Diario di un lupo in un branco di lupi

di Trick
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Primo - Missione suicida ***
Capitolo 3: *** Capitolo Secondo - Cappuccetto Rosso ***
Capitolo 4: *** Capitolo Terzo - Il Capo del Clan ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quarto - Buon Appetito ***
Capitolo 6: *** Capitolo Quinto - Lo strano forestiero del Sud ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sesto - Sinfonia d'opinioni ***
Capitolo 8: *** Capitolo Settimo - Plenilunio ***
Capitolo 9: *** Capitolo Ottavo - Londra, quarantotto ore fa ***
Capitolo 10: *** Capitolo Nono - La conversation d'amis ***
Capitolo 11: *** Capitolo Decimo - Il gioco della morte ***
Capitolo 12: *** Capitolo Undicesimo - Londra, qualche giorno dopo ***
Capitolo 13: *** Capitolo Dodicesimo - Faccia a faccia ***
Capitolo 14: *** Capitolo Tredicesimo - Spie ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quattordicesimo - Sotto la luna ***
Capitolo 16: *** Capitolo Quindicesimo - A Natale ***
Capitolo 17: *** Capitolo Sedicesimo - A Noël ***
Capitolo 18: *** Capitolo Diciassettesimo - Avevi un cane? ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciottesimo - I saggi non si rasano ***
Capitolo 20: *** Capitolo Diciannovesimo - Fra serpi e grifoni ***
Capitolo 21: *** Capitolo Ventesimo - Someone's waiting for you ***
Capitolo 22: *** Capitolo Ventunesimo - Sulle ali della mitologia classica ***
Capitolo 23: *** Capitolo Ventiduesimo - Sulla soglia ***
Capitolo 24: *** Capitolo Ventitreesimo - Lama di rasoio ***
Capitolo 25: *** Capitolo Ventiquattresimo - Al di là del bene ***
Capitolo 26: *** Capitolo Venticinquesimo - Tradizionali ***
Capitolo 27: *** Capitolo Ventiseiesimo - Le truppe ***
Capitolo 28: *** Capitolo Ventisettesimo - Una novellina che morde ***
Capitolo 29: *** Capitolo Ventottesimo - È il prezzo che si potrebbe pagare ***
Capitolo 30: *** Capitolo Ventinovesimo - Due parole ***
Capitolo 31: *** Capitolo Trentesimo - Direzione Londra ***
Capitolo 32: *** Capitolo Trentunesimo - Casa ***
Capitolo 33: *** Capitolo Trentaduesimo - Separati dal mondo ***
Capitolo 34: *** Capitolo Trentatreesimo - Camminando indietro ***
Capitolo 35: *** Capitolo Trentaquattresimo - Solo un bambino ***
Capitolo 36: *** Capitolo Trentacinquesimo - La licantropia ti ha reso migliore ***
Capitolo 37: *** Capitolo Trentaseiesimo - Nasconditi ***
Capitolo 38: *** Capitolo Trentasettesimo - D'amore e di morte si vive ***
Capitolo 39: *** Capitolo Trentottesimo - L'alchimia d'azzardo ***
Capitolo 40: *** Capitolo Trantanovesimo - Che sia un addio? ***
Capitolo 41: *** Capitolo Quarantesimo - Deciderà la sorte ***
Capitolo 42: *** Capitolo Quarantunesimo - Spalle al muro ***
Capitolo 43: *** Capitolo Quarantaduesimo - Intervallo di fortuna ***
Capitolo 44: *** Capitolo Quarantatreesimo - Sei uno scherzo del Fato ***
Capitolo 45: *** Capitolo Quarantaquattresimo - Al sapore di birra ***
Capitolo 46: *** Capitolo Quarantacinquesimo - Le fiamme del Mastro ***
Capitolo 47: *** Capitolo Quaranteseiesimo - Per gli umani la legge è uguale ***
Capitolo 48: *** Capitolo Quarantasettesimo - Ordito di ragno e ordito di verme ***
Capitolo 49: *** Capitolo Quarantottesimo - Macchiati di sangue ***
Capitolo 50: *** Capitolo Quarantanovesimo - Diplomazia e risentimento ***
Capitolo 51: *** Capitolo Cinquantesimo - Macchiati di colpa ***
Capitolo 52: *** Capitolo Cinquantunesimo - Colloqui ***
Capitolo 53: *** Capitolo Cinquantaduesimo - Preoccupazioni ***
Capitolo 54: *** Capitolo Cinquantatreesimo - Rivalità senza tempo ***
Capitolo 55: *** Capitolo Cinquantaquattresimo - Parte del branco ***
Capitolo 56: *** Capitolo Cinquantacinquesimo - D'ira funesta, d'odio e d'angoscia ***
Capitolo 57: *** Capitolo Cinquantaseiesimo - Chiacchiere di passato ***
Capitolo 58: *** Capitolo Cinquantasettesimo - Camminando ***
Capitolo 59: *** Capitolo Cinquantottesimo - Quiete di tempesta ***
Capitolo 60: *** Capitolo Cinquantanovesimo - Fulmini a ciel nuvolosi ***
Capitolo 61: *** Capitolo Sessantesimo - Non si scappa più ***
Capitolo 62: *** Capitolo Sessantunesimo - Nella trappola del topo ***
Capitolo 63: *** Capitolo Sessantadue - Trinomio di Auror ***
Capitolo 64: *** Capitolo Sessantatreesimo - Senza fiato ***
Capitolo 65: *** Capitolo Sessantaquattresimo - Ogni cosa ha il suo perché ***
Capitolo 66: *** Capitolo Sessantacinquesimo - Preparando il tramonto ***
Capitolo 67: *** Capitolo Sessantaseiesimo - Questione di scelte ***
Capitolo 68: *** Capitolo Sessantasettesimo - Fatti un bagno ***
Capitolo 69: *** Capitolo Sessantottesimo - Volere, potere, dovere ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

PROLOGO

°°°°°°°






Se all'albeggiare di quell'uggiosa domenica di giugno aveste attraversato il parco che circondava l'imponente cattedrale di St. Paul, gigante fra i giganti di Londra, avreste avuto anche voi la possibilità di vedere Remus Lupin, che seduto su una delle fredde panchine di cemento del giardino, fissava il vivace zampillare delle fontane, perso fra l'oscurità dei propri pensieri.

Come aveva potuto essere così sconsiderato? Come aveva potuto permettere al suo desiderio di soffocare tutti i suoi più fermi e radicati principi per un'unica e infinita notte di carezze? Eppure, aveva ceduto al sorriso malizioso di Tonks, alle sue mani che sembravano voler marchiare a fuoco la sua pelle ad ogni tocco, alle sue labbra di whisky che gridavano tutta la passione che erano state costrette a ingoiare negli ultimi mesi.

Socchiuse gli occhi ambrati e trasse un profondo respiro. Sirius era morto da tredici giorni. Tredici precisi, sì. Remus li aveva contati, se li era sentiti scorrere nella carne e nell'anima, pesanti e assassini come gli anni che aveva trascorso in completa solitudine. Sirius era stato il suo migliore amico. Era stato una delle poche persone che lo avevano sempre sostenuto e accettato, nonostante fosse a conoscenza della sua delicata condizione. Fin dai primi anni di scuola, la sconsiderata esuberanza di Sirius Black aveva sempre compensato la calma e pacata razionalità di Remus Lupin, dando origine a un'amicizia che fuorviava dalla normalità, certo, ma che era stata in grado di resistere alle più forti tempeste.

Sirius era stata l'unica spalla su cui Remus avesse mai pianto, e lo rimase per anni. Né James, né tanto meno Peter, ebbero mai l'occasione di assistere alle sue lacrime. Non vi fu nessun motivo logico a definire questa scelta, semplicemente il destino fece in modo che Sirius fosse sempre presente quando Remus ne aveva più bisogno.

Come avrebbe dovuto sentirsi, ora, Remus Lupin? Come avrebbe dovuto reagire alla prospettiva di una vita senza l'ilarità e senza l'incoerenza dell'amico, senza la spensieratezza di trovarselo accanto nei momenti meno opportuni, senza il suo modo di essere così... così, come? Era una domanda che l'aveva sempre tormentato, eppure, dopo quasi trent'anni, non era ancora capace di definire a parole quello che sostanzialmente era Sirius Black.

Avrebbe dovuto sentirsi abbattuto, frustrato, angosciato? Be', probabilmente...

Avrebbe dovuto perdere ogni speranza per il futuro? Be', quella l'aveva persa da tempo incalcolabile, ormai...

Avrebbe dovuto sentirsi colpevole, impotente e abbandonato? Be', forse...

E invece, no. Ripensando all'amico, Remus Lupin si sentiva soltanto un grande infame. Mentre vedeva Sirius scivolare con grazia oltre al velo nero che aveva nuovamente distrutto la loro amicizia, mentre la parte razionale della sua mente assimilava in un lampo l'insopportabile verità di quella perdita, il suo cuore, quello che avrebbe dovuto realmente piangere per Sirius, era ostinatamente concentrato su Tonks, riversa col volto a terra ai piedi della scalinata di marmo.

E meno di dieci ore prima, a dodici giorni e dieci ore dalla morte del suo migliore amico, Remus Lupin aveva osato dimenticarsi di lui.

Mentre la passione esplodeva fra le lenzuola umide, si era scordato di Sirius.

E si era scordato di essere vecchio.

E di essere povero.

Si era scordato di essere un lupo mannaro.

Per un'unica, infinita notte di carezze, era stato semplicemente un uomo innamorato.

°°°°°°°

L'aroma inebriante del caffè risalì lentamente le scale di Grimmauld Place e si soffermò pensieroso davanti alla grande porta di frassino in fondo al corridoio.

L'aroma inebriante del caffè pensò che forse non era il caso di disturbare l'inquilina della stanza, strappandola così al dolce abbraccio del sogno.

Purtroppo per lei, il caffè non si soffermava mai troppo a pensare. Scivolò sotto la porta e circondò lentamente la stanza, avvicinandosi sempre di più alla ragazza addormentata fra le lenzuola.

Mmm...” mugugnò, captando la presenza del caffè con l'olfatto.

Ninfadora Tonks sorrise placidamente nel dormiveglia, improvvisamente colpita da un'ondata di immane felicità.

Quanto aveva desiderato sentire le mani di Remus scorrerle sul corpo? Quanto aveva sognato di poter assaporare quelle labbra sottili?

Si voltò su un fianco, stringendosi nelle lenzuola, e quando si decise ad aprire gli occhi, sussultò.

Si rizzò a sedere, lasciandosi sfuggire un gemito. I Guaritori le avevano detto che si era perfettamente ripresa dalla battaglia nell'Ufficio Mistero, ma di tanto in tanto, il ventre le si riaccendeva di lancinanti fitte.

Fissò sconvolta il posto vuoto accanto a lei per diversi minuti. La metà del letto dove avrebbe dovuto trovarsi lui, era perfettamente sistemata, copriletto compreso. Ninfadora Tonks non poteva credere ai suoi occhi; quell'uomo era così preciso da rifare addirittura la sua metà del letto, (in maniera perfetta e impeccabile, oltretutto), mentre lei era beatamente addormentata!

Ispezionò con lo sguardo il resto della stanza: i suoi vestiti erano finiti in posti impensabili, ma gli indumenti di Remus erano spariti con il proprietario.

L'aroma inebriante del caffè rise di gusto fissando l'espressione offesa sul volto pallido di Tonks, mentre afferrava la propria biancheria e con un gesto spazientito si rivestiva.

°°°°°°°

Qualcuno sa dov'è andato Remus?” chiese Molly Weasley mentre versava il caffè ancora bollente nella tazza del marito, completamente eclissato dalla Gazzetta del Profeta. “Di solito è il primo a svegliarsi”.

L'ho visto uscire presto, stamattina” rispose suo figlio Bill. “Saranno state le cinque, forse sei...”

Povero Re-” si bloccò, lanciandogli improvvisamente un'occhiata sospettosa. “Ma che ci facevi in piedi alle cinque-forse-sei?”

Ehm... mi stavo vestendo” balbettò Bill. ”Devo andare alla Gringott, e... “

Di domenica, Bill?” chiese a bruciapelo la madre.

Be', sì... ti ricordi di Fleur Delacour? La ragazza di Beauxbatons che partecipò al Torneo Tremaghi con Harry? Ecco, ora lavora alla Gringott, ma ha problemi con l'inglese, perciò...” infilò tutto quello che rimaneva della brioche in bocca.

Percò lelo inseno ioconcluse, sputacchiando briciole sulla tavola candida.

Bill Weasley! Non parlare con la bocca piena! Non è buona educazione!”

Buongiorno a tutti... “

Molly Weasley staccò lentamente gli occhi dal figlio per guardare Tonks.

Buongiorno, Tonks, cara. Dormito bene? Preferisci pancetta, bacon, frittelle o brioches?”

Tonks ci pensò un istante. “Mmm... frittelle!”

Molly sorrise deliziata e riprese a destreggiarsi con i fornelli.

Avete visto Remus, questa mattina?” chiese Tonks, mentre afferrava al volo la sedia che aveva urtato nel pericoloso tentativo di sedersi. Sperava con tutta sé stessa che la sua voce non tradisse nulla.

Bill l'ha visto uscire presto, questa mattina” rispose Arthur, di cui Tonks riusciva a vedere solo i capelli rossi oltre la prima pagina della Gazzetta.

Bill Weasley lanciò un'occhiatina furba in direzione della vecchia compagna di scuola. “Perché ti interessa?”

Tonks intravvedette con la coda dell'occhio un ciocca di capelli farsi più rossa. La afferrò con un gesto deciso e sorrise nervosamente. Era consapevole che se Molly Weasley fosse venuta a conoscenza di quello che aveva fatto con Remus, a poche stanze dalle camere dei figli minorenni, né lei, né tanto meno il suo amante, sarebbero vissuti a lungo per raccontarlo.

Facevo per parlare, Bill, tutto qui...” rispose, con il suo migliore tono da "niente di che". Peccato non sembrasse sortire l'effetto desiderato. Bill la guardò di sottecchi per tutta la durata della colazione, sogghignando di tanto in tanto e facendo gesti ambigui tutte le volte che Molly si voltava verso i fornelli.

Bill...” sussurrò Tonks all'orecchio dell'amico, in modo che nessuno potesse sentirla, “come fa la francesina a sopportarti?”

Lui la guardò terrorizzato, si picchiò la fronte e gridò, alzandosi di scatto: “Fleur! Merlino, mi sono dimenticato di Fleur!”

Afferrò un'ultima brioches - la quinta, per l'esattezza - e si precipitò verso la porta, salutando con un gesto i genitori.

L'ho visto andare verso la cattedrale di St.Paul“ mormorò Bill a Tonks, con un sorriso affettuoso, prima di sparire con un fruscio del mantello.

°°°°°°°

Se in quell'uggiosa domenica di giugno aveste attraversato il parco che circondava l'imponente cattedrale di St. Paul, gigante fra i giganti di Londra, avreste avuto anche voi la possibilità di vedere Ninfadora Tonks, mentre cercava con lo sguardo Remus Lupin. Lo intravide in pochi minuti, seduto su una panchina, intento a fissare il vivace zampillare delle fontane.

Si avvicinò lentamente a lui, cercando di riordinare mentalmente le parole più adatte "da dire o non dire" in una simile situazione. Aveva già fatto molti progressi, quando lui alzò lo sguardo e la vide. Il cuore di Remus Lupin fece un salto.

Ciao” mormorò Tonks, non appena si fu avvicinata abbastanza. “Posso sedermi?”

Lui la guardò un attimo, apparentemente perso nelle sue parole e fece un cenno col capo.

Rimasero in silenzio diversi minuti. Lui, con gli occhi ancora incollati al danzare dell'acqua, e lei, intenta a fissarsi imbarazzata le ciabatte.

Le ciabatte!?

Non è possibile!” strillò improvvisamente.

Remus sobbalzò e si voltò rapido verso di lei. Voleva dirle qualcosa, qualsiasi cosa, ma sembrava che la sua bocca si fosse tramutata in granito.

I capelli di Tonks iniziarono a farsi più ardenti. “Mi sono dimenticata le scarpe...“ grugnì con un buffa smorfia, squadrandosi abbattuta le ciabattine rosa shocking.

Remus non avrebbe dovuto ridere. Non avrebbe dovuto, e non avrebbe voluto. Non in quel momento, almeno, ma quella ragazza era incredibile. Nonostante il suo autocontrollo e la sua razionalità ce la mettessero tutta, lei faceva o diceva sempre qualcosa che accendeva in lui una scintilla di pazzia, una sorta di varco nella sua anima che solo lei riusciva ad aprire, un varco che Remus, da solo, non sarebbe mai riuscito ad attraversare.

Tonks scoppiò a ridere a sua volta, e Remus desiderò immensamente che non smettesse mai. Un silenzio nervoso aleggiò fra di loro per i minuti successivi. Tutte le frasi più adatte "da dire o non dire" che Tonks si era preparata, sembravano essere fuggite dalla sua mente, nel momento stesso in cui si era seduta accanto a lui. Alzò gli occhi, e lo trovò ancora concentrato sulla fontana. Guardò le sue labbra, e chiuse gli occhi per evitare di saltargli addosso.

Per tutte le Banshee, ti voglio!

Ninfadora, dobbiamo parlare” disse, improvvisamente.

Lei riaprì gli occhi e poté incrociare quelli ambrati di lui. Respirò profondamente, cercando di mantenere la calma.

Remus, se non ti bacio ora, credo che impazzirò” proruppe lei, senza riuscire a fermarsi. Le loro labbra si sfiorano per un brevissimo, intenso attimo, nel quale Tonks poté perdersi nel profumo dell'uomo.

Ninfadora, ti prego... devi ascoltarmi”.

Tonks sgranò gli occhi. Remus la stava supplicando.

Remus, cosa c'è?”

Lui abbassò gli occhi, appellandosi al Grifondoro assopito dentro di lui.

Non posso”.

La giovane lo fissò senza capire. “Non puoi... fare cosa? “domandò, chiedendosi se davvero voleva conoscere la risposta.

Non posso permetterti di amarmi”.

La forza di quelle parole la investì in pieno, e Tonks sentì il suo cuore strizzarsi come uno strofinaccio usato.

Che significa che non puoi permetterlo?”chiese. “Non è il tuo permesso che voglio “.

Remus si decise a guardarla, gli occhi che luccicavano di una fiera determinazione.

Ninfadora, sono vecchio e povero. E malato. Non posso lasciarti sprecare la tua vita con uno come me”.

L'espressione che comparve sul volto di Tonks non avrebbe potuto essere più chiara. Era completamente incredula.

E questo sarebbe il problema?” domandò, divertita. “Tutto qui?”

Lui la fulminò con un'occhiata, e lei trasalì.

Remus, non riesco a capire dove tu veda il problema” sbottò.

Sono vecchio, Ninfadora...”

Non lo sembravi, questa notte!”

E povero...”

E credi davvero che a importi?”

Ninfadora, dannazione! Sono un lupo mannaro!”

E a me non importa un accidente, Remus!” strillò la ragazza, ormai al colmo della sopportazione.

Remus sorrise malinconico. “So che non riesci a capire, ma credimi. È meglio per entrambi”-

È meglio... per entrambi...“ ripeté Tonks, fissando sconvolta il vuoto. “No, Merlino, non è meglio per entrambi! Non è meglio per nessuno!” esclamo tutto d'un tratto, alzandosi in piedi e fissando Remus furibonda.

Cos'è stato per te questa notte, Remus? Guardami negli occhi, e dimmi cos'è stato per te!” aggiunse, afferrandolo per il bavero della giacca.

Remus rimase spiazzato. È vero... cos'aveva significato per lui quella notte?

La debolezza di un momento? Il piacere del divertimento? Cos'era stato?

È stato un errore, Ninfadora. Soltanto un errore” mormorò con voce roca, senza sapere se credeva o meno alla risposta che aveva dato.

La presa di lei si allentò improvvisamente, le braccia cadettero lungo i fianchi, le labbra si strinsero in una sottile linea di rabbia, e gli occhi si riempirono di lacrime di furia.

Tirò sul con naso, lasciandosi sfuggire un singhiozzo. “Stai mentendo, Remus Lupin. Te lo leggo in faccia”.

Le sue parole furono accompagnate dall'eco di un tuono lontano, mentre lentamente, iniziò a piovigginare.

Io ti amo. E nulla in questa vita potrà impedirmi di amarti, Remus”.

Ninfadora Tonks si voltò, e se Remus Lupin non fosse stato intento a maledire tutti gli angeli del Creato, si sarebbe certamente accorto che la pioggia, scivolando fra i capelli di lei, li aveva tinti di grigio.

°°°°°°°



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Capitolo 2
*** Capitolo Primo - Missione suicida ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO PRIMO

Il capo del Clan

°°°°°°°




Remus Lupin si passò una mano sul viso segnato, circondato dalla penombra della modesta stanza che aveva affittato al Paiolo Magico. Si trattava di una spesa piuttosto elevata, se consideraste le sue precarie condizioni economiche, ma da quando Sirius se ne era andato, Grimmauld Place non poteva più essere considerato un posto sicuro, ammesso che prima si potesse definire tale. I mesi trascorsi fra quelle tetre e inospitali mura avevano sortito il medesimo effetto dell'acqua cristallina con il fiore secco, scalfendo perfino quella barriera di solitudine nella quale il suo "io" umano cercava disperatamente protezione.

Aveva chiesto ad Arthur Weasley se gentilmente gli poteva spedire i suoi bagagli al Paiolo Magico, e meno di dieci minuti dopo, si era ritrovato a discutere con una scocciata Molly Weasley sul perché preferiva alloggiare in una locanda, quando avrebbe potuto sistemarsi tranquillamente alla Tana, dove, aveva sottolineato diverse volte,  non avrebbe arrecato il minimo disturbo.

Si era giustificato dicendo che aveva intenzione di trascorrere la maggior parte del suo tempo al servizio dell'Ordine, e che non avrebbe neppure avuto il tempo di sentirsi solo.

La verità era un'altra, e nonostante l'ostinazione con la quale la negava, Remus ne era pienamente consapevole: non avrebbe resistito un solo secondo in compagnia di Tonks. Non sarebbe neppure riuscito a guardarla respirare, senza che la voglia di stringere nuovamente il suo corp0 a quello di lei lo sommergesse del tutto. Dannazione, come ho potuto innamorarmi di lei?

- Sei proprio un povero fallito - disse una voce disgustata alla sua destra.

Remus Lupin alzò leggermente il capo con un'espressione annoiata, in modo da poter vedere la propria immagine riflessa nello specchio.

- Ehi! Mi hai sentito? - continuò il riflesso, offeso. - Ho detto che sei un povero fallito! -

- Ho sentito... - rispose snervato Lupin. - Ti ho sentito questa volta, così come ti ho sentito la penultima, la terzultima e la quartultima volta... -

Il riflesso sorrise con aria di superiorità. - Perché non te ne vai dalla ragazzina ? -

- Non chiamarla così... -

- Oh, scusa... - sbottò strafottente lo specchio. - Come siamo permalosi, oggi. Ti sei svegliato con la luna di traverso?-

Lupin si morse le labbra per non ribattere. Non si sentiva in vena di alzarsi dal letto, figurarsi di discutere con il proprio, stupido riflesso.

- Se io fossi te... - riprese imperterrito lo specchio, leccandosi la bocca malizioso.

- Tu sei me... - mugugnò Lupin, affondando il viso nel cuscino per non sentire la propria voce. - Purtroppo... -

- ... me ne andrei dalla Non-Devo-Chiamarla-Ragazzina, la sbatterei per terra, e poi... -

Remus Lupin non venne mai a conoscenza di quello che il proprio riflesso avrebbe fatto a Ninfadora Tonks, e di questo ne fu ben lieto. Un paffuto gufo marroncino si era appena posato sul davanzale e ora picchiettava impaziente il vetro. Remus si alzò lentamente dal letto e aprì la finestra quel poco che bastava al volatile per entrare, rabbrividendo mentre il vento s'intrufolava sotto la sua canottiera.  

Liberò gentilmente la sua zampetta dalla pergamena azzurrina, e lo ringraziò con un pezzetto di cioccolata fondente.

(Lo so, anch'io non credevo che i gufi potessero mangiare cioccolato fondente, ma a quanto pare Remus Lupin era in grado di fare anche questo).

- Cos'è? - chiese curioso il riflesso, tentando invano di allungare il collo oltre la cornice che lo imprigionava.

Lupin tornò a sedersi sul letto e iniziò a leggere. Una sottile ruga di concentrazione gli comparve fra le sopracciglia.

     

 

     Carissimo Remus,

avrei il piacere di discorrere con te circa un argomento piuttosto delicato e personale.

Ti aspetto questa sera nel mio ufficio.

                                                                                                                                     Sperando che tu stia bene,

                                                                                                                                                              Albus Silente.

 

P.S

La parola d'ordine è "Rotolino di ribes". È un dolce dal sapore sublime, dovresti assaggiarlo.

°°°°°°°

 

 

Molly Weasley fissava Ninfadora Tonks rigirarsi nervosamente la tazza di the di gelsomino fra le mani pallide.

Era rimasta senza parole, quando, pochi minuti prima, aveva aperto la porta della Tana e se l'era trovata davanti, fradicia, tremante e con il viso bagnato dalle lacrime. Temendo che Tonks fosse lì per portarle amare notizie di morte, si era aggrappata impulsivamente allo stipite della porta e le  aveva domandato tutto d'un fiato cosa mai fosse successo.

- Nulla... - le aveva sussurrato la giovane. - Avevo solo bisogno di qualcuno. -

Solo dopo essersi ripresa dallo spavento, si era resa conto dello strano cambiamento nell'acconciatura di Tonks: i capelli grigio sporco le ricadevano piatti davanti al viso, invecchiandola impietosamente di almeno dieci anni. La morte di Sirius l'ha proprio sconvolta, pensò amaramente Molly.

La lasciò con la sola compagnia della sua tristezza per pochi istanti, il tempo sufficiente per raggiungere il bagno, issarsi sul pericolante cassettone per poter prendere un asciugamano pulito e ritornare nell'accogliente cucina della Tana.

- Cara, hai voglia di parlarne? - si decise a dire, dopo svariati minuti di silenzio. - Sono certa che ti sentiresti subito meglio. -

Tonks alzò gli occhi arrossati dalle troppe lacrime verso di lei solo un attimo, prima di riabbassare lo sguardo sulla tazza.

- Al diavolo quell'idiota che ha detto che l'amore vince tutto... - mormorò malinconica, tentando un debole sorriso.

Molly sgranò gli occhi. Tonks!? Innamorata!? 

Dovette aspettare alcuni secondi prima che lo stupore causato da quelle parole si trasformasse in eccitante, e probabilmente inopportuna felicità. Un'ipotesi azzardata si stava facendo strada nella sua mente, un'ipotesi che se si fosse rivelata corretta, l'avrebbe liberata da una quantità di irritanti problemi, riassumibili in un'unica, insopportabile parola: Fleur Delacour.

Il piano era di una semplicità quasi matematica:

 

Tonks + Bill = Au revoir, Fleur Delacour. 

 

Cercò di accantonare le immagini di Bill e Tonks felicemente sposati e della francesina rinchiusa su un battello in partenza per l'isola di Non-Ritorno in un angolino remoto del proprio cervello, onde evitare di sorridere maliziosamente in faccia alla giovane Auror in un simile momento.

- Era proprio un idiota... - convenne Molly. -

Non fece in tempo a finire la frase che Tonks le si gettò fra le braccia, il corpo scosso da infiniti, impotenti singhiozzi. Molly le accarezzò amorevolmente la testa, sorridendo tristemente. Cinque minuti più tardi, la ragazza si staccò, asciugandosi le guance umide con dorso della mano.

- Scusa, Molly... -

- Non azzardarti a chiedermi scusa di nuovo. -

Tonks fece un respiro profondo. - Mi sono innamorata, Molly. -

- Questo l'avevo capito, cara. -

- Lui è quello giusto. Lo so, me lo sento dentro, è come se... non so spiegartelo, ma so che è lui. -

- Capisco. Invece, lui? -

- Prova qualcosa anche lui, ne sono sicura. - sussurrò la ragazza, fissando il vuoto davanti a sé. - O non saremmo finiti a letto insieme, l'altra sera. - aggiunse, mentre le gote pallide si tingevano di un vago rossore.

Molly afferrò il bracciolo della sedia, visibilmente agitata. Un conto era consolare Tonks innamorata per Bill, a sua volta misteriosamente innamorato di Fleur Delacour, ma entrare nei loro dettagli intimi era decisamente troppo imbarazzante... insomma, era sempre del suo bambino di cui stavano parlando, cercate di capire il suo punto di vista.

- Ha detto che è stato un errore... - continuò Tonks, chiudendo gli occhi e ispirando come se questo permettesse al dolore di scorrerle via dall'anima. - Ha detto che non può legarsi a me... ha paura di farmi del male. -

Molly la guardò accigliata. - Del male? - ripeté, senza capire. - E come potrebbe? -

Tonks la guardò per la prima volta da quando avevano iniziato a parlare, e abbozzò un sorriso carico di tristezza. - Conosci Remus, Molly. Lui è semplicemente fatto così. -

S scoppiò in una leggera risata senza allegria, mentre guardava Molly con gli occhi sgranati e la bocca aperta.

 

Remus + Tonks = Bill - Tonks = Bill + Fleur Delacour.

 

Molly scosse la testa, irritata con sé stessa. Come poteva pensare al suo piano per far rimpatriare la francesina, mentre Tonks le crollava disperata fra le braccia!? Vergognati, Molly Weasley, si rimproverò mentalmente.

- Io lo amo davvero - proseguì Tonks, ormai incapace di fermarsi. - Amo tutto di lui... amo il modo in cui alza il sopracciglio sinistro quando è divertito, o quando si copre la bocca per non ridere a sproposito... e... Merlino, quanto amo la sua bocca! - affondò la testa fra le braccia, e ricominciò a piangere.

- Amo anche il lupo che vive in lui, Molly... - biascicò in maniera incomprensibile fra le lacrime.

Molly la strinse a sé, mentre sentiva gli occhi bruciare.

Remus, sei veramente un cretino, pensò, furibonda.

°°°°°°° 

 

 

Mentre camminava a passo svelto per il parco di Hogwarts, chino sotto il suo vecchio ombrello nero, a Remus Lupin tornò in mente un'antica leggenda orientale, secondo cui la pioggia non sarebbe altro che l'insieme delle lacrime degli uomini, raccolte dagli dei per essere gettate sulla Terra, in modo che gli umani potessero capire di quanto male avevano tinto il mondo.

Non poté fare a meno di pensare che fra le lacrime di quel diluvio, si annidavano solitarie anche quelle di Ninfadora.

Alzò lo sguardo verso il vecchio faggio in riva al lago e sorrise, mentre permetteva a ricordi lontani di farsi strada nel suo cervello.

 

 

- Non credo sia una buona idea. -

- Lunastorta, per te niente di quello che facciamo è una buona idea. -

- Ma, Ramoso, potrebbe essere pericoloso... e se ci scoprissero? E se l'incantesimo finisse male? -

- Lunastorta, ce l'hai già detto una quindicina di volte nell'arco di quaranta secondi, finiscila. Andrà tutto bene. -

Lunastorta aprì la bocca per ripetere per la sedicesima volta che non sarebbe sicuramente andato tutto bene, quando una vocina sottile lo interruppe.

- Non ci succederà niente, Lunastorta - disse Codaliscia, con un timido sorriso impresso nel volto paffuto. - Vogliamo solo farti compagnia. Non ci piace vederti star male tutti i mesi. -

- Parole sante - convenne Felpato, steso come una lucertola pochi passi più in là. - Non vorrai tenerti tutto il divertimento per te, vero? -

Lunastorta strizzò gli occhi per evitare di saltare addosso a Felpato e strangolarlo seduta stante. Perché non volevano capire quanto fosse pericoloso un Lupo Mannaro?

- Siamo i Malandrini, Lunastorta - aggiunse Ramoso, senza distogliere lo sguardo dalle ragazze in rive al lago. - La regola non era forse "I Malandrini non lasceranno mai solo un compagno"? -

 

 

Remus dovette aspettare sotto la pioggia qualche istante prima che Argus Gazza venisse ad aprirgli i cancelli. Rimase in silenzio mentre il vecchio Magonò gli faceva strada verso la Sala Grande, borbottando scocciato frasi sconnesse (di cui Remus riuscì a cogliere solo "Umbridge" e "benedizione"). Lo ringraziò non appena ebbero varcato l'imponente porta di quercia, tranquillizzandolo sul fatto che sapeva perfettamente dove si trovava l'ufficio del Preside, e che non desiderava sottrarre altro tempo alle sue faccende.

Gazza lo fissò maligno, grugnì una rispostaccia, e si voltò senza aggiungere altro.

Remus sorrise fra sé, e proseguì fra i quattro lunghi tavoli delle Case, soffermandosi malinconico accanto al tavolo di Grifondoro.

Girò a destra dopo la seconda rampa di scale, prese il corridoio del primo piano che portava all'Aula di Trasfigurazione, svoltò a sinistra, e rimase nuovamente stupito da quanto la Mappa del Malandrino fosse incisa a fuoco nella sua memoria. Era in grado rivederne ogni angolo, ogni linea, ogni parola in qualunque momento lo desiderasse.

Si fermò davanti all'imponente fenice di marmo posta all'entrata del ufficio di Albus Silente, un ala del castello che rimaneva un mistero per la maggior parte degli studenti di Hogwarts. Per Remus J. Lupin, ex-Malandrino ed ex-insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure, naturalmente non lo era.

- Rotolino di ribes -, declamò a chiara voce. Le pietre della statua iniziarono a tremare, mentre le ali della fenice si aprivano per mostrare una chiocciola di scale verde granito.

- Professore? - domandò al nulla, non appena ebbe raggiunto l'ultimo gradino. - Professore, sono Remus. Posso entrare? -

- Oh, Remus, ben arrivato! - esclamò l'anziano Preside, alzandosi educatamente dalla propria sedia. - Spero che questo mio improvviso invito non abbia interferito con nessuno dei tuoi programmi. -

- Assolutamente no, professore. -

- E anche se così fosse, non me lo diresti per buona educazione, non è vero, Remus? -

- Esatto, professore. -

Silente gli sorrise con fare paterno e indicò la sedia dinanzi a sé. - Accomodati, Remus. -

Remus non riuscì a dire nulla mentre il professore lo metteva al corrente degli ultimi avvenimenti: ascoltava con una concentrazione tale, che i suoi polmoni potevano respirare solo a scatti. Le sue mani continuavano a sfregarsi fra loro agitate, prive di qualunque controllo.

Ascoltò per filo e per segno l'ultimo resoconto della missione di Severus Piton, da come fosse venuto magistralmente a conoscenza del patto fra Lord Voldemort e la comunità dei licantropi, a come si fosse tempestivamente messo in contatto con l'Ordine della Fenice.

- Alla luce di quanto hai appena saputo, Remus - concluse in un flebile sussurro Silente, - ti chiedo di riflettere attentamente su ciò che sto per chiederti. -

Remus annuì lievemente, ancora incapace di parlare.

- I licantropi non si fidano di Severus. Ci occorre qualcuno che riesca... - e qui si interruppe per inspirare profondamente, - che riesca a interagire appieno con loro. -

Remus incrociò gli occhi celesti di Silente, e scorse un'ombra di impotenza nel suo sguardo solitamente fiero.

- Qualcuno come me, insomma. - concluse per lui Remus, stupito di essere riuscito a emettere suono.

- Non voglio che tu faccia qualcosa solo perché ti senti costretto, Remus. -

Remus annuì con decisione. Sarebbe morto per il nome di Silente, questa era una delle poche, misere certezze che la sua esistenza gli aveva offerto. E in quel momento più che mai, si rese conto di quanto era grande la stima e la lealtà che lo legava all'anziano Preside. Avrebbe fatto qualunque cosa gli avesse chiesto. Qualunque .

 - Lo farò, professore. - dichiarò asciutto. 

Silente alzò stancamente il capo verso di lui. Rimase in silenzio un attimo, massaggiandosi le tempie con i polpastrelli.

- Preferirei che tu ci riflettessi maggiormente, Remus. -

- No, professore - ribatté. - Il tempo non mi aiuterebbe nella scelta. -

- Capisco. Ma vorrei che tu mi ascoltassi un altro minuto, Remus, se ciò non ti disturba. -

- Mi dica, professore. -

- Il capo del clan è Fenrir Greyback. -

°°°°°°°

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Capitolo 3
*** Capitolo Secondo - Cappuccetto Rosso ***


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Diario di un Lupo in un Branco di Lupi 

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice...) 

CAPITOLO SECONDO

°°°°°°°







Il Vento scivolava dolcemente fra i Papaveri Rossi del campo, dondolandoli sulle note di una canzone senza voce. Alzasti gli occhi verso il cielo rosato e ti perdesti fra i colori di quel lontano tramonto primaverile. La Luna riuscì a liberarsi dalla stretta morsa delle nuvole e ti lasciasti irradiare dalla sua luce celeste.  

 

Ecco! Dalle nubi Selene si desta!

Per lei questa sarà notte di festa!

 

Il Vento voltò allarmato il capo e ti gridò di fuggire, Bambino. I suoi occhi d'aria avevano visto quello che tu non eri riuscito a scorgere fra il Rosso dei Papaveri. Si afferrò il petto, soffiò disperato tutta la sua anima di elemento, ma nulla poté contro la Bestia che si avventò sulle esili spalle.

Tentò di implorare la Luna, tentò di dirle di smettere; credimi se puoi, Bambino: quella notte il Vento cedette il suo onore per la salvezza del tuo sangue. Ma la Luna non rispose alla sua preghiera, e sorrise.

 

Muta testimone di quel bacio maledetto,

sorride la luna al suo nuovo diletto.

 

Credesti di perdere l'anima fra i tuoi strilli di fanciullo, credesti di smarrire lo spirito fra le tue lacrime di innocente. 

Mentre sentivi il sangue fuggire dalle tue carni straziate, entrarti fra le labbra e disgustarti col suo amaro sapore, credesti di morire, non è così? Avremmo dovuto avvertirti, quella Notte. Noi abbiamo già letto i capitoli successivi, Bambino. Avremmo dovuto raccontarli anche a te.

La Notte chiuse gli occhi per nascondersi nel buio della cecità, si coprì le orecchie per non dover ricordare di quale spettacolo era stata scenografia. Ma non poté evitare di sentire il sangue scivolarle sulla terra fredda, e tingere  le sue erbe e le sue margherite di rosso nel suo lento tragitto. Ma non i Papaveri. Quelli erano già Rossi.

 

Tace la Notte e assiste alla scena,

non vuole vedere la Luna piena.

 

Tu non potesti vederla, Bambino, ma la Luna ti sorrise nel corso di quella Notte. Avrebbe voluto cullarti, ma come poteva farlo, quando la Natura l'ha resa Madre Senza Braccia? Avrebbe voluto canticchiare nel tuo orecchio una dolce ninna nanna, ma come poteva farlo, quando la Natura l'ha resa Madre Senza Voce? Avrebbe voluto esserti semplicemente Madre, ma la Natura questo non poteva prevederlo.

Poté solo sorriderti, Bambino. E continuò a sorriderti tutte le Notti, mentre la sua luce celeste si fondeva con l'ambra dei tuoi occhi. Era così accecata dalla bellezza del suo Bambino, così fuorviata dall'orgoglio e dalla fierezza che provava nei tuoi confronti, che non si accorse mai di quanto odio e quanto disprezzo, in realtà era celato nel tuo sguardo.

 

Pallida Madre, che da oggi veglierai sul tuo diletto,

quando capirai che ad amarti sarà costretto?

 

 

Trent'anni dopo, Remus J. Lupin si svegliava di scatto nel letto della stanza che aveva affittato al Paiolo Magico, con la fronte imperlata di sudore e i polmoni incapaci di respirare. Chiuse gli occhi e pensò che un altro sogno del genere, lo avrebbe certamente ucciso.

°°°°°°°

 

 

Seduta sui gradini freddi della Tana, Ninfadora Tonks scrutava il cielo plumbeo sopra i propri capelli grigi. Molly le aveva assolutamente vietato (nel senso più rigido e stretto della parola) di trascorrere la notte nella solitudine del proprio, disordinato appartamentino, nonostante la ragazza avrebbe di gran lunga preferito la seconda opzione. Aveva tentato di riposare nel letto che era appartenuto a Charlie Weasley, ma si era rigirata fino all'alba senza trovare riposo fra le lenzuola dal sapore di lavanda.

 Strinse gli occhi per non rivedere l'immagine di Remus in ogni luogo posasse lo sguardo, immerse il volto fra le ginocchia, e cercò invano di non pensare a nulla. 

Cara, hai fame?”

La voce di Molly aleggiò piano attorno ai suoi Non-Pensieri, risvegliandola dall'oblio in cui era  precipitata.

No, Molly” rispose alzando il capo in direzione della finestra della cucina da cui la donna si era sporta. “Grazie”.

Ma, cara, non mangi nulla da ieri sera!” sbottò spazientita Molly, fissandola severamente. “Suvvia, fammi il piacere di mettere in quella pancia qualcosa di commestibile”:

Tonks accennò un sorriso storto, e alzò le spalle con fare impotente. “Scusa, Molly. Non ho proprio fame”.

Molly sospirò e ricacciò la testa nella cucina. - Arthur, ma l'hai vista bene? -

Arthur lanciò un ennesimo sguardo furtivo verso l'entrata della propria casa, e mormorò tristemente:

- Non possiamo fare nulla, più di quello che già stiamo facendo, Molly. E assolutamente no - aggiunse secco, mentre la moglie apriva la bocca per ribattere, - ti impedisco di andare a parlare con Remus. Non possiamo intrometterci nelle decisioni né dell'uno, né dell'altra. -

Gli occhi di Molly si sgranarono dallo stupore.

- Ti amo da una vita, Molly - spiegò con semplicità Arthur, - so perfettamente cosa pensa in quella tua adorabile testolina rossa. -

Molly sorrise dolcemente, lasciandosi pervadere dal calore di quelle dolci parole. Accese la vecchia radio con un colpo di bacchetta e riprese le faccende domestiche che aveva interrotto. Accompagnò canticchiando tutti gli acuti di Celestina Warbeck fino a perdersi nella sicurezza della propria quotidianità. Molly Weasley era così occupata, che non si accorse della figura alta e scura appena Smaterializzatasi nel proprio giardino.

°°°°°°°

 

 

- Buongiorno, Ninfadora - salutò con freddezza Severus Piton, calcando fastidiosamente sul nome della ragazza seduta sui gradini della Tana.

No, pregò Tonks mentalmente, Merlino, no... tutti ma non lui.

- Il tuo nuovo look è... sì, decisamente interessante - continuò imperterrito Piton, mentre i suoi occhi scuri saettavano curiosi verso i capelli di Tonks.

Lei sospirò afflitta e guardò il pallido viso dell'uomo. - Cosa la porta qui, professore? Non la cortesia, immagino. -

- Ho un messaggio da parte del professor Silente. -

Tonks lo guardò perplessa. - Un messaggio per me? -

Piton scoppiò in una risatina di scherno. - Ti credi davvero così importante, ragazzina? Il messaggio è per l'Ordine. -

- Io ne faccio parte, professore. - ribatté Tonks, con eccessiva enfasi sul soggetto "io".

- Oh, hai ragione, Ninfadora. Me ne dimentico troppo spesso. -

Se Tonks non fosse stata di quel cupo umore, avrebbe avuto sicuramente il coraggio di sputare in un occhio al suo ex-professore, ma considerate le sue attuali condizioni, non ebbe neppure la forza di difendere il suo orgoglio da novellina, miseramente calpestato da Piton.

Lui la guardò un attimo, e un ghigno di divertimento incrinò le sue labbra. - Lupin ha finalmente deciso di partire per l'isola di Jura. -

Tonks si alzò di scatto, tremando leggermente sulle gambe intorpidite dalle troppe ore trascorse seduta sui gradini.

- Partire? Quando? Perché? Per dove? -

- Ci occorreva una spia fra i licantropi, e Lupin è l'unico che abbia... le qualità necessarie, sì. -

- Fra... fra i licantropi? - balbettò in un sussurro appena udibile Tonks, gli occhi terrorizzati fissi in quelli scuri dell'uomo.

- Scopro con rammarico che non hai ancora perso quello stupido vizio di non ascoltare, Ninfadora. Sì, fra i licantropi. -

La fissò nuovamente con quell'espressione fra la superiorità e il disprezzo che riservava a Tonks da quando la ragazza aveva oltrepassato per la prima volta la soglia dell'aula di Pozioni, con i capelli verdi e gli occhi fucsia.

- Nel clan di Greyback. - aggiunse Piton, con una leggerezza che non aveva nulla di umano.

Le sopracciglie di Tonks si alzarono così tanto che scomparvero completamente sotto i suoi capelli flosci. Rimase immobile a guardare i fiori perfettamente curati di Molly, senza vederli realmente, mentre Piton si avvicinava alla porta della Tana.

- Per quanto mi riguarda - concluse lui, deciso fino in fondo ad affondare il colpo di grazia, - mai notizia è stata più bella. Se la Fortuna ci assiste, questa volta ci libereremo finalmente della sua assurda e inutile presenza. -

Se Tonks non si fosse trovata in un mare di tormenti, sarebbe saltata addosso al suo ex-professore di Pozioni, e lo avrebbe preso a calci fin quando avesse avuto forza nelle gambe. Ma Tonks non si sentiva più le gambe, così come non riusciva a sentire la presenza di nessun'altra parte del suo corpo. Rimase ferma sui piedi tremanti, mentre il Vento tentava di asciugare le lacrime che ora le rigavano il volto pallido.

°°°°°°°

 

 

Albus Silente rilesse per l'ennesima volta la lussuosa pergamena che un allocco dall'aria raffinata li aveva appena recapitato. Si concentrò intensamente sulla pomposa calligrafia di Percival Weasley e sul significato di quelle frasi rigirate. Erano trascorsi solo pochi minuti quando un leggero rumore risalì leggermente dalle scale.

- Professore? - domandò una voce femminile attraverso la statua di marmo che chiudeva l'entrata del suo ufficio. - Professore, sono... -

Ninfadora Tonks non finì la frase: le ali della fenice avevano iniziato a tremare e dopo pochi istanti, la ragazza poté salire per la tortuosa entrata.

- Buongiorno, professore - salutò Tonks, leggermente impacciata. - Non vorrei disturbare, ma... -

Silente le sorrise affettuosamente, e le indicò la poltrona di chiltz davanti alla scrivania. Lei si sedette e iniziò a sfregarsi nervosamente le mani.

- Professore, mi chiedevo... ecco... - tentò di spiegare, ma nessuna delle parole che conosceva sembravano in grado di illustrare il girone di problemi nei quali era stata scaraventata.

- Remus vuole e deve partire per Jura, Tonks. - la anticipò lui, fermamente. - Le informazioni che potrebbe ottenere nel corso di questa missione sono di importanza vitale per l'Ordine della Fenice. -

Non saprei dirvi se fu il tono distaccato con cui Silente pronunciò queste parole, o cos'altro, ma la voce calma e pacata dell'uomo ebbero l'effetto di una bomba a mano nella scatola cranica di Tonks.

Si alzò in piedi di scatto e sbatté le mani sulla scrivania, facendo cadere la poltrona di chiltz. I suoi occhi scuri lampeggiavano pericolosi verso Silente.

- L'Ordine! L'Ordine! L'Ordine! - strillò, ed ogni strillo sembrava alleggerigli l'anima da grossi e roventi macigni. - A lei non interessa nient'altro che l'Ordine! -

Silente la guardò apparentemente distaccato, la ascoltò gridare i motivi per cui Remus non avrebbe dovuto accettare quell'impresa folle e i motivi per cui lui, il saggio e anziano Preside, non avrebbe dovuto neppure pensarlo. Non la interruppe neppure quando apostrofò, con alcune parole che Silente non aveva mai neppure udito, il suo professore di Pozioni.

Tonks non lo avrebbe mai saputo, ma il vecchio cuore di Silente stava piangendo con lei, sanguinando di colpa grido dopo grido.

- Non può lasciarglielo fare, professore - mormorò Tonks con la gola in fiamme e gli occhi lucidi dopo diversi minuti. Le gambe tremarono un'altra volta e si ritrovò in ginocchio davanti alla scrivania di Silente. Non riuscì a trattenersi oltre e scoppiò a piangere, mentre una parte del suo cervello si faceva inondare dalla vergogna.

- Me lo uccideranno... - riuscì a dire, fra un singhiozzo e l'altro. - La prego, professore... me lo uccideranno... -

Silente si alzò, girò attorno alla scrivania e si chinò lentamente accanto a quella giovane straziata dall'Amore e dalla Guerra. La strinse forte a sé, con la mente carica di domande senza risposte, e le accarezzò delicatamente i capelli grigi per un'ora che sembrò durare un'eternità.

Se in quell'eternità aveste potuto sbirciare attraverso le finestre dell'ufficio del Preside di Hogwarts, così come ho potuto fare io, non avreste potuto impedire a quell'immagine di soffocarvi l'anima di pianti silenziosi e sorrisi commossi.

°°°°°°°

 

 

Remus Lupin si sentiva nudo senza la propria bacchetta. Cercava di mantenere un'andatura rapida e disinvolta anche fra le sterpaglie dei boschi di Jura, illuminato solo dalla fievole luce di un quarto di luna. Lanciò un rapido sguardo carico di rancore verso l'astro e per la prima volta nella sua vita, si lasciò guidare dal lupo con cui condivideva l'esistenza.

Chiuse gli occhi e tentò di orientarsi con l'istinto animalesco che teoricamente avrebbe dovuto possedere da decenni. L'idea fu pessima quanto il risultato: Remus Lupin era un licantropo quanto poteva esserlo un orologio a cucù e i suoi sensi di lupo non solo scarseggiavano, ma mancavano addirittura. Si chiese come avrebbe potuto sopravvivere nel clan di Jura, quando neppure era in grado di trovarlo. Pensò di sedersi su un masso a pochi passi da lui per recuperare le forze perse durante il viaggio, quando una luce accecante lo investì in pieno, riflettendo la sua ombra fra le radici degli alberi.

Benvenuto nella tana del lupo, umano. - disse una voce avida alle sue spalle.

°°°°°°°









Un gigantesco grazie a tutti, e al prossimo capitolo.

Trick




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Capitolo 4
*** Capitolo Terzo - Il Capo del Clan ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO TERZO

Il capo del Clan

°°°°°°°




- Benvenuto nella tana del lupo, umano - disse una voce avida alle spalle di Lupin. Lui chiuse gli occhi istintivamente e si irrigidì come una statua di ghiaccio, improvvisamente inondato dal panico. Credeva di essere pronto, aveva provato e riprovato quella scena: non immaginava che fingersi ciò che non solo non era, ma che oltretutto disprezzava con tutto sé stesso, si sarebbe rivelata un'impresa così ardua. Tentò di riprendere il controllo, e si voltò così come aveva provato e riprovato mille volte davanti allo specchio.

- Chi hai chiamato umano? - sibilò con una freddezza che non credeva di possedere.

Riuscì a stento a ingoiare il proprio stupore. Il licantropo che l'aveva scovato era poco più che un ragazzino: i suoi capelli avevano il colore del miele, ma erano completamente ricoperti di terra e fango. Una frangia sporca gli ricadeva sugli occhi chiari, stretti dalla diffidenza e dalla curiosità.

- Mi hai preso per un idiota, vecchio? - ridacchiò il ragazzino mentre la vecchia lanterna che reggeva in mano illuminava meglio il viso segnato di Lupin. - So riconoscere uno di voi quando li incontro. -

Lupin alzò un sopracciglio. - Ah, sì? -

- Sì - 

Lupin si mosse con una velocità tale che il ragazzino neppure lo vide: la sua mano destra si strinse attorno al suo esile collo, e in meno di pochi secondi, si ritrovò appeso al ramo della quercia più vicina per il sudicio colletto della camicia.

Lupin sorrise fra sé e sé: forse non era in grado di competere con i licantropi di Jura, ma poteva ancora sperare di uscire vincitore da uno scontro con un bambino.

- Ehi! - strillò quest'ultimo, mentre le sue gambette sottili si agitavano nell'aria. - Ehi! Schifoso vecchiaccio! Tirami giù! -

Le labbra sottili di Lupin si piegarono in un piccolo ghigno divertito. - Come ti chiami, moccioso ? -

- Moccioso, a chi!? Io ho già nove anni! -

- Oh... - esclamò Lupin, fingendosi spaventato. - Sì... sì, davvero impressionante. Allora? Come ti chiami? - aggiunse, tentando di suonare seccato.

Il ragazzino lo fissò furibondo fra gli sporchi ciuffi biondi della frangia.

- Trick - rispose, con un tono di voce sconfitto. - Siamo sicuri che non sei un umano? -

- Mi chiamo Bizèt, e... - sbottonò la camicia quanto bastava per mostrare al giovane Trick l'inconfondibile cicatrice di un morso sulla spalla sinistra, - se mi chiami ancora "umano ", diventerai la mia colazione, ragazzino. -

Lupin non avrebbe mai creduto che la sua voce potesse arrivare ad avere toni così minacciosi e glaciali. Trick non sembrava tuttavia impressionato, quasi fosse abituato a ricevere minacce a destra e a manca, ma la vista di quel marchio sulla spalla di Lupin sembrava averlo finalmente convinto, e ora guardava l'estraneo con una buffa espressione incuriosita sul volto sporco.

- Ok, non sei un umano... - ragionò ad alta voce, mentre con la mano sinistra si grattava a scatti uno zigomo con lo stesso piglio che  avrebbe potuto avere un cucciolo di cane. Lupin si sforzò di non sorridere.

- Ma allora, dimmi perché puzzi di umano. -

- Gli umani hanno una puzza particolare? -

- Sì. Puzzano di... umano. -

- Capisco. Be', probabilmente puzzo di umano perché vivevo con loro. -

Trick fece un verso che non avrebbe saputo esprimere meglio il proprio disgusto. - Che schifo. Ehi, mi tiri giù, adesso che siamo amici? -

Lupin lo afferrò per un braccio e lo rimise con i piedi a terra. Trick lo squadrò un'altra volta, pensieroso.

- Non devi parlare con Fen, vero, Bizèt? -

- Perché me lo chiedi? -

- Perché non c'è, adesso. È partito non so per dove - rispose, alzando le spalle.

- E quando torna?  -

- Non lo so. C'è Rouge , però. -

- Rouge? -

Trick sgranò gli occhi, come se non credesse possibile che qualcuno non conoscesse il nome di Rouge. Evidentemente non aveva idea di quanto grande e popolato fosse in realtà il mondo.

- Non sai chi è Rouge? - domandò a bocca aperta.

Lupin arricciò il naso e alzò le spalle con noncuranza. - Perché dovrei? -

- È il capo qui. Quando non c'è Fen, naturalmente - puntualizzò in fretta, come se Greyback potesse sentirlo dal remoto e misterioso posto in cui si trovava.

- Allora portami da questo Rouge, Trick. -

°°°°°°°

 

 

Si era immaginato svariate volte il genere di luogo in cui potessero vivere i licantropi come Fenrir. Ma mai, neppure nelle sue più lontane fantasie, avrebbe potuto immaginare che il villaggio di Jura, altro non era che una distesa di antiche rovine celtiche, derubate della loro storia e del loro onore dalla depravazione e dall'inciviltà dei lupi mannari.

Le sottili luci di un alba ancora distante rilucevano sugli antichi massi biancastri, scivolando sui profili addormentati di alcuni uomini. Lupin soppresse a forza un gemito mentre li fissava inorridito: i capelli unti coprivano la maggior parte del loro volto, ma fra la barba illuminata dal debole sole mattutino, poté scorgere inconfondibili e per nulla rassicuranti tracce di sangue rappreso.

"Di cosa ti sorprendi, Remus Lupin?" si disse con amarezza. "Sapevi perfettamente cosa avresti trovato qui".

Si sforzò di apparire a suo agio onde evitare prematuri sospetti, nonostante il villaggio sembrasse immerso in un profondo e indisturbato sonno.

Attraversarono quella che doveva essere la "piazza" del villaggio, e qui Lupin dovette richiamare a sé tutto il sangue freddo di cui disponeva, mentre scavalcavano quello che in un passato non troppo remoto era sicuramente stato un uomo. Voltò rapido il capo, nel tentativo di risparmiarsi quell'orrenda immagine, ma ovunque il suo sguardo si posasse, trovava solo resti di abominevoli cene.

Crack.

Abbassò agitato gli occhi verso i propri piedi, e per un attimo non si lasciò sfuggire un urlo. Aveva pestato un cranio di dimensioni minuscole, che a causa dell'ossatura ancora fragile, si era frantumato sotto il suo peso. Strizzò gli occhi e inspirò profondamente, sperando che la sua agitazione passasse inosservata agli occhi della giovane guida.

- Rouge dorme lì. - illustrò Trick, indicando con un dito una capanna a pochi metri da loro. Be', capanna... si fa per dire.

Diciamo che era una grande e logora coperta giallastra, legata malamente attorno a tre colonne celtiche con delle grosse corde. Considerando il resto del villaggio, comunque, quella primitiva abitazione sembrava la più lussuosa.

- Che tipo è Rouge? - chiese Lupin, sfruttando l'occasione per riprendere fiato.

Trick lo guardò attraverso la frangia e si  grattò di nuovo il naso con lo stesso fare animalesco di prima. Nonostante l'ansia crescente lo stesso straziando dall'interno delle proprie viscere, Lupin non poté fare a meno di notare quanto quel gesto fosse adorabile.

- Be'... - rispose Trick, dopo averci pensato a lungo, - se lo vuoi un consiglio, Bizèt: scappa finché c'hai tempo. O finisci come quelli lassù . -

Lupin seguì il suo dito finché i suoi occhi non ebbero incrociato la curva di un rudimentale argine. Gli occorsero diversi minuti prima che l'immagine paratasigli davanti arrivasse al cervello, sommergendolo con tutta la sua forza espressiva.

Una scia di lunghi pali lignei, di cui Lupin non riusciva a scorgere la fine al di là della curva, seguiva regolare il corso del fiume. Su ognuno di essi, immobile nella deformità della morte, era stata piantata una testa umana. Sentì un conato di vomito risalirgli l'esofago, e finse di grattarsi la fronte per soffocarselo nella gola. 

- Se si arrabbia, stai sicuro che uno o due ci rimette la testa - continuò con tono noncurante Trick. - Yurk e Ghima hanno iniziato a chiamarla la "Vedova Nera". Ed eccoli là -. E indicò nuovamente un punto indistinto sull'argine del fiume.

- "Vedova Nera"? Rouge sarebbe... una donna? -

°°°°°°°

 

 

- Forse è meglio se prima glielo dico che sei qua - propose Trick, con una nota nervosa nella voce sottile. - Non sarebbe mica un bell'affare se finisci sull'argine prima che Fen torni, no? -

Lupin evitò di sottolineare che non sarebbe stato un bell'affare neppure se l'avessero decapitato dopo l'arrivo di Greyback, evento che gli pareva sempre più concreto e possibile. Ma come aveva potuto essere così sciocco da pensare di poter passare inosservato a Jura?

Quella missione era una completa follia. Alla cieca, come se non bastasse.

Considerò le proprie possibilità di salvezza, mentre fissava Trick entrare timorosamente nella tenda di Rouge. Respirò profondamente e nonostante tutta la paura, l'agitazione e il ribrezzo che si sentiva addosso, dovette ammettere che la situazione aveva il suo che di ridicolo.

Da bambino, suo padre aveva tentato di iscriverlo ai boy-scout, ma il piccolo Remus Lupin era fuggito dall'accampamento meno di un'ora dopo, scandalizzato dall'assenza di adeguati servizi igenici e dalla presenza di disgustosi insetti.

Ai tempi della scuola, nel lontano 1976, il gruppo dei Malandrini si risvegliò con i letti del dormitorio pieni di pulci e zecche. Sirius Black, James Potter e Peter Minus erano rimasti in quarantena per l'intera settimana successiva, controllati (e sì, anche lavati), da una scioccata, incredula Madama Chips al colmo della sopportazione. E mentre tutta la scuola si chiedeva dove mai fossero stati per ritrovarsi ricoperti di parassiti, gli sventurati ragazzi si chiedevano un'unica cosa: "Perché noi sì, e Lunastorta, invece, no? È "biologicamente" impossibile!

Remus Lupin, meno licantropo di quanto avrebbe mai ammesso, si ritrovava nel villaggio di Jura, circondato da criminali della peggiore specie, guidato da un bambinetto di nove anni, e in attesa di essere probabilmente decapitato. La prospettiva non era certo delle più rosee, ma si consolava nella sua stessa ridicolaggine.

- Bizèt? -

La vocetta di Trick lo riscosse dal dolce conforto dei propri ricordi, riportandolo a una realtà di cui ancora non si capacitava. Lupin lo fissò confuso un attimo, prima di rendersi conto del ruolo che avrebbe dovuto coprire a Jura. Tentò di imitare lo sguardo fiero e noncurante che Sirius sfoggiava pubblicamente quando camminava per i corridoi di Hogwarts, sperando che non si rivelasse un biglietto di sola andata per l'argine.

- Rouge dice che ti vuole vedere. -

- Devi venire anche tu? - chiese, cercando di risultare il più scocciato possibile. Se fosse stato troppo gentile con lui, certamente si sarebbe insospettito.

Trick scosse la testa con vigore. - No, io aspetto qui. Se Rouge s'incavola, preferisco starle alla larga. -

Lupin alzò le spalle con il minimo interesse, mentre con uno sforzo immane scivolava all'interno della tenda di Rouge.

°°°°°°°

 

 

Quando Lupin vide Rouge, un'espressione di completo stupore gli si dipinse sul viso. L'aveva immaginata come un'imponente donnona dai capelli sudici, intenta a staccare a morsi brandelli di carne cruda mentre il sangue le colava lentamente dai lati della bocca putrida. Il particolare più disgustoso era che l'immagine sputacchiava residui di colazione ovunque si girasse. Non chiedetemi come la mente agitata di Lupin abbia potuto partorire una così orripilante fantasia.

Rouge era una donna sulla trentina, dai voluminosi capelli scuri e dalla mascella pronunciata. Le folte sopracciglia conferivano allo sguardo, già di per sé piuttosto allarmante, un'aria di perversa malvagità che Lupin aveva avuto l'occasione di scorgere solo in un'altra donna: Bellatrix Lestrange.

È la fine, pensò immediatamente. Questa mi smaschera nel giro di pochi secondi e buonanotte, Remus Lupin.

Poi, realizzando improvvisamente che nessun lupo mannaro come si deve si sarebbe mai comportato da educato gentiluomo londinese, dimenticò rapido le buone maniere con cui era stato istruito, e si lasciò ricadere su un mucchio di sudicie coperte dalla forma di una poltrona.

- Non ti ho dato il permesso di sederti, straniero - esordì imperiosa, mentre i suoi occhi lo studiavano con circospezione.

- Mi taglierai la testa per questo? - ribatté sprezzante, senza rifletterci un secondo. Le sopracciglie gli s'incurvano automaticamente in un'espressione di totale indifferenza.

Sì, cretino! Ti taglierà la testa! Ma cosa sei andato a dirgli!?

Le labbra di Rouge s'incurvarono lievemente in un preoccupante sorrisetto diabolico.

- Possibile - si passò il lungo indice sul mento squadrato, lasciando scivolare l'unghia scarlatta sul suo profilo. Lupin si chiese dove si fosse procurata lo smalto. 

- Trick dice che ti chiami Bizèt. -

- Probabilmente perché mi chiamo Bizèt. -

Sei un pazzo suicida! Sta' zitto e abbassa la cresta, idiota!

- Da dove vieni? - La sua voce era secca, decisa e carica di curiosa diffidenza.

- Sud. -

- Quanto sud? -

- Più di sud di qua - rispose, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Naturalmente era la cosa più ovvio del mondo, ma non era l'occasione più adatta per farlo presente a Rouge.

Ecco. Bravo. Ora ci ammazza. Geniale, Remus... davvero geniale.

Rouge non sembrava particolarmente impressionata da quell'impertinente straniero impregnato dall'odore di umano.

Socchiuse gli occhi in un'espressione concentrata, e fissò Lupin pensierosa.

- Spogliati - ordinò improvvisamente.

Lupin riuscì a mascherare la propria meraviglia sotto un ironico ghigno. Nella sua memoria, riaffiorarono rapidi i ricordi della scuola e ringraziò Nostradamus per aver messo sul suo cammino bastardi cronici come James Potter, Sirius Black e Severus Piton.

- Solo se ti spogli con me, bimba . -

Se c'era una cosa che Sirius gli aveva ripetuto più di "Merlino, grazie di aver inventato l'alcool", era sicuramente "Se vuoi piacere a una donna, sii bastardo".

Remus Lupin si era sempre dichiarato profondamente contrario a quest'ultima affermazione. Ora come ora, rivestendo gli scomodi panni di un licantropo girovago, si era ritrovato a pensare che forse, per una volta soltanto, dare retta a quell'irresponsabile di Sirius non si sarebbe rivelata una pessima idea.

Rouge lo fissò immobile come una statua e si lasciò sfuggire un sorrisetto divertito, che non passò certo inosservato a Lupin.

Neppure lui avrebbe potuto spiegarvi come era riuscito a superare sano e salvo il breve ma potenzialmente mortale colloquio con Rouge. Sapeva solo che appena entrato in quella sudicia tenda, una parte del suo cervello si era definitivamente spenta, e la bocca, ormai elemento staccato dal resto del corpo, aveva iniziato a danzare da sola, priva di controllo.

°°°°°°°

 

 

Se foste passasti, solo due ore più tardi, fra la mezza luce del bosco di Jura, avreste trovato Remus Lupin, seduto in riva al ruscello gorgogliante.

Dalla sua espressione avreste potuto pensare che quell'uomo era sovrastato da fardelli più grandi e pesanti di quanto fosse in grado di reggere. Guardando i suoi occhi avreste potuto credere che la vita non gli aveva riservato che dure amarezze, che fosse in procinto di partire per il più lungo dei viaggi, magari.

Avreste sbagliato in qualunque caso.

Remus Lupin si era appena reso conto di non essersi salvato per la una qualche nascosta dote recitativa. Non era riuscito a incantare Rouge semplicemente imitando i ricordi della sua adolescenza. Sarebbe stato troppo semplice. E troppo bello.

Remus Lupin si era appena reso conto che qualcosa di assopito si stava lentamente risvegliando dentro di sé.

°°°°°°°




________________

Ed ecco il Terzo Capitolo della storia di Trick...

Be', non credevo di postare il Terzo Capitolo così in fretta, ma meglio così, dopotutto.

Siete riusciti tutti ad arrivare sani e salvi alla fine di tutti i capitoli, o qualcuno ha deciso che sarebbe stato più interessante fare un salto fuori dalla finestra?

Direi di no, o l'avrei certamente letto sul giornale.

Vi è piaciuto il mio piccolo "omonimo"??? Parla sgrammaticato apposta, ho preso l'idea dal personaggio di Hagrid.

OK, gente... "credo" di poter affermare con sufficiente sicurezza un aggiornamento a distanza di qualche giorno... ("credo").

Fino ad adesso, un GRAZIE GIGANTESCO a fennec e a Nebula91, che mi fanno sempre arrossire...=°

Un altrettanto GIGANTESCO GRAZIE a tutti coloro che hanno letto la mia storia!

 

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Capitolo 5
*** Capitolo Quarto - Buon Appetito ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO QUARTO

Buon appetito

°°°°°°°




Seduto sul duro letto della stanza "umilmente" concessagli dai propri zii, Harry Potter fissava l'oscurità fra le sbarre della finestra. I suoi occhi verdi studiavano ogni riflesso che la luna creava sui giardini curati di Privet Drive, la mente persa nella dolcezza di un ricordo lontano.

 

- È crudele che io abbia passato così tanto tempo con loro e tu così poco. Ma ricorda questo: le persone che ci amano non ci lasciano mai veramente. E tu puoi sempre ritrovarle... qui dentro. -

 

Gli sembra ancora di sentire la mano dalla pelle rovinata di Sirius Black sfiorargli lievemente il cuore, quasi temesse di fargli più male di quanto, seppur involontariamente, non avesse già fatto in passato.

Harry Potter si sentiva vecchio. Una morsa gli stringeva un punto sconosciuto del proprio ventre, provocandogli continue sensazioni di nausea. La verità resta troppo grande per poter essere trasformata in parole. Se vi dicessi semplicemente che Harry Potter si sentiva divorato dalla frustrazione, dalla colpa e dai rimpianti, non sareste in grado di capire quanto realmente affranta fosse l'anima del ragazzo.

Neppure io, Narratrice Esterna di Questa Vicenda, ne sono in grado.

Seduto sul duro letto della stanza "umilmente" concessagli dai propri zii, Harry Potter desiderava con tutto sé stesso poter tornare indietro col tempo di qualche settimana. Desiderava intensamente poter rimediare all'ingenuo sbaglio che lo aveva strappato all'abbraccio dell'unica figura paterna che avesse mai avuto.

Seduto nell'ombra, Harry Potter pensò a quanto, in quel cupo momento di devastante solitudine, sarebbe stata confortante la presenza di Remus Lupin accanto a lui. Si sarebbe lasciato avvolgere dalla sua aria malinconica, e forse, dopo quindici giorni, avrebbe trovato conforto in un lieve riposo.

°°°°°°°

 

 

Un mormorio eccitato circondava il clan di Jura, in attesa attorno ai resti del falò della notte precedente. Uno straniero? A Jura? E chi l'aveva mai sentita una novità del genere?

Il giovane Trick si gongolava beatamente in un angolo, ostentando un'aria di superiorità dettata, probabilmente, dall'essere stato il primo a incontrare (il termine più corretto sarebbe "scovare") il nuovo arrivato. Per una volta, anche lui avrebbe avuto voce in capitolo.

- Silenzio! - 

Gli uomini tacquero immediatamente, mentre la figura di Rouge compariva imperiosa dinanzi a loro, il passo elegante quanto una regina e lo sguardo truce quanto un'arpia. I suoi occhi saettarono da una parte all'altra della schiera di imponenti uomini, mentre li contava mentalmente.   

- Avremmo un ospite, fratelli - iniziò con voce dura. Per Rouge quelle poche parole sarebbero state più che sufficienti, lei era una donna tutt'altro che loquace. - Viene da sud. Più sud di qua. -

- Da dove sud? - ringhiò un licantropo in prima fila, dai radi capelli rossicci e gli occhi sporgenti.

Rouge voltò lentamente il capo e lo fissò visibilmente scocciata. L'uomo tremò leggermente sotto il suo sguardo di fuoco, abbassò il capo in fretta e mormorò un indistinto "Perdonatemi, mia signora". 

- Il suo nome è Bizèt - continuò Rouge, scoccando un'ultima occhiata intimidatoria al lupo mannaro. - E finché Fenrir non sarà tornato, esigo - e calcò eccessivamente su quest'ultima, - che gli venga riservato il trattamento adeguato. Sono stata abbastanza chiara? -

Il clan borbottò qualcosa che sarebbe dovuto suonare come un rassegnato sì.

- Ho detto: sono stata chiara? -

- Sì, nostra signora! - gridarono all'unisono, come se una scarica elettrica li avesse appena attraversati.

Rouge annuì con una smorfia indispettita e fece un cenno seccato verso Trick. Il ragazzino si alzò di scatto con un gran sorriso e corse verso il retro di una tenda. Un secondo dopo eccolo ricomparire, seguito da...

- Chi è quel damerino? - esclamò il licantropo dagli occhi sporgenti.

- Ecco che cos'è che era la puzza che sento! - sbraitò un secondo, un ragazzone dalla grossa faccia rotonda e l'aspetto campagnolo.

- Speriamo che il sapore sia migliore del suo odore... - disse ancora un terzo, un ometto piuttosto basso, ma dall'aspetto minaccioso.

- Lui è Bizèt! - spiegò fieramente Trick. La gioia di essere, seppur solo secondariamente, sotto le luci dei riflettori di Jura, aveva per lui lo stesso effetto che il Paese dei Balocchi poteva avere su Pinocchio.

Remus Lupin aveva ragionato parecchio sul modo più sicuro ed efficace per presentarsi al clan, mentre ascoltava nervosamente gli ordini di Rouge. Storse il viso in quell'espressione annoiata che aveva visto fare a James Potter un numero sconsiderato di volte, così tante che ormai l'imitazione gli riusciva perfettamente. Si sedette su un masso senza degnare nessuno di un'occhiata particolare, frugò pigramente in una tasca del logoro mantello qualche secondo, finché non ne estrasse un pacchetto stropicciato di sigarette francesi e una scatoletta di fiammiferi.

Si era attrezzato di tutto punto per il ruolo di "ribelle solitario", non c'era che dire. Decise che tanto valeva fare le cose per bene, perciò li guardò divertito e ridacchiò.

- La bimba è stata anche troppo chiara, ragazzi - disse loro, aspirando lentamente una boccata di fumo. - Datele retta, o quella pazza vi trasferisce sull'argine. Con vista panoramica - aggiunse, con lo stesso tono leggero che avrebbe potuto tenere in una conversazione sull'albergo più rinomato di Londra. La parte razionale del suo cervello iniziò a piangere sommessa.

Remus Lupin... tu non vuoi proprio vedere Natale prossimo. Ma che ti sta succedendo?

Le teste dei licantropi si voltarono come un unico corpo in direzione di Rouge. Un unico pensiero li accomunava in quel momento, mentre fissavano ansiosi il loro sadico vice-capo.

Adesso gli taglia la testa a quel damerino idiota, così possiamo mangiarcelo a cena..

Ma Rouge era già scivolata all'interno della propria tenda e non sembrava aver alcuna intenzione di decapitare Lupin. Non ancora, almeno.

°°°°°°°

 

 

- Come ha potuto essere così incosciente da...! Ah, quanto mi fa arrabbiare! - stava sbraitando Molly Weasley, a centinaia di chilometri di distanza.

Si aggirava convulsamente per la cucina della Tana da almeno un'ora, alzando di tanto in tanto le mani al cielo e scoccando occhiate di fuoco in direzione del marito, seduto a tavola.

Dal canto suo, Arthur Weasley aveva smesso di preoccuparsi della moglie da parecchi minuti, e ora, sperava solo di poterla ignorare e tornare presto a concentrarsi unicamente sul proprio lavoro.

- Ma come... come... - balbettò, con il volto rosso quasi quanto i suoi capelli. - Come ha potuto!? - 

Arthur sospirò. - Molly, cerca di calmar... -

- Non-voglio-calmarmi-Arthur-Weasley! - strillò nuovamente, sbattendo il piede sul pavimento ad ogni parola. - Hai visto com'è ridotta quella povera ragazza!? L'hai vista!? -

Arthur affondò il viso fra le mani, ormai sicuro che non sarebbe stato in grado di riprendere i suoi progetti di lavoro se la moglie non si fosse calmata completamente.  

- Sì, Molly, l'ho vista - ripeté stancamente per la decima volta in un'ora. - Ma noi non... -

- Non mangia da quattro giorni, Arthur! Quattro! -

- Tonks non è un tacchino, Molly. Non puoi ingozzarla a forza, se non ha fa... -

- E sono tre notti che non dorme! Tre! -

- Sono certo che prima o poi crollerà addormentata come tutti gli essere viventi, Molly. Non credi sia ora di smetter... -

- Quell'uomo è un insensibile egocentrico! -

Ci risiamo, pensò Arthur. - Molly non credo sia il caso di... -

- Sì, Arthur! È perfettamente il caso! -

Incrociò le braccia al petto, e si sedette bruscamente a fianco del marito. Fissò la credenza davanti a lei senza realmente vederla per alcuni istanti.

- Quando torna da Jura, giuro che lo strangolo - borbottò Molly, con una smorfia infantile. 

Arthur alzò gli occhi dai propri documenti e attese placidamente che la moglie ricominciasse a sbraitare contro l'incoscienza e l'egoismo di Remus Lupin. 

Non udendo più nulla, voltò lentamente la testa.

Molly Weasley fissava ancora la credenza, gli occhi gonfi di lacrime e le labbra tremule.

- Sempre che ritorni da quel postaccio... - mugugnò, mentre il marito l'abbracciava dolcemente, con un malinconico e impotente sorriso che si faceva strada sul volto.  

°°°°°°°

 

 

Tonks scostò con un gesto automatico la tendina di paiette e lustrini rosa che nascondeva allo sguardo la propria camera da letto. Aveva sempre adorato quel buffo ornamento, a volta la muoveva per il semplice scopo di sentire l'allegro tintinnare. 

La tendina sperò che la mano della padrona la costringesse a cantare un'ennesima volta, in modo che potesse dar mostra di tutti i riflessi che il sole le regalava così arditamente. Rimase delusa, quando vide la ragazza entrare nella stanza senza degnarla della solita occhiata orgogliosa.

Orgogliosa, sì. Ninfadora Tonks era sempre stata orgogliosa di quella particolare decorazione.

Entrò nella mansarda che tanto aveva cullato i suoi sogni di giovane, e come da copione, non s'accorse del pouf verde che la separava dal letto. Fu questione di pochi attimi, e si ritrovò stesa sul peloso e bizzarro tappetto viola, in un'intrigata e scomoda posizione.

La tendina di paiette e lustrini rosa si morse le labbra.

Il pouf verde iniziò a ridere.

Il peloso e bizzarro tappetto viola alzò gli occhi al cielo, esasperato.

Rimasero a guardarla, aspettando che ridesse con loro. Era sempre stata quella la regola del gioco: lei cadeva, loro ridevano, e lei si sarebbe unita a loro, stretti da quella silenziosa amicizia dettata dalla convivenza.

 

Perché non ridi?

 

Rimasero a guardarla per delle ore, domandandosi per quale motivo stesse tremando.

 

Perché copri il viso? È un nuovo gioco?

 

Annuirono con un sorriso carico di comprensione, e si coprirono a loro volta il viso fra le mani. Iniziarono a piangere con lei, perché avevano capito che era quella la regola del gioco nuovo.

Cosa credete ne possano sapere una tendina, un pouf e un tappetto di quanto male faccia, in realtà, l'Amore?

°°°°°°°

 

 

- Damerino, tu non mangi? -

Lupin mosse appena il capo verso il licantropo che gli aveva appena rivolto la parola. Yarne, gli pareva fosse il nome. Affondò i denti gialli nel pezzo di carne con cui si stava cibando. Una goccia di sangue gli colò da un lato della bocca storta, insidiandosi fra i peli del petto incrostato di fango e terra.

- Non ho fame -

Yarne si alzò in piedi con evidente fatica, e trascinò le sue eccessive libbre verso di lui. Aveva bevuto, si sarebbe visto da un miglio di distanza.

- Ia iamo eo ento eno, ai? - biascicò a due centimetri dal suo viso, permettendo a Lupin di godersi il disgustoso spettacolo all'interno della sua bocca putrida. L'odore della carne masticata era così acido che gli pareva di sentire il setto nasale incendiarsi ad ogni respiro.

- Cosa? -

Yarne ingoiò il boccone e si pulì con il dorso della mano. - Ho detto che non ci abbiamo messo il veleno. -

- Sarebbe stato piuttosto infame da parte vostra. -

- Perché non mangi? -

- Non ho fame -

- Non mangiate mai, voi del sud? -

- Non vi fate mai gli affari vostri, voi del nord? -

Yarne rimase zitto un attimo prima di scoppiare in una risata eccessivamente divertita. Diede una pacca sulla schiena di Lupin, (eccessivamente forte), ed esclamò: - Oh, mi piace troppo questo damerino! Dai, non voglio che Rouge pensi che ti affamiamo apposta! -

Cacciò brutalmente il pezzo di carne fra le mani di Lupin, che lo osservò impietrito.

Nonostante mancasse buona parte del pollice e dell'indice e fosse completamente ricoperto di sangue, ciò che stringeva fra le mani era inconfondibile.

Le unghie della mano erano spezzate, le dita piegate in maniera innaturale.

 

Oddio, ti prego...

 

Un grosso millepiedi completamente rosso sbucò da un'insenatura lasciata da un morso di Yarne, risalendo con la classica velocità fino al mignolo della mano.

Yarne lo afferrò con un gesto rapido, interrompendo la sua inutile fuga.

- Scusami, damerino - disse, - ma questo è il boccone del re. -

Aprì esageratamente la bocca e vi infilò dentro l'insetto. 

- Manza quea tu - mugugnò, sputacchiandosi delle zampette sul mento.  

Lupin si sentì addosso gli sguardi diffidenti di alcuni licantropi, mentre metà del millepiedi era ancora intento a dibattersi disperato fra le labbra insanguinate di Yarne.

Avvicinò la carne al viso e diede un leggero morso alla falange del mignolo. Il sapore del sangue ancora caldo gli accese il ventre fino ad inondargli il cervello.

Il lupo in lui alzò il muso, inebriato e incuriosito da quella nuova e piacevole sensazione allo stomaco. 

L'uomo in lui fu costretto a subire quell'oscenità, vomitando in un angolo della sua mente tutto il disprezzo e la vergogna che andava provando di morso in morso.   

 

Sorride perverso il quarto di Luna,

guardando il Bambino, vergogna alcuna.

°°°°°°°

 

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Giuro, non credevo che una storia a capitoli potesse rivelarsi così complicata... inizio ad andare in panico un po' troppo stesso...

È stato difficile scrivere questo quarto capitolo, e continua a non convincermi di rilettura in rilettura...

Avete voglia di aiutare la mia autostima traballante con qualche critica costruttiva? Dai... la tastiera non ne ha a male se la usate un po' di più... =P

Ho tanti-tanti-tanti GRAZIE da fare:

a fennec, stupita dalla figura di Rouge (sarà una figura importantissima per il corso della storia...), GRAZIE!!!!!!!

a CUCCIOLA_83, mi scuso per questo aggiornamento un po' in ritardo... avevo promesso pochi giorni d'attesa, ma le mie non sono promesse attendibili al 100%... GRAZIE!!!!!!!

a nebula91, che non smetterei mai di ringraziare per gli immancabili e positivissimi commenti, GRAZIE!!!!!!!

a __darklily__, per la recensione che mi ha allontanato dai dubbi che avevo sulla scorribilità del testo, GRAZIE!!!!!!!

a Cappychan, (temo che le complicazioni siano solo all'inizio...), un enorme GRAZIE e due occhioni luccicanti in attesa dell'aggiornamento di "Il mio nome è Tonks, Ninfadora Tonks... no, aspetta... solo Tonks"!!!!!!! (Leggetelo, fa veramente sbudellare dalle risate!!! ^__^)

E SE HO DIMENTICATO QUALCUNO, CHIEDO SCUSISSIMA!!!

UN GRANDISSIMO GRAZIE A TUTTI COLORO CHE SONO RIUSCITI AD ARRIVARE FINO AL QUARTO CAPITOLO... RESTISTETE, VE NE ASPETTANO ANCORA UN BEL PO'...

SPERANDO DI POTER AGGIORNARE "PRESTISSIMAMENTE",

Trick



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Capitolo 6
*** Capitolo Quinto - Lo strano forestiero del Sud ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO QUINTO

Lo strano forestiero del Sud

°°°°°°°




Innumerevoli sono i colori con cui il tramonto può tingere l'isola di Jura: in queste particolari ore, le montagne dalla cima irraggiungibile, i boschi solitamente avvolti dall'ombra dei propri alberi e le aride praterie senza fine sembravano abbracciare i colori del fuoco, avvampando in una sublime e rovente danza. Il sole, fulcro di questo abbagliante spettacolo era solito accendere gli argini del fiume Shannon, velandoli in una patina dorata.

Così come la sua terra, anche Rouge era solita lasciarsi avvolgere nella medesima patina dorata. Lei, che non permetteva a nessun altro di vincerla, godeva nel sentire il calore del sole sulla pelle bronzea, rinfrescata dal Vento del Nord, che come un taciturno amante, muoveva con grazia la sua criniera di capelli scuri.

Si lasciò cullare da quest'ultimo, finalmente persa nel suo elemento.

- È tornato Fen! Fen è tornato! -

Un assordante vociare si levò dal villaggio poco distante, riafferrandola dallo stato di estasi in cui si era lasciata scivolare e costringendola a tornare sulla secca terra di Jura.

Sei stato via più del solito, bastardo, pensò.

I suoi occhi lanciarono un'ultima occhiata lungo il corso dell'argine.

Così come la sua terra, così come le sue montagne, così come le sue prateria, anche le sue teste rilucevano alla luce del tramonto di Jura, la cruda espressione di una morte dolorosa illuminata sui loro visi ormai deformi.

Rouge sorrise, mentre fissava i riflessi luminosi dell'ultimo palo che aveva fatto piantare, due notti prima.

Mosse il capo in direzione del villaggio, e il suo sorriso si trasformò in un ghigno sadico, che sembrava gridare "nessuno può battermi".

Sorrise, ripensando che presto, quel freddo e solitario sostegno sarebbe diventato un sacrario di morte.

Perché nessuno può battermi.

°°°°°°°







Un folle dotato di abbastanza stoltezza e altrettanto vigore da apparire un capo.

Sostanzialmente Fenrir Greyback era questo. Uno sciocco individuo a capo di un branco di sciocchi individui. Ma pochi degli abitanti di Jura ne erano consapevoli, e i più saggi fra loro si erano convinti che il mezzo più rapido per raggiungere l'Aldilà fosse esprimere questo concetto ad alta voce. Un segreto dei più colti, oserei dire.

- Fratelli miei! Amate sorelle! Figli e figlie! - gridò, una volta sceso dal carro col quale era giunto al centro del villaggio. - Porto grandi notizie per noi tutti! L'Oscuro Signore, nostro alleato, ci aveva promesso immense fortune! Non è forse così!? -

- Sì! -

- Ci aveva promesso infinito potere, in cambio dei nostri servigi, non è vero!? -

- Sì! -

- E cos'altro ci aveva promesso, fratelli miei!? -

Gli sguardi perplessi dei licantropi si incrociarono l'uno con l'altro. Cos'altro ci aveva promesso? Lo sai tu?

- Stupidi... - mormorò Greyback. - Ferk! Waskolf! - ruggì a due grossi uomini dalla notevole muscolatura, immobili sul carretto. Mosse la mano con un gesto teatralmente impetuoso.

Gli uomini chiamati Ferk e Waskolf si abbassarono, e con il minimo sforzo gettarono un cadavere ai piedi del loro capo. Un mormorio ansioso e un sorriso di innocente eccitazione circondò immediatamente il villaggio di Jura. Alcuni si umettarono le labbra, altri iniziarono a sfregarsi ansiosamente le mani. Anche i più saggi non poterono evitare di fissare avidamente quel pasto, nonostante non approvassero (seppur silenziosamente), il rapporto che da qualche tempo legava Greyback ai Mangiamore dell'Oscuro.

Ferk e Waskolf continuarono a liberare il carro dal suo macabro carico con una facilità impressionante:ben presto, una ventina di occhi privi di vita si ritrovarono a fissare l'arida terra di Jura.

- Ci aveva promesso cibo, fratelli! -

Quaranta desiderose e sataniche bocche si avventarono con la potenza di una tempesta su ciò che erano stati uomini e donne. I loro denti azzannarono qualunque parte riuscissero a raggiungere, le mani artigliavano con durezza ogni parte di quei corpi.

Iniziarono a ringhiare fra di loro, a battersi per chi meritava la porzione più succulenta di quella cena così inaspettata.

Nascosto dall'arrivo della notte di Jura, respirava tuttavia un altro licantropo. Le sue mani continuavano a premere sulle orecchie, nel disperato tentativo di non sentire l'eco dei risucchi, dei morsi e delle polpe strappate a chi il Destino, non aveva permesso neppure un compianta sepoltura.

Concentrato com'era sul tenersi lontani quei rumori non si accorse della parte di lui, che sdegnata, continuava a chiedergli perché mai non si unisse a quell'invitante banchetto.

°°°°°°°

- Come hai detto che si chiama? -

- Bizét. -

- E da dov'è che verrebbe, questo Bizét? -

- Sud. -

- Sud, dove? -

Rouge sorrise mentalmente, mentre un bagliore spietato gli attraversava gli occhi scuri. - Più sud di qua. -

Fenrir Greyback si voltò di scatto. Le sue cespugliose sopracciglie grigie si erano avvicinate così tanto da sembrare un'unica linea minacciosa.

- Mi stai prendendo in giro, Rouge? -

Rouge strinse le labbra in un'espressione di totale ingenuità che non le si addiceva per nulla. - Non oserei mai, Fen. -

Razza di bastardo che non sei altro.

- Sai che a me non piacciono gli stranieri, Rouge. -

- E tu sai di poterti fidarti dei miei giudizi, Fenrir. -

- È dei filo-umani che non mi fido. -

Ah, sì? E allora perché ci stai facendo ammazzare dagli Auror nel nome di un umano? Perché di nuovo?

- Che ti hanno detto? - chiese Rouge, decisa a spostare l'argomento dal nuovo arrivato. Odiava il ghigno di palese superiorità che compariva sulla faccia di Greyback ogniqualvolta doveva ascoltare i resoconti della donna sugli avvenimenti di Jura, in sua assenza.

Lei era il migliore capo che Jura avesse mai avuto. La più sleale fra i licantropi. Le sue furbe strategie militari avevano salvato la vita ai pochi di loro sopravvissuti alla prima guerra degli umani. I maghi e le streghe di tutta la Gran Bretagna avrebbero dovuto tremare al suono del suo nome, non a quello di Fenrir Greyback. Lei avrebbe dovuto essere il capo di Jura. Della sua Jura.

Il petto di Fenrir si gonfiò di patetica importanza. - Il Signore Oscuro è soddisfatto del nostro ultimo lavoro. - La guardò per assistere all'effetto di quelle parole, ma si stupì di trovarla completamente indifferente.

- Tutto qui? - sbottò Rouge, soffocando una risatina che si trasformò in un ghigno divertito. - Sei stato via più di una settimana e l'unica notizia che mi porti è che quell'umano è contento di noi? -

- Chiudi la bocca e non parlare di cose che non puoi capire, stupida ragazzina. -

Io capisco meglio di quanto tu non creda, schifoso bastardo.

- Il Signore Oscuro - continuò Greyback, voltando le spalle a Rouge e fissando con aria estasiata il manto stellato sopra di loro. - Mi ricompenserà infinitamente... cioè, voglio dire, ci ricompenserà... -

Lurido, schifoso bastardo.

- Il suo potere è immenso, Rouge... non puoi immaginare quanto. -

Maledetto, lurido, schifoso, bastardo. Ci porterai tutti all'inferno.

- Non possiamo che guadagnarci da questa alleanza, capisci, almeno questo? -

- Sì, Fen. -

Se solo capissero anche gli altri il casino in cui ci stai andando a cacciare, viscido, lurido, schifoso, bastardo... ma no! Ti sei fatto dio ai loro sciocchi occhi! Emeriti deficienti! Ecco, da cosa sono circondata: emeriti deficienti!

Greyback allontanò lo sguardo dalla mezzaluna e concentrò la sua attenzione su Rouge. - Come hai detto che si chiama, lo straniero? -

Rouge richiamò tutto il suo autocontrollo per non sbuffare. - Bizét - rispose, con maggiore enfasi.

- Bizét... Bizét... - ripeté lui, grattandosi accigliato la barba incolta. - Non l'ho mai sentito. -

- Sei mai stato nel sud, Fen? - chiese Rouge, con un filo di ironia appena riconoscibile.

- Sud, dove? -

Povera, meravigliosa terra di Jura: tanta bellezza abbandonata fra le braccia di un simile idiota e di altri seguaci ugualmente idioti.

Rouge si voltò e mosse un passo in direzione del villaggio, avvolto dalle luci dei fuochi. Sogghignò nella notte.

- Più sud di qua - rispose, mentre una fredda e cinica risata gli percorreva dolcemente la spina dorsale.

°°°°°°







Quando le giornate si facevano più lunghe e soleggiate, il vento del nord portava nell'isola di Jura tutti i sapori del mare, inebriando le sterili terre con i suoi più tristi colori. Era il periodo che Calima, giovane membro del branco di Jura, amava sopra ogni altro.

Il contatto con le erbe del bosco di Tulip, a est del villaggio, le solleticavano maliziosamente le piante dei pallidi piedi nudi, strappandole piccole smorfie divertite di tanto in tanto. Scorse la persona che cercava a pochi metri di distanza dalla sponda del ruscello di Harrier, limpido e placido ramo dello Shannon. Specchiandovi nell'acqua dai colori del sole, da poco destato, non avreste potuto pensare che le medesime acque, avevano cullato la morte dei nemici di Rouge, solo pochi chilometri più ad ovest.

Intravide la figura dell'uomo che stava cercando, inginocchiato sulla riva dell'Harrier e celato dall'ombra di un vecchio pesco rinsecchito quanto la terra ove era nato. Calima aprì la bocca per attirare verso di sé la sua attenzione, ma questi, ancor prima che lei arrivasse, aveva voltato il capo con un'espressione di completa preoccupazione.

- Sei tu, Bizét? - domandò Calima. Fissò gli occhi dell'uomo, e si perse per un attimo nella malinconica ambra di quelle pupille.

Occhi da lupo, non c'è dubbio.

L'uomo annuì lentamente; sembrava più rilassato ma il suo sguardo era velato di diffidenza.

- Mi manda Fen - continuò Calima, mentre un grazioso sorriso gli attraversava i lineamenti ancora acerbi.

- Perché? - Aveva parlato con una rapidità sorprendente, quasi a voler liberarsi da un peso. - Che vuole? -

Calima alzò le spalle, con un sorrisetto. - Be'... per farti compagnia. -

Vide la sua mano tremare leggermente e aggrapparsi disperata a un ciuffo d'erba, ma non vi diede troppa importanza.

- Sto bene così - rispose freddamente, posando nuovamente gli occhi sull'Harrier. - Grazie. -

Grazie?

- Grazie? - ripeté Calima.

- Grazie. -

- Che significa "grazie"? -

- Esprimere a qualcuno la propria gratitudine. -

Madre Selene, ma da dove viene, questo?

- Lo so, cosa significa "grazie"! -

- E allora non fare domande inutili, ragazzina. -

- Ho sedici anni - puntualizzò Calima.

- E con ciò? -

- Non sono una ragazzina. -

- Non mi interessa. -

- E che devo dire a Fen? -

La risposta di Bizèt tardò un po' ad arrivare.

- Che voi del nord non vi fate mai gli affari vostri. -

Calima strabuzzò gli occhi e si grattò pensierosa la testa bionda.

- Vuoi morire? -

- Sei così cattiva? -

- Intendevo per Fen. -

- No, non ho ancora voglia di morire per Fen. -

- Volevo dire che muori di sicuro se lo dico a Fen. -

- E tu non dirglielo, allora. -

- Ma me l'hai detto tu! -

- Allora, diglielo. -

- Devo dirglielo, o non devo dirglielo? -

- Come preferisci. -

La ragazza si scostò nervosamente una ciocca di capelli sporchi da davanti al viso, si diresse con ampie falcate verso l'uomo e gli sferrò un violento calcio in uno stinco.

- Ahia! - gemette lui.

- Così impari, bastardo di un forestiero del sud! -

- È questo il concetto di "compagnia" che avete da questa parti? - mormorò lui con voce roca, sfregandosi distrattamente la parte lesa.

- No. È questo. -

Calima si sporse verso di lui e assaporò con la lingua il suo collo, mentre la mano iniziava a scivolare con fare esperto lungo la sua coscia destra.

Lo straniero la scansò con una delicata spinta. - No. -

- Che significa "no"? -

- È una negazione. -

- Lo so cosa vuol dire "no"! -

- Perché continui a fare domande inutili, allora? -

- Perché... - iniziò lei, rossa in viso dall'indignazione. Si alzò in piedi con uno sbuffo stressato e portò le mani ai fianchi esili.

- Sei un bastardo di un forestiero del sud! -

- Mi pareva di averlo già sentito, da qualche parte... - ribatté lui, voltandosi finalmente a guardarla.

L'agitazione di Calima crebbe ancora di più quando vide il sorrisetto divertito comparso sul viso dell'uomo. Si voltò di scatto e riprese il sentiero che l'aveva portata all'Harrier.

- Sei un tipo strano, bastardo di un forestiero del sud - concluse, mentre la penombra del bosco di Tulip l'avvolgeva una seconda volta.

Ma hai un buon sapore.

°°°°°°°







Remus John Lupin, sei qui da meno di quarantotto ore, e stai già perdendo il controllo.

Taci!

Ma non ti senti? Parli da solo e perdi l'uso del raziocinio in continuazione.

Vuoi stare zitto!?

No... no, no, no... aspetta. Ho capito: non stai perdendo il lume della ragione...

Piantala, ho detto.

Tu lo stai ritrovando... hai capito quale è sempre dovuto essere il tuo posto, vero, Remus John Lupin?

Scemenze.

Cerchi di convincerti, minuto dopo minuto, che non sei come loro, che il tuo destino non è questo, che la tua vita non è questa... ma inizi a dubitare, non è così?

No, non è così.

Ah... ma se non è così, allora saprai spiegarmi perché te ne stai sempre a fissare questo dannato ruscello? Non porterai molte informazioni a Silente, in questo modo.

Ne sono perfettamente consapevole. Ma considerando che in gioco c'è la mia vita, se permetti preferisco andarci con i piedi di piombo.

Balle, Remus. Tutte balle. Io so di cos'hai paura.

No, che non lo sai.

Non dire stupidaggini, sono la tua testa. È naturale che io lo sappia.

Tu non sai niente.

Dici? Allora, illuminami: perché mentre l'odore del sangue ti avvolge, il tuo cuore inizia a battere rapido come non è mai andato?

Disgusto.

Disgusto? E allora perché i tuoi sensi si sono inebriati quando hanno sentito il sapore di quella mano?

Vergogna.

Vergogna? Vergogna e disgusto? Te lo dico io, il motivo. Tu vuoi lasciarti avvolgere dall'odore del sangue, vuoi sentirlo sulle tue labbra, sulla tua pelle, vuoi liberare finalmente ciò che ti ostini ancora a chiamare pazzia, vuoi essere...

Smettila! Adesso, basta!

Perché vuoi zittirmi, Remus? Perché non la smetti di fingere anche con te stesso? Perché non vuoi capire? Due notti e un'alba sono state sufficienti a cancellare quello che hai disperatamente cercato di importi negli ultimi trent'anni. Tu non sarai mai in grado di mescolarti fra maghi e streghe, Remus. Non ti sentirai mai veramente a casa. Perché è qui...

Stai zitto... stai zitto, stai zitto!

Perché è qui che saresti dovuto crescere.

Lupo.

Soffia e scivola il Vento fra i fiori di pesco,

l'Aurora si specchia in quello sguardo lupesco.

Nell'ambra degli occhi vi è il segreto celato,

ma frenar la bestia ormai gli toglie il fiato.

E dal buio lo scruta ansiosa la pallida Luna,

fissando il suo Bimbo, attende ventura.

°°°°°°°





************************

...mamma mia, sono riuscita a finire anche il Quinto Capitolo... diventa sempre più difficile.

Ho una domanda: siete geograficamente pignoli? Spero proprio di no.

- Ho scoperto che Jura è tutt'altro che un'isola deserta, arida e selvaggia, anzi: non sembra un brutto posticino per una vacanza...

- Il fiume Shannon scorre in Irlanda e non in Scozia.

- Non saprei dirvi se il Bosco di Tupin esiste realmente: "Tupin" è il nome di un bar.

- Per quanto riguarda l'Harrier... be', è una razza di cani.

Mi spiace aver dipinto Greyback come un incompetente arrogante, anche perché l'idea che mi ero fatta di lui leggendo il sesto libro era completamente diversa. Io credo che sia un personaggio sadico, perverso e malvagio, ma avendo concentrato le mie espressioni sadiche, perverse e malvagie per Rouge, dovevo pur bilanciare in qualche modo...

Indi per cui, giunti fin qui e diligentemente informati dei miei paradossi geografici, ho il dovere di ringraziare tutti quanti hanno letto finora la mia storia, il che mi fa un piacere assurdo, e tutti coloro che hanno recensito:

Rue Meridian, Lupin e Raptor (=P non ho tolto nessun capitolo, forse è per il pasticcio dei capitoli invertiti...), nebula 61, CUCCIOLA_83, e __darklily__.

Grazie-grazie-grazie!!!

Sperando di aggiornare presto, 

Trick

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Capitolo 7
*** Capitolo Sesto - Sinfonia d'opinioni ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO SESTO

Sinfonia d'opinioni

°°°°°°°




Mmm...

- Ninfadora... -

Com'è calda la tua mano. Sento la pelle nuda della mia spalla incendiarsi al suo lieve passaggio, la sento quasi tremare per la piacevole sensazione che mi procura starti accanto.

- Ninfadora... su, sveglia. -

Non voglio svegliarmi, Remus. Voglio restare così per tutta l'eternità... no, di più. Per piacere, voglio sentire il calore della tua mano per sempre, non permettere che mi svegli, Remus...

- Ninfadorà, Molì vuole sapere se vieni a dìner. -

...eh?

La ragazza avvolta nelle lenzuola candide si aggrovigliò maggiormente in esse, intuendo troppo tardi di essersi letteralmente incastrata nelle coperte.

- Chi...? - mugugnò, intontita.

- Vieni a dìner? -

- Dov'è è che vengo? -

- A dìner! A scèna! -

Tonks alzò leggermente il capo e si rese conto del livello di pazzia in cui era clamorosamente precipitata. Oh, Santissimo Merlino Benedetto! Credevo che Fleur fosse Remus...

Affondò la faccia nel cuscino e iniziò a scalciare contro il materasso, urlando come una pazza.

- Basta! Basta! BASTA ! -

Fleur Delacour si erse in tutto il suo splendore e la fissò con i suoi occhioni blu. Si lisciò i lunghi capelli biondi con un gesto delicato, e sbuffò innervosita. Se Tonks non fosse stata così concentrata sul cuscino che stava brutalmente prendendo a pugni, avrebbe potuto scorgere quello strano e sottile tono divertito nell'angelica voce dell'altra ragazza.

- Alòrs? -

- Fleur, ti spiace parlare una qualunque lingua io possa comprendere!? -

- Sci siamo svegliate con la lune stortà, Ninfadorà? -

Tonks si morse le labbra così violentemente che sentì il sapore del proprio sangue in bocca. Richiamò a sè tutto l'autocontrollo di cui disponeva, (sì, anche Ninfadora Tonks possedeva autocontrollo), onde evitare di dover ripulire il pavimento da frammenti di Flebo esplosa.

- Fleur, ti ho detto di chiamarmi Tonks . E guai a te se pronunci ancora le parole "luna" e "storta" in mia presenza - sibilò minacciosa.

Si mise a sedere e si grattò distrattamente la testa, scompigliandosi maggiormente i capelli color topo. I suoi occhi ricaddero quasi casualmente sul grande specchio posto sul comò della camera dove Molly l'aveva costretta a restare per l'ennesima notte. Scrutò sconvolta il suo viso tinto di quel pallore malato che non aveva nulla a che fare con il viso che aveva posseduto. Pesanti occhiaie grigiastre le appesantivano gli occhi, intonate, fu costretta a notare laconica, alla sua floscia capigliatura.

- Ti piasce quello che vedi? - disse Fleur, con durezza. Anche lei si era messa a fissare il riflesso di Tonks, con una strana espressione di rimprovero scolpita sul bellissimo volto.

- Come? -

- Ti piasce vederti ainsì? -

Tonks le lanciò un'occhiata perplessa, mentre lottava con le lenzuola e afferrava la prima cosa "indossabile" a portata di mano. - Di cosa stai parlando? -

- Non sombri nemmeno tu, Ninfadorà. -

- Tonks, grazie. -

- Pourquoi i tuoi capelì non sono più di quel terrifiant rose? -

- Se "terrifiant rose", o qualunque cosa tu abbia detto, significa "terrificante rosa" la risposta è "non sono dell'umore da terrificante rosa, Fleur."

- Sombri più vieux. -

- Cos'è che sembro, adesso? -

- Vieux. Vecchià. -

- Mi fa piacere - ribattè fra l'ironico e l'amareggiato Tonks. - Almeno un problema su tre, l'ho risolto. -

Fleur sorrise. - Trop vieux, trop pauvre et trop dangereux? -

Tonks fece sbucare la testa da una vecchia maglietta delle Sorelle Stravagarie, di cui non ricordava la provenienza, e guardò la francesina con le sopracciglia lievemente inarcate. Si domandò con un sospiro come facessero i francesi a comprendere una lingua così... fastidiosamente musicale.

- Non ho capito niente di quello che hai detto - ribattè amaramente, stiracchiando le labbra in un debole sorrisetto, - ma ho l'impressione che sia una frase orrendamente familiare ... -

Fleur stupì Tonks ridacchiando sommessamente, mentre con la mano destra tentava di coprire la bocca. Non l'aveva mai sentita ridere. Non l'aveva mai neppure vista sorridere, ora che ci pensava. E quanto diceva "non l'aveva mai vista sorridere", Tonks intendeva "non l'aveva veramente mai vista sorridere".

- Courage, Ninfadorà! È meglio se mettiamo qualcosa in quella panscia, o quando quel fou di Lupìn ritornerà si ritroverà con niont'altro che il tuo squelette fra le brascia. -

Tonks guardò Fleur Delacour uscire canticchiando dalla vecchia camera di Charlie Weasley, e fra un pensiero e l'altro, si ritrovò a considerare che forse , la compagnia della promessa sposa di Bill Weasley non sarebbe stata poi così irritante.

°°°°°°°







- Professore, ha mica notizie di Remus? - domandò Rubeus Hagrid, sfregando nervosamente uno dei grandi piedi sul raffinato pavimento dell'ufficio del Preside.

Albus Silente gli lanciò uno sguardo penetrante al di sopra delle lunghe dita intrecciate.

- Certo che no, Hagrid - proruppe scocciata la professoressa McGranitt, in piedi accanto a lui. - Come potrebbe Remus mandarci sue notizia da ? -

- Magari c'era riuscito a mandarcele - ribatté Hagrid, agitato. -E se non ci sono arrivate perché ce le hanno prese quelli di Voi-Sapete-Chi? E se quelli di Jura hanno scoperto che lui è con i nostri? E se quel mostro di Greyback gli ha fatto qualcosa? Già una volta lo ha quasi ammazzato, non è che si ferma perché adesso Remus è grande, quello. -

- Oh, Hagrid, smettila - sbottò la McGranitt, rivolgendogli un'occhiata esasperata. - Remus è abbastanza in gamba da non farsi smascherare dopo meno di un mese! -

Severus Piton emise uno sbuffo divertito, senza distogliere gli occhi scuri dalla finestra.

- Severus, piantala anche tu! - gli inveì contro la McGranitt. Iniziò a strofinarsi le mani fra loro e strinse le labbra fino a ricreare quella tipica espressione che tanto terrorizzava i suoi studenti. Era già sufficientemente impensierita per conto suo, senza dover aggiungere le continue congetture di morte di un singhiozzante Hagrid e i sadici mormorii di Piton. Ma quella volta, non era per la rabbia che la sua bocca si era assottigliata.

Minerva McGranitt era preoccupata per le condizioni di Lupin come poteva esserlo, non dico una madre, ma una zia, sicuramente. Aveva visto quel bambino dolce e gentile, più timorato da sè stesso che degli altri, trasformarsi prima in un adolescente intelligente e spigliato e poi in un uomo pronto a sacrificare tutto per perseguire i propri ideali. Non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma lei aveva sempre provato un grande affetto per quel ragazzo dal viso periodicamente ricoperto di graffi. Avrebbe continuato a definirlo uno dei suoi migliori studenti per moltissimi anni, alla pari, forse, con Hermione Granger.

- Se fosse morto, lo avremmo già saputo - disse Piton, voltandosi finalmente per guardare in viso la professoressa McGranitt e storcendo il naso in un'espressione a cavallo fra il divertito e il disgustato. - Non dubitatene: ci avrebbero sicuramente mandato indietro i pezzi. Dubito fortemente che Lupin abbia un buon sapore. - aggiunse, in un sussurro quasi impercettibile.

- SEVERUS! - gridò la McGranitt, improvvisamente sbiancata. Ve l'avevo detto: quasi impercettibile.

- Severus, Minerva - li interruppe Silente, con voce pacata. - Non credo siano nè il momento, nè il luogo più adatto a una simile discussione. -

La McGranitt scagliò un'ultima occhiata di rimprovero in direzione di Piton, prima di chiudere gli occhi e fare un respiro profondo. - E Tonks, Albus? Come sta? -

Il testone di Hagrid si voltò rapido verso di lei. - Tonks? Che le è successo a Tonks? - esclamò allarmato. I suoi occhi sgranati fissarono ansiosamente la McGranitt.

- Non hai saputo la bella novità, Hagrid? - cantilenò Piton.

Silente lo guardò da sopra gli occhiali a mezza luna, poi concentrò la sua attenzione sulla torreggiante figura di Hagrid.

- Ninfadora è innamorata di Remus, Hagrid. E... a quanto pare, è una cosa seria. E a suo modo ricambiata. -

- Tonks è... di Remus? - ripetè Hagrid, completamente incredulo. Sbattè perplesso le palpebre un attimo, dopodichè il volto barbuto si aprì in un sorriso gigante quasi quanto lui. - Ma è una cosa bellissima! -

Colpì con forza la spalla sinistra di Piton, che fu costretto ad aggrapparsi alla tenda per non ritrovarsi steso sul pavimento. - Oh, sì... - mormorò lui, massaggiandosi con fare irritato l'arto indolenzito. - Ho quasi le lacrime agli occhi dalla gioia. -

- Ma a me perché non lo ha detto nessuno? - continuò Hagrid, mentre il sorriso gli si allargava maggiormente. - Una cosa bella da sentire, finalmente! -

- Hagrid, forse non ti rendi conto della situazione - disse la McGranitt, ponendo definitivamente la parola "fine" all'ilarità del collega. - Remus è fra i licantropi di Jura e non possiamo contattarlo in nessun modo. Emmeline Vance è morta da poco più di tre settimane e Amelia Bones... - si bloccò, tentando di soffocare la parte più emotiva di sè stessa e richiamando tutto il suo freddo e distaccato raziocinio. - E ci sono anche gli attentati ai Babbani che continuano ad aumentare, come se non bastasse - concluse in fretta.

Silente sorrise. - È sempre bello vedere che c'è un po' più d'amore nel mondo, Minerva. Soprattutto in questi tempi bui. -

Rimasero in silenzio, e come se il filo invisibile di un burattinaio guidasse le loro teste, rivolsero lo sguardo al cielo stellato e a una luna che, furono costretti a constatare, diventava sempre più piena.

°°°°°°°



A quattro giorni dalla luna piena,

attento, lettore: si cambia la scena.

°°°°°°°





- Bizèt! Bizèt, aspettami! -

Il giovane Trick fu costretto a correre sulle sue lunghe ed esili gambette per raggiungere l'uomo. Questo, per tutta risposta, continuò imperterrito nel suo cammino, noncurante di nient'altro che la propria strada.

- Bizèt! - strillò Trick, fermando la sua corsa improvvisamente e guardando con una smorfia stizzita le spalle di Lupin. Lui si voltò e gli lanciò un'occhiata sorpresa, prima di sorridere divertito.

- Ciao, cucciolo di lupo - disse.

- Ti ho già detto che a me non mi piace, quando mi chiami così! -

Lupin sogghignò. - Temo dovrai sopportarlo, cucciolo di lupo. -

Trick storse la bocca, ma non ribattè ancora. Ormai era passato un mese dall'arrivo di Bizèt al villaggio, e il ragazzino si stava affezionando a quello strano forestiero. In fondo, era l'unico abitante di Jura che gli prestasse attenzione.

E poi, piace anche a Fen, pensò. E il semplice fatto che piacesse a Greyback, era più che sufficente a zittire tutte le dicerie che correvano sul conto del nuovo arrivato. Inoltre, aveva ancora la testa sulle spalle.

Letteralmente.

- Dove stiamo andando? - chiese Trick, alzando lo sguardo verso il viso del compagno più anziano.

- Dove sto andando. -

- Dove stai andando, allora? -

- Vieni con me? -

- Sì. -

- No. -

- Perché no? -

- Perché sei irritante, cucciolo di lupo. -

- Non è vero! - si lagnò Trick. Si strofinò il nasino sporco con il dorso della mano e guardò Lupin con un'espressione delusa. - Mi lasci venire con te? -

Lupin scoppiò a ridere. - Da quando sai fare quella faccia da cagnetto bastonato, cucciolo di lupo? -

Cagnetto bastonato.

- Non se ne parla neanche, Felpato! Non mi lascierò coinvolgere di nuovo nella tua ennesima follia! E non guardarmi con quell'espressione da cagnetto bastonato! Sei patetico! Piantala! Lasciami studiare! Tanto non abbocco per la decima volta, Felpato... puoi scordartelo. Hai finito di fare quella faccia? Non guardarmi così, Felpato, mi rendi nervoso. Basta... uff! D'accordo! D'accordo! Hai vinto! -

- Sapevo che tu non mi avresti mai abbandonato! -

- Ti prego, risparmiati l'abbraccio... oh, per tutti gli gnomi di Nottingham! Mi sono scavato la fossa con le mie mani. -

- Ehi, Bizèt! -

Lupin scosse la testa, riemergendo da quel penoso ricordo dal sapore di giovinezza. - Che c'è? -

- Non mi hai risposto. -

Alzò le spalle. - Fa' come ti pare, Trick. -

Il ragazzino sorrise e diede dimostrazione di tutta la sua agilità scatenandosi in una sottospecie di danza tribale. - Evvai! Sì! Vado con Bizèt! Vado con Bizèt! Vado con Bizèt! -

- Ad una condizione - continuò Lupin, ghighando fra sè e sè. - Non una singola parola. Intesi? -

Trick cessò di ballare e lo guardò con naso all'insù. - Questo mica puoi chiedermelo. Io parlo sempre. -

Lupin rise di nuovo.

- Bizèt... - mormorò dieci minuti dopo Trick, mentre trotterellava al fianco di Lupin in direzione del bosco di Tupin.

- Che c'è, ancora? - sbuffò Lupin.

- Tu per quanto resti qui? -

Lupin si fermò. La voce di Trick era velata da una strana e malcelata tristezza.

- In che senso, cucciolo di lupo? -

- Resti per sempre con noi? -

Lupin alzò gli occhi al cielo. La dolce brezza di Jura s'insinuò fra i suoi capelli lunghi.

- Non lo so, Trick. -

Non lo so.

°°°°°°°





La donna guardò le nuvole farsi più rosee all'orizzonte e si passò una mano sul volto.

Non ti permetto di farmi questo, Remus John Lupin.

°°°°°°°



Ed ecco che abbasso modesta il sipario:

concludo per ora di scriver diario.



°°°°°°°

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(Tranquillizzante sospiro per aver finalmente completato il Sesto Capitolo di transito di Trick...)

Chiedo umilmente e compassionevolmente perdono per i miei radi aggiornamenti. PERDONO!!!

Madame e Messere! Grazie a tutti per aver resistito fino ad ora con me! (Sì, anch'io sto resistendo...)

Nel corso di una settimana piuttosto burrascosa, mi è venuto il "pallino" delle filastrocche, perciò dovrete sopportarne parecchie. XD I LOVE FILASTROCCHE!

Un GRAZIE gigantesco a tutti quanti! E un GRAZIE extra, speciale, e completo di rossore sulle guancie ad Arya87, Rue Meridian, fennec, CUCCIOLA_83, Christine, nebula91 e ultima, ma non certo meno importante, Luna92!

OH, VI ADORO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

P.S Non ho mai studiato francese, perciò perdonatemi se nel dialogo fra Tonks e Fleur ci sono delle frasi franco-italiane campate in aria... spero che il senso si capisca ugualmente.

L'unica parola che forse, forse può lasciare perplessi, potrebbe essere "squelette", scheletro.

"Trop vieux, trop pauvre et trop dangereux", be', ormai lo saprete a menadito, ma è naturlamente "troppo vecchio, troppo povero e troppo pericoloso".

Alla prossima, giuro che cercherò di aggiornare il prima possibile (incrociando tuttavia le dita...)

UN SALUTO GIGANTE A TUTTI QUANTI,

Trick

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Capitolo 8
*** Capitolo Settimo - Plenilunio ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO SETTIMO

Plenilunio

°°°°°°°




Senti questa pioggia.
Come entra nelle ossa.

 

 

Piange il cielo di Jura; piange, e permette alle sue lacrime di scivolare sulle montagne dalla cima irraggiungibile, sui boschi avvolti dall'ombra dei propri alberi e sulle aride praterie sconfinate.


Le gocce s'insinuavano anche fra gli scompigliati capelli e la barba ispida di Remus Lupin, incapaci con la loro trasparenza di coprire il pallore della sua pelle.

 

 

Mi sembra
di sentirti
qui vicino.

 

 

Lupin guardò il cielo fosco e nuvoloso, chiudendo gli occhi per resistere al violento acquazzone. Il forte odore dell'umida foresta di Tupin e l'energico tocco del vento elettrizzavano i suoi sensi e inebriavano i suoi pensieri.


Anche se i suoi pensieri non neccessitavano di ulteriori entusiasmi.


Le immagini continuavano a scorrergli sotto le palbebre chiuse come una tormentata serie di fotogrammi privi di suoni. Jura si era imposta come eterna colonna sonora dei suoi sogni, ormai.


Sarà
la sinfonia.

 

 

Rivedeva le sue labbra. Colpevoli di averlo assaporato avidamente nel corso di quella notte. La percezione dei suoi baci roventi sul suo collo. Remus Lupin si era ritrovato a ringraziare il whisky che avevano condiviso insieme, lo stesso whisky che aveva appannato la sua ragionevolezza.

 

 

Delle
goccie
per la via.

 

 

I suoi occhi così profondi davano l'impressione di potergli leggere nell'anima, di poterlo spogliare di tutta la menzogna e l'ipocrisia con cui aveva tentato di nascondere il proprio desiderio. Le scintille di luce che scaturivano dal suo sguardo malizioso gli fecero perdere la testa. Voleva solo lei.

 

 

Vento.
Porta il mio
canto.

 

 

Lupin avvertì il ricordo della sensazione delle sue mani fra i capelli di Tonks come una scarica elettrica che gli coinvolse tutti gli arti. Lo spettacolo di quei capelli di cui l'estasi e il piacere continuavano a mutare il colore, era sicuramente la sensazione più elettrizzante che avesse mai provato.

 

 

Vola
nel
firmamento.

 

 

Aprì gli occhi e scorse il profilo indistinto della luna, offuscata dalle nuvole grigie di Jura. Soppresse la voglia di piangere in fondo al proprio cuore e ingoiò nuovamente tutte le lacrime che avrebbe voluto versare.


Un'umile e pressochè invisibile striscia luminosa gli attraversò il viso, dileguandosi immediatamente con la stessa rapidità con la quale era comparsa. Una luce schiva e bizzarra che si lasciò alle spalle soltanto l'immensa convinzione di quanto l'amore che Lupin provava per Tonks non fosse altro che un prezioso scrigno di dubbi e incertezze. Ma
esisteva.

 

 

Vento.
Dille che l'amo.


°°°°°°°

 

 

 


- A cosa stai pensando? -


- Domani ci sarà il plenilunio. -


- Se la caverà, Molly - mormorò Arthur nel buio della loro camera da letto, stringendo dolcemente la mano della moglie. - Sono certo che continueremo ad averlo intorno per ancora molto tempo. -


Sorrise, nonostante fosse pienamente consapevole che Molly non sarebbe riuscita a vederlo.


- Quando P... Percy... - iniziò lei, ma si bloccò improvvisamente, pregando Merlino che il marito restasse in silenzio. Sentì la stretta alla mano farsi più forte, ma continuò imperterrita. - E anche Fred e George... mi raccontarono che il loro professore era un... un... -


- Un
licantropo, Molly. -


- Sì...
licantropo. - Fu il suo turno di sorridere all'oscurità. - Ora che lo conosco, mi sembra quasi offensivo chiamarlo così... era sempre così gentile, così... così affidabile e così calmo... -


- Molly, smettila di parlare di Remus come se fosse morto - la interruppe bruscamente Arthur. - Lo avremo a cena per Natale e allora tu potrai costringerlo a mangiare tutto ciò che preferirà. Per il momento, limita la tua preoccupazione a Tonks. È molto vulnerabile in questo momento e ha bisogno di tutto il nostro appoggio. "Appoggio", Molly. Non "soffocamento" da madre ossessiva. -


- Io non soffoco nessuno e non sono una madre ossessiva. -


- Molly... - la rimproverò il marito.


- Arthur Weasley, come osi darmi della madre ossessiva? -


- Molly... -


- Io non sono ossessiva... non
esageratamente , almeno. -


- Molly, questa mattina volevi che spiassi Bill e Fleur dal tetto, fotografandoli ogniqualvolta si fossero avvicinati troppo. Meno di dieci minuti dopo, hai minacciato di uccidere Tonks con il mattarello se si fosse rifiutata di cenare. E due settimane fa, hai tirato un orecchio a Ginny perché aveva lanciato una pallina di purè addosso a Ron.-


Non ricevette alcuna risposta.


- Molly? -


Tese il braccio sinistro verso di lei e si rese conto che la donna aveva iniziato a singhiozzare silenziosamente. La strinse a sè, e pochi secondi dopo si ritrovò a consolare le sue lacrime nell'incavo del collo.


- È la mia
famiglia, Arthur... siete tutti... la mia f...famiglia. E con la... la guerra... e se il negozio di F...Fred e George andasse male? Lo sai come sono i nostri b...bambini, Arthur... loro prendono tutto come un g... gioco... e se succede qualcosa al M...Ministero, Arthur? E se a B...Bill e Charlie s...succede qualcusa in una m...missione. E se tu e P...Percy venite coinvolti in un a...attentato? E se Ron... Harry... e Hermione... combinano sempre qualcosa di p..pericoloso, Arthur. E se G...Ginny li seguisse? Emmeline è morta... era così gentile. E ora T...Tonks sta male, e Remus forse non... non tornerà più, e S...Sirius... -


- Basta, Molly - la interruppe Arthur con foga. - Nessuno di noi morirà: te lo prometto . I nostri ragazzi - preferì sottolineare, - sono in gamba. E ormai sono degli uomini. Il negozio di scherzi di Fred e George sarà un successo: è sempre stato il loro sogno , Molly. -


Si fermò, e trasse un respiro profondo. - Anche Percy ed io siamo al sicuro. Il Ministero è sorvegliato da un centinaio di preparatissimi Auror, nessuno dei due è in pericolo. Ron, Harry e Hermione... -


- Bill e Charlie. -


- Cosa? -


- C'erano... c'erano prima Bill e C... Charlie. -


Arthur sospirò mentre affondava il volto fra i capelli della moglie, abbracciandola maggiormente. - D'accordo. Allora... Bill e Charlie sono due maghi incredibilmente in gamba e sono abituati alle situazioni critiche. Non gli succederà nulla di male. Per quanto riguarda Ron, Ginny, Harry, e Hermione... suvvia, Molly: sono ad Hogwarts con Silente. Che rischi pensi possano correre finché c'è lui ? E Remus: ti assicuro che è innamorato di Tonks esattamente quanto lei di lui e quando tornerà da Jura, vedrai che ci toccherà insegnare a quei due a cambiare pannolini e preparare pappette. -


Molly ridacchiò leggermente. - Sarebbe bello avere ancora dei
bambini per casa... - aggiunse, nostalgica.


Arthur mugugnò un ironico consenso. - Oh, sì... mi chiedo solo di colore potrebbero essere i loro capelli. -


Molly si lasciò andare in una risata liberatoria, e cullata dalle carezze di lui, il respiso si fece più regolare e si riaddormentò fra le sue braccia.


Arthur rimase sveglio tutta la notte, contemplando la luna ormai completamente piena e lanciando di tanto in tanto tormentate occhiate al viso rilassato della moglie.

 

 

Di ore solo un soffio alla Luna rotonda.


Selene sorride, finchè in Aurora affonda.


°°°°°°°

 

 

 


Alzò lo sguardo verso il freddo sole di Jura.


Quattordici ore. E sarà luna piena, non è vero, Remus?


Non poteva permettersi di evitare i licantropi anche durante il plenilunio. Sarebbe parso sicuramente troppo sospettoso.


Affondò la mano nella tasca del mantello sempre più suducio e logoro (più logoro del solito, se riuscite a figurarvelo) e strinse prepotentemente la piccola boccettina di vetro che aveva gelosamente custodito nell'ultimo mese.


La sua pozione.


Era pienamente consapevole di come quella misera quantità di infuso fosse insufficente. Sperava, tuttavia, che quell'unico sorso avanzatogli sarebbe riuscito, magari non a renderlo innocuo, ma perlomeno lievemente consapevole delle sue azioni sotto l'influsso della luna piena.


Si ripetè che il piano non avrebbe potuto fallire. Un attimo prima del sorgere della luna, avrebbe bevuto il contenuto della boccetta e si sarebbe allontanato dal villaggio, lasciando i licantropi ai loro istinti primordiali. Si sarebbe quindi nascosto in un angolo del bosco di Tupin e si sarebbe graffiato, cosicchè, ritornato la mattina presto avrebbe potuto fingere di aver presto parte anch'egli alle zuffe.


Non
poteva fallire.


- Bizèt! -


Lupin sussultò e si voltò di scatto. Riconobbe la colossale figura di Yarne (il licantropo della mano, ricordate?) e si affrettò a rimettere la maschera del giovano strafottente.


- Che c'è? - domandò nel suo miglior tono scocciato. Non vi dico neppure che tentò di suonare scocciato: c'erano dei momenti in cui il ruolo che si era dovuto imporre gli risultava talmente semplice da sembrare spontaneo.


- Fenrir - disse Yarne.


- Fenrir, cosa? -


- Deve parlare. -


- Lascia che parli, allora. Evidentemente si diverte. -


- Deve parlare con tutti, Bizèt. -


- Qualcuno mi riferirà, non temere. -


Yarne ridacchiò sommessamente, facendo tremare tutta la sua grossa muscolatura. - Non fare lo scemo, Bizèt. Muoviti. -


Afferrò Lupin per un braccio e lo trascinò senza la minima delicatezza verso il villaggio.

°°°°°°°

 

 


- Il Signore Oscuro, nostro fedele alleato, ci ha chiesto di collaborare con Lui a Glasgow, questa notte - stava dicendo con gesti infervorati Fenrir Greyback.


Lupin si appoggiò a un albero poco distante, sbadigliando annoiato.


- Ehi - mormorò Calima, alle sue spalle. - Come hanno fatto a staccarti dall'Harrier? -


- Yarne può diventare un tipo esageratamente convincente, se mi credi - rispose, in un esasperato e appena udibile sussurro.


- Ed è questo motivo - continuò Greyback, agitando violentemente le braccia, - che ho dovuto scegliere solo alcuni di voi, fratelli miei! -


- Trick mi ha detto che non sa se resti. -


Lupin distolse lo sguardo da Greyback e guardò il giovane volto di Calima. - Devo ricordarmi di tagliare la lingua a quel cucciolo di lupo. Segnamelo sull'agenda, Calima. -


Calima soffocò una risatina nella mano.


-
Taegu, Linna, Ekilè! Voi agirete nella parte più a nord - ordinò Greyback a tre licantropi che dalla sua posizione, Lupin non riusciva a scorgere. - Bergen, Holaf, Muria! A voi la zona orientale. -


- Non mi hai risposto - continuò Calima, sporgendosi sulla sua spalla e scostandogli un ciuffo di capelli per potersi avvicinare al suo orecchio..


- A quale domanda avrei dovuto rispondere? -


- A quella in cui ti chiedevo se saresti rimasto a Jura. -


- Ah... - esclamò Lupin, fingendo di aver capito solo in quel momento. - Non mi era sembrata una domanda. -


-
Norsk, Samen, Aasen! La parte ad ovest è vostra! -


Lupin cercò di riconcentrare la propria attenzione sul discorso di Greyback, ma Calima lo distrasse nuovamente.


- Di solito sei così orrendamente cortese. Perché adesso non mi rispondi, Damerino? -


- Naturalmente non è nulla di personale, Calima, ma... - si voltò ancora per lanciarle un'occhiata seccata, - preferirei che incollassi quelle dolci labbra rosee fra loro, cosicchè io possa finalmente sentire cosa dice Fen. -


Fen. All'inizio pronunciare quel nome gli costava tutto l'autocontrollo di cui disponeva.


Fen, Fen, Fen, Fen, Fen...


Ora la sua voce si velava di una cinica indifferenza, frutto dell'arrogante e inoppugnabile ipocrisia a cui quotidianamente si ritrovava a far affidamento. Colui che aveva distrutto la sua vita di bambino e di uomo, che aveva calpestato con ferocia i suoi sogni, distrutto ogni speranza di avere un futuro sereno. Nell'unica azione di un morso. L'uomo che...


Uomo? Poteva Remus John Lupin considerare Greyback come un uomo?


Certo che no. Ma dopotutto, noi uomini siamo uguali e diversi nel medesimo istante, facciamo parte di una massa di schiavi della vita, pronti ad attaccarci a qualunque cosa, pronti a tradire chiunque, pur di poter vivere un solo giorno ancora in questo mondo ingannatore.


Siamo uomini, dopotutto. L'infamia è un nostro diritto.


I licantropi iniziarono a disperdersi attorno al grande focolare spento di Jura, mormorando tra loro pareri incomprensibili.


Calima lanciò un'ultima occhiata interrogativa a Lupin. - Be', Fen ha finito la sua solita strapazzata. Ora, puoi rispondermi. -


Lupin la guardò e inarcò curioso un sopracciglio, grattandosi distrattamente il mento. - No - rispose con leggerezza, mentre le voltava le spalle.


- Che significa "no"? -


- È una particella negativa; generalmente viene usata per indicare un rifiuto, Calima. -


- So cosa significa "no"! - protestò la giovane. Lo guardò farsi inghiottire nuovamente dalla cupa foresta di Tupin, sperando di ottennere una risposta che non arrivò.


Bastardo di un forestiero del Sud.

°°°°°°°

 

 

Alla Luna, le ore contate son sulle dita:

di sangue e grida la notte sarà farcita.

 

I licantropi di Jura che la "saggezza" e la "ragionevolezza" di Fenrir Greyback avevano portato ad escludere dalla missione per Lord Voldemort, erano riuniti nella valle di Losna, i volti in fremente attesa che scrutavano con ansia fra le nubi del cielo.

Il respiro di Remus Lupin si faceva sempre più affannoso minuto dopo minuto, pensiero dopo pensiero. Aveva l'impressione che il proprio cuore sarebbe sicuramente esploso da un momento all'altro, tanta era la rapidità con cui i battiti si stavano succedendo all'interno del suo petto.

 

Adesso.

 

Affondò la mano nella tasca e...

 

La Pozione. Dov'è la Pozione? Merlino infame, dov'è!?

 

Le sue dita cercarono freneticamente il contatto con il vetro freddo e rassicurante dell'ampolla, ma più queste si dibattevano all'interno del mantello, più la pesante consapevolezza di averla perduta si affacciava alla finestra della mente di Lupin.

- Ehi, Damerino! Hai perso qualcosa? -

Lupin alzò il capo di scatto, deglutendo a fatica. Strizzò gli occhi e voltò il capo per non mostrare a nessuno l'espressione terrorizzata che probabilmente gli era apparsa in viso.

- Non trovo le sigarette... - mormorò, e ad ogni parola aveva l'impressione che una violenta pugnalata gli aprisse il ventre.

- Ma, Damerino! Che ci fai adesso con quelle? Dai, goditi lo spettacolo: Selene sta sorgendo. -

La mano di Lupin iniziò a tremare in maniera incontrollabile, ma non fu a causa della luna. Aprì la bocca per poter inglobare una quantità maggiore di ossigeno, tentò in ogni modo possibile di calmare il suo tormentato stato d'animo, di soffocare il panico che ormai si era impadronito completamente di tutto il suo essere.

La belva, fida compagna dei suoi più temuti pleniluni, iniziò a inebriare la sua mente, avvolgendo i suoi pensieri nella più totale confusione.

Voltò automaticamente la schiena alla luna e chiuse nuovamente gli occhi per non vedere.

Inno del sorgere di Selene, furono dei potenti ululati che squarciarono la silenziosa notte di Jura. Remus Lupin strinse i pugni così violentemente che le unghie penetrarono nella carne, ma non riuscì a capacitarsi del dolore.

La candida e romantica luce di Selene lo aveva già abbracciato completamente.

°°°°°°°

 

 

Tramonta la Luna, regina del cielo:

ritorna pelle ciò che era pelo.

Del sangue la notte ha lasciato il sapore,

riemerge il pensiero, riaffora il dolore.

°°°°°°°

 

 

Anche Jura, arida e magica culla della natura più selvaggia, si ritrovava di tanto in tanto a tranquilizzarsi nella vita dei propri abitanti. Bagnati dalla luce del sole, avreste potuto vedere licantropi intenti a fasciarsi malamente recenti ferite con stoffe logore, altri addormentati all'ombra delle imponenti quercie o seduti stancamente su un masso. Perversi, immorali e spietati: ma una volta al mese, dopo aver mostrato alla notte il meglio della loro crudeltà e della loro forza, eccoli tornare cuccioli, desiderosi solo di leccarsi a vicenda le ferite, accucciarsi in un fresco cantuccio che li ristorasse dal caldo dell'estate, e finalmente sognare la prossima luna.

Rouge, tornata da poche ora da Glasgow, scostò con una mano un sottile ramo di acero per potervi passare sotto e proseguire il suo cammino nel bosco di Tupin. Conosceva quelle terre meglio di quanto non avesse mai imparato a conoscere sè stessa. S'inoltrò nella fitta vegetazione del bosco, con una grazia che aveva quasi del solenne.

I suoi piedi calpestavano gli stessi percorsi che calpestavano da una vita: dai suoi primi tempi nella comunità di Jura, quando il suo sguardo era ancora innocente e spaurito, agli anni della giovinezza, durante la quale aveva imparato a sopravvivere in un mondo fatto dagli uomini, per gli uomini, e per le loro guerre che nulla avrebbero mai dovuto aver a che fare con la sacra terra di Jura.

Si issò per forza d'abitudine sui grandi massi erosi dall'eternità dell'Harrier e mentre fissava l'ombra delle grosse quercie giocare con i riflessi dell'acqua sotto di lei, si ritrovò a pensare che Jura era veramente troppo ricca per poter essere oltraggiata dalla presenza di stolti individui come Greyback e tutti quei patetici sciocchi al suo seguito. Come gli umani che sovente lo allontanavano dal villaggio e che tanto disprezzavano la loro sublime razza. Nessun umano avrebbe mai capito quale onore, era in realtà, essere un figlio di Selene. Nessuno.

Ma di questo, Rouge non se ne curava affatto: a lei non era mai importato di cosa gli umani pensassero o non pensassero. Era completamente indifferente alla loro esistenza, sempre che questi non invadessero le loro con stupide leggi, o patetiche paure.

Sciocchi umani, che avevano osato dimenticarsi della vera legge: vince chi vive, e vive chi vince. E chi vince, è sempre chi si dimostra più forte.

Mentre restava sospesa in questi pensieri, Rouge colse una figura addormentata sull'erba, seminascosta da un arbusto. Sogghignò, avvicinandoglisi.

Il duro contrasto fra la carnagione chiara dell'uomo e fra il nero dell'ombra del bosco di Tupin aveva qualcosa di simbolicamente filosofico. Unico, incongruente dettaglio di quella mistica unione erano le traccie di sangue che macchiavano quella pelle pallida. S'inginocchio accanto a lui, e scostò un ciuffo dei suoi capelli chiari, contemplando il modo in cui essi ricadevano con leggerezza sulla tempia.

Il suo dito scivolò lungo il profilo del lungo e dritto naso dell'uomo, arrivando a cogliere ogni screpolatura sulle sue labbra sottili. 

Le palpebre dell'uomo furono scosse da un fugace tremito. Mosse il capo con una smorfia. - Ni... ora - mugugnò.

La bocca di Rouge s'incrinò in un sorriso perverso. La sua mano continuò a serpeggiare sul petto di lui con un'insistenza sempre più assillante.

Lo vide aprire lentamente gli occhi. Dovette attendere qualche istante prima che lui fosse in grado di riconoscerla e parlare.

- R...Rouge? -

- Buongiorno, Damerino. Mi hanno detto che hai fatto il lupetto cattivo, questa notte. -

- Cosa... - tentò di dire lui, ma una fitta lancinante gli infiammò il fianco, e fu costretto a stringere il labbro inferiore fra i denti per non gridare.

- Sto dicendo che ci sono tre o quattro inutili sciocchi che questo mese le hanno prese più del solito. A quanto pare, sei davvero un'incontrollabile e malvagia creatura. - lo canzonò.

Lupin artigliò la terra umida e tentò di alzarsi in una posizione più comoda e meno umiliante, chiedendosi il perché Rouge gli stesse parlando in quel modo ironico che non le aveva mai sentito nella voce. Non fece in tempo ad accorgersi di essere completamente nudo, che una logora e puzzolente coperta color panna lo colpì in viso.

- Copriti - intimò Rouge, sogghignando nuovamente. - Sei uno spettacolo decisamente più orrido di quanto non immaginassi. -

Lupin fu rapidissimo ad eseguire l'ordine della donna, e ostentando la classica aria da menefrego totale, guardò negli occhi Rouge e tentò di capire ciò che le passava per la mente. Sembrava divertita dal suo imbarazzo, che a quanto pare, non era riuscito a celare. Lui aprì la bocca per ribattere, ma lei non gliene diede il tempo.

- Tu programmi sempre tutto, vero? - lo interruppe Rouge.

Lupin inarcò un sopracciglio, nonostante questo gli costasse notevoli sofferenze. - Cosa? -

- Pianifichi la tua esistenza giorno per giorno, temi di lasciarti andare ai deliziosi imprevisti della vita. - Non era una domanda, era un'affermazione con tanto di punto fermo. - Cos'è andato storto, questa notte? Cosa non avevi programmato? -

- Rouge, ma che stai dicendo? -

La vide infilare la mano dalle lunghe e stranamente curate unghie rosse all'interno della tasca. Lupin si sentì morire, quando Rouge gli mostrò il contenuto.

Stretta in quella presa così dannatamente sensuale e illuminata dai pochi riflessi del sole di Jura, Rouge stringeva la piccola ampolla di Pozione Antilupo.

La fece dondolare davanti agli occhi ambrati di Lupin. - Un gingillo veramente patetico, non trovi? -

Lupin la fissava a bocca aperta, incapace di rispondere alle sue tacite accuse in qualcunque maniera. Deglutì faticosamente e alzò lo sguardo dalla boccetta al viso di Rouge, illuminato da una strana luce calcolatrice.

La donna si sporse sulla sua spalla e Lupin, forse per il dolore della recente trasformazione o per il terrore che lo aveva immobilizzato, non riuscì a muoversi. Avvicinò la bocca al suo orecchio, spostandogli un altro ciuffo di capelli con la mano libera.

- Come hai potuto anche solo pensare che l'avresti scampata? - sussurrò Rouge, con un ghigno vittorioso. Sul volto dell'uomo si dipinse il panico puro.

 - Per quanto tempo credevi di potermi mentire ancora, Remus Lupin? - 

°°°°°°°

 

 

 

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Aloha!

Capitolo Settimo del Diario finalmente concluso. E visto che non ho nulla di rilevante da dirvi, (lo so che state gioendo perché per una volta me ne sto zitta, ma sappiate che non è educazione! XD)

Indunque, dicevo... mi accingo a ringraziare tutti.

Intanto, un grande pacca di gratidune (carica di muto sadismo per l'ossessione con cui ti tormenterò per concludere la storia... XD) ad ari, mia fida beta che spero non mi uccida da qui a un mese.

A redistherosenon mi è mai capitato di leggere le filastrocche di Sclavi, ma ora che me l'hai detto mi metterò alla ricerca. Sì, Fleur cercava di scuotere un po' la povera Tonks. Non mi ispira che venga dipinta come un'ochetta senza cervello, anzi, la trovo un personaggio molto interessante. 

A Christine, dinanzi i quali piedi mi prosto per il ritardo dell'aggiornamento, grazie mille per i complimenti e un bacione grande grande!

A fennec, un altro grandissimo grazie, è bellissimo vedere che la storia piace a così tanti! Ho pensato che ogni tanto fa bene rilassare un po' gli occhi con qualche scena simpatica, e chi meglio del corpo docenti di Hogwarts? XD

A Luna92, lo so: Fleur può dare quell'impressione, soprattutto nel sesto libro. Ma sono convinta che si sia guadagnata il nostro rispetto nella famaosa scena dell'infermeria, e non volevo dipingerla come un sciocca francesina. Ti svelo una curiosità: il personaggio di Trick, è liberamente ispirato a mio cugino, (nome, naturalmente escluso...) Grazie 1000, spero che ti piaccia anche questo capitolo!

A nebula91, un gigantesco grazie con effetto sfondamento e tanto di rossore sulle guancie! Grazie, grazie, grazie! Veramente grazie!!! Un bacione!!!

Rue Meridien, a cui voglio innanzitutto chiedere perdono per non aver ancora trovato il tempo di leggere il nuovo capitolo di "Basta solo accendere la luce", ma che è già segnato e sottolineato nelle mie prossime cose da fare. Tante grazie per i complimenti, veramente, mi fa un piacere assurdo... (peccato che mio cugino non sia innocente come il suo alter-ego, Trick...v__v - no comment in proposito).

Grazie a tutti quanti hanno letto finora, GRAZIE VERAMENTE A TUTTI QUANTI!!!

 

UN BACIO A TUTTI QUANTI,

Trick

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Capitolo 9
*** Capitolo Ottavo - Londra, quarantotto ore fa ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO OTTAVO

Londra, quarantotto ore fa

°°°°°°°






Da qualche parte di Londra, quarantotto ore fa



 

Sembra quasi che Londra, questa notte, voglia competere con le più umide e fredde serate di Jura. Voglia, badate: non ho detto che riesca nell'intento. Troppo magica Jura, per poter essere ridicolarmente scimmiottata da una città futile e squallida come Londra. Posata mattone per mattone da mani umane. Mani errate per loro natura.

Seguo la scia di Fenrir come solo un bravo cagnolino potrebbe fare: mi sto odiando, quasi quanto odio lui. Il che, vi assicuro, è tutto dire.

- Fen, sei sicuro che verranno? - sbotto, dopo diversi minuti di irritante camminata sui marciapiedi deserti delle strade cittadine. Non c'è nulla che non mi innervosisca in questa città.

Fenrir, maledettamente compreso.

- Certo che sono sicuro - mi risponde seccato con la sua classica voce carica di presunta superiorità. - E dovresti esserlo anche tu, Rouge. Devi fidarti di loro, non sono come gli altri della loro razza. -

Ringrazio l'oscurità che mi permette di alzare gli occhi al cielo e imprecare senza emettere suono. Bella stronzata, Fenrir. Sono veramente fiera di te.

- Dovrebbero arrivare qui - spiega, fermandosi in un incrocio ancora più deserto del resto di Londra. - Adesso. -

- Fen, dovevamo proprio metterci questo schifo? - mi lamento nel buio, tirando la lunga veste nera che mi impedisce la maggior parte dei movimenti. Stupide vesti umane.

- È un segno di rispetto verso il nostro Signore, Rouge. -

- Perché dovremmo rispettare un umano che non fa altro che sfruttarci? -

- Rouge, chiudi la bocca. E guai a te se mi incasini la riunione con le tue paranoie, chiaro? -

Paranoie? Schifoso bastardo, ci stai mandando a morire per un vecchio, decrepito umano, e io sarei paranoica?

Lurido, arrogante, bastardo, figlio di una lupa storpia...

- Greyback. -

Una voce zittisce il mio pensiero, interrompendo bruscamente la scia di preghiere a favore di un prossimo e mortale incidente a danno di  Fenrir. Accidentale, naturalmente.

- Jugson - saluta Fenrir, con un cenno rigido del capo. - Macnair. - 

Non ho ancora visto le loro facce, e già li detesto. Oh, Selene! La serata si preannuncia orribilmente tediosa.

Si avvicinano a noi, e solo ora che sono illuminati dalla luce di un lampione, posso notare le maschere che usano per coprirsi il volto. Le famosissime maschere dei famosissimi Mangiamorte, seguaci del famosissimo Signore Oscuro! L'onore è così grande che potrei svenire... non resisterò a lungo in silenzio.

- Vedo con piacere che voi gentiluomini londinesi non avete l'abitudine di essere cortesi - Fenrir mi lancia uno sguardo di fuoco; non lo vedo, ma sento la violenta sferzata d'aria prodotta dal rapido movimento della sua testa. - Sarebbe educazione togliere le maschere, Messere. -

I loro occhi si posano su di me con lo stesso bagliore intimidatorio che immagino riserbino alle loro vittime. Sogghigno, ancora una volta protetta dal manto della notte.

-  Ho come l'impressione che la tua ragazzina sia stata abituata ad usare troppo la lingua, Greyback... e la cosa non mi piace. -

- Devo dedurne che voi preferiate altro, alla lingua femminile? - Colpiti e affondati. Uno a zero per me, bastardi.

- Mi complimento per l'ineccepibile linguaggio - mi dice la voce divertita di un Mangiamorte che l'oscurità mi impedisce ancora di vedere. - Ed io che ero convinto che voi lupi foste solo in grado di ringhiare. -

- Piton - saluta nuovamente Greyback, lanciandomi contemporaneamente un'occhiata minacciosa.

- Greyback. -

- Sareste stupito di vedere cos'altro so fare con la lingua - continuo ostinata, permettendo alle labbra di incrinarsi in un ghigno.

La debole luce giallastra di un lampione illumina il viso del mio sconosciuto interlocutore. I capelli scuri gli ricadono unticci sulla lunga faccia pallida, aumentando l'impressione di un enorme e infido ragno. La cosa che mi sorprende, però, è il suo naso: che persona può avere una protuberanza del genere?

Mi fissa disgustato con i suoi occhiacci neri. Occhi di morte. - Patetica. -

Il suo tono è così gelido e tagliente, che per la prima volta dopo tanti anni, non so cosa rispondere. Mi sento una scolaretta alle prime armi e mi chiedo come abbia potuto un umano farmi questo effetto.

Forse, la notte sarà più lunga del previsto.

°°°°°°°

 

 

Ancora da qualche parte di Londra, quarantasei ore e venti minuti fa

 

- Codaliscia, cosa stai aspettando? -

Allungo il collo oltre alla spalla di Fenrir, senza rendermi conto di avere le labbra leggermente imbronciate. Lascio che il mio sguardo diffidente scivoli sulle persone che siedono accanto a noi, in questa baracca dal puzzo orrendamente umano. 

Sono solo in sei, se non conto quel tizio piccoletto che è scappato non appena io e Fen abbiamo varcato la soglia. Devo ammettere che il Signore Oscuro si sceglie proprio dei soldatini veramente valorosi.

Ha anche la faccia da ratto, come se ciò non bastasse a completare il bizzarro quadro che mi sono fatta del tozzo Mangiamorte senza nome.

Lancio un'occhiata in tralice al tizio dal naso dalle proporzioni assurde. Odora di chiuso, come se non vedesse mai la luce del sole. E non mi convince, il che significa solo che nasconde qualcosa: se lo dico io, fidatevi. È così.

Si accorge del mio sguardo su di lui, ed io avrei una gran voglia di distogliere i miei occhi da quei buchi neri che la madre di quell'uomo ha pensato di infilargli nelle orbite. Ma non posso. Perderei la battaglia, ancor prima di scendere nell'arena.

Mi sorride con uno strano piglio che non avevo mai visto, e alza il calice da cui stava sorseggiando in mia direzione.

Mi chiedo se i suoi modi siano sempre così indecifrabili, o se io debba iniziare a complimentarmi  con la mia buona stella per le meravigliose persone che mette sul mio cammino.

La voce tonante di un uomo dai capelli scuri e il pizzetto perfettamente curato mi riporta ad assaporare il nauseante odore della stanza.

- Mentre aspettiamo che Codaliscia termini gli ardui compiti da me affidatigli, ossia servirci qualunque cosa Severus tenga in questa... come l'hai chiamata, Severus? Casa? -

Volto il capo di scatto. Severus. Non male come nome, per uno che al posto del naso ha il modellino in scala 1:1 del monte Mall.

- Sono veramente spiacente, Rodolphus, che la mia attuale dimora non sia di tuo gradimento - risponde, per nulla offeso. Anzi, sembra compiaciuto da quelle parole. -Tuttavia, non puoi negare che il mio elfo domestico sia incredibilmente divertente - aggiunge, posando il calice vuoto sul vassoio che l'ometto tozzo gli porgeva. Alle sue parole di scherno, quest'ultimo gli rivolge un'occhiata sprezzante.

- Suvvia, Codaliscia - esordisce l'uomo di nome Severus, battendo le mani fra di loro. Ha ancora quel ghigno sulle labbra. Possibile che oltre agli occhiacci da morte, sua madre gli abbia anche cucito la bocca in quella posizione? 

Sinceramente, non ne sarei stupita.

- Quante volte di ho detto che è scortese far attendere gli ospiti? -

"Voce Tonante con Pizzetto" ride di gusto, e non appena i restanti Mangiamorte si accorgono della sua risata, ecco che la baracca risuona di fastidiose e orrendamente ipocrite risate.

Fenrir, ovviamente compreso.

Anzi, la sua supera le altre in quantità di fastidio procurato alle mie orecchie sottili.

Severus non ride.

Che uomo tutto d'un pezzo.

- Siete qui, oltre che per godere dello splendido servizio di Codaliscia - e qui, s'interruppe a causa di altre risatine, - perché possiate ascoltare le ultime, interessanti novità che Severus ci ha fornito. - Innanzitutto, a riguardo dell'Ordine della Fenice, dovrei... -

- L'Ordine di cosa? - lo interrompo, con uno sbuffo annoiato. Non che m'interessi quello che "Voce Tonante con Pizzetto" ha da dire, ma perlomeno, gradirei capire il senso delle sue parole.

- Rouge, taci - ringhia Fenrir.

- Tu sai cos'è l'Ordine? -

- Più o meno. -

- E allora, fattelo spiegare bene, Fen. Che ci stiamo a fare qui, altrimenti? -

Razza di deficente, tira un po' fuori le palle. So che le hai da qualche parte sotto quella veste, non costringermi a tirartele fuori a forza.  Non sopporto che ci trattino così. Non sopporto niente, a partire dal naso del tizio con gli occhiacci da morte.

Lui volta il capo con uno scatto, e mi regala un sorrisetto ironico. Come se avesse sentito ciò che ho appena detto a voi altri umani.

Tze, sto diventando davvero paranoica. Vuoi vedere che per una volta, Fenrir ha ragione?

Afferro con un gesto seccato un bicchiere dal vassoio che l'ometto di nome Codaliscia mi allunga tremante.

- Pupetto, se non la pianti di tremare, te la farai addosso. E considerando il tuo importante ruolo qui dentro, ti toccherà anche passare lo straccio. -

Porto il bicchiere alle labbra, alzando lo sguardo verso "Voce Tonante con Pizzetto" e dando subito mostra della mia celebre pazienza.

- Quindi? -

Fen mi guarda in cagnesco come solo un lupo sa fare.

Ed io sorrido, ostentando un'innocenza di cui non mi sono mai vantata.

- L'Ordine è un gruppo di persone che sostiene Albus Silente - mi risponde il tizio dagli occhiacchi di morte, con un tono annoiato che ha dell'irritante. - Mi auguro tu sappia, almeno, chi è Silente. -

- Il vecchietto con la barba bianca? - chiedo, appoggiando stancamente il mento sul dorso della mano destra. So che la mia voce suona alquanto tediata, ma non posso farci niente. Forse, il mio inconscio non vuole neppure fare qualcosa a riguardo.

- Il vecchietto con la barba bianca - ripete disgustato un Mangiamorte dal volto smunto alle mie spalle. - Sarebbe ora che tirasse le cuoia, quello schifoso. -

- È esattamente quello che cerchiamo di far accadere da più di vent'anni, Jugson - ribattè "Voce Tonante con Pizzetto".

- Cercate di ucciderlo da più di vent'anni? - gli domando, mentre le soppracciglia mi scompaiono sotto i capelli per lo stupore. - Un vecchio? -

- Non prendere alla leggera la figura di Silente, ragazzina - risponde per lui un altro Mangiamorte, un uomo tarchiato e dalle fattezze quasi suine. - Purtroppo, è un mago dotato di grandi capacità. -

- Già, ma la vecchiaia inizia a farsi sentire - ridacchia "Voce Tonante con Pizzetto". - Una volta che lui sarà fuori gioco, il Signore Oscuro non avra più problemi. Nessuno proteggerà più Potter. Nessuna mammina e nessun nonnino. -

I Mangiamorte sghignazzano di nuovo alla sua battuta. Io non riesco a coglierne il lato comico, e dubito di volervo anche vedere. È roba da umani, questa.

- Potter? Il moccioso che ha sbaraccato il vostro capo? Gran bella figura, quella, non c'è che dire. -

Non faccio in tempo a terminare la frase, che la pelle del collo freme al tocco della fredda punta di una bacchetta. Muovo il capo quel poco che basta per scorgere la figura sfocata di uno di loro. È uno dei due umani che ho avuto l'onore di incontrare per primi.

Costringo il mio corpo a non muoversi. Freddo e impassibile, lo obbligo a dimostrare, ora più che mai, tutta l'imperturbabilità di cui, da anni, sono solita complimentarmi.

Non ho intenzione di mostrarmi debole. Non abbasserò il capo dinanzi a dei sudici uomini. 

- Abbassa la bacchetta, Macnair - ordina imperioso "Voce Tonante con Pizzetto". - La nostra compagna non voleva certo suonare offensiva. Non è forse così? -

Sto per aprire la bocca e affermare contrariata che era esattamente ciò che intendevo, quando il tizio dagli occhiacci di morte, che, per mia pura comodità, definirò da qui innanzi "Occhiacci di Morte con Naso Mostruoso", mi interrompe. È un uomo fortunato: se non mi sentissi così esaurita nello spirito e nel corpo, gli avrei tagliato la testa. Odio essere interrotta.

- Vi pregherei di non perdere tempo con queste assurde ridicolaggini - proclama, portando nuovamente il calice alle labbra perennemente sogghignanti. - Mi duole avvertirvi che questa sera sarà costretto a tornare ad Hogwarts, e questo, come potete ben capire, limita enormemente il tempo a nostra disposizione. -

- Severus ha perfettamente ragione - concorda il Mangiamorte dalla faccia da suino. Inizio a pensare che il "Signore-Oscuro-Non-Devi-Nominarmi-Mai" si scelga i soggetti più anormali in circolazione, come soldatini.

- L'Ordine della Fenice è un gruppo di morti che camminano - decanta con un impeto di furia "Voce Tonante con Pizzetto". - Dopo la... - si blocca, fingendosi pensieroso. - Sì, la sventurata dipartita del loro Preside, temo non resterà loro che pochi mesi di ostinata, inutile, e orrendamente irritante resistenza. -

- Una descrizione che ha del poetico, mi complimento - ironizzo, garantendomi un'ennesima occhiataccia di Fenrir. - E queste persone sono così astute e dotate da mettere fuori gioco i famosi Mangiamorte? -

Si scambiano sguardi interrogativi. È "Occhiacchi di Morte con Naso Mostruoso" a rispondermi.

- Alcuni sono Auror. -

- Auror? -

- Squallidi e futili impiegati ministeriali, addestrati a combattere... noi cattivoni - ridacchia il tizio dalla faccia suina, sputacchiando un po' di vino sul viso del compagno. 

- In quanti sono? -

- Abbastanza - dice "Voce Tonante con Pizzetto". - La cosa più disgustosa, comunque, è la loro... eterogeneità. -

- Eterogeneità? - Guardo Fenrir, lo trovo con le folte sopracciglie incredibilmente corrucciate, e mi costringo a non ridere. Adoro vederlo perso nella propria ignoranza, nonostante ciò mi irriti notevolmente.

- Sinonimo di immondizia e inettitudine - declamò il Mangiamorte di nome Jugson. - Striscianti traditori del proprio sangue babbanofili, usurpatori Mezzosangue e, senza offesa, infidi ibridi. -

- Ibridi? - domando, smussando appensa leggermente il tono minaccioso della mia voce. Mi chiedo di nuovo dove siano finite le proverbiali palle di Fenrir. Mangiate, inghiottite e digerite da qualche cane rognoso, a quanto pare.

- Senza offesa - ripete, con un sorriso falsamente educato.

Storco il naso, e decido di dedicare la mia attenzione a Mangiamorte meno idioti. Il destino mi concede una sarcastica e imbarazzante scelta, a proposito.

- Mezzigiganti, Mezzosangue, Babbanofili, Magonò... - inizia ad elencare con un ghigno divertito il Mangiamorte dalla faccia suina. - Per non parlare degli Auror - concluse, con una risatina di scherno. 

- E come dimenticarsi dell'animaletto di casa? - continua il compagno seduto al suo fianco. - Un altro, valorosissimo elemento fra le file del grande Silente. -

- Animaletto di casa? - domando, confusa.

Si scambiano occhiate complici, e non ho intenzione di negare quanto la cosa inizi a dare esageratamente sui nervi.

- Un lupetto addomesticato. Una creatura completamente inutile, e personalmente, dotata di un'idiozia abissale - spiega "Occhiacci di Morte con Naso Mostruoso". -

- Lupetto? -

- Uno di voi - commenta maligno il Mangiamorte dalla bacchetta veloce. - Un lupo mannaro. -

Guardo Fenrir, in attesa di spiegazioni logiche. Per tutta risposta, quello deglutisce rumorosamente l'ultimo sorso di vino e mi fa le spallucce. - Mica pretenderai che mi ricordi tutti quelli che mordo, vero? - mugugna.

- Dove è stato morso? -

- Ma che vuoi che mi ricordi? -

- Non chiedevo a te - ribatto, fissando "Occhiacci di Morte con Naso Mostruoso".

- Non sono mai stato così fortunato da vederlo nudo, mi spiace - mi risponde beffardo, senza guardarmi. Ma com'è possibile che sappia ciò che sto per dirgli prima che io apra bocca? È stressante. Ed io, ovviamente, odio essere stressata.

- Perché vuoi saperlo, ragazzina? - mi interrompe "Voce Tonante con Pizzetto". - Di certo, non vaga per la vostra isola come se nulla fosse. -

- Come si chiama? -

- Lupin. Remus John Lupin. -

- Quanti anni ha? -

- Più o meno come te, Severus, vero? -

"Occhiacci di Morte con Naso Mostruoso" alza lo sguardo verso l'altro, e annuisce con vago interesse. - Trentacinque. -

- E com'è fatto? - continuo.

"Voce Tonante con Pizzetto" sbuffa con superiorità. - Un poveraccio con i capelli chiari e qualche striscia di grigio. Un tipo dalle gambe lunge... - 

- Cerchi un compagno, ragazzina? - lo interrompe scocciato il Mangiamorte dalla bacchetta facile.

- Era solo curiosità. -

- Non mi piacciono le donne curiose. -

- Io non sono una donna. -

- Già... - mormora maligno. - Tu sei un'orrida bestiaccia". -

Prima che abbia terminato di parlare, le dita della mia mano si serrano attorno al suo collo taurino, dando prova dell'inattaccabile forza di cui siamo dotati noi "orride bestie". Il secco rumore dello schianto della mia sedia sul pavimento, rompe il delicato equilibrio che ero riuscita a stabilire con loro, eliminando definitivamente ogni traccia della mia, già di per sè misera, collaborazione.

Fenrir si alza bruscamente, mi afferra con durezza il polso e me lo gira in modo che i miei occhi si ritrovino incollati ai suoi.

- Comportati bene, Rouge - mi rimprovera, quasi fossi una bambina che fa i capricci e lui un padre severo. - Non farmi fare mai più queste figure. Scusati immediatamente con Macnair. -

Guardo Macnair con una smorfia disgustata, intento a strofinarsi il collo, dove le mie unghie hanno lasciato lunghi segni rossi.

- Te lo puoi scordare - sibilò in un soffio che non lascia trasparire che il mio odio.

È questione di un lampo. Non ho neppure il tempo di accorgermi della folata di vento che inizia a sferzarmi il viso, che il suo violento schiaffo mi costringe ad appoggiarmi saldamente al muro, per evitare di cadere a terra. I Mangiamorte non fiatano, anzi, sembrano quasi divertiti dalla scena.

Alzo gli occhi verso di lui. La guancia mi pulsa dolorosamente, ma sono cresciuta a carne e manrovesci, e ora, dopo tutto l'allenamento della giovinezza, riesco a riprendere rapidamente il controllo della situazione.

Sogghigno, nonostante questo non serva ad allietare il male. - Sei un lupo senza palle, Fen. -

Gli volto le spalle e mi dirigo a grandi falcate verso la porta. Mi fermo sull'uscio e lancio un'ultima occhiata a "Voce Tonante con Pizzetto". 

- Grazie per le informazioni. Se mai ne avrò l'occasione, farò in modo che riceviate i pezzetti avanzati dei membri del vostro amato Ordine. Il resto, vogliate perdonarmi, ma ho intenzione di digerirlo con un goccio di vino di Jura. -

Volto il capo verso "Occhiacci di Morte e Naso Mostruoso".

- A proposito di vino... il suo è delizioso. Sa quasi di morto - termino sprezzante, per poi lasciare i Mangiamorte alle loro battute divertite sull'enorme influenza che Fenrir ha sul mio comportamento.

Mi lascio inghiottire dall'oscurità di Londra, e l'ultima cosa che vedo prima di chiudere la porta, è il sorriso compiaciuto che "Occhiacci di Morte" mi rivolge, nascosto sotto le sue lunghe dita pallide.

Sospiro alla brezza leggera che mitiga il pulsare della mia guancia, e guardo la mia Selene spiccare nel cielo.

Cammino per le strade buie e deserte, leggermente impacciata nel mio mantello nero. Non ce la faccio proprio a non ridere.

 

Sei mio.

Remus Lupin.



°°°°°°°

 

 

 

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Ciao a tutti!

Ho una cosa IMPORTANTISSIMA da dire: nel capitolo precedente, ho dimenticato di specificare che le parole "Vento, porta il mio canto" & company, che intervallano i pensieri di Lupin, sono strofe di una canzone che mia madre è solita ascoltare pressochè giornalmente a tutto volume.

"Vento" di Gianni Morandi. Alla fine, quel dannato cd che mi impedisce qualcunque riposino pomeridiano ha avuto il suo merito, non c'è che dire.

È un capitolo-esperimento con un personaggio-esperimento. Spero vi sia piaciuto.

Un gigantesco e meritatissimo grazie con tanto di abbraccio virtuale alla mia Ari, che, titolo informativo, non ha ancora tentato di strangolarmi attraverso lo schermo del pc. GRAZIE ARI, JE T'AME!

Un altro, stratosferico grazie a tutti i lettori di questa storia che sembra farsi più complicata da scrivere ad ogni capitolo. Grazie a gollum93, nebula91, Christine, HermioneCH, Luna92 e KylieMalfoy.

Mi spiace veramente non riuscire a postare con intervalli meno consistenti, ma tra scuola, pseudo-lavoro, corsi extra e iniziative di volontariato in cui mi sono infilata, quando arrivo a casa l'ispirazione si prende una pausa-pranzo di ter o quattro ore...

Appena questa distruzione psicologica sarà terminata, avrò tutta l'estate da dedicare a voi, non temete.

E tutta l'estate per ossessionare l'Ari... ^__^

 

 

UN SALUTO CON TANTO DI SBRACCIATA,

Trick

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Capitolo 10
*** Capitolo Nono - La conversation d'amis ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO NONO

La conversation d'amis

°°°°°°°








Ninfadora Tonks non sarebbe mai riuscita a spiegarsi il perché, in quel torrido tardo pomeriggio di agosto, avesse sentito una forza incontrollabile spingerla oltre le cupe scale di Grimmauld Place, i cui cupi e iniqui corridoi straripavano di scatoloni in ogni angolo, e percorrere a passi lenti e indecisi quel lungo e stretto androne che portava al vecchio alloggio di Remus Lupin.

Si era presa l'arduo incarico di controllare un'ultima volta tutte le stanze della grande, e probabilmente destinata a non conoscere altra allegria, dimora dei Black, affinchè Molly fosse certa di aver fatto sparire ogni loro traccia.

Ogni traccia.

Ogni barlume di vita imprigionato dalle macchie di umidità sulle pareti.

Tonks voltò il capo a sinistra, quasi inconsciamente, il tempo sufficiente per assaporare l'oscurità che tanto gelosamente celava le ripide scale che portavano alla soffitta.

 

- Sirius, so che sei lì dentro -

- Stai tirano a indovinare. -

- Non fare lo scemo, aprimi. -

- ... -

- Sirius? -

- Non ho voglia di parlarne, Tonks -

- D'accordo: vorrà dire che mi siederò qui, su questi sporchi e freddi gradini di pietra, e tu sarai costretto ad ascoltarmi parlare ininterrotamente per ore, e ore, e ore, e ancora ore... sapevi che l'eternità e fatta di ore, Sirius? -

- Credo di aver cambiato idea. Entra. -

 

Gli occhi di Tonks si assottigliarono senza il comando della padrona. Rimase lì, impalata davanti a quelle scale con il suo piccolo naso a punta immobilizzato in una smorfia indecifrabile. Strinse i pugni e si morse le labbra con forza sempre maggiore.

 

Sirius.

 

L'unico rampone che la legava ad una famiglia di cui non aveva sentito che storie vergognose e di una perversità inconcepibile. Ma pur sempre il ramo da cui anch'ella discendeva, e che una parte taciuta di lei, avrebbe sempre voluto conoscere. Perché in qualcunque situazione, sarebbero comunque rimasti legati da quel cingolo di sangue indissolubile che chiamiamo parentela.

 

Sirius, non c'è più.

 

Il suo fare dolce e allo stesso tempo irritante di imbrogliarla mentre giocavano a poker.

Quelle imbarazzanti e inopportune ipotesi sulla sua vita sentimentale che il cugino soleva raccontare a chiunque avesse dieci minuti da dedicargli.

Il suo difenderla dalle rigide e umilianti ramanzine di Malocchio Moody, riguardo la sua sbadataggine e la sua poca esperienza.

Il suo abbraccio fraterno, in grado di consolare le lacrime che il medesimo Malocchio Moody faceva scendere sul suo pallido viso a forma di cuore: a nessuno piace essere sottoposto a esami continui e ininterroti, fidatevi.

 

E adesso...

 

Nessuno l'avrebbe più imbrogliata a poker, nascondendo l'asso di picche sotto il bavero della giacca e ostentando quel sorrisetto innocente che solo lui riusciva a sfoderare con tanta enfasi.

 

- Sirius, ti ho visto! -

- Cosa hai visto, di grazia, ora? -

- Non fare quel sorrisetto innocente con me! L'asso di picche! Tiralo fuori immediatamente! -

- Tonks... non ti credevo così maliziosa. -

- SIRIUS! -

 

Nessuno.

 

- Sirius... -

- Mmh? -

- Ecco... mi stavo chiedendo... se quando... cioè... ehm... -

- Sul quarto ripiano a destra dovrebbe esserci l'enciclopedia di Remus, cugina. Potrebbe rivelarsi utile leggerla, di tanto in tanto. Ho un full di regine, tu?. -

- Sirius, va' a mangiare Vermicoli marci insieme al tuo full! Per una volta che parlo seriamente! -

 

 Nessuno.

 

- Cosa stavi dicendo, prima? -

- Adesso non te lo dico più -

- Come preferisci -

- Sirius? -

- Mmh? -

- Quando... insomma, se un giorno... ecco, se un giorno mi dovessi sposare... un giorno lontano, s'intende... -

- Ovviamente. -

- Ecco... mi chiedevo... tu verrai? -

- Naturale. Qualcuno deve pur fare le condoglianze allo sposo -

- Dai, seriamente... -

- Piccola... come potrei mancare? -

 

Nessuno.

Ninfadora Tonks si sedette quasi senza volontà sui quei gradini freddi che avevano avuto l'arduo compito di separare il brio con cui Grimmauld Place sembrava essersi finalmente essersi animata da i momenti cavernosi in cui Sirius si lasciava sprofondare di tanto in tanto.

Lacrime di amara disperazione iniziarono a farsi largo fra i lineamenti del suo viso.

