My life with you (Simply Dream)

di Elle Douglas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Prefazione ***
Capitolo 2: *** 1. Vancouver ***
Capitolo 3: *** 2. Tra sogno e realtà ***
Capitolo 4: *** 3. SOS Tortura denominata PP! ***
Capitolo 5: *** 4. Eclipse ***
Capitolo 6: *** 5. Una cattiva dose di Gelosia. ***
Capitolo 7: *** 6. Sospetti ***
Capitolo 8: *** 7. Non stringerò mai più un patto con te! ***
Capitolo 9: *** 8. Tom, ma dove cavolo ci hai portati?! ***
Capitolo 10: *** 9. Lei non è quella giusta per te… ***
Capitolo 11: *** 10. Strage in casa Cullen. ***
Capitolo 12: *** 11. I’m sorry dad! ***
Capitolo 13: *** 12. Okay.. e ora che si fa? ***
Capitolo 14: *** 13. Now I'm all yours... ***
Capitolo 15: *** 14. Rob, ti prego, NON FARLO! ***
Capitolo 16: *** 15. Figure di merda? Oh yeah! ***
Capitolo 17: *** 16. Senza te. ***
Capitolo 18: *** 17. Baci, Abbracci & tante coccole. ***
Capitolo 19: *** 18. Insicura e Paranoica. ***
Capitolo 20: *** 19. Una premiere.. zoppicante! ***
Capitolo 21: *** 2O. In vino veritas ***
Capitolo 22: *** 21. Non ho che te. ***
Capitolo 23: *** 22. And I back to you. ***
Capitolo 24: *** 23. Ti amo e tu non puoi farci niente. ***
Capitolo 25: *** 24. Chiusi in un miracolo. ***
Capitolo 26: *** 25. The sun under the snow. ***
Capitolo 27: *** 26. Follow your heart ***



Capitolo 1
*** 1. Prefazione ***


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PREFAZIONE
 

Ed eccolo lì il mio sogno personale,
Lì bellissimo e inerme che mi guarda con aria divertita ed enigmatica.
Eccolo lì mentre cerca in tutti i modi di infondermi il suo coraggio.
Sono nervosa. Super nervosa.
Tutti mi guardano e non so che fare mi sento pietrificata e allo stesso tempo emozionata con le gambe che sembrano un budino tremolante.
Non ce la faccio, non ce la posso fare.
Ma il momento ormai è arrivato e dobbiamo andare incontro al nostro destino.

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Capitolo 2
*** 1. Vancouver ***


Era l’ennesima volta che andavo a Vancouver da sola. Questo fatto di andare una volta al mese dai miei mi stava seriamente stancando, se poi si tiene conto del fatto che i miei non erano nemmeno in America era un altro bel paio di maniche. Era da più di un anno e mezzo che facevo su e giù dall’Italia, come una fuggiasca, una vagabonda, sembravo non avere una casa ed ero davvero stressantissima, avevo perso più chili ora che una volta con delle diete. Mi stavo avviando verso l’uscita dell’aeroporto quando il mio telefono, appena acceso, riprese a squillare, pregavo Dio che non fosse mia madre, mi aveva assillato per circa un ora, prima di partire, sulle varie cose da fare    “ Non parlare agli sconosciuti, fila dritta in albergo, stai attenta e tieniti la borsa stretta quando cammini …” ci mancava solo che mi dicesse “ Non accettare caramelle da uno sconosciuto”, neanche fossi una bambina piccola. Mi fermai appena fuori dalla stazione poggiando le valigie a terra e prendendo il telefono dalla borsa. Le mie preghiere non erano arrivate a destinazione. Era mia madre. Alzai gli occhi al cielo, sbuffando perché già sapevo cosa mi avrebbe detto.
“ Vanessa, dove sei? Sei arrivata?”
“ Mamma sono appena atterrata ora filo in albergo che sono stanchissima”.
“ Ma non c’è Robert che ti viene a prendere?”, domandò mia madre imperterrita.
“ No mamma! Rob è in albergo che mi aspetta, però manda un auto a prendermi”
“ Ok! Allora stai attenta mi raccomando …”
“ Si mamma, sta tranquilla! E salutami tutti, ciao!”, le dissi prima di riattaccare.
Poi ripresi le valigie, pesantissime come sempre e mi avviai verso la strada in cui c’era già l’auto posteggiata mandatami da Rob. Riconobbi Dan all’istante, la guardia del corpo di Rob, mentre lui si guardava ancora intorno per vedere dove fossi, e quasi lo spaventai quando lo sorpresi alle spalle.
“ Ciao Dan!”
“ Ehy Vanessa!”, mi salutò abbracciandomi.
“ Dà qua che ti aiuto”, disse allungando un braccio per prendere una delle tante valigie che avevo in spalla, gliela diedi ben volentieri visto che mi stava fracassando una spalla. E lui come niente fosse le prese e la infilò nel bagagliaio dell’auto con una leggerezza mai vista, come tutte le volte: per Dan erano leggere come piume, o forse faceva finta che lo fossero.
Dovetti prendere la felpa dalla borsa prima di mettermi in auto, qui faceva più freddo che in Italia e per giunta stava iniziando anche a piovere, subito pensai che Rob non mi avesse dato le giuste previsioni del tempo al telefono.
La infilai e mi misi in macchina accartocciandomi su me stessa per riscaldarmi.
“ Robert ti aspetta sul set.” M’informò Dan una volta in macchina.
“ Come sul set?” risposi un po’ imbronciata a quella notizia. Non che non mi piacesse la compagnia, ma quel giorno ero stanchissima, avrei solo voluto stare con lui e basta, senza nessuno intorno, senza che avessi la paura di essere beccata da un giornalista mentre lo baciavo. Perché era così dalla prima volta, da quanto ci eravamo conosciuti a Montepulciano, la nostra era una storia che doveva restare segreta, anzi segretissima, almeno fino alla fine della saga di Twilight, non perché lo volesse lui, ma per questioni di business era meglio che si credesse che lui stava con Kristen Stewart, per dare maggior credibilità al film, e perché il pubblico voleva questo, e così quando apparivano foto mie con lui, c’era sempre qualcuno che prontamente dichiarava che io fossi soltanto una sua cara amica, tutto qui. Ed era una cosa che odiavo terribilmente e che nuoceva, anche parecchio alla mia gelosia, ma era una cosa che dovevo riuscire a controllare, specie perché il lavoro che lui faceva, non lo avrebbe tollerato.
Ebbene sì, questo era il prezzo da pagare per stare con lui, con il vampiro più bello e desiderato del momento, quello da cui tutte avrebbero voluto ricevere un morso dannato, lui: Robert Pattinson.  
“Si, purtroppo ancora non ha finito le riprese, avrebbe anche voluto venirti a prendere, ma puoi solo immaginare l’onda di ragazzine urlanti che lo avrebbero avvolto". Non saremmo più usciti da lì”
Era vero. Se solo una ragazza li avesse visto, sarebbe andata su di giri e lo avrebbe assaltato in meno di cinque minuti, e con mia forte gelosia avrei dovuto subire e zitta, primo: perché lui era un attore famoso e quelle erano le conseguenze e secondo, perché alla fin fine io ero solo una semplicissima amica. Che nervi. Ogni volta che aprivo un giornale era una coltellata al cuore anche se sapevo che stava con me, ma questo per me doveva essere normale, subire tutti i pettegolezzi e i loro baci finti in copertina. A causa di questa messa in scena ero arrivata al punto di non sopportare neanche più Kristen, anche se di malavoglia, perché la trovavo una ragazza molto semplice e simpatica. Ripensando a Kristen, ripensavo ancora a quando la mia vita non era così, e a quando leggendo e guardando le sue foto sui giornali la invidiavo perché poteva stare vicino a Rob. Si poteva ben dire che le cose fossero ben cambiate da allora.
“Siamo quasi arrivati” m’informò Dan, e a quelle parole il mio cuore iniziò a volare pensando al fatto che tra pochi minuti l’avrei rivisto. Era emozionatissima.
Dan sorpassò con un po’ di difficoltà un’orda di fans appostate nelle vicinanze del set cinematografico, che alla vista dell’auto iniziarono ad urlare squarciandoci i timpani, era da un po’ che le mie orecchie non le sentivano, e non c’ero più abituata.
“ Sanno che questa è l’auto con cui cammina Pattinson …”, spiegò gentilmente Dan.
A pochi metri da noi iniziai a intravedere dei movimenti. Sapevo che eravamo vicini e il mio cuore iniziò a sobbalzare più forte ancora.
L’auto si fermò a pochi metri dai camper, per farmi scendere.
Quando Dan se ne andò vagavo disorientata tra i mille macchinari dismessi, e vari set in allestimento che quasi non capivo più neanche dove fossi finita, ma poi lo vidi e l’emozione invase anche i miei occhi riempiendoli di lacrime. Era fuori dalla porta di un grande garage, bianco come un lenzuolo a causa del trucco da vampiro, mentre fumava una sigaretta, vizio per la quale l’avevo invitato più volte smettere in quanto non sopportavo, in modo abbastanza frettoloso. Vicino a lui Peter, con il quale stava avendo un’intensa conversazione. Non volevo farmi vedere con le lacrime agli occhi perciò pensai bene di strofinarmeli con il palmo della mano, ma poi ci ripensai dato che avevo il trucco. Così presi un fazzoletto dalla borsa e iniziai a tamponarli un po’, se fosse andata bene non si sarebbe accorto di nulla. Mi sistemai i capelli e avanzai a passo lento verso di lui.
“ Non ti ho chiesto più volte di smettere?” chiesi sarcastica per attirare la sua attenzione, mentre lui, invano, non si accorse di nulla.
Appena udii la mia voce, lo vidi voltarsi e i miei occhi lampeggiarono nei suoi. Sentivo gli occhi inondarsi di lacrime, di nuovo, e cercai invano di cacciarle via.
“ Vanessa!” esclamò contento come un bambino che riceve il regalo tanto desiderato, e in poco meno di un minuto mi ritrovai a volteggiare in aria, tra le sue braccia. Avevo lo stomaco pieno di farfalle, come la prima volta che mi aveva abbracciata, era sempre come la prima volta per me incontrarlo.
Quando mi lasciò andare, mettendomi giù, ero ancora scombussolata perché ancora non volevo togliermi dalle sue braccia, non ero pronta. Sbuffai. Avrei desiderato che quell’abbraccio fosse durato un’eternità, che il tempo si fosse fermato in quel momento per restare lì con lui, tra le sue braccia, ancora un altro po’.
Mi guardava fisso negli occhi con aria sorridente, paranoica com’ero cercai di sistemarmi più presto possibile.
“ Ecco cosa amo di te: il fatto che non ti si può guardare in faccia che subito diventi paranoica!”
“ Beh, dovrò pur stare al passo della star più desiderata di Hollywood, non ti pare? Ti ricordi che tu sei una delle persone più influenti e belle del mondo, non vorrai che io sembri una scimmia in tuo confronto?”, dissi prendendolo un po’ in giro. Alche’ lui non rispose mi si avvicinò solo lievemente al viso, facendo finta di abbracciarmi e mi sussurrò all’orecchio “ Purtroppo vorrei proprio questo per te, in modo che nessun ragazzo al di fuori di qui ti guardi come se ti volesse saltare addosso, e poi ringrazia Dio che non posso baciarti …”
“ Di questo Dio non lo ringrazio proprio!”
Dopo quest’affermazione scoppiò nella sua flagrante risata che mi riempì il cuore, aveva come sempre il dolce suono di una campana.
“Beh, neanche’io!”. Così dicendo mi prese per mano e ci avviammo verso gli altri, che da lontano ci guardavano sorridenti osservando il nostro “ritrovo”.
“Mi dispiace di non essere venuto a prenderti.. avrei voluto, ma questi qui mi hanno tenuto impegnato”, disse rivolgendosi naturalmente alla troupe.
“Non preoccuparti..” dissi tranquillizzandolo mentre mi avvicinavo ad Ashley per abbracciarla.
“Adesso non far stressare la mia sorellina, Rob!”
“Come potrei far stressare il mio tesoro?!”, chiese lui sarcastico. Gli gettai un finto pugno sul braccio, ma nemmeno lo scalfì, anzi quella che si fece male fui io.
“Lo sai che contro un vampiro non puoi fare niente..”. Risi sarcastica e mi massaggiai le dita doloranti.
Poi Rob mi lasciò per le ultime riprese del giorno, io intanto mi appollaiai su una sedia nell’angolo e cullata dalla voce delle varie persone intorno a me persi conoscenza cadendo nelle braccia di Morfeo.

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Capitolo 3
*** 2. Tra sogno e realtà ***


