A moment of you

di EliCF
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1#stomach ache ***
Capitolo 2: *** 2#district 12 ***
Capitolo 3: *** 3#socks ***
Capitolo 4: *** 4#brothers ***
Capitolo 5: *** 5#human beast ***
Capitolo 6: *** 6#tangos and lipstick ***
Capitolo 7: *** 7#refreshment ***
Capitolo 8: *** 8#déjà vu ***
Capitolo 9: *** 9#hunger ***
Capitolo 10: *** 10#dollhouse ***
Capitolo 11: *** 11#heroes ***



Capitolo 1
*** 1#stomach ache ***


1. stomach ache

«Si torna in arena, giusto?» era stata la mia prima domanda. 
«E' per un fine superiore: uscirete tutti vivi da lì dentro.» mi avevano assicurato con decisione. «Puoi contare su di noi».
Suppongo che quella sia stata la promessa che sancì il mio battesimo tra i ribelli. 
Si torna in arena: una verità che suona come l'epitaffio di una tomba. 
Della mia tomba.
Desidero che la risacca del mare porti con sé anche la paura che giace come un cumulo di vermi morti sulla battigia, ma che ora si risvegliano e si muovono e si contorcono e si mangiano a vicenda. Perché quella battigia è il mio stomaco. 
Ricordo cose belle, unico pensiero capace di esorcizzare una paura tanto grande. Si torna in arena, si torna nell'incubo, si torna cacciatore. 
Cacciatore, eppure preda
Ascolto il rumore della risacca: regolare, lento, tagliente. 
Non ce n'è per nessuno, tranne che per i vermi che si agitano impazziti nel mio stomaco.




NdA: Come avrete intuito, il primo protagonista di questa raccolta è Finnick. Le parole sono circa 160 e scritte assolutamente di getto, dopo una serata trascorsa ad osservare il mare. Non so precisamente ogni quanto aggiornerò, visto che sono dei veri momenti e spaccati di vita che mi permettono d'avere qualche idea carina... quindi stay tuned!
Elicf

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Capitolo 2
*** 2#district 12 ***


2. district 12

Quella mattina un vociare eccitato scuoteva Capitol City. A scuola erano state dimezzate le ore di lezione, in modo che studenti e maestri potessero arrivare a casa giusto in tempo per l'inizio della nuova edizione degli Hunger Games. Tornavo da scuola quando un gruppetto di bambini attirò la mia attenzione: le borsette bianche e rosa delle ragazzine, i giubotti di pelle e i cappelli piumati dei bambini della mia età, le espressioni eccitatissime che si stagliavano sui loro volti. Non potei fare a meno di calare uno sguardo sui miei pantaloni sgualciti e sulla semplice camicia scura che proprio quella mattina avevo sporcato, mentre ricalcavo la parola "tabelline" con un pennarello rossoper rendere più carina la prima pagina del quaderno. 
Si dovettero accorgere della mia presenza, perché qualcuno di loro si voltò nella mia direzione e mi fece la linguaccia, altri ridacchiarono scuotendo la testa. 
Sentii un leggero moto di tristezza prendere piede dentro il mio petto gracilino, così girai i tacchi e feci per andarmene. Purtroppo non mi sfuggirono le parole di uno di quelli: 
«Sembra venire dal Distretto 12, vestito com'è!»
Rivolsi nuovamente lo sguardo alla mia tenuta quasi total black,- o almeno così chiamata in tv - poi me la diedi a gambe e promisi che per quell'edizione degli Hunger Games avrei fatto il tifo per il Distretto 12. Quell'anno entrambi i tributi morirono pochi istanti dopo il fischio d'inizio. 
Per questo, quando il tributo donna di quest'anno sembra essere in pena per me, me la sento di ribattere: 
«Ho chiesto io il Distretto 12». 




