The Sound of Silence

di Kaede
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Sound of Silence ***
Capitolo 2: *** Boris Huznestov ***
Capitolo 3: *** Kei Hiwatari ***
Capitolo 4: *** Yuriy Ivanov ***



Capitolo 1
*** The Sound of Silence ***


« …Hello darkness, my old friend

« …Hello darkness, my old friend
I've come to talk with you again
Because a vision softly creeping
Left its seeds while I was sleeping
And the vision that was planted in my brain
Still remains
Within the sound of silence

 

Era veramente possibile che l’oscurità fosse la mia unica complice? Possibile che fosse Lei, l’unica a capirmi?

Non ci potevo credere. Era impossibile. Eppure era così.

E me ne resi conto lentamente, mentre io, solo, nella mia apparente forza, continuavo ad allenarmi per diventare invincibile. Per entrare nelle grazie di Vladimir Borkov, così da distoglierlo dalle intenzioni e dalle fantasie controproducenti e poco caste che faceva sul mio conto. Fantasie che divennero assai presto realtà, purtroppo. Ma io continuavo a lanciare quel piccolo beyblade. E lo facevo per realizzare il sogno di Hito Hiwatari, il mio signore: lui voleva conquistare il mondo, usando me e i bit-power che avrei dovuto catturare. E per realizzare il mio sogno: io volevo conquistare te, suo nipote. Anzi, volevo solo che tu tornassi da me…volevo che tutto tornasse come prima, quando tu ed io avevamo si e no otto anni e vivevamo “felici” al monastero.

 

In restless dreams I walked alone
Narrow streets of cobblestone
'Neath the halo of a street lamp
I turned my collar to the cold and damp
When my eyes were stabbed by the flash of a neon light
That split the night
And touched the sound of silence

 

Non potevo più continuare a vivere nel ricordo di quel bacio…il nostro unico vero bacio: eravamo assieme in camera mia, stavamo parlando e tu, ad un certo punto, ti avvicinasti e posasti le tue labbra dolci e vellutate sulle mie. Poi hai sorriso. E anche io! Ma quella volta ci scoprirono. E ci separarono. Sapevano che tu eri molto curioso e che miravi a Black Dranzer. Così, fecero in modo che tu entrassi nella stanza che lo custodiva e che provassi a lanciarlo. E tu, mio piccolo Kei, sei caduto in pieno nella loro trappola e…hai perso la memoria.

Sinceramente però, credevo che tu, quando ritornasti qui, l’anno scorso, ti ricordassi di me. Ma niente. Hai dimenticato tutto.

Tutto quanto, Kei.  

È buffo: ci avevano sempre fatti allenare assieme, perché stavamo bene in coppia. Eravamo freddi e spietati, nonostante la tenera età. Poi…quando, sia a noi che a loro, fu chiaro che il nostro sentimento era forte…ti hanno portato via. In Giappone. Ed io non ti ho più visto, finché non sei ritornato qui per la Finale dei Mondiali…

Borkov una volta mi ha detto: “due bambini di otto anni non sanno cos’è l’amore. E tu comunque, non sei capace di amare”. Parlava come se lui conoscesse bene, questo sentimento. Ma lui non ne sapeva niente, Kei.

Non poteva sapere che io ti ho amato anche quando sei ritornato qui…anche se per una sola settimana. Ti ho amato, dicevo, passionalmente, carnalmente, spiritualmente…in qualunque modo.

Lui non sa che io ti amo ancora.

Lui non sa che non ho mai smesso di amarti.

A lui interessa il mio corpo. Gli basta quello, per essere felice.

 

And in the naked light I saw
Ten thousand people, maybe more
People talking without speaking
People hearing without listening
People writing songs that voices never share
And no one dared
Disturb the sound of silence


Non so se fare sesso con me lo diverte davvero o se gli piace umiliarmi. Non voglio saperlo. Ma non credere che lui sia l’unico, Kei. Sai, ci sono davvero tante persone, qui al monastero, che ci tengono a me…in modo carnale. Certi mi ottengono. Forse dovrei dire “tutti”, ma è squallido. Dico “certi” perché non “tutti” mi pagano. Solo “certi”, appunto. Mi trattano da puttana, quale sono. E con me si divertono. Io no, non mi diverto. Imito urla di piacere, per paura della loro violenza. Se non partecipo anche spiritualmente, mi picchiano, funziona così. Loro dicono “ti pago e lo fai bene”. Non vogliono avere una bambola rotta, una stupida bambola parlante senza batterie. Loro vogliono sentirmi urlare, non importa se di piacere o di dolore. E mi prendono due o tre volte di seguito. Mi spezzano. Mi fanno male. Mi conquistano. Conquistano le mie grida, i miei gemiti falsi. Sempre con la forza, ovviamente. Ma mi conquistano.

 

"Fools", said I, "You do not know
Silence like a cancer grows
Hear my words that I might teach you
Take my arms that I might reach you"
But my words, like silent raindrops fell
And echoed
In the wells of silence

 

E tu, Kei? Quando ritorni?

Non preoccuparti, so che ora hai quel cinese, quel Rei. So che per te, quando ci siamo uniti, una sera di quella settimana, è stato solo sesso. So che quella sera, anche tu sei stato come quelli che mi scopano, senza amarmi. Ma ti capisco alla perfezione, sai?

Lui è bello, è dolce…è perfetto. Ecco, è quello che io ho sempre voluto essere, fin da piccolo. Volevo diventare perfetto. Perfetto ai tuoi occhi. Eppure questo è stato soltanto un altro insuccesso. Non sono riuscito ad emulare la perfezione.

 

And the people bowed and prayed
To the neon god they made
And the sign flashed out its warning
In the words that it was forming
And the sign said, "The words of the prophets are written on the subway walls
And tenement halls"
And whispered in the sounds of silence.
»

 

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Capitolo 2
*** Boris Huznestov ***


Yuriy Ivanov non reggeva davvero più quella situazione

Yuriy Ivanov non reggeva davvero più quella situazione. Il rancore verso le altre persone che vivevano assieme a lui nel monastero, l’odio verso le persone che di lui avevano fatto la loro bambola…lo disintegrava. Yuriy si stava lentamente frantumando. Un pezzetto alla volta, lui stava sparendo. Stava morendo anche esteriormente…sì, perché la sua anima era morta da tanto tempo. Era stato quello, infondo, l’esperimento della Borg meglio riuscito: liberarlo dall’anima, dai sentimenti d’amore e amicizia. Yuriy era, in questo modo, diventato una macchina fredda, distaccata e calcolatrice. Un cyborg. Un automa crudele e bellissimo.

La cosa peggiore, era sicuramente l’autoconvinzione di Yuriy: Yuriy era sicuro di non saper amare. Lui credeva che quello che provava nei confronti di Kei fosse…amore, certo. Ma un amore diverso. Era come se glielo “dovesse”, se così si può dire. Lo sognava tutte le notti,  bramava a lui più della mezza pagnotta della quale si cibava. Viveva per lui. Ma non si rendeva conto che quel sentimento era davvero l’amore che sognava. Eppure di lui, gli era rimasta solo quella piccola, stropicciata e stupida foto. C’era Kei, in quella foto. Avrà avuto si e no otto anni. Era in piedi, aveva il viso, già tatuato, sereno.

