Separate with comma.

di betheone
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sono stata la seconda delusione. ***
Capitolo 2: *** Svanire nel nulla o restare? ***
Capitolo 3: *** Ditemi che è solo un incubo, che andrà tutto bene. ***



Capitolo 1
*** Sono stata la seconda delusione. ***


“Separate with comma”

 

 
Ripresi a camminare con impeto, accompagnata da mio padre. Sguardo basso, mani in tasca. Dalla mia bocca usciva solo del vapore, che si ricongiungeva all’aria. L’uomo affianco a me mi stringeva il braccio, facendomi camminare scomodamente. Attraversammo la stradina che ci separava dall’auto nera, della quale si accesero le luci. Mi sedetti velocemente nei sedili posteriori, allacciandomi la cintura. Lo sguardo di mio padre era fisso su di me e tentavo di evitarlo guardando la nebbia che si poggiava sul finestrino.

«Non lo rivedrai più, chiaro?» quelle parole, ripetute più volte da quella voce, “animarono” per tutto il tempo quel viaggio. Parole che cercavo di ignorare, ma il loro suono si faceva più forte nella mia mente.
Dopo un quarto d’ora di viaggio arrivammo davanti ad una piccola villa, casa mia. Attraversai il giardino, non più verde, con davanti mio padre. Suonò il campanello e ci aprì una signora anziana, ma molto spigliata. L’uomo dai capelli chiari si diresse in cucina e mia nonna non capiva cosa fosse successe. Le domande che volevo evitare le fece proprio a me, seguendomi nella mia piccola camera.

«Hope, tesoro, cos’è successo?» mi chiese, poggiando appoggiando le mani stanche sulla porta, per poi chiuderla. Si sedette di fianco a me, prendendo le mie mani fredde. Presi fiato e iniziai, anzi cercai di parlare. «Nonna, io» dissi, deglutendo. Lei mi invogliò a continuare, poggiandomi una mano sulla spalla. «Aspetto un bambino» continuai singhiozzando. Dopo quelle parole, caddi nelle sue braccia. Mi accarezzava i capelli, senza dire niente. Dopo poco si alzò, andando verso la porta. «Tra poco è pronto da mangiare, se ti va scendi» disse, con tono secco. Era la sua seconda delusione. Prima sua figlia e ora sua nipote. -Perché mia mamma era una delusione? Perché aveva avuto me, a sedici anni. Ma la cosa è riaccaduta nuovamente con me.-

Mi accucciai sulla piccola poltroncina accanto alla finestra, ricoprendomi con una coperta che mi pungeva la pelle. Ripensai al momento del test, della delusione che comparve sul volto del mio eroe, mio padre. Ma il mio pensiero si posò su un punto fisso: il padre di mio figlio. Mi scappò un “sorriso” pieno di rancore, che si tramutò in un sorriso pieno di incertezze. Le domande vennero interrotte dalle urla di mio padre, che era al piano di sotto. Mi tolsi la coperta, facendola scivolare sul pavimento. Aprì la porta e mi sedetti sul penultimo gradino più alto. Vedevo mia nonna seduta sul bancone della cucina, con le lacrime agli occhi e mio padre che gesticolava gridandole contro. Quelle frasi dovevo subirmelo io, ma ero troppo spaventata dal suo modo di fare, per avvicinarmi.
«Mia figlia è diventata una troia» pronunciò. Rimasi impassibile di fronte a quelle parole. Nei miei pugni chiusi trattenevo la rabbia, che tra un po’ non sarei più riuscita a contenere. «Ecco perché se ne andrà via da Londra, andrà via di qui» affermò, sedendosi.

«Via di qui?» balbettai.
 

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Capitolo 2
*** Svanire nel nulla o restare? ***




Il loro sguardo rivolto verso il vuoto, si pose sui miei occhi azzurri, che annegavano nelle lacrime. «Andrai a stare da tua zia» disse mio padre, fissando il tavolo e ingoiando un boccone di pasta. Non riuscivo a capire, la mia testa si stava “surriscaldando”. Come poteva farmi questo, perché non mi stava aiutando, invece di allontanarmi da lui. Guardai mia nonna, che non capiva affatto ciò che provavo. «Prepara le tue cose, domani sera parti» disse, pulendosi la bocca con un tovagliolo e poi lo appoggiò sul tavolo guardandomi.

