Sometimes it hurts instead

di __WeatherlyGirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nella tana del lupo ***
Capitolo 2: *** Approccio sbagliato ***
Capitolo 3: *** La mia storia ***
Capitolo 4: *** Informazioni importanti ***
Capitolo 5: *** La consegna ***
Capitolo 6: *** Rivelazioni ***
Capitolo 7: *** Esiste un 'noi'? ***
Capitolo 8: *** Occasione persa, agente DiNozzo. ***



Capitolo 1
*** Nella tana del lupo ***


GIUSTO PER COMINCIARE... HELLO GIBBLETS!
Leggete e divertitevi con il primo di molti altri capitoli!
Spero vi piaccia e vi prometto che avremo del Tiva nei prossimi ;)
Coomunque, divertitevi!
XOXO KB





 

NELLA TANA DEL LUPO


Era una mattina buia, piovosa, una mattina di metà settembre come tante altre. McGee e Ziva erano già seduti alla scrivania, Gibbs era andato a prendere un caffè -già il terzo, ed erano soltanto le otto- mentre Tony usciva ciondolante dall’ascensore. Camminando verso la scrivania incrociò Gibbs “Buon giorno, Boss! Scusa per il ritardo, ma c’era molto traffico, e quando piove la gente sembra non sapere più guidare”

Gibbs non rispose, ma sorrise e si limitò a dargli una pacca sulla nuca. Comincia bene la mattina, pensò Tony.

Sedendosi alla scrivania incrociò gli sguardi colpevolizzanti di Ziva e McGee, ma li ignorò, accese il computer e cominciò a lavorare. 

Passò velocemente un quarto d’ora, fino a quando Gibbs entrò nella squad room esclamando “Marine morto a Norfolk!” I tre si alzarono velocemente, presero i loro zaini e in meno di due minuti erano già in macchina diretti a Norfolk.

Sulla scena del crimine c’era già Ducky con Palmer, qualche giornalista e un paio di curiosi che cercavano di capire cosa fosse successo. 

L’omicidio era avvenuto in strada, vicino ad un marciapiede, e la macchina del morto si trovava a pochi metri di distanza.

“Era il tenente Jack Reynolds, d’istanza a Norfolk da tre anni.” Disse McGee “Nella macchina ci sono dei segni evidenti di colluttazione, probabilmente l’hanno fatto scendere dopo averlo picchiato e gli hanno sparato in strada.”

Ziva e Tony stavano scattando le fotografie, mentre McGee si avviò verso uno dei curiosi, che poco prima aveva dichiarato di aver visto qualcosa.

“È morto tra le cinque e le sette di questa mattina, un colpo alla schiena, preceduto da numerose percosse al torace ed al volto. Povero ragazzo” disse Ducky rivolto verso Gibbs.

McGee iniziò a parlare con il testimone “Mi chiamo Kurt Grey,” disse questo “e tutte le mattine dalle sei alle sei e mezzo faccio questa strada a piedi: camminare mi rilassa. Questa mattina ho visto la macchina di quel poveretto” e indicò il morto “fermarsi qui e poi due motociclette avvicinarsi rumorosamente. Sono scesi due tizi col casco, uno alto quanto il suo collega circa” e a questo punto indicò DiNozzo “e l’altro più basso di una ventina di centimetri. A quel punto ho capito che non era cosa per me e me ne sono andato.”

“Tutto qui?” McGee era sconvolto “Non ha chiamato la polizia?”

“E per cosa? Per un poveraccio seguito da dei motociclisti?”

“Si!” esclamò McGee, ma poi si contenne e domandò “Mentre andava via non ha sentito nulla? Nè uno sparo...?” Grey si fece pensieroso, poi sorrise, McGee lo guardava attonito.

“No, niente spari. Io non cammino molto velocemente e quindi presumo che l’avrei sentito se gli avessero sparato, invece no. Avranno usato un silenziatore...” McGee pensò che quell’ultima frase era l’unica sensata di quel cinico discorso. Come poteva un uomo aver assistito ad una scena simile e non aver chiamato la polizia?

In ogni modo McGee informò il testimone di rimanere rintracciabile e si riavviò verso Gibbs. Continuarono a perlustrare la scena del crimine e poi, verso ora di pranzo tornarono in ufficio.

 

Appena arrivati Gibbs scomparve, dicendo di dover andare da Abby, McGee invece venne incaricato di andare a prendere i panini, e quindi in ufficio rimasero solo Tony e Ziva.

Entrambi non dissero una parola per alcuni minuti continuando a lavorare, poi un colpo di tosse volontari fece alzare le loro teste. Entrambi pensarono che fosse stato l’altro per richiamare l’attenzione, ma subito si accorsero che una ragazza li stava guardando.

Mi scrutarono attentamente, stupiti, domandandosi cosa volessi da loro. Io non dissi nulla, rimasi a guardarli con un lieve sorriso sulle labbra, aspettando che dicessero qualcosa; invece loro si guardarono con aria interrogativa e continuarono a fissarmi.

“Buon giorno agente DiNozzo!” dissi rivolta a Tony, poi a Ziva “David! Spero di non avervi interrotti, ma devo parlare con Gibbs.”

Prese la parola Tony “Mi dispiace, potrà tornare più tardi o aspettare qui, ma l’agente Gibbs non c’è” Sottolineò intensamente la parola agente come per dirmi che avevo preso troppa confidenza.

“Aspetterò, ma credo di poter parlare anche con voi. Permettete?” Ed indicai una sedia

Tony annuì, mentre Ziva continuava a studiarmi. “Non si disturbi troppo, agente David. Le spiegherò chi sono tra poco. Prima...” ma Tony m'interruppe “Prima ci dice come fa a conoscerci. Non ci ricordiamo di lei”

“Oh, datemi del tu, vi prego, ho diciassette anni, non quarantacinque!” Cercavo di eludere la loro domanda. Il segreto che mi portavo dentro potevo rivelarlo solo a Gibbs. Era l’unico di cui mi fidassi.

“Sono qui per parlarvi della morte di Reynolds” Tony sobbalzò sulla sedia, Ziva invece distolse lo sguardo da me. Io accavallai le gambe e cominciai a giocare con una ciocca di capelli.

“Prego” disse Tony quando si fu ripreso “può cominciare quando vuole”

“La prego, non dica così, mi sembra di essere ad un interrogatorio. E, di nuovo, mi dia del tu”

“Solo quando avrò capito chi è.” S’intromise Ziva, poi Tony riprese la parola “Questa scena mi ricorda qualcosa...” Ziva arrossì, io capii che Tony era involontariamente caduto nella mia trappola

“Già, le deve ricordare qualcosa.” dissi guardandolo fisso negli occhi, lui provò a distogliere lo sguardo ma non ci riuscì, continuai “proprio come quando dieci anni fa arrivò qui l’agente David. Ma a quell’epoca era un ufficiale del Mossad che cercava il fratello. Giusto?” Rivolsi la domanda a Ziva, che involontariamente sbiancò, aprì un poco le labbra e lasciò trapelare una rabbia ed un terrore profondi. Si stava chiedendo chi io fossi, da parte di chi venissi, e come facessi a sapere i particolari della sua vita.

“Agente David, chiuda la bocca o le entreranno le mosche!” Lei sobbalzò, nei suoi occhi vidi il terrore, proprio ciò di cui avevo bisogno

“Si ricorda, agente David, quando lei arrivò qui? Rivelò all’agente DiNozzo di aver studiato il suo dossier prima di venire, ecco che io e lei ci assomigliamo. Peccato, a lei non sembra far piacere.” Le mie parole erano una provocazione continua, aspettavo una sua reazione, aspettavo che dicesse qualcosa, sapevo che l’avrebbe fatto. Per il momento, però, rimase in silenzio, fingendo di non essere scossa, ma i suoi occhi trapelavano emozioni.

“Ci dica” m’interruppe DiNozzo “lei chi è?” Io ignorai la domanda, suscitando ancor più sdegno in Ziva

“Lei ed io, agente David, veniamo entrambe da delle realtà diverse da questa, realtà difficili. Vede, ci assomigliamo sempre di più. Spero che non le dispiaccia se le racconto delle cose...” Stava per arrivare la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso, Ziva lo sentiva dal mio tono di voce, ed io percepivo la sua ansia. Anche lei aspettava il momento giusto per parlare, non era così debole come avevo immaginato, ma lo sarebbe diventata.

“Parliamo di suo padre, ad esempio, oppure di suo fratello, o di Michael Rivkin. Suo padre è un uomo dispotico, incapace di mostrare emozioni, che per la carriera ha distrutto la sua famiglia. Lei è cresciuta amandolo, nonostante tutto, ma adulta ha dovuto rendersi conto di che razza d’uomo fosse,” il mio tono di voce saliva regolarmente, e così aumentava la rabbia di Ziva “Suo padre le ha nascosto molte verità, e quando credeva di aver trovato un’ancora di salvezza, Michael, l’agente DiNozzo è riuscito a distruggerla. Lei è condannata all’infelicità, alla ricerca dell’amore senza mai trovarlo...” Non riuscii a finire che Ziva m’interruppe urlando “Basta!” 

Potevo vedere gli occhi gonfi e lucidi, potevo vedere tutti i segnali evidenti di aver raggiunto il mio scopo.

“La smetta!” La voce di Ziva si stava per rompere, un’altra parola e sarebbe scoppiata a piangere. Tony se ne accorse abbastanza in tempo da intervenire “Ci dica chi è e basta, nessuno le ha chiesto nulla.” Io mi alzai tranquillamente dalla sedia, mi sfregai le mani contro i jeans e mi voltai. Come previsto Gibbs era dietro di me.

 

Gli allungai la mano “Camilla Ruzzi, vengo per il caso Reynolds.” Gibbs non mi strinse la mano, ma socchiuse gli occhi e mi fece cenno di seguirlo. Entrammo nell’ascensore, sapevo che l’avrebbe bloccato per parlarmi e così lo anticipai.

“Come faceva a saperlo?” Mi chiese indicando il pulsante del blocco

“Ho fatto i compiti a casa...” Provavo ad incrociare il suo sguardo ed alla fine ci riuscii.

“Lei ha dei begli occhi azzurri, agente Gibbs. Ce li aveva così anche sua figlia, immagino.”

Stranamente Gibbs non fu sorpreso dalla mia affermazione, anzi, come se si aspettasse che rivangassi il suo passato. Immaginavo che avesse ascoltato la mia conversazione con Ziva e Tony. 

“Lei è qui per il caso Reynolds o per far impazzire la mia squadra?” Gibbs era serio, così decisi di rispondere alle sue domande, avrei portato in seguito il discorso su degli argomenti a me più favorevoli.

“Caso Reynolds, signore”

“E chi la manda?”

“Temo di non poterglielo rivelare, signore. Informazione riservata”

“Quanti anni ha?” la domanda mi colpii, non immaginavo che potesse passare a delle domande personali, ma immaginai che gli servisse per rispondere alla domanda precedente.

“Diciassette, signore.”

“Non mi chiami signore. Lei studia?”

“In un certo senso. Diciamo che sono un’autodidatta.”

“E i dossier li studia da autodidatta?” La domanda mi colpii, Gibbs sapeva scendere al mio livello e la cosa avrebbe reso il nostro colloquio ancora più interessante.

“Per quello ho avuto l’aiuto di qualche amico. Non esiste sono il Team Gibbs, ce ne sono anche degli altri...” sorrisi.

