Cosa fare?

di nephylim88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una bibita al bar... ***
Capitolo 2: *** Pazza, o no? – 1’ finale alternativo ***
Capitolo 3: *** Vattene! – finale alternativo 2 ***



Capitolo 1
*** Una bibita al bar... ***


Sera. Il momento peggiore della giornata. E' il momento in cui mi ritrovo a pensare a lui. Durante il giorno sono abbastanza fortunata, il mio lavoro mi distrae. Certo, non è semplice, in qualsiasi caso. Ci sono dei momenti in cui mi sento morire. Faccio la guida turistica in un museo, e vedo tante, tante, tante persone... e capita fin troppo spesso di vedere una persona che me lo ricorda. Oggi, per esempio, ce n'era uno che aveva il suo stesso pizzetto. Quando l'ho visto mi è mancato il fiato. Sono arrossita, e quasi sono scoppiata a piangere. Grazie al cielo mi sono ripresa subito, e sono riuscita a fare il giro senza lasciare trapelare nulla che mi facesse sembrare poco professionale… o un’isterica totale. Ma mi sento molto in colpa. Questa storia mi sta rovinando la vita. Non riesco più a godermi nulla... i miei amici, il mio ragazzo attuale, la mia famiglia... insomma, sono passati due anni, per amor del cielo! Perché non posso mettermela via una volta per tutte? Mi tradiva, con chiunque. Mi faceva stare male in tutti i modi, sminuendomi anche nel mio lavoro, dicendomi che solo lui era capace di avere a che fare con la gente. Io? Bah, a sentire lui… insomma, se un titolare fosse stato a sentire quell’uomo meschino, mi avrebbe licenziata in tronco, e tanti cari saluti ai diritti dei lavoratori…
Quando stavo con lui mi ero completamente isolata. Il motivo per cui l'ho lasciato non era tanto l'amore che provavo per lui, quanto quello che questo amore mi costringeva a fare. Ero al limite dell'autodistruzione. Vomitavo ogni giorno, urlavo per qualsiasi motivo, anche il più stupido. Avevo perso ogni fiducia in me stessa. Il pensiero di morire era all'ordine del giorno. E lui... A lui non importava...
Entro in bar.
- Ciao Lorena! - mugugno, rivolta alla barista.
- Ciao Meg! - risponde lei, col suo solito tono allegro. So che fa così per lavoro, ma a volte, con i suoi modi cordiali, Lorena mi da l'impressione di essermi amica. E dopo le mie crisi depressive, la sua voce è quasi un balsamo per la mia anima in pena.
- Puoi darmi una coca, per favore?
Senza rispondere, mi presenta davanti una lattina e un bicchiere. Apro, verso e bevo a piccoli sorsi, mentre vado a sedermi a un tavolo.
- Com’è andata la tua giornata?
- Come al solito… - in verità è stata anche peggio. Pazienza per l’uomo col pizzetto, ma ultimamente vivo col terrore di fare qualsiasi cosa. Un paio di settimane fa ho cominciato a temere di perdere la mia salute mentale. Quando sto facendo qualcosa, qualsiasi cosa, tranne pensare a lui (in effetti, fino a un paio di settimane fa stavo vivendo un bel periodo, tutto sommato), ecco che mi arriva un ricordo di  un qualche momento in cui mi ha fatto stare male. Ma non è proprio un ricordo: le emozioni che mi lascia sono tali che sono convinta di fare un viaggio indietro nel tempo. In pratica rivivo tutto. Ogni singolo dettaglio. E mi manca il fiato, mi viene da vomitare, la tentazione di prendere un coltello per farla finita è troppo forte.
 - Ok, non hai voglia di parlare. – Lorena interrompe il mio flusso di pensieri. – vado di là a sistemare la cucina. Chiamami, se hai bisogno! – chissà se Lorena si considera mia amica, o semplicemente una barista che cerca di mantenersi buona una cliente?
