Siamo nati per morire sulle stelle.

di Taraxacum
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Daphne. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. ***



Capitolo 1
*** Daphne. ***


Quella notte Daphne attorcigliava i suoi lunghi capelli in una treccia confusa e storta, sotto le luminose luci dello specchio.
I suoi occhi lucenti risplendevano come due diamanti e le sue mani tremavano. C’era un motivo perché la sua pelle era fredda e perché il suo cuore batteva forte.
L’indomani, Max aveva un appuntamento con Daphne che, essendo la primissima volta che lei usciva con qualcuno dopo ben quattordici anni, era più che anormale.
Proprio così, da quando era nata, Daphne non aveva amici. Viveva contorta da musica, libri, fogli vuoti e penne biro nuovissime.
Il suo sfogo era ascoltare musica, leggere, scrivere storie e intrecciare i suoi lunghissimi capelli.
Si sentiva libera ogni volta che infilava un paio di cuffie, apriva un libro, impugnava una penna o divideva le ciocche. Era come se liberasse i polmoni dall’aria inquinata che respirava dall’alba.
Eppure quella notte aveva voglia solo di pettinare la sua chioma bionda, ed osservare i capelli muoversi così velocemente da distrarla dai suoi problemi.
Non pensava più al giorno seguente, alle complicazioni che sarebbero potute capitare o persino a quante volte la sua treccia si sarebbe disfatta e sciolta. E Daphne odiava i capelli spogli, senza alcun treccia o coda.
Dunque, dopo aver finito la sua acconciatura, prese il foglio bianco e incominciò a scrivere:
“Carissimo Diario,
se un amico per me. È la prima volta che scrivo un diario, ma questa volta ne ho davvero bisogno. Domani ho un appuntamento con Max, il ragazzo per cui ho una cotta, ed ho davvero paura. Poco fa, mentre mi facevo una treccia, avevo dissolto il problema e avevo continuato a pettinare, ma poi, al termine, mi sono catapultata davanti ad una nube nera fatta solo di incomprensioni e dubbi.
E se Max non mi amasse? Se fosse tutta una finzione? È il mio primo amico, ho quattordici anni e non ho mai avuto amici.
Mia madre lavora sempre, il mio papà si è trasferito con la nuova compagna e sono figlia unica, quindi non saprei con chi stare.
Viviamo di uno stipendio, ma ci basta.
Non vogliamo nessuna ricchezza, o per lo meno io.
Ho solo bisogno di amici, infondo chi trova un amico trova un tesoro, no?
Perciò, spero che quest’anno, elimini la mia timidezza, scombri la mia mente dai libri scolastici e mi dedichi agli amici. I libri non possono essere gli unici amici della tua vita.
Perciò mi farò avanti, e… sorriderò nuovamente.
Domani ti faccio sapere su Max.

         Daphne.”

 
 
 Dopo aver nascosto il foglio sotto il letto, in una scatola bianca piena di fotografie e altri fogli, chiuse la finestra che teneva aperta e s’infilò nelle coperte.
 
Il giorno successivo, Daphne si svegliò di buon umore.
I raggi del sole filtravano nelle tende, e sfioravano il candido viso della ragazza.
«Buongiorno mondo!» si sussurrò, mentre alzava le tapparelle e ficcava le pantofole nei piedi.
Scese le scale di corsa, non appena guardò di sfuggita l’orologio che segnava le
sette e quaranta.
Quella mattina doveva andare di corsa a scuola come tutte le mattine e, anche se Daphne non aveva intenzione di vedere quelle facce da bulli o da galline, era obbligata.
Ma quel giorno era diverso: la madre era già al lavoro, lo skate era sempre nello stesso posto,  lei era pronta e aveva una tremenda voglia di saltare la scuola.
Ma per infrangere una regola, doveva prima accertarsi che nessuno la vedesse e che Max tenesse il segreto.
E proprio mentre stava afferrando lo skateboard per correre per qualche pista o per qualche marciapiede, si bloccò davanti alla porta. Pietrificata affermò:
«Non posso farlo. Al limite andrò in skate.» e così fece.
Attraversò la grande città a bordo della sua “piattaforma mobile” e quando arrivò tutto ciò che temeva si esaudì.
Le ragazze popolari ridacchiavano di lei, i ragazzi punk erano sbalorditi e Max, infondo al cortile, vicino al portone, le sorrideva dolcemente.
Con tutto il coraggio del mondo, Daphne si avvicinò a lui, e Max si sciolse dal gruppo.
«Allora stasera usciamo?» domandò Max, sistemandosi l’uniforme.
«Certo, ma perché ridono?» il cuore di Daphne batteva sempre più forte.
«Tu sei Daphne, quella che vive di libri, vederti a bordo di uno skate è stato sbalorditivo!» rise un po’ Max, non rendendosi conto che Daphne era tornata spaventata e triste.
«Oh.» sussurrò infine Daphne, con lo skate ancora chiuso tra le braccia, mentre teneva lo sguardo fisso a guardare il basso.
La campanella suonò e per Daphne iniziò un altro dei suoi incubi: stare vicino a Deborah, la sua peggior nemica.


SPAZIO AUTRICE:
È la mia prima storia, spero vi appassioni.
Baci, me.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


