Quando finiscono le parole...

di terry99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Quando finiscono le parole...

A volte è difficile trovare le parole.                                                                                               Sembrerà assurdo, visto che  ne fanno uso comune tutti gli esseri viventi di questo pianeta, o almeno tutti quelli che hanno la possibilità di pensare.                                                                
Insomma, la nostra vita è piena di parole, pensiamo in parole, leggiamo parole, scriviamo parole.
Scommetto che vi starete chiedendo perché tutta questa assurda ossessione sulle parole, visto che non sto mica scrivendo una relazione su quanto siano importanti queste “cose”.                                       
Il punto è che, stanotte, presa dall’insonnia di un’afosa notte d’estate ho afferrato il libro che sto leggendo, e l’ho sfogliato velocemente come se mi aspettassi di far venire fuori qualcosa di nuovo, mentre ho trovato ad attendermi solamente una serie infinita di parole.                                            
 
Non che mi aspettassi chissàcosa, però, beh, all’una di notte non penso prima di agire –cosa che non faccio nemmeno quando c’è il sole, ma questi sono dettagli- e quindi le mie sono azioni insensate.
Tornando al discorso di prima però, diciamo che guardando il libro mi sono resa conto che non si può vivere sensa le parole, cosa abbastanza scontata e forse pure fin troppo, scontata.                             
Ci sono certe situazioni però, in cui pur sforzandomi di pensare, non viene fuori niente, ed è lì che mi sento un’emerita idiota con la testa vuota che non riesce a dire la parola giusta al momento giusto.                                                                                                                                                     Okay, sono quasi sicura che ormai mi avrete preso per qualcuno con seri problemi mentali e avrete abbandonato questa pagina alla velocità della luce per non essere seguiti da chissà quale pazzo che si nasconde dietro questo PC in attesa di risposta dall’orologio appeso alla parete della vostra camera.
Che poi, chi mi dice che avete appeso un orologio alla vostra parete?
Se siete ancora qui, sono lieta di informarvi che gli orologi non parlano e che sono ancora in camera a sfogliare il mio libro con lo sguardo vuoto e annoiato di chi sa che nessuno arriverà fino a questo punto perché sicuramente crollerà dopo la prima riga.
O forse sono io che sono troppo pessimista.
Rileggendo (come se alle due di notte sapessi ancora come si legge!) il testo mi sono accorta di non avervi fatto capire niente se non che ho sonno e che è tardi, mentre in realtà vorrei farvi capire che ho una relazione complicata con le parole.

Quando non mi servono ci sono sempre mentre quando ne ho bisogno sembrano dissolversi nel buco nero, o da qualche altra parte con la conclusione che mi fanno sembrare un’aliena confusa imbucata in un pianeta che non è il suo agli occhi degli altri esseri umani.

Non so a quanto potranno servire le prossime pagine, probabilmente a nulla, ma io voglio provare a ristabilire un po’ di pace (?) tra me e tutti gli altri.

Considerando che ho l’1% di possibilità di riuscita del mio progetto (?!) posso dire di cominciare alla grande, anche perché adesso mi sono finite le parole, o almeno, loro si rifiutano di collaborare se non chiudo gli occhi per un paio di ore.

Penso di dovervi lasciare.

Ci rivedremo, se non mi chiudono in manicomio prima.

E’ stato un piacere.

T.

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Capitolo 2
*** 2. ***


 2.

 

Sono in macchina, a mezzanotte.                                                                                                       
Strano, eh?                                                                                                                                            
  Beh, mi toccherà viaggiare per due lunghe ore per raggiungere casa, così, nell’attesa, continuo il mio progetto che non penso servirà mai a qualcuno.

Sarebbe anche abbastanza rilassante se fossi sola e tranquilla, sdraiata in una limousine, ma questi sono solo sogni.
Mi tocca dividere la macchina con le uniche persone con cui posso solo gridare parole per essere capita, la mia famiglia.
Una delle poche cose positive dell`essere una famiglia di sei persone  e` che posso comportarmi in modo normale, o anormale e loro non vedono comunque la differenza e poi, se io passo per la gente come un essere strano, le mie sorelle passano come mutanti, il che e` un sollievo enorme.
Siamo una famiglia, l`importante e` essere uniti, poi della gente, del loro giudizio e di quello del mondo non importa.
Con loro non ho bisogno di nascondere cio`che sono, perche` lo sanno gia’ (...che ho gravi problemi mentali,aggiungerei.).            Passando ai lati negativi dell`essere una famiglia di sei persone- se non riuscite ad immaginarlo da soli- mi tocca sentire urli, parolacce e continue minacce ogni attimo della giornata. Dopo anni ed anni di esperienza adesso  e` tutto decisamente piu’ scontato e forse riuscirei a dormire in mezzo a questi urli (ma chi vogliamo prendere in giro!?).     Okay, basta bugie, sara’ passata solo mezz’ora da quando siamo partiti e non faccio che discutere sull’ennesima figuraccia che una delle mie sorelle ha fatto.
La piu’ grande delle tre, in effetti per il momento e’ la piu’ permalosa e orgogliosa creatura umana che il mondo abbia mai visto. Potete immaginarla come credete, da un grande cane arrabbiato a una piccola lucertola permalosa,ed effettivamente spesso nella mia mente mentre si lamenta assume questi aspetti, pero’, al primo impatto e’ sempre una piccola ragazzina di appena nove anni, maleducata e  con la lingua lunga.                                                                                                                                                           Il punto e’ che sa sempre il fatto suo e non accetta consigli da nessun essere vivente in grado di esprimere giudizi sensati, almeno per come la vedo io.
 Secondo me, pero’, dietro quella maschera di finto coraggio e di inspiegabile superiorita’, si nasconde una bambina paurosa come altri.             
  A volte vorrei smascherarla, ma come al solito rimango muta, le parole non mi aiutano compleatamente (e quando mai?!).                                                                    Forse e’ meglio così, forse non mi aiuterebbe in nessun modo toglierle la maschera.
In realtà questa sarebbe una metafora e di conseguenza la gente che conosco nella mia mente gira con maschere dai colori più vivaci che rende il loro viso quasi irriconoscibile: all’apparenza sembrano forti, sicuri di ciò che sono e ciò che fanno, di chi frequentano e di quel che bevono, ma sappiamo tutti che si tratta solo di apparenza.                                                                   E’ un gioco in cui molti cadono, accecati da quel che vorrebbero diventare, senza pensare a ciò che sono in realtà, a quanto valgano pur abbandonando quella mascherina.                                                   
Ci sono caduta anch’io qualche mese fa, quando un’amica mi ha annunciato che il mio livello di popolarità era appena sotto la media della scuola.
Sono impazzita, ho deciso di cambiare, di frequentare qualcuno di diverso, di più popolare, mi sono lasciata trasportare dal desiderio della fama e del rispetto degli altri senza ascoltare nessuno e, senza accorgermene, le persone più importanti che avevo sono scivolate via da me come una saponetta quando hai le mani bagnate. 
Ben presto mi sono ritrovata io a pregare queste persone di non andare via, ma effettivamente ci ho pensato troppo tardi col risultato che la saponetta sono diventata io. (Nota: andare a comprare una saponetta azzurra al supermercato, con estrema urgenza.)

