Di ricordi e di pasticche

di Why_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 21 giorni per capire ***
Capitolo 2: *** Di ricordi e di pasticche ***



Capitolo 1
*** 21 giorni per capire ***


Era una calda giornata di luglio, mitigata da freschi aliti di vento. Camminando per le vie del parco non era difficile trovare persone in cerca di ristoro all’ombra degli alberi, chi sulle panchine, chi direttamente sul prato.
Fra le tante, spiccava una coppia di due ragazze sedute a terra accanto ad una stradina, nascoste da una serie di cespugli.
Una delle due, dalla corporatura piccola e quasi infantile, aveva le gambe incrociate e rivolgeva la sua attenzione al prato, da cui strappava ad uno ad uno dei fili d’erba, per poi gettarli al vento.
L’altra invece, dal fisico molto più slanciato, guardava intensamente il cielo in posizione semiseduta, appoggiata sulle braccia. L’aspetto così agli antipodi delle due ragazze poteva facilmente far pensare che avessero qualche anno di differenza, nonostante condividessero la stessa età e la stessa classe.
La ragazza più alta teneva i lunghi capelli castani legati in una coda, mentre l'altra aveva i capelli biondo miele, tagliati appena sopra le spalle. Vista da lontano, si poteva benissimo scambiare quella piccola figura per un ragazzino, dato che neanche il vestiario suggeriva un po' di femminilità.
Erano passati una decina di minuti da quando si erano sedute e fra loro regnava il silenzio.
La ragazza con lo sguardo perso nel cielo sembrava lontana da quel luogo e iniziare una conversazione non era neanche lontanamente contemplato. L'altra invece cercava qualcosa da dire, ma non riusciva a trovare niente di interessante. Ogni attimo passato in silenzio da quando si erano sedute non faceva altro che aumentare il suo nervosismo.
Arrivata al limite, improvvisamente la più piccola esclamò:< Si può sapere che hai? >.
La compagna fu svegliata dai suoi pensieri tanto bruscamente da avere un leggero sussulto. Rivolse alla biondina uno sguardo contrariato e biascicò un unico “Niente”.
Gli occhi dell'amica la scrutarono attentamente prima di dire:< Da quando ci siamo sedute non hai proferito parola, non che prima fossi più chiacchierina. E questa non è neanche la prima volta che accade, è da un po’ che ti vedo più assente del solito >.
Sospirò, per poi continuare:< Che hai? >, in un tono che tradiva un po' di preoccupazione.
Mentre l’ascoltava, negli occhi della sua vicina era apparsa un'ombra di dolore che venne nascosta rapidamente. Eppure continuava a non rispondere, sapendo che così avrebbe solo peggiorato la situazione.
Passarono alcuni minuti e la tensione diventò palpabile.
La pazienza della ragazza più bassa stava ormai svanendo del tutto. Dopo mesi di quella situazione, anche dei minuti sembravano insopportabili.
< Meglio che me ne vada > riferì in fretta la biondina mentre si alzava, per poi allontanarsi.
L'altra non si voltò neanche, rimase assolutamente immobile, anche dopo che la sua compagna era lontana.
La sua mente invece era in piena tempesta, un tumulto di pensieri ed emozioni che non sembrava volersi placare. Eppure era questo che cercava, era proprio il dolore che voleva ottenere. Erano mesi che aspettava una reazione del genere dalla biondina, ma lei era sempre stata paziente e comprensiva. Aveva notato che era diversa dagli altri, a cui bastava poco per andarsene. No, lei era testarda, piuttosto che allontanarsi cercava di parlare, di capire cosa stesse accadendo. Si arrabbiava, la riempiva di domande a cui non sapeva rispondere, ma non l’aveva mai lasciata sola.
Se ne era resa conto già dalle prime volte che avevano parlato. La ragazza castana non era una tipa da tante parole, ma all’altra non importava, le era sempre bastato quello che lei aveva da comunicarle, era convinta del fatto che chi parla poco sa ascoltare bene. Ma in quel momento non c’era più nulla da ascoltare, l’aveva fatta andare via. E stavolta faceva più male delle altre, decisamente più male. Non se l’aspettava.
Ritornò alla realtà quando sentì qualcosa scorrerle sul viso e si ritrovò con la vista appannata. Non piangeva da così tanto che quasi le parve strano. Fece un lungo respiro, di quelli che tanto amava la sua psicologa. Si asciugò velocemente la faccia e tornò con calma a casa.
 
