Trying to keep an eye on you

di Rota
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


*Autore: margherota

*Titolo: Trying to keep an eye on you

*Fandom: Kuroko no Basket

*Personaggi: Imayoshi Shoichi, Aomine Daiki, Momoi Satsuki/Sirena!Momoi, Altri

*Generi: Fantasy, Angst

*Avvertimenti: Bi- Shot, AU, What if...?

*Rating: Giallo

*Credits: Logins my religion, REM

*Note: Storia appartenente ad una lunga serie fantasy assieme alle due che l'hanno preceduta e alle altre che la seguiranno – bla bla bla bla, lo sapete ormai anche voi cosa sto per dirvi.

Questa volta si parlerà di Imayoshi, Aomine e Momoi. Sì, avete capito bene, un trio invece che un duo (L) perché sono cattiva e amo mettervi ansia (L) A differenza delle altre, qui la presenza di un OC sarà alquanto preponderante. Spero non ne abbiate a male per questo (L) Giusto per avvisarvi, ad un certo punto faccio specifici riferimenti ad un certo tipo di letteratura. Vediamo chi di voi coglie le allusioni (L)

E niente, ora sapete cosa vi attende. Buona lettura (L)

 

 

 

 

Every whisper
Of every waking hour
I'm choosing my confessions
Trying to keep an eye on you
Like a hurt lost and blinded fool
Oh no, I've said too much
I set it up
 

 

Non lo svegliò l'odore del pane fresco appena cotto o il vento leggero che entrava, delicato, dalla finestra spalancata, ma piuttosto la voce di sua madre che dalla cucina gridò per la terza volta al suo indirizzo senza avere l'intenzione di andare a dargli un bacio per incoraggiarlo.

Aveva solo otto anni ma già Shoichi conosceva alcune regole base della vita che prevedevano il crudele detto “prima il dovere e poi il piacere”. Nel suo caso, il dovere era rappresentato dall'alzarsi completamente da solo dal letto prima di obbligare sua madre ad entrare in camera sua brandendo un mattarello mentre il piacere era quello di ricevere un bel sorriso e una carezza sulla guancia nel caso fosse stato anche celere. Si appoggiò sulle mani, stese le braccia e voltò il viso verso l'esterno proprio nel momento in cui la tenda bianca si mosse e gli finì contro il naso. Tossì una sola volta e si mise a sedere sul materasso, stropicciandosi il naso per scacciare via la sgradevole sensazione di avere quel telo ancora addosso. Rinunciò ad arrivare in orario e quindi al proprio premio quando riuscì finalmente a vedere l'esterno: bello, con un sole alto, la natura rigogliosa.

Dietro di lui, la porta della camera si aprì di scatto e la giovane donna che lui chiamava “madre” - nei giorni buoni aggiungendoci davanti addirittura un “cara” fin troppo smielato – entrò baldanzosa e anche un po' isterica. Non le piaceva essere ignorata, così come neanche il figlio lo gradiva molto.

-Sho-chan, sei in ritardo. Se rimani ancora lì mangerò io tutta la tua colazione!-

Shoichi le sorrise un poco preoccupato, perché davvero non credeva di riuscire a resistere senza mangiare fino all'ora di pranzo e pareva, dall'odore che si sentiva ovunque, che la donna avesse appena cucinato qualcosa di molto buono. Probabilmente solo per lui.

-Madre, non ho dormito bene questa notte. Mi sono addormentato con fatica.-

Non era esatto dire che Shoichi facesse tutte le notti i suoi incubi, più che altro aveva imparato bene a sfruttare la paura del genitore a proprio vantaggio. D'altra parte, qualora ne avesse avuto bisogno, trovava sempre ad accoglierlo due braccia confortanti e una voce mai piegata all'odio – la “cara madre” era l'unica che sapeva acquietare paure e timori con la semplice presenza.

Vide una sorta di consapevolezza divertita negli occhi della donna, come se la malizia fosse una cosa genetica come il colore dei capelli oppure la forma degli occhi. Eppure, nonostante lei sorridesse in modo complice, le sue parole suonavano davvero preoccupate.

Oh, che bello: un nuovo gioco.

-Quindi hai pensato che guardare gli uccellini che cantano potesse aiutarti, Sho-chan?-

Shoichi non aveva ancora capito se sua madre si divertisse a prenderlo in giro oppure era così di natura, perché era consapevole che le persone che tanto soffrono hanno la tendenza a far soffrire molto a propria volta, e più sofferente della sua mamma non c'era nessuno su quella Terra – ed era per quel motivo che lui esisteva.

Aveva otto anni e aveva capito fin troppo bene come funzionava il mondo degli adulti.

La donna lo raggiunse sul letto, sedendosi sul materasso e prendendolo tra le proprie braccia. Lui si accomodò grato sul suo grembo e sentì la sua mano cominciare ad accarezzarlo sui capelli, lentamente: quello era il gesto d'amore più intenso che lui potesse mai intendere.

-Ora però ci sono io, Sho-chan. Nessuno ti farà del male...-

Sulla pelle nuda, le dita della donna andarono a toccare con un gesto naturale il fianco del bambino e il nero segno maledetto che l'assenza di una maglietta non nascondeva alla vista. Linee curve che si intrecciavano in strani disegni e si dilungavano dall'ascella al bacino con fantasie che ricordavano molto le linee che il mare assumeva in burrasca e la spuma bianca sulla spiaggia. Conseguenze evidenti di una natura parzialmente demoniaca.