Ecco perché dubito che  se alla fine riesci ad aprire il cuore ad una di queste persone mascherate  quella butterà la maschera in un cestino e ti seguirà più forte di prima.                                                                                                                      
  Forse le parole mi stanno facendo un favore, forse non devo togliere la maschera a mia sorella, devo solo aspettare che se la tolga da sola e che impari dai suoi sbagli, ma chi mi dice cosa è giusto e cosa è sbagliato?    

Non sono ancora in manicomio, ma penso che oggi se mi trovassi in quel luogo orribile dalle pareti bianche e i lettini bianchi dove si respira l’aria di chi ha sofferto, soffre e soffrirà  mi consiglierebbero uno psicologo con molta, molta pazienza.

A presto,

T.                                

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Capitolo 3
*** 3. ***


3.

Incredibile dire che sono solo le sei di pomeriggio.                                                                                                       
Non avevo mai scritto così presto –per i miei standard è anche abbastanza presto-  e mi merviglio da sola,
anche perchè vedrete quanto la mia pazzia possa peggiorare di giorno, quando il sole non si è ancora nascosto 
dietro quel mantello che tutto gli esseri umani amano chiamare cielo.                                                     
Per me “cielo” è una parola troppo piccola per contenere un significato così grande, e poco adatta  per rappresentare qualcosa di così vasto.  
Noi sovente non ci facciamo caso, lasciamo perdere questi pensieri così contorti e viviamo accettando che qualche cretino, tanto tempo fa e
chissà in quale parte del mondo ha deciso così.                                                                                                                                                              
Nessuno ci aveva mai pensato prima, ne sono assolutamente certa,  anche perché pochi sulla terra ragionano in modo complicato come la sottoscritta.
Io di solito non faccio che pormi domande sull’origine di tutto, o almeno di quel tutto che la gente normale nel quotidiano ignora.  Io ad esempio amo colorare: mi piace dare quel qualcosa in più ad un disegno bianco e nero, aggiungendo quel tocco di luce o opacità
(a seconda di come mi sento) alle cose, anche le più piccole e insignificanti.
Qualche tempo fa riflettevo che sarebbe un onore apparire su un album da colorare per bambini... cioè, sarebbe troppo...
insomma, avete capito, mi avrebbe fatto piacere. Il punto è che poi mi sono accorta che non tutti alla fin fine colorano allo stesso modo.
E se poi mi avessero fatto i baffi? O anche, chessò, una parrucca o la barba?
Io non l’avrei potuto immaginare e sarei finita come una barbona isolata da tutti, che vive sotto i ponti.          Okay, magari la faccio un po’ tragica come fine però sapete, essere pasticciata dai bambini ripensandoci  non era un mio vero e proprio scopo,
e ad insultarmi c’è già tanta, troppa gente forse.                                                   
 Vi rivelerò un segreto: sono insopportabile.
Però insopportabile in senso buono, non fraintendetemi.          
Sono la classica tipa che si diverte facendo esaurire anche l’ultima persona su questa terra.                            
Oggi ad esempio, ad una poverina che conoscevo a stento fregavo in continuazione la matita, per usare la gomma che stava all’estremità,
giusto perchè di usare la mia non avevo assolutamente idea.
Sta poveretta sospirava ogni volta, anche perché doveva scrivere e spesso la facevo scarabbocchiare sul foglio, o si dimenticava addirittura quel che
aveva scritto prima.                                                                                                  
 Io le sorridevo, scusandomi di tanto in tanto, cercando di farle capire che avrebbe potuto passare qualcosa abbastanza peggiore di me.
Chessò, avrebbe potuto essere investita da un’autobus,avrebbe potuto essere arrestata per un preside che non era il suo, avrebbe potuto
essere lasciata dal ragazzo che forse nemmeno ha. Riflettendoci dovrei smetterla di immaginare i futuri di questa poveretta che mi sopporterà
per un lungo anno, se non di più. Non ci avete capito nulla, lo so, è normale.                                                                         
  Il punto è che ho rivalutato l’ipotesi di finire su un album da colorare, e ho cominciato a riattenzionare i colori e le sue sfumature.
Saranno circa un centinaio, è impossibile quasi notarle tutte... però sono qualcosa di davvero unico.                                                                                                                                                                        A me i pastelli piacciono proprio per questo: perché se sovrapponi due colori non saprai mai cosa ne verrà fuori.
E’  un po’ come con le persone: a seconda del ragazzo che incontri, anche la sfumatura del vostro rapporto sarà diversa da quella
che magari crei con un’amica o una semplice conoscente.                          
Cambia tutto,  e a volte la vita mi sembra un vero e proprio disegno.                                                                    
Quello che chiamo “disegno”  però, non è lo scarabocchio che  faccio sul diario,
o la rappresentazione di un mio professore sotto forma di demone, ma una vera e propria opera d’arte, che una mano esperta 
traccia su un grande cartellone di un bianco immacolato.                                                                                                   
  Esatto, un disegno: una serie di linee che segnano il tuo percorso, facendo si che attraversi correndo  una pianura,
che superi un bosco pieno di insidie, che ti arrampichi su una montagna o su un grattacelo,  a volte  anche  attraversando a nuoto un intero tratto.                                                                                                                      E talvolta non siamo soli, e più di un disegno, di una vita, si incastra ad un’altro, dandoti la possibilità di attraversare con qualcuno tutto quel percorso difficile.                                                                                Mi piacerebbe vivere in un disegno...                                                                                                                                  
 Sì, sì, nemmeno io mi spiego il motivo per cui sono ancora qui a scrivere assurdità che preferirei non leggesse anima viva e
non capisco ancora perché continuate a seguirmi, anche perché sto passando dal cielo ai pastelli senza nemmeno accorgermene. 
Eh, beh, io sono così, fatevene una ragione.                           
Scriverò presto, credo.