Passarono più o meno due settimane da quel giorno e nonostante non passasse ora in cui una non pensasse all'altra, nessuna delle due si fece sentire. La ragazza più bassa era convinta che spettasse alla compagna farsi sentire -dato che era stata colpa sua se l'incontro era degenerato in quel modo- ;l'altra, dal canto suo, non la smetteva mai di rimuginare sull'accaduto, paragonandolo ad altri eventi della stessa natura. Si chiedeva per quale assurdo motivo sentiva un vuoto all'interno di sé, proprio da quando c'era stata quella discussione.
Era la prima volta che si sentiva così,ed era una situazione strana per lei.
Alla fine decise di andare dall'altra per chiarirsi definitivamente le idee, ma anche per tranquillizzare sua madre, visto che in quelle due settimane non aveva messo piede fuori da casa se non era strettamente necessario. Inoltre, l'insonnia le era notevolmente peggiorata, tanto da arrivare a stare tre giorni senza quasi chiudere occhio. Inutile dire quanto la somiglianza con uno zombie fosse palese in quel periodo.
Cercò di essere quanto meno presentabile e si diresse a casa dell'amica.
< Sì, chi è? > domandò la voce al citofono, dopo che la ragazza suonò.
< Mi scusi, c'è Anja? >
La donna aspettò prima di rispondere.  
< Mi dispiace ma non è in casa al momento >
< Ah, ok. Può riferirle un messaggio? >
< Certo, dimmi pure >
< Può dirle che l’aspetto qui sotto finché non si decide a scendere? La ringrazio molto. Arrivederci > disse, allontanandosi dal citofono.
Si appoggiò al muro accanto all'inferriata e sospirò. In cuor suo sperava che quella che aveva sentito in sottofondo fosse davvero la voce della sua amica e che non se la fosse sognata. Accostò la testa alla parete e sorrise ironica, ripensando a quel momento. Mancava giusto una bella figuraccia per completare quel periodo che stava passando.
Trascorsi una quindicina minuti, la serratura del cancello scattò e ne uscì fuori Anja, che tratteneva a stento un sorriso. Non si parlavano da una paio di settimane ormai, però non capiva come non riuscisse a non essere arrabbiata. Yeva stessa fu abbastanza stupita da quella reazione.
< Di solito mi aspetti a destra > dichiarò la bionda, guardando il posto dove si aspettava di vedere l'amica.
< E tu di solito mi fai aspettare di meno > ribatté l'altra.
La guardò attentamente, come se non la vedesse da anni. Le sue labbra si inclinarono in un sorriso leggero.
Rendendosi conto di essere osservata, la compagna incrociò i suoi occhi scuri per un momento e le rivolse uno sguardo falsamente duro.
< Be'? Che hai da guardare? > disse.
< Niente > rispose Yeva, in un tono piuttosto gentile.
Per tacito accordo, si incamminarono verso la loro meta preferita: il parco. Passeggiarono sullo stretto marciapiede in fila indiana, la più alta davanti e la più bassa dietro. Dal suo posto, la maggior parte della visuale di Anja era occupata dal corpo dell'amica. Notò dalla postura rilassata e dal dondolio delle braccia, come la ragazza esprimesse quasi felicità. Era difficile vederla in quello stato, così diverso dall’apatia o dalla tristezza che mostrava di solito.
Vedendola così, non riuscì a trattenere una domanda:< Ma tua madre ti ha nascosto di nuovo le pasticche nel cibo? >.
Sentì l'altra ridacchiare prima di girarsi a rispondere:< Oh no, non lo fa più da tempo ormai. O almeno spero >.
< Meno male > constatò la bassina.
Intanto si stavano dirigendo al loro posto abituale, senza neanche pensarci.
Arrivate a destinazione, Anja si stava mettendo seduta sul prato quando un peso la scaraventò letteralmente a terra. Voltò la testa e si ritrovò il volto dell'amica quasi attaccato al suo.