NdA: Cinna. Probabilmente il personaggio più meraviglioso della saga e senza dubbio uno dei più coraggiosi. Strabordo d'ammirazione nei suoi confronti, se non si fosse notato :) Qui racconto di un Cinna proveniente da una famiglia povera di Capitol City, o semplicemente di un bambino trascurato dai genitori. 
Devo ammettere di non essere del tutto convinta da questa flashfic, ma ho sempre stimato la sua decisione riguardo l'essere proprio lo stilista di quel Distretto. Tra l'altro ho pensato fosse carino descrivere il suo abbigliamento da bambino affine a come viene descritto durante il primo incontro con Katniss.
Penso sia tutto. Al prossimo capitolo!
Elicf

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Capitolo 3
*** 3#socks ***


3. socks

«
Mamma, non indosso i calzini.»
Ho sempre sospirato e scosso la testa, ogni volta che me ne porgeva un paio. La donna che mi sta di fronte stringe un paio di calze nere, apparentemente stufa del mio comportamento. Ma che posso farci? Non indosso i calzini.
«Ti ho detto che non li metto,» sventolo il dorso della mano verso la sua faccia «te ne puoi andare!»
La donna trae un ultimo sospiro, mi ficca in mano i calzini e attraversa la stanza in poche falcate. Quando si richiude la porta alle spalle, hanno già preso il volo in direzione del cestino. Non capisco come anche mia madre possa essere caduta nel regime dittatoriale che vige qui, al Distretto 13. Dov'è l'aria aperta? Dove sono le finestre? Le case?
Molto spesso alle persone non va giù che i miei pensieri non si concludano nel modo in cui si aspettano. A me non pare giusto. Non indosso i calzini perché mi ricordano che le cose cambiano. Non so cosa in particolare, ma so che tutto cambia. Le stagioni, appunto: per questo d'inverno mettiamo i calzini. Per proteggerci dal freddo. 
O, almeno, così mi hanno detto. 
Ma io non voglio che tutto cambi; non voglio che il tempo passi, che le stagioni scorrano e che le menti si evolvano. 
Perché da quando sono tornata dall'Arena, tutti sono diversi. Solo io sono rimasta la stessa: intrappolata in una palla di vetro che non lascia che cresca, come un burattino nelle mani di gente che mi guarda con gli occhi pazzi e persi. Non indosserò quei dannati calzini, perché non voglio che arrivi un altro inverno. 
Dalle mie parti è sempre estate e seppur qualche notte mi venga l'idea di raccoglierli dal cestino, rimango a tremare nel mio letto.
Perché il mio tempo non passa.
Le mie mani non tremano.
Il mio sguardo non è perso. 
La mia mente non è pazza.





NdA: Penso che questa sia la sfida più dura in cui mi sia mai lanciata: scrivere di Annie. Sono spaventatissima all'idea delle vostre recensioni scritte con bava schiumosa alla bocca, ma non credo di saper fare di meglio... 
"Molto spesso alle persone non va giù che le frasi non si concludano nel modo in cui si pistacchio": questa è la frase, a mio parere geniale, che mi ha ispirato per il capitolo. Ieri notte, inspiegabilmente, avevo in mente questa frase senza senso: "non indosso i calzini". Ecco cosa ne è uscito. 
Ovviamente la donna che Annie chiama mamma non è realmente la madre, solo una senza-voce. Ho immaginato la chiamasse così per creare un qualsiasi tipo di legame con casa sua. Inoltre mi piaceva l'idea che Annie pensasse che fossero gli altri ad essere impazziti: l'idea mi è venuta ripensando ad un film in cui una madre con dei bambini pensava di vivere in una casa infestata da fantasmi, ma in realtà i fantasmi erano loro.
Spero di non ricevere botte ma, per farmi perdonare, vi svelerò un piccolo segreto: nemmeno io indosso mai i calzini. 
Stay tuned, stay strong!
Eli
cf

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Capitolo 4
*** 4#brothers ***


NdA: Questo capitolo si è rivelato più azzardato di quello precedente. Il nome del protagonista non è menzionato, ma si tratta di Cato. Ho immaginato un personaggio diverso, folle sin dalla nascita, crudele nemico di se stesso e del mondo. Disposto a tutto per vincere, contro chiunque, contro tutti.
Questo è quello che è nato. Buona lettura!