Nessun Ippogrifo scalmanato l'avrebbe più svegliata alle due del mattino con il suo molesto starnazzare.

Nessuno Stupido PortaOmbrelli l'avrebbe più fatta inciampare all'ingresso ad ogni suo arrivo.

Nessun Ritratto di Famiglia l'avrebbe più chiamata "sozza mezzosangue dai capelli disonorevoli".

Nessun Cugino Black le avrebbe più rivolto la parola.

Nessun ghigno malandrino.

Nessun sorriso complice.

Nessun Remus Lupin l'avrebbe più...

No.

Ora più che mai, Ninfadora Tonks era convinta che l'uomo che le aveva strappato il cuore con l'impeto di un tornado non sarebbe tornato fra le sue braccia.

 

Forse, non tornerai neanche tu, disgraziato.

°°°°°°°

 

 

Ninfadora Tonks non sarebbe mai riuscita a spiegarsi il perché, in quel torrido e tardo pomeriggio di agosto, avesse sentito una forza incontrollabile spingerla oltre le cupe scale di Grimmauld Place, i cui cupi e iniqui corridoi straripavano di scatoloni in ogni angolo, e percorrere a passi lenti e indecisi quel lungo e stretto androne che portava al vecchio alloggio di Remus Lupin.

Ed eccola, immobile e inerte davanti a quella porta scura come neppure una statuina di cera sarebbe in grado di fare. I suoi occhi scuri, arrossati e brillanti per le ulteriori lacrime che erano stati costretti a versare ancora, contemplavano l'antiquata maniglia come se questa fosse in grado di anticiparle con lo sguardo tutto ciò che era rinchiuso oltre quella soglia.

 

Non ci credo.

Lo sto baciando.

E, che Merlino mi fulmini! Lui sta baciando me.

La maniglia... la maniglia... la maniglia...

Per tutti gli spiritelli della Normandia, dov'è quella dannata maniglia!?

 

La mano di Tonks afferrò lentamente il pomello, e lo ruotò con una delicatezza di cui era sempre stata geneticamente sprovvista, quasi temesse di frantumare l'unico accesso alla stanza.

Una soffocante e velata luce avvolgeva l'ambiente, incrementando il suo aspetto vecchio e imprigionante. Le labbra di Tonks si assottigliarono, mentre immagini di pile e pile di grossi tomi enciclopedici prendevano impalpabilmente corpo negli angoli in cui la sua memoria li aveva lasciati.

 

STUMP!

- Ahi! -

- ...cosa? -

- "Crestomazia delle Arti Oscure" di Batterius Crime, ha appena cercato di spappolarmi il mignolo del piede -

- Mi spiace -

- Non importa -

- Intendevo per Batterius -

 

Nulla era rimasto dell'ultimo inquilino della stanza più ad est di Grimmauld Place.

Il nulla e il nessuno, erano tornati sui loro polverosi troni d'origine.

Tonks si lasciò cadere come un peso morto sul logoro e stridente letto dalle sponde d'ottone. Si era sempre chiesta perché mai, in una di quelle che erano stato le più lussuose dimore di Londra, vi fosse quel misero letto dal materasso duro e dalle spondine di bassa qualità. Non avrebbe mai avuto risposta.

Fece scivolare una mano sulle cuciture sfilacciate del cuscino, tentando invano di ricostruire su quella superficie candida il profilo dell'uomo che vi aveva gelosamente affidato i propri sogni.

 

Merlino benedica il Whisky Incendiario...

O, santissime cariche di centauri! E io che lo credevo...

- Remus... -

...un uomo all'antica...

 

Si stese su quel letto umido dei suoi più infuocati ricordi, e affondò il viso nel cuscino. Inspirò profondamente, cercando inutilmente tracce del suo profumo.

Accidenti a Molly e alle sue quotidiane pulizie domestiche!

Strinse con forza un lembo della coperta, mentre gli occhi iniziavano a socchiudersi con delicatezza, lasciando che i contorni di quella stanza austera e abbandonata si dissolvessero lentamente con i suoi assilli.

Mentre si rigirava nel sonno, Ninfadora Tonks si aggrappò tenacemente al cuscino, come se da un momento all'altro, avesse potuto ritrasformarsi nel colto Malandrino che le stava lacerando petto, anima e corpo, istante dopo istante di quelle malinconiche giornate che ora, si erano imposte padrone della sua vita.

°°°°°°°

 

 

- Ninfadorà? -

L'affusolata mano dalle curatissime unghie di Fleur Delacour sospinse lievemente la porta della stanza, quel tanto che bastava ai suoi grandi occhioni blu di sbirciare all'interno della stanza.

- Ninfadorà,  es-tu ici ? -

Non ricevendo risposta alcuna, Fleur decise di entrare completamente nell'ambiente. Non riuscì a non sorridere, quando scorse la figura addormentata di Tonks, abbracciata così saldamente al cuscino. I suoi passi quasi scivolavano sul pavimento, tanto era poco il rumore che essi producevano mentre la giovane si avvicinava al letto. Si sedette con la stessa delicatezza con la quale aveva attraversato la stanza, e guardò il volto di Tonks.

 

Purquoi continues-tu à te faire mal ?

 

Le scostò un ciuffo di capelli grigio topo con la premura che avrebbe potuto avere una madre. Be', magari non proprio una madre... una cugina, ecco, così va meglio.

Si sporse verso di lei con uno sguardo divertito, e iniziò a soffiarle sullo zigomo, risalendo su una delle palbebre chiuse e scivolando sul naso a punta dell'addormentata.

 

Que paresseuse !

 

Aspettò che si svegliasse, ma la ragazza non sembrava averne la minima intenzione. Con uno sguardo, se possibile, ancora più divertito di prima, iniziò a grattarle il dorso del naso, a tirarle leggermente le orecchie e a picchiettare le dita sulle guancie di Tonks a ritmo della Marsigliese.

 

- Allons enfants de la Patrie, le jour de gloire est arrivé! -

 

Finalmente Tonks scosse irritata la testa, stringedosi ancora di più al cuscino con una buffa smorfia. La risata argentina di Fleur invase la stanza, illuminandolo per un rapido momento di quell'allegria che non aveva mai conosciuto.

Tonks strizzò gli occhi cercando di focalizzare la figura che tanto antipaticamente l'aveva destata.

- Mmh... - mugugnò. - Fleur... -

- Oui, il est ainsì que je m'appelle -

Tonks borbottò qualcosa di incomprensibile nel cuscino. Fleur riuscì a capire soltanto qualcosa come: "n'altra-rola francese, la mazzo".

- Molì era tonto preoccupata, Ninfadorà. Sono le trois del pomerijio, sais-tu? -

- Cosa sono? -

- Le trois del pomerijio! - rispose irritata Fleur, mostrandole con enfasi tre dita della mano. - Moins de mal che è il tuo jorno libero -

- Moins di cosa? -

- Lascia starè. Il n'importe pas -  

- Fleur... ti prego. Non parlare in francese - supplicò Tonks, alzando gli occhi ancora pesanti dal cuscino. - Te lo chiedo in ginocchio, se preferisci. -

- Pardòn, Tònks -

Si alzò dal letto e fece per uscire, ma si fermò sull'uscio per guardare Tonks un'ultima volta.

- Ponsavo di fare un jirò. Et tu viendras avec moi. -

- Fleur, lo stai facendo apposta!? Non-capisco-niente! - sbottò Tonks, con un'espressione a cavallo fra l'incredulo e l'infuriato.

- Solo peu peu - concluse con un sorrisino. - Su dalle brandè, Tònks ! Ti aspetto fra scinque minuti, d'accord? -  

Tonks la fissò allibita chiudersi la porta alle spalle, quasi convinta di essersi risvegliata in un universo parallelo.

°°°°°°°

 

 

- Immajino che sarebbe più semplisce parlare del tompo, ma ponso che tu abbia bisogno di parler d'altro, vrai? -

Tonks fermò la cigolante altalena su cui si stava dondolando da dieci, silenziosi minuti e guardò la giovane francese seduta sul seggiolino accanto.

- Il punto non è di cosa ho bisogno di parlare: il punto è di cosa non ho voglia di parlare. - Portò alle labbra la cannuccia rosa shocking e bevve un altro sorso del frappè alla fragola che lei e Fleur avevano appena acquistato. Non era niente di speciale, se confrontato con quelli del vecchio Florian Fortebraccio.

Poveretto. Che brutta storia, anche questa.

- Non mi pare che tu sia in conditions da descidere di cosa parler, Tònks -.

- Non sono in condizioni di decidere di cosa parlare? - ripetè con durezza. - Fleur, non credo tu riesca... -

- A capire comme ti senti, Tònks? - la precedette lei, mentre assaporava il proprio frappè. - Scerto che capisco. Sono avec toi, proprio pour questo. Non importa se tu non parleras, porquoi io continuerò a parler, e tu mi ascolterai, tu es arrivè? -

- No, sono arrivata solo alla prima frase, Fleur... - mormorò spazientita Tonks.

- Il n'importe pas. Ora ascoltami molto bene, Tònks. Io non ponso che Molì fascia bene a trattarti ogni jorno come fossi un petit enfant. -

- Gentile da parte tua - rispose accoratamente Tonks.

- Dico solo sciò che è justo dire. E non ponso neppure che lei fascia bene a dirti che è solo un instant passager, un periodo ainsì. Comprends-tu? -

Tonks annuì debolmente, riprendendo a cullarsi con le gambe.

- Voglio farti une question - continuò Fleur, fermando con una mano la catena dell'altalena di Tonks. - E voglio che tu me regardes negli occhi -

Alzare lo sguardo dalla punta degli anfibi ai splendenti occhi blu di Fleur fu per Tonks un'impresa decisamente ardua. Sospirò.

- Cosa vuoi chiedermi, Fleur? -

- Porquoi soffri? -

Tonks le regalò la sua miglior occhiata incredula. - Che significa "perchè soffro"? È la domanda più cretina che... -

- No, no, no - intervenne Fleur. - Io non intendevo "pour chi o cosa soffri". Io intendevo "pour che motivo soffri". -

- Fleur, mi sembra più che evidente il motivo. -

Oui, è vero. Ti "sembra" più evident. Mais il n'est pas ainsì, non è così. Se ti chiedessi "Pour chi soffri", cosa mi dirais? -

Tonks sbuffò sonoramente. - Ti direi per lui, Fleur! Che razza di doman... -

- E se, invesce, ti chiedessi "cosa ti fa soffrire", cosa mi dirais? -

Tonks aprì la bocca per parlare, convinta in maniera automatica di quanto quella risposta risultasse altrettanto scontata. E invece si ritrovò a pensare a cosa significavano in senso stretto quelle parole, e in pochi istanti si ritrovò sperduta fra quel groviglio di pensieri filosofici.

- As-vous vu? - disse Fleur, con un sorriso compiaciuto. - Non è fascile e non è ovvio. Persciò, ora dimmi: "Cosa senti dans toi, dentro te, quale orribile crèatures si ajita nel tuo petto, cosa veramonte ti fa capire che soffri? -

Tonks distolese lo sgaurdo da quello di Fleur, e fissò le rigide file di villette a schiera che circondavano il piccolo parco dove si erano fermate.

- È qualcosa... - iniziò, ma s'interruppe quasi immediatamente, colpevole di essere troppo umana per poter esprimere un così ampio concetto. Fleur venne in suo soccorso.

- Mal di panscia? -

- Come? -

- Era un exemple. Hai mal di panscia quando soffri? -

Tonks la guardò accigliata e cercò di rispondere seriamente alle domande più strane che gli avessero mai fatto. Il che, è tutto dire.

- Non è proprio mal di pancia, è come... come se una mano invisibile mi stesse strizzando le viscere, con l'aggiunta di... di... che ne so, cos'è. È tipo una scarica elettrica... un colpetto che riesce a strapparmi ai momenti di tranquillità.  E poi... -

- Poi...? - la incitò a continuare Fleur.

Tonks appoggiò i gomiti sulle gambe e si strofinò gli occhi con le mani.

- Continuo a vedermelo davanti, Fleur... in ogni luogo io guardi, qualunque cosa mi dicano, c'è sempre qualcosa che fa riafforare il suo ricordo, e... Fleur, io sto impazzendo, credo. -

Je le vois. Me ne sono accorta. -

- È solo che... non riesco. Non riesco a non pensarci, e come potrei, dopotutto, farlo? È a Jura, Fleur. A Jura . Sta vivendo con dei mostri e sta soffrendo. -

- Comme fai a dirlo? -

- Lo so e basta. Remus sta male, lui non è come loro, lui... - si bloccò di nuovo,  e un singhiozzo che non avrebbe mai voluto, la fece sussultare sull'altalena. - Io lo amo, Fleur. -

Fleur sorrise con tristezza, e si alzò per chinarsi davanti a Tonks, ormai in lacrime.

- Ascoltami, Tònks. Alcuni dicono che pianjere è sbagliato, altri, invesce, dicono che è justoPersciò, tu fai quello che ritieni possa farti bien, sonza ponsare a sciò che disce la jente. Io non ho parlato che scinque minuti con le Monsieur Lupìn, ma capisco porquoi ti sei innamorata di il. Uomini così jentili e intelligents non li fanno più nemmeno à Paris. -

Tonks sollevò gli occhi e tentò di stiracchiare le labbra in un debole sorriso. - Peccato... - scherzò, ma nulla nel suo tono riusciva a risuonare allegro. - Avrei potuto trovarne un altro un po' meno idiota... -

Risero. 

Era una scena più che incredibile da vedere: Fleur Delacour, la raffinata e, a detta di tutte le abitanti della Tana, sciocca e superficiale futura moglie di Bill Weasley stava ridendo in compagnia di Ninfadora Tonks, l'eterna novellina pasticciona dell'Ordine della Fenice, dall'umorismo e dal sorriso momentaneamente a riposo.

- Vorresti rivederlo, Tònks? O forse, ponsi che sci starai pejio? - chiese Fleur.

Tonks la fissò intensamente, ponderando con tutta sè stessa la questione.

- Sì. -

- "Oui, vuoi rivederlo", ou "Oui, t i farà stare pejio"? -

- Voglio vederlo. Voglio essere sicura che lui stia... -

Ne pas courir, Tònks, rallenta. Una volta scerta che lui stia bene, riuscirai a vederlo senza souffrir? -

Tonks non rispose. Era vero. Come avrebbe reagito davanti a lui? Era assurdo come non se lo fosse mai chiesta. E lui? Lui, cosa avrebbe fatto? Una soffocante senzazione di ansia iniziò ad attanagliarle lo stomaco.

- En es-vous autoconvaincue? -

- Come, scusa? -

- Ne sei scerta? Ora, sai dire con scertezza che rejjerai, vedendolo ancora? -

Tonks scosse la testa, impietrita. Anche questo era vero. Avrebbe resistito alla tormenta che la visione di lui avrebbe provocato in lei? Sarebbe stata in grado di ignorare tutte le sensazioni che la sua presenza avrebbero sicuramente creato in lei?

Fra deux semaines, Tònks. -

- Eh? Cosa? -  

- Deux settimane. Bill ha sentito quel Pitòn parlarne con Artùr, questa mattina. Le Monsieur Lupìn sarà avec nous ad agosto. Tornerà pochi jorni prima che arrivi Arrì - aggiunse Fleur, con un sorriso raggiante. Si alzò in piedi, afferrò le mani di Tonks e la costrinse ad alzarsi. - Celle-ci est l'occasione justa per parler avec Lupìn. Devi dirgli tutto sciò che hai detto e non hai detto a moi, Tònks. -

Tonks guardava Fleur senza lasciar trasparire altro che la propria insicurezza. Niente da fare: la vecchia Tonks sembrava andata proprio in ferie.

- E se non dovesse ascoltarmi? E se dovesse ripetere che... -

Il t'aime, Tònks, ti ama. Ti ama ainsì tanto che fujje pour non farti male. Ma, nonostante sia ainsì intelligentLupìn resta comunque un male, un maschio. E che resti entre moi et toi, les males fanno sompre cose stupide di cui poi si pentono. Ma jeneralmente, noi femmelles abbiamo ainsì tanta pazienza, che quando tornano a chiedere le nostre èxcuses, il nostro perdono, noi non riusciamo a dire no. Comprends-tu? -

Tonks ridacchiò leggermente, asciugandosi gli occhi con una manica della maglia. - Ho capito che sei una femminista dichiarata, Fleur. -

Fleur sorrise maliziosamente. - Les males sce ne fanno passare ainsì tonte, che alla fine, essere feministes, è solo il minimo. -

Il viso di Tonks si illuminò con un sorriso divertito. - Mercì, Fleur - disse con una risatina.

- De rien, Ninfadòra -

- Credevo avessimo superato lo scoglio iniziale del mio nome. Tonks non ti piace più? -

- Non mi piasce Ninfadorà, Tònks. Ma in qualche modo devo pur chiamarti, juste? -

- Molto juste -

- Mi stai prendendo in jiro, Ninfadorà Tònks? - disse Fleur scherzosamente, imitando alla perfezione lo sguardo minaccioso di Molly Weasley.

- Solo un peu peu - ribattè Tonks. Si sentì improvvisamente più leggera, come sei i suoi problemi, le sue paure e tutti i suoi tormenti si fossero assopiti per permetterle di respirare.

- Fleur - disse rivota alla schiena della ragazza, intenta a coprirsi le spalle con un elegante golfino color panna. - Grazie. -

- Non l'ho fatto per te, Ninfadòra: parlare migliora il mio englese, quindi non ti sci abituare troppo. Courage, è tardi. Non voglio che Molì s'arrabbi ancora. Non mi sopporta abbastanza di per sè. -

Tonks non l'avrebbe mai detto, ma mentre seguiva la scia di profumo di Fleur, si disse che Bill Weasley, era veramente un uomo fortunato.

°°°°°°°

 

 

- Calima! -

Silenzio.

Irritante silenzio.

- Calima! -

La porta della tenda si apre rapidamente. La giovane dai lunghi capelli biondi irruppe nella dimora di Rouge con la prepotenza di un branco di centauri in corsa.

- Mi... mi hai chiamato...? - boccheggiò, portandosi una mano al petto.

- Sì, Calima, ti ho chiamato - disse con disinteresse Rouge.

- Posso... posso fare qualcosa... Rouge? -

- Sì. Innanzitutto, respira. E una volta che l'ossigeno ti sembrerà sufficente, vai a cercare Bizèt. -

- Bizèt? Ma, Rouge! Sta sempre dall'altra parte del bosco! - protestò Calima, sconvolta. Solo a una persona in tutta Jura era permesso protestare a un ordine di Rouge. E... sì, avete indovinato: Calima.

- Mandaci Trick, allora. Non mi importa chi lo chiami, basta che sia qui entro dieci minuti. -

- D'accordo, Rouge. Vado a cercare quell'esserino rompiscatole. -

Si soffermò davanti all'entrata della tenda, e voltò il capo verso l'amica.

- È per quella strana boccettina che mi hai fatto rubare, vero? -

- In parte. -

- Devo dire a Ferk e Waskolf di piantare un altro palo? - chiese Calima, con la stessa leggerezza con cui avrebbe potuto parlare di un paio di scarpe. Se a Jura fossero esistite le scarpe, naturalmente.

- Quanta fretta, Calima, quanta fretta... - rispose con un ghigno divertito Rouge. - E ora muoviti: va' a cercare quella mezzapulce di Trick, e digli che se non si sbriga gli taglio le orecchie. -

Calima rise. - Povero Trick... ha il terrore che tu gli tagli le orecchie. -

- Secondo te, perché glielo ripeto in continuazione? -

Calima uscì dalla tenda ridacchiando; Rouge la sentì strillare il nome del ragazzino come un'ossessa, e sorrise allietata. Per quanto si sforzasse di insegnargliela, Calima non avrebbe mai neppure imitato la sua classe nel sbrigare la vita. 

Si sedette più comodamente sul suo giaciglio e si distrasse contando mentalmente i secondi di ritardo accumulati da Trick. Non riusciva a concentrarsi. Un solo pensiero continuava a balenarle insistentemente nella mente.

 

Sono curiosa di vedere come ne uscirai, questa volta.

Remus.

°°°°°°°

 

 

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A coloro che anelavano a conoscere il destino di Lupin... mi spiace, dovrete attendere il prossimo capitolo!  Bua-hua-hua-hua!!! (risata perfida)

Ho voluto centralizzare un po' l'attenzione su Tonks: poveretta, c'è anche lei nella storia, e se andavo avanti così, mi faceva la figura del contorno alla bistecca!

Per quanto riguarda Fleur... non credo sia il caso di tradurvi tutto ciò che ha detto, (anche perché, come già in precedenza, il mio francese è un francese per modo di dire). Mi pare che il senso resti comunque leggibile, no?

Ed ora, i soliti, doverosi e sinceramente sinceri ringraziamenti a tutti quanti!

Luna92, ti ringrazio per tutti i complimenti, e ti chiedo umilmente di perdonare l'attesa che preferisco prolungare su cosa succederà al povero Remus. Non mi espongo in inutili anticipazione, mi spiace! ^__^

HermioneCH, grazie anche a te per i complimenti. L'unica cosa che posso dirti è che nella mia storia, Fenrir Greyback è un perfetto imbecille, purtroppo. (Dico purtroppo, perché 1) non penso che il personaggio della Rowling lo sia; e 2) mi piace parecchio come antagonista. Spero che il nono capitolo ti piaccia! Alla prossima!

MCat, adesso non esageriamo! ^__^ Magari fossi un genio!!!! Grazie mille per l'eccessivo complimento, spero che il nono capitolo sia di tuo gradimento.

GRAZIE A TUTTI COLORO CHE CONTINUANO A RESISTERE INTEGRI, BELLI E SANI A QUESTA LETTURA!!! GRAZIE 1000!

 

 

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SPERANDO DI AGGIORNARE PRESTO,

Trick vi saluta!!!

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Capitolo 11
*** Capitolo Decimo - Il gioco della morte ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO DECIMO

Il gioco della morte

°°°°°°°




Le corte e ossute gambe di Trick zampettavano ritmicamente fra le antiche rovine del villaggio di Jura, schizzando gocce di fango al loro rumoroso passaggio.

Il suo giocoso trotterellare guidava un secondo paio di gambe: alte e allampanate, ripercorrevano le piccole orme lasciate dal bambino con l'andatura nervosa e metallica tipica di chi ha la testa immersa in mille e forse più pensieri.

- Chissà che vuole Rouge, da te - disse Trick, mentre si atteggiava ad equilibrista con tanto di braccia tese su un vecchio tronco caduto e marcito dal tempo. - Mica porta bene che lo faccia, lo sai, Bizèt? Bizèt, mi sai ascoltando? - aggiunse, fermandosi a guardare l'uomo. Quest'ultimo, proseguì imperterrito nella sua camminata meccanica, lo sguardo perso nella melma di Jura e le braccia rigide quanto tronchi di quercia, quasi Trick fosse improvvisamente divenuto invisibile.

- Bizèt! - gridò il ragazzino, mostrando la propria indignazione storcendo il naso.

Sbuffò irritato e si sedette su un masso ricoperto da un leggero strato umidiccio di muscio verdastro, continuando a scrutare da lontano l'ombra dell'uomo.

Uffa. Hanno sempre tutti cose più importanti a cui pensare.

°°°°°°°

 

 

Rouge non parlò per dieci minuti.

Rimase immobile sul suo barbaro trono, dondolandosi a ritmo di una nenia infantile che non ricordava di aver mai saputo e fissando con i suoi occhi divertiti la sua ultima preda. Poteva quasi toccare tutte le sensazioni che stavano straziando Remus Lupin in quel momento: l'agitazione aveva aumentato il suo respiro, che inutilmente stava tentando di calmare; la consapevolezza del destino che lo attendeva gli aveva conferito uno sguardo fra l'assoluto sconforto e la più tenace delle temerarietà. Un mostro feroce gli stava lentamente divorando le viscere, per farvela breve. 

Non riuscì a resistere. Si costrinse a guardare Rouge.

- Fin quando continuerà questa straziante tortura? - chiese, con un filo di vece.

- Temo che questo sia il minimo che ti aspetta, Lupin. -

Lupin inspirò profondamente, assottigliando le labbra. - E, se posso saperlo, come mi aspetta, dunque? - chiese ancora, tradendo nel suo tono falsamente calmo il panico che aveva ormai preso assoluto dominio su ogni sua azione.

Rouge allontanò con un gesto secco del capo un ricciolo scuro che gli era scivolato davanti alla fronte. Si passò più volte il lungo indice sinistro lungo il contorno della mandibola marcata, pensierosa. Sogghignò.

- Ti piacciono i fiumi, Lupin? -

Lupin sapeva che avrebbe detto qualcosa del genere, ma non riuscì a trattenersi dal trasalire. Era la sua fine. Ecco dov'era sfociata la sua presunzione: in un'atroce e umiliante morte.

Ciò nonostante, non riusciva a pensare a quanto vicina fosse la sua ora, non riusciva neppure a crederci. Non era paura quella che provava.

Certo, era anche paura, ma... qualcosa di più perfido della paura gli stava soffocando l'anima, qualcosa che non...

 

Non le hai mai detto che la ami.

 

...riusciva a spiegarsi.

 

Rouge si alzò improvvisamente e il brusco movimento della sua figura riscosse Lupin dallo stato di apatia nel quale era precipitato. Lei si avvicinò a lui, ma continuò a restare in silenzio, con quell'unico sorriso divertito a testimonianza della sua infamia.

- Maledizione, smettila - sibilò inaspettatamente Lupin, fissandola furibondo. - Falla finita subito e piantala di torturarmi. -

Rouge chinò il capo con un sorriso beffeggiatore, mentre le sue mani iniziavano a giocherellare negligentemente con il colletto della sua logora camica.

- Perché tanta fretta, Remus Lupin? -

Posò un dito sul collo dell'uomo, che confrontato con le gole massicce dei licantropi di Jura, sembrava fragile quanto la resistenza dell'ultima foglia delle quercie all'autunno. Lo sentì irrigidirsi.

Iniziò a disegnare una sottile linea retta suò suo petto, attraversando quel torace di una magrezza e di una gracilità a cui non era abituata. Continuò a fissare la reazione di Lupin, sogghignando divertita al suo sguardo impietrito, che così ostinatamente l'uomo aveva concentrato sulla terra umida.

Rouge afferrò con un gesto rozzo il suo mento, obbligandolo a guardarla. Nell'ambra dei suoi occhi brillava la più angosciata confusione, e la donna si complimentò del risultato ottenuto.

- Potrei ucciderti, Remus Lupin - gli sussurrò. - O potrei dire a Fenrir che ho avuto il piacere di incontrare la spia dell'ambito Ordine della Fenice. Le sue mani non sembravano intenzionate a fermarsi. - Tu hai qualche preferenza, in proposito? -

Assaporò con lentezza il suo collo, piacevolmente divertita nel sentire i muscoli di Lupin trasformarsi in marmo.

Lui la afferrò per le spalle e la allontanò con un gesto secco, ben deciso a non fissarla negli occhi. Temeva lo sguardo folle di quella donna.

Lei sorrise. - Non hai preferenze, in proposito, Lupin? -

Lupin alzò il capo verso di lei e con uno sforzo che non aveva nulla di umano, la fissò. Aprì la bocca, senza sapere cosa avrebbe detto di preciso. La sua mente era completamente annebbiata, persa in un confuso universo dalle più disparate sensazioni.

- Temo che tu non abbia capito l'antifona - esordì Rouge, anticipando qualsiasi mossa Lupin avesse progettato.

- Non puoi scappare da me. -

°°°°°°°

 

 

- Lumos-

La punta della bacchetta s'illuminò di una candida luce che strappò al buio gli arredi della stanza. Arthur Weasley si diresse immediatamente verso la cucina, ma gli unici segni di vita erano una misera e striminzita piantina di cactus e un'edizione del Settimanale delle Streghe risalente a due mesi prima.

- Tonks? Tonks, dove sei? - chiese alla semioscurità che si era lasciato alle spalle. L'eco di una filastrocca canticchiata gli arrivò alle orecchie, facendolo sobbalzare.

- Lupo, lupo, vieni su... io paura non ho più. -

Avanzò versò la porta che dava nel piccolo soggiorno dell'appartamento e sbirciò attraverso uno spiraglio, visibilmente preoccupato.

- Tonks...? - chiese, incerto.

- Io paura non ho più... -

Fece un respiro profondo e decise di entrare nella stanza. Ninfadora Tonks era seduta su un modesto divano color violetto, le gambe nude incrociate intente a dondolare l'intero corpo a ritmo della canzoncina. Arthur studiò con le sopracciglie inarcate di stupore le guancie arrossate della ragazza, i suoi occhi lucidi e il sorriso che aleggiava sulla sua bocca. Non ci mise molto a collegare lo strano comportamento della ragazza alla bottiglia ambrata che stringeva fra le mani.  

- Tonks... - iniziò lui, ma dovette interrompersi al suo risolino. 

Tonks buttò il capo indietro e ridacchiò. - Ciao... - disse, prolungando esageratamente la pronuncia della lettera "a".

Arthur sospirò. - Tonks, per tutti i rospi di Bristol, sei completamente ubriaca. -

Per tutta risposta, lei fece una pernacchia. - Bugia , sì, sì - biascicò lei. Tentò di portare alla bocca la bottiglia, ma Arthur la precedette e gliela strappò dalle mani.

- Credo che tu abbia bevuto abbastanza, Tonks - proclamò con un tono che non ammetteva repliche, ma che non riusciva a suonare severo.

- Dammi, Arnold, dammi - borbottò la ragazza, portandosi la mano sinistra sul volto e allungando l'altra verso l'uomo.

- Arthur. -

- Arthur? Dove? - chiese con innocenza, guardandosi attorno in cerca di una persona invisibile, con tutta la velocità che il corpo le permetteva. Molto lentamente, quindi.

- Tonks, andiamo in cucina. Ti preparò qualcosa di caldo, e poi ti accompagno a letto, d'accordo? -

Tonks scosse la testa con enfasi. - No. -

- Perchè "no"? -

Le labbra della ragazza iniziarono a tremare. Tirò su col naso un paio di volte, e fissò Arthur con uno sguardo disperato. Lui senti stringersi una morsa al petto, e si maledisse per la propria incapacità di fare qualcosa per lei. Si chinò davanti a lei, fissandola intensamente.

- Non voglio dormire. -

- Ma ti farà bene - sussurrò lui dolcemente. - Fidati. -

Tonks scosse inequivocabilmente la testa. - Non voglio. -

- Perché? - chiese Arthur, la cui preoccupazione si faceva più pesante secondo dopo secondo di quella straziante visione. Come avevano potuto permettere che si riducesse in quello stato?

- Non... voglio vederlo - borbottò Tonks, dondolandosi avanti e indietro, gli occhi sempre più lucidi fissi in un punto indefinito. - Non voglio... sognare di averlo con me. Non voglio svegliarmi... e scoprire che... non c'è . -

Arthur la fissò senza riuscire a dire nulla, senza neppure riuscire a immaginare cosa fosse più giusto fare in un simile momento. Appuntò mentalmente di non accertarsi mai più delle condizioni di una giovane innamorata in crisi, per quanto Molly avesse potuto minacciarlo.

- Non ti andrebbe neppure una bella tazza di tè? -

Scosse ancora la testa. Arthur sospirò nuovamente.

- Non voglio che tu trascorra ancora la notte da sola, Tonks - esordì, con un velo di impazienza. - Vieni con me alla Tana. Per piacere. -

I brillanti occhi scuri di Tonks guizzarono in direzione del viso di Arthur.

- Arthur, non voglio perderlo... -

Arthur aprì la bocca per dire qualcosa che potesse suonare almeno remotamente confortante, ma prima che potesse anche solo formularne il pensiero, Tonks si era gettata sulla sua spalla con una forza tale che l'uomo fu costretto ad aggrapparsi alla spalliera del divano per non cadere. I singhiozzi che scuotevano ora il corpo di Tonks facevano tremare anche Arthur, a ritmo di una musica disperata e svuotata di tutta la speranza.

- Tonks... - mormorò lui, incapace di qualunque altra azione.

Arthur sentì le mani di Tonks serrarsi maggiormente attorno al suo mantello.

- Arthur... cosa devo fare? -

Arthur Weasley chiuse gli occhi e ispirò profondamente, chiedendosi miseramente se mai una domanda gli avesse fatto più male.

°°°°°°°

 

 

La lingua di Rouge sembrava non desiderare altro che marchiare a fuoco la pelle di Lupin, tanto era il fervore con cui lo stava assaporando. Ritornò avida alle labbra dell'uomo, la cui unica ostentazione di dissenso si limitava ad un rigido susseguirsi dei movimenti.

Ma che diavolo stai facendo!? Fermati!

Rouge sembrò leggergli nei pensieri, perchè sollevò rapida il capo selvaggio e lo imprigionò sotto il suo peso con una violenta manata al petto. Lo fissò dall'alto con un diabolico sorriso canzonatorio, decisa a gustare la sua ultima preda come il boccone più delicato al quale si fosse mai trovata davanti.

Sei in mano mia, Damerino. 

Si leccò le labbra con un gesto lento e smanioso, e si abbassò nuovamente su di lui.

 

Quella, fu la prima volta in cui Remus John Lupin, disprezzò il piacere che una donna poteva procurare.

°°°°°°°

 

 

 

 

 

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Chiedo immensamente scusa per un aggiornamento così indecorosamente tardivo. Cercherò di non farlo mai più.

Be', che dire. Decimo capitolo. How. Sono fiera della mia resistenza.

La mia fida beta è stata inghiottita dal mostro delle vacanze, ma per non farmi odiare troppo, ho aggiornato lo stesso. Non merito un abbraccio? ^__^

Christine, se sei una sostenitrice delle Remus-Tonks, probabilmente mi ucciderai. Ti prego, ripensaci.

gollum93, anch'io ho sempre pensato a Fleur non come a un'ochetta tutta gonnelline e tacchettini, ma a una ragazza semplice e incredibilmente romantica. Per quanto riguarda Calima... be', mi piace pensare che anche i licantropi conoscano relativamente il significato dell'amicizia.

Luna92, ho sempre immaginato il rapporto che due ragazze dai caratteri così contrastanti potessero avere. E... mi spiace: per sapere cosa succederà al ritorno di Remus dovrai aspettare... XD 

HermioneCH, stessa cosa che ho detto a Christine: non uccidetemi se siete amanti delle Remus-Tonks... vorrei prima veder realizzato il mio Diario... ma sai che mi chiedo sempre cosa significhino le CH del tuo nick???

Rue Meridien, non ho mai spiaccicato una parola di francese, ma da quando sono andata a Parigi non riesco a farne a meno.... ah, Paris... chissà che non mi ricapiti di infilare ancora Fleur... be', tanto non te lo dico: ti lascio sulle spine ancora un po'. Buahuahua!!! XD

muriel, mi fa tanto piacere che ti sia piaciuta e non vedo naturalmente l'ora di poter leggere la tua.

 

E così concludo, sperando che l'Ari torni presto a sostenermi nelle mie crisi d'ispirazione e che il Decimo Capitolo (Decimo!!!) vi sia piaciuto nonostante la media lunghezza.

 

 

UN GIGANTESCO BACIONE, Trick

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Capitolo 12
*** Capitolo Undicesimo - Londra, qualche giorno dopo ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO UNDICESIMO

Londra, qualche giorno dopo

°°°°°°°




La pioggia non sembrava intenzionata ad esaurirsi, o perlomeno a placare il martellante impeto con il quale si stava abbattendo sul prato che abbracciava la scuola di Hogwarts. Giganteschi nuvoloni grigi si stavano divertendo da ore a celare qualunque altro elemento un cielo possa mostrare alla terra. Appena visibile sotto quello scroscio, un buffo ombrello a fiori rosa riparava, per quanto gli fosse possibile, l'uomo dalle fattezze più grosse che riusciate a immaginare. I suoi occhi scuri scrutavano fin dove le intemperie permettevano, brillanti di ansia ed eccitazione ormai da un'ora.

Rubeus Hagrid si grattò distrattamente l'ispida barba scura.

- Severus, ma che ci vuoi fare sotto questo diluvio? Vieni sotto l'ombrello, che ci stiamo io e te - ribadì per la centesima volta al mago che gli stava accanto. Questo, per tutta risposta... no, dimenticate l'ultima riga. Non si degnò di rispondere.

Hagrid sbuffò sonoramente e allungò la mano libera dall'ombrello (grande come un coperchio di un bidone, se riuscite a figurarvela) verso Piton, in modo che fosse riparato il più possibile da quel diluvio.

- La tua mano mi sta gocciolando sul mantello, Hagrid - disse, senza preoccuparsi di celare la propria stizza.

- Meglio le mie gocce della mano, che tutte le gocce del cielo. E se ti prendi una malattia? Conoscevo un tizio che di nome faceva Amarcus, e devi sapere che questo tizio... -

- È in ritardo - lo interruppe bruscamente Piton, incrociando le braccia al petto e continuando a fissare imperterrito davanti a sè. - E per colpa sua, mi sto bagnando. Non nego che la situazioni inizi a darmi sui nervi. -

- Mica è colpa di Remus se tu non ci vuoi venire sotto al mio ombrello con me - ribattè Hagrid, un po' scocciato. - Dai, Severus, vieni sotto. -

- Smettila! -

- Ma che ti costa? Che ti bagni tutto! -

- Non ho la minima intenzione di ripararmi sotto a quel tuo inutile accessorio, Hagrid. -

Silenzio.

Hagrid mosse lievemente l'ombrello verso...

- No. -

L'ombrello tornò a coprire il suo proprietario. - Ma io mica la voglio sentire Poppy, se poi dopo ti prendi qualche accidente, però. -

- Eccolo - disse Piton, accennando col mento a un punto indistinto del parco. Voltò le spalle ad Hagrid e iniziò a risalire le scale verso il castello. Hagrid strizzò gli occhi verso il punto indicatogli da Piton e la sua barba sembrò ingigantirsi ancora di più, tanto era grande il sorriso che gli si aprì sulla faccia. Solo dopo qualche istante, si rese conto che Piton stava rientrando a scuola.

- Ehi, ma dove te ne vai? Non aspetti che arriva fino al cancello? -

Piton sbuffò sonoramente. - Non ero certo venuto per Lupin, Hagrid. Mi dispiaceva che tu dovessi aspettarlo da solo sotto questo nubifragio. -

Hagrid fece per aprire la bocca, ma Piton sembrò leggergli nel pensiero. Naturale, visto che sapeva leggere nel pensiero.

- No, non mi interessa accertarmi personalmente delle sue condizioni. Ma se mai dovesse aver contratto un qualche germe potenzialmente mortale, ti concedo il privilegio di informarmi della meravigliosa novella seduta stante. -

Hagrid lo guardò risalire le scale e immergersi nel calore della Sala d'Ingresso, con un'espressione confusa.

- Grazie, Severus! - gridò. Ma, come potete benissimo immaginare, nessuno rispose.

Che strano uomo, Severus Piton.

°°°°°°°

 

 

- Non sognarti di andartene prima che io te lo abbia concesso, Remus, sono stata abbastanza chiara? Voglio ancora provarti la febbre e... -

- Non ho la febbre, Poppy, ma... -

- E non piace il colorito delle tue pelle. Per tutte le barbe fulminanti di Merlino, sei pallido e... -

- Sono sempre pallido, Poppy, ma... -

- E scommetto che non hai neanche dormito! Ah, ma mi sente Silente! Oh, se mi sente! Permettere a uno dalla salute cagionevole come la tua di... -

- La mia salute è meno cagionevole del solito, Poppy, ma... -

- E non ti ho mai visto con così tanti segni come in questo momento, quindi sarà meglio che... -

- Ho sempre il viso segnato, Poppy, ma... -

Madama Chips portò le mani ai fianchi esili e lanciò un'occhiata intimidatoria a uno degli allievi che avevano contribuito a rendere la sua diffidenza in merito a ciò che i suoi giovani pazienti ammettevano o non ammettevano di aver fatto, incredibilmente diffidente. Remus Lupin sorrise con innocenza.

- Sto solo morendo di fame, Poppy. -

°°°°°°°

 

 

- Il signor Lupin gradisce ancora un po' di pollo, signore? - squittì un piccolo elfo domestico dal lungo naso a matita, saltellando energicamente da un piede all'altro. - O preferisce del porridge, signore? Qualunque cosa, signore, e Dobby gliela fa avere, signore. -

- Ti ringrazio, Dobby. Siete stati gentilissimi. Prendo volentieri un altra porzione di pollo, e grazie ancora - disse con dolcezza Lupin, posando il sesto piatto vuoto sul tavolo.

La bocca dell'elfo si aprì in un sorriso che avrebbe potuto contenere tutta la sua testa. Ed è tutto dire. - Dobby gli porta subito il pollo, signore! -

- Non dirmi che sono due mesi che non mangi, o è la volta buona che ti strangolo - s'intromise la professoressa McGranitt, scrutandolo torva afferrare la settima pagnotta di pane.

Lui la azzannò come se nei suoi trentasei anni di vita non avesse mai fatto un pasto decente, e la McGranitt si ritrovò a pensare a cosa poteva avergli fatto Jura per ridurlo in quello stato. I capelli erano cresciuti a tal punto che scorgere i suoi occhi sotto quella frangia bagnata e incrostata di fango risultava praticamente impossibile; la parte del volto che la barba lasciava visibile era pallida come non gliela aveva mai vista. Qualunque parvenza di buona educazione sembravano essersi eclissate misteriosamente. E dire che Remus Lupin era stato forse l'allievo più garbato e malaticcio che le mura di Hogwarts avessero mai ospitato.

- Diciamo che - rispose lui, inghiottendo un grosso boccone di pane, - preferisco la cucina nostrana. -

- Sei in ritardo, ragazzo - sbottò Malocchio Moody, seduto su una sedia all'altro capo di uno dei lunghi tavoli delle cucine. Il nervoso picchiettio della sua gamba di legno era irritante, ma nessuno osava farglielo notare. - Di ottantatrè minuti, per essere precisi. -

- Mi dispiace - disse Lupin, e per un attimo i suoi toni compiti e cortesi ebbero la meglio sulla fame che, a quanto pare, lo stava mangiando a sua volta. - Non ho potuto accellerare più di quanto abbia fatto. -

- Ti hanno seguito? -

- No, non mi hanno seguito. -

- Hai lasciato tue tracce mentre tornavi qui? -

- No, non ho lasciato alcuna traccia. -

- Qualcuno di loro sospetta qualcosa? -

Lupin ringraziò Dobby per il settimo piatto che gli serviva, e addentò un'ennesima coscia di pollo, mentre con la mano riempiva quello che doveva essere il quarto o il quinto bicchiere di vino.

- No. Nessuno sospetta di me. - 

°°°°°°°

 

 

La luce del quarto di luna illuminava i lineamenti stanchi e lo sguardo sfiancato di Lupin. Silente si chiese se la sua proposta di mandarlo come spia a Jura, non fosse stata proposta in maniera avventata, e se invece, avesse potuto trovare una soluzione alternativa. Ma chi altro avrebbe potuto farlo, dopotutto?

- Credo sia meglio se non perdiamo tempo - proferì Silente, lanciandogli un'occhiata imperscrutabile al di sopra della lenti a mezzaluna. - Avrai certamente bisogno di riposarti, Remus. -

- E di una doccia - s'intromise Piton, squadrando Lupin con la medesima espressione che avrebbe potuto assumere in compagnia di una Acromantula gigantesca. - Puzzi come un animale. -

Un ghigno divertito attraversò il volto di Lupin, che non potè trattenersi dal ribattere. - Sarà una magra consolazione, ma perlomeno ho un motivo sensato per avere i capelli unti, Severus - disse con un tono di voce così affabile da rasentare l'ipocrisia.

- Basta - li interruppe Moody, scoccando ad entrambi fugaci occhiate d'avvertimento con l'occhio magico. La visione era... sì, la definirei raccapricciante. - Non siamo qui per assistere ai vostri inutili diverbi, vogliate perdonarci - concluse bruscamente.

I due maghi ebbero appena il tempo di scambiarsi un'ultimo sguardo prima che la voce pacata di Silente li costringesse a riemergere dai rispettivi ricordi d'infanzia.

- Hai trovato appoggio da parte loro, Remus? -

- Non ancora, professore. Ho creduto fosse ancora troppo presto per espormi a un simile rischio. Sono a Jura da poco più di due mesi, in fin dei conti.-

- Li hai studiati, quindi? - domandò Moody, agitando la mano destra in un gesto impaziente. - E cos'hai scoperto? -

- Fenrir Greyback non è la macchina da guerra che crediamo. È sadico e perfido, certo, ma non lo è di più del resto dei licantropi. La mia impressione è che si lasci manovrare da Voldemort come una bambola di pezza. Temo sia completamente al suo servizio. -

La professoressa McGranitt, al momento intenta a riaggiustarsi gli occhiali che le erano scivolati al suono di "Voldemort", s'inserì finalmente nel discorso. - E hai anche avuto l'impressione che tutto il resto del clan sia convinto di servire Vol ... be', avete capito di chi parlo. -

- Suvvia, Minerva... - sospirò Silente. - È solo un nome, a conti fatti. -

La donna voltò maggiormente il capo verso Lupin, decisa a non dar peso alle ultime parole pronunciate da Silente. - Allora, Remus? -

- Non tutti gioiscono all'idea di servirlo. Voldemort sarà pure il più grande dei maghi oscuri, ma resta pur sempre un umano, e per loro, non c'è razza peggiore di questa. -

Piton sbuffò. - Non dirmi che dopo due mesi le uniche informazioni che riesci a fornirci sono queste? Mi auguro che tu abbia scoperto almeno qualcosa riguardo a una certa... Rouge. -

Lupin voltò il collo così in fretta che lo sentì schioccare. Portò meccanicamente la mano sulla nuca e fissò accigliato Piton.

- È inutile che mi guardi con quell'espressione da perfetto beota, Lupin. Non sei l'unico ad avere contatti con i vecchi amici. -

I Mangiamorte. Me l'ero scordato.

- Ho avuto il piacere di incontrarla a una riunione di Mangiamorte, in dolce compagnia di Greyback. E, mi duole terribilmente dirlo, ho avuto la tua stessa valutazione a riguardo - concluse Piton, lanciandogli un'occhiata sentenziosa.

Non hai la più pallida idea di cosa significhi incontrare quella donna.

- La cosa non può che farmi piacere - mormorò Lupin, nascondendo abilmente il proprio risentimento. Iniziava a pensare che le informazioni che era in grado di fornire si sarebbero rivelate perfettamente inutili. - È una donna tenace - si limitò a dire.

- Pericolosa? - chiese Moody.

Pericolosa? Dipende da che parte del fiume la si guarda.

- Sicuramente più di Greyback. È intelligente, scaltra e calcolatrice - rispose Lupin, senza riuscire a mascherare il velo di disprezzo che aveva offuscato la sua voce roca. - È incredibile che sia riuscita a imporre il proprio dominio in una società maschilista ed esclusivista come quella di Jura. -

- È sempre meglio temere il burattinaio, che il burattino in sè - sospirò Silente, fissandosi pensieroso le mani rugose. - Ben fatto, Remus. Sono fiero di te. -

Lupin sentì un vago rossore sulle guancie e benedisse il fatto che il sudiciume che gli ricopriva il volto e la barba incolta gli nascondessero gran parte del viso.

- Credo non ci sia più nulla da aggiungere, dunque - concluse Moody, alzandosi e zoppicando verso le scale a chiocciola dell'ufficio. - Lupin, se non dovessimo più vederci, sappi che sei stato uno dei miei soldati migliori. -

Lupin scambiò un'occhiata eloquente con la McGranitt. - Grazie, Alastor - si limitò a rispondere con gentilezza.

- Fai attenzione - mormorò la McGranitt. Lui annuì. - Non ho intenzione di assistere a un tuo prematuro funerale, è chiaro? -

Lui annuì con un debole sorriso.

Severus Piton si alzò dalla sedia e imitò gli altri due. - Con me non si sono sprecati in simili sdolcinatezze - sibilò, passandogli accanto. - Comunque, puzzi. -

Lupin gli pestò l'orlo del mantello, e per poco Piton non cadde in avanti.

- Perdonami - disse Lupin con un sorriso. - Non crederai che l'abbia fatto intenzionalmente, vero? -

Per tutta risposta, lui salutò freddamente Silente e sparì per le scale a chiocciola. Lupin tornò a posare gli occhi sul vecchio mago e aprì la bocca per congedarsi.

- Remus... - sussurrò Silente, e Lupin si chiese se mai lo avesse visto l'anziano preside così provato come in questo momento.

- Sì, professore? -

- Sii prudente. -

- Lo sarò, professore. -

- Sopratutto con quella donna. -

Lupin fece un respiro profondo, e il suo volto si aprì in un sorriso di amara comprensione. - La mia mente è così facilmente decifrabile? - chiese.

- Per un Legimens del mio calibro, sì, Remus. E ti prego - lo supplicò, - cerca di sfruttare tutta la cautela di cui disponi. -

Lupin annuì, e incapace di aggiungere altro, si affrettò a raggiungere le scale.

- Non voglio perdere anche te, Remus. -

 

Hai sentito, Sirius? Dannato bastardo, ti sei portato via un pezzo di ognuno di noi.

°°°°°°°

 

 

- Come ti senti? -

- Come ieri, come l'altro ieri e come la settimana scorsa, Molly. -

Molly Weasley guardò la giovane seduta al tavolo della cucina della Tana, studiò per l'ennesima volta il suo viso pallido e i suoi capelli color topo, prima di costringersi a fissare il giardino dalla finestra socchiusa. Guardando il cielo, quella mattina, nessuno di voi avrebbe potuto dire che solo poche ore prima la terra fosse stata il palcoscenico di uno dei più grandi diluvi che quell'estate avrebbe visto. Strana cosa, il tempo, vero?

- C'è il sole - disse Molly, come se questo fosse sufficente a rendere meraviglioso tutto il resto della giornata.

- Che bello - rispose Tonks, con il tono più piatto e indifferente che avesse mai avuto.

Molly Weasley stava per voltarsi per ribattere la prima cosa che potesse smuoverla, quando il suo sguardo scorse un movimento fra i curati fiori del giardino.

O Merlino. E adesso?

Tonks dovette accorgersi dello scatto agitato dell'altra donna, perchè allungo il collo, preoccupata.

- Molly, è successo qualcosa? -

- No... invece sì. -

- Sì o no? -

Molly la guardò con gli occhi fuori dalle orbite.

C'è Remus. -

°°°°°°°

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 ************************

 

 

 

Et... voilà!

Ho aggiornato, non dico con la velocità di un lampo, ma quasi. ^__^ Mi stupisco di cotanto impegno.

E a chi pensava che avrei finalmente fatto incontrare Remus e Tonks... XP LINGUACCIA! Faccio la perfida ancora per un pochettino.

Sono contenta di sapere che la mia Tonks ubriaca vi ha fatto piacere, è stata un'ispirazione del momento e temevo di esagerare.

gollum93, se i sostenitori delle Remus/Tonks vorranno uccidermi, posso contare sulla tua protezione??? Pleaaaaaaase..... p.s La tua storia era molto bella, e non ho potuto non lasciare un commento. E già che ci sono: GENTE!!! Leggete "Sogni" di gollum93! È di un agrodolcezza (si può dire?) eccezionale. Un bacio.

Luna92, lo so: Remus non si è dimostrato il massimo della resistenza, ma poverino, dopotutto non è che potesse mettersi a strillare... p.s. Anch'io sono una fiera sostenitrice delle Remus/Tonks, e mi sono quasi odiata per quello che scrivevo... v__v Diciamo che ho litigato con la mia seconda personalità. Un bacio.

Christine, temevo veramente che qualcuno mi avrebbe insultato. La mia povera Beta-Ari (misteriosamente scomparsa, e io mi sto preoccupando...) ha tentato di uccidermi via fax quando gli ho accennato la cosa. Spero che ti piaccia anche l'undicesimo. Un bacio.

HermioneCH, POTRESTI PENTIRTI DEL MIO ASSASSINIO, spero che tu ne sia consapevole, indi per cui, ti scongiuro, fermati... cercherò di farmi perdonare per aver accoltellato la coppia Remus/Tonks. Un bacio.

Svizzera! Io adoooooro la Svizzera! 

muriel, spero che tu riesca a trova presto l'ispirazione. quando va via è una tragedia... v__v Sono decisa a finire questa storia, dovesse costarmi tutta la costanza di cui dispongo. Banzaaaaaaaaaaaiiiiii!!!!! Un bacio.

KylieMalfoy, ho aggiornato più rapidamente che ho potuto, e spero di poter fare altrettanto con il dodicesimo. Anche perchè... no. Non dico nient'altro... XD Un bacio. 

fennec, eventuali particolare sono stati naturalmente sequestrati per i capitoli successivi... XD E ora, permettimi una domanda: la tua sete di curiosità è stata saziata in questo undicesimo capitolo??? Ho l'impressione che la risposta sia tutt'altro che positiva, indi per cui, concludo con un bacio e con un vigoroso

 

 

CI VEDIAMO AL PROSSIMO CAPITOLO,

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Capitolo 13
*** Capitolo Dodicesimo - Faccia a faccia ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO DODICESIMO

Faccia a faccia

°°°°°°°




Sapete quanti secondi impiega il nostro cervello prima di essere in grado di analizzare, e solo successivamente riconoscere, un determinato elemento visivo? Non ne ho la minima idea, ma quando Remus Lupin varcò la soglia della cucina della Tana, fu l'unico pensiero che Ninfadora Tonks riuscì a concepire.

Se solo si fosse sforzata di alzare gli occhi verso di lui, piuttosto che ostinarsi a fissare la tazza vuota stretta fa le mani, sarebbe sicuramente riuscita a leggere nello sguardo di Lupin l'immensità di parole che lui avrebbe voluto dirle, ma che invece, continuava a nascondere con tutta la propria tenacia. Fu questione di pochi istanti, il tempo sufficente ad un uomo di bussare a una porta e ad una donna di aprirla, e lo stomaco di Tonks si accartocciò come una pagina della Gazzetta del Profeta vecchia di due mesi, bloccato come se nella sua bocca fosse stato infilato un macigno di una tonnellata.

Lo sentiva raggrinzirsi secondo dopo secondo, attimo dopo attimo di quell'infinità trascorsa nella muta compagnia di Lupin.

Cosa diavolo dove fare? Cosa diavolo faccio?

- Remus! - esclamò Molly, che ripresasi dallo shock iniziale, ora lo fissava raggiante - Arthur ci aveva detto che saresti tornato presto, ma non immaginavo così presto! Suvvia, dammi il mantello! Cielo, ma sei magrissimo! Remus, per tutte le fate di Bristol! Hai mangiato!? -

Remus sorrise timidamente. - Ho mangiato qualcosa a Hogwarts, non preoccuparti. Ero... - si fermò titubante, senza degnare di uno sguardo la giovane seduta al tavolo, ancora intenta a studiare i fondi di tè nella tazza di ceramica. - Ero solo passato a salutare - concluse con un altro debole sorriso.

- Ci mancherebbe altro! E ti fermi a pranzo, così sono sicura che mangi. Lancillotto traditore! Sei magro come un Asticello, guardati! -

- Cosa? Oh, no, Molly, ti ringrazio. Ho ancora delle faccende da sbrigare e... -

Si bloccò di nuovo, mentre fissava titubante il sorrisetto malvagio che aveva inarcato le piccole labbra di Molly.

- Ho detto che resti a mangiare. Non te l'ho chiesto - decretò, voltandosi con una piroetta e avviandosi verso il cortile. - Vado a cercare Ginny, così mi darà una mano ad apparecchiare. Tonks, cara, tu non preoccuparti di nulla, sei ospite anche tu - aggiunse lievemente preoccupata.

Insomma, nonostante con la magia le stoviglie potessero essere riparate con un colpo di bacchetta, permettete che una casalinga risoluta come Molly Weasley preferisse salvaguardare la loro integrità fisica per il maggior tempo possibile?

Tonks scosse la testa e alzò gli occhi verso Molly. - Oh, no, Molly, ti ringrazio. Ho ancora... delle faccende da sbrigare - concluse con un movimento nervoso della mano che per poco non costò l'integrità fisica di cui vi parlavo della tazza vuota.

Il sorriso di Molly si fece più ampio. Brutto segno.

 - Non costringermi a legarti, Tonks, cara - disse con voce premurosa. - Torno subito, scusatemi un attimo. Oh, Remus, il te' è ancora caldo e... - sospirò, - Tonks sa dove sono le altre tazze. -

Sparì dalla porta che dava al cortile canticchiando qualcosa di incomprensibile, lasciandosi alle spalle uno dei più imbarazzanti, angoscianti, inappropriati e sicuramente leciti silenzi a cui la Tana avesse mai assistito.

°°°°°°°

Lupin tossicchiò lievemente. - Be'... è bello rivederti, Ninfadora. -

È bello rivederti? Ma sei scemo? Non hai trovato nient'altro nel tuo repertorio di patetiche frasi pronte, Mister Parola-Giusta-Al-Momento-Giusto? Hai un cervello del mio calibro a tua disposizione... e mi usi con la stessa leggerezza di uno spazzolino da denti?

Tonks iniziò a torturare il singolare pendente che portava al collo. - Anch'io sono felice di vederti. Spero che tu stia bene, Remus. -

 Speri che stia bene? Ma sei scema? Due mesi! Due mesi, e non sapevi se tornava, e non sapevi cosa faceva, e non sapevi se era vivo, e non sapevi se morto... e tu cosa gli dici? Oh, ma che ci sto a fare io nella tua scatola cranica se poi non mi usi?

- Sì - mormorò lui, grattandosi distratto il mento. - Sì, sto bene. Tu... ehm... tu stai bene? -

Tu... stai bene?? No, razza di idiota! Non sta bene! E ricollegami immediatamente alla bocca, cretino: temo si sia staccato il contatto principale.

- Sto bene anch'io. -

Cos'è che stai tu? Ah, ci rinuncio! Digli che stai male! Digli che ti è mancato! Digli che avevi paura di non rivederlo più! Piangi se è necessario! Anzi, piangi, in qualunque caso: gli uomini s'inteneriscono con queste cose!

- Bene. -

Bene???

- Già. Bene. -

Bene???

- Ci... ci sono novità al Ministero? -

Ci sono novità... ci sono novità al Ministero!? Razza di rincitrullito penoso! Dille la verità! La sai la verità, io so che lo sai, e tu lo sai. Diglielo!

- Caramell si è dimesso. -

Caramell? No, no, no... l'argomento non interessa a nessuno! Digli che lo ami! Santa Oloferne, apri la tua boccuccia e scandisci queste due dannate paroline!

- Ah, davvero? -

Fantastico. Fantastico, Remus, fantastico. Fingiamo addiritura di essere interessati a Caramell! No, no, ma vai... procedi pure per la tua strada... cretino.

- Sì. Ora è Scrimgeour il nuovo Ministro. -

Sono sicuro che lui ne è molto felice, ma ti spiace aggirare tutti questi banali convenevoli e raggiungere il succo della questione che interessa a tutte e due?

- Ah. -

Sì, ecco. Ecco, non potevi trovare nulla di più arguto da dire. E adesso, caro cretino, cosa fai?

- Uhm. -

Giuro su quanto è vero che sono un cervello che se avessi le gambe uscirei dalla tua testa per trasferirmi nell'orto dei cavoli.

- Cosa... cos'hai fatto hai capelli? -

No! No, no, no, no! Sei-un-deficente!

- Volevo cambiare. -

Prendilo a pugni!

- Non... non stai, insomma... nel senso, così... -

Cosa stai cercando di dirle, imbecille di un imbecille, che non sta male? Lei sta male e noi siamo morti. Sì. Sì, è così. Siamo sopravvisuti a Jura, e ora periremo qui, per mano di una giovane che tu hai misteriosamente rifiutato, e qui aggiungo un altro insulto al tuo non ascoltarmi, Remus.

- Ah. -

Ok, i monosillabi li hai finiti, ora diamoci un taglio, e d-i-g-l-i-e-l-o!

 

- Siamo patetici, Remus - sbuffò Tonks, dopo un minuto di un silenzio che sarebbe benissimo potuto durare in eterno. Puntò lo sguardo sul viso segnato di lui, e per un attimo Lupin perse la stabilità nelle gambe. Riuscì a camuffare l'improvviso tremolio aggrappandosi allo schienale di una sedia.

- I miei sentimenti non sono cambiati in questi due mesi - continuò la giovane, mentre studiava ogni dettaglio del volto dell'uomo con apprensione sempre crescente. - E non cambieranno certo con i prossimi. -

Lupin respirò profondamente, mentre seguitava a guardare le proprie mani strette saldamente attorno alla sedia.

- No, Ninfadora, ti prego - la supplicò con voce strozzata. - Non puoi... -

- Amarti? - lo interruppe lei. Lupin sollevò la testa di scatto e si perse fra i luccicori dei suoi occhi, con le labbra leggermente dischiuse in attesa che il cervello riprendesse il suo solito e funzionale metodo di ragionamento.

- Perchè è quello che sto già facendo, Remus. E guarda un po: sei l'unico che vuole impedirmelo - sibilò con una freddezza che non avrebbe mai desiderato.

- Con ragione, aggiungerei. -

Lei sgranò gli occhi e lo fissò con un sorriso di falso divertimento. - Con ragione? Un uomo probo e integro come Remus Lupin crede che portarmi via il cuore, per poi calpestarmelo mille volte, sia lecito? -

Lupin mascherò rapidamente la fitta dolorosa che le parole di Tonks gli avevano creato in petto, e scosse la testa.

- Ninfadora... -

- Tonks. -

- Ninfadora, sei... -

- Tonks. -

- Sei... - tentò di ricominciare lui, ma aveva la sensazione che la gola secca non gli avrebbe permesso nessuna risposta che superasse le tre parole. - Sei giovane. Troppo per un uomo come me. -

Tonks rise senza allegria, e Lupin si ritrovò a pensare, senza un determinato motivo, a chi dei due fosse cambiato di più negli ultimi mesi. Il lato più evidente era che lei non era più lei. E questa consapevolezza gli appesentiva l'animo più di quanto non fossero stati in grado di farlo i dodici anni che aveva passato in solitudine. La guardò contare ad alta voce gli anni che li separavano, scandendo bene ogni numero.

 - ...tredici, e quattordici. Oh, hai ragione sono tantissimi - aggiunse, fingendosi stupita. Era di un'infamia quasi perversa il modo in cui lei lo stava trattando. Si era scordata tutte le frasi delicate e sensibili che Fleur le aveva fatto imparare a memoria. Ora come ora, non riusciva a ricordarne neppure un quarto.

- Pensa - proseguì, - in anni di cane sono novantasei. Una cifra veramente insormontabile, non trovi? -

- Ninfadora, basta - proruppe lui, seccato.

Lei trasalì di fronte al suo ordine imperioso, ma riprese rapidamente il controllo e si alzò in piedi. I lati della sua bocca erano ancora incrinati in quello strano e inappropriato sorriso divertito. E vi ripeto: sarebbe veramente potuto essere un sorriso divertito, se solo le sue pupille non avessero danzato come se sotto la retina si stesse agitando un mare in tempesta.

- Tu mi ami - disse.

Tonks alzò le sopracciglia, in attesa di una risposta che non sarebbe arrivata. La considerò una piccola vittoria e riprese a infierire.

- Perchè vuoi farmi del male? -

- Voglio solo proteggerti. -

- Non voglio che tu lo faccia se questo significa che non posso averti. -

Era vicina. Pericolosamente vicina. E Lupin era stremato. Orrendamente stremato. Il lupo sembrava aver perso la cognizione dello spazio, mentre cercava disperatamente di riaffiorare in superficie. L'uomo non si accorse di averlo sconfitto, impegnato com'era a fissare tutto ciò che lo circondava, meno che la ragazza davanti a lui.

- Perchè io ti voglio - sussurrò lei, a un palmo dal viso di Lupin. - Perchè ti amo, Remus. E non ti permetto di impedirmelo - concluse, con la voce resa impastata dall'imminente pianto. Sfiorò le spalle di Lupin e appoggiò la testa al suo petto, lasciandosi sfuggire un flebile singhiozzo. Non voleva piangere. Maledizione, non davanti a lui. Strinse con energia la presa sul suo logoro maglione, quasi temesse che potesse di nuovo svanirgli davanti agli occhi.

- Ho paura di perderti, Remus - biascicò.

Lupin si morse le labbra e strizzò gli occhi umidi, scuotendo il capo con foga. La scostò delicatamente e cercò i suoi occhi attraverso la frangia di capelli.

- Non posso amarti, Ninfadora - mormorò rauco. - Non voglio vivere nel terrore di poterti fare del male, perchè non vuoi capirlo? Questa è la mia vita, la mia maledizione. -

 - Io posso cambiarla. -

- Nessuno può farlo. -

- Tu... - iniziò lei, alzando il capo, - tu hai mai provato, a cambiarla? O hai continuato a non vivere fino ad oggi? -

Lui non rispose, ma lasciò che parte di lui assimilasse e silenziosamente confermasse quelle parole. Lei lo guardò un ultima volta prima di posare con leggerezza le proprie labbra su quelle di lui. Fu un contatto di pochi istanti, che riuscì però a contrarre i muscoli del corpo di entrambi.

- Non sperare di non trovarmi al tuo ritorno, Remus - mormorò Tonks. - Ti aspetterei anche fino alla fine dei miei giorni. -

Fu costretta a combattere contro il desiderio di baciarlo un'ultima volta, ma una vocina dentro la sua testa gli disse che lui non glielo avrebbe permesso ancora. Decise di Smaterializzarsi rapidamente a casa, in modo che lui non avesse modo di ribattare e fosse costretto a restarsene coi propri pensieri.

Una volta che i contorni del salotto del proprio appartamento si furono fatti meno sfocati, Ninfadora Tonks sorrise. Forse non aveva risolto il problema, ma ora era certa, che lui la amava. E non se lo sarebbe fatto sfuggire.

 °°°°°°°

 

 

 

- Hai proprio una brutta cera - esordì Arthur Weasley. - Un altro goccio? -

Lupin annuì un paio di volte, senza alzare lo sguardo dal tavolo della cucina della Tana. Arthur si chiese se l'amico lo avesse sentito realmente, o se la sua fosse semplicemente una reazione automatica. Versò un altro goccio di liquido rosso nel bicchiere di Lupin, facendo attenzione che nessuna gocce zampillasse ribelle sul legno. Molly riusciva a vedere anche le macchie che non c'erano, era sempre meglio evitare l'evitabile.

- Grazie - mormorò Lupin, stringendo le dita attorno al bicchiere, ma senza portarlo alle labbra.

Arthur si grattò i pochi capelli rossi rimastigli sulla nuca, e fissò il viso pensieroso di Lupin.

- È inutile fuggire, Remus. Lei non vuole sapere ragioni. -

Lupin alzò lo sguardo, perplesso. Stava per chiedergli come fosse venuto a saperlo, quando si rese conto di quanto stupida fosse in realtà quella domanda.

- Lei non immagina neppure lontanamente quanto siano rilevanti, per me, quelle ragioni. -

Arthur lo guardò divertito. - Sono così importanti, Remus? -

Lupin rispose con un'occhiata allibita. - Arthur, sono un licantropo. Non posso permetterle di rischiare così la sua vita. -

- Ma lei ti ama. -

Lupin storse la bocca e bevve un sorso di vino.

- E tu ami lei - continuò Arthur, con un sorrisino. - Dov'è il problema? -

- Il problema è nel tenore di vita che si merita, e che non sarò mai in grado di offrirle; il problema è che lei è giovane, e non ho intenzione di costringerla a gettare i suoi anni con uno nelle miei condizioni - sbottò Lupin, muovendo concitato le mani. Possibile che neppure Arthur lo capisse?

- Costringerla? - ripetè lui. - Remus, l'unica cosa a cui la stai costringendo e rinunciare all'amore. -

- E a un futuro che non merita. -

- Come puoi dire che il vostro futuro sarà così orrendo, se non lasci neppure che lei entri nel tuo presente? - eruppe Arthur, mettendosi più comodo sulla sedia e portando il bicchiere alla labbra. - Io non ti capisco. -

Ecco. Appunto.

- Remus, hai visto Tonks, oggi, non è vero? - continuò Arthur. - Dimmi, l'hai vista? -

Lupin annuì.

- È in quello stato da quando sei partito per Jura. Mangia poco più di un Vermicolo, non la vedo ridere da giugno e la settimana scorsa l'ho trovata ubriaca, Remus - disse Arthur, fiaccamente. - Non puoi fingere che la situazione stringa solo te, Remus. -

- Deve dimenticarmi, Arthur. Non merita quello che io posso offrirle. -

Arthur sorrise.

- Quale donna non merita l'amore, Remus? -

°°°°°°°

 

 

 

Ti sfido, Selene, con quel tuo fare giocondo,

imprimilo a fuoco nel tuo ventre rotondo.

Scegli con cura i tuoi assi vincenti,

in guerra impietosi saranno i fendenti.

Regina di notte, ti credi sua sposa:

t'illudi non poco. Mi sogna e riposa.

 

 

Ninfadora Tonks scostò con un gesto stizzito la tendina che tante volte aveva protetto il suo sonno dalla debole luce mattutina. Chiuse gli occhi per assaporare meglio la piacevole sensazione del vento, che delicato le azzarezzava il viso, rabbrividendo ogni tanto quando esso si approffitava della sua disponibilità, intrufolandosi sotto la sformata maglietta delle Sorelle Stravagaria, che quella notte era stata promossa a pigiama.

- Buonasera, Selene - disse, - sono io. -

La maggior parte delle persone l'avrebbero probabilmente creduta pazza, se avessero avuto l'occasione di vederla intraprendere una conversazione con niente meno che la luna. Io non sono mai stata innamorata di un licantropo, non saprei spiegarvi esattamente i motivi che portarono Ninfadora Tonks, in quella ventilata notte d'agosto, ad aprire quella finestra.

Portò alle labbra l'ultimo bicchiere di Idromele.

Ripensandoci, forse un motivo riuscirei a trovarlo, ora come ora.

- È tornato, sai? - continuò, incurante della stravaganza di quell'incontro. - Oggi. E sai cosa mi ha detto, Selene? -

Le sue labbra si storsero in un ghigno. Fortunatamente nessuno la vide, perchè mai, come in quel momento, la sua espressione era stata più simile a quella di una Black.

- Ha detto che non può amarmi. Immagini il motivo, Selene? - disse ancora, fissando il bicchiere che dondolava nella sua mano. - Perchè tu sei la sua maledizione. E ora, anche la mia. -

Guardò nuovamente l'astro, sporgendosi maggiormente dalla finestra.

- Siamo in guerra, Selene. Tu ed io. Un giorno riderò della tua sconfitta. Perchè lui vuole me. E tu, nella tua immortalità, non puoi sperare di amarlo. Bisogna essere vivi, per amare. Tu hai il suo cuore, ma perchè gliel'hai strappato. -

Ho intenzione di riprendermelo.

 

Ridi e sghignazzi, Selene. Mi credi solo una pazza?

Sii calma per ora: non sottovalutar la mia razza.

Arriverà il tuo momento, arriverà la mia gloria,

e del vostro legame non resterà che la storia.

Saluta da ora il tuo pallido fiore;

senza pietà verrà strappato al tuo amore.

°°°°°°°

 

 

 

 

************************

 

Ed ecco qui il dodicesimo. (Dodicesimo!?!? Un applauso alla mia resistenza)

Questo capitolo mi ha fatto dannare: era già gaio e sorridente, pronto per essere postato... e non mi si cancellano tre quarti della storia??? O__O

L'Ari, mia fida Beta e somma consigliere di infidi momenti di anti-ispirazione è stata rapita dal mostro delle vacanze, mi pareva di avervelo già detto, indi per cui, chiedo perdono se ci sono più errori di battitura del solito, a me scappano sempre e l'Ari ha l'occhio di lince in queste cose...

ARI!!!!!!!

Stop. Sono quasi totalmente certa che se la caverà. Bando alle ciancie, indunque.

HermioneCH, scusa se non ho potuto aggiornare più in fretta di così, ho fatto veramente del mio meglio. Spero che l'incontro fra quelle due povere anime ti sia piaciuto! P.s Il cioccolato in Svizzera è davvero buono come dicono??? Un bacione! =*

gollum93, io adoro il personaggio di Severus Piton, con quel suo essere misterioso e pungente, e mi sono sentita in obbligo di onorare un personaggio che stranamente non sembra riscuotere un grande successo. Accetto molto volentieri la tua protezione, cercherò di non oltrepassare il limite del possibile... Non assicuro, naturalmente. Un bacione! =*

fennec, scusa ma questo aggiornamento non è stato altrettanto rapido, spero di poter fare miracoli con il prossimo. Hai centrato in pieno il punto: Jura ha sconquassato un po' Remus... Voglio sapere dalla tua curiosità cosa ne pensa del mio nuovo capitolo. Un bacione! =*

Christine, povero Piton... XD E io che pensavo di organizzare una colletta per comprargli uno stock di shampoo + balsamo alla Coop. Un bacione! =*

Luna92, lo sai, ho l'abitudine di tranciare nel punto più irritante i capitoli... siete stati fortunati, pensavo di farlo in questo in maniera drastica. Spero ti piaccia, un bacione! =*

nebula91, mi sei mancata! ^__^ Mi piace intervellare scene drammatiche a scene più leggere, anche perchè mi sarei suicidata a scrivere un Non-So-Ancora-Quanti-Capitoli tutto a base di sangue, grida, e angoscia... ç__ç Stripperei... Mi fa tantissimo piacere che gli ultimi capitoli ti siano piaciuti, un bacione! =*

KylieMalfoy, grazie 1000! Spero che ti piaccia altrettanto anche questo capitolo! Un bacione! =*



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Un bacione gigante,

Trick ^__^

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Capitolo 14
*** Capitolo Tredicesimo - Spie ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO TREDICESIMO

Spie

°°°°°°°




Nessuno degli assordanti rumori che le pulizie quotidiane della cameriera del Paiolo Magico provocarono, riuscirono a strappare dal profondo sonno nel quale si era lasciato precipitare la notte precedente, Remus Lupin. La luce del sole, che facilmente era stata capace di evitare le vecchie e puzzolenti tendine che addobbavano la camera, gli illuminava quel poco del volto non affondando nel cuscino, in un modo irritante per cui la maggior parte delle persone si sarebbe svegliata di colpo, magari con qualche feroce parolaccia, e avrebbe risposto con stressati brontolii a qualunque domanda gli avessero posto in giornata.

Remus John Lupin, era quasi troppo stanco per respirare. Alzarsi a causa di una tenda semiaperta, era inconcepibile. Il semplice atto di alzarsi dal letto era inconcepibile. Ma probabilmente lo era solo per il diretto interessato, considerando che qualche non interessato iniziò a bussare con insistenza alla porta della camera.

- Aprimi - ordinò una voce scocciata. - Non ho certo intenzione di sprecare un'intera giornata, in cui potrei tranquillamente dedicarmi a faccende di importanza decisamente più considerevole, a farmi intrattenere dalla tua ridicola presenza, Lupin. -

Lupin si rigirò scocciato fra le lenzuola. - Chi è? - mugugnò contrariato.

- Uno fra i tanti che preferirebbero tu perdessi la facoltà di respirare. -

- Severus? - domandò perplesso alla porta chiusa, mentre si alzava per afferrare i pantaloni sgualciti. - Che ci fai qui? -

- Pensavo di invitarti a fare un pic-nic, Lupin. Ti chiederei con cortesia se hai di meglio da fare, se solo non sapessi che le tue giornate trascorrono nel più patetico e monotono dei modi. -

Lupin inarcò le sopracciglie, mentre si avvicinava alla porta e allungava una mano verso la chiave nella toppa. - Perché ho come l'impressione che tu mia stia prendendo in giro? - chiese, aprendo la porta con un sorrisino storto. - Cosa vuoi, Severus? -

- Noto con non poco piacere che Jura ti ha fatto il lavaggio del cervello, Lupin. Non ti ricordavo così sgarbato. -

- Devo dunque ringraziare la cortesia con cui i Mangiamorte sembrano averti contagiato, se sto per accettare il tuo educato e signorile invito? -

- Ma sei patetico, come sempre - ribatté con disgusto Piton. - Come pensi che io possa attraversare la soglia, se tu continui a sostarci, senza un preciso motivo, sopra? -

- "Remus, ben lungi da me disturbarti, ma devo assolutamente parlare con te. Potresti, per favore, permettermi di entrare nella tua umile stanza d'albergo?" - recitò Lupin, gesticolando esageratamente. - "Oh, ma certo, Severus, non preoccuparti. Entra pure." -

- Hai finito? -

- Sì. -

- Mi fai entrare, adesso, o pensi di deliziarmi con il bis del tuo patetico monologo? -

- Sei qui da dieci minuti e mi hai già chiamato "patetico" tre volte. Non esagerare con i complimenti, o finirò per innamorarmi di te, Severus - disse Lupin, prima di spostarsi dalla porta e permettere a Piton di entrare nella stanza. Si richiuse la porta alla spalle e lo fronteggiò.

- Deve essere una questione incredibilmente importante, se è stata sufficiente a costringerti a venire - iniziò gravemente Lupin.

- Sono qui su ordine di Silente - puntualizzò Piton.

- Non avevo dubbi in proposito - esclamò Lupin, sorridendo divertito.

Piton storse il naso, guardandosi attorno. Infilò la mano sotto al mantello scuro, estrasse la bacchetta a con un gesto fluido evocò dal nulla un'elegante poltrona viola. Si accomodò e fissò Lupin con un sorriso sardonico. - Vorrai perdonarmi, ma visto che non sembra usanza di casa pregare i propri visitatori di mettersi comodo, ho preferito adattarmi per conto mio. Ma non vorrei mai che tu mi giudicassi eccessivamente scortese, Lupin. -

Mosse ancora una volta il braccio, e un vecchio e malmesso sgabello di letto comparve a pochi passi da Lupin, che fissò quella specie di offerta di pace con un misto di incredulità e divertimento. Incrociò le braccia al petto e sollevò gli occhi verso Piton, diffidente.

- Ora che ho avuto il piacere di assaggiare la tua innata simpatia, credi sia il caso di svelarmi il misterioso motivo che ti ha condotto a me? -

- Sono stato troppo affrettato a crederlo ovvio, non avevo considerato la stoltezza di voi Grifondoro, perdonami - disse, portando la mano sinistra al petto come se veramente fosse dispiaciuto. - Per quelle, Lupin. Per cos'altro? - aggiunse, indicando la camicia di Lupin.

Lui avvicinò automaticamente i due orli della camicia, tentando di coprire maggiormente i segni rossi che ancora spiccavano sul suo collo.

- Immagino siano i meno gravi - continuò Piton, con una smorfia annoiata.

- Da quando la mia salute ti interessa? -

- Da quando la tua salute è diventata essenziale per il corso di questa guerra, Lupin. Nulla di premuroso, sia chiaro. -

- Molto nobile da parte tua - rispose Lupin, avvicinandosi alla finestra con l'intenzione di aprire completamente le tende. - Puoi dire a Silente che Madama Chips è stata così gentile da medicarmi al mio arrivo ad Hogwarts. Non ho bisogno di altro e sono pronto a ripartire per Jura anche domani, se necessario. -

- Oh, lo immagino - ribatté divertito Piton. Lupin aprì violentemente le tendine, lasciando che la luce del sole scivolasse sulla stanza, dal letto disfatto al profilo aguzzo di Piton. Attese qualche istante, e si voltò tentando di mitigare la propria rabbia.

- Mi auguro che tu non stia supponendo che io brami a ritornare a Jura, perché non riuscirei a sorvolare anche su questo commento, Severus. -

- Ringhia meno, Lupin, o finirò per dimenticarmi che sei addomesticato. -

Lupin aprì bocca per rilanciare con una stoccata pungente.

 

 

- Sirius, ti spiace sederti e iniziare a comportarti come l'uomo maturo che teoricamente dovresti già essere? -

- Quello ci vuole fregare, Remus, te lo dico io. Silente è un pazzo se continua a credere che Mocciusus sia dalla nostra parte, adesso! -

- Sirius, Silente ha sempre detto che ha dei motivi più che... -

- Ed è meglio che lasci in pace, Harry. O il Ministero mi dovrà innalzare una statua per avere cancellato il suo untume dalla faccia della Terra. -

- Sirius, perché non sembri mai aver voglia di ascoltarmi? -

- Perché tu lo difendi, e difendendolo, mi irriti, Remus. E non mi piace essere irritato. -

- Io non lo difendo, ma sono convinto che dovremmo, magari non dimenticare, ma sicuramente accantonare le futili divergenze che ancora ci impediscono di avere un buon rapporto lavorativo fra di noi. -

- Ci manca solo che mi tocca fare il carino pissi-pissi e bacio-bacio con Mocciosus! -

- Non mi pare di aver detto che devi andarci a letto, Sirius. -

- Ci sta fregando. Va a finire che ci manda all'altro mondo Silente, e allora sì, che avremmo delle gran brutte rogne. -

- Uccidere Silente? Sirius, non crederai davvero che Severus potrebbe farlo? -

- Ne sarebbe capace. -

- Sciocchezze. -

 

 

Lupin si obbligò a porgere nuovamente le spalle a Piton, socchiudendo gli occhi e respirando con placida lentezza.

- Madama Chips ha sicuramente informato Silente delle mie condizioni, Severus. Per quale motivo, sei qui? - chiese, dimostrando di non aver perso completamente il senno nei due mesi trascorsi a Jura.

- Sei un discreto Occlumante, Lupin, ma non abbastanza per il mio livello. Ti ha scoperto. -

Lupin non mostrò alcun segno di stupore. Aveva previsto che Piton sarebbe venuto a conoscenza di quel particolare aggravamento della sua missione, ma non immaginava che avrebbe dovuto discuterne direttamente con lui.

- E questa volta, nonostante la mia perplessità in proposito, la colpa non è completamente della tua totale inefficienza - proseguì Piton, fissandosi tediato il dorso della mano destra.

Lupin voltò il capo quel poco che bastava per scorgere la sua figura scura, comodamente rilassata sulla poltrona, con le sopracciglia lievemente inarcate.

- Dimmi che tu non sei coinvolto - sussurrò lentamente.

Piton sogghignò. - Frena i tuoi bollenti spiriti, Lupin. Anche io sono sotto copertura; non potevo rischiare di essere smascherato. -

Lupin sgranò gli occhi. - Hai detto al licantropo più pericoloso di Jura che sono un infiltrato? - esclamò, concitato. - Sei un folle! Come diavolo hai potuto anche solo pensare che io... -

- Non le ho detto che sei un infiltrato, Lupin, mi hai forse preso per un idiota? -

A giudicare dall'espressione ammutolita comparsa sul viso di Lupin, sì. 

Rouge è astuta e covava già parecchi dubbi sul tuo conto. Questo, va naturalmente ad aggiungersi all'inefficienza di cui ti parlavo. -

- Cosa le hai detto? -

- Che fai parte dell'Ordine. -

Lupin strinse i pugni violentemente, mordendosi le labbra per non impazzire. - Come hai potuto... - mormorò minaccioso.

- Non è stato difficile - concluse Piton con indifferenza, alzandosi in piedi ed estraendo la bacchetta per evanescere la poltrona e lo scomodo e inutilizzato sgabello.

- Quella donna mi ucciderà, Severus! - gridò Lupin, squadrando Piton come se non desiderasse altro che sbranarlo. 

- Se non l'ha già fatto, non credo lo farà in un futuro prossimo, purtroppo. E se può esserti di consolazione - aggiunse Piton, avvicinandosi alla porta e ruotando la maniglia, - Silente è d'accordo con me. -

- Silente è d'accordo con te, o tu sei d'accordo con Silente? - sbottò.

- Fa differenza? -

- Sì, considerando che in ballo c'è la mia vita. -

- Non credevo ti importasse così tanto, Lupin. -

Lupin lo guardò confuso. - Che significa? -

- Sciocco Grifondoro. Come pretendi che la gente creda che tua sia attaccato alla vita, se sprechi le tue giornate affogandoti in un passato che non potrà tornare. I tuoi prodi compagni sono morti, Lupin. Svegliati. -

Aprì la porta e salutò Lupin con un gesto beffardo del capo. - E inizia a vivere realmente. Non mi va di combattere i Mangiamorte al fianco di uno stitico sentimentale. -    

°°°°°°°

 

 

- Molly, non so davvero come ringraziarti. -

- Tonks, dillo un'altra volta e ti faccio sparire la bocca. -

Tonks sollevò lo sguardo triste verso Molly, tentando si stiracchiare un debole sorriso.

- Bravissima, fammi un bel sorriso, d'accordo? Si sistemerà tutto, vedrai. Gli uomini sono sempre un po', come dire... - si bloccò, sforzandosi di trovare un aggettivo con cui definirli.

- ...uomini? - tentò Tonks, con un ghigno depresso.

- Sì, uomini. Gli uomini sono troppo uomini, ecco qual'è il problema. E ti dirò un'altra cosa: devi sempre pensare che... -

Toc, toc, toc.

Molly trattenne il fiato, lanciando un'occhiata fulminea a un bizzarro orologio in bilico sopra una pila di lenzuola nel cesto della biancheria in fondo al tavolo.

Tonks scattò in piedi come se sulla sedia ci fosse stato un ElettroSeggiolone dei gemelli Weasley. Afferrò la bacchetta con un gesto deciso e la puntò, con la presa standard che aveva appreso al Corso di Addestramento, in direzione della porta sul retro della cucina.

 - Non è Arthur - sussurrò Molly, alzandosi in piedi e aggrappandosi saldamente alla sedia. Lanciò un'occhiata terrorizzata a Tonks.

- Non aspettavi visite, vero? -

Molly scosse il capo lentamente, mentre si avvicinava titubante alla porta. Ogni singola cellula del suo corpo vibrava di paura, l'adrenalina sembrava scorrere come un fiume in piena nelle sue vene.

- Chi è là - squittì nervosamente, tormentando la bacchetta con le mani.

- Sono io, Silente, e accompagno Harry. -

Tonks sospirò e si lasciò cadere sulla sedia. Molly aprì la porta di scatto, borbottando qualcosa con gli occhi rivolti al soffitto.

- Harry, caro! Santo cielo, Albus, mi hai spaventato, avevi detto di non aspettarti prima di domattina! -

- Abbiamo avuto fortuna. Lumacorno si è dimostrato più facile da convincere di quando mi aspettassi. Merito di Harry, naturalmente. Ah, salve, Ninfadora! -

Tonks evitò di sollevò lo sguardo per non incontrare quello del Preside. In un differente momento avrebbe sicuramente sottolineato la sottile eresia che il chiamarla con il proprio nome di battesimo comportava, ma considerando il disagio  in cui ancora una volta si sentiva perduta, si limitò a sorridere. Mi correggo: si limitò al vano tentativo di un sorriso.

- Salve, professore - salutò con voce piatta. - Ciao, Harry. -

- Ciao, Tonks. -

Strinse con più forza le mani attorno al grosso boccale di tè, cercando di riprendere il controllo. Non riusciva a darsi una spiegazione logica, ma la presenza di Albus Silente la rendeva particolarmente in imbarazzo. Tonks attribuiva la colpa alla discussione nell'ufficio dell'uomo, di soli pochi mesi prima, e all'imbarazzante modo in cui lei non era riuscita a controllarsi.

Non resistette alla tensione la stava soffocando. - Meglio che vada - disse rapidamente. Guardò Molly, sperando che non fosse troppo dispiaciuta per quell'improvvisa fuga. - Grazie per il tè e il conforto, Molly. -

- Per favore, non andartene per causa mia - rispose educato Silente. Tonks si chiese come diavolo quell'uomo fosse in grado di comprendere il significato dietro ad ogni suo gesto. Era sempre riuscito a leggere in lei, cose che neppure lei credeva di sapere di sé, fin dal suo primo anno ad Hogwarts. - Ho affari urgenti da discutere con Rufus Scrimgeour - concluse Silente.

- No, no, devo proprio andare - disse Tonks, alzandosi in fretta e guardando qualunque elemento non si trattasse del Preside. Si direzze rapida in direzione della porta, ogni singolo arto intenzionato a svanire da lì nel minor tempo possibile.

- Cara, perché non vieni a cena nel fine settimana? Ci saranno anche Remus e Malocchio. - L'apprensione con cui Molly pronunciò il nome di Lupin era appena percepile nella sua voce ansiosa, ma non sfuggì alle orecchie di Tonks. Cercò di sorridere.

- No, davvero, Molly... grazie comunque... Buona notte a tutti. -

Avanzò rapidamente nel cortile, Smaterializzandosi con una piroetta a pochi passi dal cancello, sentendo lo sguardo preoccupato di Molly Weasley, penetrarle nella schiena.

°°°°°°°

 

 

La pioggia le aveva reso pesante i capelli, da cui irritanti goccioline continuavano a saettarle davanti agli occhi. Aveva gli abiti zuppi, e muoversi in quel mantello era facile quanto cavalcare un Dorsorugoso di Norvegia imbizzarrito. Strinse i pugni nelle tasche umide e alzò gli occhi verso la dondolante insegna di legno.

Le lettere rosse che componevano le parole Al Paiolo Magico, erano praticamente invisibile attraverso quell'acquazzone.

Ninfadora Tonks fece un respiro profondo.

Entro o non entro?

°°°°°°°



 

 

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Fine Capitolo Tredicesimo.

E ora mi preparo ad essere linciata: lunedì inizio lo stage di restauro, quindi potrei avere veramente poco tempo per continuare la storia, ma giuro che farò del mio meglio.

Mi pare doveroso sottileneare che la maggior parte dei dialoghi della seconda scena, dove Tonks incontra Harry e Silente alla tana sono esattamente quelli del Principe Mezzosangue, non me la sentivo di cambiarli, erano perfetti così la Rowling li ha scritti, e nessuno potrebbe imitarla.

Ho cambiato carattere, spero non vi dispiaccia, ma io non ce la facevo più... *__*

Christine, mi fa piacere che ti sia piaciuto il dialogo Remus-cervello-Tonks-cervello. Volevo smorzare un po' la serietà che il capitolo avrebbe altrimenti avuto, e temevo che fosse un espediente patetico. Un bacio!

gollum93, adoro le filastrocche, non posso farci niente. E adoro il fatto che a voi non dispiacciano! Grazie mille, un bacio!

Luna92, grazie mille! Lo ripeto: mi fa piacere che vi siano piaciuti gli intralazzi con i due cervelli, perchè non ne ero molto convinta. E mi fa ancora più piacere che le mie filastrocche piacciano altrettanto. Un bacio!

HermioneCh, cercherò di essere più veloce della luce, prometto e non garantisco!

KylieMalfoy, grazie anche a te. Spero non mi lincierete se vi ho tagliato qui il capitolo... buahuahua! Perversamente malvagia!!!! ^__^

 

 

 

UN GRAZIE GIGANTE E AL QUATTORDICESIMO CAPITOLO,

Trick

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Capitolo 15
*** Capitolo Quattordicesimo - Sotto la luna ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO QUATTORDICESIMO

Sotto la luna

°°°°°°°






Ama saziarsi della mia essenza,

quasi fossi il unico amante.

Spicca il suo viso fra le ombre della notte,

incurante come sempre, della mia schiena tremante.





I suoi passi risuonavano ovattati in quel corridoio illuminato a malapena da poche torce appese ai muri scrostati e sottomessi alle macchie d'umidità. Per la prima volta, oserei dire, in tutta la sua vita, Ninfadora Tonks fu uno spirito spaurito, silenzioso e muto. Percorse lentamente il tratto che ancora la separava dalla camera 432, sorvolando senza occhiate particolari nessun'altra porta. Continuò a mordicchiarsi nervosamente il labbro inferiore finché non si ritrovò davanti all'ultimo, imponente e psicologicamente insormontabile ostacolo.

La grossa porta di legno sembrava guardarla sprezzante, quasi volesse sfidare la giovane a bussare. Tonks chiuse gli occhi e tentò di calmare il proprio respiro, che negli ultimi dieci minuti era aumentato in una maniera che aveva dell'eccezionale.



Torna indietro. Torna indietro. Ti prego, torna indietro.



Stava per voltare le spalle a quella beffarda soglia, quando l'inconfondibile rumore di una chiave che gira nella toppa le pietrificò le gambe.

Ninfadora?”

Riuscì a riconoscere solo dopo qualche istante di panico il proprietario di quella voce roca. E ciò ha dell'incredibile, considerando che non desiderava altro che sentirla ancora.



Sentirla per sempre.



È successo qualcosa?” chiese Lupin, consapevole di quanto falso, in realtà, suonasse il suo tono. Non era successo assolutamente niente, o avrebbe ricevuto un messaggio molto più rapido da parte di un qualunque membro dell'Ordine. Sperò con tutte le sue forze che lei non se ne fosse accorta, mentre le fissava la schiena fradicia. Ci mise un po' più del normale a focalizzare la macchia di bagnato che continuava ad allargarsi sotto gli anfibi di pelle di drago di lei.

Ninfadora, sei tutta bagnata. Vieni dentro ad asciugarti” mormorò.

Stavo giusto per andarmene a casa, grazie” rispose lei, continuando a dargli le spalle. Sentì un lieve fruscio, prima di sentire le mani di lui afferrarle con delicatezza il colletto del mantello e sfilarglielo con grazia.

Ti prego, non voglio che ti ammali per causa mia” ripeté mestamente Lupin.

Lei irrigidì i muscoli del collo e si voltò per poterlo guardare in viso. I suoi occhi caddero quasi immediatamente sui segni rossi che la camicia semiaperta non riusciva a nascondere.

Remus...” disse agitata. Le sue mani scattarono in avanti, come se volessero controllare personalmente l'entità di quelle ferite. Si bloccò all'ultimo momento, e umettandosi le labbra, alzò lo sguardo verso il viso di Lupin.

Ti va una tazza di tè?” domandò lui, con un sorriso gentile sulle labbra sottili.



Maledette siano le tue labbra...



Tonks non riuscì a capacitarsi di quello che stava facendo. Annuì.

°°°°°°





Rouge?

Calima sbuffò spazientita, incrociando le mani con una smorfia. “Trick, va' a vedere se riesci a trovarla dietro”

Il ragazzino si grattò distratto una spalla e alzò gli occhi verso Calima. “Perché devo sempre farla io, la fatica? Vacci tu, per una volta”.

La mano di Calima scattò rapida in aria e Trick chiuse gli occhi in attesa della proverbiale sberla. Li riaprì stupito solo quando sentì la presa della mano di lei attorno al suo polso sottile. Calima sogghignò, spostò la mano del bambino e si avvicinò al suo orecchio.

Muoviti, o dico a Rouge di tagliarti le orecchie”.

Trick sbiancò, mentre ogni singolo muscolo della sua faccia si contraeva dalla paura. Fece uno scatto talmente veloce, che quasi inciampò nella melma di Jura. Calima scoppiò a ridere, mentre lo osservava correre come un folle, urlando qualcosa di incomprensibile. Alzando lo sguardo verso la mezzaluna che le sorrideva dal cielo, ringraziò il Fato di avere ancora alle calcagna quel rompiscatole capace di farla divertire.

°°°°°°°





Zucchero?”

Sì, grazie”.

Nessuno dei due riuscì a dire nulla nel tempo che occorse a Lupin per preparare il tè; Tonks si limitò ad osservarsi le dita come fossero la cosa più interessante in quella stanza, mentre lui continuava a guardare a destra e a sinistra qualunque cosa potesse impegnarlo nel più silenzioso dei modi.


Tonks smise di studiarsi le mani e fissò la schiena di Lupin, cercando il coraggio di domandare ciò che più le stava a cuore in quel momento. Sospirò senza volerlo, e lui si irrigidì, in attesa.

Quando dovrai tornare a Jura?” disse debolmente.

Probabilmente verso i primi di agosto”.

E...” iniziò Tonks, mordicchiandosi le labbra per cercare di moderare l'agitazione.

Non tornerò prima di Natale” la precedette Lupin.

Tonks ebbe la sensazione che non sarebbe più riuscita a trovare il respiro: un incolmabile vuoto si era appena aperto nel suo stomaco, e si maledisse mentalmente per aver accettato quel dannato tè.


Lupin versò la stessa dose di tè in due modeste tazze bianche, e facendo attenzione a non sporcare i rispettivi piattini, si avvicinò alla poltrona su cui Tonks si era accomodata. Si accorse di quanto le mani di lei stessero tremando, e ritenendo che un'eventuale pasticcio non fosse l'ideale per tranquillizzare Tonks, decise di scegliere l'opzione che Sirius preferiva più di ogni altra: bugia a fin di bene.

Il tè è bollente” mentì, “credo sia meglio aspettare che si raffreddi, se non vogliamo trascorrere la notte al San Mungo con la lingua ricoperta da fastidiose bolle.”

Tonks ridacchiò sommessamente.


Quanto sei rimasta sotto la pioggia, Ninfadora?” domandò improvvisamente Lupin, squadrandola torvo.

Tonks, Remus” lo corresse rapidamente lei. “Solo Tonks.”

Lui sorrise, suo malincuore. Avrebbero potuto discuterne per il resto della vita, se solo Lupin, in quel momento di apparente tranquillità, fosse stato più sincero con sé stesso.

Non hai risposto alla mia domanda”.

Lei respirò profondamente, e stiracchiò le labbra in un sorrisetto.

Non tanto”.

Allora hai un concetto del non tanto notevolmente discutibile” rispose lui, con tono rassicurante. “Torno subito”.

Dove vai?” chiese Tonks, un po' troppo in fretta.

Lui si voltò e sorrise debolmente. “Non voglio che tu prenda il raffreddore”.

°°°°°°°



Che stai facendo?”

Rouge non si mosse minimamente. Continuò a scrutare la volta celeste come se volesse leggere fra le costellazioni il futuro della propria gente. Ed effettivamente, era quello che cercava di fare, ma non aveva mai dato eccessiva importanza a quel genere di superstiziose credenze, e perse presto la pazienza.

Niente di particolare”.

Possiamo non fare niente di particolare con te?”

Rouge inclinò il capo verso di loro e si spostò a sinistra, in modo che sul freddo masso sul quale si era seduta, comparisse abbastanza posto per tre persone.

°°°°°°°



Tonks infilò la testa nel piccolo e modesto bagno della stanza. Le piastrelle azzurrine erano velate di una patina verdognola, e la giovane dubitò fosse una trovata estetica del vecchio proprietario del Paiolo Magico.

Mi hai chiamato?” chiese a Lupin, al momento occupato a sistemare un asciugamano su una mensola dall'aspetto instabile.

Sì, e per un fugace attimo ho creduto che non saresti venuta”.

Forse dovresti iniziare a chiamarmi come fanno tutti”.

No, non credo” rispose, passandole davanti e iniziando a cercare qualcosa in un vecchia e consunta valigia. “C'è un asciugamano pulito sulla mensola nell'angolo, e se vuoi farti una bella doccia calda, il sapone è nel secondo cassetto”.

Prese una maglietta bianca dalla valigia e la tese a Tonks, che la afferrò titubante fra le braccia.


Se solo capissi cosa gli passa per la testa.


Mi spiace” disse lui, “ma temo di non poterti offrire nulla che sia anche solo lievemente migliore di questa vecchia maglietta”.

Grazie” borbottò impacciata.

Se solo lui avesse immaginato quanto sembrasse prezioso agli occhi di lei, quell'indumento.

°°°°°°°



Lo sai da dove veniamo, Trick?” disse Rouge, muovendo annoiata la mano verso il cielo.

Dalla piazza, Rouge” rispose prontamente Trick, mentre strizzava gli occhi per concentrarsi meglio sulla disposizione di quei puntini luminosi.

Calima ridacchiò. “Rouge, non puoi dargli torto, questa volta”.

Rouge lanciò un'occhiata a Trick che sarebbe potuta sembrare minacciosa, se solo gli angoli delle sue labbra non fossero stati rivolti verso l'alto.

Intendevo da cosa discendiamo.”

Trick la guardò con le fini sopracciglia aggrottate. Rimase in silenzio un attimo, prima di decidersi a scuotere la testa. Calima rise di nuovo nel vedere la sua espressione confusa.

Perché ridi?” esclamò Trick, con il broncio. “Non lo sai neanche tu!”

Sì, invece” si gongolò Calima, guardandolo divertita. “A me, Rouge l'ha già raccontata questa storia”.

°°°°°°°



Lo scroscio dell'acqua sarebbe stato rilassante se Remus Lupin fosse stato in grado di concentrarsi. Cercò di distrarsi con qualunque modo possibile, ma ogni volta il fragore della doccia lo riportava al pensiero dal quale stava disperatamente tentando di fuggire.


Se solo lei avesse immaginato quali sensazioni il sentirla così vicino a lui, gli stava procurando.

°°°°°°°



Sai chi è Selene, vero?”

È la luna!” rispose Trick, orgoglioso di aver risposto correttamente almeno a quella domanda.

Rouge annuì con un sorriso, senza abbassare gli occhi dal pallido astro. “E sai chi è Endimione, Trick?”

È uno del nostro gruppo?”

Calima e Rouge risero di nuovo.

Ma no, cucciolo di lupo, non dire sciocchezze” lo rimproverò affettuosamente Rouge. “Endimione era un giovane bellissimo ed un potentissimo re.”

Trick la fissava con la bocca semiaperta e gli occhi brillanti di ingenua curiosità.

Selene s'innamorò di lui”.

°°°°°°°



Remus, ho steso i vestiti bagnati al filo che c'è appeso in bagno”.

Hai fatto bene”.

Ok”.

Lupin portò la tazza alle labbra.

Com'è il tè?” chiese Tonks, indicandolo con un cenno del mento. La maglia bianca le era fin troppo lunga: l'orlo inferiore quasi le sfiorava le ginocchia pallide. Lupin si sforzò di non alzare lo sguardo sulla trasparenza che lasciava intravedere il reggiseno scuro di lei.

Freddo”.

°°°°°°°



Rouge, se è una storia d'amore non voglio sentirla. Che schifo” aggiunse, con un moto di disgusto.

Rouge sorrise, e continuò a fissare silenziosa il cielo per alcuni minuti.

Trick la guardò con un'espressione perplessa. “Cosa successe a Selene?” domandò piano.

Avevi detto che non volevi saperlo”.

Per piacere?

Calima sgranò gli occhi verso il bambino. “Cos'hai detto?” esclamò. “Rouge, l'hai sentito?”

Rouge non distolse gli occhi dal cielo. “Chi te lo ha insegnato?” chiese, divertita.

Bizèt” rispose a mo' di giustificazione Trick.

Il sorriso di Rouge si allargò maggiormente. “Dovrò fargli un bel discorsetto, quando torna.”

°°°°°°°



Ti sei fatto vedere quelle ferite?” domandò debolmente Tonks.

Lupin annuì con un sorriso. “Credi che Madama Chips mi avrebbe permesso di allontanarmi da Hogwarts, se non fossi stato nelle condizioni per farlo?”

Lo sguardo indagatore che lei lanciò nella sua direzione, gli fece capire che la sua risposta non le era affatto piaciuta.

Non devi preoccuparti per me. Sto bene”.

Perché?”

Perché sto bene?”

No. Perché non dovrei preoccuparmi?”

°°°°°°°



Selene non poteva permettere che la Morte gli portasse via Endimione, così lo fece cadere in un sonno profondo. Ed eterno”.

Eterno? Cioè... non si svegliò più?” chiese stupito Trick. “Perché?”

Vuoi sapere perché non si svegliò più?”

No. Perché far addormentare per sempre la persona che ami, se poi non potrai più stare con lei?”

Calima scoppiò a ridere. “Il nostro cucciolo è un romanticone!” lo derise.

Trick arrossì. “Non è vero!” protestò. “Sono solo curioso, tutto qui!”

Credo che lo abbia fatto solo perché lo amava, Trick” spiegò Rouge. “In questo modo, dopo ogni tramonto, avrebbe potuto vederlo in eterno”.

Chissà che bella compagnia dev'essere, uno che dorme sempre...” borbottò Trick.

°°°°°°°



Non puoi pretendere che io non mi preoccupi per te, Remus”.

Non posso permettermi di non tornare a Jura, Ninfadora. Potrei venire a conoscenza di dettagli essenziali per l'Ordine” ribatté lui, mentre l'agitazione continuava ad attanagliarlo.

Sono così importanti?”

Potrebbero decidere le sorti della guerra, oppure potrebbero essere completamente inutili. L'unica certezza è che qualcuno deve farlo”.

Tonks strinse le labbra, e fissò in silenzio il liquido ambrato nella tazza per diversi minuti, prima di alzare di nuovo gli occhi su di lui.

Perché non vuoi stare con me?”

°°°°°°°



Mi stai dicendo che discendiamo da un essere umano!?” urlò Trick, schizzando in piedi. Rouge scoppiò a ridere.

È solo una leggenda, Trick!” esclamò Calima, fra una risatina e l'altra.

Ah...” mormorò il bambino, calmandosi improvvisamente e rimettendosi a sedere. “Non ti avrei creduto.”

Perché?”

°°°°°°°



Ninfadora, guardati attorno” disse Lupin, fissando implacabile Tonks. “È questa la vita che vuoi?”

Sì, se tu sarai in quella vita”.

Lupin non riuscì più a sostenere il suo sguardo brillante, e dovette abbassare la testa.

E tu lo vuoi quanto me” continuò Tonks, mentre la voce si faceva più sottile, più vicina al semplice soffio che alle reali parole. “Vorrei capire da cosa fuggi, Remus”.

Da te, Ninfadora”.

°°°°°°°



Gli umani sono deboli” iniziò Trick, annuendo alle parole che pronunciava, cercando di incrementarne la veridicità. “E ci odiano”.

Hanno solo paura, Trick “rispose Rouge. “E nella loro debolezza, è comprensibilissimo”.

Tu non li odi, Rouge?”

Non meritano neppure il nostro odio. La cosa più intelligente da fare, sarebbe ignorarli completamente e fingere che Madre Natura non abbia mai fatto l'errore di affiancarceli in questa vita”.

Ma così moriamo di fame!”

°°°°°°°



Da me o da ciò che comporterebbe stare con me?” domandò a bruciapelo Tonks, dopo essersi ripresa dallo shock che le parole di lui le avevano procurato.

Lui alzò gli occhi, ma non rispose.

Perché se mi rispondessi che è da me che stai fuggendo, io non ti crederei. L'unica cosa da cui continui a scappare, è dalla tua dannata paura di vivere, Remus”.

°°°°°°°



Rouge si sfilò il pesante mantello dalle spalle, con un'eleganza che non avreste mai attribuito alla leader indiscussa di un branco di licantropi. Coprì il corpo rannicchiato e profondamente addormentato del bambino accanto a lei, con un sorrisino.

Il solito maleducato” commentò Calima con un sorriso. “Si è addormentato mentre parlavamo.”

Rouge scompigliò i capelli di Trick con fare affettuoso, e rimase a fissarlo per un istante.

Mi sembra ieri che Waskolf tornò al villaggio con quell'esserino tremante fra le zanne” disse.

E invece sono già trascorsi sei anni”.

Non erano cinque?”, domandò Rouge.

No”.

Rouge annuì. “Sei sempre stata più brava di me a ricordarti queste cose”.

Peccato sia l'unica cosa che ricordi”.

Rouge la fissò con le pesanti sopracciglie inarcate.

°°°°°°°



Ogni mese, Ninfadora, ogni dannato mese”.

Perché non riesci a capire che per me non è un problema?”

Perché lo è per me” ribatté Lupin, alzandosi nervosamente dalla poltrona, ed avvicinandosi alla finestra a grandi falcata. “Non posso permettere che ti accada qualcosa, Ninfadora. Morirei, piuttosto.”

E io morirei, piuttosto che abbandonarti. Vedi te, quello che puoi fare, a questo punto.”

Lupin scostò leggermente la tendina, in modo che gli fosse possibile vedere la mezzaluna stagliata sul cielo di Londra.

°°°°°°°



Non ti sei mai chiesta cosa ne sarebbe stato della tua vita, se non fossimo state portate qui?” domandò Calima, fissando il cielo stellato. “Se non fossimo state morse... cosa ne sarebbe stato di noi?”

Da quanto ti assilla questo dilemma?”

Come fai a saperlo?”

Calima, ti conosco da quando avevi cinque anni. Non pretendere che io non riesca a leggerti nel pensiero”.

Anch'io ti conosco da undici anni. E non sono mai riuscita a farlo”.

Rouge rise. “Non dirmi che Bizèt ti ha insegnato a fare di conto.”

°°°°°°°



Tonks lo guardò avvicinarsi alla finestra, studiò il suo viso malinconico riflesso sul vetro della finestra. Lo vide fissare insistentemente la luna. Appoggiò la tazza sul tavolino davanti a sé e, cercando e sperando nello stesso momento di non cadere e non provocare qualche imbarazzante disastro, si avvicinò alla sua schiena.

°°°°°°°



Ricordi qualcosa” esordì Rouge, distogliendo gli occhi dal cielo per scrutare la reazione sul viso dell'amica. “C'è qualche dettaglio che non ti dà pace, non è così?”

Le labbra di Calima si contorsero in un sorriso amaro. Annuì lentamente.

Se ne parli, starai meglio” le consigliò Rouge, tornando a guardare le stelle.

Calima ridacchiò. “Che ipocrita. Se non te lo dico, mi costringesti a restare qua per tutta la notte!”

°°°°°°°



Lui si era sicuramente accorto che Tonks non era più sulla poltrona. Era riuscito a sentire i suoi passi nel corridoio attraverso la porta chiusa e il suo sospiro sommesso, nonostante lo sbuffo della teiera. Gli occhi di lei guizzarono dal viso di Lupin, illuminato teatralmente dalla luce azzurrina della luna, al profilo candido della luna al di là della finestra. Posò una mano sul vetro freddo, nascondendo la vista dell'astro ad entrambi.

Dimenticati di lei” sussurrò al suo orecchio. “Fa finta che non esista. E ora che lei non esiste più, prova a ripetere che non mi vuoi”.

°°°°°°°



Non è proprio un ricordo” tentò di spiegare Calima, “è più... una sensazione.”

Una sensazione?”

Sì, una specie di... di sensazione, Rouge, non so come spiegartelo” concluse Calima, avvicinando fra loro le mani e iniziando a studiarle.

È una bella sensazione, almeno?”

Calima sorrise, quasi fosse persa davvero in un ricordo lontano. “Sì”.

Allora, tientela stretta.”

°°°°°°°



Lupin sorrise con tristezza davanti al gesto delicato di Tonks. Lei posò l'altro mano sulla sua spalla, iniziando ad accarezzargli la schiena. Lui chiuse gli occhi, aggrappandosi disperatamente al suo raziocinio. Le mani di lei lo abbracciarono, come se temessero che la sicurezza della sua camicia sotto la pelle delle braccia nude, potesse svanire da un momento all'altro. Di nuovo.

Voglio fare l'amore con te, Remus”.

°°°°°°°



Olè! Fine quattordicesimo capitolo!

Non preoccupatevi, vi lascerò col fiato sospeso per poco, lo giuro! XD

Purtroppo in questo periodo ho veramente pochissimo tempo per mettermi al computer, ma pur di finire il Diario sono disposta a non dormire! XDXDXD

Un grazie immenso a Christine, gollum93, LylieMalfoy, Luna92 ed HermioneCH.

Un bacio a tutti quanti, Trick.



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Capitolo 16
*** Capitolo Quindicesimo - A Natale ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO QUINDICESIMO

A Natale

°°°°°°°




A volte, ci sono storie la cui fine è scontata e inevitabile. A volte, invece, il destino preferisce destreggiarsi beffardo con i propri attori, ed ecco che ci ritroviamo imprigionati nei problemi che rendono umana la nostra esistenza.

Non saprei dirvi se la colpa fu del destino, quella notte. In fondo, io il destino neppure lo conosco.

Ninfadora Tonks, raggomitolata sul divano del proprio appartamento, dovette ammettere che Remus Lupin era un portatore sano di controllo e raziocinio solo fino a un certo punto. Affondò il viso nel cuscino candido che stava abbracciando, perdendosi per un attimo nell'odore del sandalo.



Domani sarai già sparito, vero?”

Lui abbassò gli occhi. “Non possiamo”.

Mi sveglierò e tu sarai a chilometri di distanza”.

Ninfadora, non-” iniziò, ma lei lo interruppe con un bacio.

Voglio pensarci solo domani mattina. Non prima. E non ora.”



Alcuni pensano che il destino giochi con noi destreggiandosi con i copioni delle nostre vite. Tonks sorrise amaramente; una strana sensazione la stava attraversando in quel momento: era angosciata, depressa e demoralizzata. Ma aveva una terribile voglia di ridere.

Si era svegliata all'alba a causa della luce del sole che filtrava fastidioso attraverso le tendine, arrotolata attorno alle lenzuola madide della notte precedente. Aveva allungato la mano alla sua sinistra, convinta che non avrebbe trovato nient'altro che un cuscino vuoto, ma l'aveva ritratta automaticamente quando aveva sentito la presenza della nuca di Lupin sotto le dita. Aveva sorriso esterrefatta e si era persa sognante nella visione di lui addormentato. Facendo leva sul gomito, gli si era avvicinata e aveva giocherellato un po' con una ciocca di capelli grigi. Doveva essere terribilmente stanco, perché non si mosse neppure quando lei aveva posato un ultimo bacio dolcissimo sulle sue labbra sottili.

°°°°°°°





Remus Lupin strizzò gli occhi per abituarsi alla luce del mattino. Mosse un po' le braccia sotto le lenzuola, stiracchiandosi silenziosamente. Con la coda dell'occhio, si accorse immediatamente che lei non era accanto a lui, ma dovette attendere qualche secondo per esserne certo, il tempo sufficiente al suo cervello di risvegliarsi completamente dal dormiveglia. Sciolse una gamba dall'intrico della coperta leggera, rabbrividendo un poco quando il piede nudo fu in contatto con il freddo del pavimento. Gli ci volle ancora qualche secondo, prima di notare il vassoio posato sul comodino con un equilibrio decisamente precario. La maglietta bianca che aveva indossato Tonks, che ricordava vagamente di aver gettato a terra, era il motivo principale di quella scarsa stabilità. La consistenza morbida dell'indumento, riposto sotto l'angolo destro del vassoio, lo rendeva un oggetto pericolosamente instabile. Facendo attenzione a non rovesciarlo, prese una tazzina, osservandone i bordi sporchi di caffè, che scivolavano lungo tutto il dorso fino a formare una piccola macchia scura sul rispettivo piattino. Sorrise mentre lo sorseggiava.

Freddo.

Spostò di nuovo lo sguardo verso il vassoio, e solo in quel momento, la sua attenzione venne attirata da un angolo di carta azzurrino che usciva dall'orlo della maglietta. Lo sfilò con delicatezza e se lo rigirò con le mani.

Il significato impresso in quella calligrafia curva e disordinata era fin troppo chiaro.





Ora siamo pari. Ti amo.

°°°°°°°





Furiosa la Luna ha osservato il peccato,

muto e sconfitto fu l'orgoglio celato.

Sulla terra di Jura tornerà rinforzata.

Attento, Remus: è veramente arrabbiata.





La frescura della sera non tardò ad arrivare. Il vento aumentò il suo soffio attraverso le fronde degli alberi, scuotendo le foglie dei frassini e sibilando nelle orecchie dei passanti. Il cielo poteva vantare una delle più vaste scale cromatiche che Londra avesse mai visto: colori freddi e colori caldi sembravano danzare davanti agli occhi di Remus Lupin, in un turbinio di sfolgorante luminosità, per poi immergersi nel riflesso del Lago Nero.

Che ci fai tutto da solo?”

Lupin avrebbe potuto riconoscere quella voce tonante anche nella più assordane delle cacofonie, ma non poteva mentire a sé stesso: era riuscito a sentire il suono dei suo piedi possenti sull'erba vellutata, fin da quando era uscito dalla propria capanna. Sorrise, mentre alzava le spalle.

Pensavo”.

Hagrid si grattò la barba incolta. “Pensi sempre troppo, tu. Ci sei andato a salutare i Weasley? Molly mica la prende bene, se parti senza salutarla”.

Non sarei mai partito senza salutarli, Hagrid. Dopotutto, potrei anche non tornare”.

Non lo dire neanche se stai scherzando, Remus” borbottò Hagrid, improvvisamente innervosito.



Lo sai” riprese Hagrid, dopo qualche istante in cui si erano limitati a fissare silenziosi il tramonto, “io me lo ricordo ancora il giorno che eravate arrivati per la prima volta a Hogwarts”.

Lupin non disse nulla.

Sirius e James andavano già d'accordo dopo un secondo che erano saliti sull'Espresso. Dovevi vederli, come ridevano. Penso che erano gli unici del primo anno che non avevano paura.”

Li ho visti, Hagrid” mormorò Lupin, in un triste sussurro. “Ho sempre continuato a vederli così”.

E poi c'eri tu, che ti nascondevi dietro tutti gli altri bambini, te lo ricordi?”

Lupin sorrise a quella malinconica reminiscenza lontana.

Piccolo e mingherlino, non ci avresti dato nemmeno uno Zellino bucato, a vederti!” esclamò Hagrid, osservando ridente il danzare del cielo nell'acqua del lago. “E poi, c'era anche Peter, con quel suo musetto ton-”

Hagrid” lo interruppe senza troppi convenevoli Lupin.

Hagrid rimase a bocca aperta per qualche minuto, incapace di rimediare al proprio, grossolano errore. “Mica volevo dire che non ha colpa...” si giustificò con una vocina mesta, “ma allora non era ancora come è adesso.”

Guardò Lupin in attesa di una risposta che tardò ad arrivare.

La guerra ha il privilegio di distruggere le maschere dietro cui solitamente amiamo nasconderci, Hagrid. È inevitabile cambiare, durante il suo corso” disse Lupin. “Ma nonostante mi sforzi, continuo ad attribuirgli la colpa di tutto ciò che è accaduto”.



Non devi andarci in quel posto, se non lo vuoi. Io ti capisco, se non ci vuoi più andare”:

Sono l'unico in grado di farlo, Hagrid. Ed è necessario che qualcuno lo faccia, indipendentemente da quanto lo voglia o no”.

Hagrid si passò una mano fra la ragnatela di capelli arruffati sul suo grande cranio, con un sorriso storto.

Guarda che con me, mica ti serve mentire” eruppe, dopo un attimo di silenzio. “Io lo so cosa significa vedere con i propri occhi tutto quello che la tua gente fa di male”.

Lupin distolse lo sguardo dal cielo, improvvisamente rapito da una piccola coccinella intenta ad arrampicarglisi sulla scarpa destra. Non rispose.

Dopo un po', quando hai visto tutto e hai sentito tutto, ti senti...” iniziò Hagrid, ma dovette ragionare qualche secondo prima di essere in grado di trovare la parola più adatta. “Ti inizi a sentire strano anche tu, Remus”.



Vorresti rimanerci, là dove sei, perché per una volta, tu riesci a vedere quelli che sono come te, e i problemi che ci abbiamo qui, là mica ci sono. Ma però non si può: perché qui, comunque, ci sono le persone che ti vogliono bene. E se ti vogliono bene, mica gli importa se sei un Mezzogigante o un mannaro, a quelli”.

Lupin sorrise malinconicamente. “Siamo condannati a non avere un posto definito nel mondo, Hagrid. Non possiamo cambiare ciò che siamo”.

È vero” convenne Hagrid, “ma questo mica deve volere dire che dobbiamo per forza essere carne o pesca, no?”

Pesce”.

Uh?”

Non importa”.



Io lo so come ti senti, Remus. Passo quello che ti tocca passare anche a te ogni giorno”.

Hagrid” soppesò Lupin, fissando nuovamente il cielo sempre più scuro, “hai pensato che, magari, non siamo noi ad essere diversi? Ti sei mai fermato a pensare che potrebbe semplicemente essere il resto del mondo, a non aver seguito la giusta rotta della Natura?”

Hagrid scoppiò in una risata che riuscì a rimbombare attorno a loro, nonostante si trovassero all'aria aperta.

Ma che ti capita, in questo tempo? Mica è una frase da te, una frase così!”

Le sottili labbra di Lupin s'incrinarono lievemente. “Già...” mormorò, “che mi capita?”

°°°°°°°





Hai preso tutto?”

Lupin sogghignò senza volerlo. “Cos'altro avrei dovuto prendere?”

Arthur Weasley si grattò pensieroso il mento. “Effettivamente...”

Una leggera e delicata scia di pennellate bianche solcavano il cielo, non ancora abbastanza chiaro per potersi dire mattino, e non più abbastanza scuro per potersi dire notte. Un ibrido celeste, poeticamente parlando.

Hai pensato a come giustificherai la tua assenza?” domandò Arthur, sfregando fra loro le mani agitate. “Sei stato via una settimana, dopotutto, e non vorrei che-”

Non preoccuparti” lo interruppe Lupin, “sono pronto ad ogni imprevisto”.

Davvero?”

Lupin storse le labbra e affondò le mani in tasca con un gesto annoiato. “No”.

Nessuno ti obbliga a farlo”.

Ho perso il conto del numero di volte che me lo sono sentito ripetere. Peccato, avrei potuto stabilire un nuovo record”.

Arthur lo fissò in silenzio, come se cercasse di entrare nella sua mente e studiare ogni sua frase inespressa.

Se potessi, ti obbligherei a restare”.

Potremmo perdere la guerra, così facendo”.

È così importante, a questo punto?”



Una folata di vento freddo si alzò rapida, attraversando le fronde dei pioppi e scuotendo la brughiera che li circondava. Gli occhi di Lupin seguirono il placido volo di uno stormo di uccelli, finché questi non si perdettero all'orizzonte. Voltò il capo verso il compagno solo dopo qualche minuto.

Non dovrebbe esserlo?”

Arthur si fissò la punta leggermente consunta delle scarpe marroni. “Non volevo dire che sono indifferente alla guerra, scusami...”

Non l'hai detto, infatti”.

È solo... che non la ritengo così importante”.

Sarei curioso di vedere la faccia di Alastor in questo momento” disse Lupin, divertito.

Arthur ridacchiò, socchiudendo le palpebre per resistere alla luce del sole nascente. “Sono convinto che non debba essere la guerra, la nostra ragione di resistenza. Non dovremmo continuare a combattere solo perché siamo in guerra, o perché non possiamo permetterci di perderla”.

Cosa ti spinge a combattere, allora?”

Non il desiderio di vincere; e neppure la speranza di un futuro migliore per tutti. Non sono interessato a salvare il mondo con un'azione eroica, Remus, non più di un qualunque cittadino inglese, perlomeno”.

Lupin lo guardò con un sopracciglio inarcato e un sorrisetto soddisfatto sulle labbra.

È per loro che voglio combattere” continuò con decisione maggiore Arthur. “Per Molly e i ragazzi. Loro sono il mio mondo, e se ti dicessi che sarei pronto a sacrificare uno di loro, per vincere la guerra, sarei il più grande ipocrita del mondo”.

Alzò gli occhi verso Lupin, accorgendosi solo in quel momento della strana espressione che gli era comparsa sul volto segnato.

Ma tu questo lo sapevi già, Remus” disse. “Perché me lo hai chiesto?”

Perché è confortante sapere che al mondo esiste ancora qualcuno come te, Arthur”.

Un padre?”

Lupin annuì. “Un padre”.

Nessuno ti ha mai vietato di esserlo, Remus”.

Sì, invece. In una notte di luna piena, una trentina di anni fa”.

Arthur scosse la testa con un sorriso. “Folle”.

Potrebbe essere l'ultima volta in cui ci vediamo, davvero vuoi che le ultime parole da te pronunciate, siano – nuovamente – una paternale sui motivi che dovrei considerare, prima di prendere una decisione a riguardo?”

Non devi comprare una casa, Remus” ribatté Arthur. “Non ci sono considerazioni da fare, a riguardo. Devi solo accettare il fatto che Tonks ti ami, incondizionatamente da ciò che sei o non sei, e che tu ami lei, incondizionatamente da ciò che dici o non dici”.



Ti aspettiamo per Natale, allora”.

Non vorrei disturb-”

Non era una domanda”.

Tu e Molly non chiedete mai il permesso prima di invitare qualcuno alla Tana?” scherzò Lupin, con un sorriso.

No, preferiamo costringerli” rispose Arthur, ridacchiando.

Allora, a Natale”.

A Natale”.

Arthur Weasley fissò la schiena di Lupin allontanarsi verso un luogo misterioso e dannato, a lui inaccessibile. Prima di vederlo svanire con una piroetta, si ritrovò a pensare, per la prima volta con serietà, che quella avrebbe davvero potuto essere la loro ultima conversazione.

°°°°°°°





Lascialo in pace, Luna infeconda,

non vede Amore nel tuo essere tonda.

Per lui non sei madre, per lui non sei dama:

lascialo in pace, ti odia e non ama.

Ma tu non ascolti dal tuo cielo lontano,

continuando a sperar, in questo Amor vano.

E in attesa non cessi di fargli dispetto,

perché è questo che fai, al tuo dolce diletto.

Appoggio la penna, e aspetto per ora,

il momento in cui a scriver ricomincerò ancora.

°°°°°°°













Sono veramente contenta che il mio espediente per rendere più “umani” i personaggi di Rouge, Calima e Trick vi sia piaciuto. Ed ora che anche il quindicesimo capitolo (continuo a stupirmi della mia tenacia) è giunto al termine non mi resta che salutarvi con un sorriso e ringraziarvi tutti di cuore, dal primo all'ultimo.

Un grazie particolare a HermioneCH, a Frytty, a Christine, Luna92, Rue Meridien e fennec. Sperando di non aver dimenticato nessuno, un bacione!

Trick





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Capitolo 17
*** Capitolo Sedicesimo - A Noël ***


CHIEDO PERDONO!

So che non dovrei neppure azzardarmi ad aprire la bocca dopo quasi quattro mesi (quattro mesi!) di assoluto blocco del Diario. Cercherò di farmi perdonare, lo giuro... *occhioni dolci*

NdA: Ho letto DH, ma non ci saranno spoiler nel corso di questa storia, non mi sembrerebbe corretto aggiungerne in seguito. Potrei inserire dettagli così irrilevanti che neanche ve ne accorgereste, ma sta di fatto che NON ci saranno SPOILER, per rispetto verso chi ha iniziato la storia e non ha ancora letto il libro.

Le descrizioni fisiche di personaggi che non sono stati descritti nei primi sei libri, si atterrano dunque solo alla mia fantasia, indipendentemente da quanto la Row mi abbia fatto leggere.



Probabilmente, tuttavia, ci saranno due versioni dell’epilogo: l’idea originale di base, pensata prima di leggere DH, e una seconda, mutata in base al suddetto libro.

Ma la fine è ancora lontana, perciò c’è tempo.

Chiedo ancora scusa e vi lascio a questo travagliato capitolo...

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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO SEDICESIMO

A Noël

°°°°°°°




Il secco rumore dei tacchi risuonava lungo i corridoi dei lussuosi interni della villa di Lucius Malfoy, diffondendosi nell’aria come l’eco di infiniti spari. La donna superò con distante alterigia il grande salone delle feste, che da tanti anni ormai rimaneva freddo e inutilizzato; il gigantesco lampadario di cristallo la fissò indignato, come era solito fare con tutti coloro attraversassero quelle mura senza degnarlo di un solo sguardo, lui che era stato lo splendore di quella villa, l’elogio e l’invidia di tutti gli ospiti ai gran balli, e che ora non sapeva rendersi conto di essere diventato solo il ricordo amarognolo di un tempo infranto, inutile quanto il blasone cigolante e arrugginito affisso ai cancelli del giardino trascurato.

Ruotò con grazia la maniglia dorata della porta di quercia, continuando a ignorare i raffinati intarsi rococò e gli elaborati putti in marmo che le sorridevano birbanti dalla cornice. Una debole e traballante luce illuminò per un attimo fugace i preziosi arazzi appesi alle pareti, creando contrastanti chiaroscuri sull’arcigno volto di marmo del mezzobusto di Abraxas Malfoy.

«Bella» chiamò nella penombra della stanza Narcissa Malfoy, «ho un messaggio da parte di Rodolphus».

Non ricevendo alcuna risposta, si avvicinò lentamente al camino, davanti al quale la sorella maggiore stava gustando un bicchiere di vino rosso. La osservò ondeggiare con movimenti esperti del polso il calice, senza distogliere gli occhi dal fuoco scoppiettante.

«Vuoi un bicchiere di vino, Cissy?» le chiese con educato distacco. «Non è neppure lontanamente paragonabile all’intruglio che serve Piton in quella catapecchia a Spinner’s End».

«No, Bella, grazie».

«Siedi».

Narcissa girò attorno alla poltrona vuota accanto a quella occupata dalla sorella, e muovendo con eleganza la stoffa celeste della lunga gonna, si sedette. Fissò il profilo di Bellatrix illuminato dal camino, cercando nel suo viso un qualunque segno le permettesse di capire i pensieri che attraversavano la sua mente. Non riuscì a scorgere nient’altro che il fuoco, fremere nelle sue orbite incavate come se cercasse di riemergere da quell’oscurità.

«Ho un messaggio di tuo marito» ripeté.

«Cosa dice?»

«Ha ricevuto dal Signore Oscuro l’ora della vostra prossima riunione».

Bellatrix non rispose, né fece cenno di averla sentita.

«Fra tre giorni, alle dieci in punto» continuò Narcissa, sistemandosi meglio sulla poltrona.

«Quanto tempo è trascorso, Cissy, dall’ultima volta in cui ci siamo sedute insieme davanti al camino?» mormorò Bellatrix, portando il calice alle labbra e sorseggiandone delicatamente un sorso. «Quanto tempo?»

«Non ricordo, Bella».

«Guarda il fuoco, Cissy. Guarda come brucia il legno dei ciocchi. Guarda come sono costretti a piegarsi davanti alla sua forza».

«Lo sto guardando, Bella».

«Io sono come il fuoco, vero, Cissy?»

«Sì, Bella. Sei il fuoco».

Il viso tirato di Bellatrix Lestrange si aprì in un leggero sorriso. Bevette l’ultimo sorso del calice e volse finalmente il capo verso Narcissa. La luce ingigantiva inclemente i segni sul suo volto: pesanti occhiaie circondavano i suoi occhi, mentre lievi ma implacabili rughe allungavano le sue labbra verso l’alto, in rigidi e spietati ghigni.

«Dove sarà la riunione?»

«Nella vecchia Casa Riddle».

Narcissa la vide storcere il naso. «Babbani» la sentì mormorare con disprezzo, più al fuoco che a lei.

«Rodolphus ha avvisato Greyback?»

«Sicuramente l’avrà fatto».

Un altra smorfia di Bellatrix, accompagnata da un borbottio indistinto che Narcissa non riuscì a comprendere. Restarono immobili e silenziose per diversi minuti, accompagnate dal solo sfrigolio del legno arso.



Io sono come il fuoco.



«Trascorrevamo le serate sedute davanti al camino, ricordi, Cissy?»

«Sono passati molti anni da allora».

Bellatrix si alzò con calma, si lisciò le pieghe del vestito e si diresse verso la porta di quercia, lanciando alla sorella un’unica occhiata imperscrutabile in prossimità dell’uscio.

«Sono passati troppi anni» mormorò di rimando, richiudendosi la porta alle spalle.

Narcissa Malfoy continuò a scrutare il fuoco danzare, immergendosi in malinconici ricordi lontani, quando davanti a quello stesso volteggiare intratteneva spensierate conversazioni con le sorelle più grandi. Allungò una mano verso la bottiglia che Bellatrix aveva lasciato sul lucido tavolino di noce, si versò un bicchiere e continuò a restare immobile davanti al camino, sorseggiando di tanto in tanto il liquido vermiglio, che la luce illuminava allo stesso modo degli occhi della sorella. Solo quando anche l’ultima fiamma, lentamente, fu spenta, Narcissa si alzò in piedi.

«Sono passati troppi anni» ripeté al nulla.

°°°°°°°







«Shopping, Ninfadorà: voilà ce dont tu as besoin»

Ninfadora Tonks abbassò gli occhi dalla rivista che stava sfogliando fiaccamente da più di venti minuti per puntarli al viso perfettamente ovale di Fleur Delacour. Aggrottò la fronte e si morse il labbro inferiore.

«Cosa?»

Fleur sbuffò, agitando con la stessa negligenza con cui Tonks si era rigirata la rivista fra le mani, la lunga chioma aurea. «Shopping, Ninfadorà. Su, su, courage, o faremo tardì!» esclamò, strappandole con un gesto secco la rivista e gettandola malamente sul tavolo della cucina della Tana – non prima di aver lanciato un’occhiata sdegnosa al genere di letture predilette da Tonks – e costringendola ad alzarsi dalla sedia.

«Ti prego, Fleur» la scongiurò Tonks, senza tuttavia opporre la minima resistenza alle insistenti spinte dell’altra giovane. «Non sono in vena di fare proprio un bel niente».

«Basta ainsì» tagliò corto Fleur, afferrando il cappotto di Tonks dall’attaccapanni e gettandoglielo fra le braccia. «Rapide, Ninfadorà: metti questo strascio, s’il vous plait.»

«Ehi» protestò con veemenza Tonks, «questo straccio è il mio cappotto».

Fleur la studiò infilarsi con poca cura l’indumento, squadrando con un smorfia di disappunto ogni particolare del tessuto. «Oui, è pour questo che andiamo a Diagòn Allì. I tuoi vètements sono indescenti quanto i tuoi cheveux».

«Fantastico» concluse scocciata Tonks, infilando un braccio dentro una manica e scagliando minacciose occhiate a Fleur. «Davvero fantastico. Finalmente potrò acquistare un dizionario al Ghirigoro, maledizione».

°°°°°°°







«Avremmo dovuto ricordarci che tutti i negozi di Diagon Alley hanno chiuso i battenti. Siamo due cretine».

«Il parle pour toi, excuses moi» ribattè aspramente Fleur. «Parla per te» spiegò, incrociando lo sguardo snervante di Tonks.

«Andiamocene Fleur» consigliò Tonks, alzandosi il bavero del cappotto per ripararsi dal vento pungente che si era appena alzato. «Non c’è anima viva ed è pericoloso restare qui».

«Credo sia aperto lajiù, Ninfadorà» disse Fleur, indicando un punto indefinito oltre le spalle di Tonks. «Andiamo a prendersci qualcosa di caldo».

Afferrò Tonks per una manica e senza troppi convenevoli la trascinò fino a una traballante porta, dalle assi di legno agganciate malamente fra loro e i cardini arrugginiti. Tonks sollevò lo sguardo alla ricerca di una qualche insegna, ma non trovò nient’altro che traccie del passaggio di uccelli sulle travi del porticato. Fleur, intanto, tentava di aprire la pesante porta.

«Veux-tu ,’aider?» sbottò Fleur.

«Cosa?»

«Aiutami!»

«È chiuso, Fleur».

«Questo non signifie che non possiamo ontrare».

Tonks alzò gli occhi al cielo. «Fleur, in inglese ‘chiuso’ ha lo stesso valore di ‘non puoi entrare’».

«So cosa signifie, mercì» ribattè l’altra, sprezzante. «Mais nous entrerons le mème». Estrasse la bacchetta e con un gesto secco del polso scandì: «Alohomora

Dopo qualche secondo di attesa, Tonks decise di aver sprecato troppo tempo, e dando le spalle al dimesso locale, fece per Smaterializzarsi nuovamente alla Tana. Una serie di scatti metallici aldilà della porta, interruppe la sua fuga. Fleur ghignò trionfante.

«Tu as vu? Je suis un gènie» disse, aprendo con un cigolio sommesso la porta ed entrando nel locale buio. «Vieni, Ninfadorà».

«Fleur, è pericoloso. Torniamocene alla Tana» ribattè con decisione Tonks, lanciando fugaci occhiate cariche di preoccupazione ai lati del vicolo. «Fleur?»

«Vieni, Ninfadorà. Dentro è mieux che dehors».

Imprecando contro il cielo plumbeo e scongiurando di non inciampare in nulla di tagliente, Tonks seguì la scia profumata di Fleur. Allungò un piede aldilà della porta, senza accorgersi del gradini. Fu questioni di pochi istanti, e Tonks si ritrovò aggrappata alla maniglia traballante, i piedi distesi sulla scala di pietra e gli occhi ancora sgranati dallo stupore.

«Ninfadorà, accident! Fa silensio, o sci scopriranno!» eruppe Fleur in un sibilo poco più che udibile.

«Chi, di grazia, potrebbe scoprirci? Non c’è nessuno».

«Non hai visto che sc’erano i gradini?»

«Se li avessi vista, non ci starei stesa sopra, non credi?» ribattè Tonks irata, tastandosi delicatamente il sedere dolorante e tentando con scarsi risultati di rimettersi in piedi. «Fleur, per tutti i Troll di Glasgow, torniamocene alla Tana. È pericoloso».

«Che fine ha fatto il proverbiale courage di voi Auròr?» la schernì Fleur. «Lumos» sentì Tonks nel buio. La punta della bacchetta di Fleur s’illuminò improvvisamente, rivelando i profili di una ventina di sedie ribaltate sui tavoli, incatenate fra loro da mille, volteggianti fili di ragnatele; sul pavimento, un incrocio di piastrelle porpora di forma triangolare era ricoperto da uno spesso strato di polvere.

«Cavolo» mormorò Tonks, «Molly darebbe di testa, qua dentro».

Fleur emise un borbottio indistinto.

«Scusa» si affrettò a dire Tonks. Raggiunse Fleur al centro della stanza, sollevando la polvere di un tavolino con la punta dell’indice. Si studiò il polpastrello sporco e disse: «Diavolo, sembra che sia chiuso da anni».

«Probabilmonte i jestori hanno lansciato incantesimi per farlo sombrare tale» congetturò Fleur, «ainsì i Manjiamorte avrebbero creduto che la tavèrne era stata abandonnée da molto più tompo».

«Molto astuto» ironizzò Tonks, «considerando che è di Mangiamorte che stiamo parlando, e non di detrattori ministeriali».

«Alle volte sono da temere majjormente i détracteurs ministériels, Ninfadorà».

Ridacchiando sommessamente, ribaltarono due sedie addormentate sul tavolino più vicino al bancone.

«Il gratte et nette» mormorò Fleur, agitando con maestria la propria bacchetta. Con uno sbuffo smorzato e una leggera nuvoletta, la polvere sparì con la stessa velocità con cui probabilmente era stata Evocata.

«Carino» commentò Tonks, sedendosi in modo da aver una perfetta visuale della porta. Vigilanza costanza, pensò automaticamente. «Forse avrei più fortuna con la versione francese».

Fleur sorrise. «Ne dubito fortemonte».

Rimasero in silenzio qualche istante, ascoltando il fischiare del vento attraverso le finestre sconnesse.

«Comme tu es?» le domandò ad un tratto Fleur.

«In Inghilterra, generalmente, tendiamo a fare questo genere di colloqui dopo i saluti iniziali, Fleur» ribatté Tonks, sollevando lo sguardo dal nodo del legno con cui stava giocherellando con l’indice ancora sporco.

«Hai capito perfettamonte cosa intendo, Ninfadorà».

«Ti spiace dare un taglio a questi irritanti ‘’Ninfadorà’’, Fleur?»

«Ti spiasce smettere di éviter l’argomento?»

Tonks sbuffò. «Che vuoi che ti dica?»

«Hai fatto come ti avevo sujjerito

«Presentarmi improvvisamente al Paiolo Magico? Sì, e già che ne stiamo parlando, devo ringraziarti per il raffreddore con cui mi sono svegliata il mattino dopo».

«Où ti sei svegliata?» chiese con un’espressione divertita Fleur.

Tonks si appoggiò sui gomiti e avvicinò le mani al mento, fissando intensamente l’altra strega.

«Ullalà» esclamò Fleur con un sorriso e rizzandosi meglio sullo scomodo schienale della sedia. «Hai fatto una nuit de follie?» ridacchiò maliziosamente.

«Ti sarei grata se risparmiassi questi commenti per il futuro» obiettò Tonks, arrossendo lievemente e squadrandola torva.

«Excuses moi» tagliò corto Fleur, alzando le mani in segno di resa ma senza smettere di sogghignare.

Tonks riprese a giocherellare con il nodo del legno, seguendone pensierosa le curve; Fleur, nel frattempo, controllò che lo smalto chiaro delle proprie unghie non si fosse rovinato nel rigirare la sedia.

«Una notte di follia che ripeterei volentieri » aggiunse in un sussurro Tonks, mordendosi il labbro inferiore e alzando gli occhi verso l’altra ragazza. «Assolutamente volentieri» precisò con un movimento imbarazzato del capo.

Il vento dovette attendere diversi minuti prima di essere in grado di sopraffare i frizzanti risolini delle due giovani. Continuò a far oscillare pericolosamente le assi sconnesse delle finestre, mentre i suoi spifferi gelidi si diffondevano sempre più rapidamente all’interno del locale, insinuandosi sotto la vecchia porta cigolante e scuotendo le delicate ragnatele delle sedie.



«Dicono che non tornerà prima di Natale» disse Tonks dopo qualche attimo di silenzio, le labbra non più arricciate in un sorriso malizioso e gli occhi intenti a studiarsi con falsa attenzione le mani. «Quasi quattro mesi, senza sue notizie».

«Quel Pitòn non riferisce a Silonte sciò che dicono i Manjiamorte? Sicuramonte saprà comme sta, e lo dirà anche a te, Ninfadorà».

Tonks inarcò un sopracciglio e le fece una smorfia scettica. «Piton sarebbe capace di Trasfigurare una pecora dello Yorkshire nel suo corpo e spedirmelo a pezzi via gufo, fidati».

«Che horreur».

°°°°°°°







Fleur allungò un braccio per cingere le spalle di Tonks, il capo nascosto fra le mani e la schiena incurvata sul tavolo di legno scossa dai singhiozzi. I capelli color topo sembravano tutt’uno con la polvere, quasi fossero diventati un manifesto alla malinconia e all’abbandono.



«Courage, Ninfadorà: à Noël ne manque pas beaucoup*».











**********************************

 

*Coraggio, Ninfadora: a Natale non manca tanto.

Forse porta sfiga, o forse dovrei smettere di ripeterlo per pura creanza, sta di fatto che non dirò niente del tipo "aggiornerò presto", "giuro di postare fra breve", nè tantomeno darò date definitive. Cercherò indubbiamente di sbrigarmi, e mi spiace, ma dovrete accontentarvi della mia parola, per questa volta.

 

Un grandissimo grazie a Frytty (mi sono commossa leggendo la tua recensione... mi meriterei una sberla a mano aperta in faccia, altroché), a Luna92 (a meno che tu non abbia fatto una vacanza attorno all'interno sistema solare, sei sicuramente in tempo per il sedicesimo capitolo ^__^), a Mary_Sue (grazie mille, soprattutto per i "suoni stupendi"... molto poetico ^__^), a Christine (che mi fulminerà per questo aggiornamento a distanza record), a Desdemona (ripensandoci, forse i miei lupi mannari sono un po' troppo "umani", ma hai ragione: Trick è adorabile così com'è. Io, un po' meno, purtroppo), a Kylie Malfoy (un grazie immenso come sempre), a HermioneCH ("aggiorna presto"... poteva andare peggio, dopotutto...), a gollum93 (anch'io ho adorato scrivere il quattordicesimo capitolo. A differenza del sedicesimo le dita mi scorrevano più libere... dev'essere il numero 16 che mi porta sfiga), e a puciu, immancabile fra le recensioni ovunque posti, (grazie mille, come sempre: siamo proprio ripetitive, io e te! ^__^)

Perdonatemi se ho scordato qualcuno... è inevitabile dopo una giornata stressante come quella che ho appena passato.

Edit: Cavolo... mi sono accorta adesso di aver raggiunto le 100 recensioni... un traguardo che non credevo avrei mai raggiunto...

 

RAGAZZI, RAGAZZE, MESSERI E MESSERE, GRAZIE 1000 A TUTTI QUANTI!!!

 

Trick







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Capitolo 18
*** Capitolo Diciassettesimo - Avevi un cane? ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO DICIASETTESIMO

Avevi un cane?

°°°°°°°




Gli occhi indulgenti e cerulei dell’anziano mago scrutarono il volto di Remus dal basso verso l’alto.

«Ciò che sei, è qui dentro» proferì con un sorriso benevolo, posando la mano sana sul suo petto, laddove sapeva esserci un cuore pulsante. «Non sulla tua spalla, Remus».



Remus Lupin, stanco e provato dalla lunga camminata appena fatta, sedette sotto i rami ormai spogli di una betulla e posò la schiena dolorante contro la sua corteccia chiara. E mentre la fresca brezza autunnale di Jura lo ritemprava soffio dopo soffio, la sua mano s’avvicinò pigramente alla clavicola sinistra, sfiorandola ritmicamente con i polpastrelli.

Al di sotto della logora e ruvida giacca, la pelle deturpata tremò impercettibilmente, scossa al ricordo di quel dolore lontano.



Non sulla tua spalla, Remus.

Non sulla tua spalla.

°°°°°°°





Guarda la Luna, figlio infedele;

Guarda la Luna, occhi di miele.







«Ti sei rasato».

«Grazie di averlo notato».

«Sei un idiota».

«Grazie di averlo notato».

Rouge arricciò il naso e riservò a Lupin una delle sue migliori occhiate superbe. Squadrò gli orli lievemente scuciti della giacca – come poteva essere così stupido da tornare a Jura a con una lurida giacca da umani – e il taglio nuovamente corto dei capelli striati.

«Sei davvero un idiota, Lupin» ripetè, accentuando l’affermazione con un deciso cenno del capo, «tanto vale inciderti sulla fronte ‘sono il cagnolino di Silente’».

Lupin la fissò taciturno negli occhi, tentando di rendersi imperscrutabile e di intuire nel contempo cosa le passasse per la testa. Affondò le mani nelle tasche e inarcò un sopracciglio. Si stupì nel ritrovarsi a pensare a quanto poco le sue intenzioni gli interessassero, intenzioni che invece avrebbero dovuto impensierirlo, considerando la sua problematica situazione. Aveva capito che Rouge – per il momento, se non altro, e questo gli era più che sufficiente – non aveva in programma rivelare a Greyback la sua vera identità, e nonostante questo avrebbe reso diffidente e completamente propenso ad abbandonare la missione qualunque altra persona, Lupin continuava, senza essere in grado di capirlo, a fregarsene altamente le palle, come avrebbe detto Sirius Black, se solo non fosse caduto al di là di quel velo all’Ufficio Misteri.

La guardò negli occhi. «Non dirai nulla a Greyback».

«Devo proprio risponderti?»

«Non era una domanda».

«Allora dovresti imparare a non fare dichiarazioni simili con tanta sicurezza, Lupin» ribattè franca Rouge, controllando distrattamente lo smalto rosso delle proprie unghie. Alzò subito lo sguardo su di lui e aggiunse con un ghigno divertito: «Inoltre, sono quasi certa che farai tutto da solo, senza bisogno che io decreti di persona la tua morte».

Gli diede le spalle e iniziò a incamminarsi lungo il sentiero arido che portava alla riva del Harrier, ma dopo pochi secondi Lupin l’aveva già raggiunta, adeguando il proprio passo a quello della donna e scrutandola confuso.

«Di che stai parlando?» le chiese.

«I Mangiamorte hanno organizzato un’altra riunione alla quale avremmo l’onore di partecipare» rispose lei con indifferenza, scostando il sottile ramo di una betulla spoglia e abbassandosi per entrare nel fitto della boscaglia.

«Noi, chi?»

«Noi, Lupin. Plurale».

«Dammi i nomi».

«Mi hai preso per la tua informatrice personale, Lupin?» replicò pungente Rouge.

Lui la afferrò per un polso e la costrinse a fermarsi.

«Aiutami, Rouge» disse.

«Prego?»

«Aiutami. Odi Greyback quasi quanto lo odio io, è per questo che non gli hai ancora rivelato il vero motivo per cui sono in questo posto».

Rouge scoppiò in una risata fragorosa. «Sbagliato, Lupin» obiettò scuotendo la chioma folta, «non gli ho detto niente perché i tuoi sciocchi tentativi mi allietano la giornata. E mi stupisce che tu mi chieda una cosa del genere, dopo quello che è successo».

Lupin trasalì, liberandola dalla stretta come se la sua pelle avesse iniziato a bruciare improvvisamente e distogliendo rapido lo sguardo dai suoi occhi. Si riscosse non appena la vide voltarle nuovamente le spalle.

«Lasciamo perdere questa questione» tagliò corto, scuotendo nervosamente una mano. Forse aveva trovato il modo di entrare appieno nel cuore di Jura: non restava altro da fare se non di convincere quel modo, magari non a collaborare attivamente, ma perlomeno a sostenerlo da lontano.

Lei si voltò e gli sorrise divertita. «Lasciamo perdere la questione?» lo canzonò. «Non è che per caso non vuoi toccare l’argomento perché hai paura di ammettere che ti è piaciuto, in fondo, Lupin?»

Lupin si morse violentemente le labbra, socchiudendo gli occhi e convocando a sé tutto il proverbiale autocontrollo di cui credeva di disporre. «Voglio semplicemente lasciare perdere la questione, Rouge» terminò laconico, enfatizzando il tutto con un secco movimento della mano destra, «ho cose più importanti a cui pensare, al momento».

Rouge emise un verso di ironica comprensione. «Capisco» disse, «un’altra anima innamorata».

Lupin la ignorò.

«Mi aiuterai?»

«Perché dovrei?»

«Perché-»

«Non ripetere che odio Greyback quasi quanto lo odi tu, o mi sentirò in dovere di assaporare nuovamente la tua gola, Lupin» sibilò, lanciandogli un’occhiata fulminante. «E questa volta sarà decisamente più doloroso della precedente».

Lupin si bloccò un attimo. «Per quale motivo lo odi?» chiese infine, stupendosi di quanto tranquilla suonasse la propria voce. Decisamente stava impazzendo.

Rouge lo guardò con un’espressione stupita che avrebbe potuto sembrare quasi indulgente, comprensiva.

«Tu» rispose dopo averci pensato qualche istante, «perché lo odi?»

«Ha distrutto la mia vita» rispose Lupin forse con una rapidità eccessiva, «e con la mia, quella della mia famiglia».

«Ha ucciso la tua famiglia?» domandò Rouge, con lo stesso tono leggero con cui avrebbe potuto informarsi sulle condizioni metereologiche di Londra.

Lupin le sorrise debolmente. «La morte non è l’unico mezzo con cui si può distruggere un uomo, Rouge. I miei genitori cercarono disperatamente un modo per... be’, farmi tornare come prima».

«Tentarono di curarti pur sapendo che non esiste cura al morso dei licantropo?» domandò in sussurro lei.

«Già».

Rouge si bloccò improvvisamente, lo sguardo fisso davanti a sé e le braccia incrociate al petto. Lupin si fermò a pochi passi da lei, studiando con interesse la sua reazione.

«Scommetto che di notte sentivi tua madre piangere attraverso il muro della tua cameretta» sussurrò, scrutando apparentemente fra le ombre delle felci. «Scommetto che tuo padre le gridava di smetterla, perché le sue lacrime non avrebbero cambiato nulla. Magari lo sentivi sbattere la porta di casa con furia, e prima di accorgertene, hai iniziato a trovarlo addormentato sulla poltrona del vostro salotto, con la barba ruvida e i capelli più grigi di quanto non ricordassi. Forse apriva gli occhi, ad un certo punto, e allora ti accorgevi di quanto pesanti fossero le sue occhiaie e di quante piccole vene rosse attraversassero I suoi occhi. Può darsi che avessi anche un fratello, e chissà, magari ha smesso di parlarti dal giorno in cui sei stato così sciocco e sconsiderato da sgattaiolare all’aperto quando tutti gli altri bambini dormivano nei loro letti, completamente indifferente al profilo della luna piena nel cielo. E avevi un cane, magari, Remus? Un cucciolo di labrador che ti seguiva ovunque andassi, scodinzolando allegro ad ogni tuo movimento? Ha iniziato a ringhiarti contro, Remus, una volta che Greyback ti ha morso? Ha smesso di scodinzolare e ha iniziato a rizzare il pelo, ogni volta che i vostri sguardi s’incrociavano nel cortile?».

Lupin socchiuse leggermente la bocca, fissandola sconcertato.

«Rouge-»

«Non siamo così diversi come credi, Remus» tagliò corto lei. «Abbiamo solo scelto strade diverse».

Lupin la guardò sparire fra la fitta vegetazione del bosco di Tupin, senza dire nulla. Rimase a fissare il punto dov’era sparita, pensieroso.



Avevi un cane, Remus?

°°°°°°°°







Grimmauld Place n°12, Londra;

diversi mesi prima;







Remus era finalmente riuscito a ricordare il titolo di quel vecchio romanzo che aveva letto all’età di tredici anni, in un freddo fine settimana d’inverno. Si era quindi alzato dalla poltrona del salotto, interessato a scoprire se la vecchia biblioteca dei Black ne possedesse una copia. Stava per imboccare la seconda rampa di scale, quando un borbottio indistinto e lamentoso raggiunse le sue orecchie, incuriosendolo più della ricerca dell’agognato testo. Allungò il collo verso lo spiraglio di luce che filtrava dalla porta del bagno, illuminando la polverosa moquette porpora.

«Maledetto Malocchio!» sentì sbottare, seguito da un frastuono di oggetti scagliati a terra. «Maledetto, maledettissimo Malocchio!»

Sbirciò all’interno, e cercò disperatamente di non ridere. Dovette mordersi le labbra e portare le mani al viso, tentando di nascondere I segni della sua ilarità. Ninfadora Tonks, neo-diplomata Auror, novellina dell’Ordine della Fenice era inginocchiata sul pavimento inzaccherato di pezzi scrostati di intonaco del bagno allagato con il volto a forma di cuore ricoperto da un leggero strato di polverina bianca e un’espressione così indispettita da sembrare comica.

«Hai bisogno?» le chiese.

Lei sobbalzò con un gridolino e voltò rapidamente la testa verso la porta da cui Remus era appena entrato. Aveva I capelli rosa completamente fradici e appiccicati fra loro da una sostanza biancastra che Remus immaginò fosse stucco per muro.

«Non volevo spaventarti, perdonami» si scusò con un sorriso. Squadrò un’ultima volta le sue condizioni, e chiese, reprimendo con difficoltà una risatina: «Cosa stavi cercando di fare?»

«Il lavandino perde, il muro è pieno di chiazze di umidità e l’intonaco crolla a terra» elencò lei, fissando contrariata gli elementi citati e mettendosi in una posizione seduta decisamente più comoda.

Lei dovette leggere sulla faccia di Remus la domanda – più che logica - che stava per rivolgerle.

«Non sto usando la bacchetta» lo anticipò, «perché Malocchio mi ha messo in punizione, e mi ha proibito di usarla» mormorò, digrignando i denti con rabbia ad ogni parola pronunciata.

Remus non riuscì più a trattenere il ghigno con cui aveva lottato negli ultimi cinque minuti. Erano anni che Malocchio non costringeva più i nuovi membri dell’Ordine a simili torture: gli tornarono alla mente le ore notturne passate a ricopiare tutti i rapporti del Quartier Generale degli Auror datati 1926, convinto – e ingannato – da Moody su quanto elevata fosse la loro importanza per la guerra in corso. Aveva sempre creduto che Moody si divertisse non poco a martirizzare le reclute nelle maniere disparate, e continuava tuttora a crederlo.

«Coraggio, ridi: so che non aspetti altro».

«Ti sbagli».

«Come no».

«Dico sul serio».

«Lo ha detto anche Sirius».

«Mi stai paragonando a Sirius?»

«Dammi un motivo per cui non dovrei farlo».

«Sono in grado di dartene ben più di uno» sentenziò Remus, fingendosi offeso e mostrandole l’indice. «Uno: Sirius Black è un incurabile bastardo, qualità che sicuramente tu non hai trovato in me».

Lei inarcò un sopracciglio diffidente.

«Due: Sirius Black è tremendamente infedele, aggettivo che sicuramente non trova accordo con il mio fare di gentiluomo».

«Sirius ha sempre detto che non sei famoso per il numero delle amanti, difatti» ribattè lei, con un sorrisetto divertito.

«E questo ci porta al punto numero tre: Sirius Black mente incessantemente sia di giorno che di notte, e lo fa dannatamente bene».

«Ha mentito anche a riguardo delle tue amanti?»

«Temo proprio che tu non ne verrai mai a conoscenza».

«Potrei sempre chiederglielo».

«E saresti in grado di fidarti di lui dopo tutto quello che ti ho detto?»

«Dammi altri tre motivi per cui, di conseguenza, dovrei fidarmi di te».

Remus si grattò falsamente pensieroso la tempia destra, fissandola intensamente. «Innanzitutto» proruppe infine, «i commenti a me riferiti all’interno di questa casa sono generalmente positivi...»

«Piton ha detto che sei uno stronzo, incapace, arrogante e inutile Grifondoro» citò lei, guardandolo curiosa e afferrandosi divertita le ginocchia come avrebbe potuto fare una ragazzina.

«Fatta eccezione dei commenti di Piton, ovviamente».

«Ovviamente» lo schernì lei. «Secondo motivo?»

«Non ho rivelato a Molly che sei stata tu a mangiare la fetta di torta che aveva nascosto nel terzo ripiano della credenza della cucina».

Tonks spalancò la bocca. «Come diavolo fai a saperlo?»

«Logica» rispose lui con semplicità, «e una traccia inconfondibile di briciole che arrivava fino alla porta della tua stanza».

«Dannate briciole».

Lui le sorrise divertito, infilò le mani in tasca e uscì dal bagno senza aggiungere una parola e socchiudendosi delicatamente la porta alle spalle.

«Remus» lo chiamò lei a gran voce, «non mi hai detto il terzo motivo!»

Una leggera luce azzurrina filtrò al di sotto della porta, attorcigliandosi dolcemente attorno ai bulloni del lavandino – che iniziarono a stringersi come mossi da un invisibile chiave del sedici – alle macchie d’umidità – che lentamente iniziarono a ritirarsi – ai pezzi di intonaco abbandonati sul pavimento – che volteggiarolo leggeri fino al loro posto d’origine.

Tonks si guardò incuriosita attorno, prima di lanciare un’occhiata torva alla porta.

«Io sono ancora tutta sporca e l’acqua è anc-»

Una seconda scia luminosa penetrò nel bagno e le volteggiò un attimo attorno: l’acqua evaporò nel giro di pochi istanti, lo stucco fra I suoi capelli si sciolse e la polverina bianca sul suo viso scomparve.

Rimase ad ascoltare il suono dei passi di Remus diminuire mano a mano che s’allontanava lungo il corridoio.

«Un terzo motivo più che valido» pensò con un sorriso Tonks.

°°°°°°°









Un aggiornamento a distanza di due giorni, per farmi perdonare delle orripilanti settimane di inattività di quest'estate.

Non che non avessi il tempo, ma ho avuto una penosa, deprimente e assolutamente totale perdita di creatività. Un duro colpo psicologico per il mio pc: temo si sia convinto che io abbia cercato di abbandonarlo, e ora me la stia facendo pagare distruggendo tutti i file di cui ho bisogno.

Se in questo capitolo ci sono più errori di battitura e di ortografia del solito, chiedo perdono anche a nome suo: ha distrutto il mio correttore ortografico e ora mi sto aggrappando ad uno on-line di cui non mi fido completamente.

Comunque sia, devo ringraziare SakiJune, Frytty, gollum93, Christine, e fennec, sperando che anche il diciasettesimo capitolo vi piaccia come i precedenti. Ed ora, ATTENZIONE, SIGNORI, ATTENZIONE.

RIPETO: ATTENZIONE, SPOILER NELLA N.D.A DA QUI IN POI!!!

SPOILER!

SPOILER!
SPOILER!

SPOILER!

 

 

...SIGNORI, È L'ULTIMO AVVERTIMENTO: SPOILER.

 

Come ho detto all'inizio del capitolo precedente, questa storia ha già i binari prestabiliti, con un inizio, un mezzo e un finale come tutte le storie che si rispettino. Dopo la lettura di Deathly Hallows (di cui non voglio neppure parlare, mi sembra quasi di essere stata derubata) il finale della mia storia non si è rivelato lo stesso della Rowling. E ci credo, per la miseria: vi sembra il modo di farli uscire di scena!? *respiro profondo*

Sta di fatto che - una volta terminato il Diario, probabilmente prima dell'uscita dell'edizione italiana - posterò un epilogo, da riallacciare alla storia per intero, ma completamente diverso da quello inglomerato nel Diario completo, spero di essere riuscita a spiegarmi.

E per rispondere a Christine, purtroppo sì, quell'epilogo terrà conto di tutto ciò che è accaduto nel settimo libro e di tutti i suoi nuovi personaggi. Probabilmente, comunque, sarà l'unica storia in cui tratterò della loro morte. Come hanno già detto tantissime amanti della coppia, per me quel libro non è mai stato scritto. Un furto, e non mi riferisco certo alla sola morte di Remus e Tonks. Il mio discorso è molto più ampio.

Al prossimo capitolo,

Trick



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Capitolo 19
*** Capitolo Diciottesimo - I saggi non si rasano ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO DICIOTTESIMO

I saggi non si rasano

°°°°°°°






Pallida Luna, mia rivale d’amore,

perdessi la vita, riavrò il suo calore.









«Ancora qui, a quest’ora della notte, Ninfadora?»

Tonks sollevò lo sguardo dalla punta degli anfibi al viso rugoso di Albus Silente, mordendosi nervosamente il labbro inferiore e tentando di mantenere un’espressione il più formale e pacata possibile.

«Mi deve scusare, professore, ma-»

«Certo che no, Ninfadora, certo che no» la interruppe garbatamente Silente, sorridendole con dolcezza e facendole strada attraverso i lunghi tavoli deserti della Sala Grande, «fa sempre un immenso piacere rivedere i propri studenti gironzolare ancora una volta per queste mura; in qualche modo, e un po’ come tornare indietro negli anni, non ti pare?»

La giovane strega sollevò gli occhi sul soffitto, incantato, quella sera, per imitare la luminosità azzurrina del cielo notturno: milioni di piccoli puntini luminosi la salutavano da lontano. Sorrise.

«Sì» rispose, «è un po’ come tornare indietro».

«Accomodati dove preferisci, Ninfadora».

Tonks distolse di colpo la propria attenzione dalla trapunta di stelle sopra la sua testa e guardò confusa Silente. «Qui?»

Silente sorrise maggiormente. «Amo chiacchierare sotto il cielo stellato, e quello di questa sera, non per vantarmi, è riuscito particolarmente bene. Sono convinto che aiuti ad aprire la mente; è seduto su queste panche che ho avuto le mie più geniali trovate».

Tonks sedette sul freddo asse di legno di una delle due panche centrali – quelle di Corvonero, se non ricordava male – e osservò I dettagli della Sala Grande con aria malinconica.

«Nostalgia, Ninfadora?» domandò amabilmente Silente.

«E chi non avrebbe? Ho trascorso i miei anni più belli, qui dentro».

«La professoressa Sprite non è del tuo stesso avviso, temo: continua a ripetere che la tua presenza fra i Tassorosso è stata probabilmente fra le più sfibranti a cui si sia mai trovata davanti».

«Non faccio fatica a immaginarlo» ridacchiò.

Silente abbassò il capo, e grattandosi distrattamente la lunga barba bianca, la scrutò al di sopra delle lenti a mezzaluna dei suo occhiali.

«So perfettamente come ti senti, Ninfadora».

«Professore» rispose lei in un sussurro, «volevo scusarmi con lei per come mi sono comportata nel suo ufficio l’ultima volta. Non avrei dovuto dirle quelle cose, e voglio che sappia che non le penso» si fermò un attimo e si mordicchiò il labbro pensierosa. «Be’, a dire la verità pensò ancora che Piton sia un-»

«Ninfadora, ti prego: Severus potrebbe essere ovunque» la fermò con un sorriso divertito Silente. «E non è necessario che tu mi dica tutto questo».

«Sì, invece, professore: è necessario per me. Voglio che sappia che quello che ho detto l’ho detto solo per... be’, era un periodaccio, ecco. Non penso assolutamente che a lei interessi solo vincere la Guerra e sconfiggere Lei-Sa-Chi una volta per tutte. E capisco quanto la missione di Remus sia di fondamentale importanza, così come posso immaginare quanto lei abbia cercato una differente soluzione. Se davvero avesse preso alla leggera il compito che gli ha affidato, sono certa che avrebbe mandato Remus a Jura molto prima di quest’estate».

Aveva parlato rapidamente, muovendo concitatamente le mani e senza distogliere lo sguardo dagli occhi dell’anziano mago seduto nella panca davanti alla sua, in preda all’agitazione. «Mi dispiace, professore» concluse mestamente.

«Anche a me dispiace, Ninfadora».

°°°°°°°







«Sto pensando se davvero mi conviene portarti con me, Rouge» disse Greyback, attraversando l’interno della propria tenda a grandi falcati, sollevando nuvolette di polvere ad ogni passo. «L’ultima volta mi hai fatto fare una figura pessima».

Rouge strinse fra loro le rabbia, fece un respiro profondo e rispose, tentando di apparire più colpevole di quanto in realtà non si sentisse: «Mi spiace, Fen».

«È il minimo che ti dispiaccia» grugnì, interrompendo la camminata per scrutarla torvo. «Preferirei che rimanessi qui a controllare Jura, in mia assenza, ma sei anche la più adatta ad accompagnarmi a questa riunione».

Si avvicinò a lei e affondò la faccia fra i suoi capelli, ispirandone con forza l’odore. Le labbra di Rouge si assottigliarono, divenendo quasi un’unica linea.

«Dopotutto» mormorò languidamente Greyback al suo orecchio, «resti pur sempre la mia seconda, Rouge, no?».

«Sì, Fen» rispose automaticamente, «la tua seconda».

°°°°°°°







«Bizèt!»

Lupin alzò gli occhi dall’Harrier, distogliendo la propria attenzione – dopo venti minuti – dai riflessi che il sole creava in quel punto dove il ruscello si faceva più largo e capiente.

«Trick, sparisci. Non ho voglio di giocare».

«Ma devo dirti una cosa!»

«Dimmela e sparisci».

«Cosa mi dai se te la dico?» cantilenò il ragazzino, storcendo le labbra in un sorriso da conquistatore e incrociando le braccia al petto con aria di sfida.

«La domanda più corretta è ‘cosa ti farò se non me lo dici’, Cucciolo di Lupo».

Trick sbuffò deluso, chinandosi per afferrare un ciottolo bianco e cercando di scagliarlo sulla superficie cristallina dell’acqua facendolo rimbalzare. Nonostante la concentrazione, il sasso finì presto a fondo con un tonfo sordo.

«Allora?»

«Fen ti vuole vedere» disse, trovando un secondo sasso e apprestandosi nuovamente al lancio, infilando la lingua fra i denti come se fosse al culmine della sua concentrazione.

«Fen?» ripetè Lupin, mascherando abilmente la nuova spinta preoccupata che aveva preso ad attraversare la sua colonna vertebrale. «Che vuole?»

«Non lo so, a me mica me lo viene a dire». Scagliò il braccio nell’aria e attese ansioso il risultato dell’ultimo lancio. Fece una smorfia amareggiata dinanzi all’ennesimo fallimento.

«Quando?»

«Adesso».

Trick afferrò il sasso più vicino al suo piede, e inclinò il busto indietro per ottenere una forza maggiore.





«Lanci come una femmina, Lunastorta».

«La mia mascolinità è molto sensibile, non ti permetto di trattarla così».

«Perfino Codaliscia saprebbe fare di meglio».

«Ho già ammesso di essere una schiappa nel lancio dei sassi, Felpato: sii educato e non infierire maggiormente».

Sirius Black lanciò un’occhiata sprezzante a Remus Lupin, prima di chinarsi sulla riva del Lago Nero. La luce si faceva sempre più rada, mano a mano che i minuti trascorrevano, mentre nel cielo, tinto di un colore fra l’indaco e il grigio chiaro era già possibile intravedere il profilo confuso di una mezzaluna. Allungò un braccio indietro e scagliò con una forza inaudita il ciottolo chiaro.

Cinque rimbalzi.

«Non male, eh?»

«Va’ a mangiare Vermicoli».







«Mettilo giù» gli disse Lupin.

«Cosa?» domandò confuso Trick.

«Quel sasso» rispose, alzandosi in piedi e scrollandosi malamente la sabbiolina bianca della riva dai pantaloni scuri «non è della forma giusta. Non riuscirai mai a farlo rimbalzare».

Trick obbedì lanciando un’occhiata curiosa a Lupin.

