L'occasione non richiesta

di Verdonica
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il primo agognato giorno ***
Capitolo 2: *** “E crescendo impari che la felicità non è quella delle grandi cose. ***
Capitolo 3: *** Se non c’è fiducia, cos’altro rimane? ***
Capitolo 4: *** Quello che le donne non dicono. ***



Capitolo 1
*** Il primo agognato giorno ***


 Bocciata dalla vita.
Ecco come si sentiva nei suoi mo
menti più melodrammatici. Altrimenti si definiva semplicemente una sfigata troppo immatura per capire a cosa stava andando incontro. Ovvero l'eternità in uno stupido liceo di provincia.

Amelia, diciotto anni, di aspetto piacente e carattere scadente, avrebbe dovuto affrontare la maturità con i compagni con cui aveva iniziato il liceo. In realtà a lei sarebbe spettata un’impresa assai più ardua: superare l’ostacolo della terza. Ebbene si, quell’anno si sarebbe trovata, e non per caso, per la terza volta in terza liceo scientifico.

Chi sosteneva che il tre fosse il numero perfetto? Non lei di certo.
In ogni modo oltre al suo grande senso melodrammatico, che pensava le avrebbe fatto fare una discreta carriera nel mondo dello spettacolo se avesse voluto (aggiunto ovviamente alla sua grande abilità nel mentire e farsi credere), per tutta la sua carriera, fallimentare, scolastica… lei provava vergogna, e non poca. Appurato ovviamente che fosse stata tutta colpa sua, cosciente del fatto che non ci fossero altri responsabili e che il risultato fosse semplicemente dovuto alla sua mancanza di maturità, aveva pensato anche a soluzioni estreme, quali cancellarsi dalla faccia della terra per non provare l’onta della dicitura “pluribocciata”. Ovviamente il tutto sarebbe stato molto teatrale, data la sua innegabile vena artistica.

Resasi conto dell’assurdità della cosa e che magari non fosse l’idea migliore per lei, i suoi genitori, i suoi fratelli, sua sorella, i suoi amici, e il fatto che volesse fare sesso almeno una volta prima di andarsene, la fecero optare per una scuola privata.
Un ottimo compromesso.
Ottimo finché non ci mise piede, ovviamente.
Aveva un bel dire, sua madre, che era un’occasione. Si, e che occasione!

Sin dal primo momento, bisogna dirlo, era stata piuttosto restia a frequentare una scuola privata, altresì definita paritaria (come se cambiasse qualcosa, poi: il succo era che si doveva pagare una retta spropositata), per ovvi motivi.
Primo: bisognava pagare. E nonostante l’ovvietà della cosa, la trovava una gran scocciatura. Perché pagare per essere istruiti? Perché pagare per essere formati? Perché pagare per non essere ignoranti e abbindolati, inevitabilmente?
Secondo: era una scuola cattolica. Perché si, i suoi genitori ovviamente non potevano scegliere una scuola solo privata, ma dovevano anche trovarla cattolica. Diretta da un frate. Un frate, capite? Abominevole per Amelia.
Terzo, ma non per importanza: i cosiddetti “mucci con la puzza sotto il naso”. Peggio dei francesi, insomma. Perché Amelia si credeva una gran conoscitrice del mondo e quindi già sapeva che tipo di persone avrebbe trovato, ovvero quella categoria di persone che si riteneva superiore agli altri solo per la propria disponibilità economica, cosa non di poco conto negli ultimi tempi, è vero, ma pur sempre un motivo sciocco per ritenersi migliori. Sommandolo al fatto che sarebbe stata in classe con persone di due anni meno, si sentiva male al solo pensiero.

Aveva passato l’estate così, lei. Ad ironizzare su ogni minimo aspetto della sua futura scuola per evitare di vedersi, e farsi vedere, effettivamente in ansia. Purtroppo in questo modo non aveva ritardato l’arrivo di settembre, così, mentre ancora festeggiava il suo tanto atteso diciottesimo compleanno, si ritrovava a pensare a come avrebbe fatto a trovare la sua classe in quel castello che l’aspettava come scuola.

Ed era arrivato. Quel primo giorno, tanto agognato, e non per il piacere di viverlo, era arrivato. Tra l’altro, con due giorni d’anticipo.
E mentre camminava verso la scuola, in una cittadina ancora addormentata visto il ritardo di apertura delle altre scuole, si chiedeva se qualcuno avrebbe potuto notare l’assenza di una ragazza mai vista.
E mentre camminava verso la scuola, in una mattina ancora fresca data l’ora non tarda, si chiedeva se il suo cuore sarebbe potuto scoppiare per la velocità con cui batteva.
E mentre entrava dal portone della scuola, in uno stato d’animo per niente ottimale, le si dipingeva in volto una smorfia tra lo schifato e il rattristato.
E mentre si dava dell’idiota mentalmente, perché se si trovava lì era solo colpa sua, si chiedeva se qualcuno avrebbe potuto indicarle la classe.