“Immagino, ma mi dica, lei a che squadra appartiene?”

“A questo punto credo di doverle rivelare da parte di chi vengo. Lei conosce la Young?”

“Chi?” Gibbs non aveva idea di cosa stessi parlando. Cercai di riformulare la domanda

“Noi la chiamiamo la Young, il nome ufficiale è Young CIA, non so come la chiami lei.”

“Con un termine poco gentile” Gibbs era diventato ancor più serio, come se nominare la Young CIA l’avesse indispettito.

“La Young CIA è formata da ragazzi dai tredici ai ventuno anni che collaborano per, come dire, fare affari. Proprio come la CIA”

“Peccato che la CIA sia un’agenzia federale, mentre quando i membri della Young CIA vengono scoperti di solito siano mandati in prigione con capi d’imputazione come spionaggio, omicidio, e così via.” Touchè, pensai. 

“Vero. Io faccio parte della Young da quasi due anni, mi occupo delle relazioni con le altre agenzie, ecco perché sono qui da voi.” Gibbs aspettava che parlassi, immaginai che fosse il momento di parlare di Reynolds.

“Il tenente Reynolds era un nostro informatore da quasi otto anni, ci parlava delle missioni segrete della Marina e suo fratello fa parte della nostra agenzia. Reynolds aveva accesso a tutti i file secretati, anche a molti del Pentagono, per noi era una risorsa fondamentale.”

“Spero che lei non sia venuta qui per mettere in chiaro che la Young CIA non ha nulla a che vedere con questo caso, perché sarei costretto a dirle che non avevo nessun sospetto su di voi.” E fece ripartire l’ascensore. Io lo bloccai nuovamente.

“Gibbs, mi ascolti, la prego. Reynolds da un po’ di tempo si comportava in modo diverso, aveva problemi a darci le informazioni, e si limitava a riferire cose che sapevamo già.”

“È per questo che l’avete ucciso?”

“Nossignore!” esclamai sdegnata; parlare con Gibbs si stava rivelando più difficile del previsto.

“Mi lasci proseguire. Credevamo fosse un problema di soldi, gli abbiamo alzato l’onorario, ma nulla è cambiato. Suo fratello mi faceva delle confidenze, una volta mi disse che Jack si sentiva pedinato, osservato, credeva che la Marina avesse scoperto la fuga di notizie. Così l'abbiamo sospeso dall’incarico per tre mesi, e i tre mesi finivano oggi.”

Gibbs annuì, speravo che avesse capito e mi limitai a guardarlo. Aspettavo che rimettesse in funzione l’ascensore, ma non lo fece. Ad un tratto si voltò verso di me con uno sguardo interrogativo.

“Lei lo sa che venire qua significa costituirsi, vero?”

“Io so, agente Gibbs, che ho fatto il mio dovere. L’agenzia mi ha mandato, io ho eseguito gli ordini e spero che, dando un’ informazione importante, voi possiate fingere di aver avuto una soffiata anonima”

“Attendo l’informazione”

“Abbiamo pedinato Reynolds in questi tre mesi, per il suo bene. Volevamo capire se ci fosse veramente qualcuno di cui preoccuparsi, ed in tutte le foto che gli abbiamo scattato c’è un uomo. Si chiama Edmund Grey. Le risparmio la fatica di cercare informazioni su di lui, questo è il suo dossier” E dalla borsa estrassi una cartellina grigia. Gibbs continuava a guardarmi, intuii il suo pensiero.

“Se le ho detto qualcosa di falso o errato, l’autorizzo a denunciarmi per spionaggio. Altrimenti, spero di aver concluso un patto con lei, e spero che lei lo rispetti.” Gibbs mi sorrise e prese la cartellina, poi si voltò nuovamente verso di me

“Perché non ha telefonato? Ora lei è nella tana del lupo, lo sa?”

“Lo so” distolsi lo sguardo dal volto di Gibbs. Non volevo rispondere alla sua ultima domanda. 

“Signorina Ruzzi, mi risponda!”

“Io,” continuavo a guardare il pavimento “Io dovevo conoscerla.”

“Doveva?” Gibbs sembrava sorpreso, non capiva ancora il significato delle mie parole.

“Cosa vuol dire doveva?” aveva drasticamente abbassato il tono di voce, per poco non sussurrava.

“Ho sentito grandi cose su di lei. Solo lei mi può salvare.” Vidi gli occhi di Gibbs brillare, poi riattivò l’ascensore e raggiungemmo velocemente la squad room.





ANGOLINO DELL'AUTRICE: Hi again Gibblets! Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto...ne sono in arrivo degli altri moooolto presto ù.ù Vi prego di recensire! Thaaanks *.*
xoxo KB

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Capitolo 2
*** Approccio sbagliato ***


GIUSTO PER COMINCIARE...HELLO GIBBLETS!
Questo capitolo serve solo a collegare
il capitolo 1 al 3.
Comunque, spero che vi piaccia
lo stesso. :)
xo



APPROCCIO SBAGLIATO

 

Usciti dall’ascensore McGee ci guardava confuso, non capiva chi fossi e come avessi fatto a procurare un tale scompiglio nella squadra. Probabilmente era appena arrivato e Tony e Ziva non l’avevano ancora informato sull’accaduto. Andai verso la sua scrivania, gli porsi la mano e mi presentai. Lui rispose con un cenno del capo, non dicendo una parola. La cosa mi colpì, da quello che avevo sentito McGee doveva essere il più educato della squadra, invece si presentava a malapena. Gibbs gli parlò in modo imperativo, “McGee, accompagna la signorina Ruzzi in sala riunioni. Vi raggiungerò tra poco.” Passai davanti alle scrivanie di Tony e Ziva; l’uno non mi guardava, come se avessa timore di incrociare il mio sguardo, l’altra cercava di non lasciar trapelare emozioni, con scarsi risultati. Notai, però, che speravano che Gibbs mi facesse portare in sala interrogatori, proprio come me. Mi avevano detto che Gibbs era un uomo dalle mille sorprese, ma non credevo che cominciasse così presto. Silenziosamente seguii McGee.

“Cosa farai di lei?” chiese Tony a Gibbs.

“Ancora non lo so, DiNozzo. Hai un’idea?”

“Da parte di chi viene?” s’intromise Ziva

“Dalla Young CIA. Nessuno può sapere dove ci porterà parlare con lei. Tony, voglio tutto su un certo Edmund Grey. Ziva, fa lo stesso con Camilla Ruzzi.”

“Ti fidi di lei, Boss?” chiese Tony.

“Non ho altra scelta...” e Gibbs si diresse verso la sala riunioni.

Nella squad room Tony e Ziva ripresero a parlare, durante la mia conversazione con Gibbs nell’ascensore erano rimasti entrambi in silenzio.

“Ziver, tutto bene?” Ziva si asciugò le ultime lacrime e rispose “Sì, ora sto meglio”

Tony si alzò e raggiunse la scrivania della collega, si mise a chinino davanti a lei e disse “Se hai bisogno di qualsiasi cosa io ci sono,” Ziva gli prese la mano

“Grazie Tony, sei un vero amico.” Tony fece una smorfia e tornò alla scrivania.

Amico, pensò, cosa vuol dire amico? Ziva sorrise guardandolo negli occhi, aveva capito a cosa stesse pensando.

 

 

McGee e io raggiungemmo il secondo piano a piedi, poi girammo a sinistra e McGee fece per indicarmi la strada

“Non si preoccupi agente McGee” lo guardai sorridendo “conosco abbastanza bene quest'edificio” La faccia di Tim divenne interrogativa, si chiedeva se fossi mai stata all’NCIS.

“No,” risposi al suo quesito inespresso “non sono mai stata qui, ma ho studiato attentamente la piantina.” Parlando avevamo raggiunto la sala riunioni, lui galantemente mi aprì la porta e io mi accomodai su una delle poltrone.

“Caffè?” mi chiese

“Dipende per quanto tempo mi terrete qui”

“Signorina Ruzzi...”

“Camilla, la prego, mi dia del tu”

“Camilla, questa lo sa solo Gibbs.”

“No, niente caffè, comunque. Ho sentito dire che il vostro è il peggiore di tutta Washington” poi adagiai la testa allo schienale della poltrona e chiusi gli occhi. Quando gli riaprii poco dopo McGee era scomparso e al suo posto c’era Gibbs.

Vidi davanti a me una tazza di caffè fumante

“È molto amaro, spero le piaccia” mi disse Gibbs indicandolo

“Adoro tutto ciò che è amaro, tranne le sorprese” accennai ad un sorriso e bevvi un sorso.

“Veniamo a noi, Camilla, di che aiuto ha bisogno.”

“Del suo” e mi passai la lingua sul labbro superiore, senza incrociare lo sguardo di Gibbs

“Riguardo a cosa?”

“Prima di rispondere, mi permetta di darle un consiglio.”

“Dica”

“Se ha incaricato l’agente DiNozzo o l’agente David di cercare informazioni sul mio conto, sappia che non troveranno nulla.” Gibbs fece una smorfia, che trasformò in sguardo interrogativo.

“Mi spiego,” Gibbs era diventato serio, come poco prima nell’ascensore “quando sono arrivata in America il mio passaporto indicava un nome diverso da Camilla Ruzzi, e anche i miei amici mi conoscono con un’altra identità.”

“Ci sono troppe cose che non sappiamo di lei, signorina Ruzzi.”

“Lasci che gliele racconti, allora” Gibbs scosse la testa

“Mi parli della Young CIA,” 

“Le ho già detto tutto.”

“Allora mi dica di cosa ha bisogno”

“Voglio essere libera.” Gibbs non capiva, continuava a guardarmi in modo interrogativo, ma alla mia risposta rimase sorpreso. La mia voce cominciava a rompersi, e i miei occhi si gonfiarono

“Cosa significa, Camilla?”

“E’ stato un errore venire, le ho detto tutto ciò che sapevo, arrivederci” E mi alzai.

Gibbs mi mise una mano sulla spalla e mi spinse contro la sedia

“L’unico posto in cui va è la sala interrogatori, ne ho abbastanza di lei.” Uscì in fretta dalla sala riunioni mentre io rimasi a sedere. Le lacrime scendevano rapide sul mio volto. Iniziai a singhiozzare.

 

Gibbs raggiunse in ascensore la squad room

“Parlatemi!” disse rivolto a Tony e Ziva, iniziò DiNozzo

“Edmund Grey è un investigatore privato, ho trovato il suo indirizzo e numero di telefono. McGee è già da lui.”

“Ziver!” continuò Gibbs

“Assolutamente nulla su Camilla Ruzzi, Boss. Sono desolata, non so cosa dire” Ziva e Tony erano sconvolti dal non aver trovato nulla su di me

“Non è colpa tua, Ziva” disse Gibbs “Quella ragazza ne sa una più del diavolo”

“Grazie, agente Gibbs!” La mia voce li fece sobbalzare

“Cosa ci fa qui?” 

“Nulla, mi annoiavo a stare da sola” avevo capito che l’approccio dolce con Gibbs non avrebbe funzionato. Non dovevo muoverlo a compassione, dovevo farlo adirare talmente tanto da ascoltarmi per sfinimento. La cosa avrebbe impiegato qualche tempo, lo sapevo, ma ne avevo bisogno.

“DiNozzo, accompagna la signorina Ruzzi in sala interrogatori. Poi di lei si occuperà Ziva” Prima di seguire Tony mi avvicinai all’agente David “Scusi, Ziva.” Poi uscii di scena.