Quando mi risvegliai il giorno dopo l’orologio digitale sul comodino segnava le 3.15 con il suo colore rosso che risaltò nei miei occhi. Non ricordavo quand’erano finite le riprese e tantomeno quand’eravamo ritornati, tutta l’altra meta della giornata era caduta nell’oblio. Mi ritrovai tra le sue braccia e fu l’unica cosa di cui ero consapevole. Conscia di ciò ricaddi nel sonno più profondo senza nemmeno un sogno. Mi alzai il mattino seguente quando l’orologio sul comodino segnava le 9 del mattino, e quando ritornai alla realtà mi agitai, chissà quante volte aveva chiamato mia madre, potevo chiamarla ora? Feci un calcolo mentale del fuso orario, era ormai l’una di notte in Italia, presi il cellulare per controllare quante volte avesse torturato il mio povero telefono, ma con mia sorpresa non ne trovai nessuna. Possibile che non mi avesse chiamata?
“ Ho risposto io”.rispose Rob mentre entrava in camera aprendo la porta.
“ Ah..” riuscii a rispondere mentre cercavo di coprirmi gli occhi ancora in preda all’oblio.
“ Ti dispiace?” chiese non avendo avuto una risposta più eloquente, alla quale era abituato.
“ No, perché dovrebbe? Lo sai che mi dispiace solo se parli con altre ragazze al di fuori di me! Beh, in quel caso ti staccherei la testa proprio come fa Edward a Victoria..”
Lo sentii fare un risolino mentre vidi nella penombra, che si stava abbottonando la camicia.
“Mmh.. che fai?” dissi tirandolo a me.
Le nostre labbra si incollarono in un bacio profondo. Le mie mani vagavano nei suoi capelli, mentre lui faceva lo stesso sui mie fianchi. Non volevo staccarmi da lui, nemmeno un po’… ma purtroppo noi umani abbiamo bisogno di respirare, e quello in un bacio come il nostro in quel momento, beh venne a mancare. Mi staccai a malincuore da lui. Cercai di riprendere ma fu lui a staccarmi, mi spaventò il suo rifiuto.
“ Che…?”
“ Devo andare sul set!” Mi bloccò lui per tranquillizzarmi, “ Lo sai che vorrei stare tutto il giorno qui con te, ma purtroppo il dovere chiama”.
“ Maledetto dovere!” risposi io a mezzabocca, ancora sotto di lui mentre respiravo il suo profumo.
Mi diede un bacio rapido e si alzò rimettendosi la camicia.
“Uffa però!” sbuffai mentre cercavo di alzarmi.
“ Avremmo tempo per recuperare..”
“ Sì, sì come no!” dissi mentre mi dirigevo in cucina.
Un vassoio pieno di prelibatezze mi attendeva sul tavolo.
“ Non devo mangiare da un’eternità, sai?” gridai per farmi sentire da lui.
“Prenditela con Liz, ha detto lei che ti ha trovata troppo magra”. Disse affacciandosi alla porta.
“ Ma tu non hai mangiato nulla?”
“ Oh sì che ho mangiato, non preoccuparti per me”.
Detto questo addentai una brioche che dal vassoio mi guardava con aria invitante, come rifiutare un simile invito?
“ Cos’hai raccontato a mia madre?” chiesi tra un boccone e l’altro.
“ La verità: che ti sei addormentata sul set e che in quel momento dormivi”.
“ E ti ha capito?”
“ Almeno credo.. comunque a quanto ho capito ti richiama alle 13”
“ Ok! Tanto il cellulare è aperto..” Immaginavo Rob e mia madre conversare in due lingue diverse senza capirsi come succedeva di solito, mi usci una risata al pensiero, era divertente perché ogni volta che si incontravano in Italia comunicavano per lo più a gesti, mia madre non masticava molto bene l’inglese e Rob, l’ho capiva aveva imparato qualche parola ma non ne sapeva fare un discorso, ancora, perciò immaginavo come avevano potuto parlare al telefono!
D’un tratto Rob nero in volto entro in cucina dove io stavo facendo colazione e batté il mio telefono sul tavolo.
“Di nuovo lui! Non ne posso più”. Sbottò.
Presi il telefono in mano confusa, non capendo a chi si riferisse.
Il nome “Cesare” sullo schermo, lampeggiava a caratteri cubitali, gettai la brioche sul piatto, di nuovo metteva in dubbio il mio amore per lui, mi urtava la sua non fiducia in me.
“ Ah, si ricomincia Rob?! Siamo solo amici ora, non ce niente di cui preoccuparsi, perché non ti fidi di me? Amo solo te, sempre e solo te, in che modo te lo devo dire?”
“Non lo so! Ma allora perché se siete solo amici ti chiama in continuazione? Vorrei proprio saperlo!”
“E che ne so Rob, non sono io che lo chiamo… perché fai così?”
“ E che quando vedo il suo nome perdo le staffe, non volevo aggredirti così, scusa…” chiarì più calmo.
Rifiutai la chiamata in corso e scesi giù dello sgabello, mi si era chiuso lo stomaco.
“ Non finisci di mangiare?”
“ Non ho più fame!” risposi scocciata.
“ Vuoi che Liz se la prenda con me?” disse in modo sarcastico.
“ Dì a Liz che la ringrazio, ma mi si è chiuso lo stomaco”.
“ Ti ho chiesto scusa..” non risposi.
Mi gettai sul divano bianco pronta a restare da sola davanti a un qualsiasi programma televisivo la ridente città americana proponeva ai mattutini prima di farmi un bel bagno rilassante ma ecco qualcosa che catturò la mia attenzione: un giornale impilato sotto altri dal tavolino si prendeva gioco di me con la sua immagine e il suo titolo di copertina:” Robert Pattinson e Kristen Stewart: Una storia che esce allo scoperto, ecco le foto!”
Aprii il giornale con talmente tanta violenza che quasi mi si strappò per arrivare a quelle pagine, le sole e uniche testimoni del misfatto. C’erano varie foto di Rob e Kristen ad un parco, che a prima vista non conoscevo, varie foto in cui si tenevano mano per mano, si abbracciavano e si baciavano teneramente sulla guancia, e poi una foto di Rob in cui sorrideva, in cui sorrideva in una delle sue risate fragorose lo potevo dedurre dalla foto, lo conoscevo a memoria, non poteva ingannarmi. Quei sorrisi che mi avevano sempre rubato il cuore, e che negli ultimi tempi riservava a me sbandierati così su un giornale ad un'altra donna, che per di più conoscevo benissimo.
Sentii un calore nuovo invadermi, lo sentivo sotto la pelle e sotto le ossa quasi fosse un fuoco in cui stavo bruciando, era il fuoco dell’odio. E fu così che Rob mi vide, mentre inevitabilmente stringevo forte il giornale tra i pugni chiusi e piangevo a dirotto senza accorgermene.
“Cosa sono queste?” Sbottai nervosa a mille.
“Cosa?” rispose lui, non capendo di cosa stessi parlando.
“Queste!” dissi gettando il giornale a terra.
Lui, disorientato e confuso prese il giornale tra le mani e guardò attentamente le foto incriminate.
“Lo sai come funziona..” disse sorridendomi e avvicinandomi per calmarmi, mi allontanai. Non volevo nessun contatto con lui in quel momento, non rispondevo di me in quei momenti ed era meglio così.
Il cellulare iniziò a squillare, di nuovo, sperai non fosse Cesare, non volevo una reazione a catena di gelosia…
“Cazzo mamma!”
Premei il tasto verde e apri la chiamata.
“Ehi mamma” dissi dirigendomi verso la camera da letto.
“Dove sei?” Mi faceva impazzire con queste domande, menomale che lo sapeva!
“Mamma, a Vancouver, dove vuoi che stia?” risposi sarcastica.
“Non mi hai risposto ieri sera, mi hai fatto preoccupare..”
“Giusto mamma, scusa, ho preso il sonno e non ti ho avvisato”.
“Me ne sono accorta!”
Mentre parlavo con lei, più che altro annuivo dicendo sempre sì alle sue solite raccomandazioni, guardavo Robert, che dal divano guardava corrucciato il giornale che gli avevo lanciato. Non mi andava di vederlo così, era pur sempre il mio amore ora, non potevo avercela con lui, per un motivo del genere. Sapevo le condizioni che c’erano imposte per stare insieme, ma ogni volta che vedevo foto del genere mi lasciavo prendere dalla gelosia e non andava bene, perché sapevo con chi stavo. Sapevo cosa comportava stare con lui, anche se non riuscivo ancora ad accettarlo.
“CI SEI?” gridò mia madre dall’altro capo del telefono probabilmente non sentendo nessuna risposta a una domanda che mi aveva posto.
“Si… senti mamma, ti chiamo più tardi io, quando in Italia sarà un ora decente per chiamare, non preoccuparti, ora vai a dormire, Ok? Ci sentiamo!”
“Va bene, vedo che hai da fare, allora poi chiamami.. Ciao!”
Chiusi la chiamata e spensi il telefono gettandolo sul letto ancora disfatto.
Entrai in camera imbarazzata, con le mani dentro le tasche della grande felpa blu che indossavo, mentre pian piano mi avvicinavo a lui rossa di vergogna, era sempre così dopo un litigio.
“Rob?” chiesi, per vedere se era disponibile a parlare oppure se ce la avesse con me.
Non mi mostro nessun sorriso, ma neanche un segno di disapprovazione così andai verso di lui e mi sedetti sulle sue gambe, lui come al solito mi accolse senza dir nulla.
“Ti chiedo scusa. Lo so sono una pazza isterica, nevrotica, scema gelosa. Combino solo dei casini con la mia stupida gelosia.. so tutto quello che devo sapere, ma non riesco a cambiare. Dimmi solo che mi perdoni, non desidero altro, e se non vuoi..” Mi zittì subito mettendomi un dito sulle labbra prima di portarmi verso le sue. Mi strinse a se, mentre mi tenne con una mano dietro la nuca.
Fu un bacio lungo, morbido, ardente che sapeva di perdono, quel perdono che riusciva sempre a darmi nonostante ogni volta lo facessi arrabbiare.
A un certo punto mi staccò bruscamente mentre io ancora ero desiderosa delle sue labbra. Lo guardai sorpresa non capendo il perché. Ero spaventata.
Mi sorrise.
“Devo andare..” mi disse mentre pian piano si riallacciava la camicia.
“Ah… giusto”. Dissi guardando l’orologio.
Qualcuno fuori dalla porta lo aspettava e io non potevo più trattenerlo. Mi alzai dalle sue gambe e mi gettai di nuovo sul divano bianco.
“Non ce bisogno che ti perdoni, non ce l’ho mai avuta con te”. Così dicendo mi diede un bacio in fronte e si dileguò con Dan.
 
Erano da due anni che ci conoscevamo.
Tutto era successo a Montepulciano, la città toscana scelta per girare il secondo capitolo della saga “New Moon” invece di Volterra. 
Ricordavo ancora tutto dettagliatamente, in modo nitido e sognante, ancora…
Mi recai a Montepulciano il 24 maggio 2009, tre giorni prima dell’inizio delle riprese con la speranza di incontrarli, e soprattutto di incontrarlo. 
Lui, quell’attore inglese che con l’interpretazione di Edward Cullen mi aveva rubato il cuore e l’anima. Sarebbe stato un sogno anche solo incrociare il suo sguardo per pochi secondi, non chiedevo di più, lo stare “insieme” contemporaneamente nello stesso posto creava in me una certa emozione che mi toglieva il fiato e mi mandava dritta in iperventilazione. 
Magari non avrei mai fatto parte della sua vita, ma avrei partecipato a un piccolo istante di essa, e speravo sarebbe stato positivo anche per lui in qualche modo, ma potevo anche passare inosservata, come la maggior parte delle volte, tra le mille ragazzine urlanti che lo adoravano e lo amavano. Sì, sarebbe andata sicuramente così, ma dentro di me avrei conservato il ricordo di quanta gioia avrei provato nel momento in cui l’avrei visto.
Il modo in cui ci conoscemmo? Se ci ripenso, mi viene ancora da ridere.
Due giorni dopo mi recai in un bar, ancora la città fuori non era abbastanza attiva dato che erano le 7 del mattino, nessuno dava importanza a quella giornata tranne io, penso, e altre 1000 twilighters li fuori pronte a urlare e scalpitare davanti ai loro idoli. Tutte con il cuore a mille.
Sì, perché quello era il primo giorno di riprese per il cast, tutto si sarebbe svolto nella piazza principale con tanto di comparse vestite con mantelli rossi, che emozione!
Avevo lo stomaco attorcigliato e il cuore stracolmo di felicità al pensiero.
La notte precedente non ero riuscita a chiudere occhio per via di questa giornata, da quanto tempo l’aspettavo? Forse da un’eternità a quanto ricordavo, e ora ero lì immersa nei miei pensieri a pensare al giorno che stavo trascorrendo nel posto in cui avrei voluto essere, non ci sarebbe stata nessuna nota stonata a rovinarmi quel sogno, nessuna sveglia mi avrebbe richiamato alla realtà quel giorno, perché non era più un sogno ora, stavo vivendo la realtà.
Quando d’improvviso a interrompere i miei pensieri fu la pioggia calda anzi caldissima che mi venne addosso dall’alto macchiandomi tutta!
“Cazzo no!” esplosi andando in escandescenza e alzandomi di scatto dalla sedia su cui ero seduta.
“Ma dove hai gli occhi, dico io, non hai visto…” dissi prima di vedere chi era la persona che mi aveva fatto una cosa del genere. Quando alzai gli occhi verso la persona in questione per dirgliene di più scoprii che di fronte a me c’era uno degli esseri più perfetti della terra che dall’alto dei suoi 185 cm mi guardava rosso in viso mentre nel suo perfetto inglese cercava di scusarsi. I suoi occhi verde smeraldo m’incantarono facendo raddoppiare l’infatuazione che avevo per lui. Mio Dio! Era Bello, questo lo sapevo, ma tutte le foto e i video che avevo visto su di lui non gli rendevano giustizia.
“Ti prego scusa, non volevo combinare ciò che ho combinato.. se vuoi ti pago la tintoria”
Disse calando la mano nella tasca posteriore sinistra dei suoi jeans per mettere mano al portafoglio.
“No, davvero, non è nulla..” feci mostrando bell’uso del mio inglese e della mia fonetica, “Non devi preoccuparti!” e così dicendo sfiorai la sua mano per indicargli di tenere il portafoglio al suo posto.
Una scossa mi attraversò le dita in quel momento… ritrassi subito la mano e lui se ne accorse.
“Puoi toccarmi, non mordo mica” ancora ricordavo quella battuta alla quale ancora ridevo.
“Davvero scusa, non so davvero dove ho la testa a volte!” fece toccandosi i capelli, arruffati e magnifici come sempre, in un gesto di totale imbarazzo. “Stanotte, ho dormito poco a causa del fuso e forse è per questo i miei ingranaggi non girano oggi!” e scoppiò a ridere in una di quelle risate che fino ad allora avevo solo immaginato e visto in delle semplici foto. Restai in silenzio ad ascoltarne il suono melodioso e armonico fino a quando non mi accorsi che mi stava fissando.
“Ah, ehm… neanche io ho dormito stanotte sai?”. Sorrisi.
“E come mai?” mi chiese lui, d’un tratto con aria interessata.
“Sai, si dice in giro che in questa città oggi si girerà il secondo capitolo di un certa saga di nome Twilight, conosci?” chiesi enfatizzando il momento.
Di nuovo scoppiò in una risata più fragorosa, libera, e di nuovo ne restai incantata..
“Ehm sì, mi sembra di averne sentito parlare!” continuò a spezzarmi il cuore con quel sorriso.
“Sarai alle riprese oggi?” domandò di getto corrugando la fronte.
“Sì, è per questo che sono qui!”
“Non sei di qui?”
“No, vengo da più giù.. Calabria… non so se sai…”. Ma certo che lo sapeva, che cosa stupida avevo detto. Mi diedi dei piccoli colpetti in fronte per la mia stupidità.
“Si, certo…”. 
Ero imbarazzatissima non sapevo che dire, ero in piedi e non mi sentivo più le gambe dall’emozione, ero rimasta immobile sin dall’inizio, spostando a volte il peso da una gamba all’altra. Dovevo sembrargli una stupida sicuro, in più sporca di caffè. Fantastico.
Dopo quel giorno mi invitò il secondo in albergo da lui, avremmo pranzato nel ristorante dell’hotel se non fosse stato per i paparazzi che lo inseguivano ad ogni passo in cerca di gossip, così alla vista degli intrusi, che da fuori puntavano, attraverso le grandi vetrate, i loro obiettivi bramosi di pettegolezzi sulla star di Hollywood, ce ne filammo in camera da lui.
In quei giorni continuava a chiamarmi “la ragazza del caffè” e a ripensarci ora mi piaceva quel nome, era da tanto che non ci pensavo! 
“The coffee’s girl” ricordavo ancora i nostri primi veri incontri dopo quel giorno: Lui che veniva ad aprirmi la porta con quel sorriso mozzafiato stampato in faccia e io che imbarazzatissima lo salutavo ed entravo timidamente in camera sua come una fuggiasca. Un po’ come ora.
Mi chiese tutto di me: da dove venivo, dettagliatamente, che facevo nella vita, il mio cibo, bevanda, colore e cantante preferito. Mi sembrava di essere Bella in Twilight per tutte quelle domande che mi poneva interessato come se la vita di una qualunque diciannovenne gli interessasse per davvero e la cosa mi faceva conoscere un nuovo aspetto di lui, un lato che sempre più iniziavo ad amare.
Non gli chiesi mai una foto, o un autografo, non lo volevo, perché guardandoli un giorno, magari, sarebbe riecheggiato lì dentro l’eco dell’abbandono, l’eco di qualcosa che prima c’era e poi non ci sarebbe stato più e a lui stupiva questa cosa, ricordo che me lo chiese più di una volta nei quattro giorni seguenti in cui ci incontrammo.
“Sicuro di non volere nessun autografo come ogni ragazzina urlante su questa faccia di terra? Non vuoi vantartene con nessuno di questo tuo incontro prolungato con Robert Pattinson, l’attore del momento, o meglio Edward Cullen?”
“Tu non sei Edward Cullen”, risposi una volta con aria seria, mentre sorseggiavo un succo. “Tu sei Robert Pattinson, a cui ero, ma ora lo sono molto di più, affezionata come persona prima di tutto.. Mi piacciono le tue risate, i tuoi pensieri un po’ contorti, le tue idee e tutto ciò che fa parte di te, non mi hai colpito per l’attore “del momento” credimi…”  dopo quell’affermazione mi guardò con un misto tra il scioccato, incredulo, e perplesso era bello ammirarlo in quell’espressione e così scoppiai a ridere.
 