- Chi non muore si rivede! – una voce profonda mi fa trasalire. Mi volto. Eccolo lì, con la sua solita bellezza. Il pizzetto, lo sguardo canzonatorio… quell’aria da eterno adolescente anche se ha quarant’anni… è sempre sembrato molto più giovane di quanto lo è in realtà.
- Davide! Che ci fai, qui? – stranamente, con tutto quel casino che provo nei suoi confronti, nel vederlo non sento nulla. Della serie “ok, è lì. Quindi?”.
- Beh, non posso neanche andarmi a prendere da bere?
- Non è il tipo di locale che bazzichi di solito. – rispondo. “l’ho scelto apposta per questo, maledizione!”
- Ho voluto cambiare un po’. E ho visto la tua auto, fuori. Così ho pensato di venirti a salutare.
- Ah.
In verità, ora che lo vedo, più che sofferenza, o amore, provo solo una gran rabbia. La tentazione di lanciargli contro il bicchiere è forte. Ma, checché ne dica la gente, ho molto autocontrollo. Forse troppo, ma c’è da dire che tante volte ho la netta sensazione che se solo lasciassi andare la rabbia che sento dentro, ammazzerei qualcuno. Magari esagero, ma troppe volte mi sembra un pericolo così REALE… meglio trattenersi, insomma, piuttosto che rischiare.
- Allora? Come te la passi? – mi chiede lui. Ormai non dovrei stupirmi. Ho retto quattro anni con lui in condizioni psicologiche disumane. Ma, nonostante tutto, mi sorprende la sua capacità di non capire, o d’ignorare volutamente, i miei sentimenti. Insomma, sono una persona le cui sensazioni sono molto evidenti. Se sono triste, arrabbiata, o semplicemente un po’ contrariata, la gente me lo legge in faccia subito. Non so se è normale e tutti siano così. Ma quello che vedo io è che nessuno si interessa agli altri, anche quando è chiaro che stanno male. Ma quando si tratta delle mie emozioni, tutti quanti sono pronti a farsi gli affaracci miei! E Davide è sempre stato un’eccezione a questa regola. All’inizio mi piaceva, finalmente qualcuno che, una volta nella mia vita, non mi asfissiasse con i suoi “ma stai bene???”. Ma quando ho cominciato a urlargli contro perché non mi ascoltava (peggio, buttava in ridere le mie urla di dolore, quasi sempre mentre ancora piangevo), ho capito che non volevo uno che mi ignorasse così. E l’ho mollato? Ovviamente no… mi sono dovuta ritrovare col mio attuale ragazzo al telefono, mente piangevo disperata, china sul water dopo aver vomitato la prima cena che ero riuscita a mangiare volentieri dopo mesi. Ancora più ovvio… e anche lì, non è stata una decisione immediata da prendere. Nel senso, non gli ho detto “vattene a quel paese”, ma ho assecondato la sua decisione di sparire. Ha deciso che non gli andava di stare con me, e invece di dirmelo, è sparito. Non si è più fatto sentire. Per carità, non che ci abbia messo molto a consolarmi, ma una ferita così brucia, e tanto.
- Stavo meglio prima di vederti, grazie. – rispondo, col mio solito tono acido. Il mio stomaco si contrae. “Buono lì”, penso, rivolta a quell’organo che ho tanto maltrattato.
- Meg, ancora con questa storia?
- E che reazione ti aspettavi, esattamente? – chiedo, rabbiosa. La mia voce ha uno scatto strano, come se avessi avuto un conato. So perfettamente che è la rabbia a farmi quell’effetto.
- Beh, dopo due anni, ci si aspetta che una persona vada avanti con la sua vita.
- Oh, ma io sono andata avanti con la mia vita! Ho trovato un altro lavoro, che mi piace. Ho un altro ragazzo, sto per andare a convivere. – “ma in fondo non sono andata avanti. Non ce la faccio…” – Ma questo non toglie niente al fatto che ti odio ancora. Dimmi la verità, Davide. Davvero ti aspettavi che ti accogliessi a braccia aperte?