Appena mi fui allontanata abbastanza da non sentire, Ziva approcciò Gibbs.

“Io dovrei interrogarla?”

“Sì,” Gibbs parlava in modo paterno “spero non ci siano problemi”

“Spero anche io, ma non credo di essere la persona più indicata.”

“Sì, Ziver, lo sei.”

 

Ziva arrivò in sala interrogatori un minuto dopo di me. Era agguerrita, pronta a combattermi

“Cosa vuoi da noi, Camilla?”

“Parlarvi, agente David”

“Chi ti manda?”

“Me stessa-” la risposta sconvolse Ziva, si aspettava che rispondessi la Young CIA

“Stai dicendo che la Young non ti ha mandata?”

“Nossignora, l’agenzia mi ha detto di mettermi in contatto con voi riguardo al caso Reynolds, io sono venuta perché ho bisogno del vostro aiuto. Anzi, sono contenta che mi stia interrogando lei”
“Perché?” Ziva era incuriosita dalle mie risposte, e in un certo senso intimorita.

“Perchè so di potermi fidare di lei, agente David” Il mio sguardo fece scattare qualcosa in Ziva, qualcosa che non capii cosa fosse

“Dimmi perché io”

“Ziva, io e te siamo molto più simili di quanto tu creda. Solo tu puoi capire cosa significhi per me arrivare qui.”

“Hai ragione...”

“Ho bisogno di parlarti in privato, senza che ci spiino dietro quel vetro. Non posso fidarmi di nessuno, proprio come te”

“Io posso fidarmi di qualcuno, Camilla” 

“Già, tu hai Tony” risposi. Le brillarono gli occhi.

“Non solo lui” Ziva si era appoggiata allo schienale, poi venne con il busto verso di me “Questa sera al bar della base alle otto?”

“Non posso in pubblico, la Young ha occhi e orecchie dappertutto. Casa tua?” Ziva estrasse un foglietto dalla cartellina che teneva sul tavolo

“No,” la fermai con la mano “conosco il tuo indirizzo” E le feci l’occhiolino. 

“Adesso parlami di Reynolds” Ziva era diventata affabile

“Gli hanno sparato alla schiena con una calibro quarantacinque,”

“Come lo sai?” 

“Me lo hanno detto alla Young”

“Vai avanti”

“Reynolds era un Marine coraggioso, veterano della guerra del Golfo, non sarebbe mai fuggito da degli inseguitori. Soprattutto, teneva sempre con sé una pistola. Scommetto che troverete tracce di bruciature intorno alla ferita,”

“E’ stata un’esecuzione.”

“Esatto”

“Per caso, alla Young dicono anche da parte di chi?” Mi guardai intorno e sorrisi

“Quanto avrò per dirvi questo?” Ziva si avvicinò a me

“Quanto chiedi?”

“La fiducia dell’intera squadra durante questa settimana” Si sentii la voce di Gibbs venire dalla stanza adiacente “Si può fare”

Sorrisi nuovamente, rivolta verso lo specchio alle mie spalle

“Grazie, Gibbs.” Poi mi voltai verso Ziva “Alla Young dicono che sia stato Grey”

“E il complice?”

“La moglie di Reynolds.”

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Capitolo 3
*** La mia storia ***


GIUSTO PER COMINCIARE: Hello! Questo è
il famoso capitolo 3 di cui vi parlavo...
Non voglio fare troppi preamboli
perché è importante che leggiate questo
con grande attenzione!
xo 



LA MIA STORIA


Uscii dalla sala interrogatori subito dopo Ziva, raggiunsi la mia macchina e cominciai a guidare. Erano le cinque e un quarto, avevo ancora due ore e tre quarti all’incontro con Ziva e prima di tutto mi volli accertare di non essere seguita. Svoltavo frequentemente, controllavo gli specchietti retrovisori, parcheggiavo e poi ripartivo. All’inizio credetti di essere paranoica, poi mi accorsi che una berlina grigia targata California mi seguiva da più di dieci minuti. Entrai nel parcheggio dell’Hilton Hotel e aspettai in macchina, come previsto la berlina entrò dopo di me. Dallo specchietto provai a capire chi fosse il ragazzo alla guida, probabilmente lo conoscevo, ma gli occhiali scuri m'impedivano d'identificarlo. Riaccesi il motore e ripartii. Non m'interessava essere seguita, non avrebbe fatto nessuna differenza, sarei comunque andata da Ziva, loro non sapevano chi fosse.

Molte delle informazioni che avevo raccolto durante le mie investigazioni sull’NCIS le avevo tenute per me, avevo paura che potessero scoprire il mio piano, sempre che ne avessi uno.

Adesso dove vai?, pensai vedendo la berlina curvare in un vicolo cieco. Poi mi accorsi che dall’altra parte della strada un SUV blu si era messo in moto: la Young mi pedinava.

Erano le cinque e mezzo quando mi fermai ad uno Starbucks ed entrai, ordinai due caffè a nome Rory e uscii, direggendomi verso il SUV. Il ragazzo alla guida abbassò il finestrino, mi guardò sorridendo e disse “Quanto ti devo, Cami?” gli feci un occhiolino, gli diedi il caffè e me ne andai sorridendo. Aveva capito: stava sorridendo anche lui. Poi mi urlò, sentii la sua voce da lontano “Farò il possibile”

Venti minuti dopo nessuna macchina mi seguiva, ero finalmente libera, almeno per ora.

Tornai all’Hilton direggendomi verso la reception, chiesi la chiave della stanza 457 e salii in ascensore. La stanza era a nome Rory McElroy.

Mi feci una doccia veloce, asciugai i capelli, mi cambiai d’abito e accesi la TV. Avevo ancora un ora e un quarto, e per arrivare e Georgetown ci volevano solo dieci minuti. Mi stesi sul letto e chiusi gli occhi.

Era stata una giornata stancante, snervante e piena di emozioni: avevo preparato ogni singola parola da dire, ogni occhiata, ogni battito di ciglia; ma una volta lì le emozioni avevano preso il sopravvento, all’NCIS mi ero comportata come previsto, ma dentro di me sentivo qualcosa crescere, qualcosa che non conoscevo ancora. Quando riaprii gli occhi erano le sette e mezzo: ora di andare.

Afferrai la borsa, chiusi la porta e in meno di un minuto ero già alla reception a consegnare la chiave “Buona serata, signorina McElroy” mi disse la receptionist. Io le sorrisi.

Salii in macchina e controllai i retrovisori: nessun SUV conosciuto, nessuna berlina targata California, ero ancora libera. Ancora per poco, pensai.

 

Raggiunsi casa di Ziva alle otto meno cinque, decisi di seguire pedissequamente il galateo e aspettai in macchina lo scoccare dell’ora. Decisi di fare una telefonata

“Bob, sono Cami. Ti disturbo?”

“Mai. Dimmi”

“Volevo sapere com’è andata oggi”

“Ce la siamo cavata anche senza di te...”

“Bene, ci vediamo la settimana prossima.”

“Spero di sentirti prima” Risi. Ci salutammo e riattaccai. Bob, o meglio Robert, era il mio assistente ed il primo amico che mi ero fatta alla Young, era un bravo ragazzo. Lavorava per studiare, come me.

Suonai il campanello, Ziva mi aprii rapidamente e salii i tre piani a piedi.

“Benvenuta” Ziva non sorrideva, aspettava educatamente che io entrassi

“Ciao,” mi pulii i piedi sullo stuoino “spero di non essere arrivata troppo presto” Usavo frasi formali, per rompere il ghiaccio

“Sono le otto in punto” Entrai e chiusi la porta alle mie spalle, Ziva mi fece strada verso il salotto

“Posso offrirti qualcosa da bere?” Io mi sedetti, lei rimase in piedi

“Cos’hai?” 

“Di tutto” le sorrisi e poi dissi “Rum con ghiaccio, per favore” Ziva sorrise, era la prima volta che lo faceva in mia presenza.

“Non hai ventuno anni,”

“Come lo sai?” Ridemmo “Te lo preparo subito”

Si diresse verso la cucina ed io la seguii “E’ bello qui,” dissi guardandomi intorno

“Grazie,” stava versando il rum nel bicchiere

“Tu dove abiti?” mi chiese concentrata nella preparazione del drink

“Al Hilton, mi paga tutto la Young”

“Non male,”

“Potrebbe essere meglio”

“Ma potrebbe essere anche peggio” sorrisi. Mi porse il bicchiere e tornammo nel salotto

“Parlami di te, sono curiosa” ci sedemmo, lei mi scrutava pensierosa

“Ziva, devo dirti una cosa prima” lei non disse nulla, rimase a guardarmi

“Volevo scusarmi per questa mattina, non avrei dovuto parlarti in quel modo.”

“Già,” Ziva era di nuovo seria

“Avevo paura, molta paura. Non ero in me, ti prego di scusarmi”

“Deciderò nel corso di questa serata se scusarti o no,” mi accorsi che non era una battuta, avrei dovuto calibrare le mie parole se volevo conquistarmi la sua fiducia. E per me era una questione di vita o di morte. O quasi.

“Sono Camilla Ruzzi, nonostante nei database tu non abbia trovato nulla a mio nome. Sono nata a Venezia, Italia, diciassette anni fa. La mia famiglia era perfetta, andavamo tutti d’accordo, avevo una sorella di un anno più piccola di me, la mia Anna. Anna era dolce, sensibile, sapeva sempre cosa dire nei momenti opportuni, le sue parole non erano mai fuori luogo. Al contrario di me. I miei genitori stravedevano per lei, perché era pressoché perfetta, non trovai mai un difetto in lei. Non che io fossi un disastro, semplicemente eravamo molto diverse. Io andavo bene a scuola, lei era impeccabile, io giocavo bene a tennis, lei era la prima nei tornei. Anna, nonostante fosse più piccola di me, era il mio idolo. Eravamo inseparabili, lei era tutto per me, credevo che un legame come il nostro non potesse essere distrutto, né dal tempo, né dalla vita. Ma quando avevo tredici anni, a dicembre, come una maledizione natalizia, le fu diagnosticato un cancro al cervello. In tre mesi la mia Anna non c’era più.” Bevvi un sorso di rum

“La vita si era portata via ciò che mi rendeva felice, ciò che univa la mia famiglia. Dopo la sua morte mia madre soffrì di un grave esaurimento nervoso, mio padre non era in grado di ragionare, ed io ero troppo forte, secondo loro, per poter avere problemi. Mi nascondevo dietro una maschera di forza, di sfacciataggine, di sicurezza. La stessa che ti ho mostrato questa mattina. Così presi una decisione: sarei uscita di scena per sempre. Camilla non sarebbe più esistita” Parlando guardavo dentro il bicchiere, Ziva ascoltava compita aspettando la fine del mio racconto. O forse l’evoluzione. 

 

“Partii un mercoledì notte di due anni dopo dall’aeroporto di Venezia e atterrai a New York. Con me avevo millecinquecento euro, un passaporto falso ed una valigia. Non hai trovato nulla riguardo a me sui database perché sono entrata negli Stati Uniti come Rory McElroy, una studentessa londinese. Da New York mi trasferii in Virginia, per risparmiare più soldi possibile, aspettando di trovare un lavoro. Vissi in un motel per sei mesi, guadagnando qualcosa con i borseggi nei centri commerciali: mi scoprii abbastanza portata per il furto.”