E poi trovò quel qualcuno.

Un simpatico signore, custode del piano, la accompagnò persino in classe, augurandole un felice anno. E lei gli sorrise, ironica.
E poi, voltandosi, incominciò tutto.
Sorridendo impacciata a quei visi che le si paravano davanti, veri proprietari della classe in cui era approdata quasi per sbaglio, raggiunse un banco in seconda fila vicino al muro e vi si stazionò, decisa a non lasciarlo più.
Con un sorriso altrettanto impacciato la raggiunsero dei ragazzi dopo un paio di minuti.
-Sei nuova?- chiese il primo.
“No, ero qui anche l’anno scorso, però non devi avermi visto”. Ecco la solita vena acida che stava per scattare. Amelia si autocensurò e rispose con un semplice –Si- e tese la mano.
Qui incominciarono una sfilza di nomi che, dopo appena trenta secondi, aveva già scordato. Le proposero di fare un giro e lei, presa alla sprovvista, accettò.
Grave errore.
Dopo infatti appena cinque minuti era da sola in mezzo al cortile, circondata da persone mai viste che sapevano esattamente dove andare, a differenza sua.
Aveva due opzioni: chiamare la mamma o fare emergere il suo senso dell’orientamento scout, mai venuto a galla fino a quel momento, per ritrovare la sua classe.
Decise di tenersi la chiamata per l’emergenza successiva e cominciò a vagare nei corridoi alla ricerca del suo amatissimo banco. Lo trovò, dopo aver fatto il giro dell’oca, e decise che si sarebbero lasciati solo per emergenze come la pipì, da quel momento in avanti.

Arrivò la prima professoressa, le prime domande, richieste, presentazioni. Le prime ore buttate via, del primo giorno. E più la giornata continuava, più scopriva un mondo a cui lei non era concesso entrare ma solo guardare, un po’ come stava scritto nelle vetrine dei negozi: “guardare ma non toccare, rivolgersi al commesso”. E più scopriva quel mondo, più rimaneva a bocca aperta. Perché era un mondo dove tutto era basato sull’apparire, sul luccichio dei propri accessori, sulla firma dei propri accessori.
Accessori che ad Amelia mancavano.
Accessori di cui, fortunatamente, non sentiva la mancanza e non aveva intenzione di cominciare a sentirla.
Perché Amelia, dopotutto, quando voleva era forte. O meglio, era forte riguardo queste cose: il non lasciarsi corrompere dai beni materiali, l’essere integra e seguire sempre la sua morale, non farsi abbindolare. E se qualcuno aveva dei problemi con lei per come si comportava riguardo i punti sovra citati, non ci metteva né uno né due a dirgliene di tutti i colori, ovviamente con diversi spruzzi d’acidume, mettendolo a tacere.

Amelia era brava con le parole, bisognava ammetterlo. Ma ancor meglio se la cavava con le parole scritte che con quelle pensate e dette al volo, perché per quelle si faceva in fretta a sbagliare, una volta che le dicevi non te le potevi rimangiare. Mentre nelle parole scritte, Amelia trovava un fascino tutto suo. Amava rileggerle, con diverse tonalità, cancellarle e cambiarle, per trovarne di più azzeccate. Per non parlare poi delle concordanze dei tempi.

Arrivò la seconda professoressa, poi la terza ed infine la quarta.
E la prima giornata finì. Non si può dire che volò perché per Amelia il tempo non era esattamente passato velocemente, però passò fortunatamente.

E quello che apprese da quel primo giorno di scuola, intenso a suo modo, furono diverse cose: per raggiungere la sua classe, salite le scale, doveva girare a destra, i bagni stavano nell’altro corridoio e mancavano solo 199 giorni alla fine della scuola.

E lei ce l’avrebbe fatta ad uscirne viva.

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Capitolo 2
*** “E crescendo impari che la felicità non è quella delle grandi cose. ***


Si avvicinava la fine della settimana ed Amelia ne era segretamente, o forse non poi così tanto, felice.
Era finalmente giovedì.
Era sopravvissuta a tre giorni. Non credeva importasse come, lei ce l’aveva fatta.