-Lo so, madre.-

 

Vuota di presenze moleste, la vita di Shoichi si divideva tra sua madre e il mare – magari anche qualche bimbo che, perdendosi nel sulla spiaggia, arrivava fino a casa sua smarrito e spaurito, oppure quel negoziante tanto insistente che veniva a far loro visita portando di tanto in tanto vestiti nuovi e qualche strano utensile nonché un mucchio di libri che il bimbo leggeva durante gli inverni; per quanto sua madre odiasse quell'uomo, sembrava non poter essere libera di dire ciò che pensava realmente e quindi si adattava alle circostanze. Da una parte agiva, dall'altra pensava. E tutto quello doveva avere un grande scopo perché effettivamente Shoichi non pensava potesse essere diversamente. In quel modo, in compenso, lui aveva potuto assistere alla guerra tra un uomo e una balena gigante, ai viaggi di uno stupido fesso che non contento dei nani e dei giganti si era diretto dove gli animali parlavano, o anche all'esperienza formativa di un mozzo un po' goffo che per diventare grande devette difendere un tesoro e sconfiggere il proprio educatore morale. Nella libreria personale del bimbo, pochi testi non prevedevano il mare.

Mangiavano quasi tutti i giorni pesce, quello buono buono pescato apposta dalle lenze che avevano sugli scogli e quello che lui la sera riusciva a catturare con le reti. Molti crostacei, che di solito non erano così furbi e non riuscivano a nascondersi sotto i sassi della costa ma uscivano quando la marea cominciava ad alzarsi, oppure anche qualche gabbiano che la fionda del bimbo colpiva in testa. Le erbe le coltivava la donna nel proprio orto e altro non faceva tutto il giorno che preparare vestiti da vendere al mercato e rammendare cose per gli altri.

Lui, dove fosse questo “mercato” e chi fossero “gli altri” non lo sapeva proprio e neanche ci teneva troppo. Aveva il mare e quello occupava qualsiasi spazio vuoto, aveva sua madre e non sentiva la necessità di pretendere per sé altro.

 

Appoggiò il secchio pieno d'acqua e cozze vicino al fuoco prima di rizzarsi di nuovo in piedi e correre a prendere un altro pezzo di legno per le braci. La stagione aveva cominciato a far soffiare il vento, di sera, e non era bene prendere freddo inutilmente.

Sua madre, avvolta già nella propria mantellina grigia, lo ringraziò con uno sguardo dolce e uno sbuffo, aspettando che andasse da lei per fargli una carezza sul viso. Aveva in grembo un bizzarro vestitino rosa confetto, probabilmente destinato a qualche strana creatura sconosciuta a Shoichi, forse una di quelle che vivevano nelle abitazioni di legno oltre la spiaggia. Shoichi allungò le mani verso quello che era il pizzo chiaro, attirato dalla stranezza delle sue curve e dalla rotondità con la quale si ripiegava su sé stesso, ma la donna gli schiaffeggiò le dita prima che lo sporcasse con la salsedine e tutta quella sabbia.

-Non toccare. Deve rimanere pulito!-

Shoichi la guardò pieno di risentimento e si massaggiò la parte lesa, senza però dire una parola a tal proposito. Continuò a fissare interessato il vestito, come faceva con tutte le creature strane che individuava quando giocava con la sabbia.

-L'hai fatto te, questo?-

Sollevandolo un poco, la donna glielo mostrò interamente in modo tale da indicare alcune cuciture bianche lungo la manica destra e una parte della gonna.

-Solo questo.-

La vide sorridere al suo indirizzo con un'espressione furba.

-Vuoi cucire un po' anche tu? Ci sarebbero delle camice da rattoppare, sulla sedia...-

Il bambino le restituì lo sguardo ma fu evidente fin da subito che non aveva intenzione di darle corda, anche se faceva tutto il carino.

-Magari dopo cena, madre. Ora vorrei riposare.-

Con un altro sorriso ed una seconda carezza, la donna lo lasciò andare per appoggiarsi di nuovo contro la sedia – per alzarsi da quella posizione, la sera, lei necessitava di qualche secondo di tranquillità e ben due sospiri di incoraggiamento. A guardarla così Shoichi pensava ogni volta che era bella, benché non avesse termini di paragone con i quali confrontare la sua figura: occhi luminosi, labbra piene, capelli lunghi e nerissimi, alta e solida. Trovava molto logico arrivare a pensare d'essere nato perché anche qualcun altro l'aveva trovata bella, prima di lui. E per quanto ci provasse, senza malizia e con una buona intenzione, non trovava qualcosa di sbagliato in questo nonostante fosse evidente, in tutto quello che componeva e non componeva la sua vita, il contrario.

Quando la donna aprì di nuovo gli occhi, lui stava già saltellando verso la pentola che bolliva sul fuoco. Prese qualche mollusco dal secchio, un paio di granchietti che aveva avuto la fortuna di trovare, e li mise dentro senza neanche guardarli. Le spezie per condire i piatti erano finite e loro due si sarebbero dovuti arrangiare semplicemente col reale gusto del cibo – non che fosse male, ma Shoichi si era molto volentieri adattato a quello strano sapore di finocchietto selvatico che aveva profumato per un'estate intera i suoi pesci.

Sentì la mano di sua madre sulla schiena e poi i suoi passi che si dirigevano altrove, verso la credenza dove erano riposte le stoviglie con le quali apparecchiare la tavola.

E non importava, non importava affatto la consapevolezza pungente che il mondo che la donna stava proteggendo con tutta sé stessa non era altro che una gabbia dorata nella quale entrambi loro erano felici di rimanere. Nella mente semplice di bambino che si ritrovava a essere, nonostante la maturità aquisita, aveva deciso con convinzione che fintanto che lei aveva lui e lui lei sarebbe andato tutto bene.

 

Sulla spiaggia c'era ormai un gran vociare, risa allegre e pure lo spuntare timido del primo profumo di griglia. Il grande mucchio di alghe e fasci di rami veniva via via sempre più ingigantito con nuovo materiale, almeno finché qualcuno non fece notare che per bruciare la Strega sarebbe servito non altro che un grande fuoco, non tutto quell'incoraggiamento eccessivo.