Tuttavia, quando Yuriy l’aveva visto per la seconda volta, ai Mondiali di Beyblade, Kei gli era sembrato completamente diverso. Era cambiato. Prima era un dolcissimo angioletto. Ora si era evoluto, era diventato un dio. Era stupendo, in una parola. Il fisico perfetto, quegli occhi così profondi, così belli…

E Yuriy l’aveva amato, senza sapere che quel sentimento non era “gratitudine”. Sapeva bene di usare il verbo “amare” solo quando pensava a Kei. Sapeva bene che le persone spregevoli che gli giravano attorno, volevano unicamente il suo corpo o la sua forza. Sapeva che loro non lo “amavano”. Ma l’avrebbe capito. Prima o poi avrebbe compreso che anche lui sapeva amare. Che quell’emozione era tutt’altro che morta, in lui. Che le sue paure erano infondate.

 

Quella mattina, Yuriy, si era svegliato di soprassalto, perché aveva sentito un gran fracasso, in quel luogo solitamente silenzioso. Sentiva dei passi fuori dalla sua stanza. Gente che correva su e giù. Mobili che venivano spostati, nella camera di fronte alla sua. Così, s’era alzato ed era andato a farsi la doccia. Poi aveva indossato una maglia e un paio di pantaloni ed era uscito a controllare. C’erano i monaci in delirio. Correvano portando avanti e indietro secchi d’acqua e scope, da quella camera, che da sempre era disabitata. Una volta c’era Kei, in quella stanza. Yuriy ebbe come un presentimento e una lieve scossa gli percorse tutto il corpo, eccitandolo. Poi si era convinto che fosse frutto della sua immaginazione.

Nessuno si accorse di niente quando lui sgattaiolò lontano dalla sua stanza e entrò, dopo aver bussato, nell’ufficio di Hito Hiwatari.

-ti aspettavo, Yuriy…- gli aveva detto l’altro, con un sorriso vizioso.

-chi si trasferisce, nella camera davanti alla mia?- aveva risposto con una domanda, Yuriy.

-arriverà questa sera verso le sei e si fermerà con noi…per sempre, mi auguro…ma sai meglio di me, com’è mio nipote. So che farai del tuo meglio per farlo sentire a suo agio…- l’aveva detto con una nota maliziosa, con l’aria di qualcuno che sa. Ma Yuriy non lo ascoltava più. Kei era tornato! Kei, il suo Kei! -…se esageri, Yuriy, lo dovrò spostare…no, anzi, questa volta agirò su di te. Già. Se non vuoi finire di nuovo a fare la puttana per qualche mio ricco amico, dovrai stare tranquillo e non dovrai infastidire mio nipote.- lo stava minacciando. Una volta lo aveva costretto a prestare servigi di quel genere ad alcuni nobili russi. Era stato un inferno e Hito lo sapeva bene. Si trovava davanti ad un bivio, ora: poteva scegliere di fregarsene di Hito e dei suoi amici e di mostrare a Kei tutto il suo amore. Oppure poteva scegliere ciò che era meglio per lui, cioè starsene buono e guardare Kei da lontano, mantenendo tuttavia questa maschera di freddezza.

 

Se avesse potuto, avrebbe scelto la seconda. Ma quando vide Kei, si rese conto che la seconda strada era bloccata da un enorme masso, su cui lampeggiava una scritta scorrevole: DESIDERIO - PASSIONE - AMORE. E poi di nuovo DESIDERIO. In pratica, quel masso era invalicabile. Non poteva passare oltre.

Aveva passato tutto il pomeriggio cercando di autoconvincersi che Kei era un ragazzo come tanti, che era brutto e stupido, che stava con Rei. Non c’era riuscito, ma almeno si era costruito una maschera di puro ghiaccio e l’aveva indossata, quando aveva sentito che qualcuno apriva la porta davanti alla sua stanza.

Poi era uscito e l’aveva visto. Era solo, aveva già congedato i monaci e stava cercando di aprire la porta con il masso di chiavi che gli avevano dato. Addosso aveva una maglietta senza maniche, blu e un paio di pantaloni larghi e azzurri. Yuriy credeva che il leggero suono che sentiva, fosse il suo cuore che protestava perché non riusciva più a battere. Invece era il lettore CD che Kei aveva appeso ai pantaloni e che usava per ascoltare musica ad un livello troppo alto, attraverso le piccole cuffiette.

Lui non riusciva davvero a respirare. Si sentiva stupido, con i pantaloni neri e la maglia nera che indossava. E si sentiva ancora più stupido, mentre allungava una mano, toccando la spalla di Kei. Il ragazzo sussultò e si girò, vedendolo.

-chi sei? Ah no, aspetta, ti ho visto al torneo…sei quello che ha combattuto contro Takao. Ti chiami…Yuriy, ecco.- il cuore di Yuriy, che nel frattempo aveva ripreso a battere, perse un colpo. Si ricordava a malapena il suo nome, nonostante fossero stati a letto assieme…! E lui che nel pomeriggio non faceva che provare ad autoconvincersi che Kei non lo meritava e cose simili solo per non pensare a che sapore avevano le sue labbra e a cosa gli avrebbe detto quando si sarebbero visti.

-sì…tu invece sei Kei Hiwatari, vero?- aveva chiesto, rimanendo freddo. Era difficile, dannazione. Era maledettamente difficile, rimanere freddo davanti a quel viso stupendo, davanti a quel corpo degno d’un dio.

-sì, sono io. E pare che da oggi abiteremo di fronte…- l’aveva detto giusto per dire. Si vedeva, non era per portare avanti la discussione. Ma Yuriy ne fu in un certo qual modo felice. Voleva chiudersi in camera e piangere, piangere disperatamente, piangere per ore. Non poteva essere vero, non poteva essersi dimenticato di lui…

-già…- e si era girato, pronto ad entrare in camera…ma una mano diafana, s’era appoggiata alla sua spalla, fermandolo…

-tu hai quasi battuto Takao ai Mondiali. Ti sfido. Dopo cena, ti aspetto fuori dalla mensa.- e detto questo, Kei entrò in camera. Yuriy invece rimase a fissare la porta della sua stessa stanza (perché ricordiamo, era girato di spalle) per alcuni minuti…

Quello…era un appuntamento? No, di sicuro stava fraintendendo tutto. Quello era una semplice sfida a beyblade. Già, una sfida che aveva accettato senza apparente entusiasmo. In realtà era ebbro di felicità. Sarebbe stato per chissà quante ore, da solo, a lanciare trottoline con Kei! E si sa che le trottoline stimolano l’appetito sessuale.

 

Nonostante ormai fosse pienamente convinto che quella era una semplice sfida a beyblade, non era riuscito ad evitare di vestirsi in modo sensuale. Camicia rosso-sangue, quasi totalmente aperta, pantaloni neri, aderenti e stivali neri. Certo, non era comodissimo, ma di sicuro faceva un’ottima figura. Non che di solito facesse schifo, anzi…

Aveva mangiato in fretta e furia ed ora se ne stava fuori dalla mensa, in piedi, stringendo ossessivamente Wolborg…aveva paura che Kei si fosse scordato della loro sfida. O forse aveva paura che non si fosse dimenticato. Prima, infatti, aveva passato diverse ore a pensare a cosa gli avrebbe detto…a come avrebbe fatto a nascondere il desiderio. Ma non gli era venuto in mente nulla. Kei era il suo sogno, la sua vita…come poteva riuscire a celarlo? Certo, lui era stato abituato ad essere freddo ma…non fino a quel punto!

Era semplice essere freddi quando si uccideva qualcuno…

Ma esserlo con Kei…era impossibile.