In realtà fino a quel momento era stato tutto nella norma, incluso il suo essere perennemente da sola. Poco importava però per lei, non riteneva importante farsi degli amici in quell’ambiente. Il solo accenno alla sua attività scoutistica aveva provocato l’ilarità generale in classe e dunque non riteneva una gran perdita non avvicinarsi a quelle persone. In aggiunta a questo, gli sguardi che le avevano rivolto perché dopo la lezione di educazione fisica non si era tolta i pantaloni della tuta per rimettersi i jeans e non si era ritruccata l’avevano lasciata allibita. E ciò rafforzava solo il suo odio per quel posto.

 

Arrivata come di consueto presto, in classe, fece tappa in bagno per una pipì veloce pre lezione. Al suo ritorno, però, avevano pensato bene di farle trovare il suo zaino tre file più indietro, in un banco da solo. Ferma sulla soglia della porta riflettè sul da farsi, aveva di fronte a sé due opzioni: fregarsene e stare da sola in fondo alla classe o riprendere il suo zaino e posizionarsi dove era stata fino a quel giorno.
Benché il suo animo fosse decisamente quello di una guerriera che combatteva le ingiustizie del mondo per abbattere i cattivi che sopprimevano i poveri, decise di optare per un atteggiamento pacifico per una volta. Così si sedette dietro, sotto lo sguardo silenzioso dei suoi compagni a cui lei non fece assolutamente caso.
Ed aspettò l’inizio ufficiale della giornata.

Decise di occupare il tempo prima della lezione con una sana lettura. Quel giorno aveva con sé un libro di poesie che aveva trovato in casa sua e lo riaprì da dove lo aveva lasciato l’ultima volta.
 
“E crescendo impari che la felicità non è quella delle grandi cose.
Non è quella che si insegue a vent'anni, quando, come gladiatori si combatte il mondo per uscirne vittoriosi.
La felicità non è quella che affannosamente si insegue credendo che l'amore sia tutto o niente, non è quella delle emozioni forti che fanno il "botto" e che esplodono fuori con tuoni spettacolari, la felicità non è quella di grattacieli da scalare, di sfide da vincere mettendosi continuamente alla prova.
 
Crescendo impari che la felicità è fatta di cose piccole ma preziose, e impari che il profumo del caffè al mattino è un piccolo rituale di felicità, che bastano le note di una canzone, le sensazioni di un libro dai colori che scaldano il cuore, che bastano gli aromi di una cucina, la poesia dei pittori della felicità, che basta il muso del tuo gatto o del tuo cane per sentire una felicità lieve.

E impari che la felicità è fatta di emozioni in punta di piedi, di piccole esplosioni che in sordina allargano il cuore, che le stelle ti possono commuovere e il sole far brillare gli occhi.
E impari che un campo di girasoli sa illuminarti il volto, che il profumo della primavera ti sveglia dall'inverno, e che sederti a leggere all'ombra di un albero rilassa e libera i pensieri.
 
E impari che l'amore è fatto di sensazioni delicate, di piccole scintille allo stomaco, di presenze vicine anche se lontane, e impari che il tempo si dilata e che quei 5 minuti sono preziosi e lunghi più di tante ore, e impari che basta chiudere gli occhi, accendere i sensi, sfornellare in cucina, leggere una poesia, scrivere su un libro o guardare una foto per annullare il tempo e le distanze ed essere con chi ami.
E impari che sentire una voce al telefono, ricevere un messaggio inaspettato, sono piccolo attimi felici.
E impari ad avere, nel cassetto e nel cuore, sogni piccoli ma preziosi.
E impari che tenere in braccio un bimbo è una deliziosa felicità.
E impari che i regali più grandi sono quelli che parlano delle persone che ami.
E impari che c'è felicità anche in quella urgenza di scrivere su un foglio i tuoi pensieri, che c'è qualcosa di amaramente felice anche nella malinconia.
 
E impari che nonostante le tue difese, nonostante il tuo volere o il tuo destino, in ogni gabbiano che vola c'è nel cuore un piccolo-grande Jonathan Livingston.
E impari quanto sia bella e grandiosa la semplicità.” Anonimo
 
Amelia si era appena innamorata di Anonimo.
Ancora allibita per le veritiere parole, si alzò all’arrivo della professoressa e mise via il libro, pronta, o quasi, ad iniziare la giornata.
Il tempo passava lento e lei, annoiata come non mai, cercava di seguire la lezione ascoltando cose che, purtroppo, aveva già sentito un milione di volte.

Ad un certo punto qualcosa la colpì in testa. Stupita cercò con lo sguardo cosa le era arrivato addosso. Non vedendolo pensava fosse stato tipo un insetto, o addirittura si stava convincendo d’esserselo immaginato, quando la vide.Una piccola pallina di carta a terra. Prendendola, la aprì e, suo malgrado, vi trovò un messaggio quasi sicuramente rivolto a lei.