La gran quantità di cibo aveva attirato in quelle zone anche animali poco gradito ma gli adulti avevano pensato bene di lasciar ai bambini il compito di far scappare gabbiani e gli altri ospiti indesiderati, permettendo loro di correre ovunque e di far più schiamazzo del solito.

Qualcuno aveva portato persino degli strumenti, a fiato e a corda, per intrattenere il pubblico fino a tarda serata – che di certo non sarebbe stato divertente rimanere lì fissi come mummie per tutto il tempo, neanche avessero tutto quel tempo da sprecare inutilmente.

Le fiamme furono applicate dal capo- villaggio quando ormai il cibo era pronto per essere distribuito e gli animi carichi di aspettativa. Si acclamò così l'arrivò della brutta stagione, con una grande festa e il sacrificio simbolico di ogni cattivo auspicio, tra applausi soddisfatti e sguardi ammirati.

Fu poco dopo, quando anche il naso adunco della megera impalata venne lambito dal rosso vivo, che una strana coppia fece la propria timida comparsa. Sakiko la Puttana e il suo sporco figlio, che aveva per la Strega bruciata due occhi talmente grandi e sorpresi che sarebbe stato fin troppo crudele mandarlo via. I due si avvicinarono al grande falò in silenzio, scortati da quale sguardo cattivo e da parole molto maligne, e riuscirono persino a farsi allungare un paio di spiedini di calamaro ciascuno e qualche sardina troppo cotta, quelle nere per il fumo e il carbone. Una larga maglia copriva tutto il busto di Shoichi ma non fu difficile scorgere le vecchie e le giovani donne che additavano il suo fianco destro con gli indici ben dritti e gli sguardi schifati; il bambino sorrise loro un paio di volte, cordiale, facendo un semplice inchino con la testa, che parve a tutte un gesto fin troppo irriverente per una creatura innocente.

Quello non era altro che il figlio del diavolo.

Finirono in fretta la propria sceneggiata e, appena Shoichi si disse soddisfatto della macabra visione, madre e figlio si diressero sulla via del ritorno, mano nella mano. Ogni tanto il bambino correva in avanti, dando calci alla sabbia oppure raccogliendo una conchiglia luccicante con la quale fare qualche monile per la donna, ma a parte le nuvole alte che col loro passaggio rendevano più o meno scuro il tragitto nessuno più li disturbò.

Sotto casa, Shoichi vide un granchio davvero molto grosso che zampettava con decisione verso uno scoglio e decise all'istante di inseguirlo: la polpa era buona e riusciva a soddisfare più persone per un giorno intero. Sua madre lo abbandonò per dirigersi in casa, assolutamente sicura che tanto il male che la Natura poteva fare loro non era neppure paragonabile a quello che avevano dovuto subire quella stessa sera. Entrò in casa senza badare a niente.

Il bambino seguì con una certa difficoltà il testardo crostaceo che, previsto l'arrivo del predatore, aveva accelerato la marcia ed era andato a infilarsi sotto un grande masso. Shoichi scavalcò l'ostacolo e cercò una via tra i massi per poter arrivare al proprio tesoro. Quello, quando le dita lunghe del bimbo si avvicinarono troppo, diede un colpo di chela che fece ritrarre il bambino di scatto; più deciso che mai a vincere quel maledetto animale, Shoichi restò almeno dieci minuti presso lo scoglio e il granchio, tentando di ogni modo di farlo uscire e quindi acchiapparlo.

Quando finalmente riuscì a prenderlo, riemerse dagli scogli con un sorriso cattivo e soddisfatto in viso mentre il suo bottino si dimenava violentemente. Fu un rumore non identificato che lo fece voltare di scatto all'indietro, all'erta.

In quel frangente non seppe dire se fosse un sogno nato dalla stanchezza o la semplice suggestione, ma nel mentre la mente si apriva ad un'esperienza che senza dubbio alcuno definiva “unica” le sue orecchie riconobbero e catalogarono l'entità del suono prodotto dalla bocca di quella sirena: musica.

Era bella, dai lunghi capelli rosati, e aveva tra le mani un lungo tridente scuro dalle lame affilate.

Quando si accorse d'avere pubblico, si mosse di scatto e sembrò nei movimenti pronta ad abbattere qualsiasi nemico, perché prese il manico della propria arma con decisione talmente evidente da non dare adito a dubbi. Poi incontrò lo sguardo di Shoichi e qualcosa cambiò, in lei, come se il pericolo avvertito si fosse dimostrato irreale. Arretrò completamente, muovendo la coda rossastra. E prima di sparire tra le onde del mare piegò le labbra all'insù, in una strana smorfia che pareva davvero un sorriso.

 

Giornate grige e piene di temporale avevano portato un mare in burrasca per più giorni e un freddo tanto insistente da essere molesto.

Gli abitanti del villaggio si erano rintanati tutti nelle proprie case e raramente uscivano dalla porta, giusto quel bastava per assistere alle funzioni religiose e comprare dai mercanti occasionali quel che mancava in casa. Il forno del paese, quello che cucinava pane e derivati, era ancora funzionante ed era l'unico che, in molti casi, riusciva ad apparecchiare i tavoli delle famiglie più disagiate.

Per Shoichi iniziava il quinto giorno con pasti esclusivamente a base di focaccia e formaggio stagionato – sua madre aveva cominciato a fare le conserve di pesce e in casa c'era un odore talmente pungente che, nonostante il clima, lui insisteva per aprire le finestre oppure per andare a giocare fuori all'aperto. Per la propria sopravvivenza, diceva, e lei lo mandava fuori quasi a calci urlandogli dietro.

Un pomeriggio, dove il solo cielo minacciava grandi tuoni e il mare era gonfio di rabbia, Shoichi si fece una lunga camminata sulla spiaggia: da casa sua, andò al villaggio e lo superò tutto, andando fino alla costa dall'altra parte dell'isola e salendo sopra la grande parete rocciosa per guardare giù, in basso, laddove le onde che si scontravano con la pietra divenivano bianche e spumeggianti, pure. L'odore di salsedine gli impregnò le narici e lui aprì le braccia al vento, per farsi travolgere in pieno.