T.

 

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Capitolo 4
*** 4. ***


                                                                                                                  


4.

Chiudo gli occhi un attimo, e mi fermo.   Esatto, sosto in un punto per alcuni minuti, respiro, cerco di realizzare dove sono, come se non lo avessi mai saputo, o se a volte lo dimenticassi.              E’ molto da me, dimenticare le cose.  In ogni caso ci terrei a precisare che non mi sono fermata in mezzo alla strada - sarei già morta a quest’ora-  ma in un semplicissimo marciapiede, che divide me e le mie cuffie da quel carcere che i prof chiamano scuola.   Quando mi fermo sono assolutamente certa che farò più tardi del previsto, che rischio di essere richiamata dalla prof d’inglese  e le sue manie della puntualità e l’ordine, nonostante tutto.                                                    Puntualità? Bah, che gran perdita di tempo. Non gli basta che ci andiamo, a scuola?                                                             E queste sono solo le solite domande sensate ma a cui nessuno può rispondere, che mi pongo di solito.                        Tornando al discorso di prima, poco m’importa.  L’importante è che io, essere  vivente e comune mortale –se mi considerate ancora umana- sono in quel punto, in mezzo all’universo, con le  note dei miei cantanti preferiti a farmi compagnia.   Cosa succederà dopo? Bella domanda, forse la maniglia della vostra porta saprebbe rispondere.                                               Avete ancora una porta, e una maniglia, suppongo.               Se così non fosse mi dispiace, ma siete dei poveracci,o dei maestri di karate che fanno esercitare a casa loro  i propri alunni per guadagnare i soldi per il pane per la  suocera di vostro zio.                                                                                E con tutto il rispetto per la suocera di vostro zio e il suo pezzo di pane, chiedere una porta a Babbo Natale sarebbe già  un buon inizio.      In ogni caso, io ho una maniglia, però non parla, e quindi potremmo anche escludere l’ipotesi di parlare con gli oggetti, visto che l’orologio della vostra parete (se non avete venduto anche quella per il pane della suocera di vostro zio)non ci è stato poi di grande aiuto.                                              Chissà se qualcuno c’è mai arrivato, fin qui.  Forse se chiedo alla penn... no, dai,smettiamola.                                               Beh, carissimi, parlare con voi è come perdersi in un bicchiere d’acqua.                                                                                Che poi effettivamente è impossibile perché l’acqua è trasparente, e male che va ti fratturi qualcosa come il naso       per tentare di afferrare la barretta kinder all’altro capo del tavolo.                                                                                   Come ci entri in un bicchiere però?Voglio dire, è impossibile, anche se quello che sembra impossibile non sempre lo è.                                   Ieri parlavo al telefono con un’amica che sostiene che tutto può diventare possibile, se ci credi. ma per me è solo una follia.        Basta immaginare di attraversare un muro:  quando ci ho provato, da piccola, ho ottenuto soltanto un grande brutto bernoccolo  e ho cominciato a lagnarmi.                                     Brutta storia, lo so, però  sostengo che non hanno ancora inventato nulla che ci permetta di attraversare la parete che avete venduto per vostra suocera.  Sono fissata, lo so, ma è più il mio prof di matematica a sostenere che queste tizie sono pericoli pubblici per l’umanità.   Mi sono persa di nuovo, mi sa.                                                Questa poveretta che ha avuto la sfortuna di parlare con me di cose contorte, sosteneva anche- e sostiene ancora, perché non è morta, penso-  che basta crederci, e ci crederanno anche gli altri.                                                                                       Mi sa che ha ragione, e forse effettivamente il parere degli altri può dipendere da te, se sei convinta di quello che pensi,              e sostieni la causa con tutta te stessa.E’ una tizia davvero speciale- oltre che testarda- lo so.Il punto però è che, anche se ci credi tu e ci credono gli altri, che si può attraversare una parete senza sfondarla, resta comunque una cosa impossibile,e non puoi fare si che con uno schiocco di dita il cemento e i mattoni  si spostino per farti passare. Okay, sarebbe una cosa grandiosa, ma è una follia.              Lo so, lo so, mi contraddico, e vi starete chiedendo: ma quanto è scema questa, che parla con un orologio ma crede impossibile l’ipotesi di attraversare una parete.

E so anche che non avete capito una cippa, come al solito di quello che  ho provato di spiegarvi. Dannate parole.    Almeno la musica... no, anche la musica è un insieme di suoni e di parole.  Avete mai provato ad ascoltare una canzone con attenzione , soffermandovi solo sulla melodia di sottofondo?   Io lo faccio, quando ho tempo, e sento la batteria, il basso, anche  la chitarra talvolta. Batto il tempo col piede,  svuoto tutti i pensieri che mi affligono, mi concentro solo sulla musica e lascio alle parole tutti i miei perché.

Vi lascio così, tesori miei.

T.

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Capitolo 5
*** 5. ***


5.