“Una sera squillò il telefono della mia camera del motel, la voce della receptionist m'informò che un uomo era lì per vedermi. Fui colta dal panico: credetti che fosse la polizia, o forse i servizi sociali, o forse qualcuno dall’Italia venuto per trovarmi. Decisi di non fuggire e andare incontro al mio destino. Dall’altra parte della porta c’era il vicedirettore della Young CIA. Mi disse che avevano visto il mio metodo di borseggio, che ero scaltra e potevo fare al caso loro. Mi offrirono duemilacinquecento dollari al mese, più alloggio. Cosa dovevo fare, Ziva? Cosa?” La mia voce si ruppe nell’ultima domanda e le lacrime cominciarono a scendere sulle mie guance

“Non avevo nulla, nulla! Mi sembrava la soluzione ai miei problemi, l’unico modo per non morire di fame” Ziva sollevò lo sguardo dal pavimento e mi disse “Vai avanti, m'interessa”

“Accettai e mi trasferii a Washington,” continuai con la voce più calma, cercando di contenermi “qui cominciai a lavorare come assistente del vicedirettore. All’inizio mi chiesero chi fossi, con che nome volessi essere chiamata e con che nome fossi entrata negli Stati Uniti. Risposi che il mio nome era Camilla Ruzzi, che ero entrata come Rory McElroy, e che volevo essere chiamata Anna. Come mia sorella.”

“E del nome Rory cosa ne hai fatto?”

“Rory ha una camera d’albergo all’Hilton Honors, Camilla esiste solo ufficiosamente, la conoscete voi dell’NCIS, la conoscono solo i miei colleghi più stretti, quelli di cui mi fido di più. Per gli altri sono Anna. Diventai responsabile delle relazioni con le altre agenzie dopo sei mesi alla Young”

“Spiegami”

“Noi collaboriamo strettamente con agenzie federali come la CIA o l’FBI. Dicono che noi siamo solo dei criminali, è vero, ma senza di noi...”

“Cosa intendi?” Ziva si era piegata leggermente in avanti.

“Dicono che i criminali fanno affari più volentieri con altri criminali. In poche parole, anziché pagare degli agenti da mandare sotto copertura e fargli rischiare la vita, loro pagano noi. Come delle cavie, se noi veniamo uccisi, rapiti o qualunque altra cosa a loro non importa: siamo criminali. Se l’operazione va a buon fine, allora ci pagano bene. Io mi occupo di organizzare le operazioni, ma non ho mai fatto parte della lista.”

“Cos’è?” Io bevvi due sorsi di rum e ripresi a parlare

 

“Ci sono due tipi di agenti della Young: quelli che fanno parte della lista e quelli che non ne fanno parte. Se il tuo nome è scritto su quel libro nero allora per il tuo futuro puoi sperare di lavorare per la CIA o continuare la carriera criminale. Se il tuo nome non ne fa parte sei relativamente libero.”

“Dico relativamente perché se giuri fedeltà alla Young devi rimanerci fino al compimento del ventunesimo anno, non hai altra scelta se vuoi vivere.”

“Cosa cercavi all’NCIS?”

“Un salvatore. Una volta mi capitò tra le mani il dossier di un certo agente Leroy Jethro Gibbs, lessi che aveva salvato tante vite, pensai che potesse salvare anche la mia. Ziva, io sono entrata alla Young perché avevo bisogno di soldi, ma non voglio continuare così. Voglio essere libera, andare al college, fare ciò che fanno le altre ragazze!” Ziva annuì seria “Capisco, Camilla. Capisco”

“Avevo preparato ogni singola cosa da dire a Gibbs, ma arrivata nella squad room ero terrorizzata, credevo di essere senza speranze, e così ho sbagliato. Ho ferito te e Tony.”

“Lascia perdere...” disse Ziva “Parleremo di questo più tardi”

“Ziva, io mi posso fidare solo di te e di Gibbs” Lei alzò lo sguardo perplessa ed incuriosita

“Cosa vuol dire?”

“Ho studiato il tuo dossier, ho letto di tua sorella, di tuo padre. Ho letto di come hai dovuto affrontare il tuo passato per vivere il tuo presente. Sono nella tua stessa situazione, e solo tu puoi aiutarmi. Ma devi lasciare che io aiuti te.” Ziva sbarrò gli occhi

“Ho delle informazioni su Tali. Informazioni importanti”

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Capitolo 4
*** Informazioni importanti ***


GIUSTO PER COMINCIARE...HELLO GIBBLETS!
Questo è l'attesissimo quarto capitolo
e come promesso... [rullo di tamburi] TIVA!! E ce ne
sarà anche nel prossimo! Spero vi 
piaccia e mi raccomando:
recensite!
xoxo


INFORMAZIONI IMPORTANTI




Ziva non rispose subito, ma si alzò e andò verso la cucina.

-Hai fame?- la guardai stupita, non credevo che volesse procrastinare il mio racconto. Le risposi -No,-

-Bene,- sospirò -neanche io.- Bevve un sorso d’acqua e tornò sul divano.

Ci guardammo per qualche tempo, poi lei abbassò lo sguardo, si passò le mani tra i capelli e mi sussurrò -Racconta.-

Io annuii e cominciai -Trovai il tuo dossier poco dopo quello di Gibbs, decisi di studiarlo attentamente e venni a sapere di tua sorella. Mi dispiace molto.-

-Grazie. Vai avanti-

-Mi sembrò strana la sua morte, e soprattutto il fatto che non si fossero mai trovati i colpevoli. Chiesi informazioni alla CIA, ma mi dissero di non saperne niente, mi dissero che risaliva a troppo tempo prima. Non gli credetti, e feci bene. Così inviai alcuni agenti della Young ad indagare, senza spiegar loro il motivo. Dissi che ce lo chiedeva la CIA.-

-In Israele vennero a sapere da alcuni ex agenti del Mossad che si erano svolte molte indagini a riguardo. Questi dissero che il direttore del Mossad, s'intende non tuo padre,-

-Sì, mio padre all’epoca era un agente-

-Esatto. Il direttore sapeva chi fossero gli artefici della strage, ma non aveva mai fatto giustizia. Motivi politici, capisci.- Ziva sbarrò gli occhi

-Il Mossad sapeva tutto?- 

-Tutto e anche di più. Queste persone erano state mandate da Hamas per...Fa niente, questo te lo spiego dopo. Dimmi una cosa, Tali non doveva essere su quell’autobus, vero?- Ziva mi guardò negli occhi e scosse la testa -No,- sussurrò.

-Ci dovevi essere tu, vero?- Lei annuì

-Oh, Camilla, mi sento così in colpa!- Cercai d'interromperla

-No, non devi. Lasciami finire. Non è forse vero che ci furono altre quattro esplosioni sospette quel mese?-

-Forse, non ricordo. Non mi concentrai molto sul mondo dopo la morte di Tali. Volevo solo vendetta.-

-Ti spiego, Hamas voleva uccidere le nuove leve del Mossad. Tu, e altri tre ragazzi. I tre morirono, mentre tu ti salvasti. Tali morì al tuo posto.-

-Perché il Mossad non ha ucciso i colpevoli?-

-Perché i colpevoli erano troppo importanti politicamente. Ziva, la morte di tua sorella, come degli altri tre ragazzi poteva scatenare una guerra troppo sanguinosa per Israele. Non potevano permetterselo, e ignorarono i fatti. I responsabili scoprirono solo tre anni dopo di aver ucciso la persona sbagliata, su quell’autobus, ma avevano perso tutto il potere che avevano e non poterono ordinare la tua morte.-

-Che ne è stato di loro?-

-Sono morti in un incendio due anni fa. Ho appiccato l’incendio con le mie mani.-

Ziva sbatté le palpebre e mi guardò stupita -Cosa hai fatto?- Non poteva credere alle mie parole.

-Ho ucciso gli assassini di tua sorella- Ziva passò le mani sul volto, poi tra i capelli. Si alzò e cominciò a camminare per il salotto, poi si risedette. 

-Non so cosa dirti, Camilla.- distolse lo sguardo da me.

-Non dire nulla.-

-Cosa ha detto la Young riguardo alla tua operazione?-

-Hanno creduto alla mia versione, ci credono tutt’ora, credono che la CIA l’abbia ordinato.-

-E tu perché l’hai fatto?- Ora veniva la parte più complicata per me, spiegare a Ziva il motivo della vendetta non era previsto. Speravo che mi ringraziasse, e basta. Ora avrei dovuto inventare una scusa.

-L’ho fatto, e basta. Non importa dare spiegazioni, ora che tua sorella è stata vendicata può riposare in pace. Il resto è futile-

-Non per me!- Ziva gridò quest’ultima frase. -Voglio quest’ultima verità, Camilla, poi non faccio più domande.- Mi alzai e mi sedetti affianco a lei. Ziva mi guardava negli occhi.

-Non ho potuto vendicare Anna, non ho potuto vendicare mia sorella perché il suo assassino era invisibile, era inafferrabile. Anna è morta senza un motivo, come Tali, ma la sua morte non aveva un colpevole, non avevo nessuno da biasimare. Ho letto di Tali, di quanto il suo caso assomigliasse a quello di Anna. Sì, ho fatto uccidere gli assassini di Tali per vendicare mia sorella. E’ vero, Ziva, sono un’egoista.-

A quel punto mi alzai e tornai al mio posto.

-No, Camilla- Ziva scuoteva la testa -No, avrei fatto la stessa cosa. Ti sono grata per quello che hai fatto, e non so cosa dire. Ti devo molto- Sorrisi e mi commossi, Ziva sorrise a sua volta

-Vuoi mangiare qualcosa? Ho preparato un arrosto- Io mi asciugai in fretta le lacrime, risposi affermativamente e preparammo la tavola.

Scherzammo e ridemmo per un po’, poi chiesi

-Ho bisogno che tu sia sincera con me, lo faresti?-

-Dimmi,- Ziva si voltò verso di me

-Se tu fossi stata al mio posto, avresti vendicato mia sorella?- Ziva sbatté le palpebre e si avvicinò a me, mi poggiò una mano sulla spalla e mi rispose

-Se io fossi stata al tuo posto, non avrei avuto dubbi- Annuii e l’aiutai portare in tavola l’arrosto.

 

Metà della cena passò tranquillamente, parlammo del più e del meno, di come fosse difficile trovarsi in un paese straniero, ci raccontammo aneddoti, poi le dissi

-Parlami di Tony.- Ziva mi guardò stranita

-Cosa c’è da dire? Tony è Tony. E’ spiritoso, ma a volte esagera, parla sempre di film e...-

-No. Parlami di voi due- Ziva sorrise e continuò mangiare. Deglutì e bevve un sorso d’acqua, poi rispose

-Siamo colleghi...-

-E...- continuai io

-E basta. Tony è un amico, nient’altro.-

-Beh, siamo passati da colleghi ad amici, il che fa la differenza. Magari ora mi dici qualcosa di più,- e la guardai sorridendo, lei distolse lo sguardo.

-Cami, non c’è nulla tra me e Tony, non ci sarà mai nulla,- Poi smise di sorridere ed abbassò lo sguardo.

-Ziva, ti sbagli. Io vedo come ti guarda, vedo quanto tiene a te. E’ venuto in Somalia per salvarti la vita, rischiando la propria, ti ha detto che non può vivere senza di te, e poi Parigi...- Lei si voltò di scatto

-Cosa sai di Parigi?-

-So questo:

 

-Tony, in questa camera c’è solo un letto!-

-Oh, fa niente. Io prendo il divano, tu dormi comoda.-

-No, insisto, vai sul letto.-

Ziva andò nel bagno, si fece una doccia e, dimenticandosi di star dividendo la camera, uscì dal bagno avvolta nel telo.