Tornò indietro pigramente e portando con sé qualche alga raccolta per strada, per il caminetto. Trovò anche una medusa spiaggiata, ci giocò con un rametto almeno finché non gli fu evidente che era proprio morta.

Arrivò a casa saltellando tutto felice, quasi come un bimbo normale.

E la vide di nuovo, appoggiata sugli scogli, che cantava con la sua arma tra le mani; appena lo vide, la sirena scappò via tra i fluttui e non lasciò altro di sé che l'eco di una voce suadente.

 

La seguì, lasciando a terra tutto quello che aveva tra le braccia e con esso ogni altra cosa superflua.

La seguì, nonostante sua madre dalla finestra di casa gli urlasse di non andare via, di tornare indietro.

La seguì, con la coscienza di chi sa perfettamente che sta per perdere tutto quello che ha protetto con le proprie forze durante gli anni di vita.

La seguì, perché per amore di sua madre non avrebbe rinunciato a quell'unico sogno donatogli.

 

L'acqua del mare era fredda e sporca di sabbia almeno finché Shoichi non riuscì ad raggiungere un punto in cui era abbastanza profonda da non mescolarsi con la spiaggia e il fondo. La sirena cantava ancora e in lontananza la sua coda emetteva dei riflessi chiari, tanto da essere visibile anche a qualche metro di distanza. In compenso, era più veloce del pesci e nuotava sempre più in profondità.

Il bambino cercò di inseguirla mantenendosi al pelo dell'acqua ma ad un certo punto convenne di dover per forza immergersi e di seguirla in quel modo. Portò alla mente i pomeriggi passati in immersioni casuali, dove faceva gare di resistenza con sé stesso: cinque minuti senza aria riusciva a starci, tre minuti se nuotava. Immerse il viso la prima volta per valutare rapidamente quanti metri ci fossero sotto di lui, calmò il respirò più che poté e inglobò tanta, tanta aria nei polmoni.

Non aveva mai raggiunto il mare aperto a quel modo, almeno non senza barca né sostegno. Non aveva appigli ai quali aggrapparsi nel caso di bisogno e se perdeva l'orientamento non sarebbe più riuscito a tornare indietro.

La seconda volta che immerse il viso cominciò il suo viaggio.

Già dopo il primo metro l'acqua cominciò a essere ancora più fredda e la pressione cominciò a schiacciargli i polmoni e la cassa toracica. Non era niente di strano, Shoichi sapeva bene cosa riservava il mare a chi si avventurava nella sua intimità e non ne fu spaventato – anche se l'immagine del suo corpo gonfio e annegato, arenato su una spiaggia come un delfino spaesato, per qualche istante fu in grado di impressionarlo. Continuò la sua discesa, tenendo come punto di riferimento la luce lontana che si muoveva sotto di sé.

Contava, in mente, i secondi che passavano, per non perdere mai il controllo. Era arrivato quasi a settanta quando la luce sotto di sé sparì, all'improvviso, e lui fu lasciato solo in mezzo al mare. Fece ancora qualche metro ma poi decise di rinunciare, anche perché più di così sapeva che non sarebbe riuscito a fare.

Un movimento repentino e una massa scura di qualcosa di indefinito si avvicinò a lui con una velocità incredibile; predatori, probabilmente, uno squalo o un pesce carnivoro. Shoichi fece appena due bracciate, rapide ed energiche, che già quello lo aveva preso per la gamba e lo trascinava via.

Per gli umani Shoichi conservava soltanto la pietà, per sua madre qualcosa di simile all'affetto; solo il mare era stato in grado, per quei pochi anni di vita che aveva vissuto, di regalargli tutte le emozioni possibili: gioia, felicità, tristezza, irritazione, e anche la paura, il terrore, l'agonia, la disperazione. Di certo l'istinto disse alle mani del bambino di provare ad allungarsi verso la propria caviglia e che le unghie sarebbero bastate per nuocere all'aggressore e quindi farsi liberare, ma dentro c'era già qualcosa che, vinto dalla forza dell'acqua che sconvolgeva i sensi e faceva perdere totalmente l'orientamento, si era arreso all'evidenza di una fine vicina e prossima.

Fu quindi sorpreso, il bimbo, quando sul viso sentì il freddo del vento e l'insistenza della pioggia. Aprendo gli occhi riuscì a vedere il mare in burrasca sotto di sé e il temporale che lo circondava tutto – la spiaggia, in lontananza, percossa da onde altissime.

L'arto che lo teneva appeso per la caviglia lo scosse e lo girò, in modo che lui potesse vedere la creatura dalla bocca spalancata di cui avrebbe fatto da cena. Era grande, con tanti denti che assomigliavano alle stalattiti di marmo delle grotte più profonde, tanti tentacoli e un corpo che ricordava vagamente quello di un polipo, almeno per la parte di testa molliccia che emergeva dall'acqua come un bitorzolo gonfio e rosso. Emise un verso terribile, sputando bava e dimenandosi tutto. Anche Shoichi urlò di paura e terrore, ma con lo stomaco in gola e i muscoli che oltre a tirarlo come uno spago non gli permettevano il minimo movimento non riuscì a fare nient'altro.

Il mostro lo avvicinò al proprio viso, prendendogli il busto con un altro tentacolo e le gambe con un terzo; parve davvero che lo volesse fare a pezzi e quindi il bambino urlò di più, con tutte le proprie forze, nonostante i tuoni e i lampi che scorrevano dalle nuvole al terreno.