Mi toccai il ventre, coperto da una felpa. «E’ tutto ciò che hai sempre desiderato vero? Sbarazzarti della mamma, di me e ora di tuo nipote» risposi acida. Si alzò con l’intento di tirarmi uno schiaffo, ma la donna di fronte a lui lo fermò. Si girò verso di me, facendomi cenno con il capo di andare in camera mia.

Andai al piano di sopra, dove un’altra rampa di scale mi separava dalla terrazza. Salì con fatica quelle poche scale buie e appena sentì il vento sulla mia pelle, capì di essere arrivata. Non c’erano molte stelle, ma mi sedetti sulla sediolina per osservare il cielo. “Lo sapevo, non avrei dovuto farlo” pensai. Abbassai lo sguardo verso la mia pancia, iniziandola a toccare. Era qualcosa di inspiegabile, surreale. Qualcosa di così piccolo e innocente si stava sviluppando dentro me.

Ma un pensiero, un unico pensiero persisteva nella mia mente: il padre. Cos’avrei dovuto fare? Non farmi più sentire, svanire come il fumo? Non sapevo come fare per far tacere quella domanda.

Sentì la porta scricchiolare e subito dopo aprirsi. Mi voltai per capire chi fosse, poi vidi degli occhi azzurri e dei capelli castani, scompigliati.  «Hope» disse lui. Tirai un sospiro di sollievo, per poi sprofondare tre le sue braccia. «Ho saputo» continuò lui, accarezzandomi i capelli. Mi staccai dal suo collo, guardandolo, con un’espressione in cerca di risposte. «Papà, mi ha raccontato ciò che è successo» affermò, guardandomi immobile.

Mi voltai, sporgendomi dalla terrazza. «Hai intenzione di dirlo a Niall?» disse, fissando il palazzo davanti a noi. Lo scrutai, per poi rispondergli.

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Capitolo 3
*** Ditemi che è solo un incubo, che andrà tutto bene. ***




«Louis, no. Non glielo dico» conclusi. Appoggiandomi al bordo che mi separava dalla strada. «Forse la gravidanza ti sta dando alla testa» disse, guardandomi perplesso. Gli diedi una piccola spinta.

Era la mia decisione, mio fratello non doveva intromettersi. La mia vita, le mie scelte. «Fai quello che ritieni giusto, okay?» continuò lui, per poi avvolgermi con un abbraccio.
Ritornammo al piano inferiore, con l’intento di andare a dormire, ma le semplici parole di mio padre mi fecero rabbrividire: «Prepara le valigie e sbrigati» disse secco. Non lo guardai nemmeno, pensai solo a trovare un borsone e a sistemare le mie cose.

Controllai il cellulare, tre messaggi. Li lasciai perdere, sarà stata la pubblicità. Riempì la borsa di tutto ciò di cui avevo bisogno. Notai Louis appoggiato alla mia porta. «Ti serve aiuto?» mi chiese guardandomi. Accennai un no con il capo, continuando a sistemare.

Si avvicinò a me e mi porse una collanina. «E’ quella della» dissi, ma venni fermata dalla voce di mio fratello. «Si, era di mamma» continuò lui. La presi e la misi nella borsa e mi voltai verso di lui. «Fai la brava a Wolverhampton» disse lui, facendo un sorriso. «Si, e tu qui con Christine» lo guardai seria, per poi ridere. Lo abbracciai di nuovo. Era un rompiscatole, a volte presuntuoso, ma nessuno era come lui. L’abbraccio si sciolse e tutti e due andammo a dormire.

-Dormire. Come potevo dormire? Domani avrei lasciato tutto, la mia vita sarebbe ricominciata in un’altra città. Non potevo stare tranquilla.-

Rimasi a pensare fino alle tre del mattino, pensando che fosse tutto uno scherzo, un sogno più che altro. Ma la luce del giorno mi fece capire che era semplicemente un incubo.

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