- Ma cosa stai dicendo, ora? Ricominci con le tue scene isteriche?
- Non hai risposto alla mia domanda. Non hai mai risposto alle mie domande! Una volta tanto nella tua miserabile vita, DIMMI LA VERITA’! Pensi davvero di meritare un’accoglienza da eroe?
Davide tace. Poi, col tono di uno che deve ingoiare un rospo vivo, mugugna – no.
Mi rilasso. Ma solo un po’. La mia rabbia non si è ancora chetata. Mi ha insultata di nuovo. E io ancora sto qui, ad aspettare… che cosa? Che mi chieda scusa?
- Ma – continua, con un tono da paraculo che so già che mi farà infuriare – tieni conto che in fondo la colpa è stata tua! Insomma, sei tu che attiri certe situazioni. Mi volevi possedere!
- IO, POSSEDERTI??? – perdo il controllo – Hai mai pensato che semplicemente volessi una persona che mi volesse bene? Che me lo dimostrasse? Che non ridesse di me quando stavo male, ma che mi sostenesse? E invece ho trovato uno stronzo come te! Che oltretutto dà tutta la colpa a me! Perché tu sei santo, Davide! Santo subito! È tipico tuo, svicolare da ogni responsabilità!
- Va tutto bene? – la voce di Lorena mi interrompe bruscamente. Avevo dimenticato dov’ero.
- S-sì… scusami per la scenata, Lorena. – borbotto, evitando di guardare Davide.
- Sicura di stare bene, Meg? Mi sembri un po’ scossa.
- Sì, sì. Sono solo un po’ stanca. – le porgo i soldi della bibita. – scusami ancora per la scenata, non volevo perdere la calma così.
Lei prende i soldi senza dire niente. Cerco Davide con lo sguardo, ma non c’è. Dev’essersela svignata. “Tipico suo!”, penso, sprezzante.
Guardo Lorena. Lei risponde alla mia occhiata, con un’aria molto spaventata, come se avessi sacrificato una capra agli dei dell’Olimpo sul bancone del bar. “Fantastico! Un’altra che mi crede pazza!”, sbuffo dentro di me. Le faccio un cenno con la mano, poi esco dal bar. Accendo una sigaretta, e mi avvio verso la mia macchina.

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Capitolo 2
*** Pazza, o no? – 1’ finale alternativo ***


“Ragazza di 27 anni trovata impiccata nella sua stanza. È suicidio”
Lorena guardava il titolo del giornale, impietrita. Erano passati già tre giorni, e non riusciva a gettare via quel quotidiano. Com’era possibile? Come poteva quella ragazza così carina essersi uccisa in quel modo? Cosa le era successo?
“M.B., 27 anni, è stata trovata morta, appesa al soffitto con i suoi pantaloni del pigiama. La sorella, che l’ha trovata e tirata giù, per poi chiamare l’ambulanza, è ancora sotto shock. I genitori, addolorati, non hanno rilasciato dichiarazioni.”
Cosa si poteva dire? C’è cura a un dolore simile? La propria figlia maggiore morta, e non per cause abbastanza superabili come incidenti o malattie. Come superi il suicidio di una persona che amavi? Come fai a guardarti ancora allo specchio, sapendo che tua figlia soffriva, e non sei stata in grado di aiutarla?
“I vicini sostenevano che fosse una persona abbastanza equilibrata. - Aveva fatto preoccupare tutti quando ha avuto una storia con un uomo ben più vecchio di lei. La storia è andata avanti per un paio di anni, forse di più. In verità non me lo ricordo bene. Ma ricordo che era completamente cambiata, non salutava più nessuno, parlava a malapena con i suoi. Nella sua vita c’era solo lui. E quando è finita, è rimasta distrutta, per un po’. - commenta L.C., anziano vicino di casa della famiglia della ragazza. - Da quando l’aveva lasciato, aveva perso un po’ di luce nei suoi occhi. Era molto più disillusa nei confronti della vita. Ma è sempre stata combattiva, si vedeva che, nonostante quella batosta, voleva continuare a vivere. Ha trovato un lavoro, un altro ragazzo, molto più a modo. Si vedeva che lo amava. Aveva ritrovato un po’ di equilibrio. Certo, la storia precedente le aveva lasciato un gran brutto segno, glielo si leggeva in faccia. Ma non immaginavamo che arrivasse a gesti tanto estremi, e a distanza di così tanto tempo!”