Tony si girò a guardarla, mentre lei nascondeva l’imbarazzo in una risata artificiosa.

I suoi capelli neri erano in perfetto e grazioso contrasto con il bianco dell’asciugamano, e il suo volto naturale, struccato, impegnato a ridere era dolce, come Tony non aveva mai visto.

-Be’, io prendo i vestiti e torno...- balbettò Ziva indicando il bagno. Tony sollevò le sopracciglia

-Anche no.- Si avvicinò lentamente a lei, e Ziva fece qualche passo avanti verso di lui. I loro occhi si incrociarono, mentre le mani di Ziva stringevano forte l’asciugamano. Lui sorrideva, lei no. Ad un certo punto Tony prese le mani di Ziva e le allontanò dal telo da bagno, appoggiandole sui propri fianchi. Poi con la destra afferrò il telecomando dello stereo e mise della musica lenta. 

In modo altrettanto lento riportò le mani sul telo e lo sfilò cautamente, Ziva non si muoveva. Tony prese poi il suo volto tra le mani e la baciò, prima su una guancia, poi Ziva si voltò verso il collega e ricambiò il bacio, ora sulla bocca. Rimasero fermi ancora qualche minuto, rilassando i corpi grazie alla musica, poi Ziva spostò le mani sulle spalle di Tony, staccò le labbra per un istante e sussurrò

-Tony, io...- Ma lui le posò un dito sulle labbra e disse -No, Ziva, tu puoi- e insieme camminarono lentamente verso il letto, senza staccare le labbra. Tony si stava sbottonando la camicia, Ziva lo spingeva su letto. Lui si sdraiò per primo, sfilandosi la camicia, poi lei si sdraiò su di lui, aiutandolo a spogliarsi. I loro movimenti erano lenti quanto la musica, ogni tanto i loro occhi si incrociavano, e Tony allora le faceva l’occhiolino. Lei sorrideva.

Il mattino dopo si svegliarono nudi e abbracciati. 

 

Alla fine del mio racconto Ziva mi chiese allibita -Come lo sai?- Scossi la testa

-Sinceramente? Non me lo ricordo, lo so e basta.-

-E... sai altro?-

-Può darsi,- poi aggiunsi -è finita l’acqua- Lei si voltò e da un ripiano prese un’altra bottiglia, dopo aver bevuto continuai

-Non capisci quanto tu sia fortunata ad avere Tony? Lui ti ama più della sua stessa vita, darebbe tutto ciò che ha per te.- Ziva scosse la testa

-Non è così facile. Hai ragione, mi piace Tony, ma non siamo fatti per stare insieme. Lui ed io non potremmo mai essere una coppia.- Alzai le spalle

-Non sono d’accordo. La verità è che tu e lui non vi siete mai parlati, tu e lui non pensate alle conseguenze di ciò che fate. Voi avete fatto l’amore a Parigi, e per voi basta così. O almeno credete-

Ziva smise di parlare, ma masticava velocemente e riempiva la bocca continuamente per non rispondere alle mie affermazioni. Non era arrabbiata, non ce l’aveva con me, semplicemente parlare di Tony non le faceva piacere.

-Ho toccato un tasto dolente?- chiesi dopo un po’

-No.- Si alzò ed appoggiò il piatto nell’acquaio -Sediamoci sul divano-

Ci spostammo.

-E riguardo a questa mattina?- Ziva mi sorrise

-Adesso ti dico qualcosa io: credevo di aver capito che tipo fossi, credevo che ti piacesse torturare gli altri, per il gusto di farlo. Credevo che fossi la tipica ragazza viziata che passa dalla parte dei criminali solo per divertimento. Non avevo capito nulla di te. Camilla, avevi ragione tu. Sei molto più simile a me di quanto credessi e sì, ti perdono. Ma non ti posso assicurare che Gibbs ti dia una mano. Farò del mio meglio per convincerlo, ma Gibbs è Gibbs.- Le sorrisi

-Comunque vada,- dissi dopo un po’- comunque vada non dimenticherò questa serata. E vorrei farti sapere che sei l’unica persona, da quando sono qui, che si interessa a me per quello che sono, non per ciò che faccio. Se Gibbs non ti ascolterà io sarò costretta a tornare alla mia vita di prima e fingere che tutto questo- dissi con un enfatico gesto delle mani -non sia mai accaduto. Ma non ti dimenticherò.- Ziva mi sorrise, ci abbracciammo e lasciai il suo appartamento. 

Scesi in strada sorridendo e vicino alla mia macchina un ragazzo della Young mi stava aspettando.

-Le hai parlato?- mi chiese sollevandosi dal mio cofano

-Sì-

-E ti ha creduto?-

-Sì, Mike- Lui sorrise e aggiunse

-Allora siamo sulla buona strada. Prossimo passo: entrare all’NCIS.-

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Capitolo 5
*** La consegna ***


GIUSTO PER COMINCIARE: Hello! 
Capitolo 5 finalmente arrivato, 
mi scuso per non averlo postato prima
ma non ho veramente avuto
tempo. Spero vi
piaccia!!
xo



LA CONSEGNA


Dopo la serata con Ziva e dopo aver visto Mike non tornai subito in albergo, ma decisi di fermarmi in un pub, poco lontano dall’Hilton, per bere qualcosa. Si chiamava Blue Lagoon ed era principalmente frequentato da agenti dell’FBI. Ci andavo, solitamente, con i miei colleghi della Young. Scesa dall’auto mi guardai intorno, per vedere se conoscessi qualcuno, e mi accorsi che la macchina di Mike era proprio lì, affianco alla mia. Sorrisi e mi avvicinai.

-Che fai? Mi segui?- Rise

-No, ma mi sono accorto che stavi andando dalla parte opposta di casa tua, quindi mi sono incuriosito,- avevamo parlato attraverso il finestrino, così decisi di aprire la sua portiera e farlo scendere

-Beviamo qualcosa?- Mike annuì e ci avviammo all’entrata. Il locale era pieno, pieno della solita gente, soliti volti. Un tavolo nell’estremo angolo destro si stava liberando in quel momento e ci dirigemmo velocemente lì, prima che qualcuno ci rubasse il posto. Constatai che bere al banco mi piaceva di più, ma non avevo voglia di stare in piedi e tantomeno di prendere il posto a qualcuno, quindi non feci storie. Mike camminava tre passi avanti rispetto a me, con le mani congiunte dietro la schiena ed il collo lievemente proteso in avanti, come al solito: alla Young lo prendevamo in giro dicendo che camminava come i vecchi. Mi ero accorta, quando era uscito dall’auto, che aveva la sua pistola con sé, e non solo. Non mi aveva seguita per caso: lo avevano mandato a darmi qualcosa, ma proprio non riuscivo a capire cosa potesse essere. 

Raggiungemmo il tavolo con difficoltà, passando tra la folla del bar. Arrivati al tavolo, Mike chiamò il cameriere perché portasse via i bicchieri usati e il conto, poi ci sedemmo. Mi sorrise impacciato.

-Non sei bravo a mentire,- lo apostrofai. Mike diventò immediatamente paonazzo

-C-cosa intendi?- mi chiese balbettando. 

-Intendo dire che se lavori dietro una scrivania c’è un motivo, Michael Dawson, e non è nulla di cui vergognarsi, soltanto che ogni tanto un po’ di qualità attoriali non farebbero male- gli sorrisi, mentre lui si sfregava le mani, tenendo entrambi i gomiti sul tavolo.

-Mike,- dissi tornando seria -dammi ciò che mi devi dare, poi beviamo- dissi quelle parole guardandolo fisso negli occhi, ma appena ebbi finito lui distolse lo sguardo e cominciò a guardarsi intorno, come se cercasse qualcuno.

-Anna,- pronunciò il mio nome sotto voce, feci fatica a sentirlo nella confusione del bar -Anna è una cosa molto importante,- parlava continuando a guardarsi intorno ed a sfregarsi   le mani -questo te lo manda Gregory in persona.- disse toccandosi la tasca interna della giacca. Sobbalzai sulla sedia. Gregory era il numero uno della Young, fratello del fondatore, per parlarne bastava dire “Lui” e tutti capivano di chi si trattasse. Non avevo mai incontrato Gregory di persona e non sapevo neanche che aspetto avesse, tutto ciò che sapevo su di lui erano voci di corridoio, la maggior parte delle quali inventata. Appoggiai le mani sul tavolo e tutto ciò che riuscii a dire fu:-Ordiniamo da bere- Presi un gin-lemon con molto ghiaccio, lui un rum doppio con poco ghiaccio, lamentandosi di non averne voglia. 

Il cameriere tornò meno di un minuto dopo con i nostri bicchieri, li pose sul tavolo e ci lasciò, soli nella confusione del locale. Per i primi due minuti Mike non toccò il proprio bicchiere, lasciandomi bere da sola, dopo aver proposto un brindisi rifiutato. Sorseggiai lentamente il drink, guardandomi intorno e sperando che nessuno di mia conoscenza fosse lì. Dopo tre o quattro sorsi ruppi il silenzio:-Dammi ciò che mi devi dare, bevi e vattene- dissi sottovoce. Notai che Mike rimase stupito da questo mio repentino cambio di atteggiamento

-E’ all’altezza del tuo ginocchio sinistro- e sentii qualcosa sfregarmi la gamba, come se fosse cartone.

-Sai cos’è?- chiesi

-Credi che Gregory me l’abbia detto?-

-Hai incontrato Gregory?!- ero esterrefatta, Mike sorrise 

-No, ho trovato tutto sulla mia scrivania questa mattina. Era allegato un biglietto con le istruzioni. Ora, se non ti dispiace, potresti prenderlo? Mi sta iniziando a dolere la spalla- Sorrisi e allungai il braccio sinistro sotto al tavolo. Tastai accuratamente la confezioni di cartone, accorgendomi che doveva avere le dimensioni di un tablet, ma più spesso. Portai la mia borsa sulle ginocchia e vi infilai il pacco misterioso.

Bevemmo ancora un po’, poi Mike mise i soldi sul tavolo e mi salutò, io mi alzai poco dopo. 

Uscita dal locale non senza difficoltà -il Blue Lagoon rimaneva affollato fino a tarda notte-, respirai profondamente e guardai l’orologio: l’una e mezza. Sentii la testa che mi girava e mi diressi verso la macchina. Numerose fitte all’altezza del fegato mi impedivano di camminare velocemente e sapevo che non avrei dovuto bere così tanto quella sera. Mi sedetti in macchina e chiusi gli occhi, li riaprii solo dopo parecchio tempo: le due e tre quarti. Dopo aver maledetto il mio odioso vizio di bere, mi diressi verso l’Hilton, che fortunatamente si trovava a pochi chilometri dal locale.

Entrai nella mia stanza sentendo sempre più il bisogno di stendermi, così mi svestii, infilai il pigiama e mi buttai sul letto distrutta.