< Che diamine stai facendo? > urlò.
< Sono una coperta > si giustificò tranquillamente l'altra.
< Togliti! > gridò, cercando di allontanarla, inutilmente. La differenza di corporatura e di forza erano dei punti a favore della mora.
Senza preavviso, Anja si ritrovò circondata dall'abbraccio della ragazza-coperta, mentre nell'incavo del proprio collo la sua amica ci aveva nascosto la faccia e ne annusava l'odore.
Quella situazione la metteva molto in imbarazzo.
< Yeva, ti vuoi togliere? > sbraitò di nuovo, mentre un rossore le colorava le guance.
Eppure, notò la bassina, nonostante la sua stazza non si sentiva oppressa dal peso dell'altra, che cercava di gravare su di lei il meno possibile. Non era neanche troppo infastidita, per quanto la situazione le facesse provare un certo imbarazzo.
Stranamente si sentiva di dover ricambiare la stretta, anche se non era molto nelle sue corde tutta quella fisicità. Percependo le braccia di Anja sopra la schiena, il corpo di Yeva fu scosso da un brivido.
Sì, ne era convinta, finalmente aveva capito quello che provava e non aveva saputo resistere alla tentazione di sentirla così vicino. Era felice in qualche modo, ma era anche atrocemente spaventata da quei sentimenti.
La paura si impadronì di nuovo di lei e senza volerlo aumentò la stretta su quell'esile corpicino sotto il suo. Si meravigliò non poco quando la voce rassicurante della compagna si fece strada nelle sue orecchie e una piccola mano le accarezzò delicatamente i lunghi capelli sciolti.
< Calmati Yeva, è tutto apposto > disse.
L'altra si tranquillizzò leggermente, allentando la presa. Ma, in quel momento, le punte acuminate dei suoi pensieri le trafissero di nuovo il petto, portandole le lacrime agli occhi.
Era tutto terribilmente sbagliato.
< Anja > la chiamò, prima di allontanarsi bruscamente da lei.
< Scusami > continuò, dopo essersi nascosta dietro le proprie ginocchia, non molto lontana dalla compagna.
L'altra ragazza, abituata agli sbalzi d'umore dell'amica,si alzò e si mise a sedere. Mentre aspettava che Yeva si calmasse un po’, rifletté su quel particolare comportamento di cui era stata testimone. Nonostante la trattasse da persona normale, conosceva perfettamente la personalità talvolta instabile dell’altra.
Dopo alcuni minuti di silenzio, Anja fece per dire qualcosa, ma fu anticipata dall’amica.
< Lo sapevo > iniziò, con una voce che tradiva il suo silenzioso pianto,< una come me può provare solo emozioni sbagliate >.
La bionda, leggermente colpita, chiese spiegazioni.
< Molto probabilmente mi sono innamorata > dichiarò, in un tono piuttosto nervoso. Sentì l’amica prepararsi per obiettare, ma la superò di nuovo.
< Di te > concluse.
Un silenzio pesante come un’incudine calò alla fine della frase. Anja non smetteva di fissare quella figura rannicchiata vicino a lei, che le aveva appena detto quello che cercava di capire da quando aveva cominciato a comportarsi in modo strano. Ma adesso non era sicura di volerlo capire davvero.
Una risata interruppe il suo flusso di pensieri. Era così carica di nervosismo e di ansia che la si poteva quasi vedere. Non c’era ilarità, né tantomeno gioia.
L’altra non le aveva mai tolto gli occhi di dosso, anche se la reazione della compagna le aveva gelato il sangue.
< Brava, fai bene ad aver paura > aveva cominciato a parlare l’amica, appena spesso di ridere.
< Spaventati, perché da me non può scaturire niente di buono. Il mio “amore”, > marcò molto questa parola, caricandola di sarcasmo < se è davvero di questo che stiamo parlando, non può che essere malato >.
