati a terra. «Maledetto, maledettissimo
Malocchio!»
Sbirciò
all’interno, e cercò disperatamente di non ridere.
Dovette
mordersi le labbra e portare le mani al viso, tentando di nascondere
I segni della sua ilarità. Ninfadora Tonks, neo-diplomata
Auror, novellina dell’Ordine della Fenice era inginocchiata
sul
pavimento inzaccherato di pezzi scrostati di intonaco del bagno
allagato con il volto a forma di cuore ricoperto da un leggero strato
di polverina bianca e un’espressione così
indispettita da
sembrare comica.
«Hai
bisogno?»
le chiese.
Lei
sobbalzò con
un gridolino e voltò rapidamente la testa verso la porta da
cui Remus era appena entrato. Aveva I capelli rosa completamente
fradici e appiccicati fra loro da una sostanza biancastra che Remus
immaginò fosse stucco per muro.
«Non
volevo
spaventarti, perdonami» si scusò con un sorriso.
Squadrò
un’ultima volta le sue condizioni, e chiese, reprimendo con
difficoltà una risatina: «Cosa stavi cercando di
fare?»
«Il
lavandino
perde, il muro è pieno di chiazze di umidità e
l’intonaco crolla a terra» elencò lei,
fissando
contrariata gli elementi citati e mettendosi in una posizione seduta
decisamente più comoda.
Lei
dovette leggere
sulla faccia di Remus la domanda – più che logica
- che
stava per rivolgerle.
«Non
sto usando la
bacchetta» lo anticipò,
«perché Malocchio
mi ha messo in punizione, e mi ha proibito di usarla»
mormorò,
digrignando i denti con rabbia ad ogni parola pronunciata.
Remus
non riuscì
più a trattenere il ghigno con cui aveva lottato negli
ultimi
cinque minuti. Erano anni che Malocchio non costringeva più
i
nuovi membri dell’Ordine a simili torture: gli tornarono alla
mente
le ore notturne passate a ricopiare tutti i rapporti del Quartier
Generale degli Auror datati 1926, convinto – e ingannato
– da
Moody su quanto elevata fosse la loro importanza per la guerra in
corso. Aveva sempre creduto che Moody si divertisse non poco a
martirizzare le reclute nelle maniere disparate, e continuava tuttora
a crederlo.
«Coraggio,
ridi:
so che non aspetti altro».
«Ti
sbagli».
«Come
no».
«Dico
sul serio».
«Lo
ha detto anche
Sirius».
«Mi
stai
paragonando a Sirius?»
«Dammi
un motivo
per cui non dovrei farlo».
«Sono
in grado di
dartene ben più di uno» sentenziò
Remus,
fingendosi offeso e mostrandole l’indice. «Uno:
Sirius Black
è un incurabile bastardo, qualità che sicuramente
tu
non hai trovato in me».
Lei
inarcò un
sopracciglio diffidente.
«Due:
Sirius Black
è tremendamente infedele, aggettivo che sicuramente non
trova
accordo con il mio fare di gentiluomo».
«Sirius
ha sempre
detto che non sei famoso per il numero delle amanti, difatti»
ribattè lei, con un sorrisetto divertito.
«E
questo ci porta
al punto numero tre: Sirius Black mente incessantemente sia di giorno
che di notte, e lo fa dannatamente bene».
«Ha
mentito anche
a riguardo delle tue amanti?»
«Temo
proprio che
tu non ne verrai mai a conoscenza».
«Potrei
sempre
chiederglielo».
«E
saresti in
grado di fidarti di lui dopo tutto quello che ti ho detto?»
«Dammi
altri tre
motivi per cui, di conseguenza, dovrei fidarmi di te».
Remus
si grattò
falsamente pensieroso la tempia destra, fissandola intensamente.
«Innanzitutto» proruppe infine, «i
commenti a me
riferiti all’interno di questa casa sono generalmente
positivi...»
«Piton
ha detto
che sei uno stronzo, incapace, arrogante e inutile
Grifondoro»
citò lei, guardandolo curiosa e afferrandosi divertita le
ginocchia come avrebbe potuto fare una ragazzina.
«Fatta
eccezione
dei commenti di Piton, ovviamente».
«Ovviamente»
lo schernì lei. «Secondo motivo?»