 

Ero in una stanza buia, senza finestre con un neon che lampeggiava fastidiosamente. Io urlavo disperata, ma non mi sentiva nessuno. Allora mi alzavo in piedi e cominciavo a tastare le pareti, queste erano morbide, muri di gomma, contro ai quali avevo cominciato a sbattere la testa, senza alcun risultato. Alzai la testa e mi accorsi che non aveva soffitto, ma solo una trave in legno marcio, tarlato che sarebbe caduta presto. Pioveva. E mi pioveva sulla testa, ed io, senza un posto per riparami, mi risedetti a terra, tenendo le braccia intorno alle ginocchia, ed appoggiando la testa al petto cominciai a piangere. Smisi solo quando sentii una mano sulla spalla, alzai la testa e vidi il volto di Gibbs che mi guardava severo. “Non piangere,” disse, e poi scomparve. Dopo di lui comparse Robert, che teneva in mano una coperta da neonato e dentro questa stava lo stemma della Young. Me la porse e disse “Piange, consolala” e io mi accorsi che oltre alla Young, la coperta conteneva Anna, in lacrime, che mi guardò e smise di piangere. Poi scomparvero sia lei che Bob, ed io ripresi a singhiozzare.

 

Mi svegliai in lacrime, sudata, ansimando. Mi sedetti sul letto, massaggiandomi il volto con le mani umide. E’ solo un sogno, solo uno stupido sogno, continuavo a ripetermi, ma non riuscivo a prendere pace. Guardai l’orologio sul mio comodino: le quattro. Quella notte sembrava non passare mai, così decisi di farla finire e andai a farmi una doccia. Questa fu molto d’aiuto, i vapori caldi aiutarono a sciogliere la tensione e quando uscii mi sentivo rigenerata, ma non completamente. C’era qualcosa che continuava ad impedirmi di essere serena, ma non riuscivo a capire cosa potesse essere. Raccolsi i capelli a turbante con l’asciugamano, poi asciugai il corpo partendo dai piedi, terminata quest’operazione mi rinfilai l’accappatoio e mi diressi verso l’armadio per scegliere cosa indossare il mio primo giorno all’NCIS. Camminando dal bagno alla camera gettai uno sguardo all’orologio, sperando che fosse effettivamente passato molto tempo, come la mia mente percepiva. Le quattro e venticinque. Poi, scuotendo la testa dal disappunto, mi cadde lo sguardo sulla mia borsa, appoggiata sul tavolino ai piedi del letto e mi accorsi che doveva contenere qualcosa di grande, o per lo meno, più grande del solito. Credetti di avere le allucinazioni poi ebbi un flash, come uno straccio di ricordo nella mia mente.

 

Ero seduta al tavolo di un bar affollato insieme a Michael Dawson e lui mi dava un pacco da parte di Gregory, poi se ne andava.

 

Mi accorsi che non poteva essere stato un sogno, ma che avevo assunto troppo alcool la sera prima e faticavo a ricordare cosa fosse accaduto. Mi diressi verso la borsa ed estrassi il pacco. Era la prima volta che lo vedevo bene, la sera prima lo avevo solo preso in mano, poi lo avevo messo nella borsa, così lo scrutai attentamente prima di aprirlo.

La carta era verde militare, le mie iniziali erano incise sopra con un pennarello nero a punta grossa, la grafia era chiara, semplice, maschile. Mentre giravo la confezione tra le mani inspiravo ed espiravo profondamente, poi mi decisi ad aprirlo. Lo tenevo con la mano destra, mentre la sinistra sfilava educatamente la carta, senza romperla, ecco che vidi spuntare qualcosa che riconoscevo, anzi, erano più cose. Appoggiai la carta verde sul tavolino e, tenendo stretto tra le mani il contenuto, mi andai a sedere sul letto. Era una ricetrasmittente, un cellulare, il mio tablet della Young e una busta con lo stemma dell’agenzia. Dopo averla esaminata esteriormente la aprii:

Agente Rory McElroy,

in seguito alla nostra conversazione telefonica le invio ciò che mi aveva richiesto. Le raccomando di tenerci aggiornati su eventuali sviluppi della faccenda, spero che tutto proceda per il meglio.

Buona fortuna

Jayleen F. Bacon

Ufficio di Gregory Harper.

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Capitolo 6
*** Rivelazioni ***


Hey Gibblets! Scusate
se non ho scritto
per così tanto tempo,
ma ho avuto problemi con EFP...
comunque, ecco il nuovo capitolo!
xoxo __WG




RIVELAZIONI


Gibbs arrivò in ufficio puntuale alle sei e trenta. Nonostante tutti arrivassero almeno mezz’ora dopo, lui arrivava sempre a quell’ora, in modo da potersi gustare il caffè senza essere disturbato. Ziva arrivò non molto dopo, alle sei e cinquantanove, si sedette alla propria scrivania, aprì il secondo cassetto e prese delle carte, poi appoggiò lo zaino nella mensola alle sue spalle e cominciò a lavorare. Le sue dita scorrevano veloci sulla tastiera del computer, ma la sua mente era altrove. Ritornava con il pensiero al nostro incontro la sera prima, ripensava a tutto ciò che le aveva detto, alla sua storia, a Parigi.

Già, Parigi, Ziva sorrise allo schermo, poi tornò con la mente al lavoro e fece una telefonata. Qualche minuto dopo arrivò anche McGee, che la salutò con un gesto della mano e cominciò ad indagare sulla morte di Reynolds. Gibbs gli aveva lasciato un biglietto sulla scrivania con le cose che doveva “assolutamente” -così recitava il post-it- fare quella mattina. Di Tony non si ebbero notizie fino alle otto.

-Buongiorno!- disse con un sorriso smagliante entrando nella squad-room

-Buongiorno, Tony- disse Ziva alzando la testa dallo schermo del computer. McGee salutò il collega con un gesto della mano, dato che era al telefono.

Ziva cercò di rimanere concentrata sul suo lavoro, ma il mio volto le tornava spesso nella mente, distraendola dal caso. Tony se ne accorse, ma fece finta di non vedere. Aspettava di essere solo con lei.

Lavorarono sul caso Reynolds fino alle undici e trenta, quando arrivai io. Credo tutt’ora che si fossero dimenticati di dovermi sopportare per un’intera settimana, infatti appena Gibbs mi vide scomparve nell’ufficio di Vance, mentre gli altri tre continuarono a lavorare. Vidi un certo lampo nello sguardo di Ziva, e lo notò anche Tony.

Correndo verso le scale, Gibbs mi prese inavvertitamente contro.

Gibbs entrò nell’ufficio del direttore senza bussare, nonostante gli avvertimenti della segretaria, e chiuse la porta alle proprie spalle. Vance guardò l’orologio e disse:

-Credevo saresti venuto prima, Gibbs.- e gli indicò la poltroncina invitandolo a sedersi, Gibbs rispose con un segno di diniego.

-E’ arrivata solo ora, Leon- stavano parlando di me -Hai scoperto qualcosa di più?-

-Io? Credevo ci stessi lavorando tu, Gibbs. Comunque, ho un’informazione riguardante sia la Ruzzi sia Reynolds.- Gibbs si sedette pronto ad ascoltare

-Ieri sera mi ha chiamato il SecNav e mi ha informato che Reynolds è il figlioccio di sua sorella, mi ha intimato di trovare il colpevole dell’omicidio in qualunque modo.- Sottolineò quelle parole in modo particolare, tanto che Gibbs sgranò gli occhi e chiese:

-Stai parlando di Camilla?- Vance prese uno dei suoi stuzzicadenti e se lo portò in bocca, poi annuì distrattamente

-Gibbs, il SecNav sa che sacrificio è per te avere una ragazza come lei nel tuo team, ma tu devi capire che non si tratta più di un omicidio qualunque, è una questione di famiglia.- e pronunciò queste parole come aveva pronunciato quel “qualunque modo” poco prima. Vance si era sicuramente preparato un discorso, e sapeva quali fossero i punti deboli di Gibbs.

-Leon...- Gibbs sospirò -io non sopporto quella ragazza e non sono assolutamente disposto a tenerla un altro giorno in più rispetto a quelli concordati. Avevamo detto una settimana, e io l’avrò nel mio team per una settimana,- Vance lo guardò interrogativo

-Ma...- continuò Gibbs

-Ma?-

-Ma farò in modo di chiudere il caso in meno di una settimana- Vance sorrise in quel suo modo tutto particolare, mentre Gibbs usciva dal suo ufficio a grandi passi.

Tornato nella squadroom mi fece cenno di seguirlo: ascensore.

-Ho parlato con Vance- mi disse Gibbs appena entrati

-Lo immaginavo, le ha detto chi è il tenente Reynolds, vero?-

-Sì. Ma se tu lo sapevi, perché non ce l’hai detto?- Gibbs si voltò verso di me, guardandomi fisso negli occhi

-Non credevo fosse importante, ma non blocca l’ascensore?- chiesi stupita.

Pensavo mi avesse portata lì per parlare, invece l’ascensore scendeva velocemente.

-No, Camilla, andiamo da Abby-

Il laboratorio di Abby era come me l’ero immaginato, la musica dark a palla nelle casse e lei che lavorava al computer. Gibbs la dovette chiamare due volte prima che lei si accorgesse della nostra presenza

-Oh, ciao! E,- si rivolse verso di me -ciao anche a te...- il tono usato nei miei confronti era decisamente diverso da quello usato per Gibbs. Mi guardò male e fece cenno al capo di avvicinarsi a lei, poi si voltò verso il computer

-Gibbs, che ci fa quella qui?-

-Abby, ascolta, è solo per poco. Tu ci dici che cos’hai scoperto e noi ce ne andiamo in fretta-

-No, Gibbs, parlavo dell’NCIS. Cosa ci fa un’agente della Young all’NCIS?-

-Abby, non fare così. E poi lo sai bene che anche io non sono contento di ciò- Gibbs mi fece cenno di avvicinarmi

-Abby Sciuto- indicò la scienziata -Camilla Ruzzi- indicò me

-Piacere!- e strinsi la mano morta di Abby con un sorriso smagliante, lei invece sembrava annoiata. Disse a Gibbs in fretta che cosa aveva scoperto sul caso e gli fece capire che era ora che ce ne andassimo. Intervenni io

-Agente Gibbs, scusi, ma vorrei rimanere un secondo da sola con Abby, se non le dispiace- lo sguardo della scienziata divenne supplichevole, ma Gibbs non obiettò e ci lasciò da sole.

-Abby, lo so,-

-Cosa sai?- mi chiese lei con un tono di disprezzo -Sai che non dovresti essere qui ad importunarmi?-

-Esatto.- mi avvicinai al tavolo d’alluminio al centro del laboratorio e sollevai una delle carte dei tarocchi.

-Ma sei qui lo stesso, mi vuoi dire perché?- Abby mi parlava rivolta allo schermo del computer, continuando a lavorare

-Per questa- e le mostrai la XIII carta, la morte. Abby si voltò di scatto

-Cosa vuoi da me?-

-Voglio che tu mi aiuti, in due cose,- Lei mi strappò la carta di mano e la mise sul tavolo da dove io l’avevo presa.

-Come te la cavi nell’interpretare i sogni?- Lei mi sorrise, per la prima volta, e mi rispose

-Stai parlando con la persona giusta- Io le sorrisi a mia volta e le raccontai il mio incubo.