“Pezzente”

Semplice ed efficace.

Lo fissò per un paio di minuti, poi, infilandolo sotto il banco, tornò a osservare la professoressa, tutto fuorché attenta. Con la coda degli occhi cercava d’osservare i suoi compagni che purtroppo non le prestavano molta attenzione. E, con l’angoscia nel cuore, si rassegnò e si perse tra i suoi pensieri.

Le ore le scivolavano addosso a quel punto.
Amelia, sfortunatamente, non era capace di soprassedere a tutto e quella ne era la dimostrazione. Certo, sapeva anche lei che era finita in una classe con dei bambini viziati convinti di poter tutto, ma non si aspettava anche gli insulti. Pensava, sperava la lasciassero nel suo brodo, da sola, ad affogare nella malinconia e nostalgia dei suoi amici.

Amici.
Tommaso.
Le mancava Tommaso, terribilmente. Il suo amato vecchio compagno di banco, di risate, di scherzi.
Era pazza di Tommaso. Ebbene si, Amelia s’era presa una sbandata, nota ai più tranne che a lui, fortunatamente.

Uscita da scuola, a fine giornata, ancora intontita, accese il cellulare e le arrivò, puntualmente, il messaggio che aspettava. Nonostante ormai fosse per loro consuetudine sentirsi con assiduità, ogni volta che leggeva il suo nome sullo schermo del telefono il suo viso si illuminava e sorrideva da sola, sentendo aumentare il battito cardiaco.
Stupido cuore.

Le ore di biologia sono decisamente tristi senza di te.”

Gongolando per quel breve, ma per lei importantissimo, messaggio, gli rispose.

“Penso che non sopravviverò là dentro. Perché non mi hai fermato quando ti ho detto che cambiavo scuola?!?!?! :( ”
“Come scusa? Ma se ci ho provato per giorni!!”
“Evidentemente non abbastanza! Non mi hai dato abbastanza motivi per fermarmi…”

E zam, frecciatina che sicuramente non avrebbe compreso.

“Lo sapevo che alla fine veniva fuori che era colpa mia, hahaha.”

Frecciatina che non aveva compreso, come volevasi dimostrare.
Probabilmente Sara l’avrebbe capita.

Perché si, c’era un piccolo dettaglio che Amelia soleva trascurare: Tommaso stava con Sara.

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Capitolo 3
*** Se non c’è fiducia, cos’altro rimane? ***


Lunedì: giorno di allenamenti.
Quel pomeriggio avrebbe ripreso lo sport che amava praticare e che l’aiutava a sfogarsi. In definitiva la pallavolo.
Altro aspetto positivo di quella giornata: avrebbe visto Tommaso, dato che anche lui giocava a pallavolo e la praticava nella sua palestra. Si incrociavano sempre: lui usciva e lei entrava.
Aspetto negativo di quel magnifico evento: avrebbe visto effusioni d’affetto tra i due piccioncini, se lei fosse passata a prenderlo.

Vomitevole.

Senza contare che Sara aveva un’idea ben precisa di lei, ovvero quella di una mangia-ragazzi. Si era messa in testa, e non poi così tanto assurdamente, che Amelia era interessata a Tommaso e che stesse facendo di tutto pur di conquistarlo. Quello che però Amelia non sapeva, e probabilmente nemmeno Sara consciamente, era che credeva che Tommaso, nel profondo, la ricambiasse. E dunque, in conclusione, che lei, Sara, ci sarebbe rimasta fregata, per dirla in termini accettabili.
Tommaso lo aveva scoperto ed era corso, letteralmente, a dirlo ad Amelia, cosa che ovviamente aveva fatto imbufalire ancora di più la sua ragazza. Amelia ne aveva riso davanti a lui e aveva tagliato corto, dicendogli che se ci credeva era un folle. Lui, ovviamente, aveva preferito credere all’amica. Dopotutto, era stata la cosa più semplice.
E tutto s’era concluso così, tranquillamente.
L’argomento di tanto in tanto usciva ancora e loro due, per parlarne implicitamente, la definivano “quella storia”.
 



Dopo una veloce mattinata, passata a scuola, all’insegna della sopravvivenza, non vedeva l’ora di recarsi in palestra. Era qualche giorno che non riceveva notizie da Tommaso e ne era sinceramente preoccupata. Amelia non riusciva a capire cosa avesse, infatti aveva letto più e più volte i loro ultimi messaggi e non ci trovava nulla di che: niente che avesse potuto farlo arrabbiare o scocciare, niente di cattivo, acido, maleducato. Niente.