Si prese un attimo di pausa, in cui respirò profondamente diverse volte. Quando ricominciò a parlare, il tono era cambiato, perdendo quell’ironia caratteristica e diventando quasi implorante.
< Eppure voglio dirti come sono arrivata a questa conclusione >.
Adesso la stava guardando dritta negli occhi,come se fosse la loro ambra a dover ascoltare il suo discorso.
< Quando tu te ne sei andata, liquidandomi in quel modo, sentii come una morsa al petto e poi un grande, gigantesco vuoto, proprio qui > disse, indicandosi il cuore.
< Ho convissuto con questa voragine per due settimane, cercando di spiegarmi, di capire e infine di offuscare quella verità che poteva causare solamente dolore >. Indugiò per un momento, così da rimettere a posto i pensieri. Sembrò spuntarle un sorriso sulla faccia.
< E pensare che ero convinta di non avercelo più un cuore, invece guarda che casini che combina >.
Anja era rimasta immobile ad ascoltarla, persa nei suoi profondi occhi marroni. Dentro la sua testa non c’era altro che il monologo della compagna che si ripeteva all’infinito. Adesso era lei quella che non comprendeva sé stessa. Senza ombra di dubbio provava un grande affetto per lei, ma era abbastanza per ricambiare i suoi sentimenti? E se l’altra era preda di un altro dei suoi deliri senza senso?
< Yeva > chiamò la bassina, nonostante la vicina la stesse già rivolgendo l’attenzione.
< Vorrei un po’ di tempo, solo quello > si buttò, alla fine.    
< Eh?! > la ragazza alta era sorpresa.
< Tu davvero mi stai dicendo che ci penserai? >.
Anja le rispose con un timido cenno del capo e Yeva sentì di nuovo le lacrime salire. Nascosta dalle ginocchia piangeva, singhiozzando appena. Ed era felice, immensamente felice.
< Se sapevo che ti saresti rimessa a piangere, ti avrei dato tutt’altra risposta > scherzò l’altra, cercando di allentare la tensione.
< Non stai parlando sul serio > affermò la compagna, cercando di controllare i singhiozzi.
< Non puoi pensare veramente di poter… di poter… > sembrava che non riuscisse a completare la frase.
< Ricambiarti? Perché pensi che sia possibile? > finì Anja.
< Lo sai benissimo perché > grugnì l’altra.
< Ti devo dire che sei una malata da ricovero? Quante volte devo insultarti ancora per farti capire che non me ne frega nulla? >.
La ragazza sembrava leggermente alterata.
< Ti ho sempre trattata come una persona normale, perché adesso dovrebbe essere diverso? > fu l’ennesima domanda.
Yeva era rimasta in silenzio, ma dal suo sguardo si poteva intuire che le parole dell’amica l’avevano colpita.
< Una settimana > disse, accompagnando le parole con un gesto della mano.
< Prenditi il tempo che ti serve, non c’è bisogno che ti dai una scadenza > affermò l’altra.
< Una settimana è più che sufficiente, non preoccuparti > confermò, mentre si alzava dopo aver dato un’occhiata al telefono.
< Mi dispiace, ma devo andare. Mamma mi lascia sempre le faccende da sbrigare quando va a lavoro > si congedò, sorridendo. La tagazza alta la seguì con lo sguardo finché non scomparve in mezzo agli alberi.
Avrebbe dovuto solo attendere, pensava, anche se non riusciva ancora a crederci. Non aveva mai considerato l’eventualità di una risposta del genere. Forse stava sognando, forse quella non era davvero la realtà dei fatti.
Eppure il ricordo era vivido nella sua mente. Il calore del corpo di Anja sotto al suo non poteva essere una semplice fantasia.
Si alzò da terra e si incamminò verso casa.
Non sapeva se sperare che quei giorni di attesa passassero in fretta o non passassero mai. In ogni caso le sembrarono i più lunghi della sua vita.
 