Al termine del racconto vidi Abby alquanto turbata,

-Non so, Camilla- mi disse camminando velocemente avanti ed indietro per il laboratorio -se è come penso non va bene. Non va affatto bene-

-Per chi?-

-Camilla, tu vuoi tornare alla Young- non era una domanda, ma in realtà non era neppure un’affermazione. Era un qualcosa cui sentii di dover rispondere

-Devo, Abby, non ho altra scelta, ma sinceramente no. Non voglio tornare- Abby scosse la testa

-No, Camilla, forse tu no, ma il tuo subconscio sì. Per te Young significa Anna (chiunque Anna sia),- sorrisi, lei continuò -significa salvezza e per te Gibbs, che avrebbe dovuto aiutarti, non l’ha fatto. Per questo tu senti il bisogno di tornare-

-No!- esclamai -Abby, ti prego, aiutami!- lei improvvisamente si fermò e rimase impietrita

-Come Camilla? Come posso aiutarti ancora?- non mi stava offrendo il suo aiuto, mi stava invece facendo sapere che non avrebbe fatto altro per me. Io continuai lo stesso

-Abby, Gibbs ti ascolta, si fida di te. Se solo tu gli dicessi di fidarsi di me...- lei mi interruppe

-Vuoi la verità Camilla? Nessuno, nessuno si fida di te, tantomeno io. Ora vattene dal laboratorio, devo lavorare!- E mi fece segno di andarmene.

Non obiettai, ma uscii lentamente e mi diressi verso l’ascensore, poi presi il telefono cellulare che mi era stato appena dato dall’agenzia e telefonai.

“Nessuno si fida di te” - le parole di Abby mi risuonavano nella mente, come un martello. Non era vero, qualcuno c’era, solo che non lo sapevo ancora.

Terminata la telefonata salii le scale e, rientrata nella squadroom, mi avvicinai a Gibbs

-Abby le manda a dire che il DNA trovato sul corpo di Reynolds è delle moglie- Gibbs annuì e mandò due agenti a prelevarla.

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Capitolo 7
*** Esiste un 'noi'? ***


Hey Gibblets!...come va?
Beh, io sto postando il capitolo
e vi preannuncio che sarà strepitoso!
Vi avevo promesso una 
sorpresa, ed eccola!
Enjoy, e recensite :)



ESISTE UN NOI?


Presi posto nella scrivania in fondo alla squadroom, appoggiando la mia borsa sulla sedia e camminai lentamente verso la scrivania di Ziva, senza interrompere il suo lavoro. Lei mi guardò supplichevole. Capii allora che non aveva parlato ancora con Tony riguardo a ciò che era successo la sera prima, perché sapevo che l’avrebbe fatto e decisi di accelerare i tempi.

-Ziva,- dissi a bassa voce -potresti seguirmi un secondo?- lei alzò gli occhi, interrogandomi con lo sguardo e rispose:

-Un secondo e arrivo.- mosse velocemente le dita sulla tastiera e sospirando mi seguì.

Andammo nel bagno, l’unico posto in cui si potesse veramente parlare senza essere ascoltati. Prima di cominciare a parlare toccai con l’indice sinistro la mia tasca dei pantaloni, poi dissi:

-Riguardo alla nostra cena di ieri,- Ziva mi interruppe:-E’ stata più di una cena, Camilla, lo sai- Le sorrisi dolcemente:-Ziva, io voglio che qui noi la chiamiamo cena, ok?- 

Ziva rise, in modo lievemente isterico

-Scusa,- disse muovendosi i capelli con le dita -non avevo capito. Comunque per me è perfetto, preferirei che credessero che sia stata solo una cena.- Le porsi la mano destra, come si fa per le promesse solenni, dopo esserci strette la mano dissi

-Parola di scout- ed uscii sorridente dal bagno, prendendo inavvertitamente contro Ziva. Fuori notai ciò che avevo previsto.

 

Tony era lì, affianco alla porta cercando di origliare ciò che ci stavamo dicendo Ziva ed io. L’avevo immaginato: lui ci avrebbe seguito, e dopo la mia uscita sarebbe entrato nel bagno cercando di scoprire ciò che ci eravamo dette. Era un modo un po’ perverso, da parte mia, per far parlare quei due, ma loro dovevano farlo.

Io andai verso la mia scrivania, fingendo di non aver notato DiNozzo, mentre lui sgattaiolava nel bagno delle donne. Quando Tony entrò, Ziva si stava lavando le mani e lo vide riflesso nello specchio.

-Cosa ci fai qui?- gli chiese con aria distratta

-Ziver, che cosa vi siete dette tu e Camilla?- Ziva si girò verso di lui guardandolo fisso negli occhi, senza lasciar trasparire alcuna emozione.

 

Diglielo, deve sapere” diceva Ziva uno.

“No, mai...o perlomeno non ora!” rispondeva Ziva due

“E perché no? D’altronde la vita di Camilla è ciò che Gibbs vi ha ordinato di scoprire. Si tratta di lavoro,” insisteva Ziva uno

“No, Ziva, si tratta di molto di più. Camilla si è confidata con me, non la posso tradire così.”  “Ma guarda Tony, lui è dalla tua parte, lui deve sapere. Lui è Tony”

Ziva due cominciò a tentennare.

 

Durante il proprio dialogo interiore, Ziva era rimasta con gli occhi sbarrati fissi in quelli di Tony e le mani chiuse a pugno lungo i fianchi. Ogni tanto aveva aperto la bocca, come per dir qualcosa, ma poi l’aveva richiusa, sperando che Tony non avesse notato.

-Allora, me lo dici?- chiese il collega con occhi di supplica. Ziva uno prese il sopravvento.

-Ieri sera Camilla è venuta a cena da me- rispose Ziva velocemente, senza controllare le proprie parole. Tony fece un passo verso di lei

-Questo lo sapevo, Ziver. Dimmi cos’è successo- il collega le poggiò una mano sulla spalla, continuando a sostenere il suo sguardo.

Ziva gli raccontò nei dettagli ciò che ci eravamo dette, omettendo solo l’episodio di Parigi, ma il segreto non rimase tale a lungo.

Verso la fine del racconto, Tony prese la parola:

-Camilla cosa sa su di noi?- Ziva rise scostandosi un po’ da collega:-Esiste un noi, DiNozzo?- rise.

-No, ma...sai a cosa mi riferisco...- Ziva riportò i suoi grandi occhi neri sul volto di Tony e rispose sibilando:-Sa tutto, Tony. Tutto.- Tony annuì

-Ziver, lo sai che con me puoi parlare. Dimmi, perché hai accettato di incontrare Camilla a casa tua?-

-Era per il caso, all’inizio. Credevo che potesse aiutarci a scoprire più cose sul suo conto. Poi le carte in tavola sono cambiate, ora è una cosa personale.-

-Ti riferisci a Tali?- chiese Tony appoggiandole l’altra mano sull’altra spalla. Ziva non si mosse

-Sì, Tony. Io non so se quello che Camilla mi ha detto sia vero, ma se lo fosse allora lei si sarebbe guadagnata la mia stima per sempre.-

-Anche la mia,- aggiunse Tony.

-La tua? Cosa c’entri tu con mia sorella?- Ziva sorrise al collega, credendo che stesse scherzando, ma Tony non era mai stato così serio

-Ehi,- sollevò il suo mento con la mano destra e la guardò a lungo negli occhi -se ha la tua stima ha anche la mia, intesi?- Ziva sorrise nuovamente, ma in modo un po’ goffo. Era evidentemente imbarazzata.

-Tony, non devi. Tu odi quella ragazza e non devi smettere di seguire il tuo istinto a causa delle mie vicende personali. Non farlo- Tony fece un’altro passo verso di lei.

A quel punto i loro corpi aderivano quasi perfettamente, il mento di Ziva, proteso verso l’alto, sfiorava quello di Tony e i loro occhi non si staccavano. Sembravano sbattere le ciglia nello stesso momento per non perdere neppure un istante la vista dell’altro. 

Il silenzio che comunemente sarebbe stato definito ‘imbarazzante’ era invece per loro una sorta di tacito accordo e nessuno sembrava volerlo rompere, interrompendo quel magico momento.

Ziva alzò il mento ancora un po’ più verso l’alto mentre Tony abbassava il suo, cosicché le loro labbra poterono sfiorarsi. No, non si stavano baciando, semplicemente le labbra di Tony erano delicatamente appoggiate su quelle di Ziva, senza toccarle veramente, come quando si sfiorano leggermente i petali di una rosa per paura di rovinarli; ecco, così Tony sfiorava le labbra di Ziva. Lei non si muoveva, ma rimaneva immobile a guardarlo negli occhi, aspettando che qualcosa accadesse, o forse che quel delicatissimo sogno terminasse.

Tony spostò le mani dalle spalle ai fianchi della collega e lei si mosse un poco in avanti, in modo che la distanza tra i loro corpi divenne nulla. Ziva mosse il capo verso destra, Tony strinse le labbra della collega tra le sue. In quel preciso istante, entrambi chiusero gli occhi e lasciarono che fossero le emozioni a guidarli, non la ragione. Stringendosi ad occhi chiusi si mossero contemporaneamente verso la porta di una delle toilette, Ziva l’aprì con la schiena continuando ad avanzare all’indietro, mentre Tony apriva gli occhi di tanto in tanto per controllare dove stessero andando. Una volta entrati, DiNozzo chiuse la porta a chiave.

 

Tornarono in ufficio più tardi, dove io li aspettavo sorridente. Appena Ziva si sedette alla propria scrivania mi avvicinai al suo orecchio e le chiesi se avesse raccontato del nostro incontro a Tony, lei annuì impercettibilmente e mi fece segno di allontanarmi. Sorrisi a Tony e lui mi guardò circospetto. 

Sapevo tutto, ma loro non immaginavano quanto grande quel tutto fosse.

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Capitolo 8
*** Occasione persa, agente DiNozzo. ***


Hey Gibblets! Scusate per la lunghissima
attesa, ma la scuola mi
ha impedito di postare il
capitolo prima.
Spero vi piaccia! Mi raccomando, recensite!
Always yours
__WeatherlyGirl



OCCASIONE PERSA, AGENTE DINOZZO

 


Tutto. E tutto era anche troppo. Sapevo troppo, non tutto. Il problema era che non dipendeva da me, non era una mia scelta; il saper tutto era una conseguenza al mio lavoro, a ciò che mi obbligavano a fare. Ma come l’avrei spiegato alla squadra? Forse non l’avrei mai fatto, non lo sapevo.

Quando Tony e Ziva tornarono dal bagno i miei occhi si fissarono, involontariamente, su di loro, notai il lieve sorriso sulle labbra di Ziva e la gioia che traspariva dagli occhi di Tony. Non avrei mai provato una simile sensazione nella mia vita, lo sapevo. Ma non ebbi il tempo di completare le mie elucubrazioni che Gibbs mi chiamò. Per un secondo credetti che avesse scoperto ciò che stavo facendo, ma poi, con mio grande sollievo, mi ricredetti

-Telefono,- mi disse, e mi indicò un telefono che squillava -è per te- continuò.

Sollevai titubante la cornetta, chi poteva mai essere?

-Anna?- sentii una voce dall’altro capo -Sono Josh, ti ricordi di me?-

Mi resi conto in quel momento di chi fosse Josh e di cosa significasse quella telefonata, un brivido di terrore mi scorse la schiena, Gibbs lo notò.

-Oh, Josh caro, come potrei dimenticarmi di te?- la frase convenuta

-Bene,- rispose lui con tono secco -adesso ascoltami bene, non muovere i muscoli del viso- Il mio corpo si irrigidì istintivamente -non così, esageri- continuò. Come avevo previsto mi stava osservando, fissai a lungo Ziva sperando che si accorgesse del mio malessere, ma lei non mosse lo sguardo dal computer.