Arrivata l’ora, si cominciò a preparare e poi uscì. Il tragitto non era lungo e lo faceva tranquillamente a piedi, con la borsa a tracolla. Quasi di corsa, quel giorno, ci mise la metà del tempo che di solito impiegava, ed entrò come una furia in palestra.
Lo vide. Stava finendo d’allenarsi con delle schiacciate a rete, così si mise a guardarlo dalle tribune, senza fare segni per non disturbarlo e deconcentrarlo.
Quando dopo dieci minuti finì e mise via il pallone rimanendo indietro rispetto ai suoi compagni, Amelia si alzò per raggiungerlo, ma lui, vedendola, accelerò il passo e fece in modo di non incontrarla: mossa che alla ragazza non sfuggì.
Rimanendoci male, capì che la stava evitando: non ci sarebbe voluto un genio per arrivarci. Tuttavia Amelia non era una ragazza che si arrendeva subito, così si mise ad inseguirlo, ma lui s’era già infilato nello spogliatoio.
Aspettò che uscisse per una decina di minuti. Il suo allenamento ormai stava per iniziare, ma non le importava: prima doveva sistemare quella faccenda.
La porta si aprì e lui si stupì di vederla ancora lì. Facendo come se nulla fosse, le passò davanti senza proferire parola e, nella fretta che aveva, gli cadde il cellulare dalla tasca, ma non se ne accorse. Amelia prima di seguirlo lo raccolse e lo guardò, era ancora aperto sull’ultimo messaggio.
 
Da: Sara
Ora: 18:07
Se tu fossi biondo, irlandese e cantante in una band conosciuta ovunque saresti l’uomo dei miei sogni. Per ora devi accontentarti d’essere l’uomo della mia vita. Ti amo Tommi. Chiamami quando sei a casa.

Vomitevole al quadrato.

Riprendendosi dallo shock, cominciò a correre verso l’esterno della palestra e vide Tommaso che s’allontanava dalla struttura.
-Tommaso! Tommaso! Tommi! Porca miseria aspettami!!-continuava a ripetere mentre gli era alle calcagna. Una volta raggiunto lo afferrò per un braccio e lo fece girare.
-Ma che diavolo hai, si può sapere?-
-Silenzio stampa- replicò lui, semplicemente.
-Sai dove te lo metto il tuo silenzio stampa? Non farmi diventare volgare e parla. Adesso. Non puoi più evitarmi- disse Amelia, mettendoglisi davanti a braccia incrociate, nonostante gli arrivasse solo alla spalla.
-Dai Amelia, sono stato ottuso per abbastanza, non trovi? Chiudiamola qui- e cercò di superarla, ma lei si mise in mezzo.
-Prego? E che fine ha fatto il binomio Amelia-Tommaso?- Chiese Amelia gesticolando, agitata.
-Tutto ha una fine, non lo sapevi?- spostò lo sguardo sopra la figura che aveva davanti, nel vuoto.
-Piantala di fare il bambino e dimmi che hai.-
-Dimmelo tu-. A quel punto, puntò lo sguardo fisso negli occhi dell’amica, con un’espressione dura, quasi arrabbiata, di consapevolezza.
-Io non ho niente, sei tu quello che mi evita- replicò Amelia incerta. Stava capendo, magari aveva già capito. L’aveva colto da quel bagliore che era apparso nei suoi occhi mentre parlava. Era fatta, niente più bugie allora. Da quel momento sarebbe stato tutto alla luce del sole.
-Ne sei così sicura? Non sembra dalla tua faccia-.
-Ti ha fatto il lavaggio del cervello- concluse lei, cercando di far finta di niente.
-No, non mi ha fatto il lavaggio del cervello. Mi ha aperto gli occhi-.
-Ah, certo. E tu ovviamente preferisci credere a lei che a me, non è vero?!- disse Amelia, offesa, accentuando il tono di voce alla parola “lei”.
-Perché dovrei crederti?- sputò, rabbioso.

Quello fece male. Fece tanto male ad Amelia. Voleva dire che per lui, lei, ormai non era più nulla? Come se fosse semplicemente una tra le tante?
Amelia sentì qualcosa dentro di lei che si rompeva. No, non era il suo cuore. Dopotutto quello si sarebbe rotto solo se lui le avesse detto chiaramente che tra loro due non ci sarebbe stato mai e poi mai nulla. No, quello che s’era rotto dentro ad Amelia era qualcosa di ben più grave d’un cuore, qualcosa che non necessitava solo di qualche cerotto e un po’ di cure per farlo riprendere.
Quando si rompe un rapporto d’amicizia, il percorso di riabilitazione è ben più lungo e intricato di qualsiasi altro. Se non c’è fiducia, cos’altro rimane?