Si era messo a fissare un punto indefinito davanti a se, quando qualcuno gli si era piazzato davanti. Lui guardava senza vedere e ne scorgeva solo i colori…temeva fosse Borkov. L’avevano di nuovo scoperto. Era spacciato. Nel dolore, s’era accorto che gli occhi gli bruciavano, a forza di tenerli aperti. Così, chiuse gi occhi, per poi riaprirli…e si rese conto che quello che aveva davanti era Kei, non Borkov. Non Hito. Non un monaco. Non era stato scoperto. Quello era Kei. Era davanti a lui e lo guardava sorpreso, forse per la sua espressione.

-ciao…- aveva detto Yuriy, guardandogli gli occhi…erano così incredibilmente belli, gli occhi di Kei. Li avrebbe guardati per ore, per giorni, per anni…

-muoviamoci.- chiaro e coinciso. Forse un po’ troppo. Ma cosa s’era aspettato? Pensava forse che l’avrebbe salutato in gran stile? Che gli avrebbe chiesto come stava? Sì, povero illuso. L’aveva sperato. E in un luogo dove la speranza era l’unica cosa che ti permetteva di vivere, quel suo angusto, indiscreto sogno era tutto. Tuttavia, l’aveva seguito, senza parlare. Erano usciti dal monastero ed erano andati nella dependance riservata ai combattimenti. Era lugubre e scuro, quel posto. Solo la bellezza di Kei, pensava Yuriy, lo rischiarava un poco.

Il ragazzo dai capelli argentati s’era messo di fronte a lui e a separarli c’era il beyblade stadium. Avevano preso i caricatori e i rispettivi beyblade…ed avevano lanciato.

La sfida era stata lunga, nonostante ci fosse un solo match. Yuriy si era imposto di non pensare a niente. Kei invece voleva solo vincere. Eppure finì pari. I beyblade, ad un certo punto, s’erano allontanati dallo stadio come se non volessero più combattere, tornando in mano ai rispettivi blader. Kei e Yuriy erano rimasti a bocca aperta.

-cosa diavolo significa?- aveva chiesto Kei. Ma nessuno sapeva, neanche lui, se l’aveva chiesto a Dranzer, a Yuriy o a se stesso. Yuriy aveva scosso la testa, ancora stupito.

Kei dopo un po’ s’era riscosso e aveva voltato le spalle a Yuriy, andando verso la porta.

-buonanotte- aveva mormorato. Yuriy aveva risposto “buonanotte” ed era rimasto lì. Kei invece, se n’era andato.

Perché Wolborg e Dranzer s’erano rifiutati di combattere, dopo un po’? Sembrava quasi che fossero dotati di forza propria.

Alla fine, anche Yuriy era uscito da quel luogo, anche se era ancora un po’ sconvolto e pensieroso. Ma fuori dalla porta, ad aspettarlo, aveva trovato l’ultima persona che avrebbe voluto vedere: Boris.

Yuriy e Boris avevano una relazione, da quando Kei aveva abbandonato i Demolition Boys, tornando dai Bladebrakers. Forse stavano assieme ma in verità, Yuriy non faceva altro che sanare l’appetito sessuale di Boris.  Anche perché Ivanov non stava bene con Huznestov…spesso, infatti, si perdeva nel ricordo del ragazzo dalle gote tatuate e trascurava Boris. L’altro invece, voleva Yuriy. Lo voleva davvero…lo amava. Ufficialmente, comprendeva che l’altro non avrebbe mai potuto ricambiarlo, se non altro perché, come dicevano tutti, lì dentro, Yuriy non era capace di amare. In realtà non ci credeva affatto. Boris aveva capito molto bene che il ragazzo provava qualcosa di profondo verso Kei e questo non gli andava giù. S’innervosiva soprattutto quando Yuriy si serviva della scusa “io non so amare” per togliersi dalle situazioni “imbarazzanti”, come quando andavano a letto assieme e Boris gli sussurrava parole dolci. Non esigeva questo atteggiamento, da parte del ragazzo dagli occhi di ghiaccio. Quindi lo picchiava. Yuriy si lasciava picchiare. E questo mandava Boris in bestia, più di quanto già non fosse, se questo fosse stato possibile. Non sopportava il fatto che Yuriy si fosse indebolito fino a quel punto. Lui aveva iniziato a desiderarlo per via del suo carattere, più che per l’infinita bellezza. Questo indebolimento portava Boris a comportarsi in modo freddo e cattivo, con Yuriy. Voleva che tornasse quello di una volta.

 

Dall’espressione che aveva, Boris doveva aver capito che Kei era tornato. Yuriy aveva deciso di andare avanti dritto e di ignorare Boris. Così fece. O, almeno, ci provò.

-fermati.- la voce profonda. Era arrabbiato. Yuriy si fermò…normalmente non l’avrebbe fatto, ma era troppo debole per mantenere la sua maschera di marmo e proseguire per la sua strada. Avrebbe fatto la puttana con Boris, quella notte, visto che gli riusciva così bene. Ormai lo era a tutti gli effetti. Boris se non altro era giovane. Pensare questo, lo fece sorridere malinconicamente. -sei stato con lui fino ad adesso. Cosa c’hai fatto?- aveva cominciato a nevicare e i fiocchi gli cadevano sui capelli, imprigionandosi fra quei fili di seta scarlatta. Aveva freddo…s’era vestito troppo poco.

-mi ha sfidato a beyblade, io ho accettato e ci siamo fronteggiati.- aveva spiegato tutto, infondo. Aveva detto quello che avrebbe detto Kei. Non poteva di certo esprimere il suo pensiero. Eppure Boris non c’aveva creduto. Non si era mai fidato di lui. S’era avvicinato di fretta, l’aveva preso per un braccio e l’aveva girato, in modo da guardarlo in faccia. Poi gli aveva dato una sberla. Lo Yuriy capo dei Demolition Boys avrebbe certamente risposto a quella sberla con un pugno in pancia. Ma lui non era più quel genere di persona. Non era più quello Yuriy. Ora era uno Yuriy appena nato, uno Yuriy piccolo e sprovveduto, di cui tutti si servivano, chi per un motivo, chi per un altro.

-non mi piace quando menti. Dimmi la verità. Hai fatto sesso con lui, vero? Quanto ti ha pagato? Oppure ci sei stato gratis, perché lui è “il tuo Kei”?!- era davvero infuriato, Boris. Yuriy era stato zitto e l’aveva guardato. -allora? Muoviti, rispondi!- Yuriy, tuttavia, continuava a tacere. Boris gli aveva lasciato andare il braccio ed aveva fatto qualche passo, per poi tornare vicino a Yuriy. -Quello stronzo arriva qua, si prende la mia puttana e fa finta di niente? Ma che si uccida, quel fottuto bastardo!- l’aveva urlato. Era fuori di sé. Ma quelle offese se le sarebbe dovute risparmiare. Yuriy scattò in avanti e gli piantò il pugno nello stomaco, facendolo cadere. Poi si era buttato sopra di lui e l’aveva guardato con gli occhi gelidi e minacciosi.

-non osare più offendere Kei…picchia e insulta me quanto vuoi, ma Kei lascialo stare…sennò non rispondo delle mie azioni. Sono stato sufficientemente chiaro, Boris?- Yuriy si alzò e fece qualche passo, prima di voltarsi a guardare Boris -cercati un altro ragazzo, tienimi come puttana come fa Borkov, se vuoi, tanto non m’interessa. Ah…e poi, è meglio se sei tu a suicidarti, piuttosto che lui, sai?- e se ne andò, tornando di fretta nella sua stanza.