A interrompere i miei pensieri fu un bussare ripetuto alla porta d’albergo.
Guardai l’orologio sul display del mio cellulare. Le due, di già? Mi domandai tra me e me, tra la doccia, il pc e i miei ricordi il tempo era passato in fretta.
Qualcuno da lì dietro continuò insistente.
“Arrivo!” gridai alleviando la sua attesa mentre mi sistemavo un po’ alla meglio.
Aprii la porta e chi mi trovai di fronte? Chi se non lei, la mia Ash!
Ancora truccata come Alice e con quella parrucca da folletto sbarazzino in testa.
“Ciao Alice!” esordì per salutarla!
“Sono appena tornata dal set, oggi su e giù sul tapis roulant… credimi non mi reggo più in piedi!”
Immaginavo Ash su uno di quei cosi e istintivamente mi misi a ridere senza che lei se ne accorgesse. Sarebbe stato buffo vederla.
“Ne hai ancora per domani?”
“Non sfottere!” disse fulminandomi con la sguardo mentre soffocavo un'altra risata.
“Scusa!” dissi alzando le mani.
“Comunque ce l’ho molto con te!” disse imbronciata, incrociando le braccia al petto.
“Con me? E perché mai?”
“Ieri ti sei addormentata e non sei venuta alla mia festa!”
“Ah, per questo! Ero stanchissima ieri Ash, non so nemmeno come sono arrivata qui! Alla prossima vengo, giuro!” speravo non si accorgesse che era una bugia!
“Ti ha portato qui Rob, chi se no? Cmq per la festa non preoccuparti, ce ne un'altra stasera: un PP, ovvero PigiaParty!”
Sbiancai di colpo.
“Ma non hai detto che sei stanchissima? Forse dovresti rimandare…”, dissi per persuaderla nella sua idea malsana, soprattutto per me. Un pigiama party, o un PigiaParty, come lo chiamava lei, sarebbe stata la mia rovina. Avrebbe significato non poter stare con Rob, e avrebbe significato partecipare ad un”party” pieno di dive del cinema e perciò la completa distruzione di quel poco di autostima che mi restava, oltre a questo ci sarebbe stata anke Kris, non potevo negarlo.
“Non mi farai cambiare idea my sweety, Il PP si fa stasera, è deciso! E poi… ho un regalo per te!” fece con voce squillante e con un sorriso che non le stava più in bocca.
Uno dei suoi ennesimi regali, non che non ne fossi contenta anzi, ma mi stava riempiendo la casa, anzi la stanza visto che eravamo in albergo!
“Ecco qui!” disse rientrando in camera e saltellando con un sorriso stampato in faccia mentre mi porgeva una scatola enorme con un grande fiocco rosa al di sopra. La cosa prometteva bene.
L’etichetta parlava chiaro “Pink Victoria’s secret” e già questo bastava a farmi brillare gli occhi.
Ash sapeva quanto amavo quel colore, me lo avevo riproposto più volte nei suoi regali.
Aprendo la scatola trovai un pigiama formato da canotta bianca con una scritta a caratteri cubitali
“I only sleep in PINK” cosa che già da sola mi mandava in estasi e abbinato ad un paio di pantaloni decisamente in stile scozzese rosa shocking. Che bellezza, avevo i lucciconi agli occhi la ringraziai timidamente abbracciandola.
“Grazie!” le sussurrai all’orecchio. Lei mi sfregò la schiena in modo affettuoso prima di allontanarsi.
“E di che? Non ho fatto nulla!”
“Sarà anche vero ma ti stai immedesimando troppo in Alice secondo me!” ridacchiò alla mia osservazione.
“E comunque te l’ho regalato per venire al mio PP stasera, adesso non voglio un no!”
“ Non lo..”, m’interruppe immaginando già la mia risposta. Ero troppo prevedibile.
“E neanche un Non lo so, eh!”
“Ash, non lo so.. un pigiama party lì con voi! Insomma siete tutte attrici, dive, io non sono nessuno.. mi sentirei a disagio!”.
Ecco l’avevo detto, o almeno avevo usato la seconda scusa per non andarci.
Volevo stare con Rob, ma se gliel’avrei detto mi avrebbe sicuramente risposto che ero troppo smielata e avrebbe iniziato una predica che in quel momento non avevo voglia di sentire.
“Ma cosa stai dicendo?” rispose perentoria sedendosi di nuovo sul letto, dove ero io. “Non ti devi sentire a disagio, quante volte te lo devo ripetere? Noi no siamo nessuno, è inutile che ci innalzi a livelli di dei.. e poi che mi frega a me che non sei un attrice, una cantante o una modella, non è di questo che mi “innamoro” io, dovresti saperlo, e anche gli altri… Noi ti amiamo per ciò che sei, e non per ciò che fai, non sei entrata nelle nostre grazie solo perché ora stai con Rob, chiaro?”
Annui soltanto, era inutile predicare.
Mi vide poco convinta lo vedevo dai suoi occhi.
“Ok, vado a chiamare Kell, Peter, Liz, Nikki, Tay, il resto del cast e anche David se è necessario a convincerti!”, mi minacciò benevola.
“Ho capito, ho capito!”
“Bene! Io ora vado.. tra poco si torna sul set ma io per fortuna non devo girare alcuna scena, vado solo per gli allenamenti.. perciò ora mi fiondo a fare un bel bagno caldo! Ci vediamo stasera my sweety!” disse mentre si chiudeva la porta alle spalle e continuava a farfugliare qualcosa.
Mi avvicinò a sé in modo molto provocatorio.
Le sue labbra sussurravano parole dolci al mio orecchio mentre io cercavo con tutte le forze di restare in me per non saltargli addosso. Ripensai più volte a rifiutare l’invito di Ash al PP, ma di sicuro non me l’avrebbe perdonata poi, solo questo mi tratteneva dal respingere quella festa assurda.
Maledetta Ash!
“Non devi andarci se non vuoi”. Continuava istigandomi, lo faceva apposta e il suo sorriso beffardo confermava la mia teoria.
“No, voglio!” dissi convinta, cercando di persuadere anche me stessa.
“Ah beh, mi mancherai allora stanotte”.
Porca di quella miseria, ma lo stava facendo apposta o cosa? Feci per alzarmi da lui per evitare ogni tentazione, ma lui mi riprese dai fianchi e mi ributtò sul divano bianco mentre si sistemava sopra di me.
Il suo profumo mi stava inebriando, lo avevo in testa, dappertutto. Mi aveva decisamente stordita, non capivo più nulla della realtà. Mi sporsi su di lui e lo baciai e anche lui fece lo stesso.
Le sue labbra morbide, calde e vellutate si muovevano sulle mie in modo impercettibile e lo stesso facevano le mie che si modellavano sulle sue.
Poi mi staccai, di malavoglia, quando qualcuno da dietro la porta iniziò a infastidirci.
Non volevo rispondere e incitai Rob a fare lo stesso mentre lui stava evidentemente morendo dal ridere per la situazione.
“Prendimi in ostaggio”, gli consigliai respirando ancora il suo profumo.
“Mmh, non sarebbe una cattiva idea…” ci pensò un po’ su con aria divertita poi scoppiò in una risata mentre cercava di rialzarsi.
“Ma tu lo sai com’è fatta Ashley.. quando si mette una cosa in testa, deve raggiungerla.. ma ricorda: Io riuscirò a salvarti sempre da tutto tranne che da lei!”, scoppiai a ridere riconoscendo la battuta del film un po’ modificata.
Mi porse una mano per aiutare anche me, che mi alzai di malavoglia.
Mi cinse i fianchi e passo dopo passo ci dirigemmo alla porta.
“Pensavo foste morti!” disse Ash rossa in viso per il tanto sbraitare.
Rob continuava a ridere della sua espressione e d’altro canto lo feci anch’io.
“Ma bene vedo che vi diverto. Che cosa c’è scritto sulla mia fronte: pagliaccio?”
“Beh..” risposi per farla innervosire e lasciarmi in pace, ad aggiustare le cose ci avrei pensato il giorno dopo, o almeno così speravo.
Mi prese da un braccio e mi strattonò tirandomi verso di lei, e rompendo così ogni legame fisico con Rob.
“Te la rapisco!” urlò mentre ci dirigevamo nella sua stanza, dove, a giudicare dalle voci e il sottofondo musicale la festa era già iniziata. Lasciai Rob lì di malavoglia lamentandomi con Ash per non avermelo fatto salutare, ma lei pronta mi rispose per le rime.
La festa stava per iniziare.

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Capitolo 4
*** 3. SOS Tortura denominata PP! ***


3. SOS Tortura denominata PP!



Me ne stavo lì in angolo della stanza su di un letto che a dire il vero era anche un po’ scomodo, a farmi compagnia c’era un drink offertomi da Nikki, che fino a quel momento non avevo ancora minimamente appoggiato alla mie labbra nemmeno per un sorso, se ci fosse stato Rob glielo avrei affibbiato volentieri come facevo di solito. Ash al centro della stanza era scatenatissima in una pista da ballo improvvisata insieme a Liz, Dakota e le altre, io ne avevo fatto volentieri a meno.
Non mi piaceva ballare, non avevo nessuna coordinazione occhio- piede per quel genere di cose, e poi ero molto più goffa di qualsiasi essere umano, mi metteva al centro dell’attenzione e sarebbe stato un disagio più di quando già non fosse.
Mi sentivo a disagio nel guardarle, tutte belle, bellissime e sorridenti anche fuori dal set, e io in confronto a loro cos’ero?
Dio mio! La mia autostima stava davvero cadendo rovinosamente a pezzi con quelle donne in giro. Che ero venuta a fare qui, non facevo nulla di speciale, sembravo piuttosto una statua in mezzo ad una stanza, fonte di solo fastidio.
‘Cosa ci trovava in me Rob?’ mi chiedevo nervosamente fino alla nausea, non ero una modella, non era una cantante, non ero niente di niente io, Santo cielo!
Cos’è che lui aveva visto e che io non vedevo? Cos’è che aveva catturato la sua attenzione e ce l’aveva fatta restare fino ad oggi? Avevo più volte tentato di chiederglielo, ma più volte non avevo ricevuto le risposte desiderate.
Più volte in quei frammenti di vero sconforto il mio sguardo cadeva su uno specchio lì di fronte che mi fissava quasi inorridito davanti a quel brutto anatroccolo seduto lì, sembrava che mi derideva o forse ero io che lo immaginavo. Se avessi potuto sarei sgattaiolata dalla stanza e mi sarei rifugiata nella mia camera al più presto, oppure potevo fingere di dover chiamare mia madre dato il fuso orario, ma non erano nemmeno le due, fingere dolori o cos’altro proprio no, non ero una brava attrice.
“Non ti stai divertendo tanto, eh?”, una voce impacciatissima e di bassa intensità rispetto alla musica, che aleggiava nella stanza, catturò la mia attenzione.
“Si vede tanto?”. Se si vedeva ero fritta, Ashley non me l’avrebbe perdonata.
“Non tanto.. un po’!”, i suoi occhi verdi e magnifici che aveva più volte invidiato erano offuscati da occhiaie pesanti.
“Kris, ma tu ha sonno!”, dissi come reazione.
“Eh bè un po’, quando si lavora tutto il giorno, intanto non potevo mancare al PigiaParty di Ash. Ho perso il conto a forza delle volte in cui le ho detto di no, perciò ora mi sono dovuto sacrificare, altrimenti lo sai com’è!”. Disse ridendo indicandola.
“Ne so qualcosa!” asserii.
“Non bevi il punch?”
“Non amo molto bere”, confessai, “Se ci fosse stato Rob glielo avrei dato senza problemi come faccio di solito, ma stasera la mia “cavia” non c’è!”. Dissi scherzando. Rise anche lei di risposta.
“Si, quando Rob è una buona cavia”.
“Assolutamente!”
Poggiai così il bicchiere di carta su un comodino lì vicino.
Ad un tratto si fece più seria.
“Senti Vane, Rob ci, o meglio mi ha raccontato ciò che è successo stamattina tra voi..”. Era impacciatissima nel sputare fuori quelle parole, teneva gli occhi sulle false cuciture della coperta mentre me lo raccontava quasi come se non volesse entrare nel discorso, ma che per un dovere personale dovesse farlo, restai ad ascoltarla senza reazioni, o almeno aspettavo ad averle.
“Non prendertela con lui, però, e che stamattina sul set l’ho visto un po’ nervoso e triste, non gli piace sapere che anche involontariamente ti fa del male, anche Slade se n’è accorto, era teso e una battuta penso l’abbia sbagliata dieci volte.” Rise al ricordo, mentre io restavo sorpresa. “Così gliel’ho chiesto. Siamo molti amici Vane, e mi accorgo subito se c’è qualcosa che non va in lui, e così ho cercato di farlo sfogare. Spero non te la prenda…”. Feci cenno di no con la testa.
“Bè, Vane, voglio che tu sappia che non ce niente tra noi, quello che hai visto sul giornale era solo una cosa programmata per i paparazzi. Sapevamo che erano lì e abbiamo giocato un po’. Ed è così per tutto il resto. È una questione di business, e so quanto ti dia fastidio, anche a me piacerebbe non ricevere sempre le stesse domande, essere guardata male da alcune per questo, ma è solo questo.  Non ti farebbe mai del male, che tu ci creda o no, tiene davvero a te, è un po’ come Edward con Bella, starti lontano lo terrorizza più di quanto dia a vedere anche se non te lo fa pesare. Vuole che tu stia con la tua famiglia, ma quando non ci sei soffre per davvero. Pensa che una volta l’ho beccato che parlava con una tua foto!”. Disse alzando gli occhi al cielo e ridendo, io facevo lo stesso mentre cercavo di immaginarlo.
“Ricordo ancora quando ti conobbe. Avvenne di mattina, giusto?”, cercava il mio consenso.
“Sì”, risposi timida come non mai.
“Ah.. aveva un sorriso, non che non sorridesse prima, ma era diverso, aveva una luce diversa negli occhi, sembrava che avesse incontrato Dio o qualcosa di simile. E lo stesso sorriso lo ricordo il giorno dopo e il giorno dopo ancora. Sempre dopo il vostro incontro”. Non credevo alle mie orecchie. Rob che dopo il nostro incontro, il nostro primo incontro avvenuto in maniera accidentale, sorrideva in maniera diversa, aveva una luce diversa negli occhi, tutto a causa mia.
“E anche il sorriso dopo che ce ne andammo.. si spense di colpo. In aereo restò per ore ad occhi chiusi chiuso nel pensiero di chissà cosa o chi in mente. Arrivammo agli Mtv Movie Awards ed era lo stesso di due giorni prima. Fu così che lo invitai anzi lo costrinsi a chiamarti insieme a Ashley dopo la serata. Non si sa come ma lei si era già affezionata a te ancora prima di conoscerti!”, disse indicando Ash, che dal punto in cui era ci rivolse un saluto unito a un gran sorriso.
 
“Pronto?” risposi intontita dal sonno e anche dal gran mal di testa che mi ero portata dalla sera prima dopo aver vegliato fino alle 5 del mattino solo per poterlo rivedere agli MTV Movie Awards, dopo esserci salutati a Montepulciano.
Qualcuno dall’altra parte del capo iniziò a  parlare una lingua strana che sii deformava grazie all’effetto del sonno.
“Pronto?, ripetei, “Chi è?”
“I’m Robert” disse una voce maschile simile a una campana. Spalancai gli occhi parandomi davanti il display del telefono per controllare che non fosse uno scherzo. Il numero che avevo di fronte era un numero lunghissimo, non italiano. Possibile che fosse davvero lui? Balzai dal letto.
“Hi” dissi impacciata toccandomi in continuazione i capelli. “Are you really Robert Pattinson?” volevo assicurarmi che fosse vero, e che non fosse una semplice derisione del mio essere e di ciò che avevo vissuto, anche se non lo avevo  raccontato ancora a nessuno, tranne che ai miei.
“Sono io!” rispose ancora quella voce stupenda. “Non mi riconosci più?” domandò tra il divertito e preoccupato.
“E come potrei non riconoscerti?”.
Scoppiò a ridere.
“E allora perché mi hai chiesto chi ero?”. Indagava.
“Può darsi che ero confusa dal sonno..” confessai.
“Stavi dormendo?”, rispose allarmato al pensiero di avermi svegliato, com’era dolce. “Ho dimenticato completamente il fuso orario, ti chiedo scusa!”, rispose mortificato, immaginavo la sua mano che trapassava i capelli a quell’emozione, di solito era quello l’equivalente, e d’istinto lo feci anch’io.
“Non preoccuparti”, lo tranquillizzai. “Sono già le 8 qui, sono stata sveglia fino alle 5 per vederti in diretta agli Mtv Movie Awards!”. E implicitamente il mio viso mostrò il suo più bel colore: il rosso.
“Sei stata sveglia per me?” sembrava sorpreso.
“Sì” ammisi. “Come chiunque altra fan che si rispetti, credo!”
“Non c’era una replica domani?”
“Sì! Ma non sarebbe stata la stessa cosa..”
“Perché?”, s’incuriosì.
“Bè, in diretta posso sapere quello che fai nello stesso momento, in replica sarebbe solo una cosa registrata, non saresti tu come quando guardi la diretta!”.
“Oh!”
 
Ricordavo ancora ogni minimo dettaglio di quella chiamata e di quelle che avvennero dopo. E pensare che se non fosse stato per Kristen o per Ashley forse ora non sarei stata lì mi fece un certo effetto. Guardai Kristen parlare con Dakota ora in mezzo alla pista, avrei dovuto ringraziarla per avermi detto quelle cose, per avermi detto ciò che non sapevo di Rob. Presi il punch allungato dal comodino dove l’avevo appoggiato e lo bevvi tutto di un sorso.
Non so ben dire cosa successe quella sera, i troppi punch allungati che avevo iniziato a bere per gioco mi erano entrati in testa e ora mi faceva un gran male. Non sapevo nemmeno dove mi trovavo fino a quando non riaprii gli occhi stordita. Li sbattei più volte per ritrovarmi al presente.
Rob di fianco a me mi guardava preoccupato come se avesse visto un mostro.
Io alla sua vista indietreggiai con la testa non riuscendo a focalizzarlo al meglio.
“Ti senti bene?” mi domandò con una voce che a mio parere era decisamente troppo alta. Gli feci segno di abbassarla prima di voltarmi a pancia in giù e mettermi un cuscino sulla testa. Quanta luce c’era fuori, possibile che il sole fosse sempre così accecante o quel giorno era speciale.
A un certo punto sentivo qualcuno che da sopra mi sollevava il cuscino.
“Che vuoi?”, risposi irritata.
“Voglio sapere come stai!”
“Sto bene!”, gridai esausta, ma la mia stessa voce quel giorno mi dava fastidio. Mi portai le mani alla testa che sembrava dovesse scoppiare da un momento all’altro.
“A me non sembra..”, giurò lui. “Ti sei presa una bella sbronza ieri sera, tu e tutte le altre, Kellan, è stato svegliato dalla vostra musica e dai vostri schiamazzi. Che vi è saltato in mente?”, mi rimproverò lui. “Ho dovuto venirti a prendere di corsa, mi sono preoccupato!”. Lo si poteva ben sentire anche dalla voce.
“Ah, non lo so!”. E questo era vero non ricordavo un bel niente di come fossi finita a ridurmi in quello stato forse per i troppi “Obblighi o verità” che avevamo fatto. Ricordavo un minimo della serata precedente in cui Tinsel finì più volte in bagno a rimettere. “Ti prego scusami!” dissi da sotto il cuscino.
Da dietro mi sentii strofinare la schiena con dolcezza.
Lo immaginavo preoccupato e con gli occhi tristi.
Mi tolsi da sotto il cuscino e mi rifugiai sul suo petto, accovacciandomi tra le sue braccia . Lui come al solito mi accolse a sé stringendomi forte.
“Scusami…”, ripetei.
“lo hai già detto”. Mi fece notare lui.
“Sì, ma tu non hai risposto”.
E di nuovo silenzio assoluto piombò intorno a noi.
Mi scostai da lui per guardarlo in faccia, anche se un po’ a fatica visto che non tolleravo la luce del sole.
Come immaginavo: triste e preoccupato. Chissà cosa gli ballonzolava in testa, spalancai di più gli occhi in cerca dei suoi senza risultato.
Erano vuoti, spenti, in cerca di qualcosa non visibile.
“Che c’è?” domandai alzandomi un po’ verso il suo viso per vedere le sue varie reazioni, ma era un attore e poteva benissimo nascondermele però.
“Niente” .
Allora mi scostai del tutto da lui.
“ Lo sai Rob, ‘Niente’ ha un compare si chiama ‘Tutto’, lo conosci?”
Gli strappai un piccolo sorriso amaro.
“Me lo dici che hai?”
“Ma no, niente, credimi..”
“Ok, allora me ne vado”. E detto questo mi alzai dal letto, o almeno cercai di farlo, dato che barcollai appena i miei piedi toccarono terra per finire di nuovo sul letto.
“Sono gli effetti della sbronza”. Osservò lui.
“Ah, ecco!”, risposi sarcastica.
Mi tiro per un braccio per ritornare nella posizione precedente, lo seguii e di nuovo mi accoccolai su di lui chiudendo gli occhi.
“Non hai fatto tutto questo per me”. Disse all’improvviso. Non capivo di che parlasse.
“Cosa?”
“Non fare la gnorri! Non ti sei ubriacata per ciò che è successo ieri?”
Adesso rammentavo! Credeva che mi fossi ubriacata per la ‘lite’ della mattina precedente.
“C-cosa?”, balbettavo non riuscendo ancora a capire. “Ma no. Non l’ho fatto per quello! Non ci ho pensato un attimo a questo, anzi mi era proprio uscito di mente, perché lo hai pensato?”.
Fece spallucce con lo sguardo, emotivamente triste. Non sopportavo di vederlo così, avrei permesso a chiunque di farmi tutto ciò che desideravano ma non avrei mai voluto vedere Robert in quello stato. Era lui che mi risollevava ogni volta che mi buttavo giù, era lui che faceva la voce da bambino se vinceva a qualche gioco stupido di cui mi rendevo partecipe e ora? Dov’era? Possibile che ciò che era successo il giorno prima avesse intaccato il rapporto tra noi?
Balzai dal letto di nuovo e mi sedetti a gambe incrociate davanti a quel silenzio pesante come un macigno.
“Oh, insomma! Cosa ho fatto? Non ho ucciso mica nessuno, mi sono solo presa una piccola sbronza.. a te non è mai capitato?”.
Mi guardò allibito, come se non mi avesse mai vista esplodere, e poi… scoppiò a ridere nella sua solita risata.
Quel suono mi fece ridere di rimando, era contagiosa come sempre.
“Sei buffa quando ti arrabbi!”, ammise ancora col sorriso.
“Solo?”, feci io sarcastica.
Mi aiutò ad alzarmi dal letto prendendomi per mano e mi porto nella piccola cucina della camera. Quel giorno però non avevo nessuna voglia di mangiare, la nausea era ancora dentro me e la sentivo rinvenire alla sola vista del frigo, così presi solo un succo all’ananas, il mio preferito, lo versai nel bicchiere e mi diressi verso il tavolo dove Rob era già seduto a mangiare qualcosa.
“Giuro non prenderò mai più una sbornia in vita mia! Non immaginavo ci si sentisse così”.
Lui annui con la testa dando un sorso al mio succo. Lo guardai sbalordita.
Ora mi fissava mentre io cercavo con tutta me stessa di restare in me ma ecco che il succo mi andò di traverso facendomi tossire violentemente.
Lui intanto, con aria divertita cercava di trattenere una risata, che già sapevo, sarebbe esplosa da un momento all’altro. Mi portai una mano sulla bocca e mi girai dall’altra parte mentre invano cercavo di tirargli calci da sotto il tavolo senza riuscirci, anzi chi si fece male fui io! E fu lì che esplose clamorosamente nella sua risata.
Poi prese a strofinarmi la schiena e bastò quel contatto, semplice e furtivo a mandarmi completamente in tilt.

