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« …Hello darkness, my old friend
I've come to talk with you again
Because a vision softly creeping
Left its seeds while I was sleeping
And the vision that was planted in my brain
Still remains
Within the sound of silence…
Era veramente possibile che l’oscurità fosse la mia unica
complice? Possibile che fosse Lei, l’unica a capirmi?
Non ci potevo credere. Era impossibile. Eppure era così.
E me ne resi conto lentamente, mentre io, solo, nella mia
apparente forza, continuavo ad allenarmi per diventare invincibile. Per entrare
nelle grazie di Vladimir Borkov, così da distoglierlo dalle intenzioni e dalle
fantasie controproducenti e poco caste che faceva sul mio conto. Fantasie che
divennero assai presto realtà, purtroppo. Ma io continuavo a lanciare quel piccolo
beyblade. E lo facevo per realizzare il sogno di Hito Hiwatari, il mio signore:
lui voleva conquistare il mondo, usando me e i bit-power che avrei dovuto
catturare. E per realizzare il mio sogno: io volevo conquistare te, suo nipote.
Anzi, volevo solo che tu tornassi da me…volevo che tutto tornasse come prima,
quando tu ed io avevamo si e no otto anni e vivevamo “felici” al monastero.
In restless dreams I walked alone
Narrow streets of cobblestone
'Neath the halo of a street lamp
I turned my collar to the cold and damp
When my eyes were stabbed by the flash of a neon light
That split the night
And touched the sound of silence
Non potevo più continuare a vivere nel ricordo di quel bacio…il
nostro unico vero bacio: eravamo assieme in camera mia, stavamo parlando e tu,
ad un certo punto, ti avvicinasti e posasti le tue labbra dolci e vellutate
sulle mie. Poi hai sorriso. E anche io! Ma quella volta ci scoprirono. E ci
separarono. Sapevano che tu eri molto curioso e che miravi a Black Dranzer.
Così, fecero in modo che tu entrassi nella stanza che lo custodiva e che
provassi a lanciarlo. E tu, mio piccolo Kei, sei caduto in pieno nella loro
trappola e…hai perso la memoria.
Sinceramente però, credevo che tu, quando ritornasti qui, l’anno
scorso, ti ricordassi di me. Ma niente. Hai dimenticato tutto.
Tutto quanto, Kei.
È buffo: ci avevano sempre fatti allenare assieme, perché stavamo
bene in coppia. Eravamo freddi e spietati, nonostante la tenera età.
Poi…quando, sia a noi che a loro, fu chiaro che il nostro sentimento era
forte…ti hanno portato via. In Giappone. Ed io non ti ho più visto, finché non
sei ritornato qui per la Finale dei Mondiali…
Borkov una volta mi ha detto: “due bambini di otto anni non sanno
cos’è l’amore. E tu comunque, non sei capace di amare”. Parlava come se lui
conoscesse bene, questo sentimento. Ma lui non ne sapeva niente, Kei.
Non poteva sapere che io ti ho amato anche quando sei ritornato
qui…anche se per una sola settimana. Ti ho amato, dicevo, passionalmente,
carnalmente, spiritualmente…in qualunque modo.
Lui non sa che io ti amo ancora.
Lui non sa che non ho mai smesso di amarti.
A lui interessa il mio corpo. Gli basta quello, per essere felice.
And in the naked light I saw
Ten thousand people, maybe more
People talking without speaking
People hearing without listening
People writing songs that voices never share
And no one dared
Disturb the sound of silence
Non so se fare sesso con me lo diverte davvero o se gli piace
umiliarmi. Non voglio saperlo. Ma non credere che lui sia l’unico, Kei. Sai, ci
sono davvero tante persone, qui al monastero, che ci tengono a me…in modo
carnale. Certi mi ottengono. Forse dovrei dire “tutti”, ma è squallido. Dico
“certi” perché non “tutti” mi pagano. Solo “certi”, appunto. Mi trattano da
puttana, quale sono. E con me si divertono. Io no, non mi diverto. Imito urla
di piacere, per paura della loro violenza. Se non partecipo anche
spiritualmente, mi picchiano, funziona così. Loro dicono “ti pago e lo fai
bene”. Non vogliono avere una bambola rotta, una stupida bambola parlante senza
batterie. Loro vogliono sentirmi urlare, non importa se di piacere o di dolore.
E mi prendono due o tre volte di seguito. Mi spezzano. Mi fanno male. Mi
conquistano. Conquistano le mie grida, i miei gemiti falsi. Sempre con la
forza, ovviamente. Ma mi conquistano.
"Fools", said I, "You do
not know
Silence like a cancer grows
Hear my words that I might teach you
Take my arms that I might reach you"
But my words, like silent raindrops fell
And echoed
In the wells of silence
E tu, Kei? Quando ritorni?
Non preoccuparti, so che ora hai quel cinese, quel Rei. So che per
te, quando ci siamo uniti, una sera di quella settimana, è stato solo sesso. So
che quella sera, anche tu sei stato come quelli che mi scopano, senza amarmi.
Ma ti capisco alla perfezione, sai?
Lui è bello, è dolce…è perfetto. Ecco, è quello che io ho sempre
voluto essere, fin da piccolo. Volevo diventare perfetto. Perfetto ai tuoi
occhi. Eppure questo è stato soltanto un altro insuccesso. Non sono riuscito ad
emulare la perfezione.
And the people bowed and prayed
To the neon god they made
And the sign flashed out its warning
In the words that it was forming
And the sign said, "The words of the prophets are written on the subway
walls
And tenement halls"
And whispered in the sounds of silence.»
Yuriy Ivanov non reggeva davvero più quella situazione
Yuriy
Ivanov non reggeva davvero più quella situazione. Il rancore verso le altre
persone che vivevano assieme a lui nel monastero, l’odio verso le persone che
di lui avevano fatto la loro bambola…lo disintegrava. Yuriy si stava lentamente
frantumando. Un pezzetto alla volta, lui stava sparendo. Stava morendo anche
esteriormente…sì, perché la sua anima era morta da tanto tempo. Era stato
quello, infondo, l’esperimento della Borg meglio riuscito: liberarlo
dall’anima, dai sentimenti d’amore e amicizia. Yuriy era, in questo modo,
diventato una macchina fredda, distaccata e calcolatrice. Un cyborg. Un automa
crudele e bellissimo.
La cosa
peggiore, era sicuramente l’autoconvinzione di Yuriy: Yuriy era sicuro di non
saper amare. Lui credeva che quello che provava nei confronti di Kei
fosse…amore, certo. Ma un amore diverso. Era come se glielo “dovesse”, se così
si può dire. Lo sognava tutte le notti,bramava a lui più della mezza pagnotta della quale si cibava. Viveva per
lui. Ma non si rendeva conto che quel sentimento era davvero l’amore che
sognava. Eppure di lui, gli era rimasta solo quella piccola, stropicciata e
stupida foto. C’era Kei, in quella foto. Avrà avuto si e no otto anni. Era in
piedi, aveva il viso, già tatuato, sereno.
Tuttavia,
quando Yuriy l’aveva visto per la seconda volta, ai Mondiali di Beyblade, Kei
gli era sembrato completamente diverso. Era cambiato. Prima era un dolcissimo
angioletto. Ora si era evoluto, era diventato un dio. Era stupendo, in una
parola. Il fisico perfetto, quegli occhi così profondi, così belli…
E Yuriy
l’aveva amato, senza sapere che quel sentimento non era “gratitudine”. Sapeva
bene di usare il verbo “amare” solo quando pensava a Kei. Sapeva bene che le
persone spregevoli che gli giravano attorno, volevano unicamente il suo corpo o
la sua forza. Sapeva che loro non lo “amavano”. Ma l’avrebbe capito. Prima o
poi avrebbe compreso che anche lui sapeva amare. Che quell’emozione era
tutt’altro che morta, in lui. Che le sue paure erano infondate.