La mattinata passò rapida, perché Daphne era intenta a pensare a quel pomeriggio e a Max, e anche se l’uscita di scuola fu un incubo, riuscì a salvarsi e a salire nuovamente a bordo del suo amatissimo skate che possedeva da ben quattro anni.
Tutto era nato da una cantante, Avril Lavigne, che iniziò la sua carriera anch’essa a bordo di uno skate.
Daphne era molto legata a lei, nella sua scatola c’erano alcuni poster che lei alcune notti stringeva forti a se.
Concentrata, diede un calcio al suolo e andò sempre più rapida, perché la rabbia la stava assalendo e la sua treccia si stava slacciando.
Arrivò a casa, lanciò lo skate all’ingresso e tornò a fissarsi allo specchio, come ogni pomeriggio.
I suoi occhi verdi brillavano, la lacrime iniziavano a scorrere per il suo viso e con una mano accarezzò la sua immagine riflessa nello specchio.
«Daphne, è pronto il pranzo.» strillò dal piano di sotto la madre.
La ragazza però sembrava non voler ascoltare, immobile, pietrificata, piangeva e fissava gli iridi che luccicavano.
I capelli strappati erano fragili, la sua pelle era nuovamente fredda e aveva ricominciato a tremare come la notte precedente.
«Daphne!» gridò una seconda volta la madre.
Ma lei voleva non ascoltare, dimenticare tutto e tutti. Stare sola, isolata. Sentirsi uguale agli altri, non diversa.
Era dell’intenzione di prendere gli auricolari e sentirsi libera, ma proprio in quel momento la madre salì.
«Daphne. Che ti prende?» le sussurrò.
«Mamma, lasciami sola.» disse, mentre asciugava le lacrime.
«È pronto il pranzo, quando vuoi vieni. Io vado al lavoro.» e chiuse la porta alle sue spalle.
In quella casa, regnava il silenzio; e dopo due minuti si udì il portone chiudersi e il motore della macchina accendersi.
Daphne era stanca, totalmente stufa della sua vita. Aveva vissuto già troppe volte queste scena, troppe volte era stata presa in giro, troppe volte aveva pianto ma mai aveva scaraventato i cuscini a terra.
Prese il vaso di fiori e lo lanciò nel pavimento, spargendo scintillanti e pungenti cocci di vetro per la moquette e acqua da tutte le parti.
La sua camera era disordinata ora, ricoperta di verto, acqua, cuscini e piume.
Non aveva mai fatto tutto quel caos in tutta la sua vita, eppure quella volta si sentiva ribelle, diversa.
«Perché devo essere sempre diversa?» disse sottovoce mentre stringeva forte la coperta.
«Perché?» urlò infine, mentre buttò il piumino sul suolo, come un segno di sfogo. Poi uscì dalla stanza e mangiò qualcosa.
Dopo aver pranzato, si lavò il viso per liberarsi dalle troppe lacrime versate ed evitò lo specchio.
Si ricordò dell’appuntamento, e anche se non ne aveva più voglia, s’imbatté di fronte all’armadio in cerca di qualcosa da mettere.
Cosa avrebbe potuto indossare? Di certo non un pantalone largo, ma nemmeno una gonna perché non ne aveva proprio. Perciò prese il paio di jeans, una maglia con una stampa viola, lavò i denti, intrecciò i capelli e nel mentre si liberò dai dubbi e dalle tristezze.
Essendo le quattro, aveva ancora un ora da usare, e la utilizzò per ascoltare la donna che la sentiva da dentro.
Si stese sul letto, a fissare il soffitto, infilò le cuffie ed ascolto “How Does It Feel”.
Non pianse, anche se voleva. Strinse solo i pugni e di seguito ad aver ascoltato almeno dieci volte la stessa canzone, si alzò e mise in ordine. Non voleva che la madre le facesse la ramanzina o facesse finta di starle accanto.
 
Quando si accorse che erano già le cinque e un quarto, ormai era in ritardo.
Attraversare l’intera città, in cinque minuti sarebbe stata un’impresa impossibile, eppure prese la borse e corse sino al parco.
Nel frattempo che i piedi sfioravano la terra violentemente, Daphne pensava a come si sarebbe fatta scusare.
Quando arrivò, era troppo tardi. Alle cinque e mezza il parco era vuoto, nessun’anima popolava quell’oasi verde.
Daphne cominciò a piangere, l’unico amico della sua vita era già tornato a casa. Si sedette su una panchina e appoggiò la testa tra le mani, mentre le lacrime bagnavano i suoi jeans.
«Daphne?» pronunciò una voce maschile alle spalle della ragazza.
Si voltò di scatto e vide il bellissimo viso di Max sorriderle.
«Max!» esclamò entusiasta.
Max si avvicinò a lei, mentre Daphne si alzava dalla panchina.
«Perché piangi?» le domandò perplesso, mentre asciugava una lacrima con un dito.
«Oh…» sussurrò Daphne mentre asciugava il viso con l’indice. «Avevo paura che te ne fossi andato.»
Max rise e poi la strinse forte, dentro le sue calde braccia.
«Daphne, stai tremando?» chiese Max, accorgendosi che la ragazza stava rabbrividendo. Lei non voleva, ma era più forte di lei. Il suo unico amico della sua vita, nonché ragazzo per cui aveva una cotta, l’aveva appena abbracciata.
«Sei il primo amico che mi abbraccia.» sussurrò per tenerlo segreto.
Lui non parlò, l’abbracciò e basta. Sotto una maestosa quercia, un sogno si stava realizzando.
«Ti va se andiamo a bere una cioccolata calda? Fa davvero freddo.» enunciò Max.
«Certo.» sorrise incerta Daphne.
Entrarono in un bar, ordinarono due cioccolate e infine Max disse:
«Mi dispiace per stamani.»
«Non fa nulla, è tutto a posto.» mentì Daphne.
Max tese la mano e sfiorò quella della ragazza. Gli iridi verdi di Daphne brillavano e quelli castani di Max erano dinamici.
Max pagò e poi si recarono nuovamente al parco, confidandosi e scambiando risate e sguardi.
Si sedettero sotto la quercia e quando i due nasi si stavano avvicinando, una goccia sfiorò la fronte di Daphne e le labbra di Max.
Alzarono lo sguardo e videro delle nuvole grigie coprire il sole.
«Sta per piovere, è meglio tornare a casa.» disse mentre prendeva per mano Daphne e partiva a correre. «Dove abiti?» aggiunse Max, riparandosi dalla pioggia con il giubbotto.
«È molto distante, meglio se prendiamo un autobus.» consigliò Daphne.
«Ottima idea.» e si avviarono per la fermata.
Dentro il bus faceva caldo, e Max si sedette vicino a Daphne.
«I tuoi occhi sono bellissimi.» disse Max.
«Grazie.» le guance si arrossirono e le spuntò un sorriso.
Arrivati a destinazione, lei lo ringraziò e rintanò in casa.
Aveva appena trascorso il pomeriggio più bello della sua vita, e anche se la sua treccia non si era disfatta lei ne fece una nuova e scrisse sul diario.
Successivamente ascoltò “Innocence” che le levò le parole di bocca.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