«Non
ho rivelato a
Molly che sei stata tu a mangiare la fetta di torta che aveva
nascosto nel terzo ripiano della credenza della cucina».
Tonks
spalancò la
bocca. «Come diavolo fai a saperlo?»
«Logica»
rispose lui con semplicità, «e una traccia
inconfondibile di briciole che arrivava fino alla porta della tua
stanza».
«Dannate
briciole».
Lui
le sorrise
divertito, infilò le mani in tasca e uscì dal
bagno
senza aggiungere una parola e socchiudendosi delicatamente la porta
alle spalle.
«Remus»
lo
chiamò lei a gran voce, «non mi hai detto il terzo
motivo!»
Una
leggera luce
azzurrina filtrò al di sotto della porta, attorcigliandosi
dolcemente attorno ai bulloni del lavandino – che iniziarono
a
stringersi come mossi da un invisibile chiave del sedici –
alle
macchie d’umidità – che lentamente
iniziarono a ritirarsi
– ai pezzi di intonaco abbandonati sul pavimento –
che
volteggiarolo leggeri fino al loro posto d’origine.
Tonks
si guardò
incuriosita attorno, prima di lanciare un’occhiata torva alla
porta.
«Io
sono ancora
tutta sporca e l’acqua è anc-»
Una
seconda scia
luminosa penetrò nel bagno e le volteggiò un
attimo
attorno: l’acqua evaporò nel giro di pochi
istanti, lo
stucco fra I suoi capelli si sciolse e la polverina bianca sul suo
viso scomparve.
Rimase
ad ascoltare il
suono dei passi di Remus diminuire mano a mano che
s’allontanava
lungo il corridoio.
«Un
terzo motivo
più che valido» pensò con un sorriso
Tonks.
°°°°°°°
Un aggiornamento a distanza di due
giorni, per farmi
perdonare delle orripilanti settimane di inattività di
quest'estate.
Non che non avessi il tempo, ma ho
avuto una penosa,
deprimente e assolutamente totale perdita di creatività. Un
duro colpo psicologico per il mio pc: temo si sia convinto che io
abbia cercato di abbandonarlo, e ora me la stia facendo pagare
distruggendo tutti i file di cui ho bisogno.
Se in questo capitolo ci sono
più errori di
battitura e di ortografia del solito, chiedo perdono anche a nome
suo: ha distrutto il mio correttore ortografico e ora mi sto
aggrappando ad uno on-line di cui non mi fido completamente.
Comunque sia, devo ringraziare SakiJune,
Frytty, gollum93, Christine,
e fennec,
sperando che anche il diciasettesimo capitolo vi piaccia come i
precedenti. Ed ora, ATTENZIONE, SIGNORI, ATTENZIONE.
RIPETO:
ATTENZIONE, SPOILER NELLA
N.D.A DA QUI IN POI!!!
SPOILER!
SPOILER!
SPOILER!
SPOILER!
...SIGNORI,
È L'ULTIMO
AVVERTIMENTO: SPOILER.
Come ho detto all'inizio del
capitolo precedente,
questa storia ha già i binari prestabiliti, con un inizio,
un
mezzo e un finale come tutte le storie che si rispettino. Dopo la
lettura di Deathly Hallows (di cui non voglio neppure parlare, mi
sembra quasi di essere stata derubata) il finale della mia storia non
si è rivelato lo stesso della Rowling. E ci credo,
per la
miseria: vi sembra il modo di farli uscire di scena!? *respiro
profondo*
Sta di fatto che - una volta
terminato il Diario,
probabilmente prima dell'uscita dell'edizione italiana -
posterò
un epilogo, da riallacciare alla storia per intero, ma completamente
diverso da quello inglomerato nel Diario completo, spero di essere
riuscita a spiegarmi.
E per rispondere a Christine,
purtroppo sì,
quell'epilogo terrà conto di tutto ciò che
è
accaduto nel settimo libro e di tutti i suoi nuovi personaggi.
Probabilmente, comunque, sarà l'unica storia in cui
tratterò
della loro morte. Come hanno già detto tantissime amanti
della
coppia, per me quel libro non è mai stato scritto. Un furto,
e
non mi riferisco certo alla sola morte di Remus e Tonks. Il mio
discorso è molto più ampio.
Al prossimo capitolo,
Trick
|
|