«Non è questione di quanta forza imprimi nel lancio» spiegò pacatamente, chinandosi a sua volta e scrutando fra i ciottoli finché non ne individuò uno a forma di lenticchia grande poco meno di un pugno, «ma di come il sasso entra in contatto con l’acqua».

Se lo rigirò un attimo fra le mani, e lo lanciò lungo la sponda dell’Harrier. Il sasso colpì l’acqua con precisione, ma a differenza dei precedenti, proseguì rimbalzando fino a cozzare contro un arbusto aggrappato al terreno fangoso del ruscello.

Trick sgranò gli occhi e fece un sorriso da orecchio a orecchio. «Come ci sei riuscito, Bizèt?» domandò eccitato, saltellando da un piede all’altro. «Me lo insegni, vero?»

Lupin sorrise, afferrando un altro sasso e tendendolo alle mani tese di Trick. «Il trucco è cercare di lanciarlo in modo che sia solo la parte dietro a toccare l’acqua» disse, muovendo il braccio magro del ragazzo fino a fargli raggiungere l’angolatura più idonea, «e non dondolare la mano coma hai fatto prima, comprometti l’equilibro del lancio».

Si allontanò da lui e annuì senza smettere di sorridere. «Prova, coraggio».

Trick strinse gli occhi in direzione del fiume e con uno scatto deciso scagliò il sasso. Il lancio non risultò né dritto, né preciso come quello di Lupin, ma i tre rimbalzi che ne conseguirono mandarono in estasi il ragazzino.

«Hai visto, Bizét? Hai visto?» strillò esaltato. «Ci sono riuscito anch’io!»

«Molto bravo» ridacchiò Lupin, «ora non devi far altro che scaldare il braccio».







«Non importa con quanta forza lo tiri, Lunastorta» disse James Potter, passandogli un sasso al volo e sorridendo al suo tentativo di afferrarlo senza farlo cadere, «ma come riesci a farlo arrivare in acqua».

Fece volteggiare il sasso sulla sua mano un paio di volte, prima di lanciarlo con forza verso il lago.

Otto rimbalzi.

«Ho visto fare di meglio» si finse indifferente Sirius, riabbassando lo sguardo alla ricerca di un ciottolo adatto al lancio. «Da Lunastorta, per esempio» lo canzonò con un ghigno.

«Dai, Lunastorta, prova ancora» lo incitò James, imitando il gesto di lanciare il sasso che stringeva nel pugno a Sirius «non dar retta a quel sacco di pulci di Felpato».

«Ehi!»

Remus fissò con poca convinzione il sasso che James gli aveva offerto, se lo rigirò fra le dita pallide e cercò di lanciarlo in modo che il dietro infrangesse la superficie prima del davanti.

Tre rimbalzi.

James gli sorrise smagliante, alzando i pollici in segno di vittoria.

«E bravo il nostro Remus» esclamò Sirius, «ora non devi far altro che scaldare il braccio».







«Solo scaldare il braccio» mormorò Remus, inoltrandosi nell’oscurità delle betulle e delle querce del bosco di Tupin e avviandosi verso il villaggio.

°°°°°°°







Fra i lupi l’hai scampata, gran fortuna;

ma il Signore Oscuro conosce il tuo volto di luna.

E adesso che lo incontri, come ti snodi?

Speri di salvarti con i tuoi cortesi modi?





I piedi di Lupin si bloccarono automaticamente davanti al taglio sciupato attraverso il quale si accedeva nel giaciglio di Fenrir Greyback. Era sempre riuscito a evitare di avere contatti con lui più a lungo di quanto non fosse necessario – in attesa del permesso di Silente per cominciare ad operare in modo più attivo all’interno di Jura – ed ora, a pochi metri dall’uomo a cui aveva sempre attribuito tutti i problemi della sua vita, si sentiva male.

«Chi c’è, là fuori?» esclamò imperiosa la voce di Greyback, librando attraverso la sottile fessura.

Merlino, aiutami.

«Sono Bizèt» rispose, sforzandosi di sembrare il più naturale e disinvolto possibile, «Trick mi ha riferito che volevate parlarmi, signore».

«Che diavolo stai aspettando, idiota, un invito scritto!?»

«Oh, oh» mormorò una vecchia dal viso rugoso, aprendosi in un sorriso sdentato e guardando di traverso Lupin, «buona fortuna, ragazzo. Non è in buona oggi».

«L’avevo notato».

Allungò una mano, e anticipato da un lieve fruscio della stoffa, entrò nella tenda del capo di Jura. Era esattamente come la prima – ed unica, fortunatamente – volta in cui vi aveva messo piede: le sudicie coperte sulle quasi si era accomodato al suo arrivo, erano ancora abbandonate in un angolo, ma questa volta, ad accuparle era la figura composta di Rouge. Accavallò le gambe e gli scoccò un’occhiata minacciosa, mentre, sfruttando un attimo in cui Greyback rivolgeva la schiena ad entrambi sillabò silenziosamente qualcosa che Lupin decifrò come un: «Se ti lasci scappare qualcosa, ti uccido».

Lupin le annuì impercettibilmente, fissando l’imponente presenza di Fenrir Greyback. I grossi bicipiti villosi erano attaccati a un paio di spalle rigide, ad un collo taurino e ad una mascella incredibilmente squadrata; la possente muscolatura forzava i bottoni della logora camicia che indossava, a tal punto che Lupin si ritrovò a pensare che se uno di quei bottoni fosse schizzato improvvisamente verso di lui per l’eccessiva pressione, sicuramente sarebbe morto.

«Sei in ritardo» lo ammonì Greyback, squadrandolo intensamente con i suoi occhi gialli. «Perché ci hai messo tanto?»

«Scusi, signore» si affrettò a dire, mentre con lo sguardo intravedeva Rouge alzare gli occhi al cielo, «mi sono intrattenuto qualche secondo con il ragazzino».

«Piantala di chiamarmi signore, lo detesto».

«Sì, sig-» iniziò, interrompendosi bruscamente. «Sì, Fenrir».

«Così va meglio».





«Papà, cosa voleva quell’uomo da te?»

«Affari di lavoro, Remus, niente di cui tu debba preoccuparti. Torna in casa».





«Non mi domandi perché ti ho fatto chiamare, Bizèt?»

«Aspettavo che me lo dicessi tu, o la conversazione non avrebbe avuto un seguito».

«Ho bisogno di qualcuno che mi accompagni a Londra, fra tre giorni» spiegò Greyback, lasciandosi cadere sulla stessa, grossa sedia su sui era seduta Rouge durante il loro primo incontro, e allungando una delle sue gigantesche mani verso un calice posato su una cassa di legno dall’aspetto malfermo.

«Vino?» domandò.

Rouge gli fece cenno di sì con capo.

«Sì, gra-» iniziò, interrompendosi nuovamente. «Solo se è rosso, il bianco fa schifo» si corresse rapido.

Greyback ridacchiò. «Sono d’accordo con te, ragazzo» ribatté. «Rouge» ordinò, schioccando autoritario le dita.

Rouge si alzò meccanicamente, afferrò dal tavolo alla sinistra di Lupin due calici vuoti e li riempi fino al metà. Ne tese uno a Lupin, ma invece di riaccomodarsi come lui aveva supposto, si appoggiò con l’ultima vertebra al bordo del tavolo, sorseggiando con disinteresse il proprio vino.

«E perché vuoi che sia io ad accompagnarti a Londra?»

«Conosci Little Hangleton?»

Lupin strinse nervosamente i pugni all’interno delle tasche. Maledizione, certo che conosceva Little Hangleton: era il nome del villaggio dove si trovava il cimitero nel quale Voldemort era risorto e aveva cercato di uccidere Harry, dannazione. Certo che lo conosceva, ma cosa era meglio rispondere, ora, a Greyback? Ragionò rapidamente, fingendosi pensieroso per destare meno sospetti possibili. Rouge inarcò divertita un sopracciglio.

«Little Hangleton, hai detto?» rispose dopo qualche secondo, «Un villaggio dalle parti di Hartlepool, mi pare. Ma che t’importa di un paesino di Babbani, Fenrir?»

«È lì che dovrò incontrare i Mangiamorte».

«A Little Hangleton?»

Greyback grugnì. «Finché si tratta di Londra, so arrivarci. Ma non vado nella contea di Durham da almeno trent’anni».





«Guarda, papà, guarda! Riesco a vedere anche la cattedrale da quassù!»

«Ci credo che riesci a vederla, Remus: la cattedrale di Durham è gigante».





«Quindi hai bisogno di me per arrivare a Little Hangleton» concluse Lupin.

«Tu sai la strada?»

«Sì, direi di sì», rispose Lupin, evitando di sottolineare il fatto di essere cresciuto in quella stessa contea. L’unica luna piena che aveva potuto vedere senza trasformarsi, pensò con un moto di rabbia, era quella di Durham.

Greyback dimostrò la propria soddisfazione con un ghigno compiaciuto. «È fatta, dunque» concretò picchiando le mani fra loro e alzandosi in pieni, «verrai con me e Rouge».

«Cosa?» domandò Lupin, spiazzato e orripilato allo stesso tempo, «credevo... credevo vi dovessi solo accompagnare».

La bocca di Rouge si arricciò in un sorriso che coprì rapidamente con il dorso della mano libera dal calice di vino. «Perché non vuoi farci compagnia, Bizèt?» chiese, con un bagliore estremamente interessato negli occhi.

Ma guarda che bastarda...

Lupin si umettò nervosamente le labbra, guardando prima la donna – intenta a fissarlo come se lui non fosse nulla di più di un comico alle prese con un numero particolarmente ridicolo – poi l’uomo – che non aveva abbassato gli occhi dal suo viso per un solo istante – e disse con naturalezza: «Non credevo di meritarmi questo privilegio, Fenrir».

Questa è la balla più idiota che potessi trovare, sembrava dire l’espressione di Rouge, Silente sperava davvero che ti salvassi?

«Dopotutto vivo qui solo da pochi mesi» aggiunse, sperando di sembrare credibile e sinceramente onorato di quell’opportunità inaspettata, «e non sono certo fra i tuoi uomini migliori».

«Sai muoverti nel mondo dei maghi, Bizèt, è più che sufficiente» ribattè Greyback. «Il tuo aiuto mi tornerà senz’altro utile in futuro».

«Come desideri» mormorò, soffocando il sentimento astioso che ormai imperversava nelle sue vene.

Ubbidendo a un cenno deciso della mano di Greyback, Lupin e Rouge uscirono silenziosamente dalla tenda, il primo fissandosi inquieto la punta delle scarpe, e la seconda fischiettando un allegro e ritmato motivetto.

«Se fossi stata io il capo, ti avrei già ucciso» disse, una volta usciti dalla calca di licantropi del villaggio, «sei proprio un imbecille».

«Perché non mi hai avvertito, l’altro giorno?» la ignorò completamente lui, guardandola torvo.

«Ti avevo detto che avresti potuto spiare i contatti di Fen con i tuoi occhi» ribattè lei, divertita, «di che ti lamenti?»

«Ma sei impazzita?» sibilò Lupin, fermandosi di colpo e fissandola sconvolto, «i Mangiamorte conoscono il mio volto, mi riconosceranno subito, maledizione!»

Lei inarcò un sopracciglio con fare saccente. «Quindi?»

«Quindi mi faranno la festa, Rouge» eruppe Lupin, muovendo conticato le braccia, «quanto credi che possa resistere davanti a Voldemort in persona? Dannazione, dannazione, dannazione!» urlò, lasciandosi scivolare su un masso e coprendosi la testa con le mani.

«Avresti dovuto pensarci prima di raderti, Remus Lupin» lo canzonò Rouge, allontanandosi con un’ultima occhiata divertita, «ti preferivo selvaggio».

°°°°°°°









Diciottesimo capitolo terminato più in fretta di quanto non pensassi *applausi in sottofondo*. Grazie, grazie, non importa.

Stavo pensando che non ho mai spiegato che il nome Rouge, non deriva dalla traduzione francese di Severus Snape (Severus Rouge, nel caso non lo sapeste), ma dal Moulin Rouge di Parigi (colpa – o merito? – del tappettino per il mouse che ho comprato in Francia per mio zio).

Non so dove sia cresciuto Lupin, ma io ho preferito attenermi all’altra ff (giuro che mi deciderò a postare l’ultimo capitolo, chiedo perdono), «Storia di una Bella e della Bestia senza Bella e senza Bestia», o il casino nel mio cervello sarebbe aumentato drasticamente.

Dovevo evitarlo.

Frytty: grazie mille, mi fa tanto piacere e mi fa anche sentire in pace con me stessa. ^__^ Davvero, davvero, davvero grazie per esserci sempre.

CUCCIOLA_83: no, no, nessuno spoiler; ho iniziato senza spoiler, e non mi sembrerebbe corretto metterne ora. Non tutti abbiamo letto il libro... non dico altro. Mi ha fatto tantissimo piacere sapere che una Remus/Tonks fan accanita come te abbia letto la mia storia e gli sia piaciuta. Grazie mille.

Christine: non abituarti troppo a questa velocità di aggiornamento, è solo che la pioggia mi rende malinconica e più solo malinconica più sono ispirata. Non appena arriverà San Martino (e con lui si spera il picco di caldo e sole) potrebbe esserci di nuovo un’interruzione. Non è colpa mia se sono meteropatica, mi spiace. ^__^ Grazie mille.

Kikkina90: Be’, diciamo che per quanto riguarda l’infanzia di Rouge non posso ancora dire niente. Insomma, niente spoiler nè di DH, ma neppure dei capitoli successivi, no? Un po’ di suspence *luci soffuse* non hai mai ucciso nessuno. ^__^ Adoro il rapporto d’amicizia fra Remus e Sirius, molto più di quello fra Sirius e James. Sarà perché nonostante sia una fiera fan di Remus/Tonks, non disprezzo le Sirius/Remus? L’inconscio, vallo a capire. Grazie mille, spero ti piaccia anche questo.

SakiJune: ti ringrazio; ho come l’impressione di aver fatto troppo umani alcuni licantropi, ma li preferisco così e, purtroppo, non riesco davvero a fare di meglio. Non ho una mente così contorta da scrivere scempiaggini e schifezze varie, non posso farci niente. E non preoccuparti, non seguirò ASSOLUTAMENTE la storia originale. Per ovvi, lapalissiani motivi. ^__^

Elbereth: sorvoliamo l’argomento... ho la straordinaria capacità di rigirarmi il coltello nella piaga da sola, a forza di parlare di DH. Grazie mille, spero ti piaccia anche questo capitolo.

chloe89: due giorni? Santo cielo, non ci sarei riuscita neanch’io che l’ho scritta... complimenti per la tenacia. ^__^ Anch’io adoro il personaggio di Sirius (e sinceramente: chi non lo adora?), per questo cerco di infilarlo di straforo ovunque posso. Spero che questo Sirius ragazzino ti sia piaciuto. Grazie mille.

gollum93: Un aggiornamente rapido che non posso garantire si ripeterà, ovviamente... ma ormai vi siete abituati ai miei tempi discontinui, potremmo dire che proseguite per pura forza di inerzia... ^__^ Anch’io mi sono divertita scrivendo della scena del bagno, probabilmente perché è ispirata da un fatto di vita quotidiana. La mia vita quotidiana, purtroppo... peccato non fosse venuto nessun aspirante principe azzurro a deliziarmi con la sua presenza... accidenti.

Lady_bird: sono davvero felicissima che tu abbia iniziato a leggere il mio Diario! Purtroppo nei capitolo successivi potresti incappare in numerosissimi errori di battitura e patetiche dimenticanze ortografiche – sto correggendo tutti i capitoli, mano a mano che ho tempo libero – ma spero li apprezzerai ugualmente. Grazie mille.

puciu: temevo che Rouge diventasse un personaggio fatto e scontato, ma a quanto pare non lo è completamente e questo non può che farmi piacere. Per quanto riguarda la storia di Rouge... be’, non posso dire niente. Se proprio vuoi saperlo, mi sono immaginata Rouge come una donna sicura di sé, forse in maniera eccessiva, decisa e spesso arrogante. Ha molti rimpianti, molte ambizioni e tanti difetti. Io non la definisco nè buona, nè cattiva, come hai detto tu, e dopotutto, non c’è nulla di totalmente buono o totalmente cattivo. Per quanto riguarda il cane, mi spiace deluderti,ma no, non ho mai avuto il cane (sono un’amante dei gatti, a dir la verità). Mi sono di nuovo riallacciata alla stessa ff ‘Storia della Bella e della Bestia senza Bella e senza Bestia’. Lì avevo scritto che Lupin aveva un labrador – coincidenza – così ho riadatto la storia alla figura di Rouge. E poi, dire che il gatto aveva cominciato a soffiarle contro o il pappagallino a mordicchiarle le dita non penso sarebbe stato lo stesso. Insomma, nonostante preferisca i gatti, i cani sono decisamente più affettuosi.

No, fidati: il mio computer non è un tipo sentimentale, coccole o non coccole, mi manda al diavolo comunque. E si diverte, anche, il bastardo.



Be’, vi saluto e, approvato che quando dico che aggiornerò presto porto sfiga, non dico nient’altro.

Grazie ai tantissimi che stanno seguendo questa storia.



Trick





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Capitolo 20
*** Capitolo Diciannovesimo - Fra serpi e grifoni ***


************************

Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO DICIANNOVESIMO

Fra serpi e grifoni

°°°°°°°





Questa dannata guerra finirà quando saremo troppo vecchi per goderci la pace.

(Jim Morrison)







I passi precipitosi ma cadenzati di Severus Piton rimbombavano fra i corridoi deserti della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts; il mento alzato e lo sguardo inquieto sparivano e riapparivano, illuminati solo a tratti dall’esigua e traballante luce delle torce appese alle pareti.

«Severus?» domandò una voce di donna dall’altro capo del corridoio, «Severus, sei tu?»

«Sì, Minerva».

«Non è il tuo turno di pattugliare i corridoi» disse la McGranitt, aumentando la propria andatura e raggiungedo il collega, «è successo qualcosa?»

«Nulla di cui preoccuparsi, devo solo parlare con il Preside».

«Questo significa che è successo qualcosa, Severus» ribatté lei piccata, incrociando le braccia al petto e guardandola sospettosa. «E considerando il numero di cattive notizie che sei solito portare, sono certa che ci sia parecchio di cui preoccuparsi».

Lui la fissò intensamente, senza parlare.

«Dunque, Severus?» lo incoraggiò, mentre il suo piede destro iniziare a battere nervosamente sul pavimento. «Cos’è successo?»

«Lupin si è rivelato un infiltrato pessimo come qualunque Grifondoro che si rispetti» riferì con un ghigno di distaccato divertimento, «la sua missione si è complicata improvvisamente».

La McGranitt sbiancò e sgranò gli occhi terrorizzata. «Che gli è successo?» chiese rapidamente, stringendosi agitata nella lunga veste scura. «Sta bene?»

Piton annuì. «Purtroppo».

La donna lo fissò con un’espressione da nevrastenica, e afferrando con decisione il braccio di Piton lo trascinò velocemente in direzione dell’ufficio di Albus Silente, ripetendo, di tanto in tanto, qualche «gli avevo detto che era una follia», più alle secolari pareti della scuola, che al professore di Pozioni alle sue spalle. Dal canto suo, lui si lasciò trascinare senza lamentarsi troppo dalla donna, il lato sinistro della bocca sollevato in un ironico e compiaciuto sorriso.

°°°°°°°







«È stato deciso il luogo della prossima riunione, Preside» spiegava Piton, non più di cinque minuti nell’Ufficio di Albus Silente, «dopodomani, alle dieci, nella vecchia dimora dei Riddle».

«Immagino andrai anche tu, Severus» disse l’anziano mago, pulendosi con calma e tranquillità gli occhiali a mezzaluna.

«Naturalmente, Preside».

La McGranitt – immobile davanti alla scrivania da quando erano entrati – continuava a fissarlo ansiosa, intrecciando nervosamente le mani fra loro.

«Severus, per tutte le sottane di Merlino, parla!» eruppe dopo qualche secondo di silenzio.

Silente rivolse un’occhiata curiosa alla donna, prima di prestare nuovamente la propria attenzione su Piton. «C’è altro che dobbiamo sapere, Severus?»

«Sì, professore» rispose, «non sarò l’unico infiltrato dell’Ordine, a quella riunione, a quanto pare».

Nonostante la sua espressione fosse di puro stupore, con un semplice movimento del capo fece capire a Piton di aver afferrato pienamente il succo della questione. «Dunque Remus è riuscito ad ottenere la fiducia di Fenrir Greyback».

Piton annuì.

La McGranitt, invece, strinse con decisione l’orlo della veste, come se stesse richiamando a sé tutta la forza degna di una direttrice della casa di Grifondoro del suo calibro.

«È stata una mossa azzardata quella di mandarlo a Jura, Albus» esordì con veemenza. «Credo sia il caso di cercare un modo per farlo tornare a Londra prima di dopodomani; farlo partecipare a quella riunione sarebbe come condannarlo a morte!»

«Sai chi parteciperà a quella riunione, Severus?» domandò Silente, come se non avesse udito alcunché delle parole della McGranitt.

«Non di preciso, Preside, ma l’Oscuro Signore e Bellatrix Lestrange non mancheranno sicuramente».

Silente intrecciò fra loro le mani, pensieroso. «Dovremmo escogitare un modo per farlo passare inosservato, dunque» disse, dopo una breve pausa.

«No, Albus» ribadì fermamente la McGranitt. «Devi farlo tornare a casa! Che senso ha fargli rischiare la vita per essere presente ad una riunione da cui, in qualunque caso, otterremo informazioni da Severus?»

«La riunione è del tutto relativa, Minerva» spiegò pacatamente Silente, alzandosi dalla sedia che aveva occupato compostamente fino a quel momento, e avvicinandosi alla grande finestre dell’ufficio. «Se Remus non vi prenderà parte come Bizèt, non avrà alcuna speranza di proseguire il proprio incarico a Jura. O, nel peggiore dei casi, di tornare a Londra».

«Credo che Minerva abbia ragione, Preside» obiettò risoluto Piton. «Sebbene io sia completamente indifferente alla previsione della sua morte – per non dire ottimista – sono convinto che la sua missione possa dirsi conclusa».

Nonostante i suoi commenti maligni – di cui la McGranitt non si curò probabilmente per l’eccessivo nervosismo – la donna gli rivolse un ampio sorriso.

Silente annuì. «Non possiamo permettere a questo ostacolo di impedire a Remus di procedere con la seconda parte della missione. Fra poco avrebbe dovuto iniziare a reclutare appoggi da parte dei licantropi, attirandoli dalla nostra parte. È di fondamentale importanza che riesca, perlomeno, a limitare il numero di seguaci di Greyback».

«Anche a costo della sua vita, Albus?» sbottò la McGranitt. «Non è sufficiente averlo mandato a convivere con l’essere che ha rovinato la sua esistenza, costringendolo a fingere di essere uno di quei... quei mostri... sai meglio di me quanto fragile sia Remus sotto questo punto di vis-»

«Minerva» sussurrò Piton, guardandola in tralice e scuotendo la testa. La donna si morse ansiosa le labbra sottili, domandandosi se forse, questa volta, non aveva davvero esagerato.

«Mi sono sempre detta contraria a questa missione, Albus. Non puoi pretendere che io ora sostenga il suo proseguimento».

«Forse potremmo trovare un modo per farlo partecipare alla festa, senza che desti troppi sospetti» propose Piton, «sempre sperando che non sia la sua stessa imbecillità a far crollare la copertura».

«Sospetti?» ripetè la McGranitt, stupita, «Severus, è di Tu-Sai-Chi che stiamo parlando: gli basteranno a dir tanto cinque secondi per scoprire la vera identità di Remus, indipendentemente da come si presenta a quella dannata riunione».

«Ne sono perfettamente consapevole, Minerva, considerando che trascorro con lui la maggior parte del mio tempo libero» ribattè freddamente Piton. «Non intendevo certo proporre di mascherarlo da strega Morgana, se è questo che hai capito».

«E allora cosa intendevi, Severus? Pozione Polisucco, forse? Sai meglio di me che non funzionerebbe».

Silente, che fino ad allora era rimasto a fissare – apparentemente rapito dal paesaggio notturno del parco di Hogwarts – aldilà del vetro della finestra, si grattò distrattamente la barba e intervenne in quella discussione sempre più fervida.

Grifoni e Serpenti... una pessima combinazione sotto qualunque forma.

«Credo che Severus stesse lanciando l’idea di allontanare il pericolo stesso da Remus, piuttosto che allontanare Remus dal pericolo» disse. «Non è forse così, Severus?»

«Non avrei saputo trovare parole migliori, Preside».

«E dopotutto», riprese l’anziano mago, «si dice che non potendo impedire al topo di uscire dalla propria tana, occorra legare il gatto con il filo della distrazione».

La McGranitt fissò sconcertata i due uomini un attimo, prima di scoppiare in una risata nervosa. «State davvero proponendo quello che ho capito? Distrarre Voi-Sapete-Chi? E, di grazia, Albus, come credi di agire? Non puoi certo attaccare Harry Potter all’asta di una bandiera e sventolarglielo davanti al naso».

«Tecnicamente l’Oscuro Signore ne è sprovvisto, Minerva» ironizzò Piton, «ma devo ammettere che l’idea di attaccare Potter ad un’asta mi attrae incredibilmente».

La McGranitt finse di non sentirlo, ma assottigliò le labbra fissando la schiena di Silente.

«Cos’hai intenzione di fare, dunque, Albus?»

Silente si voltò guardandola con dolcezza. Un sorriso di pacata indulgenze gli si dipinse sul suo vecchio volto stanco. «Minerva, posso cortesemente domandarti di lasciare me e Severus da soli qualche minuto?» chiese amabilmente, «dovremmo accordarci di alcuni dettagli rimasti in sospeso».

La McGranitt fissò il Preside come se questo l’avesse appena tradita, ma non ribatté in alcun modo; si limitò ad assottigliare ancora di più le labbra – già di loro natura eccessivamente sottili – e a dirigersi a passo altero e deciso verso la scala a chiocciola che l’avrebbe ricondotta nei bui e deserti corridoi della scuola. Lanciò un’ultima occhiata apprensiva prima di posare il piede sul primo gradino, e disse, in un sussurro ansioso poco più che udibile.

«Di questo passo, Albus, solo noi vecchi potremmo goderci la pace, sempre che questa dannata guerra veda una fine» sentenziò. «Lascia tornare Remus a Londra, lascia che trascorra del tempo con Tonks. Hanno bisogno di stare insieme, e Merlino solo sa quanto».

°°°°°°°







«È troppo pericoloso, Preside. Non posso permettervi di rischiare così la vita. Siete troppo importante per l’esito di questa guerra».

«Ti ringrazio, Severus» mormorò stancamente Silente, massaggiandosi con lentezza le tempie con i polpastrelli, «ma non vedo altro modo in cui potremmo agire».

Piton sospirò. «Lasci che me ne occupi io, vi prego».

Silente sorrise con dolcezza. «No, Severus, no. Senza di te l’Ordine non avrebbe la più pallida idea dei piani di Lord Voldemort, e al momento, mi duole dirlo, ma è tutto ciò di cui disponiamo».

«Senza di me forse mancherebbero le informazioni, Preside» ribadì con fermezza Piton, «ma la vostra morte si rivelerebbe forse la perdita più inestimabile fra tutte; senza contare, naturalmente, che l’Oscuro Signore avrebbe completamente carta bianca, in caso di una vostra prematura dipartita».

«Harry sarebbe la perdita più inestimabile di questa guerra, Severus. Solo lui, fra tutti noi, un giorno, sarà in grado di sconfiggere i poteri di Voldemort».

«Mi perdoni, Preside, ma continuo a dubitarne fortemente; Potter è un ragazzino arrogante, strafottente e assolutamente incapace» sibilò freddamente Piton, incrociando stizziti le braccia al petto e fissando torvo Silente. «Talis pater, talis filius».

Silente scoppiò in una risata divertita. «Non sono del tuo parere, Severus, ma sta di fatto» disse, «che agiremo come concordato».

«Come voi avete concordato, Preside. Io continuo a trovarla una pessima idea».

L’anziano mago sorrise accoratamente. «È l’unica cosa che possiamo fare al momento, Severus. Azzardando l’anticipazione del recupero del secondo frammento dell’anima di Voldemort, abbiamo grandi possibilità di allontanarlo da Casa Riddle, e così facendo, incrementare le probabilità per Remus di sopravvivere».

«Preside» incalzò con risolutezza Piton, avanzando di un passo verso la lucente scrivania di quercia, «l’Oscuro Signore non cascherà in un tranello così banale. È perfettamente consapevole della vostra ingegnosità, capirà che si nasconde qualcosa sotto all’impulsività di un simile gesto».

«Non credo, Severus, non credo» mormorò Silente, rigirandosi le unghie sotto gli occhi con fare tranquillo, «Voldemort sta allentando contemporaneamente sia la propria sicurezza, che quella del suo esercito. Diventa sempre più audace e irrefrenabile, si lascia trascinare dalla passione provocata dalla convinzione di essere a un passo dalla vittoria; e questo, è indubbiamente un punto a nostro vantaggio».

«O svantaggio, Preside, dipende dai casi» ribattè Piton. «I suoi attacchi si fanno sempre più potenti e temibili; non avendo più la preoccupazione di essere scoperto agisce con libertà sempre maggiore, non curandosi di limitare le misure della propria offensiva. La nostra resistenza è completamente passiva, non saremo mai in grado di fronteggiare il suo esercito».

«Sei sempre stato troppo pessimista, a riguardo, Severus».

«E voi troppo ottimista, Preside. Il mio consiglio è quello di far ritirare Lupin dal suo incarico, finché siamo in tempo, e dedicarci al miglioramento dei nostri punti di forza».

«È quello che stiamo facendo» ribattè con pacatezza Silente, guardando Piton al di sopra degli occhiali a mezzaluna. «Remus è uno dei nostri punti di forza, finché lavorerà a Jura e ci riferirà tutte le mosse di Greyback. Non abbiamo il numero di spie di cui dispone Voldemort, Severus, e non è necessario che te lo dica. Non possiamo permettere che la copertura di Remus cada, capisci?»

Piton annuì con un sospiro sconfitto. «Certo, Preside».

«Perfetto» concluse Silente con un sorriso. «Ed ora, vediamo di perfezionare le ultime mosse che ci sono rimaste. Mi duole doverti costringere a perdere una notte di sonno, Severus, ma è necessario».

«Non si preoccupi, Preside» rispose Piton, evocando con un gesto elegante della bacchetta una raffinata poltrona verde davanti alla scrivania, «è sempre un piacere trascorrere il mio tempo con voi».

°°°°°°°







Era da più di un’ora che Tonks continuava a rigirarsi nel proprio letto senza riuscire a prendere sonno. Aveva cambiato la propria posizione in tutte le combinazioni che le erano venute in mente: su entrambi i fianchi, a pancia in giù, sulla schiena, con la testa appoggiata su tre cuscini, senza nessun cuscino, con la maglia del pigiama, senza la maglia del pigiama, con le gambe distese e con un cuscino sulla faccia.

Tutto completamente inutile. Si alzò a sedere, e con uno sbuffo scocciato posò sul pavimento i piedi nudi, rabbrividendo al freddo contatto delle piastrelle fredde con la propria pelle. Afferrò una vecchia felpa sgualcita delle Holidays Harpies, e scostando la tendina di perline che divideva la camera da letto dal corridoio del suo piccolo e modesto appartamento, si avviò verso la cucina. Aveva appeno aperto la credenza – la più bassa: in casa sua non vi era nulla posizionato a grandi altezze – alla ricerca di un qualunque cosa potesse sollecitarle il sonno, quando una rapida successione di colpetti al vetro delle finestra la fece sobbalzare. Sbattè con un grugnito la testa contro lo sportello.

«Diavolo!» imprecò furiosa, alzandosi in piedi e richiudendo con un colpo violento la credenza, «diavolo, diavolo e diavolo sotto radice quadrata!»

Lanciò uno sguardo indemoniato alla finestra, e con sua grande sorpresa, scorse – nonostante la scarsa illuminazione – il profilo indistinto di un piccolo gufo appollaiato sul davanzale. Si avvicinò strofinandosi i capelli, ruotò la maniglia e permise al volatile di accoccolarsi sulla sua mano tesa.

«Disgraziato di un uccello, tra un po’ non mi rompo la testa per colpa tua» disse, guardandolo con un sopracciglio incarcato. «E non fissarmi con quegli occhioni da gufo in pena, non so se ho qualcosa da darti da mangiare e non ho intenzione di riaprire quel dannato sportello fino a domani mattina».

Lo posò sul tavolo, rovistò velocemente fra il primo cassetto del mobile, e ne riemerse con un pacchetto di cracker salati.

«Non sono il massimo della freschezza, ma dovrai accontentarti. Considerali un risarcimento per i danni fisici della mia zucca, pulcino» ridacchiò, tendendogliene metà e sedendosi sulla sedia più vicina. «Mi auguro che tu abbia almeno buone notizie, o giuro che ti faccio arrosto. Chissà che non mi aiuti a dormire».

Il gufetto allungò la zampetta in modo che lei potesse estrarre dal sacchetto di velluto porpora il piccolo rotolo di pergamena. Lo spiegò e sgranò gli occhi per lo stupore.

Quante volte aveva visto quella calligrafia minuta e tagliente? Almeno un centinaio, il più delle volte per comunicarle quanto pessimo si fosse rivelato – nuovamente – il suo compito o quante poche speranze avesse di superare il schifosissimo corso di Pozioni. Se le ricordava a memoria, una dopo l’altra.

Ho avuto il piacere di leggere le risposte più idiote e mentecatte che uno studente avesse mai dato ad un mio test di fine trimestre. Grazie, Ninfadora, è un onore vederti ancora fra i vapori dei miei sotterranei.

Che accidenti poteva volere Piton da lei a quell’ora della notte? E perché diavolo lui che aveva la possibilità di dormire, non lo faceva, per tutte le ranocchie di Oxford?





Devo parlarti, Ninfadora. Preferibilmente ora.

Non posso certo rimandare i miei impegni di domani per te.

Alla Testa di Porco.



Severus Piton



P.s.

Ti sarei grato se non soffocassi il mio gufo con la tua goffaggine.





Ninfadora lanciò un’occhiata perplessa all’uccello davanti a lei, intento a beccare allegramente un pezzo di cracker grande quanto lui.

Merlino, ti scongiuro, pensava Tonks, mentre si infilava il primo paio di jeans che le capitarono a portata di mano, fammi addormentare improvvisamente.

°°°°°°°













E siamo all’alba del ventesimo capitolo (presto in arrivo, don’t worry!)

Ventesimo... Madonna santa, non ci credo.

Be’, come potete vedere sto cercando di accellerare i tempi di aggiornamento, in modo da poter terminare la storia prima dell’uscita dell’ultimo libro in italiano. Non chiedetemi il motivo, è un obiettivo che mi sono posta, e che come al solito, non manterrò.

Beata forza di volontà, saltami addosso.



Spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo: sono quasi le due di notte (o due della mattina, come preferite; io sono stanca alla stessa maniera in qualcunqe modo la mettiate), indi per cui dovete farvelo piacere per forza.

Non mi dilungo in anticipazioni del ventesimo (ventesimo!! Non è possibile...) capitolo: vi dico solo che accadrà qualcosa che ho sempre voluto scrivere da quando ho finito di leggere il Principe Mezzosangue. A dirla tutta, è dal terzo capitolo del Diario che fremo dalla voglia di scriverlo.

Ed ora che vi ho infilato per bene la pulce nell’orecchio, sono abbastanza soddisfatta per ringraziare veramente di cuore tutti coloro che stanno continuando a seguire la mia storia. Sapere che siete così in tanti mi fa un piacere immenso.

E un grazie particolare va naturalmente a SakiJune, Pioggia, Lady_bird, chloe89, Kikkina90, fennec e Frytty.



Vi saluto: è già la seconda volta che devo mascherare il computer acceso in computer spento, spegnendo tutte le varie lucine a destra e a sinistra. Mio padre non riesce a capire che scrivere è il mio sfogo terapeutico, e continua a minacciarmi di ritirarmi lo schermo, o eventualmente, vendere i miei occhi al banco dei pegni di San Martino. In qualuque caso, sarebbe una tragedia con la T maiuscola, sottolineata e corsivo.

In grassetto no, mi sa che porta iella.



Al prossimo capitolo,

Trick





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Capitolo 21
*** Capitolo Ventesimo - Someone's waiting for you ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO VENTESIMO

Someone's waiting for you

°°°°°°°





La Testa di Porco non era mai stata famosa nè per la sua pregiata clientela, nè tantomeno per la piacevolezza e la cortesia del suo proprietario. Il vecchio Aberforth continuava a servire gli stessi frequentatori da un lasso di tempo così grande, che ormai, dopo tanti anni, aveva perfino imparato a riconoscerli sotto qualunque costume decidessero di mascherarsi. Mascherarsi, sì. Che genere di persone credete possano bazzicare in una simile spelonca? Sta di fatto, che Ninfadora Tonks aveva varcato con riserbo – molto più di quanto era solita fare, per inciso – la pesante porta di legno, lasciandosi annunciare all’interno non da una tintinnante campanella d’ottone, ma da un freddo e angosciante cigolio dei cardini.

Aberforth sollevò gli occhi gonfi dal bancone, domandandosi chi potesse essere così squilibrato da entrare nel suo locale di notte fonda, con i tempi che correvano. Inarcò sospettoso un sopracciglio in direzione di quella giovane dai capelli color topo e il naso leggermente arrossato per il gelo autunnale che si faceva giorno dopo giorno sempre più rigido. La vide guardarsi con espressione spaesata attorno, fin quando non scorse la sagoma di Severus Piton nascosta nella penombra di un angolo.

Il professore di Pozioni alzò lo sguardo prima su di lei, poi, con un gesto quasi seccato, ordinò un secondo calice di Whisky Incendiario. Aberforth fece le spallucce, e rovistando alla ricerca della bottiglia, si chiese per quale dannato motivo la gente non preferisse dormire, di notte.

°°°°°°°







Be brave, little one.

Make a wish for each sad little tear.



«È orrendamente strano» commentò Tonks dopo qualche secondo di imbarazzante – almeno da parte sua – silenzio, «sorseggiare del Whisky Incendiario in sua presenza, professore».

«Preferirei non sapere quale genere di bevanda sei solita bere, Ninfadora, per definire ‘’whisky’’ questo».

«Tonks».

«Conosco già il tuo nome, Ninfadora, ti ringrazio. Probabilmente non hai mai avuto modo di notarlo, ma sono stato tuo professore per sette, interminabili e irritanti anni» ribattè Piton indifferente, portando alle labbra il calice.

Lei si morse il labbro inferiore con stizza. «Perché mi ha fatto venire qui a quest’ora? È pericoloso, sconveniente ed è tutto fuorché gradevole».

Piton alzò lo sguardo su di lei, che prontamente, abbassò gli occhi.

«Non c’è nulla nel tuo cervello che io brami di sapere, Ninfadora» sibilò malignamente, «sempre che ci sia qualcosa dentro. Ho sempre avuto l’impressione contraria, a riguardo».

«Mi ha svegliato a quest’ora per insultarmi, professore?» sbottò Tonks, battendo con forza il calice sul tavolo e rovesciandone qualche goccia ambrata sul legno grezzo del tavolo.

«Non sei una presenza abbastanza stimolante neppure per essere insultata, perciò, al fine della nostra discussione, no» rispose con durezza l’uomo, «è di Lupin che dovevo parlarti».

Le nocche di Tonks sbiancarono attorno al bicchiere. Alzò rapida gli occhi alla ricerca di quelli di Piton, sconvolta e irrequieta. Aprì la bocca per parlare ma Piton la interruppe bruscamente.

«Sta bene» disse apatico, alzando gli occhi al cielo. «Per ora».

«Che significa ‘per ora’?» chiese Tonks, con una voce di un tono più alto della norma per l’agitazione. «Cos’è successo?»

Piton ghignò alla vista dei luccichii disperati che si erano accesi improvvisamente negli occhi della giovane. Patetica, pensò.

«Parteciperà ad una riunione di Mangiamorte» spiegò Piton, tirando con indifferenza un filo nero dell’orlo della sua manica sinistra, «deliziandomi con la sua compagnia, non è una notizia meravigliosa?»

«Cosa?» strillò lei.

«Sto seriamente prendendo in considerazione l’idea che tu sia diventata improvvisamente audiolesa, Ninfadora. Non puoi essere davvero così tarda da aver bisogno che io ripeta sempre ciò che ho detto da poco meno di due secon-».

«In che senso, ‘riunione’?» lo interruppe in un sussurro agitato Tonks, completamente estranea al commento di Piton. «Cioè... con tutti i Mangiamorte?»

«Hai una vaga idea del numero complessivo di Mangiamorte al servizio dell’Oscuro Signore? Ovviamente non saranno presente tutti, ma coloro che, gerarchicamente parlando, occupano le posizioni più elevate. Riesci a capirmi, Ninfadora, o devo chiedere ad Aberforth di portarmi un pezzo di pergamena così da farti uno schema riassuntivo?»

Tonks sembrò non udire neppure le sue parole. Continuava a fissarlo a bocca aperta, incapace di emettere suono e con la sensazione che non sarebbe mai più stata in grado di alzarsi da quella scomoda e dura seggiola senza accasciarsi in terra.

Non è vero.

«Credi che io abbia davvero tempo da perdere dietro al tuo cuore straziato, per dirti il falso?»

«Non è quello il punto, è che... non mi legga nel pensiero!»

«Non è colpa mia se al Ministero hanno abbassato gli standard per reclutare i cadetti Auror» ghignò Piton, «il tuo cervello è trasparente come un bicchiere d’acqua, Ninfadora».

Tonks sbuffò nervosa, sfregando fra loro le mani screpolate dal freddo. La prossima volta, appuntò mentalmente, in preda ad una silenziosa crisi isterica che sembrava divertirsi a pilotare nelle direzioni più confuse i suoi pensieri, avrebbe cercato i guanti con maggiore attenzione. Erano sicuramente finiti sotto all’armadio dell’ingresso. O sopra, a seconda dell’angolazione con cui li aveva lanciati quando li aveva tolti l’ultima volta.



Someone’s waiting for you.



«Perché me lo ha detto?» chiese in un sussurro.

«Perderai mai l’abitudine di fare domande completamente idiote e illogiche, Ninfadora?» sospirò stancamente Piton.

«Tonks» lo corresse noncurante lei, quasi come se fosse diventata una reazione spontanea, quella di puntualizzare il proprio cognome in ogni occasione possibile. «Risponda alla mia domanda, per quanto idiota e illogica possa sembrarle, professore. Perchè è venuto fino a qui, rischiando di far saltare la sua copertura? Deve esserci qualcosa sotto».

«Mi allieta scoprire quanto grande sia la fiducia che riponi nei miei confronti. Tale e quale a quel cialtrone di Black. Siete la prova vivente che buon sangue non mente» disse Piton, con un sorriso beffardo. «Oh, che sbadato. Tu sei la prova vivente, non lui» aggiunse, compiaciuto.

Tonks appoggiò le orbite stanche alle mani, sfregandosi gli occhi con un gesto doloroso e spossato. Cercò di dimenticare quella fredda malignità, ma si rivelò complesso quanto superare la stessa morte del cugino. Insultò mentalmente Piton, e lasciandosi cadere nella disperazione più nera, lanciò qualche altro improperio a Sirius. Se solo tu non fossi morto, bastardo, pensò senza il minimo barlume di ragione, sentendosi gli occhi bruciare improvvisamente, ora non sarei qui con lui. Sei un bastardo, torna a casa.







Don’t cry, little one.

You’ll be a part of the love that you see.





«Molto commovente» commentò impassibile l’uomo, «tuttavia, non credo di potermi trattenere abbastanza a lungo per godermi la fine dello spettacolo».

«Sto male, professore» mugugnò, tirando su col naso ed espirando profondamente dalla bocca, «non mi sono mai sentita così male. Sto male di giorno, sto male di sera e sto male di notte».

Piton sorseggiò con disinteresse il suo whisky, guardandola sprezzante.

«Non so cosa fare, professore» gemette, mentre le lacrime iniziavano a scenderle lungo le gote pallide. «So che a lei non gliene frega niente, ma io amo davvero Remus. E non so cosa fare».

Il mago inarcò tracotante un sopracciglio e la fissò con distaccato interesse. Rimasero così per un paio di minuti che a entrambi parvero un eternità: il primo, a giocherellare con il bicchiere ormai vuoto, e la seconda, con il volto coperto dalle mani e la schiena scossa dai singhiozzi.

Aberforth li guardò da lontano, nauseato da quella disgustosa manifestazione sentimentale.

°°°°°°



And you’re sure to see the light.

Soon there’ll be joy and happiness.





«È per questo motivo che detesto gli innamorati» eruppe Piton senza il minimo avviso, «siete così assoggettati l’uno dall’altra».

Tonks, suo malgrado, sorrise debolmente. «Lei non è mai stato innamorato, professore?»

«Questi non sono certo affari che ti riguardano».

«Lo prendo per un sì».







°°°°°°°



Have faith, little one.





«Lei è mai stato , professore?»

Piton la guardò con un sopracciglio inarcato di divertita sopportazione. «Là, dove, di grazia?»

«A Jura».

L’uomo sbuffò un’ennesima volta. «Cosa credi che sia, Ninfadora? Una meta di villeggiatura?»

«Credevo che...» iniziò titubante Tonks, mentre le labbra le si assottigliavano dal nervosismo, «...insomma, che i suoi rapporti... insomma, che avesse contatti, insomma, ha capito».

«Un altro ‘insomma’ e probabilmente mi avresti causato un colpo apoplettico» ribattè apatico Piton, svuotando il calice di Whisky e riposandolo sul tavolo tarlato con un gesto secco e deciso, «e rinverdendo il tuo discorso, no, a differenza di te, non mi sono mai umiliato a tal punto da avere... come li hai definiti? Rapporti, giusto, con dei licantro-».

«So perché disprezza tanto Remus, professore» lo interruppe in un sibilo tagliente Tonks, «non conosco tutta la storia, certo, ma a grandi linee, mi hanno raccontato quello che è successo».

Gli occhi scuri e gelidi di Piton la scrutarono indecifrabili, socchiudendosi mano a mano che le parole delle ragazza facevano brezza nel suo cervello. Sembrava trattenersi dal compiere un atto decisamente impulsivo, o violento, nessuno sarebbe riuscito a penetrare nei suoi veri pensieri.

«Chi te l’ha raccontata?» bisbigliò lui debolmente. Tonks ebbe l’impressione di aver toccato un argomento off limits per Piton, ma non accennò a volerlo abbandonare. Una parte segreta e infima di lei, la acclamò silenziosamente per questa piccola, ma gratificante, vittoria personale.

«Che importa?»

«È stato Black, non è vero?» chiese, con un tono lievemente più alto del normale. «E immagino ti abbia deliziato nel narrarti dell’impresa più eroica della sua breve quanto insulsa vita, non è così? Più eroica, probabilmente, dell’essersi fatto ammazzare per salvare – nuovamente – la pelle del suo altrettanto insulso figlioccio».

Sembrava che più alla ragazza, stesse parlando al silenzio che li circondava. La sua voce era ancora fredda e distante, ma Tonks scorse un accento di furiosa alterazione nei suoi modi ermetici.

Tonks decise di non rispondere direttamente a quella domanda a doppio taglio. «Anche se fosse stato lui» disse, cercando di scegliere le parole con quanta più cura era capace, «cambierebbe qualcosa?»

Lui storse il naso, e nonostante un movimento improvviso del tronco avesse fatto credere a Tonks che se ne sarebbe andato, Piton rimase seduto, immobile davanti a lei; nonostante i loro occhi si specchiassero gli uni negli altri, la giovane non era in grado di scorgervi alcuna emozione.

«Ci tengo che lei sappia» mormorò Tonks, distogliendo impulsivamente lo sguardo dall’uomo e concentrando la propria attenzione sulla pelle arrossata attorno alle pellicine delle falangi, «che io non ho la stessa considerazione che Sirius aveva di lei».

Piton non si mosse, e Tonks lo tradusse come un invito a continuare.

«Sirius era tutto tranne che razionale, aveva un senso della moralità incredibilmente basso... ed era un esagerato esibizionista» elencò con un sorriso di malinconica allegria. Inchiodò i propri occhi lucidi su quelli dell’uomo, umettandosi le labbra e annuendo con orgoglio «ma era un grand’uomo, professore. Se c’era qualcuno che non meritava di morire, dopo tutto ciò a cui è sopravvissuto... era lui».





Someone’s waiting for you.





«Tuttavia» riprese con maggiore decisione, «credo che, così come lei continua ad avere un’opinione sbagliata su di lui, lui avesse un’opinione sbagliata su di lei».

«TI pregherei di raggiungere il più rapidamente possibile il punto della questione che ti preme, Ninfadora, come ti ho già ripetuto, non ho tempo da perd-»

«Io mi fido di lei».

°°°°°°°







Tonks gettò con poca grazia il mantello sopra la cassapanca dell’ingresso, disinteressata al fatto che la mattina dopo lo avrebbe ritrovato sgualcito così tanto da non poterlo indossare. Ma ormai albeggiava, fra meno di due ore si sarebbe dovuta svegliare per raggiungere il Ministero della Magia e sicuramente le condizioni dei suoi abiti non occupavano i primi posti nella sua scala di preoccupazione. Non dopo ciò che Piton le aveva riferito, perlomeno.

Si lasciò cadere con un tonfo sordo sul letto, fissando intensamente il soffitto della propria camera. Iniziò ad avvertire un vago pizzicore agli occhi, e rotolandosi sulla schiena affondò il viso nel cuscino. Ruotò il capo per poter vedere la sagoma lucente della luna di Londra spuntare fra le nuvole; si disse di aver già sofferto abbastanza, per quel giorno, così allungò la mano verso il comodino, afferrò la bacchetta e spense le luci.

Non ebbe neppure il tempo di versare una sola lacrima, che il sonno la strappò alla realtà.



You must try to be brave, little one.



Non appena aveva visto le luci della camera da letto di Tonks spegnersi, Severus Piton aveva sospirato pazientemente, nascosto in quel puzzolente vicolo buio che fronteggiava l’edificio Babbano della ragazza. Si era avvolto maggiormente nel mantello scuro e lanciando un’ultima occhiata guardinga alla finestra, si Smaterializzò ad Hogsmeade, dirigendosi a passo affrettato verso la scuola.

Sciocca scapestrata di una ragazzina, si ripeté per l’ennesima volta, cosa ti passava per la testa quando ti sei innamorata di un simile idiota?



Someone’s waiting to love you.

°°°°°°°









Prima che possiate storcere il naso, tirarmi contro il mouse – dicono sempre pomodori, ma chi conoscete con l’abitudine di portarsi un pomodoro davanti allo schermo? - o fare qualcunque cosa stiate pensando di fare, vi pregherei di considerare il fatto che il capitolo venti è stato scritto da una contagiosa, malinconica, stressata febbricitante.

Scusate se non mi dilungo in eccessivi convenevole per cause di forza maggiore, ma ho gli occhi gonfi, il naso goccialante, le ossa doloranti, i polmoni rattrappiti e il sangue imbottito di medicinali.

Credo che andrò a farmi una tisana.

Ancora grazie a tutti quelli che stanno leggendo la mia storia, e un bacione profondo a SakiJune, Frytty, gollum93 e Christine.



P.s.

Prima che mi dimentichi: la canzone che ha accompagnato i miei virus, scrivendo questo capiatolo è «Someone’s waiting you», di Sammy Fain, colonna sonora del film d’animazione Bianca e Bernie, che mio cugino – colui che ha ispirato il personaggio del piccolo Trick, per la cronaca – mi ha costretto a vedere per tre volte consecutive con la febbre a 38°.

Non so se strangolarlo, o ringraziarlo.

Potrei attaccargli l’influenza: così è felice perché non va a scuola, ma allo stesso tempo si incavola perché non può uscire a giocare.

Sì, credo che sia un compromesso più che accettabile.

A presto (salute permettendo),

Trick

*etciù*





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Capitolo 22
*** Capitolo Ventunesimo - Sulle ali della mitologia classica ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO VENTUNESIMO

Sulle ali della mitologia classica

°°°°°°°





«Sembravi molto sicuro di te mentre parlavi a Fen di quel villaggio».

«Little Hangleton» disse Lupin, senza distogliere gli occhi ambrati dai riflessi luccicanti che il sole dipingeva sullo specchio d’acqua dello Shannon. Il vento si alzò improvvisamente, portando con sè un leggero e pressoché impercepibile odore di umido. «Presto pioverà».

Le labbra di Rouge s’incresparono in un lieve sorriso divertito. «Inizi a ragionare con i sensi del lupo?»

«Già».

«È normale».

«Non per me» sentenziò bruscamente Lupin, «questa natura non mi ha dato nient’altro che complicazioni.»

«È ovvio» rispose con naturalezza la donna, «ti sei costretto a vivere in un mondo di cui non sarai mai capace di fare parte».





«Non c’è alcuna differenza, Remus, fra me e te».

«TI sbagli, Lily».

Ti sbagli.





«Sei cresciuto in quel villaggio, dunque?»

Lupin scosse la testa. «Dall’altra parte del River Wear, a poche miglia da Durham. Sulla costa orientale» spiegò. «Un luogo davvero incantevole».

Rouge storse il naso, nauseata. «Me lo immagino» borbottò, «umani da tutte le parti».

Lupin le rivolse un sorriso indulgente. Lei, per tutta risposta, si limitò a fissarlo con stizza, incrociando le braccia al petto.

«Credi che io parli solo per dare aria alla bocca, Lupin?» eruppe Rouge, le sopracciglie inarcate minacciosamente fra loro, «credi che non capisca cosa significa?»

«Perdonami» si scusò Lupin, «ma mi chiedevo che genere di umani potessi aver conosciuto per parlare così di loro».

Rouge trasalì. «Che t’importa?»

«Io ti ho detto dove sono cresciuto» ribatté, «ora tocca a te».

«Non mi hai raccontato abbastanza» disse la donna, piccata, «puoi scordartelo».

Lupin sospirò, abbassando il capo e prendendo a giocherellare distrattamente con un rametto umido. Alzò nuovamente gli occhi verso lo Shannon, apparentemente perso in pensieri inafferrabili.

«Avevo cinque anni» iniziò esitante, «quando Greyback mi ha morso». Si bloccò, guardando di sottecchi Rouge, evidentemente – e ingenuamente - sperando che quelle poche parole le sarebbero parse sufficienti.

«Aveva avuto una violenta discussione con mio padre, e il risultato... be’, è davanti ai tuoi occhi» concluse laconico, con un gesto quasi scocciato della mano.

Rouge sembrava perplessa, quasi scettica. Continuava a fissare pensierosa Lupin, le sopracciglie inarcate e le labbra leggermente schiuse. «Non ti ha portato via?» domandò, con un filo d’incredulità nella voce. «Perché?»

Lupin alzò le spalle, con un sorriso storto. «Il suo obiettivo non ero io, ma mio padre. Voleva colpirlo indirettamente».

«Lo avrebbe colpito anche portandoti qui».

«Naturale» ne convenne Lupin, annuendo brevemente, «ma, fidati, così è stato decisamente peggio».

«Per te, o per lui?»

Lupin la guardò gravemente. «Non so dirtelo, Rouge» sospirò, «sicuramente, qui a Jura avrei avuto meno problemi».

«Lo credi davvero?» ribatté divertita la donna. «Credi davvero che a Jura avresti avuto vita facile? Ciò che hai visto finora non ti è bastato, Lupin?»

«Tu non sai com’è là fuori, Rouge. Non hai idea di cosa significhi per uno come noi, crescere fra i maghi».





«Lily, non è semplice. Tu non capisci cosa significa crescere... fra voi».

«Noi?»

«Voi».

«Noi, chi?»

«Voi... normali».

«Sai, Remus... se non dovessi tenere alto l’onore della mia spilla, probabilmente ti avrei preso a pugni già da diversi minuti».





«Sì, invece» mormorò lei, «lo so».

«Lo sai?» ripeté Lupin, visibilmente interessato. Lei lo guardò di traverso.

«Be’» continuò lui, con un sorriso pacato, «io la mia storia l’ho raccontata».

«Ne avevo otto di anni» iniziò Rouge, «credo» aggiunse dopo una breve e incerta pausa.

Lupin la studiò fissarsi le mani, intuendo la sua agitazione dal modo in cui la donna continuava a muovere freneticamente le dita fra loro. «Me ne sono andata io».

«Come?»
«Ho deciso io di andarmene» incalzò stancamente, come se non desiderasse altro che porre fine a quell’atroce conversazione, «dopo un po’ non ho più retto».

«È stato Greyback a...?»

«E come faccio a saperlo? So solo che un licantropo mi ha morso, fine della storia».

«Eri una bambina. Come sei riuscita a raggiungere questo posto dimenticato dal mondo?»

«Volando» sbottò Rouge, gesticolando violentemente. «Ma che diavolo di domande fai, Lupin?»

«Una domanda più che opportuna, considerando il mio punto di vista» disse Lupin, diffidente. «Mi stai dicendo che all’età di otto anni, dopo essere scappata di casa, hai raggiunto casualmente quest’isola?» concluse, camuffando la propria espressione dubbiosa con un sorrisetto.

Lei sembrava indispettita. «Senti, non mi va di parlarne» tagliò corto.





«Non mi va di parlarne, Lily».

«Non potrai evitare di farlo all’infinito».

«Chi può dirlo?»

«Non vuoi parlarne perché hai paura di vedere la compassione nei miei occhi, Remus? Perché, se così fosse, mi sentirei umiliata dal fatto che una delle persone più splendide e gentili che conosca abbia una simile opinione su di me».

«Lily, tu non c’entri. Sono io che non-»

«Che non riesci ad accettare l’idea che qualcuno s’interessi veramente a te. Cos’hai paura di perdere, Remus?»



«Allora non ne parleremo».



Non potrai evitare di farlo all’infinito.

°°°°°°°





«Il tramonto qui è sublime».

«Certo che lo è» disse Rouge. «Ti stai godendo i tuoi ultimi giorni di sole, Lupin?»

«Ho tutto sotto controllo» rispose tranquillamente Lupin, «ma avrò bisogno del tuo aiuto».

°°°°°°°







Lupin fu costretto ad aumentare la propria andatura per non perdere di vista la scia delle torcie di Greyback e Rouge; quest’accelerazione improvvisa, però, lo fece incespicare diverse volte sulle grosse e bitorzolute radici del bosco di Tupin. Nonostante la sua percezione visiva si fosse sviluppata notevolmente nel corso di quegli ultimi mesi, gli risultava ancora complicato mantenere il passo degli altri licantropi, abituati a muoversi nella mezzaluce allo stesso modo del giorno. Fu costretto a fermarsi per liberare l’orlo del mantello scuro da un ramoscello al quale si era impigliato, attirando su di sé l’attenzione del capobranco.

«Madre Selene, Bizét!» sbraitò, «sei il mannaro più inetto che abbia mai visto! Muoviti!»

«Arrivo» rispose rivolto alle ombre che lo circondavano, strappando con un gesto secco il mantello e riprendendo la corsa, «maledetto mantello».

«È quello che dico sempre anch’io» concordò Rouge, scavalcando con un agile guizzo un tronco abbattuto, «odio questi stracci. Giù la testa!» gridò, lasciando la presa di un sottile ramoscello.

«Ah!» gemette Lupin.

«Questa volta eri stato avvisato, Damerino».

«Bastarda...» mugugnò Lupin, strofinandosi dolorante il naso, «l’hai fatto apposta».

«Non è vero».

«Piantatela» li richiamò imperioso Greyback, qualche metro più avanti. «Non vi sto portando a fare una scampagnata».

«Fate anche le scampagnate a Jura?» bisbigliò Lupin, fingendosi interessato.

«Fra meno di un’ora perderai la facoltà di respirare» ribattè in un sussurro Rouge, «e nonostante questo, riesci ancora a fare lo scemo. Ammirevole, davvero».

«Troppo buona».





«Ehi, Fen!» urlò Lupin, dopo venti tormentati minuti di marcia nel fitto del bosco. «Dobbiamo arrivarci a piedi a Little Hangleton?»

«Certo che no, razza d’idiota» sbottò di rimando l’altro, «voleremo».

«Voleremo?» ripeté disorientato. «Come?»

Rouge emise un suono divertito. «Soffri di vertigini, Damerino? Mi spiace, ma i Pegasi sono l’unico mezzo di trasporto che abbiamo».

«Pegasi?» chiese Lupin sbalordito. «Credevo fossero solo una leggend-»

S’interruppe bruscamente non appena la luce fiammeggiante della torcia che Rouge manteneva stretta nella sua mano illuminò una stretta radura circondata dai lunghi e snelli tronchi canuti delle betulle; le ombre sembravano danzare sulle cortecce candide, allungandosi nell’erba scura fino a raggiungere le punte degli stivali dei tre licantropi. Al centro di essi, quasi fossero immobili e plastiche riproduzioni michelangiolesche, cinque magnifici destrieri alati e dotati di maestosi palchi di corna li fissavano attentamente, pronti a coglierne ogni più minimo e sospetto movimento. Lupin sgranò gli occhi, stupefatto. I Pegasi, i leggendari cavalli alati della mitologia classica, non esistavano. Nessun zoologo magico aveva mai trovato prova della loro presenza, nessun libro di scienze naturali li trattava dal punto di visto storico. A differenza dell’enormi controversie che gli studiosi magici avevano sotto la maggior parte dei punti di vista, tutti – con l’unica eccezione, forse, di quel fanatico di Lovegood – erano d’accordo nell’affermare che i Pegasi non erano mai esistiti.

La domanda risulta dunque più che logica: se i Pegasi non esistevano, di conseguenza, quelle creature dal pelo lucente e dalla robusta muscolatura non erano Pegasi. Cos’erano, allora?

«Cosa... cosa sono quelli?»

«Ti ho detto che sono Pegasi» rispose annoiata Rouge, mentre afferrava anche la torcia di Greyback e illuminava le pesanti funi che costringevano i cavalli a non spiccare il volo, in modo che il proprio capo potesse scioglierle.

«Muoviti e sali: non ho tempo da perdere con queste stronzate, io» gli intimò bruscamente Greyback, liberando con maestria il primo dei nodi che immobilizzava uno splendido esemplare nero e montandovi sopra con un salto agile. Il cavallo scosse il capo nervosamente, probabilmente scocciato dall’interruzione delle sue attività notturne. «Sta calmo, Avoc» intimò rivolto all’animale.

«Immagino che tu non sia mai salito su uno di loro, Damerino» sentenziò Rouge con un sorriso arrogante, «se neppure credevi esistessero».

Lupin fissò il cavallo più vicino – una bella puledra dal pelo argentato – cercando di non mostrarsi intimorito. «A dir la verità» rispose, «gli esemplari alati mancano all’elenco».

«Poteva andare peggio» mormorò seccata la donna, «prova a montare su Cranky, è il più cretino» e indicò un cavallo dal pelo marroncino rimasto in disparte.

«Grazie della fiducia, Rouge».

«Di niente».

«Avete finito di fare filotto, o preferite che vi porti anche una bottiglia di vino e un divanetto?»

Rouge alzò un braccio in un rapido segno di scusa per nulla mortificato; Lupin, invece, le lanciò un’ultima occhiata prima di dirigersi verso il cavallo a lui assegnato. Non appena fu abbastanza vicino, la bestia iniziò a muovere violentemente le gambe, innervosito, a quando pare, da quella nuova presenza. Sentì Rouge ridacchiare alle sue spalle.

Lupin era cresciuto nella contea di Durham – la piccola Scozia inglese, come qualcuno ancora la definiva – e finalmente, dopo tanti anni, ringraziò suo padre di averlo trascinato lontano dai suoi ipnotici libri – di cui, già allora, sembrava fare un oso veramente smodato – e di averlo costretto a salire su Salish, il vecchio ronzino che continuavano a tenere nella stalla nonostante avessero smesso da anni di raggiungere il mercato del paese con il carretto.



«Talloni in basso e punte in alto, Remus. E non stare così ingobbito, santo Merlino, tira su quella schiena».

«Posso scendere, adesso, papà?»

«Tieni le mani sulle redini, figliolo, con cosa credi si diriga il cavallo? Ecco, così va già meglio. E lascia morbido il morso, la bocca di Salish è delicata.»

«Papà, mi metti giù?»

«Santo Merlino, sei peggio di tua madre».

«Papà, ma nessuno cavalca più, ormai».

«Non dire assurdità, Remus. Un giorno ti tornerà utile, e allora mi ringrazierai».



Lupin allungò una mano verso il dorso del cavallo, accarezzandone con dolcezza la folta criniera; lungo il dorso dell’animale spiccavano profondi segni rossi. Si morse le labbra, ma non si azzardò a dire nulla.

«Non te la passi bene nemmeno tu, vedo» sussurrò dolcemente all’orecchio del Pegaso. La bestia, quasi avesse avvertito quello strano cambiamento del proprio cavaliere, fermò le gambe e gli rivolse uno sguardo intenso, quasi incuriosito. Abbassò le ali placidamente, permettendo a Lupin di montargli in groppa.

«Muoviti, ragazzo!» gridò Greyback, calciando con forza i fianchi del proprio Pegaso, che con un nitrito nervoso spiccò il volo facendo mostra della sua imponente apertura alare. «Va’ davanti a farci strada, che stai aspettando?»

Lupin annuì debolmente, e colpendo leggermente il dorso del cavallo con il palmo della mano, si librò in aria. Era da quando aveva fatto parte della scorta per portare Harry a Grimmauld Place che non godeva del piacere del vento che s’infrangeva contro il proprio viso, scompigliandogli i capelli; volare sul dorso di un Pegaso, tuttavia, era forse fra le sensazioni più esaltanti che avesse mai provato. Non era mai stato abbastanza dotato per entrare a far parte della squadra di Quidditch di Grifondoro, e quelle poche nozioni di volo che aveva imparato, le doveva unicamente a James Potter. Ad ogni modo, poter attraversare il cielo e sentire contemporaneamente il respiro del cavallo sotto di sé e le ritmate contrazioni dei suoi muscoli non era neppure lontanamente paragonare al volo delle scope. A differenza della sua malmessa e vacillante Stellafreccia, poteva permettersi il lusso di scrutare al di sotto dei proprio piedi e di liberare lo sguardo oltre ai profili lontani e indistinti delle montagne, finalmente tranquillo che nessun difetto di fabbricazione lo avrebbe fatto precipitare per la più stupida distrazione. Decisamente molto rilassante.

«Sei sicuro di conoscere la strada, Damerino?» strillò Rouge, affiancandosi a lui. «Non vorrei mai che ci facessi finire dall’altro capo del mondo!»

«Stiamo sorvolando l’isola di Gigha» urlò di rimando, ignaro se la donna avesse avuto modo di sentire la sua voce al di sopra del fragore del vento nelle orecchie, «a questa velocità, fra pochi minuti, dovremmo raggiungere il canale di Clyde!»



E difatti, eccolo: appena rilucente sotto la luce della luna, lo specchio d’acqua rifletteva il bagliore lontano delle stelle nel cielo; Rouge, quasi non avesse atteso che questo, si gettò in picchiata verso il basso, imponendo al suo Pegaso di risollevarsi un attimo prima di infrangere l’acqua. Lupin avvertì il suono distante della sua risata.

«Quanto manca, Damerino?» latrò Greyback alle sue spalle.

«Non credevo che degli animali potessero volare a una velocità del genere!»

«Sono bestie di Jura, idiota, è ovvio!»

«Non manca molto, comunque! Siamo già nell’Ayrshire!»

«Sarà meglio per te!»



Meno di dieci minuti dopo, contro qualunque previsione Lupin avesse potuto fare, avevano superato i monti della Scozia centrale e puntavano dritti verso la contea di Durham. Nonostante faticasse a vedere aldilà del proprio naso, sapeva che sotto ai propri piedi, la brughiera si stava lentamente inverdendo e il terreno andava via via pianeggiandosi. I sensi sempre più sviluppati di Lupin non poterono non cogliere quel tanto conosciuto odorino di muschio, quel sapore agrodolce che aveva cullato la sua infanzia.

Durham, verdeggiante pianura fra le montagne, attendeva ansiosa il suo ritorno.

°°°°°°







Rientra a casa, Remus, prigioniero di Jura,

insieme a colui che ha segnato la sua Sventura.

Nulla di ciò che ricorda è cambiato,

ancora regna il silenzio incontrastato.

Non cemento a infangare lo sguardo,

ahimé, Remus, imparasti a volare in ritardo.





«Benvenuti a Little Hangleton».

«Sei sicuro che il posto sia questo?»

«Sì, Rouge» mormorò stancamente.

La donna annodò saldamente la corda del Pegaso al tronco più vicino, e dopo aver dato al cavallo una sbrigativa pacca riconoscente, voltò il capo verso Lupin, scoccandogli un’occhiata eloquente. Lui sapeva cosa fare: ci aveva pensato per giorni, ed era giunto alla conclusione che la propria dignità – al momento – non valeva quanto la sua vita.

Diede le spalle a Greyback, e accertandosi di non essere visto, s’infilò due dita in gola.

°°°°°°°









Perdonate il ritardo, i miei professori hanno ritenuto che le due settimane appena trascorse fossero le più indicate per essere trasformate in una via Crucis di compiti, relazioni, consegne, interrogazioni e verifiche. Ho dovuto perfino dimostrare la mia bravura nella nobile arte del Pilates alla mia prof di ginnastica, il che si è rivelato veramente umiliante. Comunque sia, l’importante è che abbia aggiornato prima dei quattro mesi, no?

Se c’è qualche esperto di cavalleria, cavalcatura, ippica, o in qualunque modo sia definito, chiedo immediatamente perdono per i possibilissimi strafalcioni che potrei aver scritto. Non ho mai neppure visto un cavallo dal vero (se non contiamo una traumatizzante visita al circo all’età di cinque anni), perciò mi sono dovuta arrangiare, chiedo venia.

Purtroppo devo deatomizzarmi immediatamente (ho scoperto che l’orologio non si ferma mentre scrivo) , e visto e considerato che se non posto ora, potreste essere costretti ad aspettare altri cinque giorni, mi ritrovo costretta a rimandare i singoli commenti alle vostre bellissime recensioni al prossimo capitolo.

Un grazie gigantesco a tutti quanti, comunque sia, a chi legge e a chi recensisce, perché ad ogni capitolo mi fare aumentare la voglia di scrivere. Vi adoro.

Un bracio a tutti,

Trick



*pluff!*

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Capitolo 23
*** Capitolo Ventiduesimo - Sulla soglia ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO VENTIDUESIMO

Sulla soglia

°°°°°°°





«Bizét, che diavolo-?»

Lupin tossì violentemente, stringendosi un braccio intorno allo stomaco e chinandosi verso il terreno umido e fangoso; l’odore acre del proprio vomito era insopportabile. Dannata dieta carnivora di Jura, pensò.

«Oh, fantastico» sbottò animatamente Rouge, alzando snervata gli occhi al cielo, «ci mancava solo la dose di rigurgito quotidiano!»

«Alzati, Damerino» ordinò impassibile Greyback, «siamo già abbastanza in ritardo senza che i tuoi disturbi intestinali si mettano in mezzo».

Era il momento; se Rouge avesse improvvisamente deciso di non avere più voglia di aiutarlo, per lui sarebbe stata la fine. Lupin attese accucciato di fronte al fusto sottile di un albero, il respiro ansante, il viso pallido e sudato e l’ansia a infiammargli le vene.

«Credi davvero sia il caso di portarcelo dietro così?» chiese Rouge a Greyback. «Guardalo, fa schifo. E se vomita pure là dentro?»



Sia ringraziato Merlino, è stata al gioco.



«Io non me lo porterei dietro, uno così» concluse con un'alzata di spalle.

«Non se ne parla neanche» la liquidò freddamente Greyback, «non ho nessuna intenzione di piantarlo qui fuori da solo».

Lupin sgranò gli occhi, deglutì nervosamente e invocò tutti gli spiriti di cui era a conoscenza; questa sua ultima mortificante trovata era davvero l’ultimo asso che si era potuto permettere di giocare. E il gioco stava andando male, accidenti.

«Di sicuro non se lo mangia nessuno, non ha un bell’aspetto» tentò ancora la donna.

«Voglio tenere sott’occhio tutti e due» spiegò, «non mi va che ve ne stiate per conto vostro a fare quel diavolo che vi pare. Ho già abbastanza grane a cui pensare. E ora, muoviti, Damerino. Non hai più l’età per essere esonerato da scuola per una sciocchezza del genere».

«Fen, stai scherzando? Non vorrai davvero portarlo dietro co-»

L’ultimo, ormai invano, tentativo di Rouge fu zittito in malomodo da un gesto imperioso del capobranco. Le scoccò un’occhiata minacciosa, e lei abbassò gli occhi verso il basso, stringendo le labbra in un gesto stizzito.

«Alzati, Damerino» ripeté Greyback, voltando le spalle ad entrambi e incamminandosi lungo un sentiero assetato e polveroso che sembrava portare al vicino villaggio di Little Hangleton. Lupin si ripulì il viso con la manica delle veste e sostenendosi al tronco dell’albero, si rialzò in piedi. Si girò, e mentre era intento a ripulirsi come poteva dalla polvere, incontrò lo sguardo di Rouge. Per un istante così labile che Lupin dovette domandarsi se fosse stato solo il frutto della sua immaginazione, gli sembrò di scorgere un lampo di preoccupazione negli occhi della donna.

«Ci ho provato» iniziò lei, «ma è andata male».

«Grazie» mormorò.

Lupin allungò il collo verso il punto in cui era sparito Greyback, scrutando inquieto fra le ombre. Deve esserci un altro modo, continuò a ripetersi come una cantilena, non posso morire in un modo così idiota!

Era così disorientato che quasi riusciva a immaginare il proprio funerale. In quanti avrebbero presenziato alla cerimonia in memoria di un licantropo? Dieci? Quindici? Una ventina al massimo? Senza nemmeno accorgersene, si ritrovò improvvisamente a sorridere fra sé e sé.

Lei ci sarebbe stata.

«Perché diavolo stai sorridendo, si può sapere?» lo interrogò sconcertata Rouge. «Stai per essere ammazzato, Madre Selene, e tu sorridi?»

«Pensavo al mio funerale».

Rouge lo fissò con gli occhi sgranati. «Tu non sei normale, Lupin» scandì, dandogli la schiena e inoltrandosi lungo il sentiero. «Fossi in te, scapperei. Sei ancora in tempo, dopotutto».

«Finiresti nei guai con Greyback».

«Sono già nei guai, Lupin. Sono stata io a convincerlo a fidarsi di te, ricordi?».

«Mi dispiace».

Rouge sbuffò. «Non scappi, dunque?»

«Non scappo».

«Siamo in ritardo, allora» si limitò a sussurrare. «La riunione dev’essere iniziata già da qualche minuto».

°°°°°°°







«Chi è Bizét?

Lupin fece un respiro profondo e voltò il capo indietro. Sobbalzò. Avrebbe riconosciuto quella mascella pronunciata e quei baffi neri ovunque.





«Dove ti sei nascosto, ragazzino?» cantilenò una voce falsamente zuccherata. «Il vecchio Walden non ha più voglia di giocare a nascondino».

Remus Lupin, diciott’anni da poco compiuti, continuava a restare accucciato dietro a quei vecchi scatoloni babbani che gli avevano allungato la vita di almeno un quarto d’ora. L’eco sordo degli stivali di pelle di drago di MacNair risuonava incombente nel magazzino deserto. Se solo si fosse azzardato ad uscire da quell’umile nascondiglio, il Mangiamorte se ne sarebbe accorto immediatamente.

«Dove ti sei nascosto, sporco ibrido?» continuò imperterrito. «Fatti vedere. Non vedo l’ora di aggiungerti alla mia collezione di trofei. Mi manca giusto la testa di lupo».

Remus Lupin strinse con forza la bacchetta fra le mani pallide. Lanciò un’occhiata speranzosa ad una finestrella posta pochi metri più in alto di lui; non sarebbe mai riuscito a raggiungerla, se MacNair avesse continuato ad aggirarsi lì attorno come un avvoltoio in attesa della sua prossima carcassa.

«Fine dei giochi, mannaro» lo canzonò ancora. «Che la caccia abbia inizio».



«Sono io».

Walden MacNair lo scrutò dall’alto verso il basso con occhi vacui; un ghigno per nulla rassicurante alleggiava sui tratti depravati del suo volto. Lupin lanciò uno sguardo sfuggente a Rouge, e con un lieve e scoraggiato cenno del capo, la pregò silenziosamente di proseguire da sola. Lei lo fissò intensamente, e sebbene dal suo viso non traparisse null’altro che la più totale indifferenza, Lupin intuì lo sconforto della donna. Iniziava davvero a fidarsi di quel damerino proveniente dalla città: l’ultima e carente speranza di riottenere l’indipendenza della propria terra stava per svanire davanti ai suoi occhi; e lei, per quanto attaccata potesse essere a questa causa sovvertitrice, non aveva la minima intenzione di sacrificare la propria vita. Gli voltò definitivamente le spalle, con un’ultima occhiate sprezzante e accusatrice impressa negli occhi scuri.

Se muori, pensò con durezza, è solo perché sei troppo incapace per vivere. È la regola, Lupin, e tu non sei stato in grado di rispettarla.

°°°°°°°







Il rosso a dipingere la terra più bruna,

il nero a ostentare spudorata fortuna;

e bianca, la Luna brilla nel cielo

di luce celeste ne stende un velo.







Al primo pugno alla bocca dello stomaco – così inaspettato che quasi non si rese conto del suo arrivo – gli era sembrato di aver perso per sempre la facoltà di respirare; forse era stata una fortuna che quella sera avesse già rigettato. Si accasciò a terra con un gemito di dolore, annaspando e tentando disperatamente di afferrare un appiglio per reggersi in piedi. Non ebbe neppure il tempo di riprendersi che la punta degli stivali di MacNair – quei dannati stivali, maledizione – gli perforò l’anca sinistra. Tentò di ritrarsi con un grido sofferente, ma qualunque movimento cercasse di fare gli infliggeva fitte sempre più dolenti. Sopportava il dolore da troppi anni per cedere sotto quei colpi violenti, vero, ma ciò non significa che non ne risentisse: voltò il capo per sputare un grumo di sangue, e facendosi leva sul braccio destro, s’arrischiò ad alzarsi da terra. MacNair lo ripiantò a terra con una pedata, guardandolo divertito. Tremante, Lupin alzò la palpebra dell’occhio sano – non voleva neppure immaginare in che condizioni fosse l’altro – verso di lui: gli occhi del Mangiamorte erano vacui e distanti, persi in chissà quale dimensione.



Ma che acciden-?



«Oh!»

Perfino i suoi pensieri gli portavano dolore, ogni respiro, ogni sensazione, ogni singolo atto ancora lo rendesse un essere vivente gli causava dolori lancinanti.

«Basta, Walden» ordinò improvvisamente una voce lievemente allietata, «purtroppo così è già sufficiente».

Lupin cercò con lo sguardo fra le oscurità di quel vicolo babbano dove MacNair lo aveva condotto, ma le sue devastate condizioni gli fecero desiderare solo di sparire. Merlino, aiuto.

«Sparisci» intimò la voce. Il tonfo provocato dagli stivali di MacNair si fece sempre più leggero, sostituito dal ritmo di passi più cadenzati e postati. Lupin non ci capiva più niente, e non era nemmeno in grado di capire se davvero volesse farlo.

«Vomitare per disertare una riunione di Mangiamorte?» continuò la voce, mentre due mani lo afferravano malamente per un braccio e lo scagliavano contro il muro più vicino. Lupin mugungò appena a quel trattamento; era diventato completamente apatico al dolore, ormai. «È sicuramente l’idea più balorda che tu abbia mai avuto. Stupido Grifondoro».

«Sev-» gemette, «S-Severus?»

«No, sono Strega Morgana» ribatté falsamente ironico l’altro, «certo che sono io, idiota».

Lupin si tastò con un sibilo dolorante il fianco; Piton dovette attendere qualche minuto prima di poter ottenere la sua attenzione.

«Hai lanciato un Imperio su MacNair per farmi pestare a sangue?» riuscì a chiedere fra una fitta e l’altra.

«L’avrebbe fatto di sua spontanea volontà» rispose Piton, scrutandosi assente le unghie, «ma poi avrei dovuto ammazzarlo, il che avrebbe comportato non poche difficoltà a spiegarne la morte all’Oscuro Signore».

«Stai aspettando che ti ringrazi?»

«Risparmia la tua patetica gratitudine per Silente» sbuffò Piton. «Ha distratto l’Oscuro Signore affinché tu potessi avere la possibilità di salvare la pellaccia. Sei l’opposto dell’indipendenza, Lupin: si è disturbato mezzo mondo per non farti crepare stanotte».

Nonostante sapesse che l'unico scopo di Piton fosse quello di innervosirlo, Lupin si sentì terribilmente in colpa: era stato necessario l'intervento istantaneo di Silente per non compromettere la missione da lui affidatagli, e salvargli, di immediata conseguenza, la vita. E Piton ora se ne stava davanti a lui, con quel dannato ghigno altezzoso a increspargli le labbra, ricoprendo il ruolo di misericordioso aiuto esterno. Era umiliante, maledizione.

«Stai aspettando un invito a nozze, Lupin?»

«Per cosa?» ringhiò d'istinto, tentando inutilmente di limitare la rabbia che lo stava divorando.

«Per entrare dentro, Merlino, per cos'altro? Non crederai che dopo tutta la fatica che ho fatto, tu ora possa permetterti di gironzolare a zonzo tranquillo e beato per il villaggio, spero. L'Oscuro Signore e Bellatrix Lestrange sono, fortunatamente per te, impegnati in una conversazione tutt'altro che amabile con Silente».

Lupin respirò profondamente – cosa che gli provocò una dolorosa scarica all'altezza della terza costola – e annuì lentamente.

«E cerca di non compromettere ancora di più la situazione; non ho la minima voglia di ritrovarmi sotto tre metri di terra per la tua inettitudine».

°°°°°°°







«Cercava rogne» aveva risposto con un sussurro soddisfatto McNair agli sguardi curiosi di alcuni Mangiamorte, «sapete anche voi come sono queste bestie. Gli dai una mano e ti prendono tutto il braccio».

Gli occhi di Piton dardeggiarono divertiti in direzione di Lupin.

Dovresti ringraziarmi.

L'espressione di Lupin non poteva essere equivocata in alcun modo.

Fottiti, Mocciosus.

°°°°°°°















°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°



Spero saprete perdonare queste capitolo molto breve (i miei capitolo si stanno pericolosamente facendo sempre più brevi, dannazione, me ne sono accorta solo adesso; urge rimedio immediato) ma in questa settimana sono stata fortunata a trovare il tempo di respirare...°__° Ho dovuto decapitare così il capitolo (per il prossimo non dovrete aspe... *Trick si tappa la bocca, si dimentica sempre di portare iella*) o avreste dovuto aspettare un altra settimana bella e buona... chiedo venia, faccio quello che posso.

gollum93: (effetto suspence) ^^Hohoho...! Per il momento sono sottomessa al silenzio di stampa, no comment su Rouge...

Kikkina90: Credo che Plinio (sono solita dire boiate pazzesche, non conviene ascoltarmi al 100%) abbia dato una sua descrizione di Pegasi, definendoli cavalli dotati di ali e corna, è da lì che ho preso spunto (macché spunto, sono proprio i Pegasi di Plinio, altroché). Volevo trovare qualcosa di meno classico e più aglosassone, ma non volevo sembrare ripetitiva con i Thestral e dei draghi non se ne poteva nemmeno parlare... e purtroppo, l'idea di fargli raggiungere la contea di Durham a dorso di un Marciotto era impensabile. Per quanto riguarda il vomito... ok, w la sincerità. Sono stata davvero un po' cattiva con Lupin... devo ricordarmi di chiedergli scusa.

Christine: ti ringrazio, sono davvero felice che i flash-back ti siano piaciuti. Di solito i miei tormenti si fondano sulla paura che non si capiscano, considerando che sono solita non descriverli, ma limitarli ai semplici dialoghi diretti. Eccetto questo capitolo, a dir la verità... la scena con MacNair non poteva non essere descritta.

Puciu: chiedo venia, davvero. Già la mia «cagionevole salute» non aiuta, poi s'infila anche il Fato a complicare le cose...v__v naturalmente Rouge sarà un personaggio che- *Trick si dà una manata sulla bocca* Mamma mia...^^ Mi avresti ucciso davvero se avessi infilato degli spoiler? ^^ ti avrei capito, io, probabilmente, lo avrei fatto. Odio gli spoiler, che sia io a farli, o io a riceverli. Per principio.

Debby 93: Attorno al personaggio di Rouge c'è la suspence più totale... *risatina sadica*. Grazie mille, spero ti piaccia anche questo. Povero Remus, lo sto torturando...



Grazie mille a tutte.



E un altro grazie davvero grandissimo a tutti voi che state leggendo la mia storia, a voi che state aspettando l'ultimo aggiornamento di una certa storia (giuro solennemente che la finir- *si tappa la bocca di nuovo*), e a voi che le leggerete in un futuro prossimo.



Al prossimo capitolo,

Trick



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Capitolo 24
*** Capitolo Ventitreesimo - Lama di rasoio ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO VENTITREESIMO

Lama di rasoio

°°°°°°°





Le fiamme delle candele dello sfarzoso lampadario di casa Riddle creavano, agli occhi attenti di Lupin, interessanti giochi di luci e ombre sulla raffinata mobilia del grande salone e sugli intarsi nel legno dei cassettoni del soffitto, anneriti dal tempo e dalla solitudine. Fissò con aria interrogativa il volto olivastro di Severus Piton, tentando di attirare su di sé meno attenzione possibile, cosa che risultava sempre più difficile considerando la sua memorabile entrata in sala con il viso ricoperto di sangue rappreso.

Si chiedette come Fenrir riuscisse a controllare l'ira che indubbiamente lo stava agitando fin nelle viscere, afferrando improvvisamente come le fitte che i colpi di MacNair ancora gli provocavano, probabilmente sarebbero state insignificanti se comparate con quelle che avrebbe provato dopo la ripassata del capobranco. Piton sembrava pensare la stessa cosa. Sorridendo.

Bastardo.

Si guardò intorno, studiando con la sua espressione più distaccata e indifferente i presenti: a pochi metri da lui, su un largo divano bordeaux, una strega dal viso tozzo e dal colorito malsano continuava ad aggiustarsi i sottili capelli scuri, atteggiandosi in pose che senz'ombra di dubbio ella doveva ritenere incredibilmente accattivanti; alla sua destra, un mago dal viso asimettrico e con una lugubre forma di strabismo la fissava con le labbra leggermente dischiuse, quasi fosse completamente estraneo a tutto quello che lo circondava.

I Carrow, rimembrò Lupin, che delizia.

Attorno ad un elegante trepiedi di castagno, sedevano due Mangiamorte con cui Lupin non aveva mai avuto il piacere di conversare. Non conosceva il primo, un mago dalle spalle mostruosamente grosse – forse solo Greyback, fra tutti, gli era superiore a massa muscolare – e dai folti capelli biondo cenere fissava torvo Piton, scocciato – ipotizzò Lupin – da quella maleducata e inutile attesa; l'uomo alla sua sinistra, al contrario, non sembrava per nulla indispettito. Fissava vacuo e assente il soffitto, quasi su quello fossero stati incisi i segreti che muovono e fermano il mondo. Un lampo improvviso squarciò la memoria di Lupin. Thorfinn Rowle, gli aveva spiegato Moody diversi mesi prima, mostrandogli una sequenza fotografica nella cucina di Grimmauld Place, non sembra particolarmente dotato, ma stando alle informazioni di Piton ha una abilità incredibile nella Maledizione Cruciatus.

E, sempre affidandosi a quelle informazioni, fu in grado di identificare anche il giovane avvolto dalla penombra dell'imponente libreria accanto alla finestre: Terence Chamberlain, ventitré anni, sua madre sembra essere cugina di secondo o terzo grado con i Lestrange, parlava sottovoce con Travers – con quel naso asettico, si disse Lupin, lo riconoscere ovunque.

E MacNair, naturalmente.

Come dimenticare Walden MacNair all'appello?

Si accorse solo in quel momento che gli occhi di Rouge non avevano smesso di fissarlo diffidente da quanto aveva messo piede nel salone; intercettò il suo sguardo e sollevò le sopracciglie in un'eloquente espressione d'innocenza. Entrambi furono abbastanza intelligenti, tuttavia, da non aprire bocca; sarebbe stato il momento meno adatto per parlare di tutta la loro vita.

«Piton, cosa stiamo aspettando?» ruggì infine il Mangiamorte dai capelli biondi. Non avrebbe tollerato nessun altro secondo, glielo si leggeva in faccia.

Piton sollevò distrattamente gli occhi su di lui, probabilmente interrogandosi se davvero valesse la pena di rispondere ad una simile domanda. «Speravo che Codaliscia ci facesse la cortesia di servirci da bere» sibilò infine, dopo qualche secondo di silenzio, «ma a quanto pare, questo non avverrà».

Al suono di quel nome, Lupin alzò improvvisamente lo sguardo su Piton, sempre più nervoso e agitato attimo dopo attimo che quella rivelazione prendeva corpo nella sua mente. A Rouge non passò inosservato un simile sbalzo.



Peter.

Peter era lì, da qualche parte.

Non sarebbe uscito da quell'ostentazione di lusso sembra prima averlo fatto a pezzi.

Sempre che Peter non lo precedesse rivelando ai suoi compagni la sua vera identità.



«Vaglielo a dire» sbottò con un cenno irritato del capo MacNair.

Ruotando la testa con una tranquillità che aveva dell'allarmante, Piton lo squadrò accigliato. «Ti sembro forse un camerire, Walden?» ironizzò freddamente.

«Mandaci questa bestiaccia» s'intromise Alecto, indicando Lupin con un movimento annoiato del braccio flaccido e calcando con disgusto l'ultima parola. «E fagli dare una ripulita: è una visione nauseante».

«Non parlare a me di nausea» scoppiò Lupin nel suo più efficace tono scocciato, «la tua pelle cadente oscilla così tanto che mi verrà da vomitare».

«Ed io che credevo ne avessi avuto abbastanza, per questa sera» commentò Rouge.

La mano di Greyback atterrò sulla schiena di Lupin con la forza che avrebbe potuto possedere solo un Troll di montaglia. Boccheggiò piegandosi in due, e mentre tentava avidamente di riacquistare la facoltà di respirare, sentì la voce melliflua di Greyback rivolgersi ad Alecto Carrow.

«È nuovo» le spiegò, come se questo fosse più sufficiente a motivarne il comportamento. Rouge lo guardò disgustata, ma storse il naso e non disse nulla.

Concedendosi un labile sospiro sommesso, Piton considerò opportuno interrompere in partenza quello che sarebbe indubbiamente sfociato in uno snervante e futile conflitto razziale.

«Mannaro» intimò infine, «sono certo che per non sarà un problema scendere nelle cucine».

Remus Lupin lo fissò impassibile. Difficile sarebbe stato per chiunque decifrare le emozioni celate da quell'espressione all'apparenza fredda e indolente. Nessuno, davvero, si sarebbe potuto accorgere dell'acredine che lo stava agitando.

Mai, come in quel momento, il desiderio di uccidere Peter era stato così forte: la possibilità di farlo, aveva improvvisamente riacceso i suoi istinti.

°°°°°°°









Maledetto, maledetto Piton, continuava a ripetere fra sé e sé Peter Minus, seduto su una malmessa seggiola di legno delle antiche cucina di Casa Riddle, le stanze forse più anguste e dall'odore meno sopportabile di tutta la grande dimora. Al di sotto del pesante trave centrale, la fioca candela che il mago aveva acceso per illuminare l'ambiente volteggiava indisturbata, creando ombre giocose fra le abbandonate pentole di rame e i vecchi utensili impolverati sui grossi tavoli rovinati. Fra quei chiaroscuri, i suoi occhi acquosi sembravano brillare di luce maligna e maldisposta, traditi, tuttavia, dall'agitazione con la quale il suo piede continuava incessantemente a battere il ruvido pavimento di pietra. Un giorno di questi gli avrebbe fatta pagare, si ripeté con maggiore sicurezza, non poteva certo permettersi di trattarlo così. Non era il suo domestico, per Godric!





Remus Lupin rimase diversi secondi a fissare i nodi del legno della porta che conduceva alle cucine; il volto ancora ermetico ed esternamente calmo e l'animo teso e tremante come il vulcano che attende il suo devastante scoppio. Fece un respiro profondo, e facendo leva sul suo radicaco senso riflessivo, s'interrogò su cosa sarebbe potuto succedere una volta entrato nella stanza.

Peter Minus era lì.

Ma Peter Minus non era conoscenza che lui fosse lì, separato da pochi, miseri passi da colui al quale era solito chiedere spiegazioni per le lezioni che non gli risultavano chiare, da colui con il quale aveva giurato amicizia eterna, da colui per il quale era diventato illegalmente un Animagus.

Da colui al quale aveva distrutto quel poco di felicità che la vita, dopo tanti strazi, gli aveva offerto.





«A volte mi sento un po'... ecco... a disagio con voi».

«A disagio, Codaliscia? E perché?» chiese perplesso Sirius, accavalando le gambe sulla poltrona accando al caminetto della Sala Comune deserta e fissando accigliato il compagno.

«Perché... insomma, Felpato, guardatevi e poi guardate me» disse rapidamente Peter, distogliendo gli occhi da quelli di Sirius, e sforzandosi di non incontrare quelli di nessun altro. «Ramoso, tu sei eccezionale, sei il mito di tutta la scuola, il Cercatore migliore che la squadra di Grifondoro abbia mai avuto».

«Modestamente...» approvò James, fingendo di fissarsi le unghie con un sorriso compiaciuto.

«E poi ci sei tu, Felpato» riprese Peter, sempre più imbarazzato, «fai colpo su tutte le ragazze della scuola, sei sempre al centro di tutte le attenzioni, non sbagli mai un colpo e riesci sempre a far ridere tutti».

«Naturale» intervenne James, «è geneticamente ridicolo».

Sirius gli lanciò una violenta cuscinata.

«E tu, Remus» concluse, alzando finalmente il capo per poter guardare il ragazzo taciturno seduto accanto a lui. «Tu sei semplicemente un genio. Sai sempre tutto in tutte le lezioni e sei sempre gentile e-» s'interrupe, riportando lo sguardo sui propri piedi, «-e io non sono niente».

L'occhiata che Sirius Black, James Potter e Remus Lupin si scambiarono in quel momento, fu forse la più eloquente di tutta la storia di Hogwarts.

«Non dire assurdità, Codaliscia» iniziò James, colpendolo con il cuscino che Sirius gli aveva tirato prima. Il ragazzo gemette appena.

«Sei il MagiScotch che ci tiene uniti» aggiunse con un ghigno divertito Sirius.

«Senza di te non saremmo niente, Peter» terminò pacato Remus.



Il tempo, implacabile compagno della vita, aveva già iniziato a contare i giorni che ancora li separavano da quel 31 ottobre che avrebbe distrutto per sempre ciò che erano stati i Malandrini.





Peter Minus alzò improvvisamente il capo all'indirizzo della porta. Il resto dei Mangiamorte poteva anche considerarlo un inetto babbeo, ma i suoi sensi particolarmente sviluppati di roditore era tutt'altro che da sottovalutare. Era certo che qualcuno, dietro la porta delle cucine, stesse respirando affannosamente.

E non era Piton.

Il suo respiro non era udibile.

«Chi va là?»

Con un rantolo cigolante e sofferto, i cardini arrugginiti si mossero lentamente.

°°°°°°°







«Mi voleva vedere?» chiese Tonks, richiudendosi alle spalle la porta dell'ufficio di Gawain Robards, da pochi giorni promosso a Capo del Dipartimento Auror del Ministero. Gawain Robards non poteva certo vantare una presenza giunonica come quella che esercitava Rufus Scrimgeour, né tantomeno una bellezza fascinosa, ma era un uomo dai modi estremamente accattivanti: l'impeccabile taglio di capelli e i gesti galanti ed educati a cui era solito, ne accentuava l'aria da incorrotto difensore della giustizia e imparziale direttore d'ufficio, probabilmente più di quanto non si fosse dimostrato effettivamente nei suoi anni da secondo. Alzò interessato il capo dai rapporti che stava leggendo, e riconoscendo il viso a forma di cuore della giovane, le sue labbra si disciolsero in un sorriso amabile e apparentemente sincero.

«Sì, agente Tonks» le rispose, indicandole brevemente di prendere posto sulla sedia dinanzi al lucido scrittoio di ciliegio. «Ho avuto modo di osservare il suo rendimento nell'ultimo periodo» iniziò con calma, «e devo ammettere che i suoi meriti sembrano diminuire settimana dopo settimana. Saprebbe spiegarmelo, signorina Tonks?»

«Agente» puntualizzò senza la traccia di un sorriso Tonks. Robards avrebbe potuto anche sorriderle con educazione e galanteria fino al pensionamento, ma non si sarebbe mai lasciata gabbare dal suo fare fuorviante. Era convinto di poter dominare su tutto e tutti esattamente come il mago che l'aveva preceduto, se non di più, e lei non aveva la minima intenzione di farsi mettere i piedi in testa da lui. Era nervosa e agitata di suo in quel periodo, e assolutamente consapevole che la minima quisquilia sarebbe stata più che sufficiente a farle perdere la calma. Si appellò a tutto il controllo che aveva affinché il suo raziocinio l'aiutasse a conservare il lavoro. «Sono “signorina” solo nel tempo libero» concluse, decisa a mettere in chiaro la situazione fin dall'inizio.

«Come preferisce, naturalmente. Sta di fatto, agente Tonks, che io sono il suo diretto superiore, e lei non è qui che da più di due anni. Le consiglierei di riflettere attentamente su ciò».

Lei è mio superiore da meno di una settimana, signore, stava per ribattere stizzita, ma si disse che era certo la frase meno adatta da estrarre dal suo vocabolario, in quel momento, e in qualunque altro. Si limitò a stringere le labbra e a fissarlo intensamente negli occhi.

«Vuole dunque spiegarmi cosa le sta succedendo?» continuò Robards, intrecciando fra loro le dita rugose e lanciando occhiate eloquente ai capelli grigio topo di Tonks.

«Non riesco a capire, signore» si sforzò di rispondere, «non mi sono resa conto di aver perso punti nel riordinare gli archivi» puntualizzò. Ed era vero, effettivamente: il pericoloso e mortale compito di gestire i cassetti dei vecchi rapporti non aveva risentito quanto la sua capigliatura di tutto quello stravolgimento emotivo che la stava dilaniando. E impeccabili, tuttavia, non lo erano mai stati: sebbene cercasse di svolgere quell'umile mansione con il massimo della sua concentrazione, di tanto in tanto, fra le inutili scartoffie del 1948 finiva un appunto del 1949, o un modulo catalogato come 1925 si Materializzava magicamente nella pila del 1924. Considerando l'importanza del suo lavoro – bel due qualificati Auror ogni decade potevano aver bisogno di quei fogli, per inciso – quegli errori erano intollerabili. Ma che lei fosse portata per l'azione e lo scontro diretto, più che per l'asfissiante controllo dei vecchi archivi dei sotterranei, sembrava per Robards più incomprensibile che la traduzione di “Storia di Hogwarts” in goblinese.

«Faccia bene attenzione alle mie parole: quello che lei fa o non fa al di fuori del Dipartimento non è certo affare mio, e a meno che ciò non risulti illegale, non ho né il diritto, né tantomeno la voglia di saperlo» le si rivolse con un sorriso tirato, «sta di fatto che qualunque cosa sia, sta rendendo sempre meno indispensabile la sua presenza qui, se non, forse, renderla un peso per l'intero Dipartimento».

«Un peso?» ripeté incredula Tonks. «Come posso essere un peso se sono relegata fra gli archivi, signore?»

«Sia io che il Ministro Scrimgeour abbiamo sempre creduto che alle sue doti fosse necessario aggiungere una formazione di spirito, e di questa scelta lei è già stata precedentemente informata. Sa perfettamente che il motivo per il quale è stata assegnata agli archivi è un motivo puramente didattico, fin quando non sarà ritenuta idonea ad azioni esterne».

Fu più che sufficiente al suo autocontrollo di crollare come la Torre di Babele a suo tempo.

«Capo» sbottò incontenibile, «sia sincero. Bertfrith Crafty si è diplomato meno di tre mesi fa, e con risultati obiettivamente peggiori dei miei: tuttavia è stato promosso nella sezione Rapimenti e Sparizioni Misteriose; Litbald Brown non è stato capace di distinguere un Incantesimo Confundus da un incantesimo di memoria in due diverse occasioni, ed ora è sottotenente della sezione di Emergenza. Non sarà forse che né lei, né il Ministro, avete ancora digerito il fatto di non esservi accorti che prendevo parte alle azioni dell'Ordine della Fenice sotto al vostro naso?»

Le guance scavate del mago si fecero improvvisamente più rubizze, ma non diede tuttavia altro segno di cedimento. Era, dopotutto, un qualificatissimo Auror.

«Devo dunque pensare» proseguì imperterrita Tonks, «che non sono le mie credenziali ad essere insufficienti, ma le mie scelte ad essere inappropriate agli occhi della dirigenza?»

«Dovrebbe pensare di smettere di ascoltare quel fanatico di Alastor Moody, ecco quello a cui dovrebbe pensare».

«Il fanatico di cui parla è il più grande Auror che abbia mai varcato questa soglia» calcò pesantemente.

Robards sospirò, alzandosi in piedi. «Lei è giovane, agente. Troppo giovane. Non può capire».

«Capisco perfettamente, signore» s'affrettò a correggere Tonks, alzandosi a sua volta e fronteggiandolo.

«Da oggi lei è distaccata dal Ministero, sarà di camera ad Hogsmeade e aiuterà a Dawlish a controllare l'area della scuola di Hogwarts. È un ordine».

Tonks si umettò le labbra, guardò Robards con un sorriso sprezzante e si diresse rapidamente verso la porta.

«Agente» la chiamò lui, mentre la mano della ragazza era già stretta attorno alla maniglia d'ottone, «mi dia retta: se vuole davvero far carriera al Ministero, Moody non è certo il modello più adatto da prendere come esempio».

Lei gli rivolse un'ultima occhiata sardonica.

«Non sia mai, signore».

°°°°°°°





















Ventritr- *Trick controlla velocemente*, sì, ventitreesimo capitolo. Sto perdendo colpi, santo cielo. ù__ù

Sto per darvi due ottimi motivi per linciarmi virtualmente, siete pronti?

  1. Il motivo per cui non ho continuato il confronto fra Remus e Peter (al prossimo, mi spiace) è che un'ispirazione fulminante mi ha fatto ricordare che c'è anche Tonks. Poverina, me ne dimentico sempre...XD

  2. Lunedì partirò, destinazione montagna. Non toccherò il computer fino a gennaio, e questo significa che posso promettervi – al massimo – che mi porterò dietro blocchetto, penna e vocabolario;

  3. No, perché 3? Non c'è un 3.

E purtroppo vado anche di fretta (è il 22 di dicembre, devo ancora fare l'albero e iniziare a fare i regali... che vergogna), perciò lascio un bacione gigante a tutti quanti, fate i bravi a Capodanno (perché io non lo sarò, e qualcuno deve equilibrare la media nazionale) e ricordatevi di stare lontani dalle persone con l'alito che puzza allo scoccare del 2008, perché sarete inevitabilmente costretti a baciarle. Momenti di vita vissuta...°__°



BUON NATALE E UNO PSICADELICO CAPODANNO A TUTTI!

Trick



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Capitolo 25
*** Capitolo Ventiquattresimo - Al di là del bene ***


************************

Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO

Al di là del bene

°°°°°°°





Tutto ciò che è fatto per amore

è sempre al di là del bene e del male.

(Friedrich Nietzche)





Peter Minus strabuzzò perplesso gli occhi all'indirizzo dello sconosciuto che aveva appena aperto la cigolante porta delle cucine. Gli furono necessari qualche secondo, duranti i quali focalizzò meglio l'attenzione sui tratti somatici dell'uomo, prima che il panico annientasse in breve la propria sorpresa.

«Re-Re... Remus...?» sussurrò con voce stridula, il viso – una volta gioviale e paffuto – cereo come se dinanzi a lui vi fosse la morte in persona. Tentò di indietreggiare in preda al terrore, ma inciampò nella seggiola sul quale era seduto pochi istanti prima, e ritrovandosi rannicchiato in balia dell'uomo che più di tutti, probabilmente, desiderava ucciderlo, iniziò a fissarlo sempre più stralunato e confuso.

«Tu-tu...» balbettò, non demordendo nei suoi tentativi di allontanarsi da Lupin senza distoglierne lo sguardo. Le sue mani continuavano a scivolare sugli oggetti sparsi qua e là sul pavimento, ma loro, febbrili e spaventate, continuavano a ritentare e ritentare quella maniacale fuga.

«Io, cosa, Peter?» sussurrò Lupin con voce piatta, l'espressione ermetica del viso ben visibile anche se coperta dai residui di sangue e dal livido bluastro che si stava allargando piano piano sopra allo zigomo destro. «Cosa?»

Gli occhi acquosi di Minus iniziarono a brillare. «Remus...» piagnucolò, «Remus, non mi puoi uccidere... pensa... pensa se lo vengono a sapere... io... io...»

«Non sei protetto, qui sotto, Peter» bleffò Lupin, iniziando a scendere con apparente calma i gradini di pietra. Certo che era protetto, e troppo, anche. Lui era disarmato, a differenza di Peter, e inoltre, se avesse urlato, ci sarebbero state ben poche probabilità che i Mangiamorte al piano di sopra non se ne accorgessero; l'unica speranza in cui Lupin sembrava confidare, era nella negligenza con la quale questi ultimi avrebbero agito nei confronti del loro compagno. «Non c'è nessuno a proteggerti questa volta. Siamo solo io... e te».

«Non lo puoi fare... Remus, ti prego... io non... non...»

«Non hai colpe, forse?» continuò in un sibilo sempre più freddo e incontenibile Lupin; era sempre più difficile trattenersi dal saltargli al collo e strangolarlo. Una gioia animalesca sembrò improvvisamente pervaderlo mentre immaginava la pelle di Minus mutare colore per la mancanza di ossigeno e i suoi occhi immobilizzarsi finalmente nei suoi. Vacui.

«Sirius è morto, non puoi non averlo saputo».

«Io non-non... Remus, amico mio, ti prego, abbi pietà...»

«Sei stato tu ad ucciderli, Peter... ed ora vieni a scongiurare la mia pietà?»

«No-no-no... no, Remus, no... Harry-»

«Harry non c'è» sentenziò aspramente Lupin, sfiorando con i polpastrelli la superficie del tavolo e studiando la lama affilata di un coltello sporco e abbandonato. Per quanto continuasse a ripetersi che la cosa non lo importava, il bagliore lontano del tredicenne figlio di James e Lily e della benevolenza che misteriosamente si sentì di riservare all'uomo colpevole della morte dei propri genitori si era imposto con forza nel suo cervello, sottoponendo la sua coscienza ad un duro interrogatorio. Se l'avesse ucciso, pensò, non sarebbe più riuscito a guardare in faccia Harry. Ed ora che era rimasto l'ultimo legame con quella che sarebbe dovuta essere la sua famiglia, non poteva permetterselo. Ma se non l'avesse ucciso, lo avrebbe rimpianto per tutta la vita. Fronteggiava nuovamente quella situazione amletica che aveva caratterizzato i suoi giorni da quando, trent'anni prima, era stato morso da Greyback. È meglio essere in pace con sé stessi, facendo soffrire gli altri, o è meglio soffrire affinché di pace essi si nutrano?

Era questo dilemma che ancora gli impediva di scagliare tutta la sua furia su Minus, e questo, in qualunque modo lo avesse detto, era anche il dilemma che ancora gli impediva di amare Tonks come lei voleva essere amata.

Al diavolo.

Afferrò il coltello.

«Severus!» squittì improvvisamente Minus, gli occhi improvvisamente baluginanti di speranza e devozione.

Sono salvo, si disse.

°°°°°°°





«Maledetto Godric, Lupin. Cosa credevi di fare con quel coltello in mano?» sbottò Piton, scendendo rapidamente i gradini; puntò la bacchetta verso la porta e mormorò un'incomprensibile successione di suoni*. «Mi auguro sinceramente non ti sia venuta la brillante idea di ammazzarlo adesso e qui».

«Qualche motivo per cui non potrei farlo?» ribatté altrettanto scontroso Lupin, stringendo con più forza l'impugnatura e assaporando l'idea di infilarne la lama nello stomaco di Minus. Gli occhi del piccolo ometto iniziarono a saettare dall'uno all'altro mago, improvvisamente meno speranzosi e sicuri, quasi avessero fiutato che, effettivamente, qualcosa non quadrava, a partire dal fatto che Remus non poteva essere lì, in piedi davanti a lui, con un coltello in mano, a pochi passi da uno dei più riveriti Mangiamorte dell'Oscuro. Non poteva essere vivo.

«Nessuno, a meno che morire non sia diventato improvvisamente un tuo desiderio».

«Severus, questo... questo...» tentò, sforzandosi inutilmente di trovare una parola perlomeno accettabile con la quale poter descrivere Minus. «È colpa sua se sono tutti morti».

«Esatto, Lupin» annuì Piton. «Morti. È davvero arrivato il momento che te ne faccia una ragione».

«Se-Severus...» balbettò Minus, sconvolto e confuso. «Severus, cosa, cosa... tu sei...?»

Con un sospiro impaziente, Piton roteò gli occhi. «Merlino, adesso dovrò anche fargli un incantesimo di Memoria. Soddisfatto, Lupin?»

«Non puoi farlo!» strillò Peter. Si rialzò improvvisamente, puntando agitato l'indice della mano argentata verso il volto tediato di Piton. «Lo dirò al Signore Oscuro, Severus, e lui ti ucciderà e io-»

«Tu sarai già un cadavere, Peter» sentenziò Lupin.

«No, non lo sarà» contestò innervosito Piton. «Non ti permetterò di mettere in crisi la mia missione per sanare questa tua dannata e patetica smania di vendetta. Ora, vuoi cortesemente ignorarlo e tornare a svolgere la tua missione, Lupin?»

«Non è importante».

«Hai ragione, non lo è» concordò con un gesti falsamente allegri l'altro, «dopotutto, è della tua vita, di cui stiamo parlando, nevvero?»

«Severus...» riprovò Peter.

«Codaliscia, chiudi la bocca. Nel caso non te ne sia accorto, sto cercando di convincerlo a risparmiare la tua inutile e sciocca esistenza. Sarebbe molto educato se mi facessi la compiacenza di tacere».

«Sei dalla sua parte...» squittì incredulo, balzando indietro come se questo fosse sufficiente a salvarlo dalle successive mosse dei due maghi. «Stai facendo il gioco di Silente... alle spalle dell'Oscuro Signore...»

Piton guardò stancamente Minus, poi si concentrò di nuovo sull'espressione determinata di Lupin; sembrò convincersi di come quei due, insieme, fossero più patetici che presi separatamente. Raddrizzò con un colpo annoiato della bacchetta la sedia rovesciata dall'ansia di Minus, e vi si sedette con eleganza, incrociando distrattamente le gambe e Materializzando un bicchiere di vino elfico alla sua sinistra.

«Hai cinque minuti, Lupin» concesse infine, lanciando una rapida occhiata al vecchio pendolo appeso al muro scrostato. «Nessuno spargimento di sangue, o sarò costretto ad uccidere anche a te e a fingere di aver cercato di salvare Codaliscia».

°°°°°°°







«Posso avere la tua bacchetta?»

«No».

«Posso, perlomeno, fargli del male fisico?»

«No».

«Posso farne a te?»

°°°°°°°







Lupin non aveva la più pallida idea di cosa fare. Continuava ad ascoltare impassibile i lamenti piagnucolosi di Minus, fissandone intensamente i contorni del viso.

Non poteva ucciderlo.

Non voleva nemmeno vederlo.

Non voleva che esistesse.

Non voleva che fosse mai esistito.

Ma il suo sguardo raggelante non sembrava in grado di liberarsi dalla sua vista. Era completamente in balia del suo stordimento, e questo lieve ondeggiare fra disinteresse e furia sembrava non ambire a null'altro che a trascinarlo in una tomba mentale.

«Lupin, se è tua intenzione non fare niente nei prossimi cinque minuti, ti sarei grato se me ne informassi ora, cosicché io possa provvedere a sistemare la memoria di Codaliscia, risparmiando secondi preziosi che vorrei trascorrere lontano da questa topaia, se non è un disturbo troppo grande per la tua depressione» incalzò con noncuranza Piton, visibilmente scocciato da quel noioso e inconcludente spettacolo d'arte mimica.

«Vorrei ucciderti, Peter, lo giuro» disse Lupin. Minus si ritrasse maggiormente dalla sua portata, finendo con la schiena contro al muro alle sue spalle. Sembrava niente meno che paralizzato: adamantine gocce di sudore gli imperlavano la fronte calva, mentre il petto grassoccio continuava ad alzarsi e ad abbassarsi a ritmo frenetico.

«Ma non posso. E ora non so cos'altro fare».

Con un gemito, Piton gettò il capo indietro, passandosi una mano sul viso stanco. Salazar, uccidi me, scongiurò mentalmente.

«Remus...» tentò titubante Minus, strusciando affannosamente le suole delle scarpe per terra, quasi si fosse convinto di poter sfondare il muro che lo sorreggeva con la semplice forza della propria paura.

«Perché lo hai fatto, Peter?» sussurrò Lupin.



Sei un testone, Lunastorta, risuonò nella sua mente, quante volte dobbiamo dirti che il tuo «piccolo problema peloso» non è un problema?



Come echi di campane lontane, indistinti e inafferrabili, i ricordi si sovrapponevano, si mescolavano e s'intrecciavano in un unico, malinconico dipinto. Come colori troppo liquidi sulla tela candida, le voci continuavano a scivolare sulle pareti del suo cervello, appannando i contorni della realtà che lo circondava.



Che t'importa se hai il mondo contro, Lunastorta? Hai noi, no?

La voce di James è straziante.

E, dopotutto, sarai costretto a sopportarmi per l'eternità, vecchio mio, mi spiace.

La risata di Sirius è infernale.

Remus, promettimi che ci sarai sempre quando avrò bisogno di aiuto.

Il sorriso di Lily è impietoso.



Perduti.



«PERCHÈ LO HAI FATTO, PETER!?» gridò furioso, colpendo con violenza delle bottiglie di vetro sul tavolo. Il suo metallico del loro infrangersi risuonò gelido nella stanza. «Perché, maledizione, rispondi!»

Doveva fargli male, Merlino.

Afferrò lo schienale di una sedia, e scagliandola a terra cercò di impartirle tutta la rabbia che si stava rapidamente saziando del suo cervello. Guardò Minus con gli occhi brillanti, il fioco lume oscillante sopra la sua testa a creare sottili ed eleganti ombre sul suo viso.

«Sirius è morto! Lily è morta! James è mor-»

«IO VOLEVO CHE JAMES MORISSE

Dapprima stravolto dal gesto impetuoso e inconsueto di Lupin, ora Peter sembrava avere trovato la forza per risollevare il capo, come se fra le virgole della rabbia soffocata dell'altro, si fosse annidato qualcosa in grado di risvegliarlo. Sebbene il corpo tremasse ancora, i suoi occhi acquosi ardevano in quelli dell'altro.

«Io volevo che morisse...» sibilò con rabbia, «volevo che se ne andasse per sempre».

Lupin trasalì.

«Invece...» continuò trepidante, «invece è morta Lily».

°°°°°°°





When you walk away I count the steps that you take
Do you see how much I need you right now







Il riflesso evanescente degli occhi stanchi e arrossati di Tonks la scrutava impotente dal vetro del finestrino, il viso a forma di cuore confuso dalle gocce di pioggia. Al di sopra di quell'intreccio di strade e vite che era Londra, il rosso con cui il cielo si tingeva di notte, stipato di tutta la luce dei lampioni dei Babbani, sembrava dominare sull'intera città. Nonostante non lo facesse spesso, Tonks adorava l'andamento frenetico del Nottetempo, il suo oscillare rivoltante e le sue frenate inaspettate. Era un po' come lei, in fin dei conti. L'unica cosa che non aveva mai sopportato era-

«Come mai così sbattuta, Ninfadora?»

Tonks distolse lo sguardo dai primi accenni visibili della brughiera. Stan Picchetto, le braccia incrociate e la schiena appoggiata al fianco sinistro dell'autobus, la fissava con un sorriso sfacciato che nulla di buono avrebbe potuto far presagire.

«Chiamami Ninfadora un'altra volta e ti strappo gli attributi, Stan».

Stan la fissò dapprima perplesso: non si sarebbe mai aspettato una reazione così scontrosa – non lo era stata così tanto neppure la Veela con cui aveva cercato di intrattenersi qualche anno prima al Campionato del Mondo di Quidditch – dalla stessa strega con cui aveva diviso la Sala Comune per ben cinque anni, prima di strappare i suoi due sudatissimi G.U.F.O., ma non era certo il tipo che si demorde davanti a simili sciocchezze. Aveva voglia di conversare, Ernie era divertente come una Mandragola che ti morde il sedere, e a quell'ora tarda, la sua vecchia compagna di scuola era l'unica passeggera del Nottetempo.

«Dove vai di bello, sola soletta?»

Lei sbuffò. «Ad Hogsmeade».

«Hogsmeade? Vai ancora a scuola?» scherzò.

Tonks fece un gesto con la mano che – tecnicamente – Stan avrebbe dovuto tradurre come un eloquente 'lasciami in pace', e riprese a scrutare l'oscurità oltre il finestrino.

«E da quando ti piacciono i capelli da bigotta?»

«Lascia stare i miei capelli».

«Me li ricordavo rosa. Non stai bene, così, fidati».

«M-mh».

«Dico davvero».

«M-mmh».

«Non dici niente?»

«No, Stan» rispose stancamente Tonks, lasciandosi scivolare sul dorso della mano e abbandonando la testa contro il finestrino. «Non ho voglia di dire niente».

«Ehi» esclamò improvvisamente il ragazzo. «Ma ti è successo qualcosa?»

Se mi è successo qualcosa? Mio cugino è morto, forse lo è anche l'uomo che amo, voglio soltanto diventare un'altra persona solo per qualche minuto, ma ho perso i miei poteri e non posso farlo. E sto per perdere il lavoro. Va alla grande, Stan, davvero.

«Dai, che hai?» continuò imperterrito. «Problemi a lavoro? Hai litigato con qualcuno? La saluta fa cilecca? La tua famiglia ti stringe? O forse c'è di mezzo un uomo, non è vero?» batté con decisione il pugno sul palmo dell'altra mano. «Sì, dev'essere così. Chi è costui?»

«Che te ne frega?»

«Allora c'è un costui. Bene, bene...»

«Stan, ti scongiuro, lasciami in pa-»

«Capisco che tu non abbia voglia di parlarne...»

«Bravissimo».

«...ma chiunque sia, sta facendo uno sgarro a tutta l'umanità, a ridurti così. Mica sei nata per essere triste, tu».

Lei lo guardò sorpresa.

«Dai, me lo rifai un sorrisone dei tuoi, Tonks?»

°°°°°°°







L'hai amata da lontano, colpa della sorte.

Desider la sua pelle, ne provocò la morte.







«E-eri innamorato di Lily?»

Un silenzio irrespirabile aveva avvolto la pietra delle cucine di Casa Riddle: ogni respiro di Remus Lupin sembrava sempre più pesante e viscoso del precedente, aguzzini, in qualche modo, nel modo serrato con cui volevano mantenerlo in vita. Severus Piton, dal canto suo, continuava a godersi quell'anomalo spettacolo con l'educata indifferenza di chi non ha la minima intenzione di farsi i fatti altrui, ma allo stesso tempo non crede necessario disturbarsi per lasciare i diretti interessati in intimità. Ed effettivamente, come dargli torto? Se Lupin avesse improvvisamente deciso di abbandonare i propri propositi razionali e indolori, indubbiamente la presenza di Piton nella stanza sarebbe stata provvidenziale alla salvaguardia di entrambe le missioni.

E alla vita di Minus, naturalmente.

Respirando affannosamente, Minus tentò di rimettersi in piedi, guardando alternativamente Lupin e Piton, come se si aspettasse un loro attacco da un momento all'altro. E anche a lui, siamo sinceri, potete dargli torto?

«Rispondimi, Peter» intimò Lupin col fiato corto. «Rispondimi, maledizione!»

«Che t'importa ormai!?» squittì di rimando l'altro. «È morta, che differenza può mai fare!?»

«TU L'HAI UCCISA

«IO VOLEVO SOLO SALVARLE LA VITA

Lupin fissò impietrito ciò che restava del ragazzino basso e grassoccio che era solito aiutare nei compiti. Tutto questo è impossibile, si disse, è assurdo.

Mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore e soffocando lacrime che non riusciva più a trattenere, Minus mormorò flebilmente: «Mi ucciderai, adesso, Remus?»

«Certo che non lo farà, idiota» s'intromise Piton. Inutilmente, per giunta, perché nessuno degli altri due maghi sembrava in grado di sentire la sua voce.

«Hai ucciso James...» sussurrò Lupin, con gli occhi sbarrati come un alienato. «Hai ucciso Lil-»

«IO NON L'HO UCCISA! NON SONO STATO IO!» gridò nuovamente Minus, fuori di sé. «L'amavo, d'accordo!? L'amavo, ma per lei c'era sempre e soltanto James, James e ancora James! James l'idolo! James il campione! James il fenome-»

Il pugno di Lupin era partito prima che il proprietario stesso se ne fosse accorto. La sensazione provocata dallo scrocchiare del setto nasale di Minus sotto le sue nocche, per un attimo fugace, lo inebriò di malsana euforia. Piton sollevò annoiato un sopracciglio.

«Maledetti siamo i Grifondori, Lupin!» sibilò. «Ti avevo detto di non fargli niente».

«JAMES ''IL FENOMENO'' AVREBBE DATO LA SUA VITA PER LA TUA!» urlò Lupin. «SIRIUS L'AVREBBE FATTO! IO L'AVREI FATTO! SAREMMO MORTI PER TE, LURIDO VISCIDO RATTO

Boccheggiando convulsamente, Minus si ritrasse dolorante e tentando di fermare il flusso del sangue, cercò di rialzarsi in piedi.

«Non-non...» mormorò.

«Non, cosa?!»

«Non capisci...» continuò in un flebile sussurro. «Non hai mai capito... niente».

«Cinque minuti scaduti» lo interruppe con un sorriso glaciale Piton, alzandosi di scatto e battendo felicemente le mani fra loro. «Uno spettacolo sublime, dico davvero, peccato che il tempo trascorre così rapidamente da queste parti».

«Hai ragione, Peter» ansimò Lupin. «Non ho mai capito niente di te. Se solo lo avessi fatto... se solo fossi riuscito a vedere... sarebbero con me, adesso».

Distolse in fretta lo sguardo dall'uomo rannicchiato ai suoi piedi e gli voltò le spalle con altrettanta velocità. «Fa quello che devi fare, Severus».

«Non puoi... no, Severus, tu non, non... lo verrà a sapere! Il Signore Oscuro sa tutto, Severus!» tentò un'ultima volta Minus. «Ti ucciderà! E ucciderà anche te, Remus! Vi uccidera tutt-»

«Oblivion».

Piton attese in silenzio che l'ultimo fascio di luce sprigionato dalla propria bacchetta si smorzasse, fingendo di non essersi accorto dei rapidi movimenti con cui Lupin, alle sue spalle, si stava asciugando gli occhi.

°°°°°°°











Il piccolo mago si aggiustò trafelato l'orlo del mantello scuro scivolatogli sulle spalle per la troppa agitazione con cui stava procedendo lungo il ciglio della strada. Si fermò accanto a un muricciolo bianco, appoggiandovisi con una mano e respirando profondamente. Vagò con lo sguardo nel nebbioso cielo londinese, ricercando ingenuamente la sua buona stella. Quella di quel 31 ottobre si stava rivelando la più cupa, soffocante e beffarda notte di tutta la sua vita.



«Ottimo lavoro, Codaliscia».



Era salvo.

Di nuovo.

Lei sarebbe morta.

E lui si sarebbe salvato.

°°°°°°°



















*gemiti di sottofondo*

Uff... mamma santissima, è stato probabilmente capitolo più travagliato. Sarà che ci ho rimurginato sopra perfino mentre sciavo (il che, vi assicuro, ha aumentato drasticamente il numero dei miei lividi: spero solo ne sia valsa la pena) o mentre cercavo di dormire con il sottofondo melodico del russare di mio padre (grazie Sant'Antonio per avermi fatto tornare nel mio letto, fra parentesi).



E per quanto riguarda l'uscita psicopatica di questa Peter-loves-Lily-Lily-loves-James, sorvolate, per cortesia. È da quando ho letto il Prigioniero di Azkaban che ci penso, indi da ben...ehm... non saprei, ma si quantifica in anni. Lo trovo un buona spiegazione per il tradimento di Minus, per farla breve.



*

[...] un'incomprensibile successione di suoni [...]

(How, i puntini di sospensione fanno tanto 'professional'): comunque, trattasi di un Muffliato, incantesimo che essendo di invenzione di quel sexy-professor di Piton, Lupin non può conoscere.

È un sexy-professor anche Lupin, comunque, non sia mai...^^



puciu: no, dai, visto che sono stata brava? In fondo è solo il *rapida sbirciatina al calendario* 29 dicembre. Ho postato con ben tre giorni di anticipo, ma non farci l'abitudine, non ne vale la pena. Anch'io ho sempre fatto fatica a digerire Minus, ma dall'altra parte mi ha sempre affascinato parecchio. Buffo. E a proposito di Tonks, mi sa che diventerà più presente, povera stela, o finirò davvero per dimenticarmene. E prima che dimentichi pure questo: guai a te se ti azzardi a dire che pensavi che avrei vinto il Concorso di Natale senza problemi. La tua è stata probabilmente la FF ambientata all'epoca della Pietra Filosofale più bella che abbia mai letto. Un bacione gigante!

Kikkina90: chiedo venia!!! (io non sono mai buona, figurarsi a Natale!^^) Non è vero, sono un angioletto, o non avrei rischiato di rompermi il collo per finire il capitolo entro l'anno... avrei rischiato di rompere qualcosa in qualunque caso, è inutile girarci attorno. Un bacione!

CUCCIOLA_83: Tonks è stata una 'ganza alla seconda', concordo (oddio, fa troppo freddo: inizio a parlare come mio zio...°__°) Remus, a mio parere, è stato anche troppo bravo. Un bacione!

SakiJune: si può definire scontro? Ma sì, che si può. Ho avuto un po' di perplessità con Peter, è stato – oltre che irritante – tedioso, mortificante e complicato scrivere con lui in mezzo alla tastiera ogni tre secondi. Ma la mia ipotesi del suo tradimento doveva saltare fuori prima o poi...^^ (credi cha sia una delle migliore fanwriters? Oddio, vuoi farmi morire dalla gioia??? Magari... - non il fatto di morire, ovviamente). Un bacione!

Pucchyko_Girl: «patello»... giuro, questa me la scrivo, io ero rimasta al «marasma»!^^ Remus non lo ammetterebbe mai, ma è felice quando lo faccio soffire. *annuisce convinta* Temo non sia vero, ma divento più sadica capitolo dopo capitolo, dovrà farsi coraggio e resistere alle mie torture, povera stela. «Genio», non saprei, ma «ambulante» di sicuro. Ho investito di tutto e di più sulle pista... tra un po' chiamavano la guardia nazionale...V__V Niente da fare, non devo muovermi dal computer: se dovessi stramazzare prima di aver finito il Diario, non me lo perdonerei mai.



E dopo avervi stressato altri...ehm... *guarda l'orologio* cinque minuti (no, non ho la coniezione del tempo) vi lascio con un bacione a tutti quanti, rinnovo gli auguri e ci vediamo l'anno prossimo, gente!

Bye!

Trick



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Capitolo 26
*** Capitolo Venticinquesimo - Tradizionali ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO VENTICINQUESIMO

Tradizionali

°°°°°°°





«Professore, si rende conto di quanto è stato rischio-».

«Ne sono perfettamente consapevole, Severus. Tuttavia, è stata una decisione tanto avventata quanto necessaria».



Silente studiò con interesse il bambino seduto sulla sedia dinanzi alla scrivania del proprio ufficio. Era agitato e nervoso – a giudicare da come i suoi grandi occhi d'ambra fissavano la punta delle vecchie scarpette di cuoio che calzava – e sicuramente non vedeva l'ora che quel tormentato colloquio arrivasse alla fine. Tutto di quel ragazzino, giudicò Silente, sembrava in qualche modo malato. La debole luce del sole, a malapena in grado di filtrare attraverso le lucide finestre della stanza, faceva brillare i suoi capelli chiari, evidenziando la fragile sottilezza di ogni sua punta; i lineamenti del viso diafano, su cui spiccavano diversi segni rossi, erano così delicati da sembrare quasi femminei, lo specchio dell'anima di chi è fragile e cagionevole come l'ultima foglia d'autunno. Inclinando quasi distrattamente il capo, Silente trovò conferma nelle sue supposizioni. Quel gracile giovanotto sarebbe potuto apparire agli occhi di tutti debole e sparuto, ma in lui – l'anziano mago ne era certo – erano nascoste una determinazione e una tenacia notevoli; non coltivare le doti di cui sicuramente disponeva, sarebbe stato un oltraggio.

«Ti piace leggere, Remus?».

Il ragazzino annuì timidamente, in un gesto quasi impercettibile del capo.

«Eri al corrente» iniziò con un sorriso divertito il Preside, incrociando con eleganza le lunghe dita fra loro e scrutando il proprio ospite al di sopra degli occhiali a mezzaluna, «che disponiamo della Biblioteca meglio fornita di tutta la Gran Bretagna?».

Aveva fatto centro. Non che ne dubitasse, siamo sinceri.

Il giovane Remus Lupin, che solo due secondi prima non sembrava far altro che rimanere immobile e silenzioso a fissare tutto fuorché Albus Silente, aveva alzato il viso, le sopracciglia sollevate dalla sorpresa e le labbra strette nel tentativo di trattenere l'incontenibile agitazione.

«D-davvero?» balbettò.

«Davvero».

Incredibile come il viso stanco e turbato di quel bambino potesse risplendere se illuminato da un sorriso.

«È fantastico!».

Già, si ripeté Silente, non accettarlo a scuola, oltre che disonorevole, sarebbe un peccato.



«Professore, la prego di non fare altri sforzi inutili».

«Ti ringrazio, Severus, ma non devi preoccuparti più di quanto tu non abbia già fatto. La mia mano è stata un sacrificio più che misero, considerando la posta in gioco. Non potevo davvero fare altrimenti: c'era, dopotutto, la vita di Remus in ballo».



«Sembra un ragazzino molto brillante, Preside» sentenziò il Cappello Parlante, qualche istante che Remus Lupin si fu educatamente congedato.

«Oh, lo è» convenne Silente con un risolino divertito. «Sarà un piacere vederlo crescere fra queste mura».

Se il vecchio copricapo avesse avuto gli occhi, state certi che li avrebbe alzati verso il cielo.

Ci risiamo, pensò. L'ennesimo allievo condannato ad amare Silente.


°°°°°°°




«Stai scherzando, Bizèt?» esclamò incredulo il piccolo Trick, alzandosi con un guizzo agile dal vecchio tronco sul quale lui e Calima erano seduti e fissando Lupin come se provenisse da un altro pianeta. «Non sai cosa si fa quando c'è la Luna di Sangue?»

Lupin inarcò perplesso un sopracciglio, domandandosi silenziosamente se mai avesse avuto modo di scorgere quel macabro appellativo fra le mille pagine dei suoi libri. Impossibile, si disse infine, me ne ricorderei.

«Cos'è questa Luna?» chiese interessato a Calima. La giovane mannara, ridacchiando sommessamente, immerse un piede pallido e ossuto nelle acque cristalline dell'Harrier, con un sorriso birbante sul volto candido.

«Sei proprio fuori dal mondo, Damerino» lo punzecchiò divertita, portandosi una ciocca di capelli chiari dietro un orecchio. «È il terzo Esbat*» concluse con ovvietà. Poi, notando come Lupin continuasse a fissarla, scosse la testa con un sospiro e riprese:

«Si festeggia il Ciclo della Caduta ed è dedicata alla cacciagione. Davvero non ne hai mai sentito parlare?»

Lupin sorrise divertito e fece un cenno con il capo. «Mai» rispose, «ma ora sono molto incuriosito».

«Per forza!» strillò eccitato Trick, zampettando da una gamba e all'altra come in preda ad uno strano morbo. «Non ci credo che non sai cosa sono gli Esbat».

Intuendo la seguente domanda di Lupin, Calima spiegò:

«Gli Esbat sono quattro. La Luna del Lupo apre il Ciclo del Branco, il periodo in cui Selene creò il popolo dei licantropi. È un ciclo di rinnovo, in cui ci si riposa e si ricorda l'importanza del lavoro di gruppo».

«E poi c'è quella delle Gemme

«Trick, non chiamarla ''quella''» lo ammonì con un piglio severo Calima.

«La Luna delle Gemme» si corresse veemente Trick, ruotando comicamente gli occhi verso il cielo. «Inizia il Ciclo della Vita. La Natura rinasce e si ricomincia a lavorare sul serio. Dicono che se vuoi fare qualcosa e hai bisogno di fortuna, devi farlo nel Ciclo della Vita, perché riuscirà certamente».

«Questa è solo una sciocca superstizione» lo interruppe Calima. «Ne abbiamo un mucchio» aggiunse, rivolta a Lupin, che annuì seriamente interessato.

«E l'ultima Luna?» domandò. «Il quarto Esbat?»

Trick lanciò uno sguardo fugace a Calima.

«La Luna Fredda» mormorò la ragazza, «un tempo era l'ultimo Esbat, la festa che chiudeva il Ciclo dell'Anno».

«Era?»

Calima annuì con lentezza. «Fenrir ricevette Selene in sogno, molti anni fa. Fu Lei a dirgli che era arrivato il tempo di riconquistare l'onore e il potere che i maghi e le streghe ci avevano strappato secoli addietro» sussurrò. «Così creò la Luna Blu. ll Ciclo dell'Alloro. I giorni dedicati allo sterminio dei nemici di Selene».

Lupin la fissò impassibile, cercando di non lasciar trapelare le proprie emozioni. «I maghi e le streghe».

Calima e Trick annuirono silenziosi.

«A Rouge fa schifo» commentò dal nulla il bambino, con un tono che sembrava quasi dire ''perciò vuol dire che è così''.

«Trick, chiudi la boc-» iniziò Calima, ma qualcosa la fece improvvisamente bloccare: piegò la schiena in avanti e rimase immobile qualche istante. Posandole una mano sulla schiena per accertarsi che stesse bene, Lupin le chiese con gentilezza:

«Calima, stai bene?»

Lei gli lanciò un'occhiata scioccata. «Damerino, mi hai preso per una spiga di grano? Sto benissimo». Agitò in aria il piede bagnato, si alzò di scatto e fece per voltare le spalle al ruscello. «Vado a cercare Rouge» si congedò rapidamente, «magari ha bisogno di una mano per preparare la festa».

Lupin studiò i suoi movimenti impacciati mentre s'inoltrava fra i tronchi candidi del bosco di Tulip.

Mi nascondono qualcosa, si convinse in un lampo.


°°°°°°°




Lupin socchiuse gli occhi alla piacevolezza del soffio di vento levatosi da pochi istanti; l'immensità di Jura lo avvolgeva con tutta la sua bellezza: il sublime tramonto del sole, le fronde rossicce delle querce secolari e delle svettanti betulle sembravano – nonostante il clima non si potesse certo dire fra i più miti – scaldare la piazza del villaggio molto più dei falò che i mannari avevano accesso qua e là. Gli anziani del branco sedevano in cerchio attorno ad uno di questi, apparentemente immersi in una solenne e privata meditazione. Fra loro, Lupin riconobbe la carnagione scura e screziata di Chilone, un vecchio che Rouge gli aveva confidato essere fra i più convinti – e nascosti – oppositori di Fenrir Greyback, ma al quale non aveva ancora avuto il coraggio di avvicinarsi. Se la fortuna, in quella notte festosa, avesse deciso di arriderlo, forse sarebbe riuscito ad entrare in contatto con lui: era arrivato il momento di gettare le basi della seconda parte della missione.

Trovare alleati all'insaputa – e soprattutto sotto allo stesso naso di Fenrir Greyback – sembrava un'impresa impossibile.

Un'improvvisa e trillante melodia lo distolse dai suoi pensieri, costringendolo a tornare con i piedi per terra: Alceus e Aulos, due giovani mannari che già in precedenza aveva adocchiato per il loro interesse verso tutto ciò si rivelasse nuovo, e di conseguenza strano, stavano dilettandosi con una trascinante sonata per flauti; i loro suoni, tuttavia, dai tagli rozzi e approssimativi, risultavano lievemente gracchianti. Calima, seduta su un tronco a pochi passi da loro, canticchiava ridente, battendo le mani a ritmo di musica. Lupin la osservò con tutta la attenzione di cui era capace, ma non trovò nulla di strano nel suo comportamento. Una giovane dai corti capelli scuri seduta accanto a lei sembrò accorgersi del suo eccessivo interesse, perché si chinò rapida verso Calima e le sussurrò qualcosa all'orecchio. Sorridendo divertita al suo indirizzo, la ragazza si alzò, afferrò un lembo della logora gonna marrone e si diresse a tempo di musica nella sua direzione.

«Non accetto un no, Damerino» sentenziò con aria malandrina, «apri le danze con me».

Lui la guardò scioccato.

«Sei pazza!» esclamò. «Toglitelo dalla testa».

Ma lei aveva già afferrato il suo polso e lo stava già strattonando verso uno spazio ampio fra i falò. Fra un sorso di vino e un boccone di carne, alcuni mannari alzarono sguardi divertiti su di loro, ridendo e applaudendo alla loro coraggiosa inaugurazione della festa.

Calima afferrò le sue mani e lo fissò in tralice.

«Sai ballare, Damerino?»

«Temo proprio che questo non sia il mio campo».

«Sei un mannaro molto fortunato» concluse con semplicità. «Hai davanti a te la migliore ballerina dell'isola».

«Per qualche strano motivo» iniziò lui, mentre lei volteggiava graziosamente attorno alle sue braccia, «non lo dubitavo».

«Non essere così rigido» lo rimproverò con un sorriso. «Cerca di sentire solo la musica».

«Non ci sono mai riuscito, purtroppo»

«Sei proprio una causa persa!» lo canzonò.

Lupin cercò di seguire meno maldestramente possibile il ritmo rapido e scattante con cui Calima gli girava intorno, aiutandola ogniqualvolta la vedeva in procinto di fare una piroetta.



«Vuoi ballare?»

Tonks lo guardò sconcertata. «Sei impazzito?»

«Perché dovrei?» chiese lui, inarcando divertito un sopracciglio.

«Sono un terremoto su due gambe, vuoi forse suicidarti?»

La sua espressione era così seria e preoccupata che Lupin non riuscì a trattenere una risata.

«Ti guido io» tentò di convincerla, stranito egli stesso di tanta audacia, «e se ti vedo cadere, giuro solennemente di riafferrarti al volo senza che nessuno se ne accorga minimamente».

«E come pensi di fare?» rispose divertita. «Mi coprirai con la tenda del soggiorno?»

«Potrebbe essere una soluzione interessante».

«Una soluzione altrettanto interessante sarebbe quella di non ballare e di riempire questi due vuoti e abbandonati bicchieri, non ti pare?»

«Un altro bicchiere di Whisky, Tonks, e sarai troppo ubriaca per ricordarti di non voler ballare con me».

«Un altro bicchiere di Whisky, Remus» ribatté maliziosa, «e sarò troppo ubriaca per potertelo impedire».



I motivetti di Alceus e Aulos, evidentemente stimolati dalla loro partecipazione, presero a farsi sempre più allegri e veloci, e presto, molti dei licantropi seduti s'alzarono a far compagnia a Calima e Lupin. L'aria tutt'attorno a loro trasudava spensieratezza e festosità, in un turbine di brio ed elettricità che Lupin non avrebbe mai immaginato potesse esistere in una terra insidiosa come quella di Jura.

«Cosa ti è successo, oggi? Sulla riva del Harrier, intendo».

Lei deglutì, strinse fra loro le labbra e si sforzò di sorridere.

«Nulla» rispose con un tono per niente convincente. «Suvvia, Bizét, è festa! È tutta qui la tua vitalità?».

Intrecciò le sue dita fra quelle di Lupin, e con movimenti ritmati delle anche, iniziò a saltellare come una cavalletta dalle energie infinite.

Gli occhi di Lupin continuavano a scrutare fra le ombre del suo viso, ma di strano, in lei, non c'era davvero nulla.

°°°°°°°




«Sei ridicolo anche mentre balli».

La voce divertita di Rouge gli arrivò all'orecchio come un delicato sussurro, tanto era diventata assordante la musica.

«Me ne sarei reso conto anche senza il tuo spregevole e inopportuno commento, Rouge» ribatté con un sorriso.

«Ho bisogno di te» taglio corto la donna.

Lupin inarcò perplesso un sopracciglio.

«Adesso».

°°°°°°°





Con un gemito di fatica, Tonks gettò ai propri piedi il pesante borsone dentro il quale – con un provvidenziale Incantesimo Restringente – era riuscita comprimere tutta la caterva di abiti sgualciti da settimane abbandonati nei posti più impensati del suo piccolo appartamento. Scostò la frangia bagnata con un gesto seccato e controllò il numero affisso al muro fatiscente dell'edificio ad Hogsmeade, dove sarebbe stata costretta a restare nei mesi successivi. Lanciò un'occhiata prudente alle proprie spalle, accertandosi di essere davvero l'unica sciocca a vagare per le vie del villaggio sotto quell'inaspettato diluvio, e si accorse in breve di provare già nostalgia per lo squallido cassonetto davanti a casa (davanti al quale – era matematico – le si strappava quotidianamente il sacchetto dell'immondizia), per il suo scomodo divano con le molle sgangherate e per la sua cucina perennemente in stato catastrofico.

Della tendina di lustrini rosa shocking, del suo buffo pouf verde e del suo bizzarro e peloso tappetto verde, no.

Li aveva infilati nel borsone a forza, cosa credevate?

Ebbe un attimo di ripensamento, nel quale si chiese se non fosse stato più semplice dare le dimissioni e buttarsi dalla cima del Tower Bridge, ma in seguito, ricordandosi che sarebbe caduta nelle acque del Tamigi, si disse che sarebbe sicuramente sopravvissuta, e in un modo o nell'altro, Robards l'avrebbe rispedita lì ugualmente.

Santa Tosca, dove sei finita?

Non riuscendo, quindi, a trovare soluzione migliore se non quella di entrare – perlomeno sarebbe stata all'asciutto – bussò con uno sbuffo irritato e attese pazientemente.

«Parola d'ordine» disse una voce maschile dall'interno.

Tonks trasalì. Parola d'ordine? Da quando c'era una parola d'ordine?

«Ehm...» tentò speranzosa, grattandosi nervosamente un orecchio e cercando di formulare una frase che non potesse in alcun modo far scattare gli Auror sull'attenti: essere assalita in quanto presunta Mangiamorte non era sicuramente il modo migliore di dettare le basi per questa nuova – indesiderata – convivenza. «Robards deve avervi sicuramente avvertito del mio arrivo» continuò con maggiore decisione. «Sono Tonks. L'addetta agli archivi» specificò funerea.

«Parola d'ordine» ripeté la voce.

Tonks alzò gli occhi al cielo.

«Robards non mi ha detto nessuna parola d'ordine. Il mio arrivo era previsto per stanotte, comunque».

«Se non siete dotata di una parola d'ordine, siete pregata di allontanarvi immediatamente dall'edificio, o saremo costretti ad ottemperare l'ordine di arresto» recitò in tono intimidatorio la voce.

«Mi stia a sentire» riprese irritata Tonks. «Piove, fa freddo, sono indolenzita per il viaggio, ho sonno, ho fame, non sono qui di mia spontanea volontà ed è un pessimo, pessimo periodo. Stavo giusto prendendo in considerazione l'ipotesi di buttarmi dal Tower Bridge, perciò se non ha intenzione di aprire questa dannata porta nei prossimi cinque minuti, l'avverto che sarò io ad ottemperare quest'insana decisionedi suicidio».

«Archie, cuore di pietra, non tormentare la signorina» grugnì una seconda voce. «Agente Tonks, degli archivi?» domandò.

«Sì» rispose veemente.

«Qual'è il simpatico epitaffio partorito dalla geniale mente di Philbert Proudfoot e attribuito all'illustrissimo capo degli Auror Galwain Robards?» domandò la voce con lo stesso tono usato dai tanti conduttori dei quiz che sua nonna era solita guardare davanti al piccolo televisore in bianco e nero che custodiva in soggiorno. Tonks strinse le labbra per non ridere.

«Galwain 'Riportorecchio' Robards» ridacchiò.

«Hai sentito, Archie? La ragazza ha tutte le carte in regola».

Dopo gli schiocchi metallici di un numero di catenacci che a Tonks sembrarono non dovessero finire mai, la porta si aprì. Alla luce soffusa del corridoio sgombro, potè vedere due dei tre maghi con cui avrebbe dovuto trascorrere i giorni successivi.

L'uomo che le aveva aperto la porta le arrivava a malapena alla spalla. Aveva crespi capelli rossicci e i suoi grandi occhi nocciola la scrutavano ridenti. Gli afferrò la mano destra e declamò, con un rozzo inchino: «Ben arrivata, madamoiselle. Non speravamo in una così deliziosa compagnia». Sollevò lo sguardo di su lei, che evidentemente doveva avere un'espressione piuttosto stranita e scoppiò a ridere. «Philibert Proudfoot» si presentò, «ma per le signorine solo Phil».

«Tonks» rispose lei con un sorriso storto, «solo Tonks, per signorine e non».

«Agente Tonks» declamò solennemente il mago alle spalle di Proudfoot. Era un uomo alto, dai capelli brizzolati, le spalle rigide e il viso incredibilmente geometrico; l'idea complessiva era quella di un duro dei film d'azione, ma Tonks si ravvide dal dire una cosa del genere. «Io sono l'Auror Archibald Dawlish, suo diretto superiore fino a prova contraria» decretò con voce piatta.

«Archie, per i colleghi?» azzardò Tonks con un mezzo sorriso.

Proudfoot soffocò una risata.

«No» sentenziò con lo stesso tono apatico. «Per lei, agente, io sarò solo 'signore'. Pretendo che mi dia del 'lei' e che rispetti ogni ordine provenga dalla mia persona, sono stato chiaro?».

Piuttosto sconcertata, Tonks annuì.

«Molto bene» concluse freddamente Dawlish. «Agente Proudfoot, la prego di accompagnare l'agente Tonks alle stanze a lei assegnate».

Girò sui tacchi e marciò altero lungo il corridoio, entrando in una porta sulla sinistra e svanendo dalla vista della giovane strega.

«Merlino» sussurrò Tonks, sconvolta. «Devo davvero resistere fino a giugno con Mister Ghiacciolone?»

Proudfoot ridacchiò. «Non è poi così male se non trascorri con lui più di trenta secondi» ironizzò. «Ma che ci fai ancora sotto la pioggia? Non credo che la polmonite sia la maniera più salutare di disertare l'incarico». Afferrò il borsone di Tonks come se fosse pieno di piume e le fece cenno di seguirlo all'interno.

«Seguimi» le disse. «Ti presento al vecchio Charles».


°°°°°°°




«Rouge, dannazione, vuoi spiegarmi dove-?».

«Taci e muovi le gambe».

Seguire la scia di Rouge attraverso l'intricata boscaglia di Tupin si rivelava sempre più semplice: gli agili movimenti con cui i licantropi attraversavano le insidie della terra di Jura gli risultavano automatici, naturali, in qualche modo. Iniziò a interrogarsi se fosse il caso di preoccuparsi per questo repentino cambiamento.

«Siamo qui» disse Rouge nel buio.

«Rouge, ti spiacerebbe dirmi-?»

Fu interrotto da un sfrigolio improvviso alla sua destra.

Illuminati da una danzante fiammella azzurrina, gli occhi scuri e indagatori del vecchio Chilone lo fissavano circospetti.

°°°°°°°





Ho scritto il capitolo mentro cercavo di riprendermi da capodanno, potrei delirare nel corso delle note seguenti. Lettori avvisati, in percentuale minima salvati. (Che vi dicevo? Deliro). (Si può dire 'deliro'?).


*Esbat:

Se siete interessati all'argomento vi consiglio di cercare notizie per conto vostro: le mie sono scadenti e sicuramente imprecise (non è il caso di fidarsi troppo di Wikipedia...).

Per farla breve, gli Esbat sono rituali pagani dedicati alla Luna. In realtà, se ben ho capito, sono dodici e non quattro (cause di forza maggiore: dodici rituali erano troppi da descrivere; già questo mi è venuto fuori piuttosto scialbo) e sono certa che nessun Fenrir Greyback ne abbia mai aggiunta una. Vi chiedo di sopportare l'ennesima licenza poetica... volete?

Spero proprio che i nuovi personaggi che introdurrò dal prossimo capitolo siano di vostro gradimento come lo sono stati per me; non sono riuscita a trovare nessun sito che mi aiutasse a trovare i nomi dei tre Auror con cui Tonks è stata di stanza a Hogsmeade. Perciò ho fatto di testa mia: vi presento il vecchio Chilone, Alceus, Aulos, Archibald Dalwish, Philibert Proudfoot e (un onirico) Charles Savage. Tiè. Ve li sparo uno dopo l'altro, sotto a chi tocca, buon anno e figli maschi *Trick sta delirando, urge camomilla terapeutica*.


SakiJune: Sono IC? Imbecille Cronica?^^ (è la testa che va da sola, non sono io a parlare). Oki, riacquisto un po' di contegno. Parlare di Peter è stato veramente dura, è così difficile 'farlo muovere'. How. Un Sev 'grillo parlante'. Avrei bisogno anch'io di un aiuto coscienza del genere.^^ Anche a me piace parecchio la teoria 'evansiana' (oki, dopo questa è assodato che sto ancora male), da 'tutti pazzi per Lily'. Adoro le Remus/Lily. Ma come si dice... leggere una Remus/Tonks, non ha prezzo. Nel prossimo capitolo, giuro che mi scuserò per queste sciocchezze. Giuro.


Kikkina90: spero solo che l'ispirazione arrivi in fretta, perché ne ho tanto, tanto bisogno per riprendere in mano i libri di scuola. Che stupidaggine, tanto non lo farò per forza d'inerzia. Un ratticida, dici? Uhm... lo terrò a mente per il futuro.


Pucchyko_Girl: mi ci è voluta solo mezza giornata per leggere la recensione, se la prossima volta vuoi scrivere un altro mezzo chilometro, fai pure!^^ (è umorismo da capodanno, ripeto: UMORISMO DA CAPODANNO!). A quanto pare, sembra davvero che l'idea generale di Lily Evans sia quella della «bella». È così classico e masticato da far sta male, ma sta di fatto che è così, e anche a me piace così. Be', magari non è proprio di una Lily/Mezzomondo di cui stiamo parlando, ma l'importante è che il concetto sia chiaro. (non ho chiarito proprio un bel niente, ripensandoci, ma fa lo stesso). «Sc...» (Aspe', com'era?) «Shecshi?». Sì, «shecshi». Uh. Mi segno anche questa.^^ Anch'io, mannaggia, volevo un linciaggio in piena regola, con tanto di morsi alle orecchie e intromissioni di Mike Tyson di tanto in tanto (ma che battute simpatiche che sparo, oggi. Qualcuno mi sopprima, per cortesia). Grazie mille per il contatto, ti aggiungo non appena msn avrà intenzione di partire e giuro solennemente che NON sarà TROPPO molesta.^^


Un bacione gigantesco a tutti quanti, e GRAZIE MILLE!


Trick si fa una camomilla e va' davvero in catalessi.

-364 giorni al 2009, per fortuna.

(È il 2008, questo che viene, vero?)



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Capitolo 27
*** Capitolo Ventiseiesimo - Le truppe ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO VENTISEIESIMO

Le truppe

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Il soggiorno del numero 17 di Troops Road non si sarebbe certo potuto definire ''confortevole'' né tantomeno ''accogliente''. O perlomeno, così non lo avrebbe mai potuto definire una persona del genere di Ninfadora Tonks. Tutto quanto era in quella stanza – e la ragazza iniziava a temere anche nell'intera casa – sembrava dannatamente freddo. Sulle pareti non vi era altro che l'illibata vernice bianca con la quale erano state decorate, non un solo soprammobile spiccava sulle mensole della vecchia credenza di ciliegio, non un filo di polvere sul pavimento e non un oggetto fuori posto. Per lei, quel posto sarebbe diventato sinonimi di inferno allo stato puro, ormai ne era tristemente convinta. D'altro canto, sul treppiedi dall'aria piuttosto antiquata vi era una bottiglia del delizioso Whisky delle cantine di Ogden, un bicchiere semipieno e un terzo che non aspettava altro che essere riempito. Be', si disse, se mi permettono di berlo, potrei quasi cercare di sopravvivere. Un mago dall'aria distinta, dai folti capelli scuri trattenuti in un buffo nastro celeste e dal viso attraente, si alzò dalla poltrona sul quale era seduto, si aggiustò sul naso un paio di occhiali da vista che dovevano avere almeno trent'anni e sorrise cortesemente a Tonks.

«Buonasera, signorina» disse, «il mio nome è Charles Savage, ma puoi chiamarmi Charles».

«Brilla di fantasia» sibilò Proudfoot all'orecchio di Tonks, abbastanza forte, tuttavia, perché l'altro potesse udirlo. Difatti, Savage gli scoccò un'occhiataccia.

«Io sono Tonks» si presentò. «Solo Tonks».

Sebbene fosse rimasto piuttosto perplesso, Savage annuì ed Evocò una terza poltrona, invitandola garbatamente a sedersi. Lei accettò volentieri: in fondo, quei due non sembravano logorroici come Dawlish.

«Era inutile che ti presentassi, comunque» le fece notare Prodfoot, afferrando il bicchiere pieno sul treppiedi e guardandola divertito. «Sei piuttosto famosa, non te ne sei accorta?»

Lei lo fissò stranita, poi sorrise comprensiva. «Ah, capisco. Sì, sono il celebre uragano che ribalta ogni cosa che tocca».

Prodfoot ridacchiò. «Ero serio, questa volta» disse. «Dicono che tu sia la prima matricola contro la quale Scrimgeour e Robards si siano dati così tanto da fare».

«Che meravigliosa notizia» ironizzò Tonks.

«Un po' di Whisky?» le chiese Savage improvvisamente, allungandole con eleganza il bicchiere vuoto di prima e riempendolo con un colpo delicato della bacchetta.

«Sì, grazie».

«È ovvio che ce l'abbiano con te» riprese Proudfoot, «dopo la figura che gli hai fatto fare con la storia dell'attacco al Ministero, non poteva che essere così».

Lei trasalì, abbassando rapidamente gli occhi sul liquido ambrato del bicchiere. Il Ministero. Bellatrix Lestrange. Il Velo. Sirius.

«Più di ogni altra cosa» aggiunse Savage, «temo li abbia irritati il fatto di non essersi accorti del tuo coinvolgimento con l'Ordine della Fenice». Il suo tono era tranquillo, e se Tonks avesse sollevato lo sguardo su di lui, lo avrebbe trovato a sorridere.

«A nessuno dei due piace Silente» commentò amaramente Proudfoot. «Ho sempre detto che erano uno più svitato dell'altro».

«Phil, sii obbiettivo per una volta» lo riprese Savage. «Scrimgeour e Robards sono indubbiamente due eccelsi maghi e meritano il nostro rispetto. Tuttavia, sono entrambi troppo concentrati sull'opinione pubblica, piuttosto che sugli effettivi sviluppi di questa guerra. Fra i pregi di Silente c'è sicuramente il modo in cui si disinteressa di ciò che pensa o non pensa la gente, e questo, al Ministro non piace».

«Avevo visto giusto, allora» intervenne Tonks, sollevando debolmente gli occhi su di loro e soffocando i ricordi dell'ultima battaglia alla quale aveva partecipato. «Al Ministro dà fastidio che collabori attivamente per Silente».

Savage annuì portando il bicchiere alle labbra. «Sei stata fortunata» disse poi.

«Fortunata?»

Fu Proudfoot a risponderle. «Be', guarda le carte in tavola. Tu sei solo una fra le matricole del Dipartimento, eppure, sotto al naso di tutti, sei riuscita a farla franca. Prima che il Ministero si decidesse cha Tu-Sai-Chi è tornato, far parte dell'Ordine della Fenice equivaleva alla parola 'terrorista'; riesci a immaginare la faccia di Scrimgeour quando ha scoperto che due dei suoi Auror erano dalla parte di Silente da mesi e boicottavano il suo lavoro dall'interno?»

«È per questo motivo che Kingsley tiene d'occhio il Primo Ministro Babbano» continuò Savage. «Vogliono mettere Silente in condizione da non poter far altro che chiedere l'ausilio delle forze ministeriali, e di conseguenza, svelare i propri piani a Scrimgeour».

«Anche Arthur Weasley è nella vostra stessa condizione, non dubitarne».

«Ma Arthur è stato promosso» lo interruppe Tonks, scuotendo la testa. «È Direttore dell'Ufficio Intercettazione e Confisca di Incantesimi Difensivi e Oggetti Protettivi Contraffatti. Ha dieci dipendenti, ora, che-»

«Che lo tengono d'occhio» concluse con un sorriso mesto Proudfoot. «Per conto del Ministro. Il nome Davorin Chorster ti dice qualcosa?»

Tonks scosse il capo.

«La famiglia di sua madre, gli Smith, sono imparentati con i Robards. E... indovina?»

«Davorin Chorster ora lavora con Arthur?» tentò la ragazza.

I due maghi annuirono. Tonks si coprì il viso con un mano e gettò stancamente il capo indietro. «Maledizione...» biascicò. «Non è possibile...»

«Te lo dicevamo che sei stata fortunata» riprese Proudfoot.

«Lo siete stati tutti quanti».

«Se non fosse stato per Silente, stai certa che a quest'ora vi ritrovereste tutti disoccupati. O ad Azkaban, nelle peggiore delle ipotesi».

«Ma se non vogliono che io abbia contatti con Silente, perché mai dovrebbero mandarmi proprio a due passi da Hog-» iniziò convinta Tonks, ma s'interruppe improvvisamente, sgranando gli occhi per la rivelazione. «Oh, no... Mr. Ghiacciolone».

«Chi è costui?» s'informò interessato Savage.

«Il nuovo, delizioso soprannome di Archie. Archibald Ghiacciolone» spiegò Proudfoot, imitando alla perfezione il tono di voce pedante e cadenzato di Dawlish. Tonks scoppiò a ridere, e seppur a malincuore, anche Savage si ritrovò a ridacchiare.

«Ti consiglio di fare davvero molta attenzione, Tonks» le disse d'un tratto Savage, serio. «Dawlish non ti renderà la vita facile».

«Già la rende poco sopportabile a noi, non oso pensare come potrebbe trattare una giovane donzella come te».

«Non gli conviene prendermi sotto gamba» esordì senza preavviso Tonks. «Ormai non ho più niente da perdere, potrei non rispondere delle mie azioni».

Proudfoot e Savage le sorrisono.

«Lo ripete sempre, Kingsley, che sei sprecata per gli archivi».

°°°°°°°



«Rouge mi ha parlato di te» mormorò Chilone, girando attorno a Lupin e studiandolo intensamente. A giudicare dalla larghezza delle spalle, quel vecchio era stato sicuramente un giovane incredibilmente possente e – immaginò Lupin – considerando la devozione che Rouge sembrava provare nei suoi confronti, doveva essere fra i membri anziani il più stimato.

Lupin guardò di sottecchi la donna. «E cosa ti ha detto?»

«Innanzitutto che eri disgustosamente educato, qualità che gradirei tu sfruttassi maggiormente in mia presenza. Pretendo che tu mi tratti con l'adeguato rispetto, intesi?»

Scioccato da una risposta così fuori luogo, Lupin annuì. «Perdonatemi» tentò di rimediare, «ma dopo mesi trascorsi qui non è più un comportamento che mi viene natural-»

«Non ne dubito» lo interruppe bruscamente. «Il popolo di Jura è diventato niente più che una sozza e volgare marmaglia, la mera presa in giro della sofisticata civiltà che è stata una volta» sospirò tristemente. «Sono davvero terminati i tempi d'oro di quest'isola... cos'è successo al tuo viso?» domandò con un tono improvvisamente più diretto.

Lupin portò istintivamente una mano all'occhio sinistro. Sebbene fossero passati diversi giorni dalla riunione a Casa Riddle, le traccie dei colpi di MacNair – e il successivo destro di Greyback, una volta sceso dal dorso del Pegaso – erano ancora ben visibili.

«Ehm... la mia diplomazia ha avuto un attimo di incertezza» rispose evasivo.

«La diplomazia non è un pregio, giovanotto, ricordatelo» disse con voce stanca Chilone. «È semplicemente ciò che permette agli uomini di fare le cose peggiori nei modi migliori».

Rouge aveva sorriso brevemente a quelle parole, prima di rivolgersi a Lupin. «Ti avevo detto che era un grand'uomo. Chilone è il più anziano del branco: devo a lui tutto ciò che so».

«Più che altro» la corresse il vecchio, «devi a me il fatto di non esserti trasformata in una selvaggia creatura priva di intelletto».


«Diversi anni or sono» iniziò Chilone, scrutando intensamente il volto tumefatto di Lupin, «il nostro popolo viveva isolato, come lo era dalla notte dei tempi, dal mondo che gli uomini aveva costruito per loro stessi. Nulla di loro entrava in contatto con Jura, e nulla di Jura, di conseguenza, entrò mai in contatto con loro. Era dai primordi della nostra specie che questa pacata separazione preservava incontaminata la purezza dei nostri nascituri» scoccò un'occhiata di sottecchi in direzione di Rouge, che ribatté piccata:

«Vi sareste estinti senza noi Clandestini, Chilone, non ricominciare». Guardò Lupin e spiegò con tono insofferente. «Chilone è della vecchia generazione. Non gli è ancora andato giù il fatto che la maggior parte del branco, ora, discenda dalla razza umana. E non si rende conto» continuò con un sorriso divertito, «che siamo stati la salvezza di Jura».

Lui alzò gli occhi al cielo.

«Se non avete così di buon occhio la razza umana» disse infine Lupin, guardando accigliato l'anziano mannaro, «perché volete parlare con me

«Perché fra Fenrir Greyback e Albus Silente non c'è troppa differenza. Per noi, la battaglia è persa in qualunque modo».

Lupin strinse con forza i pugni. «Come potete pensare una cosa del genere?» sibilò tremante, cercando con tutte le sue forze di moderare l'irritazione che si era appena accesa. «Albus Silente è l'unico che potrebbe aiutarvi. Grazie a lui potreste finalmente liberarvi dal giogo di Voldemort. Mi chiedo soltanto cosa stiate ancora aspettando per-»

«Per ribellarci, Damerino?» lo interruppe sarcastica Rouge. «Credi sia così semplice? Da quando Greyback ricopre il ruolo di indiscusso leader del clan, la priorità massima di tutti quanti sembra essere diventata quella di sopraffare gli umani. Siamo tutti contro di voi, non ci sei ancora arrivato?»

«Noi?» ripeté sorpreso. «Devo forse ricordarti che anch'io sono un mannaro?»

Lei sbuffò. «Come no».

«Perché Silente ti ha mandato qui? Rischi la vita con Greyback a due passi» incalzò con voce cadenzata Chilone. «E, per inciso, saresti già morto se al tuo arrivo lui fosse stato a Jura. Fortuna vuole che sia stata Rouge a riceverti. Non sarai stato così sciocco da credere di averla ingannata, spero».

Il vago rossore che improvvisamente tinse il volto di Lupin avrebbe smentito qualunque affermazione. «Se avevate dei sospetti su di me da quest'estate» incalzò, «perché mai vi siete mostrato solo oggi, a distanza di mesi?»

«La domanda più intelligente che dovresti porti, ragazzo, è perché mai non ti abbiamo consegnato a Greyback».

Nonostante Lupin avesse a riguardo motivi più che evidenti, si disse che il semplice affermarli ad alta voce lo avrebbe posto in una posizione decisamente sconveniente; si limitò a chinare il capo con educata perplessità. Se le sue supposizioni erano fondate almeno la metà di quanto sperava, non doveva far altro che attendere che Chilone facesse la prossima mossa.

«Per quanto mi riguarda, signore» disse, «non sono convinto che molti mannari accetterebbero di loro spontanea volontà di aiutare coloro che ritengono... alla stregua di un umano».

Chilone sorrise. «Ti stai riferendo a te... o a Fenrir?»

«Mi rendo conto dell'equivocità delle mie parole, ma sono convinto che voi abbiate capito perfettamente».

«Fenrir è potente e stolto» decretò. «Una miscela pericolosa».

«Non avete ancora risposto alla mia domanda» riprese Lupin. «Perché oggi? Perché non un mese fa, perché non quando Rouge vi ha riferito del mio legame con Silente?»

«Quante domande, Damerino» buttò lì Rouge.

Chilone le lanciò un'occhiata in tralice prima di rivolgersi nuovamente a lui. «Ero curioso» rispose con calma, quasi stesse pesando con circospezione le proprie parole, «di vedere quali erano davvero i tuoi obiettivi. Preferisco essere franco, con te, giovanotto. Non avevi la mia fiducia il giorno in cui sei arrivato, e ancora non sono convinto se la tua presenza qui sia un bene o meno. Sei spuntato dal nulla con quel tuo ridicolo atteggiamento da intrepido e stoico vagabondo e con un puzzo di umano addosso rivoltante. Poi scopro che sei in rapporti con Silente, che sei qui su suo preciso ordine... e l'unica domanda alla quale non sono ancora riuscito a trovare risposta è per quale motivo

«Per quale motivo...?» ripeté confuso. «Non credo di capire. Silente mi ha chiesto di ottenere informazioni e appoggi dall'ambiente di-»

«Per quale motivo sei così intenzionato a gareggiare in una guerra umana? Perché mai vuoi proporci di allearci proprio a coloro che la storia e la natura ha voluto nostri nemici?»

«Non so quanti maghi e streghe abbiate conosciuto, signore, ma Albus Silente svicola da qualunque categoria; non è per interesse personale se mi ha chiesto di fare tutto questo. Il vostro appoggio potrebbe diventare la pietra su cui costruire un futuro di coesione civile fra uomini e licantropi».

«Non mi sembri convinto di ciò che dici» esordì con un ghigno vittorioso Chilone. «Non raccontarmi frottole alle quali non credi nemmeno tu, ragazzo».

°°°°°°°




Correva.

Correva più velocemente di quanto non avesse mai corso.

Correva senza sapere per quale motivo lo stesse facendo.

Scappava, forse?

Da cosa?

Si disse che non era importante, ma tuttavia non voleva smettere di correre.

Non doveva.

Ansimava, le mancava il fiato.

Sentiva le ginocchia cedere balzo dopo balzo, la milza ardere di dolore nel ventre...

Voleva solo fermarsi, voleva solo sedere un istante a terra, in tempo appena sufficiente a riprendere il respiro.

Ma non poteva. Non poteva o lei sarebbe arrivata prima.

Avrebbe perso la gara più importante della sua vita, e non poteva permetterselo.

Non avrebbe avuto una seconda occasione.

Non ci sarebbe stata una rivincita, nessuna opportunità di riprovare una seconda volta.

La partita, maledizione, era unica e decisiva.

Strinse i denti.

Avrebbe vinto.



«Milady?»

Mmh...

«Milady...?»

«Cinque minuti...»

Il ritratto di Tarbis il Mercenario inarcò pesantemente le grosse sopracciglia rosse e incrociò le mani al petto vigoroso.

«Se aveste detto al Conte di Cornlane di rimandare il corno della guerra di cinque minuti, state cerca che il vostro corpo avrebbe oscillato alla forca per giorni».

«Mmh... che ore sono?» biascicò Tonks da sotto le coperte, portando una mano al viso e strizzando gli occhi indispettita.

«Le sei, Milady».

«E si può sapere perché mi hai... chi sei?» domandò improvvisamente, sollevando la testa verso il ritratto appeso alla parete e studiandolo perplessa. «Sono il Duca di Wenchrift, probo cavaliere del re Edoardo III, insignito di ben tre medaglie in seguito ad eroiche e leggendarie vicen-»

«Non ti ho visto ieri sera».