L'occhio, il grande occhio che il mostro indirizzò verso di lui, era più grande di tutta l'estensione di casa sua. Cercò di muoversi, ma il mostro serrò maggiormente la presa e fece scorrere le sue membra flaccide e umide sopra la pelle, fino ad alzare la maglia e scoprire il segno che aveva sul fianco – a quel punto sembrò interrompersi, come d'incanto. Shoichi se ne accorse dopo qualche secondo, quando notò la direzione dello sguardo del mostro; per una volta, fu felice di avere un segno abbastanza interessante da prolungargli di quel poco la vita.

Quando il mostro tornò a guardarlo in faccia, qualcosa era cambiato nel suo sguardo. E al di là del terrore che aveva in corpo e addirittura della logica che stava cercando di salvargli quel poco di ragione superstite, lo riconobbe: era lo sguardo della sirena.

 

Riuscì a tornare a casa a sera quando le onde si erano un poco calmate e la tempesta viaggiava ormai lontano. Sua madre lo accolse con le lacrime agli occhi e un abbraccio più stretto di quelli che aveva avuto in otto anni di vita, un singhiozzo che pareva non voler smettere di sconquassarle il petto e i capelli tutti spettinati, come quelli di una folle.

Shoichi rispose al suo gesto, calmo e tranquillo, rassicurandola su paure infondate e una scarsità di fiducia che quasi l'avrebbe potuto offendere.

Perché tanto lo sapeva, lo sapeva benissimo: sotto la finestra di casa sua, cantava una sirena bellissima e letale, attendendo il ritorno suo e di quel tridente di cui gli aveva fatto prezioso dono.

 


Consider this
The hint of the century
Consider this
The slip that brought me
To my knees failed
What if all these fantasies
Come flailing around
Now I've said too much

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Capitolo 2
*** 2 ***


*Autore: margherota

*Titolo: Trying to keep an eye on you

*Fandom: Kuroko no Basket

*Personaggi: Imayoshi Shoichi, Aomine Daiki, Momoi Satsuki/Sirena!Momoi, Altri

*Generi: Fantasy, Angst, Introspettivo

*Avvertimenti: Bi- Shot, AU, What if...?, Cenni vaghi di Shonen- ai

*Rating: Arancione

*Credits: Losing my religion, REM

*Note: Secondo e ultimo capitolo di questa piccolina (L) anche qui, sono stata molto indecisa su come farla finire, mi spiace per questo ritardo èè''

Non vi anticipo nulla perché è meglio, magari fate occhio ai primi paragrafi che si nasconde qualche pair di mia recente passione 8D

Buona lettura :D

 

 

 

 

Yoshinori addentò una mela, appoggiandosi con tutto il sedere e una gamba tesa sul parapetto legnoso della nave; guardava oltre la banchina, dove i capanni delle attività commerciali si ammassavano l'un con l'altro a formare quasi un villaggio a sé stante, distaccato per morale e fine da tutto quanto il resto. Il merciaio, la giornata precedente, aveva avuto da ridire sulle casse di zucchero che la Too gli aveva portato: troppo ionizzato, diceva, che più di zucchero sapeva di acqua marina. Wakamatsu non ci aveva visto più e gli aveva dato un pugno in viso – e a dire la verità, con una persona che sempre sparava balle di quel calibro, Susa si era domandato spesso come Kosuke fosse riuscito a trattenersi fino a quel punto. Le casse le avevano vendute, ma dubitava che in futuro ci sarebbero stati affari ancora con quello. Tanto la costa era piena di paeselli che necessitavano di quel tipo di beni, non era un problema trovare un acquirente nuovo quanto piuttosto trovarne uno davvero buono.

Ah, non erano affari suoi, il capitano era molto più bravo a badare a cose del genere.

Diede un altro morso che quasi dimezzò la mela rimanente. Un tempo neanche immaginava che avrebbe addentato un frutto simile, con tranquillità e noncuranza. Dalle sue parti non crescevano molte piante da frutto e la maggior parte dei loro prodotti erano molto aspri, dai colori caldi e squillanti; da quando era entrato a far parte dell'equipaggio della Too, sotto quel pazzo del capitano Imayoshi, aveva visto luoghi incredibili, assaggiato cibi di ogni tipo, incontrato gente fin troppo diversa e dalle abitudini assurde. Gli stessi altri marinai di quella nave mercantile erano un esempio concreto di questa sua fantastica esperienza, contando che erano pochi e nessuno era nato in un luogo vagamente simile a quello degli altri. Con ogni probabilità, Shoichi aveva cercato di raggruppare persone che si fossero sentite di dipendergli totalmente.

Kosuke imprecò e neanche tanto piano, mentre con un passo accelerato e nervoso percorreva per l'ennesima volta tutta la lunghezza del ponte. L'orario flessibile del capitano aveva sempre dato molta libertà ai suoi marinai, almeno abbastanza da lasciarli liberi di vagare come meglio credevano per intere giornate prima della partenza, anche perché doveva giustificare in qualche modo il fatto che lui stesso, alle volte, si fermava qualche ora in più presso una casa isolata, ai margini di una cittadina povera di un'isoletta nell'estremo est del paese. Susa si era domandato le prime volte il perché di una traversata simile, se poi ad attenderli non c'era altro che un piccolo clan di mezzi demoni molto poco socievoli. La verità era semplice: tutto quello rappresentava solo un piccolo capriccio del capitano, una presa di contatto sempre più intima con la propria natura e il proprio modo d'essere. Niente riempiva di felicità Imayoshi che qualche giorno passato tra i Ragni a Sei Braccia e se questa gratificazione giustificava anche i ritardi del resto dell'equipaggio, allora andava bene.

Però doveva ammettere che Aomine tirava eccessivamente la corda, alcune volte. Persino Shoichi diveniva isterico, dopo che il limite di tempo prefissato aveva un esubero di più di tre ore.

-Avrà avuto problemi...-

Il capitano tendeva a giustificarlo sempre e non era così strano data la natura della relazione che li legava – tuttavia, anche con tutta la buona volontà del mondo, Yoshitori non riusciva a provare pietà per la situazione.