4. brothers

Mia madre aveva le lacrime agli occhi. 
«Non te ne puoi andare così» sussurrò ancora una volta, poi ricominciò a singhiozzare. Papà le sfiorò una spalla, poi la sua carezza divenne una stretta con cui le pregava di contenersi. Era sempre stato così forte, lui.
«Non andrai da nessuna parte»  sentenziò. «Sei mio figlio». Con sguardo truce mi fece cenno di tornare in stanza, ma non ubbidii.
Stizzito e pazzo, mi sfilai lo zaino dalle spalle. Ne estrassi una lama tanto sottile quanto letale e la nascosi tra le mani, poi gettai uno sguardo al bambino che, seduto sul tavolo della cucina in cui stavamo discutendo, si succhiava un pollice. I capelli biondi erano sottili e scuri quanto i miei, dai lineamenti del volto era già possibile immaginare che sarebbe stato la mia fotocopia: non avevano bisogno di un altro figlio, di me.
Avevo altri fratelli, vivevamo in una casa grande e comoda nel Distretto privilegiato da Capitol City. 
Eppure anche i nostri figli sono chiamati a morire ogni anno.
Così diceva mia madre, contraria e terrorizzata dalla mia richiesta d'iscrizione al centro di addestramento per i volontari dei prossimi Hunger Games.
Avevo dieci anni e il sangue avvelenato.
Ero pronto.
E loro non mi avrebbero impedito di costruire la mia vittoria; impedito di raggiungere la gloria che mi attendeva con impazienza crescente.
Come la mia.
Per questo, lentamente e con gesto apparentemente innocente mi avvicinai al mio fratellino. I suoi occhi guizzarono da me ai miei genitori, tradendo il suo spavento crescente a causa dell'espressione folle che celavo sotto quello che sembrava semplice dispiacere per il no ricevuto.
Fu in un solo gesto che gli tagliai la gola, le pupille gli si dilatarono e il corpo ricadde indietro sul tavolo di legno, con un tonfo orribile.
I miei genitori urlarono il nome di mio fratello, poi il mio. Li sentii cercare un medico, ma ero già scappato lontano quando lanciarono maledizioni sul mio nome.
Con mani sporche di sangue mi presentai al centro d'addestramento, testimoni della ferocia che mi mangiava il petto. Senza traccia di pentimento firmai la mia presenza agli addestramenti ogni giorno, diedi spettacolo della crudeltà con cui avrei ucciso, crebbi con la consapevolezza d'aver scelto di essere dannato.
E dimostrai che sarei stato pronto per gli Hunger Games. 

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Capitolo 5
*** 5#human beast ***


5. human beast

Di notte i boschi sono ancora più splendidi.
La paura si trasforma in adrenalina, perché non c'è bisogno d'averne: conosco la successione di questi alberi meglio delle mie tasche. 
Sono a casa. 
I raggi della luna filtrano attraverso i rami composti ma smossi da leggere raffiche di vento; da qui, dal lago, riesco a vedere l'astro in tutta la sua maestosità.
Che eleganza, la luna. 
Mente del cielo che si mostra solo a metà, occhio che spia le vite di ognuno di noi, donna che conosce i motivi che non ci lasciano riposare. 
Da quando gli Hunger Games hanno portato via la mia compagna di caccia, i boschi sono meno accoglienti.
Da quando Katniss è andata via non ho la forza di tifare per lei, ma solo di sperare nel suo ritorno. 
Da quando sono costretto a scambiare da solo, al Forno, sento di non riuscire a reggere gli sguardi compassionevoli che mi accompagnano fino alla porta. 
Solo, incapace di agire e parlare: mi sto perdendo.
Sento i gomiti farmi male, schiacciati dal peso del busto che ho tenuto sollevato su di essi per troppo. Torno a stendermi tra l'erba umida quasi ringhiando di frustrazione, poi mi rivolgo all'unica che so mi ascolterà come ogni notte, senza parlare. Come faceva la piccola Catnip.
«Se sei la luna di questa terra...»
Ascolta il grido di un uomo che si è perso. Il mio grido, quello di chi cerca una strada oltre il buio ma continua a perdersi. 
So che sei troppo lontana, ragazza in fiamme, ma ti parlo ugualmente: spero che la luna ti racconti il mio pianto.
Ripenso ai miei discorsi impavidi e infuocati di rabbia sulla potenza di Capitol e sulla crudeltà dei suoi Giochi della Fame, ma vedersi strappare una parte di cuore e ritrovarla in tv così tirata a lucido da diventare irriconoscibile, è un'altra storia. 
Vederla legarsi a qualcuno che non ha mai realmente conosciuto è un dolore immenso. 
Sapere di non poterla riavere mai più è una condanna troppo dura da reggere.
Per questo, mentre mi perdo in questa notte, grido al cielo, incurante del pericolo. 
Non ci saranno animali capaci di sbranarmi, non ci saranno uomini che riusciranno a punirmi.
Perché ruggisce il cuore della bestia umana
Non vedi che sto diventando pazzo? Non senti i tormenti e il pianto? 
Certo che no. In fondo come potresti, piccola Catnip? 
E ancora grido, fino a che non ho la gola in fiamme e sputo sangue. Il mio sangue, quello del Distretto 12, dell'intera Panem. 
Per tutta la notte grido il dolore di ogni uomo. All'alba, sfinito, ripenso alla tua lontananza, alla tua vita, alla vittoria che ti porrà su un piedistallo alto che non potrò mai più raggiungere. Così mi limiterò a guardarti, dal basso.
«Guarda con che pena si muore d'amore, quaggiù».