Daphne trascorse un’altra notte immersa tra capelli e fogli, sotto le stelle, con gli auricolari nelle orecchie.
Tracciando linee curve e schizzando acquerelli, Daphne si divertì un mondo.
Arrivò il momento di spegnere la luce ed addormentarsi.
L’indomani, la corse per la scuola non fu una corsa ma una camminata, poiché si svegliò prima del previsto.
Non porto con sé lo skate per paura di essere derisa nuovamente dai compagni, e andò a piedi, sommersa nei suoi pensieri e nelle sue domande.
«Max si comporterà ugualmente o diversamente? Si sarà dimenticato di ieri?» si domandò perplessa, mentre osservava le sue All Star blu muoversi velocemente.
Arrivata a scuola, nessuno la fissò con sguardi bizzarri e confusi, anzi, nessuno le degnò di uno sguardo. Si sentiva protetta, e di fronte a lei c’era Max, la sua ancora di salvezza.
Ma proprio mentre si avviava verso il suo nuovo amico, Deborah la ragazza più carina della scuola, nonché nemica di Daphne, prese per mano Max e si avvicinò alle sue labbra lentamente. I due si scambiarono uno sguardo, poi lei si affrettò a baciarlo e a scappare dalle amiche per spifferare tutto.
Daphne rimase immobilizzata, con i suoi iridi luccicanti, le labbra semichiuse ed asciutte, le braccia flosce e le mani tremanti. Una saetta di ghiaccio colpì il giovane cuore della ragazza innamorata, che si rifugiò in classe di corsa, non degnando neanche di uno sguardo il suo nuovo amico.
Fu un trauma sopportare Deborah e Max assieme, perciò all’uscita si avvicinò al ragazzo, intento a sistemare la moto, e le chiese, senza paura:
«Tu e Deborah state assieme?» Daphne iniziò a tremare come prima .
«Oh, hai assistito a quella scena?»
«Sì. E vorrei sapere la verità, visto che ieri siamo usciti assieme…»
Il comportamento e il coraggio improvviso di Daphne sbalordì Max (e anche la ragazza). Lei non si era mai permessa a nessuno di chiedere spiegazioni, persino alla madre annuiva in silenzio senza ribattere.
«Dovresti saperlo a quest’età queste cose… Ciao Daphne.» salì sul motorino e partì, senza fiatare un’altra volta.
Daphne, agghiacciata, tornò a casa e si rinchiuse nella sua camera, senza parlare con nessuno.
Era sbalorditivo per Daphne scoprire che le cose potessero cambiare in un giorno, come cambiare un abito, fare una treccia, scrivere una storia. Tutto era cambiato, niente era più uguale al giorno precedente.
 
«Troppo per il mio lieto fine.» ripeté almeno una dozzina di volte questa frase finché non si alzò oscillante dal letto, prese il suo lettore mp3 e ascoltò “My Happy Ending” tante quante le volte che disse quella frase.
Non pianse, forse tutti quei giorni orribili la rinvigorivano, o semplicemente l’adolescenza la rendeva meno sensibile e più resistente. Il suo albero di ciliegio, il suo prezioso legno si stava indurendo. La sua corazza si stava rafforzando.
«Ciò che ti di distrugge ti fortifica, Daphne.» si disse sottovoce, accarezzando i suoi capelli dorati.
Sentì un sollievo, quando accarezzò la sua chioma, come se l’aria che respirava era fatta di respiro d’unicorno. Liberò il suo corpo dalle attrazioni negative, si rilassò e poi prese un foglio e ricominciò a disegnare, un dipinto più fluttuato e sereno.
S’innalzò verso il soffitto, poi scese e s’indirizzò verso la cucina per pranzare.
La madre stranamente non aveva chiesto spiegazioni, non l’aveva guardata, chiamata o cercata. Daphne si sentiva invisibile, racchiusa in una scatola, come se nel suo piccolo e terribile mondo nessuno si rendesse conto di lei.
Daphne non aprì bocca, il silenzio regnò nella casa.
«Com’è andata a scuola?» reclamò la madre, per coprire l’assordante silenzio.
«Bene.» mentì freddolosa Daphne. Le labbra tremarono, e anche il resto del corpo. La forchetta le scivolò dalle mani e provocò un rumoroso trambusto.
«Figliola, lo sai. Se hai qualche problema, parlane.» la madre si accorse che qualcosa non andava.
«Non fingere di essere interessata.» strillò Daphne, alzandosi dal tavolo.
«Io sono interessata a te. Sono tua madre!» urlò aggrottando la fronte.
«Smettila di mentire. Io sono invisibile. Non esisto, né per te, né per i miei amici, se così posso chiamarli.» gridò Daphne, scaraventando la sedia, il piatto, il bicchiere e le posate a terra.
Tantissimi cocchi rivestivano il pavimento, proprio come l’ultima volta, e la madre si avvicinò per abbracciarla. Daphne si lasciò trasportare dalla dolcezza e pazienza della madre.
«Daphne, sei una ragazza forte. Supererai tutto ciò.» le sussurrò e poi spazzò i pezzi di vetro, mentre Daphne tornava in camera.
 

/ SPAZIO AUTRICE / 

Grazie per aver letto, spero vi sia piaciuto. ♥

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


Fu un’altra giornata terribile per Daphne, voleva sfogarsi: prese lo skate e uscì di casa sbattendo violentemente la porta.
Uscire da quella tana era stato bizzarro per Daphne, usciva di sua spontanea volontà, per sfogarsi; non per uscire con il suo presunto amico o per prendere il pane.
Decise di andare lontano, molto lontano, ma non era la cose giusta.
Quel pomeriggio aveva sentito le gambe afflosciarsi, si era sentita debole, il cuore aveva smesso di battere un attimo. Il sole aveva perso la sua luce, le strade erano fredde, e Daphne ricominciò a piangere e a tremare.
Aveva paura, non era a casa. Sdraiata sull’asfalto ghiacciato, con le braccia appoggiate al suolo, le mani al petto e le gambe sempre più vicine al busto.
Nessuno si accorse di lei, era nella strada più isolata della città. E in un giorno di pieno inverno, chi si sarebbe mai accorto di una ragazza, svenuta da probabilmente mezz’ora, nel bel mezzo di una strada, con la skateboard a pochi metri da lei.
Non era caduta, era semplicemente svenuta, ed era già troppo che era cosciente e riusciva a inspirare ed espirare. Chi riuscirebbe mai a respirare disteso nel asfalto congelato? Nessuno tranne Daphne.
E quanto avrebbe resistito? Poco più di quaranta minuti, perché qualcuno la salvò. Salvò il suo cuore irrigidito e raffreddato, la sua pelle fredda, i capelli dorati che ora sembravano tingersi di un bianco puro, gli occhi verdi che ora non avevano più colore dato che aveva perso conoscenza non appena arrivò aiuto e le labbra asciutte e gelide che si erano riscaldate da un bacio strappato sull’ambulanza.
Daphne non si accorse di nulla poiché era entrata isi era addormentata ed aveva perso le coscienze, ma l’Aiuto non si abbatté e strinse la mano della ragazza tutto il tempo.
Quando arrivarono, il ragazzo chiamò la madre di Daphne che si affrettò a raggiungerla, frettolosa e malinconica.
«Salve signora.» salutò il ragazzo porgendo la mano con un sorriso.
«Dov’è mia figlia?» chiese rapida e seccata.
«È nella stanza 200, ma i dottori non la faranno entrare finché non sarà l’ora di cena.»
«Sei un dottore?» la domanda della madre di Daphne agghiacciò il ragazzo.
«No.» ed abbassò lo sguardo.
«Bene, allora lasciami passare, moccioso.» e veloce s’infiltrò nella stanza 200 lanciando uno sguardo severo al ragazzo, seduto nella sala d’attesa.
 