Schiocco le dita al ritmo dei Maroon 5, cerco parole disperatamente, perché stavolta non ho proprio idea di come cominciare.                                                                                                                                                               
A volte mi verrebbe voglia  di appendere volantini in tutta la città, con una scritta a caratteri cubitali: 
“RICERCATE parole, rischio di rimanere analfabeta...”      
Il punto è che non siamo in un universo parallelo, in cui la gente non ti prende per pazza o ti ricovera in ospedale quando chiedi di delle lettere scomparse, e quindi mi adeguo a questo mondo noioso e privo di originalità.     Non vi siete mai chiesti perché il nostro pianeta non è come quello della videocassetta della Bella Addormentata?               Perché non viviamo tutti felici e contenti, dopo aver sconfitto la strega cattiva?                                                                 E perché non dormiamo attendendo il principe azzurro? Qua,se proprio lo vuoi, qualcuno che assomiglia lontanamente al principe azzurro, devi rimboccarti le maniche e trovartela da sola, “l’anima gemella”.                                   Perché nelle favole vivono tutti felici e contenti mentre la mia vita va a rotoli?                                                               Da bambina  ero convinta di essere una mini-principessa,  giravo per la mia  cameretta e ballavo con i miei peluche preferiti, guardavo almeno due volte alla settimana quella videocassetta e vivevo come se tutto fosse parte di una favola.                                                                                 Rimpiango ancora quei tempi, e poi guardo mia sorella, che a quattro anni se non ha il cerchietto abbinato al calzino non esce di casa... ma dove siamo finiti?Non penso che nel corso dei suoi pochi anni di vita, abbia mai desiderato di mangiare una mela e poi essere portata a cavallo fino al castello del suo amato.  No, la sua unica preoccupazione è lo smalto che è messo male.                                                                                
Ma cosa ricorderà tra dieci anni? Potrà dire di aver vissuto un infanzia felice, e spensierata?                                                Io credo di no, credo che col passare del tempo ci stiamo rovinando sempre di più.                                                       Eh sì, generazione persa.                                                     Ma comunque, forse avrete realizzato, che, come mi dicono in tanti “ho soldi spicci” in testa.                                                 Nel senso che il cervello non c’è, ci sono solo un paio di centesimi che cercano di dare un senso a qualcosa che non penso ne avrà mai. E in questi capitoli, anche se non vedete centesimi e centesimi girare intorno a voi, vuol dire che la loro posto ci sono le parole.                                                           Non so voi, ma non capisco più nemmeno cosa ho scritto e ho solo una grande confusione in testa.                                 Beh, avrei sicuramente desiderato di rimanere bambina, invece di crescere in un mondo che fatica ad accettare anche quello che sei per come sei.                                                    Nel mondo delle favole non erano tutti perfetti, ma anche i cattivi, alla fine dovevano fare i conti solo con le linguacce dei bambini seduti sul divano che battevano i pugni perché vincesse il principe, il loro eroe.                                                                                                In questo regno, se sei buona ti sentirai sempre la cattiva della situzione,  sempre la brutta strega che dovrebbe rovinare i piani di una storia che ha già un lieto fine.                                                                                                                                                                                                                                       Non ci sentiamo a posto, ci sentiamo fuori dalla storia come dei calzini spaiati, esiliati perché viviamo di parole che non ci garantiranno il futuro che abbiamo sempre sognato, perché difficilmente i sogni si avverano, e prima o poi conviene accettarlo.                                         Prima o poi bisogna sorridere e fregarsene. Andare avanti, nella speranza che domani sarà migliore con la certezza che oggi sarà diverso per te, come per il resto del mondo. Nessun oggi, è uguale a ieri, l’ho imparato da poco.     Ho imparato anche che una giornata vuota è solo una scatola dalla confezione vivace che contiene un vuoto deludente.                                              Avete mai ricevuto qualcosa di orribile, che magari non sopportate, al vostro compleanno?                                         Chessò, una sciarpa di lana di capra, un pettirosso imbalsamato, o un mucchio di cenere.                                    Okay, sono esagerata, ma anche un piatto con una foto con cui hai la faccia in cui sembri il mostro di locness va bene.                                       Una volta mi hanno regalato una maglietta delle Winx (ero piccola allora) con una fragola al centro. Non mi dimenticherò mai la faccia schifiata che ho fatto per poi ringraziare la mia compagna di quinta elementare con un bacio appena accennato.                                                                                                                                                                            
Bleah- mi sono detta- questa non la metterò mai. 
L’importante è che ho sorriso, ho finto.                                                                      
E’ un metodo infallibile che usiamo tutti, almeno una volta nella vita, e che sfortunatamente funziona. 
E’ il sorriso falso che usi con la prof ogni volta che chiede “tutto chiaro?” e tu cadi dalle nuvole in quel momento, alzando  e  abbassando del capo con espressione seria e un po’ confusa.                                                                       
E’ lo stesso che uso quando mi chiedono “come va?” e rispondo “bene” mentre tra me e me sospiro. 
E’ il sospiro di chi sa che    l’altro ha già abbastanza problemi.

 

So che state sospirando anche voi, ma uno non basta per me, credetemi, che io di probelmi ne ho fin troppi.

 

Alla prossima,

 

T.

 

 

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Capitolo 6
*** 6. ***


 6.

Sono tutta piena di lividi.     Esatto, lividi, ma lividi pesanti.                                                                                          
Sono quelli che ti immobilizzano tutto il braccio, che ti fanno stare male per settimane e per cui vieni giudicata una piagnona dalla maggior parte della gente che popola questo mondo crudele.                  Io i miei li definirei lividi invisibili però, perché la gente normale sul mio braccio non vede una mazza, poi mi toccano il gomito e faccio un balzo di settordicimila chilometri lanciando qualcosa simile ad un urlo ma che per me è anche qualcosa di più.                                                          
Ma lasciando perdere la gomitata che il mio compagno di banco col suo tempismo perfetto mi ha sferrato al braccio destro l’altro giorno, gente, oggi volevo parlare di tempo.
 Sì, se c’è una cosa che –oltre alla mancanza di parole-  mi fa apparire come un’asociale uscita direttamente dal buco dell’ozono, questo è il tempo.                    
 Passa ad una velocità impressionante,  e io non me ne accorgo ignorando tutti gli orologi di questo mondo, rannicchiata al calduccio sotto le coperte, senza pensare a domani.                                      Vorrei vivere dormendo sotto le coperte, al sicuro da tutto e tutti, vorrei vivere sognando quello che succederà domani, senza pensare all’oggi.                                                                                     Amo sognare, sognerei tutto il tempo.                                                                                                                                                                                                          
E quindi, ritornando al discorso del tempo, stamattina parlavo con i miei compagni, tutta convinta di avere ancora una settimana davanti:  “-Beh ancora è martedì, prima che arriva sabato...”                      Il punto è che,  quando meno te l’aspetti la verità ti piomba davanti con un tonfo sordo e ti lascia completamente spaesato, come uno scoiattolo in mezzo alla savana, o un pugno di sabbia dentro l’appartamento più elegante di New York.                                                                                                                                  
Ti senti stupida e maledettamente sbagliata, ma sopratutto muori dall’imbarazzo.                                                                                                                                                                
E di fronte al coro di 20 persone che sbraitavano “Te, guarda che oggi è giovedì!” mi sono sentita completamente inappropriata ,  e ho immaginato di venire davvero da un posto diverso da quello in cui vivo adesso, come ad esempio, che ne so, di essere scesa da una navicella da Marte... sarebbe tutto così semplice, potrei autogiustificarmi e vivrei nella pace più totale.                                                Come al solito ho usato l’arma del silenzio guardando il pavimento con aria ferita, senza più una parola buona che servisse a giustificarmi (perché al solito non ci sono v.v )                                                                                                                                                                                                                                                
Dopo tutto, cosa posso dire di fronte alla pure verità, a quello schiaffo che mi riporta sulla terra, come i gridi della mia professoressa di italiano che con un sorriso angelico si fa sentire fino al porto, come le parole di qualcuno che ti disprezza, o gli occhi pieni di lacrime versate solo a causa dei tuoi sbagli.   Niente, solo silenzio. 
Il silenzio di chi sa che non può replicare perché il tempo va avanti, anche se non guardi l’orologio ogni ora, ogni minuto, ogni istante della tua esistenza.                            
La gente dice che io ho il brutto vizio del non saper aspettare- se saltiamo la lunga lista di difetti che ormai ha finito tutti i rotoli di carta igienica foxy- e              
sinceramente non vedo perché è visto tutto così in negativo, visto che io amo  sapere le cose subito,  vivere adesso, senza aspettare quello che potrebbe succedere, che succederà.                                  Sì, lo scrivono anche su facebook che “tutto arriva a chi sa aspettare” ma se alla fine, io non so aspettare non penso che non riceverò mai nulla.                                                                                      Che poi, vi siete mai chiesti come può un semplice oggetto, un semplice ingranaggio ben pensato segnare le lancette della nostra vita?                                                                                              Questa è un’altra bella domanda a cui risponderei volentieri con un sincero “no”. Sembra impossibile, io lo so, che un semplice oggetto possa determinare il nostro tempo.                                   Attenzione, non ho mica qualcosa contro l’orologio della vostra parete, che poverino,  non ci colpa nulla, ma sapete com’è, sembra così ingiusto.                                                      
 Mi torturo sola, lo so, me lo dicono in tanti. Ma chi l’ha inventato? E non sbraitate dicendo che devo andare a cercare su Wikipedia l’inventore degli orologi che sicuramente esisterà invece di star qui a interrogarmi su cose così difficili rendendovi partecipi dei miei troppi problemi.                                                                          
  Ed è forse il tempo la causa dei nostri sbagli, è forse il tempo il porta sfiga, su questo pianeta.                                                                                                                              Il fatto è che con il tempo sottovaluti le persone, il tempo che passa ti spinge a dar fiducia a qualcuno che pensavi fosse come tempo fa, il tempo che non si ferma ti spinge a fare cose che non avresti mai previsto, cose per cui un tempo ti  sottovalutavi forse ingiustamente.                                                                                           Il tempo è cambiamento ma è il tempo stesso  che alla fine mi spinge ad essere quella che sono. Esatto, sono me stessa perché posso farlo, e forse domani non avrò più la possibilità di esserlo, quindi per adesso lo sono.                                                                                                                                                                        Contorto, ma spero che abbiate afferrato.

