Le origini

di Destin_Lop
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rupert ***
Capitolo 2: *** Hirpor ***
Capitolo 3: *** Il problema ***



Capitolo 1
*** Rupert ***


Ero a casa di mio padre, in un paesino molto piccolo a sud-est di Oslo, in cui tutti conoscono tutti. Da quando i miei avevano divorziato, le cose erano cambiate molto nella mia famiglia, e nella mia vita stessa; ero sempre diviso tra mamma e papà, non ce la facevo più! Dio mi deve aver voluto davvero bene quel giorno. Mentre ero sul piccolo balcone ad ammirare le vaste montagne, mi incantai. Non so ancora bene cosa vidi esattamente, ricordo soltanto un grande uccello blu; non avendone mai visto uno rimasi sbalordito, sembrava un Pokemon! Ma mi dissi di stare calmo e che i Pokemon non esistono! Ma quell'immagine svanì subito, e prima che io potessi fare qualche ipotesi, mi colpì una luce, non di quelle che ti accecano (come quelle dei film ) , riuscivo a tenere lo sguardo fisso su essa. Si avvicinava, mi entrò nel braccio lasciando un segno simile ad una cicatrice di circa 4 centimetri. A dirla tutta me la stavo facendo sotto. Non sapevo cosa mi stesse succedendo, mi girava la testa. Persi i sensi. Mi risvegliai nella mia cameretta, con mio padre che mi tirava piccoli schiaffi per farmi riprendere. Era una brava persona mio padre, l'uomo più figo che avessi mai conosciuto. Se il giudice l'avesse permesso sarei rimasto con papà, ma mi sarebbe dispiaciuto per la mamma, anche se se l'era cercata; è stata lei a tradire papà, lui l'aveva perdonata ma lei non c'ha pensato due volte a tradirlo di nuovo. Adesso lei vive nel centro città, con lei non sto così male, infondo è mia madre; Avevo deciso di passare quella settimana con papà nel miglior modo possibile, ma non fu possibile... "Che mi è successo?" chiesi a mio padre. "Sei svenuto, adesso come ti senti?" "Uno straccio" risposi, mettendomi a sedere sul letto goffamente. "Dimmi un po' Rup, da quando hai una cicatrice sul braccio ?" chiese papà con uno sguardo un po' stranito. Non sapevo cosa rispondergli, se dirgli la verità o inventarmi qualcosa; mi avrebbe preso per pazzo! Così mi inventai che ero caduto 2 anni prima per le scale e che mi ero tagliato con un vetro. Che pessima scusa. Non sono per niente bravo a mentire... Mio padre si convinse e mentre decidevamo cosa fare nella serata, arrivò la chiamata della mamma , come se fosse telepatica, mi chiese come stavo, che aveva un presentimento, come se qualcosa fosse andato storto qualcosa. Incredibili le mamme! La tranquillizzai e andai a prepararmi per una serata pizza-birra-film con papà. Mi sono sempre piaciute quelle serate. Preparammo tutta la casa, le birre nel frigorifero, ordinammo la pizza; Ero ancora scosso, pensavo alle conseguenze di quel momento... Il film era appena cominciato quando la casa inizia a tremare,sempre più forte, sempre più forte. Panico. Dalle case si sente gente che urla e che piange. La tempia destra mi pulsava, i battiti del cuore aumentarono. Urlai, alzai le braccia e tutto si fermò. Ero confuso! Cosa era successo? La casa e la città non avevano riscontrato danni; il giorno dopo tutti i telegiornali parlavano della breve scossa e della causa sconosciuta che l'avesse arrestata. Ma quella notte fu tremenda. Sognai un piccolo essere chiamato Hirpor, somigliante ad un piccolo elfo; Mi disse che quella luce, il mio braccio, il terremoto.. Tutto era collegato. Io potevo controllare le cose !.. Mi svegliai dall'incubo tutto sudato, scesi giù in cucina, accesi la luce ed ecco che Hirpor era lì! Mi imposi di non urlare, papà stava dormendo. Mi avvicinai al piccolo elfo ma egli sparì.