 
 
 
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Ok, questa era una promessa che avevo fatto con il mio cervello: se fossi riuscita a finirla, l’avrei pubblicata. E alla fine eccola qui.
Dopo innumerevoli revisioni, correzioni e quant’altro, non sono ancora soddisfatta del risultato. Ma è una cosa normale, quindi cerco di non farci troppo caso. Mi scuso se può sembrare troppo romanzata, non è di certo mia intenzione ironizzare o denigrare nessuno.
Ringrazio chi è arrivato fino a qui e spero che non mi lincerete per quello che scritto.
 
 
Saluti,
Why_  

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Capitolo 2
*** Di ricordi e di pasticche ***


< Ricordo quel giorno come se fosse ieri. "Ho pensato a lungo su quello che mi hai detto. Non sono una grande esperta dell’argomento, ma non credo che i nostri sentimenti siano così diversi" mi disse, evitando timidamente il mio sguardo. Rimasi immobile fino a quando i polmoni cedettero e ritornai a respirare. Senza pensarci mi avvicinai a lei, la strinsi in un vigoroso abbraccio e la tirai su. Mentre la tenevo come si tengono i bambini, lei si avvinghiò a me, nascondendo il viso contro la mia spalla. Di solito lo facevamo per gioco, ma quella volta ebbe un significato completamente diverso. 
Restammo così finché scherzando feci finta di cadere. Cercando di non farci male, ci trovammo di nuovo una sopra l'altra. Mi alzai a quattro zampe per non darle troppo peso, e mi presi qualche momento per guardarla. Era così bella con quel corpo esile e il viso dai tratti quasi infantili, troppo per avere la mia stessa età. Non capivo come gli altri potessero prenderla in giro proprio per quell’aspetto che riusciva a catturare tutta la mia attenzione. Amavo la sua forza di volontà che dimostrava quando ignorava le battute -e anche qualche insulto- che riceveva. Ma più di ogni altra cosa amavo i suoi color ambra, che in quel momento fissavano, come a scrutarmi l'anima. Intuii che stesse lottando contro sé stessa per farlo, perché aveva assunto un colorito molto simile a quello di un pomodoro. Sorrisi al suo imbarazzo, non per scherno, ma perché mi faceva tenerezza. Sembrava davvero una bambina.
Mi avvicinai lentamente al suo viso, facendolo diventare ancora più rosso. Poi ci baciammo, due volte.
La prima durò pochissimo. Appena le nostre labbra si toccarono mi ritrassi, intimorita dal fatto di correre troppo. D'altronde quella era una situazione così nuova per entrambe. Capendo la mia paura, Anja scosse la testa, per quanto la cosa la imbarazzasse non ci vedeva nulla di male. La accarezzai una guancia con dolcezza e le presi la mano, mentre anche il mio viso si imporporava leggermente. E fu in quest'atmosfera che ci scambiammo un altro bacio. Durò così tanto che quando mi allontanai entrambe eravamo senza fiato.
Poi mi buttai sul prato accanto a lei e insieme ridemmo della nostra goffaggine e della nostra vergogna.
Il cielo, spettatore silenzioso della nostra esperienza, era limpido e chiaro, come il mio cuore. Nessuna nuvola minacciava il bel tempo e così il sole splendeva, illuminando tutto intorno a sé.
All'improvviso sentii qualcosa toccarmi la mano. Con timidezza, Anja la prese nella sua,stringendola, come si stringe un oggetto prezioso.
Questo è uno dei ricordi più belli che conservo di lei >
Yeva sospirò e si sistemò meglio sulla sedia. I suoi occhi erano un po' arrossati, ma non c'erano lacrime ad offuscarle la vista. Probabilmente le aveva finite già da tempo.