Intanto  mi sfrego le mani perché comincia a far freddo e io ho solo una felpa addosso, in quanto terrona e abituata ad un clima da Sahara. Ho freddo, quindi torno dentro e spengo, vi lascio con la mia filosofia:

Non rimpiangere ciò che fai, perché alla fine tutto questo determina ciò che sei.

30 second to mars.

 

A quando posso,

T.

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Capitolo 7
*** 7. ***


7.

 

E’ tipico, quando la sfiga ti colpisce e la macchina è costretta a rallentare a causa del terzo rosso al semaforo,  che, o fissi  con aria furiosa il rosso come ad aspettare che telepaticamente questo sparisca, oppure cominci ad osservare le persone che attraversano con aria impaziente.                                                 
La terza ipotesi, quella di picchiare le altre macchine o dare fuoco a quel “pezzo di plastica inutile” che fa solo perdere tempo                                                    (consigliata per i piromani v.v ) la metterei momentaneamente da parte, anche se ho rivalutato quest’ipotesi molte, moltissime volte.  E  comunque...  mi è sempre piaciuto osservare le persone.    Quando posso, quando capita cerco uno sguardo, un atteggiamento, un’affermazione particolare o quasi familiare e provo ad immaginare la sua vita, il momento che sta passando, quello che pensa, il lavoro che fa, i suoi mille problemi.     E’ stupendo, ma non avrò mai la certezza di quello su cui fantastico, e forse il bello è proprio questo, restare in bilico tra supposizione e verità, non essere mai certa di nulla perché quello è solo un estraneo che, come tutti gli altri miliardi di milioni di persone, non conoscerai mai.                                                                                    In due parole sono un’impicciona, esatto, mi avete scoperto, non so farmi mai i fatti miei e guardo gli altri e i loro problemi di cui non dovrebbe affatto importarmi, perché non sono affari miei.                                                                                                                                                                                                         Dicono anche che pensare agli altri, perderti in pensieri che non ti riguardano, di conseguenza fanno sì che non pensi a te, ai mille problemi, ai mille quesiti che ti poni senza una ragione.                                                                                                                                                                                                                            Anch’io la pensavo così, ma poi ho scoperto che i problemi non si possono evitare, perché prima o poi dovrai affrontarli.                                                                 Non puoi girarci attorno, perché prima o poi ti toccherà arrivare al centro.                                                                                                                                          Eh sì, uso parecchie metafore, e oggi sono poetica, ma il punto di questo discorso non ce l’ho, non l’ho mai trovato, e prima o poi mi toccherà trovarlo, sennò anche l’orologio della vostra perete perderà le lancette  per la troppa confusione.                                                                                                                                                   Però sinceramente, adesso che ho scoperto che evitare i problemi non li risolve (ho scoperto l’acqua calda, ditelo vah)                 continuo comunque ad osservare la gente con la stessa curiosità di prima, e forse  anche di più.                                 E mentre mia madre impreca all’ennesimo semaforo rosso io poggio la testa al finestrino, e osservo  l’ultimo passante,         il più particolare, e continuo ad immaginare ancora una volta una storia diversa, dai personaggi e le ambientazioni sempre nuovi,                                                             da una trama che col passare dei minuti diventa sempre più chiara, ma al quantempo complicata.                                                                                                                                                       Sono attimi che capitano solo a volte, quando sono in vena di riflettere su quanto sia monotono il mondo.                                                                                       Forse il mondo è proprio monotono: tutti che fanno le stesse cose, sempre gli stessi passatempi.                                                               Una cosa di cui non mi stancherò mai però è il suono di una risata, e non una di quelle finte  solo per l’occasione o per le persone che abbiamo davanti...                          io intendo il suono di una vera risata, che fa sorridere anche te che l’ascolti.                                                                                                                                                                                    E la musica, anche di quella non mi stancherò mai.                                                                                                           Vedo post assurdi che parlano di idoli, di musica che fa bene, di cantanti particolare che fanno piangere con una canzone, che fanno emozionare con  quella che alla fine è solo una semplice poesia di parole accompagnata da strumenti.                                                                                              “Ma quella musica fa emozionare!” vanno dicendo,  e lo urlerebbero col megafono, che quel cantante si merita la loro ammirazione, che quel motivetto merita di essere ascoltato una o anche due volte di fila.                                                  All’inizio me lo chiedevo,  mi tempestavo di dubbi e domande a cui non sapevo rispondermi, poi ho capito.                            Ho capito che ogni canzone è un ricordo, e che viviamo tutti di ricordi, e quindi di musica.                                                  Ho capito che le mille pazzie che si fanno per un cantante o una band sono giustificate dalle lacrime che provi quando ti commuovi per loro.   Ho capito che la musica che ascoliti è una parte di quello che sei.          
                                                                                                                                                                                            Ho capito tante di quelle cose, che penso che domani non ricorderò più nulla, e in testa avrò un grande, grandissimo vuoto colmato dalla confusione.           