NdA: Questa sì che è una specie di songfic. Soprattutto per quanto riguarda l'ultima frase, è totalmente riportata dal testo di Panella sulle musiche del Notre Dame de Paris di Cocciante. La canzone in questione è "Luna". Perdonate questa piccola parentesi, ma sono tornata da poco da due giorni e mezzo di vacanza tra Verona, l'Arena e, appunto, l'ultima data dello spettacolo. Dopo aver assistito a cinque repliche live, me la sentivo di lasciare un piccolo omaggio alla felicità che ha portato con sé. Ovviamente questa flashfic è tutta per Gale, non sono totalmente convinta ma spero vi piaccia. 
Al prossimo capitolo e sempre grazie dei vostri pareri!

Eli
cf

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Capitolo 6
*** 6#tangos and lipstick ***


6. tangos and lipsick

E' dura affrontare il Tour della Vittoria dopo aver perso. 
Vincitrice degli Hunger Games certo, certo. Ma quando sono tornata, casa mia era vuota. 
A causa di un mio no. E qualche sputo, anche. 

«Mi state chiedendo di vendermi?!»
Sembrò avesse lasciato schioccare la lingua da serpente tra le labbra, prima di sibilare: «Appartieni a Capitol City, adesso...»

Danzano tutti, in questo maledetto Palazzo di Giustizia. 
Per la mia permanenza qui il Distretto 8 è addobbato di stoffe dorate e rosse, come la morte da cui sono fuggita e l'amore che ho perso.
Il rosso è anche il colore drappeggia tutto quello che mi è attorno: le pareti, le tovaglie, i fiori, il mio rossetto. 
La sala è zeppa di uomini e donne in nero, elegantissimi. Da tutta la sera gli strumentisti suonano ogni tipo di tango e la gente ruota su se stessa, si avvinghia al proprio partner, stringe una rosa, balla fino al vomito. 
Io vomito senza bisogno di ballare. 
Quando torno, un giovane uomo discretamente bello si presenta come figlio del sindaco. Poi mi offre una rosa, un bacio sulla guancia e la sua mano. 
Sono tentata dall'idea di sparire di nuovo con una scusa, ma ripenso al fatto che appartengo a Capitol City, adesso: così accetto. 
Nonostante le lusinghe del ragazzo non posso fare a meno di provare paura e altro disgusto: il tocco di nessun uomo potrà mai più darmi il calore e la felicità che mi hanno strappato dalle mani. 
Le sue braccia mi guidano e mi stringono, mi lanciano in una piroetta veloce e poi mi raccolgono in un abbraccio che si scioglie solo alla chiusura del pezzo. 
«Ti ringrazio di cuore, Johanna Mason.» mi bacia la mano. «Con un po' di pratica potrai diventare una ballerina eccellente»
Lo guardo allontanarsi e poi sparire tra la gente. Un po' come me: persa tra una folla immensa di persone che non conosco. 
Sgattaiolo in bagno prima che qualcun altro, giovane o anziano che sia, riesca ad agguantarmi. 
Mi sciacquo la faccia, poi il collo, le braccia. Mi congratulo mentalmente con il mio stilista per questo mascara che non si scioglie. 
Con il dorso della mano lavo via il rossetto, ma mi rimane attaccato addosso, denso. 
Inizio a strofinare il braccio contro lo specchio su e giù, fino a che non è sufficientemente sporco di rosso. 
Mi ci metto di fronte e ricordo tutto il sangue che negli ultimi mesi ho visto scorrere: sull'erba, sulla neve immacolata, tra le rocce, tra le mie mani. 
E spero che ce lo vedano anche loro.