-Beh, se non lo sai è tanto inutile parlarne- disse lei, abbassando la testa e tornando sui suoi passi, superandolo.
-Avanti, Lia. Sai che non intendevo quello…- cercò di rimediare, Tommaso, in maniera piuttosto inconcludente.
-No, non lo so!- Si voltò di nuovo per guardarlo, con quasi le lacrime agli occhi. –Non lo so perché non mi parli, non lo so perché mi eviti. Non lo so perché preferisci lei a me!-
-Beh, scusa se lei è la mia ragazza!-
-Bene!-
-Bene!-
Ad Amelia montò ancora più rabbia e, nell’impeto, decise di darle sfogo.
-Oh, ma vai al diavolo Tommaso! Ero venuta solo per ridarti questo- e gli lanciò addosso il cellulare, che lui prese prontamente al volo, –e chiederti come stessi! Ma evidentemente l’interesse è univoco!- Detto ciò, cominciò a camminare velocemente verso la palestra, per poi fermarsi di nuovo e voltarsi a guardarlo. –E per la cronaca, tu non se l’uomo della mia vita!- concluse rabbiosa, urlando, lasciando finalmente libere le lacrime che chiedevano già da tempo di uscire. Fissandosi un’ultima volta sul suo volto, shoccato e, si, anche un po’ triste, se ne andò, ignorando il ragazzo che cercava di richiamarla a sé.

«Sei l’uomo dei miei sogni» concluse dentro di sé, la ragazza.

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Capitolo 4
*** Quello che le donne non dicono. ***


Auguri! Sei diventata grande finalmente e da ora in avanti sarà solo in salita! Diciotto anni sono un traguardo (detto da uno che ancora non li ha…) e quindi vanno festeggiati degnamente! A questo proposito, qui allegato c’è il mio regalo. Non è voluminoso, ma sono sicuro che lo apprezzerai davvero molto.
Occhio ai caramba che, se questa volta ti fermano, in questura ci finisci te!
Buon compleanno Lia, sei la migliore.
Ti voglio bene,
Tommi
 
P.S.: non ammetto sentire problemi tipo “dove dormo”, per quello c’è il viaggio.
P.P.S.: non è un modo implicito per autoinvitarmi, portaci chi vuoi. L’importante è che ti diverti.


Le aveva regalato due biglietti del treno andata e ritorno per il suo compleanno, per passare un weekend a Roma e, essendo decisamente senza ragazzo, lei aveva avuto la possibilità di scegliersi l’accompagnatore. Aveva ritenuto decisamente sciocco pensarci per più di un minuto, dato che aveva saputo fin da subito chi portare. E lui aveva ovviamente accettato, di buon grado, di farle da accompagnatore. Quello era stato il vero regalo per Amelia. Un weekend a Roma con il suo migliore amico, alias “sbandata colossale”.
Erano iniziati lì i problemi, più o meno, dato che al ritorno da quel viaggio lui si era fidanzato con Sara…
 