Nella camera 200 faceva caldo, Daphne dormiva distesa sul letto. La madre le stringeva la mano e le sussurrava:
«È tutto ok. Non preoccuparti. Sii forte, io sono qui. Daphne, ti voglio bene.» ripeté queste parole almeno una cinquantina di volte, fino a quando un’infermiera arrivò.
 
«Signora, non ha il permesso di fare visite. Esca fuori.» disse gentilmente.
«Io sono la madre, non posso lasciarla sola.» urlò.
«Signora, si calmi. Deve solo aspettare nella sala d’attesa.» la rassicurò trascinandola lentamente nella porta.
«Andrà tutto bene, vero? Daphne non morirà. Vero?» domandò con le lacrime agli occhi.
«Venga signora, si accomodi.» e la fece sedere nella stanza di attesa.
«Vuole un caffè?» domandò il ragazzo, che era seduto affianco.
«Sì, grazie.» alzò lo sguardo rapidamente e sorrise.
Il ragazzo le portò un caffe caldo, mentre lui prese un sacchetto di patatine.
«Scusa per prima.» disse la donna stringendo il bicchiere tra le mani per riscaldarsi.
«Non si preoccupi.»
«Come ti chiami?»
«Ronald. Lei?»
«Dammi del tu. Comunque Lilly.» si strinsero la mano.
«Lo so. Sono amico di Daphne, è per quello che l’ho chiamata.»
«Amico? Daphne non ha amici.» esclamò Lilly, ridendo.
«Oh… beh… Mi conosce di viso, volevo dire.» si affrettò a correggersi.
«Capisco…»
Giunsero le otto e la madre poté entrare a vedere la figlia.
Fu un sollievo per la donna rivedere sua figlia.
«Daphne.» l’abbracciò.
Durante l’abbraccio, Lilly sentì la mano di Daphne muoversi e gli occhi aprirsi.
«Figliola.» la strinse forte.
«Mamma.» sussurrò sottovoce.
«Non parlare, respira.»
Dopo un quarto d’ora, Daphne si era ormai ripresa e decise di chiedere alla madre sullo sconosciuto che l’aveva salvata:
«Mamma, qualcuno mi ha soccorso. Sai di chi si tratta?»
«No, figliola. Un signore, passando di lì, ti ha trovata…» mentì Lilly. Voleva proteggerla da Ronald, perché sentiva un strano presentimento.
«Io ricordo che era giovane…»
«No, era un anziano sulla settantina…»
«E dov’è ora?»
«È andato via…»
«Va bene.» Daphne non era per niente convinta, ma si affidò alla madre.
 
 
Tra le due si accentuò un silenzio insopportabile, fino a che non arrivò l’infermiera di prima:
«Daphne, hai una visita. Faccio entrare?» la ragazza era stupita, chi poteva essere se non il padre… ma lui era con Rachele quindi non sarebbe mai e poi mai venuto…
Chi poteva essere?
«No. Daphne deve riposare, vado ad avvisare io.» disse secca Lilly, accarezzando la fronte della figlia e assicurandole di un ritorno rapidissimo.
La madre tornò in sala d’attesa e vide Ronald seduto sulle sedie, ancora paziente.
«Daphne si è appena addormentata. Non tornare, ha detto che non conosce nessun Ronald e non ha la minima intenzione di vederti. Sparisci.» e lanciò un agghiacciante sorriso finto al ragazzo incredulo.
«Come? Lei non può. Io l’ho salvata, ho il diritto di vederla.»
«Vuoi dei soldi?»
«Lilly, non ho bisogno di soldi, cibo o qualsiasi cosa. Voglio vedere Daphne.»
«Perché? Hai una cotta per lei?» ci scherzò su un po’ Lilly, non rendendosi conto che in realtà il ragazzo guardava in basso consapevole che era innamorato di Daphne.
«Non permetterti a rivolgerle la parola, intesi?» disse all’orecchio di Ronald.
La donna girò i tacchi disinvolta e prima di entrare nella stanza, si voltò dal ragazzo per scagliargli uno sguardo prepotente.
«Mamma, chi era?» domandò Daphne, stupefatta.
«Oh, lascia perdere. Era il signore anziano che ti ha salvato.»
«E perché l’hai mandato via, volevo ringraziarlo!»
«È tutto a posto, devi solo riposare adesso. Io adesso vado a casa, non mi permettono né di stare qui, né di portarti a casa, quindi ceno e provo a dormire. Tu riposati.»
Spense la luce e tornò a casa.
Ma Daphne non si sentiva al sicuro, in quelle mura celesti, dentro quel letto soffice e quelle coperte calde, non si sentiva a casa. Allora, indossò le pantofole e andò in cerca di qualcuno o qualcosa.
Non era molto stabile, ma il suo cuore le diceva di alzarsi e cercare, qualsiasi cosa.
A quell’ora non girava nessuno per le ghiacciate vie dell’ospedale, Daphne era sola, ma un urlo sarebbe bastato per chiedere aiuto.
Non aveva freddo, si sentiva bene, ma quando vide un viso conosciuto avvicinarsi a lei, cadde a terra e perse i sensi nuovamente.



- spero vi piaccia. ♥ -

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


«Daphne. Svegliati, sono io.»
La ragazza aprì gli occhi e vide il viso di Max di fronte a lei.
«Max.» disse alzandosi e tornando in camera. Max la seguì.
«Daphne, volevo scusarmi per l’incidente di stamattina. Non volevo trattarti male.»
«Ci sono rimasta malissimo, pensavo fossimo amici, e che mi avresti detto tutto ciò, soprattutto visto che ieri abbiamo avuto un appuntamento.»
Improvvisamente Daphne sputò tutto ciò che aveva dentro, dalla mattina.
«Hai ragione, scusa. E comunque io e Deborah non stiamo assieme, era una scommessa che abbiamo fatto su Facebook.»
«Facebook?» Daphne non aveva un profilo su Facebook.
«È un social network, se vuoi iscriviti, ma ne diventerai dipendente.» e cominciò a ridere.
«Wow, forse lo farò.» Max le sorrise.
Le strinse la mano e poi affermò:
«Sei la mia migliore amica, nessuno ci separerà, te lo prometto.»
Daphne aveva le lacrime agli occhi, le sue pupille verdi luccicavano e anche quelle castane di Max.
«Grazie.» e si abbracciarono. La pelle di Daphne tornò fredda, riprese a tremare.
Perché quel ragazzo la faceva tremare? Perché ogni volta sentiva la pelle fredda e il cuore battere forte? Perché?
Ci pensò su e poi intuì ciò che aveva già idealizzato in passato; lei era stracotta di Max, ma la cosa che non tornava nei conti era: Max ricambiava?
Successivamente, Max se ne andò lasciando Daphne con un bacio sulla fronte, immersa nei suoi sogni.
 