NdA: Buona sera a tutti! Questo è il capitolo dedicato a quella donna tosta che è Johanna Mason. Ho descritto una tappa del suo Tour della Vittoria immaginando già il suo rifiuto alla proposta di Snow, con la piega che prendevano i suoi pensieri. 
C'è un piccolo appunto che mi sento di fare: l'ultima frase "E spero che ce lo vedano anche loro.", è intesa come "E spero che ce lo vedano anche loro in tutta la sua crudeltà". Insomma, è un'accusa per Capitol City, ma ho tenuto presente il fatto che sia sempre il popolo che si diverte vedendo il sangue. Anzi, più ne vede e più è contenta! Quindi, quella di Johanna, è più una denuncia al dolore che imparerà a sopportare, come tanti altri prima e dopo di lei. Spero di non essere stata troppo contorta :) 
Che dire? Al prossimo capitolo! 
Buon anno a chiunque abbia ricominciato la scuola :)


Elicf

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Capitolo 7
*** 7#refreshment ***


7. refreshment

Canticchiavo un motivetto di sole tre note mentre il paesaggio, caratterizzato da campi di girasoli e lattughe, scorreva lungo il finestrino della mia stanza come si trattasse della scena di un film visto e rivisto. Presi a massaggiarmi le tempie non appena sentii il rumore martellante dei tacchi di Effie Trinckett avvicinarsi, fermarsi davanti la porta e, in fine, bussare. Risposi con un roco «Non ci sono», poi bevvi un sorso dalla bottiglia ghiacciata che portava un'etichetta che recitava: "Liquore rosso di Capitol". Faceva schifo.
Nonostante ciò, mi limitai a mandare giù il liquido che neanche mi bruciava più la trachea e a sputare sul pavimento di moquette.

«Dovresti almeno lasciare che i ragazzi ti conoscano!» trillò Effie con impazienza, ancora confinata dall'altro lato della porta. Mi avvicinai alla maniglia, lasciai che la serratura scattasse per aprire la porta quel tanto che bastava per assicurarmi che quella vecchia matta di Capitol City capisse.
«Ho detto» e alla zaffata del mio alito la vidi coprirsi il naso incipriato con un pezzo di stoffa verde fango, «che non ci sono. Buona notte Everly»
Richiusi la porta, ma la sentii ribattere indispettita: 
«Mi chiamo Effie, è un nome diffuso a Capitol! Ed è già mezzogiorno!»
Avrei dovuto informarla del fatto che ero andato a dormire appena un quarto d'ora prima che mi venisse voglia di farmi un altro goccio, ma vista la qualità avrei fatto meglio a lasciar perdere. Dopo tutto, che avrebbe potuto capire della mia insonnia un'idiota di Capitol come lei? 
Non provi nemmeno a salvarli, quei ragazzi. 
Però ci provavo e, ogni anno, mi morivano tra le mani. Nessuno sponsor cedeva al fascino della miniera, nessun Tributo riusciva a tornare vivo al Distretto 12.
Allora ci ho rinunciato. Avrei voluto vedere chiunque altro nei miei panni: accompagnatore del Demonio infernale che ogni anno trasporta due ragazzi dalla loro casa al patibolo e che, alla vista delle folle d'idioti urlanti che salutano i Tributi, deve sorridere cercando di non pensare alla brutalità del loro divertimento. 
Gente perduta e senza pietà che brinda al sangue fresco della gola mozzata di un ragazzo. Vomito senz'aver bisogno di un dito in gola. 
Senza i Distretti non sono niente: non sanno nemmeno produrre un po' di schifoso liquore. Cercano felicità e credono di trovarla nel sangue, vivono indifferenti al mondo e a tutto ciò che non sia il divertimento. Ma preparo la loro disfatta, la nostra guerra, la mia vendetta.
Così, ogni anno, attendo gli Hunger Games ed evito gli sguardi dei miei due condannati a morte concentrandomi sul rinfresco. 


NdA: Il capitolo tutto per Haymitch che ho sul pc da un bel po'. Pensate che al posto del sette vicino il titolo, c'era un bel quattro!
In realtà non volevo pubblicare questo capitolo, perché avevo in mente di trattare di un altro momento dedicato a lui, ma questa flash prima di essere trascritta sul mio pc, era nelle note del mio Ipod. Adoro le cose che mi vengono in mente in strada, in treno... buona parte di questa è stata scritta in albergo.
Sarà che ci sono legata anche un po' per questo... non vi dispiacerà la possibilità di poter rileggere di Haymitch in questa raccolta, vero?
Me lo auguro, almeno :)
Mi piacerebbe sapere di quali personaggi vorreste leggere: se vi va, scrivetemene il nome in recensione!
Sempre grazie...