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Capitolo 2
*** Hirpor ***


Che fosse stato un miraggio?.. No non credo proprio. Quello era lo stesso elfo del sogno … che rovistava nel mio frigorifero! “Ma che diavolo sta succedendo? ” – mi dissi E se avessi raccontato tutto a qualcuno? Nessuno mi avrebbe mai creduto. Cercai di ritrovare il piccolo elfo, come si fa con i gatti, schioccando le dita e sussurrando il suo nome. “Hirpor, Hirpor, qui bello … Ah ma che sto facendo, devo essere impazzito! ” – mi dissi. Nessun segno di vita; me ne tornai nel letto, stanco e assonnato. Mi svegliai alle 11.40 quando mio padre accese l’aspirapolvere per fare le pulizie. “Eh no basta! Le pulizie alle 11.40 no!”- piagnucolai mettendomi il cuscino sulla faccia; dopodiché mi feci una doccia e scesi giù in cucina per la colazione. “Come sta il mio piccolo Rup? ” – Mi chiese gentilmente mio padre con un sorriso stampato in faccia come suo solito. “Bene papà, ma starei meglio se facessi le pulizie più rumorose dopo il mezzogiorno che dici ?” – gli risposi. “Dai su con il morale, vediamo di passare gli ultimi tre giorni in armonia e pieno divertimento, cosa ti va di fare oggi ?” – disse allegramente. “Hm non saprei, che ne diresti se oggi scegliessi tu?” Non avevo più idee, ero lì da tre giorni, e avevo già esaurito la lista delle attività! “ Facciamoci venire qualcosa in mente, che ne dici se ci iscriviamo ai giochi di ruolo?”- esclamò mio padre con gli occhi lucidi I miei occhi si illuminarono, cavolo sì! Io ho sempre amato i giochi di ruolo. Nelle vicinanze di casa di papà c’è una foresta spettacolare, adatta all’occasione! “Sìììììììììì” –urlai come un bimbo. Ci dirigemmo da un amico di papà che si occupava dell’iscrizione e andammo a comprare i vestiti e le “armi”. Quel pomeriggio fu davvero divertente, era da molto tempo che non condividevo certe emozioni con papà ;sembravamo due bambini, lì in quella foresta a rincorrersi con spade di legno frecce e inchiostro. Tornati a casa, la cicatrice iniziò a bruciare, a bruciare sempre più finché non trovai Hirpor davanti al mio letto che mi stava aspettando giocando con i soldatini che avevo sul comodino da quando ero piccolo. “Ciao Rupert”- Mi disse Hirpor. “Ehilà … devi dirmi qualcosa non credi ?” – Gli risposi in attesa di una spiegazione logica. “Certo, ne hai tutto il diritto; sai tu sei stato scelto Rupert, scelto per salvare il mio mondo. Io sono il re di Hastarn, un piccolo regno in un’altra dimensione. Siamo in pericolo Rupert. Ho guardato dentro tutti gli essere umani di questa dimensione, e tu sei il più certificato per questo compito. Ti prego aiutaci. Ero sbalordito, stavo sognando ? Mi stavano chiedendo di salvare un mondo? “Perché io? Cosa ho in più degli altri?”- Chiesi al piccolo elfo “Non so come li chiamate voi umani … Sentimenti? Sei speciale Rupert, sappilo; lo scoprirai presto il perché. E di nuovo il piccolo elfo svanì, lasciandomi una gran confusione in mente. Rimanevano due giorni da passare con papà, ma non riuscivo a stare tranquillo. Hirpor. Era l’unico mio pensiero. Cosa sarebbe successo in futuro? “Basta pensare. Devo stare con papà”- Mi dissi Quella notte Hirpor apparse nei miei sogni. Per quanto avrebbe continuato? Pensai. “Ehilà Rup”- Mi salutò gentilmente Hirpor “Eh..m.. Ci..a..o Hi..r..por “- Balbettai incredulo. Era un tenero elfo un po’ goffo ma tenero. Aveva pochi capelli di un castano molto scuro simile alla cioccolata, degli occhi color ghiaccio e delle piccole manine paffute. Mi ricordava molto un bambino, ma sapeva come mettermi ansia. “Non aver paura Rup, diventeremo grandi amici vedrai.” “Ehm si, suppongo di si.”- Mi limitai a dire “Voglio portarti nel mio mondo per farti capire la nostra situazione e quanto io sia disperato” – Disse gentilmente. “Certo, immaginavo che sarebbe arrivato questo momento”. Non riuscivo a parlare decentemente con Hirpor, perché? Estrasse un amuleto verde smeraldo luccicante dalla tasca dei suoi mini pantaloncini. Lo agitò due volte e una luce,simile a quella che vidi insieme all’uccello blu, ci avvolse. In men che non si dica ci ritrovammo ad Hastarn. Era bellissimo, mi ricordava tanto la contea di Frodo nel signore degli anelli. Grandi colline verdi coperte da letti di fiori dai colori vivaci, alberi con frutti e fiori, laghi, fiumi. Era un paradiso; mi chiedevo dove fosse il problema! “Ora stammi vicino, sto per portarti dal problema ” – Disse il piccolo elfo leggendomi nella mente. “Riesci a leggere la mia mente?” – Chiesi stupidamente. “Si, ma questo è solo l’inizio ragazzo mio, solo l’inizio”.