< La nostra storia durò due anni > ricominciò. < Fu un periodo assolutamente indimenticabile. Cercavamo in ogni modo di mantenere la questione nascosta alla sua famiglia e quel velo di segretezza che ci circondava rendeva tutto più emozionante. Un giorno Anja mi diede una testata, fingendo di giocare, per non far scoprire alla madre che ci stavamo baciando in camera sua. Al pensiero sento ancora male alla fronte > ridacchiò al ricordo la donna, portandosi una mano sul viso.
Poi riprese a parlare, la sua voce si era leggermente indurita.
< Ma fu tutto inutile. Forse per colpa nostra o per merito suo, quella dannata donna ci scoprì. Non avevo mai visto una faccia così furibonda e delusa in vita mia, e ancora adesso non ne ho vista nessuna che possa eguagliarla. "Cosa ho sbagliato con te? Che cosa ho fatto per meritarmi una figlia del genere?" continuava a ripetere, stringendole un braccio. Poi venni più volte insultata,chiamata "mostro" o "sbagliata","invertita". E intanto la mia rabbia saliva e saliva sentendo quelle parole così cariche di odio e fissando quella mano che fasciava troppo forte il braccio della mia compagna. Mi mossi per aiutarla, ma Anja mi pregò di stare ferma. Poi la donna la trascinò via bruscamente, incurante del dolore che poteva arrecarle e questo mi rese ancora più furiosa. Mi sbatté fuori di casa in tempo zero. "Non preoccuparti, andrà tutto bene" cercò di rassicurarmi Anja prima che me ne andassi, sfoggiando un sorriso che mi prese il cuore e lo portò via con sé, senza mai restituirmelo.
Con una scusa la madre si inventò che sarebbe stata assente da scuola per diverso tempo e nessuno le disse nulla. La rividi solo di sfuggita qualche settimana più tardi, notando come la sua pelle pallida fosse cosparsa di lividi e ferite. Allora cercai di parlare con la sua famiglia ma ottenni solo altri insulti, accompagnati da minacce. Non so quanti tranquillanti ingurgitai quel giorno per non perdere la ragione. Sapevo che se avessi fatto qualcosa Anja non me lo avrebbe mai perdonato, anche se non capivo come facesse ad essere legata ancora a quelle persone con tutto ciò che le stavano facendo passare. Poi accadde il peggio.
Era più o meno un mese e più che non la vedevo quando un titolo di giornale mi saltò all'occhio. "Tragedia familiare: morta diciannovenne" recitava. Presa dalla curiosità lo lessi tutto quanto, senza fiatare. Ben presto la curiosità si trasformò in orrore.
La mia Anja era morta. Morta per colpa di quella lurida donna che la picchiava. Ed era proprio quando cercava di scappare dall'ennesima sfuriata che inciampò, cadendo per le scale.
Non ero mai stata così arrabbiata, ma neanche così disperata. Strappai il giornale e gridai così forte che l'urlo risuonò per tutta la casa. In quel momento con me c'era un infermiere che spesso veniva a controllarmi e in quel momento stava chiacchierando con mia madre. Entrambi accorsero in soggiorno e mi trovarono riversa a terra, con la testa vicina al pavimento, gli occhi gonfi di lacrime e le mani che tiravano i capelli. Venni sedata all'istante e portata in camera mia, mentre la dottoressa che mi aveva in cura veniva avvertita.
Nei giorni seguenti, provai più volte a recarmi da quei farabutti di genitori, ma mi fu impedito di uscire di casa. Dicevano che non sarei stata in grado di mantenere la calma e avrei potuto far loro del male. Oh, l'avrei voluto in verità. Di certo non era per un'amorevole chiacchierata che volevo incontrarli.
Quando ci fu il funerale mi venne concessa un'uscita, a patto che almeno un infermiere mi accompagnasse. Lì, in chiesa, scoprii che sia la madre che il padre erano stati arrestati e che quindi non avrebbero potuto partecipare alla cerimonia. Mi avvicinai alla bara, posta davanti all'altare. Sul coperchio era poggiata una foto di Anja. Pensavo che non sarei più riuscita a vederla, ma eccola là, ferma ed immobile ad aspettarmi. Sembrava una bambolina con quel vestito bianco latte. Mi aveva sempre detto che odiava quell'abito e che non se lo sarebbe mai messo, preferendo i pantaloni ad una roba del genere. Eppure una volta riuscii a farglielo indossare, dopo non so quante suppliche.