 
La mattina seguente, essendo una Domenica, Max tornò a farle visita.
Sul suo vassoio affollato di croissant e succo d’arancia, c’era un bigliettino:
“Buongiorno Daphne. Che questo piccolo dono ti regali un sorriso. Ne hai davvero bisogno. MAX”.
Quando sprofondò in quelle parole, le spuntò davvero un sorriso. Uno dei più belli, uno che non aveva mai fatto. Si accelerò a fare colazione e all’improvviso comparve il volto di Max, di fronte agli occhi lucenti della ragazza.
«Buongiorno, Daphne.» salutò Max.
«Buongiorno, Max» disse la ragazza che stava finendo di sorseggiare il succo. «Grazie.»
«E di che?» affermò il ragazzo.
Si avvicinò sempre più lentamente.
«Daphne, posso chiederti un consiglio?»
«Certo.»
«Sono innamorato di una ragazza, ma non so se dirglielo o no… tu cosa dici?»
Molto sorpresa, Daphne si spaventò. Non sapeva cosa dire, né cosa pensare. Che ragazza era? Deborah, forse? O lei, Daphne?
«Chi è?» disse senza pensarci due volte, era troppo importante la risposta.
«Non la conosci.» dichiarò Max, velocemente.
Daphne rimase pietrificata, non era Daphne ma tantomeno Deborah. Chi era meglio di Deborah, la più carina della scuola?
Allora si affrettò a pronunciare:
«Parlane con lei, fatti avanti. Se lei ti merita, lo capirà da sola.»
«Grazie, Daphne. Ora vado a mettere alla prova.» e scappò lasciando sulla guancia sinistra un bacio alla ragazza.
Daphne non era per niente felice della domanda di Max, né tanto meno della risposta che lei dovette dare.
Era delusa e stupefatta, voleva intrecciare i capelli ma erano legati da una coda dal giorno precedente, voleva disegnare, scrivere ma in quell’ottusa camera non c’erano né fogli né penne o matite. Voleva ascoltarsi libera, ma non aveva l’mp3; voleva andare sullo skate, ma non sapeva più che fine avesse fatto.
Voleva solo sfogarsi, e non avendo ciò che usava sempre, chiuse gli occhi e si rilassò.
Nel pieno silenzio, mosse le labbra e cominciò a cantare:
“I’m naked, around you, does it show?” di “Naked”.
Sentì la sua pelle fredda, cominciare a riscaldarsi, il suo cuore tornare alla norma e il corpo smettere di tremare.
 
 
Si sentiva al sicuro, ora.  Si voltò a destra, guardò fuori dalla finestra, ed immaginò il volto di Max sorridergli e quello di Avril, tenendole una mano.
Ora si era contorta in altri sogni impossibili, come sempre.




- SPAZIO AUTRICE - 
Spero vi piaccia, ricordate che è finzione e non tutto sarà reale. ♥

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


In tardo pomeriggio Daphne era già a casa, non seppe mai dov’è finì il suo skate, ma in cambio seppe il perché dei suoi continui svenimenti, era il freddo e la mancanza di zucchero che le facevano quest’effetto.
Entrata in casa, si precipitò nella dispensa e s’ingozzò di crema alla nocciola spalmata su una fetta di pane.
Quand’ebbe finito, sul cellulare comparse un messaggio:
“Grazie del consiglio, Daphne. Ci vediamo su Facebook, ciao. ♥ MAX.”
Di corsa, accese il computer e si creò un profilo.
 
Non appena terminò, dopo aver aggiunto Max, controllò la pagina ufficiale di Avril Lavigne.
Si sentì come se fosse salita in cielo, avesse sfiorato le morbide nuvole e poi fosse riscesa sulla Terra.
Avril aveva appena detto che aveva finito il suo libro e che il suo singolo sarebbe uscito a breve.
Daphne scrisse sotto i mille commenti che la precedevano, e si sentì sempre più vicina la suo idolo.
“Hi Avril. I listen your music, I love the way you are and THANKS FOR ALL.
XOXO, I Love You. ♥ Daphne! :)”
Scrisse quel commento come se fosse l’ultimo della sua vita, o come se Avril fosse dall’altra parte dello schermo a leggere.
Saltò per tutta la stanza, e qualcosa più forte di lei la indusse a scrivere sulla sua bacheca isolata:
“Avril Ramona Lavigne  – ♥”
Max mise subito ‘mi piace’. Daphne aprì una finestra accanto intitolata ‘chat’ e vide Max con un bollino verde accanto.
«Ciao.» scrisse veloce Daphne, per paura che il bollino verde diventasse rosso, giallo o nero.
«Ciao, Daphne! ♥»
«Come diamine si usa questo sito? Non ci capisco molto…»
« :) è semplice, per ora invia messaggi, poi lentamente imparerai ad usarlo meglio!» scrisse lui, mentre Daphne aggrottava la fronte.
 
Era un giorno complicato per la ragazza, il sole filtrava dalle tende e surriscaldava la sua pelle.
Provò a sorridere, ma ogni pensiero la legava alle parole di Max.
Voleva sapere chi era questa persona, era talmente affezionata a Max che non poteva scordare la sua voce ripetere "Sono innamorato di una ragazza". Troppe domande frullavano nella mente di Daphne, troppe risposte immaginarie urlavano dentro di sé.
«Chi è la ragazza di cui sei innamorato?» domandò all’improvviso Daphne.
«Oh… va bene te lo dico. È Deborah.» scrisse lui, mentre Daphne rileggeva per la terza volta la risposta, con le lacrime agli occhi.
Deborah? Ma non aveva detto che non la conosceva?
«Ma la conosco! Perché mi hai detto diversamente?»
«Poiché non volevo spaventarti, in quel momento ti eri appena risvegliata e non volevo traumatizzarti… :)»
«Capito… va bene. State assieme?»
Daphne aveva cominciato a piangere, al solo pensiero di veder le labbra di Max sfiorare quelle di Deborah anziché quelle sue.
«Non ancora. Perché?»
«Così. Volevo soddisfare la mia curiosità…»
«Ammettilo, ti conosco bene! Tu a Deborah non andate d’accordo, e da brava amica che sei, mi stai proteggendo perché lei non la sopporti! ♥»
Scorrendo, Daphne si sentì lo stomaco stringersi.
«Esatto. Io e Deborah ci odiamo.»
In quel momento così che tutto era collegato, dal bacio sino a tutti gli sguardi che si scambiavano.
Come aveva osato uscire con Daphne e poi dirle che ama un’altra? Sono un infantile l’avrebbe fatto. Evidentemente lui lo era, ma per Daphne era solo confusione.
«Prova a perdonarla, saresti una grande amica. Come lo sei ora per me.»
Daphne non si sentiva l’amica di Max, avrebbe voluto essere qualcosa di più, ma il destino le attorcigliava contro la verità.
«Ma se ti piace Deborah, come mai sei uscito con me?» puntò Daphne sul tasto dolente, mettendo in difficoltà Max che impiegò il triplo del tempo per rispondere.
«Siamo amici, non è un reato.»
«Certo che no, ma mi stavi per baciare…» scrisse lei, mentre continuava a singhiozzare nel silenzio pomeridiano che invadeva la casa.
Cosa sarebbe successo se in quel momento le due labbra si fossero incontrate? E se non fosse incominciato a piovere? Niente di tutto ciò, ovviamente.
 