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Capitolo 5
*** 4. Eclipse ***


4. Eclipse.

Il pomeriggio prometteva bene, o almeno era tranquillo. Segui Robert sul set, non mi andava di restare in albergo quel giorno, fuori pioveva e non mi andava di restare sola.
“Oggi che scena dovete girare?”, ripetei nervosa per la millesima volta mentre Sarah, la truccatrice del cast modellava Rob in Edward Cullen nella roulotte dei truccatori.
Mi sudavano le mani e continuavo a torturarmi una ciocca di capelli rendendolo più riccio di quanto già non fosse..
“Van, la scena negli interni in montagna. La lotta con Victoria insomma!”, rispose lui, mai stufo di rispondermi alle stesse domande.
“Ah..” mi limitai a rispondere, avevo lo stomaco sottosopra.
Qualcuno bussò alla porta della roulotte. Erano Kellan e Jackson entrambi già nelle vesti di Emmett e Jasper, mi prese un colpo quando li vidi.
“Ehi ciao!”, salutai cercando di sembrare il meno nervosa possibile.
Jackson mi venne incontro salutandomi e baciandomi. Era stato lontano per tre giorni dal set per vari impegni con la sua band, era sempre un piacere per me rivederlo. Kellan si limitò a salutarmi con un cenno del capo.
“Giù le mani dalla mia ragazza Jazz!”, disse Rob nonostante avesse gli occhi chiusi. Sorrisi.
“L’ho solo salutata!” rispose Jackson con aria innocente.
“Ehi, ti sei ripresa dopo la sbornia di ieri sera?”, mi chiese amorevolmente Kel con un ghigno.
“Non sarei qui se non lo fossi!”. Risposi ad arte.
“Comunque è bello vederti ogni tanto dare alla pazza gioia!”
Gli risposi a tono dopo aver visto il viso di Rob contorcersi in un espressione rabbiosa.
Il simpaticone non se ne curò e continuò a lanciare frecciatine ma nessuno di noi lo curava. Lo lasciavamo parlare al vento, a un certo punto si sarebbe stancato, no?
Io mi dedicai a Jazz facendomi raccontare cosa avesse fatto di entusiasmante in quei tre giorni di assenza. Nella chiacchierata ci guadagnai anche il cd della sua band, che ripromisi avrei ascoltato al ritorno in albergo, ero davvero curiosa di sentire dei nuovi capolavori. Qualche nuova canzone che mi entrasse in testa e ci restasse.
Qualcuno da fuori aprii la porta senza preavviso. Era David.
“Sarah sbrigati, voglio Rob tra 5 minuti sul set..”, disse Slade rivolgendosi alla truccatrice. “E voi due”, disse, indicando i due ospiti della nostra roulotte. “Vi voglio sul set, ora!” ripeté categorico il regista.
“Stiamo arrivando!”, rispose Kellan eccitato all’idea di incanalarsi in Emmett e dare libero sfogo alla sua forza, anche se per finta!
“Beh belli, ci vediamo dopo! E tu scricciolo, stai attenta a non combinare altri guai, non abbiamo alcolici al momento!” disse indicandomi prima di esplodere in una forte risata sotto il ringhio cupo di Rob che secondo me stava entrando troppo nella parte di Edward. Non gli badai o almeno facevo finta.
Chissà per quanto mi avrebbe preso in giro per l’episodio di ieri.
Jazz volò dietro di lui dopo avermi strofinato la schiena a mo’ di ‘Su fatti coraggio!’.
E così il ‘diavolo’ si dileguò oltre l’oscurità.
 
Arrivammo sul set mano nella mano.
Ma io continuavo ad essere nervosa.
“Che hai?” domandò il mio cavaliere con un espressione tra il preoccupato e il divertito, mentre durante il tragitto continuava beato ad aspirare la sua adorata  sigaretta che io, al contrario, tanto odiavo.
“Niente”, mentii.
Si fermò di colpo arrestando anche me e si girò fissandomi negli occhi.
“Lo sai amore, ‘Niente’ ha un compare si chiama ‘Tutto’, lo conosci?”, risi riconoscendo la frase che gli avevo detto poche ore prima. Lui aspettava una risposta.
“Boh sono nervosa!”
“Eh, me ne sono accorto: tremi come una foglia, e non fa poi così freddo, ti mordicchi il labbro inferiore da ore, e non so come ancora sia in vita”, sorridemmo insieme, “ e ti tocchi in continuazione i capelli come una forsennata, riconosco i sintomi volevo solo sapere che hai..”
Ci pensai un po’ su. Era il caso di dirglielo? Era una cosa stupida, da paranoica e senza senso il motivo per cui ero in quello stato.
Abbassai lo sguardo guardandomi le converse.
Lui con un dito non ci pensò due volte a prendermi il mento e farmi rialzare lo sguardo.
Gli lasciai la mano e me ne andai avanti di due passi, come facevo sempre quando volevo dirgli qualcosa senza che lui mi vedesse diventare rossa come un peperone alla confessione che stavo per fargli.
“Sono gelosa!”, sbuffai scocciata mentre sentivo avvamparmi la faccia. Incrociai le braccia in attesa di una risposta o di una qualsiasi reazione.
Una risata arrivò alle mie orecchie. Inevitabilmente la sua.
“E come mai?”, chiese ghignando.
“Perché tu tra un po’ guarderai Kristen come se l’amassi davvero, come se fosse la donna della tua vita, come se fosse tutto per te e io mi sentirò uno schifo, lo so di già e questo mi rende nervosa, sapere che tu la guarderai in quel modo…” ammisi tutto d’un fiato mentre ancora gli davo le spalle.
Non sentii nulla provenire da dietro. Mi girai lentamente e mi spaventai trovandomelo a pochi centimetri da me.
Mi prese il viso tra le mani e sorrise beato mandando il mio cuore per l’ennesima volta a quel paese.
“Ti sbagli!”, spiegò beffardo. “Non sono io che guarderò Kristen nel modo in cui hai descritto, ma sarà Edward. Lui guarderà Bella come se fosse la donna e l’amore della sua vita, lui la guarderà come se fosse tutto per lui, non io. Io guardo già un'altra persona in quel modo”. E con sguardo intenso mi guardò come se fossi l’unica in tutto il mondo, come se ci fossi solo io nell’universo e come se tutto il mondo, tutto il suo mondo ruotasse intorno a me. Mi avvampò il viso, lo potevo sentire benissimo, non c’era bisogno di avere uno specchio per potermi vedere. Abbassai lo sguardo di nuovo.
Ma lui mi riprese di nuovo cingendomi i fianchi e tirandomi a se, mentre cercava le mie labbra. Io per permetterglielo, come sempre mi arrampicai su di lui visto il mio misero metro e sessantatre. Mi tirò su con un braccio e subito le sue labbra arrivarono alla loro destinazione. Erano calde e morbide e avevano il retrogusto amaro della nicotina, ma non m’importava. Affondai le mie mani tra i suoi capelli morbidi e cinsi i suoi fianchi con le mie gambe.
La sua lingua entrò nella mia bocca prepotentemente, e andava in cerca della mia, giocandoci, divertendosi e attorcigliandosi.
Sentimmo un fischio.
“Ehy Rob stiamo aspettando solo te per girare, che ne dici di onorarci della tua presenza e staccarti da quella povera ragazza?”. Era Slade che dall’altra parte della strada ci richiama all’ordine. Sciolsi controvoglia il bacio e scesi dal mio albero personale ridendo imbarazzata.
Lui mi diede un buffetto sulla guancia.
“Comunque dovresti considerarlo un tradimento questo!”.
“Perché? Quale tradimento?”, chiede impaurito e scioccato.
“Ho baciato Edward Cullen ora!”
Ride sollevato all’intuizione che non aveva avuto.
“Eh già, ma ti amo lo stesso traditrice!” dice mentre decidiamo di incamminarci.
 
Rob mi lasciò dandomi un bacio in fronte e si avvicinò a David che iniziò a dargli istruzioni sulle varie scene da girare.
Una meraviglia si presentò davanti ai miei occhi lasciandomi incantata, uno splendore che sembrava quasi un monte innevato, non immaginavo come l’avessero creato e chi, ma mi piaceva un casino e la neve sembrava vera, avrei voluto davvero buttarmi lì dentro.
Il “garage” era pieno di persone, mancava poco ai ciak.
Kris era più in là, con il copione in mano a ripetere qualche battuta, non avevo intenzione di disturbarla perciò restai lì nel mio angolo a osservare quel mondo magico prendere vita. Non avrei mai immaginato di trovarmi lì un giorno, mai avrei immaginato di entrare a far parte di quel mondo, a pochi passi dalla mia passione e dal mio sogno, era tutto incredibile ai miei occhi. Ancora non ci credevo.
Anche Bryce e Xavier erano già sul set, ripetevano rispettivamente le proprie battute e azioni che avrebbero dovuto realizzare i loro personaggi, mi videro e mi salutarono con un sorriso smagliante, un sorriso da vampiro. Ricambiai salutando anch’io nello stesso modo.
“Tutti in posizione”, gridò David e tutti si materializzarono e si trasformarono immedesimando i loro personaggi.
“Pronti? AZIONE!”.
 