 

Chissà se se la sarebbe presa, Boris…molto probabilmente sì. Comunque non avrebbe più offeso Kei…almeno di questo era sicuro. Tuttavia, quando entrò nella sua stanza vi trovò Borkov. E con lui, non sarebbe di certo riuscito a cavarsela.

Ed infatti andò come aveva previsto. C’era solo da sperare che Kei non avesse sentito niente. Pensandoci, Yuriy si rese conto che anche se Kei sentiva…cosa poteva importargliene? Kei aveva davvero dimenticato tutto. Ne aveva avuto la conferma. Tra l’altro, nonostante non fosse passato tantissimo tempo dall’ultima volta in cui erano stati a letto, si ricordava di lui solo perché aveva combattuto decentemente contro Takao. Era quello…l’importante, per Kei? Il fatto che aveva combattuto contro Takao? Non contavano i gemiti, le urla di piacere e le dolci carezze scambiate nello spogliatoio del beyblade stadium? Non ricordava più l’eccitazione aumentata dalla paura di venire scoperti…di nuovo? Possibile che tutto ciò fosse andato perso come una rosa nera in un campo di tulipani corvini?

Si addormentò con questi pensieri in testa, da solo, con la stanza che odorava di sesso…

 

L’indomani si alzò perché qualcuno aveva bussato alla porta. Lui odiava venire svegliato e s’innervosì ancora di più quando scoprì che erano appena le 5 del mattino. Era sceso dal letto controvoglia, solo perché l’individuo continuava a bussare. Aveva mormorato un “arrivo” ed era andato ad aprire. Aprì la porta, vestito unicamente di una morbida vestaglia, che gli arrivava fino alle ginocchia e sfregandosi gli occhi con una mano…

-buongiorno.- monotono. Volto inespressivo. Forse era rimasto un colpito nel vedere che era vestito solo di quella vestaglietta candida. Kei invece, aveva un pigiama che gli donava alla perfezione…Yuriy stette per svenire, quando lo vide.

-oddio…ciao Kei…scusa le condizioni ma stavo dormendo…- se era una persona qualsiasi probabilmente sarebbe morta pugnalata. Ma Kei…era un caso speciale. Yuriy infatti si era spostato un po’, lasciandolo entrare e richiudendo la porta. Era imbarazzato ed aveva il cuore che batteva fortissimo. -siediti…là…- mormorò Yuriy, indicando una poltrona e rifacendo frettolosamente il letto…

Kei si sedette. Yuriy poi, gli si mise davanti, osservandolo con sguardo inquisitorio…

-potresti fare meno rumore la notte?- chiese, Kei. Lo guardava ma Yuriy non avrebbe mai saputo dire se quella che aveva il ragazzo dai capelli argentati era un’espressione divertita, scocciata o indifferente. -non m’interessa quello che fai…certo, dall’atteggiamento esaltato e dalla faccia da maniaco che aveva Borkov quand’è uscito dalla tua stanza, è facilmente intuibile…tuttavia, io la sera voglio dormire. Perché se non dormo poi divento nervoso, suscettibile, incavolato, insopportabile, antipatico e, per finire in allegria, violentemente permaloso.- Yuriy rimase interdetto. Dopo un po’, scoppiò a ridere. Non vide il sorriso di Kei solo perché aveva gli occhi chiusi.

-io…cercherò di fare più piano…- riuscì a dir, calmandosi. Kei annuì. -comunque…non è come pensi tu…- aveva aggiunto poi, Yuriy. Il suo viso stava assumendo un piacevole color magenta.

Kei alzò le spalle e socchiuse gli occhi, storcendo un po’ le labbra…

-se lo dici tu…tuttavia non è affare mio quello che fai tu la notte.- aveva detto. Poi s’era alzato e aveva fatto un paio di passi verso un armadio con le porte in vetro…aveva guardato oltre i vetri, scorgendovi alcune foto…-quel bambino…mi assomiglia tantissimo…- e si girò, osservando Yuriy, che sgranò gli occhi azzurri e corse verso Kei, mettendosi fra il ragazzo e l’armadio…

-è…solo un’impressione…- guardò Kei negli occhi, prima di continuare -forse…è meglio se esci da qui...se ci vedono assieme...ti mandano via…di nuovo…- Kei lo guardò senza capire. Evidentemente non aveva inteso il motivo di quel “di nuovo” e dell’imbarazzo di Yuriy.

-ci vediamo a pranzo.- aveva detto Kei, prima di uscire, chiudendo gentilmente la porta. Si sarebbero allenati tutto il giorno, ognuno per conto proprio…però avevano il pomeriggio libero. Questa libertà nasceva dal fatto che erano i più forti, lì dentro.

Yuriy comunque, aveva rischiato più d’un infarto in quei pochi istanti. Si sentiva gli occhi di Kei addosso e, nonostante quello del ragazzo dai capelli argentati fosse uno sguardo impassibile, sentiva chiaramente che lo scrutava…non poteva percepire quali fossero i suoi pensieri, non sapeva se in quegli istanti Kei pensava a cosa fare o se, più semplicemente, stesse ripensando a quella foto. Già, la foto. Yuriy aveva mentito…Kei aveva visto giusto…quel bambino gli assomigliava perché quello era lui da piccolo. Era una delle poche foto che Yuriy aveva di Kei…ed era perciò la cosa più preziosa che possedeva. La teneva in quell’armadio e spesso andava a guardarla…

-ho sbagliato tutto…dannazione…- mormorò Yuriy, stringendo forte i pugni e guardandosi le nocche che, a causa della forte stretta, erano diventate bianche…si era reso conto di aver detto qualcosa di troppo…e sperava sinceramente che Kei non se ne fosse accorto, anche se si rendeva conto che, dall’espressione che aveva assunto il viso dell’altro ragazzo dopo che lui ebbe finito di parlare, la sua speranza aveva già un piede nella fossa.

 

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Capitolo 3
*** Kei Hiwatari ***


Kei si era allenato tutto il giorno, certe volte con Yuriy, altre da solo

Kei si era allenato tutto il giorno, certe volte con Yuriy, altre da solo.. Erano le nove di sera, quando era uscito dalla doccia e si era disteso sul suo letto. Tuttavia, navigava ancora nel limbo del “chi diavolo era il ragazzo con cui aveva appena discusso”…

Era rimasto sconvolto…lo Yuriy Ivanov con cui aveva…“parlato”…l’anno prima, era un ragazzo freddo, dagli occhi gelidi e dai modi autoritari. L’unica cosa che accomunava lo Yuriy del torneo a quello che si era appena trovato di fronte, era l’incredibile bellezza. La perfezione dei lineamenti. Il fisico snello e asciutto. E poi quelle labbra…si ricordava molto bene il loro sapore…certe meraviglie non si dimenticano…! Tuttavia lo Yuriy col quale aveva dialogato pochi istanti prima era completamente diverso…gli sembrava così fragile…così docile…era come un cucciolo spaurito…

Era assolutamente improbabile che fosse cambiato in quel modo in un solo anno. Anche lui si rendeva conto d’aver compiuto un notevole cambiamento…ma in confronto a quello di Yuriy, il suo era nulla.

Ancora non sapeva se il nuovo Yuriy gli piaceva come quello vecchio o no. Doveva parlarci un po’ prima di riuscire a capire.