Lorena cercava di non piangere, quando all’improvviso entrarono un paio di clienti, facendole interrompere la lettura. Meglio così, non poteva continuare a deprimersi in  quel modo.
- Non sei andata al funerale? – le chiese il vecchio Gualtiero, cliente fisso di quel bar già da prima che lei lo prendesse in gestione.
- No,  - rispose Lorena, con voce rotta. – non potevo lasciare il bar, non avevo nessuno che potesse sostituirmi. E neanche ho potuto chiudere.
- Capisco. – Gualtiero la guardo attentamente, con i suoi profondi occhi verdi. Lorena sapeva perfettamente che aveva capito la reale motivazione. In realtà non se l’era per niente sentita di andarci. Stava troppo male all’idea che Meg, così gentile, anche se piuttosto riservata, fosse dentro a quella cassa di legno. E dopo quello che era successo il lunedì prima…
Lorena scosse la testa. – tu ci sei stato, giusto? – l’abito nero di Gualtiero lasciava ben pochi dubbi al riguardo. Infatti lui annuì. – Com’è stato? – domanda scema! Come se un funerale potesse essere qualcosa di più che tristissimo!
Gualtiero sospirò – come vuoi che sia stato? Triste. E stracolmo di gente.
- Come stavano i suoi parenti? E il fidanzato?
- Devastati. Non so se fosse peggio la visione di quel poverino in lacrime e singhiozzi disperati, o l’espressione di sua sorella, completamente impietrita, come se non avesse più lacrime da versare. E sua madre, che non riusciva a stare in piedi… l’unico che ha mantenuto un certo contegno è stato suo padre. Si vede voleva essere forte per sua moglie e per la figlia rimasta. Da ammirare, cazzo! Fossi stato al suo posto, credo che mi sarei suicidato anch’io!
- State parlando del funerale della pazza? – intervenne Gianni, un altro cliente abituale che Lorena odiava.
- Come puoi definirla pazza in questo modo? – Lorena era indignata al massimo. “mi sa che è arrivato il momento in cui ti bandisco dal mio locale, maledetto bastardo!”
- Beh, si è suicidata, no? Inutile dire “poveretta, guarda cosa le è capitato!”. Io dico le cose come stanno: una che si suicida è pazza. Punto!
- Malgrado tutto, una parte di me ti dà ragione. – ammise Gualtiero, con aria un po’ vergognosa. – Non guardarmi così, Lorena. Non voglio dire che fosse cattiva, ma probabilmente qualcosa dentro la sua mente si era spezzato, se ha commesso un simile atto. – Gianni, quel vecchio ubriacone, gongolava – quello che mi chiedo – continuò Gualtiero, lo sguardo improvvisamente freddo – è perché sei venuto al funerale, allora, visto che la ritenevi pazza.
- Perché mi andava. Punto e basta. E guardate un po’ che foto ho fatto!
Lorena e Gualtiero sapevano perfettamente che quel vecchio pazzo era appassionato di fotografia e tecnologia. Si portava la sua macchinetta fotografica ovunque e fotografava qualsiasi cosa lo colpisse. A volte erano delle autentiche puttanate, ma per lui avevano chissà che significato profondo. La cosa veramente seccante era che ogni volta pretendeva di mostrarle a chiunque! Cercando di mascherare la sua nausea, Lorena si mise a sistemare il bancone. Gualtiero, invece, fingendo un interesse che certamente non aveva, guardò lo schermo.
- E questo chi è? – domandò perplesso.