***
 

-E’ proprio vero che il destino gioca brutti scherzi- commentò Greta da sopra la spalla di Amelia vedendo cosa aveva appena ritrovato nella sua stanza, in quel pomeriggio di pulizie generali.
-Il destino non esiste, Gre- replicò annoiata l’amica, ripiegando il biglietto e riponendolo dove l’aveva trovato.
-Destino, fato, caso, fortuna, sfiga, provvidenza divina… chiamalo come vuoi- ribattè voltandosi e tornando a piegare dei vestiti di Amelia che erano accatastati da settimane su una sedia. –Ci hai più riparlato?- buttò lì, come se nulla fosse.
-Intendi dall’ultima volta che me l’hai chiesto, ovvero due ore fa? Direi di no- disse acida Amelia, passando velocemente lo sguardo sul cellulare che non segnalava messaggi ricevuti.
-E hai intenzione di continuare così per molto, Lia?-chiese voltandosi e incrociando le braccia sotto il seno. –E non chiedermi “così come?”, signorina- l’anticipò vedendo che stava aprendo la bocca per ribattere. Di fatto la richiuse subito, come zittita.
Greta le sorrise, bonaria. Non la biasimava per quello che stava facendo, ovvero piangersi addosso, perché lei per prima l’avrebbe fatto. Voleva solamente il meglio per la sua amica e, da brava amica, in quelle situazioni doveva ricoprire il ruolo di spronatrice.
-Se ti chiedessi “come stai?” che mi diresti?- continuò, imperterrita.
-Se ti dicessi “bene” mi lasceresti stare?-replicò con lo stesso tono, Amelia.
-Ovviamente no- le sorrise, prendendo un’altra maglietta e piegandola, per poi riporla in un cassetto dell’armadio.
-Ok, allora mi avvalgo della facoltà di non rispondere-.
-Dai, Lia. Sinceramente.- Greta si voltò e si sedette sul letto per guardarla, anche se Amelia al momento le dava le spalle.
-Sinceramente? E’ una merda-.
-Vedrai che passer…-
-Oh, no. Non dirlo neanche per scherzo. Dobbiamo smetterla di raccontarci palle per qualsiasi cosa. La nostra è una categoria malata! Noi donne abbiamo qualche serio problema. Preferiamo non dirci la verità per paura che l’altra stia male e così la riempiamo di palle, quando poi, tacitamente, tutte sappiamo che nessuno pensa ciò che dice- si voltò esasperata guardando l’amica che la osservava dubbiosa, ma in silenzio, assorta. –Dico sul serio, Gre!-
-Sai cosa mi ricorda?-
-Cosa?- chiese Amelia, voltandosi di nuovo e dandole le spalle, ricominciando a pulire la zona bassa dell’armadio che era piena di cianfrusaglie.
-Un film, com’era il titolo?-
-La verità è che non gli piaci abbastanza. Si, mi sono ispirata. Ma sai qual è la cosa più triste?- si voltò per guardarla, quasi angosciata.
-Cosa?- strabuzzò gli occhi, curiosa.
-L’ho visto con lui- e quella frase fu seguita da un silenzio iniziale, che dopo poco, si tramutò in uno scoppio, immotivato di risa. E Greta si alzò per abbracciare l’amica, sedendosi a terra vicino a lei.
 

***

 
-Io non capisco, davvero fate così?- chiese il ragazzo stravaccato su un divano all’amica che aveva vicino, in egual postura, mentre guardava la televisione.
-Certo, tutte. Dalla prima all’ultima- gli sorrise lei, ironica.
-Ma perché? E’ masochismo! E’ mentire!- replicò lui, scandalizzato.
-Certo, ma è meglio così che dover spiegare perché lui non ti ha richiamata o non ti ha chiesto di uscire, ancora peggio perché lui ti ha tradita con una palesemente più bella, più magra e probabilmente anche più simpatica di te, con meno paranoie soprattutto.- La giovane ragazza scrollò le spalle tornando a guardare il film in televisione.
“La verità è che non gli piaci abbastanza”. Il titolo era già tutto un programma.
-E perché no?- chiese ancora lui, innocentemente.
Amelia sbuffò e si mise a sedere guardandolo. –Avanti Tommi, che le diresti? “Mi dispiace cara, probabilmente deve essere stato il tuo sedere troppo grosso, o il naso storto, o magari non gli piacevano i tuoi capelli, o forse è per via dei tuoi denti da cavallo, o magari dovresti cominciare a farti la ceretta, o mettere qualche crema per migliorare la tua pelle…” sarebbe devastante, fidati.-
-Siete un mondo a parte- fece lui, arrendendosi.
-Siamo così, dolcemente complicate, sempre più emozionate, delicate, ma potrai trovarci ancora qui…- canticchiò Amelia, distratta, sorridendo poi a Tommaso quando si girò per guardarla divertito.
 

***
 

-A che pensi?- la riscosse dai suoi pensieri Greta, che la stava ancora coccolando e leggermente cullando.
-A niente- mentì in fretta Amelia, sciogliendosi dall’abbraccio per alzarsi e poi guardandola dall’alto. –Dici che devo fare qualcosa, allora?-
-Direi di si, assolutamente- si alzò Greta, entusiasta, per mettersi al suo fianco ed incitarla. -Prendila come un’occasione!-
-Non ti ci metterai anche tu, vero? Basta mia madre con le sue occasioni riguardo la scuola. Io non ho chiesto occasioni a nessuno.- Scosse la testa sconsolata, poi riprese. -Ok, dobbiamo solo decidere la modalità-.
 