Se vi state chiedendo come cavolo ho fatto a capire queste (semplici ma per me difficili) verità sappiate però che non è merito mio, ma di tanta gente che ha colmato le mie assurde domande sull’origine e  la felicità di quando scopri che all’ora x si è scavato il naso, dell’idolo in questione .        Ma questi sono dettagli,anche perché ad alcune domande mi rispondo da sola.                                                                    Se ci avete capito qualcosa avrete dato di matto anche voi, ma alla fine ci sto prendendo gusto ad essere un genio incompreso. Spero che il vostro orologio sia soddisfatto adesso,

Vi saluto con  un “grazie di tutto” come i grandi cantanti alla fine di un concerto,

T.

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Capitolo 8
*** 8. ***


8.

Se c’è qualcosa che odio più dei compiti di matematica quello è il percorso che sono costretta ad attraversare tre pomeriggi a settimana,  in pantaloncini più corti del ginocchio, assonnata e sopratutto, sopratutto ghiacciata.                                                                                                                                                                  
Esatto, ghiacciata, come nella “Carica dei cento uno” , quando Macchia, il piccolo cucciolo rimasto indietro diceva di avere “la coda gelata, le zampe gelate,le orecchie gelate...”  ecco, potete paragonarmi ad un dalmata indifeso e travolto da quelle folate di vento che ti paralizzano, vi autorizzo.                                                                        
Per me è in un certo senso una sconfitta, perché non ho mai temuto il caldo nè il freddo, e,  le mille volte in cui avrei dovuto infilare il giubbotto e  non l’ho fatto per scelta, senza preoccuparmi delle conseguenze.                                                                                                                                                                                                  
E’ anche per questo che odio quel dannato percorso, che attraversa due campi da calcio, scende giù per un pendio,                                                                              
passa la palestra di uomini stani che sembrano fare yoga ma mi hanno sempre terrorizzata, per arrivare alla mia palestra, che non ha riscaldamenti.                                                                                                
Oggi a malincuore ho dovuto infilare i jeans, e chiudere la cerniera di un giubbotto da sempre abbandonato sul divano, che non era mai servito a nulla e nonostante tutto  il
naso mi si era gelato, e tremavo come una foglia cercando di correre per mandare via quella strana sensazione.                                                                                                
Non c’è un vero e proprio rimedio per il freddo, quando ti trovi in un posto aperto e hai solo una giacca: voglio dire,                                                                                  
puoi solamente cercare di riscaldarti chiudendoti in te stessa come un riccio, chiudendo gli occhi e aspettando che ti venga a prendere qualcuno che non arriverà mai.                      
Si potrebbe anche correre, ma il sudore e il caldo sono due cose un po’ diverse, e preferisco la prima ipotesi, mi sa.                                                                                                                      
E’ una delle poche cose per cui non riesco a trovare un rimedio, quella sensazione paralizzante che ti porta la temperatura sotto i dodici gradi.                                                    
Un esempio pratico è quello delle persone lunatiche, quelle persone che cambiano umore in continuazione e sopratutto sono testarde,                                                                  
e non c’è verso di far cambiare loro idea.                                                                                                                                                                                            
Se lo siete non andate via, solo chiedete al solito orologio della vostra parete un consiglio,                                                                                                                           o andate a rivedere quanta gente avete fatto disperare per questo atteggiamento.                                                                                                                                            Io certe volte sono disperata, sta gente è pure peggio della suocera che devo ancora conoscere!                                                                                                                Sono ovunque, un giorno sorridono e l’altro ti  vogliono morto,  l’altro ancora non  vogliono parlarti ... lascia passare una settimana e verranno  a cercarti accusandoti di non esserci mai.   E’ in questi momenti che resto paralizzata, con un’espressione confusa, la solita che mi fa sentire un gatto in una piscina, spiazzata e senza parole.                                E poi boh,  dico di essere confusa , e in realtà effettivamente non riesco a capire, a dare un senso a quelle parole buttate lì perché serve una scusa o ad ogni atteggiamento strano, lunatico e assolutamente  inspiegabile.                                                                                                                                                                                        Ho corso dietro a gente così per giorni, settimane, mesi,  finché, dopo un bel po’, non mi sono resa  conto che era meglio smetterla e fregarsene, che era meglio restare sotto un cappuccio e continuare a correre sotto la pioggia, dalla parte opposta di chi mi aveva fatto male in qualche modo, anche senza rendersene conto.                                                                                                                                                                                        Non mi è mai piaciuto scappare.  Da che cosa poi? Dalle persone che incontreresti sempre e comunque?                                                                                                   Soli si sta anche peggio.  Quando scappo dai problemi mi sento codarda, sento di dover chiarire, di dover chiedere spiegazioni e di risolvere, perché restare sospesa su un filo, mi dà le vertigini.                                             
Mi ricorda quando da bambina mi arrampicavo sull’albero  più alto del giardino e lasciavo penzolare i piedi nel vuoto, ma non riuscivo a trovare il coraggio di lasciare completamente le mani, per paura di cadere, e speravo di riuscirci, un giorno. Peccato che ogni domenica che mi arrampicavo, convinta della riuscita della mia impresa, arrivata in cima venivo presa dal panico per l’altezza che mi tenevano attaccata alla corteccia brulicante di formiche.                                                                                                                                                   Ogni volta che scendevo mi sentivo sconfitta, e profondamente delusa da me stessa.                                  
Credevo in ciò che avrei potuto fare, ma forse non fino in fondo, così restavo la bambina codarda con la paura dell’altezza. Così scappavo, tornavo a casa e mi chiudevo in cameretta, pensando che giocare mi avrebbe fatto diementicare tutto.   Ero intelligente, ma profondamente insicura.                                                                                  
Ogni volta che valuto l’ipotesi di scappare e pensare a qualcos’altro mi viene in mente la scena di una stupida di cinque anni che guarda in basso senza staccare le mani dalla corteccia, e cambio idea.  Ecco perché i testardi non li sopporto, perché non puoi credere a qualcosa, prendere una decisione senza valutare le parole degli altri, rifiutando di sentir ragione.                                                                                                                                                                                                                                
Obbiettivamente ha davvero poco senso, ma va bene così.                                                                                                                                                                    
Visto che infondo non confido fin troppo  che siete arrivati a seguirmi fino alla cima dell’albero, lascio perdere e giro pagina, sperando che almeno le formiche riescano a capire che ho paura dell’altezza.                    