Quella
mattina, Yuriy, si era svegliato di soprassalto, perché aveva sentito un gran
fracasso, in quel luogo solitamente silenzioso. Sentiva dei passi fuori dalla
sua stanza. Gente che correva su e giù. Mobili che venivano spostati, nella
camera di fronte alla sua. Così, s’era alzato ed era andato a farsi la doccia.
Poi aveva indossato una maglia e un paio di pantaloni ed era uscito a
controllare. C’erano i monaci in delirio. Correvano portando avanti e indietro
secchi d’acqua e scope, da quella camera, che da sempre era disabitata. Una
volta c’era Kei, in quella stanza. Yuriy ebbe come un presentimento e una lieve
scossa gli percorse tutto il corpo, eccitandolo. Poi si era convinto che fosse
frutto della sua immaginazione.
Nessuno si
accorse di niente quando lui sgattaiolò lontano dalla sua stanza e entrò, dopo
aver bussato, nell’ufficio di Hito Hiwatari.
-ti aspettavo,
Yuriy…- gli aveva detto l’altro, con un sorriso vizioso.
-chi si
trasferisce, nella camera davanti alla mia?- aveva risposto con una domanda,
Yuriy.
-arriverà
questa sera verso le sei e si fermerà con noi…per sempre, mi auguro…ma sai
meglio di me, com’è mio nipote. So che farai del tuo meglio per farlo sentire a
suo agio…- l’aveva detto con una nota maliziosa, con l’aria di qualcuno che sa.
Ma Yuriy non lo ascoltava più. Kei era tornato! Kei, il suo Kei! -…se esageri,
Yuriy, lo dovrò spostare…no, anzi, questa volta agirò su di te. Già. Se non
vuoi finire di nuovo a fare la puttana per qualche mio ricco amico, dovrai
stare tranquillo e non dovrai infastidire mio nipote.- lo stava minacciando.
Una volta lo aveva costretto a prestare servigi di quel genere ad alcuni nobili
russi. Era stato un inferno e Hito lo sapeva bene. Si trovava davanti ad un
bivio, ora: poteva scegliere di fregarsene di Hito e dei suoi amici e di mostrare
a Kei tutto il suo amore. Oppure poteva scegliere ciò che era meglio per lui,
cioè starsene buono e guardare Kei da lontano, mantenendo tuttavia questa
maschera di freddezza.
Se avesse
potuto, avrebbe scelto la seconda. Ma quando vide Kei, si rese conto che la
seconda strada era bloccata da un enorme masso, su cui lampeggiava una scritta
scorrevole: DESIDERIO - PASSIONE - AMORE. E poi di nuovo DESIDERIO. In pratica,
quel masso era invalicabile. Non poteva passare oltre.
Aveva passato
tutto il pomeriggio cercando di autoconvincersi che Kei era un ragazzo come
tanti, che era brutto e stupido, che stava con Rei. Non c’era riuscito, ma
almeno si era costruito una maschera di puro ghiaccio e l’aveva indossata,
quando aveva sentito che qualcuno apriva la porta davanti alla sua stanza.
Poi era uscito
e l’aveva visto. Era solo, aveva già congedato i monaci e stava cercando di
aprire la porta con il masso di chiavi che gli avevano dato. Addosso aveva una
maglietta senza maniche, blu e un paio di pantaloni larghi e azzurri. Yuriy
credeva che il leggero suono che sentiva, fosse il suo cuore che protestava
perché non riusciva più a battere. Invece era il lettore CD che Kei aveva
appeso ai pantaloni e che usava per ascoltare musica ad un livello troppo alto,
attraverso le piccole cuffiette.
Lui non
riusciva davvero a respirare. Si sentiva stupido, con i pantaloni neri e la
maglia nera che indossava. E si sentiva ancora più stupido, mentre allungava
una mano, toccando la spalla di Kei. Il ragazzo sussultò e si girò, vedendolo.
-chi sei? Ah
no, aspetta, ti ho visto al torneo…sei quello che ha combattuto contro Takao.
Ti chiami…Yuriy, ecco.- il cuore di Yuriy, che nel frattempo aveva ripreso a
battere, perse un colpo. Si ricordava a malapena il suo nome, nonostante fossero
stati a letto assieme…! E lui che nel pomeriggio non faceva che provare ad
autoconvincersi che Kei non lo meritava e cose simili solo per non pensare a
che sapore avevano le sue labbra e a cosa gli avrebbe detto quando si sarebbero
visti.
-sì…tu invece
sei Kei Hiwatari, vero?- aveva chiesto, rimanendo freddo. Era difficile,
dannazione. Era maledettamente difficile, rimanere freddo davanti a quel viso
stupendo, davanti a quel corpo degno d’un dio.
-sì, sono io.
E pare che da oggi abiteremo di fronte…- l’aveva detto giusto per dire. Si
vedeva, non era per portare avanti la discussione. Ma Yuriy ne fu in un certo
qual modo felice. Voleva chiudersi in camera e piangere, piangere
disperatamente, piangere per ore. Non poteva essere vero, non poteva essersi dimenticato
di lui…
-già…- e si
era girato, pronto ad entrare in camera…ma una mano diafana, s’era appoggiata
alla sua spalla, fermandolo…
-tu hai quasi
battuto Takao ai Mondiali. Ti sfido. Dopo cena, ti aspetto fuori dalla mensa.-
e detto questo, Kei entrò in camera. Yuriy invece rimase a fissare la porta
della sua stessa stanza (perché ricordiamo, era girato di spalle) per alcuni
minuti…
Quello…era un
appuntamento? No, di sicuro stava fraintendendo tutto. Quello era una semplice
sfida a beyblade. Già, una sfida che aveva accettato senza apparente
entusiasmo. In realtà era ebbro di felicità. Sarebbe stato per chissà quante
ore, da solo, a lanciare trottoline con Kei! E si sa che le trottoline
stimolano l’appetito sessuale.
Nonostante
ormai fosse pienamente convinto che quella era una semplice sfida a beyblade,
non era riuscito ad evitare di vestirsi in modo sensuale. Camicia rosso-sangue,
quasi totalmente aperta, pantaloni neri, aderenti e stivali neri. Certo, non
era comodissimo, ma di sicuro faceva un’ottima figura. Non che di solito
facesse schifo, anzi…
Aveva mangiato
in fretta e furia ed ora se ne stava fuori dalla mensa, in piedi, stringendo
ossessivamente Wolborg…aveva paura che Kei si fosse scordato della loro sfida.
O forse aveva paura che non si fosse
dimenticato. Prima, infatti, aveva passato diverse ore a pensare a cosa gli
avrebbe detto…a come avrebbe fatto a nascondere il desiderio. Ma non gli era
venuto in mente nulla. Kei era il suo sogno, la sua vita…come poteva riuscire a
celarlo? Certo, lui era stato abituato ad essere freddo ma…non fino a quel
punto!
Era semplice
essere freddi quando si uccideva qualcuno…
Ma esserlo con
Kei…era impossibile.
Si era messo a
fissare un punto indefinito davanti a se, quando qualcuno gli si era piazzato
davanti. Lui guardava senza vedere e ne scorgeva solo i colori…temeva fosse
Borkov. L’avevano di nuovo scoperto. Era spacciato. Nel dolore, s’era accorto
che gli occhi gli bruciavano, a forza di tenerli aperti. Così, chiuse gi occhi,
per poi riaprirli…e si rese conto che quello che aveva davanti era Kei, non
Borkov. Non Hito. Non un monaco. Non era stato scoperto. Quello era Kei. Era
davanti a lui e lo guardava sorpreso, forse per la sua espressione.