Il ritratto parve trovare quell'interruzione piuttosto seccante. «C'ero eccome» affermò con piccata altezzosità. «Siete voi a non esservene accorta, Milady».

«Be'... mi spiace» si scusò rapida Tonks, imbarazzata. «Ero stanca, non ti ho fatto caso. Ehm... come hai detto che ti chiami?»

Lui sgranò gli occhi indignato, strinse le labbra e fissò con fiera alterigia la ragazza scarmigliata davanti a sé.

«Tarbis di Wenchrift, figlio di Nolan di Wenchrift, nipote di Eneld di-»

«Wenchrift?»

«Quanta maleducazione in uno spirito così inesperto...» sussurrò inviperito, illudendosi di non poter essere udito. Tonks lo guardò divertita.

«Messer Dawlish, Messer Savage e Messer Proudfoot la attendono nelle cucine, Milady» tagliò corto. «E ora, vogliate perdonarmi, ho importantissime questioni da discutere con Lady Helen di Innsedge».

«Un'amante?» s'informò curiosa Tonks.

Il ritratto la squadrò sdegnoso, per poi svanire con un borbottio scocciato oltre la cornice dorata. Tonks ridacchiò, afferrando i jeans che aveva gettato a terra la sera prima e infilandoseli in fretta.

Che buffa sveglia.

°°°°°°°







«Buongiorno, signorina Tonks» squillò divertito Proudfoot, alzandosi galantemente dal tavolo tondo della cucina per scostarle la sedia. «Hai passato una notte sufficientemente riposante?»

«Stai lontano da lei, Phil» lo riprese Savage senza alzare lo sguardo dalla Gazzetta del Profeta. «Potrebbe essere tua nipote».

Tonks trasalì a quelle parole e guardò il collega più anziano in tralice.

Lui la guardò con un sorriso divertito, trattenendosi dallo scoppiarle a ridere in faccia. «Non credergli» disse. «Potresti essere almeno la mia bis-nipote».

Afferrando un piatto con due fette di pane che Savage le stava garbatamente offrendo – senza distogliere la propria attenzione dal giornale: incredibile – Tonks fece un sorriso a trentadue denti. Savage e Proudfoot, intuendo sicuramente quanto grande potesse essere il suo imbarazzo iniziale, avevano fatto di tutto per metterla a proprio agio in quella casa dall'aspetto lugubre e triste.

«Novità?» s'informò, lanciando un'occhiata interessata a Savage.

«Nulla di nuovo».

«Il tuo turno è fra mezz'ora, Tonks, ti senti abbastanza carica da stendere Dawlish?»

«Dawlish?» ripeté sconvolta lei. «Il mio turno è con Dawlish? Così, di prima mattina, il primo giorno, così, senza preavviso?»

Proudfoot ridacchiò. «Charles, guardala... come possiamo farle questo?»

«Mi stai prendendo in giro?» gli disse Tonks, con un sorriso sghembo a tradire il proprio divertimento.

«Phil, non infierire. Non la invidio per nulla».

«Puoi ben dirlo» mormorò abbattuta Tonks. «Un'intera mattinata con Mr. Ghiacciolone Dawlish, l'uomo più simpatico e affabile che il Ministero abbia mai avuto. Giuro, preferirei dormire una settimana intera nella Foresta Proibita piuttosto che trascorrere metà della mia giornata con quella sottospecie di stitico carciofo».

«Eh-ehm».

Proudfoot strinse le labbra per non ridere. Savage s'inabissò ancora di più nella Gazzetta. Tonks lanciò un'occhiata speranzosa ad entrambi, scuotendo incredula il capo, prima di avvertire il cadenzato rumore di passi alle proprie spalle.

«Dimmi che non era dietro di me» sillabò silenziosamente a Proudfoot. Lui annuì impercettibilmente.

«Merda...» imprecò a bassavoce.

«Agente Tonks, è pregata di farsi trovare pronte fra ventidue minuti dinanzi alla porta d'ingresso» asserì con quella sua stressante voce piatta e indifferente Dawlish. «È già stato sufficientemente snervante essere costretti a svegliarla attraverso il ritratto di Tarbis il Mercenario. Probabilmente non se ne è accorta, agente, ma questa non è una vacanza offertale dal Ministero. Lei è qui per svolgere un compito ben preciso, che è tenuta ad ottemperare con la massima dedizione. Agente Savage, agente Proudfoot» concluse, «rinnovo gli ordini di tutelare la zona circostante in mia assenza. Buona giornata».

Tonks attese qualche secondo prima di parlare.

«Le parolacce sono più che accette» tentò di rallegrarla Proudfoot.

«Merlino» gemette Tonks, sbattendo la testa contro il bordo del tavolo. «Uccidimi, se ancora mi vuoi bene».



°°°°°°°







«Affare fatto, Remus Lupin» concluse Chilone con un gesto solenne del capo.

«Ti aiuteremo, se tu ci aiuterai».




°°°°°°°















Oddio... questo capitolo fila ad incrementare la lista dei capitoli più complessi da partorire di tutto il ciclo, e di cui non mi sento nemmeno troppo sicura. Dettagli, l'importante è alzare il capo e andare avanti senza troppi indugi.

Mmh... dovevo dirvi qualcosa d'importante, ma al momento mi è scappato dalla testa. Si vede che non era poi così importante...

Spero che vi piacciano i miei nuovi personaggi, avevo bisogno di dare un po' di brio o rischiavo di non riprendermi più dalla noia. Quasi sicuramente questa sarà la prima e ultima storia a capitoli che scriverò... è da masochisti fare una cosa del genere, me ne sono accorta solo dopo ventisei capitoli.

Rainsoul: certo che sono fantastica, era sottinteso. Sono bella, intelligente, spiritosa e così piena di sauarfer da poter riempirci tutto il Duomo di Ferrara. E non ho ancora iniziato a decandare la mia innata modestia... Posso scegliere questa come teoria che sarai costretta a concordare?^^ Un bacione giga-affettuoso!

KyleMalfoy: ti ringrazio infinatamente e scocco un bacione di gratitudine sperando che ti piaccia anche questo capitolo!

SakiJune: eh-ehm... dunque... «...in questa versione della storia, Silente ha perso la mano nello scontro contro Voldy perché Remus non venisse riconosciuto? Quindi la storia dell'anello dei Gaunt non c'entra un tubo?». Hai scoperchiato il mio problema in tre secondi, ma come cavolo ci sei riuscita^ Sì, diciamo che nella mia versione ho dovuto rigirare la vicenda a modo mio (non sono più IC: aaaaaaaah!) o Remus sarebbe morto a Casa Riddle, Tonks probabilmente si sarebbe suicidata e non sarei riuscita a continuare il Diario senza i due protagonisti. Ho dovuto mettere da parte tutta la storia degli Horcrux, o non sarei riuscita a fare incastrare i pezzi. ...è una piccola licenza trascurabile, no? Per quanto riguarda Dawlish, condivido in pieno. Lo detesto. Probabilmente gli farò venire presto un attacco di diarrea. Un bacione gigantesco!

Debby 93: Charles Savage, anni (ehm... non ci ho pensato. Più o meno cinquanta, direi). Londinese di nascita, Auror, amante del jazz, porta un 46 di piedi, il suo piatto preferito è il sushi e hanno smesso di produrre i suoi occhiali nel 1985. È l'icona del londinese classico. Pedante e galante, garbato e posato. Un bacione gigante.

Kikkina90: Silenzio stampa su Calima, tutto a tempo debito. Ho sempre pensato che così come i maghi e le streghe siano sempre stati prevenuti nei confronti di Lupin, anche Lupin sia sempre stato prevenuto nei confronti di sé stesso e dei licantropi 'selvaggi'. Probabilmente ho dato di Jura una connotazione eccessivamente leggera e poco 'brutale', ma la preferisco così. Pericolosa, certo, ma anche spensierata. Un bacio.

puciu: povera stela, come si fa ad andare in montagna e beccarsi la febbre...? Hai tutta la mia comprensione (come facevi a sapere che avrei alzato gli occhi al cielo?^^). Sono contenta che ti sia piaciuto il capitolo 24, non ne ero molto convinta. Mi pareva di averlo trascurato un po', il contenuto forse avrebbe meritato più attenzioni che un unico capitolo. Ma sto cercando di stringere, non potevo fare altrimenti. Non linciarmi, ma non ho grande simpatia per Avril Lavigne. Ero in macchina quando ho avuto l'ispirazione per la scena sul Nottetempo di Tonks, e la radio suonava quella, indi, meritava perlomeno di essere citata quale 'musa'. Sì, i capitolo 24 e 25 capitolo potrebbero essere definito come i capitolo cruciali. Ho aperto qualche piccola domanda, che richiuderò... quando avrò voglia? Posso farlo? Adoro la pappetta di mela e poi fa bene al cervello! (Non è vero, lo dico solo per sollevarti l'umore...) Un bacione infinito.



Grazie a tutti quanti stanno seguendo la storia, siete davvero un mucchio... sono così commossa che infilerei un dito nel barattolo della Nutella.

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Capitolo 28
*** Capitolo Ventisettesimo - Una novellina che morde ***


QUESTO CAPITOLO CONTIENE UN PO' DI PAROLACCE.

GIUSTO UN POCO.

(ed è oscenamente corto).



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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO VENTISETTESIMO

Una novellina che morde

°°°°°°°





Tonks sprofondò il viso nella sciarpa colorata con uno sbuffo irritato, affondò le mani nelle tasche del cappotto e accelerò il passo in modo da raggiungere la figura di Dawlish, facendo attenzione a mantenersi ad una distanza, tuttavia, sopportabile. Strizzò un paio di volte gli occhi lucidi per il troppo freddo e osservò stupefatta i contorni offuscati di Hogsmeade, dandosi della stupida per essere sbalordita dinanzi all'ovvietà della situazione: date le sue dimensioni, Hogsmeade era generalmente meno trafficata di Diagon Alley, sebbene l'ottimo Idromele di Madama Rosmerta si fosse sempre rivelato un'attrattiva più che succulenta per tutti i maghi e le streghe della Gran Bretagna. La guerra stava lentamente ma impietosamente soffocando tutto quando circondava le loro vite. Più che un suo malinconico pensiero, quello si rivelava un dato di fatto. Si chiese se fossero già arrivati al punto di sospendere le gite al villaggio degli studenti. Scosse la testa fra sé e sé, dicendosi che mai e poi mai Silente avrebbe negato ai propri ragazzi il privilegio di un sano pomeriggio di svaghi.

Che Scrimgeour dica quello che gli pare, si ritrovò a pensare improvvisamente, Silente non mollerà mai.

Così persa nel filo dei suoi ragionamenti, si accorse appena in tempo per evitare la collisione che Dawlish si era fermato. Incespicò nell'orlo troppo lungo dei jeans, ma – stranamente – riuscì a mantenere l'equilibrio abbastanza a lungo da sorreggersi alla porta di Mielanda. Si trattenne a stento dall'imprecare e sollevò distrattamente lo sguardo sul cartello appeso davanti al suo naso: chiuso a tempo indeterminato. Probabilmente tenevamo aperto il locale solo durante le visite degli studenti, ipotizzò. Guardò impaziente la schiena di Dawlish, pregando Merlino che gli ordinasse di perlustrare una qualunque zona del villaggio da sola, nonostante sapesse che l'obiettivo dei suoi superiori fosse tutt'altro che lasciarla vagare incontrollata per Hogsmeade.

«Mi auguro si renda conto» iniziò Dawlish con quella sua snervante voce cadenzata, «di quanto il suo attuale atteggiamento possa rivelarsi dannoso a quella che potrebbe essere la sua carriera come Auror, agente Tonks». Si voltò per fronteggiarla, probabilmente per intimorirla con la sua mascella geometrica e il suo sguardo freddo e apatico.

Tonks inarcò scettica un sopracciglio, decisa a fargli capire fin da subito che per quanto potesse fare il duro, lei si sarebbe dimostrata di pasta ben più dura.

«E, di grazia, dove sbaglio?» chiese, sperando in cuor suo che Dawlish non cogliesse l'ironia scappatale fra i suoni.

«Innanzitutto la prego di moderare l'inaccettabile tono sfrontato con cui è solita rivolgersi: certo non gioca a suo favore».

Se ne era accorto.

Fantastico.

«Non mi pare di essere stata arrogante» azzardò senza ragionare, non riuscendo a trovare nulla di meglio da dire. Forse avrebbe fatto meglio a tacere, ma non voleva che Dawlish traducesse – erroneamente – il suo silenzio come una muta rassegnazione.

«Non condivido la sua stessa opinione».

«Non la condivide lei, o non la condividono Scrimgeour e Robards?»

Si chiese in fretta se con quell'affermazione audace non si fosse appena guadagnata il licenziamento, ma con altrettanta velocità si rispose che, in fin dei conti, non gliene importava più di tanto.

«Il Ministro Scrimgeour e il Capitano Robards» puntualizzò gelido Dawlish.

La scrutò torvo dalla radice dei capelli color topo fino alla punta scura e lucente degli anfibi di pelle, indugiando su ogni dettaglio – sicuramente inappropriato ai canoni ministeriali– del suo abbigliamento.

«Lei è giovane, agente» le disse in tono deciso. «Non ha l'esperienza necessaria per comprendere appieno le scelte governative del nostro Ministero, né per decidere con saggezza quali sono le sue scelte vantaggiose».

Tonks comprese improvvisamente il punto dove l'Auror più anziano voleva arrivare: fece un respiro profondo, ripetendosi per l'ennesima volta in una settimana che il metodo più efficace per affrontare una discussione era rimanere calmi. La sua condotta scolastica – e lavorativa – erano la prova che lei non era decisamente portata per quel genere di strategia verbale, ma, dopotutto, c'era sempre una prima volta.

«Dunque lasciare che il Ministero mi convinca della sua integrità morale attraverso i grossi paroloni di Scrimgeour rientra nella categorie delle mie scelte vantaggiose

«Convincere... non avrebbe potuto scegliere un termine meno adatto, agente».

«Ha ragione, signore» annuì Tonks, lasciandosi sfuggire un sorriso storto. «Avrei dovuto dire plagiare».

Le narici di Dawlish si allargarono in maniera allarmante, mentre il suo sguardo si faceva ancora più duro. Tonks non abbassò gli occhi: avrebbe significato darsi per sconfitta prima di iniziare la battaglia. Era giovane e con soli due anni di lavoro al Dipartimento, non poteva negarlo, ma non era certo un tipo da prendere sotto gamba. Scrimegour aveva già fatto l'errore di sottovalutarla una volta, lasciandosi ingannare dai suoi modi sbadati e dalle toppe brillanti sui jeans, e ritrovandosi un articolo sulla Gazzetta del Profeta dove veniva evidenziato il fatto che nemmeno lui si fosse accorto di come lei – una novellina, fra l'altro – e Kingsley, incaricato di dirigere le ricerche di Sirius, avessero preso parte alle azioni dell'Ordine per più di un anno, senza destare il minimo sospetto.

«Voglio essere franco, agente» riprese con una forza ancora più decisa Dawlish. «Lei è a tutti gli effetti un dipendente ministeriale, stipendiata, di conseguenza, per sostenere il Ministero stesso».

«No, signore» ribatté Tonks con altrettanta decisione. «Sono stipendiata per difendere il mio paese e i suoi abitanti dalla Magia Oscura, indipendentemente da tutto quanto».

«Dove si trovava la mattina del tredici giugno, agente?» domandò il mago a bruciapelo.

Tonks strabuzzò sorpresa gli occhi. «Mi sta dando dimostrazione della corretta esecuzione di un interrogatorio, signore?»

«Risponda».

«Siamo ormai a novembre, signore» affermò con ovvietà, «come pretendete che mi possa ricordare cos'ho fatto il tredici di giugno?»

«Mi permetta di rinfrescarle la memoria, allora» sibilò con un sorriso di preoccupante soddisfazione, «Saint Paul le dice niente?»

La cattedrale di Saint Paul.

La pioggia.

Remus.

«Non sono mai stata una brava religiosa, signore, mi spiace» sussurrò rabbiosa, cercando invano di sviare l'argomento. Si chiese se avesse potuto resistere altri dieci minuti senza saltargli al collo e strangolarlo con le sue mani.

«Non finga di non capire a cosa mi sto riferendo, agente. La mattina del tredici giugno si trovava nel pressi del parco della cattedrale di Saint Paul».

Tonks sgranò gli occhi. «Come diavolo...come... come vi siete permesso di farmi pedinare!?» gridò, incapace di trattenersi più a lungo. Strinse con forza i pugni, sforzandosi di non colpirlo – sarebbe davvero stata una tragedia – e maledendo il cielo di non aver mai imparato ad inscenare il suicidio di un diretto superiore.

«Non avete il diritto di-»

«Ordini superiori».

«Ordini superiori un bel cavolo!» strillò di nuovo. «Va' contro i miei diritti, non potete-»

«Il Ministero ha la facoltà di indagare sui proprio dipendenti, agente, credevo lo aveste studiato all'Accademia».

«È previsto nel caso si supponga che il dipendente in questione abbia contatti con i Mangiamorte!» ringhiò, rabbrividendo alla sola idea di essere sospettata di complotti a favore di Lord Voldemort. «

«Occorre inoltrare la domanda al Dipartimento d'Indagine Interna e portare prove dinanzi alla Corte Ministerial-»

«È stata vista in compagnia di un mago che abbiamo immediatamente identificato come un membro della società dell'Ordine della Fenice. Presumo voi lo conosciate particolarmente bene».


Schifoso bastardo.


«Vaffanculo».

Le sopracciglia di Dawlish scattarono verso l'alto.

«Prego?»

«Ho detto vaffanculo, signore».

«Fingerò di non aver sentito questo suo ultimo, squallido commento, agente Tonks».

«Allora vaffanculo di nuovo».

«Riferirò di questo suo atteggiamento a chi di dovere, non creda. E, per inciso, non le consiglio di ripeterlo un'altra volta».

«Che cavolo ve ne frega di chi vedo o non vedo al di fuori del mio lavoro!?» esclamò con foga, nonostante fosse stata – per un attimo fugace – tremendamente tentata di ripetere la precedente offesa per il semplice senso di soddisfazione che avrebbe provato nel gridarlo. «Non sono affari del Ministero, perché non si mette-».

«È per la sua incolumità, agente» la interruppe Dawlish, nuovamente nel suo solito tono pomposo e cadenzato. Probabilmente non immaginava l'epiteto scurrile che aveva appena impedito fuoriuscisse dalle labbra di Tonks.

«La mia incolumità?» mormorò incredula. «E per cosa, Merlino!?»

«Remus John Lupin è accusato di licantropia e aggress-»

«Remus John Lupin era fra quelli che vi hanno parato il culo al Ministero quando i Mangiamorte hanno attaccato l'Ufficio Misteri!»

«Non ti permetto di rivolgerti a me in questo tono, stupida ragazzina. Non costringermi a prendere in considerazione l'idea di sospenderti dall'incarico».

«Lo faccia, allora» ribatté di nuovo Tonks, in un sibilo furioso a malapena percepibile. «Non aspettate altro da mesi, crede che non lo sappia? Non faccia l'errore di scambiarmi per una stupida ragazzina, signore. Non sono né la prima, né tantomeno la seconda».

«Dovrebbe ringraziare Silente se ancora non è stata licenziata».

«Grazie, Silente».

Dawlish le scoccò un'ultima occhiata indignata, le diede le spalle e proseguì per la sua strada.

«Non si muova da qui, è un ordine» le intimò. «Controlli la strada secondaria e non faccia altro. Se non esegue l'ordine, lo verrò a sapere. E se per caso dovesse avere bisogno di aiuto... sono certo che Silente sarà pronto ad offrirglielo» concluse con disprezzo.

Senza chiedersi se Dawlish potesse vederla o meno, Tonks alzò il dito medio.

«Vaffanculo» mormorò.







LO SO, non ditelo. Il capitolo è oscenamente corto.

Purtroppo la fine del primo quadrimestre è sinonimo di devastazione psicologica in tutte le scuole, e per quanto la mia sia così schifosa da rasentare il ridicolo, non l'ho scampata neppure io. Non volevo farvi aspettare una vita come al solito, così ho dovuto accorciare.

Chiedo davvero, davvero venia: non ho neppure il tempo di rispondere come si deve ai vostri bellissimi commenti, MA VI RINGRAZIO MILLE, MILLE E MILLE VOLTE.

State seguendo la mia storia in un numero incredibile e un numero altrettando incredibile l'ha aggiunta nei preferiti... sono così contenta che quasi quasi domani salto l'interrogazione di storia dell'arte per festeggiare.


Davvero grazie, grazie, grazie mille.


Un bacio sperando di essere perdonata,

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Capitolo 29
*** Capitolo Ventottesimo - È il prezzo che si potrebbe pagare ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO VENTOTTESIMO

È il prezzo che si potrebbe pagare

°°°°°°°







Steep, far too steep, grew the pathway ahead,
Descent was the only escape.
A wolf never flees in the face of his foe,
Fang knew the price he would pay.




Il discorso di Rouge fu seguito da uno dei più ansiosi silenzi che Lupin avesse mai sentito. Fu Aulos, il giovane suonatore di flauto dai capelli bruni e le spalle larghe ad esprimere ad alta voce quello che sicuramente era il parere di tutti quanti i presenti.

«Affrontare Fenrir? Siete fuori di testa».

«Credevo ti piacesse andare controcorrente, Aulos» ribatté Rouge con lo stesso tono pacato con cui aveva esposto la loro idea di demolire il regime che Greyback aveva instaurato a Jura. Nonostante il suo tono per nulla risentito, tuttavia, il giovane si ritrasse come se lei lo avesse minacciato brandendo una frusta. Lupin scrutò la piccola folla di presenti che Rouge aveva riunito. Alceus, il secondo pifferaio del branco, sembrava scomparire con i suoi riccioli rossi e il suo fisico minuto accanto ai muscoli di Aulos. Lupin ne studiò i lineamenti ancora acerbi e il mento sbarbato, deducendo che non poteva essere molto più vecchio di Calima. La giovane sedeva accanto alla stessa ragazza dai capelli corti e scuri della festa, una mannara dal viso rotondo e dall'aria piuttosto divertita. Che pensasse fosse tutto uno scherzo stupido?

Chilone e Rouge erano stati incredibilmente selettivi nello scegliere fra coloro che dovevano partecipare a quella prima riunione, e non si poteva certo dire che avessero tutti i torti. Se Fenrir, per qualche malaugurato caso della sorte, li avesse dovuti scoprire, sarebbero stati tutti condannati a morte. Per Lupin, poi, il crollo dell'identità del girovago Bizét avrebbe significato solo una cosa: Voldemort. Non aveva la più pallida idea di quello che quegli potessero arrivare a fargli, pur di estorcergli informazioni sulle mosse di Albus Silente, e per fortuna: probabilmente saperlo lo avrebbe terrorizzato ancora di più. Si ritrovò improvvisamente a ricordare i modi scherzosi di Frank Paciock e il sorriso gentile di sua moglie Alice. Sarebbe impazzito per il dolore anche lui? Si rispose che in fondo, non gliene importava più di tanto. Sicuramente lo avrebbero ucciso, e lui avrebbe smesso di vivere quella mezza vita da dannato.


«Voglio fare l'amore con te, Remus».


Lupin chiuse gli occhi a quel doloroso ricordo lontano, costringendo la propria attenzione a inchiodarsi nuovamente sul proseguimento del dibattito che si stava accendendo fra i mannari.

«È un suicidio» commentò una donna dai lunghi capelli scuri e la carnagione olivastra seduta ai piedi dell'anziano Chilone, Lynall. Sollevò lo sguardo verso il saggio, probabilmente per aver conferma delle sue parole. Chilone non le rispose, così come non aveva risposto a nessuna delle domande che gli scettici del ristretto gruppo gli avevano precedentemente posto. Lynall sbuffò risentita, e tornando a guardare Rouge dichiarò: «Se Fenrir lo viene a sapere, ci ammazza tutti quanti. Pure te, Rouge».

Rouge annuì. «Lo so, Lynall. È il motivo che ha spinto me e tuo padre a tanta prudenza» sentenziò con decisione. Lupin sgranò gli occhi, vagamente stupito. Scrutò il volto di Lynall alla ricerca dei tratti di Chilone: sembravano avere lo stesso taglio degli occhi, ma le somiglianze sembravano finire lì.

Rouge guardò uno alla volta tutti i suoi compagni. «Da quanto tempo ci conosciamo?» continuò. «Cinque, dieci, vent'anni?»

Nessuno rispose. Chilone la osservava apparentemente disinteressato, ma le sue labbra lo tradivano con una leggera curva divertita. Lupin si appuntò mentalmente di fare i complimenti a Rouge per il modo in cui stava ponendo la cosa agli altri mannari. Alcuni avrebbero potuto definirlo un ricatto psicologico e, probabilmente, anche lui lo avrebbe fatto in altre circostanze. Peccato che le circostanze fosse imprevedibilmente cambiate e lui non potesse far altro che assecondare le loro capricciose mutazioni.

«Aulos» disse Rouge con un gesto seccato del braccio, «Fenrir non taglierà mai i rapporti che ha stretto con gli umani. Non lo ha fatto la prima volta e non lo farà la seconda. Davvero volete andare avanti così?»

Lupin non riuscì a capire a cosa lei stesse riferendosi, ma il suono delle sue parole sembrò avere un effetto immediato su Aulos e Alceus. Il volto del primo s'irrigidì improvvisamente, le nocchie sbiancarono mentre le mani stringevano con forza il masso sul quale era seduto, mentre il secondo, raddrizzandosi con fare agitato, fissava Rouge come se lo avesse appena messo in trappola.

«Come facciamo a sapere...» iniziò Alceus con la sua voce tremula e sottile, «...che funzionerà?»

«Non lo sappiamo, infatti» gli rispose in tono piatto Chilone. «Nessuno potrebbe saperlo. Tutto ciò che ora possiamo fare è scegliere se davvero abbiamo intenzione di portare a termine ciò di cui Rouge vi ha appena parlato».

La giovane dai corti capelli scuri seduta accanto a Calima lanciò uno sguardo perplesso a Lupin.

«Chi ci garantisce che lui non andrà a fare i nostri nomi a Fenrir?»

«Non lo farebbe mai!» protesto con furia Calima, e Lupin sentì una calorosa sensazione di gratitudine accendergli lo spirito. «Bizét è dalla nostra parte».

Lupin annuì.

«Ho motivi validi quanto i vostri per oppormi a Fenrir Greyback» disse con un sorriso rassicurante. «Spero tu possa fidarti di me».

La giovane sembrò spiazzata dal suo tono gentile, tuttavia riacquistò rapidamente una certa disinvoltura e lanciò un'occhiata dubbiosa a Lynall, anch'ella intenta a squadrare con disapprovazione Lupin.

«Ti fai tu da garante per lui, Rouge?»

Rouge le rivolse un lieve sorriso di sprezzo. «Se credi che questo potrebbe servire a placare la rabbia di Fenrir, lo farò» le rispose con ostentata cortesia. «Tuttavia, i suoi precedenti mi danno da pensare che poco gli importerebbe che io sia più o meno garante del Damerino. Basta che uno solo di noi apra bocca e siamo tutti morti».

Lynall non sembrava ancora del tutto convinta: i suoi occhi scuri – così simili a quelli del padre – continuava a saettare torvi dall'espressione risoluta di Rouge a quella imperscrutabile di Lupin.

«Io mi fido di Bizét» continuò con maggiore enfasi Rouge. «Oltretutto, state certi che non parlerà».

«Perché lo dici tu?» sbottò di nuovo Lynall.

Chilone socchiuse gli occhi e scosse impercettibilmente il capo.

«Non parlerà» ribadì Rouge. «Sa che se lo dovesse fare, le conseguenze per lui sarebbero molto peggiori della semplice furia di Fenrir, non è vero, Bizét?» gli domandò con aria falsamente civettuola.

Lupin ripensò a Lord Voldermort, alle uniche due volte in cui si era ritrovato faccia a faccia con lui, quasi vent'anni prima. S'immaginò circondato dai Mangiamorte, torturato e costretto a rivelare i segreti dell'Ordine di cui era a conoscenza. Se mai fosse stato catturato... quante persone avrebbero rischiato la vita? Quante informazioni poteva disporre lui che Voldemort non aveva? Parecchie, si disse. In fondo, era sempre stato una figura di spicco all'interno dell'Ordine fin dalla prima guerra... la soluzione più intelligente sarebbe stata quella di eliminare ogni possibilità per Voldemort di entrare nella sua testa.


«E ricordate» ripeté Moody, «se mai dovessero prendervi, uccidetevi».

«Ucciderci...?» ripeté Remus Lupin, acquattato. «Ucciderci, nel senso... ucciderci?»

«Quanti altri sensi ci sono, ragazzo?» sbottò. «Non devi permettere che sfruttino le informazioni di cui disponi, chiaro?»

«Chiaro».


Avrebbe avuto il coraggio di farlo?


«Alastor...?»

«Cosa c'è, adesso?»

«Hai mai conosciuto qualcuno che ha dovuto farlo? Uccidersi, intendo».

«Sì».

Lupin deglutì a fatica. «Non mi farò catturare vivo. È una promessa».

L'espressione che si dipinse sul volto segnato di Alastor Moody fu forse la più umana e comprensiva che Lupin gli avesse mai visto.

«Lo so. Sei un ragazzo in gamba».


Come no, disse una vocina ironica nella sua testa. Hai perso da anni il coraggio di vivere, credi davvero di aver conservato quello di morire?


Lei non ha paura di starti accanto.


«La posta in gioco è alta» sentenziò Rouge.


Non ha avuto paura che a toccarla fosse un mostro.


«E la partita sarà unica e decisiva. Nessuna seconda possibilità. Nessuna rivincita».


Tu di che hai paura, Remus?


«Giocheremo fino alla morte. Non ci sarà modo di tornare indietro».


No. Non è la morte a spaventarti. Allora, cos'è?


«E che Selene ci assista».


Che Selene ti assista, Remus.



A wolf never flees in the face of his foe,
Fang knew the price he would pay.





°°°°°°°




«Milady, comprendo quanto sia inappropriato intromettermi con cotanta insistenza nel turpe universo dei vostri sogni femminili, ma mi preme doveroso comunicarvi che-».

«Tarbis, ti prego...» gemette un fagotto di coperte. «Qualunque cosa sia, rimandiamola a dopo».

Tarbis il Mercenario gonfiò il petto e socchiuse gli occhi stizzito. «Milady» riprese con maggiore veemenza, «questo non è certo il modo di-»

«Tarbis, ho sonno...»

«Nel lontano 1375 non si era soliti dormire ad un'ora sì tarda della mattina» protestò piccato il ritratto. «Ai servi scoperti nel farlo venivano recise le dita dei piedi».

«Che cosa disgustosa da dire a una fanciulla che riposa, Tarbis...».

Il capo scarmigliato di Tonks comparve dall'orlo candido del lenzuolo della stanza assegnatale. Fissò stancamente il quadro appeso al muro di fronte e sbuffò: «Ho avuto il turno di notte».

«Ne sono perfettamente al corrente, Milady, ma-»

«Con Mister Ghiacciolone».

«Capisco, Milady, ma-»

«Quell'idiota mi sta più appiccicato di una Cioccorana sciolta nell'interno della borsa».

«Un superbo paragone, Milady, ma-»

«E sono rientrata solo tre ore fa...»

«Vi ho sentita, Milady, ma-»

«Dunque perché non mi lasci dormire?»

«E voi perché non mi lasciate parlare, Milady?» esordì con furia. «Sarei già potuto tornare ai miei svaghi se solo voi non vi foste lasciata trasportare da questa sciocca mania che avete voi dame di-»

«Che tipo di svaghi ha un ritratto?» lo interruppe Tonks, riavvolgendosi nelle coperte senza riusci

«La vostra sensibilità è ammirevole» ribatté ironico Tarbis.

«Uh-uh».

«Uh-uh?»

«Uh-uh».

«Milady, temo di non riuscire a comprendere simili animaleschi suoni» disse ancora, ma non ottenne come risposta nient'altro che il pesante eco del respiro di Tonks. Tarbis sospirò, si massaggiò con aria spossata le tempie dipinte e fissò cupo il profilo nuovamente addormentato della giovane strega.

«Milady, volevo avvertirvi che avete posta».

«Uh?»

«C'è un allocco fuori dalla finestra, Milady, se vi decideste ad alzare il capo dal vostro giaciglio potreste vederlo anche voi».

«Aprigli».

Tarbis inarcò pesantemente un sopracciglio».

«Milady...»

«Ah... è vero, non puoi schiodarti da lì» borbottò Tonks, rotolando sul letto e cercando di districarsi meccanicamente dall'intrico del lenzuolo. «Sei un Sir completamente inutile».

Le gote del ritratto si fecero improvvisamente paonazze. «Io sono un Duca!» la corresse furibondo. «Non vi permetto di mettermi sul medesimo piano di un modesto cavaliere poco più importante di un comune scudiero!»

Tonks allungò il collo verso la finestra, completamente sorda a quella infuocata protesta. Un allocco dal folto piumaggio grigio la aspettava appollaiato sul davanzale, ritto e composto come un piccolo soldatino. La giovane si chiese come mai non avesse cercato di attirare la sua attenzione picchiettando il vetro, come la maggior parte dei gufi era solita fare, ansiosi di rientrare nelle case dei loro padroni e di essere ricompensati per il favore fatto loro. Aprì uno spiraglio per permettergli di entrare, ma questo – che a quanto pare era l'unico esamplare della sua specie con dei problemi d'identità – se ne restò fermo e immobile, tese la sua zampetta e gonfiò orgoglioso le piume.

«È come se osaste paragonare il Conte William di Whinshire a Lord Philibert di Bearwood, per tutte le gemme della regina!» stava continuando Tarbis.

Considerando quando poco collaborazionista fosse l'animale, Tonks fu costretta ad aprire completamente la finestra per poterlo liberare dalla pergamena. Un soffio di aria ghiacciata invase immediatamente la stanza, facendola rabbrividire con un sobbalzo. Stava per voltarsi alla ricerca di qualcosa di commestibile con cui poter ringraziare la bestiola, quando questa aprì nuovamente le ali e spiccò il volo. Tonks chiuse la finestra perplessa e osservò pensierosa la piccola pergamena azzurrina.

Chi diavolo poteva avere un allocco così... educato?

«Noi signori di Wenchrift abbiamo sempre-»

«Tarbis, ti prego...» supplicò Tonks, slacciando rapida la cordina del messaggio e srotolandolo. «Prendi fiato due minuti».

«Noi ritratti non necessitiamo di-»

«Se non chiudi la bocca giuro che sposterò il tuo quadro accanto a quello di Rodriguez il Puzzone» lo minacciò.

Tarbis strinse le labbra con una smorfia di disgusto, ma tacque. Fiera del risultato così ottenuto, Tonks sogghignò prima di calare lo sguardo sulla raffinata ed elegante calligrafia.





Ma chére Ninfadorà,


spero che tu stia bien e non stia facendo troppi sforzi.

Qui alla Tana il va tuot bien, ma Mollì è ainsì pesante... (non pesante comme kilogrammes... be', anche ainsì... insomma, tu le sais, hai capito!).


L'organisation del mio mariage sta andando merveilleusement! Ho già visto su 'Epouse Nouvelle' (il jiornale di cui ti avevo parlato, rappelles?) un vestito ainsì bello, Ninfadorà, che ainsì belli li fanno solo a Paris! E il bouquet! Il bouquet est magnifique!


Comunque, je t'en parlerai presto, non credere di potere fujjire dai miei monologhi de giovane épouse solo porquoi sei di stanza a Ogsmeed!


Quando sei libera dai tuoi incarici da courageuse paladina de la justice?

Ho un désespére bisogno di parlare con una donna che non sia Mollì, mon Dieu!

Quella strega me deteste, Ninfadorà, se non parlo con qualcuno jiuro che mi strappo il fegato dalla panscia come mia mére fa a Natale con l'oca!


J'attends ta répondue.


Un bascio ainsì grande,

Fleur




Tonks ridacchiò fra sé e sé immaginando Molly e Fleur costrette l'una alla compagnia dell'altra. Piegò la pergamena e se la infilò in tasca.

«Tarbis, per caso sai se ci sono stati cambiamenti nei turni di guardia di questo pomeriggio?»

Il Conte scosse il capo con altergia – evidentemente era ancora infastidito dal modo in cui lei lo aveva zittito – e rispose: «No, Milady. Tuttavia, se è allontanarvi dal villaggio ciò a cui state pensando, mi sento in dovere di ribadirvi che non la trovo una buona-»

Tonks si diede una rapida aggiustata ai capelli, afferrò il mantello abbandonato sullo schienale della sedia e si richiuse rapidamente la porta alle spalle.

«-idea...» concluse a denti stretti Tarbis. «Benedetta ragazza, si caccierà di nuovo nei guai».


°°°°°°°




«Phil...?» sussurrò Tonks.

Proudfoot sollevò una palpebra giusto quel poco che bastava per scorgere la figura di Tonks torreggiare oltre i cuscini del divano sul quale stava sonnechiando.

«Phil, devo chiederti un favore gigantesco...» supplicò con il suo migliore tono da bambina innocente.

Lui le rivolse un sorrisetto divertito, prima di chiudere nuovamente gli occhi e rigirarsi in una posizione più comoda.

«Ovunque tu stai andando» borbottò, «Archie e Charles rientrano alle cinque».

Il volto a forma di cuore di Tonks si aprì in un sorriso che avrebbe potuto inghiottire tutto il salone del numero 17 di Troops Road.

«Sei un tesoro, Phil».

«Non dirlo neanche per scherzo, o inizierò a crederci pure io».

°°°°°°°




«Chi è?» domandò alla porta chiusa della propria cucina Molly Weasley, tentando – invano – di celare la propria ansia.

«Sono Tonks, Molly».

«Tonks, cara, che sorpresa!»

Fece per aprirle, ma la giovane strega bloccò la porta dall'esterno.

«Molly...» la rimproverò con un sorrisetto. «La domanda.»

«Di nuovo con questa storia della domanda!» la sentì lamentarsi. «Non hai idea della figuraccia che mi ha fatto fare Arthur con Harry!»

Tonks inarcò perplessa un sopracciglio.

«Molly, giuro su quanto è vero che le Sorelle Stravagarie sono in testa alle classifiche che non aprirò questa porta finché non avremmo entrambe risposto alla domanda dell'altra».

«Ah, d'accordo!» sbottò. «Di che colore è il portaombrelli a forma di zampa di Troll a Grimmauld Place?»

«Il portaombrelli?» ripeté stupita Tonks. «Molly, come cavolo faccio a saperlo? Il corridoio era sempre buio, è per questo che continuavo a inciamparci sopra!»

«Risposta esatta».

La ragazzi fissò sbigottita la porta qualche istante, prima di scuotere la testa e ponderare su una domanda da porre a Molly.

«Quanto whisky sei solita mettere nel mio caffé?»

«Neanche un goccia, Merlino! Sei troppo giovane per bere un simile intruglio prima di andare a lavorare, quante volte dovrò ancora ripetertelo!?»

«Sorridendo fra sé e sé, Tonks lasciò andare la maniglia.


°°°°°°°








Se volete uccidermi per questo ritardo esagerato, vi prego di ascoltare prima le mie ponderatissime scuse.

...non ho scuse, eccetto la mancanza momentanea di ispirazione. Quello di questo capitolo è stato un parto travagliante, non vedevo l'ora di finirlo e cavarmi un peso dalla coscienza.


La canzone di apertura è «White Mountain» dei Genesis (meravigliosa, fra parentesi). Significa qualcosa come:


«Scosceso, troppo scosceso, si snoda il sentiero davanti.

L'unica via di salvezza è la discesa.

Un lupo non scappa mai dinanzi al suo nemico.

Zanna sapeva il prezzo che doveva pagare».


Debby 93: Sono contenta di essere stata perdonata per la sintesi del capitolo precedente... siete troppo comprensivi.^^ Sono contenta che i tre Auror ti piacciono, ero un po' agitata all'idea di dover introdurre tanti nuovi personaggi in una volta sola. Comunque sia, anch'io li adoro: non usciranno di scena molto presto. Grazie, un bacio!


Rainsoul: Questo significa che da oggi posso permettermi capitoli più brevi???^^ Anch'io avrei fatto un monumento a Tonks, ma poi non avrei proprio saputo dove metterlo. In bagno, forse?


Kikkina90: I miei prof non hanno alcun tipo di ansia da voto, sono semplicemente incurabili e sadici bastardi... piuttosto logante a lungo andare. Tonks non ha un linguaggio colorito: è colorita. (questa dovevo e potevo risparmiarmela...) Grazie stela, un bacione!


CUCCIOLA_83: Accidenti, vedo che le parolacce vi aizzano in maniera incredibile!!^^ Grazie mille, un bacione!


SakiJune: Spero di non averti fatto aumentare l'ansia... non ho idea di quanto possa riuscire a postare il nuovo capitolo. Farò del mio meglio, prometto, ma davvero, in questo periodo di grazia che mi ricordo di respirare. ç__ç Pretendo una vacanzaaaaaa...! Un bacione gigantesco!!


puciu: Non potrei MAI e dico MAI dimenticarmi di Remus. Dopotutto, lui è mio, e prima o poi finirà per accorgersi che siamo fatti l'uno per l'altra. L'idea del personaggio di Tonks «fuori duro e dentro morbido» l'ho sempre avuta, a dir la verità, dalle prime parole che pronuncia nell'Ordine della Fenice. Un bacione gigante alla mia recensitrice dalla lingua lunga^^!!!


rolly too: ti ringrazio, spero ti piaccia anche questo! A presto.


kikka91: Oddio, vuoi farmi esplodere la faccia per l'imbarazzo???^^ Sono contenta che ti piaccia, davvero. Scrivere una storia a capitoli si sta rivelando molto più complesso di quanto mi aspettavo, e vedere che, in fin dei conti, è apprezzata, non può che farmi un immane piacere. Ti aspetto con ansia all'ultimo capitolo, sperando che tutti quelli che seguiranno riusciranno a piacerti come questi!^^ Un bacio.


lyrapotter: hai fatto bene a lasciarla marcire, la mia incostanza nell'aggiornare va punita sonoramente. Ammetto di non mai apprezzato Piton fin quando non sono stata costretta a infilarlo nella trama: inutile dire che ora lo adoro, e più fa il bastardo, più finisco per adorarlo! Incredibile... E sono contentissima che i miei personaggi originali ti piacciano, erano quelli che più mi preoccupavano. Un conto è partire da un personaggio di cui già conosci vita, morte e miracoli, un altro è doverglieli fare tu... un genocidio di neuroni in pratica...^^ Chilone era il nome di un filosofo greco, il più saggio fra i Sette Saggi, per la precisione. Ho scelto di battezzare così il vecchio mannaro per una citazione di Chilone (quello vero, greco) letta non mi ricordo nemmeno dove: «Se sei forte, sìì calmo e pacifico, così che chi ti sta attorno abbia rispetto di te, e non paura».

Santo cielo, ma odiate tutti Dawlish??? (io non dovrei nemmeno parlare, sono di parte...). Hai ragione, ho controllato, ed il suo vero nome è John. Ma Archibald... suvvia, Archibald ha una marcia in più!^^

Ti ringrazio infinitamente (quanto ci hai messo a recensire? Mezz'ora, un'ora??^^) e ti scocco un bacio di gratitudine.


Grazie davvero a tutti quanti, al prossimo capitolo che posterò – no, non lo dico... sapete che porto sfiga –.


Un bacio, Trick.




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Capitolo 30
*** Capitolo Ventinovesimo - Due parole ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO VENTINOVESIMO

Due parole

°°°°°°°



«Non sci credo» aveva sentenziato Fleur con aria sgomenta una volta che Tonks ebbe terminato il racconto dello scontro con Dawlish. «Che misérable étre

«In qualunque modo tu l'abbia chiamato, sono d'accordo».

«Voi englosi avete davvero un Ministére de merde».

«Fleur!» esclamò sconvolta Tonks, scoppiando in una sana risata liberatoria. «Che fine ha fatto il tuo elegante spirito francese?»

Con un lieve ghigno divertito delle labbra, Fleur fece le spallucce. «È la tua pessima influonza, Ninfadorà».

Lasciandosi sfuggire un'altra risata, Tonks gettò il capo indietro e alzò gli occhi verso il pallido celeste del cielo. Si chiese quale potesse essere lo strano fenomeno che quell'anno aveva deciso di rallentare il corso delle stagioni: fra pochi giorni sarebbe iniziato il mese di dicembre, ma il clima non pareva intenzionato ad assecondare lo scorrere del tempo.

«È sorprendonte la veloscità con cui è arrivato décembre, ne trouves-tu pas

Tonks la guardò in tralice. «Decisamente no».

Notando l'espressione contrariata apparsa sul volto dell'altra, Fleur sorrise appena. «Ninfadorà, non essere ainsì pessimiste» disse, «è jià Natale, aprés tout».

Annuendo debolmente, Tonks chinò il capo e iniziò ad osservarsi le palme pallide delle mani abbandonate in grembo, quasi non avesse mai visto nulla di più interessante.

«Non credo di...» iniziò con poca convinzione, prima di interrompersi improvvisamente. Si umettò nervosamente le labbra, congiunse fra loro le mani e sospirò amareggiata.

«De...?» cercò di spronarla Fleur. «Courage, tu sai che avec moi puoi parler de tout».

«Non credo di potere sopportare tutto questo ancora per molto» ammise Tonks. «Vorrei tanto poter gettare la spugna, Fleur».

«E chi non lo vorrebbe? Ponsi forse che io non me ne andrei via con Bill, se avessi l'occasion? Nessuno con una téte sana resterebbe ici con questa guerre che viene avonti. Non sc'è più niente di scerto, niente di presciso... niente di bonne».

Tonks portò le mani al viso, scuotendo affranta la testa. «Siamo tutte e due pazze, dunque?»

«Oui» rispose con Fleur con un sorriso storto. Allungò un braccio verso il petto dell'altra, e sfiorando appena la pelle di drago del giubbotto che tanto la disgustava, posò una mano all'altezza del suo cuore.

«Ici dans, Ninfadorà. Qui dentro».



Et tu souris, mon amie: l'amour mérite toujours un sourire.*



°°°°°°°











«Posso permettermi di essere franco con voi, Chilone?»

Lo sguardo vigile di Lupin si spostò dai vaghi contorni dei monti di Jura – a malapena visibili fra la nebbia che da giorni, ormai, aveva avvolto completamente l'isola – al viso stanco e raggrinzito dell'anziano licantropo. Si ritrovò a chiedersi, senza apparente motivo, se anche la maledizione che affliggeva lui sarebbe arrivata a deteriorare il suo aspetto fino a quel punto; pochi secondi dopo, sperò di vivere abbastanza per scoprilo.

«Puoi» rispose circospetto Chilone, distogliendo anch'egli lo sguardo perso nell'orizzonte della sua terra natia e fissando Lupin così intensamente che questi temette potesse leggere fra i suoi pensieri.

Deglutendo nervosamente, Lupin s'affrettò a cercare le parole più delicate con cui intraprendere l'argomento che tanto pareva stargli a cuore.

«Vostra figlia» iniziò con calma, «mi è parsa piuttosto contraria ai nostri progetti».

Chilone continuò a fissarlo con forza ma anziché interromperlo, lo invitò a proseguire con un gesto rapido della mano rugosa.

«Mi chiedevo, considerata la posta in gioco, se la scelta di metterla al corrente di tutto quanto sia stata effettivamente saggia, signore».

Era un azzardo pronunciare simili parole ad uno dei licantropi più anziani e rispettati di Jura, Lupin lo sapeva bene: tuttavia, dopo diverse ore di solitaria riflessione si era convinto che in assenza di un appiglio stabile al quale agganciarsi, perlomeno avrebbe avuto bisogno di un quantitativo maggiore di informazioni sul gruppo. Non erano stati i modi tanto bruschi quanto distanti della giovane figlia di Chilone a innervosirlo – era a Jura da quasi setti mesi, dopotutto – ma la diffidenza e l'evidente contrarietà con la quale aveva tentato di opporsi a Rouge. Sapeva che il tempo dei rischi era finito: non poteva permettersi di fallire.

A differenza di quanto Lupin si aspettava, Chilone non parve turbato dalla sua affermazione, né in alcun modo sorpreso. Alzò lo sguardo alle nubi del cielo.

«Lynn è diventata esattamente la donna che era sua madre» mormorò con un sorriso triste. «È testarda e decisa esattamente quanto lo era lei, sa ciò che vuole e come arrivare ad averlo».

Nonostante l'amarezza del suo tono, a Lupin parve di cogliere l'orgoglio paterno del vecchio fra le sillabe da lui appena pronunciate. Decise di ricambiare il favore e lo lasciò parlare liberamente.


«Morì qualche anno dopo la nascita di Lynn».

«Mi dispiace».

«Non ho mai gradito le frasi di circostanza, fanno apparire ogni cosa uguale all'altra» ribatté con un sorriso divertito Chilone. «Sono passati troppi anni perché anch'io possa dispiacermene, eppure, di tanto in tanto, il suo viso mi riaffiora fra i ricordi e tutto tende a diventare vuoto. Triste. E patetico».

«Non siete affatto patetico, signore. Posso capirvi».

Gli occhi scuri di Chilone si soffermarono intensamente sul viso di Lupin. «Non si può capire la morte, Damerino. Il più delle volte ci coglie impreparati, atterra su di noi inaspettatamente e pretende di trovarci lì, pronti a seguirla o a salutare coloro i quali si accingono a farlo. La morte non si può capire».

«Ma la si vive più di quanto non lo si vorrebbe» mormorò Lupin. «La si vive fin quando non ci si accorge di essere diventati la mera ombra di ciò che si era stati un tempo».

«Sei troppo giovane per dire simile cose».

«Ho già trentacinque anni, signore».

«Io ne ho novantasette, se è per questo, giovanotto».

«Novantasette?»

«In più».


«Mio padre» iniziò a raccontare Lupin, «morì che avevo da poco compiuto dodici anni. Era un brav'uomo. Fece sforzi immani per aiutarmi dopo... be', dopo l'aggressione di Greyback».

Chilone strinse gli occhi meditabondo.

«Come si chiamava tuo padre?»

Lupin lo guardò perplesso. «Perché, signore?»

«Come si chiamava?»

«John Lupin, signore».

L'anziano lo fissò senza aggiungere altro.



«Tornando al nostro discorso iniziale, Damerino» riprese dopo qualche istante di silenzio Chilone, «il destino di mia figlia è già scritto, e in qualità di futura Pandia del clan non può che adattarsi ad esso».

«Lynn è la promessa...?» ripeté stupefatto.


Pandia.

Solo una delle antiche tradizioni che Lupin era stato costretto ad imparare a Jura.


«Una volta morto il capo del branco, è la Pandia ha scegliere il più meritevole fra i suoi figli come nuovo capo, capisci?» gli aveva spiegato Calima. «E dato che le sue scelte provengono da Selene stessa, nessuno può obiettarle in alcun modo».

«È sicuramente più rapido e funzionale della nomina di un nuovo Ministro della Magia» aveva commentato con un sorriso ironico Lupin.


«Lynn è la Pandia del branco?» chiese ancora. «Credevo che Greyback avesse-»

«Non oserebbe tanto nemmeno il più stolto dei mannari, Damerino» rispose Chilone. «Opporsi al volere della Pandia equivale a opporsi a quello di Selene, e tu sai qual'è la pena che attende coloro i quali infrangono il suo volere».

«Ad essere sincero, signore, no, ma non mi è difficile immaginarlo».

Chilone annuì solennemente. «Mai trasgredire alle regole di Selene, a meno che il tuo intento non sia quello di raggiungerla entro breve termine».

«Posso porvi un'altra domanda, signore?»

«Le tue domande, confesso, mi rendono nervoso» ridacchiò l'anziano mannaro. «Puoi».

«È questo il motivo dell'astio che sembra dividere Rouge e Lynn?» ipotizzò con calma, osservando il volto di Chilone in attesa di una sua qualsiasi reazione. «Si sentono entrambe minacciate dalla posizione che l'altra ricopre?»

Chilone sospirò. «Sei un uomo molto sveglio, Remus Lupin, devo dartene atto. Ma, se me lo concedi, ti consiglio di porre freno alla tua curiosità. Troppi uomini si sono trovati con la lingua mozzata per averla usata troppo e inutilmente, nel corso dei secoli».

«Stanno remando entrambe in direzione di un ponte sotto al quale potrà passare una e una sola imbarcazione, non è vero?»

«Ottima metafora».

«Rouge è la seconda in carica. Gerarchicamente parlando, la più potente del branco, dopo Greyback» continuò imperterrito Lupin, soddisfatto della reazione di assenso che aveva ottenuto dal vecchio. «Lynn è la Pandia, la madre scelta dalla dea della Luna per dare un legittimo capo a Jura».

Lupin si ritrovò a ridacchiare.

«Gradirei ridere anch'io, Damerino» mormorò aspramente Chilone, guardandolo in tralice.

«Pensavo, signore» rispose, «che stiamo cercando di eliminare Fenrir Greyback senza curarci dell'inferno che potrebbe scoppiare in seguito».

«Non scoppierà alcun inferno» ribatté. «Rouge sa che Lynn è la Pandia dal giorno in cui è nata, Selene ha deciso che fosse lei la primogenita del mannaro più forte del branco, e questo è un dato di fatto incontrovertibile. E Rouge non può permettersi di...»

«...opporsi al volere di Selene» concluse veemente Lupin. «Credo di aver afferrato il concetto, signore».

Chilone gli rivolse un'occhiata severa. «Dovresti stare attento anche tu, giovanotto. Non è salutare vedere come oppressore chi dovresti essere onorato di servire».

«Chi sono costretto a servire, forse. Non è una condizione che ho scelto io».

«È per questo motivo che difficilmente tollero i Clandestini» commentò bruscamente Chilone. «Non riuscirete mai a diventare come noi».

Lupin soppesò qualche istante quelle parole.

«Forse è così, signore, tuttavia» affermò infine, «mi chiedo se sia davvero saggio continuare a proseguire su strade battute da così tanti anni».

Chilone lo fissò con entrambe le sopracciglia sollevate. «A cosa ti stai riferendo?»

«Non sono ancora riuscito a capire se appartengo o meno ad una qualche categoria, signore. Sono ben lontano dall'essere umano, sebbene io abbia sempre vissuto fra loro, e non mi sento nemmeno un mannaro, se devo essere sincero, sebbene una volta al mese sia costretto ad assecondare il ciclo lunare. E non sono nemmeno quello che voi chiamate Clandestino. Sono semplicemente destinato a non avere un posto delineato nel mondo, costantemente a cavallo fra due razze oppositrici e costantemente in balia della scelta di una piuttosto che dell'altra. Eppure, sono qui, signore, a condurre con voi quest'amabile conversazione. E se, nonostante siate considerato il più saggio anziano di Jura, conservate tanti pregiudizi sui Clandestini, mi chiedo cosa potete vedere in un individuo come me».

L'espressione di Chilone non avrebbe potuto essere più imperscrutabile.

«Permettimi di darti un consiglio» disse solamente. «Non trasgredire mai alle leggi di Selene. A nessuna di loro».

«Credevo che foste anime libere, eppure la sottomissione nella quale vi siete relegati è evidente. Signore» aggiunse in fretta.

Chilone scosse il capo. «Non puoi capire, Remus Lupin. Tu non sei come noi, per quanto tu possa cercare di apparire tale».


Tu non sei come noi.


°°°°°°°











«Sento puzza di umani».

«Chiudi la bocca e apri le orecchie, Guask».

Acquattato fra le fronde della rada foresta ai margini della campagna nella contea di Durham,il giovane Fenrir Greyback fissava circospetto la vecchia villetta dei Lupin, esaminandone ogni possibile nascondiglio. Notò un capanno degli attrezzi a pochi metri dalla porta che conduceva alla cucina. Forse si sarebbe potuto nascondere nella sua ombra, fino al momento più opportuno. Il giardino era di dimensioni così modeste che non valeva nemmeno la pena di perdere tempo a controllarlo: sarebbe stata un'esposizione troppo pericolosa.

«Fenrir, sei sicuro che abita qui?»

«Mi hai forse preso per un idiota?» sbraitò Greyback, assestando un violento colpo al viso di Guarsk.

«Scusa, Fenrir, scusa...» piagnucolò intimorito l'altro. «Chi ti ha detto dove abitava? Noi così lontano non ci eravamo mica mai venuti».

«Il vecchio conosce questa zona».

«Pensavo che non era mai andato via da Jura!»

«Pensavi male, razza di cretino!»

Le sottili orecchie dei due mannari avvertirono il cigolio lontano dei cardini arrugginiti della porta: saltellando allegramente fra le aiuole curate, un bambino dai capelli chiari stava trascinando la giovane madre nel giardino, stringendole una mano e sbracciandosi con il braccio libero.

«Odio i bambini...» mormorò Guask. «Fanno troppo rumore».

«Io li adoro, invece».

Fenrir guardò la donna sedersi all'ombra di una pensilina dall'aria instabile, aprire un libro dalla copertina rossa e posarlo sul grembo. Il bambino le trotterellò al fianco qualche istante ancora, prima di lasciarsi cadere accanto a lei.

Li osservò leggere pochi secondi ancora, prima di sparire con un rapido frusciare di foglie e rami spezzati.

«Fenrir, dove vai?»

«Aspettiamo qui».

«Cosa stiamo aspettando?»

«Che cali la notte».


Che s'alzi la Luna.

°°°°°°°











Imperdonabile e sventurata, chiedo venia.

Il computer mi ha lasciato a piedi, gli esami si avvicinano alla mia persona con una velocità che ha del traumatizzante e ho finito la Nutella di riserva. Il tutto mi ha causato una disfunzione cerebrale e sono appena salita nuovamente sul grande carro della rete.

E, come potete vedere, sono ancora fuori di testa per poter assemblare frasi del genere.


SakiJune: le mie scuse non si dovrebbero nemmeno accettare, posso perlomeno chinare mortificata il capo e sperare in un perdoncino-ino-ino? Il mio fido pc ha fatto quel che ha fatto e nonostante l'averlo punito mi abbia placato lo spirito, mi dispiace ancora tantissimo non aver potuto partecipare alla sfida di fanfiction. Sono veramente mortificata e dispiaciuta *Trick tira un'altro calcio giusto per ricordare al computer quanto grande sia il suo odio*. E, anche se questa volta l'attesa dei trenta giorni è stata superata di un pochetto (giusto un pelo, che sarà mai...), spero che lo apprezzerai ugualmente. Un bacio e grazie di tutto.

P.s. Ho scritto davvero «collaborazionista»? Non ci credo... v__v Ma sono fuori come un c**o seriamente, miseria.


lyrapotter: XD la mia vena sadica ora ha costretto pure te a soffrire per le mie estenuanti attese come tutti i poveracci che stanno cercando di leggere la mia storia! XD (Prima o poi qualcuno mi taglierà la lingua, temo...°__°). Oh, io adoro Sir Cadogan! È molto sexy, non trovi? Per quanto riguarda Fleur, diciamo che più che addolcita l'ho un po'... ehm... normalizzata? A differenza di molti altri, io ho trovato il suo personaggio estremamente interessante fin dal Calice di Fuoco, e dopo l'uscita del Principe Mezzosangue sull'effettiva personalità della francese della saga direi che non ci dovrebbero essere più dubbi. E poi adoro confrontarla con quella cosa mobile che è Tonks. XD

Grazie mille, un bacione!


rolly too: dimmi che mi perdoni anche per questo... dai... dai, ti faccio gli occhioni dolci e ti faxo (cribbio, si può dire faxo?) un pezzo di torta con la crema che ho fatto per Pasqua. Nessuno è ancora morto, oserei aggiungere. Sarà perché nessuno l'ha mangiata, non saprei cosa... ma lasciamo stare i miei (in)successi culinari. Dunque, grazie mille e un bacione. *sbatto un pochettino le ciglia per ricordarti che sono troppo giovane per morire per un mero ritardo di aggiornamento).


Debby93: Eh, lo so. Lynn è parecchio scettica, ci sarà da tenerla d'occhio. Non posso aggiungere altro, tuttavia. XD Sadica? No, fanwriter: rientro semplicemente nella norma. E sono doppiamente contenta che la mia Fleur piaccia davvero a così tanti. Vai Fleur, puoi diventare anche tu un personaggio amato!!! Vaaaaaaaaaai!!!!!!!!!!!! (sono fuori come un cuculo nella pioggia, l'avevo detto, prima, vero?) Un bacione gigante e grazie mille.


Kikkina90: Sette mesi? Cavolo, da suicidio. Adesso che ci penso ho anch'io una storia in attesa da... eh-ehm. *sorriso innocente e smagliante*. Nada, niet, nothing. Mmh... vuoi davvero un indizio per Calima? Mmh... *i marchingegni del mio cervello friggono rapidamente (sì, friggono)*. E... no, pardòn. Mica ti faccio aspettare settimane intere per niente, io. XD Comunque sia, non resterà un mistero a lungo, tranquilla. Grazie mille, un bacione per perdonarmi?


Rainsoul: È anche molto impegnativa da scrivere, e senza virgolette, stavolta. Per quanto riguarda i nomi... no, non è un problema tuo, capita perfino a me di dimenticarmeli. Forse questo non avrei dovuto dirlo. Posso cancellare? La prima versione era un unico capitolo che non avrebbe ottenuto l'approvazione nemmeno dai personaggi della peggiore storia alla Mary Sue the Legend, tanto per dare un'idea. Eliminata prima che potesse causare troppi danni e riadattata immediatamente. Il titolo è rimasto così senza motivo (non amo le motivazioni, sarà per questo che faccio sempre troppe cose senza pensare). Che onorevole spiegazione, sono troppo professionale, oggi. Grazie per il consiglio di tradurre il Diario in inglese, ci penserò davvero (questa volta davvero davvero) su. Sono un'autodidatta della lingua, e per me sarebbe oltremodo masochista. Chissà. Per il momento, mi devo preoccupare di finire la versione italiana. XD Un bacione e grazie di cuore.

Perdonata?


puciu: la testolina di Remus non poteva rimanere fuori dalla mia finestra di World ancora a lungo, il suo ego non lo avrebbe sopportato, povero caro. Sant'iddio, venerarmi come una dea mi pare eccessivo, senza contare che- «SIGNORI e SIGNORE, sono qui, prego lasciate i vostri doni ai piedi del mio altare e... chi è quell'intrepido giovane tutto muscoli laggiù in fondo? Vieni qui dalla tua dea e fammi aria, su, su!»

L'idea mi aggrada parecchio. XD

D'accordo, lo ammetto. Un po' mi sei mancata.

Un po'.

Non montarti la testa.

XD

Un bacio, ti adoro.


KylieMalfoy: Ti ringrazio e anche a te... chiedo PERDONO!


Niniel: santo cielo, ti sei letta tutti e ventotto i capitoli in una volta sola?? Non è per niente salutare: rischio di perdere una recensitr-recensi... hai capito. XD Un bacio, e grazie mille.


Lauraroberta87: «Da quand'è che non aggiorno?» Ho perso il conto, temo. Mmh... pazza e sadica. Mi piace. XD No, non è vero, sono davvero dispiaciuta, giuro solennemente di aggiornare più spesso. Ed ora i casi sono due: o queste parole porteranno una sfiga immane a tutti quante, sottoscritta in primis, o io mi dimenticherà di averle dette e finirà per aggiornare fra un altro mese. Di questo passo il Diario finirà nel 2016, non posso permetterlo. Al lavoro!!



Bene, madame e messeri, devo proprio salutarvi. Il mio vicino di casa ha comprato una tromba e ho il dovere morale di scendere le scale e mostrargli il corretto funzionamento di un simile oggetto contundente. Se domani mattina vi capiterà di leggere il giornale, e casualmente notate il titolo «giovane psicopatica uccide il vicino argentino a trombate», vi prego di non carpire sottintesi che non sono espressamente fra le righe.

E qui torniamo al mio essere fuori come un c**o.

Che brava, mi censuro anche da sola.


Un grazie gigantesco a tutti quanti, e un bacione gigante a tutti coloro che hanno messo il mio Diario fra i preferiti.

Miseria, siete un mucchio.


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Capitolo 31
*** Capitolo Trentesimo - Direzione Londra ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO TRENTESIMO

Direzione Londra

°°°°°°°



Non credere a chi dice che non è giusto:

l'Amore, si sa, conosce ogni gusto.




Remus alzò lo sguardo verso l'intricata ragnatela di rami che lo sovrastava, osservando vagamente il candido chiarore del cielo di Jura e perdendosi per un istante nell'immenso turbinio dei fiocchi di neve. Sollevò con forza il ginocchio sinistro, incespicando un poco nel lungo mantello che strisciava alla sue spalle e avanzò di un altro passo nel fango viscoso del bosco. Procedette lentamente, voltandosi di tanto in tanto per controllare che nessun ospite indesiderato potesse sorprenderlo a vagare a quell'ora del mattino senza apparente scopo e cercando di non scivolare sul terreno melmoso. Scavalcò un vecchio tronco che gli ostacolava il passaggio e si sincerò di essere realmente solo. Stava per muovere un altro passo quando avvertì un brusio indistinto provenire dalla sua destra. Si accucciò con cautela, scrutò fra le felci meno fitte e tese circospetto le orecchie.

Fino a qualche mese fa, non sarei stato in grado di farlo.

«Non c'è nessuno, qui» stava dicendo una voce decisa. «Calmati, adesso».

«Se dovesse... se venisse a sapere che noi...» piagnucolò una seconda voce allarmata. «Aulos, non possiamo-».

«Zitto» lo interruppe l'altro all'improvviso.

Nonostante il cuore martellasse all'impazzata nel suo petto e una parte della sua testa gli stesse consigliando di allontanarsi al più presto, Remus rimase immobile e attese paziente con la schiena appoggiata alla ruvida corteccia del tronco. La foschia che lo circondava era abbastanza spessa da non permettergli di scorgere al di là della prima fila di alberi.

«Bizét» esclamò una voce che Remus riconobbe come quella di Aulos, il pifferaio dalle spalle larghe. Remus si rimise in piedi e osservò guardingo la figura torreggiante del giovane. Sembrava incredibilmente controllato, nonostante i suoi occhi continuassero a sfrecciare rapidi e nervosi verso il punto dal quale era comparso. Seguendo il suo sguardo, Remus notò una figura più minuta svanire improvvisamente dietro ad una fila di rovi rinsecchiti.

«Cosa ci fai qui?» chiese Aulos rapidamente.

Remus voltò nuovamente il capo verso di lui e gli rivolse un sorriso amabile.

«Stavo per porti la stessa domanda».

«Peccato ti abbia preceduto».

Era agitato.

Troppo, giudicò Remus, per qualcuno che avrebbe potuto mandarlo al Creatore con un unico, ben assestato, colpo.

«Non avevo sonno».

«Sei venuto fino ai confini della foresta perché non riuscivi a dormire?»

«Può darsi» rispose con un'alzata di spalla innocente. «E tu?»

Le labbra di Aulos sembrarono assottigliarsi mentre, ricercando attentamente le parole più adatte, scrutava inquieto tra le fronde degli alberi.

«Anch'io» tentò con poca convinzione.

«Aulos» disse con calma Remus, «sto andando a Londra».

Il giovane parve ritrovare immediatamente il proprio controllo e la propria determinazione.

«A Londra?» ripeté sconcertato. «E noi? Non puoi andartene ora che-»

«Tornerò» lo interruppe con un sorriso indulgente Remus. «Non sto scappando».

«Oh» mormorò l'altro. «Scusa, credevo che-»

«Non importa» lo liquidò nuovamente, lanciando un'altra occhiata furtiva fra le betulle. Chinò il capo per salutare il giovane dinanzi a sé e gli sorrise brevemente. «A presto, dunque. Spero ritroverai il sonno».

Aulos annuì con fare meccanico e gli sorrise affettatamente.

«Certo».

Gli aveva dato le spalle solo da pochi secondi quando la voce del giovane lo fermò.

«Bizét» disse, e a giudicare dal modo in cui continuava a sfregare fra loro le mani, ciò che stava per rivelargli doveva turbarlo parecchio. «Posso contare sulla tua discrezione? Non dirai a nessuno di averci sentito, non è vero?»

«Sentire?» si finse confuso Remus. «Chi o cosa avrei dovuto sentire?»

Aulos gli rivolse un sorriso di gratitudine.

«E, dopotutto» continuò imperterrito, «non sono mai stato qui nemmeno io, giusto?»

Il viso pallido del giovane Alceus comparve improvvisamente dall'ombra della betulla più vicina ad Aulos, e affiancandosi al compagno, osservò spaurito Lupin.

«Potremmo morire, Bizèt» mormorò. «Non lo dirai a nessuno, ce lo prometti?»

«Potremmo morire tutti da un momento all'altro, Alceus» ribatté amaramente. «Il mio consiglio, se posso permettermelo» riprese, mentre un vago sorriso divertito gli increspava le labbra, «e di non sprecare il vostro tempo per intrattenermi. Anzi, non sprecate il vostro tempo in alcun modo» si corresse.

«Grazie, Bizét. E buona fortuna» disse Aulos con un cenno del capo, prima di stringere con decisione la mano di Alceus e di voltargli le spalle.

Il più giovane, tuttavia, ruotò il capo indietro ancora una volta. «Solo Rouge sa che-»

«Alceus, non importa che tu mi dica questo» lo congedò con un gesto rapido della mano. «Va' da lui, Madre Selene, che aspetti?»

«Te ne saremo per sempre grati».

Va' da lui, che aspetti?


E tu?

Cosa stai aspettando per andare da lei?


°°°°°°°





Riposa, ordinava tassativa l'arzigogolata calligrafia della professoressa McGranitt, e non azzardarti a rientrare al castello prima di averlo fatto.

Remus posò la pergamena che aveva appena ricevuto sul traballante comodino della modesta stanza del Paiolo Magico che aveva nuovamente affittato e si lasciò cadere sul materasso alle proprie spalle.

Crollò addormentato ancor prima ancora di rendersi conto di quanto stanco, in realtà, fosse.


°°°°°°°





«Può scordarselo» ribatté melliflua Tonks, occhieggiando con aria falsamente civettuola in direzione dei capelli impomatati di Archibald Dawlish. «Non rinuncerò alle mie ferie solo a causa dei suoi problemi esistenziali».

Philibert Proudfoot e Charles Savage si scambiarono uno sguardo d'intesa: Tonks aveva riferito loro della discussione avuta con Dawlish durante il suo primo turno di guardia, e da quel giorno, la ragazza sembrava aver perso ogni buon senso nel rapportarsi con il proprio superiore. Sembrava quasi sforzarsi di diventare insopportabile e strafottente e, perfino Phil dovette ammetterlo, a un certo punto, che volesse a tutti i costi perdere il lavoro. Eppure, la possibilità di restare disoccupata non pareva essere per lei un incentivo alla maggiore disciplina.

«Un po' di caffè, Phil?» propose con garbo Savage, allungando la vecchia caffettiera arrugginita al compagno.

«Sì, Charles, grazie» rispose con estrema tranquillità l'altra, bellamente indifferente all'ennesimo tentativo della collega più giovane di far perdere il senno a Dawlish. «Questa notte è nevicato, hai notato?» continuò, sorseggiando amabilmente dalla propria tazzina.

«Ho notato, sì. Cominciavo a credere che non avremmo visto nemmeno un fiocco, quest'anno».

«Può ripetere, agente Tonks?» sillabò Dawlish, calcando pesantemente sulle ultime parole. «Credo di non aver capito bene».

«Credo che lei debba prendere seriamente in considerazione l'idea di fare qualcosa per il suo apparato uditivo, signore».

«Mi pare di averle ripetuto ben più di una volta che non tollero simili indisciplinatezze nella mia squadra!»

«E a me, pare di averle risposto ben più di una volta che la sua disciplina può infilarsela dove non batte il sole» replicò con un sorriso forzatamente solare e genuino Tonks.

«Anche a me pare che oggi sia una splendida, splendida giornata di sole!» esclamò allegramente Proudfoot. «Tu non trovi, Charles?»

«Assolutamente, vecchio mio. Oggi il sole ispira una grande voglia di vivere e di distribuire amore e gioia al mondo intero!» proclamò a gran voce Savage.

Proudfoot inarcò un sopracciglio e guardò divertito l'altro Auror. «Cos'è che fa il sole, scusa?»

«Questo suo degenerato e inaccettabile comportamento la porterà su una strada peggiore di quella che già sta percorrendo, razza di sconsiderata ragazza!» riprese con maggiore violenza Dawlish, alzando nel contempo un braccio e mostrando minaccioso l'indice a Tonks. «Un'altra parola e...»

«''...si ritroverà a scartabellare documenti per il resto della sua vita''» recitò la ragazza. «È molto gentile, signore, ma mi vedo costretta a declinare l'offerta. Ho l'impressione di essere allergica agli scarafaggi del Reparto Archivi. Mi rendono estremamente stronza, l'ha notato?»

Il volto di Dawlish stava raggiungendo una sinistra tonalità di porpora ad una velocità a dir poco inquietante. Portò una mano alla fronte imperlata di sudore e scostò dagli occhi una paio di capelli che erano riusciti a fuggire dal suo impeccabile taglio.

«Non-le-è-concesso-di-prendersi-una-settimana-di-ferie!» decretò infine, sottolineando con un grosso sputacchio l'ultima parola.

«Ma-io-non-sto-chiedendo-la-sua-concessione!» scandì Tonks allo stesso modo. «È dal giorno in cui mi sono diplomata che non festeggio un Natale come si deve! Ho inoltrato la richiesta a Robards a metà giugno, quindi, io me ne vado a casa per un po'».

Dawlish fece un respiro profondo e la fissò come se fosse l'essere più disgustoso davanti al quale si fosse mai trovato. Poi, con un gesto divertito che fece inarcare un sopracciglio di Tonks, l'angolo destro della sua bocca si sollevò leggermente in un ghigno spavaldo.

«Dovete forse tornare dalla vostro amichetto ammaestrato?» sibilò. «Non ti hanno mai detto che sono i depravati ad avere rapporti con gli animali, ragazzina?»

Proudfoot e Savage si mossero come un'unica mente: il primo posò sul tavolo la tazzina dalla quale stava bevendo, mentre il secondo chiuse con garbo il giornale e strinse circospetto le palpebre. Le mani di entrambi, tuttavia, si spostarono silenziosamente sotto al mantello a stringere l'impugnatura della bacchetta.

Tonks chiuse gli occhi e si umettò le labbra, richiamando ogni singola cellula del suo corpo a controllarsi.

«Forse è così, signore, tuttavia» fremette nella difficoltà di contenere la rabbia che la stava agitando, «mi chiedo se sia il caso di prestare ascolto ad una mezza sega come lei, o se io faccia meglio a fregarmene e a tornare da qualcuno che sa essere un uomo, indipendentemente dalla poltrona sui cui poggia il suo culo, signore. E ora, se vuole scusarmi» concluse in un sussurro tremante, «vado a prepararmi».

Così dicendo, svanì oltre la porta della cucina del numero 17 di Troops Road e risalì a passi affrettati le scale.

Finalmente più calmi e rilassati, Proudfoot e Savage tornarono a posare le mani sul tavolo.

«Questo Lupin» commentò infine Proudfoot con un sorriso divertito, «deve davvero sapere il fatto suo, per andare a letto con quell'uragano di ragazza».


°°°°°°°





«La prima cosa che fece, non appena ebbe dischiuso gli occhi, fu chiedersi dove diavolo fosse finito il bosco. Gli occorsero diversi secondi prima di ricordare quanto fosse lontana da lui, almeno in linea d'aria, l'isola di Jura, e altrettanti per avvertire – e riconoscere, dopo tanti mesi – l'inconfondibile aroma del caffè aleggiare delicato e tentatore per la stanza. Stava per rimettersi a sedere quando un'inconfondibile rumore di ceramica infranta attraversò la stanza, facendolo sussultare improvvisamente. Allungò il braccio sotto il cuscino ed estrasse con estrema calma la propria bacchetta. Rabbrividendo appena al contatto con il pavimento gelido, scivolò in punta di piedi fino al muro e tese il braccio dinanzi a sé. L'aroma del caffè, che ancora fluttuava per l'ambiente, si mischiò ad un indistinto profumo di fragole e menta. Remus sospirò appena, socchiuse le palpebre con espressione sofferente e abbassò la bacchetta.

«Ninfadora, cosa ci fai qui?»

Tonks sussultò al suono della sua voce, si raddrizzò in piedi e si voltò per fronteggiarlo. Aveva gli occhi gonfi e il mascara colato, notò Lupin con una morsa allo stomaco. «Reparo» disse, puntando la bacchetta contro i cocci di ceramica sparsi per terra.

«Ho pensato che potevi avere voglia di un buon caffè» si giustificò Tonks senza l'ombra di un sorriso. «Il che significava che non doveva essere fatto dalla sottoscritta».

«Come hai fatto ad entrare?»

«Sono un Auror. Ve ne dimenticate un po' troppo spesso».

Lui annuì. «Grazie per il caffè».

«Ma ora è tutto sul pavimento».

«Grazie ugualmente».

Rimasero per un po' così, tesi e divisi da un imbarazzato e glaciale silenzio.

«Remus...» esordì infine Tonks, mentre gli occhi si facevano improvvisamente più lucidi. «Posso chiederti un favore?»

Lui la fissò combattuto, certo che questa volta non avrebbe saputo dire di no.

«Certo».

«So che... so che sembra stupido... ed egoista» iniziò titubante, avanzando di qualche passo verso di lui. «Ma ho bisogno di un abbraccio, Remus».

Posò la testa sul suo petto e lui rimase ad ascoltare impotente i suoi singhiozzi, carezzandole i capelli grigio topo e cingendola con le braccia, chiedendosi se potesse esistere un suono più orribile del pianto di lei.


Ho bisogno di un abbraccio, Remus.


°°°°°°°






Avete notato che sto cercando di farmi perdonare la vergognosa attesa alla quale vi ho sottoposto?

La risposta dovrebbe essere sì, ma se così non fosse, fatemi il piacere di annuire lo stesso.

Il capitolo non brilla per lunghezza, ma vi rammendo che oggi è domenica, indi ieri era sabato, sinonimo di «domani mattina non ricorderò nulla di ciò che sto facendo».

Vado un po' di fretta, perciò spero mi scuserete se non rispondo ai vostri commenti. Ora che il computer è «guarito», si è ammalato il «modem»... v__v No comment.

Un grazie gigantesco a tutti quanti, di nuovo. Mille, mille e millecento volte GRAZIE!


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Capitolo 32
*** Capitolo Trentunesimo - Casa ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO TRENTUNESIMO

Casa

°°°°°°°



«La casa è quel posto dove, quando ci andate, vi accolgono sempre».

Robert Frost




La mano raggrinzita di Albus Silente salì a grattargli il lungo naso ricurvo, mentre i suoi occhi celesti scrutavano vigili il viso del giovane seduto dinanzi alla scrivania del suo ufficio. Ne osservò i lineamenti sottili e morbidi solcati da cicatrizzate traccie chiare che – era certo – non lo solcavano l'ultima volta in cui aveva avuto il piacere di incontrarlo, così come le pesanti ombre scure sotto le palpebre e il colorito cereo della pelle. Non che Remus Lupin fosse sempre stato un mago dalla costituzione robusta e giovevole, sia chiaro, ma Silente poteva contare sulle dita le situazioni in cui l'aveva visto davvero ridotto al limite.

«Alastor dice che porti discrete notizie da Jura, Remus» iniziò l'anziano Preside con un sorriso incoraggiante. «Che, tradotto in un inglese meno fatalista, significa ottime notizie».

Continuando ostinatamente a fissarsi le ginocchia, Remus mosse impercettibilmente il capo. Strinse con forza le labbra e lanciò un'occhiata nervosa alla finestra che dava sul grande parco della scuola. Il cielo era così luminoso che distingueva a fatica il distacco fra la neve candida all'orizzonte. Se non avesse intravisto il vago profilo delle montagne, avrebbe certamente pensato di essere immerso nel nulla. Si chiese se quella particolare situazione non si sarebbe potuta rivelare migliore.

«C'è qualcosa che ti turba».

Non era una domanda, e Remus lo sapeva bene. Anche senza l'utilizzo delle sue straordinaria doti di Legimens, Silente era sempre stato in grado di leggere nel suo cuore come pochi altri erano riusciti a fare. Mentire era tanto stupido quanto inutile.

«Effettivamente, signore» rispose infine, «c'è qualcosa».

Silente inclinò leggermente il capo, inarcando debolmente un sopracciglio, ma preferì non interromperlo.

«Non credevo che la missione si sarebbe rivelata tanta complessa» continuò Remus, sfregando agitatamente i polpastrelli delle mani fra loro. Si alzò di scatto, quasi non fosse più in grado di sopportare il contatto con i braccioli di noce della sedia e si diresse verso l'ampia finestra.

«Credevo che fingere di essere come loro mi sarebbe bastato» riprese debolmente, posando una mano sulla superficie trasparente e lasciando scorrere lo sguardo fino a riconoscere la familiare figura del Platano Picchiatore, immobile e spoglio nel gelo invernale.

«E ora, invece?» chiese con calma Silente, studiando con serietà la schiena di Remus, come se volesse attraversarlo con lo sguardo.

«Ora, invece, non ne sono più convinto. Non sono più convinto di nulla, professore».

Deglutì con forza e strinse i pugni al di sotto della stoffa logora e consunta del mantello scuro. Si voltò e cercò di sostenere lo sguardo penetrante di Silente, mordendosi nervosamente il labbro inferiore. Possibile che davanti a quell'anziano mago si sentisse in dovere di rivelare tutti i suoi più intimi sentimenti? Certo che no, si disse, eppure, è dall'età di undici anni che questo accade regolarmente.

«Qual'è il mio posto, professore?» chiese con un velo d'inquietudine nella voce.

Silente gli rivolse un sorriso carico di comprensione. «Laddove puoi restare accanto alle persone a te care, Remus, troverai la tua casa».

Le labbra di Remus s'inarcarono in un mesto sorriso tirato. «Non per me, professore».

«E laddove il tuo cuore non batte solo, troverei la tua famiglia».

Remus distolse rapido lo sguardo. Merlino, perché nessuno pareva in grado di capire che lui era tutto tranne l'uomo adatto per Tonks? Lei, maledizione, non meritava di essere condannata ad una vita da emarginata, costretta al fianco di un uomo che nulla poteva offrirle se non una squallida stanza d'albergo e abiti stracciati. Un uomo con il quale avrebbe corso il rischio di morire ad ogni, dannato, plenilunio.

No, decisamente non era questa la vita che meritava.


Ho bisogno di un abbraccio, Remus.


«Solo tu puoi decidere chi sei, Remus» continuò mite Silente. «Solo tu puoi disegnare il tuo futuro. E ciò che sarai dipenderà unicamente da te. Il mio consiglio, che non sei tuttavia obbligato ad ascoltare, è di abbassare per qualche minuto il volume del tuo cervello, per poter cogliere quello debole e timido del tuo cuore».

Affondando le mani nelle tasche e cercando di trovare la forza per alzare lo sguardo sul viso di Silente, Remus si lasciò sfuggire un mormorio disapprovato.

«Signore» ribatté con un sorriso paziente, «sapete come la penso a riguardo».

«Temo di sì, Remus, temo di sì» annuì con un cenno triste del capo l'altro. «E non sai quanto preferirei il contrario».

«Ma è così» continuò con più forza Remus. «Il cuore non può decidere da solo le sorti di una vita. Sarebbe troppo semplice ed egoista da parte sua».

«Egoista è il cervello che continua a precluderti di essere felice».

Al suono di quelle parole serene, Remus avvertì qualcosa di simile ad una scossa elettrica attraversargli la spina dorsali, invadendo lo spazio riservato solitamente ai suoi pensieri e intorpidendoli come d'incanto. Sentì un'improvviso desiderio di urlare ribollirgli nelle vene.

«A costo di cosa, però?» si limitò a sibilare tremante, le mani strette a pugni nascoste nelle tasche del mantello. «Nessuno di voi pare capire perché non posso...» s'interruppe bruscamente e si morse il labbro inferiore, distogliendo lo sguardo da Silente e facendo un respiro profondo.

Calmo, tentò di quietarsi, non c'è bisogno di scaldarsi per niente.

«Non riuscite a capire nemmeno voi il motivo per il quale sto facendo tutto questo?» domandò, sgranando gli occhi quasi si sentisse tradito dalla stessa incomprensione del Preside.

Silente gli rivolse un sorriso amabile.

«Il motivo per il quale hai accettato questa missione o quello che ti impedisce di accettare che Ninfadora sia innamorata di te, Remus?»

Touché.

Maledizione.

Perché non poteva semplicemente lasciare tutto e andarsene via?

Via, lontano, dove nessuno poteva raggiungerlo, dove niente e nessuno avrebbe potuto mandarlo un'altra volta sull'orlo della follia. Perché, obiettivamente, stava impazzando per davvero, e la consapevolezza di ciò lo rendeva incapace di mantenere il controllo. E lui aveva sempre odiato perdere il controllo fin da quando aveva memoria.

Che cosa diavolo lo stava costringendo a rimanere in bilico fra mannari e umani, fra ciò che deve e non deve, fra ciò che potrebbe diventare e ciò che non potrebbe mai essere?


Ho bisogno di un abbraccio, Remus.


Si avvicinò nuovamente alla poltrona, vi si lasciò cadere sopra e affondò la testa fra le mani. Si prese il tempo di fare un altro, profondo e rilassante respiro, prima di alzare gli occhi sul viso antico dell'uomo dinanzi a sé. Vi era un che di estremamente divertito nei suoi occhi celesti.

«Francamente, Remus» affermò infine, e dal suo tono di voce tranquillo Remus intuì che, qualsiasi cosa avrebbe detto, non avrebbe trovato modo di ribattere. Era da troppi anni che le loro conversazioni terminavano in quella maniera, con un sorriso affabile e una frase senza possibilità di invertire la marcia. Avrebbe taciuto e il Preside avrebbe vinto per l'ennesima volta. Non restava altro da fare che attendere la fucilata. «Quanto credi di poter resistere lontano da lei, quando il desiderio di averla accanto scaturisce in maniera così evidente ogni qualvolta viene sfiorato l'argomento?»

Doppio touché.

Doppia maledizione.


«Promettetemi solo che non le accadrà nulla, mentre sono a Jura».

«Promettimi solo che tornerai da lei, una volta rientrato da Jura».

«Non posso. Finirei per farla soffrire».

«Lei sta già soffrendo, Remus. E tu con lei».

Remus scosse con decisione il capo. «Resterò solo fin quando ci sarà bisogno di me qui a Londra, professore. Se e quando questa dannata guerra vedrà una fine lascerò la Gran Bretagna. Ho sentito di un clan di licantropi pacifici, dalle parti della Svezia».

Silente inarcò divertito un sopracciglio. «È già la terza volta, in quindici anni, che ti sento affermare tale impegno» commentò. «Eppure, non mi è mai arrivata una sola cartolina dal golfo di Botnia. Buffo, non trovi?».

«Erano solo parole di un ragazzo che aveva perso tutto, professore. Queste sono parole di un uomo».

«Che sta sfidando la sorte a strappargli nuovamente tutto quanto» concluse tristemente Silente. «Sarei molto dispiaciuto di sapere che presto potrei doverti dire addio, Remus, se solo non fossi certo che non farai nulla di tutto questo».

«Non posso restare. Lei deve dimenticarmi».

«Tu hai intenzione di dimenticarla?»

Remus fece un sorriso storto e scosse amaramente la testa.

«Allora, resterai» terminò Silente con gioia, colpendo amichevolmente la spalla di Remus. «Abbi fede nelle mie parole: resterai per lei».


°°°°°°°





«Remus!»

Le braccia cicciottelle di Molly Weasley gli avevano circondato il collo prima ancora di aver varcato la porta della Tana, stringendolo in un abbraccio vigoroso.

«Buongiorno, Molly» la salutò con un sorriso cordiale. «Come state?»

«Razza di degenerato!» sbottò improvvisamente lei, lasciandolo improvvisamente e colpendolo con forza al petto. «Hai idea di quanto hai fatto stare tutti quanti in pensiero?»

«Sono enormemente dispiaciuto» ammise. «Ma non avrei potuto fare altrimenti».

Molly si lasciò sfuggire un sospiro rassegnato prima di sollevare gli occhi su viso segnato di Remus e rivolgergli un sorriso affettuoso.

«Cosa fai ancora sulla porta?» esclamò d'un tratto. «Per le sottogonne di Morgana, entra prima di beccarti qualche accidente!»

Remus ridacchiò sotto i baffi. Durante il periodo in cui era rimasto confinato a Jura, non si era reso conto di quanto, in realtà, gli fosse mancato quell'ambiente caloroso ed ospitale. Qualunque cosa Piton potesse ancora pensare della vecchia e austera dimora dei Black, per lui, che di luoghi ospitali nella sua misera vita non ne aveva mai potuti vedete più di cinque o sei, il tempo trascorso al suo interno, seppur breve e scandito da continue preoccupazioni, sarebbe rimasto per sempre il più felice e spensierato di quei suoi ultimi tredici anni di solitudine. E, in fondo, chi potrebbe dargli torto? Quando ci si abitua al ritmo di vita spento e apatico di un reietto, ritrovare finalmente un tetto sotto al quale sentirsi accettati rende irrilevante qualsiasi altro dettaglio tecnico.

Improvvisamente, visualizzò che tutto quello era finito. E, nuovamente, il ricordo della morte di Sirius riaffiorò per pugnalargli il petto; l'espressione disperata e le labbra assottigliate di Tonks tornarono a stringergli il cuore, e il mondo parve diventare di nuovo un posto troppo stretto e soffocante.

«Remus?»

Remus scosse il capo e fissò Molly come se si fosse accorto solo in quell'istante della sua presenza. «Scusa».



«Vuoi un altro po' di zucchero, Remus, caro?» gli domandò Molly con un sorriso amabile.

«No, Molly, ti ringrazio. È perfetto così».

La strega annuì e iniziò a fissarlo con intensità, quasi lo stesse studiando sotto ogni possibile punto di vista.

«Molly, cosa stai-?»

«Sei magro come un Asticello, Remus» commentò infine, portando le mani ai fianchi larghi e guardandolo torva. «Hai mangiato?»

Diavolo, se ho mangiato.

«Sì» rispose evasivo, portando distrattamente una mano alla nuca e scrutando il giardino innevato al di là della finestra. «Sì, ho mangiato qualcosa».

Molly lo guardò con un sopracciglio vagamente inarcato, ma non disse altro. Prese una seconda tazza da una credenza alle sue spalle, la riempì di tè, e si sedette di fronte a Remus, scrutandolo torva negli occhi. Pareva in procinto di dire qualcosa, quando un eco lontano di passi leggeri e delicati risuonò nella stanza. Remus voltò il capo verso la porta della cucina qualche istante prima che la giovane signorina Delacour scendesse con un grazioso saltello l'ultimo gradino. Strabuzzò appena i grandi occhi celesti alla sua vista, prima di rivolgergli un sorriso incantevole.

«Oh, Monsieur Lupìn!» esclamò gioiosa. «È un piascere vedervi! Comment allez-vous?» chiese, porgendogli con eleganza la mano destra.

Lupin si alzò educatamente dalla sedia. «Très bien, mademoiselle Delacour, je vous remercie. J'espère autant» rispose con un sorriso dolce, prima di baciarle con delicatezza il dorso.

Fleur ridacchiò sommessamente. «Siete sompre ainsì gentil, Monsier Lupin».

«Dovere».

Molly alzò esasperata gli occhi al cielo.

«Molì, ponsavo di andare jiù in pays, in paese, pour vedere se sci sono rimaste aranscie puor la scena, va bien

«Certo, cara, vai pure» la liquidò con un sorriso forzato l'altra.

«Spero soltonto che non siano orrondamente mauvaises come l'altra volta» aggiunse Fleur, mentre si avvolgeva in un lungo cappotto e candido cappotto. «Au revoir, Monsieur Lùpin. Spero di potervi rivedere bientôt».

«Lo spero anch'io, mademoiselle».

Remus la fissò svanire con una graziosa piroetta a pochi passi dal cancello del giardino dei Weasley. Sentiva lo sguardo minaccioso di Molly sul capo.

«Ti ci metti anche tu, adesso?» sbraitò.

«A fare cosa, scusa?»

«A fare il cascamorto con quella... quella... strega!»

Remus inarcò divertito un sopracciglio. «È una ragazza adorabile, non capisco come tu-»

«Ecco! Ci risiamo! Ha soggiogato pure te!»

«Ma io non sono soggio-»

«Oh, sì che lo sei! Ci sono donne molto migliori di lei in giro, sai?»

Remus stava per ripeterle che non si sentiva assolutamente soggiogato dalla presenza Veela di Fleur Delacour, quando decifrò il sottile riferimento nascosto fra le parole di Molly. Si fece improvvisamente più serio.

«Molly, ti prego» la avvertì rapido. «Non è un buon argomento».

Lei fece un respiro profondo e lo guardò intensamente. Più Remus cercava di rimanere concentrato sui suoi occhi nocciola, più li vedeva riempirsi di tristezza.

«Remus, non essere sciocco» lo rimproverò con un sorriso mesto. «Non puoi impedirti di amare».

«Sto solo cercando di impedire che non le accada nulla, Molly».

Lei scosse amaramente il capo. «È già accaduto tutto, Remus».


Non puoi più tornare indietro.


°°°°°°




Era completamente intirizzito per il gran freddo, ma erano mesi che si era ripromesso di tornare a far visita a quel luogo e avrebbe mantenuto l'accordo contro qualsiasi condizione climatica. Attraversò rapido la strada che costeggiava il cimitero di St. Madeline e, con un triste sospiro, ne oltrepassò i cancelli arrugginiti. Passeggiò qualche minuto lungo il sentiero che attorniava le lapidi e le statue, rabbrividendo ad ogni passo che era costretto ad affondare nella neve. Girò attorno ad un angelo di marmo dal volto rovinato e si avvicinò al confine ovest del cimitero, dove il sentiero si sarebbe fatto meno battuto, se solo non fosse stato ricoperto da quel candido manto. Era la parte più vecchia del cimitero, costruita per prima e per prima dimenticata. L'eterno riposo dei trascurati, troppo lontani nel tempo per sopravvivere nei ricordi dei loro familiari.

Remus si fermò davanti ad una modesta lapide di pietra e si chinò per osservarne i segni del tempo. Strappò l'edera che l'aveva completamente avvolta fin quando le parole che vi erano state incise non riemersero alla vista.


Helen Lupin

1943 – 1978


Eri luce fra i fiori,

ora luce fra le stelle.


Lanciò un'occhiata furtiva alle proprie spalle e, dopo essersi accertato che nessuno avrebbe potuto vederlo, estrasse la bacchetta dalla tasca interna del mantello, Evocò una margherita dai petali gialli e dal lungo stelo.


«Perché ti piacciono tanto le margherite? Non hanno niente di speciale» affermò pensieroso il bambino, arrampicandosi sull'alto sgabello della cucina e afferrando uno dei fiori contenuti nel vaso al centro del tavolo. Se lo rigirò un attimo fra le mani sottili, con un sopracciglio leggermente inarcato e la bocca storta. «Non hanno davvero niente di speciale, mamma» ribadì.

Helen Lupin distolse lo sguardo dal mazzo di gardenie che stava sistemando sul davanzale della finestra per rivolgere un sorriso affettuoso al figlio.

«Perché le margherite sono i fiori più belli del mondo, Remus».

«Davvero?» domandò perplesso.

«Amare le margherite significa amare la semplicità della vita» spiegò, avvicinandosi a lui e chinandosi ad osservare il fiore che il bambino ancora stringeva fra le mani. «Come il latte alla mattina o le coperte calde alla sera».

«Ma ci sono fiori più belli, mamma» continuò imperterrito Remus. «Come l'orchidea. O la rosa».

«E ci sono anche persone che alla mattina mangiamo brioches calde ripiene di cioccolato e dormono in letti di seta ogni notte» ribatté lei con un sorriso dolce.

Remus la fissò senza capire.

«E... così non è più bello, mamma?»

«Forse» rispose lei, scompigliandogli amorevolmente i capelli chiari. «Ma sono sicura che un giorno capirai quanta bellezza si nasconda dietro una semplice margherita».


Le margherite sono i fiori più belli del mondo.



«Remus? Che ci fai qui?»

Remus trasalì e si voltò di colpo.



°°°°°°°




Fine capitolo trentunesimo.

Chiedo venia per il ritardo (ormai dovreste esservi abituati, ma sono educata, mortificata e spaventata dalla vostra reazione, indi mi scuso ugualmente) ma questo è un periodo di:

a) ispirazione morta;

b) preparazione della tesina d'esame;

c) gita scolastica;

d) ispirazione morta;

e) influenza;

f) ispirazione morta;

g) ispirazione morta;

h) ispiraz- avete capito.

Capita.

Vado di fretta, chiedo nuovamente perdono, giuro di rispondere alle vostre bellissime recensioni la prossima volta.

Un grazie enorme a tutti quanti, davvero.

Se non ci foste voi a darmi la carica ad ogni capitolo, non so davvero quante beffe si farebbe di me l'ispirazione!^^


Al trentaduesimo,

Trick


P.s.

Non ho la più pallida idea di come si chiamasse la madre di Lupin. Io l'ho battezzata Helen: mi pare un nome tanto semplice quanto dolce. Esattamente come me la sono figurata nella testa.

Qualcuno sa se la Rowling le ha mai dato un nome?

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Capitolo 33
*** Capitolo Trentaduesimo - Separati dal mondo ***


************************

Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO TRENTADUESIMO

Separati dal mondo

°°°°°°°





«Remus? Cosa ci fai qui?»

Remus trasalì e si voltò di colpo.

Avvolta in una sgargiante sciarpa verde acido e nascosta da un buffo berretto delle Sorelle Stravagarie, Tonks lo fissava allucinata. Aveva il naso arrossato e gli occhi lucidi a causa del troppo freddo ma, nonostante tutto, Remus non riuscì a impedire al proprio cuore di saltare un battito. Tentò di riprendersi con la stessa velocità con la quale lei gli era piombata accanto in quel mattino nevoso di dicembre e la guardò altrettanto perplesso.

«Ehm... sono...» balbettò.

«Scusa, era un domanda troppo idiota» lo interruppe rapida lei con un gesto frettoloso della mano inguantata. «Non ci sono molti motivi che portano una persona in un cimitero».

«Già».

Rimasero un attimo divisi da un silenzio imbarazzato, in cui nessuno dei due parve trovare le parole adeguate per attaccare discorso.

«È successo qualcosa che...?» si azzardò infine a chiedere Remus, senza riuscire, tuttavia, a trovare il fiato per ultimare la domanda.

«Cosa?»

«Be'... sei qui» spiegò, indicando vagamente le lapidi che li circondavano.

«Oh» esclamò lei. «No, no. Cioè, sì. Voglio dire, non è successo niente, è... l'anniversario della morte di una qualche zia che non ho mai visto, mio padre ha l'influenza e mi ha pregato di venire, tutto qui».

«Mi dispiace molto per tuo padre... mi dispiace anche per tua zia, naturalmente» aggiunse rapido, con l'espressione mortificata di chi teme di aver commesso un qualche fallo.

Tonks ridacchiò nella sciarpa solo pochi istanti – evidentemente anche lei dovette trovarlo sconveniente, dato il luogo – ma furono più che sufficienti a illuminare di nuovo di allegria i suoi occhi scuri. Remus sentì stringersi le viscere, mentre le sorrideva appena di rimando. Che razza di posto per incontrarsi, pensò.

Quando alzò nuovamente lo sguardo su di lui, Tonks sembrò incupirsi improvvisamente.

«Spero che nemmeno tu sia qui per... be'...»

Lui la guardò comprensivo.

«È un pessimo argomento, vero?»

Lei sorrise imbarazzata. «Già, lo è».

«Mia madre».

«Oh... mi dispiace, non lo sapevo».

«È successo tanti anni fa, non devi preoccuparti».

«Questo non cambia nulla».

Remus alzò distrattamente le spalle.

«Immagino fosse una donna meravigliosa» continuò Tonks.

«Cosa te lo fa pensare?»

«Be', se hai preso da lei, deve esserlo stata sicuramente».

Lui sorrise tristemente. «Lo era, in effetti. Purtroppo non ho ereditato la sua stessa gioia di vivere».

Tonks trasalì e si strinse maggiormente nel cappotto, cercando nel tepore della stoffa pesante il conforto necessario ad allontanare la freddezza che le parole di Remus le avevano gettato addosso.

«Forse l'hai solo persa col tempo...» mormorò mestamente. «Non è detto che non la si possa ritrovare».

«Senza il forse, Ninfadora. E senza tutto il resto.» concluse laconico, mentre lei distoglieva rapida lo sguardo e stringeva con forza i pugni. «Questo posto tende a far diventare malinconiche e noiose le persone, ancor più di quanto non siano per natura, che ne dici di uscire?» aggiunse con un sorriso tirato.

Lei annuì meccanicamente.



«L'atmosfera non è mutata molto, purtroppo» commentò tristemente Remus, lanciando un'occhiata avvilita alla strada deserta che costeggiava il cimitero di St. Madeline. Parevano le uniche due anime abbastanza folli da attraversare Londra con quel gelo.

«Come fai ad essere così?»

«Così come?»

Tonks si fermò e lo fronteggiò con fierezza. «Così cinico, così indifferente e così apatico verso tutto ciò che riguarda la tua vita, ecco come».

Remus la fissò intensamente. «Non puoi capire, Ninfadora, sei troppo giovane».

Lei alzò gli occhi al cielo e parve trattenere un grido isterico. «Non ricominciare! Non ho bisogno di sentirmelo ripetere di nuovo».

«Io credo proprio di sì, invece» ribatté con durezza lui. «Sono troppo vecchio per te, è ora che te ne renda conto».

«E tu, dall'altra parte, dovresti capire che a me non importa».

«Senza contare che non ho il becco di un galeone, nessun tetto sicuro sopra la testa e nessun lavoro fra le mani. Ninfadora, apri gli occhi».

Una parte di sé stava agonizzando e a Remus, che riusciva a sentirla distintamente, sembrò di sentire ancora le parole di Silente rimbombargli nella testa.


Il mio consiglio è di abbassare per qualche minuto il volume del tuo cervello, per poter cogliere quello debole e timido del tuo cuore.


Lo stai massacrando il tuo cuore, Remus, gli disse una flebile vocina. Non resterà che un vecchio petto vuoto silenzioso se continui a straziarlo di dolore.


«A me non importa! Non importa niente!» stava strillando Tonks. «Ti amo, Merlino, perché non lo capisci?»

«Per lo stesso motivo per il quale tu non sembri capace di vedere quanto rischieresti al mio fianco, dannazione!» sbraitò furioso Remus. Tonks arretrò involontariamente, allarmata da quella dimostrazione di rabbia che non avrebbe mai creduto potesse provenire da lui. «Credi forse non avrei preferito rimanere a Londra con te, piuttosto che essere costretto ad andarmene a Jura!?»

Per un attimo, gli parve che a parlare fosse stato un estraneo. Non si era reso conto di aver iniziato a rigettare tutto ciò che non aveva nemmeno osato ammettere a sé stesso: avrebbe preferito realmente restare a Londra, rimanere accanto a Tonks, svegliarsi ogni mattina con la consapevolezza di averla vicina nel letto e addormentarsi ogni sera con l'eco leggero del suo respiro. Non desiderava altro da mesi, e negarlo era ormai impossibile.

Fece per distogliere lo sguardo dal volto di Tonks, ma lei lo bloccò con un gesto deciso della mano e lo costrinse a guardarla. I suoi occhi scuri sembravano brillare di orgoglio come le stelle dalle quali i suoi nobili antenati avevano preso i nomi.

«Guardami, Remus» ordinò imperiosa. «E ripeti ciò che hai detto».

Lui ostentò un sorriso storto, strinse con delicatezza il suo polso e lo abbassò.

«Sei stupita che anch'io mi possa arrabbiare, Ninfadora? E non mi hai visto durante il plenilunio» sibilò con durezza.

«Hai detto che vorresti restare con me».

«Si dicono sempre cose senza senso quando si perde il controllo».

Fu il suo turno di sorridere con tristezza.

«Come quando abbiamo fatto l'amore e tu hai detto che mi amavi, Remus?»

Dapprima trasalì, preso alla sprovvista da quel colpo inaspettato, poi il suo sguardo si fece sempre più freddo e duro.

«Sono vecchio, Ninfadora» ribadì. «Povero. E pericoloso. Non sono l'uomo adatto a te».

Lei ridacchiò senza allegria.

«Nemmeno tu credi a ciò che dici, come pretendi che possa farlo io?»

«È la mia ultima parola» sentenziò Remus prima di voltarsi, mentre una sensazione di insopportabile soffocamento gli serrava il petto e la voglia di gridare contro tutto e tutti si faceva nuovamente strada nella sua testa.

Tonks mosse rapidamente un piede e lo bloccò con le braccia, stringendolo in un abbraccio disperato.

Remus fece un respiro profondo e chiuse automaticamente gli occhi.

Senza che nessuno dei due se ne accorgesse, riprese a nevicare. Lenta e candida, la neve cominciò a bagnare i capelli striati e le spalle del logoro mantello di Remus.

Merlino, falla scappare lontano da qui.

La sentì singhiozzare contro la sua schiena, mentre le braccia lo stringevano con più forza.

«Dimmi solo che tornerai» mormorò nel pianto. «Dimmi solo che non ti ho ancora perso».

Non puoi. Ti farei solo del male.

«Non mi hai mai avuto, Ninfadora».


Dimenticami.

E scappa.

°°°°°°°




«Noto con disappunto che conservi ancora la facoltà di respirare, Lupin» mormorò una voce fredda e acida alle sue spalle.

Remus sospirò brevemente e, alzando gli occhi al cielo, si chiese perché, data la vastità della Gran Bretagna, Severus Piton doveva trovarsi in quel preciso angolo di Knucle Road, in quel preciso venerdì di dicembre e in quel preciso tardo pomeriggio.

«Noto con altrettanto disappunto che non hai ancora smesso di confidare in una mia prematura dipartita, Severus» ribatté franco. Si voltò a fronteggiare con un mite sorriso accondiscendente l'accidiosa presenza del suo ex-collega di lavoro. Questi lo squadrò dalle radici dei capelli bagnati alla punta consunta delle scarpe, soffermandosi in maniera irritante sulle cuciture e i rattoppi che mantenevano integro il suo vecchio mantello. Parve, tuttavia, interessarsi eccessivamente al suo volto: lo fissò storcendo il naso per diversi secondi, durante i quali Remus inarcò un sopracciglio e incrociò stancamente le braccia.

«Ora che ti sei beato nel vedere quanto sono caduto in basso, potresti farmi la cortesia di smettere di fissarmi tanto insistentemente?»

Lui sembrò soppesare l'idea. «No» disse infine con un sorriso mellifluo. «È appagante scoprire quanto sei stato in grado di scendere oltre al livello minimo di decenza che immaginavo. Dico davvero».

«Ti eri immaginato un livello minimo oltre al quale non sarei mai sceso?» domandò divertito Remus. «Mi sorprendi: non credevo fossi tanto interessato alla mia persona».

«Lo sono probabilmente più di quanto tu non lo sia mai stato negli ultimi tredici anni, Lupin».

Il lieve sorriso di Remus svanì in fretta, mentre fissava perplesso l'espressione annoiata di Piton senza poter ribattere alcunché. Possibile che lui avesse appena detto quello che realmente aveva sentito?

«Non preoccuparti di rispondere, non è necessario» disse infine Piton. «È quasi una fortuna averti incontrato qui».

Remus inarcò un sopracciglio. «Detto da te è un complimento. Posso saperne il motivo?»

«Silente».

«Silente?»

«Rammenti Silente, vero, Lupin?»

«Continua, te ne prego».

Piton sbuffò esasperato, infilò una mano sotto alla lunga veste nera e ne estrasse una candida busta chiusa. Lupin allungò il collo per osservare meglio il sigillo di cera. Era quello di Hogwarts.

«Io non so niente» lo avvertì Piton. «Quindi, non fare domande».

Lupin annuì. «Silente ti ha dato questo?»

«Sì, Lupin, per la terza volta, sì».

«Perché non me lo ha dato di persona?»

«Dov'eri con il cervello quando ho detto che non so realmente niente?» ribatté apatico l'altro. «Silente è partito».

«Per dove?»

Piton assunse un'espressione truce. «Lupin, non-so-niente-neppure-io».

Le labbra di Remus si alzarono leggermente verso l'alto.

«Sei infastidito?»

«Da te? Sì, alquanto».

«No... dal fatto che Silente stia nascondendo qualcosa anche a te».

Piton sgranò gli occhi ma, come Remus pochi istanti prima, non rispose in alcun modo.

«Tieni quella lettera e non farmi domande, Lupin» si limitò a tagliare corto. «Fine della storia».

Voltò rapido la schiena e sparì con un fruscio del mantello dopo pochi metri. Remus fissò il punto in cui era svanito per qualche secondo, prima di riabbassare gli occhi sulla busta. Supponendo non fosse il caso di aprirla in mezzo ad una strada, la ripose con cura nella tasca dei pantaloni e si diresse a passo spedito verso il Paiolo Magico, rimuginando fra sé e sé.

Aveva una brutta sensazione.


°°°°°°°




Non appena ebbe aperto la porta cigolante della stanza che aveva affittato al Paiolo Magico – possibile che a nessuno fosse venuto in mente di oliarla? - fu accolto da un incessante picchiettio al vetro della finestra. Voltò il capo in direzione del rumore e avvertì un crampo all'altezza dello stomaco nel notare che la sua fonte, altro non era che il paffuto barbagianni grigio di Tonks. Inaspettatamente preso dal desiderio di sapere quali notizie portava, abbandonò la busta di Silente sul tavolino al centro della stanza e si diresse rapido verso la finestre. Non aveva aperto la finestra che qualche centimetro, che il pennuto già gli era salito sul braccio e gli aveva teso con un trillo acuto la zampetta. Remus si lasciò sfuggire un sorriso.

«Sei impaziente di portare a termine la missione, Malvin?» gli chiese.

Ritraendo con uno scatto veloce la zampa, la bestiola emise un secondo trillo e parve fissare il mago con aria risentita. Lui lo guardò curioso, prima di picchiarsi la fronte con la mano libera.

«Merton!» esclamò improvvisamente. «Scusa, non ho fatto apposta»

Merton non pareva convinto.

«Mi dispiace, davvero» continuò Remus. «Non ho molta confidenza con il genere di musica che ascolta la tua padrona. Non puoi pretendere che mi ricordi tutti i nomi dei componenti delle Sorelle Stravagarie solo perché ti ha battezzato in onore di chissà quale scriteriato rockettaro, sai?».

Lentamente – molto lentamente – il barbagianni tornò ad allungare la zampa e Remus, richiudendo la finestra e sedendosi sul bordo del letto, sfilò delicatamente la piccola pergamena rosa.

Se la rigirò un attimo fra le mani, combattuto fra la voglia e la paura di sapere cosa Tonks gli avesse scritto. Non mi hai mai avuto, Ninfadora, gli aveva detto, pur sapendo che nessun'altra menzogna sarebbe stata più vera. Non trascorreva un solo secondo senza che qualcosa accendesse nella sua testa un collegamento di immagini legate a lei, dalle tazza di porcellana candida dimenticata accanto alla teiera, al letto cigolante – soprattutto il letto cigolante – sul quale stava ragionando in quel preciso momento.

Merton ruotò perplesso la piccola testa piumata e – folgorato da un'idea che la sua coscienza da barbagianni dovette ritenere splendida – assestò una forte beccata sul dorso della mano destra di Remus.

«Ah!» gridò il mago, lasciando cadere la lettera e scuotendo il braccio con tanta enfasi che Merton spiccò il volo fino a posarsi sul bordo del tavolino. Sfregandosi il punto leso, Remus gli rivolse un'occhiata torva.

«Sei tale e quale a...»

Merton gonfiò irritato le piume.

Sbuffando sonoramente, Remus raccolse la pergamena e la aprì.

«Ora la apro, contento?»

Una sola frase, scritta con un inchiostro verde acido in una grafia tondeggiante e un po' sghemba, troneggiava al centro del foglio.


So che non lo pensi realmente.


Osservando interdetto le lettere, si domandò per un attimo a quali delle menzogne da lui dette quella mattina lei potesse riferirsi.


«Sono troppo vecchio per te, è ora che te ne renda conto».

«Non mi hai mai avuto, Ninfadora».


Non lo pensava. Ma c'era di più. Lei sapeva che lui non lo pensava. Sapeva perfettamente che non sarebbe mai riuscito a vedere ciò che vedeva in lei in nessun'altra donna, sapeva che non aveva mai provato un desiderio tanto forte come quello di starle accanto, godendo del suo sorriso e della sua visione colorata della vita. E, di rimando, lui sapeva di aver imboccato un vicolo senza ritorno. L'avrebbe amata per sempre, senza starla accanto.

Si stese sul letto e rimase immobile per ore a fissare le macchie di umidità sul soffitto.

Ma quelle non gli diedero alcuna risposta.


°°°°°°°




«Se lo può scordare» ribadì per l'ennesima volta Tonks, lanciando un'occhiata incandescente ad Archibald Dawlish. «Non ho la minima intenzione di fare da scorta a quella».

«Non mi interessa nulla di ciò che è o non è vostra intenzione, agente. Questo è un ordine!»

«No».

«Ho detto sì».

«Ho detto no».

«Buonasera, che c'è di buono per cena?» domandò incurante Proudfoot, oltrepassando la figura altera e imponente di Dawlish – possibile che dovesse rimproverare Tonks intralciando sempre il passaggio per la cucina? - e dirigendosi verso il tavolo con aria indifferente.

«Pizza» rispose Tonks senza accennare la resa, indicandogli con un gesto vago la pila di cartoni fumanti posata sul tavolo.

«Non puoi cavartela sempre andando a comprare qualcosa fuori, sai?» la rimbeccò divertito. «Anche martedì era il tuo turno di cucinare, e ci hai propinato pollo fritto e maiale in agrodolce in scatolette di cartone, Tonks, tesoro».

«Proudfoot!» gridò Dawlish con il viso lucido e arrossato. «Non mi interrompa con queste inutili quisquilie, per Morgana!»

«Ma guardi che io non ho alcuna fretta» aggiunse Tonks con un sorriso innocente.

Dawlish socchiuse gli occhi. Quando li riaprì, la sua espressione irosa venne sostituita da una maschera stanca e provata.

«Tu mi stai stancando, ragazzina» dichiarò schietto, passandosi una mano sul volto con l'aria di chi sta mentalmente contando fino a dieci . «E parecchio».

Tonks fece le spallucce. «È la vita, capo. Mica possiamo stare simpatici a tutti».

Proudfoot annuì assenziente.

«Domani mattina, esigo» affermò risoluto, «che lei scorti Madama Umbridge durante il tragitto che separa la Passaporta a lei destinata dal villaggio. Non tollererò gesti insubordinati o incidenti vari, signorina Tonks. Mi auguro di essere stato sufficientemente chiar-»

Tonks lo interruppe mostrandogli il palmo della mano sinistra.

«Per quanto mi riguarda, la Passaporta di Madama Umbridge potrebbe farla finire perfino nel circolo privato di Lei-Sai-Chi, la cosa non mi dispiacerebbe affatto. Inoltre, se vuole la certezza che non si verificheranno spiacevoli incidenti, le consiglio vivamente di tenere quella vecchia lontano dalla sottoscritta».

«Domani mattina» furono le ultime parole che Dawlish pronunciò con estrema fermezza, prima di volatilizzarsi con un fruscio del lungo mantello d'ordinanza oltre la porta della cucina. Tonks voltò lentamente il capo verso il collega seduto al tavolo alle sue spalle e gli rivolse uno sguardo allucinato.

«È solo questione di un paio di minuti, dolcezza» cercò di sdrammatizzare, sollevando apparentemente disinteressato una filamentosa fetta di pizza con bacon e uova. «Mangiaci su, che passa tutto».


°°°°°°°






Non dite niente. Ve ne prego.

Avete presente il significato della parola «disperazione»?

Bene. Ora sommatelo al significato di «sconforto», «esaurimento», «depressione», «irritazione», «nausea», «sconvolgimento» e avrete ottenuto la cartella clinica del mio attuale stato emotivo.

Non abbiatene, sto facendo il mio meglio per sopravvivere.

Nella mia prossima vita, giuro solennemente di non prendere sotto gamba il mostro Esame di Maturità e di non tralasciare materie solo e personalmente apparentemente inutili, quali matematica, fisica, chimica, economia, educazione visiva e architettura, in moda da non arrivare a fine maggio circondata da pile di pericolanti libri di testo e miserevoli tazzine vuote da caffè.

Rinnovo le mie scuse per questi ritardi, perché, sebbene la storia sia già salvata nel mio desktop mentale e in buona parte anche in quello tecnologico, il cielo mi è avverso.

In senso letterale, oggi ho preso pure la pioggia e ora ad ogni starnuto premo sette pulsanti della tastiera in una volta sola.

Ordunque, tralasciamo questi tristi convenevoli.


Carissima Debby93, mi lasci commenti iper-gratificanti praticamente da quando ho iniziato a postare il Diario. Non so dirti quanto io ne sia contenta. (Come sono formale, oggi, che mi prende? Aiuto!). Spero solo di poter accelerare i tempi di postaggio, santo cielo...v__v Un grazie gigantesco.

Carissima lyrapotter, grazie mille anche a te. Davvero, sono felicissima di sapere che vi piace la mia storia. A dire la verità, siete il motivo di base per cui la scrivo, ma non entriamo in discorsi soporiferi... un bacione e altri due grazie-grazie.

Carissima rolly too, sono io ad essere commossa, ora. ç__ç E, a dirtela tutta, mi sento anche un po' in colpa. Grazie mille per i complimenti su Silente, è sempre bello sapere che non si è usciti da quello che è l'idea di base di un personaggio. Dico di base, perché, siamo sincere: la psicologia di Silente è fra le più difficili di tutta la saga e avendolo (ovviamente) inserito nella storia, mi sono dovuta rendere conto di quanto realmente lo sia. Un grazie enorme dal cuore, sperando che questo capitolo mi faccia perdonare il mese di attesa.

Carissima puciu, ho deciso che il modo migliore di sopravvivere alle tue recensioni omeriche, sia quello di rispondere pan per focaccia.^^ Mettiti comoda, perché oggi l'oroscopo ha detto che sarei stata in vena di annoiare tutti i miei interlocutori (non è vero, ma mentre leggo il giornale sono solita avere allucinazioni preoccupanti). In primis, questa volta è passato solo un misero mese. Qualche giorno. Un qualche migliaio di minuti, nulla più. Sono stata obiettivamente più brava, dovresti darmene atto. In secondus (è piacevole defraudare il latino della sua stitica eleganza), davvero esiste un'Associazione Disperati Lettori di Trick? Ma voi non avete davvero ritegno per la coscienza! Anch'io ho i sensi di colpa, giuro...ç__ç Dai, guarda come luccicano i miei occhi a palla, non ti senti un pochetto colpevole anche tu?^^ In terzus, ora mi devi spiegare che diavolo è un sorrisone da Guinnes? Io ho ipotizzato possa essere un riferimento allo stato di ebrezza ma, non volendo passare come una scrittrice di fan fiction degli A.A., ti prego di non fare maliziose supposizioni a riguardo. Grazie. E ora, spiega. In quartus, hai provato a berti una camomilla prima di leggere un capitolo? Io la prendo sempre quanto non mi viene l'ispirazione. No, non funziona, non dovresti nemmeno chiedere. Mi addormento in piedi, faccio un lungo sonno del tutto privo di sogni ispiratori e mi risveglio con lo stesso, medesimo problema di quando ho deciso di berla. In quintus, è appena uscito un decreto legge che mi ha proibito di diffondere informazioni sconvenienti per la suspence circa il personaggio di Chilone. Ergo, non posso dire nulla. In sestus, vorrei farti notare che ho risposto, per il momento, alle prime sette righe della tua recensione. Quanto sei felice? In settus (non i ragni, per cortesia. AHAHAH! Questa sì che faceva ridere!!°__°) Ti prego, non farmi rifare i conti sull'età del suddetto Chilone. Mi ha fatto dare di matto, il bastardo. In ottius, se non fossi io l'autrice, fidati, probabilmente avrei avuto lo stesso problema nel CAPIRE di Alceus e Aulos. Devo ammetterlo, forse sono stata un pochino ermetica, ma come slasher ho l'esperienza di Topo Gigio. In (ehm...) novus: AH-AH-AH! Io non faccio morire dal ridere, io stresso la gente in maniera buffa. Purtroppo è diverso. Certo che puoi entrare nella fic per strozzare Dawlish, ho giusto iniziato i provini l'altro giorno. Ti tengo un posto? In diecius (si vede che non studio latino?): non preoccuparti, torneranno e avranno un ruolo importante. Non i provini, Alceus e Aulos. In undicus: devo ancora chiedere a Remus quanti galeoni gli sono avanzati e per quanto ancora pensa di potersi permettere la stanza del Paiolo Magico. Purtroppo, una volta esauriti i fondi, dovremmo sloggiare entrambi. Ah... il rincaro dei prezzi. In dodicus: davvero ti mancano le mie filastrocche? Non ci credo. Dai, giuro di re-introdurle dal prossimo capitolo. Ho una bellissima rima fiore-amore in testa. In tredicus: TAHOMA 10,5. Il 10,5 è importante, è una grandezza filosofica. Né 10, ma neanche 11. Un numero incompleto. Lo so, è molto triste, vuoi piangere con me per l'ingrato destino della grandezza 10,5? In quattoricus: E invece, «svampo», che cavolo significa? Hai mai pensato di adottare un dizionario perlomeno umano? In quindicus: ti ho mai detto che ti adoro? In sedicus (lo so, rovina l'atmosfera intima, mi spiace ma è necessaro.): mi manca ancora una recensione alla quale risponderti, ti rendi conto? In diciasettus (sei superstiziosa?): ti ho mai ripetuto che ti adoro? Un bacio faxato.

Carissima Kikkina90, grazie mille, sono felicissima che la storia ti piaccia. Spero che anche il trentaduesimo, seppure con il sapore del ritardo addosso, sia piacevole ugualmente.

Carissima Niniel, posso eccome lasciarvi in sospeso.^^ E sono così sadica da farvi aspettare una trentina di giorni per il capitolo successivo. No, non è vero, non sono realmente riuscita a trovare il tempo. Comunque sia, sono felicissima che piaccia anche a te. Spero continuerai a sopportare i miei ritardi.^^

Carissima Etain, piacere di conoscerti!^^ Grazie, grazie, grazie, grazie mille. Sono contenta che ti siano piaciute le margherite, in qualche modo le ho sempre trovate calzanti per la madre di Remus. Non per Remus, o almeno non del tutto. Lui è molto più complicato...^^ Grazie, grazie e grazie ancora.

Carissima lauraroberta87, non ho ancora capito quale di questi sia il tuo nome, o se lo siano entrambi. Ma visto che non sono un'impicciona (balle: lo sono eccome), non ti chiederò espressamente la risposta. Ti lancio l'amo: abbocca per favore, sono curiosa.^^ Adoro la porchetta sullo spiedo.^^ Grazie mille, sono felicissima ti piaccia.

Carissima Rainsoul, avendo distrutto la suspence che avevo meravigliosamente creato con le tue (corrette) deduzioni, hai rischiato di non ottenere alcuna risposta alla recensione.^^ Dai, era palese: chi altri potevo fargli incontrare in un cimitero? Mary Poppins? Hai fatto solo bene a dirmelo anche tu, perché è una cosa che anch'io ho già notato altre volte. Il mio professore d'italiano l'ha fatto una o due di troppo, a dirla tutta. È vero, tendo a fare periodi molto lunghi, a volte senza nemmeno accorgermene, ed effettivamente può risultare un problema per la lettura. Cercherò di migliorare, si scrive anche per quello, no? Un bacione e grazie, grazie, grazie infinite.

Carissima fennec, grazie mille, davvero. Ho sghignazzato un po' quando ho letto la tua recensione, perché hai sfiorato un dettaglio che entrerà in gioco nei prossimi capitoli. Ma ho già detto troppo, mi cucio la bocca e ti saluto con un grosso bacione.

Carissima SakiJune, mi chiedi davvero se seguirò il finale? Insomma, ti parlo da fan di Remus e Tonks a fan di Remus e Tonks: vuoi davvero che lo faccia? °__° Penso che farò entrambe le cose, comunque. Prima lo finisco nella mia versione, poi, probabilmente, aggiungo una one-shot che tiene conto del settimo libro. Perché parlavi di quello, vero? Un bacio grande, grande, grandissimo.


E un grazie speciale anche a tutti quelli che hanno messo questa storia fra i preferiti: 8marta8, Ailwing Chantal, aquizziana, Ari17, arya87, BonniefrankJoplin, Cappychan, Celine_Falilith (è un onore), Cerenyse, Coco Lee, CUCCIOLA_83, cy17_love, Debby93, Dragana, elipotterina94_n6, erikablue, Etain, Fantasy Girl, fennec, Feux, Fey, Frytty, gollum93, HarryEly, hermione616, HermioneCH, Ice Woman, kikka91, Kikkina90, KylieMalfoy, La regina bianca, LadyGrief, lauraroberta87, Limnia_Black, Luna92, Lunastortalupin, lyrapotter, marty 4, MCat, Moony89, muriel, nebula91, NerinB, nico86, Nicole Black, Niniel, Pioggia, Primus Lune, puccalove90, Pucchyko_Girl, puciu, Rainsoul, redistherose, rolly too, Rue Meridian, SakyJune, seall, Seilen91, spekled, The dark prince, TonkseLupinxs, valefan, _Christine_ e__darklily__.


Vi adoro.

Un bacione enorme e un speranzoso augurio di rapido aggiornamento a tutti quanti.

A me, in primis. v__v


Trick


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Capitolo 34
*** Capitolo Trentatreesimo - Camminando indietro ***


************************

Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO TRENTATREESIMO

Camminando indietro

°°°°°°°



Rimangono legati i ricordi più vecchi,

resistono al cambio degli steli più secchi

di quel giardino lasciato appassire

in quella contea di un giorno a finire.

E lenti ondeggiano alla dolce memoria,

restando assopiti finché non muore la storia.





12 maggio 1977

Casa di riposo di Davide, New Quay, Galles.



Nonostante avesse iniziato a frequentare sporadicamente quegli ambienti da quasi sei settimane, Remus Lupin era arrivato alla conclusione che morire a diciannove anni sarebbe stato preferibile al dover terminare la propria esistenza fra le asettiche mura di quell'ospizio di provincia. E, considerando obiettivamente i fatti, non era nemmeno un'eventualità così tanto remota. Solo una settimana prima, erano stati costretti a presenziare al funerale di Dorcas Meadowes. Non era molto più vecchia di lui, in fin dei conti. In altre circostanze, forse, non sarebbe stata neppure sufficientemente vecchia per dover attendere la notte per poter affermare con stupore che, anche quel giorno, ce l'aveva fatta. Invece, la guerra aveva stravolto vita e morte di tutti, trasformando l'assassinio di una strega poco più che trentenne in un articolo di giornale dal sapore trito e ritrito.

Passeggiando per quei corridoi bianchi e disadorni, iniziò a ripetere la tiritera con la quale, un mese e mezzo prima, si era convinto di non poter più lasciare sua madre nella piccola casa irlandese di Southill. Si erano trasferiti nella modesta abitazione in cui Helen Lupin era cresciuta, poco prima della fine degli anni Sessanta, con quei soldi che il padre, John, aveva avuto premura di lasciar loro dopo la sua prematura scomparsa. Era lì che Remus aveva trascorso il resto della sua infanzia, quella nera. Quella in cui, nonostante le origini irlandesi da parte materna, rimaneva sempre e comunque il figlio di un inglese in un paese irlandese. Quella in cui, ad ogni plenilunio, era costretto a vedere la sofferenza negli occhi di sua madre mentre, costretta dall'incapacità di usare la magia, serrava le catene attorno i polsi e le caviglie di Remus. Quella in cui, dopo tre anni di lavoro come cameriera alla taverna del Verme Bianco, erano iniziate le prime avvisaglie di ciò che avrebbe portato Helen Lupin, diverso tempo più tardi, in una squallida casa di riposo nel Galles.

È solo per poco, si ripeté Lupin, sforzandosi di non guardare nessuno dei visi raggrinziti che lo scrutavano dal giardino. Solo fino a quando non finirà questa guerra. Quando sarò certo che non correrà alcun rischio, torneremo a Durham.

Fortuna volle che la licantropia avesse reso Remus un ragazzino estremamente serio e disciplinato. E, soprattutto, che il vecchio gestore del Verme Bianco, Jack ''Spezzagambe'' Lambton, avesse necessità di una persona che sostituisse sua madre. Nella contea di Limerick, in quegli anni, nessuno considerava un crimine assumere un ragazzino di dieci anni come garzone. Jack l'aveva sempre chiamato ''rodaggio'', nulla più.

Si arrestò dinanzi alla porta numero tredici e, con l'aria più stanca e provata di quanto non ci si aspetterebbe mai da un ragazzo di diciannove anni, bussò per tre volte, attendendo di udire la voce della madre.

°°°°°°°





«Ciao, mamma» la salutò con un sorriso gentile mentre si richiudeva la porta alle spalle. «Come ti senti, oggi?»

Seduta su una sedia a dondolo di pino, Helen Lupin si voltò senza rispondere. Il tempo era stato brutale con lei quanto lo sarebbe stato con il figlio. Pesanti occhiaie scure cerchiavano le sue palpebre e profonde rughe solcavano il suo volto scialbo. Fra pochi mesi avrebbe compiuto trentasei anni, ma Remus gliene avrebbe attribuiti più di cinquanta. Afferrò con delicatezza una sedia di mogano accanto al muro bianco e si sedette dinanzi a lei.

«Mamma, sono io» ripeté, coprendole una mano con la propria e osservandola apprensivo. «Sono Remus».

Lei gli rivolse un sorriso sereno. «Ciao» mormorò con voce rauca.

«Come stai?»

«Oggi c'è il sole» rispose lei con energia. «Hai visto il giardino?»

Remus annuì. «È molto bello».

«Ci sono i papaveri» continuò Helen, sognante. «I ciliegi sono fioriti e la campagna ha un buon odore di fieno. Ci sono anche i campi di fragole a sud e nel nostro giardino sono cresciute mille margherite».

Con una smorfia di dolore, Remus chiuse gli occhi. Non c'era nessuna margherita nell'intero complesso della Casa di Riposo di Davide, salvo quelle che lui Evocava per la stanza di sua madre. Non c'erano papaveri a tingere le praterie, né ciliegi ad ombreggiare i viali, né l'odore di fieno dei grandi campi del signor Fisher. Non c'erano coltivazioni di fragole a New Quay e delle margherite del vecchio giardino di Durham non erano rimasti che steli secchi e erbacce.

Helen dovette accorgersi del suo repentino cambiamento, perché lo fissò confusa e disse: «C'è qualcosa che non va?»

«No» mentì Remus. «Nulla».

«Quando dici così, è sempre perché mi nascondi qualcosa, John».

Le mani di Remus si strinsero con forza attorno ai braccioli di mogano. «Non sono papà. Sono Remus, mamma».

«Remus è tanto un caro ragazzo. Tanto caro, tanto».

«Mamma» riprovò Remus in un sussurro. «Mamma, sono qui».

«Ho un po' paura, John» disse Helen, sollevando l'indice e posando il polpastrello sulla superficie fredda del vetro della finestra. «Ho paura di notte».

Remus la guardò ansioso. «Di cosa, mamma? Cos'è successo?»

«Di notte» continuò pensierosa la donna, disegnando invisibili cerchi con il dito. «Di notte, c'è la luna».

Se solo avesse potuto prendere sua madre in quel momento, riempire la sua vecchia valigia con quei miseri indumenti che aveva e fuggire lontano, Remus lo avrebbe fatto. Sarebbero potuti andare in un paese caldo, pieno di fiori e campagna. Poteva cercare di contattare il vecchio Pete Wallace: si era trasferito nel Kansas qualche mese prima della morte di suo padre ma, Remus ne era certo, se Pete fosse stato ancora vivo non ci avrebbe pensato due volte ad aiutare il figlio del proprio migliore amico.

«Quella cosa tornerà, John?»

La voce spaventata di sua madre lo riportò con forza nella soffocante stanza della Casa di Davide.

«No, non tornerà» mentì di nuovo.

Le ultime informazioni sugli spostamenti di Fenrir Greyback di cui era venuto a conoscenza, erano voci secondo le quali era stato avvistato nella vicina Cornovaglia.

Qualche settimana dopo la sua prima apparizione in battaglia come membro dell'Ordine della Fenice, era giunto alla conclusione che avrebbe dovuto mettere al sicuro tutto ciò che restava della sua famiglia in breve tempo. Per i Mangiamorte, una Babbana malata e sola era una preda fin troppo facile. Aveva organizzato tutto in fretta, ma non aveva dimenticato di disperdere la notizia della morte della madre. In quel modo, l'unico Lupin al quale quei bastardi avrebbero potuto dare la caccia, sarebbe stato lui. E, per inciso, pareva lo stessero facendo dannatamente bene.

Helen inclinò il capo di pochi centimetri e fissò il volto cereo del figlio per qualche secondo. Gli rivolse un ampio sorriso e gli strinse con forza la mano.

«Sono felice» disse. «Se sei tu a dirmi che non tornerà, allora né io, né Remus, abbiamo nulla di che preoccuparci».

Nonostante lo sforzo immane con il quale Remus aveva cercato di muovere i propri muscoli facciali, il sorriso che riuscì a renderle non era molto differente da una smorfia indispettita.

«Nulla» mormorò rauco. «Nulla».

«Ho tanta voglia di vedere Remus, John. Chissà se si è fatto dei nuovi amici in quella scuola. Cosa ne pensi se festeggiassimo il suo ritorno con una bella gita oltre i campi di Harold Fisher?».

«Ne sarà entusiasta».

«Preparerò quelle focacce alla marmellata di ciliegie che gli piacciano tanto» riprese la donna. «E qualcuna la riempirò di cioccolata, sai quanto ne va matto».

«È un ottima idea» le rispose mesto Remus, abbassando il capo per non vedere la luce sognante brillare negli occhi della madre. «Davvero ottima, mamma».

«Quando pensi che potremmo farlo, John?» continuò energica. «Fra qualche giorno Remus sarà già a casa. È tanto che non lo vedo. Ormai sarà così grande che stenterò a riconoscerlo».

La sua risata cristallina invase la stanza con la forza di un colpo di frusta. Remus conosceva bene quel suono, e quello che stava ascoltando in quel momento era l'eco preciso di quello della sua infanzia. Ma quell'allegria gli pareva così inadeguata, così sfrontata e così assurda da fargli sentire il mostro del dolore fin sotto alle vene. Attraversato come da una scarica, alzò gli occhi sul paesaggio al di fuori del vetro. Com'era possibile che non riuscisse nemmeno a reggere il confronto con lo sguardo di sua madre? Quanto aveva amato l'azzurro delle sue iridi splendenti, da bambino? E perché, sebbene la malattia non avesse intaccato il loro colore, gli parevano gli occhi di un estraneo? Improvvisamente, non desiderò altro che tornare con lei nella vecchia contea di Durham, nel loro giardino pieno di margherite, a leggere di cavalieri che sfidavano mulini a vento e di intriganti storie d'amore vittoriane, di incredibili giri attorno al mondo e di immersioni fino ai fondali più profondi dell'oceano.

«Fra quanto tornerà, John?»

«Presto».





Due settimane più tardi, una lettera della Casa di Davide gli avrebbe comunicato l'improvviso regresso della malattia della madre. Helen Lupin si sarebbe spenta pochi giorni dopo.



«Ci sono i papaveri. I ciliegi sono fioriti e la campagna ha un buon odore di fieno. Ci sono anche i campi di fragole a sud e nel nostro giardino sono cresciute mille margherite».

°°°°°°°





Perché?

Nonostante gli svariati tentativi di decifrare l'enigmatico contenuto della busta inviatogli da Silente, quella fu l'unica parola che, per i minuti successivi, affollò la mente di Remus.

Giornale.

Un vecchi e ingiallito ritaglio di giornale.

Deglutì con forza e iniziò a risistemarlo sulla superficie del tavolo con movimenti agitati delle mani. Lo studiò ancora e ancora ma, a mano a mano che il suo cervello recepiva le parole stampate sulla carta, il sangue nelle sue vene si faceva sempre più freddo.

Rilesse per l'ennesima volta le traccie d'inchiostro che avevano attirato la sua attenzione. Un nome, in particolare, aveva avuto su di lui il medesimo effetto di una bomba.

John Lupin, citava l'articolo.

Gazzetta del Profeta del 15 luglio 1965.



Commissioni locali per il controllo e la repressione dei gruppi mannari nelle contee sotto la giurisdizione del Ministero della Magia.

Eletti per la Contea di Durham: Gaz e Rod Turnip, June Mary Whitfield, Harold e Virginia Fisher, Terry Scott, Pete Wallace, John Lupin.



Li aveva conosciuti.

In un passato così morto e lontano che dei loro visi non ricordava che la traccia sbiadita, ma l'aver semplicemente ritrovato i loro nomi parve farli rinascere, seppure per un attimo effimero, in quella che era diventata la sua vita. Ricordava il naso storto di Gaz Turnip e il modo disgustoso con cui il fratello Rod sapeva portare tutte le dita della mano destra al rispettivo polso, sia in una direzione che nell'altra. Ricordava il sapore dolce delle mele candite che la signora Whitfield vendeva durante il mercato del mercoledì e le chiazze sul viso rubicondo e affaticato del giovane Terry Scott, quando arrivava il periodo del raccolto nei campi dei Fisher. Ricordava quanto gli paresse aspro e sgradevole l'odore di whisky dell'alito di Harold Fisher e quanto, invece, trovasse piacevole l'aroma di fragole e pesche di sua moglie Virginia. Ricordava la carnagione scura del vecchio Wallace, le buffe storielle che lui e suo padre si raccontavano mentre pescavano sulle sponde del fiume e il modo in cui le sue sopracciglie cespugliose s'inarcavano quando era particolarmente stizzito. E poi, c'era suo padre. John Lupin.

E, di nuovo, i mille perché della sua testa lo sommersero.

Perché adesso, Silente?

Perché, dopo tutti questi anni, hai deciso che dovessi sapere questo?

Perché non mia hai mai detto prima che mio padre era in una commissione anti-licantropi?

Cosa volevi nascondermi?

Perché adesso, maledizione?

Suo padre, quello che non disdegnava mai una pinta di birra in compagnia e che aveva sempre una buona parola per tutti, l'uomo spiritoso e affidabile al quale tutti si appoggiavano, non vedeva di buon occhio i licantropi. Rod Turnip, quello che gli aveva insegnato a fischiare con due dita, e Gaz Turnip, dal quale aveva imparato a distinguere il whisky irlandese da quello scozzese, non vedevano di buon occhio i licantropi. La signora Whitfield, che gli offriva sempre dolci e frutta candita in cambio delle sue commissioni, e i coniugi Fisher, che gli permettevano sempre di mangiare un po' di fragole dopo il raccolto, non vedevano di buon occhio i licantropi. Terry Scott, che gli faceva sempre le linguacce e gli svelava gli intrallazzi degli abitanti del paese, non vedeva di buon occhio i licantropi. Nemmeno Pete Wallace, che bazzicava sempre con suo padre e che suonava la cornamusa nelle feste di fine stagione, vedeva di buon occhio i licantropi.

Improvvisamente, comprese il motivo per il quale, dopo la morte di suo padre, sua madre avesse insistito per trasferirsi presto in un altra zona.

Nonostante fosse figlio del buon vecchio John Lupin, agli occhi di coloro che l'avevano visto crescere, non sarebbe mai stato nient'altro che un altro mostro da eliminare.

E, a quel punto, poco importava se avesse o meno imparato a fischiare con due o tre dita, se sapesse distinguere i vari tipi di whisky e se avesse sempre aiutato la vecchia Whitfield nelle commissioni che l'età, ormai, gli impedivano di svolgere da sola.

Per il villaggio di Durham e per i suoi abitanti, dopo quel plenilunio che aveva distrutto la sua vita e la sua famiglia, non ci fu più nessun Remus, nessun figlio di John e Helen Lupin.

Solo un altro, dannato mannaro di troppo.

°°°°°°°





Non avrebbe mai pensato che sarebbe tornato, un giorno, a vagare per le strade del villaggio di Durham. Lo aveva sperato, un tempo, quando lo sguardo sognante della madre lo riportava indietro negli anni ma, probabilmente, il suo era rimasto un desiderio privo di possibilità di realizzarsi. Non lo ricordava così piccolo e trasandato. Abituato al caos metropolitano di Londra e ai continui viaggi da una parte all'altra del paese, il silenzio assoluto che vigilava sulla via del mercato lo frastornava. Forse, pensò, era solo l'atmosfera invernale. Fredda e morta come i campi di fragole dei Fisher. O come gli steli secchi delle margherite della madre. Eppure, Remus sapeva che quella non era la ragione di tanto disagio. Quella che si stava apprestando a fare non era una visita di cortesia e, ne era certo, se suo padre avesse potuto vederlo si sarebbe rivoltato nella tomba. Proprio lui, che aveva fatto della buona creanza e dell'affabilità una filosofia di vita, ora se ne stava sotto tre metri di terra, ignaro che il suo unico figlio stava per buttare alle ortiche tutti gli insegnamenti sul garbo e la galanteria al quale era tanto affezionato.

Remus si fermò davanti all'insegna della locanda dei fratelli Turnip. Si avvicinò alla porta ed entrò nel locale. Apparentemente non era cambiato nulla: i tavoli di quercia erano ancora al loro posto e il camino riscaldava ancora la stanza con il suo confortante scoppiettio. Fatta eccezione per lui, tuttavia, non vi erano altri clienti. E questo, per la taverna di Durham, era assai strano, soprattutto in una sera d'inverno, dove tutti gli uomini si ritrovavano a discutere su chi avesse pescato il pesce più grosso la settimana prima, davanti ad una pinta di birra in più del necessario.

«Buonasera, signore» lo salutò con voce piatta una giovane cameriera dal viso colorito e dai lineamenti grossolani. Indossava un grembiule di stoffa bianca sopra una felpa sformata dei Cannoni di Chudley e un paio di pantaloni da ginnastica rossi. «Cosa desidera?»

«Whisky, per favore».

«Di cereali?»

«Se possibile, preferirei di malto, grazie».

Lei lo guardò con un sopracciglio inarcato. Non era sicuramente abituata a vedere stranieri dai mantelli frusti e il viso segnato ordinare un whisky scozzese con un accento a metà fra l'irlandese e il londinese in quella taverna di Durham. Gli versò il liquido ambrato nel bicchiere senza indagare oltre, continuando, tuttavia, a squadrarlo curiosa.

«Sto cercando un vecchio amico» esordì infine Remus. «Mi domandavo se gentilmente potessi aiutarmi».

«Se è di qui, lo conosco di certo. Non è che sia un paese molto grande».

«Lavorava qui, diversi anni fa».

La ragazza sbatté perplessa le palpebre. «Qui? No, credo si stia sbagliando. La locanda è sempre stata nostra».

«Nostra?»

«Della mia famiglia» aggiunse.

Remus emise un verso di comprensione. «Allora conoscerai sicuramente Rod e Gaz Turnip».

La giovane lo fissò sorpresa. «Io sono Rosemary Turnip».

«Sai dirmi dove posso trovare tuo padre e tuo zio?»

«Mio padre è al cimitero di Bradford Crescent. È morto che ero piccola. Mi spiace».

Occorsero qualche secondo prima che il cervello di Remus recepisse le sue parole.

«No» disse infine. «È a me che dispiace».

Lei alzò le spalle, «Neanche lo conoscevo. Comunque, siete sfortunato. Mio zio è partito ieri per New Castle, non tornerà che fra qualche settimana».

«E, dimmi, i Fisher hanno ancora i campi di fragole a sud?»

«I Fisher?» ripeté lei, pensierosa. «C'era la signora Fisher, che abitava da quelle parti. Ma se ne è andata una cifra di anni fa, quando le è morto il marito. Credo che adesso stia da qualche parte nel Kent».

«Capisco. Scommetto che se ne sia andato anche Scott, dunque».

«Scott? Terry Scott? Scherza? È il nostro miglior cliente!»

«È ancora qui?» domandò speranzoso Remus.

«Certo! Sta nel vecchio appartamento sopra la sartoria di Polly Luton. È proprio qui dietro, se vuole le mostro la strada».

«No, ti ringrazio. La ricordo».

«Ma lei abitava a Durham?»

«Già».

«Quanto tempo fa?»

«Me ne sono andato prima che tu nascessi».

«Beato lei...» commentò con una smorfia Rosemary. «Io non vedo l'ora di andarmene da questo posto dimenticato da tutti».

«Anch'io» mormorò stancamente Remus, scolando il resto del suo whisky in un solo sorso e lasciando una manciata di monete sul bancone. «Ti ringrazio, Rosemary, sei stata molto gentile».

«Le pare? Vuole che riferisca a mio zio che è passato?»

«No, non importa. Sono certo che lo farà Terry Scott».

°°°°°°°













Potrebbero esserci parecchie incongruenza in questo capitolo, tipo:

- il villaggio in cui Remus ha abitato prima dell'aggressione di Greyback era magico o Babbano?

Magico, si risponde l'autrice, tuttavia Helen Lupin, Babbana e priva di potere magici, era stata accettata dalla comunità per amor del caro, vecchio John. Sì, lo so che Hogsmeade è l'unico villaggio inglese completamente magico, ma che posso farci? Ha il suo fascino.

Vado di fretta, chiedo venia. Lascio un grandissimo bacione a tutti quelli che hanno recensito lo scorso capitolo, rolly too, hermione616, Etain, lyrapotter, Debby93, Kikkina90, roby the best, lauraroberta87, Stella di Dunedain, fennec e Lily_Snape.

Grazie a tutti, davvero.

E, vi annuncio, siamo (spero) appena entrati nella parte dinamica della storia, quella conclusiva.

Un bacio,

Trick




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Capitolo 35
*** Capitolo Trentaquattresimo - Solo un bambino ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO

Solo un bambino

°°°°°°°





L'immagine meno approssimativa di Terry Scott che Remus aveva rievocato era quella di un allampanato venticinquenne dal viso lungo e roseo e dai pochi capelli bruni che gli sfioravano le spalle. Non ricordava che fosse particolarmente sveglio ma, come suo padre ripeteva spesso, era comunque un pacifico ragazzo dal perenne sorriso fanciullesco stampato in faccia, e già questo, secondo i canoni di John Lupin, sarebbe stato sufficiente a renderlo una brava persona.

Immobile dinanzi alla porta della sartoria di Polly Luton – quella che una volta era stata la vecchia libreria della signora Peirce – Remus lanciò un'ultima occhiata alla luce fioca proveniente da una delle finestre del secondo piano e bussò per tre volte.

Se l'incantesimo che regolava l'entrate nel negozio non era stato cambiato negli ultimi trent'anni – cosa che Remus non dubitava, data la sua efficienza – il pomello d'ottone avrebbe dovuto...

«Sartoria di Polly Luton» recitò improvvisamente la maniglia. Remus osservò l'apertura a forma di bocca appena comparsa sulla superficie rovinata di metallo con un sorriso mesto. Aveva dimenticato il numero di pomeriggi trascorsi seduto su quei gradini di pietra, con qualche libro che la signora Peirce era sempre felice di prestargli in grembo e la sola voce di quella porta a fargli compagnia. «Siamo chiusi».

«Cercavo Terry Scott».

«Chi lo cerca?»

«Remus Lupin».

La maniglia rimase in silenzio qualche secondo.

«Non è possibile. I Lupin non vivono più qui dal 1967».

«Devo parlare con Terry Scott. Saresti così gentile da avvertirlo della mia presenza?»

«Vattene, giovane Lupin».

Remus sussultò. Il tono con cui la maniglia gli si era rivolto non era né astioso, né spaventato. Sembrava preoccupata.

«Non posso» rispose paziente. «Devo vedere Scott con urgenza».

«Ho sentito cose, giovane Lupin, che non avrei mai voluto sentire sul tuo conto».

«Che genere di cose?»

«Harold Fisher diceva che eri diventato una bestia ».

Remus rimase in silenzio.

«Dicevano tutti che eri pericoloso. Dicevano che non potevi restare, che avresti ucciso qualcuno con la tua malattia. Dicevano che se tuo padre non si decideva a fare qualcosa, ci avrebbero pensato loro».

«Loro?» ripeté Remus in un sussurro strozzato.

«Tutti. I fratelli Turnip, i Fisher, i Whitfield. Anche Pete Wallace. Io glielo dicevo, che eri sempre stato un bravo bambino. Anche la mia signora lo diceva sempre. Ma credi che qualcuno avesse voglia di ascoltare una povera vecchia libraia e un maniglia di ottone rovinata? No, certo che no...»

«La luce del piano di sopra è accesa».

«Lo so. Il signor Scott è in casa».

«Devo parlare con lui».

«Non credo che lui voglia avere qualcosa a che fare con te, giovane Lupin».

«Ti prego. Voglio solo sapere cos'è accaduto prima di quel plenilunio di trent'anni fa. Ricordi ciò che sentisti dalla gente, la mattina seguente, non è vero? Di come il mio sangue avesse macchiato i campi del signor Fisher e di come mi sarei portato dietro quella maledizione per il resto dei miei giorni?»

Dovette attendere qualche secondo prima che la maniglia riprendesse a parlare.

«Ricordo. Nessuno credeva saresti sopravvissuto».

«Ti scongiuro, fammi entrare. Voglio solo sapere per quale motivo oggi sono costretto a vivere un'esistenza dannata. Voglio solo sapere la verità e Terry Scott è rimasto l'unico in grado di fornirmela».

Con un sordo rumore meccanico, la porta si aprì lentamente.

«Buona fortuna, giovane Lupin».

°°°°°°°







«Chi va là?» esclamò una voce aspra, non appena Remus ebbe posato il piede sull'ultimo gradino delle scale di legno. «Chi c'è? Porta, chi diavolo hai fatto entrare?»

«Credevo che da queste parti riteneste la buone maniere come indispensabili» rispose calmo Remus. «Peccato essersi sbagliati».

«Chi sei tu?»

Remus mosse appena un passo verso la luce proveniente dalla porta dell'appartamento di Terry Scott e non riuscì a contenere la propria sorpresa. Quello davanti a lui non poteva davvero essere quel ragazzo smilzo e dall'aria ingenua con il quale trainava il carro durante il periodo del raccolto. Dov'era il suo sorriso bonario? I pochi capelli grigi gli ricadevano appiccicosi sulla fronte umida e sulle spalle ricurve, il volto ispido era irrigidito in una maschera minacciosa e gli occhi erano iniettati di sangue e circondati da pesanti occhiaie scure.

«Il tempo non è stato gentile nemmeno con te, Terry» ridacchiò.

L'altro uomo parve studiarlo con il medesimo interesse, ma sul suo viso non comparve alcunché potesse indicare che avesse riconosciuto nello straniero dinanzi a lui il bambino che aveva conosciuto anni indietro.

«Chi cavolo sei?» sibilò ostile. «È l'ultima volta che te lo chiedo, ti avverto. Dopo passo alle maniere forti».

Remus si finse stupito e ghignò nella penombra.

«Ma come, Terry? Non riconosci più il figlio di un vecchio amico?»

Scott non diede segno di comprensione e lo fissò in silenzio. Tuttavia, la sua agitazione era palpabile e i sensi sovrumani di Lupin – allenati dal tirocinio nell'isola di Jura – riuscivano quasi a sentire l'odore della sua paura. Se suo padre avesse saputo quanta soddisfazione quella piccola tortura psicologica stava procurando al figlio, probabilmente si sarebbe risvegliato dalla tomba solo per dargli il primo ceffone della sua carriera di genitore.

«Non ricordi davvero?» continuò beffardo. Fece un altro paio di passi verso la luce. «Non ricordi quel bambino che abitava sulla collina, a est dei campi di Harold Fisher? Quello che divenne vittima dei dissapori fra la vostra Commissione di maghi e il gruppo di mannari di Greyback? L'unico al quale quella storia brucia ancora, Terry, perché non può dimenticare di essere maledetto a sua volta?»

«Tu...tu sei...» biascicò terrorizzato Scott, arretrando nel corridoio scuro e tentando invano di reggersi in piedi.

«Come hai potuto dimenticarti del figlio di John Lupin, Terry?» riprese Remus con un ghigno divertito, avanzando verso di lui in modo che la luce lo investisse in pieno. «Come hai potuto dimenticarti di me?»

°°°°°°°







L'audacia non era mai stata una virtù attribuibile a Terry Scott, difatti, osservandolo attentamente nella penombra di quel corridoio ammuffito, Remus era riuscito a vederne i muscoli facciali irrigidirsi per lo sbigottimento e l'orrore. Aveva spalancato gli occhi arrossati e, respirando con affanno sempre maggiore, aveva dischiuso le labbra come se avesse visto un fantasma.

«Vuoi... vuoi uccidermi?» balbettò dopo qualche istante di silenzio. Pareva stesse sudando freddo e, sebbene se ne stesse rimproverando mentalmente, Remus ne era piuttosto compiaciuto.

«Sei tornato indietro per ucciderci tutti!?» iniziò a gridare, agitando frenetico il braccio a destro come ad aumentare la distanza che li separava. «È per questo che sei venuto, non è vero!? Non è vero, bestia!?»

Un sorriso impassibile increspò le labbra di Remus. Solo James Potter e Sirius Black avrebbero saputo smascherare la calcolata freddezza con la quale si stava esibendo. Se solo fossero stati ancora vivi, si ritrovò a pensare Remus, probabilmente sarebbero morti nuovamente dal ridere. Peccato che Terry Scott non avesse avuto il piacere di vedere crescere il giovane figlio di John Lupin e che, dunque, non potesse essere a conoscenza della sua natura umana prevalentemente pacifica. In parte, comunque stessero le cose, Remus dovette ammettere che si stava parecchio divertendo.

«Per quale altro motivo credi sarei dovuto tornare?» proseguì indifferente. «Dimmi, Terry, per quale altre motivo?»

«Io... io... ti prego...»

Remus si finse pensieroso.

«Mmh... dove ho già sentito questa frase? Oh, giusto!» esclamò schioccando fra loro le dita. «Sono le stesse parole che pronunciai trent'anni fa davanti alle zanne di Fenrir Greyback. Buffo che tu ora le ripeta a me, non trovi?»

«Io non... non... cosa direbbe tuo padre, Remus!?»

Sapeva che Scott avrebbe sfoderato la sua ultima possibilità di sopravvivenza, era solo questione di secondi. Probabilmente, suppose Remus, il vecchio che respirava affannosamente davanti a lui non aveva mai avuto a che fare con un vero licantropo incazzato. Beata ingenuità, come se fosse sufficiente rievocare lo spirito di un genitore per far desistere un mannaro dalle sue intenzioni violente.

«Se potesse vederti adesso, Remus» continuò tremante Scott. «Se vedesse la cosa che sei diventato...»

«Si stupirebbe della tua imbecillità, Terry, senza offesa» ridacchiò Remus. «Come ti è saltato in mente che il figlio di John Lupin potesse nutrire la malsana idea di ucciderti?»

Una strana espressione di stupore e rilassamento comparve sul volto di Scott.

«Non... non sei qui per... uccidermi?»

«No, ho faccende migliori da sbrigare, al momento» tagliò corto, avanzando rapido lungo il corridoio ed entrando nell'appartamento senza degnare l'uomo di una sola occhiata. «Devo parlarti».

°°°°°°°







«Ho sentito che sei stato licenziato da Hogwarts per tentata aggressione».

«''Tentata'' non è forse il termine più corretto».

«Il tuo nome figura nella lista dei soggetti pericolosi che il Ministero pubblica ogni settimana sulla Gazzetta».

«Ne sono al corrente» rispose Remus con un sorriso mesto.

La piccola casa di Terry Scott di sarebbe potuta definire con una sola parola: vecchia. Vecchia come la piccola credenza sporca che occupava gran parte della cucina, vecchia come la traballante candela che illuminava il volto altrettanto vecchio del proprietario, vecchio come il pavimento ingrigito e le macchie di umidità del soffitto. Vecchia come i tubi arrugginiti e gocciolanti del lavandino, vecchia come le persiane beige che coprivano la finestra, vecchia come le scomode sedie sulle quali erano seduti e come il whisky scadente che stavano bevendo.

«Sono felice di sapere che la mia fama mi precede» aggiunse ridacchiando.

«Se non sei tornato per uccidere me e Gaz, Remus, perché diavolo sei tornato?»

Senza distogliere gli occhi dal volto di Scott, infilò una mano nella tasca destra del mantello e ne estrasse il ritaglio di giornale che Piton gli aveva consegnato. Lo allungò all'altro mago e attese pazientemente che ne leggesse il titolo e le prime righe.

«Non capisco ancora cosa tu voglia da me» mormorò infine, sollevando lo sguardo su di lui e fissandolo torvo.

«Parlami della Commissione» ribatté laconico Remus. «Quali erano i vostri compiti? Cosa facevate? A cosa volevate arrivare? Ogni cosa, Terry. Ogni singolo, maledetto dettaglio».

«Perché? È una storia vecchia di trent'anni, Remus! Ormai tutti quelli che avevano ricevuto l'incarico dal Ministero sono morti, che t'importa?».

«Mi importa anche troppo. Non so quanto conosci della licantropia, Terry, ma che siano passati dieci, trenta o cinquant'anni è del tutto irrilevante. È un patto di fedeltà con la luna a vita, indipendentemente dal tempo che avanza. Per me non è storia vecchia, tutt'altro».

Scott parve ragionare rapidamente.

«Non era un bel periodo, Remus» iniziò infine, chinando il capo e fissando intensamente il liquido contenuto nel proprio bicchiere. «Tu eri troppo piccolo, ma io che l'ho vissuto ricordo ancora la paura di quegli anni, non potresti capire».

«Ho già combattuto una guerra e ora ne sto combattendo una seconda. Non parlarmi come se fossi un bambino».

«Non erano solo mannari».

«Chi?»

«Tutti quelli che arrivavano dal nord. La Scozia ha partorito le creature più anormali, l'ho sempre detto. Mannari che mangiavano bambini, vampiri che facevano stragi di vergini e goblin capaci di spappolarti la scatola cranica se ti rifiutavi di lasciar loro i tuoi galeoni. E più il Ministero tentava di contenerne il flusso, più questi continuavano a disperdersi verso ogni villaggio, ogni paese, da ogni parte. Non c'era più una sola zona sicura in tutta la Gran Bretagna.

«Non ho mai incontrato vampiri o goblin, fin quando ho vissuto qui».

Scott scosse il capo. «Ringraziando Merlino, quelli ci sono stati risparmiati. Avevamo i mannari, noi. C'è forse qualcosa di peggio di loro?»

Remus inarcò divertito un sopracciglio, ma Scott non se ne curò e proseguì il suo racconto.

«Era l'estate del 1965, quando un gruppo di mannari aggredì una famiglia di maghi vicino ad Houghall. È a meno di venticinque miglia da qui e tutti quanti iniziammo a preoccuparci. Insomma, fin quando robe così succedevano nel Surrey o nel Hampshire potevamo anche chiudere un occhio ma, diavolo, qui ce li avevamo quasi davanti alla porta di casa, capisci?»

«Anche nel Surrey e nell'Hampshire vivevano delle persone, Terry» commentò con asprezza Remus.

«Chissenefrega. Quando mai quei bastardi del sud ci hanno aiutato? Mai una volta. Peggio degli scozzesi, te lo dico io».

Remus sospirò. «È stato allora che il Ministero ha deciso di intervenire?»

Scott annuì con decisione. «Già. Ogni contea avrebbe organizzato una Commissione regionale che si sarebbe riunita a Londra, insieme a tutte le altre. Ottantuno contee. Ottantuno commissioni. Otto commissari per ogni contea. Per un totale di non so quanti maghi e streghe. Un mucchio, comunque. E questo per farti capire quanto fosse grande la storia, mi segui?»

«C'eravate solo voi?» domandò nuovamente Remus, indicando i nomi riportati sull'articolo. «Tu, mio padre, Wallace, i Turnip, la vecchia Whitfield e i Fisher eravate gli unici?»

«Sì. Nessun altro si prese la briga».

«E cosa facevate?»

«Tenevamo d'occhio la situazione e mantenevamo i contatti con Londra, tutto qui» spiegò Scott con ampi movimenti concitati delle braccia. «Avevamo ricevuto dei permessi speciali per apporre degli incantesimi difensivi attorno ai confini del paese, ed ogni settimana due di noi andavano al Ministero per aggiornare l'Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche».

L'espressione diffidente di Remus parve accendere l'ira di Terry Scott. La sua faccia – che dallo spavento di qualche minuto prima aveva riacquistato un colorito paonazzo – si contorse in una maschera di fastidio. Pareva che ogni fibra del suo corpo si stesse appellando alla calma e al sangue freddo.

«Non guardarmi così» sibilò con durezza. «Ti ho detto che non facevamo niente. Sono stati loro ad iniziare!»

«Loro?» chiese Remus. «I mannari?»

Scott annuì. «Iniziarono a farsi vedere attorno alla locanda dei Turnip poche settimane dopo la notizia dell'aggressione di Houghall. Gaz e Rod avevano provato a mandarli via, ma quella la gente normale non la sta ad ascoltare. Se la mangiano solo».

Sebbene avesse giusto un paio di cose su cui controbattere, Remus ritenne non fosse caso di interrompere il racconto. Attese silenzioso e si costrinse a non prestar attenzione alle fanfaronate di Scott. Osservandolo meglio, non poté non constatare quanto gli facesse pena. Dunque, perché infierire?

«In quanti erano?»

«Pochi».

«Quanto ''pochi'', Terry?»

Lui alzò le spalle con finta indifferenza e scolò in un sorso ciò che rimaneva del suo whisky. «Meno di una decina. Con qualche bambino di troppo. Li denunciammo immediatamente al Ministero e-»

«Perché li denunciaste?»

Scotto lo guardò sorpreso. «Erano mannari, che potevamo fare! Magari per te, adesso, è normale bazzicare con loro, ma per noi uomini non lo è affatto, sai?»

Remus chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Ricordati che ti fa pena, si ripetè.

«Quindi non avevano fatto nulla».

«Nulla?» esclamò stupito Scott. «Nulla, mi dici!? Cavolo, ragazzo, se ne stavano tutto il giorno ai lati della foresta, ammassati come animali, e alla sera volevano pure venirsi a prendere da bere alla nostra locanda! Ed erano sporchi e puzzavano come bestie. Portavano pure delle malattie, fidati».

«Dunque, mandaste una lettera al Ministero» cercò di farla breve Remus. «Vi risposero? Fecero qualcosa?»

Scott lo guardò bieco e sbuffò sdegnoso. «Arrivò un tizio del Ministero, un certo Lifkin, o forse Lufkin, chi se lo ricorda? Ci chiese un po' di parlargli degli ultimi tempi, da quanto c'erano i mannari, e noi gli abbiamo detto: ''Ehi, guarda che qui bisogna fare davvero qualcosa, perché nemmeno possiamo far giocare tranquilli i nostri bambini''. È rimasto qualche giorno soltanto, in una delle stanza della locanda dei Turnip. E poi, una mattina, ci ha detto che al nostro caso erano state assegnate due stelle di pericolosità su sette, e che al momento opportuno il Comitato sarebbe intervenuto».

«Non avete risolto nulla di ciò che volevate» concluse Remus. «Così avete pensato di agire da soli».

«No» negò Scott. «Non subito, almeno. Ma alla terza gallina rubata dal cortile della Whitfield decidemmo che era arrivata l'ora di sbrigare la faccenda, con il Comitato presente o assente».

«Anche mio padre?»

«Era quello più motivato. Con te che zampettavi per i campi un giorno sì e l'altro pure, cos'altro avrebbe dovuto fare? Bastava un attimo prima che ti facessero qualcosa».

«È bastato, infatti» mormorò Remus.

Scott scosse una mano come se la cosa avesse un'importanza superflua. «Quella sera, ci riunimmo alla locanda per decidere chi fra noi sarebbe andato a mediare con quelle bestie. La signora Whitfield e Virgiania Fisher furono escluse per principio. Ci mancava solo che gli mandassimo due donne. Tirammo a sorte, e i dadi decisero che sarebbero andati Wallace e Rod».

Si umettò nervosamente le labbra e, con un colpo malfermo di bacchetta, avvicinò a sé la bottiglia mezza vuota e riempì nuovamente il bicchiere.

«Quando tornarono» riprese velocemente. «Dissero che avevano sistemato tutto. I mannari se ne sarebbero andati e Durham sarebbe tornato il solito paese tranquillo».

«Ma così non è andata» constatò Remus. «Fenrir Greyback è tornato al plenilunio successivo. E ha trovato me».

Un tremolio ansioso attraversò la mano sinistra di Scott, che distolse rapido lo sguardo.

«Terry» esordì Remus, chinandosi in avanti e scrutando torvo l'altro mago. «Perché ho la sensazione che tu mi stia nascondendo qualcosa?»

«Non ti sto nascondendo nulla» rispose rapido. «Ti ho detto tutto. Questa storia non ha nulla a che vedere con quanto ti è successo. Non capisco nemmeno perché-»

«Terry. Voglio tutta la verità».

Scott si strinse nelle spalle e chinò rapido il capo, mordendosi le labbra e torturandosi la manica sgualcita della camicia.

«È questa, Remus, è questa...»

«No, non è solo questa. Cosa mi stai nascondendo? Cosa c'è che non vuoi che sappia?»

«Non se ne sarebbero mai andati senza niente, capisci?» eruppe all'improvviso. «Erano mannari, quelli fanno qualcosa solo se gli frutta qualcosa! Non danno niente per niente, quelli!»

Remus lo fissò intensamente, la mente in febbrile agitazione.

«E voi...» iniziò con calma. «Voi cosa gli avete dato in cambio della loro partenza?»

Affranto e sconfitto, l'altro mago posò i gomiti sul legno marcio del tavolo, affondò il viso nelle mani e si lasciò sfuggire un flebile singhiozzo.

«Cosa gli avete dato in cambio, Terry?» ribadì Remus.

«Volevano un bambino...» piagnucolò. «Dovevamo solo lasciargli un bambino».

°°°°°°°







Fra le tante filosofie di vita che suo padre aveva cercato di tramandarle, quella basata sulla tecnica del ''conteggio fino a dieci'' era certamente la più complicata. «Non è bello scattare di rabbia, Ninfadora» gli aveva ripetuto per anni. «Cerca di contare fino a dieci, aspetta che sbollisca tutto, e poi parla». Quel giorno, tuttavia, Tonks aveva appurato quanto incompleto fosse quell'insegnamento. Non aveva senso omologare stress e collera al numero dieci, si disse. Esisteva modo e modo di perdere le staffe e modo e modo di agire. Ad esempio, c'erano situazioni in cui quei dannati dieci secondi di attesa si rivelavano così in eccesso, che iniziava a sentirsi calma prima di arrivare al cinque. Altri, invece, come in quel caso, in cui nemmeno tremila secondi sarebbero stati sufficienti a placare la sua furia.

Dolores Umbridge le camminava pomposamente al fianco, ancheggiando ad ogni passo e tenendo il naso talmente alto che qualcuno avrebbe potuto credere che avesse una qualche malformazione al collo. Continuava a controllare che il vento invernale non le avesse spettinato la crocchia che portava sopra la nuca, a lisciare il lungo cappotto rosa confetto e criticando con asprezza le scadenti condizioni del villaggio di Hogsmeade.

«Siamo in guerra, che si aspettava?» aveva mormorato svogliatamente Tonks. «Bambini con la faccia appiccicata alle vetrine di Zonko e ragazzi che festeggiano le vacanze di Natale da Madama Rosmerta?»

Lei emise un versetto altezzoso e fu allora che Tonks iniziò mentalmente a contare.

Uno...

«Ci sono individui che di questo non paiono essersene accorti. È al corrente che due dei figli di Arthur Weasley hanno recentemente aperto un negozio di infantili e inutili baggianate a Diagon Alley?».

Due...