“Lei è vicina, sento i suoi pensieri”. Iniziò Robert.
Kristen le si avvicinò mentre lui la prese per mano. Abbassai lo sguardo per calmarmi un po’.
Su Vanessa, è solo un film, sta solo recitando, calmati!”, mi ripetei nervosa.
“Sapeva che non c’eravamo ma ha intercettato la mia scia. Sa che tu sei con me”. Rob, o meglio Edward, si guarda in giro in cerca di Victoria. Forse chiamandolo Edward, mi riuscirà più facile accettare o almeno così spero ogni volta che lo vedo recitare.
“Ci ha trovati”, dice Kris pronunciando la sua battuta in un sussurro mentre è aggrappata al braccio di Edward. Si, Edward.
“E non è sola…”, continua Robert.
Ecco spuntare da in mezzo a quegli alberi Xavier, ma io non riesco a vederlo tanto bene, vedo solo Rob che guarda in un punto fisso di fronte a se.
“Riley, ascoltami, Victoria ti sta usando per distrarti…”, ecco il perfetto inglese del mio Rob nella frase che amo di più. “Sa per certo che ti ucciderò.” Brice attaccata a dei cavi cade su un ramo di un albero allarmando Bella. “In realtà, sarà molto più felice di non averti più tra i piedi”. Victoria dice la sua e Rob riprende con dietro di sé Bella. “Io leggo i suoi pensieri e so cosa pensa di te. Ha creato te e il vostro esercito solo per vendicare il suo unico amore: James!” dice Rob con enfasi prima di scoppiare a ridere.
“STOP!!” grida David. Rido anch’io e anche tutti gli altri.
“Scusate, colpa mia!” grida Rob da lassù alzando le mani e iniziando a scimmiottare. Kris gli diede una pacca sulla spalla e ritornò alla vecchia postazione.
“Sei uno scemo!”, gli disse.
“Roooob!”, mugola Bryce da sopra il ramo ridendo.
Mi avvicinai alla sedia del regista in modo da vedere tutto su quel piccolo schermo che avevano di fronte, senza dover alzar il capo per farmi venire il torcicollo. C’era anche Stephenie intenta a ridere anche lei, che vedendomi arrivare mi da un bacio e mi abbraccia forte. Che dolce.
“Come va?” mi chiede.
“Tutto ok!”, mento ma va bene così. “E a voi?”
Mi guarda torva. Avevo dimenticato che non voleva ne il “voi” né i “lei”da parte mia, la facevo sentire più vecchia, mi disse una volta. Mi correggo all’istante prima che si trasformi in Jane.
“E tu?”, arrossisco violentemente.
“Ora ci siamo!”, sorride. “Mah, potrei dire la stessa cosa, ma non so.. sono sballottata da un capo all’altro del mondo per vari progetti, non vedo più casa mia da tanto! ”. Ridiamo insieme.
Si ricomincia di nuovo fino alla nuova scena.
Riley pronuncia quel “Sei morto!” ed inizia la scena della lotta.
Vedo Xavier che viene ballonzolato come un pupazzo dai cavi, perché dicono in quella scena ci sarà Seth. Mi viene un po’ da ridere.
Victoria allora cerca di scappare ed Edward che la ferma.
“Non avrai più un occasione come questa!” dice. “Tu vuoi lei. Vuoi che io provi lo stesso dolore di quando io ho ucciso James. Quando l’ho fatto in mille pezzi, quando ho ridotto il suo corpo in cenere, quando io l’ho trasformato nel nulla…”. Questo basta a fare imbestialire Victoria e farla avventare su di lui. Poi si arrampica su un albero, Edward porta in salvo Bella prima di abbattere quell’albero che stramazza al suolo al solo tocco.
E poi la scena clou, quella che mi chiude lo stomaco, perché è come se ci fosse Rob in pericolo e non Edward, e mi sento morire, morire per davvero perché vorrei salire lassù e correre a salvarlo, la scena in cui Victoria e Riley mettono Edward alle strette.
“STOP!”, grida di nuovo il regista. “Buona!”. Dice alzandosi e dirigendosi verso il cast sul monte innevato.
“Un po’ di pausa ora, su. Riprendiamo tra poco perciò non allontanetevi!”.
E lo vedo scendere e dirigersi verso di me.
Scende e mi prende per mano facendomi arrossire.
“Ciao Stephenie!”, saluta come un bravo gentiluomo.
“Ehy Rob!”, lei si sporge per baciarlo e io puntualmente m’ingelosisco, ma non lo do a vedere.
“Sei stato fantastico! Proprio l’Edward che immaginavo, complimenti!”
“Faccio del mio meglio”, ammette lui un po’ imbarazzato per quel complimento.
Anche gli altri scendono.
“Non sai quante volte ho rischiato un capitombolo, è molto scivolosa quella roba lì”, commenta Bryce avvicinandosi a noi.
“Hai proprio ragione!”, risponde Xavier ridendo.
Mi salutarono anche loro abbracciandomi, ricambiai nello stesso modo con una mano sola perché l’altra era tenuta da Rob.
“E lasciala vivere un po’ sta ragazza!”, commentò ironico il regista vedendo come mi tiene legata a sé.
Anche lui si avvicinò e mi salutò con un bacio. Rob molla la presa della mia mano, ma io la riprendo appena in tempo prima che sparisca nella sua tasca e la stringo forte.
“Non è lui, sono io…”, ammisi imbarazzata, mostrandogli le mani.
“Ah, quindi sei tu che tieni prigioniero il vampiro, ma bene!”. Mi piace David, era stato facile farci amicizia, più di Chris, forse perché l’avevo conosciuto dall’inizio.
È molto ironico e simpatico e mi piace circondarmi di queste persone.
Rido alla sua battuta. Si, ero io che tenevo stretto il vampiro.
“Speriamo che Bella non s’ingelosisca..”.
E così uscimmo fuori, ero avvolta da ciminiere, tutti intorno a me fumavano come camini. Non riesco a spiegarmi come facciano alcuni a sopportare un simile odore e sapore in bocca. È disgustoso. Vedo le loro bocche assaporare e inspirare quel veleno per poi buttarlo fuori. Mi allontanai per evitare il mio solito attacco d’asma e la nausea che mi viene come reazione a quell’insopportabile odore. Li lasciai fumare e mi allontanai un po’, lo spazio necessario a farmi respirare un po’ di aria pulita. La tasca posteriore sinistra del mio jeans inizia a vibrare, lo estraggo e trovo un messaggio.
Era mia madre che come diceva il mio telefono aveva già chiamato tipo un decina di volte se non di più. Guardai l’orologio in modo da capire che ore fossero in Italia, feci un calcolo mentale e scopri che lì era già l’una di notte. Non mi stupii mia madre era abituata a stare sveglia fino quell’ora. Restava solo un problema non avevo soldi nel telefono, ero al verde, avevo dimenticato completamente di ricaricarlo come sempre. Avevo pensato di andare da Rob e farmi prestare il suo, ma mi vergognai. Camminai spaesata rimuginando se dovevo chiederglielo o no. Ok, la chiamerò domattina dall’albergo, dissi tra me, quando in Italia saranno le cinque del pomeriggio, sarà più sveglia e avrò da raccontargli qualcosa in più forse, anche se le domande saranno sempre uguali.
Così ritornai vicino a lui, che ancora parlava con Kris e Xavier, e che ormai aveva finito la sua sigaretta e stava per tornare dentro per girare e ripetere alcune scene. Rabbrividii accartocciandomi su me stessa e presi a strofinarmi un po’ le braccia con le mani dato che iniziava a fare un po’ freddo lì la sera e io indossavo solo una maglietta terribilmente leggera visto che oggi aveva fatto abbastanza caldo. Lui mi vide, e prese a strofinarmi il braccio con la mano e tirandomi a sé.
Lo guardo dal basso della mia altezza e gli sorrido.
“Hai freddo?”
“Un po’!” ammisi contro voglia mentre lui mi fissava.
“Rientriamo dai, non voglio che ti ammali”.
E cosi seguendo il suo passo m’incammino verso il garage dove stanno per iniziare le riprese.
David lo richiama sul set per ritornare nella parte di Edward. Di nuovo la gelosia s’impadronisce del mio essere.
“Tieni”. Mi dice passandomi il suo Iphone dalla tasca della giacca.
“Ma come..?”, domandai sbalordita, “Hai la capacità di Edward ora?”.
“Riconosco le tue espressioni amore, non ho bisogno di leggerti nel pensiero”.
Ero sorpresa. Mi sporsi verso di lui alzando i piedi e lo tirai verso di me per la camicia per arrivare alle sue labbra. Gli diedi un piccolo bacio di ringraziamento.
“Pattinson!”, iniziò a gridare di nuovo il regista.
“Mettiti anche il mio giubbino”. Disse andandosene di nuovo su quel campo innevato.
“Ok”. Risposi in modo inudibile. Afferrai la sua giacca e sgattaiolai fuori per chiamare mia madre. Dentro c’era troppo rumore.
Sbloccai la tastiera e digitai il numero che prese a squillare, aspettavo solo che qualcuno rispondesse.
“Pronto?”, rispose qualcuno mezzo addormentato.
“Mamma, ti ho svegliato? Sono io, Vanessa”.
“No, stavo aspettando la tua chiamata, dove sei?”, rispose riprendendosi.
“Ehm, sono sul set con Rob”
“Ah!”, esordì lei di poche parole.
“Tutto bene, vero?”, mi chiese un po’ ansiosa.
“Sì!”, risposi convinta, possibile che le fosse arrivata qualche notizia della sera precedente? “Perché?”.
“Ho solo chiesto!”, rispose innocente. “Beh, ora sono un po’ stanca, ti richiamo io domani, vado a dormire che ieri notte non ho chiuso occhio!”
“Ok”. Mi limitai a rispondere. “Ci sentiamo domani allora… Notte”. E chiusi la telefonata.
Stavo per metterlo in tasca quando arrivò il bip di un messaggio.
Lo ripresi nelle mani per vedere di chi fosse. Il display del telefono parlava chiaro con una bustina lampeggiante che si apriva e si chiudeva.
Emilie.
No, di nuovo quel magone, quella gelosia assurda che mi spingeva a frugare tra quelle righe per vedere il suo contenuto. Cosa c’era scritto?
No, non dovevo aprirlo, dovevo stare calma e fidarmi di lui, come sempre, come ci eravamo promessi. Come io gli avevo chiesto di promettere. Non potevo invadere la sua privacy, non per una stupida bustina lampeggiante. Cercavo di tenere a freno le mani che iniziarono a tremare e a sudare sotto il peso enorme della curiosità e della gelosia morbosa che mi stava divorando l’animo. Rimisi il telefono in tasca per evitare che mi cadesse di mano e inspirai profondamente cercando di rientrare nel garage sana e salva.
 
Rientrammo in albergo di sera tardi, lui era stanchissimo e  continuava a strofinarsi gli occhi per il dolore provocatogli dalle lentine gialle, l’oculista nei mesi precedenti gli aveva prescritto delle gocce perché disse che i suoi occhi si stavano seccando. Perciò ogni volta che lo vedevo in quello stato zittivo e basta divorata dalla preoccupazione, e quella sera anche da qualcos’altro. Gli avrei dato il telefono più tardi, in albergo.
“Appena arriviamo in camera butto nel cesso queste merde giuro!”, disse nervoso mentre continuava a toccarsi gli occhi.
“Avrai gli occhi rossissimi quando le toglierai”. Gli feci notare.
“Lo so, ma mi bruciano in modo pazzesco oggi”.
Dan annunciò che eravamo arrivati. Posteggiò l’auto vicino all’uscita secondaria in modo che l’orda di fan restasse al suo posto. Scese prima lui e poi, prendendomi per mano aiutò a scendere anche me. Ci infilammo in camera all’istante mentre lui andò a togliersi quelle maledette lenti che rovinavano il suo sguardo.
Ritornò dal bagno e aveva gli occhi rossi peggio di quanto credevo. Andò in camera da letto e si buttò a peso morto sul materasso lanciando le braccia indietro e stando con gli occhi chiusi. Io andai a frugare nella borsa dei medicinali per trovare la fiala delle gocce da mettergli così da alleviare il suo dolore, almeno in parte.
Mentre era ancora sdraiato nella stessa posizione in cui l’avevo lasciato, entrai nella stanza e decisi di mettermi a cavalcioni su di lui con la mia arma in mano.
Così alzò le mani e le poggiò sui miei fianchi aprendo gli occhi rossi, molto rossi. Mi fece quasi impressione guardarli.
“Dio, amore, non posso vederti così, fai impressione”.
“Lo so, li ho visti allo specchio, fanno impressione anche a me”.
Mi sporgo su di lui, con le gocce in mano, pronte a farle cadere nei suoi dolcissimi occhi verdi, lui ha ancora le mani sulle mie gambe e ora le sta spostando più su facendomi il solletico.
“Sporcaccione!”, urlai divertita dandogli una pacca sulla mano. Lui ad occhi chiusi mi sorride malizioso.
“Mi provochi!”
“Io provocarti?! E come?”, chiesi innocente.
“Cioè, ti vedi come sei messa?”
“Scemo lo faccio per metterti le gocce, apri un occhio alla volta su”.
E lui obbedisce, tenendo un occhio chiuso e uno aperto.
Gli allargo un po’ l’occhio tenendolo con due dita, il pollice e il medio, e gli faccio cadere tre gocce nell’occhio sinistro.
Lui sente il dolore lancinante che gli provoca quell’acqua purificante e si ci porta tutte e due le mani come un bambino piccolo.
“Dai, non ti ho mica ucciso!”, rido divertita.
“Tu no, ma lui sì”, dice rivolgendosi a quell’oggetto inanimato che ho tra le mani.
Gli sposto le mani dolcemente in modo da poter fare la stessa cosa con l’altro occhio.
Dopo averle messe fa la stessa identica scena di prima. Rido anche se so che gli fa davvero male. Getto la fiala ormai vuota sul letto e inizio a baciarlo per distrarlo da quel dolore, mentre lui è ancora con gli occhi chiusi. Ha le guance bagnate, sembra abbia pianto, ma sono le gocce che sono filtrate fuori dai suoi occhi.
Lo bacio partendo dall’occhio sinistro chiuso e scendo fino al collo facendogli restare il marchio del mio passaggio con un succhiotto.
Lui inizia di nuovo a prendermi da dietro come prima, ma stavolta lo lascio fare, non gli do una pacca sulla mano come prima chiamandolo sporcaccione, intanto lui cerca le mie labbra, voglio farlo impazzire un po’ prima, perciò decido di non dargliele, ma non riesco a vincere e cedo alla tentazione e perciò eccomi, sono sua. Poggia le sue labbra sulle mie, poi le dischiude insieme a me, nello stesso momento e le nostre lingue si toccano, si rincorrono spingono e giocano, mi tiraancor più verso di lui, più di quanto già non sia, ma mi vuole più vicina e non può che farmi piacere, mi sistemo alla meglio su di lui per essergli più vicina, la sua mano scende sempre più giù dietro il mio ginocchio, e mentre lo fa mi tira la gamba sul suo corpo poggiandomi su di lui, sorrido mentre lo bacio, perché mi sembra di rivedere una scena di Eclipse, che ancora non ha girato e anche le sue labbra si modellano a forma di sorriso prima di riprendere a baciarmifuriosamente mentre le sue labbra si spostano sul mio collo e poi sul mio seno, i suoi baci non sono più così dolci come al solito, ma più impetuosi e affamatima va bene così.
È su di me e cerca di togliermi la maglietta e quasi me la strappa di dosso, faccio la stessa cosa con la sua camicia in preda a quella passione.
Riesco solo a pronunciare il suo nome ansimando mentre tutto il resto vien da sé e non so come ma lui è già dentro di me, cogliendomi di sorpresa, si muove a ritmo dolce e deciso ma si accorge che non sono ancora pronta, almeno non come vorrei, perciò rallenta un po’ continuando. Si avventa sulla mia bocca dolce e famelico come sempre in questi casi. Io quasi soffoco nei suoi baci, perché mi toglie il respiro quando fa così, ma fa niente, non glielo faccio notare perché lo desidero. Ardentemente. Gli metto le braccia intorno al collo e inizio a toccargli i capelli, quei capelli ribelli che sono un po’ bagnati per via della fatica che sta facendo e lui s’impadronisce ancora più di me dandomi altre spinte. Manca poco lo sento. Si stacca dalle mie labbra facendomi gemere sussurrando il suo nome mentre lui scende verso il mio collo baciandolo dolcemente per poi scendere ancora più giù. Ora sono con lui, cerco di rialzargli il viso per poterlo portare di fronte a me, lo bacio, gli lecco le labbra e gliele mordo tirandole.
“Sei mia”, sussurra piano al mio orecchio.
“Sono tua”, asserisco io provando un piacere immenso. Siamo due anime in una ora, lui è dentro me e io dentro lui. Vorrei restare per sempre così con te. Vorrei fermare il mondo a quest’attimo giuro. Da due ultime spinte più forti facendomi impazzire e poi si accascia su di me esausto mentre io tengo ancora le mie braccia avvolte sul suo collo anche lui fa lo stesso, posando le sue mani sui miei fianchi coperti da una pelle accaldata e bollente ed è tutta colpa sua. Restiamo abbracciati per un po’ ansimanti e felici dopo che ci siamo mostrati reciprocamente il nostro amore e io affondo le mie unghie nella sua schiena avvolta ancora dal piacere.
Rialza la sua testa e mi bacia dolcemente ora e io faccio lo stesso ad occhi chiusi. Poi si stacca e io sciolgo l’abbraccio.
“Ti amo”, mi dice prima di alzarsi completamente da me e io gli dico lo stesso. Un altro bacio furtivo e si infila in bagno per farsi la doccia lasciandomi lì.

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Capitolo 6
*** 5. Una cattiva dose di Gelosia. ***