-ciao…- aveva
detto Yuriy, guardandogli gli occhi…erano così incredibilmente belli, gli occhi
di Kei. Li avrebbe guardati per ore, per giorni, per anni…
-muoviamoci.-
chiaro e coinciso. Forse un po’ troppo. Ma cosa s’era aspettato? Pensava forse
che l’avrebbe salutato in gran stile? Che gli avrebbe chiesto come stava? Sì,
povero illuso. L’aveva sperato. E in un luogo dove la speranza era l’unica cosa
che ti permetteva di vivere, quel suo angusto, indiscreto sogno era tutto.
Tuttavia, l’aveva seguito, senza parlare. Erano usciti dal monastero ed erano
andati nella dependance riservata ai combattimenti. Era lugubre e scuro, quel
posto. Solo la bellezza di Kei, pensava Yuriy, lo rischiarava un poco.
Il ragazzo dai
capelli argentati s’era messo di fronte a lui e a separarli c’era il beyblade
stadium. Avevano preso i caricatori e i rispettivi beyblade…ed avevano
lanciato.
La sfida era
stata lunga, nonostante ci fosse un solo match. Yuriy si era imposto di non
pensare a niente. Kei invece voleva solo vincere. Eppure finì pari. I beyblade,
ad un certo punto, s’erano allontanati dallo stadio come se non volessero più
combattere, tornando in mano ai rispettivi blader. Kei e Yuriy erano rimasti a
bocca aperta.
-cosa diavolo
significa?- aveva chiesto Kei. Ma nessuno sapeva, neanche lui, se l’aveva
chiesto a Dranzer, a Yuriy o a se stesso. Yuriy aveva scosso la testa, ancora
stupito.
Kei
dopo un po’ s’era riscosso e aveva voltato le spalle a Yuriy, andando verso la
porta.
-buonanotte-
aveva mormorato. Yuriy aveva risposto “buonanotte” ed era rimasto lì. Kei
invece, se n’era andato.
Perché Wolborg
e Dranzer s’erano rifiutati di combattere, dopo un po’? Sembrava quasi che
fossero dotati di forza propria.
Alla fine,
anche Yuriy era uscito da quel luogo, anche se era ancora un po’ sconvolto e
pensieroso. Ma fuori dalla porta, ad aspettarlo, aveva trovato l’ultima persona
che avrebbe voluto vedere: Boris.
Yuriy e Boris avevano una relazione, da quando Kei aveva
abbandonato i Demolition Boys, tornando dai Bladebrakers. Forse stavano assieme
ma in verità, Yuriy non faceva altro che sanare l’appetito sessuale di
Boris.Anche perché Ivanov non stava
bene con Huznestov…spesso, infatti, si perdeva nel ricordo del ragazzo dalle
gote tatuate e trascurava Boris. L’altro invece, voleva Yuriy. Lo voleva davvero…lo
amava. Ufficialmente, comprendeva che l’altro non avrebbe mai potuto
ricambiarlo, se non altro perché, come dicevano tutti, lì dentro, Yuriy non era
capace di amare. In realtà non ci credeva affatto. Boris aveva capito molto
bene che il ragazzo provava qualcosa di profondo verso Kei e questo non gli
andava giù. S’innervosiva soprattutto quando Yuriy si serviva della scusa “io
non so amare” per togliersi dalle situazioni “imbarazzanti”, come quando
andavano a letto assieme e Boris gli sussurrava parole dolci. Non esigeva
questo atteggiamento, da parte del ragazzo dagli occhi di ghiaccio. Quindi lo
picchiava. Yuriy si lasciava picchiare. E questo mandava Boris in bestia, più
di quanto già non fosse, se questo fosse stato possibile. Non sopportava il
fatto che Yuriy si fosse indebolito fino a quel punto. Lui aveva iniziato a
desiderarlo per via del suo carattere, più che per l’infinita bellezza. Questo
indebolimento portava Boris a comportarsi in modo freddo e cattivo, con Yuriy.
Voleva che tornasse quello di una volta.
Dall’espressione
che aveva, Boris doveva aver capito che Kei era tornato. Yuriy aveva deciso di
andare avanti dritto e di ignorare Boris. Così fece. O, almeno, ci provò.
-fermati.- la
voce profonda. Era arrabbiato. Yuriy si fermò…normalmente non l’avrebbe fatto,
ma era troppo debole per mantenere la sua maschera di marmo e proseguire per la
sua strada. Avrebbe fatto la puttana con Boris, quella notte, visto che gli
riusciva così bene. Ormai lo era a tutti gli effetti. Boris se non altro era
giovane. Pensare questo, lo fece sorridere malinconicamente. -sei stato con lui fino ad adesso. Cosa c’hai fatto?-
aveva cominciato a nevicare e i fiocchi gli cadevano sui capelli,
imprigionandosi fra quei fili di seta scarlatta. Aveva freddo…s’era vestito
troppo poco.
-mi ha sfidato
a beyblade, io ho accettato e ci siamo fronteggiati.- aveva spiegato tutto,
infondo. Aveva detto quello che avrebbe detto Kei. Non poteva di certo
esprimere il suo pensiero. Eppure Boris non c’aveva creduto. Non si era mai
fidato di lui. S’era avvicinato di fretta, l’aveva preso per un braccio e
l’aveva girato, in modo da guardarlo in faccia. Poi gli aveva dato una sberla.
Lo Yuriy capo dei Demolition Boys avrebbe certamente risposto a quella sberla
con un pugno in pancia. Ma lui non era più quel genere di persona. Non era più
quello Yuriy. Ora era uno Yuriy appena nato, uno Yuriy piccolo e sprovveduto,
di cui tutti si servivano, chi per un motivo, chi per un altro.
-non mi piace
quando menti. Dimmi la verità. Hai fatto sesso con lui, vero? Quanto ti ha
pagato? Oppure ci sei stato gratis, perché lui è “il tuo Kei”?!- era davvero
infuriato, Boris. Yuriy era stato zitto e l’aveva guardato. -allora? Muoviti,
rispondi!- Yuriy, tuttavia, continuava a tacere. Boris gli aveva lasciato
andare il braccio ed aveva fatto qualche passo, per poi tornare vicino a Yuriy.
-Quello stronzo arriva qua, si prende la mia puttana e fa finta di niente? Ma
che si uccida, quel fottuto bastardo!- l’aveva urlato. Era fuori di sé. Ma
quelle offese se le sarebbe dovute risparmiare. Yuriy scattò in avanti e gli
piantò il pugno nello stomaco, facendolo cadere. Poi si era buttato sopra di
lui e l’aveva guardato con gli occhi gelidi e minacciosi.
-non osare più
offendere Kei…picchia e insulta me quanto vuoi, ma Kei lascialo stare…sennò non
rispondo delle mie azioni. Sono stato sufficientemente chiaro, Boris?- Yuriy si
alzò e fece qualche passo, prima di voltarsi a guardare Boris -cercati un altro
ragazzo, tienimi come puttana come fa Borkov, se vuoi, tanto non m’interessa.
Ah…e poi, è meglio se sei tu a suicidarti, piuttosto che lui, sai?- e se ne
andò, tornando di fretta nella sua stanza.