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Capitolo 3
*** Il problema ***


Davvero quel posto mi sorprendeva sempre di più! 
Tra tutti i piccoli elfi io ero un piccolo gigante; tutti mi guardavano con paura, e nella mia mente pensavo “Perché hanno paura di me?”. Hirpor mi rispose che assomigliavo al “problema” e quindi tutti pensavano che fossi lì per provocare qualche catastrofe.
Stavo iniziando a capire. Hirpor mi condusse in un piccolo gazebo, dove si trovava una decina di elfi.
“chi sono?”- chiesi.
“Sono i membri dell’assemblea della kat’ah”- Non riuscivo a credere alle mie orecchie; Assemblea, kat’ah, ma che diavolo stava succedendo?
Hirpor mi rassicurò dicendomi che mi avrebbe spiegato tutto con calma.
Il piccolo elfo dagli occhi di ghiaccio occupò posto su una delle dieci poltroncine. Io ero troppo alto per entrare nel piccolo gazebo, quindi dovetti rimanere fuori.
Mi sedetti sull’erba soffice e fresca e rimasi sconcertato nel sentire parlare i piccoli elfi. Parlavano elfico, mi aspettavo di capirci qualcosa, d'altronde era tutto così strano, non mi sarei meravigliato di capire l’elfico. Rimasi un po’ deluso, in effetti, ma subito Hirpor mi disse: “Dovrà passare del tempo ragazzo mio, non ci vorrà molto prima che tu apprenda le nostre usanze.”
Mi misi il cuore in pace, infondo mi fidavo di lui.
Tutti gli elfi mi guardavano con disprezzo, non mi sorprese; che cosa avrei fatto io se mi fossi trovato nella stessa situazione e mi avessero portato un ragazzo che è simile al mio “problema”.
Ero in ansia, che cosa stavano dicendo? Quando avrei conosciuto il “problema”? Ero così curioso ma allo stesso tempo agitato; e se non fossi stato all’altezza del mio compito?
M’imposi di non pensare più, allora mi ricordai le parole che mi disse Hirpor “ Sei speciale Rupert, sappilo; lo scoprirai presto il perché”.
L’assemblea andò avanti per ore, senza che io capissi niente, ma quando fu il momento di conoscere il “problema”, mi svegliai.
Incredulo di quanto mi fosse successo, controllai l’orario sulla mia sveglia di topolino, (caspita la possiedo da quando avevo sette anni!) le 11.45.
“Caspita!”- esclamai buttandomi giù dal letto.
Dovevo passare questi ultimi giorni d’estate con papà e non volevo avere altro cui pensare.
Cercai in tutta casa, ma di mio padre nemmeno l’ombra.
Mi affacciai sul balcone nella speranza di trovarlo lì, ma senza successo.
Che diavolo stava succedendo, papà non mi aveva mai lasciato da solo senza dirmi nulla.
Non ci feci troppo caso, infatti, andai subito a fare colazione, quando sul tavolo c’era un bigliettino:
Chiamami quando ti svegli, è urgente. Papà.
Non aspettai un secondo di più, afferrai il telefono e chiamai subito mio padre.
“Rupert, è urgente, tua madre ha avuto un grave incidente con la sua auto, adesso è ricoverata" Siamo al The National Hospital University, sbrigati, le sue condizioni sono gravi.
Non riuscii a rispondere a mio padre, la paura e l’angoscia presero il controllo del mio corpo.
Presi il primo autobus che trovai, avevo paura, paura di perderla. Non mi ero mai sentito così. In questi momenti ti senti in colpa, sì in colpa, per non aver sfruttato al meglio tutti i momenti con la persona che adesso rischi di perdere. E con la musica al massimo nelle orecchie andai all’ospedale, con la speranza che la musica mi facesse sentire meglio.
L’ospedale distava tre quarti d’ora da casa mia; ogni minuto era frustrante, l’unica cosa che volevo era arrivarci il più presto possibile.
 
Varcai la soglia dell’ospedale, il cuore in gola, le mani sudate, non riuscivo nemmeno a parlare.
“Scusi, dov’è ricoverata Tiffany Tyler?”- domandai all’infermiera al banco informazioni.
“E’ nella stanza 384, al secondo piano, terza porta a destra.”
“Grazie”- mi affrettai a rispondere.
Presi le scale, l’ansia mi stava divorando. Trovai facilmente la stanza, mi fermai sulla soglia; mio padre era in lacrime che stringeva la mano a mia madre.
Da quando tempo non li vedevo così vicini, pensai.
Entrai in camera, mio padre si asciugò gli occhi e disse:
“ Un ubriaco andava a 180 chilometri orari, non ha visto Tiffany, e l’ha travolta.” – Si limitò a dire mio padre.
Gli accarezzai il braccio in segno del “tranquillo-andrà-tutto-bene”, ma infondo guardando la mamma, sapevo anch’io che non sarebbe tornata la stessa.
Aveva il viso sfregiato, era piena di lividi e raschi, e i medici non sapevano se avrebbe ripreso coscienza.
 
 
Rimanemmo tutto il pomeriggio con la mamma, in attesa di un miglioramento, che purtroppo non arrivò.
Il medico entrò, guardò mio padre, e insieme andarono a parlare fuori dalla stanza.
In quel momento scoppiai a piangere, avevo una fottutissima paura di perdere quella che fino in quel momento della mia vita, era stata la donna più importante, che c’era sempre stata, e che mi aveva sempre coccolato troppo.
Le parlai, sperando che lei mi sentisse, le chiesi di svegliarsi, e di non lasciarmi solo; sarei stato perso senza di lei.
Dopo cinque minuti, papà rientrò in stanza e mi disse le cinque parole che mi sconvolsero l’esistenza: Tua madre è in coma.

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