-Non c'è niente che possa farlo ritardare così tanto! Lo sta facendo apposta!-

L'uomo le aveva provate davvero tutte per calmarlo e di solito riusciva molto bene nel proprio intento: non c'era parola di Imayoshi che i membri del suo equipaggio sprecassero, neppure una. Ma davanti ad una tale stizza Shoichi non seppe davvero che ribattere senza entrare troppo in contraddizione, così che Wakamatsu poté approfittare della cosa e fare la sua proposta.

-Io dico di partire senza di lui! Se lo meriterebbe! Lasciamolo qui per qualche mese e poi vediamo se ha ancora voglia di ritardare!-

L'uomo sorrise benevolo e si fece avanti per dire qualcosa quando una voce, femminile e allegra, fece notare a tutti loro che qualcuno stava arrivando. Con un braccio teso in avanti e la coda da sirena che si muoveva a destra e a sinistra, Momoi trillò non meno preoccupata degli altri.

-Aomine è laggiù, laggiù! Sta arrivando!-

 

Trattare con un tipo come Daiki non era affatto semplice, specie se eri dotato di un carattere molto poco indulgente come quello di Kosuke: per quanto fossi stato capace di portare pazienza, per quanto potevi tollerare certi comportamenti arroganti, per quanto potevi comprendere che per una creatura simile il mondo umano era tutta una grande e meravigliosa scoperta, non potevi davvero passare sopra all'insieme di tutte queste cose unito poi alla sfacciataggine perennemente dipinta su quella faccia da immortale demente, figurarsi se non riuscivi a fare neppure una cosa delle prime tre. Almeno, così era se ti chiamavi Wakamatsu.

Il giovane, quando lo vide mettere piede sulla passerella e percorrere quel poco di tragitto che lo divideva effettivamente dalla nave lento e indifferente a qualsiasi cosa, si irritò ancora di più e si mise così vicino al parapetto che dava sulla terraferma che quasi sembrava volesse rotolare giù. Attese che Aomine salisse effettivamente sulla nave, sgridato sia da Shoichi che Satsuki, che la passerella fosse ritirata così assieme all'ancora e allora esplose in tutto il suo ardore.

-Tu non sei degno di questa nave!-

L'altro fermò il passo più per il tono che gli era stato rivolto che per le parole effettive, e se già dalla sua postazione Momoi aveva previsto la peggiore calamità di sempre Daiki aveva l'aria di chi si sta ancora largamente annoiando.

Kosuke, per sottolineare quanto fosse arrabbiato, gli andò contro e lo prese per il collo della maglia sgangherata.

-Non ti devi permettere di mancare di rispetto al nostro capitano a questo modo! Imayoshi è troppo buono con te: io ti avrei abbandonato da un sacco di tempo!-

Avvenne abbastanza in fretta, come al solito: un calcio ben piazzato, un'intenzione ostile nascosta e per questo decisamente più efficace, Wakamatsu che rotolava sulle assi di legno del ponte fino a ritrovarsi ai piedi di Aomine, il resto dell'equipaggio che alzava gli occhi al cielo e sbuffava.

Daiki fece un mezzo ghigno, qualcosa che ricordò vecchi dissapori finiti tutti allo stesso modo, e lo guardò con sufficienza portandosi una mano al fianco. D'altronde, tra i due non c'era mai stato neppure paragone.

-Infatti Shoichi ha la possibilità di usarmi, a differenza tua...-

Wakamatsu rantolò a terra e cercò di guardarlo storto, per quanto gli era possibile.

-Brutto...-

Mancò poco che Daiki gli desse un altro calcio – forse il fatto che Satsuki lo richiamò, con tutta la severità del mondo e muovendo isterica la coda luminosa, lo calmò solo di un poco.

-Non mettermi sullo stesso piano dei membri di questo equipaggio. Io sono diverso da tutti voi! Io non sottosto alle regole imposte a tutti voi! Sono un'arma divina, non c'è legge o regola che possa limitarmi!-

Dietro di lui sentì Imayoshi sospirare affranto e quando si voltò stava evidentemente trattenendo per sé una buona parte di stizza. Lui e le sue parole da pomposa prima donna.

-Sì, Daiki. Lo sappiamo. Ora, gentilmente, potresti aiutarmi a issare le vele invece che perdere tempo così? Magari riusciamo ad arrivare a casa in settimana, se ci muoviamo adesso...-

 

Per Sakurai non era stato difficile abituarsi all'idea d'avere un comandante mezzo demone. Avendolo visto spesso nudo, aveva notato anzitempo i segni che aveva lungo uno solo dei due fianchi – non come Daiki, che aveva segni neri all'altezza del petto da entrambi i lati del suo corpo, segno di una natura demoniaca completa e perfetta. Che Imayoshi avesse un poco d'umano lo rassicurava molto, in realtà. Ma non era stato questo particolare a convincere Ryo della qualità innegabili di quello strambo capitano, quanto piuttosto il suo atteggiamento verso quello che era e verso il mondo che lo circondava. A quanto aveva capito, lui era diventato un marinaio molto presto, verso i quindici anni, guidato col corpo e con lo spirito dal vecchio capitano della Too, il signor Harasawa. Aveva solo ventisei anni e aveva una nave tutta per sé: questa poteva essere una dimostrazione efficacie del suo genio.

Aomine e Momoi erano stati la chiave di ogni suo vero successo. E a nessuno interessava che l'uno fosse un vero demone e l'altra una sirena, perché finché restavano vicini a Shoichi sarebbero stati governabili, alleati preziosi in ogni momento. Ryo aveva visto come Shoichi “usava” Daiki, in un modo che rimandava tanto alla sua vera essenza da pescatore: come una creatura marina, come un tricheco leggendario e come la stessa Momoi alle volte faceva, l'uomo agitava il tridente attraverso fendenti ben precisi e ne conficcava le tre punte all'interno dei corpi delle sue vittime. Era chiaramente una forza antica – sprecata – quella che Shoichi riusciva a incanalare nei propri colpi, anche perché usava sempre e soltanto la sinistra per impugnare Aomine.