Ma Daphne era il tipo delle persone che si piangevano addosso, perciò cominciò a farfugliare pensieri.
«Si. Ma neanche questo è un reato.»
«No, ma mi hai usato o sbaglio?» Daphne aveva perso il controllo, stava lanciando all’aria tutta la rete di sorpasso che aveva costruito da tanto tempo.
«Esatto. Volevo solo far ingelosire Deborah. Io voglio lei, non a te. Cosa te lo ha fatto pensare?»
Dopo quelle parole, Daphne si sentì morire, come se le avessero lanciato un coltello di ghiaccio sulla spina dorsale.
«Me l’ha fatto pensare il tuo improvviso comportamento. Perché hai cercato proprio me? Perché ero la più sensibile?»
«Certo. Se avessi scelto le altre se ne sarebbero accorte.»
Schifo. Provava schifo in quel determinato momento. Le lacrime avevano bagnato l’intera guancia, sino alle labbra.
«Mi fai schifo. Non cercarmi più, ti prego. Non voglio più sentirti, mi fai solo ribrezzo.» scritto ciò, Daphne spense il computer, mentre ancora Max scriveva la risposta.
Cosa significava? La fine della storia? Un nuovo inizio?
Tutto era segretato nel buio e la ragazza sofferente non voleva disporli alla luce quel giorno, non quando il suo cuore stava sanguinando.
Come sempre, infilò gli auricolari e ascoltò “Why”.



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Spero vi sia piaciuto. ♥ a presto. 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. ***


Ascoltate questo mentre leggete: https://www.youtube.com/watch?v=l2oDQG6BLNQ 
È Demi Lovato, Fix a Heart. ♥

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Perché l’improvviso comportamento di Max aveva portato Daphne all'estremo dolore?

Perché ogni volta che lui la feriva, lei doveva soffrire tremendamente?
Non lo trovava giusto, pensava che la sofferenza fosse un piccolo consumo dei sentimenti, così come si consumano le scarpe, i vestiti e i polmoni.
Aprì le tende, si affacciò sulla finestra. Il mondo le offriva tanti posti da esplorare, molti dei quali avrebbe potuto fare conoscenze nuovi, aprire occhi e cuore e amare altri ragazzi, cento volte meglio.
Ma no, le sue lacrime volevano solo scivolare lungo le guance che la luce rendeva sempre più scure. Voleva rinchiudersi in camera, soffocare nella musica e rendersi conto di aver superato una piccola fase, di aver riparato un piccolo frammento della sua anima, che ormai aveva perso.
Ciascuna volta che litiga con qualcuno, qualsiasi volta che si sentiva ferita, era come se stesse combattendo con se stessa.
Per andare avanti doveva superare l’ostacolo, camminare a testa alta e ricadere nel burrone.
Lei era Daphne, la ragazza timida e insicura, colma di problemi sino alla gola, quella che tutti ritenevano ‘indifesa, stupida e debole’.
Ma nel suo cuor, Daphne era la ragazza più coraggiosa. Affrontava le sue difficoltà con rabbia, dedicandosi alla musica, che in qualsiasi momento l’avrebbe sempre aiutata.
Voleva vivere, assaporare ciò che non aveva ancora assaporato, respirare ciò che non aveva ancora respirato.
Sarebbe uscita di casa se solo quelle noiose lacrime non le avessero macchiato il viso di rosso.
Fu costretta ad osservare tutto il giorno il cielo, immaginando i confini del mondo che ancora non aveva visto, fantasticando di poterli sfiorare, anche una volta sola.
Il suo sogno fu interrotto, però, dal telefono fisso, che squillò tremendamente forte da spaventare la ragazza.
La madre era uscita, perciò fu Daphne a rispondere al telefono.
«Pronto?» 
«Pronto, Daphne sei tu?» domandò una voce maschile, affusolata e fluida. 
«Chi parla?» domandò la ragazza piuttosto preoccupata. La sua voce le si aguzzò. 
«Sono un tuo compagno di scuola, Ronald di 2D! L’anno scorso abbiamo fatto una chiacchierata! Ti va se domani all'uscita facciamo quattro passi?» 
Daphne si sentì confusa.
Rovistò tra i ricordi e le parve in mente un ragazzo, che stava sempre seduto all'angolo delle scale, con la custodia di chitarra sulle spalle e sorriso sulle labbra.
«Mi ricordo di te! Va bene, ciao Ron!»
Riattaccò e s’inzuppò in un nuovo mondo. Daphne e Ron, durante il concerto di fine anno, si erano conosciuti e avevano stretto amicizia, ma dopo che Daphne dovette allontanarsi da tutte le conoscenze per via degli insopportabili doveri che le imponeva la madre, non seppe più nulla di lui, solo che era stato bocciato ed era tornato in 2D.
Aprì l’armadio, rovistò qualcosa per il giorno dopo e, inaspettatamente, sentì una strana sensazione percorrergli il corpo: stava scoprendo un nuovo tratto della vita che non aveva mai conosciuto.