«È naturale, comunque, che quei ragazzi non abbiamo il minimo senso della decenza e del rispetto . Voglio dire, cosa ci si può mai aspettare dai figli di un mago che-» si interruppe per concedersi una breve risatina, «-giocherella con robaccia Babbana?»

Tre...

«E l'ostinazione con la quale dichiarano la loro stima per quel cialtrone di Silente è assurda, nel senso più stretto della parola. Non faccio fatica a immaginarli come disoccupati, fra qualche anno».

Quattro...

«Anche se, è triste ammetterlo, ma nella cerchia dei suoi sostenitori, i Weasley sono certamente fra più dignitosi. Incredibile, ma vero!»

Cinque...

«Basta guardare quanto Silente continui a sopravvalutare Alastor Moody. E dire che dà segni di non essere mentalmente stabile da quando ha iniziato a lavorare per il Dipartimento. L'ho sempre detto che quell'uomo era folle, ma lei crede che qualcuno mi abbia ascoltato? Giammai. Ho dovuto attendere il suo pensionamento per vedere accertate le mie supposizioni».

Sei...

«E non parliamo nemmeno di quel grossolano Mezzogigante che tiene ad Hogwarts. Santa Morgana» ridacchiò di nuovo, «non basterebbero nemmeno mille autorizzazioni ministeriali per concedergli il permesso di vivere con la gente normale».

Sette...

«E quel quasi-folletto, quasi-goblin, o qualunque cosa sia al quale ha dato la cattedra di Incantesimi?» sbuffò. «L'istruzione sta andando alle ortiche, e nessuno, a parte la sottoscritta, pare essersene accorto».

Otto...

«E poi quel mannaro... la villania con la quale Silente avvicina simili bestie alla società, è a dir poco oltraggiosa!»

Tonks si bloccò improvvisamente e la afferrò con durezza per un braccio, costringendola a voltarsi e fronteggiarla. Strinse con forza il pugno della mano libera e le rivolse uno sguardo infuocato.

«Ora basta» decretò.

La Umbridge le sorrise leziosa e ridacchiò di nuovo.

«Dimenticavo» ribatté svenevole, liberandosi con un strattone dalla presa della giovane. «È una mandria che frequenta spesso, non è vero, signorina Tonks?»

«Apra bene le orecchie, razza di zitella caustica che non è altro, un'altra parola è giuro che-»

«Mi tolga una curiosità» continuò imperterrita. «Non si sente sporca dopo essere andata a letto con un animale

La mano di Tonks scattò come un fulmine sull'impugnatura della bacchetta, mentre qualche ciuffo dei capelli sulla nuca le si tingeva di rosso.

«Madama Umbridge, quale piacere!» gridò improvvisamente una voce e, prima che Tonks potesse finire di decidere la maledizione più dolorosa da scagliarle, il profilo tozzo e massiccio di Proudfoot si frappose fra lei e Dolores Umbridge. «Incantevole questo cappotto rosa, se lo lasci dire!»

Quando un tocco delicato le allontanò la mano dalla bacchetta, Tonks trasalì e si voltò di colpo. Savage sorrideva placido in direzione della Umbridge da sopra la sua testa e, sfruttando il diversivo che la conversazione con Proudfoot aveva garantito, le sussurrò all'orecchio:

«Ti offro un bicchiere di Whisky Incendiario per ogni incantesimo che prometti di non lanciare».

Tonks chiuse gli occhi e, quasi senza accorgersene, si sentì più rilassata. Osservò Proudfoot che, con un ingegnoso pretesto fatto di moine e lusinghe, si allontanava con la Umbridge come se nulla fosse. Prima di essere troppo lontano, tuttavia, ruotò il capo per rivolgerle un cenno di vittoria.

«Grazie» sospirò afflitta. «Un altro istante e-»

«Non importa» tagliò corto Savage. Le porse il braccio con garbo e aggiunse: «Credo di doverti un mezzo centinaio di boccali. Avevo giusto voglia di salutare Rosmerta».

°°°°°°°











Ho una sorpresa per tutti quelli che si sono mostrati dispiaciuti nel sapere che la storia si appresta a finire. Quando ho detto «siamo appena entrati nella parte dinamica della storia, quella conclusiva», intendevo: «siamo nella seconda parte, quella che nei film d'azione si riempe di sangue, sparatorie e cadaveri vari». Dopotutto, questo capitolo è ambientato a dicembre, e la mia storia intende arrivare fino alla battaglia ad Hogwarts del sesto libro, con pochi capitoli inerenti al seguito (probabilmente privi di spoiler) e, come già avevo accennato, due differenti capitoli conclusivi.

Vado di fretta anche oggi, mi spiace. Fra una settimana ho l'esame di teoria per la patente e ho una concezione degli organi del motore ancora piuttosto astratta.

Non abbiatene per aver gettato un po' di sabbia sul personaggio di John Lupin, anche se, e forse è solo una mia impressione, non ha fatto nulla di ignobile. Voleva solo proteggere la sua famiglia e il suo paese da ciò che riteneva un pericolo. Non me la sento di criticarlo. Per quanto riguarda la misera apparizione della Umbridge, sappiate che c'è un motivo per una scelta così ''ridotta''. Semplicemente, tornerà. Temo sia immortale.

*(lo so che l'espressione ''come se avesse visto un fantasma'' non è la più adatta nel mondo di Harry Potter. È un'altra licenza poetica.^^)

E, a proposito: capisco perfettamente quanto per voi sia difficile seguire una storia che viene aggiornata una settimana sì, l'altra sì, il mese dopo no, e così dicendo... e mi spiace, ma faccio davvero quello che posso.

Visto che, specialmente da adesso in poi, i capitoli si dovrebbero (teoricamente) fare più intensi, penso potrebbe esservi utile questo breve elenco. Spero. E, anche se così non fosse, sfrutto il lo spazio per ricordarmi le cose. Di nuovo, non abbiatene.



Nuovi Personaggi:

  • Rouge è la seconda di Greyback. Passato misterioso.

  • Trick è il ragazzino particolarmente vivace. Futuro incerto.

  • Calima è la sbarazzina del team. Tossisce spesso.

  • Chilone è l'anziano saggio. Nasconde qualcosa.

  • Aulos, fisico possente e sguardo duro. Pifferaio del branco.

  • Alceus, riccioli rossi, piuttosto mingherlino. Pifferaio del branco.

(Aulus e Alceus sono l'unica coppia slash. Sono anche la mia prima coppia slash. E sì, torneranno, ovvio).

  • Lynall, è la scorbutica e minacciosa figlia di Chilone. Fra lei e Rouge non corre buon sangue.

Fra poco si torna a Jura, mi pare doveroso rinfrescarvi la memoria.^^

Un grazie di cuore veramente a tutti quanti. A chi legge il Diario da sempre e a chi lo ha scoperto da poco, a chi mi lascia sempre bellissime e invoglianti recensioni o a chi sta aspettando di intasarmi il capitolo finale, a chi l'ha messa fra i preferiti e a chi, semplicemente, piace.

Davvero, grazie.

Al prossimo capitolo (farò del mio meglio per non svanire),

Trick





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Capitolo 36
*** Capitolo Trentacinquesimo - La licantropia ti ha reso migliore ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO TRENTACINQUESIMO

La licantropia ti ha reso migliore

°°°°°°°



Aveva percorso il corridoio che portava all'ufficio di Albus Silente irrequieto e incurante dei pochi studenti rimasti ad Hogwarts per le festività natalizie. Uno di loro, un giovane Tassorosso dai capelli rossi al quale Remus ricordava di avere insegnato qualche anno addietro, aveva accennato un sorriso e aveva aperto la bocca per salutarlo, ma lui, completamente assorto dai propri assilli, non si accorse neppure della sua presenza. Risalì rapidamente le scale a chiocciola e fece irruzione nella stanza con la potenza di uragano.

Non era possibile, continuava a ripetersi.

Non poteva avergli tenuto nascosto la verità sulla sua aggressione per tutti quegli anni. Lo avrebbe tollerato da parte di Terry Scott, sconosciuto e patetico abitante di Durham, ma non da Albus Silente, non dal suo eterno protettore, non dal suo primo mentore. Si disse nuovamente che doveva esserci una spiegazione, perché l'idea di essere stato ingannato proprio dall'uomo che più stimava e ammirava in tutta la comunità magica, era perfino inconcepibile.

No, concluse infine, Silente non lo avrebbe mai fatto.

«Ti aspettavo, Remus» lo salutò con gentile pacatezza l'anziano mago non appena ebbe varcato la soglia dell'ufficio, rivolgendogli un sorriso cortese. Tuttavia il suo sguardo pareva costernato, addolorato.

«Da quanto lo sapevate?» proruppe senza alcun giro di parole. Si avvicinò alla scrivania dietro la quale sedeva Silente e lo fissò inorridito.

Silente continuò a mantenere il contatto visivo con Remus, eppure, non disse nulla.

«Preside...» mormorò di nuovo, serrando con forza gli occhi e tremando appena. «Preside, ditemi che lo avete scoperto solo da poco. Ve ne prego».

«Mentirei» rispose in un sussurro il mago.

Remus lasciò che la braccia ricadessero lungo i fianchi, mentre l'orrore e la furia, rapide e inesorabili, iniziavano a martellare incessantemente ogni suo pensiero ancora coerente.

«Non è vero. Non ne avreste avuto motivo».

«Temevo saresti cresciuto con il mostro dell'acredine e della vendetta sulle spalle» spiegò dolente. «Temevo non avresti avuto modo di crescere sereno».

«Sereno? Sereno!?» urlò in risposta Remus, fuori di sé dalla collera. «Quando mai la mia vita è stata serena!?»

Che andasse al diavolo Terry Scott e il suo maledetto whisky da quattro falci, che ci andasse Gaz Turnip e la sua maledetta taverna e quella maledetta contea dimenticata dal mondo, imprecò maligna una vocina nella sua testa. Sarebbe potuto andare al diavolo l'intero mondo ma, in quel momento, a Remus non sarebbe importato. Davanti ai suoi occhi, con quello sguardo avvilito – e per nulla pentito – c'era solo Silente.

Silente, che si era presentato con la sua veste viola e la barba bianca alla locanda di Jack Lambton, chiedendo di poter parlare in privato con quel «disgraziato di un ragazzino mezzo-inglese». Silente, che ad ogni sua marachella lo costringeva a riordinare gli scaffali della biblioteca e, attento a non farsi scoprire dalla professoressa McGranitt, gli suggeriva le letture migliori. Silente, che aveva attrezzato Hogwarts con un Platano Picchiatore in modo che, come egli stesso aveva affermato, il suo talento non andasse sprecato. Silente, che non aveva mai fatto della sua licantropia un problema. Silente, che dopo quel maledetto Halloween lo aveva abbracciato come un figlio e lo aveva quasi convinto a restare ad Hogwarts come insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure. Silente, che lo aveva convinto qualche anno più tardi ad accettare quella cattedra maledetta e lo aveva difeso dalle accuse del Ministero. Silente, che era stato per lui fonte di ispirazione e ammirazione. Silente, per il quale si sarebbe fatto sbranare altre mille volte dalle zanne e dagli artigli di Fenrir Greyback.

Silente, che lo aveva ingannato, che lo aveva tradito, nascondendogli per quasi trent'anni il motivo per il quale era costretto a scontare quella funesta e ingiusta condanna.

«La mia vita non è mai stata serena!» ribadì con astio. «Non lo è stata a Durham, non lo è stata a Limerick, non lo è stata a Londra e non lo è stata in nessun altro posto io abbia cercato di renderla tale!»

«Hogwarts».

Remus trasalì come se fosse stato colpito da una frustata. Era vero: gli anni trascorsi in quella scuola sarebbero rimasti per sempre i più belli della sua misera esistenza ma, mentre il sapore agrodolce di quel periodo gli tornava alla mente, di nuovo, la consapevolezza di aver perduto tutto quanto riprese a dominare il suo cervello.

«Evviva la serenità!» gridò con espressione ironica. «James e Lily sono morti, Sirius è tutto fuorché vivo e Peter è stato solo fortunato ad avermi incontrato in compagnia di Severus! Ha ragione, Preside, la mia è davvero una vita serena!»

«So di non aver sbagliato, Remus».

«No, lei non sa proprio niente! Non ha la minima idea di cosa voglia dire vivere la mia vita!»

«Non saresti ciò che sei, se ti avessi rivelato la verità anni indietro. Non volevo diventassi dipendente dalla tua stessa vendetta».

«Non avete fatto altro che manipolarmi in questi anni! Maledetto Merlino, vi rendete conto che lo fate con ogni cosa!?»

«Forse hai ragione» rispose pacato Silente, intrecciando fra loro le dita e lanciando a Remus un'occhiata penetrante. «Ma, vorrei tanto lo capissi, questo ti ha reso un uomo migliore».

«L'essere manipolato?» sbuffò spazientito l'altro.

«No. L'essere un licantropo».

Remus lo fissò immobile per diversi secondi. Non si accorse nemmeno dell'improvviso silenzio calato all'interno della sua caotica scatola cranica.

«Lei è pazzo» decretò infine. «Non c'è altra spiegazione».

«No, Remus, sei tu ad essere cieco. Hai una grande capacità di osservare ciò che ti sta intorno, ma non sei abbastanza obiettivo per giudicare te stesso».

«Parlate di me come se fossi un esperimento scientifico».

«No» lo corresse. «Parlo di te come se fossi il risultato di una didattica della quale posso andare fiero. Non hai ucciso Terry Scott. Non gli hai fatto nulla e l'idea di farlo non ti ha mai nemmeno sfiorato, sebbene è così che un qualsiasi altro uomo avrebbe agito. Perché, Remus?»

Remus non ebbe nemmeno bisogno di riflettervi.

«Mi ha fatto pena».

«Esatto. Non ti sei costretto a evitare manifestazioni violente, proprio perché non ne hai visto motivo. Sei cresciuto con l'odio e il disprezzo della gente sul collo, e ciò ti ha reso resistente. Ti ha fortificato. Sei diventato uomo in una guerra nella quale entrambe le fazioni si dichiaravano tue nemiche. Eppure, io posso vedere il mago che sei diventato, Remus. E ne sono realmente fiero».

«Voi vaneggiate» mormorò.

«Il tuo unico neo, Remus, è l'incapacità di vedere l'uomo meritevole di stima che sei riuscito a diventare».

°°°°°°°







«Sei uscito di senno».

Sebbene Kingsley Shackelbolt avesse parlato con voce serena, Remus intuì il disagio che la sua proposta aveva suscitato in lui.

Alzò lo sguardo sul suo volto serio e, alzando silenziosamente l'indice per richiamare l'attenzione della cameriera, ordinò altri due bicchieri di birra Babbano. Non era nemmeno lontanamente inebriante come il buon vecchio Whisky Incendiario di Ogden ma, purtroppo, in quel vecchio snack bar nella periferia di Londra non avrebbe potuto trovare di meglio.

Kingsley lanciò uno sguardo inquieto alla grande vetrata che dava sulla strada.

«Non saresti dovuto venire» disse.

«Ne sono consapevole».

«Dovrei arrestarti per quello che mi hai appena chiesto di fare, Remus».

«Sono consapevole anche di questo» rispose mestamente. «Ma ho bisogno di quei fascicoli, Merlino solo sa quanto».

«Sono in missione, Remus» continuò Kingsley, portando alle labbra il bicchiere e deglutendo con una smorfia. «E lo sei anche tu».

«So che sto mettendo a repentaglio gli incarichi di entrambi, Kingsley, ma-»

«No, non credo che tu lo sappia, amico mio» tagliò corto l'altro, guardandolo in tralice. «Se qualche informatore di Tu-Sai-Chi dovesse vederci, rischieremmo molto più di non portare a termine il nostro lavoro. Se ci vedono siamo finiti, Remus, e portarmi in uno squallido locale di periferia non è una garanzia sufficiente ad evitarlo».

«Non parlare come se credessi che stiamo giocando a guardie e ladri».

Kingsley sospirò. «Posso, perlomeno, sapere a cosa ti servono quei fascicoli? Che accidenti devi farci con delle scartoffie del 1967?»

«Sono importanti, Kingsley».

«Vuoi che rubi dei fascicoli privati dall'archivio del Dipartimento e non intendi nemmeno dirmi per quale motivo?» sbottò Kingsley.

«Siamo in missione segreta entrambi, l'hai detto tu» ribadì con calma Remus.

«Dimmi almeno se tutto questo ha, in qualche assurdo modo, a che fare con il tuo incarico a Jura».

«Potrebbe».

Kingsley posò i gomiti sul tavolo e incrociò le mani davanti al mento. Il suo sguardo era imperscrutabile.

«Remus, sarò franco con te» esordì infine. «È da mesi, ormai, che non posso più entrare o uscire liberamente dal Ministero. Scrimgeour e Robards mi stanno col fiato sul collo da quando hanno scoperto la mia collaborazione con Silente. Perché credi che mi abbiano relegato a fare da balia al Ministro Babbano, quando è evidente che l'obiettivo di Tu-Sai-Chi, al momento, è la poltrona del Ministro della Magia?»

«Mi dispiace doverti dare altri problemi, Kingsley. Dico sul serio. Ma, te lo giuro, devo avere quei fascicoli prima di dover tornare a Jura».

Kingsley scosse il capo.

«Se ci scoprono-»

«Lo so».

«Non ricominciare con quei maledetti ''lo so'', Remus».

Remus sorrise debolmente.

«Non potevo chiedere che a te, Kingsley. Sei l'unico Auror con cui possa parlare senza temere di essere arrestato per possesso illecito di geni licantropi» ridacchiò.

«Fossi in te non sarei così certo che questa conversazione non finirà con il tuo arresto, amico» ghignò l'altro. «Non sarà una passeggiate entrare nell'archivio del Dipartimento».

«Non potevo coinvolgerla, Kingsley».

«Come facevi a sapere cosa stavo per dirti?»

«L'ho intuito».

«Lei potrebbe procurarteli più facilmente e destando meno sospetti» riprese Kingsley. «Dopotutto, la sua scrivania è ancora laggiù, nonostante l'abbiano spedita a Hogsmeade».

Remus sorrise debolmente, scuotendo affranto il capo. «Non dire assurdità. Ha già abbastanza problemi senza che io rincari la dose».

Annuendo con un sospiro sconfitto, ingsley fece per allungare una mano sotto alla giacca d'ordinanza che era costretto ad indossare, ma Remus lo bloccò.

«Offro io» spiegò. «È il minimo con cui possa ringraziarti».

«Con una birra scadente e una conversazione azzardata in un bar del genere?» scherzò l'altro. «Se questo è il premio, giuro su quanto è vero che sono inglese che non ti farò mai più favori».

Remus gli rivolse un ultimo sorriso riconoscente e si alzò dal tavolo.

«Sei un amico».

«Lo so».

«Credevo ti infastidissero i ''lo so''».

«Solo quando tu li sfrutti per convincermi a compiere azioni contro la mia etica professionale, Remus».

«Grazie, Kingsley».

Non aveva ancora posato la mano sulla maniglia quando la voce profonda del compagno lo richiamò nuovamente.

«Remus, vuoi sapere come potresti sanare il tuo debito?»

«Ogni cosa».

Kingsley gli punto l'indice a mo' di monito.

«Torna da quell'inferno tutto d'un pezzo, amico».

°°°°°°°













Il capitolo è corto, lo so, non abbiatene.

Dopodomani iniziano i miei esami *singhiozzo depresso* e questo è tutto ciò che posso fare. E, ora, nonostante sia quasi l'una di notte, nonostante io non sia riuscita a dormire più di cinque ore di seguito negli ultimi tre giorni, non ho nemmeno il tempo di ringraziavi uno per uno. Mi dileguo alla ricerca di quel maledetto libro di chimica, con la speranza di non avere reso Kingsley un personaggio OOC.

Oh, lo adoro.

Mi stavo giusto chiedendo perché diavolo non avessi mai scritto nulla su di lui.

In missione segreta studi,

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Capitolo 37
*** Capitolo Trentaseiesimo - Nasconditi ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO TRENTASEIESIMO

Nasconditi

°°°°°°°





Remus rivolse un'ultima occhiata perplessa all'incarto marrone che stringeva fra le mani. Ne studiò nuovamente il rozzo spago che lo chiudeva e le pieghe storte e marcate della carta. Una sottile pergamena giallastra era appuntata con un pezzo di Magiscotch nell'angolo a destra.

«C'è un pacco per te, Remus» gli aveva riferito Tom non appena aveva varcato la soglia del Paiolo Magico. «Da parte di un certo Jack Lambton».

Jack Lambton. Il locandiere Babbano che aveva offerto lavoro prima a sua madre e, dopo il drastico peggioramento della malattia di quest'ultima, a lui, nella vecchia Limerick irlandese. ''Spezzagambe'' Lambton, lo chiamavano tutti gli avventori del Verme Bianco, con la forza di un orso e il cuore tenero come la mollica bianca del pane. Non era, tuttavia, da lui che poteva provenire quel pacchetto informe.

Jack Lambton, boss indiscusso di tutti gli ubriachi di Limerick, riposava al cimitero da diversi anni.

Per Remus, quel «da parte di certo Lambton» significava «da parte di Alastor Moody».

Remus conosceva Alastor da quando era poco più di un ragazzino e sapeva – Merlino, se lo sapeva – che non avrebbe mai lasciato un pacco incustodito sul bancone del Paiolo Magico. Più probabilmente, si sarebbe seduto in disparte con la sua fiaschetta, avrebbe lanciato sguardi minacciosi e improperi a destra e a manca e non avrebbe tolto la mano dall'impugnatura della bacchetta un solo istante.

Alastor dovette aver immaginato che Remus, certamente, avrebbe capito il trucco per eludere eventuali Mangiamorte.



Se non sapessi che sei un uomo intelligente, sarebbe rimasta a marcire nel cassetto del mio comodino.

Non azzardarti a fare stupidaggini, non è un giocattolo.

A.

Sempre più perplesso, Remus iniziò a sciogliere il nodo che stringeva la confezione e ne aprì con delicatezza gli angoli. Una scatola porpora poco più grande di un libro gli comparve fra la mani sottili. Quando ne ebbe completamente sollevato il coperchio, provò l'istinto di richiuderla e gettarla lontano.

Malocchio è uscito di senno.

Una pistola dall'impugnatura rifinita da arzigogolate decorazioni brillava avvolta nella pregiata stoffa.

Sul lucido dorso della canna, era stata incisa una sola parola.

Argentum.

°°°°°°°







«Che pessima situazione» fu il breve commento che Savage rivolse a Tonks, dopo aver ascoltato attentamente il suo racconto.

Avevano preso posto in un isolato tavolino accanto alla grande porte di quercia, sperando che quello potesse rivelarsi un angolo abbastanza riparato da orecchie indiscrete. Non avevano considerato, tuttavia, il calo eccezionale dei clienti che il locale di Madama Rosmerta aveva subito negli ultimi tempi. E a giusta ragione, oltretutto. Ben pochi erano i maghi convinti che il suo delizioso Idromele valesse il rischio di poter essere aggredito per il villaggio da un Mangiamorte. La donna sedeva con sguardo mesto oltre il lindo bancone, lucidando assorta bicchieri già splendenti e sospirando di tanto in tanto. Nemmeno la fugace battuta che Savage le aveva rivolto al suo ingresso – qualcosa circa il sollievo di non avere più uomini e ragazzini con la bava alla bocca ovunque guardasse, eccetto lui e Proudfoot – era riuscita a smuoverla dalla sua deprimente apatia. Aveva preso le loro ordinazioni trascinando i piedi l'uno dinanzi all'altro e aveva domandato il motivo dello strano cambio di acconciatura di Tonks. La giovane aveva chinato triste il capo e aveva mormorato una spiegazione stupida riguardo stress e ormoni impazziti. Rosmerta aveva annuito comprensiva, aveva aggiunto che erano entrambe sulla stessa barca ed era sparita oltre la porta scorrevole del retrobottega.

Tonks si sentì improvvisamente depressa.

«Credo che l'ostinazione con la quale si costringe a respingerti sia ammirevole, Tonks».

«Ammirevole?» ripeté confusa lei, lanciando un'occhiata scandalizzata al suo interlocutore. «Charles, hai ascoltato quello che ti ho detto?»

Lui annuì con un mezzo sorriso. «Credo sia una prova di quanto, in realtà, sia attaccato a te. Le sue motivazioni sono solo scuse per allontanarti da lui».

«Be', fidati. Non è ammirevole. È stupido».

Savage ridacchiò e sorseggiò un po' del whisky che aveva ordinato. «Mio nipote è stato un suo studente» esordì infine. «Ricordo ancora l'estasi che metteva nel raccontarmi tutto ciò che spiegava nelle sue lezioni. E, credimi, Nephew non è mai stato un giovanotto molto diligente».

Tonks sorrise. Non era la prima volta che qualcuno si complimentava per l'eccezionale metodo didattico utilizzato da Remus e, il più delle volte, lei si ritrovava a pensare a quanto, realmente, avrebbe apprezzato averlo come insegnante.

«Già» ne convenne. «Mi sarebbe piaciuto averlo come professore».

Savage inarcò malizioso un sopracciglio. «Davvero? Non lo avrei mai sospettato».

«Charles!» lo rimproverò fintamente scandalizzata lei, colpendolo leggermente alla spalla. «Non accetto insinuazioni sottintese!»

«Perdonami» ridacchiò divertito. «È la pessima influenza di Phil».

Tonks gli rivolse un lieve sorriso sghembo e portò il calice alle labbra.

«Hai scelto un pessimo momento per innamorarti di un licantropo» commentò infine Dawlish, sollevando mestamente lo sguardo sul viso di lei. «Il Ministero sta cercando di farne piazza pulita».

Tonks roteò gli occhi e sollevò con uno sbuffo divertito qualche ciuffo della frangia.

«Non sapevo ci fosse un momento buono per innamorarsi di un licantropo» ribatté afflitta. «Non in Inghilterra, perlomeno».

«No, infatti» tagliò corto il mago. «Un'affermazione così sciocca sarebbe stata il pane per Phil».

«Pessima influenza».

«Dove ho già sentito queste parole?»

Tonks ridacchiò di nuovo e sollevò lo sguardo verso le ampie vetrate del locale.

«Per quanto resterà?» domandò dopo qualche secondo di silenzio.

«Chi?»

«La Umbridge».

Dawlish scosse sconfitto il capo e fece le spallucce. «Temo di non saperlo».

«Non posso credere che dopo tutto ciò che ha fatto ad Hogwarts, nessuno abbia ancora trovato il tempo di spedirla a calci nel sedere fino a Nottingham».

Dawlish le rivolse un sorriso complice. «Ha ancora molta influenza al Ministero».

«Ovviamente. Un idiota in più non può fare molta differenza».

Il mago scoppiò a ridere.

«Non c'è nulla su cui scherzare, Charles» lo rimbrottò divertita lei. «È la sola, unica e triste verità».

«Sì» annuì lui. «Paiono quasi contendersi la coppa per il cervello meno funzionante. Hai letto il giornale, questa mattina?»

Sbattendo con forza il bicchiere sul tavolo, Tonks fissò Dawlish con gli occhi sgranati.

«Cos'è successo?» domandò tutto d'un fiato.

«È stata approvata una nuova legge di restrizione alle Creature Magiche. E sai chi ha lanciato la mozione?»

«Lasciami indovinare...» mormorò vagamente Tonks.

«Ha vietato l'ingresso in tutti gli edifici pubblici di licantropi, vampiri, folletti, goblin, Troll e centauri. Dicono sia stata particolarmente irremovibile circa quest'ultima categoria» aggiunse con un mezzo sorriso. «Come se ai centauri interessasse fare la fila al Paiolo Magico per prendersi una pinta di Burrobirra».

«Che le entrasse una Manticora incazzata in casa» borbottò a denti stretti Tonks. «Anzi, che le entrassi un intero branco di Manticore incazzate in casa».

«E pare stia convincendo Scrimgeour a riprendere in mano la vecchia proposta di aprire quel dannato centro di isolamento nelle praterie a nord di Aberdeen».

«Cosa?» sbraitò la ragazza con tanta foga che il suo bicchiere si rovesciò con un tonfo metallico. Lo raddrizzò in fretta senza curarsi del whisky che si era sparso sul tavolo. «Non può farlo!»

«Oh, temo proprio che possa» mormorò mestamente lui. «E ti dico un'altra cosa, Tonks. Di questo passo, fra Mangiamorte e Ministero non resterà un solo ibri...» s'interruppe bruscamente, stringendo nervosamente le labbra.

Tonks fece un sorriso storto.

«Non è colpa tua se non esiste alcun modo gentile per definirli» lo rassicurò. «Ibridi. Meticci. Bestie. Semiumani» iniziò ad elencare. «Nessuno si è mai preso la briga di inventare un termine cortese, hai notato?».

«Ho notato» rispose, estraendo la propria bacchetta e ripulendo con un gesto raffinato del polso il tavolo. «E, fra qualche tempo, non ci sarà nemmeno bisogno di chiamarli in un qualche modo».

Tonks lo fissò intensamente.

«Spero di sbagliarmi» continuò Dawlish. «Ma temo abbiano in programma di eliminarli uno ad uno».

Uno dopo l'altro.

°°°°°°°







«Non voglio arrecarti guai più di quanti non te ne abbia già causato, Tom».

«Remus, non dire assurdità. Non ti permetto di andare. Sei il cliente più tranquillo che abbia mai avuto e-».

Remus gli rivolse un sorriso pacato e scosse amaramente la testa.

«Se qualcuno dovesse denunciare la mia presenza al Ministero, rischieresti una condanna» lo interruppe.

«Hai la vaga idea di quanti vampiri e goblin entrino in questo locale?»

«Pochi, Tom. Non siamo alla la Testa di Porco. Non prendermi in giro».

«È là che hai intenzione di andare?»

«No. Temo che Aberforth si ritroverà il Ministero davanti alla porta prima di questa notte. Ha una certa fama, quel posto».

Tom ridacchiò. «Non vorrei essere nell'agente del Ministero che dovrà andare a svegliare quel vecchio pazzo».

«Be'» disse Remus, tendendo la mano verso l'anziano locandiere e sorridendo garbato. «Grazie di avermi coperto in questi mesi, Tom».

«Se mai dovessi avere bisogno di un tetto sopra la testa e un letto caldo sotto la schiena, Remus-»

«Lo so» tagliò corto l'altro. «Grazie di tutto, Tom».

«Buona fortuna, ragazzo».

Con un ultimo cenno di saluto, Remus si avvicinò alla grossa porta di quercia e, rabbrividendo appena al freddo pungente, si ritrovò nella Londra Babbana.

Maledetta Umbridge.

°°°°°°°







«Tarbis, vedi piuma e inchiostro, da qualche parte?» domandò la voce agitata di Tonks.

«Se voi foste un poco più ordinata, Milady-»

«Non è il momento di farmi la predica. Va bene anche una matita, non puoi provare a dare un'occhiata fin dove arrivi?»

«Ma che impertinente, piccola...» borbottò offeso il ritratto, voltandole le spalle e incrociando con fare indispettito le braccia.

La testa scarmigliata di Tonks emerse dal pavimento sul quale stava cercando da diversi minuti la proverbiale piuma ma, accidentalmente, non si accorse dello spigolo del comodino pochi centimetri più in altro e finì con il cozzarci contro.

«Ahia!»

«Ben vi sta!»

«Tarbis...» mugugnò lei, strofinandosi dolorante il capo con un mano e gattonando nel caos della propria stanca fino al quadro. «Ti prego...»

Con uno sbuffo spazientito, il ritratto le rivolse un'occhiata altera.

«Ne avete lasciata una dentro la tasca destra del vostro mantello, Milady, quando stamattina avete scritto a vostra mad-»

«Oh, grazie, grazie, grazie!» strillò lei, levandosi in piedi e rischiando di rovesciare la sedia della piccola scrivania. «Ti adoro, Tarbis!»

«Cos'è tutta questa urgenza, Milady?»

Ma lei già aveva afferrato un pezzo di pergamena e – apparentemente persa nella propria conversazione – non lo degnò di alcuna risposta.

°°°°°°°







Il mio monolocale è sicuro, se riesci ad evitare di inciampare nel vaso orientale che mia madre ha messo nell'ingresso.

Ci sono addirittura dei cracker (da qualche parte in cucina) e un paio di zollette di zucchero sulla mensola.

E poi, puoi controllare che non mi siano morte le piante grasse?

Avevo dimenticato fossero ancore vive, quando sono partita per Hogsmeade.

Quanto credi possano resistere senz'acqua?



P.s.

Se vengo a sapere che hai dormito sotto un ponte o in qualche malfamato sobborgo Babbano per paura di disturbare un'inquilina assente per lavoro, giuro che mi incazzo, Remus.



P.s.s.

Davvero, non farlo.



P.s.s.s.

Casa mia non è poi così sporca, una volta che ci fai l'abitudine.



P.s.s.s.s.

Ti prego, ho paura che ti possano arrestare.



P.s.s.s.s.s.

Non voglio che ti prendano.



Tonks



Sorridendo appena, Remus infilò le chiavi che Tonks le aveva spedito venti minuti prima nella serratura e, aprendo con cautela la porta, entrò nell'appartamento buio.

°°°°°°°





Dal Galles alla Scozia, ogni posto è controllato:

che disastro, che follia! Chi la scampa è fortunato.

Fuggono lesti, da un locale, due folletti spaventati.

Corrono poco, gambe corte, in un istante catturati.

E nell'ombra, quieto e muto, sta nascosto il vampiro,

non un suono, non un verso, senti appena il suo sospiro.

Per le strade sfreccia svelto un qualche gruppo ammantato,

scappa il goblin col suo oro: non vuol essere marchiato.

Culla piano una mannara il suo cucciolo piangente,

ma i lamenti, nella notte, attireranno ancor più gente.









Sono – tecnicamente – ancora sotto esami, indi mi liquido in due parole, chiedo venia per questo degenerato capitolo e mi riprometto di tornare presto con il prossimo e, ovviamente, di non eclissarmi come l'estate scorsa.

Santo cielo, è più di un anno che sto scrivendo questa fic.

°__°



Ho bisogno di una camomilla.

Trick

(Rettifico: ho bisogno di due camomille. Sono due giorni che cerco invano di raggiungere un accordo fra me e il codice HTML. Siamo arrivati ad un sano compromesso solo ora).







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Capitolo 38
*** Capitolo Trentasettesimo - D'amore e di morte si vive ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO TRENTASETTESIMO

D'amore e di morte si vive

°°°°°°°





«Siamo ormai giunti al tramonto» mormorò laconico Chilone, stringendo al petto il vecchio bastone di quercia e lasciandosi scivolare con un sospiro sulla corteccia di un tronco abbattuto. «La fine di Jura è vicina».

«Sciocchezze» ribatté con asprezza Rouge, incrociando le braccia al petto e camminando indispettita verso il confine della foresta. Aveva dimenticato l'ultima volta in cui si era allontanata così tanto dal villaggio. Oltrepassò con lo sguardo l'ampia valle innevata fra le montagne, le loro cime immerse nella nebbia e le loro maestose pareti rocciose illuminate dal lieve sole invernale. Guardò i laghi ghiacciati, poco più in là del sottobosco, e si divertì a tentare di scorgere i sentieri che portavano al mare, sebbene questi fossero ricoperti dalla neve. Alzò il capo e socchiuse gli occhi, beandosi della sensazione dei fiocchi che, lentamente, avevano iniziato a bagnarle il viso.

«Distruggeremo Greyback e Jura tornerà la terra che era una volta» concluse con decisione. «Non è il tramonto. È l'alba».

Seduta ai piedi di una grande betulla, Calima annuì con decisione.

A pochi passi da lei, Alceus si strinse nelle spalle magre e lanciò una timida occhiata alla figura troneggiante di Aulos, seduto al suo fianco. L'altro, passandosi nervosamente una mano fra la chioma scura, cercò di non incontrare il suo sguardo.

«Rouge ha ragione» decretò infine. «Se ci tiriamo indietro ora, dimostreremo di non essere all'altezza della volontà di Selene».

Ai piedi del masso sul quale erano seduti i due giovani, Tyne alzò lo sguardo chiaro sulla schiena di Rouge.

«Ho paura, Rouge» confessò infine, torcendosi una ciocca dei corti capelli scuri.

«Abbiamo tutti paura, Tyne» la corresse Calima. «Ma non è un motivo valido per mollare. Selene ci ha dato la forza per alzarci. Questo è il suo volere».

«Selene non fa mai nulla senza motivo!» protestò con altezzosa veemenza Lynn, sporgendosi verso Calima. «Se Greyback ora è il nostro capobranco è perché-»

«-perché ha soggiogato il resto del branco al suo volere» la interruppe apatica Rouge. Si voltò verso la sua vecchia rivale e incrociò le braccia al petto.



«Tu non sei una vera mannara!» gridava una bambina dalla lunga treccia corvina, mentre correva lungo le rive scintillanti del fiume Shannon. «Sei solo una Clandestina!»

«Non è vero, non sono una Clandestina!» ribatté una seconda bambina dai folti riccioli scuri, raggiungendola con uno scatto e atterrandola con un salto.

La bambina con la treccia perse l'equilibrio e, afferrando il colletto della casacca dell'altra, la trascinò lungo le sponde dell'argine. Rotolarono l'una sopra l'altra per qualche secondo, affannandosi a colpire la compagna. Quando, con un tonfo sordo, atterrarono a pochi passi dall'acqua cristallina, la piccola con la chioma folta si ritrovò a troneggiare sull'altra.

«Ripetilo se ne hai il coraggio, Lynn!» urlò.

Lynn sghignazzò e le lanciò un'occhiata sdegnosa.

«Io sono destinata a ricoprire il ruolo più importante del branco» sentenziò in un sussurro perfido. «Tu, invece, non sarai nient'altro che una Clandestina, Rouge».



Le labbra di Lynn si storsero in un sorriso crudele.

«Tutto ciò che vuoi è occupare il posto che ora ricopre lui» affermò. «Non cercare di camuffare la tua avidità come eroismo patriottico, Rouge».

Con una rapidità estrema, Rouge si lanciò contro la compagna.

«COME OSI!?» strillò infuriata.

Lynn si drizzò in piedi e strinse con forza i pugni, pronta a contrattaccare.

Aulos, tuttavia, aveva già avvolto le proprie possenti braccia attorno la vita di Rouge e, sebbene con un incredibile sforzo, era riuscito a impedirle di scagliarsi sull'altra mannara.

Alceus, Tyne e Calima, dall'altra parte dello spiazzo roccioso avevano circondato Lynn e cercavano di contenerne la rabbia.

«Come osi pensare che io abbia un secondo fine!?» continuò a strillare Rouge, le gote arrossate e i capelli fluttuanti attorno al viso. «Io voglio solo il bene di-»

«Stai per dire di Jura!?» la bloccò con la stessa energia Lynn. Tentò di divincolarsi dalla presa dei tre giovani mannari ma la sua forza era decisamente inferiore. Si fermò e fissò Rouge con il respiro ansante. «Quel posto non ti spetta» concluse.

«Lynn...» mugugnò Tyne nel tentativo di riportarla a sedere. «Per piacere, basta».

«È questo il problema, allora!» sbottò l'altra. «Avrei dovuto immaginare che avresti messo questa storia davanti alla salvezza del nostro popolo!»

«Rouge, ti prego, calma...» biascicò Aulos, sollevandola e cercando di allontanarla.

«Non è il tuo popolo!»

Rouge si bloccò di colpo, gli occhi sgranati e le labbra leggermente dischiuse.

Rimasero tutti immobili con lo sguardo incatenato alla figura trafelata di Lynn, incapaci di credere a ciò che avevano appena udito.

«Rouge. Lynn» le richiamò finalmente Chilone, aprendo gli occhi e guardandole torvo. «Basta».

Con un movimento improvviso, Rouge riuscì a liberarsi dalla stressa di Aulos e, stringendo con forza i pugni, distolse lo sguardo iracondo dal volto di Lynn. L'altra, arricciando con stizza il naso e allontanando con un gesto brusco il polso sottile di Alceus, voltò le spalle a tutti e s'inoltrò nel sottobosco senza aggiungere altro.

Rouge non aveva mosso che qualche passo nella direzione opposta, quando la voce di Tyne la costrinse a voltarsi.

«CALIMA

La giovane era scivolata sulle ginocchia, stringendo le mani alla bocca. Spalancò gli occhi e fu scossa da un violento colpo di tosse. Chilone si alzò in piedi e fissò inorridito la giovane.

«Non è possibile...» biascicò sconvolto.

Rouge si gettò al suo fianco, allontanando Alceus senza troppe cerimonie. Le sollevò il capo e la fissò tremante. Un colpo di tosse ancor più violento del primo fece contorcere la giovane, che si raggomitolò su sé stessa, con le mani attorno alle labbra. Un rivolo di sangue sgorgava dai lati della sua bocca.

Pochi centimetri più in basso del suo orecchio destro, si andava estendendo una grossa linea rossastra.

«Calima...» mormorò Rouge, tentando di ricordare se avesse mai visto qualcosa del genere.

«Che cos'ha? Che cos'ha?» strillò Tyne, alzandosi di scatto e portando le braccia al petto. «Che razza di malattia è mai questa? Cosa sono quei segni rossi che ha sulle braccia!?»

Rouge alzò lo sguardo sulle braccia sottili di Calima. Lunghe linee rosse si stagliavano sul candore delle sua carnagione, intrecciandosi lungo gli avambracci come fini arabeschi.

«Che cos'è...» mormorò a nessuno in particolare. «Che cos'è questa...?»

«Dobbiamo portarla al villaggio!» urlò Aulos, chinandosi e sollevandola come se pesasse quanto una piuma. Calima tossì nuovamente e l'orlo bianco della sua tunica si macchiò di rosso.

«Muoviamoci!» ordinò imperiosa Rouge.

«È inutile» sentenziò Chilone, con il capo chino e le braccia tremanti. «Non ce la farà».

Rouge sbarrò gli occhi e afferrò con forza il colletto del mantello dell'anziano.

«Non dirlo! NON DEVI DIRLO!» gridò.

«È il Sigillo dei Peccatori» spiegò Chilone con un filo di voce, per nulla turbato dall'attacco di Rouge. «La punizione per i popoli che trasgrediscono al volere di Madre Selene».

«Di che stai parlando?» continuò ad aggredirlo la donna. «Quale punizione, Chilone?»

«Abbiamo disobbedito al suo volere» continuò con voce tremante. «E ora, ne pagheremo le conseguenze».

«Non avremmo dovuto pensare di combattere Fenrir» piagnucolò Tyne, stringendo con forza la mano pallida dell'amica e tentando di scaldarla. «Siamo stati così sciocchi...»

«Aulos» esordì Rouge. «Portiamo Calima al villaggio. Voglio che venga curata».

Mentre guardava Rouge sparire dietro i suoi compagni, nelle mente di Chilone prese forma il volto smunto e pallido della moglie e i segni rossi che parevano volerne decorare la fronte e le gote per l'ultimo viaggio.

La furia di Selene si abbatterà di nuovo su di noi.

La sua mano purificherà il nostro popolo dai peccatori.

Un'altra volta.

°°°°°°°







«Ehilà? È permesso?»

«Non dovresti chiederlo».

Tonks socchiuse gli occhi e si lasciò inebriare dall'aroma di pancetta che aleggiava nell'ingresso. Sfilò il mantello, lo gettò sulla cassapanca accanto alla porta e si avvicinò alla cucina.

«Mmh... cos'è questo delizioso odorino?»

Remus sollevò lo sguardo dai fornelli e le rivolse un lieve sorriso.

«Bentornata» la salutò gentile.

«Dove hai trovato tutta questa roba?» s'informò lei, scrutando fra le confezioni vuote abbandonate nel cestino. «Sono certa di non aver lasciato nulla in casa e...» s'interruppe improvvisamente, si voltò e lo scrutò con un cipiglio minaccioso. «Remus... non sarai uscito per fare la spesa, vero?»

Lui trasalì e la fissò allarmato.

«No, no, no, no! Nella maniera più assoluta!»

«Remus...»

«Devi credermi, non sono stato io» si giustificò rapido. Aveva un'espressione innocente così convincente che, con un po' di fortuna, avrebbe potuto persuadere Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato in persona.

Tonks incrociò le braccia al petto, lo guardò con un sopracciglio inarcato e scoppiò a ridere.

«Quante volte hai già detto questa frase?»

«Almeno un migliaio, oserei dire».

«E quante volte mentendo?»

«Più o meno novecentonovantanove» rispose con un sorriso divertito lui, mescolando con calma il contenuto aromatico della pentola fumante. «Hai fame?»

«Da morire» disse Tonks, accasciandosi su una delle sedie della cucina e sprofondando nelle spalle. «Ad Hogsmeade siamo in quattro e nessuno di noi ha delle particolari abilità culinarie. Un disastro».

Ridacchiando leggermente, Remus afferrò un piatto di porcellana dalla credenza e le offrì una grossa porzione di pancetta, un bel po' di patate e una ciotola piena di fresca insalata. Tonks si stupì nel constatare quanto a proprio agio lui fosse. Dopo qualche istante, si stupì di essere lei stessa completamente a suo agio, come se rientrare a casa e trovarlo intento a prepararle il pranzo non fosse la situazione più assurda dell'universo, ma la più normale.

«Accipicchia» fu il solo commento che fece osservando l'abbondante tripudio di cibo. «Dove hai imparato?»

«Si fa quel che si può» ribatté lui, prendendo posto di fronte a lei con un piatto decisamente più modesto fra le mani. «Buon appetito, Ninfadora».

«Altrettanto» gli sorrise. «Ehi, la vuoi smettere di chiamarmi così?»

«Sto attuando una nuova tattica e sono lieto di notarne gli esiti positivi».

«E sarebbe?»

«Depisto la tua concentrazione con del buon cibo e ti chiamo Ninfadora quando so che non riuscirai ad accorgertene. Sta funzionando».

L'unica risposta che ottenne fu la sua linguaccia.

Per qualche minuto, il solo rumore che risuonò nella cucina fu quello delle posate contro la porcellana. Soltanto quando il suo piatto fu completamente svuotato, Tonks si decise a parlare.

«È strano».

Lui la guardò, scuotendo perplesso il capo. «Cosa?»

«Be'...» iniziò lei, grattandosi la testa. «Io e te che parliamo e mangiamo, per prima cosa».

Remus ridacchiò nel dorso della mano.

«Cos'ho detto di buffo?» chiese Tonks.

«Chiunque avrebbe dedotto che sei solita tacere e digiunare, Ninfadora».

Lei alzò gli occhi al cielo. «Hai capito a cosa mi riferivo».

Improvvisamente, il sorriso scomparve dalle labbra di Remus e il suo volto parve incupirsi. Per un attimo, Tonks si pentì di aver parlato: avrebbe preferito continuare a scherzare con lui fingendo che tutto andasse esattamente come doveva andare, ma sapeva perfettamente che l'argomento, prima o poi, sarebbe stato sfiorato di nuovo.

«Lo so. È assurdo ritrovarsi in una simile circostanza».

Tonks chinò imbarazzata la testa e iniziò ad osservare le venature del tavolo, sforzandosi di trovare un buon appiglio per la conversazione. Sembrava, tuttavia, che la sua mente si fosse completamente svuotata.

«Ho comprato del gelato» esordì infine Remus, salvando entrambi da quell'estenuante silenzio. «Ne vuoi un po'?»

«Sì, volentieri».

Lui estrasse la bacchetta dal mantello ed Evocò una grande coppa di gelato alla fragola davanti a lei ed una al cioccolato per lui.

Tonks lo fissò stupita.

«Come sapevi che adoro il gelato alla fragola?»

«Non hai fatto altro che mangiare fragole, la scorsa estate. Ho tentato di fare due più due».

«Be', ci hai preso alla grande» commentò lei, lanciando uno sguardo avido al dessert. Afferrò il cucchiaio e si concesse una prima boccata gigantesca. Il freddo la fece rabbrividire un poco.

«Ne sono lieto».



«Ripartirò domani mattina».

«Come?» esclamò Tonks, completamente presa alla sprovvista da quell'affermazione. «Domani?»

Remus annuì silenzioso. «Non posso rimandare oltre. Ho atteso fin troppo».

Tonks chinò gli occhi e si morse nervosamente le labbra. «Perché non puoi restare?»

Lui le rivolse un sorriso malinconico. «Ho fatto una promessa. Devo portare a termine il mio compito e...»

«Cosa?» domandò in un sussurro flebile Tonks.

«Non posso permettermi di restare a Londra. Non adesso, perlomeno».

«Ma potresti restare qui!» contestò veemente lei, indicando vagamente la mobilia che li circondava. «Saresti al sicuro in casa mia, a nessuno verrebbe in mente che-»

«Ninfadora» la interruppe con decisione lui. «Temo sarebbe il primo posto in cui verrebbero a cercarmi».



«Non si sente sporca dopo essere andata a letto con un animale?»



Aveva ragione.

Aveva dannatamente ragione.

«Non voglio che te ne vada» mormorò. «Detesto l'idea di poter incontrare un qualunque membro dell'Ordine, in una qualsiasi ora della giornata, con la notizia che la tua missione è andata male. Detesto l'idea che ti possa accadere qualcosa, Remus, non-»

«Mi dispiace. Non posso fare altrimenti».

Lei si alzò dalla sedia e si avvicinò alla finestra, scrutando torva il viale deserto che costeggiava il diroccato edificio di fronte.

«Non voglio perderti».

Remus chiuse gli occhi e affondò il viso fra le mani.

«Ninfadora, non posso-»

«Ho capito, Remus. Non puoi rifiutare l'incarico. Non è necessario ripeterlo all'infinito» sbottò acida.

«No» la corresse in un sussurro lui. «Non posso lasciarti commettere l'errore più grande della tua vita».

Tonks si voltò e osservò sconvolta la schiena di lui.

«So di non dovertelo permettere, eppure...» continuò Remus, stringendo con forza la testa fra le mani, «...non riesco a rinunciare all'idea che se sto facendo tutto questo... se sto sopravvivendo allo strazio che è diventata la mia vita... è soltanto perché non riesco a cacciarti dai miei pensieri, Ninfadora».

Il tocco delicato della mano di Tonks lungo la sua coscia lo costrinse a sollevare il capo e guardarla. Le labbra strette nello sforzo di contenere le lacrime, gli occhi scuri e incandescenti e le gote arrossate erano, per lui, la visione più meravigliosa e devastante dell'intero creato.

«Tu...» iniziò piano lei, «...tu mi ami, Remus?»

Remus trasalì e tentò di distogliere lo sguardo ma, esattamente come aveva fatto quella maledetta mattina davanti al cimitero di St. Madeline, le dite di Tonks si posarono sulla sua mandibola e lo costrinsero a fissarla.

Socchiuse gli occhi e annuì lentamente.

«Più di ogni altra cosa al mondo».

°°°°°°°





Al diavolo Jura e Greyback, al diavolo la Umbridge e il Ministero, al diavolo Durham e tutti i suoi abitanti, si era ritrovato a pensare Remus, quando la bocca di Tonks si era posata sulla sua. Timide e bisognose, le loro labbra si erano fuse le une con le altre e le sue mani erano salite automaticamente ad accarezzarle la pelle delicata del volto, come se non desiderassero altro che sentire la sua presenza.

Sentire che lei esisteva realmente.

Stringendo le sue spalle come se temesse di vederlo svanire da un momento all'altro, Tonks lo aveva spinto fino alla propria camera da letto, attraversando quella buffa tendina rosa senza osare interrompere quel inebriante contatto.

Al diavolo tutto, aveva ripensato di nuovo.

Al diavolo qualunque cosa non fosse lei.

°°°°°°





Voltando con delicatezza il capo sul cuscino, Remus osservò l'espressione tranquilla sul volto addormentato di Tonks e le accarezzò con gentilezza la spalla nuda.

«Lo sapevo che eri sveglio» mormorò lei.

«Da cosa l'hai capito?»

«Stai parlando, adesso, e se parli, sei per forza sveglio. Non volevo dormire».

«Perché?»

«Tutte le volte che mi addormento, al mio risveglio non ci sei».

«Mi pare, tuttavia, che l'ultima volta sia stato io a svegliarmi solo» ironizzò lui. «Credevo avessi detto che fossimo pari».

«Appunto» continuò lei, voltandosi sulla pancia e scostandogli un ciuffo striato dalla fronte. «Questa volta era il mio turno di svegliarmi sola. Perché stiamo scappando?»

«Tu non stai scappando» la corresse Remus. «Non riesco a convincerti di doverlo fare».

Lei sorrise maliziosa. «Distrarmi con del buon cibo e una coppa di gelato alla fragola solo per poter approfittare di me non è certo una buona tattica per costringermi a scappare, Remus».



«Quando ero a Jura» disse dopo qualche minuti di silenzio Remus. «Ho avuto modo di pensare a molti aspetti della mia vita. A ciò che ero stato in grado di fare, a ciò che mi ero ripromesso e a ciò che, per un motivo o per un altro, non avevo mai fatto».

«Dove vuoi andare a parare?»

«Ho... ho temuto di morire diverse volte...» iniziò timoroso lui, sentendola irrigidire sotto il suo abbraccio. «E ogni volta... ogni volta non riuscivo a pensare che non ti avevo mai...»

Lei lo guardò perplessa. «Mai...?»

«Non ti avevo mai detto che ti amo» concluse. «Sarei potuto morire senza che tu sapessi la vera ragione per la quale non posso permetterti di stare con me. Tu meriti cose che non posso offrirti»

«Non ho mai amato un uomo quanto amo te, Remus» ribatté Tonks, chinando il capo e stringendosi di più al suo corpo. «Non ho bisogno di nient'altro. Mettitelo in testa».

Remus stava per aprire la bocca, quando un sordo rumore lontano li fece sobbalzare entrambi. Si sedettero nervosi sul letto e afferrarono meccanici le proprie bacchette.

«Hanno bussato? Hai sentito anche tu?» chiese Tonks, agitata.

Remus annuì lentamente. Indossò rapidamente i propri pantaloni e si avvicinò cauto alla porta, mentre Tonks arrancava sotto al letto alla ricerca di un qualsiasi indumento.

«Ninfadora, che stai facendo?» le chiese in un sussurro la voce di Remus dal corridoio.

«Non trovo i miei vestiti!» si lamentò a bassa voce lei.

«Prendi la mia camicia, Merlino!».

«Molto stuzzicante...»

«Ninfadora!»

Indossò rapida la sua camicia, concedendosi solo pochi istanti per bearsi del odore del dopobarba di Remus impresso nel colletto, e lo raggiunse nel corridoio, scrutando ansiosa la porta.

Qualcuno bussò di nuovo. E pareva piuttosto agitato.

«Immagino non aspettassi visite» commentò Remus.

«Certo che no».

«Quel tizio dalla canottiera bianca che questa mattina ha minacciato di slegare i suoi cani potrebbe-?»

«No. Lavora vicino a Boulevard Avenue, ha una bancarella di frutta e verdura. Per lui il tempo è denaro, figurati se lo spreca per venire qui a-».

«Vicine invadenti?»

«Una. Troppo vecchia per bussare in quel modo».

Si scambiarono un'occhiata eloquente.

«Nasconditi» sentenziò Tonks con decisione. «Potrebbe essere qualcuno del Ministero».

«Potresti aver bisogno di aiuto».

«Potresti finire arrestato».

«Potrebbero arrestare anche te».

«Potrei ucciderti io, se non fai come dico e non ti-».

«Bizèt!» gridò una voce dal pianerottolo. «Santa Madre Selene, Bizèt! So che sei lì dentro, aprimi!»











Ta-dan! Suspence!

*risata malefica*

Madame e Messere, sono lieta di informarvi che:

a) ho terminato gli esami con esiti alquanto bizzarri. Non vi annoio oltre, voglio solo dimenticare;

b) è tornata l'ispirazione! Sono così pompata che ho quasi terminato i prossimi due capitoli. Dove sono gli applausi??? *Trick si guarda attorno in cerca di attenzione per sfamare le sue manie di protagonismo*;

c) oggi ho quasi investito una vecchietta in bicicletta mentre facevo lezioni di guida, ma questo non c'entra nulla e sicuramente non vi interessa.



Prima di passare ai doverosi ringraziamenti, ho una curiosità da svelarvi.

Ho pensato fosse il caso di Evocare due tazze di cioccolato per il semplice motivo che, essendo io in attesa di fare riavvicinare Remus e Tonks ormai da mesi, non mi pareva il caso avessero gli aliti al sapore di pancetta. Non che non mi piaccia la pancetta ma, sinceramente, in nessun bacio romanzato che si rispetti i protagonisti hanno un cattivo alito.

Bene, ora che ve l'ho detto sono certa che siete tutti più gioiosi.

*Trick si guarda in giro alla ricerca di facce gioiose. Alfonso Urecha, la scimmia rosa shocking che ha vinto la sera prima alle macchinette del luna park, la fissa inespressivo. Stupido, inutile peluche.*

Ho un migliaio di ringraziamenti da fare, perciò bando alle ciance inutili.

*Trick calcia via Alfonso Urecha. Non vuole distrazioni*.

Spero solo di non dimenticare qualcuno. Nel caso (probabile, ma non sicuro: un po' di fiducia, suvvia!), chiedo anticipatamente venia. Anche Alfonso Urecha si scusa.

Un grazie infinito a Mina85, lyrapotter, roby the best, rolly too, Debby93, SakiJune, puciu, fennec, Etain, lauraroberta87, Lily_Snape, Kikkina90, NiNpHa, hermione616, Rainsoul, Stella di Dunedain, HermioneCH, puccalove90 e tutti coloro che hanno aggiunto questa storia fra i preferiti. Credo di non avere abbastanza spazio per ringraziare tutti quanti a dovere.

Mi è stato chiesto quando concluderò i cinque capitoli che costituiscono la ''Storia di una Bella e di una Bestia senza Bella e senza Bestia». Il capitolo finale continua a subire delle modifiche. Mi ha reso stitica fin dalla prima parola, sebbene avessi già in mente una buona conclusione. Giuro che vedrò di fare il possibile per rimettere a posto tutto, prometto.

Alfondo Urecha: «Tu non mantieni mai le tue promesse».

*Trick lo afferra e lo scaglia contro alla porta*

Un grazie di cuore di nuovo a tutti.

A presto con il 38° capitolo.


Trick

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Capitolo 39
*** Capitolo Trentottesimo - L'alchimia d'azzardo ***


************************

Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO TRENTOTTESIMO

L'alchimia d'azzardo

°°°°°°°





Remus spalancò gli occhi e corse alla porta.

«Remus, cosa-?» iniziò Tonks, confusa.

«Aulos?» domandò prudente Remus, posando una mano sulla maniglia. «Come diavolo-?»

«Sì! Ti scongiuro, Bizèt, ho bisogno del tuo aiuto!»

Ho un brutto presentimento.

Strinse con forza maggiore l'impugnatura di nocciolo della propria bacchetta e aprì la porta quel poco che bastava a far passare qualche dita.

«Dove hai lasciato quell'inetto di Alceus?» domandò improvvisamente, assottigliando gli occhi e preparandosi a combattere. «Credevo fosse un peso che ti portassi sempre appresso».

Dovette usare tutte le sue forze per evitare che il colpo violento che Aulos scagliò alla porta lo facesse cadere sul pavimento.

«Non ti permetto di-»

«Volevo solo essere certo fossi realmente tu» spiegò rapido, allungando di nuovo la mano sulla maniglia e aprendo del tutto la porta. «Ti prego di perdonarmi. Sono tempi in cui non è possibile fidarsi nemmeno delle voci amiche».

«Capisco» borbottò nervosamente l'altro.

Era più trasandato di quanto Remus ricordasse: i capelli bruni gli ricadevano scompigliati attorno al viso, il lungo mantello che aveva indossato sembrava aver sopportato le più terribili condizioni atmosferiche e pesanti ombre scure si erano dipinte attorno ai suoi occhi vispi.

«Non credo che a voi due convenga stare sulla porta» s'intromise infine Tonks, avvicinandosi a Remus e strizzando un occhio in direzione di Aulos. «Dai, vieni a scaldarti. Sembri ghiacciato quanto una stalattite».

Aulos trasalì un poco e indietreggiò improvvisamente, guardando allibito il volto di Tonks.

«Lei è... lei è...» balbettò.

«Una strega» concluse per lui Remus.

«Un'umana?» esclamò inorridito Aulos. «Ma sei pazzo? Gli umani uccidono quelli come noi!»

«Oddio, un altro mannaro tormentato!» si lamentò Tonks, alzando gli occhi al cielo. Afferrò Aulos per il mantello e lo trascinò rapidamente in casa. «Andiamo, signor Muscoli, muoviti. Non voglio che i miei vicini si facciano idee sbagliate sulle mie relazioni private».

°°°°°°°





«Sei uscito di senno, Aulos?» esordì immediatamente Remus, non appena Tonks ebbe richiuso la porta. «Cosa ci fai qui?»

«Abbiamo un problema».

Lupin sgranò gli occhi.

«Greyback non avrà-?»

«È ancora con quegli sporchi umani vestiti di nero» rispose, scuotendo il capo con disprezzo. «Che brutta specie».

«Ehi!» esclamò stizzita Tonks, portando le mani ai fianchi e squadrando minacciosa Aulos. «Piano con le offese, uomo delle caverne».

Il mannaro sobbalzò inquieto, quasi si fosse dimenticato della presenza di Tonks. «S-scusa» balbettò incerto. «Non sono abituato a-»

«Aulos» lo richiamò Remus con decisione. «Cos'è successo?»

«Ho cavalcato tutta la notte per-»

«Sei venuto con un Pegaso?» esclamò preoccupato.

«E come sarei dovuto venire? Di corsa, forse?»

«Un Pegaso?» tentò di informarsi Tonks, curiosa. «Credevo non esistessero i Peg-»

«E dove l'hai lasciato?» domandò spaventato Remus.

«Non preoccuparti, lui sta benissimo».

«Non sono preoccupato per lui, sono preoccupato per chi potrebbero vederlo!»

«Oh, per quello» esclamò comprensivo Aulos. «Be'... dopo lo metto in un posto più deserto».

«Dove l'hai lasciato?» sillabò Remus.

Aulos fece una smorfia mortificata. «In un piccolo bosco vicino ad un piccolo rivo, non c'erano molte persone quando-»

«Al parco di Saint Jacques!?»

«Ehm... non lo so. Forse».

Remus chiuse gli occhi e si lasciò cadere sulla cassapanca.

«Fantastico. Ora dovrò Obliviare mezza Londra senza che il Ministero se ne accorga».

Tonks ridacchiò nel dorso della mano, cercando di nascondere il proprio inopportuno divertimento. «Mando Merton da Arthur. Ci penserà lui».

Superò la figura imponente di Aulos e si diresse verso il piccolo soggiorno, chiudendo con discrezione la porta. Si sentì un tonfo sordo, seguito da un'incomprensibile imprecazione borbottata nel buffo dialetto usato nella parte più orientale di Londra.

«Ninfadora?» la chiamò Remus.

«Sono solo inciampata» rispose la sua voce. «Regolare routine».





«Il Sigillo dei peccatori?»

Aulos annuì tetro.

«È stata Rouge a mandarmi qui» spiegò. «La maledizione di Selene è tornata e lei si è convinta che...»

Remus inarcò confuso un sopracciglio. «Che...?»

«Che tu possa fare qualcosa» concluse rapido l'altro. «Crede che tu conosca la cura».

L'altro scosse il capo. «Non conosco la malattia, come posso conoscerne la cura?»

«Il sigillo dei peccatori marchia tutti coloro che hanno tradito Selene».

«Non è vero, Aulos. Deve essere una specie di infezione altamente contagiosa».

«Mandata da Selene» ribadì con fermezza il giovane. «Se non inizi a fidarti di lei, finirai per avere anche tu quei segni, Bizèt!» cercò di ammonirlo.

«La luna non è nemmeno dotata di luce propria, non è nient'altro che un astro. E gli astri non mandano pestilenze agli esseri viventi».

Aulos strinse i pugni e chinò il capo. «Finirai male» sussurrò. «Non puoi ribellarti a-»

«Hai parlato di segni rossi...» iniziò a ragionare Remus.

«Curve, linee, disegni» specificò Aulos. «Come tatuaggi incandescenti».

«E prima della loro comparsa?»

«Tossiva. Tossiva sangue ed era diventata estremamente debole».

Remus ragionò in silenzio qualche secondo.

«Potrebbe essere...»

«Cosa?»

«Devo vedere una persona» disse infine. «Lui potrebbe aiutarci».

«Un mago?»

Remus annuì rapidamente e aprì la porta del soggiorno.

«Ninfadora, ho bisogno della camicia».

«Dove pensi di andare?» esordì minacciosa lei, alzando il capo dalla pergamena che stava scrivendo. Il piccolo Merton, appollaiato sulla sua spalla, emise un trillo acuto nel vederlo.

«Ad Hogwarts» tagliò corto lui.



«Non puoi andartene, non-»

«Ninfadora, non preoccuparti, Aulos resterà qui. Con lui sei al sicuro».

Tonks strinse gli occhi e lo colpì con un pugno allo stomaco. Remus boccheggiò un attimo e si piegò in due.

«Ma sei... impazzita?» biascicò.

«Se ti arrestano mentre te ne vai in giro a fare l'eroe, non sperare che io ti venga a tirare fuori da Azkaban, idiota di un licantropo!» esclamò furiosa, prima di svanire in soggiorno sbattendosi con forza la porta alle spalle.

Aulos fissò allucinato Remus.

«Sei certo che non sia pericolosa?»

Massaggiandosi piano le costole, Remus gli lanciò un sorriso storto.

«È un po' impetuosa, di tanto in tanto».

«Oh» mormorò l'altro. «Credo che mi terrò alla larga da quella stanza, allora».

Ridacchiando nella sciarpa grigia che si era avvolto attorno al collo, Remus uscì sul pianerottolo, salutando con un cenno svelto il giovane mannaro, ancora intento a fissare la porta del soggiorno come se questa potesse esplodere da un momento all'altro.

°°°°°°°







«Segni rossi come tatuaggi sulle braccia e sul collo, hai detto?»

Annuendo piano, Lupin si avvicinò alla scrivania di ebano dell'ufficio di Severus Piton e lo fissò intensamente.

«Lo chiamano il Sigillo dei Peccatori. Ma io credo si tratti di-»

«Regalis morbus, la cosiddetta Morte dei Re» concluse Piton, alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso l'alta libreria alla sua sinistra.

Remus era entrato solo poche volte in quell'ufficio – da giovane preferiva evitare la compagna del vecchio professor Lumacorno e da adulto, per ovvi motivi, aveva continuato ad evitare quella del suo successore – ma, tutte le volte, lo coglieva un'insana sensazione claustrofobica. Il pavimento di pietra scura e le pareti decorate con piastrelle d'ardesia verde scuro infondevano un aspetto oltremodo lugubre alla stanza. La mobilia, del resto, completamente di ebano salvo una piccola mensola di mogano scuro che cozzava orribilmente con l'arredo cupo, non garantiva un effetto molto più salubre. Non sarebbe riuscito a lavorare in quelle condizioni opprimenti nemmeno se ne fosse dipesa la sua stessa vita. Provò un improvviso moto nostalgico per il suo vecchio ufficio al piano di sopra, con le ampie vetrate che davano sul lago e irradiavano l'intero ambiente di luce.

Dopo pochi istanti, Piton si avvicinò reggendo un enorme tomo dalla copertina scura fra le braccia. Lo posò sulla scrivania e iniziò a sfogliare rapidamente le pagine.

«Sei sempre stato un pessimo pozionista, Lupin» commentò acido. «Non credevo fossi a conoscenza di una così rara malattia».

«Colpisce prevalentemente licantropi, Severus» gli ricordò Remus con un sorriso sghembo, avvicinandosi a lui e allungando il collo per osservare il libro. «Sono più competente di quanto pensi, a riguardo. Ciò che volevo, era una tua conferma».

«L'hai avuta. Se i sintomi sono proprio quelli che mi hai riferito e se il morbo si è manifestato in un villaggio di mannari, le probabilità che si tratti della Morte dei Re sono elevate. Esattamente quanto quelle di morire per chi la contrae».

«Devo sapere se esiste una cura, Severus».

Piton sollevò gli occhi scuri dal libro per poterlo fissare con superbia. «A tutto può esistere una cura, Lupin. La nobile scienza delle pozioni studia in ogni anfratto della vita e in ogni mistero della morte e, con il trascorrere del tempo, si rafforza con nuove scoperte e conoscenze».

«Non è una caratteristica delle sole pozioni quella di evolversi nel tempo, Severus» ribatté pacato Remus. «Ogni cosa risente della modernità. Se non si camminasse accanto agli anni nei quali si vive, non si vivrebbe affatto».

«È tipico di voi Grifondoro» sbottò con una smorfia Piton, aprendo finalmente il libro in una pagina precisa, «predicare bene e razzolare male».

Remus lo guardò in tralice ma Piton non gli concesse il tempo di rispondere.

«La regalis morbus» iniziò, «viene descritta in diversi trattati del druido Asfodelo, già nel V secolo a.C. La chiama ''la dimostrazione della misericordia divina'', l'ineluttabile prova che il dio Dagda, guardiano del genere umano, protegge i proprio figli».

«Ho come l'impressione che Asfodelo non avesse buoni rapporti con i licantropi del nord» scherzò Remus, meritandosi un'occhiata annoiata da parte dell'ex-collega.

«Colpì indistintamente mannari di ogni sesso ed età per decenni, diffondendosi rapidamente anche nel resto dell'Europa. E, di nuovo, Asfodelo parla di un miracolo di Dagda. Le vittime si aggirarono attorno ai tre milioni».

«Tre milioni?» esclamò incredulo Remus. «Stai scherzando?»

«Ho la faccia di uno che scherza, Lupin?» borbottò acido Piton. «Ho di meglio da fare che-»

«Non dice nulla circa antidoti e incantesimi di guarigione?»

Piton inarcò stizzito un sopracciglio. «Se tu mi facessi finire...»

«Ma non ho molto tempo, Severus».

L'altro mago sbuffò nervoso. «Sei irritante».

«Ti prego».

«E mieloso» aggiunse apatico. «Quattro secoli dopo la prima epidemia, pare abbia colpito le zone meridionali, diffondendosi rapidamente dalla Grecia e l'Italia fino al Medio Oriente. Uno scrivano islamico di nome Abdèra raccontò di aver visto un anziano sciamano del nord compiere strani rituali attorno ad un mannaro appestato. I segni rossi che erano comparsi sul suo corpo svanirono con la rapidità con la quale erano comparsi».

«Strani rituali hai detto?»

Piton annuì. «Non dire ciò che stai pensando. L'alchimia non c'entra niente».

«Come facevi a sapere cosa-?»

«È la risposta più ovvia. Ed errata».

«Come fai ad essere certo che non fosse un alchimista?»

«Lupin, sii ragionevole. Guarire un moribondo con l'alchimia può essere possibile sono grazie alla pietra filosofale. E, come mi auguro tu sappia, è stata creata solo diversi secoli dopo da Nicolas Flamel».

«Ma se avesse davvero realizzato la pietra e quella si fosse rivelata l'unico espediente per eliminare il Sigillo dei Peccatori...» borbottò pensieroso Lupin. «La pietra filosofale non esiste più, dunque non-».

«Non è necessario ricordarmelo, Lupin, visto che ho contribuito a distruggerla» lo liquidò velocemente Piton. «Spera solo non si tratti di alchimia».

«Una sorta di esorcismo?»

«Lupin, non diciamo sciocchezze».

«Non sono sciocchezze, Severus, questa è magia molto antica. Non esistono fonti abbastanza attendibili per escludere una certa ipotesi piuttosto che un'altra».

Piton lo guardò dall'alto al basso.

«Tu saresti in grado di fare un esorcismo?»

«No, ma-»

«Perfetto. Allora dovremmo trovare una cura che non sia l'esorcismo. Non è così complicato, Lupin».

Remus alzò gli occhi al cielo, ravvedendosi dall'aggiungere altro.

«Scoppiò di nuovo attorno alla metà del XIV secolo, in Francia. Arrivò rapidamente in tutte le zone del continente, fino ad oltrepassare le catene russe e seminare il terrore fra i clan orientali dei mannari. Nessuno pareva in grado di trovare una cura».

«Non ci sono testi che parlano di guarigioni miracolose? Di casi unici, magari?»

«Una mannara serba fu visitata da un medico girovago che cosparse i tatuaggi con un intruglio di erbe aromatiche che nessuno aveva mai visto. La giovane guarì dopo pochi giorni».

«Un infuso di salvia e genziana e un Incantesimo che si opponesse alla magia nera?»

L'angolo destro delle labbra di Piton si mosse appena. «Sarebbe possibile solo nel caso in cui il morbo stesso fosse stato creato da un mago. Se l'infezione non fosse altro che una forma di artefatto oscuro, allora è probabile che un simile incantesimo unito al potere curativo della salvia e della genziana possano allontanarlo. Tuttavia...»

«È troppo semplice».

Piton annuì. «Mi duole dirlo, ma sono d'accordo con te. Se debellare quella malattia fosse stato così semplice già nel 1350, a quest'ora avremmo potuto acquistare il suo antidoto a Diagon Alley come fosse sciroppo per la tosse».

Lupin sì appoggiò alla scrivania e sospirò affranto.

«Dannazione...» imprecò sottovoce. «Deve esserci un modo per eliminarla».

«1785, Perù» continuò a leggere Piton, la fronte aggrottata per la concentrazione. «Sulle braccia di due bambini mannari compaiono strani segni rossi. Tentarono una trasfusione di sangue, che idioti. Hanno solo anticipato la loro morte».

«Il morbo si diffonde da mannaro a mannaro...» ragionò ad alta voce Lupin.

«Ed è altamente contagioso. Se tu fossi già stato infettato, ti basterebbe parlare con un altro mannaro ad una trentina di centimetri di distanza per contagiare anche lui. E viceversa, Lupin».



«Devi tornatene a Londra? Ma poi torni?»

«Non preoccuparti, Calima. Sarò di ritorno prima di Greyback».

La giovane si alzò sulle punte dei piedi e gli scoccò un bacio gentile sulla guancia.

«Torna presto, forestiero del Sud».



«Calima è stata la prima su cui sono comparsi quei segni. La gamba destra di Yurk è diventata tutta gonfia e pulsante, e Glask è così stremato, in questi giorni, che non riesce più a sollevare i ceppi per i falò. Chilone continua a parlare di punizione divina, ma Rouge si convinta che la tua magia umana possa aiutarci».



«Escludiamo tutte le pratiche classiche antiche» continuò Remus, convogliando la propria attenzione lontano dalla parte emotiva di sé. «Se pratiche come l'uso di amuleti e talismani avessero funzionato, ne esisterebbero le prove».

«Niente riti esoterici o comuni piante dai poteri curativi. E questo esclude salvia, genziana, rosmarino e Mandragola. Perfino i poteri di Fanny si rivelerebbero inutili: le lacrime della fenice non sono in grado di eliminare le infezioni dalle cellule» aggiunse Piton, grattandosi distrattamente il mento appuntito.

«Una particolare sostanza che aiuti l'organismo ad espellere le cellule impure?» ipotizzò Remus. «Come il Tasso Barbasso o il Rabarbaro?»

Piton lo guardò incredulo.

«Stai parlando di rimedi contro calcoli renali e gastriti, te ne rendi conto?»

«Sto solo analizzando tutte le nostre possibilità».

«No, stai sprecando tempo ed energia» ribatté freddamente l'altro. «Tanto vale cercare nel grimorio di medicina casalinga contro pidocchi e orecchioni di Molly Weasley».

«Cerchi magici?»

«Mi pareva avessimo escluso la magia antica» constatò Piton. «I cerchi magici hanno più di cinquemila anni».

«Ed eliminiamo anche la trasfigurazione delle cellule malate, in quanto il corpo umano è un elemento fisico inalienabile».

Piton sollevò lo sguardo su di lui e lo fissò con attenzione qualche secondo.

«Stai di nuovo pensando a quello sciamano che guarì quel mannaro islamico» decretò infine. «Ti ho già detto che-»

«Non pensavo a lui» lo corresse Remus. «Non completamente, almeno».



«Severus?»

«Cosa vuoi ancora?»

«Argento».

«Cosa?»

«L'argento e la luna» continuò imperterrito Lupin, mentre un'idea assurda gli balenava improvvisamente per la testa».

«Lupin, stai vaneggiando di nuovo».

«È come hai detto tu. Se non esistono cure per una data malattia oggi, non significa che queste non verranno scoperte domani, giusto?»

«Ma che accidenti stai-?»

Remus afferrò con fare febbrile il grosso libro e cominciò a sfogliarlo rapidamente, saettando a destra e a sinistra con lo sguardo.

«Nessuno ha mai studiato questa malattia, Severus, è questo il suo segreto!»

«Cosa?»

«Non esistono informazioni perché nessun mago si sarebbe mai preso la briga di studiare una cura per una malattia mannara e, dall'altra parte, loro non possiedono sufficienti nozioni magiche per trovarla. Nemmeno Damocles Belby si era avvicinato a studiarla, mentre faceva ricerche sulla Pozione Antilupo».

«Di quale pratica stai parlando?»

«Oro e argento. Antica alchimia del sole e della luna».

Piton lo fissò silenzioso qualche secondo.

«Sei impazzito, Lupin» commentò infine con disprezzo. «L'argento è la maniera più rapida per uccidere un mannaro, non certo per guarirlo. Credevo fossi a conoscenza di questa tua... allergia» aggiunse mellifluo.

«È per questo che non ho mai amato Pozioni. Troppi attrezzi pericolosi e taglienti».

Piton si massaggiò stancamente la fronte.

«Fammi capire» iniziò piano. «Vuoi iniettare dell'argento liquido nel corpo di un mannaro affetto dalla Regalis Morbus? Ti rendi conto di quanto ciò che hai detto sia stupido?»

«Nessuna iniezione di argento» continuò Remus, mostrando a Piton la pagina che aveva appena aperto. «Le malattie dei licantropi sono molto diverse da quelle degli esseri umani. Io non ho mai avuto l'influenza, ad esempio, ma a tredici anni contrassi una strana malattia che mi aveva riempito spalle, ginocchia e gomiti di sconosciuti punti bianchi».

«Molto interessante» disse Piton, con l'aria di chi pensa esattamente il contrario.

«Perché la Morte del Re colpisce solo i licantropi?» continuò imperterrito Remus, agitando febbrilmente le braccia davanti al viso annoiato del vecchio collega.

«Evidentemente nella sua composizione chimica deve esserci qualcosa che il loro organismo non riesce a tollerare».

«Esatto» concluse con decisione Remus. «Qualcosa come l'argento».

Piton continuò a scuotere il capo. «E credi di eliminare qualcosa di similare all'argento con dell'altro argento?» domandò stupito. «Porrai semplicemente fine alle sofferenze dei malati con discreto anticipo».

«Niente argento. Solo oro».

Alzando gli occhi al cielo e sbuffando scocciato, Piton emise un verso irritato.

«Lupin, ti ho già detto che l'alchimia non-»

«Non è alchimia, è logica» ribadì Remus con fermezza. «Se al fuoco opponi l'acqua, questo si spegne, giusto? E se all'ombra opponi la luce, questa finisce per sparire».

«Grazie per la delucidazione, non me ne ero mai reso conto» sbottò astioso. «Se all'argento unisci l'oro, i due elementi si respingono senza dare origine a nessuna reazione. Né di tipo chimico, né di tipo alchemico. Sono gli opposti perfetti degli elementi dei pozionisti, Lupin, non-»

«Esatto, si respingono. L'oro respinge l'argento, e viceversa».

«Non funzionerà, a meno che-» Piton s'interruppe bruscamente, sgranò gli occhi e fissò intensamente Lupin. «A meno che quei segni rossi non siano solo una semplice manifestazione allergica» concluse. «A meno che non nascondano il punto d'origine della malattia stessa».

«Dimentichi che sono rossi».

«Le reazioni alchemiche legate all'oro diffondono generalmente una luce tendente al rosso...» ponderò Piton. «È per questo motivo che gli antichi druidi l'hanno definito il metallo del sole».

«E l'argento della luna, in quanto la sua luce è bianca».

«Stai dicendo che il semplice fatto che quei segni siano rossi, dimostra che nella composizione del virus portatore della malattia c'è... dell'oro

«Non lo sto dicendo, lo sto ipotizzando per poterti chiedere conferma. Sei tu l'esperto di pozioni».

«Questo va ben oltre le mie conoscenze come pozionista, Lupin» fu costretto ad ammettere con una smorfia indispettita Piton. «Questa è alchimia antica. Molto antica».

«Se quei segni provassero la presenza dell'oro» continuò l'altro, «significherebbe che il virus è già instabile, in quanto contiene in sé due elementi che, per natura, sono portati a respingersi».

«Probabilmente».

«Perciò, aumentando la concentrazione dell'oro potremmo respingere l'argento. Il virus, sprovvisto della sua quantità di argento, non riuscirebbe più ad influenzare il corretto svolgersi delle attività».

«Quella giovane mannara ha tossito sangue, prima della comparsa dei tatuaggi» commentò Piton. «La tua teoria non sa spiegare questo».

«Il virus deve essersi stabilito in un organo collegato all'esofago. Sono propenso a credere che sia nei polmoni, tuttavia. Nell'ultimo periodo, Calima aveva spesso il fiatone».

«Questo spiegherebbe il motivo per il quale nessun altro mannaro abbia ancora tossito sangue, sebbene contagiato dal morbo».

Remus annuì.

«Il virus cambia il punto da cui si dirama da organismo ad organismo. Aulos mi ha riferito che un mannaro ha avuto recentemente dei problemi alla gamba destra».

«Dunque i segni rossi si farebbero meno fitti attorno al punto nel quale il virus si è insidiato».

«Sì. In un organismo mannaro, l'argento si fortifica quanto il corpo s'indebolisce. Facendosi più forte, respinge l'oro nel punto più distante. Se il virus è nel braccio destro, con tutta probabilità i tatuaggi saranno più fitti nella gamba sinistra; se il virus è nelle caviglie...»

«Il volto del mannaro sarà ricoperto di tatuaggi» concluse Piton per lui. «Come favola si regge abbastanza bene, Lupin. Ma per scoprire se si regge anche come teoria scientifica, bisogna provare».

Remus annuì. «Ho intenzione di tornare a Jura al più presto».

«Per contrarre la malattia a tua volta? Non potevi avere un'idea più intelligente».

«Devo chiederti un altro favore, Severus».

«Sì, puoi usare dei Galeoni» lo anticipò con freddezza Piton.

«Non è buona educazione sfruttare impropriamente l'arte della Legimanzia» ribatté con un sorriso divertito Remus.

«Non lo è nemmeno irrompere negli uffici altrui con l'assurda pretesa di salvare un villaggio di mannari, Lupin».

Remus gli rivolse un sorriso di gratitudine.

«Potrebbe essere la seconda volta che mi salvi la vita, Severus. Ti senti bene?» scherzò.

«Dimentichi sempre, Lupin» ribatté acido l'altro, «che prima di essere un professore di Pozioni, sono uno studioso. Non mi sarei lasciato scappare l'opportunità di assistere ad un esperimento così assurdo per tutti i Galeoni della Gringott».

«Ti ringrazio, Severus» si congedò Remus.

«Oh, Lupin, un'ultima cosa».

«Dimmi».

«Quando il tuo istinto da Grinfondoro ti farà ammazzare, ricordati almeno di lasciare detto a qualcuno dove possiamo trovare il tuo cadavere. Non ho certo voglia di rivoltare un'isola grande come Jura solo per concederti una degna sepoltura».

«Grazie, Severus. Ho recepito il messaggio».

°°°°°°°





Con le gote arrossate, la fronte bollente e i capelli aderenti al viso pallido, Calima tentò di sollevare lo sguardo appannato verso la figura rigida e composta di Rouge, inginocchiata al fianco del pagliericcio sul quale avevano disteso la giovane.

«Ro...Rouge» boccheggiò roca.

Lei sollevò il capo dalle mani e le rivolse un'occhiata spaventata.

«Non muoverti» le intimò cauta. «Riabbassa il capo».

«Rouge... non-»

Rouge le fece cenno di tacere. «Devi riposare».

«Non... non dovevamo... tradire Selene...» biascicò senza fiato la giovane.

«Chiudi la bocca e dormi» ordinò spazientita Rouge. «Ti salverai, che Selene voglia o no».

Non le permetterò di uccidere il mio popolo.











Non mi dilungherò troppo in inutili preamboli. Vi basti sapere che sono cinque anni che arranco per la sufficienza in chimica e che ben poco di quello che compare in questo capitolo (credo) è stato estratto da libri scientifici.

Ho letto che a molti dispiace per Calima. Ora, non desiderando i passare per una sconosciuta entità perversa e malvagia, mi preme informavi che anche a me dispiace. Un pochino.

Ho avuto anche qualche ripensamento, verso gli ultimi capitoli, ma, purtroppo, il dado era già tratto. Senza contare che desideravo sguinzagliare una malattia a Jura dal quinto capitolo.

E, visto che qualcuno doveva pur contrarlo per primo, chi meglio di una ragazzina vivace come Calima? Il dubbio era fra il povero Alceus (ma poi non avrei potuto sfoderare Aulos in questo capitolo) e Trick (mi serve ancora e poi ho paura che facendo qualcosa a lui poi, per omonimia, la sfiga arrivi pure da me).



SakiJune: >D («Certo che posso farlo, la storia è mia. E poi senti chi parla»). Non volevo passare per un mostro senza cuore ma, purtroppo, prima o poi arriva il momento in cui qualcuno ci deve lasciare le penne per forza. Potrebbe essere ora, come potrebbe essere dopo, tuttavia. ^^ Mi piace leggere commenti sofferenti, questo è il vero motivo di tanto sadismo. >D Non è vero, sono estremamente dispiaciuta. Dico sul serio. Per quanto riguarda l'ingrato destino di Calima... no, non posso farlo. La sto facendo silenziosamente soffrire da troppi capitoli per rovinare l'attesa. Potrebbe uccidermi. ^^ Un grazie gigantesco e un bacio verso il prossimo capitolo. Il destino di Calima si deciderà all'alba del quarantesimo. (Sono troppo poetica, oggi...°__°)

rolly too: Ti ringrazio, sono contenta ti sia piaciuta la prima parte del trentasettesimo capitolo, è stata fra le più difficili da scrivere. I tuoi complimenti finiranno per farmi svenire, inoltre...^^ ti ringrazio ancora una volta, sperando che il prossimo capitolo non delude le aspettative di nessuno.^^

hermionegranger: Hai letto quaranta capitoli tutti d'un fiato? Accidenti, vacci piano! È morta molta gente, cercando di farlo!^^ Idiozie a parte... sono felicissima che ti sia piaciuta, e spero altrettanto ti piaccia il seguito. Grazie mille.

Nina92: ti ringrazio, spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo.

lyrapotter: A quanto pare sì, l'ispirazione è momentaneamente tornata. Sono davvero lieta che il tanto atteso ''ti amo'' piaccia così tanto. A me stava per venire il diabete mentre scrivevo, tanto mi pareva mieloso. Dev'essere la solita mania di sadismo che colpisce gli scrittori di fan fiction dopo i primi capitoli. Più i tuoi personaggi soffrono, più ti senti appagato, è la regola. Pensavi fosse Rouge e... no, no, no. Sbaaaaaaagliato.^^ Rouge non abbandonerebbe mai la sua giovane amica in quelle condizioni. E poi, volevo introdurre i nuovi personaggi che, poverini, fra una cosa e l'altra hanno avuto decisamente una parte marginale. Sì, è tragico da dire, ma non sono proprio portata per la nobile arte della guida. Spero che il Fato sia più misericordioso con te...v__v Buona fortuna, un bacione.

Lily_Snape: Devo dire che la versione ''Remus in cucina'' è estremamente bella. Non so se ricordi, ma nella prima riunione nella quale Rouge annunciò ai mannari le sue intenzioni rivoluzionarie, era comparsa una giovane mannara dai corti capelli scuri e il viso rotondo. Lei è Tyne, una giovane del branco. Allora non ebbi modo di mostrarvela meglio ma, da adesso in poi, sarà molto più presente.

Debby93: Sperate tutti quanti che Calima non muoia... *Trick ragiona rapidamente* Vedrò che posso fare per lei...^^ Sono contenta che il capitolo scorso ti sia piaciuto e spero continuerai a seguirmi.

Kikkina90: A me, al contrario, Lynn intriga. E, cavolo, visto che piace a pochi, avrete un bel po' da... *Trick si tira un pugno alla bocca dello stomaco per zittirsi*. Dicevo...^^ Con la speranza che anche il trentottesimo ti piaccia, grazie mille.

roby the best: ti ringrazio, spero ti piaccia anche questo! Un bacio.

fennec: ''Ho visto che non hai perso il vizio di terminare i capitoli nei momenti più critici''. *Trick arrossisce a china mortificata il capo*. Questa volta, però, sono riuscita a non farvi stare troppo sulle spine, è da considerare come un punto a mio favore?^^ Non preoccuparti, il passato di Rouge non rimarrà un mistero ancora per molto. No, non sono cattiva da mandare Fenrir Greyback all'appartamento di Tonks, nel momento meno appropriato della giornata, oltretutto... non lo sono ancora diventata, almeno. *risata sadica*

puciu: Se mi avessero dato un centesimo per ogni parola con la quale hai recensito, oggi sarei in competizione con la Rowling per il trono di più ricca donna del mondo!^^ Sei tornata da Malta? Beata te, io sono appena tornata da un allucinante fine settimana al mare, e ho concluso il capitolo dopo... ehm... tipo trentasette ore di veglia, quindici caffè di cui tre americani in bicchieri grandi e due pacchetti di sigarette terminati per eccessivo stress. Ho rischiato un infarto e sono finita in depressione nel tentativo di seguire i miei amici in giro per orripilanti discoteche piene di gente priva di personalità e stile. È dura la vita per i pochi che riescono ancora a divertirsi senza sballarsi con le note dell'Imbezil-Music. Bando alle ciance, o finirò per annoiarti.

«Inutile specificare chi penso abbia ragione, vero?», «Per Lynn, è ovvio» risponde Trick con ovvietà. Alfonso Urecha alza di nuovo gli occhi al cielo, prima di essere colpito da un mouse volante non identificato.

Sapevo che anche tu apprezzavi Calima. Il fatto che piacesse a così tanti è stato uno dei motivi principali per cui è stata la prima ad essere contagiata dalla malattia. *risata crudele e ditone in direzione di Alfonso, giusto per ricordargli che comando io. (lui non era d'accordo alla malattia. Parlava di un Greyback che fa ammenda e diventa buono, di un Voldemort che capisce i suoi errori e si scusa con Harry Potter per le terribili sofferenze che ha causato e di un James Potter e una Lily Potter che risorgono improvvisamente... l'ho sopportato fin quando non ha consigliato un eroico ritorno dal Velo da parte di Sirius Black, una cavalcata a Jura in sella a Fierobecco e un ricongiungimento con il suo vero amore. Ora, visto che il mio animo di Wotcher Wolfie è, dopo la loro dipartita in DH, ancora piuttosto scosse, scoprire che Alfoso è un Wolfstar non dichiarato, mi ha quasi uccisa. Ho cercato di scuoterlo per fargli cambiare idea ma è stato un fiasco. Continuava a parlare di quell'abbraccio nella Stamberga nel POA. Maledetti sottintesi.

Un consiglio: non prendere le sue difese. Sotto quel maledetto pelo rosa shocking e quella faccina felice (l'avevo preso perché mi ricordava Tonks, oltretutto, e lui mi ha tradito per il suo peggior rivale in amore!) si nasconde un demonio.

Con un bacio estremamente logorroico, ti lascio speranzosa alla prossima, massacrante recensione.



Un grazie rivolto, come sempre, a tutti coloro che apprezzano e leggono le mie storie.

Al prossimo capitolo,

Trick



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Capitolo 40
*** Capitolo Trantanovesimo - Che sia un addio? ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO TRENTANOVESIMO

Che sia un addio?

°°°°°°°






Un solo pensiero continuava a troneggiare sulla mente febbrile di Remus, mentre, trafelato e con il respiro mozzo, saltava gradino dopo gradino le rampe di scale che conducevano all'appartamento di Tonks.

Monete d'oro.

Alchimia del sole e della luna.

L'unica, inspiegabile eccezione alla regola fisica che portava cariche positive a respingere i loro simili e cariche opposte ad attrarre convulsamente l'avversario. L'argento, il metallo simbolicamente – e ironicamente, aggiungerebbe un licantropo – accostato al simbolo alchemico della Luna e l'oro, prezioso nella sua composizione quanto nell'aspetto, parificato per millenni alla magnificenza del Sole potevano rivelarsi la sola salvezza di Jura.

Più ripeteva mentalmente la teoria alla quale era giunto nei sotterranei di Hogwarts, più questa gli appariva cristallina quanto l'acqua del Lago Nero. Nemmeno quella timida vocetta coscienziosa che – come tante volte negli anni di scuola – cercava di riportarlo con i piedi stabilmente ancorati al suolo, riusciva ad abbattere le sue ferree convinzioni con la consapevolezza di quanto assurde e azzardate esse fossero.

Avrebbe funzionato, maledizione, non poteva fallire.

Non doveva fallire.

Colpì frenetico la porta e attese ansioso che Tonks – o Aulos, se questi era sopravvissuto allo sfogo umano ed esuberante della giovane – venisse ad aprire, battendo nervosamente il piede destro sul pavimento.

«Chi è?» domandò la voce tesa di Tonks dall'interno.

Remus la immaginò stringere con forza l'impugnatura della bacchetta e piegare le ginocchia come insegnavano all'Accademia per Auror, pronta a respingere un eventuale attacco nemico. Fece uno sbuffo divertito all'idea.

«Remus».

«Non è detto».

«Lunastorta».

«Scontato».

«Mannaro».

«Ritenta».

«Professore».

«Fiato sprecato».

«Gelato alla fragola».

Un rumore metallico anticipò la lenta apertura della porta, interrotta, tuttavia, dopo pochi istanti. Remus intravide il viso a forma di cuore di Tonks affacciarsi da un misero spiraglio luminoso.

«Hai dimenticato quello al cioccolato» mormorò piano. «Non si fa niente, senza entrambi».

Sorridendo appena, Remus attese di vedere la porta completamente aperta.

°°°°°°°





«Hai trovato un rimedio?» esclamò Aulos con gli occhi sgranata dallo stupore, mentre il viso scabro si illuminava di gioia. «Lo sapevo, sapevo ci saresti riuscito!»

«Cosa... cosa significa che te ne vai?» aveva invece bofonchiato Tonks alle sue spalle. All'annuncio che entrambi i mannari sarebbero ripartiti per l'isola di Jura immediatamente, era impietrita. Sapeva che Remus non sarebbe potuto restare a lungo a Londra – e Aulos tantomeno – ma, una piccola e speranzosa parte di lei aveva continuato a illudersi che la sua permanenza sarebbe stata, se non eterna, perlomeno più duratura.

Remus le lanciò un'occhiata obliqua e abbassò con fare colpevole il capo. «So che avevo progettato di partire solo domani, ma-»

«Ah, è fantastico! Fantastico!» continuava ad esultare Aulos. Fece una piroetta sui grossi e muscolosi polpacci e afferrò il piccolo Merton, appollaiato tranquillo sul suo trespolo. Il piccolo volatile emise un verso di chiara disapprovazione ma il giovane mannaro, nel pieno dell'estasi e della contentezza, preferì scoccargli un sonoro bacio sulla testolina pennuta, piuttosto che lasciarlo dormire. «Hai sentito, piccolo gufetto? Bizèt ha la soluzione!» urlò infervorato. «Allora, quando partiamo per-?» s'interruppe improvvisamente nel vedere l'ombra cupa comparsa sul volto di Remus. Dopo aver lanciato un'occhiata curiosa anche a Tonks, seminascosta dalle spalle dell'uomo, fece una smorfia preoccupata.

«Io e il gufetto andiamo in quella strana stanza con i sacchi morbidi e colorati» tagliò corto. «Noi... ehm...» balbettò, fissando la creatura come se questa potesse avere il potere di aiutarlo a sviare da una situazione così imbarazzante.

Merton, per tutta risposta, si limitò a gonfiare le piume attorno al collo e a sibilare stizzito.

«Grazie, Aulos» lo tolse dagli impicci con voce sottile Tonks. «Sei molto gentile».

Il giovane annuì rapido una volta, prima di svanire oltre la porta del salotto. Rimasta finalmente sola con Remus, Tonks lo afferrò per un braccio e lo costrinse a voltarsi. Sebbene lui si ostinasse a fissare qualunque cosa non fosse il suo viso, non le sfuggì il bagliore fosco che aveva oscurato i suoi occhi ambrati.

«Hai davvero trovato un antidoto?» chiese infine.

Lui sollevò lo sguardo e la fissò intensamente qualche secondo.

«Non ne sono sicuro» ammise amaro. «Non lo è nemmeno Severus, e certo le sue conoscenze sono migliori delle mie».

«È una malattia... grave, non è così?» continuò Tonks, nonostante la domanda originale implicasse l'uso della parola mortale, e non soltanto grave.

Remus annuì angosciato. «Estremamente grave. E per questo che-»

«-non puoi permetterti di restare, certo» lo anticipò con un sorriso mesto Tonks. «Sei un Grifondoro, dopotutto, non puoi certo abbandonarli in difficoltà».

Remus trasalì un attimo di fronte alle sue parole dure. «Non sto giocando a fare l'eroe, Ninfadora» ribatté aspramente, stupito dal comportamento della giovane. «Ma non posso permettermi-»

«-di non aiutarli. Remus, ho capito» riprese imperterrita, incrociando le braccia al petto e superandolo con fare altezzoso. «Non c'è davvero bisogno che continui a ripetermelo».

«Sapevi che non sarei potuto rimanere» le disse pacato, avvicinandosi a lei e sfiorandole con dolcezza le spalle. «Sapevi che ci stavamo illudendo entrambi».

Le sopracciglia di Tonks salirono così in alto che quasi scomparvero sotto i ciuffi di capelli scoloriti che le ricadevano davanti agli occhi. Si voltò di colpo e lo fronteggiò risoluta.

«Che significa questo, Remus?» sibilò gelida. «Stai già ritrattando quello che mi hai detto prima? Hai già ripreso in considerazione la possibilità di amarmi o meno? Stai già pensando-»

Le labbra di lui si impossessarono della sua bocca prima che potesse terminare il discorso. La sua mano sinistra salì a stringerle con decisione la nuca, mentre le dita della destra incendiavano la parte di pelle scoperta del fianco sinistro di Tonks. Lei strinse le braccia attorno al suo collo con forza, affondando le mani fra i capelli striati e perdendosi nell'enfasi agitata e bisognosa di quel contatto. Avrebbero potuto restare così per l'eternità, se solo gli fosse stato concesso.

Se solo il destino non avesse preferito farsi beffa della loro sofferenza.

Quando lui, dannatamente controvoglia, si allontanò dalla sua bocca, i suoi occhi ambrati parevano brillare di passione. Fissò ogni dettagli del viso della ragazza, dalle sottili sopracciglia scure all'estremità leggermente appuntita del suo naso, fino alle gote arrossate e alle sue labbra invitanti, quasi volesse imprimere quell'immagine nel profondo della sua memoria.

Gettando con slancio le braccia attorno a lui, Tonks si strinse con impeto al suo petto, affondando il volto nella camicia e nel suo profumo magnetico.

«Ti prego...» biascicò piano, serrando con le dita la vecchia stoffa candida. «Non posso vivere senza di te».

Allungando le braccia verso di lei, Remus le carezzò piano la testa, chinando il capo fino a racchiuderla completamente con il suo corpo. Chiuse gli occhi e sospirò affranto.

«Io ti amo, Ninfadora. Più della mia vita. Ma...» s'interruppe, mordendo con forza il labbro inferiore. «Ma è proprio per questo, perché ti amo, che non posso, non voglio permetterti di amarmi».

«Stupido» ribatté in un mormorio contrariato lei. «Così finiremo entrambi per morire circondati dai rimpianti».

«No» si affrettò a contraddirla Remus. «Non è il tuo destino. Troverai un uomo con cui dividere la tua vita e con lui, finalmente, avrai la felicità che meriti. Io non sono altro che un reietto, Ninfadora, una creatura maledetta. In me non c'è nulla di ciò che vai cercando».

Aveva parlato piano, lentamente, tentando di non mostrare quanta rabbia, in realtà, gli ribolliva dentro al solo pensiero di doverla lasciare a qualcun altro, qualcuno che non avrebbe rischiato di ucciderla ad ogni dannato plenilunio, qualcuno con il quale non avrebbe dovuto patire la fame e sopportare i pregiudizi della gente.

Qualcuno più meritevole del suo amore.

Tonks si allontanò da lui quel tanto che bastava per permettergli di scorgere una silenziosa lacrima rigarle il volto a forma di cuore. Lei si issò sulle punte dei piedi nudi e gli lasciò un tenero e castissimo bacio sulle labbra.

«Tu sei tutto ciò che ho sempre desiderato» mormorò con dolcezza, facendo scivolare un indice lungo la sua mandibola. «Puoi fuggire lontano finché ti pare, Remus, ma non puoi essere così sciocco da credere che potrei desiderare qualcuno diverso da te. Io ti amerò per sempre».

«È sbagliato, Ninfa-» tentò di protestare Remus, ma, questa volta, furono le labbra di lei a bloccare ogni possibile contrattacco.

«Non è vero» mormorò lei, scendendo verso il suo mento. «È esaltante».

«È sconveniente» mugugnò lui fra un bacio e l'altro, afferrandola con delicatezza e alzandola fino alla piccola cassettiera che, sola, arredava il caotico ingresso. «Se il Ministero potesse provare che tu-»

«-che io me la faccio con un licantropo?» ridacchiò contro le sue labbra Tonks. «Devono sono provarci... li faccio tutti secchi».

Con un sorriso indulgente, Remus posò la sua fronte contro quella di lei, cercando la stretta rincuorante delle sue mani. Rimasero così qualche minuto, in silenzio, limitandosi entrambi a scongiurare Merlino che all'altro non accadesse nulla di spiacevole.

«Cosa farai...» iniziò titubante Tonks, mordicchiandosi nervosamente le labbra, «...cosa farai se la cura che tu e Piton avete trovato non dovesse funzionare?»

Remus alzò lo sguardo e la fissò negli occhi ansiosi, incapace di rispondere.

«Non lo so» tagliò corto.

«Tornerai qui, vero?» riprese lei, stringendo angosciata le sue mani. «Promettimi che non farai niente di eroico e stupido».

Lui tacque.

«Promettimi che tornerai da me, Remus».

«Non è più il tempo delle promesse, Ninfadora» fu la sua triste risposta.

°°°°°°°







«Fortuna che non se ne è andato troppo in giro!» gridò Aulos, cercando di farsi sentire oltre il rumore tagliente delle grandi ali del Pegaso e il fruscio del vento. «Ma davvero gli umani non li hanno mai visti?» s'informò curioso.

«Quante volte hai ancora intenzione di chiedermelo?» domandò Remus alle sue spalle, stringendo con forza il suo mantello e lanciando un'ultima occhiata alle luci lontane di Londra. Era stata una partenza a dir poco travagliata: Alastor Moody, giunto al parco di Saint Jacques per aiutare Arthur Weasley ad Obliviare i Babbani prima che qualche indiscrete orecchie lo venissero a sapere, lo aveva afferrato per la collottola e aveva urlato qualcosa a proposito della sua mancanza di criterio. Aveva anche aggiunto qualcosa circa il dispiacere di avergli già consegnato la pistola con le pallottole fatali, perché, infuriato com'era, gli avrebbe volentieri riempito il cervello di argento. Il più avvenne quando, dopo il repentino decollo di lui e Aulos, il giovane non affermò di non aver ancora visto tutte le grandi case degli umani e, avendo promesso al piccolo Trick che gliele avrebbe descritte, si era quasi gettato nel Tamigi, entusiasta di scoprire quel baluginante universo sconosciuto.

L'unico colpo di fortuna fu opera di Arthur. Infilando con disinvoltura un pezzetto di pergamena nella tasca del mantello di Remus, gli strizzò un occhio con aria complice, mormorandogli che proveniva da Kingsley.

Aveva fatto in tempo ad entrare negli archivi del Dipartimento.

Presto, i sospetti che Remus nutriva da un paio di settimane avrebbero finalmente smesso di tormentarlo.

«Sono proprio un popolo strano» dichiarò con assolutezza Aulos, mentre volavano indisturbati sopra al Lancashire. «La tua compagna mi ha perfino insegnato uno stranissimo gioco con dei pezzi di carta disegnata e delle pietruzze colorate. Non avevo mai visto niente del genere, giuro».

«Pezzi di carta e pietruzze?»

«Sì» annuì Aulos. «Con dei disegni strani. Tipo i re e le regine, ecco. Non vedo l'ora di insegnarlo agli altri».

Remus alzò gli occhi al cielo, felice di essere seduto dietro la schiena del giovane e, quindi, di poter passare inosservato.

«Poker...» mormorò sconvolto, schiaffandosi una mano sul volto stanco. «Adesso mi toccherà spiegare a Greyback per quale motivo il suo branco è diventato improvvisamente fanatico di gioco d'azzardo».

«È molto carina» disse Aulos dopo qualche minuti di silenzio.

Remus sollevò il capo confuso e fissò perplesso la chioma svolazzante del giovane.

«Cosa?»

«Quell'umana» rispose con ovvietà. «E, fidati, detto da... be', uno come me, è un ottimo giudizio».

Remus soppesò vagamente sulle sue parole.

«Non c'è niente di strano in te e Alceus» disse infine. «Non dovreste vergognarvi di essere ciò che siete. Semmai, è il resto del mondo a dover iniziare a rivedere le sue regole».

Non sentendo alcuna risposta, Remus temette di aver detto qualcosa di inopportuno. Si affrettò a scusarsi con il giovane ma questi, anticipando la sua mossa, mormorò riconoscente: «Grazie, Bizèt».

Remus sorrise e, sebbene non potesse esserne certo, avrebbe giurato di aver intravisto l'ombra di un sorriso anche sul volto di Aulos.

°°°°°°°







«Ciò non toglie che tu sei proprio scemo» affermò con un'alzata di spalle indifferente Aulos. «Perché diavolo sei venuto a farti ammazzare da Greyback, se avevi qualcuno a casa che ti aspettava? Insomma, la tua è una pazzia che fa chi non ha più niente, non chi è innamorato».

«Non puoi capire» lo liquidò brevemente Remus. «Se sto lontano da lei, è solo per il suo bene».

«Sarà...» mormorò poco convinto. «A me non sembrava stare molto bene, però».

«Non tutti gli umani sono come lei. La maggior parte di loro mi vede come una bestia, un assassino. Un demone da eliminare». Ripensò a Durham, al volto invecchiato di Terry Scott e all'espressione affranta di sua madre, mentre caricavano le loro ultime cose sul vecchio carretto del mercato. Immaginò cosa ne sarebbe stato se non fosse cresciuto in un misero villaggio di periferia, se non fosse stato barattato dai suoi compaesani. Cercò di figurarsi un uomo sui trentasei anni, dai folti capelli chiari e dalla carnagione rosea, senza alcuna cicatrice o alcun segno di stanchezza a invecchiargli il volto e con un completo da mago appena acquistato.

L'unico dettaglio che rendeva brutta quella fantasia, stava nel fatto che non fosse la realtà.

Poi, improvvisamente, focalizzò un particolare che non aveva mai preso in considerazione. Un neo in tutto quel sogno ad occhi parti così piccolo, in principio, che se in quegli ultimi mesi non fosse stato travolto dagli eventi, non avrebbe mai potuto vedere.

L'uomo che avrebbe voluto essere non era lui, per quanto potesse assomigliargli.

E la licantropia, concepì, questa volta non c'entrava nulla.

L'essere un licantropo, Remus, ti ha reso un uomo migliore.

La voce di Silente gli rimbomba nella testa come una nenia cantilenante. E, come se qualcuno avesse inaspettatamente accesso una lampadina all'interno della suo scatola cranica, Remus ebbe l'immagine fugace e complessiva di tutta la sua vita. Rivide il volto sereno di sua madre porgergli un libro nuovo di zecca dalla copertina rossa. Rivide l'espressione disgustata sui volti dei coniugi Fisher e quella rude e volgare con cui Jack Lambton gli intimava di pulire i pavimenti con più olio di gomito. Rivide il sorriso indulgente di Albus Silente spiegargli quanto sarebbe stato dispiaciuto se non avesse accettato di studiare ad Hogwarts. Rivide i visi spensierati di James e Sirius, prenderlo da parte per con confidargli il piano per diventare Animagi. Rivide Lily schiaffeggiarlo con forza per essersi definito una ''bestia''. E rivide i volti delle persone che aveva avuto modo di conoscere negli ultimi dodici anni trascorsi a vagabondare come un reietto per l'Europa, cercando inutilmente di fuggire da un passato che non voleva lasciarlo vivere in pace.

Marilù, che ballava il can-can a Reims e trovava buffo come il suo nome assomigliasse a quello della sua piccola cittadina. Derreck, che lo aveva cacciato dalla sua taverna non appena aveva scoperto la sua vera natura e la sua corpulenta consorte, Ursula, che gli porgeva un calice fumante e una coperta calda per la notte, pregandolo di perdonare la maleducazione del marito. I fratelli Jacquès e Damièn, che suonavano per le strade di Marsiglia per pochi spiccioli e regalavano sorrisi ad ogni bella donna incontrassero. E, di nuovo, Peronska e suo cugino Omar, che gli avevano insegnato quanto la pesca fosse simile alla vita e il vecchio eremita senza nome sperduto fra i monti dell'Andalusia.

Non potendo permettersi di restare fermo in un certo paese a lungo, aveva avuto realmente modo di conoscere ogni sfumatura della vita, senza mai, tuttavia, riuscire a viverla appieno. Goblin tedeschi, ballerine francesi, vampiri russi, musicisti meridionali e vagabondi e disperati d'ogni dove. Tutto ciò che era diventato, l'uomo che era, lo doveva a quel maledetto morso impresso nella carne della sua spalle perché, ed era assurdo non ci avesse mai pensato, tutto ciò che aveva passato e visto nella sua vita lo doveva unicamente a Fenrir Greyback.

E poi c'era Tonks.

Perché, obiettivamente, se non fosse stato un licantropo non avrebbe mai avuto modo di conoscerla. Si disse che, in fondo, avrebbe potuto accasarsi con un'altra donna, trascorrere normalmente il resto dei suoi giorni circondato da figli e nipoti in un posto lontano dall'Inghilterra assediata dai seguaci di Voldemort, come se nulla di quella guerra gli riguardasse. Avrebbe potuto farlo, certo.

Ma mai come in quel momento aveva desiderato combattere e resistere. Continuare a camminare, rialzandosi caduta dopo caduta, significava sopravvivere, e sopravvivere, maledizione, significava tornare a casa, dove lei lo avevo scongiurato di tornare e dove lui non aveva trovato il coraggio di prometterglielo.

Essere un licantropo ti ha reso forte. Migliore.

Scuotendo con un sorriso divertito il capo, Remus tornò a fissare le vaghe e indistinte luci della Gran Bretagna, maledicendo silenziosamente Albus Silente e le stupidaggini con cui aveva sempre cercato di confonderlo.

°°°°°°°







Sono stata derubata del mio tempo libero da una cataclismatica serie di eventi.

Vi lascio, dunque, il trentanovesimo capitolo come regalo (avevo intenzione di non postarlo prima di giovedì sera, in modo da mantenere, perlomeno, accettabilmente costanti gli aggiornamenti, ma... non so farlo! Ah-ah-ah. Ridiamo tutti gioiosamente! Qualcuno non l'aveva notato!? Ah-ah-ah.

Ok, ora possiamo smetterla di essere gioiosi.

Penso di poter postare il quarantesimo (quarantesimo??? È uno scherzo) non prima di domenica, salvo eccezionali e miracolosi sconvolgimenti nella mia agenda.

*Trick si liscia vanesia un ciuffo di capelli ribelle (come tutti, del resto)* È orribile essere una star. Tutti mi acclamano e io non ho mai il tempo di mettermi al computer per terminare il mio Diario.

Alfonso Urecha, dall'alto del cavalletto sopra al quale è stato appeso (macrabo? Giusto un poco...), sbuffa. Qualcosa mi fa credere che non sia propriamente d'accordo con quanto ho appena detto.

*Trick afferra una gamba di Alfonso e lo lancia contro il poster dei Modena City Ramblers. L'ignobile scimmietta geme un poco e tenta di rialzarsi. Trick afferra una ciabatta dall'aspetto raccapricciante e gliela spatacca sul muso*.

Buon weeeeeek-end (con cinque «e» fa seeeeempre più figo) a tutti e grazie di cuore, di nuovo, di nuovo e di nuovo.

*Alfonso continua a borbottare, ma Trick comprende solo le parole «...Sirius/Remus...». Si avvicina famelica al maledetto peluche e vi saluta al prossimo capitolo*.

Trick



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Capitolo 41
*** Capitolo Quarantesimo - Deciderà la sorte ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO QUARANTESIMO

Deciderà la sorte

°°°°°°°






«I medici pensano che quando hanno scoperto la causa di una malattia,

hanno anche scoperto il modo di curarla».

Cicerone





«Aulos sta tardando» sentenziò aspramente Rouge, incrociando le braccia al petto con stizza e allungando il collo alla ricerca del Pegaso nell'oscurità della notte. Scorgere qualcosa al di là delle stelle, tuttavia, pareva oltremodo impossibile.

Affiancandosi a lei con aria intimorita e torcendosi nervosamente le piccole mani pallide, Alceus le lanciò un'occhiata preoccupata.

«Credi sia successo qualcosa?» domandò tutto d'un fiato, come se questo potesse rendere meno drastico l'impatto con un'eventuale brutta notizia. «Credi che gli umani...» il ragazzo s'interruppe bruscamente, stringendo le labbra e chinando rapido il capo. Arrotolò un ricciolo rosso attorno all'indice con fare agitato e guardò affranto Rouge.

La donna, immobile e taciturna sotto i raggi della mezzaluna, lo fissò intensamente.

«Aulos è in gamba» rispose brevemente, distogliendo di nuovo lo sguardo dal volto diafano di Alceus. «Se così non fosse stato, non lo avrei mai mandato a Londra».

«E se gli umani gli hanno fatto qualcosa prima che avesse trovato Bizèt?» continuò imperterrito il ragazzo, aggrappandosi debolmente alla manica sgualcita della tunica di Rouge. «Perché hai mandato proprio lui?» chiese in un flebile sussurro.

Rouge finse di ignorarlo.

Perché diavolo ci stavano mettendo così tanto? Avevano forse intenzione di farli morire tutti per la preoccupazione, prima ancora che per la malattia? Appuntò mentalmente di fare una bella tirata di orecchie ad entrambi, non appena atterrati.

Dannato Lupin, stai portando la negligenza nel mio branco.

Intuendo che non avrebbe ricevuto nessuna risposta, Alceus si era lasciato scivolare su un masso dall'aspetto piuttosto scomodo e, estratto il piccolo piffero da una tasta della casacca marrone, aveva iniziato a zufolare una malinconica e trillante nenia.

Rouge non si concesse il piacere di lasciarsi cullare dalle sue note armoniose. Si allontanò ad ampie falcate verso la piazza del villaggio, incurante della voce di Alceus che le domandava cosa stesse pensando di fare.

°°°°°°°





«Fa freddo!» protestò con veemenza Trick, stringendo i pugni e fissando indispettito la figura troneggiante di Rouge. «Mi gelerò le orecchie se vado nella foresta adesso!»

«Se non ti dai una mossa in fretta, giuro che le orecchie finirò per tagliartele» lo minacciò con durezza la donna.

«Ma-fa-freddo!» ripeté con una smorfia. «Mi compariranno di nuovo le macchie bianche sulle ginocchia!»

Alzando gli occhi al cielo e sbuffando innervosita, Rouge afferrò il ragazzino per un braccio e lo trascinò malamente fino alla tenda di Greyback. In assenza del capobranco, avevano pensato fosse il luogo più riparato nel quale ospitare i primi colpiti dal Sigillo. La donna non aveva idea di cosa avrebbe detto Greyback una volta tornato a Jura ma, in cuor suo, pregò cacciasse i malati per potersi beare della sua nobile dimora. Così facendo e con un po' di fortuna, si sarebbe ritrovato la faccia ricoperta di segni rossi e loro si sarebbero liberati di lui senza dover faticare troppo.

Continuando a trascurare i lamenti di Trick (che razza di bugiardo, come se lo stesse stringendo molto, pensò), Rouge ringraziò il cielo che Alceus non si fosse mosso di un centimetro dal masso sul quale l'aveva lasciato: ci mancava soltanto che avesse dovuto rincorrere anche lui per Jura.

«Alceus!» ordinò imperiosa.

Il giovane allontanò rapidamente il piffero dalle labbra e schizzò in piedi, pronto ad obbedire a qualsiasi comando. Dapprima, fissò perplesso il viso cupo e imbronciato di Trick poi, confuso e titubante, il cipiglio serio della donna.

«Accompagna Trick sull'argine» ordinò Rouge. «E prendi con te un paio di fiaccole».

Alceus sgranò gli occhi terrorizzato. «Credi che non riescano più trovare il villaggio?»

«Aulos non è idiota» ribatté laconica. «Ma, se non ve siete accorti, è notte, e di notte fa buio».

«Fa freddo sull'argine...» mormorò risentito Trick, liberandosi con uno strattone dalla presa di Rouge e sfregandosi distrattamente un orecchio. «E poi ho paura di tutte quelle teste».

«Non hai mai avuto paura delle mie teste».

«Con il buio, ho paura» annuì con convinzione il bambino.

Alceus emise un versetto che pareva volesse concordare con le parole del bambino ma, incrociando lo sguardo gelido di Rouge, preferì prendere il bambino per mano e dirigersi rapidamente verso il fiume Shannon.

Scostò leggermente la logora tenda alle sue spalle e lanciò un'occhiata fugace al viso pallido e sudato di Calima e alla tetra figura di Chilone, chino su di lei e intento a pregare la misericordia della dea Selene. Accanto a loro, Yurk non se la passava meglio. Nessuno degli unguenti che Chilone e gli altri anziani avevano suggerito di spalmare sulla sua gamba aveva funzionato. Ora la sua spalla sinistra e metà del volto erano completamente ricoperti da quei maledetti segni rossi che attraversavano allo stesso modo anche il corpo di Calima.

Se non hai trovato una soluzione, Damerino, ti ammazzo.

°°°°°°







«Tu riesci a vedere qualcosa?» chiese Remus, stringendosi nel colletto della camicia e lanciando un'ultima occhiata speranzosa verso il basso.

«Non riesco nemmeno a vedere dove ho il naso» gli rispose la voce preoccupata di Aulos.

Scrutavano la terra al di sotto di loro da più di quindici minuti, ormai, ma del villaggio di Jura non c'era nessuna traccia. Di quel passo, si sarebbero schiantati contro una delle querce più alte del bosco di Turpin prima di raggiungere destinazione. Un brillio in lontananza attirò improvvisamente l'attenzione di Remus. Possibile fosse-?

«Hai visto?» domandò concitato al compagno.

«Cosa?»

«Credevo di aver visto una-»

«Per tutti i cicli di Selene, c'è una luce, laggiù!» esclamò eccitato Aulos, colpendo con decisione i fianchi del possente animale e cambiando rapidamente direzione. Si tuffarono nuovamente nella notte in una picchiata raggelante e, dopo pochi istanti, riuscirono a riconoscere le sponde del fiume Shannon e il vago riflesso delle stelle nell'acqua scura.

«Aulos!» strillò una voce acuta.

Remus si voltò e rise nel vedere l'espressione inorridita comparsa sul volto di Aulos, mentre il giovane Alceus gli gettava le braccia attorno al collo e affondava il viso nel suo petto, singhiozzando di tanto in tanto. La fioca luce calda delle due torce che il piccolo Trick reggeva fra le mani non era in grado di camuffare il rossore comparso sulle guance del muscoloso pifferaio.

Aulos tossicchiò vagamente. «Alceus... non è proprio il caso di...» tentò di aggiungere, sebbene un lieve sorriso tradisse il suo piacere di essere finalmente a casa.

«Bizét!»

Avanzando a grandi balzi, Trick gli corse incontro, brandendo con aria pericolosa le due fiamme.

«Sapevo che tornavate! Lo sapevo!»

«Passami quelle fiaccole, non vorrei ti bruciassi» rispose gentile, scompigliandogli i capelli chiari e afferrando i due bastoni che reggeva fra le mani.

«Hai trovato la medicina per i segni rossi, non è vero, Bizèt?» continuò imperterrito il bambino, saltellandogli attorno e afferrandolo per una braccio per condurlo al villaggio. «Puoi guarire Calima, vero?»

«Credo di sì» mormorò dopo un'istante di esitazione.

«Aspettateci!» urlò la voce di Aulos alle loro spalle.

«Non c'è fretta» gridò Remus di rimando, voltando il capo e strizzandogli l'occhio.

Aulos ricambiò il gesto e gli rivolse un sorriso di gratitudine.

Non sprecate tempo.

°°°°°°°







«Sei-maledettamente-in-ritardo» sibilò furiosa Rouge, fissandola con una smorfia disgustata. «Otto giorni! Otto, dannati, schifosissimi giorni ad aspettare che tornassi, razza di idiota di un mezzo-mannaro che non sei altro!» lo rimbrottò aspramente.

Lupin si ritrasse e cercò di assumere un'aria sinceramente mortificata.

«Mi dispiace» si scusò. «Avevo degli affari da-»

«Non mi importa un accidente dei tuoi affari, Damerino! Abbiamo problemi ben più importanti da risolvere!»

Grattandosi sovrappensiero il mento, Lupin non riuscì a trattenere un leggero ghigno.

«Mi sei mancata» ammise ironico, alimentando il riso cristallino di Trick.

Lei lo fulminò con un'occhiata gelida.

°°°°°°







La prima sensazione di Remus, non appena ebbe varcato il putrido telo che impediva l'accesso alla tenda di Fenrir Greyback, fu quella di essere stato catapultato in un'ambulante infermeria bellica. Un'acre esalazione di fango ed erba, proveniente da una rozza urna lasciata fumare in un angolo, invadeva l'ambiente spoglio, penetrando nelle sue narici e irritandogli i sensi. La luce vibrante delle torce, piantate a forza nella terra nuda, allungava le ombre dei pochi astanti sulle superfici ingiallite della tenda. Osservando il loro macabro danzare, nella sua mente riaffiorò un passo dei diari dell'espressionista Edward Munch che aveva studiato, anni addietro, al corso di Babbanologia.

La malattia, la follia e la morte erano gli angeli neri che si affacciavano sulla mia culla.

Non erano certo culle quelle sulle quale giacevano, pallidi e ansanti, i primi mannari colpiti da quel morbo demoniaco ma, certo, le inquietanti ballerine d'ombra stagliate sulla stoffa parevano rivestire il ruolo dell'ultima accompagnatrice. Nulla, in quel fatiscente tugurio, faceva presagire un miracolo. Deglutì a forza, improvvisamente incerto sulla concreta efficacia della sua teoria.

«Ha perso le forze nel giro di pochi istanti».

Scuotendo frastornato il capo, Remus tornò a concentrarsi su Rouge. Non vi era altro che frustrazione nel modo in cui fissava il viso esanime di Calima. Il disappunto e lo sconforto per essere stata completamente incapace di salvare i propri compagni doveva essere stata l'ultima, fatale pugnalata per il suo orgoglio di leader.

«Eravamo ai confini del bosco» continuò con voce piatta, senza distogliere lo sguardo dalla giovane. «È caduta di colpo, come se l'avessero colpita alle spalle, e ha iniziato a sputare sangue». Strinse con forza i pugni e fece una smorfia risoluta. «Non si è più rialzata».

Remus si inginocchiò accanto al pagliericcio dove riposava Calima. Seppure debole, riusciva ancora a sentirle il respiro. Le scostò un ciuffo biondo dalla fronte, osservando con attenzione i segni rossi che ne corrompevano la pelle liscia del collo. Il trillo cristallino della risata di Calima gli rimbombò improvvisamente nelle orecchie.

«Non accetto un no, Damerino. Apri le danze con me».

«E Yurk?» s'informò Remus, accennando vagamente al corpulento mannaro addormentato a pochi metri.

«Era partito all'alba con Bryn per cacciare qualcosa» spiegò laconica Rouge. «E Bryn è tornato poche ore dopo, trascinandoselo sulle spalle. Diceva di aver perso sensibilità nella gamba destra».

Remus fissò qualche istante il rapido alzarsi del petto di Yurk e il pallore deleterio della sua carnagione. Il lato sinistro del volto era quasi completamente rosso.

«Conosci questa malattia, Lupin?» chiese, e nella sua voce c'era una nota implorante che lo fece trasalire.

«Non ho mai visto nulla del genere» confessò. «E l'unica idea che ho trovato è a dir poco assurda».

«La tua magia non può fare niente?» continuò, improvvisamente indignata. Scosse il capo e lo fissò con ferocia. «Sapete farvi ricrescere braccia e gambe, se necessario, e non sapete curare... questo

Remus scosse sconsolato il capo. «È una malattia che pare colpire solo i licantropi» spiegò brevemente.

«Nessun umano si è mai scomodato per studiarla, dunque» concluse tagliente. «Bastardi».

Tremando appena, Remus scostò la coperta che celava il corpo di Calima. I segni rossi si andavano a diradare verso il centro del petto, a pochi centimetri dal cuore. I piedi, che spuntavano dall'altro capo della stoffa, erano ricoperti dagli stessi raccapriccianti arabeschi che invadevano il viso di Yurk. Se la teoria sulla quale era d'accordo anche Piton – seppure senza troppe convinzioni – era corretta, il virus della regalis morbus si era insediato nel petto di Calima e nella gamba destra di Yurk, respingendo l'oro presente nella sua composizione nei punti più distanti dal suo nucleo. Questo avrebbe spiegato perché i sintomi di entrambi fossero così diversi fra loro. Se Calima sputava sangue e la gamba di Yurk stava, lentamente ma inesorabilmente, incancrenendosi, significava che l'argento aveva ostruito i polmoni della ragazza e intaccato i muscoli dell'uomo.

«La spalla sinistra di Yurk è quasi rossa, non è vero?» chiese.

Rouge gli lanciò un'occhiata sorpresa, sbattendo più volte le palpebre, e controllò nuovamente la figura addormentata del mannaro.

«È coperto» commentò confusa. «Come facevi a saperlo?»

Remus chinò il capo senza rispondere.

«Non ho alcuna certezza che la mia idea possa funzionare, Rouge» disse. «Nessuno ha mai esercitato una simile pratica, prima di me. Non è mai nemmeno stata ipotizzata, ad essere sincero».

«Fallo» ordinò perentoria la donna. «Voglio che tu faccia tutta la magia che puoi, ma salvali».

«Potrei rischiare di ucciderli...» mormorò afflitto, sfiorandosi nervosamente il collo. «Potrei peggiorare la loro situazione».

«Moriranno comunque, se non facciamo qualcosa» sussurrò debolmente Rouge, sedendosi fra i due giacigli e affondando il capo fra le mani.

Sconfitta.

La sostituta di Fenrir Greyback, il secondo capobranco dall'aspetto temibile e lo sguardo penetrante, che troppe testa aveva ordinato di tagliare e impalare per blande quisquilie, era ora stremata di fronte a lui, distrutta da una disperazione muta e prostrata dai colpi bassi della vita. Lei, che aveva progettato di rivoluzionare la scala gerarchica di un'isola di mannari e che aveva mostrato un animo più marmoreo dei tanti nerboruti uomini che abitavano il villaggio, era rimasta con un'unica, labile via di salvezza: lui.

Lui e la sua assurda e rude alchimia.

«Moriremo tutti, Remus...» mormorò Rouge stancamente e, forse, fu proprio il sentirla finalmente pronunciare il suo vero nome, dopo troppi Bizèt, Damerino e Lupin, a convincerlo che, perlomeno, avrebbe dovuto tentare e insistere.

Quando lei sollevò nuovamente gli occhi arrossati e abbattuti su di lui, Remus annuì piano.

Avrebbe sfidato Selene.

Un'osservazione folle gli balenò d'un tratto per la mente, così folle che si rimproverò silenziosamente per tanta impudenza. Era, dopotutto, una vita che crollava ai cambiamenti della luna, rialzandosi debolmente mese dopo mese e attendendo sottomesso di arrendersi al successivo plenilunio, conscio che la sua vittoria non era altro che una mera fantasia.

Se la leggenda popolare vedeva Selene inviare simili atrocità ai suoi schiavi, allora lui, per una volta soltanto, si sarebbe beato del sapore dolce del trionfo. Se quella maledetta voleva sfidarlo di nuovo, lui, eterno traditore della luna, non si sarebbe fatto abbattere un'altra volta.

Questa volta, dannata, le regole le stabilisco io.

Fissò la sua ombra stagliarsi sulle pareti della tenda, e quella, come se rispondesse all'avvertimento mai pronunciato, guizzò in archi deformi e scheletrici, generando spaventosi sorrisi beffardi davanti ai suoi occhi ambrati.

«Libera quel tavolo, Rouge» decretò Remus deciso, additando vagamente al bancone sul quale Fenrir aveva lasciato un paio di bottiglie di vino elfico e uno straccio consunto. «E che Merlino ce la mandi buona».

°°°°°°°





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Capitolo 42
*** Capitolo Quarantunesimo - Spalle al muro ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO QUARANTUNESIMO

Spalle al muro

°°°°°°°



«Liberiamo quel tavolo. E che Merlino ce la mandi buona» sentenziò Remus. «Alceus» aggiunse, rivolto al giovane mannaro alle sue spalle, «puoi procurarci della stoffa con cui coprirci i volti?»

Nonostante apparisse piuttosto perplesso, Alceus annuì con fermezza e svanì dietro la tenda. È un ragazzo in gamba, pensò Remus. Era stato difficile trovare dei volontari per aiutare lui e Rouge con i contagiati: la maggior parte dei mannari si teneva bel lontana dalla tenda del proprio capobranco; nemmeno i più arditi avevano osato farsi avanti. Ancor più difficile, tuttavia, era stato convincere Aulos ad attendere all'esterno della tenda, in quanto la sua robusta stazza sarebbe stata d'intralcio. Quando poi la voce flebile di Alceus aveva balbettato che sarebbe entrato lui, trattenere l'altro era parso oltremodo impossibile. Solo l'intervento rigido di Rouge – e un poderoso schiaffo che, Remus ne era certo, Aulos non avrebbe dimenticato presto – aveva ristabilito un po' di quiete.

Stretta attorno ad un logoro mantello scuro, poi, vi era Tyne. Remus era stato costretto a rivalutare notevolmente la sua opinione per la ragazza. Nonostante l'angoscia per il destino verso il quale sarebbe potuta incappare, la giovane mannara si era offerta – dopo solo pochi istanti di giusta esitazione – per il malaugurato compito.

«Conosco Calima da quando ero bambina» aveva mormorato, quasi fosse stato necessario fornire una spiegazione alla sua scelta. «Lei non si sarebbe tirata indietro per nessuno».

«Tyne» le si rivolse infine Remus. «Potresti informarti se qualcuno del branco ha recentemente notato qualche strano malessere? Te ne sarei grato».

«Che genere di malessere, Bizèt?» s'informò ansiosa lei, torcendo le mani fra loro.

Lui scosse il capo con noncuranza.

«Dal raffreddore alla pestilenza, non importa. Questo maledetto morbo non ha sintomi precisi».

Tyne aveva appena mosso un passo verso l'esterno, quando Rouge la fermò con decisione.

«Ferma» ordinò. «Vado io. È compito mio spiegare cosa sta accadendo».

Guardò Remus come se aspettasse una qualche conferma da parte sua. L'uomo annuì mesto e la osservò uscire nervosamente dalla tenda.

«Tyne, aiutami a liberare il tavolo, ti prego».

°°°°°°°







«Non ce la faccio più» mormorò Tonks sconfortata, bevendo tutto d'un fiato il Whisky Incendiario rimasto nel bicchiere. «Non ce la faccio davvero più».

Proudfoot sollevò un sopracciglio.

«Sempre a lamentarvi, voi donne» la schernì. «Anche quando siete circondate da maghi fascinosi» aggiunse, indicandosi con aria vaga. «Che fai stasera, bambola?»

Fingendosi offesa, Tonks afferrò la copia della Gazzetta abbandonata sul treppiedi accanto alla propria poltrona, e la scagliò contro il collega.

«Chiamami ''bambola'' un'altra volta e ti trasformo in un centrino per la scrivania di Dawlish» lo minacciò con una smorfia.

«Phil, santo cielo, lasciala in pace» borbottò divertito Savage. «E tu, signorina, smetti di lanciargli il mio giornale. Corriamo il rischio che impari a leggere e si istruisca troppo».

«Che pessimo umorismo» ribatté Proudfoot, chinandosi a terra e raccogliendo la Gazzetta. «Voi londinesi non imparerete mai l'arte della simpatia».

Savage si ricompose sullo schienale e raddrizzò gli occhiali sul lungo naso.

«Per tua informazione, mio caro scozzese» scandì con disgusto, «se non fosse stato per noi inglesi, ora voi non sareste null'altro che un branco di rozzi, incivili e barbari straccioni».

«Ma Phil è ancora un rozzo, incivile e barbaro straccione» protestò Tonks, riuscendo a stento a contenere la propria ilarità. «Il noioso buon costume inglese ha fallito miseramente, Charles, mi dispiace».

Dawlish entrò nella stanza nello stesso istante in cui le risate dei tre Auror scoppiavano nel salotto. Savage fu l'unico ad accorgersi del suo ingresso. Tossicchiò vagamente ed esclamò lesto:

«Buonasera, Archibald».

Tonks e Proudfoot s'irrigidirono sulle proprie poltrone come se fossero appena stati mancati da una Maledizione Senza Perdono, prima di salutare a loro volta Dawlish con un'espressione a cavallo fra il divertimento e la preoccupazione.

«'sera, Archie» disse Proudfoot.

«Capo» si limitò Tonks.

«Vi trovo piuttosto rilassati» sibilò imperioso, fissando i due maghi con aria infastidita. L'occhiata più astiosa, tuttavia, la risparmiò per Tonks. La giovane sostenne con apparente facilità la durezza del suo sguardo. Tentò di calmarsi aggiustando con finta tranquillità una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

«Era solo uno dei tanti battibecchi fra un inglese e uno scozzese, Archie» rispose Proudfoot, accoccolandosi sulla poltrona. «Nulla di nuovo, dunque».

Savage estrasse la bacchetta e fece per versare un quarto bicchiere di Whisky.

«Non si disturbi, Savage» lo fermò Dawlish. «Ero solo venuto a chiedere all'agente Tonks se potevo conferire con lei. In privato, possibilmente».

Tonks sgranò gli occhi e cercò lo sguardo dei colleghi. I loro volti, tuttavia, parevano confusi quanto il suo. Che diavolo poteva volere di nuovo? Si domandò se non fosse stanco di tentare di farle riprendere quella che lui (e buona parte del Ministero) continuavano a definire ''la strada giusta''.

Proudfoot e Savage si scambiarono un'occhiata vagamente allarmata.

«Adesso» sentenziò Dawlish in un tono che non ammetteva alcuna replica.

Savage raccolse la propria Gazzetta e si diresse verso la porta, rivolgendole un impercettibile e confortante sorriso mentre Proudfoot, dopo aver afferrato il bicchiere di Whisky, le strizzò l'occhio prima di svanire nell'androne come il compagno.

Con un gesto secco della bacchetta, Dawlish chiuse la porta. Un mormorio di forte disapprovazione giunse alle orecchie di Tonks che, trattenendo le risate, immaginò Savage rimproverare Proudfoot per la sua eccessiva curiosità.

«Sarò chiaro, agente Tonks» iniziò Dawlish, prendendo posto sulla poltrona lasciata libera da Savage e fissandola astiosamente. «Non mi sento affatto soddisfatto della condotta da lei dimostrata sinora».

«Davvero?» domandò lei con un'espressione di sorpresa talmente ironica da apparire ridicola. «E io che ho cercato di comportarmi da brava, che strano...»

«Lei non ha la più pallida idea» sillabò, «di quello a cui sta andando incontro».

Lei parve soppesare vagamente le sue parole.

«No, infatti» ammise infine. «E, se devo essere sincera, la cosa non mi interessa per niente».

«Rischia molto più del suo impiego, agente».

«È qui per arrestarmi?» ribatté lei, freddamente. «E con quale accusa, signore? Resistenza alla sottomissione ministeriale, forse? O magari per aver avuto atteggiamenti peccaminosi con un licantropo?»

«Da quando siete di stanza ad Hogsmeade» esordì dopo un attimo di silenzio, squadrandola con un sorriso maligno, «non ho fatto altro che chiedermi se questo vostro atteggiamento ostile, irriverente fino al ridicolo, se mi permettete, fosse dovuto a semplice stupidità o alla mera ricerca di attenzioni. Cosa risponde, a proposito?»

«Nessuno dei due, signore» rispose lei, imperterrita. «Sostanzialmente, il motivo per il quale non sono incline a darle retta si limita al fatto che la ritengo un idiota» rispose. Afferrò la bottiglia di Whisky e riempì nuovamente il proprio bicchiere. «Ciò che più mi diverte, tuttavia» aggiunse con un sorriso compiaciuto, «è che lei non può licenziarmi. E non possono farlo né Robards, né il Ministro, non è vero?»

«Sta scherzando con il fuoco, agente» la intimò lui, risoluto.

«Ho pensato, signore, e sono certa di essere arrivata alle conclusioni più ovvie, che il Ministero abbia più di un motivo per non volermi disoccupata».

«Non crede di essere un po' troppo superba, in questa sua teoria, agente?»

«Affatto» negò con evidenza lei. «Se non avessi il suo irritante fiato sul collo, potrei tranquillamente lavorare per l'Ordine della Fenice e, sino a prova contraria, non avreste modo di fermarmi, entro i limiti della legge, perlomeno. Inoltre, qui lei può sperare di strapparmi informazioni circa gli intenti di Silente, per non parlare poi dell'eventualità di beccarmi commettere qualche reato contro l'umanità, non è vero? Non so... dare rifugio a sporchi ibridi, magari?»

«Sua madre è una Black, non è vero?»

Tonks trasalì, presa in contropiede.

«Cosa centra questo?»

«I Black sono una della più antiche famiglie magiche» continuò Dawlish, lisciandosi con fare altezzoso i risvolti della camicia e fissandola intensamente. «Le sue origini risalgono al Medioevo, se non vado errato».

«Temo di non poterla aiutare» lo anticipò immediatamente Tonks, intuendo vagamente a cosa il mago potesse voler mirare. «Non ho mai conosciuto nessuno dei parenti di mia madre».

«Sì, ne sono al corrente» rispose mellifluo. «L'ultima riunione di famiglia si è conclusa con la triste dipartita di suo cugino, non è vero?»

«Non le permetto di-»

«Per quale motivo non dovrei pensare che non è in combutta con qualcuna delle sue zie

«Come osa insinuare una cosa del genere?» esclamò Tonks, stringendo con forza i braccioli della propria poltrona e lanciando un'occhiata di fuoco a Dawlish. «Bellatrix Lestrange ha cercato di uccidermi! E sua sorella Narcissa certo non cova intenti più rassicuranti!»

«Potrebbe essere tutta una messinscena» continuò Dawlish. «Potreste aver architettato tutto sin dall'inizio, non trova? Chissà, magari anche la sua appartenenza all'Ordine della Fenice non è altro che un diversivo».

Tonks lo fissò allibita. Stentava a credere alle sue orecchie.

«Stando a quello che dice, signore, il matrimonio di mia madre con un Mezzosangue, il suo allontanamento dai Black e il mio stesso addestramento sarebbero semplici... alibi?» elencò sbalordita. «È la baggianata più idiota che abbia mai sentito».

«Potrebbe non esserlo per il Wizengamot. Loro potrebbero sospettare di tutta questa sua... ambiguità, non crede? E sono certo lei sappia qual'è la condanna stabilita per coloro i quali vengono accusati di essere Mangiamorte».

«Vuole vedere il mio avambraccio, signore?»

«Al Wizengamot non importerà cosa ha o non ha sul braccio, agente Tonks» continuò Dawlish con il medesimo tono manierato, scrutandola con aria trionfante. «Non gli importerà di nient'altro se non delle accuse che le pioveranno sulla testa».

«Non avete prove per-»

«Lei ha una relazione con un licantropo, senza contare che la maggior parte dei suoi parenti sono o sono stati accusati di essere Mangiamorte. Chiunque avrebbe più di un motivo per sospettare di lei».

Tonks chinò gli occhi e morse con forza le labbra. Sentiva gli occhi bruciare secondo dopo secondo nei quali tentava di trattenere le lacrime di rabbia. Attese di calmarsi qualche istante, prima di alzare con fierezza lo sguardo sul proprio superiore. Lui, sogghignando appena alla luce del camino, continuava a ostentare quell'irritante espressione da vincente.

Bastardo.

«Sa benissimo che non collaboro con i Mangiamorte» esordì in un sussurro flebile Tonks. «Che diavolo vuole da me?»

«Cosa sta architettando Silente?» chiese finalmente Dawlish, il volto illuminato da una gioia animalesca. «Che cosa ha in mente?»

Tonks scosse il capo.

«Non lo so» rispose freddamente lei. «Stando qui non ho molte opportunità di essere informata, non crede?»

«So che lo sai, stupida ragazzina!» sbraitò improvvisamente il mago, guardandola furioso e dilatando minacciosamente le narici. «Se non aiuti il Ministero finirai con il marcire ad Azkaban!»

«Non ne sono stupita. Arrestare a priori colpevoli e innocenti è l'occupazione preferita del Ministero, vero?»

Se Dawlish avesse percepito il sottile riferimento a Sirius, di certo non lo diede a vedere. Continuò a scrutare torvo Tonks, sporgendosi verso di lei con la speranza di assoggettarla.

«Mi è concessa una domanda, signore?» continuò lei.

Lui la guardò interessato.

«Che fine hanno fatto i principi morali di cui il Ministero si è sempre tanto vantato?» chiese.

Senza alcun preavviso, Dawlish si alzò e si diresse a grandi falcate verso la porta.

«Fossi in lei, agente» le rispose candido, «valuterei bene la mia proposta. Le assicuro che Azkaban non è certo la dimora più adatta per trascorrervi il resto della vita».

°°°°°°°





Mentre aspettava che Alceus tornasse con le bende, Remus scostò un angolo di stoffa quel tanto che bastava per osservare la figura troneggiante di Rouge, ritta sopra uno dei pietroni sui quali era solito tenere i propri discorsi Fenrir, annunciare la triste novella al proprio branco. Si aspettava una simile risolutezza da parte della donna: ogni suo gesto e ogni sua parola erano dettate da quell'innata abilità che la rendeva più calma ed efficiente di quanto in realtà non fosse. Pareva seriamente intenzionata a convincere i restanti mannari di come tutto si sarebbe sistemato se ognuno di loro avesse collaborato, piuttosto che ammettere di come e quanto brancolavano nel buio.

Remus osservò la reazione del branco. Rimproverandosi per tanto stupore, osservò una giovane ed esile donna farsi ancor più piccola fra le braccia di un villoso mannaro dai capelli lunghi. Una donna dalle forme poco aggraziate richiamò a sé quattro o cinque ragazzini, stringendoli con forza uno ad uno. Gli anziani del branco, apparentemente sordi alla voce di Rouge, continuarono a fumare le loro vecchie pipe attorno al falò. Per un attimo, Remus s'illuse di aver visto Chilone guardarlo e scuotere vagamente la testa.

«Devo chiedervi» continuò imperiosa Rouge, «se fra voi qualcuno ha recentemente notato segni di malattia, di qualunque tipo».

Un borbottio indistinto si levò dalla folla e Remus, stringendo al petto le braccia, non riuscì a scacciare il peso oppressivo che da ore lo stava dilaniando. Il ragazzino più piccolo della donna, un affarino dai capelli scuri tutto pelle e ossa, tirò la manica della madre e indicò con aria colpevole la propria spalla.

Un giovane dai corti e spinosi capelli biondi si levò in piedi, destando lo stupore della compagna che sedeva al suo fianco.

«Zoppico da settimane, Rouge» ammise mestamente. «Non riesco nemmeno più a correre».

La giovane lo afferrò per un braccio e lo guardò con gli occhi spalancati, scuotendo il capo come se non lo ritenesse possibile.

«Non è vero!» la sentì urlare. «Non è vero! Non è vero!»

Lui la strinse al petto e le carezzò piano la testa, mentre i singhiozzi di lei facevano accapponare la pelle di Remus.

«Di questa malattia si muore...» credette di sentirla parlare. «Tu non ce l'hai... tu non ce l'hai, ti prego, dimmi che non ce l'hai...»

Rouge abbassò tristemente lo sguardo, accorgendosi solo in quel momento che Remus la stava fissando a sua volta. Stringendo fra loro le labbra, si rivolse di nuovo al branco.

«Chiunque abbia avvertito qualche strano malessere deve restare qui, non troppo distante dalla tenda. Tutti gli altri sono pregati di spostarsi oltre i confini del clan, verso la necropoli delle Dodici Lune».

La giovane tentò di stringersi nuovamente al ragazzo biondo ma questi, tenace più nei gesti che non nello sguardo, la allontanò addolorato, pregandola di andarsene. La donna abbracciò il più piccolo dei suoi figli fin quando un vecchio dall'espressione burbera non la costrinse a lasciarlo andare. Nel vedere la madre allontanarsi con i fratelli più grandi, il piccolo iniziò a singhiozzare. Ovunque guardasse, trovava gente che piangeva, che si abbracciava, che si salutava con l'amaro pensiero che sarebbe potuta essere l'ultima volta. Un uomo dalla folta barba rossa afferrò per un braccio una biondina che stava salendo alla necropoli con un neonato fra le braccia, strappandole un ultima carezza. Perfino i bambini avevano smesso di sciamare allegri fra le gambe degli adulti: una buona parte di loro era rimasta seduta sui massi accanto al fuoco. Aulos, seduto a pochi metri dalla tenda, chiamò a sé il ragazzino rimasto solo. Estrasse il piffero dalla tasca e iniziò a zufolare una gaia canzonetta alla quale i bambini si unirono con un sorriso, chi cantando e chi saltellando attorno agli altri.

«Aulos» esordì improvvisamente Rouge. «Che diavolo ci fai ancora qui?»

«Sono malato» rispose innocentemente il giovane.

«No, che non lo sei. Va' alla necropoli, muoviti».

«Nemmeno Alceus è malato».

«È completamente diverso, non puoi-»

«Avete bisogno di qualcuno che tenga buoni i bambini, o le loro grida finiranno per disturbarvi» tergiversò rapido. «Io resto».

«Aulos, non-»

«Ti prego».

Rouge mosse una mano come per scacciare una mosca molesta e borbottò un incomprensibile «idiota», mentre tornava all'interno della tenda.

°°°°°°°



«Stingete il fazzoletto con cura attorno alla bocca e al naso» spiegò Remus. «Siamo altamente a rischio di contagio, qui dentro».

Alla luce tremula e lieve delle candele, il suo volto appariva ancor più pallido e segnato di quanto, effettivamente, non fosse. Fissava febbrile il candore malsano del viso Calima, le sue labbra dischiuse e screpolate e la fronte imperlate da piccole gocce di sudore. Dopo un labile attimo di esitazione, allungò una mano verso l'orlo della casacca logora che la giovane indossava; ne slacciò con cura i bottoni grezzi e scoprì i seni ancora acerbi. Arzigogolate tracce rosse scivolavano dalla sua scapola fino al petto, in un contorcersi continuo di cerchi e curve.

Sarebbe stato un disegno notevole se la sorte non lo avesse preferito anche mortale.

«Cosa stai guardando?» eruppe improvvisamente Rouge.

«I segni paiono infittirsi in questa zona» spiegò Remus, indicando vagamente un'area accanto al seno destro particolarmente fitta. «Il morbo è nei suoi polmoni» concluse avvilito.

Rouge dovette avvertire il suo tono sconfitto come un pessimo presagio, perché afferrò rapida la manica del suo mantello e lo scrutò nervosa.

«Che diavolo significa?» chiese. «Che diavolo significa, Lupin!?»

«È nei polmoni, Rouge, nei polmoni!» rispose con enfasi Remus, liberandosi con un gesto secco dalla sua presa e fissandola con gli occhi sgranati. «Nei polmoni, capisci?» sussurrò infine, aggrappandosi al bordo del tavolo e guardando impotente il volto sofferente di Calima.

«Non puoi...» iniziò sconcertata la donna, stringendo con foga i pugni. «Non farai nulla?»

«Rischio di ucciderla se-»

«Morirà comunque, Lupin!» strillò impaziente Rouge, agitando con enfasi le mani. «Morirà se non fai qualcosa!»

«Rouge, dannazione, non posso tagliarle i polmoni! Soffocherà nel suo stesso sangue!»

«Sta già soffocando nel suo stesso sangue, Lupin» concluse in un sussurro afflitto. «Da mesi, ormai».

Gli rivolse uno sguardo carico di risentimento, prima di chinarsi nuovamente sulla giovane mannara per carezzarle il volto pallido.

«Morirà ugualmente, Remus...» mormorò. «Ti prego, prova a salvarla».

Remus la fissò sfiorare con mano tremante la guancia smunta di Calima impietrito. Aveva appena aperto la bocca per sostenere nuovamente le proprie convinzioni, quando Rouge alzò il capo verso di lui. Gli occhi scuri e decisi, brillanti tanto alla luce tremula dei lumi quanto per le lacrime che la donna continuava a soffocare, parevano implorarlo.

«Te ne prego, Remus...»

«Alceus».

«Sì?»

«Ho bisogno di un contenitore che non prenda facilmente fuoco».

«Ferro?» propose speranzosa Tyne.

Remus aggrottò pensieroso le sopracciglia.

«Nient'altro?».

«Ceste di vimini».

«Il ferro può andare».

«Cos'hai intenzione di fare?» mormorò Rouge, mentre Alceus e Tyne uscivano a passo svelto dalla tenda.

Lupin infilò una mano sotto il mantello, estrasse un sacchetto color porpora e si rovesciò sul palmo un paio di monete d'oro.

«Cosa diavolo devi-»

«Queste sono la nostra unica speranza» la interruppe laconico. «Se non funzionano, siamo spacciati. E se non possiamo aprire il petto di Calima... allora gliele faremo scivolare dentro».

°°°°°°°











Non sarei stupita se qualcuno di voi avesse iniziato a nutrire insane manie omicide nei miei confronti, ma tant'è... Non aggiorno da quasi due mesi, mi dispiace davvero. Probabilmente simili aggiornamenti potrebbero diventare ancora più frequenti *Trick si abbassa rapidamente sotto la scrivania* in quanto *ovazioni in sottofondo* inizierò presto l'università *singhiozzi in sottofondo* ergo il mio computer non sarà spesso a mia disposizione.

Curiosità che ora posso ammettere:



  • come ''prima malata'', la scelta iniziale si era fissata su Rouge. Scartata immediatamente;

  • inizialmente, Rouge sarebbe dovuta essere bionda mentre Calima mora. Scartata immediatamente;

  • Calima sarebbe dovuta morire fra le zanne di Fenrir Greyback. La storia è cambiata. E non dico altro.

  • Trick ha rischiato di essere una femmina. Scartata altrettanto immediatamente.

  • Alceus è stato ispirato fisicamente dal personaggio di Merthin, nel romanzo ''Mondo Senza Fine'' di Ken Follett.

SakiJune: Sarebbe davvero un bel finale se Rouge diventasse capobranco e tutti quanti guarissero. Chissà... Non potrei mai fare ammalare Remus, come puoi pensare una cosa del *colpo di tosse*. Fa niente. Chiedendo perdono per l'attesa e ringraziando per la bellissima recensione lasciata in Dona Eis Requiem (sì, maledizione, Malocchio non doveva morire! *Trick si accascia sulla tastiera in preda alla disperazione* Harry non può fare il padrino, non sa nemmeno badare a sé stesso! Un vecchio che rimbrotta «vigilanza costante» in modalità random sarebbe stato ovviamente e naturalmente meglio.) Perché mi ringrazi? È sono grazie a persone come te che continuo a scrivere. Grazie a te, non a me.

lyrapotter: Rouge è una donna in gamba, è vero, ma è pur sempre un essere umano. Non volevo che diventasse una qualunque Mary Sue sempre capace di affrontare le situazioni più improbabili. Spero solo di esserci riuscita.^^

Kikkina90: Sono contenta che ti piaccia la ship Alceus/Aulos, soprattutto perché è *mormorii sconcertati* il mio primo esperimento slash. Insomma, ho dei problemi a digerire le Draco/Harry e delle Remus/Sirius non parliamone neanche (sono sempre una Wotcher Wolfie, io) *Alphonse Urecha si leva da un angolino della stanza e grida qualcosa circa il fatto che anche Trick legge le Remus/Sirius, di tanto in tanto. Trick lo prende a sberle. Stupido pupazzo Wolfstar. E, per quanto riguarda la volontà dell'autrice... non saprei. Fortunatamente per i personaggi, al momento non mi sento eccessivamente sadica. Ma sto per iniziare l'università. Ergo, temo subiranno i miei schizzi ormonali.^^

Lily_Snape: Il destino di Calima è impostato sul no-comment. Chissà, magari all'ultimo secondo tirerò la moneta e deciderò di cambiare le sue sorti. *risata sadica* È bello poter decidere della vita e della morte di qualcuno. *Alphonse Urecha alza gli occhi al soffitto*.

roby the best: Non vedi l'ora che Remus torni da Tonks?^^ Be', sono spiacente dovrai aspettare... la battaglia al Ministero, se non cambio la storia, cosa alquanto (im)probabile.^^

HermioneCH: Oh, cavolo... ma volete tutti salvare Calima??? Avrei preferito uccidere tutti e proclamare Fenrir signore assoluto del mondo, ma a questo punto dovrò rivedere i miei piani...^^ Calima rischia. Potrebbe morire. Oppure no. Chissà... *Alphonse Urecha ripete quanto Trick sia schifosamente bastarda. La giovane pulzella lo prende e lo sbatte contro il muro. Stupido pupazzo Wolfstar*.

rolly too: Ho dovuto scegliere Aulos per forza maggiore. Avevo bisogno di delineare meglio i caratteri dei personaggi e, visto che avevo intenzione di sfruttare Alceus e Tyne per la parte ''medica'', non rimaneva che lui. Senza contare che mi piace tantissimo, ma, be', io sono un po' di parte. Sono felicissima che quelle particolari parti della storia ti sono piaciute così tanto: sono esattamente le stesse che ho preferito scrivere.

LilyProngs: Ti ringrazio, mi fa molto piacere che ti piacciano i miei personaggi. Avendone creati così tanti dal nulla temevo davvero di renderli sciocchi e fasulli. Be', grazie mille e benvenuta nuova lettrice!



Sperando di aggior-

*Alphonse Urecha lancia un libro in fronte a Trick, ricordandole che dirlo porta irrimediabilmente sfiga. Trick si massaggia la fronte e si prepara per torturata l'ignobile scimmia rosa. Stupido pupazzo Wolfstar*.



Trick





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Capitolo 43
*** Capitolo Quarantaduesimo - Intervallo di fortuna ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO QUARANTADUESIMO

Intervallo di fortuna

°°°°°°°



Era indubbiamente l'idea più assurda che gli avesse mai attraversato il cervello. E, dopo tutte le follie che si era concesso negli ultimi mesi, era certamente tutto dire.

«Algabranchia» scandì.

«Cos'è, un gioco di parole?» sbuffò Rouge, inarcando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto con aria nervosa.

«Il fiume Shannon...» continuò Remus, fissando il nulla con aria vacua e annuendo fra sé e sé. «Sulle sponde dello Shannon potrebbe crescere l'Algabranchia...»

«Algabranchia?» ripeté timidamente Tyne, corrugando la fronte. «Non ne ho mai sentito parlare, Bizèt» aggiunse, scuotendo mesta il capo.

«È un alga dal colore piuttosto scuro e dalla consistenza un poco viscida. A volte, attorno alle radici, si formano piccole chiazze indaco che-»

«L'Erbasguazza, forse?» propose incerto Alceus. «Cresce sulla sponda orientale del fiume. Quando la mangi puoi respirare sott'acqua per un'oretta e nuoti molto più velocemente. Alcuni la usano per prendere i pesci, quando c'è scarsità di cacciagione».

«Sì, sì, sì, Alceus! Benissimo!» esclamò elettrizzato Remus, mentre una scarica di adrenalina gli attraversava la spina dorsale. C'era speranza, maledizione, c'era ancora una possibilità, continuava a ripetersi.

«Che diavolo devi-?»

«Non possiamo fare nulla per Calima, a meno che i suoi polmoni non cessino di essere essenziali per il suo organismo, capisci?»

La donna aggrottò pesantemente i sopraccigli.

«Se cercassimo di guarirla mentre è sotto l'effetto dell'Algabranchia» spiegò Remus, «potrebbe continuare a respirare con le branchie.

Gli occhi di Rouge si assottigliarono improvvisamente.

«Tu sei pazzo».

«Se non lo fossi, mia cara» ribatté con un sorriso sghembo, «non sarei certo qui».





«Alceus, manda qualcuno a prendere l'Algabranchia e-».

«Erbasguazzo» lo corresse irritata Rouge. «Non tollero simili termini da mago nel mio branco».

Remus fece un gesto frettoloso con la mano e annuì rapidamente.

«Alceus, avremo bisogno di qualcosa in cui poter tenere il capo di Calima immerso nell'acqua. Tyne, ti prego, potresti passarmi la borsa?»

La giovane s'affrettò ad afferrare la logora sacca marrone che aveva abbandonato in un angolo della tenda. La guardò con un sopracciglio vagamente inarcato e gliela tesa senza troppe domande. Rouge parve dar voce anche alla sua curiosità.

«Cos'è?»

«La mia borsa».

«Non l'avevo capito».

«Ho bisogno di...» rispose stringato, iniziando a rovistarne nell'interno con espressione corrucciata, «...questo!» concluse soddisfatto, mostrandole una boccetta color del rame.

«Cos'è quel-»

«Olio della Terra del Fuoco».

«Oh» esclamò lei, sgranando gli occhi e annuendo comprensiva. «Cos'è?» aggiunse nello stesso tono ironico.

«Aiuta il fenomeno della combustione» spiegò rapidamente Remus, avvicinandosi alla scodella di ferro che Alceus gli aveva procurato e versandone un paio di gocce sulle monete che vi aveva lasciato cadere. «Gli antichi maghi delle regione artiche erano soliti utilizzarlo per-»

«Non mi interessa» tagliò corto la donna, scuotendo con noncuranza una mano e fissandolo torva.

Svitò il tappo e scosse un attimo la piccola boccetta, prima di versarne un paio di gocce sul metallo. Queste, quasi fossero già incandescenti, emisero un piccolo sibilo e iniziarono a fumare. Avvicinò la scodella alla fiamma delle torce e attese pazientemente di vedere qualche goccia dorata scivolare sulla superficie metallica. Mentre la forma originale delle monete andava via via perdendosi, un'acre odore di bruciato si era diffuso nella tenda, intorpidendo gli olfatti sviluppati dei quattro mannari.

«Maledizione» imprecò sottovoce Remus. «Non ricordavo emanasse un odore tanto sgradevole».

«Peccato, Lupin» replicò con lo stesso tono scocciato Rouge. «Almeno avresti potuto avvertirci».

Remus osservò i riflessi delle torce sul liquido ambrato che ondeggiava nel recipiente. Trasse un profondo respiro e lanciò un'occhiata ansiosa al volto diafano di Calima.

«Iniziamo».





°°°°°°°





«''Another spell in the wall'', degli Insane Xantian, 1979» dichiarò con assoluta risolutezza Tonks, scrutando torva il volto concentrato di Proudfood. «Non puoi battermela».

Il mago affondò le mani nelle tasche del mantello e la guardò pensieroso. «Mmh...» parve iniziare, «''Green frog'', dei Crispin Cold, 1971» annuì solennemente. «Battuta».

«''Welcome on the tower'' , Parseltongue, 1987».

Proudfoot sbuffò. «''God save the Witch'', 1977, dei Blizzard. E non aggiungo altro».

Tonks inarcò divertita un sopracciglio e scoppiò a ridere. L'altro la fissò incuriosito, fermandosi nel bel mezzo della strada che costeggiava il locale di Rosmerta e incrociando le braccia al petto.

«I Blizzard?» ripeté con un'espressione sconcertata Tonks. «Tu

«Ragazzina, io ero presente al concerto dei Blizzard del '78, quando-»

«Uno scozzese ad un concerto dei miti del punk magico britannico!?» rise. «Per Circe, Morgana e tutte le altre streghe, questo è il colmo!»

Sebbene fosse chiaro come stesse, a sua volta, trattenendo una risata, Proudfoot le lanciò un'occhiata severa. «Bah» esclamò con sdegno, accelerando improvvisamente il passo e lasciandola indietro. «Vatti a fidare della prima inglese che capisce qualcosa di musica, e questa è la ricompensa».

Dopo aver corso per raggiungere il collega (e rischiato di inciampare nella lunga sciarpa colorata che aveva deciso di indossare), Tonks lo colpì scherzosamente sul braccio.

«Dai, Phil» lo rimproverò con un sorriso. «Non fare lo scozzese permaloso».

«Come mai tutto questo amore per la bella musica dei tempi andati?» s'informò Proudfoot. «Sei probabilmente la più giovane fan dei Wandhappy che abbia mai conosciuto».

«Sgrida papà» rispose con un'alzata di spalle lei. «La mia prima ninna nanna è stata ''Magic man'', dei Grompton Great. Credo abbia avuto un'influenza un po' eccessiva nella mia educazione, e, bè... questo è il risultato» concluse, indicandosi vagamente.

«Bravo, papà Tonks» annuì deciso Proudfoot. «Un ottimo lavoro».

Camminarono senza aggiungere altro per qualche minuto, spalla contro spalla, lanciando di tanto in tanto occhiate verso i vicoli che abbandonavano, controllando che l'ordine che avevano il compito di preservare restasse tale. Fu Proudfoot, dopo aver illuminato con la bacchetta un viottolo cieco particolarmente buio, a spezzare la monotonia di quell'improvviso silenzio.

«Ascolta, Tonks» esordì d'un tratto, afferrandole un polso e costringendola a fermarsi.

«Cosa c'è, Phil?»

Proudfoot pareva alquanto imbarazzato.

«Be', se mai dovessi aver bisogno di... insomma, di qualunque cosa... be', ricordati solo che questo ammaccato scozzese ha ancora qualche asso da giocare, ok?»

Dopo un primo attimo di sbalordimento, la giovane rispose con un sorriso mesto.

«Grazie» mormorò. «Sei un amico».

«Tranne per le questioni d'amore» aggiunse con il solito tono scanzonato. «Spiacente, ma per quelle c'è Charles».

«Me ne ricorderò» ridacchiò Tonks.

«Bene, e dopo questa bellissima radionovela, direi che possiamo anche tornarcene a casa» sentenziò Proudfoot. «È ora che sgobbi anche quella sogliola ammaestrata che ci ritroviamo come collega».





°°°°°°°





Respirava.

Piano e con evidente fatica, certo, ma non c'erano dubbi a riguardo.

Microscopiche e labili bollicine risalivano a galla dalle branchie apparse sul collo di Calima, svanendo una volta raggiunta la superficie con un guizzo veloce. Tyne, il volto contratto in un'espressione di estrema concentrazione, controllava che il volto dell'amica rimanesse costantemente immerso nell'acqua del bacile che avevano recuperato. I suoi occhi celesti non fissavano nient'altro che le condizioni della sua giovane paziente. Rouge e Alceus, al capo opposto del tavolo, avevamo appena terminato di fasciarle il petto con lunghe strisce di garza imbevute in un'erba di loro conoscenza. Una sorta di coagulante naturale tipico dell'isola di cui, come tante altre cose, Remus non aveva mai sentito parlare. Scrollando le mani bagnate in un secchio abbandonato in un angolo, alzo lo sguardo sul corpo addormentato di Yurk.

«Credo sia ancora cosciente» affermò risoluto.

Rouge lo fissò con un sopracciglio inarcato, prima di voltarsi a sua volta verso il compagno. «Pare di sì».

«Sarà dura operarlo, allora» continuò lui, afferrando uno straccio e asciugandosi le mani. «Sono certo che il dolore sia inaudito».

«Lo teniamo fermo» concluse con una semplicità disarmante Rouge, lasciando Alceus a terminare le fasciature e avvicinandosi a Remus. «Non guardarmi come se fossi priva di scrupoli, Damerino, è una cosa che va fatta.

«Soffrirà molto».

«Poco male, se in cambio gli salviamo la vita».

«Avremmo bisogno di aiuto» s'intromise Alceus, placido. «Come potremmo io e Tyne tenere fermo Yurk?» aggiunse, in risposta ai loro sguardi interrogativi.

Rouge annuì.

«Vado a chiamare quello scansafatiche di Aulos».

«Non basterà» replicò Remus, osservando pensieroso i muscoli prominenti del mannaro. «Cerca qualcuno che lo possa aiutare».

Mentre Rouge svaniva all'esterno, Remus si inginocchio accanto a Yurk, sfiorandogli le tempie bollenti e osservando preoccupato il colore violaceo della sua gamba destra. «Sta peggiorando di minuto in minuto» dichiarò. «Non abbiamo molto tempo».

«Bizèt, io-» iniziò Tyne, alzando per la prima volta gli occhi su di lui.

Remus alzò distrattamente una mano. «No, Tyne. Tu non ti muovi da lì. Calima ha bisogno di essere costantemente controllata».

La giovane annuì, sorridendo mite.

«Meno male che sei tornato, Bizèt» mormorò. «O saremmo già morti tutti».

Arrossendo appena alla luce delle torce, Remus rispose al suo sorriso. «Magari porto fortuna».

«Probabile» concluse lei con gentilezza, prima di abbassare il capo sul viso di Calima.

Rasserenato dal tepore tranquillo che si era diffuso nella tenda, non si accorse del ritorno di Rouge. Alle sue spalle, stava un uomo dal grosso naso rotondo e dalla barba rossa. Sebbene sparuti, i suoi occhi noccioli parevano estremamente rassicuranti. Era l'uomo che aveva abbracciato la bionda con il neonato, prima che questi si dirigessero verso la necropoli. Augurandosi che non venisse interpretata come una smorfia abbattuta, Remus gli rivolse un sorriso gentile.

Aveva smesso di tentare di apparire più rude e scanzonato di quanto, in realtà, non fosse mai stato. Dalla prima volta in cui aveva calpestato il suolo di quella terra desolata e straniera, molte delle sue opinioni erano cambiate. A priori, non esistevano mostri. C'era chi era nato più altruista di altri, chi per carattere s'indispettiva con maggiore facilità, chi tentennava in continuazione o chi si poneva su un trono tanto elevato da poter umiliare perfino il proprio stesso orgoglio. Creature selvagge, atte al cannibalismo e a pratiche pagane, avrebbe detto senza indugio l'estate prima. Ora, invece, era semplicemente circondato da diverse sfumature. Come a Londra, come a Jura, come in tutti i paesi d'Europa che aveva visitato. Gli estremi non esistevano. Da nessuna parte.

L'irruenza di Aulos non tardò a farsi sentire.

«Come stai? Hai qualcosa? Sei malato?» esclamò immediatamente all'indirizzo di Alceus che, arrossendo, si limitò a rivolgergli un sorriso imbarazzato.

«Bene...» mormorò flebile.

«Pensavo che-»

Alzando gli occhi al cielo con aria snervata, Rouge gli rifilò una poderosa ginocchiata. Il giovane, mugugnando qualche imprecazione sconnessa, chiuse subito la bocca.

«Non voglio più sentirti ciarlare, Aulos» lo liquidò seccamente. «Minsk, sei ancora dei nostri, vero?»

E quello, con un sorriso tirato, annuì piano. «Qualunque cosa, per te».

«Cerchiamo di risistemare Yurk, allora».

°°°°°°°





«Dannazione!» esclamò Remus, allontanandosi di scatto dalla traiettoria del calcio che Yurk aveva involontariamente scagliato. «Non riuscite a tenerlo più fermo?»