Chissà se se
la sarebbe presa, Boris…molto probabilmente sì. Comunque non avrebbe più offeso
Kei…almeno di questo era sicuro. Tuttavia, quando entrò nella sua stanza vi
trovò Borkov. E con lui, non sarebbe di certo riuscito a cavarsela.
Ed infatti
andò come aveva previsto. C’era solo da sperare che Kei non avesse sentito
niente. Pensandoci, Yuriy si rese conto che anche se Kei sentiva…cosa poteva
importargliene? Kei aveva davvero dimenticato tutto. Ne aveva avuto la
conferma. Tra l’altro, nonostante non fosse passato tantissimo tempo
dall’ultima volta in cui erano stati a letto, si ricordava di lui solo perché
aveva combattuto decentemente contro Takao. Era quello…l’importante, per Kei?
Il fatto che aveva combattuto contro Takao? Non contavano i gemiti, le urla di
piacere e le dolci carezze scambiate nello spogliatoio del beyblade stadium?
Non ricordava più l’eccitazione aumentata dalla paura di venire scoperti…di nuovo?
Possibile che tutto ciò fosse andato perso come una rosa nera in un campo di
tulipani corvini?
Si addormentò
con questi pensieri in testa, da solo, con la stanza che odorava di sesso…
L’indomani si
alzò perché qualcuno aveva bussato alla porta. Lui odiava venire svegliato e
s’innervosì ancora di più quando scoprì che erano appena le 5 del mattino. Era
sceso dal letto controvoglia, solo perché l’individuo continuava a bussare.
Aveva mormorato un “arrivo” ed era andato ad aprire. Aprì la porta, vestito unicamente
di una morbida vestaglia, che gli arrivava fino alle ginocchia e sfregandosi
gli occhi con una mano…
-buongiorno.-
monotono. Volto inespressivo. Forse era rimasto un colpito nel vedere che era
vestito solo di quella vestaglietta candida. Kei invece, aveva un pigiama che
gli donava alla perfezione…Yuriy stette per svenire, quando lo vide.
-oddio…ciao
Kei…scusa le condizioni ma stavo dormendo…- se era una persona qualsiasi
probabilmente sarebbe morta pugnalata. Ma Kei…era un caso speciale. Yuriy infatti
si era spostato un po’, lasciandolo entrare e richiudendo la porta. Era
imbarazzato ed aveva il cuore che batteva fortissimo. -siediti…là…- mormorò
Yuriy, indicando una poltrona e rifacendo frettolosamente il letto…
Kei si
sedette. Yuriy poi, gli si mise davanti, osservandolo con sguardo inquisitorio…
-potresti fare
meno rumore la notte?- chiese, Kei. Lo guardava ma Yuriy non avrebbe mai saputo
dire se quella che aveva il ragazzo dai capelli argentati era un’espressione
divertita, scocciata o indifferente. -non m’interessa quello che fai…certo,
dall’atteggiamento esaltato e dalla faccia da maniaco che aveva Borkov quand’è
uscito dalla tua stanza, è facilmente intuibile…tuttavia, io la sera voglio
dormire. Perché se non dormo poi divento nervoso, suscettibile, incavolato,
insopportabile, antipatico e, per finire in allegria, violentemente permaloso.-
Yuriy rimase interdetto. Dopo un po’, scoppiò a ridere. Non vide il sorriso di
Kei solo perché aveva gli occhi chiusi.
-io…cercherò
di fare più piano…- riuscì a dir, calmandosi. Kei annuì. -comunque…non è come
pensi tu…- aveva aggiunto poi, Yuriy. Il suo viso stava assumendo un piacevole
color magenta.
Kei alzò le
spalle e socchiuse gli occhi, storcendo un po’ le labbra…
-se lo dici
tu…tuttavia non è affare mio quello che fai tu la notte.- aveva detto. Poi
s’era alzato e aveva fatto un paio di passi verso un armadio con le porte in
vetro…aveva guardato oltre i vetri, scorgendovi alcune foto…-quel bambino…mi
assomiglia tantissimo…- e si girò, osservando Yuriy, che sgranò gli occhi
azzurri e corse verso Kei, mettendosi fra il ragazzo e l’armadio…
-è…solo
un’impressione…- guardò Kei negli occhi, prima di continuare -forse…è meglio se
esci da qui...se ci vedono assieme...ti mandano via…di nuovo…- Kei lo guardò
senza capire. Evidentemente non aveva inteso il motivo di quel “di nuovo” e
dell’imbarazzo di Yuriy.
-ci vediamo a
pranzo.- aveva detto Kei, prima di uscire, chiudendo gentilmente la porta. Si
sarebbero allenati tutto il giorno, ognuno per conto proprio…però avevano il
pomeriggio libero. Questa libertà nasceva dal fatto che erano i più forti, lì
dentro.
Yuriy
comunque, aveva rischiato più d’un infarto in quei pochi istanti. Si sentiva
gli occhi di Kei addosso e, nonostante quello del ragazzo dai capelli argentati
fosse uno sguardo impassibile, sentiva chiaramente che lo scrutava…non poteva
percepire quali fossero i suoi pensieri, non sapeva se in quegli istanti Kei
pensava a cosa fare o se, più semplicemente, stesse ripensando a quella foto.
Già, la foto. Yuriy aveva mentito…Kei aveva visto giusto…quel bambino gli
assomigliava perché quello era lui da piccolo. Era una delle poche foto che
Yuriy aveva di Kei…ed era perciò la cosa più preziosa che possedeva. La teneva
in quell’armadio e spesso andava a guardarla…
-ho sbagliato
tutto…dannazione…- mormorò Yuriy, stringendo forte i pugni e guardandosi le
nocche che, a causa della forte stretta, erano diventate bianche…si era reso
conto di aver detto qualcosa di troppo…e sperava sinceramente che Kei non se ne
fosse accorto, anche se si rendeva conto che, dall’espressione che aveva
assunto il viso dell’altro ragazzo dopo che lui ebbe finito di parlare, la sua
speranza aveva già un piede nella fossa.
Kei si era allenato tutto il giorno, certe volte con Yuriy, altre da
solo
Kei si era
allenato tutto il giorno, certe volte con Yuriy, altre da solo.. Erano le nove
di sera, quando era uscito dalla doccia e si era disteso sul suo letto.
Tuttavia, navigava ancora nel limbo del “chi diavolo era il ragazzo con cui
aveva appena discusso”…
Era rimasto
sconvolto…lo Yuriy Ivanov con cui aveva…“parlato”…l’anno prima, era un ragazzo
freddo, dagli occhi gelidi e dai modi autoritari. L’unica cosa che accomunava
lo Yuriy del torneo a quello che si era appena trovato di fronte, era
l’incredibile bellezza. La perfezione dei lineamenti. Il fisico snello e
asciutto. E poi quelle labbra…si ricordava molto bene il loro sapore…certe
meraviglie non si dimenticano…! Tuttavia lo Yuriy col quale aveva dialogato
pochi istanti prima era completamente diverso…gli sembrava così fragile…così
docile…era come un cucciolo spaurito…
Era
assolutamente improbabile che fosse cambiato in quel modo in un solo anno.
Anche lui si rendeva conto d’aver compiuto un notevole cambiamento…ma in
confronto a quello di Yuriy, il suo era nulla.
Ancora non
sapeva se il nuovo Yuriy gli piaceva come quello vecchio o no. Doveva parlarci
un po’ prima di riuscire a capire.
E poi…quella
foto. La risposta di Yuriy non l’aveva convinto affatto. Quel bambino era lui…e
quello accanto a lui era Yuriy da piccolo. L’aveva sconcertato vedere che si
stavano abbracciando dolcemente…ed il loro visi erano così sereni e tranquilli,
da far invidia ad una delle famiglie felici della pubblicità del dentifricio o
dei cereali. La tipica famiglia formata dal padre, dalla madre e da due figli.