- Era al funerale. Che tipo! Completamente vestito di giallo canarino, con su le cuffie di quei cosi, come si chiamano… ah, sì, lettori mp3! E per di più continuava a mandare sms! Ma di continuo! Almeno si fosse vestito di nero! Insomma, persino io l’ho fatto! Anche se la ragazza era pazza, porto sempre rispetto per i morti!
- Sì, ma chi è?
- E avrà avuto quarant’anni! Caspita, a quell’età ancora non…
- SENTI UN PO’, STUPIDO VECCHIO! – urlò Lorena a quel punto – DICCI DI CHI DIAVOLO STAI PARLANDO, O TI BUTTO FUORI DA QUA!
Gianni e Gualtiero la guardarono, allibiti. Non era un comportamento tipico di Lorena perdere la calma in quel modo.
- Beh… - borbottò Gianni – ho parlato con Lorenzo, il vicino della ragazza. Pare che quel tipo tutto strano fosse il suo ex.
Lorena tacque. Si vergognava un bel po’ della sua reazione di poco prima, ma quella storia del suicidio di Meg l’aveva scossa parecchio. E quel dannatissimo episodio della sera in cui Meg si era suicidata non le facilitava certo le cose!!!
- Mi fai vedere la foto? – domandò, più che altro per distogliere l’attenzione dalla figuraccia di poco prima. Gianni le allungò la macchinetta.
Lorena lanciò un’occhiata allo schermo. Il suo cuore cominciò ad accelerare i battiti, il suo respiro si fece affannoso.
Senza una parola restituì la macchinetta a Gianni. – Lorena, tutto bene? – Gualtiero la guardava preoccupato. Lorena scosse la testa, come a schiarirsi le idee.
- Qua sono tutti pazzi! Io vado a casa! – Sbottò Gianni.
Gualtiero fece una cosa che non faceva mai: andò dietro al bancone, versò un po’ d’acqua in un bicchiere e la offrì a Lorena. Poi attese che si calmasse. Lentamente, la donna smise di ansimare. Si rese conto di avere il viso zuppo di lacrime.
- Va meglio? – le chiese il vecchio. Lei annuì.
- Hai voglia di parlarne?
- Diresti che sono pazza. – rispose lei, scuotendo la testa. – Altro che Meg!
- Figliola, ti ho appena visto urlare contro a un cliente. Per carità, doveva capitare con un idiota come Gianni, prima o poi, ma che mi dici del tuo successivo attacco isterico? Tuttavia non ritengo che tu sia pazza. Scossa, sì, ma pazza no. Se hai avuto quelle reazioni, dovevi avere un motivo più che valido! E, tanto per la cronaca, non credo che neanche Meg fosse pazza. Doveva essere disperata. Ma la disperazione non coincide per forza con la pazzia.
Lorena sospirò. Poi si avviò verso un tavolo e si sedette. Gualtiero la seguì, continuando a fissarla. Lei ricambiò lo sguardo, pensando che, se quell’uomo fosse stato un po’ più giovane, non avrebbe avuto problemi a innamorarsene. Sua moglie era davvero fortunata.
- Sulla sua salute mentale – disse, con voce tremula – non ne sarei così sicura. E neanche sulla mia, temo.
- Perché?
Lorena tacque per qualche secondo, torcendosi nervosamente le mani. – Non so neanche come dirti una cosa simile. Come diavolo posso parlarne così, come niente? Nemmeno sono così sicura di quello che ho visto!
- Di che cosa parli?
- Dell’altra sera. Probabilmente poco prima che Meg si suicidasse.
- Cos’è successo? – Gualtiero sgranò gli occhi – Tu l’hai vista?