5. Una cattiva dose di gelosia.


Ed eccolo il mio incubo.
Si presentò in maniera innocente e disinibita davanti alla nostra porta come se nulla fosse e in più, di mattina presto.
Ad aprire fui io e quasi mi prese un colpo nel vederla.
Non la conoscevo, non l’avevo conosciuta, anche perché ai tempi io e Rob non ci conoscevamo neanche. Io non ero nei suoi pensieri, mentre lui c’era, eccome se c’era.
“Ehi ciao!”, mi disse con sorriso finto e con aspettative che sicuramente non mi includevano nel pacchetto.
“Ciao…”, risposi controvoglia facendoglielo notare e squadrandola da capo a piedi.
“Tu sei…?”, domandò interrogativa, attendendo una mia risposta. E ora? Che dovevo dire? La sua ragazza o una sua amica? Cavolo! Rob non era nemmeno in stanza per salvarmi da quella situazione. Nessuno doveva sapere niente, aveva detto più volte perciò optai per l’amica con un ventriglio enorme in petto perché sapevo che le sue aspettative sarebbero cresciute.
“Un amica!”. Sembrava compiaciuta dalla mia risposta e mi regalò un sorriso smagliante che avrei buttato preferibilmente nel cesso.
“Rob?”, chiese non vedendolo in giro. “Ho sbagliato magari, questa è la tua stanza?”
“No, no, sei nella stanza giusta. Lui è di là, te lo chiamo..”, controvoglia, avrei aggiunto volentieri.
La lasciai nel piccolo salotto e mi diressi verso la stanza da letto dove lui si stava vestendo. Aveva ancora i capelli bagnati. Bussai piano alla porta. Come se fossi davvero un ospite in quella stanza. Che cosa stupida. Poi senza aspettare risposta entrai chiudendo piano la porta dietro di me.
“Da quando in qua bussi?”, chiese disorientato.
Non risposi. “C’è Emilie de Ravin. È nel salotto.”
“Cosa?”, domandò spaesato non sapendo del messaggio che mi ero dimenticata di mostrargli pochi giorni prima.
“Ti ha mandato un messaggio quattro giorni fa, ma mi sono dimenticata di dirtelo”, dissi ammiccando per ricordargli che avevamo fatto.
Si diresse verso il suo Iphone e notò che c’era per davvero un messaggio che non aveva letto. Mi avvicinai per leggerne il contenuto. Ora potevo farlo.
Ehi inglese tra pochi giorni sarò a Vancouver per farti visita. Ho appena finito le riprese di quel film perciò ho pensato di venirti a trovare, ti farò una sorpresa, anche se ormai già lo sai! Emilie.”
“Merda!”, sbottò stizzito lui. “L’hai fatta già entrare?”. Perché era così allarmato? Certo che l’avevo fatta entrare, controvoglia, ma ormai era già dentro.
Annui semplicemente.
“Ok!, allora io vado di là, tu vieni con me?”.
“Se vuoi.. ma le ho detto che sono tua amica, nessuno deve sapere niente no?”, dissi accennando un sorriso amaro e abbassando istintivamente gli occhi per trattenere le lacrime che stavano iniziando a spuntare.
“Ehy!”, mi disse lui tornando indietro e prendendomi il viso tra le mani. “Lo so che è difficile, lo è anche per me. Ma passerà e lo riveleremo a tutti, giuro”.
“Lo so…”, mi limitai a rispondere.
Lui continuò a guardarmi apprensivo annuendo pensieroso e prima di andare mi schioccò un bacio in fronte.
Io ero dietro d lui lo seguivo a ruota ad ogni suo passo mentre si dirigeva in salotto dove lei l’attendeva, sembravo un idiota. Camminavo avvilita mentre lui mi precedeva.
Appena entrò nel piccolo salotto della suite, le si illuminarono gli occhi che da azzurri erano diventati azzurro scintillante, sembrava che un sole ci fosse entrato dentro. Appena si avvicinò lei gli buttò le braccia al collo dandogli un bacio a stampo sulla guancia. Il mio cuore era colmo di rabbia mentre una vocina nella mia mente mi dicevaStai calma Van, calma! Era difficile darle retta però le mani mi prudevano dall’irritazione che mi dava quella lì.
Con la coda dell’occhio Rob mi guardò e non so bene cosa vide dato che ero impietrita in angolo stizzita da quel comportamento magari anche rossa in viso. Cercò di scostarsi Emilie da dosso, ma lei gli si era avvinghiata come una cozza al suo scoglio, il problema era che di suo non aveva un bel nulla. Cercai di tenermi in posizione verticale tenendomi da un mobile lì vicino e abbassai lo sguardo a terra per calmarmi, quell’orrenda visione non mi aiutava a stare meglio.
“Ehi inglese!” esordì lei con un sorriso stampato in faccia che mostravano una schiera di denti perfetti  e bianchissimi, a cui avrei tirato ben volentieri un pugno.
“Ehi!”, rispose Rob, mettendosi le mani in tasca, imbarazzato dalla situazione. “Che sorpresa! Che ci fai qui?”
Restò un po’ delusa da quella risposta. “Ti ho mandato un messaggio pochi giorni fa.. non l’hai letto?”. Osservò lei.
Lui implicitamente mi guardò, io arrossì. “Ho avuto problemi con il telefono in questi giorni”, mentii.
“Ah!” rispose lei, “ma sediamoci ti devo parlare”. Ora si faceva anche la padrona, ma bene. Mi girai abbassandomi verso lo stipite che avevo di fronte facendo finta di cercare qualcosa. Non volevo lasciarli soli, non perché non mi fidassi di lui, ma perché era di lei che non mi fidavo.
“Ho appena finito di girare il nuovo film, è stato entusiasmante interpretare un nuovo personaggio. Mi ci sono subito immedesimata, eravamo così simili che sembravo quasi io…” iniziò a commentare lei tutta felice mentre immaginavo la testa di Rob andare su e giù per annuire alle sue osservazioni.
D’un tratto un sussurro. “Ma la tua amica deve restare qui oggi?” chiese a bassa voce a Rob credendo che io non la sentissi. Rob non rispose, oppure non sapeva che dire era ovvio.
“Veramente..” fece lui prima che io lo interrompessi alzandomi e chiudendo lo stipite.
“Beh Rob, io vado nella mia stanza. Ci vediamo stasera se vuoi”. Dissi afferrando il telefono e la borsa che erano sul tavolino vicino a lui.
Non vidi che sguardo mi rivolse, non volevo vederlo. Così corsi via verso la porta d’uscita ed uscendo chiusi la porta alle spalle senza dare un ultima occhiata.
Vagavo sola in un corridoio di un albergo che era ancora dormiente data l’ora. Le 7.30. Avrei voluto andare da Ashley, ma di sicuro era ancora nel coma profondo del suo sonno visto che oggi non c’erano riprese. Non mi andava di disturbare sarei andata da lei più tardi, appena sarebbe arrivata un ora decente per bussare alle camere delle persone. Mi misi a guardare che tempo faceva fuori tanto per ingannare il tempo mentre aspettavo che quell’eternità passasse. Ero nell’ala est del dodicesimo piano, dedicato tutto al cast della saga, lontano da quella camera che mi avrebbe fatto rivoltare lo stomaco al solo udire la voce di quell’oca dai riccioli d’oro. Tutto fuori era limpido, il sole posava i suoi caldi raggi su tutta la città quella mattina, non faceva freddo.
Sentii delle grida provenire da sotto. Oltre la finestra, al di fuori. Erano le fans che vedendo la mia ombra soltanto e non il mio viso pensavano fossi qualcuno degli attori. Mi allontanai e mi sedetti a terra di fronte a una delle tante camere, alla fine del lungo corridoio. Giocherellai un po’ con il cellulare, inviando messaggi alle mie amiche e scorrevo nella rubrica alla ricerca di qualcuno da chiamare, ma nessuno rispondeva alle mie richieste quel giorno. Nessun nome mi fece venir voglia di chiamare. Perciò chiusi il telefono e lo gettai nella borsa aspettando che le ore passassero. Presi l’Ipod fucsia dalla borsa e lo accesi rilassandomi sulle note di “Everytime we touch” dei Cascada, non era la canzone giusta al momento ma non avevo voglia di scandagliare nella playlist, perciò la lasciai scorrere e basta. Appoggiai la testa al muro e la alzai a grande volume rompendomi quasi i timpani.
Ero immersa nella mia bolla fatta di musica e pensieri quando un tocco leggero mi sfiorò la spalla delicatamente. Aprii gli occhi impaurita scaraventando quasi l’Ipod a terra.
“Sono Taylor!”, fece lui con dolcezza alzando le mani, in seguito alla mia reazione.
Risi sommessamente vedendolo.
“Scusa, ti ho disturbato?”, chiesi riferendomi alla musica troppo alta.
“No, no! È che sono uscito fuori per andare a fare colazione e ti ho trovata qui.. Stai aspettando Dakota?”.
Lo guardai interrogativa. Perché Dakota? Fece cenno alla porta a cui ero seduta di fronte perché notò che non avevo capito il senso della sua domanda.
La porta a cui mi trovavo di fronte era quella di Dakota, nemmeno lo sapevo.
“Ah no! Ho trovato un posto in cui sedermi e mi sono seduta”. Dissi rialzandomi. Mi aiutò porgendomi una mano.
“Grazie!”, gli dissi aggiustandomi alla meglio. “In realtà stavo aspettando che Ash rinvenisse dal sonno per andare da lei”. Ammisi.
“Perché non hai bussato?”, si chiese e mi chiese non trovando un motivo al mio comportamento.
“Oh ehm..”, corrucciai le sopracciglia. Non avevo voglia di raccontargli come c’ero finita. “Sono venuta qui presto!”. Mi limitai a dirgli.
“Ah!”, disse lui poco convinto della mia risposta, probabilmente immaginava ci fosse qualcosa sotto. Sorrisi giusto un attimo prima di far scomparire il mio ghigno. Che potevo dirgli? “Sai Tay, stamattina presto in camera nostra si è presentata Emilie de Ravin, l’attrice nonché molto amica, che ha recitato con Rob in Remember me, si insediata in camera nostra e io ho finto di essere solo una semplice amica per Rob, come sempre in questi casi, poi dato che mi guardava in cagnesco, lanciandomi occhiate di fuoco perché ero ancora lì con loro. Ho deciso di venire qui e aspettare un orario decente per bussare alla porta di Ashley”. La mia versione ufficiale.
“Hai già fatto colazione?”
“Si, grazie!”, ma il mio stomaco mi tradì iniziando a brontolare violentemente alla parola colazione.
Fece un cenno di disapprovazione e sorrise.
“Ok, non ho fatto colazione, ma non volevo sembrare ancor di più una mendicante!”, mi scusai.
“Ti va se ti offro la colazione?”, e prima che aprissi bocca mi fece cenno di non dire di no con la testa.
“È solo una colazione tra amici!”, mi tranquillizzò lui.
“Non era per quello..”. il mio stomaco riprese a brontolare.
“Dai, me lo spiegherai a tavola. Andiamo!”.
Disse prendendomi per mano.
 
Prima di entrare nel ristorante, ci assicurammo entrambi che non ci fossero paparazzi in giro, né dentro né fuori dalle grandi vetrate, sarebbe stata una cosa tragica. E quando fummo sicuri di essere liberi, ci sedemmo al primo tavolo libero che ci capitò di fronte. Ordinò qualcosa per ogni tipo di prelibatezza, ovviamente raddoppiato per due, dato che c’ero anch’io. Divorai davvero tutto, o quasi, di buongusto nonostante il peso sullo stomaco che avevo per via di Rob e della sua amichetta riccioli d’oro. Tay mi faceva morire dal ridere mentre mi raccontava aneddoti delle varie premiere a cui era stato partecipe, come quando ad un red carpet alcune fan gli chiesero di ululare. Mio dio, come si può? E tra una risata e l’altra che mi donava, tra il prova questo, prova quello il cibo andava giù da solo senza remore. Alla fine stavo scoppiando e anche lui. Non avevo conosciuto mai così tanto bene Tay come allora, tranne i saluti di dovere e i discorsi fatti sul set non avevo mai approfondito l’amicizia con lui e ora me ne stavo pentendo.
“E allora? Tu me la dici la verità?”, mi chiese sorridente prendendomi in contropiede.
“Di cosa?”, feci vaga incrociando le braccia sulla tovaglia rossa.
“Perché eri nel corridoio prima? Hai litigato con Robert?”. Già, Robert, l’altra metà del mio cielo, la metà della mia mela. Mi rattristai nel ripensarlo.
“Se non hai voglia di parlare, non ti preoccupare..”, disse appoggiandosi anche lui alla tavola.
Eravamo troppo vicini, sentivo quasi il suo respiro infrangersi sul mio viso. Dovevo instaurare una distanza di sicurezza tra noi, come non avevo fatto con Rob.
 
*
 
“Qui c’è troppa gente, chiedo un tavolo un po’ più riservato e arrivo”. Mi disse premuroso prima di sparire oltre l’angolo del ristorante in cerca di un cameriere o qualcosa di simile. La gente mi guardava, sentivo i loro sguardi pungenti come lame affilate dietro la schiena. Mi torturavo un ricciolo dal nervoso.
Chi mi guardava invidioso, chi noncurante, chi sparlava squadrandomi da capo a piedi. Mi chiedevo come facesse Rob a camminare sereno in mezzo alle migliaia di occhi che ogni giorno lo inondavano, io rimanevo impietrita. Presi a mangiarmi le pellicine delle unghie, una cosa che non facevo mai tranne nei momenti di nervoso e quello era uno di quelli!
Rob arrivò seguito da un cameriere e cingendomi i fianchi, per la prima volta dopo dieci giorni, mi trasportò nella sala prescelta per la nostra cena.
Si accorse del nostro contatto solo quando il cameriere si voltò a guardarci. “Ehm scusa…”, sussurrò volatilizzando le sue mani in tasca imbarazzato. Avrei voluto riprenderle ma non lo feci.
Ci sedemmo uno di fianco a l’altro. Era la nostra ultima sera insieme, sarei partita il giorno dopo, di nuovo per la mia città, di nuovo alla mia vita dopo un sogno lungo dieci giorni. O almeno così pensavo. Ordinammo tutti i piatti di portata anche se io avevo lo stomaco chiuso a causa delle farfalle. Ero imbarazzatissima in quella cena a mio parere troppo formale, anche se di formale addosso non avevo nulla, e nemmeno lui, che indossava la sua solita camicia blu che amavo e un paio di jeans. 
“Sarebbe stato meglio se avremmo mangiato al McDonald’s credo!”, disse ridendo notando il mio poco appetito davanti a quella cena un po’ improvvisa, ma immagino sapesse il perché gliel’avevo ripetuto così tante volte implicitamente.
“No, davvero, qui è tutto buonissimo.. ti ringrazio per questa cena, mi fai sentire a disagio così però io non posso offrirti nulla in cambio”. Gli feci notare.
“Non è vero”, disse avvicinandosi con un sorriso ammiccante, che mise fine definitivamente al battito innocente del mio cuore.
 “Tu mi hai già dato tutto, sono io che sto ricambiando, esagerando anche un po’ magari, ma non m’importa”.
Era con i gomiti sul tavolo, come ora ero io, ci scambiammo uno sguardo d’intesa, uno di quelli che arriva prima di un momento importante. Non c’erano più centimetri tra noi, se non millimetri quando lui a piano a piano si avvicinava alle mie labbra. Ed eccolo arrivare poi.
Il bacio che avevo desiderato per mesi, solo nella mia fantasia, era diventato reale. 
Le sue labbra erano sulle mie e si muovevano in sincronia, mentre la sua lingua cercava di entrare dentro la mia bocca per giocare un po’ con la mia. Fu il nostro primo bacio quello, che ancora ricordavo con una certa emozione. Poi con le dita della mano scese dalle mie labbra al mio collo per sentire il ritmo del mio cuore a quel contatto così improvviso. Sorrise.
 
*
 
 
Mi ritrassi a quel contatto improvviso appoggiandomi allo schienale della sedia. Poteva essere un gesto della quale non preoccuparsi ma non volevo complicazioni.
Lui non batté ciglio al mio ennesimo cambiamento di posizione.
“Non ho litigato con Robert, è arrivato un ospite e ho pensato di lasciarli soli, tutto qui..”.
“Scommetto che l’ospite era una donna, vero?”
Sbattei le palpebre incredula, come faceva a saperlo lui, l’aveva vista? Era lì? Mi guardai intorno agitata al pensiero della sua presenza lì, magari con Rob.
“Ci ho indovinato vero?”.
Feci cenno di sì con la testa. “Come fai a saperlo?”, chiesi non riuscendo a trattenere la mia morbosa curiosità.
“Te lo si legge negli occhi: Sei gelosa!”. Osservò sorridente mentre si appoggiava anche lui allo schienale della sedia.
“Non è una situazione facile per me. Questo mondo non è facile per me, non pensavo fosse tutto così complicato”, dissi massaggiandomi la fronte con la mano sinistra dato che iniziava a farmi male. “Il dire a tutti ‘Sono una semplice amica di Rob’ e non poter dire la verità che vorrei gridare al mondo, mi manda in bestia, giuro! Quando dovrò aspettare prima che si riveli al mondo intero chi sono e prima che le fan non mi guardino più con due coltellate al posto degli occhi solo, perché, secondo loro, ostacolo i RobSten! Non ce la faccio più credimi. Non è un atto egoistico giuro, non mi interessa la popolarità, per niente, credo che se avessi incontrato Rob anche da ‘non superstar’, me ne sarei innamorata ugualmente, per me poteva fare anche l’operaio, il panettiere o il posteggiatore era uguale, solo che magari, venendo dall’altra parte del mondo, ci avrei messo di più a trovarlo. La sua popolarità mi ha solo dato una mano”.
Lui mi guarda sbalordito da quel discorso troppo serio e smielato mentre annuisce coscienzioso. Ne sono felice, almeno qualcuno che mi prende sul serio in quel mondo.
“Credo che tu lo ami al di fuori di ogni aspettativa”. Dice serio e io ho quasi i lucciconi agli occhi. “E credo che anche lui ti ami, anzi non credo, lo so e lo vedo. Non starebbe con te da tutto questo tempo se non fosse così. Se si sta con una persona è perché la si ama davvero, almeno è così per lui, non è un gioco per lui, non gioca con i tuoi sentimenti fidati! Perciò per me non dovresti crucciarti nella gelosia perché non farà niente di male”.
“Io mi fido di lui, e di lei che…”.
“Fidati!”, m’interrompe infondendomi coraggio.
Il  mio sguardo pensieroso cade sull’orologio che porto al polso. Le 11.33. Di già? Mi alzo di scatto prendendo la giacca appoggiata allo schienale.
“E’ tardissimo”. Mi giustifico sperando di non mortificarlo. “Devo andare da Ashley, a quest’ora penso si sia svegliata”. Penso.
“Credo di sì”.
“Credo che parlare con i lupi non sia mica tanto male poi”, dico riferendomi al suo personaggio.
“Passa di qui quando vuoi vivere davvero!”, risponde alla Jacob. Rido. “No davvero, è stato un piacere anche per me!”.
Tolgo il portafogli dalla borsa per dare metà del conto, ma mi ferma.
“Sei pazza? Ricordi? Ho offerto io!”
Rimetto il portafoglio a posto ringraziandolo. “Però la prossima volta tocca a me!”, gli urlo mentre mi avvio verso l’ascensore.
“Ci conto!”, risponde lui solare come sempre.
 
Il mio cellulare iniziò a vibrare fortemente mentre ero in ascensore intenta a salire al dodicesimo piano. Risposi pensierosa senza vedere di chi fosse il numero e una voce dall’altra parte quasi mi spaccò i timpani.
“Dove CAZZO sei?”. Era Rob che con voce abbastanza alterata mi chiedeva dove fossi in modo abbastanza incollerito.
“Calmati! Sono in ascensore.. sto arrivando”. Chiusi la chiamata senza attendere risposta.
L’ascensore toccava lento i vari piani facendo sembrare quei minuti eternità.
5… 6… 7… 8… 9… 10… 11… 12… qualche secondo e le porte si aprirono. Me lo trovai davanti a mo’ di Edward Cullen affamato con gli occhi neri, a differenza che i suoi occhi erano verdi, ma mi fece trasalire ugualmente trovandomelo davanti.
“Dove sei finita? Perché te ne sei andata così stamattina senza guardarmi in faccia? Non ti ho chiesto di andartene, e poi quale altra stanza se dormi con me, pensavo stessi scherzando all’inizio ma poi sei andata via e mi hai fatto tremare il cuore. Mi hai fatto stare in pensiero per tutta la mattina Cazzo!”, si passò una mano nei capelli dopo aver tirato, tutto d’un fiato quelle parole. Ora ansimava. “Non farlo più!”, e detto questo mi tirò a sé abbracciandomi forte che quasi mi stritolò. Sbarrai gli occhi dalla sorpresa.
“Rob! Sei diventato peggio di mia madre ora lasciami!”. Sciolse l’abbraccio.
“Allora primo: Sono sempre stata in albergo, un po’ di qua, un po’ di là. Secondo: E’ stata la tua cara Emilie a lamentarsi della mia presenza, ero girata, ma non ero sorda! Terzo: Sono tua amica, non posso dormire con te, queste sono le regole. Rammenti?”. Spiegai tenendo il conto sulle dita.
“Che cazzo di situazione complicata, non ce la faccio più!”
“A chi lo dici..”.
In quel momento passo Tay che con un sorriso splendente mi salutò prima di inoltrarsi nel corridoio in cerca della sua camera. Rob mi guardò, prima me poi lui e gli venne la brillante idea di mettersi un sospetto in mente solo perché lui mi aveva sorriso in maniera diversa, a detta sua, il ché non era assolutamente vero e di nuovo cupo in viso mi chiese: “Perché ti ha sorriso in quel modo?”
“Quale modo?”, risposi inconsapevole di ciò che voleva dirmi.
“Sei stata con lui?”
“Chee? Ma ti sei ammattito Rob, ti sei fumato qualcosa mentre non c’ero? Vedi cose che non ci sono, sei troppo apprensivo. Sei sicuro di stare bene?”. Chiesi ora seriamente preoccupata.
“Sì, sto bene, scusa..”
Mi prese per mano e mi diresse verso la stanza, la nostra stanza. Mi fermai di botto davanti alla porta.
“Lei dov’è?”
“Di là, nel letto, era molto stanca”. Disse lui.
Mi pietrificai con il sangue che mi si raggelò nelle vene. Un presentimento mi sfiorò la mente incredula, non poteva essere. Ritirai la mano schifata dalla sua.
Lui che mi veniva incontro ansimante e preoccupato di cosa dopotutto? Dove sarei potuta finire se senza di lui non giravo nemmeno l’angolo di quella città.
Lei, che ora si trovava nel letto perché era stanca. Stanca di cosa? Lo stomaco si rigirò pronto a ripresentare tutto ciò che avevo mangiato poco prima. Possibile che la sua paura nascesse dal fatto che mi avesse persa? O nasceva dal fatto che avessi potuto vedere o sentire qualcosa che non dovevo?
Possibile che li si fosse consumato un tradimento?