Un maschio e una femmina, di solito. E tutti dannatamente sorridenti, superiori
ai problemi del mondo. Superiori alle guerre che devastavano il mondo e alle
persone che morivano di fame. Quella maledetta famiglia continuava a ridere, a
mostrare quei dannati denti bianchi e perfetti e a piegare le labbra in un
sorriso dolce e falso! A Kei sembrava quasi che lo prendessero in giro. Gli
pareva che gli volesse dire “sei nato sfigato e morirai sfigato…noi invece ci
amiamo e siamo felici!”.
…a che punto
era arrivato…
…se la stava
addirittura prendendo con le pubblicità!…
Certo, in
questo momento, il grande e temuto Kei Hiwatari non era nel meglio della sua
prestanza morale. La storia che lo legava a Rei da circa due anni, era finita
da qualche settimana e ci stava ancora molto male…infondo, lui amava quel
cinese. Ma Rei non aveva voluto sentire altre giustificazioni…
…non che non
si fidasse di Kei…ma venire a sapere che doveva tornare in Russia subito dopo
aver scoperto che ai Mondiali aveva avuto una relazione con Yuriy, non era
stato un bel colpo. In verità, Yuriy l’aveva sempre spaventato. Rei era una
vita che diceva che “prima o poi Kei sarebbe tornato da lui”. Ma Kei non aveva
mai capito. Rei sapeva cose che Kei ignorava. Nessuna sapeva come diavolo
facesse ad aver avuto quelle informazioni, ma lui era a conoscenza di…gran
parte del passato di Kei. Ma non gliel’aveva mai voluto dire. Forse l’aveva
fatto per codardia…perché, se gliel’avesse detto, Kei avrebbe saputo che il suo
passato era…per dirla in una parola, Yuriy. O forse perché non voleva che Kei
soffrisse. Probabilmente Rei non si era mai cimentato nel pensiero di “perché
avesse tenuto nascosto il passato di Kei al ragazzo stesso”. La cosa,
evidentemente, lo spaventava. Povero Rei…
Comunque, si
erano lasciati. E Rei gli mancava…se ne rendeva conto nei momenti come quello
che stava trascorrendo: Kei era solo, in camera sua, disteso sul letto, più
nudo che vestito, con le braccia incrociate dietro la testa e guardava il soffitto.
Forse non sentiva la sua mancanza perché davvero lo amava. Ma solo perché i
suoi ritmi di vita erano cambiati…se fosse stato con Rei, ora, probabilmente,
sarebbero assieme, sotto la doccia o stesi sul letto a fare l’amore…ed invece,
da qualche settimana a questa parte, Kei l’amore lo doveva fare da solo…
Doveva,
tuttavia, riconoscere che Rei non aveva tutti i torti quando gli confessava la
sua inesauribile paura di Yuriy. Kei…si rendeva conto di sentirsi
inesorabilmente legato a Yuriy. Aveva avuto questa sensazione quando l’aveva
visto, quella notte, durante i Mondiali, nel monastero.
Quella, era
una normale notte russa…faceva freddo, nevicava. Kei non riusciva a dormire ed
era andato ad allenarsi nel Beyblade Stadium che li avrebbe ospitati ai Mondiali.
Lanciava Black Dranzer alla perfezione, ormai. Lo controllava come se nulla
fosse. Lo faceva combattere contro avversari immaginarsi e invisibili…e Black
Dranzer obbediva. Girava con una forza impressionante ed era
velocissimo…sterzava e cambiava direzione, frenava e bloccava il roteare per
qualche istante per poi riprendere all’improvviso ed attaccare il nulla davanti
a se. Tutto d’un tratto un altro beyblade si era aggiunto a quello di Kei,
all’interno dello stadio…era Wolborg. E da quell’incontro, era cominciato
tutto. Un saluto forzato, una sfida senza vincitori o perdenti, due parole di
scherno e poi fredde lenzuola ad avvolgere i loro corpi caldi, sudati e nudi. E
quelle lenzuola li avvolgevano tutte le notti….almeno finché lui, Kei, non tornò
in Giappone, abbandonando Yuriy a se stesso. Naturalmente quella volta Yuriy
aveva fatto finta di nulla, si era comportato come se non fosse successo
niente. Aveva finto di considerare Kei alla pari di uno dei suoi innumerevoli
amanti. Ma in realtà, era come se fosse morto dentro. E lentamente ma
inesorabilmente, si era distrutto. Aveva frantumato ogni sua maschera: prima
fra tutte, quella dell’arroganza. Kei invece era semplicemente tornato da Rei.
Dal suo dolcissimo gatto cinese.
Poi uno
schiaffo ad arrossare la gota destra di Kei, un litigio furioso e un “addio”.
La storia con Rei era finita così com’era iniziata…era stato tutto improvviso e
casuale.
Kei dovette
ammettere che non udì nulla, quando qualcuno bussò alla porta: era così
concentrato a riflettere che non notò neppure la testa viola che, aperta la
porta, guardava dentro la stanza.
-Hiwatari…-
aveva mormorato Boris, avvicinandosi al letto dov’era steso Kei. E Kei
finalmente s’era riscosso dai suoi profondi pensieri. L’aveva guardato dal
basso all’alto, poiché era disteso (non che sarebbe cambiato qualcosa se fosse
stato in piedi…) e gli aveva chiesto cosa ci faceva in camera sua, dopo essersi
informato circa il suo nome, che non ricordava proprio.
-perché sei
tornato?- aveva chiesto. Lo sguardo che usava per osservare Kei era decisamente
di sfida. O di fondata gelosia. Boris amava Yuriy. Lo amava davvero, sinceramente ed
intensamente. Solo che non aveva mai saputo dimostrarglielo. Gliel’aveva detto,
forse, ma il suo capitano aveva riso o comunque non l’aveva preso sul serio.
L’aveva schernito dicendogli qualche amara frase come “che idiota…come si fa ad
innamorarsi della propria puttana?”…e il cuore di Boris Huznestov era finito a
pezzi come un vaso di cristallo. Ma mai e poi mai aveva pensato di cambiare i
suoi modi. Non gli era mai venuto in mente di stare vicino a Yuriy, di aiutarlo
nel beyblade come nella vita quotidiana, di baciarlo come si fa con la persona
amata. Boris non era cattivo. Era solo troppo innamorato. E Kei Hiwatari gli
era assolutamente d’intralcio. Sapeva che Yuriy ci teneva molto a Kei, molto
più di quanto tenesse a lui…anche perché probabilmente per Yuriy lui non era
molto di più di un perverso e violento cliente. Forse Boris era semplicemente
geloso…ma non l’avrebbe ammesso neppure sotto tortura. Lui? Geloso di Kei
Hiwatari?! Ma quando mai! E sì, povero Boris Huznestov…
-per il
beyblade.- non era vero. A Kei non importava un emerito nulla di quel
fottutissimo gioco. Suo nonno l’aveva chiamato in Russia e lui aveva pensato
bene di accettare. Non sapeva neppure lui perché l’avesse fatto…
-oh, sì. Ne
sono convintissimo. Per quello ti porti a letto il mio ragazzo?- chiese Boris,
avvicinandosi ancora un poco a Kei, che inarcò un sopracciglio, assumendo
un’espressione stupita…
Il
russo-nipponico si alzò a sedere e guardò Boris. Lo sguardo che aveva, era
chiaramente ironico…
-sei
geloso…Huznestov?- a stento tratteneva le risate. Scorgere la gelosia in quel
ragazzo alto e relativamente massiccio, con quegli occhi penetranti ora così furiosi,
con i capelli lunghi di quel colore particolare…era diabolicamente esilarante.