"Contenta adesso?" mi aveva ringhiato, dopo essere uscita dal bagno. Era arrossita fino all'inverosimile e cercava in tutti i modi di evitare il mio sguardo. Sorrisi a quella vista ma lei si offese, pensando che la stessi prendendo in giro. Un attimo dopo mi buttai su di lei e le feci il solletico finché non smise di tenere il broncio. Poi non so quanti complimenti le feci, ma per me non erano mai abbastanza. Mi aveva concesso di scattarle una solo foto, che però avrebbe tenuto lei. E adesso eccola lì, quella foto che doveva rimanere solo un segreto, ma che invece potevano vedere tutti.
Ricordando tutto ciò, sentii gli occhi riempirsi di lacrime. Quei giorni erano finiti e non sarebbero più ritornati, insieme al mio cuore e a quella poca sanità mentale che mi era rimasta. La guardai ancora per qualche secondo, poi mi allontanai. Cercai di trattenere i singhiozzi almeno fino alla panca dove era il mio accompagnatore, ma mi ritrovare a piangere prima di sedermi. Iniziai a sentire il fiato corto e le palpitazioni aumentare, finché non mi venne consigliato di uscire. L’infermiere mi portò fuori, ma non me la sentii di rientrare. Tanto niente di quello che avrei potuto fare me l’avrebbe riportata indietro. Così ritornai a casa prima dell'inizio della funzione, senza smettere di singhiozzare >.
Yeva si concesse una breve pausa e bevve un po' dell'acqua sul suo comodino. Il suo viso aveva perso qualsiasi espressione, quasi avesse messo una maschera.
< Da quel momento, non ci fu più niente, solo indifferenza. Smisi di studiare e non fui ammessa all’esame finale. Solo sotto preghiera di mia madre, riuscii a passare l'anno dopo, più per misericordia che per altro.
Provai a togliermi la vita diverse volte, perché tanto per me non c'era futuro. Nessuno mi avrebbe preso a lavorare nelle condizioni in cui stavo e quindi sarei stata solo un peso per mia madre. Non che adesso la situazione sia diversa, se potessi non ci penserei due volte a farla finita >.
Il dottore ascoltava attentamente le parole della donna, pensando a quanto fosse convinta di quello che stava dicendo. Ma per lei, quell'uomo che le stava davanti non era altro che l'ennesimo individuo chiamato dai suoi aguzzini per visitarla. In otto anni le cose non erano mai cambiate. 
ripeté, come se quello fosse il fulcro di tutta la faccenda. Poi continuò con un tono più freddo, quasi come se fosse estranea alla vicenda.
< E, infine, mi è arrivata voce che è spirata anche mia madre, qualche tempo fa. Pace all'anima sua >.
Si girò a guardare la finestra del muro alla sua destra e seguitò, dialogando più con sé stessa che con il dottore.
< Adesso posso dire di essere rimasta sola. Sola e vuota. Ormai non mi importa più di nulla. Penso che se morissi domani, non mi cambierebbe niente, anzi, ne sarei quanto meno felice.
D'altronde che importanza ha una vita inutile e monotona come la mia? Passo la maggior parte del mio tempo in questa stanza, guardando fra le sbarre della finestra, domandandomi come sarebbe essere come le persone che camminano per strada. Chissà quanto sarebbe diverso dallo stare rinchiusa qui, a nutrirsi di ricordi e di pasticche >. 
 
 
 
 
 
 
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Ed ecco pure il secondo capitolo.
Mi scuso ancora se la cosa sembra un po’ campata per l’aria, spero di non aver infastidito nessuno.
Non smetterò mai di ringraziare chi legge.


 
Saluti,
Why_

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