- SPAZIO AUTRICE ♥ -
so che è estremamente piccolo, ma ho dovuto farlo veloce per una mia cara amica. Spero vi sia piaciuto! ♥ Ciao e grazie! xD 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. ***


La sua stanza, piccola e accogliente, era calda, dalle pareti arancioni, con due quadri di media grandezza accanto alla finestra. Ritraevano il tramonto e il mare.
Per Daphne avevano un valore affettivo, quando li osservava poteva ricordarsi di suo padre. Era stato il suo regalo di compleanno di due anni fa, quando ancora dipingevano quadri assieme.
Il tramonto gliel’aveva affrescato il papà, il mare l’aveva creato Daphne. E ci aveva messo tutta se stessa.
Attorno, l’armadio spalancato presentava una catasta di vestiti colorati e ordinati, perfettamente piegati dalle mani della madre.
Prese una maglietta verde con una scritta cubitale ‘HOPE’ bianca. L’aveva comprata in un negozio dietro l’angolo.
I pantaloni stropicciati e le converse le mise in un angolo con la maglietta, successivamente scese a preparare una cioccolata e al termine si sedette a vedere il Bonez Tour online.
 
Passarono le ore, scaricò tutta la rabbia in un video di 70 minuti, si sedette sul letto a fissare il soffitto.
Sentì il vuoto dentro di sé, come se tutti i sentimenti fossero svaniti.
A dir la verità, Daphne aveva paura per il giorno dopo.
Non sapeva cosa sarebbe successo, se Ron era uguale a Max e se anche lui l’avrebbe fatta soffrire.
Non voleva cadere in mille pezzi, non voleva rivivere i dolori, voleva semplicemente sorridere, assaporare la sua adolescenza che si consumava sempre più rapidamente.
Ron, agli occhi di Daphne, apparve un ragazzo semplice, romantico, con una grande passione per la musica. Tutte le volte che lo incontrava fissava il cielo, in cerca di qualche nuvola che potesse trasportarlo via.
Osservò tante volte i suoi occhi blu, sognanti e forse innamorati. Si narrava che lui fosse innamorato di Deborah, ma di amore incorrisposto.  
Non ebbe mai la certezza di quelle voci, non ci crebbe mai.
Ron, o Erre, come lo chiamava Daphne, era quel tipo di ragazzo che si intreccia solo alla musica, a scrivere canzoni e a sognare di poter diventare un’eccellente chitarrista.
Daphne e Erre erano stati davvero amici, vivevano di un’amicizia stretta, per colpa della madre dovettero separarsi, ma questa volta la ragazza ignorava le lamentele insensate della madre.
Non aveva motivo di sgridarla, Daph voleva viversi l’adolescenza appieno.
S’alzò dal letto e cominciò ad eseguire tutti i compiti arretrati.
 
Il giorno seguente s’alzò impaurita, ma molto emozionata.
Si preparò velocemente, indossò i vestiti preparati il giorno precedente e prima di uscire di casa osservò per l’ultima volta il suo riflesso allo specchio: un sorriso le spuntò dalle labbra.
Affrontò le lezioni dolcemente e all’uscita Ron le fece una sorpresa presentandosi davanti al cancello.
«Eccomi! Ciao Daph!» i due si abbracciarono.
Inconsapevolmente, Daphne si sentì strana mentre i loro corpi si stringevano.
«Quanto tempo, Erre! Come mai quest’improvviso?» domandò Daphne.
«Volevo fare due chiacchiere, è troppo tempo che non parliamo. Che ne dici se andiamo in una Creperia?»
«Fammi avvisare mia madre.»
Successivamente l’accordo della madre, dove Daphne le disse che in realtà era con Max, si sedettero in un tavolo di legno, in centro alla stanza.
«Sono felice di rivederti. »
«Anch’io. Scusa se sono sparita.»
«Mi sei mancata, Daph.»
Gli occhi blu profondi inondarono di confusione il cuore di Daphne.
Cominciò a sentirsi strana, non cominciò a tremare, si sentì tranquilla e protetta, ma non cessava di respirare affaticatamene.
«Anche tu.»
Un silenzio li invase, poi Ron attaccò.
«Per un momento ho pensato che tra noi fosse finita.»
«Pesavi fosse finita cosa?»
Daphne cominciò ad arrossire, ma si accorse che anche Ron guardava in basso con il viso rosso.
«La nostra amicizia.»
«Non l’avrei mai pensato!»
 
Passarono i minuti in silenzio, mentre esaurivano il piatto, poi Ron disse:
«Questo è il mio numero. Cercami, quando vuoi!» le consegnò un foglietto di carta bianca e l’abbracciò, lasciandola sola, di fronte al negozio.
 
«Perché questo comportamento? Perché sono tutti così falsi?» continuò a pensare mentre tornava a casa.
Non aveva voglia di fare nulla, si era impegnata a tenere stretto a sé la giornata, cercando di non rovinare niente, quando si accorse che era solo finzione.
 
Ma alla fine, aveva vissuto dei giorni peggiori, no?
Sorrise nuovamente, lanciò tutte le incomprensioni all’aria e si accorse che nonostante tutto, provava qualcosa di diverso.
Amava ancora Max, ma per Ron, malgrado l’atteggiamento, provava un sentimento di tenerezza, amicizia e forse illusione.
Tutte quelle sensazioni si sarebbe legate ad altre emozioni, subito dopo, quando Daphne inviò un messaggio a Ronald:
«Comunque sia, mi sono divertita! Domani usciamo?»
Il cielo sembrava più sereno, gli occhi più lucidi, l’anima più leggera e il cuore più pulsante: che si trattasse di amore?


|| SPAZIO AUTRICE ||

Spero vi sia piaciuto! ♥ XOXO.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9. ***


Prima di leggere: https://www.youtube.com/watch?v=sCt-CoKGf7c 
È Avril Lavigne - Won't Let You Go. ♥