Quando, infine, Boris arrossì, Kei non riuscì più a trattenersi. E rise. Rise
sguaiatamente, distendendosi nel letto e schiacciandosi le mani in pancia.
Continuò a ridere anche quando entrò Yuriy. Boris avrebbe voluto picchiarlo.
Avrebbe voluto prendere a calci e pugni Kei fino ad ucciderlo, fino a fargli
sputare il suo stesso cuore. Ma non fece niente. Solo, si girò e vide Yuriy. Il
nuovo arrivato, guardava Kei con un’espressione dolcissima dipinta
sull’incantevole viso…aveva le labbra color pesca modellate in un sorriso
appena accennato…le braccia incrociate, la testa leggermente inclinata…era
affascinante nel suo essere affascinato. Dopo qualche attimo di apnea totale, Boris
ricominciò a respirare. Di questo, in effetti, dovette ringraziare Kei, che
smise di ridere e spezzò il silenzio, con la sua calda voce…
-Yuriy?-
dopo aver pronunciato quel nome, Kei guardò Boris e ghignò, quando questo uscì
dalla stanza quasi correndo..
Yuriy
intanto, si era riscosso dai suoi pensieri e si era timidamente avvicinato a
Kei.
-sì…la
porta era aperta e così…ho deciso di entrare…- aveva guardato Kei con
un’espressione quasi timorosa…un’espressione che non si addiceva proprio
all’arrogante capitano dei Demolition Boys. Kei infatti, si era stupito e aveva
osservato Yuriy con uno sguardo pressoché sconcertato…
-va
bene… - aveva mormorato dopo qualche istante, stendendosi di nuovo nel letto
-questa sera hai intenzione di dormire?- chiese Kei, incatenando il cremisi dei
suoi occhi all’azzurro di quelli di Yuriy…
Il
russo sussultò e poi abbassò leggermente lo sguardo…
-non
dipende da me…- aveva detto con tono desolato.
-e
da chi?- Kei avrebbe sicuramente potuto fare qualcosa.
-l’hai
visto anche tu, ieri notte, Kei…- era Borkov, allora. Beh, pensandoci, era
piuttosto evidente. Kei quindi si alzò in piedi e indossò una camicia.
-dove
vai?- aveva domandato Yuriy…Kei non rispose nulla, se non un debole “non
muoverti da qui”. Poi uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Yuriy si sedette sul letto e rifletté…
Sicuramente
Kei voleva andare da Borkov per dirgli di lasciarlo in pace. Ma perché lo
faceva? Per se stesso, perché voleva dormire, o per lui? E poi…cosa ci faceva
Boris in camera di Kei? E perché Kei rideva così di gusto, dinnanzi
all’espressione rabbiosa di Boris? Yuriy non capiva.
Quando
Kei entrò in camera, sbatté la porta e Yuriy trasalì. Poi alzò gli occhi,
incrociando quelli di Kei, che erano dello stesso colore della lava fusa.
-quel
maledetto…ha detto che non può fare niente prima di domani, in quando Borkov
allena mocciosi fino ad ore impossibili!- era chiaro che Kei aveva parlato con
suo nonno. Dopo queste parole, si era di nuovo tolto la camicia e i pantaloni e
si era buttato sul letto.
-non…importa…se
non vuoi sentire rumore, pregherò Borkov di portarmi nella sua stanza…- Kei
sembrò pensarci su un attimo, poi parlò…
-perché
lo fai?- l’intonazione tranquilla, le braccia incrociate dietro la testa…
-…cosa?-
Yuriy invece, cominciava a distruggersi le ginocchia, a forza di piantarvi le
unghie…
-perché
ti lasci violentare da lui?- calmo. Sincero. Schietto. Yuriy non era sicuro di
volergli rispondere, ma poi si arrese…tanto prima o poi, avrebbe capito che lui
non era nulla di più di un ragazzino debole e disarmato…
-non
posso oppormi, Kei…non sono abbastanza potente per poterlo fare…l’unica mia
arma, sta nella speranza che un giorno si stuferà di me…- Yuriy sorrise
amaramente e Kei annuì…
-stasera
dormi qua.- aveva detto poi Kei, usando il suo solito timbro di voce
autoritario, un tono che non ammetteva obiezione alcuna. Yuriy trasalì
nuovamente. Aveva sentito bene? Kei gli stava chiedendo di rimanere a dormire
da lui? No, glielo stava proprio ordinando. A quale scopo lo faceva?
Yuriy si sarebbe lasciato fare qualsiasi cosa da Kei. Ma Kei…lo sapeva? No,
probabilmente no. O forse sì? Magari voleva servirsene trattandolo come un
oggetto erotico, ora che sapeva che era abituato ad essere usato…e che gli
avrebbe fatto più che piacere se Kei avesse abusato di lui.
Kei
inarcò un sopracciglio, in attesa di una risposta…
-ma
non ci sono due letti qui…- mormorò Yuriy. Era come se stesse cercando una
banale giustificazione per declinare l’invito…come se cercasse di proposito una
scusa stupida…un qualcosa a cui si potesse ovviare…e farlo in fretta…così
sarebbe stato “costretto” a dormire con lui. Non era di certo la prima volta
che dormiva con Kei ma…quando dormivano assieme, era perché erano troppo
sfiniti, grazie alle loro passionali pratiche sessuali, per tornare nella
propria camera. Questa volta, in teoria, sarebbe stato diverso.
Kei
si spostò un po’, mettendosi sotto le coperte e lasciando uno spazio libero nel
letto.
-muoviti,
ho voglia di dormire.- aveva detto. Anche questa volta, il suo tono di voce non
ammetteva contestazioni. Yuriy in quel momento si sentiva come una vittima
della figura mitologica chiamata Medusa. Si sentiva pietrificato, in pratica.
Non osava ribattere, non sapeva nemmeno come accettare. Kei aveva tirato in
parte le coperte nella parte di letto che avrebbe dovuto occupare Yuriy. Lo
stava aspettando. E, dall’espressione che aveva, era anche piuttosto seccato
dal tentennamento di Yuriy. Il russo sapeva che Kei odiava le persone indecise.
Dopo un po’, Yuriy si mosse, mormorando qualcosa tipo “vado a prendere la veste
da notte…”.
Non
appena entrò nella propria camera, Yuriy si sedette sul letto e si concentrò,
con l’unico scopo di calmarsi. Aveva il cuore che batteva fortissimo…sembrava
superasse i duemila battiti al secondo. Decise che in quelle condizioni, non
sarebbe mai riuscito a dormire, così si spogliò e si rinchiuse nella cabina
doccia, lasciando che l’acqua gelida lo lambisse ovunque con intensità
costante. Quando, pochi istanti dopo, uscì dalla doccia, si asciugò, lasciando
i capelli umidi per evitare di perdere ulteriormente tempo. Poi si mise un paio
di slip e una vestaglietta rossa pulita, che gli arrivava fin sopra il
ginocchio. Infine, tornò da Kei…
-eccomi…-
sussurrò. Kei, che prima aveva gli occhi chiusi, alzò lo sguardo e lo scrutò.
Non disse nulla, si limitò ad annuire. Yuriy si avvicinò e si distese accanto a
Kei. Sentiva chiaramente il profumo del ragazzo. Era lo stesso dell’ultima
volta in cui l’aveva incontrato, mischiato però a qualcosa di nuovo. Tutto si
fece più chiaro quando, circa mezz’ora dopo, Kei si alzò e aprì la finestra,
accendendosi una sigaretta. Kei fumava, era quello il nuovo odore che sentiva.