Al prossimo capitolo!
Eli
cf

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Capitolo 8
*** 8#déjà vu ***


8. déjà vu

Quella mattina c'era un gradevole odore di pane che mi aveva resa attiva sin da quando non era ancora giorno. Sembrava che avesse fatto lo stesso effetto al resto degli abitanti del Distretto: era ancora presto, ma le campane della chiesa avevano già suonato e i bambini si rincorrevano in strada.
La sera prima mia madre mi aveva lasciato un vestito rosa pallido quasi nuovo sulla sedia accanto al mio letto, di buon ora l'avevo ammirato nella penombra e l'avevo indossato in silenzio, per non svegliare i miei fratelli. Eravamo tanti in una casa troppo piccola, così avevo imparato a muovermi senza far rumore. 
Adoravo trascorrere del tempo alla finestra della camera dei miei genitori, quando loro non erano in casa: da lì si vedeva la parte più bella del Distretto 11, quella dei prati verdeggianti, rigogliosi e ricchi di alberi dal tronco sottile e i rami flessibili. Per il trascorso compleanno di mia madre avevo comprato insieme ai miei fratelli una toeletta piccola, ma dal legno resistente: mi ci specchiai dentro, poi feci per aggiustare il cerchietto che tendeva a sfuggirmi dai capelli. Mentre lottavo per tenerli a bada, prima di uscire e raggiungere il resto della mia famiglia in chiesa per la funzione domenicale, qualcosa al di là della finestra attirò la mia attenzione: Giacobbe, il cavallo di famiglia, nitriva e scalciava col desiderio di allontanarsi dalla stalla. Alzai gli occhi al cielo dinnanzi alla sua impazienza: era festa anche per lui, dopotutto. Nonostante ciò, tornai a concentrarmi sul cerchietto e i capelli ribelli, quando mi ritrovai a prestare nuovamente attenzione a Giacobbe. Esitai un istante, poi decisi: era festa anche per me, dopotutto. Mi sfilai il cerchietto e lo lasciai in stanza, corsi velocemente verso la porta e me la richiusi alle spalle. 
Pochi istanti dopo ero già in stalla, accarezzai il cavallino e poi montai, senza sella, senza imbrigliarlo, solo noi due in una domenica mattina felice. 
Sentivo il vento chiamarmi, il sole scottava e mi rendeva la belle bronzea, ci dirigemmo ai prati come attirati da un canto d'amore e gioia: mi parve di poter volare, dalla groppa del mio cavallo non troppo giovane, ma dalle gambe corte! 
Mi accorsi di aver riso durante tutta la cavalcata solo quando iniziarono a farmi male i muscoli della pancia, così concessi a quel cavallino anziano di Giacobbe di riposarsi. Scesi dal suo dorso e mi lasciai scivolare sull'erba con le braccia incrociate dietro la testa: le foglie degli alberi riuscivano a proteggermi ben poco dalla luce del sole, ma non mi dispiaceva affatto. Rimasi stesa ed iniziai a cantare ogni tipo di canzone conoscessi, fino a che non si fece buio.

Mi sembra d'esser lì anche ora, stesa sull'erba con gli occhi al sole ad ascoltare un canto, ma non è il mio. 
Non ci sono risate, solo il forte dolore alla pancia. La canzone non è più di gioia, ma piena di lacrime. 
E la voce della ragazza che canta per me, si spezza. 
«Là, in fondo al prato...»
Che voce incantevole, riesco solo a pensare. «C'è un salice ombroso, un manto d'erba...»
Nemmeno gli uccelli riescono ad aprire il becco.
E tutto mi sembra diventare buio, ancora una volta.

NdA: Questa è un'altra di quelle flash nate da sole. Soprattutto per quanto riguarda la fine, non volevo parlare della morte di Rue, è lei che è voluta essere raccontata! Questa flash doveva raccontare solo di una giornata qualsiasi della bambina nel suo distretto. Spero vi sia piaciuta.
Alla prossima!
Eli
cf 