«Damerino, per tutte le fasi di Selene, non iniziare!» strillò Rouge, il volto arrossato per la fatica immane di trattenere il braccio sinistro dell'uomo e la criniera mora completamente scarmigliata. Aulos, al suo fianco, aveva seriamente smesso di parlare. Si limitava a serrare con forza i denti, cercando di bloccare la furia di Yurk con un'espressione stizzita. Minsk, con la fronte imperlata di sudore e le ginocchia saldamente piantate a terra, imprecava di tanto in tanto, maledicendo stelle, astri e qualunque cosa si muovesse sulla faccia della Terra.

«Cavolo!» urlò improvvisamente Aulos, quando, con un grido che aveva ben poco dell'umano, Yurk riuscì a liberare il proprio braccio sinistro.

«Accidenti, Aulos!»

«Minsk, aiutami!»

«Non riesco a muovermi!»

«Madre Selene, aiutaci...»

«Credo mi stia per venire un colpo al cuore!»

«Non ti ho il permesso di morire, Minsk!»

«Rouge, non resisto, non-»

«Diavolo!»

«Se non si ferma, lo ammazzo!»

«Bizèt, veloce!»

«Se non la smette di dimenarsi non posso fare proprio niente!»

«Ma perché devo essere sempre circondata da completi incompetenti!? Alceus, maledizione, passami quel bastone!»

«Rouge, cosa-?»

«No, Rouge, non credo affatto sia-!»



STUMP!



Sgranando appena gli occhi, Yurk ricadde indietro come un sacco di patate, gli occhi socchiusi e i muscoli facciali un po' contorti. Quasi avessero un'unica testa, tutti gli occupanti della tenda si voltarono verso Rouge. La donna, con un'espressione di pura vittoria e il respiro affannato, stringeva con forza un asse di legno dall'aspetto malmesso.

«Un po' barbaro...» iniziò Remus, passandosi stancamente una mano fra i capelli e scrutando incredulo il volto di Yurk. «Ma indubbiamente efficace».

°°°°°°°





Ninfadora,

mi auguro ti renda conto che sono settimane (settimane!) che non ci degni della tua presenza. Ora, capisco che il tuo lavoro occupi molto del tuo tempo, (è così pericoloso, inoltre... Ninfadora, tesoro, sei ancora certa di non voler cambiare mestiere?), ma, Merlino, restiamo sempre i tuoi genitori! Avremmo il diritto di sapere che stai bene dalla tua bocca, invece che da qualche conoscente che ti ha intravisto bighellonare per strada, non credi? Sono tua madre, Ninfadora, e l'ultima volta che mi hai scritto è stato per il giorno di Halloween!

Credi davvero che io e tuo padre ci meritiamo un simile trattamento? Dopo tutto quello che abbiamo fatto, dopo tutti i sacrifici, questo è il tuo modo di ripagarci? Sono esterrefatta, Ninfadora, esterrefatta! Ho sempre sospettato che la tua vena mascolina ti avrebbe portato ad abbandonare il nido prima di quanto avrei voluto, questo è certo, ma non che arrivassi a dimenticarti della tua stessa madre!

Ricordo ancora quando sei nata, ed eri così piccola e fragile... com'eri carina con quelle tue guance paffute e la boccuccia senza denti, Ninfadora! Ti ho mai detto di quanto eri carina appena nata, non è vero? Ho sempre creduto che sarei sempre stata la tua mamma, indipendentemente dalla tua età e sì, forse un poco ammettevo di essere ottimista, ma, per le sottane di Tassorosso, non credevo di esserlo così tanto!

Non starai prendendo delle sostanze strane? Non giri con delle brutte persone, vero? Oh, Ninfadora, ti prego, torna a casa, io e tuo padre abbiamo tanto bisogno di te...

Ha perso perfino la voglia di guardare quei tizi con quegli sconci pantaloncini corti giocare con il pallone, quelli che corrono rinchiusi in quella scatola rumorosa che tiene nel suo stanzino di roba Babbana... non ascolta nemmeno più i vostri dischi, tesoro, quelli con quella musica volgarotta che vi piacevano tanto... sta perdendo tutte le sue voglie, tesoro, ti prego, torna a casa.

E rispondi immediatamente alla lettera!



Con amore infinito ed eterno,

la tua mamma



Con un'espressione di puro raccapriccio sul volto pallido, Tonks abbassò la lettera che la madre le aveva appena inviato. Era pazza, concluse. Era semplicemente uscita di senno. Insomma, era sempre stata una donna dal forte senso pratico e, sebbene di tanto in tanto diventasse vittima di insalubri attacchi isterici, questo era veramente il colmo!

''Sei ancora certa di non voler cambiare mestiere?''

Santo cielo, continuava a marciare imperterrita con quella storia? Avevano trascorso così tante ore a discutere su quanto azzardata fosse la sua scelta di fare l'Auro, che non riusciva nemmeno a quantificarle. E, ogni santissima volta, la madre si ritrovava ad elencare tutti i possibili modi in cui avrebbe potuto perdere la vita, dall'incidente in ufficio con le forbici all'attentato terroristico all'interno del Ministero. E ora, nonostante fosse diplomata e lavorasse al Dipartimento da più di un anno, continuava a ribadire che aveva ancora tempo per darsi alla botanica! Folle, si ripeté.

«Milady» disse Tarbis, risvegliandola dallo stato catatonico nel quale si era lasciata scivolare. «Milady, vi è scivolato un foglietto dalla busta».

«Uh?»

Allungando il collo verso il pavimento, Tonks si rese conto che, effettivamente, una sottile pergamena giallastra riposava abbandonata fra i suoi piedi. Si chinò per raccoglierla – rischiando quasi di perdere l'equilibrio dalla sedia – e riconobbe immediatamente la grafia storta e sgangherata del padre.



Dora, tesoro,



se hai già letto la lettera di tua madre, non preoccuparti. Ho già preso tutte le precauzioni necessarie, sigillato le uscite e bloccato l'accesso alla Metropolveritana da casa nostra. Non dovrebbe riuscire a scappare, a meno che non decida di uccidermi. Quello potrebbe rivelarsi un problema non da poco, ma tant'è...

Se, invece, devi ancora leggerla, risparmia tempo. Prendi una pergamena nuova (da brava, fai questo piacere per il tuo vecchio) e scrivi: ''Carissimi mamma e papà in questo periodo sono stata così occupata, mi dispiace tanto! Che ne dite se venisse a trovarvi questa domenica?''.

Tua madre sta iniziando a dare di matto, Dora, sono seriamente preoccupato per la sua salute mentale.

E ho voglia di vederti anch'io.

Per favore, puoi venire domenica? Possibilmente di mattina, di pomeriggio c'è la partita e vorrei guardarmela in santa pace, senza tua madre che mi strilla nelle orecchie quanto ingrata tua sia diventata e sulla pessima educazione che, ovviamente, hai ricevuto da parte mia.



P.s.

Non è affatto vero che ho smesso di seguire il campionato e di ascoltare i nostri vecchi dischi. Qualunque cosa ti dica tua madre a riguardo, non crederle. Non mi lascia guardare il calcio, dice che i loro pantaloncini sono troppo sconci. Ti rendi conto? Non posso guardare il Chelsea che gioca perché tua madre crede che i loro pantaloncini siano indumenti per depravati! Non ascolto più i dischi perché dice che è robaccia! Robaccia, capisci? I Wandhappy sarebbero robaccia! E, intanto, mi tocca sorbirmi l'intero repertorio di Celestina Warbeck!

P.s.s.

Merlino, se ancora mi vuoi bene, torna dal tuo povero vecchio!

P.s.s.s.

Non eri poi così tanto carina quando sei nata. Facevi un po' schifo, a dirtela tutta...



Papà





Ridacchiando appena, Tonks afferrò piuma e calamaio e, grattandosi pensierosa il mento, iniziò a pensare a come avrebbe giustificato ai suoi genitori quell'involontario e prolungato silenzio. Sarebbe bastato un abbraccio per comprare il perdono di suo padre, su questo non aveva avuto dubbi ma... era certa che la madre avesse intenzioni un poco più bellicose.

Soffiando sconfitta, iniziò a scrivere rapidamente una risposta, temendo che la madre potesse interpretare anche quel ritardo come una dimostrazione della sua poca gratitudine. Decisamente non era il caso di peggiorare la situazione.

E domenica sia, si disse.

°°°°°°°











Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace!

Questo capitolo è stato orrendamente difficile da scrivere (a dire il vero mi mancava la voglia, ma tant'è...) e, oltretutto, continua a convincermi poco. E ora, non abbiatene, ma sono le quattro di notte e domani devo ripartire per l'Università, ergo, per finire questo capitolo e postarlo in nottata sto sacrificando il mio bell'aspetto mattutino. Domani mi sveglierò con delle occhiaie grandi quanto il Nevada ma, perlomeno, saprò di aver placato un poco la vostra furia.

Perché... si è placata almeno un poco, non è vero?



P.s.

I gruppi e le canzoni citati da Tonks e Proudfoot sono veri ma in chiave potteriana (ma va', non se ne era accorto nessuno...)^^

''Another brick in the wall'' dei Pink Floyd. ''Black Dog'' dei Led Zeppelin. ''Welcome to the jungle'' dei Guns 'N' Roses. ''God save the Queen'' dei Sex Pistols. E ''Iron Man'' dei Black Sabbath. I Wandhappy, di cui non vengono citate canzoni, sono, indovinate un po'... i Rolling Stones.

Giusto per ridare un po' d'onore alla Musica, e non alle canzonette che fanno rivoltare i suoi eroi nella tomba.

E con questo, concludo e svanisco.



Grazie di cuore a tutti.

Trick






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Capitolo 44
*** Capitolo Quarantatreesimo - Sei uno scherzo del Fato ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO QUARANTATREESIMO

Sei uno scherzo del Fato

°°°°°°°



«Alceus» esordì Lupin, sollevando il volto stanco dalla figura addormentata di Yurk. «Potresti, cortesemente, portarmi una pezza pulita?»

Salvare il nerboruto mannaro era stato oltremodo stremante. Erano occorse due ore di folli ed estenuanti tentativi per poter inciderne con delicatezza il polpaccio villoso. Nonostante il tremore delle proprie mani avesse reso, ad un certo punto, l'intera operazione ancor più pericolosa di quanto già non fosse, erano riusciti a limitare i danni del morbo in maniera sufficientemente accettabile.

I membri più rispettati della comunità magica avrebbero certamente storto il naso di fronte a simili pratiche primitive ma, ignorando bellamente quelli che aveva sempre considerato i suoi più ferrei principi morali, Lupin si riteneva piuttosto soddisfatto. Osservando il viso squamato e la carnagione azzurrognola di Calima, o rasserenandosi nel vedere il petto di Yurk sollevarsi ed abbassarsi a ritmo stabile, il senso di vittoria che lo agitava era così energico da sembrare quasi animalesco.

C'erano riusciti.

Sebbene avessero lottato con tutte le probabilità a loro sfavorevoli e non avessero fatto altro che giocherellare spudoratamente – e con estremo azzardo – con le stesse leggi della fisica e della logica, c'erano riusciti. E poco importava, a quel punto, quanto gli illustri perbenisti d'Inghilterra potessero ritenerli barbarici demoni.

Avevano arrestato la morte che la stessa leggenda popolare attribuiva alla vendicativa falce della dea Selene e, chissà, si ripeteva Lupin, che quello non potesse rivelarsi niente meno che un inizio.

Improvvisamente, pareva aver trovato la voglia di rialzare il capo.

Di nuovo, come non gli capitava da anni, aveva voglia di lottare.





Barbari e vivono nelle selva più nera,

con occhi di morte e di lupo criniera.

Tengono gelo al posto del cuore,

senza più anima, senza più onore.

Di questo parlano gli stolti umani,

di ciò che divide le bestie dai sani.

Non vedono oltre il pelo e le zanne,

non vedono oltre le loro condanne.

Temono l'altro nascosti all'oscuro,

e rulla alla guerra il muto tamburo.

Epica battaglia, licantropo e umano,

epica davvero, ma combattuta invano.





°°°°°°°





Sbuffando appena sotto il berretto di lana verde acido calato fino alle orecchie, Tonks si decise, infine, a suonare il campanello di casa.

Si era Smaterializzata a qualche decina di metri dalla staccionata bianca che circondava il giardino di casa Tonks e, imprecando contro il freddo e il vento e inciampando di quando in quando nell'orlo troppo lungo dei jeans, aveva arrancato fino al quartiere di villette a schiere nel quale era cresciuta. Incredibile come, in quel piccolo angolo di pace della periferia londinese, le cose non parevano aver avvertito il trascorrere di quegli ultimi ventiquattro anni. Il parchetto dietro all'abitazione del vecchio Jones dove giocava con i compagni d'asilo (era stato inutile, difatti, convincere sua nonna che mandarla alla scuola babbana, date le sue peculiari doti di Metamorfomaga, fosse azzardato) non era cambiato affatto. I pali sgangherati erano ancora storti nello stesso medesimo modo e la rete da calcio, stretta con grazia quasi divina con dei lacci per scarpe, aveva ancora gli stessi buchi. L'altalena color cobalto – quanti voli e lividi su quell'aggeggio! - era ancora al suo stesso posto e lo scivolo traballante era ancora lo stesso, in ogni suo malridotto dettaglio.

Lanciò un'ultima occhiata guardinga a destra e sinistra («Vigilanza costante!», le pareva di sentire nella testa) e, certa di non essere stata seguita né da qualche indesiderato Mangiamorte né, tantomeno, da un ancor meno desiderato agente ministeriale, alzò il braccio per bussare una seconda volta.

«Ninfadora?» la precedette una voce tremula che, sebbene di un'ottava più alta del normale, riconobbe come quella della madre. «Ninfadora, tesoro, sei tu?»

«No, sono un iceberg alla deriva» sbottò lei, stringendosi maggiormente nella sciarpa. «Mamma, manca poco che girino i pinguini per strada. Ti spiacerebbe aprire la porta? E non chiamarmi Ninfadora!» aggiunse stizzita.

«Non posso» ribatté risoluta la donna. «Non hai letto la Gazzetta? Occorre rafforzare le misure di sicurezza domestiche».

Alzando gli occhi al cielo e pregando il cuor suo che il padre fosse in casa e, di conseguenza, potesse accorrere in suo aiuto, biascicò:

«Qual'è il mio colore preferito?»

«Che domande sciocche, Ninfadora! Fanne di più difficili, per l'amor di Merlino. E, comunque, è l'azzurro».

«Verde, mamma» la corresse stancamente Tonks. «Il mio colore preferito è il verde».

«No, è l'azzurro. Ti è sempre piaciuto l'azzurro».

«Mi ha sempre fatto schifo l'azzurro».

«Sì, invece. Ricordi quando tua zio Edna decise di-»

«Non voglio ricordare niente che riguardi la zia Edna, mamma» la interruppe lei, con un'espressione schifata al ricordo degli orribili vestitini pieni di trine e merletti che quella folle parente del padre (perché, certo, non era parente sua) si ostinava a volerle infilare. «Come si chiamava il mio primo ragazzo?» sviò rapidamente.

«Lucke Forster, il nipote della signora Morroy!» esclamò vittoriosa Andromeda. «Oh, tesoro, era un ragazzino così adorabile! Non ho mai capito perché tu-»

«Lucke Forster!?» ripeté scandalizzata Tonks, con l'aria di chi ha appena ingoiato una Cioccorana andata a male. «Mamma, lo odiavo!»

«Tutte le storie d'amore iniziano così. Devi sapere, che io e tuo padre-»

«Ti scongiuro non-»

«Ma, tesoro, ti piaceva così tanto quel caro ragazzo...»

«Mamma, cosa stai blaterando?»

«Era tanto gentile».

«No, era una piattola. E sono sconvolta all'idea che tu possa pensare che io e lui fossimo-»

«Ninfadora, cara, sei certa di sentirti bene?» chiese con improvvisa apprensione Andromeda. «Non sembri nemmeno tu».

Se solo non avesse saputo che, certamente, sarebbe incappata nelle ire della madre, Tonks avrebbe preso a calcio quel disgustoso gnomo da giardino che sua zia Edna aveva tanto insistito piazzare in mezzo all'entrata.

«Mamma...» sibilò. «Ho freddo».

«No, tesoro, non posso assolutamente-»

«Papà!» iniziò a strillare Tonks. «Mamma non mi lascia entrare in casa!»

Dovette attendere qualche secondo e sorbirsi la voce della madre che si dichiarava sbalordita all'idea che fosse diventata così maleducata (colpa degli Auror che frequentava, ovviamente), prima che il tono caldo e pacato del padre accorresse in suo soccorso.

«Era il 1919, a Bristol» le disse. «Quale giocatore riuscì a segnare quattro reti nella finale per la coppa Chelsea-Manchester, portando la sua squadra sul trono dei grandi signori del calcio inglese?»

«Freddy Smith» sillabò come un pappagallo Tonks. «Papà, fa freddo...»

«Mi sei mancata, maschietto».

°°°°°°°





Mordendosi le piccole labbra e stringendo con forza il lenzuolo sporco sul quale Rouge gli aveva detto di sedersi, il piccolo Kisu scrutava ogni movimento attorno a sé completamente terrorizzato. Con gli occhi sgranati e la pallida fronte sudata, pareva in procinto di perdere i sensi da un momento all'altro. Sembrava incredibilmente allarmato da ciò che Alceus stava bruciando qualche metro accanto a lui. Nonostante tentasse di allungare il collo, non riusciva a vedere oltre il bordo del piccolo pentolino di metallo. L'odore, tuttavia, che gli stava pizzicando il naso da diversi minuti, non era per niente rassicurante.

«Kisu?» lo chiamò una voce roca.

Sobbalzando appena, il bambino si voltò di scatto, impaurito. Inginocchiato davanti a lui, lo strano mannaro girovago di cui Trick parlava sempre tanto gli sorrideva affabile. Sentendo l'amico narrare di lui – e di come gli avesse insegnato a far rimbalzare i sassi sull'acqua – aveva sempre provato una gran voglia di conoscerlo a sua volta. Ma la madre, costantemente preoccupata per ogni novità sopraggiungesse sull'isola, gli aveva espressamente vietato di seguire l'esempio Trick. Kisu, sebbene ne fosse rimasto molto deluso, era solito rispettare sempre gli ordini della madre. Aveva chinato il capo e aveva promesso che non gli avrebbe mai rivolto parola.

«Kisu? È così che ti chiami, non è vero?» aggiunse gentilmente l'uomo, continuando a sorridergli.

Kisu annuì rapidamente.

«Io sono Bizèt» continuò.

Il timbro pacato della sua voce aveva qualcosa di estremamente rassicurante e, ascoltandolo spiegare cosa avrebbero fatto lui e gli altri mannari per farlo guarire, l'agitazione di Kisu svanì senza che il bambino se ne accorgesse.

«Mi farà male?» domandò infine, in un sussurro ansioso. Evidentemente, era proprio questo che più lo terrorizzava e, ad ogni modo, come dargli torto? «Ho sentito Yurk gridare, prima. Fa male, vero?»

Remus gli rivolse uno sguardo comprensivo.

«Conosci la favola di Robbie Nientegambe?» gli chiese.

Incrinando un poco le sopracciglia sottili, Kisu scosse il capo.

«Non l'ho mai sentita» rispose con maggiore entusiasmo. Adorava le storie ma, ormai, conosceva a memoria tutte quelle raccontate da sua madre. L'idea di ascoltare finalmente qualcosa di nuovo era estremamente interessante.

«Vuoi che te la racconti?»

«Magari».

«Perfetto, allora. Ma dovrai concentrarti solo sulla storia, Kisu» specificò in fretta. «È una favola molto speciale».

«Perché?»

Il sorriso di Remus si fece più ampio.

«Perché, se ascoltata con attenzione, alla fine fa accadere cose altrettanto speciali» spiegò paziente. «Sai mantenere un segreto, Kisu?»

«Sì».

«È una favola che fa le magie».

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«Tesoro, vuoi un altro po' di vitello?»

«Un altro boccone, mamma, e mi trasformerò in un Big Bang umano».

«Potrei averne io?»

«Ted! Credi non abbia visto i tuoi risultati del San Mungo!? Hai il colesterolo più alto che abbia mai visto».

Sbuffando con un sorriso divertito, Ted Tonks rivolse uno sguardo affranto alla figlia, seduta al capo opposto della tavola.

«Ecco» scherzò. «Guarda davanti a chi mi hai abbandonato».

Arricciando le labbra e fingendosi offesa, Andromeda colpì la spalla del marito con una presina a forma di gallina. Alta e slanciata, Andromeda Tonks era una di quelle donne che, qualunque abito indossasse, si sarebbe comunque distinta per eleganza e avvenenza. I lunghi capelli mogano le ricadevano in ampie curve sulle spalle, circondandole il viso ovale come i petali di un'orchidea. A discapito dell'età, continuava a rimanere una delle donne più attraenti che Tonks (sia padre, che figlia) avesse mai incontrato. Vedendola armeggiare con maestria davanti ai fornelli o semplicemente scrollando i tappetti in giardino, Tonks si era sempre domandata perché diavolo non avesse ereditato la sua raffinatezza.

Maledetti geni Black, si ripeteva in quelle sporadiche occasioni, si sono dimenticati della sottoscritta.

Guardando di sottecchi il padre – un uomo dall'aspetto affettuoso, dai capelli chiari, il viso rotondo, un pizzetto che la madre definiva ''da ambulante'' (qualunque cosa essa volesse dire) e un paio di occhialetti squadrati calati sul naso, Tonks ricordava improvvisamente da chi avesse realmente preso.

Gli aveva passato la tendenza a dimenticarsi le date e gli orari, a smarrire gli oggetti più disparati per la casa, a perdere la cognizione del tempo ad ogni sacrosanta chiacchierata, ad arrivare in ritardo a qualunque appuntamento e, ultima ma non meno importante, la sua particolare attitudine all'inciampare su qualsiasi genere di ostacolo.

Erano due casi clinici irrecuperabili, come seguitava a ripetere la madre.

Peccato, tuttavia, che non fosse mai riuscita a controllarsi quanto il padre. La pacatezza e la tranquillità non parevano parole associabili con il suo spirito. Il suo autocontrollo era sempre sotto forte stress (negli ultimi mesi, inoltre, avevi raggiunto la zona rossa di pericolo imminente), aveva perso la propria pazienza all'età di cinque anni senza più ritrovarla e l'ordine mentale, per lei, non era nient'altro che un'utopia.

In quello era decisamente più simile alla madre. Crisi isteriche del tutto prive di ragione e obiettività, grida di rabbia seguite da pianti disperati e quella sgradevole abitudine di impicciarsi sempre e comunque nelle faccende di altrui giurisdizione, ecco il patrimonio tramandatole dalla parte materna.

Improvvisamente, si rese conto di aver ereditato le peggiori caratteristiche di entrambi i genitori.

«Maschietto, a cosa stai pensando?» le chiese il padre, sorridendo allegro e scrutandola oltre la tazza di caffè che stava bevendo.

Scuotendo disorientata il capo, Tonks gli rivolse uno sguardo abbattuto.

«Ti sei mai reso conto di come io abbia raccattato tutti i vostri difetti?» chiese.

Ted Tonks scoppiò a ridere.

«Che assurdità!» esclamò. «Hai preso anche i nostri pregi, tesoro».

«Tipo?» domandò con un'espressione curiosa.

«Tipo che sei bella come il tuo papà» spiegò con ovvietà Ted. «Non è più che sufficiente, piccola?»

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«Dove hai imparato?»

Alzando il capo dal bacile d'acqua nel quale stava lavandosi le mani, Remus lanciò a Rouge un'occhiata interrogativa.

«Cosa, esattamente?»

«A calmare così i bambini» precisò lei, incrociando le braccia al petto e scrutandolo interessata. «Kisu ha sentito male solo all'inizio. Non l'avrai ipnotizzato con la magia?» domandò lesta, facendosi improvvisamente più minacciosa.

«Nessuna magia» rispose Remus, ridacchiando piano. «Ho insegnato per qualche tempo».

«Insegnato?»

«Ah... sei un uomo di cultura» esclamò divertita Rouge. «Ecco perché sei così poco virile».

Remus gettò il capo indietro e scoppiò in una risata fragorosa. Stava per rispondere alla sua provocazione, quando qualcuno irruppe senza preavviso nella tenda.

Lynn, il viso olivastro stranamente pallido e lo sguardo sgomento, li fissava impietrita.

«Mio padre sta male».

°°°°°°°





Remus scrutò allarmato il volto ruvido di Chilone. L'anziano mannaro respirava appena, le labbra dischiuse e gli occhi semichiusi fissi nel nulla. Non vi era nessun segno rosso, né sul collo, né attorno agli occhi e al naso. Stava per slacciare i primi lacci della casacca quando la voce bassa e spezzate del vecchio lo interruppe.

«Lascia... stare» mormorò.

«Mastro Chilone, io-»

«Non puoi... fare niente».

Rouge espresse ad alta voce la stessa opinione di Remus.

«Chilone, non è il momento. Rilassatevi, ve ne prego, così potremmo-»

«Rouge... mia cara. Devi ancora imparare... ad accettare le sconfitte».

«No!» urlò la donna, stringendo i pugni e fissando furente il volto di Chilone. «Adesso voi ve ne state zitto e-»

«Padre...» piagnucolò Lynn, stringendosi forsennata al bordo del tavolo di legno. «Padre, ve ne prego...»

«Lynn...» biascicò l'uomo, scuotendo appena il capo. «Uscite».

«Cosa?»

«Uscite...»

Remus chinò la testa e socchiuse gli occhi. Se il viso di Chilone non portava i segni della malattia, il motivo era uno e uno soltanto: la maledizione di Selene si era insidiata nel suo cervello, iniziando lentamente, ma inesorabilmente, a ucciderlo. Anche se Chilone glielo avesse permesso, probabilmente non avrebbe ottenuto alcun risultato.

Asciugandosi gli occhi con la manica inzaccherata dalla camicia, Alceus strinse il braccio di Lynn, ancora intenta a osservare con aria smarrita il padre. Tyne si strinse con forza attorno al corpo di Calima, scuotendo rapida la testa. Non l'avrebbe mai lasciata sola, mai. Dall'altro capo della tenda, Rouge, mordendo con stizza il labbro inferiore e voltando la schiena al proprio mentore, aprì con un gesto secco la tenda e svanì nell'oscurità.

«Uscite tutti...» ripeté Chilone in un sussurro. «Tranne... te» aggiunse, stringendo con forza il bavero della camicia di Remus e fissandolo trepidante.



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«Ascoltami, ragazzo...» riprese debolmente Chilone.

Convincere Lynn ad uscire dalla tenda si era dimostrato ancor più difficile che convincere Aulos a non entrarvi. Dopo l'ultimo, decisivo e perentorio ordine del padre, tuttavia, anche la giovane era stata costretta a seguire le orme di Rouge. Tyne, sollevando il capo con aria interrogativa, era stata obbligata ad uscire, rassicurata, se non altro, dalla presenza di Remus. Non avrebbe permesso che accadesse qualcosa a Calima, ne era certa. Il mago, infatti, aveva controllato le condizioni della giovane mannara con estrema attenzione, prima di tornare a inginocchiarsi accanto all'anziano.

«Mastro Chilone» ritentò Remus. «Ve ne prego. Forse posso ancora...»

«No, non puoi» tagliò corto l'altro. «E ora, ascoltami. Io so chi era... tuo padre».

Nonostante in un primo momento Remus fosse stato colto dalla sorpresa, annuì comprensivo.

«Lo sospettavo. Eravate nel gruppo che-»

«No» lo interruppe Chilone. «Lo era la mia Leane».

«Vostra... vostra moglie

«Era curiosa» continuò l'anziano, mentre un sorriso dolce gli increspava il volto sofferente. «Desiderava vedere il mondo. Un giorno se ne partì su una carovana di mannari girovaghi... stolti. Credevano di poter trarre guadagno nel territorio degli uomini. In pochi tornarono. Leane... Leane tornò. Tornò con una bambina...»

«Una bambina?» chiese Remus, domandandosi per quale motivo Chilone gli stesse raccontando questi dettagli del passato che, ne era certo, nulla potevano avere in comune con la sua storia, o con quella del padre.

«...Rouge».

Remus sgranò gli occhi, incredulo.

«Non è possibile. Rouge ha detto di essere scappata di casa, quando-»

Chilone ridacchiò sommessamente. «Credevo avessi imparato... a non credere a tutto ciò che quella donna dice».

«Signore, non capisco come questo possa essere collegato a-»

«Fu tuo padre... a salvarle la vita».

«Cosa?» esclamò Remus, scuotendo incredulo il capo.

«Non credere a ciò che ti diranno. Leane... Leane mi disse che era stato un umano... a trovarla. Vagava per le campagna... sola. Credo l'avessero abbandonata... dopo la sua... trasformazione».

«...ed era mio padre che-?»

«Non poteva... tenerla con sé. Ma non voleva... non voleva che Leane la portasse via».

«Signore, non credo di capire».

«Non voleva... diventasse come noi. Era convinto... di poterla crescere... come un'umana. A fatica... Leane lo convinse che quello... quello non era più il suo mondo».

«No, è impossibile» ripeté con decisione Remus. «Non è possibile, mastro Chilone, mio padre odiava i licantropi... e odiava me» aggiunse flebile.

«Non fu tuo padre... a venderti».

Strizzando gli occhi in un'espressione di rabbia, Remus alzò le spalle, fingendo di essere più indifferente all'argomento di quanto in realtà non fosse.

«Che importa, ora?» sbottò. «È morto».

«Importa all'uomo che sei diventato... perché fu Leane... a non volerti portare qui».

«Che intendete?»

«Aveva un debito con tuo padre. Se sei cresciuto fra gli umani... è per la scelta che fece quel giorno».

«È assurdo» mormorò Remus.

«Oh, sì... è assurdo... assurdo che proprio tu... fra tanti... sia venuto qui. Che proprio a te... spettasse il compito... di svegliare... l'isola».

«Mastro Chilone, permettetemi di tentare...»

«Non puoi fare niente... niente per me, Remus» bofonchiò il vecchio. «Ma puoi fare la differenza... per tutto il resto».

«Chilone, ve ne prego. Abbiamo ancora bisogno di voi per-»

«No. Lo farete da soli. E io so... so che vincerete».

«Chilone...» ripeté costernato Remus, stringendo con forza la mano dell'uomo.

«Tu non sei un Clandestino, Remus... è il destino che l'ha voluto. Non sei un licantropo... e non sei un essere umano» riprese con una smorfia Chilone.

Chinando mesto il capo, Remus mormorò: «Cosa dovrei essere, allora?»

L'altro mannaro gli rivolse un sorriso divertito.

«Uno scherzo... del Fato».

«Non lo siamo forse tutti?»

«No» scosse il capo Chilone. «Tu sei diverso... da qualsiasi mannaro abbia mai dimorato... in questo paese. Tu... tu fai magie... come gli umani. Ma hai l'istinto del lupo... come i mannari. Devi solo... solo capire che è questa, questa, Remus, questa... la tua forza».

«Mastro Chilone, io non sono-»

«E ora, ragazzo...» lo liquidò con un gesto nervoso l'anziano licantropo. «Chiama Lynn e Rouge. Desidero... parlare a loro».

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Capitolo 45
*** Capitolo Quarantaquattresimo - Al sapore di birra ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO QUARANTAQUATTRESIMO

Al sapore di birra

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Seduta sulla poltrona di pelle accanto al padre, guardava, senza tuttavia realmente vedere, il marchio della lattina di birra Babbana che stringeva fra le mani, soppesando vagamente sulle sue ultime parole.

C'è qualcosa che non va, maschietto, non è vero?” gli aveva chiesto improvvisamente lui, sovrastando il volume della voce atona e metallica del telecronista. Lei aveva strabuzzato gli occhi e lo aveva fissato intensamente qualche istante, prima di chinare il capo rapidamente. Avrebbe dovuto sapere che il padre si sarebbe accorto del suo insolito cambiamento. Non avrebbe nemmeno dovuto sperarlo.

Al di là dell'aspetto bonario e pacifico, infatti, Ted Tonks si rivelava spesso estremamente intuitivo, in particolar modo per quanto riguardava le questioni legate alla figlia. Sebbene non potesse sapere di per certo quale problema la stesse turbando, aveva avvertito la sua preoccupazione e ne aveva rapidamente tradotto i segnali come un avviso piuttosto funesto. Non era intenzione di Tonks mentire al padre (non ne sarebbe stata probabilmente capace), ma era suo desiderio preservare quell'atmosfera rassicurante che, nonostante gli ultimi, tremendi sconvolgimenti politici, avvolgeva ancora la casa dei genitori.

«Il Chelsea è sacro, papà» sviò, cercando di apparire molto più tranquilla di quanto, in realtà, non fosse.

«Sono certo che il Chelsea possa perdere anche senza di me, oggi» le sorrise gentile, abbassando il volume del vecchio televisore e scrutandola di traverso. Il suo tono, tuttavia, aveva un suono estremamente determinato, come se volesse chiarire immediatamente che, qualsiasi cosa lei avesse deciso, lui non si sarebbe alzato dalla propria poltrona fin quando non avesse ottenuto sufficienti informazioni a riguardo.

«Allora?» ritentò con maggiore decisione. «Si può sapere che ti prende, Ninfadora

L'aveva chiamata per nome.

Non la chiamava mai per nome, a meno che non fosse capitato qualcosa di estremamente importante.

O di estremamente grave.

O entrambe le cose, a seconda dei punti di vista.

Fin dai primi anni di vita, il padre si era rifiutato quasi quanto lei di utilizzare quell'appellativo; non ne avevano mai parlato, ma Tonks era sicura che, se fosse dipeso unicamente da lui, accanto al proprio cognome sarebbe stato accostato qualcosa di ben diverso. Le si rivolgeva, generalmente, attraverso dei nomignoli, da ''principessa'', al più usato ''birbante'' fino al suo preferito, ''maschietto''. Le rare occasioni in cui aveva adottato il suo nome di battesimo si erano rivelate le più importanti – o gravi – della sua vita.

«Sei certa di voler intraprendere la carriera di Auror, Ninfadora?» le aveva domandato anni addietro.

«Non ne parlerai con la mamma, vero?»

«Qualunque sia il tuo problema, abbiamo entrambi il diritto di saperlo».

«Lo so» rispose rapida Tonks, distogliendo lo sguardo con aria colpevole. «Ma non voglio che si agiti per niente. Ha già grattacapi a sufficienza per il momento».

Dall'evasione di massa da Azkaban di qualche mese prima, infatti, Andromeda Tonks viveva con la paura di trovarsi la sorella maggiore sullo zerbino di casa da un minuto all'altro, il sorriso maligno a deformarle il volto sciupato e la bacchetta pronta ad eseguire la missione di una vita. Sebbene non ne avessero mai parlato apertamente, erano tutti consapevoli di essere in cima alla lista di Bellatrix Lestrange; se si fosse messa in testa di completare la sua ''opera di bonifica'' all'albero genealogico dei Black, difficilmente se la sarebbero cavata. Nonostante non ne avesse alcuna certezza, Tonks sapeva che sua madre non dormiva sonni tranquilli da parecchio tempo. Durante la sua ultima visita, la giovane aveva trovato una boccetta di Pozione Sonnolungo piena per tre quarti nel mobiletto del bagno.

«Devi promettermelo, papà» ribatté con forza Tonks. «Non una parola con la mamma».

«È così grave?»

«Potrebbe diventarlo».

Sul volto del padre comparve un'espressione ansiosa. Tonks preferì abbassare lo sguardo, continuando a fissare vacua la propria birra.

«Hai problemi a lavoro?» tentò di incoraggiarla a parlare lui.

''Ho anche problemi a lavoro'' avrebbe dovuto rispondere lei. Ritenne, tuttavia, fosse il caso di occultare, sebbene in parte, alcuni dei problemi che più la attanagliavano.

«Conosci il tenente Dawlish, papà?»

«Di fama, naturalmente. Dicono sia un Auror eccezionale».

«Non è un Auror» puntualizzò Tonks con una smorfia indispettita. «È un burocrate».

«Che intendi?»

«È attaccato ai calzoni di Scrimgeour più di quanto non lo sia con i suoi principi morali, ecco cosa intendo. Robards me lo ha affibbiato per controllare che non bazzichi troppo attorno a Silente». Tonks gli rivolse un sorriso storto e bevve un altro sorso. «Scoprire che lui e Harry Potter non erano dei mentecatti non è bastato a rendergli credito presso il Ministero».

Il padre sorseggiò con estrema lentezza la sua birra.

«Ti sei infilata fra due fuochi, insomma».

«No» lo corresse lei. «So a chi spetta la mia fiducia. E, al momento, non è al mio distintivo».

«Hai faticato tanto per arrivare dove sei» la ammonì con serietà il padre, scrutandola cupo. «Non dovresti parlarne tanto alla leggera».

«Ci sono cose molto più importanti del mio lavoro, papà».

«Ma non della tua vita, tesoro» obiettò gravemente Ted, scuotendo piano la testa. «Promettimi solo che non farai l'eroina».

Tonks sorrise mesta.

«Non è un gioco, papà» rispose addolorata. «Qui non ci sono eroi che si gettano nel fuoco, sconfiggono il cattivo e salvano il mondo».

Improvvisamente, Tonks realizzò di non aver mai visto il padre tanto preoccupato come in quel momento. Forse, si ammonì, sarebbe stato meglio tacere.

«È proprio questo, maschietto» le disse lui, «il motivo per il quale non voglio che tu lo faccia».

°°°°°°°







Remus,

gli archivi del 1967 non contenevano che poche pagine. Non ho potuto (per ovvi motivi di sicurezza che spero comprenderai) procurarteli.

Mi auguro, ad ogni modo, che le poche informazioni qui sotto siano utili a qualunque diavoleria tu stia architettando.

Boris Litfield, allora dipendente presso l'Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, annotò la presenza di tredici mannari, più o meno fra i venticinque e i quarantacinque anni.

Il nome di Greyback era sottolineato diverse volte e associato a diversi reati di poco conto, qualche furto, una o due risse di troppo, ma nulla di più.

I contatti fra il comitato della contea (le lettere sono firmate da un certo Wallace) si interrompono il sette di settembre, con un'ultima lettera nella quale s'informa del pacifico allontanamento del gruppo di licantropi.

Questo è tutto quello che posso dirti.

E ricordati la promessa.

Kingsley



Remus rilesse la lettera fin quando non ne ebbe imparato a memoria ogni parola.

''...si interrompono il sette di settembre...''

Due giorni dopo l'aggressione di Greyback, pensò Remus.

''...fra i venticinque e i quarantacinque anni...''

Nessun bambino. Nessuna traccia di Rouge.

''...un certo Wallace...''

Dunque, era vero.

Pur di allontanare il piccolo gruppo di licantropi dalla tranquillità della loro vita paesana e stanchi di attendere aiuti dall'Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, gli abitanti di Durham avevano deciso di affrontarli con la sola arma di cui disponessero: un concordato. Ed era stato proprio quel Pete Wallace con cui suo padre amava pescare a discutere con Greyback di entrambi i compensi. Un bambino per un villaggio, dopotutto, era piuttosto conveniente.

Ed era stato lo stesso Wallace, in qualità di portavoce del Comitato Regionale di Durham, ad interrompere la corrispondenza con il Ministero pochi giorni dopo l'ultimo atto dell'accordo. Probabilmente, suppose Remus, preferiva non avere il fiato di qualcuno sul collo, mentre le traccie della loro macchinazione svanivano con i licantropi.

Il piano avrebbe dovuto funzionare. Greyback se ne sarebbe dovuto andare con lui e loro avrebbero potuto trasformare quel crimine in una tragedia accidentale.

Apparentemente, nessuno di loro aveva fatto i conti con il destino.

Se suo padre, infatti, non avesse scelto di nascondere ai suoi compaesani l'esistenza di Rouge, lui sarebbe, con tutta probabilità, cresciuto a Jura. E Rouge, per assurdo, avrebbe potuto perfino prendere il suo posto. Chi poteva dire con certezza cosa, dopo trent'anni, sarebbe o non sarebbe potuto accadere? Se Leane non si fosse sentita in obbligo verso suo padre e non avesse costretto Greyback – Merlino solo sapeva come – a lasciarlo nel territorio degli umani, non sarebbe accaduto niente di ciò che, in realtà, era accaduto.

Non avrebbe mai conosciuto James, Sirius e Peter, si disse. Non sarebbero diventati Animagi e, forse, nessuno avrebbe confuso il tradito con il traditore. Non avrebbe mai imparato ad usare la magia, avrebbe presto dimenticato la gioia di sfogliare un libro e non sarebbe stato costretto a lavorare in una taverna irlandese al posto della madre. Forse, continuò, avrebbe combattuto nelle stesse guerre, ma dalla fazione opposta. Avrebbe appoggiato i Mangiamorte e Greyback, avrebbe sostenuto ogni sua folle proposta di sopraffare la razza umana e, ci avrebbe giurato, sarebbe diventato come lui.

In fondo, si ritrovò a pensare, non erano diversi quanto sperava.

°°°°°°°







«Aulos mi ha parlato di Londra» disse la voce di Rouge alle spalle di Remus, avvicinandosi al masso sul quale l'uomo sedeva da parecchi minuti, con lo sguardo pensoso fisso nel vuoto. «Gli è piaciuta molto» aggiunse con un vago gesto della mano.

«Ne sono lieto» rispose Remus, chinando vagamente il capo e scrutandola perplesso.

«Mi ha parlato anche di quella ragazza» continuò lei, tentando di mantenere lo stesso atteggiamento vago di pochi istanti prima. «Quell'umana...»

Con una smorfia indispettita, Remus distolse rapido lo sguardo.

«Risparmiati prediche e avvertimenti, Rouge» sbottò stancamente. «Ne ho abbastanza di sentirmi ripetere come devo o non devo gestire la mia vita. Sia da una parte, che dall'altra».

Rouge si sedette accanto a lui, fissando lo stesso punto nel nulla.

«Sei un idiota» ribatté telegrafica lei.

«Avevo detto di risparmiartela».

«Non ho potuto resistere» le disse, mentre un placido ghigno le increspava le labbra. Appoggiò le braccia alle ginocchia e lo scrutò intensamente.

«Cosa c'è?» domandò lui, confuso.

«Sei realmente un idiota, Lupin. Cosa diavolo ti è saltato in mente di venire a farti ammazzare da Fenrir? Non è il tuo posto, questo».

«È un po' tardi per farmelo notare, Rouge» rispose con la stessa freddezza lui. «Ormai ci sono dentro, non ti pare?»

Lei scosse il capo.

«Sei un idiota».

«E con questa siamo a tre».

«Perché stai facendo tutto questo?»

Lui guardò immobile i suoi occhi scuri, mentre una valanga di parole gli esplodeva nella scatola cranica. Perché era lì?

Perché dare una risposta alle sue mille domande era così complicato? Perché non poteva essere tutto più semplice? Perché non poteva andarsene dalla Gran Bretagna, dimenticare la guerra, Fenrir Greyback e ricominciare da un'altra parte? Non sarebbe stato più facile tornare a girovagare per l'Europa, senza nome e senza meta? Chissà, questa volta, magari, avrebbe potuto imbarcarsi nel porto di Marsiglia verso le Americhe e nessuno, nessuno avrebbe potuto rintracciarlo. I Mangiamorte avrebbero perso le sue traccia e, con un po' di fortuna, sarebbe riuscito a trovare qualche saltuario lavoro con il quale sopravvivere. Avrebbe semplicemente ripreso quella malinconica routine che aveva segnato i giorni degli ultimi dodici anni trascorsi in solitudine.

No, si disse.

Non poteva e, ancor più importante, non desiderava farlo.

Doveva ad Albus Silente più di quanto non dovesse ad altro mago: nemmeno se ne fosse dipesa la sua stessa vita, avrebbe abbandonato le sue schiere. Inoltre, si sentiva in dovere di combattere quell'estenuante, ultima battaglia, qualora fosse mai arrivata, al fianco di Harry. Aveva dato la sua parola a James e Lily e aveva rinnovato quella stessa promessa insieme a Sirius, una notte di molti mesi prima, davanti ad un bicchiere mezzo vuoto di vino elfico.

Inoltre, come se tutto quanto non fosse già sufficientemente gravoso, c'era lei. Sebbene continuasse a ripetersi quanto immorale e irragionevole fosse costringerla a legarsi a lui, non riusciva a trovare la forza di scacciarla definitivamente dai suoi pensieri. Tonks non si rendeva conto di andare in contro al più grande errore della sua vita, e, lui, per quanto si fosse mostrato debole, era ancora intenzionato ad impedirglielo.

Tutto quello, ad ogni modo, non pareva in grado di rispondere ai suoi quesiti.

«Obbedisco agli ordini» si limitò, dunque, a dire.

«Balle» ribatté lei. «Scommetto che il motivo non lo sai nemmeno tu».

Distogliendo lo sguardo dalla sua espressione scettica, Remus tentò di cambiare argomento.

«Come sta?»

Storcendo con irritazione il naso e staccando a sua volta gli occhi da lui, Rouge alzò le spalle. Per un attimo, Remus credette di averla vista fremere sotto al pesante mantello che indossava.

«Peggio di quanto dovrebbe» sibilò acida.

«Non credo sia il momento di portargli rancore» asserì Remus dopo qualche istante di riflessione. «Non più, ad ogni modo».

«Stupido vecchio» mormorò con rabbia. «Se solo... se solo ci facesse tentare di-»

«Non funzionerebbe» la interruppe mestamente lui. «Non questa volta. Mi dispiace».

Fissò intensamente la chioma scura che la donna si ostinava a mostrargli. La vide alzare la mano destra ed avvicinarla al volto e, con un sorriso mesto, le volse a sua volta le spalle e finse di non essersi accorto di nulla.

«Cosa ti ha detto?» eruppe improvvisamente Rouge. «Prima, cosa ti ha detto?»

«Nulla di importante».

«Non sembrava» sibilò astiosa.

Lanciandole un'occhiata perplessa, Remus inarcò confuso un sopracciglio.

«Perché tanta asprezza?» chiese. «Credi forse mi abbia confessato qualcosa riguardo al branco del quale, magari, ha preferito tacere a te?».

«È così?».

Lui le rivolse un lieve sorriso divertito e scosse il capo.

«Certo che no» le rispose pacato. «Sei tu il futuro capo del branco. Non io».

Rouge lo fissò intensamente qualche istante, quasi stesse cercando nel suo viso una qualsiasi traccia di menzogna. Le sue sopracciglia si aggrottarono fra loro, conferendo al suo volto dai tratti squadrati un'aria ancora più pericolosa e severa. Poi, annuendo piano, gli rivolse un ghigno superbo.

«Già» convenne, alzando lo sguardo sprezzante verso la volta celeste che li sovrastava. «Sarò io, il capo del branco».

Inosservata e rigida davanti alla tenda di Fenrir Greyback, Lynn stringeva con forza i pugni tremanti.

°°°°°°°





Lentamente, i piedi di Rouge affondarono nella neve fresca. Passo dopo passo, la donna iniziò a strascicarli verso il confine del villaggio, alzando il bavero della giacca logora nel vano tentativo di ripararsi dal freddo pungente della notte. Il capo chino, determinato fino alla fine ad ostentare la propria sicurezza, era il ritratto perfettamente opposto del mostro che la stava attanagliando.

Avrebbe tanto potuto svanire, solo qualche istante. Fuggire lontano, dimenticare tutto e, finalmente, urlare. Voleva picchiare qualcuno, voleva avvertire l'idilliaca sensazione del setto nasale rompersi sotto le sue nocche allenate, voleva mordere, ferire, causare a chicchessia il dolore che stava provando lei, perché in quel modo, forse, avrebbe potuto attenuare la propria sofferenza.

«Rouge» la chiamò la voce tremula di Alceus. «Stai salendo alla necropoli?».

Voltandosi con una lentezza quasi estenuante, Rouge lo fissò con aria assente e annuì.

«Non andare, allora» continuò lui, sobbalzando sotto al suo sguardo minaccioso e stringendosi nel colletto della camicia sgualcita. «È... già andato Aulos».

«Perché è andato lassù?» gli chiese, agitando con fare nervoso le mani. «Perché diavolo non ha aspettato un mio esplicito ordine!?».

«Io... io...» balbettò impacciato Alceus, arretrando maggiormente. «Credo sia stata un'idea di Bizét, Rouge...».

La donna inarcò pesantemente un sopracciglio.

«Bizét...?» ripeté, confusa.

«Io credo... credo abbia pensato che tu... ecco...».

«Che non avessi più la forza di parlare al mio branco!?» lo interruppe bruscamente, sgranando gli occhi in maniera isterica. «Chi diavolo si crede di essere, quel maledetto damerino londinese!?».

«Ha detto che voleva tu stessi tranquilla» riprese timidamente Alceus. «Ha mandato Aulos al tuo posto perché... non lo so, ha detto semplicemente che era meglio così».

«Ha detto davvero questo?» mormorò flebile, fissandolo intensamente.

«Sì».

Annuendo fra sé, Rouge gli voltò le spalle senza aggiungere un'altra parola.

«Rouge!» la chiamò allarmato Aulos, muovendo qualche passo verso di lei. «Rouge, dove stai-?».

«Sull'argine» ribatté lapidaria. «Ho bisogno di stare sola».

Aulos rimase immobile, finché non la vide sparire oltre le file scure delle betulle. Mentre tornava cinereo alla tenda, la vecchia Faolan, accucciata accanto al suo solito masso con lo stesso sguardo invasato di sempre, gli afferrò con forza l'orlo troppo lungo dei suoi calzoni.

«È vero ciò che il tuo amico ha detto?» biascicò stancamente, scrutandolo con quegli occhi alienati che avevano turbato i suoi sogni di fanciullo. «L'anziano Chilone è davvero...?».

Trattenendo il respiro e voltando il capo, Alceus annuì piano.

«Sì» rispose. «Non ce l'ha fatta».

°°°°°°°





Non dovrei avere il diritto di parola, lo so. Insomma, certo che lo so: lo dico ogni cinque capitoli, quando i miei ritardi superano il limite dell'accettabile. Anyway. Per qualche insano motivo, è stato un capitolo così barbaramente stitico che non sono riuscita a scriverlo in tempi accettabili. Mi spiace. Se, comunque, vi può far piacere, ho già tutti i dialoghi dei prossimi due belli e impacchetta in formato .rtf, non è fantastico!?

«È in resto, che ti darà beghe. E lo sai» afferma Alphònse Urecha.

Oh, che sia maledetto il giorno in cui mi sono portata in casa quella scimmia rosa. Ci parlo, vi rendete conto!? Inizio a sentire le voci!? Il suo pelo rosa crea dipendenza, santo cielo! E no, non è carino! È allarmante.

Come se non bastasse, è pure Wolfstar. Adesso vado a prenderla a calci: tende a dimenticare troppo spesso chi comanda.

Anyway.

SakiJune: WOW. Un sono aggiornamento in più di un mese. Sì, brava, hai detto bene. Non volevo che vi sentiste troppo coccolati. Legge di compensazione, dici? Mmh... lasciami pensare... no.^^ Il Canon è il Canon, e io non ho – ovviamente – intenzione di miracolare nessuno dei predestinati dalla Rowling. E questo, sono sicura, lo sapevi. Fra Canoniste c'è intesa, in fondo. ''Canoniste''... ecco un altro termine che il mio buon vecchio docente di italiano non vorrebbe mai leggere. Ma certo che Remus è un uomo da sposare, è nella mia lista dei miei P.A.P, insieme a Rhett Butler, Gary Oldman, William Blake, e ad altri quattordici altri sventurati. Principi Azzurri Perfetti, naturalmente. Lo so che sono negata per le sigle; ma se critichi questa, allora nemmeno tu vorresti sentire tutti gli altri tentativi. Ti dico solo che, per mistero divino, c'era finito in mezzo anche un certo E.U.G.E.N.I.O.

rolly too: in primo luogo e prima che mi dimentichi, volevo sinceramente ringraziarti per la bellissima presentazione che hai fatto alla mia storia. Davvero, ne sono rimasta commossa, perciò, davvero mille, mille grazie. Sono infinitamente contenta che ti piacciano i miei personaggi. Sono doppiamente contenta che ti sia piaciuta la parte del giovane Kisu. Per quale strano motivo, ho sempre creduto che Remus fosse estremamente in gamba per quanto riguardava i bambini. Insomma, siano sinceri: qualcuno ha mai pensato il contrario? A dire la verità, quello che cerco di fare, intrecciare parti leggere a parti pesanti, intendo, non è difficile come sembra. Non credo di avere nessuna capacità straordinaria, semplicemente, è più rilassante alternare le due cose, sia per voi che leggete, a mio parere, e sia per me che scrivo, indubbiamente. Per quanto riguarda Andromeda... ok, lo ammetto: in realtà il suo personaggio è liberamente ispirato alla mia madrina. Lo so, non sembra possibile che una calamità del genere esista davvero, ma, credimi, io ce l'ho, abita davanti a casa mia, e indossa un grembiule a fiori brandendo uno spolverino come copertura. Non so davvero come ringraziarti, davvero. Mi sembra di essere così ripetitiva nello scrivere «grazie, grazie, grazie»... però, davvero, sappi che è sincero.

HermioneCH: Grazie mille, davvero. E, be'... chiedo venia per l'assurdità di questo ritardo. Davvero, sono pentita.

fennec: Io non definirei ''egoista'' il Remus della Rowling. Insomma, sì, lei ne dà una idea molto veloce, lo descrive in poche frasi, ma, a parere mio, sembra più estremamente confuso, sperduto. Non credo che i motivi per i quali Remus tenta di lasciare Tonks siano legati ad un suo egoismo. Ma, comunque, è una questione irrilevante, ora. Con un po' di pazienza, prima o poi, potrei svelare il motivo per il quale Tonks ''ha perso la propria pazienta a cinque anni''. Per ora, dico solo che centrano una certa zia Edna, un vestito di pizzo e trine, una punk abbastanza precoce e il Decreto sulla Restrizione dell'uso della magia per i minorenni.

LilyProngs: Grazie mille. E, di nuovo, chiedo venia per il ritardo.

Etain: Oh, be'... a me piacerebbe potere usare la scusa del mio vecchio catorcio del computer. Ora che si è messo a funzionare come Buddha comanda, mi è scappata l'ispirazione. Sì, sono d'accordo con te. Effettivamente, mentre scrivevo questa storia mi sono resa conto di quanti dettagli del carattere di Remus, più che nel suo aspetto trasandato, dipendessero direttamente dalla sua licantropia. Non credo che, in condizioni ''normali'', sarebbe diventato l'uomo che la Rowling ci ha descritto. Senza contare che ben poco di ciò che la Rowling ha narrato sarebbe successo, a quel punto. Mi dispiace per Chilone, davvero. Ma, vi avevo avvertiti, nel corso della storia qualcuno sarebbe sceso qualche fermata prima. Chiedo sinceramente venia anche per quello. Grazie, grazie mille. I tuoi complimenti mi fanno davvero tanto piacere e, be'... ovviamente tifo per la Musica.

Lynn_Moonlight: sono felicissima che ti piaccia la mia storia e sono doppiamente felice che tu sia una sostenitrice delle Remus/Tonks. Benvenuta nel club, dolcezza. Be', che altro mai potrebbe aggiungere un umile scrittrice di fan fic? Mmh... grazie, grazie davvero, può andare?

E ora, vogliate scusarmi, ma danno ''Dogma'' in Tv e io ho bisogno delle mie Benagol.


Edit:
Qualcuno ha notato che sto risistemando tutto l'html dei primi capitoli? Sì, dai, lo so che l'avete notato. E, se siete stati così bravi da notare quello, avrete anche notato che, lentamente e con una fantasia a dir poco raccapricciante, sto dando perfino dei titoli ai capitoli. All'inizio della storia, speravo di poter evitare tale tortura, ma, purtroppo per me, non avevo fatto i conti con la confusione nella quale sarei sprofondata in seguito. Be', perlomeno ora lo so. Insomma, chiedo venia se vi eravate abituati al Ventisei, Trentanove o Ottantacinque, ma, di nuovo, avevo bisogno di qualche punto di riferimento. Perciò... be', considerandoo che sono stati aggiunti per puro interesse tecnico, mi perdonerete se i titoli fanno pena, giusto?







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Capitolo 46
*** Capitolo Quarantacinquesimo - Le fiamme del Mastro ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO QUARANTACINQUESIMO

Le fiamme del Mastro

°°°°°°°



Entrando nella tenda con il volto più stanco del solito, Remus guardò intensamente Tyne e Alceus. La giovane, ancora china sulla amica incosciente, alzò il capo rigato verso di lui, mentre il ragazzo, intento a cambiare le fasciature del piccolo Kisu, strinse con forza le labbra sottili e gli rivolse un mesto sorriso.

«So che è difficile. Molto più per voi, sicuramente, che non per me» iniziò piano, lasciandosi scivolare in un angolo della baracca e affondando una mano fra i capelli ingrigiti. «So cosa significa perdere qualcuno di così importante, ma... vi devo chiedere di non gettare la spugna proprio ora. Ogni minuto che lasciamo correre potrebbe essere un minuto in meno per qualcuno del branco. Detesto dovervi chiedere anche questo, ma-».

«Noi siamo con te, Bizét» lo interruppe deferente Alceus. «Qualunque cosa succeda».

Sorridendogli in risposta, Remus annuì grato.

«Bizét?» lo chiamò improvvisamente Tyne. «Potremmo... potremmo almeno... era uno dei saggi e...» balbettò. Incapace di terminare la frase, cercò con lo sguardo il sostegno di Alceus.

«Ci chiedevamo, Bizét» riprese questo, «se non fosse possibile seppellirlo onorevolmente nella necropoli. Come ha detto Tyne, era uno dei saggi e-».

«No» tagliò corto Remus, scuotendo amaramente il capo. «Non credo che una cosa del genere sia possibile».

Alceus e Tyne sgranarono gli occhi, fissandolo con espressione sgomenta.

«P-perchè...?» biascicò tremante Tyne, continuando a guardare rapidamente da lui ad Alceus, confusa. «Perché lui non-?».

«Perché non ho alcuna certezza che il morbo abbia perso la sua pericolosità. Se seppellissimo Chilone nella necropoli – dove sarebbe giusto, ne convengo – rischieremmo un contagio di massa dalle proporzioni abissali».

«Ma... ma...» iniziò Tyne, singhiozzando sconvolta. «Allora, cosa...?».

«Mi dispiace» mormorò accoratamente Remus, scrutandoli cupo. «ma è necessario bruciare la sua salma».

°°°°°°°





Calde e fluttuanti, le lingue di fuoco si stagliavano contro un nuovo giorno. Se l'acre odore della morte non ne avesse alterato lo spettacolo, poter scorgere i tenui colori pastello del cielo e, contemporaneamente, la forza feroce del fuoco, sarebbe stata una visione spettacolare. Remus Lupin aveva sempre trovato l'alba di una bellezza estremamente più piacevole del tramonto. Probabilmente, si era sempre detto, anche questa sua predilezione doveva alla sua condizione di licantropo. Il tramonto, così avvolgente ed esaltante, non era altro che il segno di un'altra notte che si andava avvicinando e, di mese in mese, quella notte si trasformava in un altro plenilunio di sofferenze.

Dopo tanti anni e, forse, per la prima volta, guardava l'alba con occhi diversi. Mentre il corpo di Chilone andava via via dissolvendosi fra lo scoppiettare delle fiamme, quello stesso sole mattutino a cui tante volte aveva rivolto i suoi sguardi riconoscenti, illuminava implacabile i loro volti turbati. Impressa nei volti dalle forme più diverse, troneggiava la più totale e devota sofferenza. La vecchia Faolan, contro ogni previsione, aveva abbandonato il suo ombroso rifugio e si era trascinata fino al grande falò del villaggio, arrancando stancamente con il suo vecchio bastone di canne intrecciate; Minsk, grattandosi pensieroso la lunga barba rossa, teneva il capo chino e, di tanto in tanto, gettava occhiate preoccupate verso la necropoli, sperando, probabilmente, di poter intravedere il volto della compagna e del proprio bambino nascosti dalle betulle più vicine; Alceus e Aulos, seduti l'uno accanto all'altro a pochi metri dal fuoco, zufolavano piano una malinconica nenia; a pochi passi da loro, Tyne, carezzando piano i capelli del giovane Kisu (fra tutti gli infermi, probabilmente quello che dava i migliori segni di guarigione), piangeva sommessa. Attorno a loro, tutti gli altri mannari affetti dal Morbo dei Re, Regalis Morbus, Sigillo dei Peccatori o qualunque altro nome gli si possa attribuire, parevano essere ipnotizzati dal danzare delle fiamme. Vi era chi scorgeva nel suo calore nient'altro che un funesto avvertimento, chi, scuotendo il capo, ringraziava la sorte di averlo risparmiato e chi, stringendosi semplicemente nel bavero della casacca, non era semplicemente in grado di pensare a qualcosa. Il volto di Rouge, al contrario di tutti, era una maschera di imperturbabilità. Austera e apparentemente inattaccabile, fissava il viso contorto del proprio mentore svanire fra le fiamme, con lo sguardo brillante e la mascella rigidamente serrata.

«È COLPA VOSTRA!» strillò improvvisamente una voce.

Voltandosi spaventato, Remus vide Lynn fissarli con un'espressione alienata impressa nel volto olivastro. Respirava affannosa, stringeva i pugni con forza e pareva in procinto di attaccare uno qualsiasi di loro. Muovendo appena il capo, Rouge le rivolse un'occhiata altezzosa, prima di tornare a fissare taciturna il falò.

«È COLPA VOSTRA SE MIO PADRE È MORTO!» continuò a strillare, scuotendo isterica il capo e muovendo agitata le braccia. «ASSASSINI!».

Respirando stancamente, Remus si avvicinò a lei.

«Lynn...» tentò di iniziare, stringendole con gentilezza le braccia.

«NON PARLARMI!» gridò di rimando lei, divincolandosi dalla sua presa e guardandolo con ira. «È STATA TUTTA COLPA TUA! SE TU NON FOSSI MAI VENUTO QUI, NON SAREBBE MAI SUCCESSO NIENTE! TU HAI PORTATO LA SCALOGNA NEL NOSTRO BRANCO! DOVEVI MORIRE TU, MALEDETTO!».

Corrugando le sopracciglia e scrutando attento la scena, Aulos spostò la sua mano da quella di Alceus, per stringerla con forza attorno all'impugnatura del proprio pugnale. Accortosi del gesto del giovane, Minsk distolse lo sguardo da Lynn e lo ammonì silenziosamente con un cenno severo del capo.

«Ascoltami, Lynn, te ne prego» riprese pacato Remus, osservandola con intensità. «Capisco quanto sia dura accettare il fatto che-»-

«TU NON SAI NIENTE! È MIO PADRE QUELLO CHE STATE BRUCIANDO! MIO PADRE! TU NON CAPISCI!».

«Purtroppo» mormorò tristemente lui, «temo di capirti».

Tremando per i violenti singhiozzi e fissandolo con il volto deformato dal dolore e dalla rabbia, Lynn scosse di nuovo il capo, facendo ondeggiare la lunga chioma corvina come un'onda di pece.

«No, non lo sai...» ribatté decisa, stringendosi nelle braccia e inginocchiandosi a terra. «Non lo sai...».

Guardandola sconfitto, Remus si chinò dinanzi a lei e le sfiorò con gentilezza una mano. Gemendo dolorosamente, Lynn si lasciò sopraffare da un pianto implacabile.

«Mio padre...» biascicò con voce impastata.

«Non ha voluto che tentassimo di guarirlo» disse. «Aveva già deciso la strada che avrebbe percorso».

E tu, Lynn? Quale strada hai intenzione di percorrere, ora?

°°°°°°°





«Come sta?» s'informò Rouge, sporgendosi verso Calima e immergendo una mano nell'acqua per scostarle un ciuffo fluttuante di capelli dal volto squamato.

«Meglio» le rispose placida Tyne. «Almeno, questo è quello che dice Bizét».

«Non devi preoccuparti, allora».

Tyne annuì.

«Rouge! Rouge!» strepitava la voce di Aulos al di fuori della tenda. «Rouge!».

Alzando gli occhi al cielo con fare stizzito e imprecando contro l'inefficienza del giovane mannaro, Rouge aprì di scatto la tenda.

«Aulos, non urlare!» gridò a sua volta, alterata.

«Rouge!» esclamò lui, illuminandosi di colpo alla sua vista e correndole incontro trafelato.

«Madre Selene, Aulos, che succede, adesso?» sbottò stancamente, passandosi una mano sul viso.

«Fenrir...» iniziò lui, cercando di riprendere fiato. «Fenrir è tornato».

°°°°°°°





«Cosa diavolo è successo nella mia tenda!?» sbraitò Greyback, irrompendovi dentro con la grazia di un Troll. «Rouge!»

«Fenrir» disse Rouge, sfoderando il suo miglior sorriso diplomatico. «Quali novità dal mondo umano?».

«Chiudi il becco, stolta femmina, e rispondimi!» gridò di nuovo. «Cos'è questo macello!?».

Con un piccolo strillo terrorizzato, Tyne e Alceus si acquattarono sotto al grosso tavolo di legno, stringendosi tremanti l'uno con l'altra.

«Siamo morti...» squittì impercettibile il ragazzo.

«Fenrir» s'intromise Remus, entrando a sua volta nella tenda e inchinandosi appena. «Sono lieto tu sia tornato così in fretta».

«Forestiero...» mormorò rabbioso lui, voltando piano il capo verso di lui. «Mi vuoi spiegare?».

«Naturalmente, Fenrir» rispose prontamente Remus, annuendo servizievole. «Vedi, tutto è iniziato quando-».

Greyback, innervosito, lo sollevò per il collo e lo sbatté contro il grosso palo di legno che sosteneva la tenda. Sgranando gli occhi per il colpo poderoso, Remus boccheggiò in cerca di aria.

«Non mi interessa l'inizio, Damerino!» urlò Greyback. «Voglio una spiegazione!».

Riempendo un calice di vino al proprio capobranco e porgendoglielo con un sorriso divertito, Rouge ironizzò:

«Se tu evitassi di strangolarlo, Fenrir, forse sarebbe capace di fornirtela».

°°°°°°°





«Mi state dicendo che potrei essere affetto da quella cosa!?» gridò Fenrir, sbiancando improvvisamente.

«Non è detto, Fenrir» lo rassicurò stancamente Rouge. «Se non hai segni rossi non-».

«Ho detto che non ho segni rossi!».

«Allora non-»

«Hai sofferto di qualche strano e inspiegabile malanno, di recente?» la interruppe Remus, fingendosi improvvisamente preoccupato.

Rouge gli lanciò un'occhiataccia.

Fenrir, dall'altro capo della tenda, lo fissò frastornato.

«Strano... e inspiegabile?» ripeté. «Non... non lo so. Ho avuto una fitta alla stomaco per la via del ritorno».

Osservando il volto di Remus farsi sempre più sconvolto e allarmato, Fenrir impallidì.

«Cosa c'è!? Cosa succede!? Damerino, ho quella cosa!?» strillò spaventato. «Ho preso quella cosa!?».

«Calmati, Fenrir. Abbiamo la cura».

«La cura... sì, la cura! Dammela subito! Muoviti! Se ho quella cosa, non-»

«Ci sono membri del branco in condizioni peggiori delle tue» s'intromise stizzita Rouge, fissandolo torva. «Sarebbe meglio se prima-».

«IO sono il branco!» le urlò ferocemente lui. «E ora, curatemi, razza di idioti!».

Rouge parve contenere a stento il desiderio di sgozzarlo. Remus, al contrario, sembrava incredibilmente rilassato.

«Hai detto che hai avuto fitte allo stomaco?» s'informò, corrucciato.

«Sì, imbecille, te l'ho già detto» sbottò iroso.

«Mmh» si finse pensieroso Remus. «Questo è un problema».

Rouge, Tyne e Alceus si scambiarono una vaga occhiata perplessa.

«Problema?».

«Be', capisci, Fenrir, la cura deve arrivarti nello stomaco e...»

Intuendo il trucco del mago, Rouge si voltò rapida verso Calima, sperando di nascondere il ghigno divertito che le era comparso sul viso. Tyne e Alceus la fissarono confusi, scambiandosi un'altra occhiata interrogativa. Cercando con tutte le proprie forze di non ridere, Remus aprì il pugno e mostrò a Fenrir cinque monete d'oro.

«...devi ingoiare queste».

«Cosa!?» ringhiò indignato lui, colpendo con forza il tavolo e facendo tremare i due giovani mannari nascosti sotto.

«Non esiste altro rimedio, Fenrir» spiegò Remus, annuendo tristemente. «Be', tecnicamente ci sarebbe, ma...».

«Non posso ingoiare delle monete, per chi mi hai preso!? Quale diavolo è quest'altro rimedio!?».

Remus si disse che la sua serietà non avrebbe avuto vita lunga, di quel passo.

«Per arrivare allo stomaco, ci sono solo due... ehm... possibili entrate, Fenrir, perciò... o una o l'altra. La scelta è tua».

«Stai dicendo che dovrei...» iniziò Fenrir, strabuzzando gli occhi e arrossendo improvvisamente. Guardò con aria stranita prima Remus, che gli rivolse un innocente sorriso, poi le monete che scintillavano sul suo palmo teso. Aggrottando le folte sopracciglia, parve soppesare intensamente la questione. Improvvisamente, raddrizzò la schiena, tossicchiò vagamente e riprese un contegno meno pavido.

«Molto bene» decretò infine. «Le mangerò, allora».

«Molto bene» annuì di rimando Remus.

«L'ho già detto io, Damerino» sibilò furente Greyback, sporgendosi verso di lui e mostrando i denti gialli.

«Mi perdoni, signore».

«E non chiamarmi ''signore''!» sbraitò, afferrando con stizza le monete e uscendo senza aggiungere altro dalla tenda.

Rouge lasciò trascorrere qualche secondo di quel forzato silenzio, prima di scoppiare a ridere. Remus, lanciandole un'occhiata di sbieco, sghignazzò appena e si avvicinò al grosso tavolo di quercia, dove si chinò per aiutare Tyne e Alceus a rialzarsi.

«Credi sia davvero malato?» chiese improvvisamente la donna, asciugandosi una lacrima e, di tanto in tanto, lasciandosi sfuggire altre risatine divertite.

«Temo di non saperlo con certezza» le rispose Remus con un'alzata di spalle. «Ad ogni modo, spero di no».

«Perché?» chiese Alceus, sollevando lo sguardo dagli stracci che aveva ripreso a pulire e guardandolo confuso. «Non sarebbe più facile per noi se facesse tutto la malattia?».

Al suo fianco, Tyne annuì con vigore.

Remus rivolse ad entrambi un labile ghigno.

«Se ne fosse affetto, il morbo scioglierebbe le monete nel suo stomaco» disse. «Personalmente, se questo non dovesse accadere... be', avete mai provato a completare la digestione dopo aver mangiato cinque monete di quelle dimensioni?».

°°°°°°°







Non fate come l'ultima volta. Non illudetevi che inizierò a postare come una persona normale. puciu ha addirittura provato a fare uno schema illustrativo dei miei aggiornamenti e (sì, effettivamente credo sia stata internata) e non è arrivata a nessuna soluzione. Ad ogni modo, dai, non sono stata bravissima a spararveli uno dietro l'altro, sotto le feste e sotto l'influenza? Qualcuno accenda il segnale luminoso degli applausi forzati, perché non si sente niente quaggiù... oh, chissenefrega.

Caillean, meriti un premio per non aver perso la speranza. Sei stata l'unica ad accorgerti del nuovo capitolo. Insomma, il fatto che aggiorni come Zarathustra comanda non significa che non aggiorno mai. Anyway. Sì, anch'io adoro Ted. È il Papà Coccola che tutto vorrebbero avere. Ad ogni modo, grazie mille.

Al prossimo capitolo, gente.

«Quando, quando, quando,non si sa...!»

Qualcuno smetta di farmi cantare.


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Capitolo 47
*** Capitolo Quaranteseiesimo - Per gli umani la legge è uguale ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO QUARANTASEIESIMO

Per gli umani la legge è uguale

°°°°°°°



I giorni erano scivolati con una consistenza quasi impalpabile, eterea, eppure, in una sorta di strana parodia che Remus non riusciva a comprendere, erano stati irrefrenabili. Più volte, seduto fra i massi del villaggio di Jura o con le gambe affondate nella poltiglia fangosa degli argini dello Shannon, si era ripetuto quella domanda che Rouge, con una casualità che era solo apparente, gli aveva posto qualche settimana prima.

«Perché stai facendo tutto questo?».

Eppure, nonostante fosse certo di quanto e come la risposta fosse semplice, non riusciva ad afferrarla definitivamente, né a comprendere qualcuno dei risvolti che la complicavano. Rifletteva per ore sui se, sui perché, sui come e i però, ma, a distanza di giorni, ormai, ancora non era riuscito a darsi pace.

L'atmosfera insalubre e sofferente che aveva attanagliato Jura pareva in procinto di sciogliersi con la stessa pacatezza della neve. Lentamente, le sterpaglie contorte del bosco e le felci dalle mille foglie stavano andavano riaffiorando, e sugli alberi del bosco di Tupin, di tanto in tanto e se si era fortunati, si potevano scorgere le prime gemme di primavera. Anche nel cielo, finalmente, qualcuno già iniziava a cogliere le sfumature grigiastre mutare, seppure impercettibilmente, verso tonalità sempre più turchesi.

Non era trascorsa che qualche settimana dal ritorno di Fenrir Greyback nell'isola; secondo le supposizioni di Remus e Rouge, il capobranco non aveva accennato della sua particolare cura a nessuno, e loro, ridacchiando interiormente, avevano ritenuto poco saggio farsene vanto nel gruppo. La paura che Greyback pareva ancora nutrire per il morbo dei Re, tuttavia, venne presa da Remus come una vera e propria manna dal cielo. Di rado, difatti, il capo dei mannari si avvicinava al centro del villaggio, laddove i suoi proclami, un tempo, si erano levati alti verso il cielo stellato e avevano consacrato la sua forza dinanzi a Selene. Il timore con cui preferiva incaricare ad altri il compito di recapitargli informazioni dalla sua tenda era tale che spesso, piuttosto che rischiare un contagio, preferiva mandare il piccolo Trick.

Il bambino, d'altro canto, era più che lieto di accollarsi il peso di quell'improvvisata ambasciata e, sgambettando e fischiettando lungo il pendio della necropoli, raggiungeva il villaggio con un sorriso sfacciato su un volto e una gran voglia di sentire altre storie di guarigioni e fasciature. Era certo, come aveva ripetuto più volte a Tyne e Alceus, che dietro al miracolo di Bizèt si celasse una potentissima magia. Ed ogni volta, Rouge, stringendo con stizza gli occhi e sbuffando furibonda, lo afferrava per l'orecchio e, ignorando volutamente i lamenti del ragazzino, lo cacciava dalla tenda e gli ripeteva che se mai ne avesse fatto parola con qualcuno al di fuori di loro, gli avrebbe tagliato le orecchie e se le sarebbe mangiate a colazione.

«Non c'è niente di magico» lo rimproverava solenne, storcendo il naso con un espressione disgustata alla parola ''magico''. «Chiaro? Niente».

Arricciando un po' il labbro e guardandola di traverso, tuttavia, Trick non era mai sembrato troppo convinto.

Un pomeriggio di pochi giorni prima, Remus, costretto a interrompere il cambio delle garza di Minsk per l'irruzione del ragazzino, lo aveva faticosamente salvato dall'ennesima sonora strigliata di Rouge. Aveva fatto cenno ad Alceus di sostituirlo e, posando le mani sulle spalle del bambino, lo aveva condotto fuori dalla porta, lontano dal nervosismo di Rouge e dai vapori che le erbe secche esalavano.

«Non è magia, Trick» gli aveva ripetuto con gentilezza, inginocchiandosi davanti a lui con un sorriso gentile. «Guarda».

Gli aveva teso il palmo aperto, sul quale riluceva una monetina dorata. Spalancando quasi contemporaneamente occhi e bocca, il ragazzino aveva preso a muovere freneticamente le dita delle mani.

«Posso toccarlo, Bizèt?» aveva esclamato d'un fiato, guardando impaziente dal suo volto segnato alla moneta. «Posso, ti prego?».

Remus aveva finto di ponderare la questione a lungo.

«Non saprei» aveva detto. «Questa è una moneta molto particolare».

La curiosità di Trick era parsa farsi più fremente di secondo in secondo.

«Davvero particolare» aveva ripetuto Remus, scrutandola con aria intensa, quasi avesse potuto svelargli chissà quali incredibili misteri.

«Perché?».

«Perché, cucciolo di lupo, è una moneta che non è come appare» aveva risposto sibillino, rigirandosela fra le dita e sorridendo appena all'espressione completamente sbalordita ed eccitata del bambino.

«E non fa magie?».

«Mmh» aveva mugugnato pensoso, scrutandola un altro istante. «Ne dubito».

«Ma Kisu ha detto che la tua storia sa fare le magie!» aveva protestato piccato Trick, incrociando le braccia con un piccolo broncio. «Perché a lui hai raccontato una storia magica e a me no?».

Ridacchiando piano fra sé e sé, Remus gli aveva allungato la moneta e si era alzato per rientrare nella tenda.

«Scarta e mangia» gli aveva detto con un sorriso divertito, indicando vagamente l'oggetto che il piccolo stringeva sbalordito fra le mani. «È l'unica magia che posso mostrarti, cucciolo di lupo».

L'unica magia, forse, era avvenuta per la giovane Calima. Dopo due settimane trascorse con il volto squamoso immerso nel bacile d'acqua, i suoi polmoni – complici degli intrugli pastosi dall'odore acre che i mannari di Jura usavano come coagulanti e che, naturalmente, Remus non conosceva – avevano ripreso la loro originale funzione. Sebbene debolmente e ancora costretta al riposo, Calima ascoltava le parole dei mannari circondavano rasserenati il suo capezzale, e, di tanto in tanto, se le forze le erano sufficienti, farfugliava qualche vaga risposta.

«Già da prima, mi fidavo di te» aveva biascicato a Remus qualche giorno dopo l'ultimo uso dell'Algabranchia. «Ora, qualunque cosa tu voglia fare, io ci sto».

Remus le aveva rivolto un sorriso cortese e, annuendo piano, l'aveva pregata di riposare ancora e di lasciare al suo organismo il tempo necessario a riprendersi.

Pareva, quindi, che fossero riusciti a prevenire il pericolo prima che si facesse troppo forte per essere contrastato; alcuni mannari del branco – la maggior parte dei quali ancora sulla necropoli – si erano, tuttavia, convinti che il peggio dovesse ancora sopraggiungere. La voce che quel forestiero (dal quale qualcuno preferiva ancora tenersi alla larga con aria diffidente) era stato in grado di debellare la pestilenza, aveva portato molti a credere che la vendetta di Selene, ora, potesse farsi ancor più violenta nella sua seconda manifestazione. Se per il primo errore ci aveva puniti con la morte, si dicevano ansiosi, chissà cosa potrebbe fare, adesso che abbiamo contrastato la sua decisione. Per conto loro, ad ogni modo, Remus e Rouge ritenevano quella sequela di opinioni nient'altro che sciocche e infondate superstizioni, e, seduti sulle sponde ghiacciate dello Shannon e lontano da orecchie indiscrete, avevano ripreso a lavorare su quel progetto di rivoluzione che il morbo dei Re aveva interrotto.

«La morte di Chilone è stata un brutto colpo» ripeteva con freddezza eccessiva Rouge. «Ma io non mollo. Tu sei con me, Lupin?».

E lui, con estrema risolutezza, annuiva silenzioso.

Ciò che era successo non li aveva scoraggiati; neppure il ritorno di Greyback e della paura di essere scoperti da un momento all'altro pareva in grado di scalfire quella determinazione che, uno ad uno, li aveva contagiati meglio del morbo che avevano sconfitto.

Fu ai primi giorni di febbraio, tuttavia, che accade qualcosa che Remus avrebbe dovuto immaginare, ma che, forse con deliberata inconsapevolezza, non aveva considerato. I contatti fra Lord Voldemort e Fenrir Greyback non accennavano a diminuire, nè, tantomeno, la stima che la sua cerchia di nerboruti mannari continuavano a riporre nel loro capobranco. Ora, sotto una luce diversa, Greyback si era convinto che, in fondo, quel damerino di città dall'aria deperita potesse nascondere qualche sconosciuto potenziale.

Ciò che Remus ancora non sapeva, era che Fenrir Greyback aveva deciso di coinvolgerlo nella prossima azione a favore di Lord Voldemort e della sua causa. E ciò che era stato il suo incubo sin dal suo primo plenilunio di dolore e angoscia, stava per farsi estremamente reale.

Estremamente mortale.

°°°°°





Grattandosi con aria assonnata il capo scarmigliato, Tonks scese le scale del numero 17 di Troops Road. Lanciò una seconda occhiata alle lancette del pendolo nello stretto corridoio e contò mentalmente di aver dormito non più di cinque ore. Maledicendo fra sé e sé una lunga lista di innocenti maghi famosi, varcò la porta della cucina e, focalizzando le figure di Savage e Proudfoot intenti a fare colazione, si lasciò cadere sulla propria sedia. Inavvertitamente, sbatté lo stinco contro la gamba del tavolo e, chinandosi rapida a stringere l'arto dolorante, si fece sfuggire una colorita imprecazione.

«Buongiorno, Tonks» le disse in tono piatto Savage, nascosto oltre le pagine della Gazzetta del Profeta.

Proudfoot, intento a mescolare assorto il proprio caffè, le rivolse solo un labile cenno del capo.

Sollevando sbalordita lo sguardo, Tonks guardò prima uno, poi l'altro, visibilmente preoccupata da tanta apatia.

«'giorno, dolcezza. Mi hai sognato, stanotte?» scherzava Proudfoot tutte le mattine, prima di ricevere un pugno divertito sul braccio e vedersi sottratto il caffè caldo che stava bevendo.

«I tuoi pigiami sembrano fluorescenti, Tonks» rincarava Savage, sbirciando le sue magliette sgargianti oltre il giornale. «Come puoi dormire sonni tranquilli?».

«Che succede?».

«Pessime notizie dal Ministero, temo» rispose pacato Savage, tendendole tetro il giornale.

Tonks scorse il titolo di testa e inarcò perplessa un sopracciglio.

«È sono un'altra inutile intervista a Scrimgeour» constatò annoiata. «Non c'è niente di strano in-».

«In basso a sinistra» le disse Proudfoot con un cenno vago della mano. «È il piccolo trafiletto in angolo».

''DECISE LE PRESSIONI DA PARTE DELL'UFFICIO DI REGOLAZIONE E CONTROLLO DELLE CREATURE MAGICHE'' lesse. Impallidendo improvvisamente e stringendo con forza le pagine del giornale, si buttò frenetica nella lettura.



''Il Ministro Scrimgeour sta svolgendo un lavoro impeccabile e, certo, i risultati che l'intero Ministero della Magia sta ottenendo sono innegabilmente positivi'' ha dichiarato ieri sera il direttore dell'Ufficio di Regolazione e Controllo delle Creature Magiche Emerald Forgedawn. ''Tuttavia, riteniamo insufficiente l'attenzione che, al momento, si sta dedicando alla parte avversa di questo paese, e, in qualità di sovrintendente di questo particolare ufficio, mi sento in dovere di farmi portavoce di un'opinione che, ne sono convinto, è anche pubblica. Come già accaduto in passato, numerosi esponenti di clan o gruppi illeciti di creature magiche hanno riversato la loro lealtà non nel Ministero che ha sempre cercato di proteggerli e normalizzarli, ma nella morsa di una corruzione e di una moralità che meglio rispecchia la loro natura trasgressiva e turbolenta''.

È con queste parole che il direttore Forgedawn si è schierato, durante l'incontro con la nostra stampa di ieri sera, a completo favore del suggerimento di una nuova delibera del Sottosegretario Anziano del Ministro, Dolores Jane Umbridge.

''Ciò che alcuni membri della nostra amata continuità'' ha dichiarato in seguito lei, ''continuano a rifiutare di comprendere, è che le personalità che l'Ufficio di Regolazione e Controllo delle Creature Magiche prende sotto la sua attenta considerazione, non hanno, purtroppo, alcuna capacità, né fisica, né psichica, di integrarsi adeguatamente in una società civile e moderna come la nostra. La loro indole selvaggia li rende estremamente pericolosi per gli uomini e, me ne dolgo, in questi tempi bui e tristi, la loro perversione potrebbe fuggire al nostro controllo''.

Il provvedimento avanzato, dunque, comprenderebbe una rivalutazione completa di tutte le norme preventive utilizzate negli ultimi anni e degli aspetti esecutivi che ne conseguono. Si tratta, quindi, di una maggiore restrizione e un irrigidimento dei controlli, al fine di consentire alla popolazione magica una maggiore spensieratezza e tranquillità. Dai membri più influenti del Ministero, inoltre, pare essere arrivata la voce che uno dei primi proponimenti dell'attuale Sottosegretario Anziano, il Decreto per il Controllo Restrittivo e Reintegrativo delle Creature Magiche, mai completamente passato, sia stato nuovamente estratto dal dimenticatoio legislativo.

Forse, questa volta, le richieste di molti dei nostri cittadini di spicco stanno per trovare un ascolto reale e le loro preoccupazioni, che, in fondo, sono quelle di tutti noi, potranno affievolirsi con l'approvazione in via definitiva dell'innovativo progetto di Madama Umbridge.

«...Controllo Restrittivo e Reintegrativo delle Creature Magiche...» ripeté piano Tonks, scrutando l'inchiostro nero con gli occhi spalancati e le nocche delle mani tremanti sbiancate. «Questo decreto...» iniziò in un sussurro sconvolto, alzando lo sguardo stravolto verso i due colleghi anziani, «è quello per...?».

Anticipando la sua domanda, Proudfoot annuì lentamente.

«È quello per il centro di isolamento ad Aberdeen, sì».

°°°°°





«Quella lurida, schifosa, vecchia megera!» strillò infervorata Tonks, scagliando la pagina di giornale davanti al viso sgomento di Arthur Weasley. «Se mai dovessi incrociarla per strada, giuro che la Trasfiguro in un escremento calpestato!».

Raddrizzando debolmente gli occhiali, Arthur lanciò un'occhiata dolente ad Alastor Moody, ritto in piedi accanto alla poltrona sulla quale sedeva. Nonostante l'occhio buono stesse scrutando intensamente il volto arrossato di Tonks, quello mobile, ruotando nervoso nell'orbita, stava rileggendo per l'ennesima volta il modesto articolo, stringendo con forza le mani nodose attorno al proprio bastone.

«Abbassa il tono, ragazza» le intimò duramente dopo qualche istante. «Qualcuno potrebbe sentirti».

Tonks sbuffò e guardò la mobilia del salotto della Tana con ironia.

«Qui, Malocchio?» esclamò, con una punta di isteria nella voce acuta. «Devo controllare che nessun dipendente ministeriale si sia nascosto nella credenza, forse?».

«Vigilanza costante» borbottò lui, enfatizzando le proprie parole picchiando il bastone sul pavimento. «Soprattutto adesso, Tonks».

«Siediti, Tonks» le disse Arthur con premura. «E cerca di calmarti. Non è conveniente che tu vada in giro strillando improperi contro la Umbridge e quelli dell'Ufficio di Regolazione e Controllo delle Creature Magiche».

«Non è conveniente!?» gridò concitata lei, gesticolando esageratamente con le braccia. «Non me ne frega niente di cos'è conveniente e di cosa non lo è!».

«È esattamente per questo che ti voglio calma e seduta» le ordinò tassativo Moody, scrutandola torvo con entrambi gli occhi. «Siediti».

Dinanzi ad un ordine così bruscamente perentorio, Tonks storse indignata il naso, incrociò le braccia al petto, ma, con uno sguardo infuocato, si gettò sgraziatamente sulla sedia più vicina, rischiando di scivolare a terra.

«Va' al diavolo pure tu, Malocchio» sbottò furiosa.

Con molta più rapidità di quanto non ci si aspetterebbe da un uomo della sua età, Moody sollevò il bastone e la colpì in testa.

«Ahi!» gridò lei, chinandosi in avanti e affondando una mano nei capelli.

«Modera il linguaggio, signorina» la rimbrottò burbero lui, ignorando l'occhiata astiosa che la giovane gli rivolse. «E tieni un po' di contegno, dannazione. Sei un'Auror, non uno strillone della Gazzetta del Profeta».

«Quando la pianterai di colpirmi con quel maledetto coso?» ribatté stizzita lei, cercando inutilmente di strapparglielo dalle mani. «Fa male!»

«È educativo, Tonks. E ora, chiudi la bocca e ascoltami».

«Educativo un piffero! Sei un-».

«Tonks» la fermò Arthur. «Non devi fare niente di azzardato».

«Non puoi fare niente» lo corresse in un grugnito appena comprensibile Moody. «A meno che tu non voglia fare una gita d'istruzione a tempo indeterminato ad Azkaban».

«Non faremo niente?» chiese sconcertata, guardando ripetutamente prima uno, poi l'altro. «Lasceremo che si puliscano il sedere con i diritti umani senza-».

«Tonks» la interruppe nuovamente Arthur, massaggiandosi stancamente la fronte e sprofondando nella poltrona. «Non possiamo schierarci contro il Ministero, non più di quanto stiamo già facendo, capisci?».

«Ma-».

«Guai a te se ti infili nei pasticci» la ammonì asciutto Moody. «Non ho tempo di venirti a tirare fuori da Azkaban».

«Grazie, Malocchio, è fantastico poter contare su di te» rispose lei, altrettanto spiccia.

«Ascoltami, Tonks» riprese Arthur. «Sono momenti difficili per tutti, questi. Fra le pessime scelte che Scrimgeour sta facendo e... be', fra tutto quello che c'è là fuori, sappiamo tutti quanto sia dura andare avanti. Ma, al momento, non siamo abbastanza forti per combattere anche questo».

Moody emise uno sbuffo impaziente.

«Non lo saremo mai».

«Per forza non lo saremo» disse Tonks, piccata. «Il tuo catastrofismo è svilente».

Lui alzò il braccio per colpirla di nuovo ma lei, spostandosi rapidamente verso il treppiedi accanto alla sedia, afferrò un grosso libro e lo interpose fra il bastone e la sua testa. Quando fu certa di non dover temere un terzo attacco, abbassò le difese e gli fece una linguaccia infantile.

«Giovani...» borbottò con disapprovazione Moody, avvicinandosi zoppicando alla finestra e scrutando con il solo occhio buono il cortile della Tana oltre il vetro.

«So che è difficile da accettare» continuò Arthur, sorridendole appena. «Ma non possiamo far altro che aspettare. E sperare che, alla fine, il decreto non venga approvato».

«E anche se fosse» aggiunse Moody, «Lupin non è qui, adesso. Non è un suo problema, per il momento».

«Tu sei pazzo» esclamò Tonks, sbalordita da tanta indifferenza e ruotando il torso in modo da poter vedere la schiena dell'anziano mago. «Prima o poi, Remus tornerà».

La risolutezza che vibrava nella sua voce era così marcata che Malocchio si lasciò sfuggire un sospiro affranto. Si strinse al vecchio bastone e finse ancora di guardare punti indistinti davanti a sé, mentre l'occhio magico, ruotando nell'orbita e guardando attraverso il suo stesso cranio, era fisso sul viso di Tonks. L'espressione determinata dei suoi occhi e il rossore con il quale le si erano colorate le gote scarne si impressero a fondo nella sua mente. Se mai a Lupin fosse successo qualcosa, si ripeté per l'ennesima volta, ne sarebbe realmente morta. E se c'era un solo funerale al quale, mai e poi mai, avrebbe voluto presenziare, era quello di Tonks.

«Chi conosci che abbia perso una chiappa?».

Osservò nuovamente la tetra sfumatura di grigio che tingeva i suoi capelli, ricordando con un vago senso nostalgico di come, la prima volta che aveva avuto modo di conoscere quella ragazza, il rosa cicca della sua testa sbarazzina gli fosse sembrato assurdamente inappropriato. All'Accademia, in effetti, non si era mai distinta in maniera eccellente: la sua goffaggine, spesso e volentieri, si dimostrava eccessivamente inadatta alla delicatezza di quella particolare carriera. I suoi risultati e la sua tecnica di combattimento, forse, non erano fra i migliori, ma – e Moody aveva capito questo dopo due minuti trascorsi ad osservare uno dei suoi ultimi addestramenti – vi era il lei qualcosa che avrebbe finito per farla distinguere completamente dalla maggior parte degli Auror.

Scanzonata e irriverente con quelle ciocche ribelli e cangianti, Tonks aveva sempre posseduto una certa propensione all'agire di testa propria, indipendentemente da canoni, opinioni e regole. L'ultima gioventù tanto irriverente e smaliziata della quale era stato costretto a prendere la guida, a ripensarci, era stata quella dei novelli membri del Primo Ordine. I fratelli Prewett, James Potter e Sirius Black avevano rischiato di causargli più crisi nevrasteniche di tutti i Mangiamorte messi insieme, probabilmente.

Al Ministero aveva sentito pareri delusi e preoccupati circa le potenzialità di Tonks, ma Moody sapeva riconoscere un buon Auror lontano un miglio.

«Non badarci! Pensa solo a tenere la bacchetta lontano dalla tasca di dietro!».

Aveva dovuto rimbrottarle quel vecchio monito soltanto una volta. Dopo quella sera, difatti, si era stupito nel vedere la tasca posteriore dei suoi jeans stracciati insolitamente vuota. E quando, rientrando a Grimmauld Place con Kingsley Shackelbolt dopo una notte di ronda, l'aveva trovata addormentata sul divano con un vecchio manuale per Auror sul petto, il mostro dell'orgoglio aveva emesso un piccolo ruggito dentro di lui. A lei, ad ogni modo, non aveva mai detto niente.

«Quando tornerà» le borbottò vago, sostituendo all'ultimo istante ''quando'' a ''se'', «sarà già ora che riparta».

Lei lo fissò intensamente, schiudendo un poco le labbra imbronciate.

«Se questa storia del centro di Aberdeen venisse approvata» terminò laconico lui, «non ci sarà un solo posto in tutta la Gran Bretagna nel quale potrebbe rifugiarsi».





L'amore può dar forme e dignità a cose basse e vili, e senza pregio;

ché non per gli occhi Amore guarda il mondo,

ma per sua propria rappresentazione,

ed è per ciò che l'alato Cupido

viene dipinto col volto bendato.

William Shakespeare











Chiedo venia per la rapidità con la quale sono costretta a congedarmi (perché tanta formalità oggi? Bah. Non voglio sapere). Vado in fretta, ho rapito un computer (e, questo, sono certa che non volete saperlo voi) e ora mi devo dare alla latitanza. È la vita.

Un grazie di cuore a tutti quanti, come sempre, e perdonate la scarsezza di queste note d'autore.

Tze. Come se a qualcuno fregasse.^^

Un bacio salivoso,

Trick


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Capitolo 48
*** Capitolo Quarantasettesimo - Ordito di ragno e ordito di verme ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO QUARANTASETTESIMO

Ordito di ragno e ordito di verme

°°°°°°°



Sebbene Fenrir Greyback stesse gesticolando davanti a lui in maniera esagerata, Remus non riusciva a vederlo; lo stava guardando, certo, ma non era in grado di focalizzare niente di reale. Le sue capacità cognitive parevano averlo abbandonato ai suoni delle parole “Londra”, “Signore Oscuro” e “Montgomery”. Con la violenza inaudita e inaspettata che avrebbe potuto provare in seguito ad un pugno alla bocca dello stomaco, lo stupore lo aveva lasciato completamente paralizzato. Credeva – erroneamente, si ritrovò a pensare con il senno di poi – di aver raggiunto un livello di autocontrollo e sicurezza con il quale poter terminare la propria missione, ma, naturalmente, la convinzione di aver già superato il peggio non era altro che una mera illusione.

E, esattamente come non riusciva a vederlo, le parole che fluivano rapide e inesorabili dalle labbra di Greyback, nonostante avessero il peso di una condanna a morte, gli arrivavano ovattate e distanti, quasi provenissero da un universo distante dal proprio. Era talmente stordito da quel gelo di paura e confusione che si era visto gettarsi addosso, che per un attimo ebbe l’assurda sensazione di aver smesso di respirare.

I cinque nerboruti mannari che ascoltavano i nuovi ordini di Greyback accanto a lui, stretti in un riverente silenzio, non parvero notare lo strano irrigidimento di Remus; solo Rouge, in piedi al suo fianco e con le braccia incrociate al petto, gli lanciò una rapida occhiata ansiosa, quasi temesse di vederlo perdere i sensi da un istante all’altro.

«E se ci stessero fregando, Fenrir?» domandò infine la donna, una volta certa che il discorso del capobranco fosse finito. «Sono degli sporchi umani, in fondo. Non sarebbe certo cosa nuova».

Mentre inspirava rumorosamente, le narici di Greyback si dilatarono in maniera incredibile. Lo sguardo duro che rivolse a Rouge pareva avere la stessa forza del lampo che precede il rombo tuono. Come un razzo pronto ad esplodere in mille scintille, il mannaro strinse fremente i grossi pugni.

«Io ho preso gli accordi con loro e io so cosa faccio » scandì in un sibilo rabbioso, enfatizzando il pronome “io” con un incontenibile eccesso di rabbia. «Mi credi un idiota, Rouge!?».

«Naturalmente no, Fenrir» s’affrettò a rispondere con deferenza ostentata lei, chinando impercettibilmente il capo. «Perdonami».

«E comunque» aggiunse con un sorriso insolitamente soddisfatto lui, guardandola con un ghigno sprezzante. «Tu resti qui, come sempre».

A questa affermazione, perfino lei parve vacillare. Un mannaro dalla pelle scura e dalle lunghe treccine si allungò verso il compagno alla sua destra, un uomo dalla lunga chioma bionda e i lineamenti sgraziati, per sussurragli qualcosa all’orecchio. Questo, stringendo con decisione le labbra, parve contenere una risata.

«E posso saperne il motivo?» fremette nervosamente Rouge. «Credevo di essere la tua seconda; ho il diritto di-».

«Modera il tono quando parli con il tuo capobranco» la ammonì con voce dura uno dei licantropi presenti; se il volto rubizzo e il naso a patata potevano conferirgli un certo aspetto bonario, la vistosa cicatrice che gli deformava parte dei lineamenti annullava drasticamente tale sensazione rassicurante. «Fen è il capobranco, Rouge».

«Ma certo» s'affrettò a rispondere Rouge. «Non ho mai avuto intenzione di mettere in dubbio la sua-».

«Io dico di sì» la interruppe di nuovo lui, storcendo il grosso naso e aspirando rumorosamente.

Rouge socchiuse gli occhi e lo fissò ostile.

Un mannaro dalla pelle scura e dalle lunghe treccine si allungò verso il compagno alla sua destra, un uomo dalla lunga chioma bionda e i lineamenti sgraziati, per sussurragli qualcosa all’orecchio. Questo, stringendo con decisione le labbra, parve contenere una risata.

«Torcas, Rouge» li riprese con solennità Greyback, posando le grandi mani sui fianchi e guardandoli con superbia. «Chiudete la bocca».

«Voliamo come al solito, boss?» s'intromise con un'alzata di spalle noncurante il giovane dalla pelle scura. «Insomma, niente magie o robe del genere, così facciamo prima?».

«No, Luma» lo liquidò brevemente Greyback, scuotendo accigliato il capo. Per un attimo, Remus credette di aver scorto un lampo di disapprovazione nei suoi occhi iniettati di sangue, eppure, quando tentò di focalizzare meglio la sua attenzione sull'atteggiamento del capobranco, il suo comportamento era tornato quello arrogante di sempre. Ripromettendosi di farne, in seguito, parola con Rouge, attese pazientemente che continuasse.

«Ci andiamo come al solito» si limitò a dire, scuotendo con foga. «E già che l'hai detto, va' a controllare i Pegasi» ordinò perentorio.

«Agli ordini, boss» disse il licantropo di nome Luma, facendo le spallucce e avviandosi verso l'uscita della vecchia tenda. «Boss?».

«Che c'è!?».

«Ci portiamo davvero dietro anche lui?» chiese divertito, indicando vagamente Remus.

«Sparisci, idiota!» gridò Greyback, colpendo con furia il vecchio tavolo e facendo sobbalzare Remus.

Il licantropo dai lunghi capelli biondi lo guardò con un sopracciglio inarcato e ridacchiò appena.

«Siamo a posto» lo sentì mormorare fra sé e sé Remus.

«Partiremo domani notte» riprese Greyback. Scosse le mani a sottolineare come la questione fosse chiuse e fece cenno a tutti di uscire. Remus aveva quasi varcato la soglia quando il ringhio basso del licantropo lo raggiunse:

«Damerino, non parlavo con te».

Remus ebbe appena il tempo di scambiare un'occhiata preoccupata con Rouge, prima di vederla sparire dietro le schiene degli altri mannari. Conscio di come lei non potesse fare niente per aiutarlo, si voltò con aria sicuro e fronteggiò Greyback per l'ennesima volta. Trovarsi davanti a lui, questa volta completamente solo, era una novità che non si verificava da più di trent'anni. Improvvisamente si chiese di nuovo per quale motivo lo stesse facendo.

«Dopo quello che mi hai combinato l'ultima volta, a Londra, non è che io sia così tanto tranquillo» esordì Greyback.

Remus annuì debolmente.

«E perché, allora, vuoi che venga questa volta?».

«Ti sei guadagnato una seconda occasione» rispose brevemente, e Remus suppose si stesse riferendo a ciò che era accaduto nelle ultime settimane a Jura. ''Buffo'', si disse, ''aiuto a salvargli il villaggio da una decimazione, e lui mi condanna a morte''.

«Ma è l'ultima, Damerino. Capisci cosa intendo?».

Deglutendo appena, Remus annuì nuovamente.

«Non sbaglierò, Fenrir».

«Ti conviene» lo minacciò lui, con un ghigno raggelante. «Perché al primo sbaglio, sei un lupo morto».

°°°°°°°




Tonks sbuffò per l'ennesima volta, si guardò intorno e si lasciò cadere su una panchina del villaggio di Hogsmeade. Affondò una mano nella tasca del mantello e ne estrasse un piccolo e sgangherato orologio: le sei e venticinque.

Imprecando mentalmente contro Proudfoot – miseria, doveva sostituirla quasi mezz'ora fa – alzò il capo al cielo e iniziò a scrutare le nuvole con espressione persa.

Era quasi primavera, ormai. E, per quanto si sforzasse di apparire tranquilla e disinvolta in presenza di Dawlish, l'ansia per il Centro di Aberdeen si faceva più forte in lei giorno dopo giorno. Sebbene la Gazzetta del Profeta non avesse pubblicato altro che brevi trafiletti pieni di grosse parole svianti, Tonks sapeva che dalle parti del Galles il Ministero aveva già eseguito diverse operazione di fermo su gruppi di goblin senza apparente motivo. Tutta quella storia era assurda, si ripeteva in continuazione. Nonostante il fatto che la guerra contro Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato fosse ormai certezza nota a tutta la comunità, il Ministero continuava ancora a dare la caccia a fantasmi e innocenti, tralasciando tutti gli aspetti fondamentali dei propri obblighi.

Mentre se ne stava seduta sulla panchina, immersa in quella nube di pensieri, sollevò casualmente lo sguardo dal filo della manica che stava torturando. All'altra estremità della strada, Madama Rosmerta tentava di aprire la grossa porta dei Tre Manici di Scopa con il tacco della scarpa, reggendo fra le braccia due ingombranti buste di carta.

Tonks si alzò e fece per avvicinarsi ad aiutarla, ma la lunga sciarpa che aveva infilato nella tasca del mantello le si impigliò attorno alla caviglia e lei, con uno strillo di sorpresa, rovinò a terra in una ridicola capriola. Attirata dal suo grido, Madama Rosmerta alzò la testa dalle due grosse sporte e, nel vederla impigliata nella sua stessa sciarpa multicolore, non riuscì a trattenere un sorrisetto. Con un po' di fatica, riuscì a posare le buste su i primi gradini della taverna. Quando ebbe raggiunto Tonks in mezzo alla via, la giovane era già riuscita a liberarsi e si stava rialzando.

«Dovresti cambiare tattica» cercò di scherzare la donna, incrociando le braccia al petto con aria divertita. «Non credo che sia il modo migliore di trovare marito, sai?».

«Dici? Peccato, è il mio pezzo forte».

Ridacchiando appena, Madama Rosmerta la invitò a bere qualcosa dentro, ma lei si sentì in obbligo di rifiutare.

«Mi spiace, Rosmerta» le disse. «Sto aspettando che Philibert mi dia il cambio: se arriva che non ci sono è capace di tornarsene a Nannalandia e lasciarmi il doppio turno».

Madama Rosmerta rise.

«Oh, mia cara, buona fortuna! L'unico appuntamento al quale arriva puntuale è quello con il suo whisky serale».

«L'ho notato» ribatté con una risatina Tonks.

Madama Rosmerta le rivolse un sorriso di miele e le batté un paio di volte il braccio.

«Ora devo proprio andare» si congedò educatamente. «E ti consiglio di andare a svegliare Phil prima che sia ora di pranzo».

Tonks non aveva mosso che qualche passo, quando sentì la voce di Madama Rosmerta chiamarla.

«So che non è nei compiti di un'Auror, Tonks» le disse, «ma quel vecchio ubriacone di Fletcher sta trafficando roba strana».

''Che novità'' pensò fra sé e sé Tonks.

«Suppongo abbia già qualcuno del Ministero dietro».

La donna estrasse dalla lunga gonna un mazzo di chiavi e lanciò a Tonks un'occhiata torva.

«Stavolta dicono sia grossa, Tonks».

«Quanto grossa?».

«Nessuno ha saputo dirmi dov'è riuscito a trovarla» continuò Madama Rosmerta, scuotendo perplessa il capo, «ma pare stia trafficando con della roba con lo stemma dei Black».

°°°°°°°




Remus posò le braccia sulle ginocchia e lanciò a Rouge un'occhiata ansiosa.

«Credi abbia dei sospetti?».

Con una smorfia disgustata, Rouge sollevò lo sguardo dal rametto secco con cui stava giocherellando.

«Me ne vergognerei» borbottò stancamente.

Fissando il movimento rotatorio che il polso di Rouge impartiva al rametto, Remus suppose che, effettivamente, se Greyback davvero avesse intuito qualcosa, il suo comportamento sarebbe stato ambiguo. A meno che non fosse tutto un trucco per consegnarlo direttamente ai Mangiamorte. Improvvisamente, la paura di aver sottovaluto il proprio avversario si impadronì dei suoi pensieri.

«E se lui non fosse idiota come crediamo?».

«E se tu non fossi intelligente come credevo?» ribatté annoiata lei, raddrizzando la schiena lungo il masso sul quale sedeva. «Senti, Lupin, calmati. Stai ingigantendo fastidiosamente la cosa».

Remus scosse il capo con aria mesta.

«Devo trovare un modo per non andare a Londra».

«Di nuovo?» domandò lei in tono scanzonato. «E su cosa si basa, questa volta, il tuo piano geniale? Ti fingerai morto?».

«Pensavo che una semplice dissenteria fosse sufficiente, a dirtela tutta».

Lei sollevò un sopracciglio con aria scettica e lui, non riuscendo a contenere la propria ilarità, scoppiò a ridere.

«Scherzavo».

«Lo spero proprio».

Ridacchiando ancora qualche istante, Remus si grattò distrattamente la testa.

«Non so cosa fare» confessò, infine, con un sorriso mesto del tutto inappropriato. «Di nuovo».

«Se vedi che le cose si mettono male» disse lei, spiccia, «puoi sempre ammazzarli tutti e scappare».

Lui sbuffò e le lanciò un'occhiata di traverso.

«Dico sul serio. Spezzare un collo è più facile di quanto sembri» spiegò con una semplicità disarmante Rouge. Afferrò il sottile bastoncino con entrambe le mani, lo indicò con un vago gesto del capo e lo spezzò con facilità, come a dimostrare quanto andava dicendo. «E la cosa migliore è che non ti sporchi affatto» concluse.

Remus la fissò insistentemente, ma non disse nulla per qualche secondo.

«Francamente, Rouge» rispose, «speravo in qualcosa che attirasse meno l'attenzione».

«Oh, certo» esclamò in tono ironico lei. «Mi auguro che il tuo prossimo asso nella manica sia un angelo custode che sappia il fatto suo, allora».

«Al contrario» mormorò Remus, sollevando il capo e guardandola con espressione indecifrabile. «È qualcuno di dannatamente in gamba».

°°°°°°°




«Aberforth» scandì brutalmente Tonks, aggrappandosi con forza al bancone sporco della Testa di Porco e scrutando con aria minaccioso il vecchio barista. «Lui dov'è?».

L'uomo sbatté con rabbia lo straccio sul legno e la fissò con altrettanta stizza.

«Non voglio casini, qui dentro, ragazza».

«Me ne vado in fretta, allora. Ora, vuoi dirmi da cosa si è mascherato quel verme o devo ribaltare ogni singolo tavolo occupato in questa catapecchia, uh?».

«Ma che diavolo-».

«Il bastardo ti ha pagato i debiti, vedo» continuò Tonks, strizzando gli occhi con rabbia. «A quanto ammontava? Non dirmi più di dieci galeoni, vecchio pazzo, perché non ti credo».

«Ma che ti frega di quanto-».

«Te ne do il doppio, Merlino!» urlò lei, picchiando il pugno sul tavolo e digrignando i denti. «Dov'è, Aberforth?».

Lui parve ragionare rapidamente sull'affare. Si grattò la barba sporca con aria pensierosa e poi fece un cenno discreto con il capo.

«Fanno sette galeoni».

Sbuffando con astio, Tonks infilò una mano sotto il mantello e ne estrasse un sacchettino raggrinzito verde acido. Lo aprì con un gesto seccato e lanciò sul bancone sette monete d'oro e quattro piccole monetine d'argento.

«E queste? Per cosa sono?» ringhiò dubbioso Aberforth, afferrandone una e mordendola per accertarne l'autenticità.

«Per il mio whisky» rispose brevemente Tonks. «Dopo ne avrò bisogno. E ora, ti spiace...?».

Lui annuì con un grugnito noncurante.

«Mund, schifoso pipistrello ammuffito!» strillò. «Io me la batterei, fossi in te!»

Una montagna di stracci putridi si alzò dal proprio tavolino e iniziò a correre verso l'uscita. Tonks, ad ogni modo, si rivelò più veloce: si Smaterializzò a pochi centimetri dall'uomo e lo atterrò con un colpo violento al fianco. Boccheggiando, Mundungus Fletcher scivolò sulle ginocchia e cadde sulla pavimento polveroso.

«Alzati, bastardo» sbottò aspramente Tonks. «So che non sei svenuto».

Non ricevendo nessuna risposta, Tonks gli sferrò un calcio poderoso. La massa di stracci gemette e si contorse, ma nessuno dei clienti pareva interessato a intromettersi.

«Appunto» ripeté, estraendo la bacchetta dal mantello e puntandogliela contro. «Mundungus, se non alzi immediatamente le chiappe da quelle assi lerce e vieni fuori con me, ti trascino da Malocchio con quella faccia incollata dove non ti batte il sole».

Fletcher non pareva ancora intenzionato a muoversi. Sbuffando spazientita, Tonks mosse appena la bacchetta e indirizzò una scarica di scintille dorate verso il suo fondoschiena. L'uomo strillò improvvisamente e si rimise in piedi. Una leggera scia di fumo grigiastro saliva dal retro dei suoi pantaloni. Si scostò lo straccio con cui nascondeva il viso e fissò Tonks con i suoi occhi iniettati di sangue.

«Ehi, Tonks!» esclamò d'un tratto, aprendo le braccia e rivolgendole un sorriso stentato. «Come va, dolcezza?».

Per tutta risposta, lei gli tirò un pugno dritto al viso. Il rumore secco del setto nasale che si rompeva le attraversò la spina dorsale come corrente elettrica. Fletcher portò le mani al volto, fece qualche passo indietro e ruzzolò sul tavolino più vicino, rovinando a terra con esso.

«Punto primo: non va bene un bel niente» disse Tonks. E punto secondo: non chiamarmi dolcezza, o ti farò più male di quanto tu non ne abbia mai provato in tutta la tua vita di verme».

«Per mille gatti orbi, mi hai rotto il naso!» strillò lui, indicandosi isterico la faccia. «Mi hai rotto il naso!»

«Risparmia il fiato, amico, perché sono venuta per romperti il sedere».

«Ma che-che-- che cavolo vuoi, Tonks?».

«È vero che tratti con della roba dei Black?» domandò imperiosa, minacciandolo con la bacchetta levata.

Lui sgranò gli occhi e la osservò spaventato.

«No» s'affrettò a rispondere. «No, no, no. Sono balle, Tonks, balle».

«Cos'era quella fretta di scappare, allora? Non avevi voglia di vedere una vecchia amica, Mund?».

«Io... io... io non ne so niente».

Lei gli rivolse un sorriso lezioso.

«Perfetto. Avevo giusto bisogno di una scusa plausibile per quando mi chiederanno per quale motivo sei morto. ''Io non ne so niente'', sì» ripeté ironicamente, fingendosi soddisfatta. «Dovrebbe funzionare».

«Tu non mi puoi ammazzare...» mormorò lui, cercando inutilmente di rialzarsi aggrappandosi ai bordi del tavolo rotto. «Sei un'Auror, non ti è permesso...».

«No, ma a chi credi daranno credito al Ministero? A un'Auror o a un mentecatto come te?».

Fletcher impallidì.

«Senti, dai, chiariamo la cosa, ok?» tentò di nuovo. «Facciamo il cinquanta a te e in cinquanta a me?».

«Te lo scordi».

«Hai ragione, hai ragione» balbettò lui, asciugandosi il sudore della fronte con la manica stacciata. «Davvero, hai ragione. In fondo, sei una Black, dovevo chiedertelo prima di-».

Tonks lo colpì con un altro calcio e si scansò un poco per non vederselo crollare sulle punte degli anfibi.

«Razza di idiota, credi che voglia far parte dei tuoi sporchi affari?».

Scuotendo incredula il capo, Tonks si chinò a terra e gli ruotò la testa con un movimento deciso.

«Stammi bene a sentire, Mund, perché te lo dirò una volta soltanto: ti tengo d'occhio. Se dovessi venire a sapere che vendi ancora la roba di Sirius, ti taglio quel pezzo di carne morta che tieni nelle braghe e aspetterò che tu passi a miglior vita per dissanguamento. Sono stata chiara o hai bisogno di un esempio pratico?».

Gemendo sul pavimento, Fletcher fece un cenno con la testa.

«Molto bene» concluse Tonks. «Ma non credere che non informerò Malocchio di questo».

Si rialzò e, dirigendosi verso il bancone dal quale Aberforth l'aveva osservata con un ghigno divertito, estrasse un altro paio di monete e le posò sul bancone.

«Per il tavolo» spiegò, afferrando il bicchiere di whisky e buttandolo giù d'un fiato. «Pessimo» commentò.

Si sistemò il bavero del cappotto e si avviò verso la porta, scavalcando con un'ultima occhiata disgustata il corpo inerme di Fletcher.

«Ragazzina» la richiamò Aberforth.

Lei si voltò stancamente e lo fissò con aria interrogativa.

«Quando vedi quel vecchio pazzo di Malocchio, digli che ha vinto la scommessa».

«Di che parli?».

«Lui lo sa» tagliò corto lui, e Tonks capì dalla sua faccia che non gli avrebbe estorto altro. «Diavolo, se lo sa».

°°°°°°°






Ok, sono impazzita. Ho trasformato Tonks in Rambo. Mi auguro non ne avrete a male, ma ho l'influenza e probabilmente sto vaneggiando. Non dovrei scrivere con la febbre, non mi fa bene. Il capitolo è stato duro (ma dai? Ho mai provato a scriverlo da sana?), ma è finito prima di Pasqua e suppongo che questo sia un fattore positivo.


E, di nuovo, mi spiace non potervi ringraziare tutti quanti e rispondere ai vostri commenti, ma ora come ora non credo sia il caso. Potrei delirare e dire cose senza senso come ''mi hanno detto che la rotaia più disastrosa per salire in Alabama la si prende con un dito in bocca''.


Non giochiamo con l'influenza. Me ne torno nel mio letto di batteri.


Un bacio grato a tutti.

Trick


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Capitolo 49
*** Capitolo Quarantottesimo - Macchiati di sangue ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO QUARANTOTTESIMO

Macchiati di sangue

°°°°°°°



Remus aveva l'impressione che le proprie gambe fossero comandate da un'altra persona. Silenzioso e taciturno, aveva seguito il piccolo corteo di mannari per lo stesso sentiero che, diversi mesi prima, aveva percorso con Rouge, senza accorgersi dei tronchi che scavalcava e dei rami che evitava.

Quella volta, tuttavia, Rouge non era al suo fianco. Remus non avrebbe mai pensato che la sicurezza di averla dalla sua parte sarebbe diventata, per lui, così indispensabile. Fin dal primo momento, il suo appoggio trascinante lo aveva aiutato a sopravvivere in un mondo dal quale, altrimenti, sarebbe stato certamente sbranato. Rouge aveva sospettato immediatamente che la sua iniziale sfrontatezza nascondesse qualcosa di molto più importante e, naturalmente, le sue perplessità si erano rivelate più che fondate. Ciò che, più di ogni altra cosa, tormentava Remus, era la consapevolezza di agire, per la prima occasione, completamente solo.

Nessuno avrebbe potuto coprire i suoi errori.

«Al primo sbaglio, sei un lupo morto».

E, di nuovo, si ritrovava a giocare una partita come se avesse gli occhi completamente bendati. I modi con il quale stava proseguendo la missione si facevano, minuto dopo minuto, sempre più azzardati e irresponsabili. La cosa peggiore, tuttavia, era di come lui ne fosse assolutamente consapevole.

Illuminato improvvisamente dalla cognizione dei suoi movimenti – una parte del suo cervello si chiese come era stato in grado di raggiungere la radure dei Pegasi senza, in effetti, rendersene conto – pregò che la vena intuitiva di Severus lo aiutasse a scamparla per l'ennesima volta.

Rimproverandosi per non riuscire ad essere un'infiltrato migliore, si avviò verso un vecchio Pegaso dall'aspetto malaticcio, tentando di non incrociare lo sguardo di nessuno.

«Buonasera, Cranky» lo salutò con voce gentile, carezzandogli dolcemente il muso. «È un po' che non ci vediamo».

Il licantropo di nome Luma appoggiò le braccia sul dorso di un grosso esemplare pezzato e rivolse a Remus un'occhiata divertita. Si scostò una treccina dal volto scuro e gli disse:

«Damerino, quello è tocco. Va' su Blitz, ti conviene di un bel po'».

Remus seguì con lo sguardo il suo dito e vide una puledra dal manto rossiccio brucare a una decina di metri da lui. I raggi del sole, sebbene filtrati dalle foglie delle betulle, facevano apparire i muscoli possenti dell'animale quasi perlacei.

«È davvero un bell'esemplare» ne convenne Remus. «Ma Cranky ha bisogno di sgranchirsi le ali».

Luma ridacchiò appena.

«Non pensavo curassi anche i Pegasi».

Remus gli rivolse un debole sorriso, alzò le spalle e non aggiunse altro. Sollevò la testa verso il cielo e cercò di individuare il disco luminoso del sole fra il verde della foresta. A giudicare dalla sua posizione, non dovevano essere trascorse che poche ore da mezzogiorno. Partendo immediatamente, sarebbero arrivati appena in tempo per assistere al tramonto sul Tamigi.

Alla luna piena di Londra, ancora.

Salì sul dorso ossuto e spelacchiato di Cranky e gli fece una rapida carezza lungo il collo. La creatura emise un acuto nitrito di apprezzamento.

''Non so a chi dovrei rivolgermi'' pensò, mentre i Pegasi dispiegavano le grandi ali attorno a lui. «Ma spero che qualcuno, da qualche parte, me la mandi davvero buona».

Merlino, di quanta fortuna avrò bisogno, stanotte?

°°°°°°°



Se non avesse avuto modo di sorvolare le ampie vallate scozzesi e i primi tratti delle colline verdeggianti dello Yorkshire per ben tre volte, Remus non avrebbe saputo dire, nemmeno vagamente, quanto tempo avessero impiegato a raggiungere la loro destinazione. Il contraccolpo provocato dalla brusca frenata di Cranky giunse così improvviso che Remus rischiò di cadere. Ripresosi dall'atterraggio, si guardò intorno vagamente spaesato. Oltre un'intricato groviglio di alberi spogli e sterpaglie, s'intravedevano le luci di un villaggio lontano. Portò una mano alla fronte per ripararsi dai raggi più bassi del crepuscolo, ma non vide nient'altro che poche case di calcestruzzo bianco affacciarsi su un modesto canale. Di una sola cosa era sicuro: non erano a Londra.

«Damerino, lega quel ronzino» abbaiò con stizza Greyback, stringendo un grossa catena contro il tronco di un albero. «È già tardi».

Mentre si chinava per raccogliere il capo della corda sfilacciata di Cranky, Remus intravide Luma lanciargli uno sguardo interrogativo.

«Non dovevamo andarcene a Londra?» gli chiese quello, controllando il nodo che aveva appena stretto.

Remus alzò le spalle.

«Tu sai dove siamo?».

Quello fece un sorriso sghembo e si passò la manica destra sotto al naso.

«Boh» rispose quello, alzando indifferente le spalle .

«Siamo nel Kent» s'intromise il licantropo dai lunghi capelli biondi. «In qualunque posto esso si trovi».

«Siamo a sud» rispose Remus, stupendosi di quanto naturale suonasse la propria voce. Salutò con un paio di colpetti leggeri Cranky e si rivolse di nuovo agli altri due mannari: «Londra non è molto distante».

«Fantastico» esclamò Luma. «Ehi, Freki, perché siamo qui?».

«Ordini del capo» rispose l'altro, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni sgualciti e indicando con un cenno della testa la torreggiante figura di Greyback. «Sarà il caso che vi diate una mossa. Fenrir è abbastanza irrequieto».

Luma lo guardò con un'espressione elettrizzata.

«Forte» commentò. «Ci aspetta una grande notte».

Freki annuì brevemente e guardò Remus con aria incerta.

«Non è che ci crolli sul più bello, eh, Damerino?».

Scuotendo piano il capo, Remus deglutì a forza.

«No» rispose rapidamente. «Sarà davvero una grande notte».

È la fine.


°°°°°°°



«Non ho la minima intenzione di portare quelle sudicie bestie a passeggio, Antonin» esordì con voce aspra Thorfinn Rowle, seguendo la scia fluttuante dei mantelli neri degli altri Mangiamorte. «Non capisco per quale motivo-».

«Chiudi la bocca, idiota» tagliò corto Dolohov, voltando il volto pallido verso di lui e fissandolo con sprezzo. «Gli ordini sono questi. Fine della storia».

«Sì, ma-».

«Ho detto ''fine della storia'', Rowle» lo interruppe nuovamente.

«Rowle non sbaglia, Antonin» s'intromise con voce alterata Alecto Carrow, muovendo le gambe corte per accostarsi all'uomo. «Io non ho alcuna voglia di essere circondata da quelle... quelle... cose. Diglielo anche tu, Amycus».

Il fratello di lei, annuendo con aria vaga, mugugnò qualcosa di incomprensibile circa la possibilità di prendere le pulci.

«Per l'amor di Salazar e dei miei nervi, tacete anche voi due» disse una voce annoiata alle loro spalle. «Oh, credo mi stia tornando l'emicrania».

«Severus» ribatté indignata la strega. «Stavo giusto pensando che-».

«Non sei qui per pensare, Alecto. Sei qui per obbedire al volere dell'Oscuro Signore» rispose atono Piton. «Suppongo non sia necessario ricordare a voi tutti il motivo per il quale i suoi ordini non sono in discussione, vero?».

Storcendo con espressione offesa il naso rotondo, Alecto volse di nuovo le spalle con uno sbuffo sprezzante e aggiunse solo:

«Prega almeno che non puzzino troppo».

''E che quell'incapace di Lupin non sia fra loro'' pensò Piton, nonostante avesse il presentimento che avrebbe rivisto la sua faccia troppo presto, secondo i suoi canoni. Quando il modesto gruppo di Mangiamorte sbucò nella piccola radura ai confini del Kent, lo sguardo attento di Piton individuò immediatamente il profilo esile e malandato del licantropo, seduto su un masso ad una decina di metri da loro e con il viso più cereo del solito.

''Imbecille di un Grifondoro'' pensò di nuovo, trattenendo a stento una colorita imprecazione.


°°°°°°°



«Spogliati» disse con voce stanca Piton, osservandosi distrattamente le mani. «O domani dovrai cavalcare con nient'altro che la tua pelle addosso».

Remus lanciò un'occhiata circospetta agli altri mannari e ai quattro Mangiamorte, prima di scuotere piano il capo.

«Non crederai che io possa fare...?» sussurrò agitato. «No. Tu sei pazzo».

«E tu sei morto, Lupin, se non fai come dico».

Remus strinse con forza le labbra e si guardò intorno con aria tormentata.

«Non posso... non... cos'è quello?» domandò improvvisamente, indicando ciò che Piton stringeva nella mano sinistra.

Lui, inarcando un sopracciglio e fissandolo divertito, sollevò il braccio e gli mostrò una robusta cinghia di pelle scura.

«Il tuo guinzaglio, Fido. Ti offro cinque galeoni, in cambio dello spettacolo di te che abbai» rispose sardonico.

Remus sgranò gli occhi e scuote il capo con maggiore violenza.

«Scordatelo».

«Togli la camicia».

«No».

«Lupin» sussurrò tagliente Piton, stringendo gli occhi con astio. «Sarò costretto a lanciarti la maledizione Imperius, mandando alle ortiche quella miseria di dignità che ancora ti porti appresso».

Remus si passò una mano fra i capelli con fare nervoso, ragionando rapidamente. Non aveva altra scelta: se non si fosse dimostrato arrendevole ad ogni loro ordine sarebbe finito peggio che morto. Di questo, purtroppo, ne era fin troppo consapevole. Si sfiorò distrattamente la gola, immaginando quell'umiliante catena stringergli il collo ad ogni passo, mentre Piton lo trascinava come un cagnolino addomesticato. Sollevò lo sguardo verso il cielo, notando con disappunto la tonalità rossastra che iniziava a coloralo: fra poco, il sole avrebbe iniziato a tramontare e, con lui, sarebbe sorta la luna piena. Erano passati così tanti mesi dall'ultima volta in cui aveva avuto occasione di sfruttare le potenzialità della Pozione Antilupo che, ormai, contenere la bestia durante i pleniluni era diventato impensabile. Dopo anni trascorsi rintanato in qualche antro buio, nascosto dalla vista degli uomini e, soprattutto, dalla morbosa tentazione del loro odore, ripiombare in quel vortice di incontrollabile follia si era rivelato più complicato del previsto. Se non altro, si disse improvvisamente, ora ti senti meglio. Scosse la testa, cercando di ricacciare nell'oblio quel maledetto pensiero istintivo. Tuttavia, sapeva di non poter negare a lungo l'evidenza: da quando trascorreva le notti di luna piena nella terra di Jura, libero di sfogare l'orrido mostro che dimorava in lui, i suoi tempi di recupero erano drasticamente diminuiti. Se, infatti, fino a qualche mese prima avrebbe dovuto attendere almeno un paio di giorni prima di potersi muovere senza lancinanti tormenti, ora era capace di svegliarsi la mattina che seguiva il plenilunio con la testa ancora annebbiata da una sensazione di ebbra spensieratezza. La sola volta in cui aveva provato qualcosa di altrettanto elettrizzante era stato ad Hogwarts, quando, per tutta la notte, girovagava per il parco e il villaggio in compagnia di James, Sirius e Peter.

Quello che ora, tuttavia, era costretto a fare, andava aldilà del semplice bighellonare con degli animali o scontrarsi con altri mannari. Non credeva avrebbe ancora avuto la forza di guardarsi allo specchio.

«Non hai scelta» incalzò nuovamente Piton.

Remus annuì e gli rivolse uno sguardo implorante.

«Mi permetterai di fare qualcosa?».

«Naturalmente, Lupin» rispose con un ghigno l'altro. «Sarai libero di sbranare chi preferisci, non preoccuparti».

Massaggiandosi le palpebre stanche, Remus scosse il capo.

«Severus...» supplicò.

«Farò quello che posso» tagliò corto Piton con voce seccata. «E ora, leva quella maledetta camicia, prima che uno di quegli idioti s'insospettisca. Sono stanco di ammazzare gente per salvare il mio doppio gioco».


°°°°°°°




Il dolore fu improvviso e lancinante. Con un urlo che, ormai, di umano non aveva più nulla, Remus si piegò su sé stesso e strinse i pugni con tanta forza che le unghie si conficcarono nelle mani. Sopraffatto dal dolore delle articolazioni che si allungavano e si torcevano, crollò sul tetto del vecchio grattacielo di Londra sul quale Piton lo aveva Materializzato, emettendo un rantolo raggelante. Le luci della città parevano danzare attorno a lui in un vortice di scintille dorate. Per un attimo fugace, si convinse che avrebbe dato di stomaco.

Quando riaprì gli occhi, il sole era già alto nel cielo plumbeo e le sue mani erano ricoperte di sangue.


°°°°°°°




«Tonks!» urlò Proudfoot, picchiando con forza la porta della stanza che, mesi prima, Dawlish aveva assegnato alla giovane. «Tonks, apri immediatamente!».

Passandosi una mano fra i capelli scompigliati e stropicciandosi gli occhi, Tonks guardò la piccola sveglia sul comodino e fece una smorfia scocciata.

«Porca vacca, Phil!» sbottò di rimando. «Non ho dormito neanche tre ore!».

«Tonks, vestiti e scendi, maledizione!».

Il tono esagitato nella voce di Proudfoot parve risvegliarla improvvisamente. Afferrò la propria bacchetta, accese la lampada con un gesto rapido del polso e arrancò verso l'uscio, inciampando nei jeans abbandonati sul pavimento e aprendo di scatto la porta.

«Che-cavolo-succede?» domandò d'un fiato.

Fissò allarmata il volto turbato di Proudfoot: stringendo una mano al petto e sorreggendosi con l'altra alla parete del corridoio, il mago pareva intento a riprendere fiato.

«I Montgomery sono stati attaccati...» biascicò con le gote rubizze. «Questa notte».

«I Montgomery?» ripeté lei, scuotendo il capo con aria confusa.

«I Mangiamorte hanno attaccato la loro proprietà» riprese Proudfoot. «Pare che il piccino non se la stia passando bene».

«Oh, Merlino» mormorò sconfortata lei, coprendosi la faccia con un gesto fiacco della mano. «Mi chiedo che fine abbia fatto l'anima di quei bastardi».

«Dawlish vuole che tu vada a Londra. Con lui. Adesso».

Tonks abbassò rapidamente la mano e lo guardò perplessa.

«Perché-?».

«Sono stati dei licantropi ad attaccare».






Volete che chieda perdono – per l'ennesima, ennesima volta - per questo enorme ritardo? Posso farlo, se volete, davvero. Immagino, tuttavia, che vi siate abituati al mio mordi-e-fuggi-clicca-e-posta, vero? Oh, be', poco male. L'importante è arrivare.

Questo capitolo è stato uno strazio. Dico sul serio, scriverlo si è rivelata una fatica pazzesca e adesso che è finito, non vedo l'ora di dimenticare questo tragico 48. Porca vacca, una tragedia, davvero.


Perdonatemi se non rispondo alle vostre recensioni ora, ma fra l'università e tutto il resto mi sento un asino da soma fin dalla mattina alle sette. Al prossimo capitolo,

Trick


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Capitolo 50
*** Capitolo Quarantanovesimo - Diplomazia e risentimento ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO QUARANTANOVESIMO

Diplomazia e risentimento

°°°°°°°



Londra, 1978


«Che terribile tragedia».

«Hanno già trovato i colpevoli?».

«Oh, al peggio non c'è mai fine».

«I colpevoli, i colpevoli... sappiamo perfettamente chi sono i colpevoli, Mafalda».

Tooley Road non era mai stata meno affollata come in quella fredda mattinata di inizio marzo. Nessuno – nemmeno il più solerte degli impiegati postali – aveva avuto modo di attraversarla. Non che non ne avessero avuto l'intenzione, tutt'altro: semplicemente, una volta giunti in prossimità dell'incrocio con Montague Close, ricordavano di avere impegni più urgenti da sbrigare. E c'era chi, come l'anziano signor Smith che abitava al secondo piano della terza casa di Tooley Road, non aveva mai trovato i programmi d'intrattenimento televisivi tanto interessanti come quel giorno, così, seduto sulla sua comoda poltrona nel salotto, non si era degnato di affacciarsi alla finestra che dava sulla strada. Nessun uomo con il proprio cane, nessuna coppia con la carrozzina, nessun bambino con il proprio zainetto sulle spalle passeggiava lungo quel tratto scintillante del Tamigi.

Nessun Babbano, dunque, si accorse dello strano drappello di persone che, quella mattina, circondavano l'abitazione di Dorian e Marlene McKinnon.

Soli, dall'altro capo della strada, un uomo camminava a passo svelto, stringendo la mano di una bambina con un buffo copricapo verde acido. Questa, trascinando velocemente i piedini nel tentativo di seguire l'andatura del padre, continuava ad incespicare ad ogni passo, rischiando di cadere sul cemento del marciapiede.

«Coraggio, maschietto» la spronò il padre, guardandosi intorno con aria preoccupata. «Voglio tornare in fretta dalla mamma».

«Papà, ma stai correndo!» protesto veemente la bambina, guardandolo dal basso verso l'alto con una smorfia indispettita. Un ciuffo di capelli scuri che sbucava dall'elastico del suo cappello si tinse improvvisamente di arancione.

Sospirando appena, Ted Tonks si voltò, si voltò verso la figlia e si accorse del cambiamento della sua chioma.

«Dora» la rimproverò stancamente, nascondendole rapidamente i capelli. «Niente trasformazioni per le strade, lo sai. Qualche Babbano, prima o poi, finirà per chiedersi per quale motivo al posto della testa hai un arcobaleno e allora sì, che saranno guai. Guai grossi, maschietto» puntualizzò, dandole un buffetto sulla guancia con un mezzo sorriso.

La bambina ridacchiò appena e si grattò il nasino con il dorso della mano.

«Scusa, papà» disse. «Ma oggi non c'è nessuno».

«Niente storie e niente magie, Dora».

Avevano percorso poco più di qualche decina di metri, quando il vociare dei maghi e delle streghe dall'altro capo della strada attirò l'attenzione di Ted. L'uomo si bloccò improvvisamente, impallidendo.

«Oh, Merlino» mormorò.

«Papà, chi sono quelle persone?».

Ignorando involontariamente la domanda della figlia, Ted attraversò agitato la strada, mentre la piccola, protestando un poco, gli trotterellava faticosamente dietro.

«Artemis» chiamò Ted.

Un mago dai folti baffi bianchi e la calvizia incipiente trasalì e si voltò di scatto. Osservò l'altro mago per qualche istante con aria confusa, poi, sgranando gli occhi, spostò lo sguardo da Ted alla bambina diverse volte, prima di esclamare:

«Sei pazzo ad andartene a zonzo con tua figlia? Hai idea di cosa potrebbe succedervi, se dovessero trovarvi!?».

Con un gesto veloce della mano, Ted lo fece tacere di colpo.

«Zitto» disse. ''Non parlare di questo davanti a lei'' parevano dire i suoi occhi celesti.

«Perché siamo con tutte queste persone, papà?» domandò candidamente la bambina, osservando lo sciamare della folla con aria curiosa. «Chi sono?».

Ted la guardò intensamente e scosse il capo.

«Ora andiamo a casa, Ninfadora».

«Questa volta è toccato ai McKinnon» spiegò in tono funebre Artemis, torcendosi il bordo del mantello viola. «E chi sa a chi toccherà, ancora...».

«I McKinnon?» ripeté sconcertato Ted, fissando l'altro mago allibito. «Dorian e Marlene McKinnon?».

Artemis annuì con estrema lentezza.

«E i bambini».

Deglutendo a fatica, Ted strinse istintivamente la manina della figlia, rivolgendole un'occhiata tormentata.

«Cosa c'è, papà?».

«Fa' come ti ho consigliato, Ted. Porta via tua moglie e tua figlia» continuò Artemis.

«Artemis, non aggiungere altro, non-».

«Ma siete sulla lista di Bellatrix-».

«Non dire quel nome davanti a mia figlia!» lo fermò Ted.

Sospirò affranto, si chinò e prese in braccio la bambina, sistemandole il cappellino e carezzandole piano la guancia rotonda.

«Andiamo dalla mamma, papà?» implorò quella, stringendosi al suo collo. «Non mi piacciono queste persone. Urlano tanto».

«Farai come ho detto, Ted?».

«Ci penseremo. Grazie».

Mentre Ted si allontanava sotto lo sguardo preoccupato del vecchio Artemis, Ninfadora si sporse oltre la spalla del padre e allungò il collo per vedere al di là del rumoroso capannello di maghi. In una bella aiuola curata e piena di fiori colorati, degli uomini con delle divise scure camminavano freneticamente avanti e indietro, parlando agitatamente fra loro e scuotendo debolmente le teste. Un mago, in particolare, attirò l'attenzione della bambina: aveva un occhio grande e turchese che sfrecciava rapidissimo da una parte all'altra del cortile. Dietro di lui, due streghe dai lunghi abiti dello stesso colore del suo cappellino erano chinate attorno ad un mucchio informe coperto da un telo candido. Parevano avere l'aria afflitta.

«Papà?» domandò. «Chi abita in quella casa?».

«Nessuno» rispose frettolosamente Ted, stringendola di più fra le braccia.

«Chi è quel bambino, allora?».

«Quale bambino?».

«Quello che sta dormendo sotto il lenzuolo, papà».

°°°°°°°



L'abitazione di Elias e Miranda Montgomery sorgeva in uno dei bei quartieri residenziali della parte occidentale della città. Il grande viale che divideva le due file di villette era accogliente e spazioso e i cancelletti e i giardini erano impeccabilmente perfetti: pareva quasi una fotografia estratta dal catalogo di un agente immobiliare. Nonostante l'aspetto rasserenante e tranquillo della zona fosse accentuato dai primi raggi del sole, l'animo di Tonks era cupo e inquieto. Con le mani affondate nelle tasche del mantello e la testa china, aveva seguito la scia di Dawlish dal punto in cui si erano Materializzati – a qualche decina di metri dalla stazione metropolitana – fino a raggiungere l'elegante casa dei Montgomery senza proferire parola.

Dawlish non pareva intenzionato a intavolare una conversazione – non che ve ne fosse motivo alcuno – e lei, per conto suo, sentiva di non avere, al momento, la prontezza di spirito per rispondere ad una qualunque delle sue provocazioni.

«Sono stai dei licantropi ad attaccare».

Il sottile avvertimento con cui Proudfoot l'aveva messa in guardia, era stato più che sufficiente. Dawlish avrebbe certamente cercato di sfruttare la delicatezza e la drammaticità della situazione a favore suo e del Ministero, sperando che lei, in qualche modo, aprisse gli occhi dinanzi a ciò che definivano ''obiettività'' e confidasse loro i più intimi segreti di Silente. In quel momento, tuttavia, animata dalla paura e la preoccupazione, qualsiasi cosa avesse intenzione di fare Dawlish non aveva importanza.

Oh, ti prego” continuava a ripetersi la giovane. ''Ti prego, fa che lui non fosse fra loro''.

Il cortile su cui si affacciava la casa dei Montgomery – una deliziosa costruzione a pietra vista, con ampie finestre dai cornicioni bianchi e una bella scalinata d'ingresso – era gremito di Auror e dipendenti del Ministero della Magia. I primi, facilmente distinguibili dal mantello d'ordinanza verde asparago e rigidi nelle loro posizioni di guardia, circondavano l'abitazione con sguardo guardingo, scambiando di tanto in tanto le proprie opinioni gli uni con gli altri. L'aria che si respirava era rancida e soffocante.

Quando lei e Dawlish raggiunsero il cancelletto, diverse teste si voltarono per scrutarli con avida curiosità. Quando Gawain Robards, Capo del Dipartimento Auror, si accorse del loro arrivo, si chinò per sussurrare qualcosa all'orecchio di un giovane Auror dal volto squadrato. Questi, annuendo con forza, si dileguò all'interno della casa. Tonks deglutì a forza e si guardò intorno con aria angustiata.

«Dawlish. Tonks» li salutò Robards stentoreo. «Siete in ritardo».

«Ci perdoni, capo. Noi-» si scusò Dawlish con il suo miglior tono deferente, chinando un poco il capo.

«Abbiamo gatte più grosse da pelare, Dawlish. Si risparmi le giustificazioni per la prossima volta».

Il suo sguardo duro si spostò da lui a Tonks. La fissò con estrema intensità diversi secondi, prima di dirle:

«Non sembra in grandi condizioni, agente Tonks».

Lei, tentando con tutta sé stessa di sconfiggere il mostro dell'ansia che la stava straziando e, al contempo, resistere alla silenziosa provocazione di Robards, rispose:

«Ho solo perso qualche chilo, signore».

«Non mangia?».

«Signorsì, signore. Ma all'Accademia per Auror non veniamo addestrati all'arte culinaria, signore».

Robards stava per aggiungere qualcos'altro, quando il Ministro Scrimgeour uscì dalla porta e, zoppicando appena, scese la gradinata e si avvicinò a loro con passo deciso. Si fermò al fianco di Robards e rivolse una labile occhiata sdegnosa a Tonks. Lei, deglutendo a stento, si costrinse a sostenere il confronto con i suoi occhi gialli e indagatori.

«I miei uomini sono in attesa di nuovi ordini, signor Ministro» disse Robards.

«Seguite le procedure standard» ribatté laconico, senza distogliere lo sguardo dalla giovane. «Dawlish, vada con lui».

Dawlish annuì senza la minima esitazione e si affrettò a seguire Robards verso l'ingresso della casa. Voltando leggermente il capo, rivolse a Tonks un impercettibile sorriso perfido.

«Immagino lei sappia per quale motivo ho chiesto a Dawlish di portarla qui» eruppe improvvisamente Scrimgeour.

Tonks trasalì appena e pregò che l'uomo non se ne fosse accorto. Il modo in cui l'angolo della sua bocca s'increspò verso l'alto, tuttavia, faceva supporre tutto il contrario.

«No, signore» mentì subito lei. «Non lo immagino, signore».

Scrimgeour la guardò con sufficienza e sbuffò divertito.

«Perché non mi segue all'interno, agente Tonks? C'è una cosa che vorrei mostrarle».

Il tono lapidario della sua voce non ammetteva repliche. Muovendo rigidamente il capo e ripetendo per l'ennesima volta la sua muta supplica. Scrimgeour non entrò dalla porta principale oltre la quale erano spariti Robards e Dawlish. Superarono un quartetto di Auror intenti ad esaminare delle mezze impronte nel terriccio umido e si diressero verso la parte posteriore della casa.

Il piccolo cortile che dava sul retro era letteralmente sottosopra. Qua e là, spuntavano assi di legno bianche, che Tonks suppose dovessero provenire da ciò che restava della tettoia, mentre i frammenti di vetro della porta scorrevole cospargevano il selciato di pietra che circondava la casa. Quello che, tuttavia, attirò immediatamente l'attenzione della giovane, fu una grande chiazza informe di erba più scura, a meno di un metro dal muro della casa. Tonks seguì con lo sguardo le traccie di sangue rappreso, fino a risalire la superficie ruvida dei mattoni.

Oh, Merlino, che diavolo hanno fatto?

«Signore» esordì di colpo, guardando la schiena di Scrimgeour con aria inquieta. «Signore, mi è concesso sapere cos'è-».

«Non è ovvio, agente Tonks?» la anticipò lui, stringendo il bastone con tanta forza che le nocche nodose sbiancarono. «I Mangiamorte hanno fatto irruzione in casa e hanno liberato i loro cani».

Tonks non aveva mai avuto tanta voglia di urlare come in quel momento.

Oh, ti prego, fa che lui non fosse fra loro, fa che non ci fosse.

«Il signor Montgomery aveva installato dei Sensori Magici collegati alla radio del fratello. A quanto dice, stava ascoltando l'ultimo notiziario giornaliero di Radio Strega Network, quando ha ricevuto la richiesta di soccorso. Ha contattato immediatamente il Dipartimento Auror ed è stato inviato immediatamente un cospicuo numero di agenti. Quando sono giunti qui, ad ogni modo, erano già spariti tutti. Tutti, fatta eccezione di uno di quegli animali» concluse con tono vagamente trionfante, indicando qualcosa alle spalle di Tonks. Questa, voltandosi rapidamente, individuò una figura informe ricoperta da un telo giallognolo.


''Papà, chi è il bambino che sta dormendo sotto a quel lenzuolo?''.


Senza preoccuparsi di ciò che Scrimgeour – o qualunque altro degli Auror che li osservavano curiosi – avrebbe potuto dire o fare, si mise a correre e si inginocchiò accanto al cadavere con il respiro mozzo. Tese la mano sopra al suo viso, ma non trovò la forza di sollevare l'angolo della coperta.

Ti scongiuro, fa che non sia lui. Ti prego, ti prego, non lui.

Stringendo fra loro le labbra, Tonks scoprì il corpo con un gesto nervoso della mano e sobbalzò. Il suo sguardo incontrò due occhi vitrei, freddi e spalancati. Le occorsero diversi secondi prima di realizzare che quel giovane dalla carnagione scura e le lunghe treccine brune non poteva essere Remus.

«Perché tanta paura, agente Tonks?» chiese improvvisamente la voce di Scrimgeour, dietro di lei. «Cosa pensava di trovare, sotto quel telo?».

«Nessuno, signore» mentì nuovamente, ricoprendo il viso cianotico del licantropo e rimettendosi in piedi.

«Eppure, sembrava molto spaventata».

Tonks tacque, incapace di ribattere alcunché.

«Chi pensava potesse essere, agente?».

«Nessuno, signore» ripeté.

«Sicura?» chiese incisivo il mago, socchiudendo le palpebre con fare intimidatorio. «Non Remus Lupin, forse?».

La giovane trasalì.

«Ah» disse semplicemente Scrimgeour, sorridendo compiaciuto. «E così si svela il mistero. Per curiosità, agente, per quale motivo supponeva che Lupin potesse essere presente all'abominio avvenuto questa notte?».

«Non l'ho mai pensato, signore».

«Se questo è vero, mi chiedo per quale motivo si è affrettata tanto a controllare quel cadavere. Non se la spasserà con altri licantropi, mi auguro. La sua reputazione è già sufficientemente nociva, agente».

L'ansia e l'inquietudine che l'avevano accompagnata fino a lì svanirono di colpo, lasciando spazio ad una collera sempre più irrefrenabile e travolgente.

«Lei sarà anche il Ministro della Magia» sillabò astiosa. «Ma non avete il diritto di fare ciò che state facendo».

«Difatti, agente, io sto svolgendo il mio dovere: tutelo l'interesse dei maghi e delle streghe che dimorano in Gran Bretagna. Dovrebbe essere anche il suo, vorrei ricordarle. A quanto pare, l'incolumità dei civili non è più una sua priorità».

«Compio il mio dovere di Auror come ho sempre fatto, signore».

Scrimgeour scosse il capo con aria severa.

«No» affermò con decisione. «Lei sta aiutando dei criminali nei lori intenti terroristici, agente Tonks. E non appena ne avremmo le prove-».

«A quali criminali si sta riferendo, signor Ministro?» lo interruppe Tonks. «Ai licantropi di Fenrir Greyback o ai membri dell'Ordine della Fenice?».

«Sta giocando con il fuoco» la ammonì.

Lei, sempre più irrequieta, gli rivolse uno sguardo glaciale.

«Chissà chi sarà il primo a scottarsi».

Scrimgeour storse il naso e la fissò con estremo disprezzo.

«Lei ha dimenticato cosa significa essere un'Auror. Sta ricoprendo la sua posizione di indecenza e scandalo, se ne rende conto?».

«Prima di essere un'Auror, signore, sono una persona» ribatté lei, pungente. «E, francamente, della vergogna con cui sto infangando il Dipartimento non mi importa un emerito accidente. Non quando, perlomeno, lo stesso Ministero rema contro i principi morali che ha sempre ostentato con tanto fervore. Avrò anche scordato cosa significa essere un'Auror ma, perlomeno, io so ancora cosa sono l'onestà e la giustizia, signor Ministro. E se difenderle significa affrontare lei e ciò che lei rappresenta... Merlino gliene scampi, perché non ho niente da perderci».

«Affrontare il Ministero della Magia?» esclamò con malcelato divertimento Scrimgeour. «Lei è pazza».

«Sissignore, lo sono. È il motivo principale per cui non dovrebbe prendermi sottogamba».

«Sei solo una ragazzina arrogante» disse l'uomo, scuotendo con aria di sufficienza il capo leonino. «Come tutti i Black. Vi rinnegate l'uno con l'altro, ma rimanete sempre i soliti incoscienti e boriosi».

«Io non sono una Black» scandì Tonks con orgoglio.

«Stupida» mormorò Scrimgeour. «Arriverà il giorno in cui dovrai pagare per tutte le idiozie che stai facendo e, a quel punto, sarà troppo tardi per cercare il perdono».

«Così sia».

«Potremmo ancora aiutarti... se tu aiuti noi, naturalmente» aggiunse mellifluo Scrimgeour, rivolgendole un sorriso tirato. «Potresti coprire un alto ruolo da dirigente, negli uffici più alti del Ministero. Dimenticheremo quest'assurda storia dei licantropi, chiuderemo la faccenda ''Silente'' una volta per tutte e-».

Tonks scoppiò a ridere.

«Mi sta chiedendo di fare un accordo con lei?» esclamò divertita. «Porca vacca, è ora di migliorare le sue tecniche di persuasione, signor Ministro! Mi è stato detto che hanno fatto cilecca anche con Harry Potter! Cos'è, nemmeno lui ha accetto di aiutare dei... cavolo, com'era la definizione? Oh, sì: dei criminali».

«È allucinante vedere quanto a fondo Albus Silente sia riuscito a fuorviarvi tutti» mormorò altero l'uomo. «E suppongo che anche quel vecchio visionario di Alastor Moody ci abbia infilato quel po' di naso che gli avanza, non è vero? Merlino, si rende conto che l'hanno convinta a vedere il Ministero della Magia stesso come un avversario di cui diffidare?».

Con più sicurezza di quanta non ne sentisse, Tonks gli rivolse un'occhiata beffarda.

«''Vigilanza costante'', signor Ministro. Ci sono mostri capaci di nascondersi ovunque».

Lui ghignò malignamente.

«Anche nel suo letto, vero?».

Tonks lo fissò con forza qualche secondo, deglutì a forza e fece appello alla sua pazienza. Soffocò il desiderio di prenderlo a calci nel sedere e rispose, stringata:

«Prima o poi, tutte le streghe si ritrovano con dei mostri nel letto, signore. Di recente, se la questione davvero la preme, nel mio non ne sono passati».

«Se non è passato per le sue lenzuola, dannazione, dove diavolo è finito Remus Lupin!?» eruppe con forza improvvisa Scrimgeour. «Perché i miei uomini hanno perso le sue traccie!?».

Tonks cercò di fingersi completamente disinteressata.

«Oh, non saprei. Ma se scopre dove si è cacciato, potrebbe, cortesemente, dirlo anche a me?».

«Lei sa perfettamente dove si trova!».

«Perché vi siete tutti convinti che io abbia un ruolo così importante!?» sbottò di rimando Tonks. «Prima Dawlish che afferma di essere sicuro che so cosa sta macchinando Silente , e ora lei che insinua che so dove si trova Remus! Ministro, porco cane, mi guardi meglio! Le sembro una che qualcuno aggiornerebbe sulle proprie strategie belliche?».

«A me sembra che lei sia molto furba, agente Tonks. Ma, se mi permette un consiglio, questa storia finirà molto, molto in fretta. E lei rischia di farsi molto, molto male» disse, voltandole infine le spalle e iniziando a zoppicare verso l'ingresso principale. «Pensi alla mia proposta e non si adagi sugli allori, perché potrei decidere di renderle la vita un inferno».

«Le giuro, signor Ministro» replicò con un sorriso lezioso Tonks, «che se anche fossi a conoscenza di qualche dettaglio di cui lei non è al corrente, preferirei mordermi la lingua fino a morire dissanguata, piuttosto che rivelarglielo».

«Non creda che il destino che l'attende sarà molto migliore» la liquidò brevemente, con un ultimo sguardo ammonitore. «Rientri in carreggiata, o lei e il suo animale da compagnia vi ritroverete ad Azkaban in un battito di ciglia. Che Silente sia d'accordo, o meno» aggiunse con un ghigno.

«Se permette anche a me un consiglio, signor Ministro» ribatté nuovamente Tonks, decisa ad ottenere l'ultima parola anche a costo di una trentina di richiami formali. «Fossi in lei, eviterei di perdere tempo e inizierei a preparare le pratiche per il mio arresto, perché non ho la minima intenzione di ascoltarla. Che lei sia d'accordo, o meno».

°°°°°°°



«Ma-mamma...» mormorò con voce rotta il piccolo Edward. «Ma-mamma...».

Singhiozzando in un fazzoletto candido, una donna dai lucenti riccioli castani si avvicinò al letto dove giaceva il bambino e gli carezzò piano la fronte pallida.

«S-sono qui, E-Eddie».

«Ma-mamma».

Nel corridoio appena fuori dalla stanza, tre uomini discutevano animatamente fra loro.

«Ne verrà fuori un putiferio mai visto, date retta a me» spiegava con fare agitato un uomo tarchiato e dai radi capelli rossicci. «La gente vorrà giustizia, diamine, e noi non abbiamo altro che una bestiaccia morta e senza nome!».

«Calmati, Emerald» gli disse Robards, fissando con aria grave il volto ansioso del direttore dell'Ufficio di Regolazione e Controllo delle Creture Magiche. «Dobbiamo essere prudenti e razionali. Innanzitutto, occorre pensare a cosa sia meglio dire alla Gazzetta».

Immobile al suo fianco, il Ministro della Magia Scrimgeour annuì compostamente.

«Ho già lasciato ordini a proposito» affermò a voce bassa. «Domani mattina, non ci sarà scritto nulla più di quanto sia necessario».

Emerald Forgedawn rispose con un nervoso gesto del capo.

«Naturalmente, naturalmente» ne convenne. «Ad ogni modo, Ministro, ciò che è successo farà infuriare l'intera comunità magica! Potrebbero perfino insorgere contro lo stesso Ministero, buon Dio. Certo ricorderà il caos generato dalla tragedia dei Paciock, Ministro, e non-».

«Non accadrà nulla del genere, questa volta» lo interruppe sbrigativamente Scrimgeour. «Questa volta, abbiamo già dei colpevoli da offrire loro».

Robards gli rivolse un'occhiata interrogativa.

«Signore, non credo di seguirla».

«Forgedawn, chiami con urgenza Madama Umbridge» ordinò perentorio. «Voglio anticipare l'approvazione del suo Decreto per il Controllo Restrittivo e Reintegrativo delle Creature Magiche».

Sgranando appena gli occhi e rivolgendogli un grande sorriso, Forgedawn annuì con forza.

«Immediatamente, Ministro».

Senza proferire parola, Scrimgeour e Robards rimasero a fissare la figura impetuosa dell'altro mago svanire in uno dei tanti corridoio del San Mungo.

«Signore» esordì infine Robards, alzando lo sguardo verso di lui. «Crede davvero possa rivelarsi una soluzione vincente?».

«Non lo so, Galwain» mormorò con voce provata Scrimgeour, togliendosi gli occhiali e massaggiandosi stancamente le palpebre pesanti. «Mi auguro solo possa contenere le conseguenza di questa catastrofe».

Robards pareva estremamente combattuto.

«Signore, la prego di scusarmi se le dico questo, ma...» iniziò veloce, «...non tutti gli ibridi conducono una vita criminosa».

«Certo che no» concordò piatto Scrimgeour. «Ma io voglio che vengano scortati ad Aberdeen, indipendentemente dai loro precedenti».

Strabuzzando gli occhi, Robards fissò Scrimgeour con palese sconcerto.

«Cosa, signore...?».

«Galwain» disse lapidario. «Domani mattina, tutti i maghi e le streghe di questo paese si sveglieranno e leggeranno di come quei licantropi hanno sbranato il piccolo Montgomery. Pretenderanno dei colpevoli che noi non possiamo offrirgli e, in seguito a ciò, alcuni di loro potrebbero decidere di farsi giustizia personale. Con chiunque, capisci?».

Robards annuì lentamente.

«Non intendo lasciare scoppiare una guerra civile fra umani e ibridi» sbottò infine, dirigendosi con passo malfermo verso l'ingresso oltre il quale era sparito, pochi istanti prima, Forgedawn. «Non fin quando il Ministro della Magia sarò io, perlomeno».

Trotterellandogli lestamente dietro, Robards annuì per l'ennesima volta.

«Certo, signore» disse. «Signore?».

«Mmh?».

«Avete ottenuto qualche-» s'interruppe bruscamente e soppesò vagamente la parola più adatta, «-novità? Dalla signorina Tonks, intendo».

Scrimgeour sbuffò sonoramente.

«Quella ragazzina ha la lingua particolarmente lunga» si limitò a dire. «Ma sa anche quando è ora di tenerla a freno».

Robards si grattò la tempia destra e nascose un vago sorriso fra le dita.

«Questo ti diverte, Galwain?» domandò a bruciapelo Scrimgeour, scrutandolo torvo.

«Solo un poco, signore» rispose velocemente. «Lei dimentica troppo spesso che Ninfadora Tonks è stata l'ultima recluta di Alastor Moody».

Al suono di quel nome, Scrimgeour parve fremere di stizza. Socchiuse gli occhi e mormorò, più a sé stesso che non a Robards:

«Maledetto, vecchio pazzo...».

Robards trattenne a stento una risata.

«Pare che Moody, infine, sia riuscito a lasciarci un suo degno erede, signore».

«Galwain» lo richiamò aspramente Scrimgeour. «Ti rendi conto di ciò che sta facendo? Per tutti i capelli di Godric, non si è mai visto un'Auror che se la fa con un licantropo! Se questa storia dovesse – che Merlino non voglia – finire in pasto alla stampa, sarebbe la fine del Quartier Generale degli Auror!».

«Non fatico a immaginarlo, signore, tuttavia-».

«E senza il Quartier Generale, tu ti ritroveresti disoccupato!».

«Di ovvia conseguenza, signore, sì, ma-».

«Dobbiamo evitare questo scandalo, costi quel che costi».

«Certamente, signore, però-».

«Ricordatelo, Galwain» ripeté Scrimgeour con forza, mentre imboccava un corridoio deserto per evitare i giornalisti che affollavano l'atrio dell'ospedale. «Costi quel che costi».


''Agente Tonks, mi dia retta: se vuole fare carriera all'interno del Ministero, Moody non è certo il modello più adatto da prendere come esempio».

''Non sia mai, signore».


''Benedetta ragazza'' si disse Robards, infilando le mani nelle tasche e avviandosi verso l'uscita del San Mungo. ''Non hai idea del casino in cui ti stai cacciando''.

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Io-adoro-Scrimgeour.

È, in una parola, il nonno che avrei tanto voluto spupazzare. Dopo Malocchio, forse, ma tant'è...

A quanto pare, dopo l'ostico capitolo quarantotto – già sufficientemente insultato nelle noti d'autrice precedenti – sono tornata nel periodo ''un capitolo a settimana''. Potrebbe durare non più di quindici giorni, ergo non aspettate che io impersoni una Canon ultimo modello e vi spari i restanti... uhm... non saprei bene quanti... capitoli, così, bum-bum-bum, neanche fossero la Freccia Rossa delle Ferrovie dello Stato.

Ma tant'è...

Mi spiace aver dovuto rimandare al capitolo successivo il risveglio di Remus (cavolo, ma sarà il cinquantesimo! Oddio...°__°), ma sono finita in modalità ''Tonks'', il quarantanovesimo si è fatto troppo lungo e il cinquantesimo... be', potrebbe/dovrebbe/chissà arrivare presto. Me lo sono scritta su un foglietto volante in treno. (Sono passata dagli scontrini ai post-it, visto che roba? La prossima volta vedrò di usare un blocco per gli appunti, giusto per cambiare).


Un grazie enorme a tutti quanti,

Trick




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Capitolo 51
*** Capitolo Cinquantesimo - Macchiati di colpa ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO CINQUANTESIMO

Macchiati di colpa

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«Ho perso uno dei miei servi per colpa vostra!» sbraitò con furia Fenrir Greyback, gettando a terra una malridotta tazza di latta dalla quale stava bevendo del vecchio whisky. Si erse in tutta la sua possente altezza e fronteggiò Dolohov con sguardo astioso. La mano curata del Mangiamorte s'insinuò rapida sotto al mantello scuro e si strinse attorno all'impugnatura della bacchetta.

«Non azzardarti a tirare fuori quella maledetta cosa, lurido umano!» urlò Freki, alzandosi a sua volta e muovendo con ferocia la chioma bionda, che parve scintillare alla luce scoppiettante del fuoco.

«Come lo hai chiamato, tu, schifosa feccia!?» strillò con altrettanto fervore Alecto Carrow, pestando un piede tozzo nel terriccio ed estraendo la propria bacchetta con fare impacciato. «Non osare-».

«Ho mal di testa» li interruppe la voce gelida di Severus Piton, sollevando lo sguardo dal fuoco con aria provata. «Per onor di Salazar, tacete».

«Severus, loro-» protestò aspramente Thorfinn Rowle.

«Tacete» ripeté flemmatico Piton. «Tutti».

«Luma è morto! Morto!» sbraitò nuovamente Freki, muovendo qualche passo verso Piton, minaccioso. Torcas lo afferrò per un polso e scosse il capo con un'espressione disgustata.

«Sta' al tuo posto, Freki» sibilò, emettendo un fastidioso rumore con il grosso naso rubizzo. «Ci pensa Fenrir».

Greyback si volse con estrema lentezza e fissò Piton con gli occhi infuocati.

«Avevi detto che non l'avresti fatto, Piton».

«Errato» ribatté quello, con aria distratta. «Avevo detto che non l'avrei fatto, fin quando i tuoi cagnolini fossero rimasti a cuccia. Se il tuo mannaro non fosse stato fermato, ci avrebbe sbranati tutti quanti».

«Ben vi stava, maledetti-» riprese con ardore Freki, dimenandosi nella rigida stretta di Torcas. «Hai ammazzato Luma! Fenrir, questo maledetto umano ha ammazzato Luma!».

«La prossima volta, Greyback, ti consiglio di scegliere il tuo corteo con maggiore accuratezza» riprese Piton, storcendo il naso in un'espressione vagamente delusa. «Non vorrei dover essere io la causa dell'estinzione del branco di Jura».

«Tu, lurido-».

Liberandosi con un gesto secco da Torcas, Freki estrasse il pugnale dalla bisaccia e, con un urlo animalesco, si gettò contro Piton. Lui, alzando lo sguardo con aria impassibile, estrasse la bacchetta con un gesto straordinariamente rapido e scandì stancamente:

«Stupeficium».

Il getto scarlatto colpì Freki in pieno petto, che venne ricacciato indietro di un paio di metri e atterrò sull'erba con un tonfo sordo. Greyback divenne ancora più furioso.

«Che Selene ti-» iniziò, ma tacque rapidamente nel vedere la punta ancora fumante della bacchetta di Piton indirizzarsi impietosa verso di lui.

«Vuoi seguirlo?» chiese.

Greyback deglutì stentatamente, strinse i pugni e gli rivolse un ultimo sguardo carico d'odio. Sospirando stancamente, Piton si guardò vagamente intorno.

«Dovresti prestare maggiore attenzione ai tuoi seguaci, Greyback» affermò beffardo. «Te ne sono già scappati tre... che fine ha fatto quello dall'aria malaticcia?».

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«...e adesso che per bene l'hai spezzato» canticchiava con aria serena Molly Weasley, cercando di seguire la voce trillante di Celestina Warbeck che uscivano dalla sua grossa radio di legno.

Mosse la bacchetta con fare esperto in direzione di uno strofinaccio e questo, galleggiando verso il tavolo della Tana, iniziò ad asciugare i piatti che la donna vi aveva riposto qualche istante prima.

«...ridammi, ti prego, il mio cuore innamorato!» concluse la cantante con un prorompente acuto. «E questa era ''Mi hai stregato il cuore'' di Celestina Warbeck! Stupenda, stupenda melodia, non c'è che dire!» esordì la voce gracchiante del presentatore.

«Oh, sì...» mormorò trasognata Molly, rivolgendo un sorriso indulgente alla radio. «Davvero stupenda».

«Prima di dedicare a tutte le nostre ascoltatrici la numero uno della top list questo mese, ci è stato chiesto di interrompere il nostro programma – momentaneamente, mie care, non temete – per un'edizione straordinaria di Radio Strega Network. A te la linea, Kirley».

«Grazie, Ethelbard» rispose una voce dal timbro metallico.

Molly interruppe le proprie faccende e guardò allarmata la radio.

''Oh, Merlino'' pensò allarmata. ''Che altro mai è successo?''.

«La notizia è di poche ore fa. Il Quartier Generale degli Auror ha confermato alla stampa che la famiglia Montgomery è stata effettivamente aggredita, la scorsa notte, da un gruppo di licantropi facenti parte del clan del pluri-criminale Fenrir Greyback. Siamo spiacenti di comunicare ai nostri ascoltatori che il figlio più giovane dei Montgomery, Edward, sei anni, gravemente ferito in seguito all'attacco, si è spento questa mattina nel Reparto Specializzato del San Mungo. E mentre noi tutti ci stringiamo a questa famiglia straziata dal dolore, il Ministro della Magia Rufus Scrimgeour ha deciso di accelerare la proposta del Decreto per il Controllo Restrittivo e Reintegrativo delle Creature Magiche, avanzato diverse settimane fa da Madama Umbridge. Domani, alle ore otto, tutti i licantropi i cui nomi compaiono nei registri dell'Ufficio per la Regolazione dei Licantropi verranno scortati al centro di isolamento di Aberdeen, dove uno staff di preparati Medimagi darà il via alle fase reintegrativa del progetto di Madama Umbridge. Al fine di tutelare la comunità magica, sono inoltre previsti gli spostamenti di tutte le Creature Magiche alle quali l'Ufficio ha assegnato un numero superiore alle quattro stelle di pericolosità. Il direttore dell'Ufficio di Regolazione e Controllo delle Crature Magiche, Emerald Forgedawn, ci ha gentilmente chiesto di elencare tutte le specie alle quali il Ministero ha assegnato questo particolare marchio» il mago s'interruppe per schiarirsi la voce con un breve colpo di tosse. «Acromantule, Basilischi, Chimere, Draghi, Goblin, Vampiri, Lethifold e Manticore» elencò disinvolto. «Qualora doveste avvistare una di queste creature, siete pregati di spedire urgentemente un gufo presso l'Unità di Cattura».

Molly fissò la radio con le labbra leggermente dischiuse, scuotendo piano il capo. Strabuzzò gli occhi e si sentì pervadere dall'agitazione.

«ARTHUR!».


°°°°°°°




Per tutta una vita hai respinto Natura,

taciuto il tuo grido di mesta sventura.

Rifuggi la Bestia, povero stolto,

disprezzi le zanne e il manto folto.

Ma quella riemerge, si fa esigente,

reclama il sangue di chi è innocente.

Ed ad ogni notte di luna che viene,

sorride fra le stelle la muta Selene.

Ti guarda, ti arride, ti marchia a suo nome:

vorresti scappare, ma non sai dove e come.

E allora rimani, piegato e sconfitto,

senza più lacrime, umano relitto.


«Ringrazia Merlino se il ruolo che ti sei ritagliato nel branco di Greyback è quello di un licantropo pavido e cagionevole» gli disse Piton, avanzando lentamente fra gli alberi della piccola boscaglia. «Perlomeno, la tua effettiva mancanza di spina dorsale si è rivelata un'ottima scusante a questa tua fuga idiota».

Non ricevendo alcuna replica, Piton alzò gli occhi al cielo e si avvicinò a Remus. Quest'ultimo, seduto su un masso ricoperto di muschio e con le mani affondate fra i capelli striati, non si degnò nemmeno di sollevare lo sguardo sull'altro uomo. Piton lo parve trovare particolarmente irritante.

«Sarei naturalmente lieto di assistere alla tua dipartita ma, per rispetto alla mia missione e alle noie che essa mi sta costando, ti pregherei di portare i tuoi supplizi interiori lontano da qui» sibilò con ironia. «La tua infantile tremarella sta attirando scandalosamente l'attenzione di Dolohov».