E poi…quella foto. La risposta di Yuriy non l’aveva convinto affatto. Quel bambino era lui…e quello accanto a lui era Yuriy da piccolo. L’aveva sconcertato vedere che si stavano abbracciando dolcemente…ed il loro visi erano così sereni e tranquilli, da far invidia ad una delle famiglie felici della pubblicità del dentifricio o dei cereali. La tipica famiglia formata dal padre, dalla madre e da due figli. Un maschio e una femmina, di solito. E tutti dannatamente sorridenti, superiori ai problemi del mondo. Superiori alle guerre che devastavano il mondo e alle persone che morivano di fame. Quella maledetta famiglia continuava a ridere, a mostrare quei dannati denti bianchi e perfetti e a piegare le labbra in un sorriso dolce e falso! A Kei sembrava quasi che lo prendessero in giro. Gli pareva che gli volesse dire “sei nato sfigato e morirai sfigato…noi invece ci amiamo e siamo felici!”.

…a che punto era arrivato…

…se la stava addirittura prendendo con le pubblicità!…

Certo, in questo momento, il grande e temuto Kei Hiwatari non era nel meglio della sua prestanza morale. La storia che lo legava a Rei da circa due anni, era finita da qualche settimana e ci stava ancora molto male…infondo, lui amava quel cinese. Ma Rei non aveva voluto sentire altre giustificazioni…

…non che non si fidasse di Kei…ma venire a sapere che doveva tornare in Russia subito dopo aver scoperto che ai Mondiali aveva avuto una relazione con Yuriy, non era stato un bel colpo. In verità, Yuriy l’aveva sempre spaventato. Rei era una vita che diceva che “prima o poi Kei sarebbe tornato da lui”. Ma Kei non aveva mai capito. Rei sapeva cose che Kei ignorava. Nessuna sapeva come diavolo facesse ad aver avuto quelle informazioni, ma lui era a conoscenza di…gran parte del passato di Kei. Ma non gliel’aveva mai voluto dire. Forse l’aveva fatto per codardia…perché, se gliel’avesse detto, Kei avrebbe saputo che il suo passato era…per dirla in una parola, Yuriy. O forse perché non voleva che Kei soffrisse. Probabilmente Rei non si era mai cimentato nel pensiero di “perché avesse tenuto nascosto il passato di Kei al ragazzo stesso”. La cosa, evidentemente, lo spaventava. Povero Rei…

Comunque, si erano lasciati. E Rei gli mancava…se ne rendeva conto nei momenti come quello che stava trascorrendo: Kei era solo, in camera sua, disteso sul letto, più nudo che vestito, con le braccia incrociate dietro la testa e guardava il soffitto. Forse non sentiva la sua mancanza perché davvero lo amava. Ma solo perché i suoi ritmi di vita erano cambiati…se fosse stato con Rei, ora, probabilmente, sarebbero assieme, sotto la doccia o stesi sul letto a fare l’amore…ed invece, da qualche settimana a questa parte, Kei l’amore lo doveva fare da solo…

Doveva, tuttavia, riconoscere che Rei non aveva tutti i torti quando gli confessava la sua inesauribile paura di Yuriy. Kei…si rendeva conto di sentirsi inesorabilmente legato a Yuriy. Aveva avuto questa sensazione quando l’aveva visto, quella notte, durante i Mondiali, nel monastero.

 

Quella, era una normale notte russa…faceva freddo, nevicava. Kei non riusciva a dormire ed era andato ad allenarsi nel Beyblade Stadium che li avrebbe ospitati ai Mondiali. Lanciava Black Dranzer alla perfezione, ormai. Lo controllava come se nulla fosse. Lo faceva combattere contro avversari immaginarsi e invisibili…e Black Dranzer obbediva. Girava con una forza impressionante ed era velocissimo…sterzava e cambiava direzione, frenava e bloccava il roteare per qualche istante per poi riprendere all’improvviso ed attaccare il nulla davanti a se. Tutto d’un tratto un altro beyblade si era aggiunto a quello di Kei, all’interno dello stadio…era Wolborg. E da quell’incontro, era cominciato tutto. Un saluto forzato, una sfida senza vincitori o perdenti, due parole di scherno e poi fredde lenzuola ad avvolgere i loro corpi caldi, sudati e nudi. E quelle lenzuola li avvolgevano tutte le notti….almeno finché lui, Kei, non tornò in Giappone, abbandonando Yuriy a se stesso. Naturalmente quella volta Yuriy aveva fatto finta di nulla, si era comportato come se non fosse successo niente. Aveva finto di considerare Kei alla pari di uno dei suoi innumerevoli amanti. Ma in realtà, era come se fosse morto dentro. E lentamente ma inesorabilmente, si era distrutto. Aveva frantumato ogni sua maschera: prima fra tutte, quella dell’arroganza. Kei invece era semplicemente tornato da Rei. Dal suo dolcissimo gatto cinese.

Poi uno schiaffo ad arrossare la gota destra di Kei, un litigio furioso e un “addio”. La storia con Rei era finita così com’era iniziata…era stato tutto improvviso e casuale.

 

Kei dovette ammettere che non udì nulla, quando qualcuno bussò alla porta: era così concentrato a riflettere che non notò neppure la testa viola che, aperta la porta, guardava dentro la stanza.

-Hiwatari…- aveva mormorato Boris, avvicinandosi al letto dov’era steso Kei. E Kei finalmente s’era riscosso dai suoi profondi pensieri. L’aveva guardato dal basso all’alto, poiché era disteso (non che sarebbe cambiato qualcosa se fosse stato in piedi…) e gli aveva chiesto cosa ci faceva in camera sua, dopo essersi informato circa il suo nome, che non ricordava proprio.

-perché sei tornato?- aveva chiesto. Lo sguardo che usava per osservare Kei era decisamente di sfida. O di fondata gelosia. Boris amava Yuriy. Lo amava davvero, sinceramente ed intensamente. Solo che non aveva mai saputo dimostrarglielo. Gliel’aveva detto, forse, ma il suo capitano aveva riso o comunque non l’aveva preso sul serio. L’aveva schernito dicendogli qualche amara frase come “che idiota…come si fa ad innamorarsi della propria puttana?”…e il cuore di Boris Huznestov era finito a pezzi come un vaso di cristallo. Ma mai e poi mai aveva pensato di cambiare i suoi modi. Non gli era mai venuto in mente di stare vicino a Yuriy, di aiutarlo nel beyblade come nella vita quotidiana, di baciarlo come si fa con la persona amata. Boris non era cattivo. Era solo troppo innamorato. E Kei Hiwatari gli era assolutamente d’intralcio. Sapeva che Yuriy ci teneva molto a Kei, molto più di quanto tenesse a lui…anche perché probabilmente per Yuriy lui non era molto di più di un perverso e violento cliente. Forse Boris era semplicemente geloso…ma non l’avrebbe ammesso neppure sotto tortura. Lui? Geloso di Kei Hiwatari?! Ma quando mai! E sì, povero Boris Huznestov…

-per il beyblade.- non era vero. A Kei non importava un emerito nulla di quel fottutissimo gioco. Suo nonno l’aveva chiamato in Russia e lui aveva pensato bene di accettare. Non sapeva neppure lui perché l’avesse fatto…

-oh, sì. Ne sono convintissimo. Per quello ti porti a letto il mio ragazzo?- chiese Boris, avvicinandosi ancora un poco a Kei, che inarcò un sopracciglio, assumendo un’espressione stupita…

Il russo-nipponico si alzò a sedere e guardò Boris. Lo sguardo che aveva, era chiaramente ironico…