-non
sapevo fumassi…- aveva sussurrato Yuriy.
-e
io pensavo dormissi.- rispose Kei, sedendosi sul davanzale e guardando la neve
scendere su Mosca. Yuriy abbassò un po’ lo sguardo e poi tornò a guardare Kei.
Si tirò la coperta fino sotto il mento e si scrollò un pochino per il freddo…
Kei
finì la sigaretta e la gettò dalla finestra, che chiuse velocemente, tornando a
stendersi accanto a Yuriy. Dopo qualche momento di silenzio assoluto,
approfittando del quale Yuriy si deliziava ascoltando il respiro regolare di
Kei, Ivanov decise di spezzare quell’attimo tranquillo che per lui era
oltremodo romantico…
-Kei…-
sussurrò, girandosi su un fianco e guardando Kei, che rispose mugugnando…
-tu…ti
ricordi di me solo perché ho condotto una buona battaglia contro Takao?- chiese
Yuriy. Dal tono che usava, sembrava stesse chiedendo la cosa più naturale del
mondo. In realtà però, il russo sentiva ogni cosa tremare, dentro di lui. Era
agitatissimo, si stava dilaniando le mani e fissava Kei con uno sguardo
preoccupato, sperando che il buio lo proteggesse. Per giunta, Kei attese
qualche minuto prima di dare la sua risposta, lasciando Yuriy ai suoi fremiti…
-no.
Dormi, adesso.- aveva concluso la discussione. Yuriy a questo punto, non poté
fare altro che sostituire l’espressione meravigliata creata dalla risposta di
Kei, con una straordinariamente dolce…
Quando Kei si svegliò, non poté non sorprendersi notando come l’altro
russo gli si era avvinghiato addosso
Quando Kei si svegliò, non poté non sorprendersi
notando come l’altro russo gli si era avvinghiato addosso. Era quasi spasmodico
il modo con cui lo stringeva. Così, in silenzio e immobile, attese che anche
Yuriy si svegliasse.
Quando quest’ultimo aprì gli occhi e li sfregò,
tentando di scacciare l’opacità che essi avevano dopo qualche ora di sonno,
scoprì che il corpo che l’aveva scaldato tutta la notte e da cui derivava quel
sorprendente senso di protezione, era di Kei. Arrossì dolcemente, prima di
staccarsi da lui con riguardo e scusarsi.
-non importa.- aveva sussurrato Kei,
stiracchiandosi e alzandosi. Andò a vestirsi e Yuriy non gli staccò gli occhi
di dosso neanche un picosecondo. Gli sembrava fosse naturale dormire con Kei.
Era come se dormissero assieme da secoli. Eppure non era così…
Tra l’altro, non poteva impedire alle parole che
Kei aveva proferito il giorno prima, di vorticargli velocemente in testa. Gli
aveva detto che si ricordava di lui. Che il beyblade non centrava. Beh…non
gliel’aveva detto. Però gliel’aveva fatto capire!
Yuriy si alzò in piedi e chiese a Kei una
spazzola, cominciando quindi a pettinarsi. Si sentì orgoglioso quando notò che
i capelli avevano smesso di stargli in quel modo assurdo. Ora gli stavano giù.
Erano ordinati. Gli sfioravano il collo con sensualità, erano morbidi e
lucenti. Yuriy sorrise, spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
-se vai in giro così- aveva mormorato Kei,
distraendolo -non puoi lamentarti se Borkov si approfitta di te.- il russo
abbassò lentamente gli occhi, accarezzando con lo sguardo la sua figura
riflessa allo specchio. Sgranò un poco gli occhi e arrossì, cercando di non
farsi vedere da Kei. Quest’ultimo si era posizionato dietro di lui e, prima che
Yuriy se ne accorgesse, l’aveva stretto a se, facendo combaciare la schiena del
ragazzo e il proprio petto. Yuriy non capì più nulla. Non seppe il perché fino
al 25 Dicembre. Tacque per tre giorni, in poche parole. Non l’aveva evitato,
anzi, s’era comportato come sempre. Ma questo non era utile per una persona che
apriva bocca raramente, come Kei. Kei odiava parlare, si sapeva. Però in quel
momento, pensava Yuriy, poteva degnarsi di spiegargli quel gesto. Non era
curioso, Yuriy. Solo che sentiva il bisogno di sapere tutto…sapeva bene che il
suo cervello stava creando bellissime illusioni. Si stava illudendo che Kei lo
amasse. E, sinceramente, desiderava che queste illusioni sparissero. Anche
perché non sapeva se stare bene o male…il suo umore non era ne carne ne pesce.
Il fatto che Borkov non si vedesse più da quelle parti lo rasserenava, così
come lo confortava l’accuratezza con la quale i monaci lo evitavano. Non lo
prendevano più in giro, non lo chiamavano più “puttana”, non approfittavano più
del suo corpo dilaniato ma perfetto. La sua pelle sarebbe stata diafana, se
Boris non avesse provveduto a picchiarlo e violentarlo. Era Huznestov, ormai,
l’unico che si preoccupava di farlo tornare serio e triste. A Yuriy pareva che
la rabbia con la quale Boris lo seviziava fosse addirittura aumentata da quando
l’aveva visto in camera con Kei.
Ma tutto finì il 25 Dicembre. Quello fu l’ultimo
giorno in cui vide Boris Huznestov. O meglio, fu l’ultima volta in cui lo vide
in carne ed ossa. Sì, perché qualche mese dopo, sfogliando il giornale, notò il
suo vecchio compagno di squadra nella pagina dedicata alle necrologie. Una
vecchia foto in bianco e nero, un annuncio squallido e non sentito. Una frase
fatta. Il giorno in cui si sarebbe svolto il funerale. Yuriy non partecipò alla
cerimonia, ne seppe mai come morì Boris. Forse si suicidò. Forse morì di cancro
o d’infarto. Forse venne ucciso. A Yuriy non importava, quindi non s’informò
sulle cause del decesso. Pensò che solo era meglio così. Aveva smesso di
soffrire.
Tornando al presente, arrivò velocemente Natale.
La messa quel giorno era stata lunga e noiosa. Come ogni anno, si era svolta in
una grande cattedrale, nel mezzo della Mosca comunista tanto amata quanto
odiata. Yuriy era seduto nelle ultime file, assieme ad altri bambini
provenienti dal monastero della Borg. Accanto a lui c’era Boris che, di tanto
in tanto, gli accarezzava possessivamente una gamba. Kei era in piedi, nascosto
da una moltitudine di persone. Hito Hiwatari non c’erano. Ad accompagnarli li
erano stati i monaci, non Borkov come gli anni precedenti. Nessuno sembrava più
fare caso all’improvvisa scomparsa di Vladimir.
Yuriy, appena finita la cerimonia, uscì dalla
cattedrale. Non sopportava l’odore d’incenso che gli impregnava gli abiti da
festa. Gli veniva da vomitare quando questo gli sfiorava le narici. Lo odiava.
Odiava anche l’assurda minuzia con la quale di vestiva e si pettinava a Natale.
Se non lo faceva, veniva picchiato.