«Io-io non...» balbettò Remus, scuotendo disorientato il capo e fissando con occhi vacuo un punto indistinto davanti ai propri piedi. «Non sono in grado di...».

«A meno che tu non sia più in grado di respirare – e Merlino sa quanto me ne dolga – ti consiglio vivamente di alzarti e tornare da loro. Senza quell'espressione da eunuco in faccia, possibilmente».

«Ho ucciso...» disse ancora Remus, mostrando il volto sporco e lanciandogli un'occhiata atterrita. «E di chi è... di chi... questo?».

Tese le mani ancora incrostate di sangue verso di lui, tremando come una foglia. Scosse di nuovo il capo, impietrito dall'orrore e incapace di formulare pensieri razionali.

«C-che cosa... cosa ho fatto, S-Severus...?».

«Hai messo a dura prova la mia, già di per sé limitata, pazienza» rispose seccato Piton, scrutandolo torvo. «Mi chiedo solo perché, ora che sei sprovvisto di pelo, stai continuando a farlo».

«I-io...».

«Niente» tagliò corto il mago. «È questo quello che hai fatto, Lupin. A meno che tu non voglia fare di una tettoia di legno una martire. Non era nemmeno di buon gusto».

«E questo... questo?» ripeté, muovendo febbrilmente le mani sporche.

«Di quel mannaro che ho abbattuto, suppongo» dichiarò l'altro, con lo stesso tono leggero di chi domanda ad un passante l'orario. «Era irritantemente indocile. Non quanto te, naturalmente. Se non fossi stato certo che sarei incappato nelle ire dell'Ordine, probabilmente ti avrei ammazzato, Lupin».

Lupin deglutì a fatica e si passò una mano sul volto.

«Chi era che...?» iniziò, senza sapere con quali parole, esattamente, esprimersi.

«Chi era la vittima?» terminò laconico Piton, fissandolo con intensità. A Remus parve scorgere un'ombra labile passare sul volto imperturbabile dell'altro mago. Questo, tuttavia, strinse appena le labbra e aggiunse, gravemente: «Il figlio dei Montgomery».

Remus sgranò gli occhi, pietrificato.

«Un bambino...?».

Piton sembrò volergli rivolgere un ghigno beffardo, ma questo risultò più simile ad una smorfia di dolore.

«Tu ne sai qualcosa di aggressioni di bambini, non è vero?».

«Come hai potuto permetterlo?» chiese Remus a bruciapelo, lo sguardo improvvisamente duro e la voce aspra. «Come diavolo hai potuto, Severus!?».

«Non osare dire ciò che stai pensando, Lupin» scandì l'altro con altrettanta crudezza, socchiudendo con rabbia gli occhi scuri. «Non-osare-farlo».

«Un bambino!» esclamò con foga Remus, sferrando un pugno violento sul masso sul quale era seduto. Il suo polso fu attraversato da una scarica elettrica, ma lui non riuscì ad avvertire l'effettivo dolore causato alle proprie nocche. «Era un bambino, Severus! Un bambino!».

«Ho afferrato il concetto, Lupin!» sbraitò di rimando Piton, agitando le braccia con uno scatto irrequieto. «Credi forse che non avrei evitato tutto questo, se mi fosse stata concessa l'opportunità!? Credi realmente, maledizione, che io abbia potuto osservare il compiersi di quell'abominio come se-» s'interruppe di colpo, respirò bruscamente e cercò, sebbene con evidente fatica, di riacquistare il proprio, distaccato contengo. «Non c'era altra scelta, Lupin».

«Oh, Merlino...» mormorò lentamente Remus, affondando nuovamente il volto fra le mani. «Che cosa abbiamo fatto?».

«Sapevi che sarebbe accaduto, prima o poi».

«No, affatto».

«Sì, invece» contestò stancamente Piton. «Il più grande sbaglio che hai fatto, Lupin, è stato il modo con cui hai iniziato a trattare la tua missione».

Remus lo fissò fra le dita, confuso.

«La parte più difficile di ciò che stai facendo – di ciò che entrambi stiamo facendo» riprese. «Non è fingere di essere un'altra persona. Non è, come qualcuno potrebbe stupidamente affermare, essere obbligati a frequentare chi, più di ogni altro, ci disgusta e ci spaventa. La finzione che stiamo tentando di portare avanti non è che la scenografia della più grande sfida dei nostri incarichi».

Piton rimase un attimo in silenzio e Remus, sollevando lo sguardo verso di lui, non lo interruppe.

«È quando non si è più in grado di distinguere ciò che siamo da ciò che stiamo fingendo di essere, Lupin, che si può chiamare fallita la missione. Il lato positivo è che, così facendo, si taglia la testa al toro e il doppio gioco riesce più naturale, ovviamente. Il lato negativo...» continuò in un roco sussurro a malapena udibile, «...è che si perde la possibilità di tornare indietro».

«Tu fai questo da oltre due anni, Severus» mormorò Remus. «Come puoi ancora sopportarlo?».

«Se avrai la sfortuna di vedere la tua missione protrarsi nel tempo, Lupin» rispose quello, «finirai col farci l'abitudine».

Remus scosse il capo.

«No. Se dovesse-» si bloccò, incapace di elencare nemmeno una delle troppo spiacevoli eventualità di quell'ostica impresa. «Non riuscirei più a guardarmi allo specchio».

Piton gli rivolse un vago mezzo sorriso.

«È per questo motivo, Lupin» concluse, «che non voglio specchi nei miei sotterranei».

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Niente applausi? Due capitoli in meno di sette giorni e niente applausi? Suvvia, sto cercando di fare del mio meglio. Non avrei dovuto gettarmi nell'impresa della Big Damn Table R/T sul mio Lj – almeno non mentre il Diario è ancora in prosecuzione, ma tant'è... ho voluto prendere la patente? E adesso ho imparato anche a montare la ruota di scorta. (Ma perché devono fare i marciapiedi così... appuntiti, uhm?).

Comunque. Ho il pessimo, pessimo presentimento di avere mandato Piton nel fantastico mondo degli OOC, e sarebbe piuttosto snervante-umiliante-angosciante. Sia per me, naturalmente, che per lui. Forse, però, non l'ho fatto. Sentite, ditemelo, per favore, o rischio di mummificarmi davanti allo schermo. Insomma, io ero una delle poche che – diavolo – hanno sempre saputo che PITON-ERA-MAGARI-NON-BUONO-MA-QUASI. Ah. Lo sapevo, e quando ne ho avuto la conferma in DH, ho aperto la porta e ho urlato qualche imprecazione generale. No, i miei vicini sono abituati a ciò, oserei dire. Si sono anche abituati alle mie malsane retromarce nel cortile. Oh, be'. È venuta così, c'è poco da fare.
E... porca vacca, sto di nuovo parlando senza freni. Perché non me lo impedite mai? Mi getto sempre nella vergogna, è imbarazzante.

Mmh... cos'è che dovevo ancora dirvi? Ah, già, le Creature Magiche. Ho spizzicato tutto da Lexicon, come sempre, ergo, se c'è qualcosa che non vi frigge o non vi attizza, I'm sorry, sbrogliatevela con lui.


Seriamente, ora. Alcuni di voi avevano ipotizzato ad una sorta di «campo di concetramento», per quanto riguarda la questione di Aberdeen. Non so se essere lusingata all'idea che voi crediate che io possa scrivere qualcosa di così... sottile, delicato e moralmente utile, naturalmente, oppure se sentirmi in colpa perché, effettivamente, non è ciò che leggerete. Non credo di avere la capacità di scrivere qualcosa di così drammatico e angosciante e, sebbene potrebbero esserci scene un poco crude, sono convinta di non avere né la forza, né l'abilità di fare una cosa simile. Il centro di Aberdeen, per come me lo immagino io – e, in seguito, ve lo mostrerò – conterrà dei semi-umani, sì, ma sarà più umano della maggior parte della storia di questo mondo. Mi spiace, ma non ce l'avrei mai, mai fatta.


Caillean: mi fa piacere sapere che hai più in simpatia la mia trama, che non Scrimgeour. Oh, be', mi dispiace un po' per lui (è un personaggio alquanto incompreso, in effetti), ma si raccoglie ciò che si... ehm... qualcosa. Sono contenta ti sia piaciuto il breve flashback con Tonks e suo padre. L'ambientazione della prima guerra e del vecchio Ordine sono quelle che preferisco, ma questa non è certo una novità. Avrei anche quella dannata raccolta di one-shot da finire... oh, be', «que sera, sera!» cantava Doris Day. Sì, di tanto in tanto ascolto Doris Day. No, non ho ancora iniziato a preoccuparmi.

PinkMoonlightPrincess: Sono felicissima ti piaccia. Quando manca alla fine? Oh, non saprei dirtelo. Meno di cinquanta capitoli, ad ogni modo. Ormai la storia è già ambientata fra febbraio e marzo, e fra poco Hogwarts verrà attaccata dai Mangiamorte e la parte canon finirà. Voglio dire, non che io abbia intenzione di stravolgere DH (anche se non nego mi farebbe piacere...), ma avevo il mio finale da seguire prima di leggere di quello della Rowling, e ho intenzione di fargli onore. Oltretutto, se sapessi che sarei costretta a trattare Remus e Tonks come li ha trattati la Rowling, pur di restare in canon, dubito fortemente che potrei portare a buon fine il Diario. Il che sarebbe una pessima, pessima cosa. Quindi, per tagliare la testa al toro... oserei dire un'altra ventina di capitoli, ma prendi tutto questo con le pinze.

lyrapotter: non te lo so dire come faccio ad adorare Scrimgeour. Certo è che sono una delle poche. Ma, ti dirò – in estrema confidenza, oltretutto – che esistono anche fan di Peter Minus. Lo so, è assurdo. Ma loro sono fra noi... Comunque sia, il personaggio di Scrimgeour mi è sempre piaciuto tantissimo, aldilà di cos'ha o non ha fatto. Suppongo dipenda dal fatto che detesto Harry quasi come la Umbridge, ergo non ho disprezzato il vecchio Scrimgeour per come l'ha trattato. Penso che, ad ogni modo, si sia un po' riscattato nel corso di DH. Ripensandoci, sembra quasi un libro dei riscatti morali, ma tant'è. Sono doppiamente felice che la storia continui a prenderti. Per quanto riguarda Tonks, sono d'accordo con te. Voglio dire, è un personaggio così marginale nei libri, che sembra avere assunto un carattere solo grazie alle fanfic che girano in rete. Suppongo che ognuno si immagini la Tonks che gli pare, quindi. La mia, e sono davvero, davvero contenta che ti piaccia, è abbastanza irruenta e piuttosto irriverente, ma mi piace pensare che, sotto agli anfibi e alle magliette delle Sorelle Stravagarie, abbia anche una certa dose di fragilità femminile. E, decisamente sì: sono fra coloro che la immaginano come la recluta indisciplinata e maliziosa di Malocchio, che posso farci? Per quanto riguarda Azkaban... mmh, suppongo che provvederanno a mettere un letto matrimoniale in più.

fennec: Mi mancava Tonks, tutto qui. L'avevo lasciata in modalità Rambo e mi dispiaceva che poltrisse nel mio archivio mentale di «cose che devono succedere nella fanfic». Oh, sì. La situazione si fa davvero complicata: mi auguro solo di riuscirla a gestire io, perché senza di me, non la gestiscono nemmeno loro due. (Che manie di protagonismo). Se Remus se la caverà, mi chiedi... ah, non lo so. Dipende: se acconsentirà a sposarmi seduta stante potrei anche graziarlo sul finale, non saprei. Come ho detto a PinkMoonlightPrincess, direi che puoi tenere per certi almeno un'altra ventina di capitoli. Ma, di nuovo, è da sollevare con le pinze.

Azah Black: Ahahahah! Per un attimo ho creduto di aver realmente scritto «uggiosa giornata di giugno». Sarebbe stato piuttosto irritante scoprire un simile errore nella prefazione dopo cinquanta capitoli!

puciu: Oh. Mio. Dio. Un'altra recensione delle tue. Aspetta che mi scrocchio un po' le dita, non voglio interruzioni. (Non contemplo i crampi come scusanti quando scrivo, figurarsi quando rispondo a te). Sì, è vero. È cresciuta con me la storia. Mi sono resa conto di essere sufficientemente migliorata dal primo capitolo, e non posso che esserne fiera. Com'è che dicono? L'esperienza e qualcosa... oh, be'. E che tu dica che sia anche cresciuta con te... miseria, smettila di farmi arrossire! Il mio cagionevole colorito non può reggere simili sbalzi termici.

Ned Fladers? Davvero? Non era Doris Day? Buon Dio, Ned Flanders ha cantato ''Que serà, serà''? Voglio dire... l'ha fatto realmente?

Ehm... ma sì, è davvero spupazzoso Scrimgeour. Ha la criniera come un micio, in fondo. Gli puoi fare pat pat sulla testa e aspettare che faccia le fusa. Ok, magari non le fusa, ma scommetto che la parte del pat pat non me la negherebbe mai. Sì, capisco che tu sia basita (è un bell'aggettivo, ''basita''. Basita-basita-basita-basita... wow). No, Tonks non può essere licenziata, e per due motivi: punto one, mi serve che resti ad Hogsmeade fino a giugno e da disoccupata non avrebbe molta utilità e punto two (conosco anche l'inglese, visto che roba?), a Scrimgeour non conviene farlo e anche Tonks lo sa. Finché è un'Auror hanno più possibilità di tenerla d'occhio, in fondo. (Questo deriva da un viaggio mentale che mi ero fatta mentre leggevo HBP. Mi è sembrato tanto strano vedere la rapida promozione di Arthur e il trasferimento di Kingsley e Tonks uno dopo l'altro. Insomma, erano i tre dipendenti ministeriali dell'Ordine, no? Sembra quasi che li abbiano deliberatamente messi in posizione ''facilmente controllabili''. No, fa lo stesso... sono io che sono paranoica. Malocchio sarebbe fiero di me, se solo sapesse chi sono e quanto lo amo). Non illuderti? Miseria, mia cara, dopo cinquanta capitolo non crederai davvero che io possa trasformarmi in una brava writers regolare, uh? (Writers...? Ma che parole uso, oggi?). Writers. È bella quasi quanto basita. Basita. No, basita è imbattibile. Writers basita. Oh, così mi piace. Un bacio gigante alla mia recensitrice (questo sostantivo non ha bisogno di commenti, direi) preferita.


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Capitolo 52
*** Capitolo Cinquantunesimo - Colloqui ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO CINQUANTUNESIMO

Colloqui

°°°°°°°




«Lo sapevo che ti avrei trovata ici».

Tonks sollevò lo sguardo dai propri anfibi e rivolse un cenno di saluto piuttosto sbrigativo a Fleur. Lei, scostando la lunga chioma dorata dietro le spalle, sedette sull'altalena e la fissò con intensità.

«Hai sentito?» domandò atona Tonks, intrecciando le mani fra loro e tornando a chinare il capo. «I Montgomery, intendo».

«Oui» annuì Fleur. «Que tristesse. Quell'enfant aveva solo scinque anni». S'interruppe per fare un respiro malinconico. «Scerte cose non dovrebbero succedere jamais. Sa jamais».

«E hai sentito... insomma, chi--».

«Oui» ripeté con enfasi Fleur, dondolandosi un poco con la punta dei piedi. Guardò l'altra giovane un'istante e aggiunse: «Io non ponso che Monsieur Lupìn fosse là».

Tonks socchiuse gli occhi con un'espressione tormentata e affondò una mano fra i capelli sbiaditi. Si morse le labbra nel tentativo di ricacciare indietro i singhiozzi.

«Non ne sono sicura...» mormorò con voce stridula, scuotendo violentemente la testa. «Non lo so, Fleur... forse... forse l'hanno--».

«Il est bien, sta bene» la interruppe con decisione Fleur, sfiorandole con gentilezza il braccio destro. «Se ainsì non fosse, tu jià lo avresti saputo, Tonks. Il professeur Silonte sembra sapere sompre tout prima degli altri. Et je suis scerta che lui ti avrebbe detto se fosse successo quelque chose».

Tonks tirò bruscamente su con il naso e scoppiò a piangere.

«Io non ce la faccio più, Fleur, non ce la faccio più!» esclamò. «Quando... quando Phil mi ha detto che erano stati dei... dei licantropi... mi sono sentita morire. E più pensavo ''Buon Dio, ti prego, fa' che lui non ci fosse'', più il dubbio si faceva grande e mi faceva male» si fermò per passarsi una mano sotto agli occhi. «E poi sono andata là... e ho visto--».

«Tu es...? Pourquoi? Ponsavo fossi di stanza ad Ogsmeed».

«Scrimgeour» rispose stringatamente Tonks, asciugandosi un'altra lacrima. Si fissò i polpastrelli delle dita con aria stupita e fece uno sbuffo a metà fra l'isterico e il divertito. «Merlino, quanto diavolo sono messa male...». Sollevò lo sguardo lucido verso Fleur e, notando la sua espressione confusa, disse ancora: «Rufus Scrimgeour».

«Il Ministre della majia?» ripeté quella, sgranando sbalordita i grandi occhi turchesi.

«Il mio capo pensa che io sappia cos'ha in mente Silente» riprese Tonks, con un sorriso amaro. «Quando, invece, non ne ho mai avuto la più pallida idea. Mai. Io eseguo solo gli ordini... è questo che sono stata addestrata a fare: eseguire gli ordini. Ed eseguo gli ordini di Silente perché mi fido di lui, ma lo faccio alla cieca. E loro... loro non lo capiscono, pensano che... che... che ne so di cosa pensano!?» urlò, sferrando un calcio violento al terriccio bruno e sollevando un vaga nuvoletta di polvere. «Mi sembra quasi di stare fra le spire di un Basilisco!».

«O come nella cuscina di Mollì» aggiunse Fleur, facendo le spallucce con aria vaga.

Tonks inarcò un sopracciglio.

«L'altro jorno mi sono offerta di cuisson, di fare da manjiare» spiegò lei con una smorfia indispettita sul bel viso. «Ed era evidonte che sarebbe stata Nouvelle Cuisine. Chi avrebbe potuto ponsare che avrei fatto – e jamais farò – quelle grosse pietonse englosi?» fece un verso disgustato e riprese: «E invesce... Mollì ha passato toute la scena criticando chaque chose fosse sul tavolo! Anche la position dei bicchieri, mon Dieu! Ha avuto il courage di dire che il mio patè en terrine sapeva di moisissure, di muffa! E la mia consommé non era suffiscientemonte cremosa!» si fermò nell'apparente tentativo di placare l'agitazione. «Ponsavo di essere io la française! Apparontemete sbagliavo! Pourquoi ha finito discendo: ''Fleur, cara, ponsi davvero che Bill potrò manjiare questa cosa per tutta la vie?''. Oui, lo ponso eccome! Bill adora la mia mousse au chocolat! E disce che le mie velouté sono très bonnes! Oh, che irritant femmes!».

Tonks strabuzzò gli occhi scuri, scosse il capo con aria confusa e scoppiò in una fragorosa risata. L'altra giovane, portando un ciuffo biondo dietro un orecchio le lanciò uno sguardo soddisfatto.

«Oui» disse. «Ridi pure delle malchances degli altri, Tonks».

«Delle... delle cosa?» biascicò lei, ridacchiando.

«Delle malchances» ripeté Fleur, alzando il naso con un'espressione di melodrammatica vanità. «Delle trajedie degli altri».

Tonks fece un ultimo sbuffo divertito e la guardò con un sorriso.

«Grazie dello svago» le disse. «Non sei male come cabarettista. Ha mai pensato che potresti-».

«S'il vous plaît, Tonks. Qualunque cosa tu stia discendo, lasciala marscire nel sciervello» la interruppe con un movimento irritato della mano. Sollevò lo sguardo su di lei e la fissò con maggiore serietà. «Cosa ponsi di fare, ora?».

«Voglio andare ad Hogwarts» rispose senza esitazione Tonks, annuendo fra sé. «Devo parlare con Silente».

°°°°°°°



Nel corso degli anni, Tonks aveva dimenticato il numero di volte in cui era stata tassativamente spedita davanti allo sguardo sconcertato di Pomona Sprite. Perfino l'etereo e imperturbabile professor Rüf, in preda ad un attacco isterico dovuto ai repentini e fastidiosi cambiamenti della sua chioma, si era ritrovato nella condizione di spedirla dalla direttrice della Casa di Tassorosso. A memoria di uomo – e fantasma, apparentemente – non era mai accaduto niente di simile. Eppure, quella volta era davvero riuscita a turbare la soporifera quiete delle lezioni di Storia della Magia.

''Cinque punti in meno a Tassorosso'' aveva dichiarato il fantasma, al limite dell'esasperazione. ''Perché il vorticare cromatico dei suoi capelli è nauseante anche per un non-morto, signorina Trunners''.

Ed ora, quasi nove anni più tardi, vagava pensierosa per gli stessi corridoi che erano stati la scenografia della sua adolescenza. Con le mani infilate nelle tasche del cappotto e lo sguardo perso rivolto al pavimento, aveva continuano a camminare fra quelle mura, quasi fosse un'automa, fin quando la voce sorpresa della professoressa McGranitt non l'aveva ridestata dai suoi cupi ragionamenti.

«Tonks?».

Lei si voltò velocemente – troppo, per una persona talmente goffa da inciampare sui suoi stessi piedi – e rischiò di perdere l'equilibrio e rovinare per terra. Strizzò gli occhi un paio di volte e scosse il capo, riemergendo alla realtà in cui si trovava.

«Salve, professoressa» salutò affrettatamente. «Cercavo il Preside».

Le sottili sopracciglia della McGranitt scattarono verso l'alto in un'espressione ancora più meravigliata.

«Il Preside?» ripeté, avvicinandosi con rapida decisione alla giovane, con il lungo mantello che frusciava ad ogni passo. «La prossima riunione dell'Ordine è stata fissata per dopodomani, Tonks. Posso sapere il motivo di tanta urgenza?».

Tonks chinò rapidamente lo sguardo, notando solo in quel momento un filo che spuntava dall'orlo della manica. Se lo attorcigliò intorno all'indice sinistro e iniziò a giocherellarci con aria falsamente vaga.

«È per... voglio dire... insomma, ha capito?».

La McGranitt fece una smorfia indispettita.

«Certo che sì, benedetta ragazza» rimbrottò asciutta. «Vieni nel mio ufficio».

«Ma, professoressa, io-».

«Silente non c'è, o ti avrei già accompagnato all'entrata del suo studio. Non che io presuma tu abbia dimenticato dove si trova, naturalmente, considerato l'esorbitante numero di volte in cui sono stata costretta a mandartici», aggiunse, voltandole le spalle e tornando sui propri passi.

Confusa, Tonks rimase immobile. La McGranitt si voltò dopo pochi istanti e le lanciò un'occhiata impaziente.

«Devo forse Trasfigurare i suoi piedi in due pattini a rotelle, signorina Tonks?».

°°°°°°°



«Due zollette, gra-».

«So perfettamente come bevi il tè, Tonks» la interruppe perentoria la McGranitt, agitando con grazia la bacchetta e sollevando la zuccheriera di ceramica dalla propria scrivania alla tazza fumante davanti alla giovane. «Se mi avessero dato uno Zellino per ogni volta che te l'ho offerto, dopo le tue innumerevoli punizioni, ora sarei probabilmente più ricca di quella scavezzacollo di Gwenog Jones».

Tonks soffocò a stento una risatina.

«Orsù, dunque, parla» esordì con un movimento brusco del polso la McGranitt. «E, per amore dei miei vecchi nervi, cerca di evitare quell'incomprensibile gorgogliamento di poco fa, per favore».

Un poco intimorita dall'aurea severa della donna – nonostante avesse conseguito i suoi M.A.G.O. da oltre cinque anni e avesse collaborato con lei per l'Ordine della Fenice, Minerva McGranitt sarebbe sempre rimasta la sua insegnante di Trasfigurazione – Tonks tentò di accumulare secondi preziosi portando la tazza alle labbra. Il tè, tuttavia, si rivelò estremamente bollente e la giovane finì per tossicchiare e versarne un paio di gocce sulla superficie lucida del legno.

Trattenendo a stesso i propri commenti, la McGranitt alzò gli al cielo e si limitò a sospirare.

«S-scusi, professoressa. È solo che-».

«Merlino, Tonks, vogliamo evitare questi strazianti convenevoli e passare al sodo? Non sei più una mia studentessa, grazie al cielo».

Tonks fece una buffa smorfia e inarcò un sopracciglio.

«Io stavo per passare al sodo, professoressa, ma lei continua a-».

«Non importa, Tonks. Prosegui» la interruppe nuovamente la donna, leggermente spazientita. «Per quale assurdo motivo stavi bighellonando davanti al mio ufficio?».

«Cercavo Silente».

«Questo lo avevo capito».

Tonks fece un profondo respiro.

«Ero venuta per l'aggressione ai Montgomery» esalò veloce, stringendo con forza le dita attorno alla tazza.

Sul viso della McGranitt non apparve la minima traccia di meraviglia. Sapeva perfettamente che il solo motivo per cui Tonks avrebbe potuto abbandonare il suo posto di guardia, ad Hogsmeade, era Remus. L'anziana strega fissò con forte intensità l'ombra preoccupata comparsa sul volto pallido di Tonks e annuì piano.

«Naturalmente» ne convenne.

Stringendo fra loro le labbra, Tonks sollevò lo sguardo nervoso su di lei, in una muta – ma sufficientemente esplicita – richiesta di informazioni.

«Severus è tornato questa mattina, e...» iniziò con tono fermo la McGranitt, spingendo gli occhiali squadrati in una posizione meno fastidiosa. Alzò gli occhi al cielo con un'espressione spazientita. «E quel poco che sono riuscita a cavare dalla sua bocca è stato che Remus sta bene e ha intenzione di proseguire la missione».

Tonks parve accasciarsi sulla sedia dalla serenità. Dopo qualche istante di apparente calma, tuttavia, rivolse un'occhiata stupefatta alla McGranitt.

«Come ha fatto Piton a parlare con Remus?» domandò veloce, mentre un secondo mostro del dubbio si faceva inesorabilmente strada nel suo cervello. «Se Piton era con i Mangiamorte... e dice di avere notizie di Remus... significa che...».

«Evidentemente, Remus era con loro».

Al suono tagliente di quelle parole, Tonks si strinse inconsciamente nelle spalle. Si mordicchiò nuovamente il labbro inferiore e socchiuse gli occhi, tentando di scacciare l'immagine di Remus costretto ad obbedire agli ordini dei Mangiamorte e di Fenrir Greyback.

Che cos'altro hai dovuto fare, Remus, che io non so?

«Capisco ciò stai passando, Tonks» sussurrò la McGranitt, sporgendosi verso di lei e posandole una mano sull'avambraccio. «Se dipendesse da me, avrei obbligato Remus a tornare a Londra prima ancora che fosse iniziata la stagione fredda. A dire la verità, non l'avrei mai nemmeno mandato a Jura».

«Lei crede che ciò che sta facendo sia realmente importante, professoressa?».

«Silente lo crede» affermò con decisione la strega. «E se lo crede lui, deve essere vero».

«Silente crede anche che Remus possa farcela?» chiese ancora Tonks, torcendosi febbrile le mani.

La McGranitt annuì.

«E lei, professoressa?» continuò la giovane, scrutandola implorante. «Lei lo crede?».

Facendo un profondo respiro, la McGranitt fece un cenno incerto con il capo.

«Sarò sincera, Tonks: non lo so. Conosco Remus da quando era poco più di un bambino. L'ho visto crescere fra queste mura e l'ho visto diventare un uomo fuori di esse. Per lui, continuo a provare un affetto ben più grande di quello che riservo alla maggior parte degli studenti che sono passati per la mia aula» fece un sorriso tirato. «Nonostante le tante bravate in cui si è lasciato coinvolgere dai suoi amici, Remus è stato uno dei migliori studenti che abbia mai avuto. Era un bravo ragazzo quando indossava la divisa di Grifondoro, ed è diventato un brav'uomo. Sa controllarsi e dosare con educazione le sue emozioni. È una virtù molto rara. Eppure... nonostante appaia come una persona gentile e calma, Remus è molto di più. Sono certa che tu lo sappia» aggiunse. «Il fardello che grava sulle sue spalle è più pesante di quanto si possa immaginare. Remus ha sempre desiderato di potersi... ecco... di poter essere normale, per usare una delle sue tante definizioni. Per tutta la vita, tuttavia, non ha fatto altro che remare dalla parte contraria. Vorrebbe essere come gli altri, ma non si è mai sentito in grado di avvicinarglisi».

«È solo uno stupido...» mormorò con un velo di risentimento Tonks. «Non capisce che ci sono persone a cui non importa niente – niente – della sua maledetta licantropia. A me non importa. E lui non riesce ad accettarlo».

Il sorriso della McGranitt si fece più ampio e genuino.

«La vita è stata magra di gioie, per Remus» disse. «Tu sei una di quelle e lui, qualunque cosa dica, lo sa. Se mai ti ha detto che non prova nulla per te, sappi che Remus è sempre stato un ottimo bugiardo, oltre che uno dei miei studenti migliori».

Senza sapere cosa rispondere, Tonks fece un lungo sospiro afflitto.

«Scommetto tutte le Coppe di Quidditch che tornerà da te, mia cara» concluse con gentilezza la McGranitt. «Ormai, non può più scapparti».


Il cuore, le labbra, la pelle, lo sguardo.

Immagini questo del tuo amore infingardo.

Lo sogni, lo senti, lo brami,

povera schiava di tempi infami.

''Io non ti amo'', immensa menzogna.

''Sono un mannaro'', ammette vergogna.

E resti in attesa, sparuta e fremente,

che torni da te, desiderio struggente.


°°°°°°°




«Ma-che-stai-facendo?» scandì Rouge con aria irritata.

Fece uno sbuffò innervosito e si avvicinò con rapidità al punto in cui l'argine dello Shannon si appiattiva, dove Remus sedeva da tempo incalcolabile.

«Ti pare il caso di svanire per oltre tre ore senza dire niente?».

Remus le rivolse un sorriso gentile. I suoi occhi, tuttavia, erano velati da una cupa tristezza.

«Eri preoccupata per me?».

Rouge fece una smorfia annoiata.

«Certo che no, Lupin. Lo era Aulos. E non hai idea di quanto quell'imbecille possa diventare esasperante».

Lei lo fissò intensamente a lungo, prima di alzare gli occhi al cielo e sedersi accanto a lui.

«Che bella giornata: Luma è morto» commentò Rouge indifferente, quasi stesse esponendo la sua opinione sul preoccupante grigiore del cielo. «Un idiota in meno con cui avere a che fare».

Non ricevendo alcuna risposta, Rouge gli sferrò un violento pugno alla spalla. Colto alla sprovvista, Remus gridò e si sfregò l'arto indolenzito.

«Mi hai fatto male!» esclamò dopo qualche secondo.

«Male? Quello? Maledizione, la tua soglia del dolore è scandalosamente sottozero» ribatté lei, divertita. «Che è successo?» aggiunse dopo un poco, scrutandolo con serietà.

Remus non parlò.

«''Abbiamo obbedito agli ordini, abbiamo attaccato quella famiglia di schifosi umani, il bambino ha fatto una brutta fine e ora io mi sento un verme''» gli fece il verso Rouge. «Lupin, piantala. Il tuo vittimismo mi dà sui nervi».

«Non sto facendo...» iniziò lui. «Non puoi capire».

Lei parve trovare quell'affermazione particolarmente offensiva.

«Ci risiamo? Siamo di nuovo tornati al punto in cui io sono l'assassina bastarda senza sentimenti e tu sei il bravo e coscienzioso licantropo buono?» ribatté asciutta. «Sei tu a non avere afferrato il concetto. Io sono un licantropo. Loro sono degli umani. E siamo tutti in guerra l'uno con l'altro dal primo plenilunio della notte dei tempi. Sei tu, Lupin, quello che deve ancora capire da che parte stare».

Remus le rivolse uno sguardo provato e scosse il capo con amarezza.

Rouge fece una smorfia altezzosa.

«E ora togliti quell'aria da disperato» concluse seccata. Si guardò attorno come se temesse di essere spiata e aggiunse: «Devo parlarti di Lynn».

°°°°°°°

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Capitolo 53
*** Capitolo Cinquantaduesimo - Preoccupazioni ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO CINQUANTUNESIMO

Preoccupazioni

°°°°°°°




«Lynn è sparita?» ripeté confuso Remus. «Non capisco».

Rouge alzò gli occhi al cielo e mosse spazientita una mano. Fece un altro paio di passi in avanti, ruotò su sé stessa e ripercorse nervosamente quella breve camminata distensiva.

«È sparita, Lupin» scandì in tono asciutto, guardandolo torva. «Sparita. Cosa ti sfugge in questo semplice concetto?».

«Da quanto?» domandò Remus.

«Da quando siete partiti per Londra» rispose Rouge, fermandosi di colpo e abbandonando le braccia lungo i fianchi. «Non l'ha più vista nessuno».

Perplesso, Remus scosse qualche volta il capo e si massaggiò stancamente le tempie.

«Credi possa aver abbandonato l'isola?».

Rouge sbuffò divertita.

«Lynn?» esclamò sarcastica. «È così vigliacca che vive nascondendosi dietro al suo “ruolo nel branco”» le fece il verso. «Figurati se ha il coraggio di bazzicare per le terre degli umani».

Remus tacque qualche istante, riflettendo rapidamente. Se Lynn fosse rimasta effettivamente a Jura, non vi era spiegazione al fatto che nessuno – nessuno – l'avesse notata. Il gruppo dei cacciatori perlustrava ogni centimetro dell'isola fin dalle prime luci dell'alba e facevano ritorno alla piazza del clan solo al tramonto. Considerata la loro straordinaria conoscenza di quelle foreste, le possibilità che non l'avessero notata erano davvero esigue.

«Hai mandato qualcuno a cercarla?».

«No» rispose laconica. «Non mi andava di attirare l'attenzione del branco. Se quell'idiota sta covando qualcosa, voglio vederci chiaro prima di chiunque altro».

«Sei andata tu a cercarla?».

Rouge annuì.

«Sono arrivata oltre la sorgente dello Shannon e ho percorso tutto la riva dell'Harrier, fino al mare. Ho camminato lungo le spiagge di Artume per ore, Lupin. L'unico posto che non ho controllato sono stati i valici aldilà delle radure di Trivia».

Remus la guardò accigliato.

«Perché non hai-».

«Lupin, sei impazzito?» lo interruppe con foga, fissandolo a sua volta con gli occhi sgranati. «Sto parlando delle radure di Trivia. Sono terre maledette, quelle».

Lui le rivolse uno sguardo educatamente scettico e lei parve sdegnarsi di più.

«Togliti di dosso quell'espressione sfacciata o giuro su Selene che ti strappo gli occhi dalle orbite» lo minacciò rabbiosa. «Lynn non ha attraversato le radure di Trivia. Non nego sia un'idiota piena di sé, ma non è tanto sprovveduta».

«Perché credi che siano maledette?» chiese con sincero interesse.

Palesemente indispettita, Rouge inspirò con forza e incrociò le braccia al petto, fissandolo con astio.

«Lupin» sibilò. «Nessuno crede che siano maledette. Si sa. Fine della storia».

Remus inarcò un sopracciglio.

«Ero convinto che non credessi a simili superstizioni» disse.

«Le radure di Trivia non sono superstizioni» sottolineò con fervore. «Sono le terre della Morte e chi ha avuto la scelleratezza di oltrepassare i loro confini non ha più fatto ritorno».

«Le terre della Morte?» ripeté, sempre più incuriosito. «È forse un'altra... divinità di cui non sono a conoscenza?».

«Non hai idea del numero di cose di cui non sei a conoscenza» ribatté lei, piccata. «E la Morte non è affatto una divinità».

«Cos'altro rappresenta, quindi?».

Rouge parve trattenersi a stento. Respirò profondamente per l'ennesima volta e lo guardò seriamente.

«La leggenda dice che sia in quelle radure che risiede Ecate. Sai, perlomeno, chi è Ecate?».

Lupin annuì lentamente.

«Una delle tante figure mitologiche dell'antichità» rispose con calma.

«Una delle...?» ripeté sconcertata Rouge. «Ecate è la Regina degli Spettri. Accompagna le anime dei defunti negli Altipiani dell'Aldilà, al cospetto di Selene».

«È una divinità, dunque» ribadì Remus.

«No» disse Rouge. «Ecate viaggia fra il mondo dei vivi e quello dei morti. Non è l'uno e non è l'altro».

Remus scosse il capo.

Erano solo antiche superstizioni prive di fondamenta scientifiche. Le sparizioni per le quali Rouge pareva tanto allarmarsi potevano risalire anche a secoli prima. Forse, un gruppo di licantropi si era imbattuto in una tormenta particolarmente ostica e aveva perduto la via del ritorno, finendo per morire congelata lungo i pendii aguzzi delle montagne. Oppure una delle tante liti furiose che animavano l'isola era sfociata in un combattimento più cruento del solito, terminando con uno spargimento di sangue da entrambi i fronti. C'erano così tante possibilità: Remus era stupito che Rouge potesse credervi con tanta cecità.

«Non importa, Lupin» esordì improvvisamente Rouge, agitando con noncuranza la mano. «Non mi va di sprecare il mio tempo tentando di convincere un mezzo mago. In fondo, sei come tutti gli altri umani» aggiunse con disprezzo.

«Affatto» la contraddì lui con un sorriso pacato. «Anche gli umani hanno le loro credenze popolari, Rouge. Ed io diffido di esse indipendentemente dalla loro provenienza».

Rouge gli rivolse un'occhiata sprezzante, ma non lo interruppe.

«I Babbani – coloro che non hanno poteri magici – credono che i gatti neri e i venerdì 17 siano presagi di sventura. I maghi e le streghe, invece, continuano a tenersi alla larga dalla Stamberga Strillante di Hogsmeade, convinti che sia il posto più stregato di tutta la Gran Bretagna» si concesse una breve e flebile risata. «In pochi sanno che il merito della sua fama è mio».

Lei lo guardò confusa.

«Quando frequentavo Hogwarts – la scuola di Magia e Stregoneria – mi nascondevo in quella catapecchia malconcia durante i pleniluni. La gente del villaggio si convinse in fretta che i miei ululati fossero opera di spiriti inquieti. E nonostante siano passati più di dieci anni, nessuno ancora osa avvicinarglisi».

«Non è la stessa cosa» sbottò infine Rouge, irrequieta.

Lui alzò le spalle con un sorriso gentile.

«Ad ogni modo, poco importa» disse ancora Remus, più scuro in volto. «Se sei convinta che Lynn non è in quelle radure, io ti credo. Il problema, tuttavia, persiste. Se non ha abbandonato l'isola, ma non si trova da nessuna parte dell'isola... dov'è?».

«Che arguta conclusione, Lupin» lo canzonò lei. «Era una domanda che non mi ero ancora posta».

Lui sollevò lo sguardo su di lei e la fissò eloquente.

«Sei certa che non oserebbe abbandonare Jura?»,

Rouge fece un gesto seccato con le braccia.

«Anche se fosse, ho spedito Alceus a contare i Pegasi rimasti e fatta eccezione per quelli che avete preso voi, c'erano tutti. Quindi, a meno che tu non voglia supporre che possa aver attraversato a nuoto il mare...» s'interruppe di colpo, inarcando pensierosa un sopracciglio. «Magari ci ha provato ed è affogata. Sarebbe semplicemente meraviglioso» commentò con leggerezza, sorridendo estasiata al pensiero.

«Lo dubito fortemente» commentò divertito Remus. «Hai qualche altra idea?».

«Se l'avessi avuta, Lupin, non ti avrei nemmeno interpellato» disse Rouge con tono sbrigativo.

«Credo dovremmo aspettare» concluse. «Dopotutto, è sparita da meno di due giorni. Forse non dovremmo nemmeno preoccuparci come stiamo facendo».

Rouge annuì sbrigativa.

Nessuno dei due, tuttavia, appariva rilassato.

°°°°°°°




Dolores Umbridge abbassò gli occhiali da lettura dalla scintillante montatura rosa confetto e rivolse ad Emerald Forgedawn un sorriso lezioso. Mosse una mano tozza e ingioiellata verso la sedia dinanzi alla propria scrivania e il mago, annuendo vagamente impacciato, vi prese posto.

«È venuto a portarmi buone novelle, signor Forgedawn?» domandò caramellosa la Umbridge. «Posso offrirvi qualcosa? Ho del tè ancora nel bollitore e un mio subalterno mi ha regalato una bottiglia di delizioso vino elfico giusto stamane».

Forgedawn era un uomo sulla cinquantina con una coda di capelli ingrigiti e una fronte calva e spaziosa. Diversi menti di flaccida carne erano stretti dal colletto della sua camicia e il volto, dai trattamenti grossolani, era florido e rubizzo.

«Abbiamo ottenuto il permesso del Ministro, Madama Umbridge» esordì vittorioso. «È solo questione di ore prima che il Centro di Aberdeen venga aperto in via definitiva».

«Splendido» mormorò piano la strega, intrecciando le dita fra loro. «Ho dovuto attendere più del previsto per la sua realizzazione, ma questa è la prova che le buone idee trovano sempre il modo di tornare a galla, prima o poi».

«Oh, sì» annuì con un sorriso soddisfatto Forgedawn. «Questo è un gran giorno per il Ministero della Magia. Ciò che faremo passerà alla storia».

«Era ora che si facesse qualcosa per estirpare quei disgustosi...» fece una smorfia nauseata e scosse la mano con indifferenza, cercando di trovare un appellativo sufficientemente offensivo. «Non importa. Ma ciò non toglie che lei ha davvero centrato il punto, signor Forgedawn: cambieremo la storia della Gran Bretagna».

Si alzò in piedi e trotterellò con aria gongolante fino alla finestra del proprio ufficio. Quel giorno, il capo della Manutenzione Magica non doveva essere di buon umore: un forte temporale incantato scrosciava contro i vetri puliti. La donna fissò intensamente un paio di gocce scivolare irrefrenabili verso il basso. Sorrise fra sé e disse:

«Ho sentito Radio Strega Network. Ha diffuso un brillante comunicato».

«La ringrazio» rispose educatamente Forgedawn. «Era mia intenzione tentare di essere il più diretto possibile. Voglio che ogni mago e ogni strega di questo paese capisca la gravità della situazione. Non è con soffici animaletti, purtroppo, che dovremmo trattare».

«Naturalmente» convenne la Umbridge con espressione schifata. «E, mi dica, Albus Silente non ha ancora fatto irruzione nei suoi uffici? Ero convinta che lo stomachevole interesse che prova per quelle creature lo avrebbe fatto infuriare».

«No, ma confesso di essere stupito anch'io» ribatté Forgedawn, lisciandosi con aria noncurante i capelli. «Abbiamo ricevuto solo una fastidiosa Strillettera da Minerva McGranitt».

Al suono di quel nome, la Umbridge emise un versetto sdegnoso.

«Sciocca» sibilò. «Come se qua dentro i suoi improperi avessero peso».

Forgedawn fece un lieve sorriso divertito.

«Ha urlato qualcosa come ''sembrate aver perso i nostri obiettivi primari'' e ''aleggiate talmente tanto in alto con i vostri nasi da non accorgervi delle ovvietà di questi tempi''» le fece il verso.

«Sciocca e patetica» disse ancora la Umbridge. «Non sono riuscita a sbarazzarmi di lei e Silente l'anno scorso per un fortuito incidente di percorso. Fortunatamente, anche i suoi giorni stanno per vedere la fine. Silente perde sempre più colpi e il fatto che non si sia schierato come intrepido difensore degli ibridi ne è la conferma» ridacchiò malignamente. «La musica cambierà presto e noi tutti potremo dormire sonni più tranquilli».

Forgedawn annuì con un movimento meccanico del capo. Restò un attimo in silenzio, fissando pensieroso un gattino miagolante affisso alla parete e inarcò uno dei grossi sopraccigli.

«Madama Umbridge» iniziò titubante. «Sembra più interessata a questo che alla situazione generale della Gran Bretagna».

«Situazione generale?» ripeté confusa la donna, voltandosi appena per rivolgergli un sorriso zuccheroso. «Non capisco cosa intende».

«Parlo dei Mangiamorte, naturalmente!» esclamò stupito l'uomo, alzandosi improvvisamente in piedi. «Con Lei-Sai-Chi di nuovo in circolazione dovremmo-».

«Ogni cosa a suo tempo, mio caro Forgedawn, ogni cosa a suo tempo» tagliò corto la Umbridge, tornando a fissare la pioggia. «Una volta che ci saremmo sbarazzati di tutte quelle ripugnanti bestie che invadono le nostre strade, avremmo privato Lei-Sai-Chi dei suoi più naturali servitori. Sono creature immonde, empie e indegne di vivere così a stretto contatto con le persone normali. E quando anche Silente sarà fuori gioco...» aggiunse malevola, «nessuno metterà più in discussione la nostra autorità».

Forgedawn si grattò assorto il mento e la pelle del suo collo tremò come un budino.

«Crede che Silente abbia qualche... connessione con gli ibridi che stiamo cercando?».

«Ovviamente» replicò lesta la Umbridge, sgranando gli occhi come se non ritenesse possibili altre ipotesi. «Non ha mai sentito che razza di cose lascia girovagare libere per i territori della scuola? Perfino un Mezzogigante, misericordia...» sussurrò schifata. «Per non parlare di quando ha assunto quel lupo mannaro. Buon Dio, pare non esserci più alcuna religione».

«Parla di Remus Lupin, Madama Umbridge? Ho saputo che fa parte dell'Ordine della Fenice».

La Umbridge fece una risatina stridula.

«E questo non è sufficiente a inquadrare quella setta rivoluzionaria? Quale pazzo desidererebbe trascorrere il suo tempo in compagnia di simili bestie? Poco importa, comunque. Troveremo anche lui. E chissà, forse questa volta saremo più fortunati e prenderemo due civette con la stessa galletta di riso».

Forgedawn la guardò perplesso.

«Non credo di seguirla».

«Togliamo dalle strade un sudicio ibrido e scopriamo cosa sta tramando Silente in un solo colpo» spiegò leziosamente. «Anzi: il magnanimo Albus potrebbe schierarsi apertamente in difesa di quel suo cane addomesticato. Sarebbe perfetto. Dopotutto, esisterà pure una situazione nella quale Silente si ritroverebbe con le spalle al muro, non crede? E, in certo frangenti, sono certa che non disdegnerà alcun compromesso».

«Ne siete certa?».

«Assolutamente» rispose laconica la donna. Rimase in silenzio qualche istante. «Signor Forgedawn?» domandò.

«Sì, Madama Umbridge?».

«Tenga un occhio vigile su Ninfadora Tonks».

«Ninfadora Tonks?» ripeté sorpreso. «L'Auror?».

La Umbridge annuì lentamente.

«Se seguirà quella ragazza, prima o poi arriveremo a Lupin».

«Cosa glielo fa pensare?».

Il sorriso lezioso della Umbridge si fece ancora più ampio.

«Si preoccupi di non perderla troppo di vista» disse semplicemente. «E si fidi. So quello che dico».

°°°°°°°







Olà. Cinquantaduesimo capito postato – e nemmeno ad una distanza troppo vomitevole, suvvia, diamo a Trick ciò che è di Trick. Non so se sono riuscita a mantenere in Canon il personaggio di Dolores Umbridge, ma, ad ogni modo, le sue smancerie volevano entrare nella storia, e questo è quanto. Emerald Forgedawn non so neanche se sia mai esistito: avevo annottato il suo nome nel mio fido scontrino di turno mesi fa, ma non ricordo se l'ho letto o meno da qualche parte. Chiedo venia, ma tant'è. Ho un numero esagerato di recensioni alle quale rispondere, ergo adesso cercherò di impersonare una persona normale e telematicamente professionale e rispondere con serietà.

Sì, come no... vi piacerebbe!


Recensioni al capitolo cinquantunesimo:

Lily_Snape: sono davvero felicissima – davvero, davvero, davvero – che ti piaccia il modo in cui ho delineato il rapporto fra Fleur e Tonks. Voglio dire, probabilmente è molto OOC (senza il probabilmente) e le differenze che corrono fra loro sono davvero troppo estreme perché possano essere amiche. Be', più che amiche speravo di averle rese delle confidenti, non se mi spiego. Sono molto diverse, certo, ma sono entrambe innamorate. E poi mi serviva una spalla pressoché coetanea su cui Tonks potesse riversarsi: Molly Weasley è presente e indubbiamente il suo conforto aiuta, ma nonostante adori il suo personaggio, (e quel «NOT MY DAUGHTER, YOU BITCH!» l'ha fatta salire nella top ten delle mamme immaginarie), scrivere di lei mi mette l'ansia. Non so perché. Tutto questo per dire che non mi andava di inserire un'amica OC di Tonks. Ho già troppi personaggi nuovi da gestire e ognuno di loro mi fa sempre venire il panico. Dopo tutti quelli che sono defunti (sì, io sono nota per portare una sfiga boia), Minerva è il mio personaggio preferito. Sono contenta anche che ti piacciano le rime – perché, non dovrei?. Grazie mille.

_Mary: Quando ho visto che la fic era stata inserita fra le Storie Scelte ho rischiato di avere un colpo apoplettico. E pensare che avevo iniziato a scriverla senza la minima idea di dove sarei andata a parare, di come avrei districato la trama o di chi avrebbe questo e quello e quant'altro... poco professionale, sì, ne sono consapevole. Ma non credevo che sarei arrivata ai venti capitoli, figurarsi ai cinquanta (fra l'altro, la storia è ambientata solo a febbraio-marzo, ora, dunque manca ancora un bel po'... miseria, non ci credo davvero). Mi ha chiesto di Trick... uhm... vediamo, se non ricordo male, forse nel prossimo. Aspetta. Dammi due secondi per cercare lo scontrino sul quale ho annotato il suo rientro in scena e... sì, è il prossimo. Per quanto riguarda la McGranitt, ti dirò... non l'ho mai vista come una donna ''fredda''. È rigida e severa, certo, ma non insensibile; anzi, credo sia tutt'altro. È una donna straordinaria, ad ogni modo.

lyrapotter: Ma sì, dai... lo sappiamo che Rouge è un pezzo di pane (raffermo). Sono contenta che ti siano piaciute Fleur e la McGranitt. Se c'è una cosa che davvero mi piace di Harry Potter, sono le sue figure femminili. Avevo letto, ma non ricordo più dove, che qualcuno sosteneva che la trama era estremamente maschilista. Io non l'ho mai vista tale, a dire la verità. Anzi, sono convinta che ci sia un notevole numero di donne piene di talento e carisma nella saga. La McGranitt, tanto per citarne una. Ma anche Fleur (la presa di posizione che fa alla fine del sesto libro, per me, ha fatto cadere quella maschera di ''sono bella e basta'' che la Rowling gli aveva dato), o Madama Rosmerta, che gestisce da sola una delle taverne più trafficate del mondo magico. E, ancora, Bellatrix Lestrange (tremenda, perversa e fuorviata, certo, ma invidio la fedeltà che ha riposto nei suoi ideali) e Hermione Granger (non c' è nemmeno da spiegarne il motivo). E per quanto riguarda Minerva... oh, quanto l'adoro!

Erre: Non preoccuparti. Presto tornerò ad aggiornare con la stesse pigrizia di prima e sarò io a dovermi sentire in colpa. Spero che giudicherai anche questo capitolo come gli altri. Giuro, comunque: cercherò di essere il più efficiente possibile.


Recensioni al capitolo Cinquantesimo:

Talpina Pensierosa: Tutta in un un colpo? Sei impazzita? Ho perso un sacco di lettori per questo motivo! XD Scusa la battuta idiota, di tanto in tanto l'omino Paperoga che vive nel mio cervello prende il sopravvento sulla razionale Daria che dormicchia nell'altro emisfero cerebrale. Ah, queste doppie personalità...

PinkiMoonlightPrincess: Sono molto rilassata nel sapere che trovi Piton IC. Scrivere di quell'uomo – per quanto fascinoso sia – è dannatamente difficile. È così impenetrabile che darebbe di matto anche Freud, figurarsi un individuo monocellulare come la sottoscritta. Remus è sentimentale, dici... Sì, credo anch'io lo sia, effettivamente. Però non è gentile e affabile come appare. O, perlomeno, questa è l'idea che mi sono fatta di lui. È molto comprensibile ed altrettanto disponibile, ma ciò non toglie che il sorriso cordiale che ha sempre non rispecchia ciò che lui è realmente. Due frasi dei libri, in particolare, mi sono rimaste impresse. La prima, nel Prigioniero di Azkaban, è quella in cui Severus irrompe nella Stamberga Strillante e si rivolge a Remus dicendo qualcosa come: «Silente sarà molto dispiaciuto, Lupin... credeva che tu fossi addomesticato». La seconda, invece, viene pronunciata dallo stesso Remus nei Doni della Morte: «Se non sei pronto per uccidere, Harry, perlomeno Schianta!». Piton aveva ragione: Remus non è dotato di quell'estrema bontà che aleggia nel cuore di Harry. Non è solo il buon, gentile e amabile professore che lotta al fianco dell'Ordine della Fenice. Io credo sia fra i suoi membri più pericolosi, ancor più di Sirius.

Lily_Snape: Rinnovo la mia felicità per il fatto che tu non abbia trovato OOC Severus. Deduco dal tuo nick che il personaggio ha le tue simpatie, ergo il tuo giudizio è insindacabile. Suppongo sia normale capire meglio i personaggi che stimiamo di più. Voglio dire... io detesto Lucius Malfoy e non riesco a inquadrarlo con sufficientemente obiettività per scrivere una fic in cui lui non sia OOC, non so se mi segui in questi ragionamenti cervellotici e privi di senso, ma tant'è... Io? Torturare Remus? Dici? Mmm... dev'essere perché viene naturale con lui. Se anche la Rowling lo ha descritto con tutte le sfighe possibili addosso, ci sarà un motivo. Perché i licantropi non compaiono nella lista? Be', pensavo fosse sottinteso. Il comunicato era iniziato proprio avvertendo i maghi e le streghe delle pericolosità della loro specie, e si è concluso semplicemente aggiungendo le altre razze giudicate temibili. Fra l'altro, sono le stesse razze che il fido Lexicon bolla come ''cinque stelle'', ovvero ''tanto, tanto, tanto mortali''. Non ho inventato nulla di nuovo.

P.s. Sto lavorando sulla quarta one-shot del vecchio Ordine, a dirti la verità. Dorcas Meadowes, come vi avevo anticipato. L'unico problema è che mi sono imbarcata in troppi progetti contemporaneamente: il Diario da finire, ora c'è anche Dona Eis Requiem che è diventata magicamente una Raccolta e, come se non bastasse, la Big Damn Table su Remus e Tonks... purtroppo Dorcas dovrà aspettare nella cartella Documenti ancora un po', mi spiace. Sono un po', però...

puciu: Le tue recensioni mi fanno paura, lo sai, vero? Voglio dire... necessito sempre di una sigaretta dopo ogni risposta. Tu nuoci gravemente alla mia salute e alle mie dita. XD Anyway. Melius abundare quam...? Senti, davvero, cerchiamo di parlare la stessa lingua? Fortuna che il mio cervello notoriamente superiore.

Il precedente periodo non terminava con il punto. Volevo solo darti il tempo di ridere per l'affermazione da me appena mossa.

Dicevo: fortuna che il mio cervello notoriamente superiore è riuscito a capire cos'hai detto. Noti con piacere...? Ma cos'hai notato? Ti avevo detto di non credere che sarei diventata una brava aggiornatrice di nuovi capitoli... non illuderti, miseria, che poi mi sento in colpa...! Quando aggiorno secerni realmente dei liquidi? No, senti, davvero, la tua salute mi sta ancora più a cuore della mia, fatti dare un'occhiata, eh? Anche un encefalogramma, se riesci. Ho sentito che all'USL hanno il pacchetto Irrecuperabili. XD

Sono in vena di battute dementi, stanotte, visto che roba. Sì, stanotte. Sono le due e mezza e ho bevuto troppi, troppi caffè. E ora sono troppo, troppo agitata. Perciò sarò sicuramente troppo, troppo snervante in questa troppo, troppo lunga risposta alla tua altrettanto troppo, troppo lunga recensione. E ora sto troppo, troppo male per smettere di scrivere ''troppo.

Oddio, ero entrata in crisi. Avevo perfino lo sguardo vacuo. Vengo con te a prendere quel pacchetto Irrecuperabili, mi sa.

Non so se si possa vivere senza fegato. Però, in fondo, io vivo senza cervello, perciò credo che il fegato non sia poi così rilevante, al confronto.

Anch'io sono andata a cercare su Gugol la puntata, ma mi sono persa per IuTub, pensa te.

Il tuo giudizio è doppiamente insindacabile: se dici che sono riuscita a stare nei binari dell'IC con Piton, mi fido ciecamente. (Si scrive con la ''i'' come efficiente, vero?).

Anch'io ho paura per Aberdeen. Potrei non sapere come andare avanti e la storia resterebbe tragicamente Incompleta. DUM-DUM-DUM-DUUUUM! (ho anche i jingles nelle recensioni, che pretendi di più?). Sì, almeno venti capitoli, giuro. Non so come, non so quando e non so perché. So come voglio terminare la storia. Ma ho qualche problema a finire l'intermezzo. Capirai... adesso fare un passaggio di canna a tutti, li faccio ballare felici e termino la fic trasferendo la festa da Hogwarts a Narnia, che ne dici? Un finale sbalorditivo, eh? Non ci pensava nessuno!

Hai letto davvero ''Che sia un addio?''. Mmm... no, dai, devi esserti sbagliata. Io non farei mai una cosa del genere.

(Miseria, metti già quell'ascia!).

Ho ripreso ad aggiungere le poesie proprio perché tu mi hai fatto notare da quanto tempo mancassero e quanto ti piacessero, in verità. Mi mettono sempre in crisi. Perciò, la prossima volta che ti ritroverai a maledire i miei tempi di aggiornamento, ti prego di pensare che sto tardando unicamente per te. Ergo, sentiti in colpa. XD

Un bacio gigante alla mia fedele recensitrice da cabaret.

arya87: ti ringrazio mille, mille volte. Davvero, non sai quanto apprezzi i tuoi complimenti, soprattutto sapendo che provengono davvero da una autrice e traduttrice in gamba come te. (Miseria, ma non ho recensito l'ultimo capitolo della tua storia su Moody e Tonks... cavolo, avevo annotato mentalmente di farlo e poi mi sono scordata... oh, be', preparati per un altro soporifero commento). Grazie mille, sul serio.

Cassandra: Ti ringrazio, sono felice che ti sia piaciuta. Spero sia di tuo gradimento anche il resto.


E con ciò, Trick si fionda a letto, sperando che il suo corpo abbia eliminato l'eccessivo quantitativo di caffeina che ha sconsideratamente bevuto.

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Capitolo 54
*** Capitolo Cinquantatreesimo - Rivalità senza tempo ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO CINQUANTATREESIMO

Rivalità senza tempi

°°°°°°°




«Che piano brillante, Aulos» esclamò stizzita Rouge, muovendo con foga le braccia e alzando esasperata gli occhi al cielo. «Uccidiamolo mentre dorme!» gli fece il verso. «È l'idea più ridicola che tu abbia mai avuto».

Le guance del giovane si tinsero di una lieve sfumatura rubizza. Si grattò nervosamente il capo e guardò Remus, sperando di trovare in lui un valido sostegno.

«Temo che Rouge abbia ragione, Aulos» scosse il capo Remus, intrecciando fra loro le dita. «È circondato da troppi tirapiedi. Ci fermerebbero prima ancora di estrarre il pugnale dalla fodera».

Rimasero in silenzio qualche istante. Alceus alzò il bavero della camicia che indossava, cercando riparo dal fresco vento primaverile, e disse:

«È pericoloso. Ciò che stiamo facendo, voglio dire».

Rouge lo incenerì con una sola occhiata.

«Ti avevo avvisato, Alceus» sibilò astiosa. «Frigna finché ti pare, ma non ti permetterò di tirarti indietro. Non più».

«Non parlargli in quel modo!» eruppe agitato Aulos, alzandosi dal masso sul quale sedeva e fronteggiando spavaldo il proprio capo. «Sono io che non te lo permetto».

Rouge alzò di nuovo gli occhi al cielo.

«Siediti, per amor della mia pazienza» ribatté stancamente. «Non ho voglia di farti del male».

«Aulos, Rouge non intendeva mancarvi di rispetto» li interruppe asciutto Remus, alzando le braccia in segno di resa. «Rouge, miseria, calmati».

Rivolgendole un ultimo sguardo rancoroso, Aulos tornò a sedere accanto ad Alceus, che lo guardò con un silenzioso moto di gratitudine. Incrociando le braccia al petto e sbuffando per l'ennesima volta, Rouge voltò a tutti le spalle e lanciò una vaga occhiata alle praterie che si estendevano davanti a loro.

«Lynn è sparita» comunicò infine. «Voglio che la troviate. E che la notizia non diventi di pubblico dominio, intesi?» aggiunse severamente.

«Sparita?» ripeté stupito Alceus. «Ha lasciato Jura?».

«Rouge non lo crede possibile» intervenne pacatamente Remus, intrecciando fra loro le dita e guardando con estrema serietà i due giovani. «Ha già perlustrato buona parte dell'isola, ma non è riuscita a trovarla da nessuna parte».

«Perché mandi noi, allora?» chiese Aulos. Nonostante la sua voce fosse ancora un po' incerta, pareva che la sua rabbia si fosse un poco sbollita. «Se è vero che non sei riuscita a trovarla, non-».

«Perché io non posso allontanarmi troppo dal branco, Aulos: attirerei troppo l'attenzione» ribatté laconica la donna. «E perché confido nel fatto che Lynn, qualunque cosa stia facendo, si muova» enfatizzò le proprie parole muovendo l'indice e il medio come due piccole gambe. «Da qualche parte deve essere, dannazione».

«Riuscite a setacciare più accuratamente l'isola?» incalzò Remus. «È importante».

Aulos annuì con decisione. Al suo fianco, invece, Alceus parve esitare.

«Bizèt, credi che Lynn stia facendo qualcosa di... che non dovrebbe?».

Remus fece una smorfia incerta e guardò la schiena di Rouge in cerca di conferma. La donna, tuttavia, rimase muta e impassibile.

«Non abbiamo un'idea chiara di cosa stia facendo, ma Lynn sa perfettamente cosa stiamo cercando di fare noi. Se dovesse anticiparci e confidasse a Greyback ciò che ci siamo detti mesi fa, nel bosco di Tupin... be', immagino capiate che non si tratta di un problema trascurabile».

«Quindi... se la troviamo, cosa dobbiamo fare?» domandò perplesso Aulos. «Non possiamo ammazzarla. Lei è la nostra Pandia».

Rouge emise uno sbuffo di scherno.

«Che merito...» brontolò fra sé.

Remus finse di non averla sentita e continuò a scrutare i due giovani licantropi con intensità.

«L'importante è che la riportiate da noi, qualunque cosa accada. Sana e salva» specificò con chiarezza.

°°°°°°°



Completamente stravaccata sul letto della propria stanza, Tonks si era persa sfogliando distrattamente un vecchio numero del Settimanale delle Streghe. Non ricordava nemmeno in qualche occasione l'avesse acquistato. Era ferma su un articolo particolarmente noioso sull'apparente nuova conquista del presentatore radiofonico di Radio Strega Network, quando fu distratta da tre colpi alla porta.

«Agente Tonks» le giunse sibillina la voce di Dawlish.

«Porca vacca» sbottò irrequieta Tonks, lanciando la rivista ai piedi del letto e alzandosi con uno scatto nervoso. Fece per infilarsi le ciabatte, ma inciampò in un lembo del lenzuolo e rischiò di caracollare sul pavimento. Si aggrappò miracolosamente all'attaccapanni e il suo impermeabile scivolò a terra con un tonfo sordo.

''Meglio lui che io'' pensò.

«So che è lì dentro e non sta dormendo» disse ancora Dawlish.

«Wow» esclamò Tonks, aprendo la porta con una smorfia falsamente divertita. «Non sapevo che sapesse guardare oltre le pareti. Dovrò fare attenzione quando mi faccio la doccia».

Dawlish parve non dare importanza alla sua risposta impertinente. Le rivolse un sorriso lezioso e le porse un variopinto volantino piegato.

«Pensavo che poteva essere interessata a questo, così mi sono preso il disturbo di procurargliene uno».

Tonks guardò perplessa la pergamena che il mago le stava offrendo, poi il ghigno vittorioso sul suo viso, e poi di nuovo la pergamena.

Che cavolo c'è, ancora?

La prese con un gesto annoiato e lanciò un'occhiata noncurante alle parole che spiccavano sulla testata.

Centro Magico per il Controllo Restrittivo e Reintegrativo delle Creature Magiche di Aberdeen.

Dawlish dovette trovare l'espressione terrorizzata comparsa sul suo volto estremamente convincente, perché aggiunse sardonico:

«Buona lettura».

Stringendo fra le mani febbrili il volantino, Tonks rimase impietrita davanti all'uscio vuoto, incapace di formulare alcun pensiero coerente.

°°°°°°°


Luna, adesso sei madre

ma chi fece di te

una donna non c'è

(Figlio della luna – Mecano)


Scostando con una mano le sterpaglie che circondavano la sorgente dello Shannon – difficile credere che quel modesto e zampillante rigagnolo portasse la stessa acqua dell'imponente fiume che attraversava l'isola – Lynn si fermò per riprendere fiato. Si lasciò scivolare su un masso ricoperto da uno spesso strato di umido muschio verdognolo e rimase a contemplare con aria apparentemente assente i riflessi cristallini del ruscello.

Accompagnata dal solo canto delle acque, socchiuse gli occhi e inspirò profondamente l'aria fresca della propria terra.

Erano trascorse due settimane dalla morte del padre.

Quando, molti anni prima, il Sigillo dei Peccatori aveva reclamato l'anima di sua madre, lei, poco più di una bambina, si era sentita pervadere da un sentimento di uno strazio travolgente.

Non aveva mai provato nulla di così intenso come la consapevolezza che non l'avrebbe più riabbracciata. Aveva avuto bisogno di molto tempo per soffocare nei recessi del proprio cervello quella dolorosa mancanza; aveva fatto di tutto – tutto – pur di non mostrare quanto, in realtà, stesse soffrendo.

Spesso, tuttavia, la tristezza e lo sconforto diventavano più forti di lei. Fuggiva per quei boschi a lei familiari e si rintanava per ore contro il tronco di una betulla, stringendo al petto un vecchio e liso indumento della madre e piangendo senza freni.

Sapeva per quale motivo la madre era morta.

Quando fece ritorno da quel suo viaggio nelle terre oltremare – Lynn non aveva mai capito né il motivo, né la meta di quell'assurdo pellegrinaggio – stringeva fra le braccia Rouge. Era una bambina viziata ed egocentrica: questo lo ricordava ancor più chiaramente. Piagnucolava per ore e se ne stava sempre da sola, rannicchiata dietro qualche masso del villaggio e scappando da chiunque tentasse di avvicinarglisi.

Solo sua madre, di tanto in tanto, riusciva a convincerla a mangiare un boccone di carne.

Con quell'aria da prima donna, sempre e comunque, Rouge era sempre stata maledettamente insopportabile.

E poi la madre era morta. Le avevano spiegato che il Sigillo dei Peccatori marchiava i traditori di Selene, ma più lei ribatteva che sua madre non aveva fatto niente di male, più gli anziani licantropi scuotevano la testa affranti.

Quando capì a cosa era dovuta la punizione di quei segni rossi, sentì l'acredine agitarla per la prima volta.

Rouge era una sporca mezz'umana.

Sua madre l'aveva portata nelle terre di Selene.

Selene non l'aveva perdonata.

Sua madre era morta.

Perché Rouge ancora viveva?

Mentre gli anni trascorrevano, Lynn continuava a non capire per quale motivo il padre continuasse ad avere un legame così forte con quella dannata Clandestina. La obbligava a partecipare alle lezioni che i saggi davano ai ragazzini, sebbene fosse evidente quanto poco a lei interessassero. Rouge giudicava ''chiacchiere'' qualunque cosa non fosse pertinente con la sua persona. Era una ragazzina veramente detestabile. Ma suo padre – quanto avrebbe dato Lynn per conoscerne il motivo – non pareva rendersene conto. Se la portava appresso durante le lunghe passeggiate che amava fare per il bosco di Tupin e lei, Lynn, li osservava svanire oltre gli alberi al confine con il villaggio.

Non lo avrebbe mai ammesso, forse, ma il mostro dell'invidia ruggiva forte dentro il suo petto di fanciulla.

Ricordava ancora i commenti orgogliosi, talvolta euforici, dei membri del branco.

«Rouge è un'ottima combattente».

«E dire che è così giovane».

«Non dico che potrebbe battere i ragazzi più valorosi, ma certo gli darebbe qualche grana».

Di nuovo, di nuovo e di nuovo, Rouge doveva sempre essere la migliore di tutti. Doveva sempre distinguersi, qualunque cosa facesse. E anche se magari non usciva vincitrice dalle sue sfide, c'era sempre qualcuno che vedeva in lei qualcosa di unico e talentuoso, ed ecco che tutti si ritrovavano concordi nell'affermare che era estremamente dotata.

E più Lynn si ripeteva ''io sono la Pandia'', ''Selene mi ha scelta'', ''lei non vale nulla'', più Rouge diventava abile e orgogliosa. Così abile, maledizione, da iniziare a vagabondare per l'isola in compagnia della stretta cerchia di Fenrir. Quando questo aveva succeduto il vecchio Ulfric alla guida del branco, la sete di potere di Rouge si era trasformata in un posto di grande comando fra i più forti e temuti di Jura.

Lynn ricordava perfettamente l'espressione fiera che il padre riservava a lei e a lei soltanto.

E, ancora, avrebbe tanto voluto che scomparisse per sempre dalle terre di Jura.

Quando Fenrir decise di prendere i primi contatti con quegli umani dal mantello nero – nonostante in molti continuassero ad esporre i loro dubbi a proposito – aveva quasi creduto che sarebbe riuscita a levarsela dai piedi. Magari, si diceva speranzosa, qualche umano la ammazzerà con quella loro bacchetta che fa scintille. Invece, Rouge non solo era sopravvissuta, ma aveva acquistato un tale onore e un tale rispetto che, presto, Fenrir la nominò sua seconda.

Lynn afferrò un sottile bastoncino e lo spezzò fra le dita.

Vuole il posto di Fenrir.

A lei non importa nulla se mio padre è morto.

Lei vuole solo il posto di Fenrir.

Lei lo ha ucciso apposta.

Si alzò in piedi con uno scatto nervoso e gettò i due pezzi di legno nelle acqua scintillanti dello Shannon. Si lisciò la lunga gonna con un gesto stizzito e riprese a camminare verso nord.

Quel posto spettava al suo bambino.

Aveva ponderato a lungo su cosa avrebbe dovuto fare e, infine, era giunta alla conclusione che non aveva alcuna importanza se avesse infranto una regola o due.

Questa volta, Selene avrebbe certamente capito.


Dimmi, luna d'argento,

come lo cullerai

se le braccia non hai?

Figlio della luna.

(Figlio della luna – Mecano).



°°°°°°°





Capitolo non troppo lungo, non abbiatene. Ho avuto un calo di tempo e ispirazione non da poco. Anzi, il tempo sta calando così inesorabilmente che devo rimandare al prossimo capitolo la risposta alle vostre recensioni, mi spiace. Solo una cosa: chiedo scusa a chi mi aveva chiesto quando sarebbe tornato Trick. Avevo detto che sarebbe tornato in questo capitolo, ma ho cambiato idea all'ultimo momento.

Be', grazie di cuore a tutti e al prossimo capitolo.

Trick

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Capitolo 55
*** Capitolo Cinquantaquattresimo - Parte del branco ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO CINQUAQUATTRESIMO

Parte del branco

°°°°°°°




«Bizèt!».

Remus voltò il capo indietro e non riuscì a trattenere un sorriso genuino. Trick e Kisu trotterellavano euforici verso di lui, spingendosi l'uno con l'altro nel tentativo di raggiungerlo per primi. Osservò con discreta attenzione il piccolo Kisu e, vedendolo piroettare serenamente, il suo sorriso si allargò ancora.

«Ciao, Trick» disse, scompigliando amorevolmente i capelli biondicci del bambino. «E ciao anche a te, Kisu. Come ti senti?».

«Sono guarito tutto!» annunciò allegramente. «Riesco anche a saltare. Guarda!» aggiunse, piegando un poco le ginocchia ossute e facendo qualche rapido saltello su se stesso.

Remus infilò le mani nelle tasche dei pantaloni sciupati e gli rivolse un'occhiata divertita.

«Mi fa piacere».

«Anche la mia mamma è contenta» riprese felice. «Ora dice che forse non sei male come pensava».

«Mi fa ancora più piacere» rispose Remus, ridacchiando leggermente. «Dove state andando a fare del chiasso?».

I due bambini risero di gusto e si spintonarono ancora un poco.

«No» scosse il capo Trick, ghignando sotto i baffi. «Andiamo al torrente a lanciare i sassi. Ho fatto vedere a Kisu come mi hai insegnato a fare tu e adesso sappiamo farli arrivare più lontano di tutti!».

Remus rise di nuovo.

«Accidenti! Di questo passo potreste diventare anche più bravi di me!».

«Puoi giurarci!» esclamò Trick, arrampicandosi su un masso e tentando di mantenere l'equilibrio sulla sola gamba destra.

«L'ultimo che arriva è una cacca secca!» gridò Kisu, superandolo di corsa e aprendo le braccia aperte come un piccolo elicottero. «Ciao, Bizèt!» aggiunse, voltando lestamente il capo verso di lui.

«Non è valido! Sei partito prima!» strillò indignato Trick, balzando sull'erba con un tonfo sordo. «Ci vediamo, Bizèt!».

«Kisu!» gridò Remus. «Non sforzarti troppo, per favore!».

«Va bene!» risuonò la vocina, ormai sparita fra le fronde della boscaglia.

Ridacchiando ancora fra sé e scuotendo il capo, Remus si diresse verso il centro del villaggio di Jura.

°°°°°°°




«Ma Luma è morto!» sibilò agitato Yurk, scuotendo la grossa testa con aria tormentata. «E sono stati quei bastardi umani a farlo secco!».

Remus si fermò alle spalle di Rouge e socchiuse pensoso gli occhi, cercando di afferrare il filo della conversazione che stava avendo luogo davanti alla tenda del capobranco. Fenrir Greyback era ripartito alla volta della Londra civilizzata proprio quella mattina, accompagnato solo dal fedele Torcas. A giudicare dall'occhio tumefatto e dai lividi che facevano bella vista sul volto, Freki aveva avuto una discussione particolarmente accesa con il proprio capo. Spostandosi una ciocca di capelli biondi dalla fronte, incontrò casualmente lo sguardo di Remus e gli rivolse una smorfia veloce.

«Io mi sono proprio stancato!» protestò veemente Minsk, muovendo con foga le braccia villose. «Rouge, dobbiamo fare qualcosa!».

Un mormorio d'assenso si levò all'unisono dal piccolo gruppo di mannari.

«Io ho paura» ammise infine Tyne, intrecciando fra loro le dita e scrutandosi affranta le punte dei piedi. Calima, seduta al suo fianco e con una coperta logora e sudicia avvolta intorno alle spalle, le strinse il polso e sollevò il capo verso di Remus, sorridendogli rapidamente.

Remus le rispose con un gesto altrettanto veloce della testa..

«Prendete forche e pugnali e andate ad ammazzarli, allora» sentenziò Rouge con freddo distacco. «Sapete dove sono i Pegasi».

Remus sgranò gli occhi e si voltò sconvolto verso di lei.

«Sei impazzita!?» disse sconcertato, attirando su di sé quattro paia di occhiate selvagge. «Non potete fare una cosa del genere!».

Con una velocità sbalorditiva, Yurk estrasse il proprio pugnale dalla fodera e lo puntò dritto al petto di Remus, osservandolo con un'espressione pericolosa della faccia rotonda.

«Stai dalla loro parte, Damerino?» pronunciò con disprezzo.

«Certo che no!» esclamò lestamente Remus, arretrando un poco e alzando le braccia in segno di resa. «Ma non potete irrompere a Villa Malfoy con l'assurdo pretesto di sgozzare tutti i Mangiamorte presenti!».

«Perché no!?» sbraitò improvvisamente Freki, riacquistando d'un tratto il proprio ruolo da guerriero. «Hanno ammazzato Luma, l'hai forse dimenticato!? Voglio ammazzarli tutti!».

«Per l'amor di Selene, cercate di essere ragionevoli» tentò nuovamente Remus. «Rouge, non stiamo parlando di semplici umani, quelli sono maghi! Non avreste alcuna speranza contro di loro, vi ucciderebbero con una maledizione ancor prima di dire ''buonasera''! Minsk» si rivolse al mannaro dalla folta criniera rossa, «vuoi che tua moglie cresca tuo figlio da sola?».

L'uomo trasalì, ma non disse nulla.

«E tu, Freki? Se ti fai ammazzare in questo modo, credi che vendicherai Luma?».

Il giovane impallidì.

Ci fu un attimo di silenzio carico di tensione e adrenalina, prima che Remus si rivolgesse di nuovo a Rouge.

«Rouge, ti prego... è una follia» la supplicò.

«Loro vogliono andare» disse, indicando vagamente i mannari davanti a lei.

«Ma li ammazzeranno tutti!» protestò ancora Remus, fissandola incredulo.

«Che sia, dunque» concluse lei, apatica. «Freki, Minsk, Yurk... non vi impedirò di fare qualunque cosa deciderete di fare».

I tre mannari strabuzzarono gli occhi e la guardarono perplessi.

«Cosa... cosa vuoi dire?» domandò infine Minsk, confuso. «Tu non vieni con noi?».

Rouge lo guardò sprezzante.

«Non sono così idiota da suicidarmi, Minsk. Ma se voi lo siete, non ho alcun motivo di fermarvi. In virtù di ciò, non mi resta che augurarvi un trapasso rapido e possibilmente indolore» concluse con tono noncurante. Voltò le spalle senza aggiungere altro a tutti ed entrò nella tenda, muovendo la mano in segno di saluto.

Il gruppo di licantropi fissò attonito il punto in cui era scomparsa. Fu Calima a rompere per prima il silenzio.

«Rouge è sempre la migliore» sentenziò con una risatina divertita.

«Quindi?» esordì Freki, impaziente. «Cosa facciamo?».

Gli altri due lo guardarono un attimo e alzarono le spalle. Poi, come se a muoverle fosse un unico collo, le loro teste si voltarono verso Remus.

«Cosa facciamo?» domandò a quel punto Minsk, incrociando le braccia al petto.

Remus sbatté un paio di volte le palpebre e li fissò stranito.

«Lo state chiedendo a me?» chiese, indicandosi con l'indice.

«Eh, sì!» esclamò Yurk. «Sei tu quello che non vuoi che andiamo! E se non andiamo, cosa facciamo?».

«Non ne ho idea» mormorò sconvolto Remus. «Quello che volete, suppongo».

«Quello che vogliamo è ammazzare quei bastardi umani!» gridò con furia Freki, stringendo i pugni rabbioso.

Remus sospirò, ragionando rapidamente.

«Bene» disse infine. «Deduco da questa vostra... ehm... vena d'intraprendenza... che non avete più intenzione di assecondare gli ordini dei Mangiamorte. Perché, quindi, non cerchiamo un modo più... diplomatico, per sistemare la faccenda?».

Yurk aggrottò pesantemente le sopracciglia (Remus suppose si stesse interrogando sul significato di ''diplomatico''), mentre Minsk e Freki si scambiavano uno sguardo apertamente perplesso.

«Sentite, capisco perfettamente quanto vi sentiate frustrati» disse pacato. «Dico sul serio. La questione, però, è più spinosa di quanto crediate. Non dovete sottovalutare quei maghi: la maggior parte di loro è tanto malvagia quanto abile. Quando ho detto che vi ammazzerebbero immediatamente, non stavo esagerando. Gli è sufficiente un secondo per muovere la bacchetta e spedirvi all'Aldilà con una rapidità tale che non ve ne accorgereste nemmeno. I maghi hanno incantesimi e maledizioni estremamente potenti a loro disposizione, molto più potenti dei vostri muscoli e dei vostri pugnali. Se ciò che desiderate è liberarvi del loro giogo, non è scagliandovi contro di loro che ci riuscirete».

«Noi non vogliamo liberarci del loro giogo» protestò piano Minsk. «Vogliamo eliminarli e basta».

Remus scosse piano il capo.

«Questo è impossibile, Minsk».

«Ma Fenrir dice di sì» ribatté debolmente Tyne, sollevando piano il capo. «Pensa che un giorno saremo così tanti che potremo sopraffare tutti gli esseri umani e riprenderci le nostre antiche terre».

«Tyne, nessuno di voi ha idea di quanto sia effettivamente grande Londra, figurarsi l'intera Gran Bretagna» le rispose Remus con un sorriso gentile. «Ci sono migliaia di maghi solo in questo paese e milioni e milioni in giro per il mondo intero».

«E tu come fai a saperlo?» sbottò spazientito Yurk, lasciandosi cadere per terra con un grugnito. «Come fai a sapere quanti sono, eh?».

Remus chinò il capo mestamente.

«Sono stato in molti paesi» disse semplicemente. «E non ho mai avuto la fortuna di incontrare più di due o tre licantropi ogni cento o duecento maghi».

«Ma Luma è morto» ribadì ancora Freki. «E non mi va di starmene qui ad aspettare che quelli si facciano i comodi loro alle nostre spalle».

«Nemmeno io» ne convenne Minsk.

«Ci muoveremo con prudenza» concluse infine Remus. «E se il branco si dimostrerà più forte di Fenrir, lui dovrà accettare il fatto che non desiderate che i rapporti con i Mangiamorte proseguano».

A queste parole, gli altri licantropi scossero il capo.

«Il branco non si schiererà mai contro Fenrir» disse Minsk. «È troppo forte».

«Allora cercheremo di convincere quanti più possibile che non siete dei lupi addomesticati al servizio degli umani, ma con discrezione. Con tanta, tanta discrezione» terminò con enfasi.

Sebbene con poca convinzione, i tre mannari annuirono piano e, uno alla volta, si allontanarono dalla tenda, parlottando concitati fra loro. Remus pregò fra sé e sé che non si lasciassero trasportare dall'irruenza e si ripromise di chiedere ad Alceus e Aulos di tenere un occhio vigile anche sulle loro mosse.

«Perché parli sempre al plurale, Bizèt?» domandò debolmente Calima, guardandolo intensamente.

«Non capisco» disse.

«Hai parlato dicendo sempre ''voi''. Come se non facessi parte del branco. » spiegò lei, cupa in volto. Sgranò improvvisamente gli occhi e gli rivolse un'occhiata spaventata che fece sobbalzare Tyne. «Non starai pensando di andare via, Bizèt, vero?».

Lui fissò le espressioni allarmate delle due ragazze e gli sorrise gentile.

«No» tagliò corto. «Non lo sto pensando».

°°°°°°°




«Rouge! Rouge!» strillò Aulos, irrompendo improvvisamente nella tenda del capobranco e cercando la donna con lo sguardo. Alle sue spalle, Alceus s'affrettò ad entrare, inciampando nella stoffa giallastra e schiantandosi contro la schiena possente dell'altro ragazzo.

«Aulos! Alceus!» esclamò stupita, guardando prima l'uno, poi l'altro. «Non siete partiti che stamane, cosa...?» s'interruppe e scosse il capo. «Che diavolo è successo!?».

«Abbiamo visto... trovato...» boccheggiò Aulos, tentando di riprendere fiato.

«Cosa?» lo spronò con foga Rouge, scuotendolo per una spalla. «Aulos, maledizione, parla!».

«Sembrava che... che qualcuno avesse acceso un fuoco... al confine della brughiera di Mània» terminò Alceus, terrorizzato. «E c'erano delle impronte che andavano... andavano... oh, Rouge, qualcuno è andato verso le radure di Trivia!».

°°°°°°°






Sono effettivamente un po' in ritardo, ma questo coso corto corto è il massimo che sono riuscita a partorire. Ho fatto del mio meglio per aggiornare il più fretta possibile, ma confido nel fatto che ormai ci abbiate fatto tutti il callo. E ora, considerata l'ora abominevole comunicatami dal mio fido orologio pseudo-surrealista (ovvero: una superba pacchianata di plastica che riproduce gli orologi di Salvador Dalì), mi duole informarvi che non ho il tempo di aggiungere altro.

Sì, so perfettamente quanto questo vi faccia piacere, ma tant'è...

MI auguro che il prossimo capitolo mi venga più spontaneo, perché questo quassù ha rischiato di farmi venire l'ulcera.

Trick

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Capitolo 56
*** Capitolo Cinquantacinquesimo - D'ira funesta, d'odio e d'angoscia ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO CINQUANTACINQUESIMO

D'ira funesta, d'odio e d'angoscia

°°°°°°°




«Ed è realmente vestito di rosso?» esclamò divertita Tyne.

Scambiò uno sguardo attonito con Calima, seduta a gambe incrociate accanto a lei, e scoppiarono entrambe a ridere.

«Nessuno può fare il giro del mondo in una notte sola!» affermò questa, asciugandosi gli occhi con il dorso di una mano. «O sì?» domandò improvvisamente, rivolgendogli uno sguardo pensieroso.

Ridacchiando appena, Remus riprese a parlare:

«Alcuni dicono che abbia il potere di fermare il tempo. Altri, invece, dicono che sia la sua slitta ad avere incredibili poteri magici».

Calima lo fissò a lungo, rabbuiata.

«Deve essere la prima» disse, infine.

«Perché?».

Lei fece le spallucce.

«Hai detto che questo Babbo Natele porta dei regali ai bambini buoni, no? Quindi non può fare magie» concluse con semplicità.

Tyne annuì piano.

«Gli umani fanno le magie» aggiunse flebile. Si grattò distrattamente la nuca e continuò: «Se usa la magia non può essere buono».

Remus sbatté le palpebre un paio di volte, stupito dalla disarmante genuinità delle loro voci. Nelle sue mente tornarono a balenare i ricordi più ostici e umilianti della sua vita, quando era costretto a fuggire da un capo all'altro dell'Europa per evitare il disprezzo e la rabbia della comunità magica.

Non fare i capricci”, gli era capitato di sentir dire da una donna dal collo taurino in un malridotto ostello dalle parti di Kiev diversi anni prima, “o chiamerò un lupo mannaro e gli ordinerò di mangiarti”.

Luride creature!” sbottava qualcun altro, in qualche altro posto. “Darei tutti i miei Galeoni per vederle sparire dalla faccia della Terra!”.

Schietti, sicuri e convinti con tanta fermezza da fare male. Nascosto nella penombra o avvolto in pesanti e logori mantelli di stoffa grezza, ascoltava quelle malignità con aria a tratti pigra e a tratti affranta, incapace di difendere una categoria della quale era costretto a far parte. Nemmeno lui, dopotutto, era mai riuscito a vedere i licantropi come qualcosa di difforme da un mostro. E nemmeno lui, in fondo, si era mai visto diversamente.

Non sono altro che un reietto, Ninfadora” risuonò l'eco della sua voce roca nella sua mente. “Una creatura maledetta. In me non c'è nulla di ciò che stai cercando»”.

Perché non poteva essere tutto più semplice?

Questa è la mia vita. La mia condanna”.

Se solo mi permettessi di cambiarla--”.

Non puoi cambiarla. Nessuno può farlo”.

Tu ci hai mai provato o hai semplicemente evitato di vivere fino ad oggi?”.

«Bizèt?» lo ridestò la voce preoccupata di Calima. «Avevi lo sguardo perso. A cosa pensavi?».

«Nulla di particolare» s'affrettò a rispondere lui, sorridendole gentile. «Mi stavo immaginando Fenrir con la calzamaglia rossa e la lunga barba bianca».

Tyne e Calima scoppiarono nuovamente a ridere e Remus, suo malgrado, finì per unirsi alla loro allegria. In un angolo indistinto della sua testa, però, la voce cristallina di Tonks continuava a tormentarlo.

°°°°°°°






«Va bene. Ho detto che va bene!» esclamò per l'ennesima volta Tonks, irrequieta. «Malocchio, porca vacca, va bene!».

«Non va bene niente, signorina!» ruggì di rimando Moody, picchiando con foga il bastone per terra.

In piedi l'uno dinanzi all'altra e separati solo dal lungo tavolo della cucina della Tana, i due si fronteggiavano ormai da diversi minuti, gridando improperi e picchiando i pugni con forza sempre maggiore.

«Non chiamarmi “signorina”!» strillò lei.

«Non dirmi come devo chiamarti, Ninfadora!».

«Non chiamarmi Ninfadora!».

Si guardarono in cagnesco per diversi secondi, agitati, poi, senza che nessun altro occupante della cucina avesse aggiunto altro, si sedettero in silenzio. Tonks scivolò lungo lo schienale, incrociò le braccia al petto e rimase a fissare ostile il suo vecchio mentore in quella posizione stravaccata, mentre quello, intrecciando le mani sull'impugnatura del bastone nodoso, teneva entrambi gli occhi saldamente puntanti su di lei.

Arthur Weasley scambiò un'occhiata eloquente con Kingsley Shacklebolt, appoggiato alla credenza nell'angolo. Questi voltò il capo verso Minerva McGranitt, che annuì nervosamente e si raddrizzò gli occhiali squadrati.

«Bene» scandì con durezza,. «Direi che avete spiegato in maniera fin troppo chiara i vostri differenti punti di vista. Torniamo all'oggetto iniziale di questa riunio--».

«Non credevo che il senso della giustizia potesse andare in pensione» buttò lì Tonks, acida.

Moody sbatté il proprio bicchiere con un tale impeto che questo si frantumò sulla superficie legnosa del tavolo. Molly si ritrasse con un gridolino spaventato, guardando apprensiva in direzione del marito.

«Come osi!?» tuonò Moody, alzandosi nuovamente in piedi.

La giovane imitò il suo gesto e rovesciò la sedia, facendola cadere con un colpo secco alle proprie spalle.

«FINITELA!» gridò anche la McGranitt, rizzandosi con autorevolezza a sua volta. «Alastor, Ninfadora, non siamo qui per--!».

«Ti è mai interessato qualcosa di diverso da questa guerra, Malocchio!?» riprese Tonks, senza dar segno di aver udito le parole dell'altra strega.

«Questa guerra potrebbe rivelarsi la fine del mondo!».

«E questo Decreto potrebbe essere la mia!».

«Tu sei un'Auror, maledizione, non--!».

«Se essere un'Auror significa dimenticare di possedere un cuore, allora tanto vale unirsi ai Mangiamorte!».

«NON-AZZARDARTI-A-RIPETERLO!».

«Sei solo un cinico bastardo!» sbraitò furiosa Tonks, scuotendo con foga il capo e fissandolo con gli occhi brillanti di rabbia. «Fingere che non stia accadendo nulla è esattamente come aiutare quei figli di una cagna!».

«Non possiamo fare niente, Ninfadora! Niente! Vedi di farlo entrare in quella tua testa dura o dovrò infilarcelo dentro a forza!» tuonò con violenza Moody. «Sempre che tu una testa ce l'abbia ancora, dannazione!».

«Vigliacco!» ribatté con altrettanto animo lei. Guardò uno per uno tutti i membri dell'Ordine presenti, fermandosi un attimo in più verso Kingsley. «Siete tutti dei vigliacchi...» mormorò fra i denti, tremando di collera. «Con che coraggio vi considerate ancora gli uomini di Silente?».

Kingsley le si avvicinò pacatamente e le posò una mano sul braccio.

«Non toccarmi!» strillò lei, liberandosi con uno strattone dalla sua presa.

«Tonks, calmati» cercò di rassicurarla. «In questo modo non arriverai a nessuna conclusione».

«Ah, certo!» sbottò lei, malignamente ironica. «E voi?» si voltò nuovamente verso gli altri astanti. «A quale conclusione volete arrivare standovene seduti!?».

«Ninfadora, basta» le disse determinata la McGranitt, facendo fremere con stizza il naso. «Stai--».

«NON-MI-CHIAMO-NINFADORA!» gridò ancora la giovane, sferrando un violento calcio alla sedia. Camminò con ferocia verso la porta, senza voltarsi verso nessuno di loro. Aveva già mosso un piede nel corridoio quando, con stupore di tutti, si fermò improvvisamente. Attesero qualche istante, febbrili, mentre Malocchio, stringendo con forza i pugni, fissava i frammenti del bicchiere con aria apparentemente assente.

Lentamente, Tonks volse il viso rabbioso all'indietro.

«Non avete intenzione di muovere un dito» affermò con voce tagliente. «Nessuno di voi farà qualcosa per fermare quest'ingiustizia. È questa, dunque, l'ultima parola dell'ardito e nobile Ordine della Fenice?» pronunciò le ultime parole quasi con disgusto.

Altrettanto lentamente, Moody sollevò gli occhi – entrambi – su di lei, fissandola con folle intensità.

«Sì» decretò, infine. «Non possiamo fare nulla».

«Non volete fare nulla» lo corresse lei con un mezzo sorriso amaro. Scosse il capo un paio di volte, sconcertata.

«Assurdo» aggiunse debolmente, prima di svanire oltre la porta. «E dire che una volta desideravo diventare un'Auror della tua pasta, Malocchio».

°°°°°°




«Perdonami, ma non riesco a seguirti» disse Remus, osservando confuso la propria borsa scucita che Rouge gli aveva appena lanciato fra le braccia.

Senza rispondergli, la donna gli voltò la schiena e iniziò a camminare verso l'argine dello Shannon.

«Rouge!» la chiamò Remus, sempre più perplesso. «Rouge!».

«Muoviti!».

Camminava talmente spedita che Remus, per raggiungerla, fu costretto a correre. Una volta affiancatosi a lei, chiese:

«Rouge, dove siamo diretti? E perché la mia borsa è così pesante? Cosa c'è dentro?».

«Qualche provvista» tagliò corto, evitando con un guizzo agile un masso sporgente.

Nel tentativo di allacciarsi la tracolla sulle spalle senza perdere il passo, Remus rischiò quasi di inciamparci sopra.

«Rouge...» ripeté con vaga veemenza. «Ti prego, puoi cortesemente--?».

«Credo che Lynn abbia oltrepassato le radure di Trivia».

Remus si fermò di colpo e sgranò gli occhi.

«Le radure di Trivia? Avevi detto che era impossibile che--».

«So perfettamente cosa avevo detto, Damerino!» sbottò nervosamente lei, voltandosi di colpo e fissandolo con forza. «Aulos e Alceus dicono di aver trovato delle impronte che s'inoltrano al di là dei loro confini».

«Credi siano di Lynn?».

«Ne sono certa».

«Molto bene» annuì con decisione Remus. «Hai qualche idea?».

«No».

«Fantastico» disse lui con una punta di ironia. «Adoro improvvisare».

Rouge parve trovare il suo inappropriato sarcasmo molto irritante, perché ribatté, ostile:

«Chiudi la bocca e muovi le gambe, se non vuoi che ti riempia di botte».

°°°°°°°





°°°°°°°


Lo so, è corto. Ma non me la sentivo di aggiungere altro.

Anyway. Il capitolo è stato un parto estremamente rapido e, sì, vedrò di farmi perdonare per la lunghezza.

Per quanto riguarda la reazione di Tonks, comunque, non ho idea di come sia saltata fuori (nei parti rapidi, spesso e involontariamente, ci si dimentica di orecchie e alluci, ma tant'è che si può vivere anche senza...). Nel caso non si fosse capito – spero proprio di no o dovrò riprendere in considerazione l'idea di darmi all'allevamento di pesci rossi (ippica sarebbe troppo complicato e botanica si rivelerebbe una tragedia) – è successo che... ho perso il filo. Sono un essere inutile.

Dicevo: nel caso non si fosse capito, Tonks e Moody hanno appena terminato di discutere sulla recente apertura del Centro di Riabilitazione di Aberdeen e, ovviamente, i loro pareri sono opposti. Ed essendo la sottoscritta autrice palesemente certa che i geni Black non abbiano trascurato/risparmiato nemmeno la giovane Tonks, ho irrazionalmente deciso di farle avere una crisi isterica.

C'è poco da fare: è tipico di chi scrive fan-fiction fare del male fisico-psicologico ai personaggi.


Mirwen: Per quanto riguarda la fatica, non saprei proprio che dirti. Questa storia dura da così tanto che ormai ho scritto sotto qualunque intemperia. Ad ogni modo, sono felicissima che ti piaccia così tanto.

SakiJune: Non sapevo che esistesse uno sciopero delle recensioni, ma sono contenta che tu sia tornata. «La presenza disturbante di Lynn si sente anche quando non c'è». Ecco. Appunto. E lo vieni a dire a me? Comunque, sì: quando ho creato Lynn volevo che apparisse misteriosa, se non più di Rouge, almeno al suo stesso livello. Credo che, essenzialmente, Lynn non sia cattiva. Ma è attaccata alle tradizioni più radicate del branco molto più di chiunque altro e, fin da piccola, ha visto in Rouge qualcuno in grado di demolirle. È a quelle regole che Lynn deve il suo ruolo di Pandia e tutto ciò che esso rappresenta. Non ho mai avuto modo di precisare meglio la cosa, ma suppongo che tu non abbia difficoltà a immaginare quanto prestigio comporti essere la madre del capobranco. Voglio dire... nessuno obietta contro la mamma! Sono contenta che la detesti. Dico sul serio. Era quello che volevo.

Se non me l'avessi detto tu, non avrei mai notato che il nome Luma ricorda Slughorn. (Hai visto come sono brava? L'ho scritto in inglese per non farti avere un rigurgito di bile). Non so da dove mi sia uscito ''Luma''. Mi pare di ricordare di averlo letto, tanti anni or sono, in uno dei primi fumetti della WITCH che quella disgrazia di mia cugina comprava. Non saprei, comunque. Ad ogni modo, essendo il nome preso a caso, prego di non aver violato nessun particolare copyright. Anche Rouge, comunque, ha avuto lo stesso problema di Luma. Quando ho deciso il suo nome, ero appena tornata da una folle escursione a Parigi, ergo è al Moulin Rouge che si deve il suo appellativo. Sette capitoli dopo, tuttavia, mi sono resa conto che il nostro amato Severus Snape, in francese, viene tradotto in Severus Rogue, che significa qualcosa come ''persona indipendente'', mi pare.

Dico mi pare perché io di francese non parlo un'emerita mazza, ergo non l'ho fatto apposta.

Comunque.

Ho riflettuto a lungo su ciò che hai detto. Non dirmi più cose simili, o finirò per mummificarmi nel tentativo di arrivare ad un qualche valido e utile risultato. Sì, è a Trick che ho deciso di dare il mio nome. L'ho dato a lui in onore/disprezzo delle troppe Mary Sue che vagano ancora indisturbate, affrancate come una confezione di patatine San Carlo con gli stessi nomi delle autrici. Non avrei mai osato chiamare Rouge con il mio – oltremodo stupido, oserei aggiungere – nickname. In virtù di ciò, no, l'unica cosa che mi accomuna al mio omonimo è l'allegria pressoché perenne. Ci ho riflettuto a lungo, dicevo, e sono arrivata alla conclusione che, in effetti, ci sono tanti tratti del carattere di Rouge che ricordano il mio quanti che gli si oppongo drasticamente. Rouge è sempre convinta di avere ragione, come dimostra la sottoscritta per le questioni che ritiene seriamente importanti. Ha un forte senso pratico e una grande stima di sé e, sebbene a volta appaia cinica, è seriamente decisa a salvaguardare il proprio branco. Tuttavia, Rouge ha anche molta costanza e determinazione, ed è competitiva e orgogliosa. Io non sono niente di tutto questo. La mia risposta definitiva, quindi, è: «sì, è indubbiamente il personaggio che più mi rispecchia».

jaja_chan: Ripeto per l'ennesima volta: attenzione nel leggere tutti i capitoli in una volta sola! XD C'è gente che ha rischiato di vedersi gli occhi ribaltati al contrario. Mai provato a raggiungere il bagno con gli occhi al contrario? Ecco, appunto.

Sono contentissima che ti piaccia, e lo sono doppiamente nel sapere che ho convertito un'altra fan di Harry Potter alla coppia Remus/Tonks.

Tzè. Grande genio... magari. Sono solo pigra.

P.s.

Alphònse Urecha stava per ringraziarti, ma il calcio ha interrotto la comunicazione. Gliene ho tirato un altro, comunque. Di questo passo si convincerà di essere una star e mi causerà un attacco nevrotico. Non fargli più i complimenti, ti prego.

_Mary: Spero che nel prossimo capitolo parte della tua curiosità venga soddisfatta. Fino ad allora, però, non posso dire niente, mi spiace. Per il momento, grazie mille.

arya87: La mia sveglia è snervante, non credo ti farebbe piacere possederla. Intenditori, dici? Bah. Io l'ho comprata in virtù del suo essere un'inutile pacchianata ed mio essere devotamente attratta dal genio immodesto di Dalì, ma tant'è... Sono contentissima che ti sia piaciuto il capitolo, ho grande considerazione delle tue recensioni. P.s. Non preoccuparti. Io sono famosa per essere logorroica e di tanto in tanto fa piacere parlare con i propri simili...!

PinkMoonlightPrincess: Grazie di cuore, sono contentissima che la storia continui a piacerti. Per il momento, non preoccuparti per la fine: dista ancora una (quasi) ventina di capitoli.


Un bacio a tutti quanti da parte mia e uno extra da parte di Alphònse,


Trick


P.s.

Credo che ora andrò a prenderlo a pugni. Giusto per cambiare routine.

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Capitolo 57
*** Capitolo Cinquantaseiesimo - Chiacchiere di passato ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO CINQUANTASEIESIMO

Chiacchiere di passato

°°°°°°°




If you hear him howling around your kitchen door

better not let him in,

little old lady got mutilated late last night.

Werewolves of London again.


Avevano camminato per oltre quattro ore senza quasi rivolgersi parola. Di tanto in tanto, Remus chiedeva informazioni circa la loro collocazione geografica e Rouge, sbuffando innervosita, rispondeva con seccati grugniti o, raramente, con qualche «ancora lontano». Il senso dell'orientamento di Remus era venuto meno quando, dopo diverse ore di marcia, il bosco di Tupin entro il quale si erano avventurati aveva iniziato a diramarsi, lasciando spazio ad un incontaminato paesaggio collinare. Non era mai stato in quella zona dell'isola e, vagando con lo sguardo verso un luccicante lago seminascosto dalle ultime betulle del bosco, aveva chiesto, curioso:

«Sembra una zona meno ostica di quella che circonda il villaggio. Per quale motivo non avete preferito insediarvi qui?».

«Vedi montagne, qui intorno?».

«No» aveva risposto con calma Remus. «Non nelle vicinanze, perlomeno».

«Ti sei già risposto» aveva ribattuto con stanchezza lei, quasi ritenesse la sua domanda degna di un completo idiota. «Niente montagne, niente riparo dal vento invernale. Niente riparo dal vento invernale, più freddo».

Solo quando il sole si fece alto sopra le loro teste e la stanchezza iniziò a farsi sentire – o, perlomeno, Remus iniziava ad avvertirla: sospettava che Rouge avrebbe potuto proseguire per altri venti chilometri senza fermarsi un istante – decisero di fermarsi sotto l'ombra di una quercia dall'aria centenaria, a pochi passi da un modesto rivo dalle acque cristalline.

«Dove siamo?» aveva domandato nuovamente Remus, dopo essersi sfilato la pesante borsa ed essersi lasciato scivolare lungo la corteccia dell'albero. «Avremmo percorso almeno quindici miglia».

Lei gli rivolse un sorriso ironico.

«Sei già stanco, Damerino?».

«Parecchio, ad essere franchi» aveva annuito lui con decisione, rispondendo con pacatezza alla sua provocazione. «Hai fame?».

Rouge scosse il capo.

«Sete?».

Un altro cenno negativo. Remus la fissò divertito un attimo, prima di infilare una mano nella tracolla ed estrarre un pezzo di carne avvolto malamente in un cartoccio ingiallito.

«Sono sconcertato. È umanamente impossibile che tu non abbia né l'una né l'altra, dopo oltre quattro ore di questa disossante sfacchinata».

Avvicinando la mano alla fronte per ripararsi dai raggi del sole e scrutando al di là delle vaste colline, Rouge non diede segno di averlo sentito. Quando parlò, Remus si era ormai convinto che non avrebbe ricevuto alcuna risposta e aveva già mangiato quasi metà del proprio pezzo di carne.

«Io non sono umana, Damerino» ribatté atona.

Remus sollevò improvvisamente gli occhi verso di lei, osservandola con intensità e temendo di aver detto qualcosa che potesse averla agitata.

«Era un modo di dire, Rouge» disse con calma, cercando di interpretare ogni gesto compiuto dalla donna. «Anch'io non sono umano».

Lei scosse il capo un paio di volte, senza tuttavia degnarsi di mostrargli altro che le proprie spalle.

«Nemmeno i modi di dire ci danno giustizia» commentò amaramente la donna. «Niente di ciò che gli umani hanno creato per loro stessi ci dà giustizia. Non le loro leggi, non le loro città, non i loro testi. Niente. Hanno costruito un mondo nel quale esiste spazio solo per loro e a chi non ne fa parte viene negato ogni diritto. Sono esseri spregevoli e vigliacchi che si nascondono dietro quelle loro maledette bacchette magiche. I nostri sono scontri impari e nemmeno in battaglia abbiamo giustizia» si fermò un istante, incrociò le braccia al petto e lo guardò con gli occhi leggermente socchiusi. «Io non sono umana».

Remus rimase in silenzio, cercando di sostenere lo sguardo indagatore di Rouge che, forse per la prima volta da quando la conosceva, pareva in attesa di ricevere una sua risposta.

Una risposta, fra l'altro, ad una domanda che nessuno dei due aveva mai formulato.

«Credo che dovresti cercare di vedere il mondo con più sfumature, Rouge» disse dopo un attento ragionamento, rivolgendole un sorriso tirato e parlandole con gentilezza. «Personalmente, ho avuto la fortuna – o sfortuna, è un giudizio che non mi sono mai effettivamente posto – di incontrare molte...» si bloccò improvvisamente, cercando la parola più adatta per racchiudere l'ampio concetto, «...creature, nel corso della mia vita. Alcuni si sono rivelate ottime persone, aperte, solidali e sempre pronte a tendere una mano a chi dimostrava di averne più bisogno. Altre, sarò franco, mi hanno fatto più volte desiderare che svanissero dalla faccia della terra».

«Non è la stessa cosa» ribatté seccata lei. «Io sto parlando degli umani».

«No» la corresse placidamente Remus. «Tu stai parlando degli umani che hai incontrato».

«Non c'è nessuna differenza».

«Affatto» disse. «Io detesto Fenrir Greyback con tutto il mio spirito. A tratti, credo perfino di odiarlo come non ho mai odiato nessun altro. Ha distrutto la mia vita, quella della mia famiglia e mi ha costretto all'esistenza di reietto e clandestino alla quale, ti confesso, non credo di essermi ancora abituato» le sorrise tristemente. «Eppure, mi piace trascorrere il mio tempo in tua compagnia».

Rouge si voltò e lo fissò intensamente, senza parlare.

«I soli licantropi che ho incontrato – prima di venire qui, naturalmente – erano... diciamo che la pensavano più o meno come me» riprese Remus, sempre più pensieroso. «Siamo molto pericolosi per la comunità magica e non possiamo permetterci di avere dei legami fissi con altre persone. Per qualcuno come noi, trovare lavoro nella società dei maghi è impossibile, così la maggior parte di chi è affetto da licantropia si ritrova a vagare senza meta per i sobborghi della Gran Bretagna, solo e miserevole. E quando due licantropi di Londra si incontrano, generalmente passano le ore successive a condividere le stesse paure, gli stessi pensieri... gli stessi rimpianti».

Rouge lo guardò a lungo e l'angolo destro della sua bocca si inarcò in un ghigno stentato.

«Bello schifo» dichiarò stringata. «Non capisco come tu possa sopportarlo».

Lui chinò il capo.

«Non lo so nemmeno io».

Lei sbuffò.

«Se la vita fra gli umani ti sta così stretta, perché diavolo non te ne sei mai andato?».

«Me ne sono andato, ad un certo punto. Ho vagato per l'Europa per più di dieci anni».

«Ed è stata stretta dappertutto».

Remus annuì.

«Perché andasti via?» chiese lei a bruciapelo.

Lui deglutì un attimo, ragionando rapidamente su quanto fosse conveniente parlare a Rouge del suo dolore più insistente. Improvvisamente, si rese conto di fidarsi di lei più di quanto non avrebbe mai pensato.

«Per quanto ti possa suonare strano, ho conosciuto dei maghi in grado di accettarmi per quello che sono. Per anni sono stati i miei migliori amici» sorrise mestamente al ricordo della sua adolescenza fra le mura di Hogwarts. «Poi scoppiò la guerra e noi decidemmo di affrontare Lord Voldemort. Eravamo molto motivati e non avremmo mai permesso a quel folle di distruggere tutti i principi nei quali credevamo, ma... eravamo anche molto giovani. Eravamo sempre sotto forte pressione, eravamo spaventati e gli esiti di quel conflitto si facevano più vicini e negativi giorno dopo giorno. Finimmo per diventare l'ombra dei ragazzi che eravamo stati e la fiducia sulla quale avevamo sempre basato la nostra amicizia venne a mancare improvvisamente. Iniziammo a diffidare l'uno dell'altro, ad accusarci a vicenda di crimini mai commessi e, presto, fummo noi stessi in conflitto. Ci siamo traditi vicendevolmente e abbiamo segnato la fine della nostra amicizia».

«Così hai tagliato tutti i ponti e te ne sei andato».

Remus scosse il capo.

«Sono morti» affermò. «Il che rende tutto un po' macabro, non credi?».


«Mi dispiace, Remus. Se mai dovessi aver bisogno di aiuto, non--».

«La ringrazio, Preside».

«Sarò sempre disposto ad offrirti tutto ciò di cui potresti aver bisogno. Ho molta stima di te, Remus, e--»:

«Non si preoccupi inutilmente: mi arrangerò».


«Forse» rispose apatica Rouge. «Ma dicono sia meglio aver perso dopo aver provato, di non aver provato affatto».

Remus le guardò un'occhiata interrogativa, aspettando speranzoso che lei gli confidasse quel segreto che Chilone aveva già rivelato, sul letto di morte, a lui.

''Liberati di quel fardello, Rouge'' pensò. ''Abbi il coraggio di dire il vero motivo per cui detesti tanto gli esseri umani''.

Per tutta risposta, lei gli volse nuovamente la schiena.

«Alzati» ordinò scocciata. «Abbiamo già perso tempo a sufficienza. Ho un compito da portare a termine e non ho intenzione di farmi distrarre oltre».

Scuotendo placidamente il capo con un sorriso tirato, Remus s'infilò nuovamente la tracolla e la seguì fra le sterpaglie dorate della vasta prateria, senza più toccare l'argomento.

°°°°°°°



«Dammi un altro Whisky Incendiario, Aberforth» mormorò stancamente Tonks, mentre giocherellava con aria vaga con la polvere sul bancone consunto della Testa di Porco.

Il vecchio le rivolse un'occhiata in tralice, ma riempì nuovamente il suo bicchiere fino all'orlo e la guardò buttarlo giù in un colpo solo.

«Che hai da guardare?» domandò seccata lei.

«Quando sei entrata, pensavo che mi avresti fatto altri danni».

«Mi pare di averteli ripagati con gli interessi».

Lui fece una smorfia sarcastica.

«Oh, sì. Vedere quella vecchia piattola di Mund prendere un po' di sane randellate è stata una buona mancia».

Tonks non rispose, ma continuò a fissare il fondo del bicchiere con aria distante. La rabbia bruciante che l'aveva dominata alla riunione dell'Ordine della Fenice si era smorzata, ed ora non le restava altro che una fastidiosa e imbarazzante stretta allo stomaco a cui, tuttavia, non riusciva a dare nome. Non erano rimorsi. Sapeva di avere ragione e su quel particolare punto non sarebbe tornata indietro nemmeno sotto tortura. Li aveva chiamati vigliacchi diverse volte e, dopo diverse ore, continuava ad essere convinta di non aver detto nient'altro che la verità. Come potevano non avere il coraggio di fermare quel maledetto Decreto? Come potevano essere così interessati a Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato da non vedere gli altri orrori che li circondavano? E dire che solo un anno prima era così fiera di essere entrata nell'Ordine delle Fenice...


«E dire che una volta desideravo diventare un'Auror della tua pasta, Malocchio».


«Ancora un po', Aberforth» disse.

«Io non sono tuo padre, ragazzina» grugnì seccato, svitando il tappo della bottiglia e riempiendo nuovamente il bicchiere di Tonks. «Finché continui a sganciare Galeoni, ti posso lasciar bere tutto il magazzino. Me ne frego di quanto poi starai male. Ad ogni modo, vedi di moderare, perché non voglio avere rogne».

Tonks fece un sbuffo divertito.

«Tu hai sempre rogne, qui dentro».

«Sì» replicò con decisione lui. «Ma tu sei la protetta di Malocchio e si sa che Malocchio porta sempre più rogne del dovuto».

Al suono del nome del suo mentore, Tonks trasalì impercettibilmente.


«E dire che una volta desideravo diventare un'Auror della tua pasta, Malocchio».


Ad Aberforth non sfuggì l'improvviso irrigidimento delle spalle della ragazza. La scrutò qualche istante e fece per dire qualcosa, ma si fermò improvvisamente e iniziò a spolverare le credenze alle sue spalle. Di tanto in tanto, lanciava occhiate di sottecchi alla ragazza e alla bottiglia che aveva avventatamente lasciato a pochi centimetri da lei.

«Hai litigato col vecchio Malocchio, eh?» domandò infine, rivolgendole un ghigno divertito. «Fattela passare, quello prima o poi litiga con tutti».

«Non sono fatti tuoi» tagliò corto Tonks, portando il bicchiere alle labbra e ingoiando l'ultimo dito di Whisky Incendiario con una smorfia disgustata.

Sfoggiando lo stesso sorriso storto, Aberforth continuò a guardarla negli occhi. Poi, senza alcun preavviso, le strappò il bicchiere dalle mani e lo allontanò da lei.

«Ehi!» protestò con veemenza Tonks. «Ti ho pagato, per quello».

«No» la contraddisse burbero lui. «Mi hai pagato per quelli che hai bevuto prima».

Gli occhi di Tonks si assottigliarono minacciosi, mentre fissava con aria pericolosa il vecchio barista davanti a lei.

«Ridammelo» ringhiò fra i denti.

«Sennò che mi fai?» la canzonò divertito lui. «Mi arresti per resistenza a pubblico ufficiale?».

«Potrei farlo».

Lui scosse il capo noncurante e rimise al proprio posto la bottiglia di Whishy Incendiario. Quando si volse nuovamente verso di lei, il suo sguardo pareva essersi indurito.

«Tutti uguali, voi Black».

«Cosa diavolo hai detto!?» abbaiò furiosa Tonks, alzandosi di scatto e rovesciando lo sgabello sul quale sedeva. «Non permetterti di--».

«Non urlare nella mia taverna, ragazzina!» sbraitò lui, afferrandola malamente per un braccio. «E stammi a sentire. Non ho la più pallida idea dei casini che ti tormentano, ma, non so perché, mi sento in dovere di piantarla di versarti Whisky su Whisky. Hai litigato con quel dannato di Malocchio? Bene, hai ragione tu: non sono affari miei. Ma fin tanto che starai qui dentro, devi fare quello che ti dico io, o potrei dimenticare che sei un'Auror e lanciarti fuori dalla porta come faccio con tutti quegli scarafaggi che esagerano in mia presenza. Sono stato chiaro?».

«Non sei nessuno per dirmi cosa devo o non devo fare» ribatté lei, piccata. «Tu non sai niente di me».

«Sai quanto mi importa di fare la balia ad una ragazzina appena uscita dalla pubertà? Niente».

«E allora lasciami in pace!».

«Adesso capisco perché hai litigato con quel bastardo. Gli hai risposto così e lui non ha digerito, eh?».

«Che t'importa? Nemmeno mi conosci».

«No, e sinceramente adesso non ho nemmeno la voglia di approfondire la nostra conoscenza, Miss-Fatti-Gli-Affari-Tuoi» replicò acido lui, incrociando le grosse braccia al petto e fissandola con aria di rimprovero. «Ma conosco Malocchio meglio di quanto la gente non creda e so che a volte può arrivare a dare di stomaco. Cercavo di darti una mano, ma se hai intenzione di continuare la tua sceneggiata da ragazzina incompresa, sei libera di farlo. Solo, fallo fuori di qui. Mi dai sui nervi».

Le diede le spalle e riprese a trafficare con i bicchieri impilati sulla credenza. Tonks lo osservò a lungo, mentre il cervello era invaso da un mix di rabbia e vergogna. Era consapevole di aver perso la testa – e non solo al bancone della Testa di Porco – ma ammetterlo era troppo faticoso e lei troppo stanca. Lentamente e senza effettivamente sapere per quale motivo lo stesse facendo, si chinò, raccolse lo sgabello e tornò a sedersi in completo silenzio. Scrutò a lungo la schiena di Aberforth.

«Come fai a conoscere Malocchio?» domandò.

Lui voltò il capo verso di lei, con un'espressione divertita.

«Ben tornata nel mondo degli educati, ragazzina».

Tonks finse di non aver sentito quell'ultimo commento.

«Dove lo hai conosciuto?» ripeté.

Aberforth le rivolse un mezzo ghigno.

«Per quanto tu faccia fatica a crederlo, ho studiato anch'io ad Hogwarts».

Lei sgranò gli occhi per la sorpresa.

«Hai conosciuto Malocchio a scuola?».

Aberforth ridacchiò fra sé e sé.

«Quel vecchio pazzo...» disse. «Avrebbero dovuto rinchiuderlo al San Mungo quando aveva quindici anni. Già allora sapeva essere una vera calamita per i problemi».

«Eravate nella stessa Casa?».

«Sai in che Casa è stato lui?» domandò di rimando Aberforth, appoggiandosi al tavolo che stava oltre il bancone.

Tonks annuì.

«Grifondoro» affermò con decisione.

«Ebbene, sì. Eravamo nella stessa casa. Non nello stesso anno» aggiunse rapido, quando vide Tonks aprire la bocca per formulare un'altra domanda. «E, se te lo stai chiedendo, sì: sono stato un Grifondoro anch'io. Per mandare avanti un buco del genere, bisogna avere una grande dose di coraggio, ragazzina» commentò, indicando vagamente la rozza mobilia che li circondava.

«Io ero Tassorosso» disse, senza particolare ragione.

Lui fece uno sbuffo ironico.

«Allora sei la Tassorosso più casinista che io abbia mai incontrato».

«Che tipo era?» domandò Tonks, sinceramente interessata. «Malocchio, voglio dire. Non riesco a immaginarmelo».

«Fuori di testa esattamente come ora. Ma meno paranoico e più giovane, direi».

«Era Prefetto?».

Aberforth scoppiò in una sonora risata.

«Chi? Quel folle di Malocchio? Non lo avrebbero nominato Prefetto neanche se avesse sborsato trecentomila Galeoni nelle tasche di Dippet! Non faceva altro che attaccare briga – con i Serpeverde, in particolare – e spedire in infermeria chiunque gli desse fastidio. Neanche da ragazzo è stato uno da prendere sottogamba: eri capace di ritrovarti tutto fasciato e livido solo per averlo guardato un po' di traverso».

Inconsciamente, Tonks si ritrovò a sorridere.

«Non doveva essere molto popolare».

«Al contrario. Il bastardo ha sempre avuto più moralità di tutto l'Archivio della Legislatura Magica. Te l'ho detto: principalmente, se la prendeva con quegli imbecilli di Serpeverde, come Scrimgeour».

«Rufus Scrimgeour era un Serpeverde!?» esclamò stupefatta Tonks, sgranando gli occhi.

Aberforth rise di nuovo.

«Ma che hai capito, ragazzina? Scrimgeour era il Prefetto di Grifondoro, prima di diventare Caposcuola. Lui e Malocchio non sono mai stati grandi amici, nonostante fossero nello stesso dormitorio. Francamente, l'unica cosa che sembravano avere in comune, era il divertimento nell'affatturare per i corridoi tutti quelli che portavano la cravatta verde e argento. Per il resto... be', erano parecchio competitivi» sorrise divertito. «Si sono scontrati un sacco di volte. Non ho idea di come abbiano fatto a sopportarsi anche in seguito, prima all'Accademia per Auror e, poi, al Quartier Generale del Ministero».

«Hanno preso strade differenti» commentò pensierosa Tonks. «Scrimgeour si è dato presto alla politica, fin quando non è arrivato ad occupare i posti di direzione più alti. Malocchio, invece, è rimasto fino alla pensione nelle file più attive del Ministero».

Aberforth la guardò con fare indagatore.

«Mi sembra di avvertire un po' di biasimo nei confronti del Ministro».

Lei fece le spallucce.

«Non mi sta a genio, tutto qui» rispose, stringata. «A dire la verità, non conosco nemmeno un politico che mi stia a genio».

«Ma sei una dipendente del Ministero».

«No» lo corresse con forza lei, puntandogli contro l'indice a mo' di monito. «Io sono un'Auror. È diverso».

Aberforth rise di nuovo.

«Cos'ho detto di tanto buffo?» chiese Tonks, inarcando perplessa un sopracciglio.

«Nulla» rispose il vecchio barista. «Solo, per un attimo ho creduto di parlare con quel degenerato del tuo maestro».

Lo sguardo di Tonks si fece improvvisamente più cupo e lei chinò il capo verso il bancone. Aberforth la guardò a lungo, cogitabondo.

«Non so perché ti sto dicendo questo» disse, infine. «Ma credo che saperlo ti possa dare una mano a rimettere a posto la situazione».

«Con lui?» mormorò Tonks, avvilita. «No. Mi sono appena resa conto di avergli detto la cosa più cattiva che avrei mai potuto dirgli. Non importa quanto fossi arrabbiata. Non avrei dovuto, punto e basta».

«Fa niente. Voglio dirtelo lo stesso» riprese lui, deciso. «Ricordi quando hai praticamente sfondato la porta della mia taverna per cercare Fletcher, lo hai preso a botte, mi hai distrutto un tavolo e definito ''pessimo'' il mio Whisky?».

Lei sorrise con aria vaga e annuì.

«Ricordi quello che ti chiesi di riferire a Malocchio?» incalzò Aberforth.

Tonks strizzò gli occhi nel tentativo di focalizzare meglio i propri ricordi. Dopo qualche istante, scosse il capo con fare colpevole.

«Me ne sono dimenticata. Scusa».

«Ti avevo detto di dirgli che aveva vinto la scommessa».

Lo sguardo di Tonks si accese di comprensione.

«È vero!» esclamò energica. «Ora ricordo. Non ti ho più chiesto che cosa--».

«Qualche tempo fa, era passato a farsi un bicchierino. Era un bel po' che non lo vedevo in giro. Mi ha parlato un po' di come andavano le cose al Quartier Generale... be', più che altro, ha criticato quasi ogni cosa del Ministero».

Tonks rise.

«Poi mi ha detto una cosa che mi ha lasciato di sasso e, fidati, prima che io resti di sasso ce ne vuole» aggiunse. «Ha detto: ''Mi sa che ho trovato una recluta che mi piace''. Ed io gli risposto: ''Hai trovato un energumeno abbastanza idiota da sostituirti, vecchio pazzo?''. Sai che mi ha detto, lui?».

Tonks scosse il capo, sempre più curiosa.

«Mi ha detto: ''Se la vedi, Aberforth, come Auror non ci scommetti nemmeno uno Zellino. È irritante e fa sempre di testa sua, inciampa dappertutto e la sua scrivania è in uno stato di totale abbandono. Ma sai che ti dico? È anche la migliore recluta che io abbia mai addestrato''. Gli elencai tutti i migliori Auror che erano passati sotto i suoi ferri. Tutti i più grandi. E lui, non una piega. Ha picchiato il pugno sul bancone – proprio in questo punto – e ha detto: ''Fa' come ti pare. Scommetto dieci galeoni che lei sarebbe capace di farle diventare quadre a tutti quanti. Adesso è solo una recluta indisciplinata. Dammi qualche tempo e la trasformo in un demonio''».

Tonks rimase muta.

«Mi è capitato di sentirti discutere con quel pesce lesso di Dawlish, qualche mese fa. Non ho fatto apposta, stavo buttando fuori la spazzatura».

Lei sollevò il capo verso di lui, ma continuò a rimanere in silenzio.

«Ho capito di aver perso la scommessa quando lo hai mandato a fanculo» commentò divertito. «È evidente che porti il marchio degli insegnamenti di Malocchio».

Improvvisamente, Tonks non riuscì più a stare seduta e provò un ardente bisogno di correre all'aperto e urlare. Affondò una mano nella tasca per cercare un paio di spicci, ma Aberforth le fermò il braccio con aria decisa.

«Lascia. L'ultimo te lo offro io».

Lei lo fissò intensamente.

«Grazie» si limitò a dire.

Si era appena voltata verso la porta quando la voce di Aberforth la costrinse a fermarsi.

«So che può sembrare scortese, ma non mi interessa» le disse. «Sono curioso di sapere cos'hai detto di così terribile a Malocchio. Me lo dici?».

Tonks volse impercettibilmente il capo verso di lui.

«In pratica» rispose piano, «ho detto di non voler diventare come lui».

Di nuovo, Aberforth scoppiò a ridere.

«Temo, ragazzina» ribatté divertito, «che tu lo abbia notato troppo tardi».

°°°°°°°





Cerco di sdebitarmi per l'ignobile lunghezza del capitolo scorso con questo extra, ma non ho comunque il tempo di rispondere alle vostre recensioni.

Ad ogni modo, grazie a tutti.

Trick

P.s.

La canzone citata all'inizio è ''Werewolves of London'' di Warren Zevon, 1978.

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Capitolo 58
*** Capitolo Cinquantasettesimo - Camminando ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO CINQUANTASETTESIMO

Camminando

°°°°°°°

Con sbuffo spossato, Remus s'inerpicò per l'ultimo tratto di uno scosceso pendio roccioso. Se qualche ora prima aveva maledetto le alte sterpaglie dei campi incontaminati e il sole cocente che gli martellava la testa, ora non sapeva più contro quale entità imprecare. Lui e Rouge avevano attraversato le verdeggianti colline a passo spedito, fermandosi solo un paio di volte per ristorarsi e riprendere fiato. Avrebbe dovuto immaginare che il terreno non sarebbe stato eternamente piano; al contrario, si era convinto che dopo aver superato le ostiche piante che circondavano i pendii, il percorso sarebbe stato pressoché in discesa. Peccato avesse dimenticato la salita.

Quando riuscì a raggiungere la cima dell'ultima roccia, Rouge era già sul bordo di una grossa pietra, intenta a scrutare l'ampia vallata con gli occhi socchiusi. Sedette a pochi passi dalla donna, godendo della brezza leggera che si era appena levata. Osservò il passaggio che si stendeva dinanzi a loro. Una catena montuosa apparentemente senza fine dominava una distesa d'erba di un meraviglioso verde smeraldino in cui, a tratti, s'ergeva qualche albero dalla chioma imponente. Sollevò lo sguardo verso il cielo e non vide nemmeno la traccia di una nuvola.

«Wow» boccheggiò Remus. «Una vista del genere compensa qualunque scalata, senza dubbio».

«Sono le radure di Trivia».

Remus annuì fra sé.

«Hai paura?» le chiese a bruciapelo.

Era certo che si sarebbe voltata di scatto e, nella migliore delle ipotesi, l'avrebbe fulminato con un'occhiata assassina. Al massimo, gli avrebbe intimato di starsene zitto e avrebbe indubbiamente aggiunto di non temere niente. Fu stupito, quindi, quando Rouge rimase immobile nella stessa posizione, silenziosa e con l'aria pensierosa. Remus rimpianse di non essersi seduto in una posizione tale da consentigli di vederla in viso.

«Parecchia» esalò infine Rouge. «Immagino che tu sia tranquillo come un neonato, Damerino» sbottò con disprezzo. «Tu credi che siano stupidaggini».

«Non l'ho mai detto» la corresse con un sorriso pacato lui. «Ho detto che credo siano solo superstizioni. Non è propriamente uguale».

«Stessa cosa, parole diverse» tagliò corto lei, sbuffando.

Remus sospirò e scosse il capo. Lei si voltò completamente verso di lui e lo fissò con superiorità.

«Non hai paura delle radure di Trivia, perché non sai cosa esse significhino» disse. Lo fissò intensamente un istante, prima di aggiungere: «Tu di cos'hai paura?».

Lui la guardò interrogativo.

«Ti stai riferendo a ciò che stiamo facendo o a qualcosa che...?».

«A cos'hai paura, semplicemente» affermò con decisione. «Non è difficile, Damerino. Tutti conoscono i propri timori. Tu cosa temi?».

Remus fece un respiro profondo e chinò il capo, pensieroso. Una lunga sequela di eventi e possibilità gli balenò nella mente, una più sconvolgente e spaventosa dell'altra. Sarebbe potuto morire nel corso della guerra, si disse. Ragionevolmente preoccupante, dopotutto: quale uomo non temeva la morte? Avrebbero potuto perdere la guerra e Lord Voldemort avrebbe instaurato il proprio incondizionato dominio. Avvertì un tuffo al cuore, mentre immaginava solo un paio delle sue atroci conseguenze. Era parecchio inquieto a riguardo e il pensiero che, in caso di sconfitta, sarebbe stato con tutta probabilità giustiziato dai Mangiamorte, non avrebbe alleviato il dolore della consapevolezza di sapere il mondo nelle mani di quegli assassini. Avrebbe potuto perdere il controllo durante un plenilunio e aggredire qualche innocente. Avrebbe potuto uccidere qualcuno o, peggio, condannarlo ai suoi stessi patimenti. Era da sempre uno dei suoi più grandi tormenti: il solo pensiero lo gettava nel panico. La luna piena, in effetti, era sempre stata la forma assunta da qualunque Molliccio avesse dovuto affrontare. Non era, tuttavia, quel dannato disco lunare la sua maggiore paura, quanto ciò che esso comportava. Le mutazioni, le zanne e gli artigli, il sapore ferruginoso del proprio sangue a inebriare l'irrazionalità del lupo... gli corse un brivido lungo la schiena. La licantropia non era la sua paura: era il suo incubo.

Tonks, scandì una vocina nella sua testa. Tonks che scende le scale dell'Ufficio Misteri, scagliando una maledizione dopo l'altra contro Bellatrix Lestrange, Tonks che schiva per un soffio una Maledizione Senza Perdono, Tonks che non vede lo Schiantesimo e precipita per i gradini, Tonks che rimane inerme a terra, Tonks che riposa nella sua stanza al San Mungo, pallida ed malconcia, quasi morta...

Un'ondata di puro panico si attanagliò improvvisamente del suo cervello.

«A giudicare da quanto ti sei irrigidito, devi essere molto spaventato da ciò che stai pensando» disse Rouge, sfoggiando un mezzo ghigno vittorioso. «Scommetto che a me non fa paura».

Remus fece un sorriso storto e la guardò intensamente attraverso un ciuffo di capelli della frangia. Si chiese se poteva azzardarsi a dire ciò che realmente stava pensando.

«Temi la morte?».

Lei lo fissò con superiorità.

«No» rispose con fierezza. «In vita ci sono cose ben peggiori».

«E se io non mi riferissi alla tua morte?» continuò lui. «Se mi riferissi a qualcuno che ti sta più a cuore di qualunque altra cosa al mondo?».

Lei trasalì e distolse rapidamente lo sguardo.

«Prima o poi, dobbiamo morire tutti» concluse sfacciata, facendogli cenno con capo di alzarsi. «C'è chi lo fa prima e c'è chi lo fa dopo. Si chiama ''ciclo della vita'', Damerino. Ne hai mai sentito parlare?».

«Preferirei prima» mormorò lui quasi inconsciamente, sollevandosi da terra e ributtandosi in spalla la tracolla.

Passò davanti a Rouge e iniziò a studiare la ripida discesa rocciosa che avrebbero dovuto compiere, alla ricerca di un passaggio meno pericoloso e ostile. La voce tagliente della donna gli perforò la nuca e mandò l'ennesimo brivido lungo la sua colonna vertebrale.

«Prima di lei?».

Remus si fermò improvvisamente e si voltò a guardarla con estrema serietà, prima di rivolgerle un mesto sorriso.

«Mille anni prima di lei, piuttosto che un solo istante dopo».

°°°°°°°

Tonks camminava rapidamente lungo i marciapiedi deserti di Hogsmeade, in direzione del numero 17 di Troops Road, con le mani affondate nelle tasche dei jeans e lo sguardo fisso sui propri piedi. Nelle precedenti ore non era stata in grado di non pensare alla conversazione che aveva avuto con Aberforth. Le parole che lui le aveva rivolto avevano aperto in lei un centinaio di infinite possibilità; ciononostante, l'unica domanda che martellava la sua testa era ''cosa devo fare, ora?''. Avrebbe dovuto tornare alla Tana e chiedere umilmente scusa per il suo comportamento?

No, disse velocemente una vocina decisa. Tu hai ragione. Sono dei vigliacchi. Loro non pensano a Remus. Non ci pensano quanto te.

E come avrebbe dovuto regolarsi con Moody? L'aveva ferito molto più duramente di quanto non avessero mai fatto i tanti maghi Oscuri con cui aveva avuto a che fare durante la sua carriera. Lei lo aveva colpito alle spalle, lo aveva tradito. Si sentiva tremendamente in colpa e desiderava con tutte le sue forze avere la possibilità di tornare indietro nel tempo, solo per trattenere in gola quella maledetta frase. E dire che una volta volevo diventare un'Auror della tua pasta.

Nemmeno Moody, però, aveva intenzione di schierarsi contro il Decreto di Scrimgeour e della Umbridge; nemmeno lui, il suo mentore e il suo modello, avrebbe spezzato una lancia in favore di quella causa.

A lui non interessa niente di Remus, ripeté francamente la vocina di poco prima. A lui interessano solo gli esiti di questa guerra. Se dovessero prendere Remus, lui continuerebbe a interessarsi d'altro.

Avvertendo l'irrefrenabile bisogno di sedersi, si fermò a pochi isolati da Troops Road e si lasciò scivolare lungo la porta chiusa di Penne&Pennini. Appoggiò la schiena allo stipite di pietra e si passò stancamente le mani fra i capelli color topo. Com'era possibile che le cose fossero sfuggite al suo controllo tanto drammaticamente? Come aveva potuto permettere alla sua vita di andare alla deriva? Che diavolo era successo?

Solo un anno prima, si trovava fra le mura di Grimmauld Place ed era sempre pronta a partecipare con entusiasmo ad ogni azione dell'Ordine della Fenice. Era così fiera di esserne entrata a far parte, che Moody avesse dato proprio a lei quell'onore, fra tanti altri giovani Auror. Un anno prima, nonostante il perenne tormento della guerra imminente, non stava così male. Non si sentiva così sola e abbandonata. Un anno prima non si era resa conto che ciò che provava per Remus era ben più di semplice ammirazione per la disinvoltura con cui si esprimeva durante le riunioni, ben più di mera simpatia per le discrete battute che scambiava con Sirius e ben più del senso di sicurezza che lui sapeva infonderle durate le missioni. Lei amava il modo in cui lui parlava, con quella sua moderata gestualità delle mani. Lei amava il suo leggero umorismo, divertente quel tanto che bastava a non offendere nessuno. E amava i suoi sorrisi rassicuranti e le sue parole gentili. Quando si era resa conto di amarlo, la situazione era precipitata nell'anarchia.

Davanti agli occhi si stagliò per la centesima volta l'espressione stupita di Sirius, colpito al petto da uno Schiantesimo, che scivolava con grazia oltre quel maledetto Velo. Fu colpita da una fitta al cuore.

Aveva perso tutto.

Hai perso tutto.

Sirius era morto, Moody la odiava e presto avrebbe perso il lavoro per il quale si era impegnata per metà della sua vita.

Remus non sarebbe tornato da lei e, nell'improbabile caso lo avesse fatto, avrebbe dovuto fuggire dalla Gran Bretagna a causa del Decreto di Riabilitazione.

Gli avrebbe permesso di seguirlo?

Tonks lo dubitava.

Un secco schiocco a qualche metro alla sua destra la fece sobbalzare. Si alzò di scatto e afferrò la bacchetta nella tasca del mantello. Appoggiò la schiena al muro dell'edificio e tentò di sporgersi il più possibile senza scoprirsi troppo. Allungò il collo di pochi centimetri e studiò circospetta nell'aiuola ordinata che circondava il lato sinistro della casa.

«Hominum Revelio» sussurrò, puntando la bacchetta contro un cespuglio sufficientemente grande per celare una persona.

L'incantesimo, tuttavia, non individuò nessuno. Si avvicinò guardinga al cespuglio e iniziò a osservare attentamente le piante e i fiori che la circondavano. Improvvisamente, il suo sguardo fu catturato da una lieve scia di fumo, che saliva da una variopinta composizione di petunie. Si inginocchiò sul terriccio e afferrò fra le dita i resti di un fiammifero appena usato. Ne contò altri sei nelle vicinanze.

Deglutì a fatica e si rialzò in piedi, inquieta.

Porca vacca, mi stanno spiando.

°°°°°°°

«Le probabilità di trovare Lynn sono piuttosto modeste» constatò mestamente Remus, dopo quasi mezzo miglio di camminata. «Ci saranno almeno una decina di miglia prima di raggiungere le montagne e non oso nemmeno immaginare quanti ancora da queste parti» aggiunse, indicando con il pollice prima a destra e poi a sinistra. «Quante possibilità ci sono che abbia attraversato le radure?».

«Tu proprio non mi vuoi ascoltare» sibilò freddamente Rouge, scrutandosi guardinga attorno, quasi temesse di essere aggredita da qualcosa da un momento all'altro. «Nessuno attraversa le radure di Trivia. Saremmo fortunati a tornare indietro noi, Damerino».

«D'accordo» annuì con un sorriso condiscendente Remus. «Ma mettiamo caso che questo prato non si rivela infestato da questi esseri vendicativi e immateriali, come--?».

Lei lo fulminò con un'occhiata truce e lui prese la saggia decisione di tacere.

«Per quale motivo credi che Lynn sia venuta fin qui?» chiese qualche minuto dopo, sistemandosi la tracolla sulla spalla indolenzita.

Rouge scosse il capo.

«Non ne ho idea».

«Avrei un'ipotesi» affermò con decisione, fermandosi e fissando intensamente la schiena di Rouge.

La donna si voltò, incrociò le braccia al petto e lo guardò sprezzante.

«Fammi indovinare, genio» sbottò acida. «Credi sia partita alla ricerca di – com'è che li hai chiamati, bastardo? – esseri vendicativi e immateriali? Chissà, forse covava intenzioni suicide ma, che tristezza, ha scoperto che gli esseri vendicativi e immateriali sono solo frutto della nostra stupida superstizione e ha deciso di tornarsene mogia mogia al villaggio. Stai pensando a qualche simile fesseria? Se è così, fammi il favore di tacere e continua a camminare» concluse con durezza, voltandogli nuovamente le spalle e accelerando il proprio passo.

«Non completamente, Rouge» la corresse pacato Remus. «Hai detto che questa zona è – teoricamente – sotto il dominio di Ecate, la Regina degli Spettri, colei che ha il compito di trasportare le anime dei defunti negli Altipiani dell'Aldilà. È corretto?».

Continuando a scrutarlo torva, Rouge annuì una volta soltanto.

«La mia è solo una vaga supposizione, naturalmente, ma...» riprese, grattandosi pensieroso il mento. «Non pensi che sia proprio lei, il motivo per il quale è venuta fin qui?».

«Non ti seguo, Damerino».

«Non riesco a trovare altre spiegazioni. Perché Lynn dovrebbe attraversare una terra che ritiene proibita e potenzialmente fatale? Cosa sta cercando?».

«Credi che stia cercando Ecate?» ripeté perplessa Rouge. «Se così fosse, sarebbe ancora più idiota di quanto pensassi».

«Ecate è solo una... traghettatrice? Voglio dire... il suo compito è solo di scortare le anime nell'Aldilà, o...?».

«È il legame terreno con la Dea Selene. La sua delegata. Selene non può scendere in terra».

«Capisco» disse Remus, pensieroso. «Dunque, potrebbe essere questo il motivo per il quale Lynn è venuta nelle radure di Trivia. Forse, desidera trovare Ecate in qualità di ambasciatrice di Selene. Lynn è la Pandia, ma si sente minacciata dal tuo ruolo nel branco e l'unico modo che ha di soppiantarti sarebbe--».

Sgranarono gli occhi insieme e si guardano sconvolti.

«Vuole chiedere a Selene un figlio!» gridò Rouge.

°°°°°°°

Ammettiamolo, sono stata più brava del previsto. Voglio dire: sono sopravvissuta alla distruzione completa del mio computer (e dei tre capitoli praticamente finiti del Diario), senza prendere in considerazione l'idea di affondare i miei dolori nella birra. Non completamente, almeno. Vi comunico, inoltre, che secondo i miei imperfettissimi calcoli, dovrebbero mancare quasi una ventina di capitoli. Forse poco meno, ma tant'è...

Remus e Tonks mi fanno sempre più pena. Ho come l'impressione che sia vero ciò che dicono su chi scrive fanfiction a capitoli: si inizia a scaricare la propria tensione sui disgraziati personaggi e li si trasforma in calamite da sfighe. Forse dovrei iniziare a sentirmi in colpa. Forse.

HermioneCH: Per quanto riguarda Tonks e Malocchio, ti preannuncio che la questione diventerà un po' più spinosa del previsto. Voglio dire, ho pensato che se gettavo Remus nei casini, doveva finirci anche Tonks, no? È una sorta di legge fisica di compensazione. Ho già detto troppo, quindi svanisco con un grosso «grazie mille».

jaja_chan: Sono contenta ti sia piaciuto il racconto di Aberforth. Non so esattamente per quale motivo, ma da quando ho letto la descrizione di Scrimgeour nel sesto libro ho la maniacale convinzione che fosse un Grifondoro. Suppongo che la causa di ciò sia il suo aspetto ''leonino''. Ad ogni modo, Moody non poteva che essere un Grifondoro. Voglio dire... qualcuno ha dei dubbi? E, di nuovo senza motivo, ho sempre avuto l'idea che lui e Scrimgeour non siano mai andati d'accordo. Ho semplicemente seguito un'intuizione, quindi sono decisamente contenta che ti sia piaciuta. Grazie mille.

fennec: Già, è stata abbastanza dura con lui. Però, siamo sinceri: chi non si è mai lasciato andare alla rabbia e ha detto cose terribili? Suvvia, è successo a tutti. Non posso dire niente circa i rischi nei quali potrebbero incappare Remus e Rouge – non adesso, scusami, vi rovinerei qualche sorpresa. Ad ogni modo, fra breve inizieranno a vedersi i primi effetti della mossa di Scrimgeour e della Umbridge.

Dafny: Ti ringrazio, sono contentissima che la mia storia ti piaccia.

_Mary: No, in questo capitolo niente pace con Malocchio, mi spiace. Rimandiamo, magari. Be', per quanto riguarda la fiducia di Rouge per Remus, ti dirò... per come me la sono immaginata io, quella che ripone ora è già parecchia. Il fatto che abbia chiesto consiglio e che abbia accettato l'aiuto di qualcuno è molto atipico per Rouge, che ha sempre preferito il gioco individuale a quello di squadra. Lei è restia a fidarsi del prossimo a priori, perciò, ripeto, per i suoi standard il legame che ha con lui è già oltre piuttosto strano. Sono abbastanza soddisfatta del personaggio di Rouge, perciò dubito che la farò diventare improvvisamente la dolce confidente e l'amica del cuore di Remus. Odio le Mary Sue e mi vergognerei troppo se non riuscissi a mantenere Rouge nei binari dell'accettabile. Nel caso in cui deragliassi, fatemi un fischio, per favore.

trullitrulli: Sono contenta che i miei capitolo riescano a farti anche ridere! I miei amici dicono che io sono semplicemente demenziale, perciò è carino, di tanto in tanto, sentire pareri un poco più positivi. Accidenti, ti sei letta venticinque capitolo di fila? Stai bene, ora? Non voglio essere accusata di aver causato dei problemi visivi, davvero... Se ho ben capito, comunque, non hai ancora letto il settimo, vero? Cavolo, se è così, io farei attenzione nel continuare la storia. Avevo promesso che non avrei aggiunto particolari relativi al settimo libro ma, strada scrivendo, mi sono resa conto che c'erano personaggi di DH che non potevano assolutamente non rientrare nella storia. Per il momento, gli spoiler restano minimi – giusto un nome e nulla più – ma non vorrei rovinarti la sorpresa senza nemmeno accorgermene. Sono super-contenta di leggere che ti piace il modo in cui ho cercato di ''imitare'' il Piton della Rowling. È uno dei personaggi di cui mi viene più difficile scrivere. Lupin, al contrario, mi riesce più facile (sarà che dopo cinquanta capitoli, ormai l'ho capito come se fossi sua madre). Anche a me dispiace molto sapere poco di lui (la sua infanzia, la giovinezza nel Primo Ordine della Fenice, cos'ha fatto nei dodici anni che precedono il Prigioniero di Azkaban e, soprattutto, cos'ha dovuto fare mentre faceva la spia per Silente). Spero che la Rowling scriva in fretta la sua enciclopedia, senza dimenticarsi del mio licantropo preferito. Sono una gran ficcanaso, in effetti. Sono consapevole degli errori grammaticali, non preoccuparti. Ho iniziato a scrivere questa storia quasi due anni fa, quando ero alle prime armi sia come fanwriters, sia come scrittrice di storie in generale, se così si possono chiamare. Usavo un programma senza correttore automatico (a qualcuno sembrerà disonorevole, ma è decisamente essenziale, soprattutto con una che scrive con la testa fra le nuvole e non pensa agli accenti) e, sinceramente, quando mi capita di rileggere i vecchi capitoli mi viene la nausea. No, la storia che Peter era innamorato di Lily è tutto un mio viaggio mentale. A dire la verità, prima di leggere DH ne ero convinta. Volevo solo infilare un po' di phatos nella storia. Col senno di poi, ho pensato che avrei potuto bellamente evitarlo, ma tant'è, il dado è tratto. Non ho mai studiato francese, non darmi meriti che non ho. Mi piacerebbe dire che sono praticamente una madrelingua, ma non è assolutamente vero. Ho usato un comune e mediocre traduttore online, perciò non oso immaginare quali stupidaggini, in realtà, Fleur pronuncia. Non voglio nemmeno pensarci. Sì, in effetti esistono un trilione di modi in cui potrei fare perire la Umbridge e si rivelerebbero uno più doloroso e ridicolo dell'altro. Ma tant'è, si vedrà... Sono contenta che ti sia piaciuto il pezzo in cui racconto del morbo. Era dal terzo capitolo che volevo scrivere qualcosa del genere, ma prima mi sembrava doveroso andare più avanti con la storia e perfezionare i miei OC. Voglio dire... se non avessi aspettato quaranta capitoli, prima di far ammalare Calima, nessuno mi avrebbe supplicato di salvarla. Mi avrebbero semplicemente detto: ''quella mannara bionda è stata proprio sfortunata''. Sì, sono sadica. Sì, mi sento un po' in colpa. Non ho ben afferrato a cosa ti riferisci con «il segreto di Chilone»... parli forse del fatto che è stata la sua compagna a portare Rouge nel branco di Jura? Mi sono persa. Be' , dopo quattro recensioni simili, non posso che lasciarti un gigantesco grazie, e anticipare un paio di scuse. I miei aggiornamenti non sono regolari (prova a chiedere a puciu: la poverina ha provato a fare uno schema ed è impazzita), ma vedrò di fare del mio meglio.

Un grazie anche a coloro che hanno letto la flashfic su Remus e Lily che ho pubblicato in questi giorni, sperando di affievolire il dramma dei ritardi dei nuovi capitoli.

bittersweetmiki: Ti ringrazio di cuore; mi ha fatto davvero piacere sapere che hai apprezzato la storia, per quanto breve.

puciu: Oh, signùr banadèt... ma non ti si fonde mai la tastiera? ^^ Secondo me, sbagli a leggere: c'è scritto: ''Vuoi inserire una recensione?'', non ''Vuoi spedire una lettera episcopale?''... vabbe', ti perdono solo in virtù del fatto che risponderti mi causa un ambiguo divertimento. Mi fai anche un po' paura, in effetti, ma temo che io e te, per quanto riguarda la salute mentale, siamo sulla stessa barca. (Per la cronaca: sto scrivendo con la gatta mezza addormentata sulla tastiera. Quanto credi sia normale una cosa del genere? Ecco. Appunto). No, fidati, non tengo nascosto niente di bello. Soprattutto perché il mio computer si è fottuto. Peccato. Ne avevo un paio carine su cui lavorare, ma fa niente... poteva andare peggio. Aspetta, se sono fortunata la gatta ha deciso di andarsene... dai, dai... no. Si è rigirata sulla schiena. Diavolo, la lettera 'g' è inarrivabile. Ok, posso farcela anche senza di lei. Ti sei fi-urata (leggi come ''fi-urata'') decisamente bene il mio ideale di Remus. Strano. Come sei riuscita a capire il legame – fra l'altro, completamente OOC – con Johnny Depp, mmh? Ah, questo mondo pieno di coincidenzEEEEEEEEEE!!!! Scusa. La gatta mi ha piantato le unghie sulle mani. Basta. È ora di riprendere il controllo della situazione. Un attimo solo...

Ok, l'ho sistemata.

Quando vuoi, ad ogni modo, io sono sempre qui, in attesa di scambiare demenziali recensioni e risposte episcopali con la mia recensitrice spreferita.

Celine_Falilith: Siete davvero in tanti ad odiare James, eh? Ma tant'è, a me sta indifferente, ergo non m'intrigo. Sono contentissima che ti sia piaciuta e, sì, Remus che fuma fa decisamente venire il patema... per quanto mi riguarda, continuerò a sostenere fino all'isteria che Remus-non-è-un-bravo-ragazzo-e-non-dispensa-cioccolato-ai-bambini-buoni.

Un grazie a tutti,

Trick

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Capitolo 59
*** Capitolo Cinquantottesimo - Quiete di tempesta ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO CINQUANTOTTESIMO

Quiete di tempesta

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«Rouge!» urlò Remus, cercando invano di non acquistare eccessivo distacco nella corsa.

Era completamente inutile. Non appena la donna aveva capito a cosa, esattamente, Lynn stesse mirando, aveva dato il via ad una corsa sfrenata attraverso le mistiche radure di Trivia. Senza alcun effetto, Remus aveva cercato di placare la sua irruenza, ma dopo poco più di qualche secondo si era reso conto che Rouge non gli avrebbe mai prestato attenzione – non in quell'occasione – e che tanto valeva gettarsi a sua volta in quella folle maratona. Non aveva la minima idea di dove Rouge volesse arrivare, ma pregava sinceramente che non avesse intenzione di raggiungere le sagome lontane delle montagne; non senza fermarsi almeno un istante, perlomeno. Remus non era certo di quanto avrebbe potuto sopportare, ma indubbiamente quelle dieci miglia che si stendevano dinanzi a lui lo avrebbero distrutto. Come se non bastasse, i progetti di Lynn diventavano, passo dopo passo, sempre più assurdi.

«Rouge!» gridò di nuovo, con poca speranza. «Rouge, per tutti i folletti del Devonshire, perché stiamo correndo!?».

«Chiudi la bocca e muovi le gambe!» gli arrivò come vaga risposta. «Dobbiamo arrivare prima di Lynn!».

«Arrivare... dove?» mugugnò Remus, fermandosi dopo un paio di metri e piegandosi per riprendere fiato. «Rouge, è scientificamente impossibile che Lynn possa fare quello che intende fare da sola, perciò potresti cortesemente...?».

S'interruppe stancamente, tristemente consapevole che Rouge, ormai parecchio distante da lui, non sarebbe riuscita ad udire la sua voce. Alzò gli occhi al cielo e sospirò.

«Almeno, per una volta la fortuna è dalla mia parte» disse fra sé e sé. «Temevo di essermi infilato in guai ben peggiori».

Cambiò posizione della tracolla e s'incamminò con tranquillità dietro le traccie di Rouge, pensando che, arrivati a quel punto, tanto valeva camminare.

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Tonks era seduta alla scrivania della propria stanza da oltre un'ora. Lanciò un'occhiata distratta all'orologio abbandonato su comodino: aveva ancora tre quarti d'ora, prima dell'inizio del proprio turno di ronda serale. Chinò lo sguardo sul taccuino che aveva davanti, immergendosi nuovamente nel torbido flusso dei suoi ragionamenti. Aveva annotato solo poche parole.

Pipa

Ministero – Mangiamorte

Fiammiferi?

Dopo qualche minuto di attenta concentrazione, era giunta alla conclusione che lo sconosciuto che si era Smaterializzato (e che con tutta probabilità era lì per lei), fumava la pipa. Non poteva che essere così: in caso contrario, accanto ai fiammiferi avrebbe trovato i mozziconi delle sigarette o di qualche sigaro. Non aveva senso portarsi via solo metà delle prove.

Non aveva la più pallida idea su come rintracciare la sua identità. Per come stava andando la sua vita in quel momento, più di una persona avrebbe avuto buoni motivi per tenerla sotto controllo. La difficoltà stava nel capire se era qualcuno dalla parte del Ministero (il che avrebbe comportato non pochi problemi) o qualcuno dalla parte dei Mangiamorte (il che avrebbe comportato lo stesso numero di problemi). Per gli indizi che aveva, sarebbe potuto essere chiunque.

Ciò che più la tormentava, al momento, rimaneva la questione dei fiammiferi. I maghi con il vizio del fumo, generalmente, utilizzavano direttamente la bacchetta magica. I fiammiferi erano un oggetto Babbano, dunque chiunque lei stesse cercando aveva di certo un qualche rapporto con il mondo non magico. Erano stati proprio i fiammiferi a far cadere l'unico possibile riferimento a cui era arrivata: Mundungud Fletcher era, in effetti, un grande fumatore di pipa. Aveva pensato immediatamente a lui e, sebbene per pochi istanti, si era perfino tranquillizzata. Poi aveva ricordato delle innumerevoli volte in cui aveva fumato quella cosa puzzolente durante le riunioni dell'Ordine a Grimmauld Place. Perfino Fletcher usava la bacchetta.

Sbuffando stancamente, afferrò uno dei fiammiferi che aveva raccolto e se lo rigirò pensierosa con le dita.

Maledizione.

L'unico modo che aveva per scoprire chi diavolo avesse alle costole – e per quale motivo – era aspettare che fosse lui a fare la prossima mossa. Con un po' di fortuna, avrebbe sbagliato di nuovo e si sarebbe lasciato dietro altre traccie riconoscibili.

Tonks chiuse il taccuino e lo infilò nella tasca del mantello.

Se lo prendo, giuro che lo riempio di sberle.

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Quando Remus si ritrovò finalmente ai piedi delle montagne che aveva osservato dall'altro capo delle radure di Trivia, erano ormai trascorse quasi due ore. Aveva i piedi doloranti, le gambe intorpidite e non riusciva a capire quale delle due spalle gli facesse più male. Sfilò stancamente la tracolla e la gettò a terra, prima di scivolare accanto ad essa e stendersi sulla schiena. Rimase immobile diversi minuti, osservando le nuvole con il cervello completamente vuoto.

Aveva immaginato che Rouge non l'avrebbe aspettato. Inizialmente e con un po' di terrore, una parte di lui aveva pensato che sarebbe tornata indietro per costringerlo a proseguire quella folle corse; la donna, invece, era svanita dalla sua vista dopo pochi istanti. Non avrebbe saputo dire se si trattasse di una cosa buona o meno. L'unica cosa che gli interessava, al momento, era riposare.

Rimase coricato un altro po', poi si mise seduto e iniziò a scrutare l'immensa parete rocciosa che lo sovrastava. Guardò prima a destra, poi a sinistra, cercando di capire quale direzione Rouge avesse preso. Pregò in cuor suo che non avesse avuto la malsana idea di scalare direttamente la montagna. Sollevò lo sguardo verso le alte vette. Era impossibile che fosse stata tanto sconsiderata. Ed era doppiamente impossibile che ce l'avesse fatta a mani nude. Scosse il capo fra sé. Non dubitava delle capacità combattive e della resistenza fisica di Rouge, ma inerpicarsi su quell'ostica scarpata era oltremodo inconcepibile. Aveva appena finito di giurare sul proprio onore che non avrebbe mai – mai – scalato nemmeno un centimetro di quelle montagne, quando il suo occhio cadde su una strettoia larga poco più di un metro.

Una volta avvicinatosi alla feritoia, notò il segno bianco di un'incisione su un masso lì accanto. Erano due frecce un po' malandate. La prima puntava verso l'entrata del pertugio e partiva da una sgangherata ''R''. La seconda, qualche centimetro più sotto, puntava dalla parte opposta ed era accostata ad una ''D'' quasi illeggibile. Sotto, in una calligrafia storta e rigida, spiccava la parola ''idiota''. Sorridendo fra sé e sé, Remus seguì la direzione della seconda freccia, finché non si trovò davanti ad un altro passaggio fra le montagne, solo un poco più stretto del primo, ma dall'aspetto meno accessibile.

Si concesse un sospiro affranto e si infilò con attenzione fra le rocce, domandosi come diavolo aveva potuto finire in una situazione talmente paradossale.

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«Sono iniziate le prime retate» annunciò funereo Arthur, entrando nella cucina della Tana e lanciando una copia della Gazzetta del Profeta sul tavolo. «Quelli dell'Unità di Cattura hanno già ispezionato metà Londra magica. Hanno rastrellato almeno una dozzina di locali, due orfanotrofi e l'intero reparto riservato del San Mungo».

Molly sollevò gli occhi dalla patata che stava pelando e rivolse al marito uno sguardo ansioso.

«Che cosa fanno a quelli che prendono, Arthur?» domandò con voce febbrile.

Fleur prese fra le mani il giornale e lo scrutò concentrata.

«Che cos'è un adattamonto de sojjetti minori? Ce qu'il est una therapie du collaboration? Sombra che parlino di animali ferosci».

Lentamente, Arthur si sfilò gli occhiali e se li rigirò fra le mani, fingendo di pulirli con aria pensosa.

«Adattamento dei soggetti minori. Terapia di collaborazione» ripeté tristemente. «È il termine diplomatico con cui il Ministero indica una segregazione di massa ingiustificata».

«Cosa suscederà ora? Porteranno tout i non humains ad Aberdìn?».

Arthur la guardò intensamente e fece un respiro profondo.

«Sì, Fleur».

«Arthur» lo chiamò veemente la moglie. «Che cosa fanno ?».

«Ho provato a parlare con Humperdink, dell'Ufficio per il Controllo delle Creature Magiche. Emerald Forgedawn sta passando al setaccio tutti i nomi e tutti gli indirizzi che compaiono nei loro archivi» scosse il capo amareggiato. «Sanno chi sono e dove abitano. E se qualcuno di loro non è già stato abbastanza sveglio da filarsela... be', non se ne va più».

«Bill disce che il Ministero ha detto che lascerà in pasce i folletti che lavorano alla Gringòt» disse Fleur con una smorfia stizzita. «Ma questa storia mi piasce sompre meno. Come farà Monsieur Lupìn? Non è un criminel, non possono prenderlo!».

Arthur le rivolse un triste sorriso.

«Temo possano fare anche questo».

«Ma è injusto!» protestò con veemenza la giovane strega, allontanando il giornale come se ne fosse schifata.

«Lo è» confermò mestamente il mago. «Ma non possiamo fare niente».

«Arthur...» lo chiamò Molly, posando la mano cicciottella sul braccio del marito.

«Non so cosa facciano ad Aberdeen» rispose laconico. «Non ne ho idea».

«Cosa faremo se Remus dovesse tornare ora?».

«Silente ha detto che la sua missione si prolungherà finché le condizioni con Fenrir Greyback lo consentiranno; stando a ciò che Piton gli ha riferito, pare sia riuscito ad avere la sua fiducia e si stia mobilitando all'interno del suo branco».

«La sua fiducia...? Oh, Merlino...» mormorò Molly, sprofondando sulla sedia e portandosi una mano al petto. «L'avevo detto a Silente che non era una buona idea mandarlo in quel postaccio» si fermò per tirare su col naso, fremendo appena. «Ne tornerà distrutto... se tornerà».

«Tornerà, Molly. E quando tornerà, vedremo di affrontare anche quest'altro problema».

«E se quelli dell'Unità di Cattura venissero da noi?» continuò Molly, spaventata. «Sanno che siamo in buoni rapporti con lui e non possiamo dirgli che cosa sta facendo!».

Rimasero in silenzio diversi minuti, pensierosi.

«Diremo loro che è fujjito da Londres» propose con determinazione Fleur, annuendo fra sé. «Che non abbiamo sue nouvelles da mesi, ormai».

«Non ci crederebbero mai».

«Porquoi? Diremo loro che è fujjito da Ninfadorà e dalle resposabilitè del loro rapport. È tipico degli hommes, anche se sono dei loup-garou» concluse con franchezza.

Arthur le rivolse un lieve sorriso privo di allegria.

«Che Merlino ce la mandi buona» disse con voce abbattuta. «Che la mandi buona a tutti quanti».

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Ok, mi sono ripresa dalla tremenda formattazione meglio di quanto pensassi. Questa volta, perlomeno, non ho picchiato la testa contro il muro. Due aggiornamenti in meno di una settimana, oh, popolo di EFP, merito gli applausi. No, lasciate stare. Facciamo che al prossimo ritardo stratosferico mi abbonate le ramanzine. Adoro i compromessi.

Anyway... mi spiace per coloro che mi avevano chiesto una presta riappacificazione (''presta riappacificazione''...? Si può dire? Ha un suono tanto caustico...) fra Tonks e Malocchio. La mia vena sadica ha deciso di complicare tutto. Torna in gioco la legge di compensazione della sfiga: se Remus finisce nei casini, ci finisce pure Tonks.

Perdonate se per questo capitolo salto le risposte alle vostre recensioni (come se non fosse mai capitato...), ma ho ''rapito'' un computer e la mia ora d'aria sta terminando. Ergo, un grazie a tutti quanti.

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Capitolo 60
*** Capitolo Cinquantanovesimo - Fulmini a ciel nuvolosi ***


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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO CINQUANTANOVESIMO

Fulmini a ciel nuvolosi

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«Ci sono novità?» chiese lestamente, distogliendo lo sguardo dalla brughiera scozzese che si estendeva al di là della finestra e scrutando il mago con un sorriso di affettata gentilezza. «L'hai trovata?».

L'uomo annuì, conciso.

«Non è stato difficile, in realtà» rispose. «Non si è mai spostata».

«Come ti è parsa?».

«Scusi?».

«Intendo dire... era preoccupata, magari?».

Il mago fece una smorfia concentrata.

«Era pensierosa, sì» disse. «È rimasta seduta a lungo, ad un certo punto».

«Capisco» mormorò con aria vaga. «Non hai scoperto niente che possa aiutarci, quindi».

«Sono desolato, non ho potuto-».

«Non importa» lo zittì con un sorriso sfacciato. Sorrise di nuovo e aggiunse: «Suppongo sia giunto il momento di accelerare la situazione».

«Come procederemo, ora?».

«Non preoccuparti» concluse lei, tornando a guardare le ombre lontane delle montagne e sorridendo al nulla. «Ho già preparato ogni cosa».

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«Mirror, mirror, lie to me. Show me what I wanna see. Mirror, mirror, lie to me» canticchiava vago Remus, scrutando con aria distratta le pareti rocciose delle montagne che lo circondavano. «Why don't like what I see? Da da da da da da da...»

Si fermò a pochi centimetri da un masso ed estrasse per l'ennesima volta il coltellino dalla fodera logora. Incise con un segno deciso la pietra e contemplò un attimo il proprio lavoro. Sebbene la situazione gli fosse letteralmente sfuggita di mano – Rouge gli era perfino sfuggita alla vista – non aveva la minima intenzione di trascorrere il resto dei suoi giorni a cercare la via del ritorno fra le montagne di Trivia. Sospirò e alzò il capo verso il cielo: andava rannuvolandosi. Pregò con tutto il cuore che non piovesse e s'avviò nuovamente verso una strettoia naturale fra le pareti rocciose.

Non aveva percorso che pochi passi, quando la sua attenzione venne attirata da ciò che scambiò per un grosso e rumoroso animale scuro, che si contorceva su un masso acuminato. Osservò meglio la strana creatura e, sorpreso, scosse un paio di volte il capo. Si avvicinò rapidamente e scrutò interessato lo sciame ronzante di mosche, che andavano spolpando un grosso osso giallognolo.

È passata di qui, rifletté pensieroso Remus, alzando lo sguardo verso l'antro ombroso che si apriva dinanzi a lui. Questa è la strada corretta.

Abbandonò gli insetti al loro rivoltante pasto e avanzò deciso nel buio, accendendo per sicurezza una quarta fiammella.

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«Milady!» sussurrò affannato il ritratto Tarbis il Mercenario. «Milady Ninfadora, vi prego di destarvi! Potrebbe rivelarsi questione di vita o di morte!».

«On-iamarmi-fadora...» biascicò Tonks, rivoltandosi assonnata nelle coperte calde. Infilò la testa sotto il cuscino, imprecando senza troppo impegno la sconsideratezza di quel dannato quadro: non riposava da così tanto tempo che aveva dimenticato l'ultima volta in cui era riuscita a dormire per più di tre ore consecutive.

«Milady, datemi ascolto!» continuò imperterrito Tarbis, iniziando a sbracciarsi in maniera agitata. «Siete incappata in seri problemi! Vi avevo avvisato quanto fosse tutt'altro che opportuno svicolare dalle regole di Messere Dawlish!».

Irritata, Tonks levò il capo scarmigliato dal cuscino e fissò il quadro con sguardo torvo.

«Tarbis, la-scia-mi dor-mi-re» sillabò con furia trattenuta. «La prossima parola che dici e giuro che tu--».

«Ma, Milady, ci sono degli uomini del Ministero della Magia che vanno cercandola!»

Tonks strabuzzò gli occhi e lo guardò allucinata. Scosse il capo frenetica, senza riuscire ad afferrare del tutto la portata di quella rivelazione mattutina.

«Cosa...? Chi...?» balbettò, confusa. «Tarbis, che stai blaterando!? Quali uomini del Ministero!?».

Il Mercenario scosse rapido il capo, preoccupato.

«Non so dirvelo, Milady» rispose sconsolato. «Lady Helen di Innsedge va favellando di aver veduto un mago dall'aria distinta discorrere di voi con Messere Dawlish. Veniva accompagnato da due figuri che ella ha definito ''assai loschi'', Milady. Temo avrete grane, quest'oggi».

Tonks si portò le mani alle tempie e iniziò a massaggiarle con foga, inspirando profondamente.

«Porca vacca...» sibilò fra i denti.

«Milady!» la apostrofò scioccato Tarbis. «Ve ne prego! Atteggiatevi come si conviene ad una giovin fanciulla del vostro rango».

Senza curarsi oltre del antico dipinto, Tonks si catapultò sul pavimento – sbattendo il ginocchio contro il comodino e imprecando sonoramente – e afferrò i jeans che aveva malamente gettato in terra la sera prima. Tentò di indossarli con la sola mano sinistra, mentre la destra era impegnata ad aiutare la testa ad uscire dal collo di una vecchia e sformata T-shirt di un gruppo chiamato ''Rigurgito Magico''. Inciampò e capitolò rumorosamente sulle assi di legno.

«Porca vacca elevato alla seconda...!» sbraitò, allacciandosi finalmente i pantaloni. «Dannazione! Tarbis, hai mica visto i miei stiva--?».

«Sotto il vostro scrittoio, Milady...» mormorò stancamente il ritratto, poggiandosi con aria affranta alla cornice dorata e scuotendo sconcertato il capo. «Buon Merlino, se non aveste la testa saldata al resto del corpo, perdereste anche quella».

«Sssh!» lo zittì lei con un brusco movimento del braccio. «Hai sentito? Mi sa che stanno salendo le scale...» sussurrò piano. Si levò in piedi, si diresse veloce verso la porta e la aprì di pochi centimetri.