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Capitolo 9
*** 9#hunger ***


9. hunger

Ero una bambina quando iniziai a prepararmi per i Giochi della Fame. 
«Perché si chiamano Hunger Games?» chiesi ad una delle mie sorelle, la maggiore, ormai fuori dalla mietitura.
«Perché non hai da mangiare per settimane e settimane.» rispose, «Ma se riesci a vincere, diventi ricco e puoi mangiare tutti i giorni fino a scoppiare!»
Aveva sorriso, poi mio padre si era intromesso nel discorso. 
«Per questo tu andrai agli Hunger Games, Clove. Per vincere e dare da mangiare a tutti noi».
Sembrava una coincidenza il fatto che, appunto, di fame non ne avessi mai: in realtà non lo era. 
Rifiutavo il cibo per essere la più veloce, la più forte, la migliore. Ma in realtà ero davvero molto affamata.
Di coraggio, quello che non avevo, ma che ho dovuto acquistare. Di libertà, perché una volta tornata a casa avrei potuto negare tutto alla famiglia che mi aveva mandata in un'Arena per smettere di lavorare. Di potere, perché tutti sarebbero caduti ai miei piedi. Di sangue, quello che avrei visto scorrere come un fiume in piena, ma nonostante il quale non mi sarei fermata. Perché io sono Clove, la baciata dalla fortuna.
Così, quando mi avvento sulla Ragazza di Fuoco sento d'essere io quella capace di bruciare. Inchiodata a terra, con il riflesso della morte negli occhi, so d'aver vinto. Ebbene sì, piccola stupida. Prova a fare un'altra delle tue giravolte, adesso!
Sorrido, perché è finita.
Io vinco, tu muori: è così che va. Inutile provare a disarcionarmi o a fare la tenace, questa volta sarò io a dare spettacolo.
Questa volta sarò io l'ultima cosa che vedrai: un'apocalisse di splendore che ti taglia la gola.
Saliva e grumi di sangue, credi che stia scherzando, principessa? Spero che tu abbia salutato per bene il tuo principe, perché io scriverò la tua fine.
E poi prego che Cato capisca di che pasta sono fatta, perché al Distretto 2 sono abituati ad un certo livello di crudeltà. A quel punto sarò io la principessa, spietata e pronta con una lama per ogni nemico.
Iniziamo, Ragazza in Fiamme? Sto per tornare a casa, per far vedere a tutti che per essere la migliore non ho più bisogno di morire di fame.
Sono io la fine della tua favola tragica, principessa. Una fine in cui la fame non esiste.

NdA: Mi stupisce come Clove e Cato riescano a scriversi da soli le flash. La vera me arriva solo a fic finita e sistema qualcosa qua e là :D
Anyway, questo è, chiaramente, il capitolo dedicato a Clove. A differenza di come ho fatto con Cato, ho immaginato che fossero i genitori a spingerla a prepararsi per i Giochi, spero che questo mio modo di vedere la regina dei coltelli vi sia piaciuto.
Grazie per le recensioni e i consigli!
Buona domenica,
Eli
cf

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Capitolo 10
*** 10#dollhouse ***


10. dollhouse

Tradita. 
Ho rotto io l'alleanza, eppure mi sento tradita. 
Calpesto un fiorellino e lo vedo emettere un leggero vapore violaceo prima di diventare completamente piatto, tra la suola del mio scarpone e il surreale verde dell'erba. Un verde talmente acceso da trasmettermi solo falsa speranza. 
«Avanti, dolcezza: passami quel pezzo di scoiattolo».
E io gli ho sorriso, ogni volta. 
Ma in arena le alleanze finiscono. E si ritorna soli. 
Sono io ad aver dichiarato la fine della nostra, lo so. Ma perché l'ho fatto?
Durante i giorni in cui abbiamo viaggiato insieme ho avuto una costante paura del momento in cui mi avrebbe guardata di sottecchi, poi si sarebbe concentrato di nuovo sul suo pasto o su una delle sue armi. 
Penso che dovremmo prendere due direzioni diverse, a questo punto. 
Questo avrebbe detto. E io gli avrei risposto che era proprio quello che pensavo anche io.
Ma non era vero. 
In verità sarebbe stato un sogno tornare, da vincintrice, con uno dei miei compagni di Distretto. Ma con gli Hunger Games, paradossalmente, non si gioca. 
No, non ho lasciato che diventassi anche una sua vittima. 
Perché è un assassino con il sangue freddo.
Mi sono allontanata davvero poco, sono ancora vicina alla fine dell'Arena ma sento le gambe tremare e le braccia rammollirsi. Per un attimo mi attraversa un'idea: il veleno, uno di quei fiori, forse qualche pianta che non ho notato. 
Sento il corpo piegarsi su se stesso e mi lascio andare ai piedi di un tronco, mentre l'orecchio destro comincia a fischiare. 
Avanti, Maysilee. Non è il momento di farsi prendere dai sentimenti...
Sono nell'Arena. 
Sei nell'Arena, Maysilee. Non nella casa delle bambole. 
Tutto quello che qui dentro sembra intriso di bellezza, in realtà è veleno, morte. 
Riesco a mettermi in piedi appena in tempo per scorgere un delizioso stormo di uccelli rosa confetto dal becco lungo e ricurvo. 
Non trovo la forza di muovere le gambe, ma il mio pensiero va ad Haymitch ancora vicino. 
Non verrà, non voglio che venga. 
Loro sono troppo vicini, le mie gambe troppo molli, ho smesso di respirare da un bel po'.
Poi, riesco solo ad urlare.