Collegato al timore come sempre era, Ryo era colui che aveva il compito di guardare tutto e dirigersi nella direzione giusta. Vedeva Wakamatsu alle prese con vele irriverenti, vedeva Imayoshi scendere sotto coperta a controllare la saldatura delle ultime casse che avevano come bagaglio, vedeva Susa recuperare una carta nautica che non si sapeva bene come era uscita dalla cabina del capitano e rischiava di finire in mare, e vedeva anche Aomine e Momoi giocare assieme saltellando tra i fluttui come due delfini, gridando di gioia e spruzzando acqua dappertutto. A conti fatti era divertente, per una persona come lui cresciuta su un'isola sperduta nel grande oceano del Nord, poter viaggiare a quel modo, una grande opportunità nonché la vera e sola libertà conosciuta.

Annusò l'aria, forte di vento che preannunciava burrasca. La meta era vicina e non avrebbero trovato problemi a sbarcare entro qualche ora, scansando l'eventualità non tanto piacevole di ritrovarsi attorno un mare in tempesta.

Stavano tornando a casa del capitano, come accadeva ogni sei mesi circa, secondo un programma specifico che avevano concordato tutti assieme e che rendeva quella terra una delle poche tappe di reale riposo per tutti loro. Povera com'era, non aveva niente con cui incrementare il commercio se non qualche pecora e un po' di altro bestiame che serviva all'allevamento di sussistenza degli abitanti della zona. Quello che importava era che ci fossero una casa ed una donna ad attenderli.

Ryo annusò di nuovo l'aria e cominciò a sentire nel vento i primi odori della cenere dei fuochi terrestri. Sapeva di dimora stabile, sapeva di terra, sapeva di legno bruciato.

La nave si avvicinò alla costa orientale, laddove gli scogli erano rintanati sul fondale dell'oceano e lasciavano libero il passaggio ad una nave piccola come quella.

Momoi nuotò verso riva con una certa energia mentre Aomine, risalendo a bordo, la chiamò più e più volte prima che lei rispondesse alle sue urla.

Ed ecco che tutto l'equipaggio lo vide chiaramente, quel palo infisso poco distante dalla spiaggia, piantato nel terreno per tenere sotto controllo le varie maree che si allungavano e si ritiravano dalla spiaggia. Appeso al legno, c'era il corpo annegato e marcio di una persona.

 

Aomine conosceva da quasi vent'anni Imayoshi e sapeva bene che il solo vero legame che lui avesse era quello con la sua genitrice – chiamarla “madre” suonava strano, per quanto l'uomo adoperasse per primo quel termine, perché non racchiudeva niente di quello che Shoichi e quella donna rappresentavano l'uno per l'altra.

La prima volta che Satsuki lo aveva consegnato nelle mani di quel piccolo mezzo umano non solo l'aveva trovato umiliante ma anche degradante per quello che era e rappresentava: un'arma celeste come lui data in dotazione ad un mortale neanche fosse stato un pugnale qualsiasi. Ricordava gli anni passati nelle caverne scavate nelle rocce umide, a guardare Momoi che insegnava l'arte della spada e della lotta a quel bambino solo, piccolo e malnutrito. La sirena aveva visto bene, con quella sua capacità di giudizio che l'aveva sempre caratterizzata e che l'aveva eletta più di cinquecento anni prima la sua legittima custode: quell'essere non sarebbe morto schiacciato dal suo potere né sarebbe impazzito sostenendone l'enorme gravità. Forse lo si doveva al fatto che fosse mezzo e mezzo, forse solo per dote naturale. Imparando a fidarsi di lui, non si era più posto domande di alcun tipo.

Non si faceva alcun tipo di domanda neppure in quel momento, a guardarlo mentre era tutto rannicchiato sopra uno scoglio bagnato dagli spruzzi che le onde producevano nell'infrangersi contro la pietra. Aveva lo sguardo fisso, proprio nel punto dove era infisso il palo; il corpo della donna, ormai, era stato fatto a pezzi dai pesci. Non gli era servito molto per capire l'identità della vittima: era bastato entrare in casa, evitando accuratamente come suo solito di attraccare la nave vicino al paese dell'isola, per andare da Sakiko a salutarla. Segni di lotta sui pochi mobili, cibo per terra e il caminetto tutto sporco erano stati segni abbastanza chiari, ai suoi occhi.

Il suo equipaggio lo aveva lasciato su quello scoglio, perché non era molto saggio portarlo al villaggio dopo quello che era successo. Sakurai, la mente più pessimista dei tre, aveva temuto la peggiore delle ipotesi e aveva avuto anche il buon senso di trattenerla per sé stesso. Wakamatsu aveva proposto quasi subito di rientrare sulla nave e di scappare via il più velocemente possibile, preso da una foga e da una paura sottopelle che lo rendevano ancora più isterico del solito. Susa, dall'alto della sua posizione di vice, aveva cercato di acquietare gli altri due dando voce alla ragione che suggeriva che se gli abitanti dell'isola ancora non li avevano attaccati di certo avrebbero aspettato quantomeno la notte per farlo e loro avevano parecchio tempo per organizzarsi. Era comunque chiaro, a tutti e tre, che Imayoshi si trovasse in pericolo – dovevano solo capire il perché.

Shoichi, da canto suo, non sembrava essere animato da alcuna volontà. Momoi era accanto a lui e gli stava pettinando i capelli, con un'espressione in viso che sembrava affranta e addolorata. Quanta stranezza, per Aomine: non aveva mai sentito particolare gioia per quello che accadeva al suo padrone così come mai aveva sentito particolare rabbia e ora era lì, a sentire nel petto qualcosa di pesante che gli schiacciava, senza che potesse fare nulla, i polmoni e il cuore.