-Bene, Anna, così va meglio. Che ne dici di vederci per un caffè?- ecco l’altra frase convenuta. Dovevo rispondere a tono

-Sono impegnata fino alle quattro, più un minuto. Ci incontriamo al solito posto?- 

-Sì, fammi avere anche un altro minuto- 

-Sarò lì- Riattaccò. 

Le mie azioni dovevano essere rapide, poiché ero sicura che Josh fosse lì a guardarmi, da qualche parte, e se avessi commesso un solo errore sarei stata finita. 

Avanzai verso Gibbs:-Devo p-parlare con il d-d-direttore- sillabai balbettando.

Il mio colorito doveva essere pessimo e il mio tono di voce era anormale, ma Gibbs non se ne accorse (o fece finta di non accorgersene) e mi fece cenno con la mano di andare. Stavo guadagnando l’altro minuto.

 

Entrai da Vance senza bussare, la segretaria mi aveva fatto sapere che mi stava aspettando, e lo trovai in piedi, davanti alla sua scrivania, che attendeva il mio arrivo.

Ci stringemmo cordialmente la mano e mi presentai, lui non disse una parola, ma mi fece cenno di sedermi. Si sedette dall’altra parte della scrivania e cominciò a masticare uno stuzzicadenti, come era suo solito, e scese un silenzio imbarazzante. 

Vance mi scrutava, cercando di capire cosa mi fosse successo e perché avessi quella faccia, io, nel frattempo, cominciai a tossire, fingendomi malata, per dare una spiegazione ragionevole al colorito ceruleo.

-Un bicchiere d’acqua, signorina Ruzzi?- disse improvvisamente. La sua voce mi scosse e tutto ciò che fui in grado di fare fu muovere il capo da una parte all’altra in segno di diniego

-Mi dica,- continuò -perché ha voluto parlarmi?- respirai profondamente dopo la sua domanda

-Ho bisogno di accedere all’archivio dei file secretati dell’NCIS- risposi tutto d’un fiato. Vance rimase molto colpito

-Ovviamente ha una buona ragione per chiedermelo- 

-Riguarda il caso Reynolds, voglio accertarmi di una cosa-

-Dai file secretati?-

-Sì-

-E cosa?-

-Una cosa. E’ solo un’idea, per ora-

-Del tipo?- 

-Riguarda sua moglie-

-All’NCIS?- 

-Sì-

Vance annuì distrattamente e sollevò una pila di carte, indicandomi di prenderne una dal fondo

-Ecco, me la passi- gliela porsi tenendo gli occhi fissi su di lui, la firmò e continuò a fissare il foglio.

-Questa storia non mi convince, signorina Ruzzi-

-Le assicuro che se trovo ciò di cui ho bisogno, il caso riceverà una svolta inaspettata- 

Mi porse il foglio e mi fece cenno di andare, quando fui sulla porta mi richiamò

-A proposito, sono contento che non abbia più la tosse- uscii dall’ufficio particolarmente imbarazzata.

 

Raggiunsi in pochi secondi l’archivio dell’NCIS, che si trovava a due piani di distanza. Era un ambiente umido, grande e buio, immaginavo fosse anche particolarmente polveroso e disordinato, invece era mantenuto con una cura impeccabile. “Noi della Young dobbiamo imparare qualcosa da questi federali!” pensai varcando il cancellino, dopo aver mostrato il permesso all’agente custode.

Mi passai una mano tra i capelli sospirando, poi mi voltai indietro per controllare di non essere seguita: nessuno. Avanzai con passi piccoli e veloci verso le scaffalature cercando di capire in che ordine fossero disposti gli scatoloni, con mia grande gioia notai che si trattava di ordine alfabetico, così, con lo sguardo, camminando lentamente, passai in rassegna gli scaffali cercando la lettera che mi interessava. Z, y, x...w...t...q...n, m, l...f, e, d! Eccolo! E accelerai, continuando a cercare quella scatola, la trovai facilmente:

 

Anthony DiNozzo

 

Recitava a grandi lettere quel nome, scritto in stampatello maiuscolo con un pennarello  nero dalla punta sottile, la grafia era piccola e precisa, non ero sicura però che fosse femminile. Mi alzai in punta di piedi e lo feci scivolare verso il basso, si trovava infatti sul penultimo ripiano. Quando fu in aria lo afferrai con entrambe le mani e lo appoggiai sul tavolo. Mentre sollevavo il coperchio, le mani mi tremavano leggermente, sapevo che mi sarebbe costato caro, ma la mia vita dipendeva da quegli attimi, ed era molto più importante della fiducia di Tony. 

Nella scatola vi erano alcuni documenti e due bustine di  plastica contenenti delle prove, presi una delle due ed i cinque fogli che mi servivano e infilai il tutto nella mia borsa. Poi richiusi la scatola, la rimisi al suo posto e mi allontanai in fretta, con la borsa contenente la mia condanna e la mente che non smetteva un istante di pensare.

 

Nella squadroom tutto era come l’avevo lasciato, anche la mia scrivania, benché ero certa che qualcuno della squadra l’avesse perquisita durante la mia assenza. Non appena mi sedetti Gibbs mi chiamò e mi chiese se avessi trovato qualcosa

-Purtroppo no,- risposi -ma valeva la pena tentare- Gibbs annuì 

-Camilla,- disse -la vedo particolarmente pallida-

-Non è nulla, ma credo che l’aria dell’archivio mi abbia infastidito un po’-

-Vada a prendere un caffè, si rimetta e poi torni. Ha dieci minuti- e mi fece cenno di andare

Capii in quel momento di essere tornata troppo presto perché potessero perquisire la scrivania e quindi Gibbs cercava di prendere tempo, ma dato che avevo un appuntamento con Josh ed erano le quattro meno cinque corsi verso l’ascensore senza dire altro.

Non appena ebbi premuto il pulsante sentii una mano sulla spalla che mi intimava di fermarmi, non ebbi bisogno di girarmi per sapere chi fosse, era Tony.

 

Josh mi aspettava al solito bar, seduto al solito posto, leggendo il solito giornale. Mi sedetti di fronte a lui tossendo un poco per fargli notare la mia presenza

-In ritardo di quindici secondi, Anna, non mi piace-

-Scusa, mi sono persa nell’archivio-

-Già...- sapevamo entrambi che stavo mentendo, ma nessuno di noi aveva intenzione di discutere, così andò avanti -Hai tutto?-

-E anche di più!- gli porsi il contenuto della mia borsa, lui passò in rassegna velocemente le carte e non degnò neppure di uno sguardo la bustina di plastica.

-Anna, hai fatto un ottimo lavoro, ma ora devi fare un’altra cosa-

-Josh, se solo tu mi dicessi qual’è il fine, potrei farla ancor meglio...- 

-Anna, ne abbiamo già parlato, ma lui tuonò interrompendomi:-Basta storie! Farai quello che voglio io! Il signore va eliminato al più presto- prese la giacca e si alzò, facendo cadere delle monetine sul tavolo per pagare i caffè. Mi lasciò assorta nei miei pensieri, confusa e indecisa, avrei solo voluto sapere perché, mi sembrava tutto così folle. Avevo scelto io di intraprendere quella missione per conto della Young, e per la prima volta me ne stavo pentendo. Chiamai il cameriere ed ordinai due caffè, poi mi volsi indietro.

Come previsto Tony era lì, seduto su una panchina che aspettava solo che mi voltassi, non appena gli feci cenno di avvicinarsi lui si alzò e mi venne incontro, sorridendo come sempre, ma non ero sicura che fosse veramente felice.

-Da quanto tempo sei qui?-

-Appena arrivato- disse sedendosi -di chi sono quei soldi?- aggiunse poi indicando le monetine lasciate da Josh

-Di quello che era seduto qui prima di me-

-Facciamo così, io prendo questi dieci centesimi e ne metto dieci dei miei- mise alcune delle monetine in una busta di plastica per le prove, poi le sostituì con le sue. In quel mentre arrivò il cameriere con i caffè

-Per chi è il secondo?- 

-Per te, sapevo che eri qui-

-Brava ragazza. Adesso parliamo un po’- Dopo che aveva preso i soldi di Josh io ero improvvisamente impallidita

-Camilla, chi era quello seduto qui?- voltai lo sguardo verso destra, mordicchiandomi il labbro superiore e respirando profondamente

-N...nessuno- bofonchiai -non lo conosco- Tony diede un colpetto di tosse, continuando a sorridere

-Camilla, davvero, chi era?- 

-Davvero Tony, non so chi sia e non mi interessa- e bevvi il caffé. 

-E se facessi analizzare i soldi da Abby che cosa scoprirei?-

-Che non lo conosco!- sbattei le mani sul tavolino tanto da farlo tremare, Tony sobbalzò

-Scusami,-

-Di cosa?-

-Per averti infastidita-

-Tu che ti scusi con me? No, hai ragione tu, devo smetterla.-

-Di fare cosa-

-Niente, stavo parlando da sola-

-Anche quello? Sei più strana di quanto pensassi-

-Ascoltami, Tony, devo dirti delle cose,-

-Sono qui- e si appoggiò con lo schienale alla sedia

-Stai attento, guardati le spalle e quelle dei tuoi cari, c’è qualcosa di più grande...- ma lui mi interruppe

-Non ne posso più dei tuoi discorsi, se hai qualcosa da dire dillo, altrimenti taci-

-Tony,- sospirai -lasciami in pace, non voglio né la tua compassione né il tuo aiuto e tantomeno la tua fiducia ormai. Ho perso la speranza, se non ti fidi di me non ci posso fare niente, ma sappi che faresti meglio a farlo-

-E’ una minaccia?-

-No, un avvertimento-

-E se non mi fidassi?-

-Peggio per te, Anthony DiNozzo. Peggio per te- e mi alzai allontanandomi

Non avevo alcuna intenzione di tornare all’NCIS, ora il mio compito era un altro.

Tony aveva avuto la sua occasione, avrebbe potuto rispettarmi, ascoltarmi, fare domande per capire, invece aveva ignorato tutto. Io avevo provato ad aiutarlo, ma era sordo ad ogni avvertimento e come non c’è più cieco di chi non vuol vedere, così non c’è più sordo di chi non vuol sentire. “Hai perso la tua unica occasione, Tony” pensai guidando e mi diressi verso nord.

 

La stazione di Washington D.C. era piena di gente che andava e che veniva, uomini con valigette partivano per tornare a casa, mentre altri venivano per lavorare. Non si riusciva quasi a camminare in quella confusione caotica, folle. Tra di loro vi era un uomo sulla sessantina, alto, con i capelli bianchi, era appena sceso dal treno proveniente da New York, aveva una valigetta blu con la targhetta col nome:

 

Anthony DiNozzo Senior

 

Si avvicinò al marciapiede e sporse un braccio per chiamare il taxi, aprì la portiera e vi salì

“All’Hilton” dichiarò.

Furono davanti all’albergo dieci minuti più tardi, pagò e scese. Ritirò la chiave alla reception e prese l’ascensore, non era solo, ma con lui c’erano un anziano signore che si fermò al quarto piano ed una ragazza. Non appena furono soli la ragazza lo colpì alla testa con un fermacarte e scese al quinto piano, lasciandolo steso esanime nell’ascensore.

 

Quella sera cenai da sola, nella mia stanza, avevo prenotato il room service:

-La solita cena alla stanza 506-.

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