NdA: Altro personaggio, altra sfida. Nemmeno questa volta è stato facile, ma proprio in questi giorni ho riletto dell'Edizione della Memoria di Haymitch e siccome la mia idea iniziale per lui era di scrivere qualcosa riguardo un momento in Arena e alla fine non l'ho fatto, invece di riscrivere di lui, ho scritto di Mayslee. E ho preso due piccioni con una fava. 
Spero che questo capitolo non vi abbia delusi, perché io non riesco a giudicarlo alla grande. 
Ah, verso la fine ho scritto un paio di volte il nome di Maysilee... è una ripetizione voluta :)
Vi ringrazio per essere arrivati fin qui, 
Eli
cf

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Capitolo 11
*** 11#heroes ***


11. heroes

“Hai fame?”
La bambina scosse la testa, i capelli biondo cenere che ondeggiarono sotto il peso del suo rifiuto.
“Tesoro,” mormorò la donna quando si sedette al fianco della figlia, “non puoi continuare così. Sono settimane che rifiuti il cibo. Non la salverai, digiunando con lei.”
Prim affrontò lo sguardo debole della madre e vi lesse sincera preoccupazione. Era strano. Sembrava che la partenza di Katniss l’avesse colpita, ma non strappata completamente dall’universo in cui viveva da quando era diventata vedova.
Possibile? Prim aveva temuto che la perdita della figlia non avrebbe fatto altro che spingerla ancora più in fondo, ma non era stato così. Doveva essere solo un altro dei miracoli di cui era capace sua sorella.
Sua sorella. La sua eroina.
Era stata mandata a morire, sotto gli occhi di tutti. Proprio lei, che era sempre stata così riservata. Così buona. Così premurosa.
Non era giusto. Per niente.
Ci sarebbe dovuta essere lei, al posto di Katniss. Sarebbe dovuta morire lei al posto di sua sorella. Era giusto. Era il suo nome quello ad essere stato pescato. Allora perché era Katniss quella dall’altra parte dello schermo? Perché era Katniss nella parte in cui si ha fame, si soffre, si muore?
Prim sentì di dover distogliere lo sguardo da quello della madre perché sapeva che i suoi occhi iniziavano a tradire troppe emozioni. Non avrebbe fatto soffrire anche la sua mamma, l’unico straccio di famiglia che le rimaneva.
Ma non avrebbe smesso di tifare e di pregare per sua sorella. Dopo tutto, era la sua eroina. E gli eroi riescono sempre a cavarsela, non è così?

“Non è così, Katniss?” aveva chiesto, anni prima, quando il protagonista della storia avvincente che la sorella le stava raccontando stava per essere irrimediabilmente abbattuto.
“Certo,” le aveva risposto, lo sguardo dolce e luminoso, “i buoni vincono, sempre.”
E Katniss Everdeen era la persona più buona che avesse  mai conosciuto.




NDA: Ebbene sì, still alive! E’ stato un periodo un po’ confuso e continua ad esserlo. Mi scuso immensamente per il ritardo :D
Mi rendo conto che questa sia la flash più semplice e senza pretese. Avevo bisogno di scrivere qualcosa di leggero e semplice, un’introspezione semplice. Ma nonostante questo amerei vedervi recensire ancora.
Vi anticipo che probabilmente quelli che seguiranno saranno gli ultimi tre capitoli: Faccia di volpe, Peeta e Katniss. Non avevo programmato il numero di capitoli, quindi ho preso l’ispirazione così come mi si presentava! In realtà spero di poter scrivere ancora tantissimo! Amo questo fandom e amo voi, tutti.
Confesso che mi sto facendo prendere da una long che pubblicherò una volta terminata sul fandom di glee. Sto scrivendo in privato. Mea culpa. Quindi, gleeks in ascolto, tenete gli occhi aperti!
Grazie a tutti gli scellerati che sono arrivati fin qui!
Al prossimo capitolo!


Elicf

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