Fuori trovò Kei. La neve cadeva dal cielo
sottoforma di morbidi batuffoli, imperlando i neri cappotti della gente che
passeggiava davanti alla chiesa, attraversando la grande e luminosa piazza. La
bellezza quasi irreale di Kei, poi, contribuiva a far sembrare quella scena uno
spezzone tratto da un vecchio film. Il ragazzo se ne stava in piedi davanti
alla cattedrale e teneva le mani nelle tasche del cappotto. Aveva la testa
rivolta verso l’alto e lasciava che la neve si posasse sul suo viso,
sciogliendosi poi per il calore che esso nascondeva. Forse anche la neve veniva
ingannata dall’apparente freddezza del corpo di Kei…la sua carnagione era
chiara a tal punto da sembrare ghiaccio. Era eterea come quella d’un dio.
Eppure scottava. Il fuoco che nascondeva bruciava quanto l’Inferno.
Yuriy si avvicinò al ragazzo e si mise accanto a
lui, osservando la neve, proprio come stava facendo Kei. In quel momento, Yuriy
si rese conto di saper amare. Si rese conto che quello che Borkov gli diceva
non erano altro che sciocchezze dettate dall’odio e dalla repulsione verso ogni
altra forma vita. Quel vecchio monaco non aveva mai capito cosa fosse l’amore e
si divertiva a far credere ai giovani che quel sentimento non fosse altro che
una favola per ragazzini ingenui. Pensandoci ora, mentre la neve giocava con il
suo corpo, a Yuriy, Borkov faceva pena.
Kei invece non provava niente, oltre alla
soddisfazione, quando ripensava alla fine che aveva fatto Vladimir per mano
sua. Non era stato difficile convincere suo nonno. Era bastato riempirgli la
testa di bugie, digli che senza Borkov la conquista del mondo sarebbe stata più
semplice. Se non aveva complici, gli aveva assicurato Kei, non avrebbe dovuto
sendere conto a nessuno delle sue azioni. Se il mondo era solo suo,
poteva uccidere tutti gli abitanti. Oppure poteva renderli suo schiavi. O
poteva lasciare tutto così com’era. Se invece aveva un socio, tutto questo
avrebbe dovuto essere diviso con questo. Il mondo non sarebbe stato suo,
ma loro. Gli aveva ripetuto questo un paio di volte, usando un
linguaggio e un tono di voce convincente ed il caro nonnino c’era cascato in
pieno. Borkov, il giorno dopo, a mezzogiorno, era scomparso. E Yuriy era
libero. Era libero di vivere e di essere suo. Non sapeva neanche quando s’era
innamorato di quel ragazzo…sapeva soltanto che Rei aveva ragione. Kei Hiwatari,
alla fine di tutto, era tornato da Yuriy Ivanov. Era giusto così.
-è bello…quando si posa sulle labbra…non trovi?-
domandò Kei. Il russo-nipponico era rinchiuso in uno stato di semi-trans.
L’aurea che l’avvolgeva, era tiepida e piacevole, segno che il ragazzo stava
davvero bene in quel momento. Yuriy annuì e mormorò un debole “sì”…anche lui
era rilassato. Quella situazione piaceva ad entrambi. Sembravano non notare le
altre persone. Anzi, non le notavano davvero. Per Kei e Yuriy quella gente non
esisteva. Esistevano solo loro e la neve. Era come se il mondo finisse ad un
millimetro da loro e la neve, che scendeva da un cielo troppo bianco per essere
reale, fosse il frutto dell’immaginazione di entrambi. Forse era il caso di
dire che nessuno dei due capiva bene a cosa stava pensando. Eppure era certo di
sapere a cosa pensava l’altro. Infatti quando la mano di Yuriy sfiorò quella di
Kei, scoprì che quest’ultima s’era già mossa con la sua stessa intenzione. Le
dita si intrecciarono e Kei e Yuriy rimasero a fissare la neve, come se non se
ne fossero accorti. Non si accorsero nemmeno del ragazzo che usciva dalla
cattedrale, quello con quello strano colore di capelli, quando s’avviarono
verso il centro della piazza per venire poi nascosti dall’improvviso infittirsi
complice della neve, che permise ai due di fuggire da quel luogo ostile, mano
nella mano.
Innamorati e silenziosi.
-FINE-
Buonaseeeera! Spero vivamente che vi sia
piaciuta T-T Come sempre il finale lascia un po’ a desiderare ma il resto non
mi pare sia eccessivamente brutta…mah…no, fa schifo Y-Y comunque nè la canzone
nè i personaggi sono miei. La canzone è di Simon&Garfunkel e i personaggi
sono di Takao Aoki…io li torturo senza ricavare niente di niente U-U
Comunque scusate se non c’ho messo la scena
lemon °_°|||
Dedico questa fanfic alle persone che hanno
letto le altre fanfic che ho scritto e hanno pianto, riso o sono state serie.
La dedico anche a tutti quelli che commentano sempre le fanfic che leggono
perché donano un pezzetto di felicità all’autore. La dedico, a tutti quelli che
mi vogliono bene, a quelli che mi odiano e a quelli a cui sono completamente
indifferente. Infine la dedico a Gilles de Rais e a Yukina di Orione (che però
non leggerà mai questa fanfic xchè non apprezza le KeiXYuriy/YuriyXKei) che è
da più o meno 10 minuti che aspettano una risposta agli sms che mi hanno
mandato! ^^’
Vi invito come sempre a commentare!
Ni-hao!
Arles
P.S. Vi metto il testo x intero e la traduzione
della canzone “The Sound of Silence”:
Testo:
Hello
darkness, my old friend
I've come to talk with you again
Because a vision softly creeping
Left its seeds while I was sleeping
And the vision that was planted in my brain
Still remains
Within the sound of silence
In restless dreams I walked alone
Narrow streets of cobblestone
'Neath the halo of a street lamp
I turned my collar to the cold and damp
When my eyes were stabbed by the flash of a neon light
That split the night
And touched the sound of silence
And in the naked light I saw
Ten thousand people, maybe more
People talking without speaking
People hearing without listening
People writing songs that voices never share
And no one dared
Disturb the sound of silence
"Fools", said I, "You do not know
Silence like a cancer grows
Hear my words that I might teach you
Take my arms that I might reach you"
But my words, like silent raindrops fell
And echoed
In the wells of silence
And the people bowed and prayed
To the neon god they made
And the sign flashed out its warning
In the words that it was forming
And the sign said, "The words of the prophets are written on the subway
walls
And tenement halls"
And whispered in the sounds of silence
Traduzione:
Salve oscurità, mia vecchia amica
ho ripreso a parlarti ancora
perchè una visione che fa dolcemente rabbrividire
ha lasciato in me i suoi semi mentre dormivo
e la visione che è stata piantata nel mio cervello
ancora persiste
nel suono del silenzio
Nei sogni agitati io
camminavo solo
attraverso strade strette e ciottolose
nell'alone della luce dei lampioni
sollevando il bavero contro il freddo e l'umidità
quando i miei occhi furono colpiti dal flash di una luce al neon
che attraversò la notte
e toccò il suono del silenzio
E nella luce pura vidi
migliaia di persone, o forse più
persone che parlavano senza emettere suoni
persone che ascoltavano senza udire
persone che scrivevano canzoni che le voci non avrebbero mai cantato
e nessuno osava
disturbare il suono del silenzio
"Stupidi" io dissi, "voi non sapete
che il silenzio cresce come un cancro
ascoltate le mie parole che io posso insegnarvi,
aggrappatevi alle mie braccia che io posso raggiungervi"
Ma le mie parole caddero come gocce di pioggia,
e riecheggiarono
nei pozzi del silenzio
e la gente si inchinava
e pregava
al Dio neon che avevano creato.
e l'insegna proiettò il suo avvertimento,
tra le parole che stava delineando.
e l'insegna disse "le parole dei profeti
sono scritte sui muri delle metropolitane
e sui muri delle case popolari."
E sussurrò nel suono del silenzio