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Capitolo 7
*** 6. Sospetti ***


6. Sospetti.

“Ma che..?”, fece lui incredulo al mio gesto.
“Lasciami, non mi toccare!” iniziai quasi ad urlare e a piangere nello stesso momento. Lui mi si avvicinò di nuovo per consolarmi non capendo quello che stava succedendo.
“Amore, ma che?”. Ebbi  una fitta al cuore, gli occhi mi si riempirono di lacrime e le mie corde vocali sembrarono annodate tanto che non riescivo nemmeno più a respirare.
“Non pronunciare parole che non rispecchiano i tuoi sentimenti Rob, non farlo cazzo!”. Lui non capiva di cosa stessi parlando.
“Si può sapere che ti succede?”. Domandò spaventato.
Filai via con le lacrime agli occhi mentre non vedevo quasi più niente tanto erano offuscati da quelle schifose lacrime che erano iniziate a scendere. Dietro di me sentii chiudere la porta con un colpo secco e dei passi veloci iniziano a seguirmi. Accelerò dirigendomi da Ashley che mi troverà in questo casino, ma non mi frega niente, sarà un altro giorno in cui dovrà sorbirsi le mie lacrime e sporcarsi il colletto come l’ultima volta.
“Vanessa, che succede?”
Non rispondo.
Busso forte alla porta di Ashley, ma ci mette un po’ prima di arrivare ad aprirmi. Nel frattempo Rob lo ha già fatto, è alle mie spalle. Non mi giro per guardarlo, più che altro lo sento. Mi mette una mano sulla spalla per farmi girare, ma io la caccio via.
“VATTENE HO DETTO!”, urlai.
Ash apre la porta di soprassalto sentendo quelle grida.
“Ma che diavolo succede qui?”, risponde mezza scocciata anche lei prima di notare lo stato in cui sono.
Mi lascia entrare senza esitare, prima di bloccare Rob davanti la porta.
“Che cazzo le hai fatto?”, gli chiede a denti stretti per non urlare e farsi sentire anche lei.
“Niente, ti giuro Ashley, non lo so! Sta piangendo e non ne ho la più pallida idea, non mi da modo di capire, di farmi spiegare se ho fatto qualcosa di male!”. Mi girò verso di lui e ha anche lui il viso rigato dalle lacrime, anche lui è esploso.
“Ti prego Ash, fammi entrare, dammi modo di parlarci. NON CI STO CAPENDO UN CAZZO!”. Urla.
Vedo Ash che mi guarda, prima me poi lui.
“Ok, entra, ma se scopro che la colpa è tua ti uccido al posto suo”.
Ash lo fa entrare, si guarda intorno prima di chiudere la porta e poi la chiude.
“Te ne sei andata perché ti ho detto che Emilie dormiva nel nostro letto?”
“Emilie? Quale Emilie? Quella Emilie?”, s’intromette Ash imbufalita nell’udire quel nome.
“ASH, CAZZO! PUOI TENERTI FUORI?!”. Risponde Rob stizzito dalla sua presenza.
Ash ammutolisce contro voglia, ma è una bomba orologeria pronta a esplodere in qualsiasi momento.
Io mi tengo lontana da lui, sono vicino la finestra e lui e a un metro di distanza da me, non voglio che si avvicini.
“Tu che vieni allarmato e preoccupato da me come non mai, mi dici che Emilie sta dormendo perché è stanca”. Ribadisco il mio concetto mentale scandendo ogni singola parola per evitare di ripetermi. E nel frattempo stringo i pugni per evitare di fare gesti di cui potrei pentirmi.
“TU SEI ANDATO A LETTO CON LEI!”. Lo accusai sicura delle mie intuizioni.
Mi guarda incredulo dopo aver sentito ciò che ho appena detto, non ci credeva neanche lui.
“IO COSA?!”. Ripetè ridendo nervoso.
“No, non può essere!”, parla tra sé mentre si gira dall’altra parte portandosi una mano alla testa.
“Se mi hai trovato in quello stato è perché ero davvero PREOCCUPATO per come te ne fossi andata, sono stato tutto la mattina a pensare dove fossi! Ho trasmesso la mia ansia anche ad Emilie, a cui non ho fatto altro che raccontare di te per tutto il tempo, alla fine si è scocciata di sentirmi parlare dell’unico argomento della mia vita, ha capito TUTTO e ha finto di essere stanca per congedarsi e andare a chiudere un po’ gli occhi sul letto, non avendo una camera per sé. Tutto qui! Questa è stata la storia”.
Mi ero sbagliata, per l’ennesima volta la mia gelosia mi aveva accecato dandomi istruzioni sbagliate riguardo alla persona che amavo. Mi ero fatta u film in testa che non esisteva. Ed ero sembrata una dannata pazza scatenata senza motivo. Volevo darmi dei pugni in testa per la stupida che ero stata. Non sapevo che dire. Anche Ashley ammutolì. Tenevo gli occhi bassi mentre sentivo che il mondo mi stava crollando addosso.
“Ma se questa è la considerazione che hai  di me, se questa è la fiducia che riponi in me, bè… non mi conosci come dici di conoscermi e non mi ami come dici di amarmi”. Lo guardai incredula di sbieco con le lacrime agli occhi mentre le sue avevano già smesso di scorrere.
“Come puoi pensarlo?”, chiesi con un filo di voce che non so nemmeno come fece ad uscire.
“LO PENSO perché non fai altro che dubitare di me, ad ogni mia mossa, come se non vedessi l’ora di tradirti, anche quando recito. E ogni volta devo tranquillizzarti dicendoti che amo SOLO te, SEMPRE e SOLO te! Chi altro sennò? Non puoi stare con me se sei così dannatamente gelosa!”
“Spiegami come potrei non esserlo? Fingo di essere tua amica davanti al mondo mentre ti vedo SBRANARE da mille fan con gli ormoni a mille, che urlano il tuo nome, ti cercano e ti vogliono e non posso fare nulla! Perché sono una TUA SEMPLICE AMICA! Tu non immagini nemmeno come mi senta, non poter rivelare a nessuno di te e di me, non poter gridare al mondo quanto Ti amo davvero solo perché per questioni di business e per volere delle fan TU devi stare con KRISTEN!”. Grido tra un singhiozzo e l’altro. Ashley mi fa cenno di abbassare la voce ma non mi frega niente.
“Hai bisogno di popolarità? È per questo che ti sei messa con me?”
Non ci credo. Come può pensarlo davvero.
“C-cosa?”
“Non ti basta amarmi e basta? In privato come faccio io? Non capisci che lo faccio per te? Non capisci che una mia piccola rivelazione potrebbe stravolgerti la vita? I paparazzi ti starebbero sempre addosso ad ogni tua mossa, ad ogni tuo gesto, non saresti più libera di fare nulla! È questo che vuoi, una vita segregata con me?”
“Voglio te!”, dico in un sussurro e lo vedo girarsi verso di me mentre i suoi occhi rossi per il pianto cambiano colore e espressione diventando più dolci.
Non urliamo più e mi avvicino a te tanto quanto basta a rivelarti ciò che sento.
“Non m’importa della tua popolarità, non me ne frega un bel niente! M’importa di te, perché non lo capisci? Perché non capisci che ogni singolo momento con te per me è idilliaco? Non m’importa ciò che fai, m’importa ciò che sei.. credo che se ti avessi incontrato fuori dalla tua popolarità, mi sarei innamorata ugualmente di te, per me potevi fare anche l’operaio, il panettiere o il posteggiatore era uguale, non sarebbe cambiato nulla, anzi forse saremmo stati più liberi, solo che magari, venendo dall’altra parte del mondo, ci avrei messo di più a trovarti. La tua popolarità mi ha solo dato una mano”. Gli dissi la stessa cosa che avevo detto a Taylor poco prima, il concetto era quello. Mi guardò sorridendo dolce come la prima volta che c’incontrammo, e come la prima volta che c’innamorammo perdutamente l’uno dell’altro.
In quel momento mi abbracciò forte, più forte di quanto avesse fatto prima facendomi sobbalzare il cuore.
Ashley guardando l’aria che si era creata mi sorrise contenta di come fossero finite le cose e sgattaiolò via chiudendo piano la porta dietro di sé.
Mi accoccolai sul suo petto sporcandogli la camicia bianca di mascara. Mi prese il viso tra le mani, io mi alzai in punta di piedi per arrivare alle sue labbra, e lui mi diede il bacio più dolce e profondo che chiunque ragazza possa mai ricevere. Ricambio il bacio nello stesso modo prima di staccarci. Mi guardò negli occhi sorridente.
Mi cinse i fianchi e mi fece accomodare sul divano tenendomi in braccio mentre io mi ero aggrappata al suo collo.
“Mmh..”, disse con un sorriso scolpito in viso accecandomi con quella schiera di denti splendente. Era divertito. “Un panettiere, eh?”
“E’ il primo mestiere che mi è venuto in mente”. Dissi imbarazzata diventando simile a un peperone, rossa di vergogna.
“Sarebbe bello, Tutto pieno di farina dalla mattina alla sera, poi ti prenderei e sporcherei anche te!”, gli diedi una pacca sul petto vedendo dei suoi occhi i suoi pensieri impuri.
“Roooob!”
“Che c’è?”, rispose innocente. Mi misi una mano sugli occhi imbarazzata ridendo.
Iniziò ad avvolgermi il bacino e cominciò a farmi il solletico, il mio punto debole. Iniziai a ridere cercando di togliergli le sue mani di dosso. Lui rideva come un matto vedendomi contorcere dalle risate. Avevo le lacrime agli occhi e finimmo a terra dalle risate. Poi iniziò di nuovo a baciarmi come quella sera, prima le labbra, poi il collo e poi più giù. Lo fermai tenendogli le mani.
“Siamo in camera di Ashley”. Gli feci notare ancora ridendo.
Ritornò in sé dopo quel momento e si sedette accanto a me a terra.
“Hai ragione, ma la colpa è tua, mi istighi!”
“Bella questa..”, scossi la testa incredula.
Poi mi prese la mano e incrociò le sue dita alle mie rendendo una presa indissolubile. Poi la baci e la stringi più forte.
“Andiamo? Voglio tornare in stanza con te!” esordì facendomi l’occhiolino.
“Ok!”, asserii io tentando di alzarmi da quella moquette. Mi aiutò tirandomi a sé e quasi non gli caddi addosso visto che incespicai nei miei stessi piedi. Mi prese al volo ridacchiando sommessamente. Gli feci la linguaccia.
“La solita maldestra!”.
“Per questo sto con te, no? Hai già esperienza in queste cose!”, dissi riferendomi a Twilight.
“Già!”. E con un bacio lasciammo quella camera chiudendoci la porta alle spalle.

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Capitolo 8
*** 7. Non stringerò mai più un patto con te! ***