Lorena annuì. – Era venuta qui per bere qualcosa. Ultimamente era la norma. Finito il lavoro, veniva al bar per un aperitivo, faceva quattro chiacchiere e poi tornava a casa. L’altra sera era qui, come al solito. Ma si vedeva che aveva la faccia della brutta giornata, così l’ho lasciata stare. Mentre rigovernavo, l’ho sentita parlare con qualcuno. Non riuscivo a sentire con chi stesse parlando, ma sembrava molto arrabbiata. Non sono uscita per un po’, non volevo interrompere. E c’era anche un qualcosa di strano. I suoni mi giungevano attutiti, perché ero in una stanza diversa. Ma la voce che rispondeva a Meg aveva un’eco strana. Non distinguevo le parole, perché c’era un rimbombo tremendo. Ma Meg aveva un tono di voce normale. Infuriato, ma normale! – emise un sospiro tremulo – te lo giuro, non ho mai avuto così tanta paura! E sono una persona molto paurosa! – si interruppe, deglutendo rumorosamente. Gualtiero continuava a guardarla, molto serio. – comunque, dopo un po’ sono uscita. Dovevo pur uscire dalla cucina, no? E… e…
- E? – la incalzò Gualtiero.
- E… - continuò Lorena, dopo un po’ – lei stava parlando con l’uomo della foto di Gianni. Ma c’era qualcosa che non andava. Quello non era una persona!
- Come?
- Non lo vedevo come vedo te adesso. Era come se fosse fatto di garza. Evanescente. Quando lei si è girata verso di me, lui è sparito. Come… come…
- Un fantasma? – Lorena annuì – Ma quell’uomo non è morto. E’ vivo e vegeto!
- Te l’avevo detto che mi avresti presa per pazza!
- Non sei pazza. – il tono di Gualtiero era assolutamente sincero.
- E allora come spieghi quello che ho visto?
- Non lo so. Potrebbe essere un’allucinazione, ma lo escludo. Come diavolo può essere un’allucinazione, se l’uomo che hai visto era lo stesso deficiente del funerale?
- Quindi?
Rimasero in silenzio per un po’. Lorena conosceva Gualtiero da tre anni, e sapeva che quando stava fermo immobile con aria imbronciata, come in quel momento, stava attentamente riflettendo su qualcosa. Beato lui che ci riusciva!
- Forse – il vecchio ruppe il silenzio – c’è qualcosa che potrebbe essere successo. Hai letto l’articolo del giornale, no?
- Quello che parlava del suo suicidio?
- Sì. Se ben ricordi c’era scritto che aveva avuto un ragazzo, prima di quello attuale. Un ragazzo che l’aveva fatta stare male da morire. Non conosco i dettagli, ma pare che chi li conoscesse fosse sinceramente convinto che quell’uomo fosse un pazzo furioso e che lei ne fosse completamente succube. E una volta finita la storia, lei ha faticato parecchio a riprendersi.
- Quindi? Cos’ha a che fare questo con quell’episodio?
- Credo che non abbia mai saputo gestire la fine di quella storia. E credo che la sua psiche abbia tentato in qualche modo di scappare da quell’inferno personale, che la costringeva a confrontarsi perennemente con quello che aveva passato. E così è nato quel fantasma, con cui confrontarsi definitivamente. Anche se non l’ha superato, a quanto sembra.
- Un modo molto estremo, inquietante e terrorizzante di confrontarsi definitivamente con il proprio passato.
- Beh, non si parla di “fantasmi del proprio passato”?
- Pensavo fosse un racconto di Dickens! – dopo questa battutina, Lorena azzardò una risata tremula. Ma non si sentiva affatto meglio. E difatti cominciò a piangere, singhiozzando senza ritegno. Gualtiero l’abbracciò
Fuori cominciava ad alzarsi la nebbia.
 
Ed ecco il primo finale! Ho voluto fare un piccolo omaggio a Stephen King. Spero vi piaccia! A giorni (quando l’università mi darà tregua!)pubblicherò il finale alternativo! Così potrete dirmi quale preferite!
Buona lettura!