«Mi trova completamente in accordo con lei, Capitano Robards» parlava la voce piatta e tonante di Dawlish. «Quella ragazza è incontrollabile: non mi capacito di come possano averle conferito la Licenza Magica per Cacciatori di Maghi Oscuri».

La risposta di Galwain Robards arrivò a Tonks come un incomprensibile mormorio; stava per allargare di un poco lo spiraglio che dava sull'androne, quando un'ombra scura si allungò improvvisamente davanti ai sui piedi. Accostò rapidamente la porta e s'affrettò ad allontanarsi, turbata e innervosita.

''Che diavolo vogliono, ancora?'' pensò con un moto di rabbia.

Al suono del sordo bussare, trasalì inavvertitamente e trattenne il fiato. Lanciò un'occhiata in direzione di Tarbis, ma il mago pareva deciso a voler fingere di essere profondamente addormentato. Attese ancora un secondo e aprì la porta.

Galwain Robards le rivolse uno dei suoi tanti sorrisi di circostanza. Dawlish, dietro le sue spalle, aveva un ghigno malevolo stampato sul viso geometrico. Tonks tentò di apparire stupita.

«Capitano Robards» disse, sbattendo un paio di volte le palpebre.

«Agente Tonks» ribatté laconico il mago, chinando educatamente il capo. «Mi chiedevo se fosse possibile intrattenere un mero colloquio lavorativo con lei».

«Un mero colloquio lavorativo?» ripeté lei, senza tentare di celare il proprio sospetto. Vigilanza costante, brontolò una voce nella sua testa. «È venuto fin qui dal Ministero per un mero colloquio lavorativo con me?» gli rivolse un vago sorriso sprezzante. «Mi viene da pensare che non sia affatto un colloquio mero, né tantomeno lavorativo».

«Avrà il piacere di giudicare da sé, agente» tagliò corto Robards, sistemando con aria apparentemente distratta un bottone dorato della propria divisa. «Posso chiederle cortesemente di scendere al piano di sotto? Le posso concedere un minuto del mio tempo per indossare la sua divisa».

«È necessario, Capitano?» domandò franca. «Abbiamo forse una qualche parata in programma per la mattinata?».

Dawlish si irrigidì, la guardò come se si trovasse davanti ad uno scarabero stercorario e fece uno sbuffo disdegnoso. Robards si limitò ad assottigliare gli occhi scuri e riprese:

«È piacere del Quartier Generale degli Auror che i suoi uomini indossino gli abiti appropriati, agente».

«E poi dicono che non è l'abito a fare il monaco!» esclamò Tonks, sorridendo sfrontata e chiudendosi la porta alla spalle. «Dopo di lei, Capitano» gli si rivolse garbata, indicandogli la scalinata di legno.

Robards respirò profondamente e, senza aggiungere altro – cosa che stupì non poco Tonks – s'avvio verso il piano di sotto. Prima che Dawlish potesse seguire l'ombra di Robards, Tonks gli si piazzò domandi, volse il capo indietro e sussurrò, sprezzante: «Prima le signore, Archie. Un po' di educazione».

L'espressione di Dawlish pareva quella di chi aveva appena inghiottito una Gelatina Tutti Gusti al sapore di cavolo bollito.

«Festeggerò il giorno in cui ritireranno il tuo distintivo».

«Ed io con te, Mr. Ghiacciolone» terminò lei, salutandolo con la mano e scendendo rapidamente lungo le scale.

°°°°°°





Remus non aveva idea di che ora potesse mai essere. Sapeva solo che andava vagando per le montagne di Trivia da tanto – troppo, secondo i suoi modesti standard – e che il cielo sopra la sua testa era sempre più scuro e senza stelle. Fra poco l'oscurità avrebbe preso il sopravvento su quelle pericolose rocce e Remus, per quanto coraggioso fosse, iniziò a desiderare il momento nel quale avrebbe potuto poggiare ancora il piede sulla fresca erbe delle radure. La spalla sul quale portava la pesante tracolla di pelle gli doleva al punto che ogni movimento gli costava una smorfia, mentre le fiammelle di cui disponeva andavano via via scendendo di numero. ''Di questo passo'' pensava, ''dovrò attendere l'alba per ritrovare l'uscita di questo dannato dedalo di pietra''.

D'un tratto, il suo piede urtò qualcosa che gli fece perdere l'equilibrio.

«Merlino!»

Incapace di bilanciarsi a causa della pesante zavorra che portava, cadde in terra con un tonfo sordo. La fiammella che reggeva si spense nella caduta e lui si ritrovò avvolto dalla penombra.

«Ah...» si lamentò, reggendosi saldamente il braccio destra. «Che il diavolo si porti queste terre maledette...!».

Cercò a tentoni la borsa e recuperò una nuova fiammella. Alla sua flebile luce, studiò con attenzione il punto sul quale era caduto. A poche decine di centimetri dal suo piede, c'era un piccolo sandalo abbandonato e dalle fattezze piuttosto rozze. Inarcò perplesso un sopracciglio, lo raccolse e se lo rigirò qualche istante fra le mani.

È un sandalo di Jura.

Si voltò indietro, improvvisamente teso e si alzò di scatto, guardandosi attorno. Controllo dietro ogni rocca e dentro ad ogni anfratto, ma di Lynn pareva non esserci traccia.

Infilò la primitiva calzatura nella tracolla e riprese la strada, sempre più convinto di essere sempre più vicino alla giovane Pandia fuggitiva. Non avrebbe potuto affermare con certezza – e mai l'avrebbe fatto – che quel sandalo perduto appartenesse a Lynn, ma era una coincidenza troppo grande e Remus, di norma, tendeva a non credere alle coincidenze.

Uno strillo lacerò improvvisamente l'aria.

E non era la voce di Rouge.

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Sì, lo so. Lo so. Giuro, lo so.

Una dopo tre mesi di assenza dovrebbe semplicemente svanire dalla faccia del web. Soprattutto quando è già la seconda estate che lascia che ciò accada, ma tant'è... mi dispiace. Davvero. Ho fatto del mio meglio, ma capita a tutti di essere travolti da una valanga di eventi, no?

No...?

Suvvia, abbassate le armi. Giuro che tenterò di farmi perdonare.

Tenterò.

Scusate se svanisco di nuovo – sì, potete trucidarmi: me lo meriterei – ma la valanga di eventi non è ancora del tutto cessata.

Un grazie di cuore a tutti quelli che resistono alle mie sparizioni e che continuano a leggere questa mia lunga, lunga e potenzialmente autodistruttiva storia.

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Capitolo 61
*** Capitolo Sessantesimo - Non si scappa più ***


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Diario di un Lupo
in un Branco di Lupi
(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO SESSANTESIMO

Non si scappa più
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Negli ultimi mesi, Tonks aveva più volte immaginato il giorno in cui, volente o nolente, avrebbe dovuto dire addio al distintivo per il quale aveva versato tutto il suo sudore. Riversa sulla schiena nella sua stanza al numero 17 di Tropps Road, si era figurata l'alto profilo del Capitano Gawain Robards che, torreggiando con aria di rimprovero sopra di lei, le intimava di sgombrare rapida la scrivania. Sarebbe uscita con disonore dal Quartier Generale degli Auror del Ministero della Magia, si sarebbe Materializzata nel suo modesto appartamento e sarebbe, con tutta probabilità, rimasta a fissare il muro della camera da letto con il cervello completamente sgombro.
Era in quei momenti, quando realizzava quanto dispiacere e rancore le causasse l'idea di non essere più una Cacciatrice di Maghi Oscuri, che si domandava se davvero stesse facendo la cosa giusta. Sarebbe stato immensamente più semplice, si diceva, abbandonare questa assurda battaglia personale. Perché, in effetti, era qualcosa di completamente personale: se stava continuando a sostenere a testa alta le malelingue del Ministero (e con più determinazione di quanta, in realtà, ne avvertisse in sé) era unicamente per se stessa. Non c'era nessuno, nessuno, a spalleggiarla in quell'umile, seppure modesta, resistenza.
''Non possiamo fare niente, Ninfadora! Niente!'' le aveva gridato con voce di tuono Moody, qualche settimana prima. Più volte, da quell'amara e infuocata discussione, si era domandata se il suo anziano mentore non avesse avuto ragione. ''Se non avessi sbattuto i piedi così stupidamente'' pensava, ''Malocchio sarebbe qui ad aiutarmi''.
''E dire che una volta volevo diventare un'Auror della tua pasta''.
Sollevò lo sguardo brillante dal vino elfico contenuto nel bicchiere che stringeva in mano e tentò di apparire decisa e pronta ad accusare il colpo, certo, ma non ancora la sconfitta. Fissò Gawain Robards con aria di sfida e attese l'ordine di licenziamento.
Merlino, fa' che faccia meno male di quanto io creda.
«Non sono venuto per licenziarti, Tonks» la anticipò lui, osservandola con un piglio preoccupato.

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Sereno fischietti
seguendo la scia
per varchi maledetti
con il riso d'ironia.


Pari non pensare
alla Morte paziente,
pronta a sferrare
il colpo suo vincente.



Remus fu costretto ad arrestare di colpo la propria corsa davanti ad un impervia discesa rocciosa. Si piegò su se stesso, con il respiro affannato e stringendosi la milza dolente. Pregò che Rouge non fosse troppo lontana e avesse sentito l'acuto grido che aveva spezzato l'inquietante silenzio delle montagne di Trivia. Scrutò la strada che si stendeva pericolosa dinanzi a lui; strinse gli occhi ed ebbe l'impressione che, alla fine di quello scivolo di speroni e rocce acuminate, vi fosse qualcosa di luminoso. Nonostante la sua vista fosse, di norma, superiore a quella di un qualunque altro essere umano, da quella distanza non avrebbe saputo affermare se fosse un varco verso le radure o qualcosa di completamente diverso. Si ritrovò inconsciamente a sperare si trattasse della prima ipotesi: dopo ore e ore trascorse fra cunicoli e anfratti umidi e oscuri, non gli sarebbe affatto dispiaciuto poter rivedere i raggi del sole.
Si rimise in piedi e osservò la discesa con una smorfia indispettita. Poi, fiducioso, infilò una mano nella tracolla e sorrise compiaciuto.
Molto previdente, Rouge.
Estrasse una fune sfilacciata e dall'aspetto un poco malconcio: se la rigirò qualche istante fra le mani e si disse che, dopotutto, era meglio di niente. Era sopravvissuto a cose ben peggiori, in fondo. Legò saldamenti uno dei due capi ad una roccia dall'aria stabile, tirò un paio di volte per essere certo che avrebbe tenuto e iniziò a discendere con cautela, reggendosi con ambedue le mani alla corda.
Man mano che procedeva, le rocce sulle quali poggiava i piedi diventavano sempre più illuminate. Dopo qualche minuto, riusciva chiaramente a distinguere le une dalle altre. Non aveva sbagliato: in fondo a quel pendio di pietre c'era veramente un'apertura verso la radura.
«Grazie, Merlino» si disse stancamente.
Dopo un altro paio di minuti, la corda iniziò a scarseggiare e Remus si rese conto che non sarebbe stata sufficiente per ultimare la scalata. Quando non gliene avanzò più fra le mani, tese il collo indietro e misurò la distanza fra il punto dove era rimasto appeso e il pianale roccioso. Ad occhio e croce, misurò una decina di piedi.
Sollevò gli occhi verso il cielo e sospirò irritato.
«Grazie, Merlino» scandì con duro sarcasmo.
Mentre lasciava il capo della fune, cercò di aggrapparsi alla parete alla sua destra; il suo tentativo si rivelò completamente inutile e lui franò con ben poca grazia fino alla fine della discesa. Rimase immobile sulla schiena e con le braccia aperte, mentre le sue labbra si storcevano in continue smorfie di dolore e rabbiose imprecazioni.
Quando fu in grado di rialzarsi in piedi, si massaggiò dolente il collo.
«Io devo scalare montagne. Montagne!» sbottò. «Mentre Piton sorseggia il miglior vino elfico delle cantine di Malfoy Manor!».
«Bizèt...!?» sussurrò la voce tremante di Lynn.

°°°°°°°





«Non... non è qui per licenziarmi?» ripeté meravigliata Tonks. «Perché diavolo non è qui per licenziarmi?».
Un vago sorriso increspò per un attimo le labbra di Robards. Per una volta, notò Tonks, il suo comportamento appariva più sincero e genuino del tono accattivante con il quale era solito rivolgersi a lei.
«Le confesso, agente, che se dovessi farlo me ne dispiacerebbe» disse. «Lei è un'Auror talentuoso, in fin dei conti, ma la sua attuale posizione non sta giovando a nessuno».
Tonks inarcò scettica un sopracciglio, posò il bicchiere sul treppiedi di legno, sprofondò nella poltrona sulla quale sedeva e incrociò le braccia al petto.
«Povero, povero Ministro!» esclamò ironica. «Cosa ne farà di quest'anarchica concubina di licantropi?».
«Non c'è molto su cui scherzare, agente» ribatté determinato Robards, scrutandola severamente. «Dovrebbe prendere con maggiore serietà tutta questa storia».
Tonks si morse il labbro inferiore un paio di volte e appoggiò la testa al palmo della mano destra.
«Mi permetta di dirle una cosa che ho già detto a Scrimgeour prima di lei, capo» iniziò con voce grave. «Non sono una bambina ingenua. So vedere molto più in là di quanto voi altri non crediate. So perché sono sempre stata relegata agli Archivi; so perché sono stata spostata a Troops Road; so perché sono stata richiamata a Londra, il giorno seguente all'aggressione al figlio dei Montgomery e so perché vi siete messi a spiarmi».
L'ultima affermazione era un azzardo sotto ogni punto di vista e Tonks lo sapeva bene: non era ancora arrivata a scoprire l'identità di colui – o colei, forse – che si era appostato nel vicolo principale di Hogsmeade per controllare i suoi movimenti. Sperava, tuttavia, che Robards facesse un passo sbagliato e si tradisse da solo. Sarebbe stato un bel colpo, dopotutto.
L'espressione di Robards, tuttavia, era di puro sbigottimento.
«Spiarla, agente?» ripeté. «Chi le ha messo in testa un'idea così assurda».
«A parte il suo prode Dawlish, intende?» ribatté franca Tonks. «So che le riferisce ogni cosa che faccio, capo. Le ha già detto quante volte al giorno uso il bagno?».
«Nessuno la sta spiando, agente».
Tonks alzò le mani in un sarcastico gesto di resa.
«Come no» annuì beffarda. Gli rivolse un'occhiata lapidaria e aggiunse, flebile: «Che diavolo vuole ancora da me?».
Robards socchiuse le palpebre e si massaggiò le tempie con una smorfia stremata. Quando riprese a parlare, il tono della sua voce aveva assunto una nota paternale.
«Devi stare attenta, Tonks» la ammonì torvo. «Pare che Dolores Umbridge abbia messo gli occhi su di te».
Tonks sgranò gli occhi, ammutolita.
«Suppongo sia venuta in possesso di prove a sfavore di Remus Lupin. Data la sua posizione notoriamente anti-ibridi, non vedo altro motivo per il quale dovrebbe interessarsi ai tuoi affari. Potrebbe renderti la vita difficile, Tonks: devi smetterla di attirare l'attenzione su di te».
Limitandosi a fissarlo sconcertata, Tonks non aveva ascoltato la maggior parte dei suoi ultimi consigli.
«Quali prove, capo?» domandò con un filo di voce.
Robards sbatté un paio di volte gli occhi, perplesso.
«Hai sentito quello che ti ho appena detto? La Umbridge non--».
«Che prove?» ribadì con decisione, stringendosi con forza ai braccioli della poltrona e sporgendosi verso di lui con un'espressione estremamente preoccupata. «Che diavolo hanno trovato contro di lui?».
Grattandosi il mento, Robards parve ragionare rapidamente.
«Non puoi essere disposta a tanto, Tonks...» disse mestamente.
Tonks inarcò un sopracciglio, confusa. Robards la rimproverò con lo sguardo.
«Saresti pronta ad occultare delle prove ministeriali? È un reato gravissimo, Tonks».
Lei lo fissò imperturbabile un paio di secondi poi, senza nemmeno rendersene conto, sorrise timidamente.
«Potrei uccidere per lui, capo» rispose. «Può metterlo a verbale, se preferisce».
Rassegnato, Robards scosse il capo e si alzò in piedi, lustrandosi distrattamente i bottoni della divisa.
«Dolores Umbridge dice di poter provare l'appartenenza di Remus Lupin al branco di licantropi di Fenrir Greyback». A Robards non sfuggì il lampo di orrore che aveva attraversato il volto della giovane. «Presumo tu ne sappia qualcosa» aggiunse, guardandola in tralice.
Tonks non rispose. Robards emise un pesante sospiro.
«Non dirlo troppo in giro, perlomeno» le disse. «E tieni gli occhi aperti. Non ti assicuro di poter tenere Dolores Umbridge lontana da te ancora per molto. Men che meno potrei tirarti fuori da Azkaban, se fossi arrestata per alto tradimento» concluse vagamente, avviandosi con decisione verso la porta.
«Capo» lo chiamò lei.
Robards si girò e la guardò intensamente.
«Grazie».

°°°°°°°




Mortale e tenace,
è la tua carne
a cui brama vorace.


Hai creduto, in errore,
fosse superstizione:
ne assaggerai l'orrore.




«Lynn!» esclamò Remus, voltandosi di colpo e osservando il volto segnato e sporco della giovane mannara. Dava l'impressione di essere rovinata lungo il pendio a sua volta, ma di aver avuto un atterraggio decisamente meno morbido. I suoi occhi scuri lo scrutavano terrorizzati da una stretta insenatura a pochi passi da lui. Remus s'impensierì immediatamente. «Lynn? Cosa sta succedendo?».
«Vieni via da lì!» sussurrò tremante, facendogli segno di raggiungerlo. «E non fare alcun rumore, ti scongiuro!».
Remus si voltò indietro, confuso. Alle sue spalle, si stendeva un ampio pianale roccioso, largo almeno una quarantina di piedi, che pareva penetrare a fondo fra le montagne. Non riusciva a vedere fino a che punto quell'ampio viottolo naturale sarebbe stato percorribile: dopo qualche centinaio di piedi, veniva inghiottito dall'oscurità. Continuò a guardarsi intorno, sperando di trovare la fonte della flebile luce che aleggiava lì intorno. Effettivamente, si rese conto dopo qualche secondo, vi era uno spiraglio fra le rocce, abbastanza largo per poter essere comodamente attraversato. Sarebbe stata una perfetta uscita di sicurezza, se solo non si fosse trovata ad un'altezza minima di quattrocento piedi. Osservò le rocce che impedivano l'uscita: la parete doveva essere franata ed ora era impossibile pensare di poter raggiungere la radura da quella direzione.
«BIZÈT!» urlò Lynn.
Remus girò rapidamente il capo, all'erta. Ai suoi piedi, i sassi dalle dimensioni più modeste avevano iniziato a tremare. Inquieto, sollevò lo sguardo verso l'antro oscuro. Lentamente, un forte rumore di passi iniziò a rimbombare nella cavità rocciosa. Remus si affrettò a raggiungere Lynn e si accucciò accanto a lei, allungando di tanto in tanto il capo.
«Lynn?» mormorò piano. «Cosa succede?».
Tremante, Lynn sollevò gli occhi rigati di lacrime verso di lui.
«Ha fame...».
Remus inarcò pesantemente un sopracciglio.
«Chi ha fame?» chiese.
Scrutò al di là del loro nascondiglio. Una grossa ombra oscura andava staccandosi dall'oscurità del cunicolo. Remus assottigliò gli occhi, cercando di distinguere quell'imprecisa figura. Mano a mano che questa, tuttavia, si faceva vicina, la consapevolezza di cosa realmente fosse gli gettò addosso un'ondata di puro panico.
Sette teste e un'ottantina di piedi di altezza.
Remus aprì la bocca dallo stupore.
«Non può essere...» mormorò. «È un'idra».

°°°°°°°






Rinnovo le scuse per tutti questi ritardi. Davvero, ho fatto del mio meglio, ma vengo spesso travolta dagli eventi e... non importa.
Non chiedetemi come diavolo mi è saltata in mente l'idea di un'idra che bazzica fra le montagne di Trivia. Davvero, non lo so. Stavo scrivendo il sesto capitolo, ergo era... uhm... dunque... un attimo.
Merda, era il 2007. Nemmeno sapevo cos'era una frizione. Non che ora lo sappia, ma tant'è...
Dicevo. È da cinquantaquattro capitoli che aspetto il momento buono per sguinzagliare un'idra sul cammino di Remus. Mi piace farlo soffrire, c'è poco da fare. L'idra che io ho in mente è un po' diversa da quella leggendaria: è molto più grande (ottanta piedi sono una trentina di metri) e non ha nove teste, ma sette. A spiegarvi il resto, ci pensa Remus. È molto più istruito e preparato di me, in merito.
Ed ora, scusatemi tanto, ma vado di frettissima.
Grazie a tutti quanti: vorrei avere la metà della vostra pazienza, davvero. :)
Trick


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Capitolo 62
*** Capitolo Sessantunesimo - Nella trappola del topo ***


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Diario di un Lupo
in un Branco di Lupi
(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO SESSANTUNESIMO

Nella trappola del topo
°°°°°°°




Quella mattina il gelo pareva essersi dimenticato di come il tempo andasse correndo verso la placida mitezza della stagione primaverile. Sebbene durante la settimana precedente, difatti, i primi e timidi barlumi del sole avessero indotto i più ottimisti ad abbandonare i propri pesanti cappotti di pelliccia, una miriade di variopinte sciarpe in lana e di altrettanti copricapi colorava la grigia e fosca metropoli Babbana di Londra.

Al villaggio di Hogsmeade, molte miglia più a nord della trafficata capitale, si scorgeva una sola sciarpa colorata, di proprietà dell’unica anima costretta a vagare per quelle umili stradine fin dalle prime luci dell’alba. Non che Tonks se ne lamentasse, tutt’altro: il primo turno di ronda della del giovedì, per lei, significava non vedere l’agente Dawlish fino all’ora di cena. Aveva trascorso ogni giovedì di quegli ultimi sette mesi vagando – finalmente – libera e indisturbata per il villaggio, riflettendo su quanto velocemente la propria vita si fosse inabissata nell’anarchia. A volte le pareva di stringere fra le mani della sabbia: più si stringeva attorno a qualcosa che potesse aiutarla a riemergere ancora una volta, più i suoi sforzi scivolavano via, sostituiti da sabbia sempre più fine e inarrestabile. Andava deragliando da mesi, ormai; e quanto tempo avrebbe ancora potuto sopportare quell’assurdità restava un quesito al quale non era certa di voler dare risposta.

Svoltò in un’umida strettoia di poco lontana dai Tre Manici di Scopa, stringendo con forza la bacchetta in posizione di guardia. Dopo le prime settimane trascorse a desiderare di incappare in un qualunque motivo avrebbe reso utile la sua presenza lì (una spia di bassa leva o un novello Mangiamorte, magari), aveva perso ogni speranza. Gli unici criminali a vagare indisturbati per Hogsmeade, in linea di massima, avevano un tavolo prenotato alla Testa di Porco. E Aberforth Silente, checché il Ministero potesse pensare, non aveva bisogno di quattro Auror qualificati per tenere a bada una banda di ladruncoli e blandi approfittatori.

Era appena tornata nuovamente sulla strada principale, quando avvertì un distinto rumore di passi alle proprie spalle. In un lampo, si era già voltata con la bacchetta tesa e i riflessi scattanti, pronta a fronteggiare qualunque nemico le si fosse parato davanti.

Un uomo dall'ampia fronte spaziosa e una ridicola coda di capelli ingrigiti la stava fissando con un sogghigno divertito. Teneva le mani alzate a resa, ma nei suoi occhi luccicava una scintilla di malcelato scherno. Alle sue spalle, rigidi e impettiti in strette casacche di lana nera, torreggiavano due maghi dall'aria seria e apatica, entrambi con le bacchette puntate verso il suo petto. Tonks ricordava di aver già visto il volto dell'uomo entrare e uscire dal Ministero, ma era troppo confusa per riuscire a trovare nella propria memoria un nome al quale associarlo. I due bestioni alle sue spalle, invece, le erano completamente sconosciuti. Strinse la bacchetta e la alzò con decisione.

«Abbassate le vostre bacchette, prego» scandì decisa. Chiunque avrebbe intuito che non si trattava propriamente di una richiesta.

«Agente Tonks» esordì affettatamente l'uomo dalla coda di cavallo, forzando un sorriso accondiscendente. «Suvvia, non si preoccupi. Certo non siamo malintenzionati».

Tonks gli rivolse un'occhiata gelida e mosse la punta della bacchetta con fermezza ancora maggiore.

«Giù» ordinò perentoria. «Subito».

L'uomo emise una debole risatina e scosse il capo un paio di volte, ma fece ugualmente cenno ai propri accompagnatori di rinfoderare le bacchette. Distaccati e rigidi come i manici di due scope, questi eseguirono gli ordini senza un solo battito di ciglia. Nel vederli fare ciò, Tonks iniziò ad abbassare lentamente il braccio, scrutandoli con circospezione.

«Sono Emerald Forgedawn» si presentò l'uomo, tendendole una mano inguantata. «Responsabile dell'Ufficio per il Controllo e la Regolazione delle Creature Magiche».

Tonks strabuzzò gli occhi, incapace di credere a quanto aveva appena udito.

Emerald Forgedawn, ripeté una vocina nella sua testa. Come aveva potuto essere così sciocca da non ricordarsi di quell'uomo? La voce di Gawain Robards si sovrappose improvvisamente a quella della sua mente. ''Pare che Dolores Umbridge abbia messo gli occhi su di te''.

Porca vacca.

«Mi sa che avete imboccato la direzione sbagliata, signor Forgedawn: il Ministero della Magia si trova ad almeno quattrocento miglia da qui» rispose stringata Tonks.

Uno dei due uomini taurini alle spalle di Forgedawn emise un leggero sbuffo. Forgedawn si lisciò l'assurda acconciatura e si risistemò il nodo della cravatta, prima di parlare ancora una volta.

«Al contrario, agente Tonks. È proprio lei la persona che stavamo cercando. Veniamo da Troops Road. L'agente Dawlish è stato così gentile da comunicarci dove avremmo potuto trovarla. Avrebbe voluto venire con noi, per essere naturalmente certo che non saremmo incorsi in spiacevoli incontri – siamo sempre in guerra, dopotutto... ma non credo di aver bisogno di altri rinforzi, mi capisce?» aggiunse con un'altra risata, indicando vagamente ai due maghi. «Le presento Cox e Murray». I due uomini annuirono distrattamente. «Fra i migliori elementi della nostra Unità di Cattura».

Unità di Cattura.

Tonks represse a stento il desiderio di Schiantarli tutti e tre. Avrebbe potuto far levitare i loro corpi esanimi fino al Lago Nero, darli in pasto alla Piovra Gigante e fingere si fosse trattato solo di un tragico, tragico incidente. L'idea era immensamente allettante.

«Non mi ha ancora detto per quale motivo mi stavate cercando, signore» disse semplicemente.

Cox e Murray si scambiarono due occhiate divertite; Tonks pensò che la Piovra Gigante non avrebbe mai provocato loro abbastanza dolore fisico, purtroppo. Chissà se la storia di quell'Acromantula nascosta nelle profondità della Foresta Nera era vera?

«Supponiamo che lei sia alla ricerca di un noto lestofante» iniziò Forgedawn. «E supponiamo, per assurdo, che lei conosca l'ubicazione dell'ultima fanciulla con la quale il suddetto lestofante ha avuto... be', a che fare, ecco. Se lei fosse un bravo Auror, come suppongo sia, si suppone che la fanciulla in questione sarebbe fra le sue priorità, naturalmente».

«Credo che lei supponga un po' troppo, signore» sibilò Tonks.

«Affatto, agente... affatto» mormorò sibillino Forgedawn. «Desideravo chiederle se poteva seguirci al Ministero».

Tonks trasalì.

«Prego?».

«Da lei dipende l'incolumità di molti membri della comunità magica, agente, mi auguro se ne renda conto. Abbiamo bisogno di lei. Ci segua, cortesemente. E non si preoccupi per il suo lavoro. I suoi colleghi sono già stati avvisati da un delegato del nostro ufficio».

«Scordatevelo» ribatté lei, franca. «Non potete obbligarmi».

«Temo che su questo punto lei si sbagli, agente» disse Forgedawn, infilando una mano sotto al mantello ed estraendo una ricamata pergamena sigillata. «La sua autorità di Auror è subordinata a quella di colei che mi ha dato questo e, per quanto le si sforzi di disonorarlo, lei resta una dipendente del Ministero della Magia» sogghignò. «Ho un mandato di comparizione davanti alla Corte Magica di Indagine Interna sottoscritto da Dolores Umbridge, agente».


°°°°°°°



Di teste ne ha sette;

non c'è da scherzare:

con le zanne maledette

ti può avvelenare.


Guizza fra i feroci cervelli

un settimo, immortale.

Son tutti eterni flagelli,

finché rimane la testa bestiale.


«Non può essere...» mormorò. «È un'idra».

Incapace di muoversi dallo sgomento, Remus fissava l'enorme creatura ergersi in tutta la sua altezza nell'antro oscuro. Muoveva con calma snervante ognuna delle gigantesche teste, fiutando fremente l'aria. Sebbene i suoi quattordici occhi scrutassero dietro ogni anfratto ed ogni roccia, l'Idra non pareva intenzionate a guardare in direzione della strettoia senza uscita nella quale lui e Lynn restavano nascosti. Forse, suppose Remus in un momento di improvvisa razionalità, era uscita dai propri confini; probabilmente andava cercando del cibo, e ora aveva qualche difficoltà ad adattarsi al nuovo territorio. Dopo qualche minuto trascorso a sondare ogni pietra e ogni spuntone, il gigantesco animale tornò sui propri passi, ondeggiando furiosamente la lunga coda squamata.

«Bizét» chiamò in un sussurro a malapena udibile Lynn, accoccolata ai suoi piedi. «Bizét, che cos'era... quello?».

Remus deglutì faticosamente. Il peso di quella rivelazione era oltremodo soffocante. In primo luogo, perché questa andava ad incrementare la lista di cose che avevano distrutto le sue ragionevoli convinzioni magiche e umane (come se i Pegasi non fossero abbastanza) e in secondo luogo, ovviamente, perché non riusciva a trovare un modo che avrebbe loro permesso di scappare. Vicolo cieco, un'altra volta ancora.

«Bizèt?».

«Un'Idra» rispose secco Remus, allungando il collo per controllare dove questa fosse finita. «Una creatura mitologica e leggendaria che avrebbe dovuto rimanere tale, dannazione» sbuffò. «Si può sapere perché dalle vostre parti esistono cose che non dovrebbero esistere?».

Lynn lo fissava confusa, scuotendo incerta il capo.

«Lascia stare» le disse, appoggiandosi alla parete rocciosa e grattandosi pensieroso il mento. «Dobbiamo trovare un modo per uscire di qui, prima che ad una di quelle teste torni appetito».

«Come usciremo?».

Remus la guardò intensamente e sospirò.

«Non lo so ancora» rispose laconico. «Secondo la leggenda, da ogni testa mozzata dell'Idra ne sarebbero cresciute altre due, ancora più feroci e affamate. L'unico modo per ucciderla è tagliare la testa centrale, quella immortale. Le altre moriranno con lei. Se ben ricordo, inoltre» aggiunse, passandosi una mano sul volto stanco, «il suo fiato e il suo sangue sono estremamente velenosi».

Lynn lo fissava in silenzio.

«Se solo non avessi imboccato la via per Trivia!» singhiozzò improvvisamente Lynn, coprendo il viso fra le mani e raggomitolandosi nelle ginocchia. «Ora moriremo!».

Remus sospirò e si sedette accanto a lei.

«Non è colpa tua» le disse. «Come potevi sapere della presenza di una creatura di cui non eri nemmeno a conoscenza?».

«Se io non fossi venuta, non sarebbe successo niente».

Remus le rivolse un sorriso gentile.

«Se io avessi preso un'altra direzione, non sarei qui. Se Rouge non mi avesse costretto a seguirla per queste impervie montagne, non sarei qui. Se Fenrir non si fosse allontanato dal villaggio, nessuno di noi tre sarebbe qui. Se il morbo dei Re non avesse colpito il villaggio, non saremmo qui» disse. «Non dovresti puntarti sui ''se'' della vita, Lynn: sono troppi, e troppo imprecisi».

''Devi stare lontana da me. Se dovesse succederti qualcosa... mio Dio, non so cosa farei''.

«Non è colpa tua» ripeté Remus, sinceramente convinto. «E ora, vediamo di trovare un modo per uscire da questo inferno».

Lynn sollevò gli occhi stravolti verso di lui, confusa. Remus afferrò la logora tracolla e rovesciò il contenuto davanti ai loro piedi. Scrutò torvo fra i propri oggetti un paio di secondi, inarcando pensieroso un sopracciglio.

«Abbiamo una mezza dozzina di fiammelle, poco più di una goccia di olio della Terra del Fuoco, un paio di pergamene sgualcite e--» s'interruppe, focalizzando solo in quel momento un involto logoro e asimmetrico: la pistola di Moody. Lo afferrò rapidamente e lo ricacciò in borsa, nervoso. «--e basta. Be', oserei dire che pensavo peggio».

«Pensavi peggio?» ripeté sbalordita Lynn. «Non hai nemmeno la punta di una lancia! Per tutti i cicli di Selene, che accidenti pretendi di fare?».

Remus si grattò distrattamente il mento. Prese la piccola boccette di olio e se la rigirò pensieroso nella mano destra.

«Hai mai sentito parlare di Molotov, Lynn?».


°°°°°°°



«Sei a conoscenza, mia cara, del nuovo Decreto approvato recentemente dal Ministero? Sei un'Auror, dopotutto, dovresti essere al corrente di ogni cambiamento delle norme per l'Applicazione delle Leggi Magiche».

Tonks emise uno sbuffo scocciato.

«Ne sono al corrente. Lo sono anche dei recenti trascorsi corrotti del Ministero, in effetti, ma... ops! Che sbadata! Dimentico sempre di come certi argomenti siano tabù fra queste mura».

Dolores Umbridge incrociò fra loro le dita grassocce e la fissò con uno sguardo a metà fra il pietoso e il disgustato. In entrambi i casi, Tonks sentì il mostro della rabbia ruggire furente dentro di lei. Era già la seconda volta, nell'arco di venti minuti, che provava il malsano desiderio di Schiantare qualcuno e gettarlo in pasto a una Manticora. Di questo passo, con tutta probabilità, avrebbe finito con mettere seriamente in atto i suoi piani malefici. In effetti, pensò, se fosse riuscita ad eliminare il sorriso lezioso di Dolores Umbridge dal suolo britannico avrebbe meritato una statua commemorativa, come minimo. E un paio di medaglie al valore militare, forse.

L'ufficio di Dolores Umbridge era la stanza più orripilante che Tonks avesse mai visto. Aveva sempre amato il colore rosa, per quanto non fosse mai stata – a dispetto della madre – la tipica donna elegante e femminile. Circondata da quattro mura di un opprimente rosa confetto, si sentiva nauseata. Come se non bastasse, si sentiva osservata da quei dannati gattini appesi alle pareti. Se non avessero smesso rapidamente di miagolare, li avrebbe frantumati in testa alla loro padrona nel giro di un minuto. Ormai, Tonks aveva dato per scontato il fatto che, entro l'ora di cena, avrebbe certamente preso a pugni qualcuno. Per un attimo, sperò di incrociare Mundungus Fletcher sulla via del ritorno: sarebbe stata un'ottima valvola di sfogo.

«Dov'è Remus Lupin, ora?» sibilò frenetica la donna, scrutandola con aria famelica. «Dove lo stai nascondendo?».

Tonks socchiuse gli occhi e fece un respiro profondo.

«Non-lo-so» scandì con decisione. «Quante diavolo di volte dovrò ancora dirglielo, prima che il suo cervello lo recepisca!?».

A quelle parole, la Umbridge sorrise ancora più leziosamente.

«Oh, porca vacca!» sbottò Tonks. «La pianti di sorridere così o avrà il resoconto effettivo della mia colazione! Lei è disgustosamente viscida».

«E lei potrebbe finire in un mare di guai molto, molto vasto» ribatté affettatamente la donna. «Io non le consiglio di adottare questo tono con me. Mi spiacerebbe alquanto doverla punire, agente».

«Punire?» ribatté esterrefatta Tonks. «Che diavolo pensa di poter fare? Mi tirerà per un orecchio fin quando non avrò imparato a non fornicare con i licantropi?».

«Lei sa che ci sono numerose celle ancora vuote ad Azkaban, agente Tonks?».

Tonks trasalì. Non era preparata a questo, ma non era ancora pronta a cedere terreno a quella donna disgustosa. Non potevano mandarla realmente ad Azkaban, dopotutto. Non poteva essere che una vile provocazione senza capo né coda. Non esistevano prove. In effetti, si disse, non esisteva nemmeno un reato.

«Sfido» contestò un ghigno ironico Tonks. «Con tutti i Mangiamorte che vi sono scappati sotto al naso... dovreste imparare ad abbassarlo, di tanto in tanto».

La Umbridge accusò il colpo molto meglio di quanto Tonks avesse sperato. Effettivamente, non pareva interessata ai Mangiamorte evasi più di quanto non lo fosse per la ''misteriosa'' sparizione di Remus.

«Remus Lupin è sparito dalla circolazione da oltre sei mesi» disse la Umbridge. «E sono esattamente sei mesi che il Ministero è a conoscenza della collaborazione di quell'ibrido di Fenrir Greyback con i Mangiamorte di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato».

Tonks la fissò senza aprire la bocca. Il desiderio di afferrarla per quel collo cicciottello e insaccato e strangolarla fino a vederla diventare verde diventare sempre più allettante.

«E con ciò?».

«Non le pare strano?».

«Sa cosa mi pare strano? Che io venga allontanata dal mio posto di lavoro per una simile cretinata. Ho già detto che non so dove sia Remus e mi pare di aver già messo in chiaro come la penso circa il vostro schifoso e barbaro sistema di Regolazione delle Creature Magiche. Siete dei criminali. Dovreste essere voi, quelli internati».

La Umbridge scoppiò in un'irritante risatina.

«Scoprirà presto, agente Tonks» disse, «che coprire e nascondere un licantropo, in questo periodo di riordinamento della Gran Bretagna Magica, non è considerato... ecco, legale».

Le sopracciglia di Tonks schizzarono verso l'alto.

«Adoro scoprire questi cambiamenti del dizionario inglese. Non sapevo che ''costrizione'', ''corruzione'' e ''oppressione'' fossero diventati sinonimo di ''legalità''. A quando la distorsione finale dei concetti di libertà, giustizia e uguaglianza? Vorrei essere pronta per festeggiare il lieto evento, sa».

«Lei sta deliberatamente prendendo le difese di una Creatura Oscura al servizio delle forze del Male, mia cara» le disse leziosamente la Umbridge. «Capisce cosa significhi questo per noi?».

Tonks si alzò in piedi con foga, rovesciando la sedia, e sbatté le mani sulla scrivania della Umbridge, che trasalì improvvisamente.

«Stronza» scandì Tonks. «Capisce cosa significa questo per me o ha bisogno di un fottuto disegnino?».

Girò sui tacchi e fece per avviarsi verso la porta, quando la voce civettuola della Umbridge raggiunse fastidiosamente le sue orecchie.

«Agente Tonks, forse non sono stata abbastanza chiara» disse. «Esiste un Decreto – di recente approvato, fra l'altro – che vieta le unioni fra persone normali e... be', qualunque cosa sia Remus Lupin, ad esempio».

Tonks sgranò gli occhi, sconvolta. La porta dell'Ufficio di Dolores Umbridge si aprì improvvisamente: gli agenti Cox e Murray, rigidi e impettiti quanto la prima volta in cui li aveva visti, la osservavano con un mezzo ghigno di scherno.

«Capirà, dunque, agente» continuò la Umbridge, con qualcosa di vittorioso nella voce smancerosa, «che lei ha commesso un grave, grave crimine contro la Comunità Magica».

«Che diavolo significa questo?» mormorò Tonks furente. Fece per estrarre la propria bacchetta dalla cintura, ma Cox si rivelò più veloce e preparato di lei e imprigionò i suoi polsi con un Incantesimo Incarceramus.

«Significa, agente Tonks» concluse con falsa dolcezza la Umbridge, alzandosi in piedi e scrutandola con un sorriso trionfante, «che lei è in arresto per favoreggiamento di Creature Oscure».

°°°°°°°







Sì, lo so. Sono sparita di nuovo. Mi spiace, davvero. Soprattutto perché, checché voi possiate pensare, questa volta non è realmente colpa mia. Mi si è fottuto il pc, di nuovo, ed io volevo davvero, davvero, continuare a scrivere il capitolo, ma... be', c'est la vie, come al solito.

Mi sono resa conto di essere scivolata sempre più verso un AU che, sarò sincera, non avevo completamente previsto. Voglio dire, la maggior parte delle cose le avevo già ponderate, ok, ma, ecco... oh, non importa. Non è il caso di forzare la mia ispirazione, balla già abbastanza con sua nonna (che non ho ancora capito se si possa considerare anche la mia) ed è molto, troppo, tanto permalosa.


Un grazie speciale a tutti quanti, in particolare a chi abbonderà subito i propri intenti omicidi nei confronti della sottoscritta, rea di sparire sempre per troppo, troppo tempo prima di tornare con un altro, misero capitolo. Grazie davvero.



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Capitolo 63
*** Capitolo Sessantadue - Trinomio di Auror ***


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Diario di un Lupo
in un Branco di Lupi
(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO SESSANTADUESIMO
Trinomio di Auror
°°°°°°°



«Quante dannate volte gliel'abbiamo ripetuto, eh!? E qualte altre dannattissime volte dovremmo ancora ripeterglielo!?» ringhiò Alastor Moody, zoppicando con inconsueta velocità lungo l'Atrium dell'affollato Ministero della Magia.
«Calmati, Alastor» replicò la voce calda e profonda di Kingsley Shacklebolt, facendosi largo tra due allegre e ciarliere giovani impiegate. «Silente sistemerà tutto».
Moody fece uno sbuffo spazientito.
«Sempre che trovi il tempo!» sbottò. «In questo periodo, nessuno sa dove svanisca. Mi chiedo che accidenti stia architettando, quel vecchio pazzo!».
«Io ho fiducia in lui» fu la semplice risposta di Kingsley, mentre s'insinuava nella calca di gente che riempiva uno degli ascensori.
Erano così stretti che il mento di Kingsley sfiorava le punte dei capelli di Malocchio; se Tonks fosse stata presente, si ritrovò a pensare il mago più giovane con un insolito moto di preoccupazione, avrebbe certamente fatto una battuta piuttosto impertinente a riguardo di un qualche antico rituale saffico, o cose simili. Kingsley si sarebbe limitato a sorridere e scuotere il capo, mentre Malocchio avrebbe cercato di colpirla col proprio bastone da passeggio, incurante della folla e delle loro insistenti lamentele.
«Avremmo potuto prendere il prossimo ascensore» disse. «Ora capisco come si deve sentire una Gelatina Tuttigusti+1».
«Assolutamente no, Shackelbolt» lo rimbeccò deciso Moody. «Prima arriviamo, meglio sarà per tutti».
«Anch'io sono preoccupato per Tonks» ammise roco Kingsley, chinando mestamente il capo. «Ma mi confesso abbastanza fiducioso. Se Silente è riuscito ad evitare che il Ministero espellesse Harry da Hogwarts, certo saprà evitare anche che rinchiudano Tonks ad Azkaban».
«Oh, non parlavo di Tonks» borbottò Moody, mentre l'occhio magico vorticava minaccioso all'interno dell'orbita. «Sono preoccupato per quelli dell'Unità di Cattura. A quest'ora, potrebbe averli presi tutti a pugni. Se non li ha fatti secchi, ovviamente, il che renderebbe il nostro tentativo di risparmiarle la gattabuia molto più difficile».
«Quarto Livello, Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, comprendente la Divisione Bestie, Esseri e Spiriti, l'Ufficio delle Relazioni con i Goblin e lo Sportello Consulenza Flagelli».*
«Benvenuto nell'ottavo girone dell'Inferno, Shacklebolt» ringhiò Moody con un mezzo sogghigno deformato, mentre usciva dall'ascensore e si lasciava dietro una quarantina di occhi sbalorditi. «Gli ipocriti».
Un mago da un improbabile cappello turchese e due lunghi baffi candidi si avvicinò lesto a loro, guardandosi attorno con fare cauto.
«Buongiorno, Alastor» salutò, chinando cortesemente il capo.
«'giorno, Artemis»* rispose Moody, allungando il collo e puntando l'occhio magico alle spalle dell'altro uomo. «Hai visto dove hanno portato Ninfadora?».
L'uomo fece un cenno con la mano e indicò loro una porta sul fondo del corridoio.
«La stanno trattenendo nell'Ufficio dell'Unità di Cattura. Suppongo stiano aspettando il permesso dei piani alti per ultimare la procedura d'arresto» mormorò tetro, scuotendo la testa. «Alastor, ma in che razza di guaio si è cacciata? A Ted e Andromeda verrà il crepacuore, quando lo verranno a sapere».
«Se sono sopravvissuti più di vent'anni con quell'uragano della figlia, sopravviveranno pure a questo, non temere» tagliò corto Moody, superando con poco garbo e dirigendosi a passo deciso verso l'Ufficio dell'Unità di Cattura. «Shacklebolt!» latrò.
Kingsley salutò frettolosamente l'anziano Artemis e seguì Moody lungo un corridoio praticamente deserto. Incrociarono la strada di sole due streghe, entrambe troppo indaffarate per riconoscere i due Auror.
«Mi chiedo se ci sia in mezzo anche Jacob Cox. Quell'idiota non è mai stato capace di distinguere il davanti dal didietro della propria bacchetta» ringhiò scocciato Moody. «Se Tonks si è fatta mettere sotto da lui, la Trasfigurerò in un fermacarte per la mia scrivania. Ricordamelo, Shacklebolt».
«Sì, Alastor» sospirò Kingsley, rassegnato e divertito allo stesso tempo.
Moody bussò con forza alla porta dell'Ufficio, ma non attese che qualcuno rispondesse.
«Sono Alastor Moody! Aprite immediatamente questa dannata porta, o sarò costretto a farla saltare in aria!» gridò con un tono di voce inflessibile. «Cosa che farei con grande piacere, fra l'altro!».
Si udì un rapido rumore di sedie spostate, passi affrettati e qualche incomprensibile parola. Poi, il corridoio fu invaso da una squillante voce femminile.
«Malocchio, non provare a colpire la porta, porca vacca!» strillò Tonks, inferocita. «Ci sono io, davanti!».
La serratura scattò improvvisamente e Moody spinse con decisione la porta, che si spalancò colpendo il muro. Entrò con foga nell'ufficio e analizzò ogni dettaglio con l'occhio magico. Poi, fissò entrambi gli occhi su Tonks. Era seduta su una sedia al centro della stanza, con le mani legate dietro la schiena da un Incantesimo Incarcerarmus. Aveva un'espressione feroce, gli occhi brillanti e un paio di ciocche di capelli rossi. Senza il minimo avviso, Moody sollevò il bastone e le assestò un colpo in mezzo alla testa.
«Ahia» gridò lei.
«Che ti serva di lezione» ringhiò Moody. Spostò l'occhio magico sui due maghi che stazionavo alle spalle di Tonks, mentre quello normale rimase fisso sul volto della giovane. «Cox, ragazzo, stavo giusto parlando di te a Shacklebolt, un attimo prima di entrare» disse al più alto dei due, che lo fissava con gli occhi ridotti a due fessure. «Fra parentesi, Shacklebolt, ricordami di Trasfigurare Tonks in un maledetto fermacarte».
«Cosa?» esclamò Tonks sconvolta, fissando Kingsley.
«Non credo dica sul serio» la rassicurò lui. «Come stai?».
«A parte il fatto che sono legata ad una scomoda e fottuta sedia, vorrei prendere a calci giusto un paio di dipendenti di questo dannato ufficio e sarò, con tutta probabilità, ad Azkaban nel giro di un paio di ore... divinamente, Kingsley, ti ringrazio».
«Non dovreste essere qui, signor Moody» recitò Murray, scrutando torvo entrambi gli Auror. A nessuno sfuggì il modo in cui aveva calcato la parola ''signore'': un tentativo di mettere chiaro come l'autorità di un Auror in pensione non avesse, lì dentro, alcun peso. «E nemmeno lei, agente» si rivolse a Kingsley.
«Stanavo vere Creature Oscure mentre tu ancora ciucciavi il latte di quella brava strega di tua madre, ragazzo!» latrò rabbioso Moody. «Non azzardarti a parlarmi in quel modo impertinente o ti farò provare l'ebrezza di essere uno scarabeo stercorario per il resto dei tuoi giorni!».
«Dovresti ascoltarlo, Murray» s'intromise Tonks, buttando la testa indietro per portare osservare i tre maghi. «Gliel'ho visto realmente fare. Povero Bowen...» aggiunse in tono scherzosamente dispiaciuto. «Qualunque cosa passi fra le sue mani diventa una pallina».
«Alastor ''Malocchio'' Moody» sibilò una voce fastidiosamente svenevola alle loro spalle. «Quale onore rivederla al Ministero... ancora una volta».
Kingsley ruotò rapido la testa e si spostò di qualche passo dalla porta, per permettere a Dolores Umbridge di varcare la soglia. Indossava un disgustoso completo di tweed color confetto e, sulla cima dei suoi ridicoli ricciolini, portava un cappello cloche in tinta con l'abito. I suoi grandi occhi sporgenti scivolarono su Kingsley solo pochi istanti, ma al mago non sfuggì il lampo disgustato che li attraversò. Ergendosi in tutta la sua altezza e gonfiando con fierezza il petto, rispose in egual modo alla sua occhiata. La Umbridge, incurante del ribrezzo che anche Kingsley pareva nutrire nei suoi confronti, fissò Moody con odio malcelato. L'ex Auror, d'altro canto, non si era ancora voltato verso l'entrata: il suo occhio normale continuava a squadrare torno i due uomini dinanzi a lui, mentre quello magico, ribaltato all'interno del suo stesso cranio, pareva essere puntato sulla nuova – non proprio benvenuta – arrivata. Tonks, per conto suo, la stava guardando come se non aspettasse che l'occasione per sgozzarla; il che, in effetti, era la pura verità.
«Madama Umbridge» scandì Moody con voce vibrante. «Certo l'onore non è ricambiato».
Lei fece una risatisa di scherno e si rivolse ai propri subalterni.
«Cox. Murray. Mi pareva di avervi detto che per la detenuta non era prevista alcuna visita».
«Peccato che io non sia tecnicamente detenuta, vecchia arpia» ribattè con sprezzo Tonks. «E appena mi libereranno, quel coso disgustoso che porti sulla testa te lo ritroverai nel--».
«Non ha il diritto di trattenere qui l'agente Tonks, Madama Umbridge» constatò Kingsley con voce calma, ma inflessibile. «E nemmeno l'Unità di Cattura ha questo diritto, a meno che non vogliate annoverare i Metamorfomagus nella lista di chi è soggetto alla vostra giurisdizione».
«A quanto pare, agente Kingsley» mormorò svenevola. «Nemmeno voi siete al corrente del nuovo Decreto approvato l'altro ieri dal Ministro della Magia. Il Decreto per la Tutela e la Salvaguardia di Maghi e Streghe stabilisce che--».
«Sappiamo perfettamente cosa stabilisce quel dannato Decreto» la interruppe bruscamente Moody, voltandosi e fissandola truce con entrambi gli occhi. «Non ripetermelo, maledizione, o le mie orecchie non resisteranno allo scempio».
«Scempio?» ripeté la Umbridge, sgranando gli occhi rotondi con aria sconvolta. «Lei sa cos'ha fatto la sua... protetta?» concluse orripilata. «Ha volontariamente e deliberatamente dato rifugio ad uno degli ibridi più ricercati di Gran Bretagna!».
«Chiamalo ancora così e sbatterò la tua faccia contro il muro fin quando non avrà acquistato sembianze umane!» urlò rabbiosa Tonks, picchiando con foga l'anfibio destro per terra. «Chissà che non migliori, tu, bastarda e viscida put--!».
«Tonks» la ammontì rigido Kinglsey, scutendo con decisione la testa.
Lei tacque, ma rivolse comunque al collega più anziano un'occhiata incendiaria. La Umbridge la osservò con l'espressione che avrebbe potuto avere se si fosse trovata dinanzi ad un Vermicolo spiaccicato.
«E non parliamo, poi, della sua volgare impudenza» commentò melliflua. «Non c'è da stupirsi se si ritrova a dividere il letto con immonde Creature Oscure».
«Ti trasformo in porridge a suon di sberle» sibilò furiosa Tonks. «Fosse l'ultima cosa che faccio».
«Se solo un quarto degli Auror presenti al Ministero avesse la metà delle capacità di Remus Lupin» sentenziò energico Kingsley, «non ci ritroveremmo ad affrontare questa guerra in modo così impreparato».
«È un licantropo!» strillò la Umbridge, improvvisamente infervorata.
«E uno dei giovani maghi più talentuosi che abbia mai avuto il piacere di incontrare» ribattè piccato Moody.
Tonks avvertì un tuffo al cuore e cercò di voltarsi per rivolgere uno sguardo grato a Moody, ma era in una posizione troppo angolata per poter vedere il suo volto. Si sentì di nuovo in colpa e si ripromise di inginocchiarsi davanti a lui e scongiurare il suo perdono, non appena fosse riuscita ad evitare anche questo problema. Se fosse riusciuta ad evitarlo, perlomeno.
«Remus John Lupin è indagato per furto e ricettazione di svariati manufatti magici» decretò solennemente Murray, alzando orgoglioso il mento. «Pare, inoltre, coinvolto in numerosi casi di truffa in ambito di giochi d'azzardo. Il che, come sappiamo, viola la clausola 28 del Decreto per il Controllo e la Regolazione delle Attività Non-Umane, ovvero una creatura considerata in grado di comprendere le nostri leggi non può commettere truffe ai danni di maghi o streghe».
Seguì un silenzio funereo.
«Che stronzata è mai questa!?» esordì Tonks. «Remus che fa il truffatore nei sobborghi malfamati di Londra!?». Non potè trattenere una risata, immaginando Remus seduto ad un rovinato tavolo da poker e avvolto dal fumo di sigari di scarsa fattura, circondato da tre o quattro farabutti, intento a nascondere un asso di picche sotto al risvolto della giacca e a sorseggiare innocentemente un bicchiere di bourbon scadente. «Malocchio, diglielo anche tu» disse.
Non sentendo alcun tipo di replica verso quell'accusa semplicemente assurda, Tonks sgranò gli occhi stupefatta e fissò Kingsley, il solo che fosse in grado di guardare in viso senza dover torcere completamente il collo.
Non è possibile.
«Non ne era a conoscenza, signorina Tonks?» cinguettò malignamente la Umbridge. «Questo Dipartimento ha ricevuto numerosissime denuncie a carico di Remus Lupin. La maggior parte delle quali, se può credermi, dall'estero».
«No... me lo avrebbe detto» mormorò, più se stessa che non a qualcuno dei presenti. «Malocchio?» chiese a Moody, fissando un punto indistinto nel pavimento.
«Le tue dannate leggi lo avrebbero fatto morire di fame» sentenziò Moody alla Umbridge, trattenendo a stento la rabbia. «Non è stato l'unico a doversi abbassare a fare la canaglia da taverna».
«È stata la vostra posizione estremista ad accrescere il tasso di criminalità delle persone che compaiono nei vostri archivi» aggiunse risoluto Kingsley. «Come potete avere il coraggio di condannare uomini che avete costretto a vivere in clandestinità e miseria? Se questo è lo spirito di giustizia che ci si può aspettare dal Ministero della Magia, Merlino ci salvi tutti».
«Miseria?» ripetè con una risatina la Umbridge. «Agente Kingsley, questa... persona, se così possiamo definirla, pare aver sottratto illegittimamente oltre duemila galeoni da Hengist di Sir Gifford MacFusty, pronipote di Lord Hengist di Woodcroft, che--».
«Registro delle entrate della Gringott» la interruppe infastidito Moody. «1986».
Lei strabuzzò gli occhi, confusa.
«Prego?» domandò con voce melliflua.
«Troverete una donazione anonima all'Orfanotrofio per Semiumani di Belfast che, non fosse stato per Remus, sarebbe stato chiuso a causa dei vostri costanti Decreti Anti-Ibridi» ringhiò Moody. «Avreste avuto il coraggio di sbattere in strada più di settanta bambini e ora vi--».
«Bambini!?» esclamò esterreffatto Cox. «Assassini, casomai!».
«Assassino sarai tu e quella degenere che ti ha messo al mondo, imbecille di un gorilla!» ruggì furioso Moody.
«Sta di fatto» s'intromise Kingsley, in un lampante tentativo di riprendere le redini della situazione, «che l'indagato per il quale siamo qui non è Remus, ma Tonks. E non mi pare esistano prove, contro di lei».
«È stata vista svariate volte in compagnia di Remus Lupin!» protestò con veemenza Murray, prima di essere folgorato da uno sguardo torvo di Moody.
«Non sapevo che parlare con un licantropo fosse un reato».
«Oh... non sapevo che si dicesse così, adesso!» ridacchiò Cox, guardando il collega con aria complece.
La Umbridge sorrise loro benevola, mentre Tonks, con le orecchie ovattate, continuava a fissare insistemente il pavimento.
La rivelazione dei trascorsi di Remus l'avevano lasciata senza parole. Improvvisamente, si era resa conto di non conoscere quasi nulla del suo passato, mentre lui, anche se per qualche via traversa, sapeva tutto ciò che lei aveva fatto nei suoi quasi ventiquattro anni di vita. Spesso, a Grimmauld Place, si erano ritrovati a scambiarsi divertenti aneddoti scolastici o, in qualche raro caso, inerenti alle rispettive infanzie.
Sapeva che era nato a Durham, nel nord dell'Inghilterra e che suo padre, John, era morto molto presto. Sapeva che Fenrir Greyback lo aveva morso quando ancora non aveva compiuto sei anni. Sapeva che sua madre era di origini irlandesi e che, dopo la morte del padre, si era trasferito con lei a Limerick. Le aveva raccontato la triste storia della lunga malattia della madre, dei suoi anni ad Hogwarts, della vera identità dei Malandrini e della prima guerra del mondo magico. Poi, in effetti, ciò che sapeva di lui saltava in tronco una dozzina di anni, e lei ripartiva dall'anno in cui lui aveva insegnato ad Hogwarts, fin quando non l'aveva incontrata per la prima volta. Si chiese perché non si fosse mai domandata cosa avesse fatto nei precendenti dodici anni. In effetti, ricordò improvvisamente, una volta aveva arrischiato a domandargli dove fosse stato durante il periodo di prigionia di Sirius. L'unica risposta che aveva ottenuto era stata un vago ''ho viaggiato in quarta classe, perlopiù'', seguita da un repentino cambio di argomento.
Perché non me l'hai detto? Non sarebbe cambiato nulla.
Ti avrei dato ancora più fiducia.
«L'ultima volta in cui ho visto Remus risale a Natale» decretò improvvisamente Tonks, atona. «Il vostro sporco Decreto è di due giorni fa. Sono innocente e voglio andarmane da qui».
Kingsley e Moody la osservarono entrambi intensamente, prima di scambiarsi un'occhiata eloquente.
«Tonks è innocente» ripetè con inconsueta calma Moody. «Comunque sia, non puoi muovere un dito, Umbridge. Che ti piaccia o meno, Silente è ancora in gioco» le rivolse un ghigno grottesco, «E non ti permetterà di rinchiudere uno dei suoi uomini migliori ad Azkaban».
Tonks spalancò gli occhi e una calorosa sensazione di gratitudine incendiò il suo stomaco. Kingsley le rivolse un sorriso rassicurante.
Il volto della Umbridge divenne paonazzo.
«E ora, se permettete» riprese con tono ironico, estraendo la bacchetta dalla cintura, «ho intenzione di riportarmela via. E dite a Gawain che si prende una settimana di ferie su mio ordine. Diffindo» scandì, e Tonks avvertì una meravigliosa sensazione di sollievo mentre le funi che le stringevano i polsi si allentavano e svanivano.
«Tu non hai il diritto di--!» gridò la Umbridge. «Cox! Murray! Fermateli!».
«Expelliarmus!» li precedette con incredibile rapidità Kingsley, estraendo la bacchetta prima ancora che Cox e Murray avessero posato le mani sulle proprie.
La Umbridge pareva sul punto di scoppiare.
«Quando il Ministro verrà a sapere che ti sei imposto all'autorità del suo Sottosegretario Anziano, Moody, ti farà arrestare--!».
«Va' al diavolo, Umbridge» grugnì scocciato, zoppicando verso la porta e facendo a Tonks un cenno sbrigativo con il capo. «E dì a Rufus che può accompagnarti, se lo desidera».
«Vi farò arrestare tutti!» rimbombò nel corridoio, dove ormai si erano affacciati tutti gli impiegati del quarto piano.
«Che accidenti avete da guardare!?» latrò loro Moody. «Mai visto degli Auror, da queste parti!?».
«Non del tuo calibro, Malocchio» mormorò piano Tonks, affiancandosi al proprio mentore e rivolgendogli un debole sorriso. «Grazie per... be', grazie».
Moody si fermò davanti all'ascensore e la fissò con entrambi gli occhi, in silenzio. Quando le porte si aprirono, entrarono senza scambiarsi una sola parola. Un paio di maghi e streghe li guardarono con aria estremamente curiosa. Nell'ascensore si respirava un'aria estremamente soffocante, che nulla aveva a che vedere con le sue dimensioni. Raggiunto l'Atrium, si diressero a passo svelto verso il camino più vicino.
«Alla Tana?» domandò Kingsley a Moody.
Lui si limitò ad annuire brevemente.
Kingsley si abbassò per entrare nel camino e svanì in una vampata di fiamme smeraldine. Moody e Tonks rimasero l'uno accanto a l'altra, avvolto da un imbarazzante gelo.
«Dicevo sul serio» si arrischiò ad iniziare Tonks, voltandosi per guardarlo negli occhi. «Prima. Quando ho detto che non si vedono spesso Auror del tuo calibro».
Moody pareva estremamente cupo.
«Mi hai fatto preoccupare» ammise lui piccato.
Tonks fece una smorfia.
«Scusa».
«Non scusarti. Tanto finirai per farlo di nuovo».
«Cosa?».
«Farti arrestare per non aver saputo tenere quella dannata boccaccia chiusa».
«Io non mi sono fatta arrestare!» protestò con veemenza Tonks. «Hanno provato ad incrastarmi. E in maniera ridicola, fra l'altro».
«E ci sarebbero riusciti, se non fossimo arrivati io e Kingsley».
«Non è vero».
«È vero».
«No, invece».
«Ho detto di sì».
«Vai al diavolo, Malocchio».
Lui cercò di colpirla con il proprio bastone, ma lei si rivelò più rapida ed evitò la botta. Sollevò lo sguardo su di lui con un mezzo sorriso divertito.
«Non è vero che non vorrei diventare un Auror come te, Malocchio» gli confessò sinceramente. «Sarei onorata di poter diventare in gamba solo la metà di quanto lo sei tu. Sei sempre stato il mio modello, prima di essere il mio mentore» si morse il labbro e abbassò gli occhi, arrossendo appena. «Non pensavo realmente a quello che ti ho detto alla Tana. Ero arrabbiata. Mi dispiace».
Moody respirò profondamente e le rivolse un'occhiata intensa.
«Non ero del tutto sincero quando ho detto che Silente non avrebbe permesso che ti rinchudessero ad Azkaban» borbottò lui. «La verità è che l'avrei preceduto e li avrei stesi tutti. E non gonfiarti! L'avrei fatto solo perché detesto lasciare a metà i miei lavori».
Tonks inarcò perplessa un sopracciglio.
«Non ti seguo, Malocchio».
Lui fece uno sbuffo divertito.
«La tua tecnica di combattimento è ancora grossolana. Inciampi dappertutto e dimentichi gli orari delle missioni. Sei pasticciona, ti vesti come se lavorassi in un circo e i tuoi capelli sono quanto di più indecente io abbia mai visto. La tua scrivania è scandalosa e la musica che ascolti è orribile» sentenziò con forza. «Mi mandi al diavolo e mi rimbrotti quando credi che io stia sbagliando. Alzi la voce con il sottoscritto, il tuo superiore e il tuo maestro. Sei così maliziosa che getteresti nell'imbarazzo una ballerina di can can. Sei irritante, irriverente e non sai mai quando è ora di tenere a freno la lingua. Ti cacci sempre nei guai, ti distrai durante le riunioni dell'Ordine e mi fai le smorfie dietro le spalle mentre parlo – sì, so che lo fai» aggiunse divertito. «E che mi venga un accidente se non hai le palle per salire sul podio dei migliori».
Tonks sgranò gli occhi, stupita.
«Nessuna recluta mi aveva mai dato tanto filo da torcere quanto te» concluse, entrando nel camino e lanciandole un'occhiata eloquente. «E, che tu ci creda o no, sei l'unica a cui mi sono realmente affezionato».
°°°°°°°





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Io amo follemente i tre Auror della saga.
Vogliate perdonarmi se ho dedicato a loro l'intero capitolo 62 (porca vacca!), rimandando i problemi di Remus al prossimo, ma proprio non ce l'ho fatta. Per me, Kingsley è un fenomeno, Tonks è micidiale e Malocchio... è colui che sarei dovruto essere il vero padrino di Teddy, dannazione! Puah, finale Canon della coppia... mi fa deragliare la mia blanda ispirazione.
Oh, be', poco importa. Spero solo di essere riuscita a mantenere tutti i personaggi in Canon. Non sono ancora sicura del risultato.

Per quanto riguarda ''l'oscuro passato di Remus'', permettetemi di anticipare qualunque cosa stiate pensando. In nessun punto della saga ci viene detto cosa abbia fatto Remus nei dodici anni che seguirono la tragica morte di Lily e James. Ora, io-me-medesima suppongo che si semplicemente saltato da un lavoretto all'altro e abbia cercato di sopravvivere da qualche parte della Londra Babbana. Ma, chissà... c'est la vie, dopotutto. Volevo dare più phatos alla cosa. E poi mi piace l'idea di Remus bohemienne che bara a poker: è decisamente abbastanza scaltro per permetterselo, senza contare che ha avuto due compagni di dormitorio non propriamente tranquilli.

Anyway, vi comunico che sto ignobilmente sfruttando un computer dell'Università, ergo vi devo proprio abbandonare a questo tristo destino di suspence... come no.

Grazie di cuore veramente a tutti quanti.

Trick




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Capitolo 64
*** Capitolo Sessantatreesimo - Senza fiato ***


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Diario di un Lupo
in un Branco di Lupi
(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO SESSANTATREESIMO

Senza fiato
°°°°°°°




«Affinché una strategia bellica funzioni, sono fondalmente necessarie tre caratteristiche» spiegò Remus con tono tranquillo, mentre si rigirava fra le mani la piccola ampolla di Olio della Terra del Fuoco. «Primo: non bisogna mai improvvisare, a meno che non sia strettamente necessario. Secondo: devi conoscere quanto più possibile del tuo avversario, chiunque egli sia. Terzo: devi essere certo di possedere le armi e le capacità necessarie a sconfiggerlo. Ma...» sollevò gli occhi per rivolgere a Lynn un sorriso incerto, «...dal momento che noi stiamo già improvvisando, non conosciamo praticamente nulla del nostro nemico e non abbiamo affatto la certezza che ciò di cui disponiamo sia efficace... be', è fondamentalmente necessario disporre di tanta fortuna».

Accucciata alla parete rocciosa di fronte a lui, Lynn lo fissava con gli occhi sgranati dal terrore. Si mordicchiò il labbro inferiore, stringendosi nervosamente il bavero del logoro vestito.

«Tu sei pazzo» esclamò con una nota acuta di panico. «Che stai blaterando? E che diavolo è una... una... cos'è che hai detto, prima?».

«Molotov» ripeté con ferma decisione Remus. «Un esplosivo Babbano».

Lynn fece una smorfia confusa e Remus le sorrise pacato.

«Un'arma umana» aggiunse. «Piuttosto rudimentale, ma sostanzialmente efficace».

Lynn si passò una mano sul viso provato, scuotendo affranta il capo.

Strappò un lembo della manica destra della propria camicia, lo bagnò accuratamente con l'Olio della Terra del Fuoco ed iniziò ad arrotolarlo con attenzione, sotto lo sguardo spaventato e curioso di Lynn. Sollevò l'ampolla e scrutò quanta pozione era avanzata con una smorfia indispettita.

«Che c'è?» s'informò subito Lynn.

«Altro che bomba...!» sbottò piccato. «Questo è poco più di un petardo».

«Un...cosa?».

«Non importa» tagliò corto Remus. «Lynn, abbiamo solo una via di una fuga. Della quale, fra l'altro, non conosciamo la fine».

«Che vuoi dire? Che non ce ne possiamo andare?» chiese in un roco sussurro terrorizzato.

«Non lo so» confessò amaramente lui. «Non possiamo risalire la parete dalla quale sono scivolato, né possiamo sperare di passare attraverso le roccie che hanno bloccato quel passaggio» aggiunse pensieroso. «L'unica soluzione è prendere la direzione che l'Idra ha preso prima, sperando che non conduca ad un vicolo cieco».

«Cosa ci succederà se...?».

Lynn non terminò la frase, quasi non avesse il coraggio di ultimare quel drammatico pensiero. Remus la fissò intensamente.

«Tu spera solo che non lo sia» rispose franco lui. «O siamo spacciati».

«Ma deve portare da qualche parte!» ribattè con veemenza lei. «Quel mostro è andato di là!».

Remus annuì.

«Forse è intrappolata a sua volta» ipotizzò. «Potrebbe essere chiusa qui dentro da quando quella parete è crollata».

Lynn divenne ancora più pallida di quanto già non fosse.

«Se quella strada è chiusa...».

Remus le lanciò un'occhiata eloquente e annuì.

«Per tutti i viaggi di Ecate...» mormorò lei, affondando il volto nelle mani. «Che Selene ci assista».

«Proprio quello che ci mancava» ribattè sarcastico Remus, mentre infilava il pezzo di stoffa nell'ampolla e controllava che fosse abbastanza resistente. «Un'altra dose di sfortuna».

Rovistò nella saccoccia di pelle e ne estrasse un cartoccio lurido, dal quale scartò un pezzo di carne cruda discretamente grande. Gli occhi di Lynn si illuminarono famelici.

«Frena lo stomaco» la intimò con un sorriso lui. «Non è per noi».

Lei lo guardò disorientata.

«Ma io ho fame!» si lagnò.

«Anche l'Idra» ribattè Remus, scrutando fra le roccie per controllare che non vi fosse traccia della creatura. «Sarà la sua fame a portarla da noi».

«Da noi?».

«Prima o poi, verrà raggiunta dall'odore del sangue. Quando si avvicinerà alla carne, sarà troppo occupata a divorarsela per badare a noi. A quel punto, iniziamo a correre verso l'apertura dalla quale è arrivata. Dovremo correre più velocemente di quanto nessuno di noi abbia mai corso. Si accorgerà di noi e--».

«Cosa!?».

«È inevitabile, Lynn. Questo pezzo di carne, per lei, non è altro che un stuzzichino. Se lo ingoierà in pochi secondi. Non ci metterà tanto a trovare anche noi».

«E quando ci avrà scoperti?».

Remus fece un cenno all'ordigno improvvisato che stringeva in mano. Lynn era pietrifricata dal terrore.

«Funzionerà?».

«Spera che sia così, o queste maledetti pareti rocciose saranno l'ultima cosa che vedremo».

Uscì con cautela dal nascondiglio e gettò la carne a pochi metri dai massi che impedivano loro di uscire da quel cubicolo infernale di roccia. Tornò accanto a Lynn e infilò la borsa sulle spalle. Lei lo fissò angosciata.

«E adesso?».

«Aspettiamo» le disse lui. «Potrebbe volerci un po'».

°°°°°°°





Non appena udirono il sordo rimbomdo dei passi dell'Idra, s'irrigidirono entrambi. Si scambiarono un'occhiata nervosa, senza parlare.

Tum. Tum. Tum.

Remus non era in grado di capire se quel suono fosse prodotto dal rapido incedere della creatura o dal suo battito cardiaco. In qualunque caso, era necessario che mantenesse i nervi più saldi di quanto li avesse mai mantenuti; il che, probabilmente, era tutto dire. Sentiva il respiro affannato di Lynn sopra la propria spalla, mentre si sporgeva di pochi centimetri per lanciare uno sguardo indagatorio fra i massi accuminati.

Tum. Tum.

Scorse la lunga ombra dell'Idra stendersi davanti a loro; si ritrasse di colpo e si strinse maggiormente alla tracolla di pelle, agitato.

Merlino, mi manca il traffico il Londra.

L'Idra non si premurò di annusare l'aria in cerca di qualche preda: si diresse con folle determinazione verso il pezzo di carne che Remus aveva lanciato, ringhiando sommessamente. Remus sentì Lynn tremarle accanto e cercò di guardarle con un'espressione rassicurante.

«Non appena si china per addentarlo...» le sussurrò piano, «...corri come non hai mai corso in tutta la tua vita, Lynn».

La donna annuì debolmente. Le dita di Remus si serrano attorno all'ampolla, mentre stringeva una fiammella con le labbra. La grande testa dell'Idra iniziò ad avvicinarsi all'esca. Remus fece un respiro profondo e socchiuse gli occhi un istante.

«ORA!» gridò, gettandosi oltre la roccia che li aveva riparati fino a quel momento e cominciando a correre con tutta la sua forza nella direzione dalla quale l'Idra proveniva.

La creature si volse verso di loro ed emise un ruggito raggelante, mentre abbandonava il proprio pasto e s'affrettava a rincorrere le nuove prede.

«Corri, Lynn, corri!» urlò Remus, saltando con un balzo agile un masso umido e tentando di accendere la fiammella.

Dannazione.

Quando la piccola fiamma azzurrina si fu accesa, non si prese nemmeno il tempo di sentirsi rasserenato. La avvicinò con urgenza al lembo della camicia che spuntava dalla boccetta, appiccandole immediatamente fuoco. Si fermò di colpo, si voltò di scatto e lanciò con tutta la potenza che possedeva nel braccio destro. Non si premurò di controllare dove il suo ordigno artigianale fosse finito. Afferrò il polso sinistro di Lynn e riprese a correre come un forsennato. Il cuore gli batteva così rapido che credette potesse schizzargli dal petto in qualsiasi momento.

«Non fermarti, non fermarti!» le gridò di nuovo.

Un grosso boato alle loro spalle annunciò l'esplosione. Le pareti rocciose parvero tremare attorno a loro, mentre il ruggito rabbioso dell'Idra si diffondeva con la eco della montagna. Una nuvola di fiamme e fumo si levò minacciosa dietro di loro.

«Siamo morti, Bizèt!» strillò Lynn, terrorizzata.

«No, finché non smettiamo di correre!» ribattè piccato lui, continuando a trascinarsela dietro e cercando di saltare quanti più massi possibili senza incespicare.

«Il fuoco! Il fuoco!».

Con un improvviso spirito di sopravvivvenza, Remus si gettò in un'insenatura fra le roccie e, spingendosi dietro anche la donna, si accovacciò dietro ad una grossa roccia.

«Sta giù!» la ammonì, mentre le fiamme lambivano davanti a loro.

Qualche istante dopo, rimasero circondati da una coltre di spesso fumo nero e un inquietante silenzio. Senza lasciare la mano di Lynn, Remus uscì da quell'improvvisato riparo e tentò di scrutare nel fumo con ansia, quasi temesse di veder riemergere l'Idra da un momento all'altro. Deglutì stentatamente e procedette ancora nella sua corsa, con Lynn a seguire la sua scia.

Corsero al massimo della loro velocità per parecchi minuti, tentando di mettere fra loro e l'Idra quante più miglia fossero possibili. D'un tratto, Lynn si fermò di colpo, si lasciò cadere a terra e si strinse il petto.

«Bizèt...» mormorò senza fiato. «Bizèt, non ce la faccio più...».

Stremato, Remus si fermò a sua volta e si appoggiò alla parete, respirando affanosamente.

«Credi sia morta...?» gli domandò Lynn, sollevando gli occhi lucidi verso di lui con aria preoccupata.

Remus scosse il capo.

«Non ne ho idea» rispose mestamente. «Ma non ho intenzione di tornare indietro per controllare».

Lei ridacchiò nervosamente, mentre Remus le sorrideva gentile.

«Bizèt».

Lui la guardò interrogativo.

Nonostante la penombra, Remus si accorse di come fosse improvvisamente arrossita. Lynn chinò con aria colpevole il capo, mordicchiandosi il labbro inferiore e stringendo le mani al grembo.

«Mi dispiace».

Dopo aver strabuzzato gli occhi un paio di volte e aver superato l'iniziale stupore, Remus le rivolse uno sguardo comprensivo.

«Non volevo accusarti di aver ucciso mio padre» continuò lei rapidamente. «So che avresti voluto salvarlo». Tirò su col naso e si passò la manica logora sul viso. «Non so perché mi sia venuto in mente di venire qui... non avrei dovuto. Pensavo... pensavo che Selene avrebbe capito. Se solo... se solo potessi avere un bambino...» singhiozzò. «Mio padre potrebbe essere fiero di me. Della Pandia del branco...».

Remus le si avvicinò e si sedette accanto a lei. Posò la mano sinistra sulle sue mani e le sorrise con premura.

«Tuo padre è sempre stato fiero di te» le disse. «Ed era fiero di sua figlia Lynn, non della Pandia del branco».

Lynn sollevò il viso rigato verso di lui, si gettò sulla sua spalla destra ed esplose in un pianto sommesso.

«Mi manca così tanto...».

«Lo so».

«Hai salvato Yurk e gli altri dal morbo...».

«Lo so».

«Perché lui non ti ha permesso di provare?».

«Non sarebbe cambiato nulla» le rispose contrito. «Mi dispiace, Lynn».

«Avevi detto di capirmi».

Remus inarcò perplesso un sopracciglio.

«Scusa?».

«Quando lui è morto, mi hai detto che capivi...» lo guardò con gli occhi socchiusi e una smorfia addolorata sul viso sporco.

Remus fece un sorriso storto.

«Avevo sette anni quando mio padre morì» le rispose mesto. «E una dozzina di più quando mi lasciò anche mia madre. So cosa significa perdere un genitore, purtroppo».

Lynn fu scossa da un'altro singhiozzo.

«Sono stata così stupida...».

Remus le accarezzò gentilmente i capelli scuri, sorridendo placidamente.

«I nostri errori sono la nostra esperienza» la rassicurò. «Se riesci a tenerlo a mente, potrai sfruttare anche i tuoi fallimenti».

«Parli come un umano» commentò Lynn dopo qualche istante di silenzio.

«Mi dispiace» fu la sola giustificazione di Remus.

Lei scosse il capo.

«Non scusarti» disse. «Non credo mi dia così tanto fastidio»:

Remus aveva aperto la bocca quando una voce acuta risuonò sopra le loro teste.

«DAMERINO!» gridò Rouge, sporgendosi da un passaggio fra le roccie ad una trentina di piedi da loro. «Razza di ridicolo licantropo addomesticato, che diavolo ci fai laggiù!? Ti avevo detto di controllare la zona orientale!».

«Rouge!» urlò Remus, alzandosi di scatto in piedi e avvertendo il mostro della speranza ruggire dentro il petto. «Rouge, sia ringraziata qualunque divinità siete soliti ringraziare! Tiraci fuori da qui, per favore!».

Solo in quel momento, Rouge si accorse della silenziosa figura seduta alle spalle di Remus. Sospirò, fece una smorfia scocciata e si rivolse a Lynn:

«È stata una vacanza piacevole, Lynn!?».

«Rouge, non adesso, per piacere...!» la pregò Remus. «Come facciamo ad uscire da qui?».

«Credo di aver visto un passaggio accessibile da quella parte!» urlò. «Proprio lì, alla tua sinistra!».

«Lynn» disse Remus alla donna dietro di lui, tendendogli una mano con un sorriso divertito. «Ricordami di ringraziare Selene per questo colpo di fortuna».

°°°°°°°




Remus aveva sperato che il viaggio di ritorno attraverso le radure di Trivia sarebbe stato, bene o male, piuttosto riposante, considerando la fatica fisica che tutti loro avevano fatto. A quanto pare, tuttavia, i rancori delle tue mannare che lo accompagnavano erano più resistenti dello sfiaccamento stesso.

«Non posso credere che tu sia stata così insensata da avventurati a Trivia!» stava gridando Rouge, mentre attraversavano a grandi passi la verdeggiante prateria. «Dove diavolo avevi le orecchie quando ci raccontavano di cosa succedeva a chi s'arrischiava a raggiungerle, eh!?».

«Se tu imparassi a stare al tuo posto, io non avrei avuto bisogno di farlo!» ribattè piccata Lynn, scuotendo la lunga chioma corvina e rivolgendole una smorfia stizzita.

Remus sollevò gli occhi al cielo e fece un respiro profondo.

«Lynn... Rouge...» mormorò con voce fiacca, tristemente consapevole di quanto vano fosse il suo tentativo di ripristinare la calma.

O il silenzio, perlomeno.

«Al mio posto!? Questo è il mio posto!» strillò Rouge, fermandosi per fronteggiarla.

I capelli crespi le incorniciavano il volto come una criniera selvaggia, mentre gli occhi dardeggiavano famelici. Remus non ricordava di aver mai visto una donna dall'aspetto più pericoloso in tutta la sua vita; forse, poteva competere con la sola Bellatrix Lestrange.

«Io sono la seconda del branco!».

«Ma vuoi diventare il capo!».

«Certo che lo voglio, razza di idiota!».

«Non chiamarmi idiota, Clandestina! Quel posto appartiene a mio figlio! È un suo diritto! Io sono la Pandia!».

«Tu non ce l'hai, un figlio!» la rimbeccò astiosa Rouge.

«Ma lo avrò un giorno!».

«Basta!» gridò Remus scocciato, aggiustandosi la tracolla e superandole di gran lena. «Un'altra parola e mi farete venire un'esaurimento».

«Damerino, non--!».

«Non provarci, Rouge» la interruppe lui con l'indice alzato. «Ho attraversato metà isola di Jura di corsa per raggiungere queste dannate radure, ho quasi rischiato un infarto cercando di non perdere il tuo passo, mi sono perso in quel dedalo infernale di punte e burroni, sono caduto da un altezza di dieci piedi – dieci! -mi sono imbattuto in un'Idra – che non dovrebbero nemmeno esistere, miseria! - e ho dovuto costruire una molotov con un pezzo della mia camicia!» sbottò. «Che è l'unica che possiedo al momento, fra l'altro! Perciò, vogliate scusarmi se non tollererò oltre i vostri assurdi battibecchi».

Le superò ad ampie falcate e le salutò con la mano, incurante delle loro grida.

«Merlino, ho bisogno di whiskey».

°°°°°°°










Non sono minimamente soddisfatta di questo capitolo, ma tant'è...

Chiedo umilmente perdono per la mia recente sparizione – per quanto ormai sia un classico – ma sono in periodo di esami e la mia ispirazione strascica.

Forse, ho reso Remus un poco OOC nell'ultima parte del capitolo; ripensandoci, però, mi sembra il minimo perdere un attimo il controllo dopo tutto quello che gli sto facendo passare. Voglio dire, io avrei probabilmente ucciso qualcosa, nei suoi panni.


Spero, piuttosto, di essere riuscita a farvi apprezzare un pochino Lynn; mi dispiaceva che stesse così antipatica a tutti, dal momento che non è cattiva come sembra.


DanyCullen: Sono contenta ti sia piaciuto il rapporto fra Moody e Tonks. Sono fra i miei personaggi preferiti e adoro scrivere di loro. Ergo, sono decisamente di parte. :) Grazie mille, spero che anche questo capitolo del piffero – proprio del piffero, mi fa sempre più schifo – possa piacerti.

BabyBetta92: Grazie mille! Spero ti possano piacere anche gli altri. Questo, mi spiace, ma non lo prendo nemmeno in considerazione...

hermione616: No, be'... sarebbe stato allucinante se avessero portato Tonks ad Azkaban. E poi, checché dicesse la Umbridge, non credo sarebbe stato legale. Spero che tu sia rimasta meno delusa di me da questo capitolo. Grazie mille. :)

trullitrulli: Anch'io volevo che Moody la prendesse a calci, ma poi ho temuto potesse perdere l'equilibrio. :) Ovviamente non è vero. Anch'io credo sia improbabile che Remus abbia fatto ''la canaglia'' nei dodici anni di prigionia di Sirius, ma la tentazione è stata troppo forte, mi spiace. :) Indubbiamente, avrebbe l'astuzia per barare almeno un migliaia di volte al giorno, ma è troppo moralista per farlo. Peccato, sarebbe stato un ottimo ricettatore. :)

frutti_di_bosco: Sono contenta che ti sia piaciuto. Lo scorso capitolo è anche uno dei miei preferiti. Davvero non immagini Remus che bara a poker? E dire che per me è calzante! :) No, non è vero. È molto azzardata come ipotesi, ma visto che non sappiamo nulla di ciò che ha fatto dopo la morte di James e Lily... ho una fantasia criminale, che posso farci? :) Vedrò cosa posso fare con la Rospa, ad ogni modo. :)

_Christine_: Accidenti. Mi spiace per il succo. :) Grazie mille, sono contenta che ti siano piaciuti i miei Auror. Io li adoro, letteralmente. Quanto vorrei avere Moody come professore. Non chiedermi di cosa, perché proprio non me la sento di risponderti: ''storia della filosofia moderna''. :)

Kikkina90: Proprio Gambit. :) Sarebbe stato un battesimo da annali, indubbiamente. Bella l'immagine di Moodu che analizza l'acquasantiera. Molto filosofica. :) Grazie mille, spero che anche questo ti sia piaciuto. A me, no. :)

lyrapotter: Grazie del perdono. Perché sono stata perdonata, vero? :) Non mi sono venuti in mente altri sinonimi, perciò grazie mille! Per me, Tonks è uno di quei personaggi che manderebbe al diavolo lo stesso Satana. Una di quella che ti saluta con un pugno al nervo e ti fa imprecare in ostrogoto. Quella che non dice mai ''sei pazzo'', ma ''sei flippato''. Quella che ogni tre parole è una parolaccia. Quella che di femminile ha ben poco, ma è trenta volte più sexy di qualunque Velina, Letterina, o come diavolo le chiamano adesso. :) Be', non potevo mica tenere due dei miei personaggi preferiti in lite perenne, ti pare? Moody e Tonks devono andare d'accordo, sennò io non mi diverto più! :) Capisco che il tuo ''sempiterno amore per Remus'' abbia vaccillato. A me succede fin troppo spesso, quando inciampo su Sirius, Severus, Moody, Neville, Kingsley, Aberforth, Scrimgeour (sì, Scrimgeour) e Ted Tonks. E anche Teddy, va'. Ripensandoci, Remus fatica a tenere il primo posto nella mia top-list. Ma a chi voglio darla a bere? Lui è il marito ideale, checché io voglia cercare di essere di mente aperta. :) Di nuovo, farò del mio meglio – peggio – per sistemare la Rospa. Grazie mille per la chilometrica recensione! :)

SakiJune: Smettila di sbavare sullo schermo, che poi ti esplodono i cristalli liquidi e non puoi più scrivere. E noi ci arrabbiamo. :) (Quando parli di Moody fai paura, Saki... :D). Non hai mai pensato che Remus sia un onesto dispensatore di cioccolata? BRAVA! Lui è il figo bohemienne, punto, stop, fine e a capo. Nella mia testa, perlomeno. :) Sei la solita esagerata dei complimenti! Un bacione colossale e sbavoso alla mia Malocchiomane preferita. :D


Con la speranza di passare l'esame di spagnolo – Merlino, se preno 18 esco per l'aperitivo vestita da suora, giuro! - e di non tardare troppo con il prossimo capitolo.


Grazie a tutti quelli che non demordono e continuano a sopportare i miei allucinanti ritardi.


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Capitolo 65
*** Capitolo Sessantaquattresimo - Ogni cosa ha il suo perché ***


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Diario di un Lupo
in un Branco di Lupi
(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO SESSANTAQUATTRESIMO

Ogni cosa ha il suo perché

°°°°




Sbuffando a causa del vento che continuava a scompigliarle la lunga chioma bionda e fissando contrariata l'erba troppo lunga, Fleur attraversò il giardino dietro alla Tana. Sollevò la mano destra per ripararsi dal sole e fissò in direzione della piccola collinetta che si stendeva verdeggiante dinnanzi a lei. Le occorsero un paio di minuti per individuare la figura stesa a terra. Diede un'altra occhiata critica alla collina e decise di Smaterializzarsi direttamente in cima.

Tonks trasalì al suo forte crac e si sollevò con un guizzo nervoso verso di lei, impugnando saldamente la bacchetta.

«Par blue, Tonks!» esclamò allarmata, arretrando di qualche passo. «Tieni la bacchetta e stai calme, o mi farai scoppiare il cœur!».

Tonks sbattè un paio di volte le palpebre e scosse il capo.

«Scusa» disse, riponendo la bacchetta nella tasca posteriore dei jeans. «Ho i nervi un po' flippati, in questo periodo».

Fleur fece un'espressione educatamente ironica.

«C'est vrai?».

Esasperata, Tonks le rivolse nuovamente le spalle e si lasciò cadere a braccia spalancate sull'erba. Fleur la scrutò un paio di istanti, Evocò una tovaglia candida e la sistemò con meticola attenzione accanto a lei. Tonks le rivolse uno sguardo incredulo.

«È soltanto erba, Fleur».

«Oui» rispose l'altra, mentre si sedeva e iniziava a lisciare con eleganza le pieghe della gonna celeste che indossava. «E lascierebbe macchie horrifiant sulla mia veste».

Sospirando appena, Tonks tornò ad osservare con aria distante il cielo. L'estate andava sempre più avvicinandosi e le nuvole divenivano di settimana in settimana meno grigie e plumbee. Qualche uccello trillante, di tanto in tanto, si alzava già dai primi rami inverditi, e il vento, soffiando lieve fra le fronde, pareva aver lasciato al ricordo dell'inverno il suo gelo pungente.

«Dovresti essere heureuse por essere fujita dal Ministére».

Tonks roteò comicamente gli occhi.

«Cos'è che dovrei essere?» domandò stancamente.

«Heureuse. Contonta» ripeté con ovvietà Fleur, quasi ritenesse impossibile che qualcuno non conoscesse il significato di ''heureuse''. «E non lo sei. Non, non».

«No» mormorò Tonks, spostando le mani dietro alla nuca come un cuscino e cercando di evitare lo sguardo indagatore di Fleur. «Non so se esserlo».

Pensierose, le belle sopracciglia di Fleur si aggrottarono rapidamente. La giovane si grattò vagamente la guancia.

«Tu es affolé. Complétament, totalement et choquantement affolé».

«Nel caso tu abbia appena evidenziato quanto io sia ridotta da schifo, la risposta è ''oui, Fleur, la mia vita fa merde''».

Fleur arricciò le labbra contrariata – Tonks suppose che il suo pessimo accento francese ne fosse la causa principale – e scosse la testa.

«Non. Io discevo che sei matta. Pourquoi non credi di essere felisce? Potevi essere ad Ascabàn in questo momonto. Dovresti dire mercì alla tua bonne étoile, lassù» dichiarò, alzando l'indice verso il cielo.

Tonks socchiuse gli occhi e fece un grosso respiro.

«Remus mi ha mentito» esalò rapidamente. «Di nuovo».

Si accorse subito che l'impazienza con la quale aveva gettato fuori le parole non l'aveva affatto aiutata a provare meno dolore. La loro semplice pronuncia, in realtà, le rendeva vere, indipendentemente dalla rapidità con cui erano state esalate. A quel punto, si chiese se non avesse provato meno dolore a starsene zitta.

«Quoi! Che stai discendo!?» ribattè sbalordita Fleur, sporgendosi verso di lei e scrutandola con gli occhi spalancati.

«Non mi ha mai detto di aver... be', di aver tirato avanti senza...» iniziò, mordicchiandosi il labbro e muovendo la mano per aria alla ricerca di una parola propriamente adatta. «Rubava, Fleur. Ricettava roba magica e truffava al poker. Ecco cosa ha fatto dopo la caduta di Tu-Sai-Chi». Aprì gli occhi per rivolgerle uno sguardo angosciato. «E non me l'ha mai detto».

Incredula, Fleur scosse il capo un paio di volte.

«Che conneries!» esclamò indignata, «Monsieur Lupìn non farebbe jamaisjamais! – niente di simile. Chi è quell'imbéscile che lo disce!?».

«Me lo ha detto Malocchio».

Fleur tacque improvvisamente, con le labbra dischiuse in un'espressione di muta sorpresa.

«Tònks, se è vero sciò che disce, tu devi capire pourquoi l'ha fatto» le disse con voce pacata, intrecciando elegantemente le gambe e alzando a sua volta il capo verso il cielo. «Non è fascile essere un loup-garou. Non lo è qui, comme non lo è in France. Le monde è abituato a mettere tutto dentro le même sac. Ainsi finisce por diventare injusto e ai bravi hommes comme Monsiuer Lupìn vengono fatti grandi tort. Non ponso avesse altra scelta. Sci sono delle regole maléfiques por i loup-garous di tout le monde. Non puoi blâmer qualcuno che scerca solo di restare vivre».

Tonks scosse con fermezza il capo.

«Chissenefrega di quello che ha fatto. So perché lo ha fatto e tanto mi basta» sbottò con una smorfia irrequieta. «Ma non mi va giù il fatto che non me lo abbia detto. Non me lo ha detto apposta. E l'unica spiegazione che mi viene in mente è che – cazzo! - non si è mai, mai, fidato di me» scosse il capo, amareggiata. «Io mi getterei nel fuoco se lui mi assicurasse che non bruciasse. Mi fiderei di ogni sua parola. Mi sono sempre fidata di ogni sua parola».

«Tu conosci Monsieur Lupìn meglio de moi. Se sai pourquoi ha dovuto sopravvivere ainsi, pourquoi non capisci il suo silonzio?».

Tonks assottigliò gli occhi e la fissò astiosa.

«Doveva fidarsi di me!» esclamò, picchiando con foga il terriccio con il tacco degli stivali.

«Il t'aime! Qualunque cosa disce o non disce, è pourquoi ti ama realmonte, Tònks!» ribatté con altrettanta energia Fleur. Le rivolse un sorriso indulgente e le posò una mano sulla spalla. «Le persone odiano i loup-garous. Monsieur Lùpin è abituato al loro odio, non al loro amore. Tu vedi in lui sciò che gli oltri non riescono a vedere e lui lo sa. Se non ti ha detto nionte, è porquoi non voleva perdere il tuo amour. Il si fida sciecamente di te. Et t'aime».

''Io ti amo, Ninfadora. Più della mia vita; è proprio per questo che non posso permetterti di amare qualcuno come me''.

Tonks provò un'inesprimibile desiderio di picchiare qualcuno – lui, possibilmente – per la terza volta in una giornata. Inspirando profondamente e socchiudendo stremata le palpebre, si passò una mano fra i capelli scoloriti. Sbuffò e guardò abbattuta Fleur.

«Lo so» rispose. «Ma la cosa mi fa saltare ugualmente i nervi». Osservò con un ghigno di fastidio il cielo e aggiunse, ironizzando con voce funerea: «Mi ama e non vuole che lo ami. Vuole stare con me e non vuole che io stia con lui. Non vuole perdermi e vuole che io lo dimentichi. Dice che sono la sua vita e che lui deve uscire dalla mia» elencò melodrammatica. «Come cavolo ho fatto a innamorarmi di un tale complessato?».

Fleur emise una mite risatina.

«Ho bisogno di sentirmelo dire da lui» aggiunse Tonks in tono improvvisamente severo. «Ho bisogno che sia la sua voce a dirmelo».

Fleur le rivolse un lieve sorriso e le scompigliò i capelli scoloriti.

«Oui» rispose. «Lo farà».

°°°°°°°



Rouge lo fissava da diversi minuti con sguardo indagatore, come un'esperta cacciatrice in procinto di compiere lo scatto fatale per l'ignara preda. Immobile e silenziosa, lo esaminava rammendare con estrema cura qualche pezzo di straccio che doveva aver raccatato un po' di qua e un po' di là. Per i modi rapidi e frenetici della donna, il modo in cui infilava l'ago da una parte e lo sfilava dolcemente dall'altra era estenuante.

La selvaggia e impervia terra di Jura stava lentamente abbandonando il tormentoso gelo dell'inverno ed era una vera beatitudine poter godere del mite sole che illuminava le fronde – ben poco innevate, ormai – del bosco di Tupin e si rifletteva fra le piccole onde placide e limpide dell'Harrier.

Remus sedeva su uno dei massi più vicini alla riva e pareva estremamente preso dal proprio lavoro. Rouge, malamente appoggiata ad un esile tronco a pochi piedi da lui, ne esaminò ancora una volta il petto nudo.

«Perchè lo sopporti?» domandò tagliente, storcendo stizzita il naso.

Colto di sorpresa, Remus sollevò il capo verso di lei e le rivolse uno sguardo confuso.

«Prego?».

«Come puoi sopportare quello che ti fanno?».

Rouge emise uno sbuffo altero, si alzò in piedi, incrociò le braccia al petto e si avvicinò a lui con aria circospetta. Inclinò un poco il capo e sfiorò lievemente una vecchia e lunga cicatrice sul suo avambraccio sinistro.

«Hai molte cicatrice, Damerino» commentò distaccata.

«Suppongo di rientrare nella normalità» ridacchiò lui, scrutandola con un sopracciglio inarcato. «Ho la strana abitudine di ricoprirmi di zanne e artigli una volte al mese».

Alla sua ironia, Rouge arricciò contrariata le labbra.

«Dov'è la tua dignità, Lupin?».

Nuovamente spiazzato, Remus sussultò appena, posò l'abbozzo della propria casacca sulle gambe e ruotò completamente la testa per guardarla, con espressione imperturbabile.

«Non ho voglia di fare l'analisi logica dei tuoi giri di parole» la avvertì francamente.

«Non hai alcuna cicatrice sulla schiena» notò Rouge, scuotendo con disappunto il capo. «Non estese come le altre».

Remus aggrottò confuso le sopracciglia.

«Sei stato tu a fartele» aggiunse con chiaro disprezzo lei. «Che fanno, quei porci? Ti incatenano, forse? Ti rinchiudono in una prigione? Ti mettono il guinzaglio?».

L'espressione di Remus passò dal nervosismo al divertimento. Osservò gli occhi lucenti di rabbia della donna per qualche istante, prima soffiare vagamente divertito.

«Come lo hai capito?»,

«La schiena è la parte più distante dai nostri artigli» spiegò apatica. «E la più esposta a quelli altrui».

Remus fece un discreto cenno col capo, ma non aggiunse nient'altro.

«Perché permetti che lo facciano?» insisté lei con foga.

«Perché mi permetto di farlo, Rouge» la corresse con un sorriso triste lui.

Per la prima volta, Rouge mostrò genuno stupore per le sue parole.

«Stai scherzando».

«Affatto».

Tacque e fece un gesto d'indifferenza con le mani.

«Idiota» tagliò corto lei. «In questo modo, non fai che peggiorare le tue condizioni. Siamo nati per vivere liberi, Damerino. Non in gabbia».

Remus fece un sospiro rassegnato e si passò una mano sul volto stanco.

«Stupenda citazione. Vedrò di ricordarmene».

«Non lo farai. Non lo fai mai».

Lui le rivolse un sorriso gentile e tornò a dedicarsi al proprio vestiario, sperando che Rouge intuisse il suo desiderio di porre immediamente fine all'argomento. Lei notò la sua riluttanza e rincarò la dose.

«Perché accidenti lo fai?».

«Non potrei fare altrimenti».

«Potresti essere libero».

«Al contrario. Sarei ancor più prigioniero del terrore di aggreddire qualcuno».

Rouge lo fissò con sguardo assassino.

«Qualcuno di loro?» domandò glaciale.

«Sì, qualcuno di loro» ribatté con altrettanta forza lui, spazientito. «Tu faresti altrettanto».

Lei scoppiò in una risata maligna.

«Io?» ripeté sbalordita. «Io non farei nulla del genere per degli sporchi umani».

Remus le rivolse un'occhiata eloquente.

«Ma lo faresti per Calima. Per Trick. Per Aulos e Alceus. Lo avresti fatto per Chilone e lo faresti mille volte per il tuo branco» ribatté con un sorriso tirato. «Non chiederti perché lo faresti. Chiediti per chi».

Rouge sgranò gli occhi e lo fissò impietrita un paio di istanti, prima di scuotere incredula il capo.

«Non posso credere che tu abbia tanto riguardo per loro» sibilò. «Non sono altro che umani».

«Sono tutto ciò che ho».

«Stronzate. Il tuo posto non è fra loro».

«Dov'è il mio posto, quindi?» replicò glaciale Remus, scrutandola intensamente. «Dimmi, Rouge. Sono curioso di sentire la risposta che sto cercando da una vita».

Di nuovo, lei scosse il capo.

«Non puoi continuare a saltellare da una parte all'altra per sempre» decretò decisa. «O sei un licantropo, o sei un umano. Decidi da che parte stare, Lupin: non puoi essere entrambe le cose».

«Non sei né lupo, né uomo. Sei uno scherzo del Fato».







Sto ancora navigando. Molto, molto lentamente, ma questa long-fic, giuro, prima un po' vedrà una fine.

Sono in un orribile blocco d'ispirazione e questo misero e povero capitolo di tramite, giusto per ricordarvi che ci sono ancora, ne è la triste prova. Secondo i miei – sicuramente errati – calcoli, ho già superato abbondantemente la metà. Vedremo. :)

Perdonate se non vi ringrazio uno per uno, cosa che meritereste solo per la pazienza e la tenacia che dimostrate, ma ho rubato un computer in Università e c'è la fila che dardeggia rabbiosa verso di me.

Grazie a tutti.


Con la speranza che l'ispirazione torno in fretta, naturalmente.

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Capitolo 66
*** Capitolo Sessantacinquesimo - Preparando il tramonto ***


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Diario di un Lupo
in un Branco di Lupi
(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO SESSANTACINQUESIMO

Preparando il tramonto
°°°°°°°



«Il malcontento è aumentato da quando i bastardi umani hanno seccato Luma» affermò risoluto Aulos. «Siamo a cavallo».

«Non si parla d'altro da settimane» gli si affiancò con voce sottile Alceus. «C'è gente che sta iniziando a pensare che Fenrir stia tirando una brutta corda».

«Ma non si è ancora rotta» replicò Tyne. «Fin quando il branco sarà così spaventato, sarà difficile ribaltare la situazione. Fenrir è ancora troppo più forte di noi».

«Non per tanto» continuò con veemenza Aulos. «Non hai idea di quello che dice di lui Minsk».

«Minsk non è il branco».

«Ma in molti ascoltano Minsk» ribatté lui, piccato. «Tu che ne pensi, Bizét?».

Remus sollevò di scatto il capo e lo guardò come se si fosse accorto della sua presenza solo in quel momento. Fece un respiro profondo, pensieroso.

«La posizione di Fenrir è indubbiamente instabile. Ha perso parecchia fiducia dopo l'epidemia; in molti sono dell'idea che abbia agito senza considerare il bene del branco».

Ritta al suo fianco, Rouge emise uno sbuffo sarcastico.

«E quando mai l'ha fatto?» sbottò. «A quel maiale non interessa nient'altro che se stesso».

«Senza contare che tutti lo ritengono responsabile della morte di Luma» aggiunse con decisione Calima. «Questo non dovrebbe giocare a nostro favore?».

«Perché non possiamo semplicemente sbarazzarci di lui?» domandò d'un tratto Aulos.

«È evidente che Fenrir non si sta muovendo secondo il volere di Selene. Lei non avrebbe mai approvato che finissimo a lavorare per degli umani».

Rouge le rivolse un'occhiata sospettosa. Quando parlò, tuttavia, il suo tono era piuttosto contenuto.

«Non possiamo: scoppierebbe il caos a Jura. I suoi fedeli sono i mannari più stupidi e nerboruti».

«Pessima combinazione» mormorò mestamente Alceus.

Rouge annuì lievemente.

«Non erano niente prima che Fenrir prendesse il potere. Quando ancora Jura si teneva lontana dagli affari umani, non erano altro che grossi e stupidi licantropi. Ora, invece, si sentono importanti. Fenrir dà loro quel potere che i saggi, un tempo, gli rifiutavano in tronco. Una volta Jura non si sosteneva sulla forza degli artigli, ma sulla prontezza dei nostri spiriti. Ora non accetterebbero mai di ritornare ad essere nessuno».

«Ma non c'è altra soluzione» esclamò Calima. «Rouge, tu devi diventare il nuovo capobranco».

Rouge le rivolse un'occhiata grata.

«Su quante persone potremmo contare, Aulos?» s'informo Remus. «In quanti si stanno rendendo conto di cosa rappresenti davvero Fenrir?».

Aulos scosse il capo, incerto.

«Parecchi, Bizét. Forse, siamo anche più di loro».

«Pare si stia tirando le ruote del carro sui piedi» aggiunse Alceus.

«Ma non ci sono paragoni sul piano della forza. Fenrir e i suoi potrebbero sterminare il branco senza nemmeno versare una goccia di sudore».

«E poi ha l'appoggio di quegli umani con i mantelli neri».

«Non credo che i Mangiamorte siano un nostro problema» commentò apatico Remus. «Conosco piuttosto bene il loro modo di agire. Non stano collaborando con Fenrir: lo stanno sfruttando. E lui non se ne è ancora reso conto».

«Idiota» sibilò Rouge.

«Non credi che possano venire per aiutarlo?» chiese con sguardo interrogativo Calima.

Remus scosse con decisione il capo.

«Non credo che le sorti di Jura siano fra le loro priorità. In realtà, sono dell'idea che non muoverebbero bacchetta, in caso di ribellione».

«Ma noi lavoriamo con loro» affermò Tyne. «Gli serviamo».

«Gli serviamo tranquilli. Non possono permettersi di usare licantropi che non siano completamente servizievoli ai loro comandi. Se il branco dovesse ribellarsi a Fenrir – e a loro, di conseguenza – significherebbe che non c'è possibilità di averlo fra le proprie fila».

«E se ci obbligassero con la magia?» ipotizzò con un velo di panico Alceus.

«Che ci provino!» esclamò con impeto Aulos.

Remus ridacchiò appena.

«Non lo farebbero».

«Stai per tirare in ballo la carta dello scrupolo umano, Damerino?» replicò pungente Rouge. «Puoi aver anche girato mezzo mondo, ma con noi non attacca. Sono dei bastardi e sì, farebbero anche questo».

«I Mangiamorte non hanno scrupolo alcuno, ma ciò che sanno dei licantropi equivale a ciò che sa il resto della comunità magica. Noi non siamo ben visti da nessuna delle due fazioni. Ci ritengono un branco di rozzi e violenti individui, senza alcuna moralità o decenza».

«Bastardi» sputò duramente Aulos.

«Tuttavia, sanno che è quasi impossibile convincere un licantropo ad agire contro la propria volontà. Non esiste alcuna magia che possa farlo, nemmeno le più tremende» riprese Remus. «In virtù di ciò, sono abbastanza sicuro che ci abbandonerebbero a noi stessi e si muoverebbero verso alleanze più facili da mantenere. Giganti e troll, in primis. Non spiccano per coscienza di se stessi e non chiedono nient'altro in cambio se non di poter spargere un po' di sangue qua e là. Noi siamo molto più imprevedibili».

Rimasero in silenzio qualche istante, scambiandosi occhiate pensierose e annuendo fra sé.

«Dobbiamo muoverci» sentenziò lapidaria Rouge, alzandosi dalla roccia e rivolgendo il capo in direzione di Remus. «Se aspettiamo ancora, rischiamo di farci beccare. Fenrir sarà a Londra, la prossima settimana e sarà allora che ci muoveremo. Non abbiamo più molto tempo».

«Perché tu non vai con lui?» domandò debolmente Tyne.

Rouge fece uno sbuffo nervoso.

«Non si fida più di me. Di questo passo, finirà per scoprire che vogliamo farlo fuori» spiegò con voce atona. «Dobbiamo agire in fretta».

«Ma quando, Rouge?» domandò con impazienza Aulos.

La donna sollevò lo sguardo e scambiò un'occhiata eloquente con Remus. Lui annuì appena.

«Al ritorno di Fenrir» sentenziò. «Tenetevi pronti: ci aspettano giorni duri».

°°°°°°



«Potreste inciampare in qualunque genere di imprevisto ed io vi prego fortemente di agire con la conseguente cautela».

Immobili come soldatini di piombo davanti alla scrivania del Preside Silente, i quattro maghi e le due streghe si scambiarono sguardi interrogativi. Minerva McGranitt fece un profondo respiro e si aggiustò gli occhiali quadrati sul dorso del naso.

«Albus» rispose con estrema calma. «Perché?».

«Temo non sia ancora il momento delle spiegazioni, Minerva. Per ogni cosa esiste sempre una spiegazione, ma--».

«E perché cavolo non possiamo essere messi al corrente?» sbottò irritata Tonks, intrecciando capricciosamente le braccia al petto. «Noi combattiamo per lei, professore. Abbiamo giurato eterna fedeltà alla causa. Ci meritiamo di essere informati, porco l'orco».

«Tonks!» ringhiò Moody, sbattendo la punta del bastone sul pavimento a mo' di monito.

«Non chiamarmi Tonks con quel tono!».

«Tonks, devi capire che--» iniziò pacatamente Kingsley Shacklebolt.

«L'unica cosa che voglio capire è perché mi si chiede di fare quello che faccio. Io sono pronta a morire, se questo può servire alla sconfitta di Voi-Sapete-Chi. Ma gradirei sapere per cosa morire, una volta tanto. Al costo di sembrare una stronzetta maleducata e di essere malmenata da Malocchio, professore, io pretendo una risposta» aggiunse in direzione di Silente. «Perché vuole una guardia così dannatamente fornita ad Hogwarts, la prossima settimana? È prevista una scampagnata di Mangiamorte, magari? Nel qual caso, la informo che mi piacerebbe essere avvisata con il dovuto e fottutamente meritato anticipo».

«Ninfadora, il linguaggio!» la rimproverò esasperata Minerva, alzando gli occhi al cielo.

Silente posò la fronte alle dita intrecciate per un lungo ed estenuante minuto. Gli occhi di tutti i presenti erano fissi su di lui, in palpitante attesa. Mentre Severus, nella penombra, sbuffava con un lieve ghigno, l'anziano mago decise di parlare.

«Sì, Ninfadora» disse. «Quel che dici potrebbe rivelarsi vero».

«Cosa?» proruppe sbalordita Minerva. «Mangiamorte ad Hogwarts?».

«Naturalmente no, Minerva» s'intromise con voce strisciante Seveus. «Il Preside si riferiva certamente al fatto che Ninfadora fosse una stronzetta maleducata».

Tonks sollevò sfacciatamente il dito medio verso di lui.

«Contegno, dannazione!» gridò Moody. «Sei un'Auror, non una scaricatrice di Whisky Incendiario!».

«È vero, professor Silente?» domandò Kinglsey con la sua voce posata. «Potremmo davvero subire l'attacco dei Mangiamorte?».

Silente fece un laconico sospiro.

«Temo di sì, Kingsley».

«Oh, Merlino...» mormorò appena Minerva, passandosi una mano davanti al viso. «Gli studenti, Albus... non credi dovremmo avvisare le famiglie che--?».

«Mi fido di voi tutti» la interruppe con un mite sorriso Silente. «So che le mura di Hogwarts reggeranno. So che potete farcela».

Dopo un attimo di profondo silenzio, Tonks sollevò i pollici di entrambe le mani e fece un mezzo sorriso.

«Ok. Nessun problema. Mi bastava sapere che cavolo succede» disse. «Noi siamo con lei, professore. Fino alla fine.».

Silente la fissò con gentile paternalismo.

Prego affinché nessuno di voi arrivi mai alla fine in cui sono precipitato io, mia cara.


°°°°°°


«Riporta Remus a Londra, Severus. Il suo aiuto è necessario qui, ora».

«La missione di Lupin è stata un totale fallimento» sputò con disprezzo Seveus, voltando con decisione il capo verso la finestra. «Lupin si è rilevato completamente incapace di gestire la situazione e--».

«Severus» lo interruppe Silente. «Ti prego».

Con un ultimo sbuffo stizzito, Severus si alzò dalla sedia, si aggiustò appena il mantello nero e si diresse a lunghe falcate verso la porta dell'ufficio del Preside.

«Le tue preghiere iniziano a stancarmi, Albus».







Perdono. Perdono. Perdono.

Purtroppo, è stato piuttosto difficile riprendere in mano questa povera long-fic e, sicuramente, i prossimi aggiornamenti rischiano di essere – al solito – abbastanza anarchici. Chiedo venia, ma tempo e ispirazione paiono essersi coalizzati contro la sottoscritta. Vedrò di fare il possibile per riprendere il moto di questa storia.

Un grazie gigantesco a voi tutti.

Trick

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Capitolo 67
*** Capitolo Sessantaseiesimo - Questione di scelte ***


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Diario di un Lupo
in un Branco di Lupi
(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO SESSANTASEIEIMO
Questione di scelte
°°°°°°°



I piedi di Remus sembravano volare sull'erba alta del lungo argine del fiume Shannon. Lo risalì con un balzo felino – ben più agile di quanto non avrebbe mai pensato di essere – e scivolò con inaudita rapidità nell'altro versante. Costeggiò le placide acque cristalline a grandi falcate, sfrecciando in direzione dei confini settentrionali del bosco di Tupin.
Il suo cuore pompava ad un ritmo frenetico e il suo cervello pareva aver perso la capacità di avvertire la stanchezza. Da quando uno degli allocchi di Hogwarts gli aveva recapitato il messaggio di Severus Piton, era entrato in una sorta di limbo mentale e aveva iniziato a correre come un forsennato.
Doveva essere accaduto qualcosa di grave.
Molto grave, se valeva la pena rischiare che la missiva venisse intercettata.
Gli servirono solo pochi istanti per coprire la considerevole distanza di cinquemila piedi che lo separavano dalle prime betulle candide. Notò l'alta e scura figura di Severus appoggiata ad un albero, con le braccia incrociata e il volto arcigno fisso nella sua direzione. Accelerò in un ultimo ed estenuante scatto e si bloccò davanti a lui, piegandosi in avanti per lo sfinimento e l'angoscia. Si resse con forza alle ginocchia e scrutò l'altro fra le ciocche scomposte di capelli, respirando affannosamente.
«Che diavolo è successo?» boccheggiò impaziente.
Severus lo studiò con un'occhiata malignamente critica e parve trattenere a stento un commento sulle condizioni dei suoi abiti e del suo volto pallido e tirato.
«Silente ti vuole a Londra al più presto. Pulito, se posso permettermi di avanzare la richiesta. Sono riuscito a sentire il tuo odore prima ancora di vederti ruzzolare fra le sterpaglie».
In una diversa occasione, il vecchio Malandrino che ancora albergava in Remus avrebbe osservato che, con una simile appendice nasale, anche lui avrebbe potuto ottenere lo stesso risultato. In quel momento, tuttavia, era così stanco e confuso che nessuna delle provocazioni di Severus avrebbe potuto agitarlo.
«Tornare a Londra? Che significa?» domandò in un soffio.
Le labbra di Severus si piegarono in un ghigno sprezzante e fastidioso.
«A Londra, Lupin. Dove, ringraziando Salzar ed escludendo gli individui come te, sopravvivono ancora cose chiamate comune decenza e umana civiltà».
Remus scosse un paio di volte il capo e mosse sbrigativamente la mano per aria, irrequieto.
«Cos'è successo, Severus?».
«Silente vuole che torni a Londra al più presto» ripeté con voce annoiata Severus «Fra pochi giorni, Hogwarts rischia di essere attaccata dai Mangiamorte dell'Oscuro Signore e--».
«Cosa!?».
«--credo che ci sia bisogno di tempo per addomesticarti di nuovo».
«È una follia. Voldemort non attaccherà Hogwarts fin tanto che Silente sarà in grado di...» s'interruppe di colpo, pallido e sconcertato, e sgranò gli occhi in un'espressione di puro terrore. «Buon Dio. Lui vuole uccidere Silente».
Severus lo fissò per un lungo silenzio con espressione indecifrabile.
«No» soffiò appena.
Ruotò sui tacchi senza aggiungere altro, ma Remus lo bloccò per il polso e lo trattenne con incredibile forza.
«Severus, cosa--?»-
«Smaterializzati alla Testa di Porco, non andartene in giro e aspetta nuovi ordini. Quella catapecchia è circondata da Incantesimi Ostacolanti».
«Per ostacolare chi, esattamente?» s'informò Remus, confuso.
«Sei ricercato dall'Unità di Cattura per reati contro la pubblica incolumità» sogghignò Severus leziosamente, liberandosi con decisione dalla sua stretta. «La tua sommaria esecuzione potrebbe rivelarsi un ottimo pretesto per prendermi una vacanza commemorativa, Lupin. Non trattenere l'istinto di andare in giro a marchiare il tuo territorio: non sia mai che le mie preghiere vengano ascoltate».
Remus lo guardò Smaterializzarsi con le labbra socchiuse e un'espressione di assoluto stupore sul volto, senza avere il tempo di fermarlo. Rimase a guardare il punto dove l'altro era svanito, si passò una mano fra i capelli e imprecò sonoramente.
Sebbene distassero oltre cento piedi, i crani impalati lungo l'argine dello Shannon sembravano deriderlo per quella dannata sfortuna. Come se a loro, morti e denigrati, fosse toccata una sorte migliore.
°°°°°°°


Remus rivolse un breve pensiero all'idea di disobbedire all'ordine di Silente. Avrebbe potuto ritardare di qualche giorno – qualche settimana, tuttalpiù - e mettere fine a quella storia tanto più grande di lui una volta per tutte. Eppure, sapeva che il rischio corso da Severus per informarlo era talmente alto da sottolineare in maniera definitiva la necessità della sua presenza ad Hogwarts.
Restare a Jura significava voltare le spalle alla guerra che aveva occupato gran parte della sua vita, ma tornare a Londra significava abbandonare l'arena della sua guerra prima ancora di aver combattuto. Avrebbe rinunciato a chiudere i conti con Greyback e con i mostri che egli aveva sempre rappresentato per lui e sapeva che difficilmente avrebbe avuto una seconda occasione. Immaginò di rimanere e uscirne vittorioso e, improvvisamente, gli balenò nella mente l'idea di restare. Avrebbe potuto abbandonare Londra, abbandonare una guerra fra maghi che l'avrebbe visto vinto da entrambe le fazioni e abbandonare i tormenti e la finzione di un'intera esistenza trascorsa nell'ombra della comunità magica? Ne avrebbe davvero avuto il coraggio?
Assolutamente no.
L'Ordine della Fenice aveva bisogno di lui, Silente aveva bisogno di lui, Harry aveva bisogno di lui. Non poteva mancare al giuramento fatto a James e Lily e insultare così crudelmente la loro memoria. Non poteva venir meno a nessuno dei giuramenti fatte quando aveva deciso di iniziare a combattere. La ferrea promessa di porre un termine alle atrocità di Lord Voldemort continuava ad ardere nel suo petto, sebbene fossero ormai trascorsi vent'anni e avesse vissuto la scomparsa di tutti coloro che l'avevano stretta.
D'un tratto, si accorse che la decisione era molto più estesa di quanto avesse ingenuamente pensato. Non aveva deciso di combattere come un mago o come un licantropo. Aveva deciso fra l'essere un mago e l'essere un licantropo – e aveva scelto la bacchetta.
«Promettimi che tornerai da me, Remus» rimbombò nella sua testa.
Tentò di ricacciare nell'oblio dell'incoscienza il ricordo della voce cristallina di Tonks ed entrò nella tenda del capobranco, tentando di non pensare a come quella scelta, in un modo o nell'altro, significasse anche scegliere lei.
°°°°°°°


«Qual'è il problema?» domandò con voce tagliente Rouge.
Dritto in piedi davanti a lei e con lo sguardo fisso sul terriccio, Remus aveva l'impressione di essere tornato uno studente del primo anno, costretto a confessare alla professoressa McGranitt l'ultima marachella dei Malandrini.
Aveva atteso mezz'ora prima di decidere se varcare o meno la soglia della tenda di Greyback. Rouge si era dimostrata una compagna molto più leale e nobile di quanto non avesse creduto, seppure a modo suo, ma Remus sapeva che avrebbe tradotto quanto stava per dirgli in un puro tradimento. Si chiese come avrebbe reagito alla notizia che avrebbe abbandonato Jura con il favore delle tenebre quella notte stessa. All'alba dell'imboscata che avrebbero teso a Greyback, eccolo in procinto di abbandonarli al loro destino. Remus si chiese come avrebbe reagito lui e si rispose che, probabilmente, una reale pugnalata alle spalle gli avrebbe procurato meno strazio.
«Damerino» lo chiamò duramente Rouge, assottigliando minacciosamente le palpebre. «Al tre ti ammazzo».
Fece un sospiro nervoso e spostò il peso da un piede all'altro.
«Ho ricevuto un messaggio di Albus Silente» iniziò con tono sommesso. Pareva che ogni parola gli costasse un anno di vita. «Devo tornare in Inghilterra».
Rouge lo fissò in silenzio per qualche istante con un'espressione indecifrabile.
«Quando?» s'informò in un sussurro impercettibile.
Remus respirò profondamente. Gli occorse tutta la propria risolutezza per sollevare gli occhi sullo sguardo insofferente di Rouge.
«Questa notte».
Lei chiuse gli occhi di scatto e assottigliò le labbra. Remus riusciva quasi ad avvertire le vibrazioni di rabbia provenire dal corpo della donna. D'un tratto, si ritrovò a chiedersi se sarebbe tornato a Londra.
«Questa notte» ripeté lei con una strana voce. «Questa notte».
«Rouge, devi--».
«Fammi capire bene, Damerino» lo interruppe bruscamente lei. Si alzò con un balzo agile da terra e si avvicinò lentamente a lui, scrutandolo fra le palpebre socchiuse. «Quello che mi stai dicendo è che... te ne tornerai in Inghilterra. Questa notte».
Remus annuì un paio di volte.
«Non posso fare altrimenti».
Lei trattenne il respiro.
«Non vuoi fare altrimenti!» strillò improvvisamente, puntando l'indice al petto di Remus. «Non hai mai voluto fare altrimenti!».
«Ti sbagli» tentò di rabbonirla lui con voce pacata. «Non avevo idea che mi avrebbero richiamato tanto presto».
«Ah! Eccolo! Eccolo che torna, il prode cane di Silente! Sempre pronto a scodinzolargli attorno e a leccargli la mano, senza rendersi conto di quanto sia ridicolo!» lo schernì con cattiveria. «Silente schiocca la dita e tu corri a riportargli il bastoncino. Mi fai pena».
Remus la guardò impassibile.
«Hai finito?».
Gonfia di rabbia, Rouge scattò impetuosamente in piedi, con i pugni stretti e tremanti e lo sguardo animato da una folle scintilla. Per la prima volta da quando aveva avuto la fortuna – o sfortuna – di conoscerla, i suoi occhi lo fissavano con totale ripugnanza. Remus si sentiva combattuto fra il muto desiderio di giustificarsi e l'amaro suono della proprio coscienza.
«Non sei né licantropo né umano. È il destino che l'ha voluto».
Remus si avvicinò al tavolo, ignorando con insistenza Rouge e infilò una mano nella borsa logora. Appoggiò sulla superficie ruvida e rovinata un involto di stoffa sotto il suo sguardo astioso e le mostrò con un vago gesto della mano la pistola lucente che Moody gli aveva consegnato mesi prima.
«È l'arma migliore di cui potrai disporre» le spiegò. Sbloccò la sicura e fece uscire il tamburo. «Questi vengono chiamati proiettili e vengono lanciati ad una velocità e con potenza incredibile attraverso questo tubo. Ne hai sei e ti consiglio caldamente di usarli con cautela, perché sono fatti interamente di argento. Non starò ad annoiarti su quanto sarebbe spiacevole per uno di noi essere colpito da uno di essi. Lo sai già».
«Non me ne frega niente».
Remus richiuse il tamburo come se lei non avesse nemmeno fiatato e tese la pistola davanti a sé con la mano destra.
«Questo è il modo più adatto per tenerla in mano. Per farla funzionare correttamente, devi abbassare questa leva per caricarla» le indicò il cane, «e questa qui per sparare un colpo» e le indicò il grilletto. «Mentre spari, devi stringere con decisione l'impugnatura, perché il contraccolpo è piuttosto forte».
«Fottiti».
«Dal momento che non hai mai sparato in vita tua, il mio consiglio è quello di--».
«Non me ne faccio niente dei tuoi consigli» sibilò furente. «Sparisci».
«--di sparare solo da distanze ravvicinate» concluse Remus, abbassando il braccio e posando la pistola sul tavolo. «Anche la più leggera ferita, se provocata da questa, per noi è fatale. Mi auguro la userai coscienziosamente».
Rouge ispirò profondamente e chiuse gli occhi, febbrile.
«Vattene» ordinò con odio. «Vattene, Lupin, e non azzardarti a tornare indietro».
Remus le rivolse un sorriso comprensivo e annuì appena, prima di volgerle le spalle – di nuovo – e dirigersi verso l'uscita della tenda. Sulla soglia, si girò un'ultima volta per guardarla, ma lei si era già ostinatamente voltata dall'altra parte.
«Buona fortuna, Rouge. Spero che un giorno riuscirai a capire la mia scelta» le disse. «Dopotutto, l'unica differenza fra la mia e la tua non sta nel perché combattiamo, ma per chi».
°°°°°°°




NdA
Sono davvero dispiaciuta per questo ritardo. Riuscite a sentire il mio tono mortificato e maledettamente contrito? Beh, sapete com'è che funziona. Esami, estate, afa, esami, ispirazione assenteista, estate, esami, afa... e puf! Chi cavolo ha voglia di accendere la testa e il pc per scrivere qualcosa di decente?
Non rischierò di azzardare un numero di capitoli finali, ma credo di poter affermare con sicurezza che, ormai e ringraziando Babbo Natale, quest'odissea di long-fiction sta per arrivare alla conclusione. Con molta più sicurezza, credo di poter affermare che passerà un ben po' di tempo prima che mi venga l'idea di gettarmi in un'impresa così masochista.
I miei polpastrelli sono troppo pigri e delicati per sopportare tutti questi capitoli.
Bien. Spero sia di vostro gradimento, nonostante l'aberrante ritardo, ma, ehi, ricordate che vi voglio bene e sono troppo giovane e carina per essere linciata.
Un grandissimo grazie a voi tutti che pazientate e un bel cinque a quelli che hanno smesso di farlo.
Lo avrei fatto probabilmente anch'io. :D

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Capitolo 68
*** Capitolo Sessantasettesimo - Fatti un bagno ***


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Diario di un Lupo
in un Branco di Lupi
(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO SESSANTASETTESIMO
Fatti un bagno
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Se c'era qualcosa che Aberforth Silente detestava più del rumore, era un rumore improvviso. Al secco fragore della Materializzazione di Remus, il cuore gli era schizzato verso la gola. Aveva estratto la bacchetta dalla tasca del suo grembiule lercio con un guizzo molto più rapido di quanto non ci sarebbe aspettato da un uomo come lui e si era voltato verso l'entrata della Testa di Porco con sguardo furioso. Quando ebbe riconosciuto il volto pallido e tirato di Remus Lupin, aveva serrato la mano nodosa attorno all'impugnatura con un bagliore minaccioso negli occhi.
«Ho finito il rum, Lupin» soffiò con rabbia.
L'altro mago lo fissò in silenzio per qualche istante, prima di sorridere impercettibilmente.
«Nessun problema. Un'Acquaviola andrà più che bene».
«Quella non la bevi mai».
«Esattamente come il rum, dettaglio del quale dovresti ricordarti decisamente bene».
Annuendo appena, Aberforth abbassò la bacchetta. Afferrò un bicchiere dal bordo rovinato, lo appoggiò bruscamente sul bancone e parve scegliere accuratamente una bottiglia giallognola dal ripiano alle sue spalle. Remus prese posto ad uno degli sgabelli di legno e lo guardò riempire il bicchiere fino all'orlo.
«Liscio?» gli chiese con la fronte aggrottata.
«Per l'amor di Merlino, Aberforth!» esclamò Remus, alzando gli occhi al cielo. «Credevo che avessimo chiarito che non sono un Mangiamorte».
«Potresti essere un Mangiamorte che non beve rum».
«Potrei, se non fosse che sarei l'unico Mangiamorte ad essere svenuto nel tuo bar dopo averne bevuto un solo bicchiere».
Aberforth emise uno sbuffo fra l'infastidito e il divertito.
«Sei sempre stato un mezzo segaiolo, Lupin» lo schernì. «Fin da ragazzino».
Remus fece un sorriso storto, sorseggiò un goccio di whisky e fece una smorfia disgustata.
«Che Godric ti perdoni, Aberforth...» commentò. «Cos'è quest'intruglio che mi stai spacciando per whisky?».
«Whisky».
«Buffo. Avrei detto lubrificante per manici di scopa».
Aberforth gettò lo strofinaccio sul bancone e lo squadrò con aria torva.
«Quel bastardo di mio fratello deve proprio trattarvi bene, voi dell'Ordine, per lamentarvi sempre della mia roba».
«Non ricordo che Hagrid abbia mai dato molta importanza alle porcherie che beve con te» ribatté con sincera perplessità.
«Beh, quel uragano in gonnella della protetta di Malocchio non la pensa così».
Nello stomaco di Remus piombò un macigno. Un po' del whisky che stava sorseggiando gli andò di traverso: si piegò sul bancone e iniziò a tossicchiare.
Era stato maledettamente bravo ad evitare di pensare a Tonks fino a quel momento – ed era oltretutto stupito di esserne stato in grado, in effetti. Sentirla citare così casualmente da Aberforth aveva riacceso in lui un conflitto incontenibile di sentimenti. Ardeva dal desiderio di rivedere il suo viso e riascoltare l'eco cristallino della sua voce, ma era anche terrorizzato al pensiero di quello che sarebbe accaduto. E sapeva perfettamente cosa sarebbe accaduto – oh, se lo sapeva! Avrebbe perso inevitabilmente il confronto, come sempre, e avrebbe dovuto cercare una repentina via di fuga per allontanarsi dalla tentazione che lei rappresentava, come sempre. E sarebbe inevitabilmente tornato, prima o poi. Non si era mai sentito così debole.
«Oh, Lupin» lo scosse Aberforth.
Remus lo fissò come se lo vedesse per la prima volta.
«Tonks è stata qui?».
«È al villaggio con un paio di Auror» spiegò con tono annoiato Aberforth, afferrando lo straccio e iniziando a spolverare senza voglia il bancone. «Viene ogni tanto».
«Come sta?» s'informò Remus, cercando di non apparire troppo interessato.
«E che ne so, io? Non sono mica il Medimago personale di voi altri, sai?».
«Ma l'avrai vista di recente, immagino. Se non alla taverna, da qualche altra parte di Hogsmeade, senz'altro. Sta bene?».
Aberforth aggrottò circospetto la fronte.
«È un tipino tosto che sa atterrare in piedi e calcia in mezzo alle gambe a tradimento».
Remus lo fissò con aria imperscrutabile per qualche istante. Poi, senza alcun preavviso, scoppiò in una fragorosa risata.
Era senz'altro la più calzante definizione di Tonks che avesse mai sentito.
«Puoi chiederglielo tu, comunque» disse ancora Aberforth, facendo un rapido cenno del capo verso l'entrata. «Mi pare di averla appena vista sbirciare dalla finestra».
°°°°°°



Tonks si trattenne a stento dal correre verso di lui per prenderlo a calci. Non avrebbe saputo dire quale fosse, esattamente, il motivo di quell'improvvisa rabbia. Sapeva solo che quando aveva riconosciuto la piega delle sue spalle magre dalla finestra della Testa di Porco si era sentita montare da una furia cieca ed una sola domanda le aveva attraversato la mente: quando diavolo pensava di avvisarmi che era già tornato? E dire che era di stanza a pochi metri da dove quel disgraziato stava sorseggiando whisky – o qualunque cosa Aberforth gli avesse venduto per tale.
Era così combattuta fra il desiderio di gettargli le braccia al collo per baciarlo o per strangolarlo, che non si era nemmeno resa conto di aver fatto irruzione nella taverna e di essersi avvicinata al bancone come se stesse marciando verso la guerra. Quando lui alzò il capo verso di lei, Tonks trasalì per la sorpresa.
Non pareva più lo stesso uomo con cui aveva trascorso i primi giorni di gennaio. I suoi capelli chiari, un po' ingrigiti attorno alle orecchie e alle tempie, gli sfioravano le spalle in ciocche aggrovigliate e disordinate – quanto lo aveva preso in giro, a Grimmauld Place, per quel ''taglio da professore''? - e parevano essere trascorse diverse settimane dall'ultima volta in cui si era rasato. Anche nei suoi occhi c'era qualcosa di strano, ma Tonks si disse che doveva essere un'impressione dovuta alla troppa mancanza. Nuovi e vistosi tagli erano comparsi sul suo volto e Tonks notò come molti di questi fossero in condizioni pietose.
«Buonasera, Ninfadora» la salutò con un roco e distante mormorio.
Tonks lo guardò intensamente negli occhi e rabbrividì nel constatare di non essersi sbagliata: i suoi occhi sembravano realmente diversi. Era possibile che fossero diventati più gialli? Era possibile che convivere con dei licantropi selvaggi lo avesse mutato fino a questo punto?
«Ninfadora?».
Lei scosse il capo e si portò una mano alla fronte.
«Scusa» gli rispose con un mezzo sorriso. «La tua folgorante bellezza mi ha ipnotizzato».
Remus non si mosse di un centimetro.
«Gradisci qualcosa da bere?» le offrì affettatamente.
Sembrava intenzionato a trattarla con cortese e distante accondiscendenza e Tonks, questo, non glielo avrebbe mai permesso.
«Se non la pianti di giocare alla dama di compagnia ti faccio mangiare tutto il galateo, Remus» sbottò stizzita Tonks, appoggiandosi con un gomito al bancone. Alzò lo sguardo verso Aberforth, che la stava scrutando con aria falsamente disinteressata.
«Hai una stanza libera?».
Il vecchio le rivolse un'occhiata penetrante e si rivolse a Remus, più minaccioso.
«Guarda che le regole della casa non sono mica cambiate, Lupin: niente risse, niente ragazzini e niente sesso».
«Non ho intenzione di seguirla in nessuna stanza» s'affrettò a calmarlo Remus, scrutando Tonks in tralice. «Ninfadora, sinceramente, non ho idea di cosa tu--».
«Non chiamarmi Ninfadora, Remus» lo interruppe lei con una smorfia di disgusto. «Sarà meglio medicarti la faccia, sempre che non sia già troppo tardi e non sia necessario strappartela di netto per evitare un'infezione o schifezze simili». Si sporse verso di lui, gli afferrò un ciuffo ingarbugliato e glielo tirò davanti agli occhi. «E non pensare di essere nemmeno remotamente affascinante per riuscire a portarti a letto una donna, al momento».
Le labbra di Remus si storsero in un sorriso divertito.
«Ti ringrazio della premura, Ninfadora» le rispose, ignorando il fremito di disapprovazione al suono del suo nome. «Ma non credo di avere bisogno né dell'una né dell'altra cosa».
«Come vuoi, ma di certo hai bisogno di un bagno» incalzò Tonks, muovendo una mano verso Aberforth con aria impaziente. «E quello, prega quanto ti pare, ma non te lo leva nessuno».
«Seconda porta a destra e niente sesso» grugnì Aberforth, sfilando una vecchia e grossa chiave arrugginita da un mazzo appeso ad un chiodo nel muro e gettandolo sul bancone. Tonks la afferrò e su diresse a grandi passi verso le scale di pietra alla sua destra.
«Vado a prepararti dell'acqua calda» lo avvisò la sua voce squillante. «Butta giù quell'intruglio whiskoso prima che ti sciolga lo stomaco».
«Ti sei fatto mettere il guinzaglio, alla fine» sentenziò tetramente Aberforth. «Devi essere proprio impazzito».
Remus ingoiò il contenuto del proprio bicchiere, si alzò e fece un sorriso triste.
«Non hai idea quanto».
°°°°°°°



I vapori caldi del bagno uniti all'aroma dolciastro delle essenze aromatiche erano un balsamo per i sensi di Remus. Sembravano trascorsi secoli dall'ultima volta in cui aveva potuto lavarsi con dell'acqua che non fosse ghiacciata. Appoggiò la nuca al bordo della vasca e rimase a fissare il soffitto con sguardo pensieroso.
Secondo le ipotesi di Silente, i Mangiamorte avrebbero attaccato Hogwarts entro breve. Nell'ottica di Remus, il fatto che Voldemort si fosse spinto a tanto significava solo una cosa: non temeva più Silente. E questa era una tragedia per tutti loro: Voldemort stava distruggendo il suo più grande nemico ed Harry, per quanto Remus ne avesse stima, non era ancora abbastanza forte per sconfiggerlo una volta per tutte.
E c'era anche la sua faccenda, da risolvere. Era ricercato dall'Unità di Cattura e Remus sapeva perfettamente – come qualsiasi altro licantropi britannico – che l'Unità di Cattura non portava altro che guai. Ricordava ancora del numero infinito di udienze che quella bastarda di Dolores Umbridge gli aveva imposto dopo la fuga di Sirius da Azkaban, tre anni prima. Essendo un licantropo, a quanto pare, era ovvio che stesse nascondendo il suo pluriomicida amico d'infanzia. Se avevano in mano qualcosa in grado di incastrarlo – e Remus sapeva che qualcosa del genere, in effetti, esisteva – lo avrebbero sbattuto ad Azkaban senza alcun indugio. Era soltanto un lupo mannaro, dopotutto.
«Ehilà».
Aprì le palpebre per vedere la sagoma fumosa di Tonks muoversi nella stanza. La vide avvicinarsi ad una sedia e appoggiarvi sopra un incarto marrone.
«Sono passata da casa mia e ti ho preso un cambio» spiegò. «Sono i vestiti che hai lasciato l'ultima volta. Il resto delle tue cose è alla Tana. Molly e Arthur hanno pensato che quelli del Ministero avrebbero cercato di farsi gli affari tuoi e hanno nascosto quella valanga di libri che ti porti dietro nel capanno delle scope».
«Non avrebbero dovuto disturbarsi».
«E tu dovresti smetterla di rompere le Pluffe quando qualcuno si interessa di te» ribatté con ferrea decisione lei, afferrando una spugna e sedendosi sul bordo della vasca alle spalle di Remus.
«Che stai facendo?» le domandò lui con una nota preoccupata.
«Levo il sudiciume da questi tagli».
«Non--».
«Lasciamelo fare» lo implorò lei in un sussurro. «Non puoi andare al San Mungo, Remus, o i Medimaghi chiameranno il Ministero».
«Vorrà dire che eviterò ferite e urti potenzialmente mortali fino alla fine della mia vita».
«Vorrà dire che dovrò prenderti a calci a rate fino alla fine della mia, di vita» sbuffò divertita Tonks. «Peccato. Sarebbe stato quanto meno soddisfacente riempirti di botte in una volta sola».
Remus ridacchiò appena.
«Chi ti ha detto che sarei arrivato questa sera?».
«Malocchio. Quella vecchia salamandra non voleva nemmeno-- oh, scusa» s'interruppe di colpo nel sentirlo emettere un gemito di dolore soffocato.
«Non preoccuparti».
«Ti fa male?».
«No, affatto».
«Che bugiardo...» scosse la testa Tonks, esasperata.
Remus socchiuse gli occhi e si concentrò sulle sensazioni che i movimenti delicati di Tonks gli stavano regalando. Se anche aveva cercato di convincersi che la distanza e il tempo sarebbero riuscite a raffreddare l'intensa e folle attrazione che provava per lei, sapeva che non le avrebbe resistito ancora per molto.
«Ci sono novità, qui?» le domandò.
«A parte tu e l'Unità di Cattura che giocate a guardie e ladri?» replicò allegramente lei. «Niente di altrettanto divertente, purtroppo. Molly e Fleur continuano a bisticciare per il colore delle tovaglie e la temperatura dei decotti, Fred e George mi hanno regalato una confezione intera di Merendine Marinare per scappare dai turni di ronda con quello scarafaggio di Ghiacciolone Dawlish, ho rotto il naso di Dung dopo averlo beccato trafficare della roba che aveva fregato a Grimmauld Place – quel piccolo figlio di una cagna! - hanno aperto quel Centro-Prigione-Stronzata per semi-umani ad Aberdeen, Malocchio e Kingsley mi hanno tirato fuori dall'ufficio di quella schifosa della Umbridge che voleva arrestarmi per aver fatto sesso con te, a quanto pare – sapevi di non poter fare sesso per legge, Remus? Dovresti essere vergine, a sentire quelli del Ministero – e poi ho dovuto spiegare a Ginny che non sono in alcun modo innamorata di Bill, e questa era proprio--».
«Cosa?» esclamò Remus, afferrandosi ai bordi della vasca e voltandosi di scatto verso di lei. «Per l'onor di Godric, di che vai blaterando?».
Lei lo guardò con espressione confusa.
«Del fatto che io non sono innamorata di Bill in alcun modo, Remus. Mi pareva che fosse piuttosto ovvio».
«Non mi interessa nulla di Bill Weasley! Voglio sapere di cosa stavi parlando prima. Che significa che ti hanno arrestata? E cos'è quel come-lo-hai-chiamato per semi-umani?».
«Oh, quello» mormorò titubante lei, grattandosi incerta una guancia. «Temevo che volessi i dettagli di quello, in effetti».
«Perché ti hanno arrestata?».
«Non mi hanno arrestata!» protestò con veemenza lei.
«Tu l'hai detto!».
«No, miseria di una sanguisuga, non l'ho detto! La Umbridge voleva arrestarmi. O, almeno, lo ha usato come pretesto per portarmi nel suo ufficio, tutto qui. Sono rimasta lì dentro giusto il tempo per esaurire il mio vocabolario personale di insulti e imprecazioni. Malocchio e Kingsley sono stati più veloci di due Firebolt».
«Perché ti ha portato nel suo ufficio?».
Tonks fece un sospiro profondo.
«Remus, che ti importa?» disse stancamente, cercando di voltarlo di nuovo. «Non è successo niente».
«Non è successo niente?» ripeté sconcertato lui, inclinando il capo. «Ninfadora, hanno cercato di arrestarti a causa mia!».
«Non avevano niente in mano, Remus, non--».
«Sapevo che sarebbe successo, prima o poi. Lo sapevo, dannazione! Sono un irresponsabile idiota. Sono il più irresponsabile degli idioti del mondo».
«Non metterei mai in discussione il fatto che tu sia idiota» aggiunse Tonks con un sogghigno spensierato.
«Ninfadora, non è il momento. Capisci quanto è stato--».
«Belfast».
Remus sbatté un paio di volte gli occhi, preso in contropiede.
«Scusa?».
«A Belfast c'è l'unico Orfanotrofio per Semi-umani di tutta la Gran Bretagna».
Il volto di Remus parve perdere improvvisamente colore. Tonks continuò, implacabile.
«Nel 1986 fu salvato da una donazione anonima di oltre duemila galeoni. Negli stessi giorni, un riccone di nome Gifford MacFusty, pronipote di un certo Lord di Woodcroft altrettanto ricco e fastidioso, ha denunciato al Ministero un furto parI a – indovina un po' – duemila galeoni. Sai qualcosa di questa faccenda, Remus?».
Lui abbassò gli occhi e parve ragionare rapidamente. Quando li sollevò verso di lei, vi era comparsa un'ombra colpevole.
«Vuole arrestarmi, agente Tonks?» sdrammatizzò con un sorriso tirato.
«No, ma potrei decidere di farti un occhio nero per non avermelo mai detto».
Lui scosse la testa.
«Non è qualcosa che avrei voluto che tu scoprissi. E non è qualcosa che coinvolge soltanto me, quindi non--».
«Perché non ti sei fidato di me?».
«Non è questione di fiducia» le disse intensamente. «Non volevo metterti in una posizione difficile. O peggio, pericolosa. Non l'ho mai confessato nemmeno ad Alastor: fu lui a scoprire quello che avevo fatto. Non hai idea di quante bastonate in mezzo alla testa mi presi per non aver rubato in maniera costantemente vigile» aggiunse con tono leggermente scherzoso. «Tutto questo è quello che sto cercando di farti capire da mesi, Ninfadora. Non vedi ciò che è la mia vita? Per oltre dodici anni non ho potuto che vivere di stenti ai margini della società, tentando di arrangiarmi con quello che trovavo in giro. Non ci sono altre possibilità, per un lupo mannaro. A parte...». Il suo sguardo s'incupì un poco. «...a parte rassegnarsi alla vita selvaggia. Ed io non ti permetterò di seguirmi in quell'inferno».
Tonks gli scostò un ciuffo di capelli dal viso e lo osservò con un sorriso sincero.
«Non sei più costretto a farlo. Puoi divertirti barando a poker con la sottoscritta, magari, ma non devi più preoccuparti di--».
«Di cosa non dovrei preoccuparmi? Dei soldi? Di un lavoro? Di darti la vita che meriti, lontano dal pericolo di essere sbranata una volta al mese? Di questo, santo cielo, non dovrei preoccuparmi?».
«Sì, non dovresti. A me non interessano i soldi. Il mio appartamento fa schifo e il mio padrone di casa è un vecchio porco, d'accordo, ma il mio stipendio è buono e possiamo cavarcela fin quando non finirà la guerra. Poi, tu sarai riconosciuto come eroe nazionale, ti richiameranno ad insegnare ad Hogwarts, diventerai un rubacuori da paura ed io dovrò costringerti a sposarmi in fretta prima che qualche altra strega si accorga di quanto tu sia irrimediabilmente sexy».
Sospirando tristemente, Remus tornò a voltarle le spalle e si lasciò scivolare nell'acqua tiepida fino al collo, appoggiando nuovamente la nuca al bordo di ceramica.
«Io sono un lupo mannaro, Ninfadora. Non diventerò un eroe nazionale, non tornerò ad insegnare ad Hogwarts e non sarò mai capace di darti tutto ciò meriti».
Tonks arricciò le labbra in un sorriso birbante.
«Sapevo che non avresti escluso la possibilità di essere un rubacuori da paura» disse. «Che egocentrico casanova».
Remus alzò gli occhi verso di lei, inarcando il sopracciglio con un'espressione fra il divertito e l'esasperato.
«Credi di essere capace di rimanere seria per almeno un paio di minuti?».
«Di norma o proprio in questo momento?».
Lui fece un gesto spazientito con la mano e scosse il capo con un lieve sorriso.
«Sei incorreggibile, Ninfadora».
«Disse il mago che non riusciva a capire che il mio nome è Tonks» scherzò lei, colpendolo appena sulla fronte.
Si chinò verso di lui, appoggiandosi con entrambi i gomiti al bordo della vasca e scrutando il suo viso al contrario.
«Sai, Remus... sarà perché vedo la tua faccia girata alla rovescia, o forse perché ce l'hai pulita, finalmente, ma mi sembri decisamente bello, dopotutto».
Remus non riuscì a trattenere una fragorosa risata.
«Sarà perché sono completamente matto, o forse perché tu lo sei decisamente più di me» riprese lui con un mezzo sorriso, sfiorandole appena la mandibola con la mano bagnata. «Ma ti amo, dopotutto».
Lei si avvicinò alle sue labbra con fare da cospiratrice.
°°°°°°°





Ok, lo so. Non importa che gridiate al massacro. Avevo perso l'ispirazione, il tempo, la voglia, poi di nuovo l'ispirazione e... alzi la mano chi si è appena reso conto che questa è diventata la mia sempiterna scusa. Io la alzo, nel dubbio.
No, davvero, scusatemi, ma questa storia è diventata davvero grossa e ne cancellerei volentieri buona parte, perché se mi capita di rileggerla mi viene quasi il voltastomaco. Beh, poco male. Apprezzo il miglioramento delle mie fan fiction e vedo di finirla in fretta, prima che sia lei ad uccidere me. Non manca moltissimo, in effetti.
Ci tengo a ringraziare tutte le 123 persone che hanno aggiunto quest'esasperante long-fic fra i preferiti, compresi i cinque che la stanno ricordando e i 75 che la stanno seguendo. Oh, e naturalmente anche le 124 persone che mi hanno aggiunta fra gli autori preferiti – che carini che siete... io non avrei la pazienza di aspettare i miei aggiornamenti.
Spero proprio di essermi sbloccata e di poter tornare presto con il prossimo capitolo, il-- un attimo... porca vacca, il settantottesimo. Settantotto capitoli! Ma chi me l'ha fatto fare!?
Un bacio pieno di gratitudine a tutti, sperando che nessuno, di nuovo, chieda la mia testa in cambio di questo ritardo.

Trick





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Capitolo 69
*** Capitolo Sessantottesimo - Volere, potere, dovere ***



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Diario di un Lupo
in un Branco di Lupi
(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO SESSANTOTTESIMO
Volere, potere, dovere
°°°°°°°




Tonks fece uno sbuffo stanco, si scostò un ciuffo di capelli sbiaditi dal volto e tornò a fissare concentrata la schiena di Remus. Era già mezz'ora che se ne stava a ginocchioni sul materasso e copriva le ferite più malridotte con delle garze imbevute di Essenza di Dittamo.
«Beh, direi che abbiamo appurato che non sarò mai brava quanto Madama Chips» scherzò improvvisamente Tonks.
«Probabilmente no, ma sei un'infermiera indiscutibilmente più graziosa».
La nota di intensa sincerità nelle parole di Remus ebbe il potere di farla arrossire. Chinò rapidamente il capo verso le bende che giacevano sul copriletto per nascondere un sorriso di inappropriato compiacimento. A volte, credeva che in Remus dimorassero due persone diverse. C'era la persona riservata e compostamente gentile che aveva conosciuto alla sua prima riunione dell'Ordine della Fenice. Apparentemente pacato e composto, quella parte di Remus era quella che temeva le opinioni della gente e la loro tacita disapprovazione. Il rigido, posato e imperturbabile Remus, che si sforzava di essere ciò che il mondo si aspettava lui fosse e nient'altro. E poi, c'era l'altro Remus, quello vero. Quello che s'intravedeva in ogni risata e in ogni guizzo divertito dello sguardo, e che le sembrava così giovane quando riusciva a lasciarsi andare.
Tonks posò entrambe le mani sulle sue spalle e si strinse a lui, posando la guancia alla sua schiena e socchiudendo gli occhi con un'espressione beata.
«Mi sei mancato così tanto» confessò con un sorriso, facendo passare le proprie braccia sotto alle sue. «Ho trascorso ogni notte di questi ultimi mesi stringendo al cuore le tue camicie e annusando il loro profumo».
Lui si voltò verso di lei con espressione indecifrabile.
«Stai scherzando di nuovo, vero?» sembrò implorarla.
Lei ridacchiò contro la sua pelle.
«Sì».
Remus le sfiorò con delicatezza le mani e Tonks si morse il labbro inferiore. Non aveva certo trascorso gli ultimi mesi a giocare alla vedova innamorata nel suo appartamento, naturalmente, ma il fatto che gli fosse mancato era una verità indiscutibile. La sua presenza era inebriante. Sentire che lui c'era, dopotutto e contro tutti, la faceva sentire viva.
Allungò il collo e gli posò un bacio sulla mandibola rasata di fresco.
«Resti, questa volta?».
Lui parve soppesare con cautela la risposta.
«Rimarrò fin quando la situazione me lo permetterà».
«Hai mai pensato alla carriera politica? Sei sempre stato bravissimo a fingere di aver detto qualcosa senza aver detto praticamente un accidente».
Remus rise.
«Dico sul serio» riprese lei con vivacità, sciogliendolo dal suo abbraccio e accoccolandosi al suo fianco come una gatta. «Mi piacerebbe essere la moglie del Ministro della Magia. Signora Ministro della Magia» recitò con enfasi. «Non suona mica male».
«Continuo a preferire Ninfadora».
Lei si finse offesa e lo colpì al braccio destro. Sorridendo senza allegria, Remus si sfregò appena la zona colpita e le rivolse uno sguardo penetrante. Tonks dovette richiamare tutto il proprio controllo sull'attenti per evitare di saltargli addosso – Morgana, quanto amava i suoi occhi!
«Lo stiamo facendo di nuovo» disse Remus d'un tratto.
«Cosa?».
«Fingere che vada tutto bene».
«Oh».
Rimasero entrambi in silenzio per qualche istante.
«Potremmo provare a fare le persone normali» propose lei con un cipiglio sarcastico. «Tipo tu che mi inviti fuori a cena cercando di sedurmi e io che civetto con te fin quando non mi accompagni a casa. Poi ti chiedo se vuoi salire per fare sesso-- no, aspetta: nessuna brava ragazza fa sesso dopo il primo appuntamento. Facciamo che dopo il secondo ti chiedo se vuoi salire e--».
«Ninfadora...».
«...facciamo sesso e decidiamo di andare insieme da qualche parte, la domenica dopo. Dì, che te ne pare di una gita a Bristol per conoscerci meglio?».
«Ninfadora, per favore» la interruppe con tono asciutto. «Sii seria».
Lei lo fissò per qualche secondo.
«Ok. Facciamo che tu la smetti di farmi impazzire e trasformiamo questo strazio di relazione a montagna russa in qualcosa di normale, con tanto di cena, seduzione, sesso e gita a Bristol».
Sebbene stesse sorridendo lievemente, gli occhi di Remus erano colmi di profonda mestizia.
«Sai che non è possibile. Non mi è possibile».
«Tu non vuoi che lo sia».
«Affatto. È questo che la rende così difficile».
«Se solo tu smettessi per un attimo di pensare--».
«Sarebbe un disastro».
«No, non lo sarebbe! Tutti i miei problemi nascono quando tu inizi a pensare!».
«Uno dei due deve mantenere i piedi a terra».
«Quella con i piedi a terra sono io, non tu».
Ammutolito, lui si limitò a scuotere la testa e a distogliere lo sguardo da lei. Tonks inclinò il capo e appoggiò il palmo della mano sul suo braccio.
«Sprechi la tua vita per paura di rischiarla» scandì piano. «Hai davvero intenzione di lasciare che i giorni ti passino davanti senza viverli per davvero?».
«Ho altra scelta?».
«Sì! Sì, dannazione!» gridò con foga Tonks. «Puoi vivere!».
«Ninfadora, guardami» insistette lui con durezza.
Lei fece una smorfia stizzita.
«Ti guardo, Remus. Ti ho sempre guardato molto. E non vedo nemmeno l'ombra dell'uomo che credi di essere – né di alcun mostro» sussurrò con dolcezza, sfiorandolo con solenne adorazione. «Io vedo un mago brillante, un uomo brillante. Vedo un uomo coraggioso e di buon cuore, un amico leale e sincero. Vedo un amante eccezionale» aggiunse con un sorriso birichino, scostandogli un ciuffo di capelli dagli occhi. «Vedo l'uomo che amo. L'unico uomo che ho intenzione di amare, in effetti».
Il viso di Tonks era vicino – un po' troppo vicino. I suoi occhi scuri scintillavano decisi sotto alle sopracciglia adorabilmente aggrottate e le labbra piene erano arricciate appena verso l'alto. La sua espressione spavalda sembrava portare il marchio della Casata dei Black: guardando il bagliore del suo sguardo, Remus seppe di aver perso di nuovo.
Appoggiare le proprie labbra alle sue fu una conseguenza fin troppo ovvia.
°°°°°°°



Era assuefatto dal suo aroma – o forse lo era semplicemente da lei. Sentiva la sua trascinante energia scorrergli nelle vene, intorpidire i suoi sensi e, cosa mortale, annebbiare la sua ragione. Lo faceva in continuazione. In realtà, Remus credeva che lei lo avesse fatto fin dal primo istante. Gli era entrata dentro con la forza tumultuosa di un ciclone ed ora, per quanto cercasse disperatamente di appigliarsi alla propria coscienza, non riusciva a resisterle. Merlino solo sapeva quanto tempo aveva trascorso cercando di scacciarla dalla propria testa. Era probabile che ci fosse riuscito – o così pensava – ma era evidente che non era stato capace di scacciarla dal proprio cuore.
Lei era lì, stretta fra le sue braccia e con le mani nascoste fra i suoi capelli ingrigiti, come se davvero non esistesse altro che lui. Tonks era tutto ciò che un uomo potesse desiderare. Bella, intelligente, frizzante – elettrizzante – e le sensazioni date dal modo in cui lo stava baciando erano fra le più esaltanti che Remus avesse mai provato. Lo baciava come se non stessero combattendo alcuna guerra, come se il mondo fosse un posto meraviglioso, come se nella sua giovane vita non avesse mai fatto altro che quello.
Merita meglio dell'inferno che posso offrirle.
Si era ripetuto quel pensiero così tante volte che ne aveva quasi la nausea. In verità, l'amara consapevolezza di non poterle dare ciò che avrebbe voluto darle lo aveva disgustato fin dalla prima volta. La certezza di non poterla avere per sempre lo tormentava. Non aveva alcun diritto di imporle la sua stessa condanna. Lei meritava un uomo che fosse almeno cento, mille volte migliore di quanto lui non sarebbe mai stato.
Mentre le sfiorava appena il collo sottile e la sentiva fremere sotto il suo tocco – Merlino, era forse impazzito? – giurò a se stesso che quella debolezza sarebbe stata l'ultima.
L'avrebbe lasciata andare, e poco importava se avesse dovuto costringerla. Non poteva permettere che la sua maledizione diventasse anche quella dell'unica donna che avesse mai realmente amato. Sarebbe stato più forte di quella folle fantasia, doveva essere più forte.
Solo per un'ultima notte, tuttavia, decise di continuare sognare che lei potesse essere realmente sua soltanto.
°°°°°°°



Tonks aveva sempre detestato le frasi da cioccolatini, eppure, mentre baciava Remus aveva l'impressione di assaggiare un angolo del paradiso. Le sue mani delicate che le scivolavano sulla pelle erano perfette, il modo in cui le sue dita passavano fra i suoi capelli era perfetto, il suo petto, il suo respiro, la sua voce roca erano perfetti. Lui era perfetto.
Poco importava a Tonks se qualunque altra donna l'avrebbe giudicata una folle – e anche una pervertita, probabilmente. Non aveva mai dato eccessivo peso alle opinioni della gente. Se lo avesse fatto, non sarebbe diventata un'Auror, né avrebbe sfoggiato chiome verdognole e violette a seconda della giornata. Non avrebbe mai rinunciato a Remus solo per acquietare le male lingue dei benpensanti della comunità magica. Che se ne andassero pure in paradiso con le loro ridicole posizioni da corretti cittadini: lei sarebbe stata più che felicissima di finire all'inferno, se era lì che doveva finire per rimanere a fianco dell'uomo che amava.
Perché amava Remus, amava il modo in cui lui la guardava, amava il suono della sue voce, amava il modo in cui la stava baciando.
Risalì con le mani sul suo petto, tremando di piacere nel sentire le sue labbra scendere con passionale delicatezza lungo il suo collo. Affondò una mano nei suoi capelli – Merlino, quello non poteva essere l'inferno! - e gettò il capo indietro per godersi l'esaltante sensazione con cui Remus la stava facendo impazzire.
«Non si sente sporca dopo essere andata a letto con un animale?».
Non riuscì a contenere una flebile risatina. Remus sollevò il capo verso di lei, inarcando il sopracciglio con educata perplessità.
«Posso chiederti perché stai ridendo?» le domandò con un sorriso gentile.
Lei emise un soffio divertito e lo avvicinò nuovamente al proprio viso.
«Le streghe di questo paese non capiscono proprio niente in fatto di uomini».
°°°°°°°




Quando Remus si svegliò, si rese conto che Tonks e i suoi vestiti erano già spariti. Ancora intontito dal sonno, si sollevò a sedere e si stiracchiò con delicatezza. Le ferite che lei gli aveva meticolosamente fasciato tiravano un poco, ma doveva ammettere che gli effetti dell'Essenza di Dittamo si erano rivelati incredibili.
Stava per poggiare i piedi per terra, quando notò i pesanti anfibi di Tonks abbandonati accanto al letto.
«Ehilà, dormiglione» lo salutò la sua voce trillante.
Remus si voltò indietro. Era così insonnolito che non si era nemmeno accorto che lei era seduta su una vecchia seggiola accanto alla finestra, con la Gazzetta del Profeta aperta sulle gambe.
«Molto scortese da parte tua fingere di non vedermi» continuò lei con un sorriso divertito. «Questa me la lego alla scopa».
«Credevo te ne fossi già andata».
Tonks gli rivolse un'occhiata impenetrabile.
«E lasciarti la possibilità di scappare e fare qualcosa di maledettamente idiota? No, grazie: rifiuto l'offerta e vado avanti».
Remus la guardò immergersi nuovamente nel giornale, incapace di parlarle. Nonostante sapesse perfettamente cosa doveva dirle, non riusciva a trovare il coraggio di aprire la bocca. Era così bella con i capelli... rosa?
«I tuoi capelli sono rosa» commentò con improvviso stupore.
«Sei davvero un acuto osservatore, Remus» lo canzonò allegramente lei. «Te l'avevo detto che sei un amante straordinario. Dovresti iniziare a fidarti di più dei miei giudizi».
I suoi capelli erano tornati rosa. Remus socchiuse le palpebre e si massaggiò stancamente le tempie. Averla lì accanto, così vivace, così solare, così se stessa, dopo tanto tempo, non poteva che peggiorare ogni cosa. C'era stato un momento in cui aveva realmente sperato che lei se fosse davvero andata. Ma lei era lì e Remus sapeva che avrebbe dovuto mandarla via ad ogni costo. Non sarebbe stato facile – e quando mai qualcosa per lui era stato facile? - ma era necessario. Doveva farlo.
«Oh, Merlino...» sbottò d'un tratto lei, fissandolo con preoccupazione. «Stai pensando».
Lui fece un respiro profondo e annuì appena.
«Avrei dovuto immaginarlo» scandì con impeto Tonks, alzandosi in piedi di scatto e gettando il giornale sulla sedia. «Quale stupido ed eroico pensiero stai facendo, ora?».
«Ninfadora, io non posso farlo».
Tonks alzò gli occhi al cielo e fece un gesto impaziente con le braccia.
«Ancora, ancora e ancora! Merlino, quante volte dovrò sentirtelo dire!?».
«Fin quando non capirai la gravità della situazione. Fin quando non riuscirai a capire la mia necessità di--».
«Di essere totalmente idiota?».
«No» la corresse con durezza Remus. «Di essere totalmente disperato».
Tonks sbatté un paio di volte le palpebre con espressione confusa.
«Disperato?» ripeté sconcertata. «Tu saresti disperato? Non mi parevi fossi disperato, questa notte».
Remus abbassò il capo con fare colpevole.
«Ah, ecco che riprendiamo in mano il vecchio copione» riprese lei con ferocia crescente, avvicinandosi verso di lui con gli occhi che luccicavano minacciosi. I suoi capelli iniziarono a virare verso una tonalità più sbiadita. «Prima mi dici che mi ami e vieni a letto con me, e poi ti ricordi di essere troppo vecchio, troppo povero e troppo pericoloso e mi pianti in asso come una cretina qualunque».
«Non è questo il--».
«Sei un stronzo, Remus Lupin» sibilò con rabbia. «Credi forse che io sia fatta di ferro!?».
«No, Ninfadora, non--».
«Non-chiamarmi-Ninfadora!».
Remus si passò una mano nei capelli e affondò il viso fra le mani, sconvolto. Rimase immobile un paio di istanti, incapace di placare l'incessante battere del proprio cuore – come poteva essere ancora calmo? Doveva porre un fermo definitivo a quella sconsiderata follia. Doveva dirle addio, una volta per tutte. Doveva, dannazione, doveva.
«Spero di morire» disse tutto d'un fiato.
Tonks si bloccò nel mezzo della stanza e lo fissò con un'espressione di puro sconcerto. Scosse appena il capo, con le labbra dischiuse e le gote ancora arrossate dalla furia.
«C-come?».
«Quando finirà la guerra, Ninfadora» sussurrò atono, stupendosi della propria sincerità. Trovò la forza di sollevare lo sguardo verso di lei e la guardò con immensa tristezza. «Se dovessimo perdere, morirò prima di vedere la Gran Bretagna cadere in ginocchio dinanzi a Voldemort. Se vincessimo, non credo che potrei affrontare il desiderio di starti accanto. In qualunque modo preferisci vederla, io non ho più nulla da offrirti».
Tonks si mosse così rapidamente che Remus non ebbe nemmeno il tempo di evitare il suo violento schiaffo. Si portò una mano alla gota con una smorfia appena accennata e abbassò di nuovo gli occhi, incapace di trovare un accordo fra la necessità che lei uscisse dalla sua vita e il bisogno che vi rimanesse per sempre.
«Non azzardarti a ripetere quello che hai detto» sibilò senza forza Tonks. «Mai più».
Remus rimase immobile e Tonks, tremando impercettibilmente e stringendo con foga i pugni, solcò a grandi passi la stanza e afferrò i propri anfibi.
«Non ti permetterò di morire, Remus. Non è una scappatoia valida».
Si Smaterializzò prima che lui potesse aggiungere qualcosa. Remus gettò il capo sul cuscino e si sfregò il punto in cui lei l'aveva colpito.
Finché vivo, non riuscirò mai a dirle addio.
°°°°°°°











Ehm... non sono molto convinta di questo capitolo, ma tant'è che questo è quello che posso offrire, al momento. La mia ispirazione fa davvero schifo, ultimamente, e questa long-fic sta realmente avendo la meglio sulla mia pazienza. Fortuna che – in teoria – mancano ancora pochi capitoli.
Se qualcuno di voi se lo ricorda, avevo detto che avrei mantenuto quella che possiamo chiamare «stupida linea di Trick», ovvero avrei continuato a scrivere le vicende di DH in modalità completamente What If secondo quello che doveva essere il mio immaginario da Wotcher Wolfie. Ma anche no, devo dire adesso, perché non ce la faccio più. Ho bisogno di arieggiare la zucca, perciò ho deciso che, per il momento, mi fermerò con la morte di Silente.
Non abbiatene, ma l'alternativa è che io muoia davanti al computer – e non è che mi piaccia molto.
Se poi, Mastro Fato permettendo, mi verrà la voglia di riprendere in mano l'ultima parte What If, lo farò.
E poi, mi è venuto un allucinante desiderio di scrivere qualcosa sui Malandrini, perché il fatto che non lo abbia mai fatto è umiliante. Sto uscendo fuori discorso. Strano.

Cassandra: Anch'io. :)
Mirwen: Grazie per la tua comprensione. Anch'io adoro Aberforth – molto/quasi più di Albus Silente, in effetti. Sarà il fascino del formaggio di capra, immagino. :)
_AleAle_: Grazie mille! :)
angyp: Sono contenta che trovi Remus e Tonks spontanei. Dopo quasi settanta capitoli di Remus/Tonks sarebbe piuttosto imbarazzante se non lo fossero! :) È il momento che precede la prima battaglia di Hogwarts, giusto. Grazie mille dei complimenti, il mio ego ringrazia! :)
lyrapotter: Manca pochissimo alla fine, sì, e no, no, no, non ho la minima intenzione di seguire le linee Canon di DH. Che per me non esiste, fra l'altro. :D Non potevi credere che Remus non avrebbe fatto marcia indietro. Lui è il maestro delle inversioni a U, povera Tonks. E sono contenta che ti sia piaciuta la descrizione di Tonks data da Aberforth. A me suonava piuttosto bene. :) Grazie, grazie e grazie. :)
SakiJune: Ehilà, boss. Il tuo filosofeggiare mi farà diventare matta, te l'ho mai detto? E no, la Rowling potrebbe ovviamente fare meglio, quindi evitiamo di esagerare, che poi il mio ego si monta e io non frullo più. :) No, niente sesso. Aberforth mi sa da uno particolarmente rigido, sotto quel punto di vista. E non so perché. Non piangere, non ti impedirò di accoppiarlo con qualunque altra strega over-sessanta tu preferisca. Giuro. Un bacio. :)

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