-sei geloso…Huznestov?- a stento tratteneva le risate. Scorgere la gelosia in quel ragazzo alto e relativamente massiccio, con quegli occhi penetranti ora così furiosi, con i capelli lunghi di quel colore particolare…era diabolicamente esilarante. Quando, infine, Boris arrossì, Kei non riuscì più a trattenersi. E rise. Rise sguaiatamente, distendendosi nel letto e schiacciandosi le mani in pancia. Continuò a ridere anche quando entrò Yuriy. Boris avrebbe voluto picchiarlo. Avrebbe voluto prendere a calci e pugni Kei fino ad ucciderlo, fino a fargli sputare il suo stesso cuore. Ma non fece niente. Solo, si girò e vide Yuriy. Il nuovo arrivato, guardava Kei con un’espressione dolcissima dipinta sull’incantevole viso…aveva le labbra color pesca modellate in un sorriso appena accennato…le braccia incrociate, la testa leggermente inclinata…era affascinante nel suo essere affascinato. Dopo qualche attimo di apnea totale, Boris ricominciò a respirare. Di questo, in effetti, dovette ringraziare Kei, che smise di ridere e spezzò il silenzio, con la sua calda voce…

-Yuriy?- dopo aver pronunciato quel nome, Kei guardò Boris e ghignò, quando questo uscì dalla stanza quasi correndo..

 

Yuriy intanto, si era riscosso dai suoi pensieri e si era timidamente avvicinato a Kei.

-sì…la porta era aperta e così…ho deciso di entrare…- aveva guardato Kei con un’espressione quasi timorosa…un’espressione che non si addiceva proprio all’arrogante capitano dei Demolition Boys. Kei infatti, si era stupito e aveva osservato Yuriy con uno sguardo pressoché sconcertato…

-va bene… - aveva mormorato dopo qualche istante, stendendosi di nuovo nel letto -questa sera hai intenzione di dormire?- chiese Kei, incatenando il cremisi dei suoi occhi all’azzurro di quelli di Yuriy…

Il russo sussultò e poi abbassò leggermente lo sguardo…

-non dipende da me…- aveva detto con tono desolato.

-e da chi?- Kei avrebbe sicuramente potuto fare qualcosa.

-l’hai visto anche tu, ieri notte, Kei…- era Borkov, allora. Beh, pensandoci, era piuttosto evidente. Kei quindi si alzò in piedi e indossò una camicia.

-dove vai?- aveva domandato Yuriy…Kei non rispose nulla, se non un debole “non muoverti da qui”. Poi uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Yuriy si sedette sul letto e rifletté…

Sicuramente Kei voleva andare da Borkov per dirgli di lasciarlo in pace. Ma perché lo faceva? Per se stesso, perché voleva dormire, o per lui? E poi…cosa ci faceva Boris in camera di Kei? E perché Kei rideva così di gusto, dinnanzi all’espressione rabbiosa di Boris? Yuriy non capiva.

Quando Kei entrò in camera, sbatté la porta e Yuriy trasalì. Poi alzò gli occhi, incrociando quelli di Kei, che erano dello stesso colore della lava fusa.

-quel maledetto…ha detto che non può fare niente prima di domani, in quando Borkov allena mocciosi fino ad ore impossibili!- era chiaro che Kei aveva parlato con suo nonno. Dopo queste parole, si era di nuovo tolto la camicia e i pantaloni e si era buttato sul letto.

-non…importa…se non vuoi sentire rumore, pregherò Borkov di portarmi nella sua stanza…- Kei sembrò pensarci su un attimo, poi parlò…

-perché lo fai?- l’intonazione tranquilla, le braccia incrociate dietro la testa…

-…cosa?- Yuriy invece, cominciava a distruggersi le ginocchia, a forza di piantarvi le unghie…

-perché ti lasci violentare da lui?- calmo. Sincero. Schietto. Yuriy non era sicuro di volergli rispondere, ma poi si arrese…tanto prima o poi, avrebbe capito che lui non era nulla di più di un ragazzino debole e disarmato…

-non posso oppormi, Kei…non sono abbastanza potente per poterlo fare…l’unica mia arma, sta nella speranza che un giorno si stuferà di me…- Yuriy sorrise amaramente e Kei annuì…

-stasera dormi qua.- aveva detto poi Kei, usando il suo solito timbro di voce autoritario, un tono che non ammetteva obiezione alcuna. Yuriy trasalì nuovamente. Aveva sentito bene? Kei gli stava chiedendo di rimanere a dormire da lui? No, glielo stava proprio ordinando. A quale scopo lo faceva? Yuriy si sarebbe lasciato fare qualsiasi cosa da Kei. Ma Kei…lo sapeva? No, probabilmente no. O forse sì? Magari voleva servirsene trattandolo come un oggetto erotico, ora che sapeva che era abituato ad essere usato…e che gli avrebbe fatto più che piacere se Kei avesse abusato di lui.

Kei inarcò un sopracciglio, in attesa di una risposta…

-ma non ci sono due letti qui…- mormorò Yuriy. Era come se stesse cercando una banale giustificazione per declinare l’invito…come se cercasse di proposito una scusa stupida…un qualcosa a cui si potesse ovviare…e farlo in fretta…così sarebbe stato “costretto” a dormire con lui. Non era di certo la prima volta che dormiva con Kei ma…quando dormivano assieme, era perché erano troppo sfiniti, grazie alle loro passionali pratiche sessuali, per tornare nella propria camera. Questa volta, in teoria, sarebbe stato diverso.

Kei si spostò un po’, mettendosi sotto le coperte e lasciando uno spazio libero nel letto.

-muoviti, ho voglia di dormire.- aveva detto. Anche questa volta, il suo tono di voce non ammetteva contestazioni. Yuriy in quel momento si sentiva come una vittima della figura mitologica chiamata Medusa. Si sentiva pietrificato, in pratica. Non osava ribattere, non sapeva nemmeno come accettare. Kei aveva tirato in parte le coperte nella parte di letto che avrebbe dovuto occupare Yuriy. Lo stava aspettando. E, dall’espressione che aveva, era anche piuttosto seccato dal tentennamento di Yuriy. Il russo sapeva che Kei odiava le persone indecise. Dopo un po’, Yuriy si mosse, mormorando qualcosa tipo “vado a prendere la veste da notte…”.

Non appena entrò nella propria camera, Yuriy si sedette sul letto e si concentrò, con l’unico scopo di calmarsi. Aveva il cuore che batteva fortissimo…sembrava superasse i duemila battiti al secondo. Decise che in quelle condizioni, non sarebbe mai riuscito a dormire, così si spogliò e si rinchiuse nella cabina doccia, lasciando che l’acqua gelida lo lambisse ovunque con intensità costante. Quando, pochi istanti dopo, uscì dalla doccia, si asciugò, lasciando i capelli umidi per evitare di perdere ulteriormente tempo. Poi si mise un paio di slip e una vestaglietta rossa pulita, che gli arrivava fin sopra il ginocchio. Infine, tornò da Kei…

-eccomi…- sussurrò. Kei, che prima aveva gli occhi chiusi, alzò lo sguardo e lo scrutò. Non disse nulla, si limitò ad annuire. Yuriy si avvicinò e si distese accanto a Kei. Sentiva chiaramente il profumo del ragazzo. Era lo stesso dell’ultima volta in cui l’aveva incontrato, mischiato però a qualcosa di nuovo. Tutto si fece più chiaro quando, circa mezz’ora dopo, Kei si alzò e aprì la finestra, accendendosi una sigaretta. Kei fumava, era quello il nuovo odore che sentiva.