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Capitolo 3
*** Vattene! – finale alternativo 2 ***


Guardo la brace della sigaretta. Oh, cielo, so che la nicotina crea dipendenza, che i polmoni si riempiono di catrame, e quant’altro, ma questo miscuglio di tabacco e Dio solo sa quante altre sostanze, negli ultimi mesi è stato la mia salvezza!
Metto la sigaretta in bocca e faccio per aspirare.
- Da quando fumi? – una voce. La sua voce. Sobbalzo.
- La cosa non ti riguarda. – rispondo, secca. È un salutista convinto. Lo è sempre stato. Certo, convinto della salute del corpo, ma di quella mentale… basti pensare alla cura che ha avuto della mia!
- E che ne dici…
- …dei danni provocati dal fumo, e blablabla? – prorompo, infuriata come raramente nella mia vita. – Davide, che cosa vuoi da me?
- Volevo solo sapere come stai.
- Sto bene, ok? Benissimo!
- Non si direbbe! Guarda, fumi! Da quando? Hai un’aria tirata, stanca…
- E a te, da quando te ne frega? – prorompo, furibonda. E anche nauseata. Davvero, ho solo voglia di vomitare.
- Ti voglio bene! – la sua voce è di un’ottava più alta, per l’indignazione.
Sfodero la mia faccia da “sì, certo!”, e mi appoggio alla macchina, guardandomi i piedi. La sigaretta è ancora tra le mie dita. Il mio sguardo corre fino alla carrozzeria della mia auto, una fiat sedici blu elettrico. Adoro questa macchina. È triste da ammettere, ma è l’unica cosa che amo incondizionatamente nella mia vita. Non fraintendetemi, amo il mio ragazzo, amo la mia famiglia e i miei amici. Ma la mia macchina… è l’unica che non ho il terrore di perdere. L’unica cosa su cui ho un minimo di controllo. Certo, potrebbe capitare un incidente che me la sfascia completamente, ma non ho mai avuto incidenti, in 9 anni di patente, facendo i debiti scongiuri. Per cui, ho abbastanza fiducia nel mio modo di guidare da non prendere in considerazione l’idea di un incidente. Invece, di persone che ho perso ne ho avute tante! La mia auto… Comprata due mesi fa, anche in previsione della convivenza e di tutto ciò che potrebbe comportare: spesa da fare, eventuali bambini… Il mio Massimo ritiene che sia stata una spesa folle, specie in vista della convivenza, ma, d’altra parte, la mia vecchia auto era sfinita! Ma aspetta un secondo…
- Come facevi a sapere della mia macchina nuova?
- Come, scusa?
- La mia macchina. Quando sei scomparso nel nulla, avevo ancora la mia vecchia macchina. Come facevi a sapere che questa è la mia macchina?
Silenzio. Vagamente, si insinua dentro di me una strana sensazione di disagio. C’è qualcos’altro che non mi torna.
- Dov’è la tua macchina? O la tua moto? Abiti dall’altra parte della città, non puoi essere venuto qui a piedi. Dov’è la tua macchina?
Mi guarda. Sorride. – Me lo daresti, un passaggio?
- Per sentirmi dire che guido a scatti?
- Ancora con questa storia?
- Temo che ti rinfaccerò a vita tutto, caro mio.
- Ma non sei quella che dice sempre che il rancore ti sta rovinando l’esistenza?
Rimango basita. – e tu come fai a saperlo?
Non parla. – Davide, che sta succedendo? Questa circostanza è troppo strana. Ti presenti in nel bar dove sono io, sai che ho cambiato la macchina, sembri a piedi! Non fosse che, nonostante tutto, non è nel tuo stile, penserei che tu mi stia spiando per poi aggredirmi! Cosa diavolo sta succedendo?
Continua a non rispondere. E l’ipotesi che mi si forma in testa è talmente assurda che faccio fatica a non scoppiare a ridere quando la esprimo: - sei un fantasma?
Continua a guardarmi. Sorride. – Non è possibile che tu sia morto. L’avrei saputo.
- Non sono morto. – risponde, finalmente. Allungo una mano a toccargli la spalla. Davanti ai miei occhi, sotto le mie dita, la spalla si sfalda come se fosse fatta di nebbia.