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Passarono i giorni, Ron e Daphne tornavano a casa assieme tutti i giorni, mentre si scambiavano risate.
Ormai era passato più di un mese da quando Max l’aveva usata, non si erano neanche rivolti la parola. L’odio era più forte dell’amore, e poi Daphne sembrava rinascere.
Quando stava accanto a Ron si sentiva i brividi percorrergli la schiena, mentre le sue braccia le circondavano le spalle, stringendole forte a sé.
Molti li confondevano con una coppia, loro erano solo amici, ma entrambi sapevano che c’era qualcosa di più. Nessuno si era permesso di fare il passo avanti, ma quella sera fu diverso.
Petto a petto, si stringevano forti sotto il tramonto.
«Non ti lascerò andare, Daph.» le sussurrò accarezzandole i capelli.
Daphne non commentò, rimase sbalordita, a sentir il cuore di Ron battere sempre più forte. Con l’orecchio sempre più vicino al petto, ascoltò il soave rimbombo che risuonava nella sua testa, associato alle parole appena dette dal ragazzo.
Contestò che anche il suo cuore batteva sempre più veloce, come se volesse schizzare fuori dal corpo.
«Daph, io ci tengo a te. Da tantissimo tempo.» le disse sottovoce, stringendola più forte.
Daphne si sentì colma di gioia, come se Max non esistesse più. In realtà, non esisteva più davvero.
Il suo cuore era carico di ricordi e sentimenti legati a Ron.
Anche lei ci teneva a lui, anche lei non l’avrebbe lasciato andare.
Ma le parole non volevano uscire dalle labbra secche, non volevano salire sulla gola. Erano immobili sulla trachea.
«Daph, io ti amo.»
Esplosero le lacrime, come se tutti i colori dell’arcobaleno si fossero raggruppati per colorare tutto il buio presente dentro le costole, come se tutte le cose chieste al mondo fossero state inutili. Ora aveva lui.
«Anch’io, con tutta me stessa.» sussurrò lei, con tutto il coraggio dentro di sé.
La sua vita sembrava diversa, non aveva mai provato niente di così meraviglioso, strabiliante.  
Non le importava delle conseguenze, di tutti i trambusti che sarebbero emersi.
Lo guardò nel profondo dei suoi occhi blu, lucidi e spalancati al mondo, chiuse gli occhi e si avvicinò alle labbra  che parevano disegnate da una matita stemperata.
Si sentì nuova, dopo aver strappato un bacio a Ron.
Come se le avessero cambiato la pelle, come se fosse rinata.
Daphne aveva dato il suo primo bacio. Le emozioni si confondevano con i pensieri meditati in testa, le farfalle cominciarono a svolazzare per tutto lo stomaco, cominciò a tremare come una volta e ad amare come non mai.
Questa volta era diverso. Ora si sentiva amata.
 
 
 
||SPAZIO AUTRICE ||
Spero vi sia piaciuto, anche se breve. ♥ Alla prossima, xoxo.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10. ***


Era un giorno qualunque, un sabato di nubi gonfie.
Daphne si era data appuntamento con Ron per andare al cinema, quindi, decise di arrivare in anticipo.
Il punto di incontro era proprio di fronte al bar dove la ragazza e Max erano andati per la prima volta.
Mentre si avviava per le buie strade della città, si domandava perché Ron avesse scelto proprio quel posto.
Giunta, notò che nessuno era in circolazione e vide che era in anticipo di dieci minuti, pertanto si sedette in una panchina.
Fissò il cielo increspato di grigio, e rimase sbalordita, osservandolo a lungo.
Quando abbassò lo sguardo, due occhi castani, cupi e spaventosi la fissarono scavandole una sensazione di paura.
Daphne si spaventò, cominciò a respirare più rapidamente: era Max.
«Qui è avvenuto il nostro primo appuntamento.» disse lui, abbassando la vista ed avvicinandosi alla ragazza lentamente.
La ragazza fu disorientata: che intendeva con quella frase? Voleva dire qualcosa?
«Che cosa vorresti dire?» le disse lei, non avendo il coraggio di guardarlo negli occhi.
Lui si blocco, poi disse:
«Nulla, nulla. Dopo quanto tempo ci ritroviamo?» cercò di dire, anche se Daphne constatò che il ragazzo era molto imbarazzato.
Lei avrebbe voluto chiedergli perché avesse cambiato discorso, ma si limitò a dare una risposta differente:
«Qualche mese. Sono cambiate molte cose per me, da quando non ci siamo più visti.»
«Tipo?» Max cominciò ad arrossire.
«Ho fatto nuove amicizie. Per te è cambiato qualcosa?»
«Io e Deborah ci siamo lasciati, lei ora è con John di 3D.» in quel preciso momento sollevò gli occhi verso il cielo, intrattenendo le lacrime.
«Mi dispiace… ma avete litigato?» le chiese Daphne, non riuscendo a frenare la sua curiosità.
«No, l’ho lasciata io. Mi sono accorto che in realtà non è quello che desideravo.»
Ci fu un breve silenzio, colmo di dubbi e incertezze da parte della ragazza e poi lei disse:
«E cos’è che desideri?» sapeva perfettamente che non avrebbe dovuto fare quella domanda, per vari motivi, ma lei decise così e la sua bocca non riuscì a contenersi.
Silenzio, un profondo e lungo silenzio. Poi lui la guardò, con gli occhi lucidi, s’infiltrò nell’anima della ragazza e, infilate le mani nelle tasche, si avviò verso la strada opposta, tentando di non voltarsi a salutare Daphne che lo fissava incredula.
 
Due ore dopo…
«Ma cos’hai Ron? Sei molto silenzioso oggi. Io non sono da meno, ma dimmi che hai!» chiese Daphne. Era appena finito il film ed erano nel bar dove si dovevano incontrare.
«Scusami Daph, non volevo.»
«Dai, non ti preoccupare. Allora, la prossima settimana che film abbiamo intenzione di vedere?»
Trascorsero qualche secondo in silenzio e lei si accorse che Ron aveva un velo di tristezza cucito sul viso, dunque chiese spiegazioni un’altra volta.
«Daphne, sono consapevole che ti ferirò ma devo dirtelo.» disse lui contemplando le mani di lei intrecciate alle sue.
«Dimmi, R, così mi spaventi.»
Dopo qualche secondo taciturno, lui disse:
«Mia madre ha trovato casa a Boston, mi devo trasferire.»
Daphne si sentii percorrere da numerosi brividi, cominciò a piangere, rimase in silenzio, terrorizzata delle parole appena pronunciate che le rimbombavano nella testa, cercò di tenere la calma ma cominciò a singhiozzare sempre più rumorosamente.
«Daph, ti prego, non piangere.»
«Non posso non piangere, tu andrai via. Io non ti lascerò andare.» abbassò la testa e slegò le mani da quelle di Ron.
«Neanch’io Daph, tu sei parte di me. Ma il dovere mi chiama e saremo costretti a dividerci. Sappi che sarai sempre speciale per me. Sempre.» detto questo si alzò ed uscì fuori.
Daphne lo raggiunse, e gli strinse la mano.
«In questa vita siamo costretti a dare addii a persone che sono molto speciali per noi, dobbiamo lasciarli andare, ma loro sanno e sapranno sempre che hanno inciso un valore importante dentro. Ron, noi siamo costretti a finire tutto qui, dobbiamo spezzare le strade ancor prima di averle iniziate, ma dobbiamo essere forti.»
Contorto, pensò lei. Prima piangeva e poi gli offriva la forza. Eppure gli disse solo quello che sentiva dentro.
Lui le osservò i suoi iridi verdi a lungo, poi decise di avvicinarsi a lei, sfiorandole il naso. Quasi giunto alle labbra, si allontanò e scappò via, anch’esso senza salutare, senza voltarsi, lasciando Daphne sola, impaurita e sconcertata dalla situazione.
 
||SPAZIO AUTRICE ||
Spero vi sia piaciuto! ♥ Alla prossima, baci.

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