-non sapevo fumassi…- aveva sussurrato Yuriy.

-e io pensavo dormissi.- rispose Kei, sedendosi sul davanzale e guardando la neve scendere su Mosca. Yuriy abbassò un po’ lo sguardo e poi tornò a guardare Kei. Si tirò la coperta fino sotto il mento e si scrollò un pochino per il freddo…

Kei finì la sigaretta e la gettò dalla finestra, che chiuse velocemente, tornando a stendersi accanto a Yuriy. Dopo qualche momento di silenzio assoluto, approfittando del quale Yuriy si deliziava ascoltando il respiro regolare di Kei, Ivanov decise di spezzare quell’attimo tranquillo che per lui era oltremodo romantico…

-Kei…- sussurrò, girandosi su un fianco e guardando Kei, che rispose mugugnando…

-tu…ti ricordi di me solo perché ho condotto una buona battaglia contro Takao?- chiese Yuriy. Dal tono che usava, sembrava stesse chiedendo la cosa più naturale del mondo. In realtà però, il russo sentiva ogni cosa tremare, dentro di lui. Era agitatissimo, si stava dilaniando le mani e fissava Kei con uno sguardo preoccupato, sperando che il buio lo proteggesse. Per giunta, Kei attese qualche minuto prima di dare la sua risposta, lasciando Yuriy ai suoi fremiti…

-no. Dormi, adesso.- aveva concluso la discussione. Yuriy a questo punto, non poté fare altro che sostituire l’espressione meravigliata creata dalla risposta di Kei, con una straordinariamente dolce…

 

 

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Capitolo 4
*** Yuriy Ivanov ***


Quando Kei si svegliò, non poté non sorprendersi notando come l’altro russo gli si era avvinghiato addosso

Quando Kei si svegliò, non poté non sorprendersi notando come l’altro russo gli si era avvinghiato addosso. Era quasi spasmodico il modo con cui lo stringeva. Così, in silenzio e immobile, attese che anche Yuriy si svegliasse.

Quando quest’ultimo aprì gli occhi e li sfregò, tentando di scacciare l’opacità che essi avevano dopo qualche ora di sonno, scoprì che il corpo che l’aveva scaldato tutta la notte e da cui derivava quel sorprendente senso di protezione, era di Kei. Arrossì dolcemente, prima di staccarsi da lui con riguardo e scusarsi.

-non importa.- aveva sussurrato Kei, stiracchiandosi e alzandosi. Andò a vestirsi e Yuriy non gli staccò gli occhi di dosso neanche un picosecondo. Gli sembrava fosse naturale dormire con Kei. Era come se dormissero assieme da secoli. Eppure non era così…

Tra l’altro, non poteva impedire alle parole che Kei aveva proferito il giorno prima, di vorticargli velocemente in testa. Gli aveva detto che si ricordava di lui. Che il beyblade non centrava. Beh…non gliel’aveva detto. Però gliel’aveva fatto capire!

Yuriy si alzò in piedi e chiese a Kei una spazzola, cominciando quindi a pettinarsi. Si sentì orgoglioso quando notò che i capelli avevano smesso di stargli in quel modo assurdo. Ora gli stavano giù. Erano ordinati. Gli sfioravano il collo con sensualità, erano morbidi e lucenti. Yuriy sorrise, spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

-se vai in giro così- aveva mormorato Kei, distraendolo -non puoi lamentarti se Borkov si approfitta di te.- il russo abbassò lentamente gli occhi, accarezzando con lo sguardo la sua figura riflessa allo specchio. Sgranò un poco gli occhi e arrossì, cercando di non farsi vedere da Kei. Quest’ultimo si era posizionato dietro di lui e, prima che Yuriy se ne accorgesse, l’aveva stretto a se, facendo combaciare la schiena del ragazzo e il proprio petto. Yuriy non capì più nulla. Non seppe il perché fino al 25 Dicembre. Tacque per tre giorni, in poche parole. Non l’aveva evitato, anzi, s’era comportato come sempre. Ma questo non era utile per una persona che apriva bocca raramente, come Kei. Kei odiava parlare, si sapeva. Però in quel momento, pensava Yuriy, poteva degnarsi di spiegargli quel gesto. Non era curioso, Yuriy. Solo che sentiva il bisogno di sapere tutto…sapeva bene che il suo cervello stava creando bellissime illusioni. Si stava illudendo che Kei lo amasse. E, sinceramente, desiderava che queste illusioni sparissero. Anche perché non sapeva se stare bene o male…il suo umore non era ne carne ne pesce. Il fatto che Borkov non si vedesse più da quelle parti lo rasserenava, così come lo confortava l’accuratezza con la quale i monaci lo evitavano. Non lo prendevano più in giro, non lo chiamavano più “puttana”, non approfittavano più del suo corpo dilaniato ma perfetto. La sua pelle sarebbe stata diafana, se Boris non avesse provveduto a picchiarlo e violentarlo. Era Huznestov, ormai, l’unico che si preoccupava di farlo tornare serio e triste. A Yuriy pareva che la rabbia con la quale Boris lo seviziava fosse addirittura aumentata da quando l’aveva visto in camera con Kei.

 

Ma tutto finì il 25 Dicembre. Quello fu l’ultimo giorno in cui vide Boris Huznestov. O meglio, fu l’ultima volta in cui lo vide in carne ed ossa. Sì, perché qualche mese dopo, sfogliando il giornale, notò il suo vecchio compagno di squadra nella pagina dedicata alle necrologie. Una vecchia foto in bianco e nero, un annuncio squallido e non sentito. Una frase fatta. Il giorno in cui si sarebbe svolto il funerale. Yuriy non partecipò alla cerimonia, ne seppe mai come morì Boris. Forse si suicidò. Forse morì di cancro o d’infarto. Forse venne ucciso. A Yuriy non importava, quindi non s’informò sulle cause del decesso. Pensò che solo era meglio così. Aveva smesso di soffrire.

 

Tornando al presente, arrivò velocemente Natale. La messa quel giorno era stata lunga e noiosa. Come ogni anno, si era svolta in una grande cattedrale, nel mezzo della Mosca comunista tanto amata quanto odiata. Yuriy era seduto nelle ultime file, assieme ad altri bambini provenienti dal monastero della Borg. Accanto a lui c’era Boris che, di tanto in tanto, gli accarezzava possessivamente una gamba. Kei era in piedi, nascosto da una moltitudine di persone. Hito Hiwatari non c’erano. Ad accompagnarli li erano stati i monaci, non Borkov come gli anni precedenti. Nessuno sembrava più fare caso all’improvvisa scomparsa di Vladimir.

 

Yuriy, appena finita la cerimonia, uscì dalla cattedrale. Non sopportava l’odore d’incenso che gli impregnava gli abiti da festa. Gli veniva da vomitare quando questo gli sfiorava le narici. Lo odiava. Odiava anche l’assurda minuzia con la quale di vestiva e si pettinava a Natale. Se non lo faceva, veniva picchiato.