***

 
-Ehm, salve signora! C’è Tommaso in casa?- chiese Amelia dal cancelletto, a voce piuttosto alta, per farsi sentire dalla donna che aveva aperto la porta.
-Oh, ciao Amelia! Si, te lo chiamo subito! È di sopra con Sara!-
-Oh, no no no…- sussurrò a voce bassa la ragazza, maledicendosi. Non voleva vedere Sara, già non era sicura di voler vedere Tommaso. Maledisse in quel momento anche Greta per averla convinta.
Dopo poco la porta si aprì nuovamente e spuntò sulla soglia un Tommaso decisamente sorpreso di trovarsi davanti l’amica.
-Amelia?- chiese come se non credesse ai suoi occhi.
-Si, mi chiamo ancora così- replicò antipaticamente.
-Che ci fai qui?- continuò lui avvicinandosi al cancello, non facendoci caso poiché abituato al veleno che sputava di tanto in tanto.
-Pensavo di parlare con te, ma credo che mi sia passata la voglia. Scusa il disturbo- e fece dietrofront.
-E perché mai?- la fermò lui con l’ennesima domanda.
Amelia sospirò e si voltò di nuovo verso di lui. –Magari passo quando lei non c’è- disse facendo un sorriso, finto, e accentuando, come di consueto, la parola lei.
-Buona idea- rispose stringendosi nelle spalle. Risposta che però Amelia non si aspettava e che la turbava parecchio. Così, per capriccio, replicò –Anzi, sai cosa ti dico? Mi è tornata la voglia. Voglio parlare ora- ammiccò, incrociando le braccia, in segno di attesa.
Sapeva anche lui che per parlare aveva bisogno di camminare, quindi ciò implicava il fatto che lasciasse Sara da sola. Tommaso, indeciso, ci riflettè un attimo, poi, come se stesse mandando al diavolo qualcosa, nei suoi occhi si capì cosa stava per scegliere di fare.
-Due minuti e sono fuori. Aspettami- disse semplicemente prima di rientrare in casa ed Amelia sorrise, vittoriosa.
Uno a zero per lei.
 

Camminavano ormai da qualche minuto, nel silenzio totale, senza sapere dove stessero andando. Da quando Tommaso era uscito nessuno dei due aveva proferito parola, alla fine decise di rompere il silenzio lui per primo.
-Allora?- chiese semplicemente.
-Sessanta minuti- replicò lei, indifferente. Tommaso alzò gli occhi al cielo e la guardò: Amelia camminava a testa bassa con le mani in tasta a circa un metro di distanza da lui.
-Riesci ad essere seria?- chiese tranquillamente.
-Posso provarci- si limitò a dire. La sua spavalderia era scomparsa di colpo quando se l’era trovato davanti.
-Te ne sarei grato- replicò, accennando un sorriso. Litigi o meno, rimanevano gli stessi loro due.
Dopo altri due minuti buoni di silenzio, Amelia si decise a parlare.
-In realtà speravo mi sentissi ispirata una volta uscita di casa con te, però non è successo, purtroppo.- Gingillò con le proprie mani, aspettando una parola da parte del ragazzo, parola che però non arrivò. Era piuttosto preoccupata, non era sicura di voler fare quello che aveva deciso con Greta.
-Vi ho disturbati?-
-No- disse lui, semplicemente.
-Sicuro?-
-Quello che stavamo facendo può aspettare-.
E bum, un colpo al cuore. Era quello il problema, secondo Amelia. Come poteva resistere a un ragazzo che le rispondeva così? Come poteva resistere ad un ragazzo che sistematicamente, o quasi, la metteva prima della sua ragazza? Era un tesoro.
-Vedi, è questo il tuo problema- sputò fuori la ragazza, guardandolo storta. –Sei così maledettamente tenero!- Sospirò e non gli diede il tempo di parlare perché riprese subito lei, lentamente. –Ok, forza e coraggio. Sarò sincera, d’accordo?- Tommaso si limitò ad annuire.
-Chiedimelo- continuò Amelia, guardandolo negli occhi.
-Cosa?- le chiese Tommaso, confuso.
-Quella cosa- rispose accentuando la prima parola, per rendere chiaro di cosa stesse parlando.
-E’ come dice lei?- chiese dopo un attimo di silenzio Tommaso, non certo di voler sapere la risposta.
-Si- disse Amelia, non distogliendo lo sguardo e sentendo il suo battito cardiaco aumentare pericolosamente.
-Ah- si limitò a rispondere Tommaso, senza aggiungere nulla perché troppo sconvolto da una simile rivelazione.
-Non vuoi una spiegazione?- chiese, speranzosa di dire la sua versione.
-No- rispose secco il ragazzo. –Perché dovrei? Più chiaro di così non si può-.
La guardò duramente, arrabbiato. Gli aveva mentito per mesi, ma non avrebbe dovuto. Aveva solo complicato le cose. E poi, perché uscirsene adesso con la verità?
Tommaso non se lo sapeva spiegare.
Si fermò di colpo, guardandola. Lei, zittita da quella sua risposta, continuava a guardarlo, triste, ma a lui poco importava.
La lasciò da sola, in mezzo alla strada, senza dire niente.
Avrebbe dovuto digerire la cosa da solo.

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