- Se non sei morto… - dico, accorgendomi che, nonostante tutto, non ho paura – allora cosa sei? Sei mai esistito? O anche quando eravamo insieme, in realtà non esistevi?
- No. Io esisto. Se vai a casa mia, mi trovi.
- Allora, cosa sta succedendo? – ripeto. La voce mi si spezza.
- Sono la tua occasione di rinascere per davvero.
- E come?
- Lo sai tu, come fare.
- Non è vero. – le lacrime scorrono copiose sul mio viso.
- Sì, invece. – ormai sono terrorizzata. Ma non è Davide, o questa voluta di nebbia col suo aspetto, a terrorizzarmi. Ha ragione, io so che cosa devo fare. Lo devo fare. Me lo devo. Ma una volta fatto, cosa succederà? Che garanzia avrò che le cose miglioreranno?
Davide alza la mano, la punta verso la mia fronte. E in quel momento mi passano davanti diversi momenti della mia vita. Non tutti. Solo alcuni. E di colpo il buio. Mi ritrovo davanti una ragazza che trema, raggomitolata in un angolo. Faccio per avvicinarmi. E mentre faccio un passo verso di lei, per aiutarla, ritorno in me. Sono nel parcheggio del bar. Davide è ancora davanti a me. E capisco. Nessuno mi dà una garanzia che le cose migliorino. Ma peggio di così non può andare. E per male che vada, smetterò di torturarmi per quello che è successo. Quello che è fatto è fatto.
- Ok, Davide. Ok. Ricevuto il messaggio. Puoi andare.
Mi guarda con aria scettica. – Davvero?
- Sì, davvero. Puoi andare. – non accenna a sparire. – e vattene! – alzo la voce, un po’ sorridendo.
Stavolta sembra crederci. E lentamente sbiadisce davanti ai miei occhi. Poi sparisce, unendosi alla nebbia circostante. Mi accorgo che ho ancora la sigaretta in mano. Ormai è consumata, ma faccio comunque un ultimo tiro. Il fumo mi provoca un conato. Guardo il mozzicone, poi lo getto nella pattumiera lì vicino. Esito un microsecondo, poi getto anche il pacchetto appena cominciato. E per buona misura, anche l’accendino. Mi sa che non sprecherò mai più i soldi in sigarette.
- Meg? – la voce di Lorena spezza il silenzio.
- Lorena? Che c’è? – con mia sorpresa, mi sento sorridere.
- Volevo parlarti di poco fa. Stai bene?
- Sì. Sto bene. – rispondo. E sono sincera. Con un gran sorriso, le faccio l’occhiolino. Poi salgo in macchina e me ne vado.
Due anni dopo…
- Forza, spingi! – il dottore mi sprona, come se ce ne fosse bisogno!
- Coraggio, amore! Un ultimo sforzo! – Massimo è quasi più affannato di me. Nonostante il male cane, non mi viene da mandarlo a quel paese, come ho fatto con tutte le infermiere da quando è iniziato il travaglio. Lui è Massimo, il mio amore! Mio marito, da due mesi a questa parte. Quando ho scoperto di essere incinta, ho voluto sposarmi prima della nascita di nostra figlia. Volevo essere sua moglie PRIMA di essere madre. Tanti l’hanno trovato discutibile. Ma chissenefrega!
Do un’ultima spinta. Sento la mia bimba uscire. Poi un piccolo strillo.
- E’ una bambina splendida! – l’infermiera me la porge, sorridendo.
Anch’io e Massimo sorridiamo. Io sto anche piangendo. Di felicità, ovvio! Prendo la mia bimba in braccio. La guardo. Il piccolo, grande coronamento di un periodo splendido, cominciato due anni fa. Un periodo di gioia. Ed è così che si chiamerà mia figlia: Gioia!
 
Ed ecco il secondo(e ultimo) finale! Spero vi piaccia! J

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