Ci si rivede,

T.

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Capitolo 9
*** 9. ***


9.

E’ un po’ come sognare, quando succede qualcosa che non ti aspetti, o che prima pensavi fosse l’impossibile.
Una specie di carica di energia, capito?
  Una sensazione unica, in cui gli occhi brillano e tu, tu sorridi, regali al mondo uno dei sorrisi più sinceri degli ultimi tempi, perché non c’è momento più bello di quello, non c’è un momento capace di sostituire quell’attimo di stupore.
  Bene bene, noi stupidi esseri umani viviamo nella speranza di avere sempre attimi così, speranza anche vana perché, solo pensando ad attimi di pura allegria sempre rischiamo di sfociare (come i fiumi) nel mare dell’impossibilità.
E mi spiace, ma se naufraghi in quel mare non puoi uscirne, non come quando quelle cose banali che desideri si avverano.
 Io sono una tipa che non tiene mai la testa a contatto diretto con la terra,  neanche quando spalanco gli occhi e guardo te, stupido essere umano che mi sei capitato davanti per caso, annuendo seriamente come per fare capire che ti seguo. 
Di conseguenza quando le persone mi chiedono “ ma quindi che ne pensi?” e mi sembra una domanda, io scendo dal mio mondo parallelo esclamando “eh?!” e facendo sbuffare la diretta o il diretto interessato  attaccando così la testa, come se fosse tutto un cavo continuamente calpestato con problemi di conessione, consapevole che non avrei resistito più di cinque minuti attenta.
  Sono così, non c’è altro da dire, e poi preferisco rimanere nel mio piccolo mondo fatto delle mie piccole felicità, qualche volta, e vi dirò, mi piace anche chiedere al mondo di ripetere la domanda con quel mio “eh?!” che rende  più allegra la conversazione, quando capita. Lo so, lo so, vi starete chiedendo chi riesce a sopportarmi, a ripetere la domanda tante volte per me,  chi potrebbe mai ascoltare le mie scemenze, i miei assurdi silenzi,e placare i miei momenti di rabbia eterna.  Ci sono, rispondo solo io.                  
Sapete, mi è sempre piaciuto camminare per il centro, in città. Il cielo azzurro, gli interminabili palazzi,  i marciapiedi irregolari, ma anche la folla, le signore con le grandi borse, le ragazze semi-adulte con i passeggini, i bambini con i loro genitori,  i ragazzi che si spostano in gruppo tra una risata e l’altra... è bello anche il traffico però, il rumore dei clacson, le grida del vecchietto inferocito perché rischia di perdere un appuntamento.  E’ quotidianità,  mi dico.   
Mi piacerebbe chiedere a qualche ragazzino di passaggio, uno di quelli dallo sguardo basso e l’espressione pensierosa, se volesse cambiare qualcosa della sua, quotidianità. Mi guarderebbe male?Quasi sicuramente.  A me piace, vivere col dubbio.                                                                    
 Domani andrò a scuola oppure no? Domani incontrerò lei o lui?Domani  mi interrogherà o no? Domani scivolerò giù dalle scale o andrò a sbattere contro l’estintore della palestra? Cadrò per terra o riuscirò a durare, in piedi, per ogni attimo di quella giornata? Mi deluderà qualcuno? Deluderò qualcuno? Dimenticherò qualcosa?  Non lo so..                                                                                                                                                                                 
Le domande sono troppe...   e di risposte non ne ho, ma sapete, a me va bene così. Non importa quello che succederà domani, io reagirò comunque, non importa se  sarà qualcosa di inaspettato, perché la mia quotidianità, e penso anche quella degli altri, è fatta di azioni inaspettate, di fraintendimenti e continui sorrisi, di sguardi e  messaggi che ti lasciano una punta di speranza dentro.  E sì, anche quando mi sentirò cadere, potrò dire di essermelo aspettato.                                                                                                                     Come puoi decifrare i continui flussi di pensieri di una qualsiasi persona? Impossibile.  E’  come voler predire il futuro, o voler domare  un sogno.   
 Di sogni strani ne ho fatti tanti, se non tantissimi. Ho sognato volti e volti, che si conoscevano dentro contesti inauditi, ho sognato qualcosa che poi mi è sembrata essersi davvero avverarata,alla fine.    Ho sognato di sorridere, alla fine, di rivedere persone che mi hanno ormai dimenticata, di abbracciare ragazzi incrociati in cortile solo con uno sguardo. Si possono sognare i ricordi? E’ così impossibile, a pensarlo, ma forse è proprio così.
Le persone che sognamo non sono che ricordi, anche ricordi vicinissimi, che risalgono allo stesso pomeriggio. 
Sono tutti ricordi, quindi, alla fine...                            
 Scusate il delirio, è che sono a casa con la febbre e non ho niente,    niente di meglio a cui pensare o su cui concentrarmi. In teoria dovrei studiare, ma queste sono solo teorie.                                                                         
 Non so neanche se non poter respirare e dormire come non facevo dall’età di cinque anni può definirsi  febbre, per la verità.     Mi è appena tornata in mente la neve, non so perché. La neve, esatto, quella sostanza fredda e bianca che dove abito io non viene quasi mai. E’ così bella, mi viene da pensare.  Sono riuscita ad ammirarla da vicino solo qualche settimana prima della fine delle vacanze, e sì, è una sostanza spettacolare. Ricordo che quando il motore della macchina si è fermato mi sono fiondata giù, quasi non sono ruzzolata a terra, e ho preso a toccare la sostanza che calpestavano goffamente i miei scarponi.   Come una bambina di cinque anni, quando ho scoperto che era ghiaccio, più che neve, ho cominciato a dubitare dell’importanza di quel viaggio, e ho camminato ignorando mia sorella che cercava di starmi dietro.