Ma d'altronde se era vero che con Sakiko aveva sempre avuto un legame assoluto, indissolubile, tra le poche persone che durante la sua vita avevano fatto la differenza rientravano sia lui che Momoi. E questo lui non lo poteva certo ignorare così facilmente.

Si avvicinò a lui e lo affrontò di petto, anche piuttosto duramente.

-Allora, cos'hai intenzione di fare?-

Imayoshi sembrò svegliarsi da uno stato di quiete momentanea e come primissima cosa vide lui, Daiki, l'arma che il mare gli aveva donato con così tanta grazia. Aomine non seppe dire subito cosa notò nascere nel suo sguardo, una nuova fiamma che non gli aveva mai visto prima e che rese il suo ghigno animale terribile e scuro come le profondità marine. Ebbe un brivido di paura quando si alzò e protese la mano verso di lui.

-Aomine-kun, dovresti accompagnarmi un attimo al villaggio...-

 

Non importava: qualsiasi strada avesse scelto Shoichi era lui il nuovo padrone di Aomine. Non importava se fosse un assassino, se fosse un dannato, se fosse la peggiore persona di sempre: nelle sue mani Daiki era tornato alla vita, aveva trovato una casa e un concetto di famiglia che aveva lasciato indietro quando l'Imperatore li aveva traditi e aveva fatto a pezzi il loro animo, quando lui era stato costretto ad assumere una posizione ferrea, come gli altri suo fratelli. Non importava di quanta morte sporcava il proprio tragitto e quanti cadaveri scostava per proseguire: l'unica cosa che avrebbe potuto distruggerlo l'aveva persa e ormai era incrollabile, senza niente che legasse la sua coscienza a quel mondo terreno.

Lo aveva visto incontrare gli isolani riuniti – come bestie acquattate nella tana, lo stavano attendendo con i forconi e le mazze pronte all'assalto. Lo aveva visto con i suoi occhi da Bestia marina, che vedevano ben oltre la distanza umana, come li avesse avvicinati con le mani alzate e il sorriso sulle labbra. Parlando con quegli animali rabbiosi, la sua espressione non era cambiata per nulla; parlando, era chiaro che volesse portare avanti la propria decisione qualsiasi fosse stata la giustificazione dei suoi compaesani. Ma dopo che infilzò il primo di loro, un giovane della sua età che gli aveva sputato in faccia, Satsuki aveva capito che non poteva restare da solo. Si era tuffata velocemente in acqua e aveva assunto la forma della Bestia, della piovra gigante, e stendendo le proprie braccia verso la terra ferma ne aveva presi un sacco e buttati a mare, uno a uno, o stritolati con le sue ventose e fatti a pezzi. La spiaggia, per soddisfare la loro rabbia, si colorò di rosso.

 

Sporco di sangue sulle braccia, sulle gambe e sul petto, Imayoshi brandendo ancora Aomine con il braccio sinistro camminava sicuro diretto alla propria nave. Non c'erano attacchi e quindi la Too era stata ancorata poco distante dalla costa ma era talmente piccola e vicina che nessuno aveva mai davvero pensato di rifornirla di una scialuppa. Così, con l'acqua del mare che gli arrivava alle ginocchia, Shoichi si ricordò che doveva fermarsi. Momoi, ormai in forma di sirena, scivolò ai suoi piedi e si sostenne con le sue gambe, cercando in qualche modo di risalire il suo corpo per abbracciargli le spalle. Ci riuscì a stento e già quando lui aveva cominciato a parlare; dietro di lei, c'erano ancora fili di una scia rossastra.

-Il nostro Re ha emanato una direttiva che rende illegali i demoni e i mezzi demoni. L'avrebbe fatto qualche tempo fa ma in questa parte di mondo ancora in pochi lo sanno e un paio di giorni fa ha attraccato qui la nave reale incaricata di far applicare la legge in qualsiasi angolo della terra di proprietà degli Himuro. A quanto pare, i miei compaesani non vedevano l'ora che arrivasse una scusa dal cielo per uccidere me e Sakiko.-

C'era del terrore profondo negli occhi dei tre marinai, qualcosa che poche altre volte avevano davvero conosciuto. Derivava probabilmente dalla calma estrema palesata dall'uomo o dal tono così sereno delle sue parole, come se non ci fosse altra soluzione che quella.

Ora lui era fuori da ogni legge – e se già rifiutava di ripetere nei propri discorsi la dolce parola “madre” allora significava che davvero aveva varcato la soglia del non ritorno. Aomine brillava al sole, sostenuto dalla presa ferma dell'uomo, e Momoi pettinava ancora i capelli di Shoichi con calma e devozione. Quei tre, nell'insieme, formavano un'immagine in totale contrasto con la tragedia appena avvenuta.

Qualcuno, lontano, lanciò un urlo terrificante, seguito da altri gemiti che il vento sparse ovunque.

Imayoshi continuò a parlare.

-Da questo momento c'è un nuovo inizio. La Too smette di essere una nave mercantile come io smetto di essere il capitano di una compagnia commerciale perché, in quanto fuorilegge per definizione, mi sarebbe oltremodo impossibile. Tutto ciò che possiedo è me stesso e quel guscio galleggiante, la mia arma e un mostro marino a cui sono particolarmente simpatico.-

Altre grida, movimenti sospetti, l'organizzazione dei pochi sopravvissuti che sembrava davvero molto propensa all'attacco e allo sterminio.

Susa, Sakurai e Wakamatsu guardavano sempre più preoccupati quell'uomo delirante.

-Niente di quello che sono adesso vi lega a me. Siete liberi di fare quello che volete: o seguirmi o dirigervi altrove. Sappiate solo che la bandiera bianca del commercio verrà sostituita entro domani con un manto nero dal teschio bianco.-

Sorrise davanti ai loro occhi, alzando il proprio tridente al cielo.

-Che guerra sia!-

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