Fuori trovò Kei. La neve cadeva dal cielo sottoforma di morbidi batuffoli, imperlando i neri cappotti della gente che passeggiava davanti alla chiesa, attraversando la grande e luminosa piazza. La bellezza quasi irreale di Kei, poi, contribuiva a far sembrare quella scena uno spezzone tratto da un vecchio film. Il ragazzo se ne stava in piedi davanti alla cattedrale e teneva le mani nelle tasche del cappotto. Aveva la testa rivolta verso l’alto e lasciava che la neve si posasse sul suo viso, sciogliendosi poi per il calore che esso nascondeva. Forse anche la neve veniva ingannata dall’apparente freddezza del corpo di Kei…la sua carnagione era chiara a tal punto da sembrare ghiaccio. Era eterea come quella d’un dio. Eppure scottava. Il fuoco che nascondeva bruciava quanto l’Inferno.  

Yuriy si avvicinò al ragazzo e si mise accanto a lui, osservando la neve, proprio come stava facendo Kei. In quel momento, Yuriy si rese conto di saper amare. Si rese conto che quello che Borkov gli diceva non erano altro che sciocchezze dettate dall’odio e dalla repulsione verso ogni altra forma vita. Quel vecchio monaco non aveva mai capito cosa fosse l’amore e si divertiva a far credere ai giovani che quel sentimento non fosse altro che una favola per ragazzini ingenui. Pensandoci ora, mentre la neve giocava con il suo corpo, a Yuriy, Borkov faceva pena.

Kei invece non provava niente, oltre alla soddisfazione, quando ripensava alla fine che aveva fatto Vladimir per mano sua. Non era stato difficile convincere suo nonno. Era bastato riempirgli la testa di bugie, digli che senza Borkov la conquista del mondo sarebbe stata più semplice. Se non aveva complici, gli aveva assicurato Kei, non avrebbe dovuto sendere conto a nessuno delle sue azioni. Se il mondo era solo suo, poteva uccidere tutti gli abitanti. Oppure poteva renderli suo schiavi. O poteva lasciare tutto così com’era. Se invece aveva un socio, tutto questo avrebbe dovuto essere diviso con questo. Il mondo non sarebbe stato suo, ma loro. Gli aveva ripetuto questo un paio di volte, usando un linguaggio e un tono di voce convincente ed il caro nonnino c’era cascato in pieno. Borkov, il giorno dopo, a mezzogiorno, era scomparso. E Yuriy era libero. Era libero di vivere e di essere suo. Non sapeva neanche quando s’era innamorato di quel ragazzo…sapeva soltanto che Rei aveva ragione. Kei Hiwatari, alla fine di tutto, era tornato da Yuriy Ivanov. Era giusto così.

 

-è bello…quando si posa sulle labbra…non trovi?- domandò Kei. Il russo-nipponico era rinchiuso in uno stato di semi-trans. L’aurea che l’avvolgeva, era tiepida e piacevole, segno che il ragazzo stava davvero bene in quel momento. Yuriy annuì e mormorò un debole “sì”…anche lui era rilassato. Quella situazione piaceva ad entrambi. Sembravano non notare le altre persone. Anzi, non le notavano davvero. Per Kei e Yuriy quella gente non esisteva. Esistevano solo loro e la neve. Era come se il mondo finisse ad un millimetro da loro e la neve, che scendeva da un cielo troppo bianco per essere reale, fosse il frutto dell’immaginazione di entrambi. Forse era il caso di dire che nessuno dei due capiva bene a cosa stava pensando. Eppure era certo di sapere a cosa pensava l’altro. Infatti quando la mano di Yuriy sfiorò quella di Kei, scoprì che quest’ultima s’era già mossa con la sua stessa intenzione. Le dita si intrecciarono e Kei e Yuriy rimasero a fissare la neve, come se non se ne fossero accorti. Non si accorsero nemmeno del ragazzo che usciva dalla cattedrale, quello con quello strano colore di capelli, quando s’avviarono verso il centro della piazza per venire poi nascosti dall’improvviso infittirsi complice della neve, che permise ai due di fuggire da quel luogo ostile, mano nella mano.

Innamorati e silenziosi.

 

-FINE-

 

Buonaseeeera! Spero vivamente che vi sia piaciuta T-T Come sempre il finale lascia un po’ a desiderare ma il resto non mi pare sia eccessivamente brutta…mah…no, fa schifo Y-Y comunque nè la canzone nè i personaggi sono miei. La canzone è di Simon&Garfunkel e i personaggi sono di Takao Aoki…io li torturo senza ricavare niente di niente U-U

Comunque scusate se non c’ho messo la scena lemon °_°|||

Dedico questa fanfic alle persone che hanno letto le altre fanfic che ho scritto e hanno pianto, riso o sono state serie. La dedico anche a tutti quelli che commentano sempre le fanfic che leggono perché donano un pezzetto di felicità all’autore. La dedico, a tutti quelli che mi vogliono bene, a quelli che mi odiano e a quelli a cui sono completamente indifferente. Infine la dedico a Gilles de Rais e a Yukina di Orione (che però non leggerà mai questa fanfic xchè non apprezza le KeiXYuriy/YuriyXKei) che è da più o meno 10 minuti che aspettano una risposta agli sms che mi hanno mandato! ^^’

Vi invito come sempre a commentare!

Ni-hao!
Arles

 

P.S. Vi metto il testo x intero e la traduzione della canzone “The Sound of Silence”:

 

Testo:

Hello darkness, my old friend
I've come to talk with you again
Because a vision softly creeping
Left its seeds while I was sleeping
And the vision that was planted in my brain
Still remains
Within the sound of silence

In restless dreams I walked alone
Narrow streets of cobblestone
'Neath the halo of a street lamp
I turned my collar to the cold and damp
When my eyes were stabbed by the flash of a neon light
That split the night
And touched the sound of silence

And in the naked light I saw
Ten thousand people, maybe more
People talking without speaking
People hearing without listening
People writing songs that voices never share
And no one dared
Disturb the sound of silence

"Fools", said I, "You do not know
Silence like a cancer grows
Hear my words that I might teach you
Take my arms that I might reach you"
But my words, like silent raindrops fell
And echoed
In the wells of silence

And the people bowed and prayed
To the neon god they made
And the sign flashed out its warning
In the words that it was forming
And the sign said, "The words of the prophets are written on the subway walls
And tenement halls"
And whispered in the sounds of silence

 

Traduzione:

Salve oscurità, mia vecchia amica
ho ripreso a parlarti ancora
perchè una visione che fa dolcemente rabbrividire
ha lasciato in me i suoi semi mentre dormivo
e la visione che è stata piantata nel mio cervello
ancora persiste
nel suono del silenzio

Nei sogni agitati io camminavo solo
attraverso strade strette e ciottolose
nell'alone della luce dei lampioni
sollevando il bavero contro il freddo e l'umidità
quando i miei occhi furono colpiti dal flash di una luce al neon
che attraversò la notte
e toccò il suono del silenzio


E nella luce pura vidi
migliaia di persone, o forse più
persone che parlavano senza emettere suoni
persone che ascoltavano senza udire
persone che scrivevano canzoni che le voci non avrebbero mai cantato
e nessuno osava
disturbare il suono del silenzio


"Stupidi" io dissi, "voi non sapete
che il silenzio cresce come un cancro
ascoltate le mie parole che io posso insegnarvi,
aggrappatevi alle mie braccia che io posso raggiungervi"
Ma le mie parole caddero come gocce di pioggia,
e riecheggiarono
nei pozzi del silenzio

e la gente si inchinava e pregava
al Dio neon che avevano creato.
e l'insegna proiettò il suo avvertimento,
tra le parole che stava delineando.
e l'insegna disse "le parole dei profeti
sono scritte sui muri delle metropolitane
e sui muri delle case popolari."
E sussurrò nel suono del silenzio

 

 

 

 

 

 

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