Quando,pochi passi dopo,  sono quasi affondata in quella sostanza morbida, allora ho capito che non mi ero illusa, ma che, semplicemente, non avevo aspettato abbastanza.                                                        

T.

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** 10. ***


10.

Ascoltare il silenzio degli altri è forse la pena peggiore che siamo costretti a sopportare.                                                                                                              
E’ difficile poter spiegare a parole quanto può far star male.                                                                                                                                                                  
Il silenzio non lo definirei un rumore,ma  forse è un suono, o un insieme di parole non dette, che nel silenzio pesano più di quanto non pesino se pronunciate.          
Fa soffrire molti, il silenzio, mentre a me fa soltanto paura.                                                                                                                                                              
Ho paura, timore di quest’assensa di ogni rumore, di questo niente, capace di farti sprofondare in una botola di tristezza e sorrisi mancati.                          
Forse sono l’unica a piangere per un silenzio, ma qualcosa mi dice che non è così.                                                                                                                            
Questa mancanza ti fa sentire un vuoto dentro, vuoto delle parole che adesso  quella persona non pronuncia più,                                                                         delle risate che le sue parole provocavano in te, quando non avevi sbagliato, quando era tutto diverso, più semplice.                                                                        
Certe volte mi chiedo come il domani possa complicare sempre più l’oggi, e mi sembra che sia tutta una ragnatela, una serie di fili che continuano ad incastrarsi tra loro, che non hanno mai previsto di restare come sono.                                                                                                                                                   E se un filo si scioglie non cadrà tutta la ragnatela, ma quasi sempre il filo verrà sostituito da un altro, ancora più lungo e difficile da sbrogliare.                              Come si fa, mi chiedo, a rallentare il flusso del tempo?  O quantomeno a mettere in pausa, ogni tanto.                                                                                                              
E lo so, chiedo tanto, fin troppo e il tempo non aspetta nessuno, nè la vita è una videocassetta, dove è possibile portare indietro il nastro per ricominciare da capo.  Il silenzio, certe volte, fa venir voglia di tornare indietro.                                                                                                                                                        Ti illudi per un attimo, anche un millesimo di secondo, che il mondo sia una videocassetta, e valuti l’ipotesi di cambiare quel che hai combinato qualche ora prima, poi guardi l’orologio, capisci che è troppo tardi, e torni sulla terra .                                                                                                                                    Okay, io sono un soggetto abbastanza particolare, ma sono certa che in qualche modo per tutti è così.  Quante volte non ci diciamo “ah, se non avessi insultato il gatto del vicino!” oppure “ eh, ma se potessi tornare indietro e aggiustare la grondaia di Esmeraldo come avevo promesso, invece di distruggerla con un martello, lo farei” o ancora, che ne so “ se avessi saputo che Genoveffa si sarebbe arrabbiata  dopo aver trovato la sua parrucca dentro il frigorifero,sicuramente avrei evitato di dirle che l’aveva presa il professore della porta accanto!” .                                                                                                       Le mie forse sono ipotesi molto remote, ma ho dimenticato che a tutte segue la frase: “ se solo potessi tornare indietro!”.                                               Purtroppo siamo troppo stupidi per capire che tornare indietro non sistemerebbe le cose,ma che  solo, le complicherebbe.                                                                                                     Sbagliare fa crescere tanto,  e alla fine  impari sempre qualcosa di nuovo, e sai come affrontare meglio certe situazioni complicate.                                          Se lo so, è solo perché ho ci ho sbattuto la testa più volte e ogni volta ho dovuto, e devo rialzarmi.                                                                                                                           Fino a ieri mi sono chiesta più volte cosa possa far stare male una persona.                                                                                                                                             Mi dico che forse è relativo, che dipende dalle persone e dalle situazioni, ma forse proviamo un po’ tutti le stesse cose e siamo solo stufi di sospirare alle frasi della pagina “ SENTIMENTI CONDIVISI” di facebook.                                                                                                                                                             Io mi sento stanca e come tantissimi altri sono dell’idea che nessuno possa capirmi come vorrei.                                                                                                           E se mi capissero tutti ed evitassero di dirlo? O forse non vogliono capirmi? Tanto devi andare avanti da sola, non puoi appoggiarti sulle spalle di troppe persone, perchè prima o poi queste se ne andranno e ti lascieranno cadere a terra con un tonfo.                                                                                                     Tu, in questa serie di azioni che si susseguono come scatti  di una macchina fotografica dove il gioco è “trova le differenze”, sei solo a terra, stordito e confuso senza  più nessuno a cui aggrapparti, e hai sempre più paura di fidarti di qualcuno che potrebbe stancarsi di reggere il tuo peso.                                                                                                            Che poi, anche se trovassi qualcun altro,  qualcosa dentro te starà a pensare alla persona che c’era prima, che ti manca così tanto e che continuerà a mancarti.  Non si può ignorare il passato, ma nemmeno caricare di aspettative il futuro.
Forse basterebbe trovare il giusto equilibrio tra ricordi e progetti,  e cogliere l’attimo. “Carpe diem”  continuo a ripetere, pensando a tutti quei volti che sono sfumati da me  come un dipinto  investito da una pioggia via via sempre più fitta.                                                                                                                      E come la pioggia che sto immaginando le mie lacrime scendono silenziose,  mentre la persona che mi manca in questo momento minaccia di lasciare solo qualche  linea invisibile sul mio foglio bianco, come se una gomma possa cancellare quei segni di penna blu lasciati sul mio diario.
Non  siamo che illusioni.        
Esatto, viviamo  illudendoci che i ricordi di quei sorrisi possano scivolare via da noi solo per una scelta, per quel silenzio. 
A me il silenzio uccide, più di ogni insulto o parola, più di ogni schiaffo o protesta, più di ogni sguardo cattivo.
Il silenzio è niente, e io non sono il genere di persona che riesce a vivere di niente, perché a me non basta, non riesco ad accontentarmi.
Puoi giustificare il silenzio come vuoi,  ma poi non venirmi a chiedere perché sono stata io a scappare.
Se scappo è perché non ne posso più, perché sopportare per me è diventato uno strazio. 
Direte che sono debole, ma a me  va bene così. Sinceramente preferisco sottrarmi ad ogni parola che non mi urlate in faccia perchè preferite che capisca tutto da sola, invece di sottarmi alla pura verità.

Dovevo scriverlo da qualche parte, scusate, forse qualcuno qui mi capirà.

Ci si sente presto,

T.

 

 

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