7. Non stringerò mai più un patto con te!
 

“Dove sono i miei jeans?”, gridò Rob dall’altra parte della camera.
“Quali?”, domandai io spazientita dalla sua sbadataggine.
Quel giorno ero abbastanza suscettibile, tesa come una corda di violino e nervosa a mille. Tutto e tutti mi davano fastidio, tranne lui ovviamente, il mio sedativo personale. Il motivo era abbastanza palese: eravamo in partenza per Londra. David aveva dato a tutti qualche giorno di pausa dalle riprese, perché molti attori del cast erano impegnati in altre cose, e lui ne voleva approfittare per elaborare un po’ di scene, mancava poco all’uscita nelle sale di Eclipse. Dato che tra “New Moon” e quest’ultimo non passava troppo tempo e noi eravamo già a Febbraio, quindi la tensione per la cosa era abbastanza palpabile. Comunque Rob, il mio caro Rob, aveva deciso di sfruttare l’occasione per far visita ai suoi genitori nonostante il viaggio fosse lungo. Brillante idea direi.
Entrai in camera e lo vidi chino sul cassetto a mandare all’aria tutto in cerca di quei jeans.
“Ma che fai? Sono qui!”, gli dissi indicando il cassetto in cui si trovavano.  
“Oh, finalmente!”, disse sollevato prendendo i jeans dal cassetto e sistemandoli nella valigia.
“Tu hai finito?”
“Sono ancora in alto mare!”, risposi mettendomi le mani nei capelli dalla disperazione. Avevamo l’aereo tra due ore. Andai nel panico.
“Ti do una mano amore. Che devi portarti?”
Feci una risata isterica. “Se lo sapessi! Non so che portarmi”.
“Van, è solo per tre giorni!”, mi fece notare.
“Lo so! È che non so come vestirmi in presenza dei tuoi genitori.. l’ultima volta tua madre mi ha guardata disgustata per come mi ero vestita. Non mi ha insultato perché c’eri tu davanti secondo me. Secondo me non le piaccio”. Risposi imbronciata.
La madre di Rob era una donna abbastanza elegante, ogni cosa che indossava pareva essere raffinata, e quindi creava in me molta soggezione.
“Ma dai! Non è vero. Le piaci un sacco invece.”, mi disse canzonandomi divertito. Prese una maglia a caso dal cassetto e me la diede.
“Ma noo! Non mi piace..”
“E che l’hai comprata a fare allora?”
“Quando l’ho comprata dovevo essere fatta!”
“Ah sì e io dov’ero?”, rispose sprezzante.
Passammo la prossima mezzora a decidere cosa portarmi e cosa non portarmi, mentre Rob mi presentava tutte le opzioni.
Alla fine optai per 4 maglie di diversi colori, una maglioncino che usava anche qui per tenermi al caldo e 4 paia di jeans. Preparammo le valigie e ci avviammo verso la città, che a mio parere era la più bella del mondo, non solo perché c’era lui, quello era uno dei tanti motivi.
Dan ci accompagnò appena in tempo per prendere l’aereo e dopo aver guardato accuratamente che non ci fossero paparazzi in giro ci diede il via libera per uscire. Rob mi prese per mano e volammo a prendere il nostro volo, molte fan si accorsero di lui, ma Dan fortunatamente le tenne lontane altrimenti saremmo arrivati in ritardo, indossavo una camicia di Rob e qualche fan lo notò urlando. Cavolo stavano attente a tutto!
In aereo non parlammo molto, io ero nervosa e lui mi teneva la mano accarezzandola e ripetendomi: “Sta tranquilla!”. A Londra Rob chiamò un taxi, io sono stanca morta, come sempre quando viaggio, così durante il tragitto appoggio la testa sulla sua spalla di Rob e chiudo gli occhi per rilassarmi un po’, mi capita di riaprirli a volte e becco l’autista che ci guarda con gli occhi sbarrati, forse quello è un gesto troppo intimo che non si adatta ad una semplice amica così mi rialzo. Rob mi guarda non capendo il mio gesto così gli faccio segno che l’autista ha gli occhi fissi su di noi.
Il taxi è arrivato, l’autista ci avvisa. Di nuovo Rob cerca di vedere che nessun paparazzo sia piazzato lì a rovinarci la serata. E quando si è assicurato scende per poi porgermi la mano per seguirlo, di nuovo sotto lo sguardo incredulo del tassista.
Prima di andare il signore chiede un autografo a Rob. “Sa è per le mie figlie, sono pazze di lei”, gli rivela. Rob sorride imbarazzato, firma e va via.
Arrivammo a casa Pattinson per la cena.
Rob ha insistito per prendersi lui tutte e due le borse nonostante i miei capricci insistenti per prenderne almeno una. Vuole fare il gentiluomo a tutti i costi.
“Speriamo non abbia invitato tutta Londra per il nostro arrivo”. Dice sentendo voci non familiari all’interno dell’abitazione.
Sbarro gli occhi guardandolo. Fa spallucce.
“Rob finalmente ti stavamo aspettando!”. Fu Lizzie, la sorella di Rob ad aprirci la porta.
“Ciao Liz”. Risponde Rob. Poi si rivolge a me.
“Vanessa!”. Mi abbraccia.
“Lizzie..”, rispondo intimidita ricambiando l’abbraccio.
“Su entrate..”. fa Lizzie spostandosi e facendoci entrare.
Su una delle porte appare lei, la donna che ha messo al mondo il mio tesoro: Clare. Si pulisce le mani sul grembiule, lo toglie e viene verso di noi.
Rob butta le valigie a terra e mi avvolge i fianchi mentre ci spostiamo verso di lei.
“Oh tesoro, quanto mi sei mancato!”, fa lei abbracciandoselo forte.
“Ehi mamma!”. Sto rigirando le mani nelle mani dall’ansia.
Lo lascia e viene da me. “Vanessa!”, si dirige verso di me pronta ad abbracciarmi.
Ricambio l’abbraccio sorpresa da quell’atteggiamento. Poi mi lascia.
“Tutto bene il viaggio?”
“Si mamma, tutto a posto, non saremmo qui sennò!”
“Su dai Rob, non dire queste cose mi metti in ansia”, dice con un sorriso nervoso all’idea.
“Ok, noi andiamo in camera a posare le borse e dopo salutiamo tutti!”
“Ah Rob, a Vanessa ho preparato la stanza degli ospiti, a te la tua ovviamente..”.
“Io e Vanessa dormiamo insieme, dovresti saperlo!”, dice lui mentre si dirige alla camera indicata.
La madre fa spallucce. “Fa come vuoi! Ma mi raccomando fate presto che è già pronto”. E rientra in cucina.
La camera degli ospiti è molto elegante. Pareti e soffitto bianco avvolgono la stanza creando un non so che di magico. Lenzuola e coperta bianca adornano il letto e tende di pizzo e tulle ricoprono le finestre. Davvero incantevole. Ne resta affascinato anche Rob.
“Hanno di nuovo cambiato stile”. Dice poggiando le valigie a terra.
Io lo guardo sbuffando a braccia incrociate sul petto.
“Che c’è?”, mi chiede lui.
“Secondo te così vado bene?”. Chiedo indicandogli il mio abbigliamento indecente.
“Mmh..”, mi guarda per poi girarmi intorno.
“Secondo me dovresti mostrare un po’ più di pelle..”. disse sarcastico.
“Ah sì?”, risposi ridendo stando al gioco. Lui mi prese tirandomi per una mano trainandomi a sé con forza iniziandomi a baciare in modo aggressivo tenendomi da dietro la nuca. La sua lingua si muoveva vorticosa nella mia bocca giocando con la mia e facendomi quasi il solletico mentre io lo baciavo con trasporto e passione pura. La sua mano da dietro la schiena scivolò sempre più verso il basso. Fermai il bacio di malavoglia. E appoggiai la mia testa al suo collo.
“Siamo in casa dei tuoi..”, sussurrai.
“Mmh.. è vero”. Asserii. “Ma sei tu che mi fai impazzire… spero mi conserverai il dessert per dopo!”. Mi staccai da lui fulminandolo.
“E pensare che ancora non hai bevuto nulla!”
Rise.
“Rooob!”, chiama la madre per avvertirci che è pronto. Lui mi stringe di nuovo a sé, quasi alzandomi da terra ora e mi bacia di nuovo con la stessa passione di prima ma più cauto e io so perché. Ricambio e mi dirigo con lui verso la sala da pranzo dove ci attendono tutti.
Il padre di Rob vedendomi mi abbraccia affettuoso e premuroso come sempre.
“Come stai bella?”
“Tutto bene, Richard!”, lo chiamo per nome come da lui richiesto. In sala ci sono anche le sorella Lizzie e la dolcissima nonna di Rob che non fa che riempirmi di complimenti per tutta la serata facendomi arrossire violentemente, il più delle volte. Sono seduta tra Rob e Lizzie, la madre di Rob mi è di fronte vicino alla nonna, mentre il padre è capotavola. Victoria non è potuta venire stasera, ma promette di esserci il giorno dopo. Tengo gli occhi sul piatto, sorridendo quanto basta e mangio senza alcun appetito il piatto di lasagne che mi è di fronte per non offendere Clare, che, sorridente e radiosa, partecipa attivamente alla conversazione che si sta tenendo. Rob racconta di ciò che sta facendo e di come stiano andando le riprese, ammette di esser un po’ stanco. Parla dei prossimi progetti, stasera gli occhi sono tutti per lui. Ne sono contenta.
“Vanessa, tesoro, sicuro che ti piacciono le lasagne che ho preparato?”. Mi chiede Clare non vedendomi mangiare con tanto gusto.
“Oh si Clare, davvero! Sono ottime, non preoccuparti..”. Le dico tranquillizzandola.
La prima portata finisce e Clare è già pronta a portare la seconda.
Il mio cellulare prende a squillare dalla mia tasca. Mi alzo da tavola con un “Scusate” e mi dirigo nel corridoio antistante la camera.
“Pronto?”
“Ehi Van, finalmente riesco a sentirti, è da un paio di giorni che ti cerco senza risultati, come va?”
“Scusa, chi è che parla?”, chiedo un po’ disorientata.
“Come chi è? Sono Cesare!”. Cazzo no! Cammino nervosa, con la paura che possa nascere una nuova discussione con Rob e mi tocco le tempie per inventarmi una scusa che non arriva.
“Ah.. Ehm.. Cesare! Scusa se non ti ho riconosciuto, è che sono un po’ scombussolata per via del viaggio. Sono appena arrivata a Londra. Tu, come va?”.
Mi affaccio dalla porta della sala da pranzo facendo cenno a Rob di raggiungermi nella veranda dove inizio a dirigermi.
Neanche il tempo di arrivare che lui è già dietro di me mentre mi appoggio al terrazzo. Con la bocca mimo “È Cesare!” mentre quello dall’altra parte continua a parlare e a farmi domande. Vedo il suo volto alterarsi a quel nome. Sa dove è stato e da dove proviene.  Gli accarezzo un braccio per far si che si calmi e mi addosso su di lui in modo che mi abbracci. Lo fa. Cesare continua a parlare per altri cinque minuti circa in cui parla del più del meno, di ciò che sta facendo e di altre cose della quale non mi curo particolarmente, continuo ad osservare la faccia di Rob mentre cambia colore ad ogni minuto. Poi chiudo facendo finta di essere stanca.
Robert dall’alto del metro e ottantacinque osservò il vuoto pensieroso.
“Amore?”
“Che c’è?”, risponde freddo e distaccato.
“Amore?”, sorrido. “Sei geloso?”.
“No! Io.. no..”. lo guardo un po’ offesa e cede. “Ok, sono geloso.. sono super geloso!”.
Rido sguaiatamente e lui mi segue.
“Il mio gelosone!”.
Lizzie si affacciò alla veranda.
“Ragazzi, la seconda portata è in tavola, venite dai!”. La cena continuava.
 
“Andiamo a letto?”, mi chiese Rob facendomi l’occhiolino dopo aver finito d mangiare.
“Si”, risposi io stanchissima senza far caso al suo tentativo di flirtare.
Mi prese per mano e ci congedammo dal resto della famiglia ritirandoci in camera. D’un tratto qualcuno alla porta iniziò a bussare. Rob mi lasciò la mano e andò a vedere chi era. Apri la porta e tò, chi era se non lui? Il nostro caro Tom!
“Ehi Rob!”, disse all’amico dandogli una pacca amichevole sulla spalla abbracciandolo e entrando.
Guardai Rob con aria sconsolata mentre Tom si avvicinava a me.
“Ehi splendida!”, disse e mi alzò 10 cm da terra. Rob lo guardò torvo con un sopraciglio alzato a braccia incrociate per il gesto inconsulto che aveva appena fatto.
“Oh Rob! Non te l’ho mica mangiata!”, controbatté lui divertito.
“Sì, ma non provarci mai più!”, disse avvicinandosi a me. “E comunque che ci fai qui a quest’ora? Non potevi venire domani?”
“Ah Rob, come sei seccante! Ma quale tardi? Sono le 11 di sera, non le tre del mattino! Da quando sei diventato così vecchio?”, ed ecco che il suo sguardo cadde su di me. “Ah, l’amore non giova caro mio! E comunque vi va di venire con me in un posto?”
Alzai un sopracciglio, giusto per dire: “Ma che cavolo stai dicendo Tom?”, e Rob fece lo stesso.
“Non ditemi che stavate andando a dormire!”, chiese lui incredulo.
“No Tom, stavamo andando fuori a prendere il sole..” rispose sarcastico Rob facendomi ridere. “Tom torna domani davvero, siamo stanchi, abbiamo bisogno di un po’ di riposo stasera. Non saremmo dell’umore giusto per venire..”
Tom sbuffò scocciato. “Ok, ma domani non accetto dei no, ok? Perciò non mi prendete per il culo!” e se ne andò sbattendo la porta.
“Non ti preoccupare, non è davvero adirato, fa sempre così, poi si calma..”, disse tranquillizzandomi.
Ci dirigemmo verso la nostra camera e neanche il tempo di chiudere la porta che mi ci scaraventò contro, prendendomi a baciare con dolcezza. Non riuscii a resistere nonostante la stanchezza.
“E’ il momento del dessert..”, mi ricordi malizioso fermando il bacio. Annui divertita tirandoti di nuovo verso di me per il colletto della maglietta che tra l’altro mi hai fregato e non so come. Tento di raggiungerti ma non ci riesco quanto voglio così sei costretto a chinarti su di me per baciarmi e lo fai con trasporto. Cavolo quanto mi istighi. Scendi sul collo incendiandolo con le tue labbra e questa volta sei tu a lasciarmi il segno. Sorrido.
Ti butti ancor più su di me e io non posso fare a meno di avvinghiarti con le mie gambe, tu ne approfitti, mi prendi in braccio per non pesarti più e io incrocio le gambe dietro la tua schiena continuandoti a baciare e legandomi ai tuoi capelli che amo. Mi accarezzi la schiena e continui a dirmi che mi ami, tra un sussurro e l’altro lo faccio anch’io.
“Rob…”, lo incitai sussurrando e ansimando.
Lui si muoveva ancora più velocemente sul mio corpo, ormai bramoso del suo.
Lo desideravo, lo volevo, lo bramavo. Mio Dio.
Si avventò di nuovo sulle mie labbra desideroso di nuovo della mia anima, mentre, nel frattempo mi strappò totalmente la sua camicia di dosso. Feci lo stesso con lui iniziando a far scivolare le mie mani sulla sua schiena ancora coperta. Quella maglia doveva assolutamente scomparire dai miei occhi e dal suo corpo e così fece, restando a petto nudo mentre mi sbatteva ancor più forte contro una parete li vicino. Quella notte il mio angelo mi portò, con mia immensa gioia, di nuovo in paradiso e non ci fu un dessert migliore.
La mattina dopo sono sul suo petto, ho dormito per tutta la notte lì probabilmente perché ho un torcicollo terribile e un dolore alla schiena enorme. Sento il suo cuore battere sotto il mio orecchio e lo vedo ancora dormire beato. Mi trovo quasi intrappolata accanto a lui, dato che con il braccio destro mi cinge il corpo ancora nudo come il suo. Guardo l’orologio che con la sua scritta rossa quasi mi acceca. Le 6 del mattino. È ancora presto per alzarsi, e poi mi piace quella posizione. Guardo il tuo petto che si alza e si abbassa a suono del tuo respiro, mi piace. Sei così bello e a volte, mi chiedo che ci faccio io con te. Io che con il tuo mondo non c’entro un bel niente. Ti muovi un po’ girandoti verso di me ancora ad occhi chiusi, sposti anche l’altro braccio ora e mi intrappoli completamente con le tue braccia. Lo fai sempre mentre dormiamo, una volta mi hai che ti piace tenermi con te anche mentre dormi e molte volte nel sonno mi prendi anche la mano e la intrecci alla mia. Sembriamo due bambini piccoli. Lo fai anche ora. Come sei dolce. I tuoi occhi sono ancora chiusi e un ciuffo dei tuoi capelli ribelli ti copre la fronte, con la sola mano libera che ho te lo sposto delicatamente e ti accarezzo la guancia, un po’ ispida a causa della barba che ti sta ricrescendo, ma fa niente per me è sempre morbida.
Sei buffo in quell’espressione che hai assunto ora. Hai la fronte corrucciate e un sopraciglio alzato, trattengo a stento le risate per non svegliarti, chissà che starai sognando mi chiedo. Una volta hai parlato nel sonno continuando a ripetere il mio nome allarmato, il mattino dopo ti chiesi cos’avevi sognato ma non ricordavi nulla. Sussurri un “Mmh..”, e inizio a preoccuparmi anche dei tuoi sogni ora. “Sei bellissima”, continui, alzo la testa da sotto il tuo mento per vederti bene in volto e ti vedo sorridere soddisfatto. Metto il broncio, anche se tu non lo vedi, chissà chi cavolo starai sognando.
“Vanessa non c’è, però io ho tanta voglia, ti va di soddisfarmi?”, chiede invano a qualcuno nel sogno. Mi dimeno, non me ne frega un cavolo che stia dormendo, ma lui mi stringe più forte e apre gli occhi facendomi trasalire e morire nello stesso momento.
“Stavo scherzando amore! Era uno scherzo.. sapevo che eri sveglia!” gli do un morso sulla spalla e gli faccio uscire un “Ahi”e inizia a massaggiarti la spalla.
“E quello che ti meriti!”, dico imbronciata mentre mi giro nel letto dandoti le spalle. Lui prende a ridere. Viene da dietro e cerca di abbracciarmi mentre io gli do delle forti colpi sulle mani affinché le tolga subito dal mio corpo, ma lui pare non sentirle e ride ancora più forte.
“Perché non torni dalla tua bella nel sogno?! Vai a fare qualcosa con lei visto che ne hai tanta voglia”, gli dico facendo il verso alla sua voce.
“Amore! Ero sveglio non stavo sognando nessuno..”, mi tranquillizza con un sorriso da mascalzone che non riesco d odiare, così mi giro con la testa verso di lui.
“Da quando eri sveglio?”, gli domando incuriosita, possibile che non me ne fossi accorta?
“Dalla tua carezza”. Ammette. “Ero già in dormiveglia, ma poi quel contatto improvviso mi ha ravvivato completamente!”.
“Quindi sarebbe colpa mia?!”, chiedo innocente con gli occhi dolci e ammalianti.
“E’ sempre colpa tua!” risponde. “Anche ora che mi stai facendo rischiare un infarto con quegli occhi da cerbiatta..”.
Gli montai sopra e lui mi accolse.
“Allora ho in mente un piano”, gli dissi d’un tratto. Lui mi guardò incuriosito alzando un sopraciglio sorridendo.
“Dobbiamo resistere una settimana, e dico UNA settimana, senza toccarci, baciarci, accarezzarci, abbracciarci.. niente di niente! Come se fossimo davvero dei semplici amici, nessuna smanceria da fidanzati ecc. allora, ci stai?”
“NO!”, disse inorridito al pensiero spostandomi da se per alzarsi. Lo tenni fermo.
“E DAII! Per vedere quanto tempo resistiamo!”.
Ci pensò un po’ su, poi mi guardò. “Stai già infrangendo il patto allora!”, disse facendomi notare che gli ero addosso. Lo guardai seducente.
“Caro mio, questo non vuol dire che non cercherò di istigarti mon amour!”
“Ah pure?!”.
“E’ normale! Sarebbe troppo facile sennò, non credi?!”. Si grattò la testa pensieroso.
“Su non pensarci il patto è stipulato!”, dissi attorcigliando una delle mie dita tra i suoi capelli. Ce li avrei tenuti per sempre dato che li amavo da impazzire.
“Ah, e neanche questo potrai fare allora”. Disse incitandomi a rompere il patto.
“Le istigazioni sono permesse!”, gli ricordai.
“Anche i tradimenti?”, rise sarcastico.
“Permettiti e finirai nella tomba squarciato vivo..”, risposi minacciandolo con gli occhi simili a saette mentre mi alzai dal mio letto.
“Non credo di potercela fare!”, disse toccandosi i capelli e facendo un piccolo sorriso mozzato.
“Bè, se non ce la farai penseremo dopo alla punizione. Perché chi cederà prima avrà quel che si merita”. Lo vidi con occhi ammiccanti e captai il suo pensiero.
“Escluso quello!”, gli gridai mentre mi dirigevo in bagno per una doccia. Mi fu subito dietro cominciando di nuovo a baciarmi sul collo. Un brivido mi percorse come sempre ai suoi baci.
“St..stai già infr.. infr… infrangendo le regole..”, balbettai.
“Ti devo istigare ricordi?”.
“Non così!”, gli rammentai. “Stai già perdendo punti!”.
“No. La partita parte dopo la doccia!”. E fu così che mi spinse verso il bagno.
                                                                                                                              
Per tutta la mattina Rob non mi prese per mano, non mi abbracciò, non mi cinse i fianchi. Dovevo ammetterlo, il patto che avevo avuto in mente era stato un enorme, mega stronzata. Che mi era saltato in mente? Stavo iniziando a sclerare per ogni suo contatto mancato. Mi mancavano le sue mani, le sue braccia che mi cingevano la vita, i suoi baci… insomma soffrivo come una bestia dopo solo tre ore dal patto. Come avrei fatto per una settimana? Che idea stupida mi era venuta in mente. Dall’altra parte lui soffriva quanto me, lo vedevo dai suoi occhi e dai suoi atteggiamenti. A volte lanciavo anche risate isteriche come una matta attirando l’attenzione dei familiari di Rob che si chiedevano con chi si fosse messo il figlio e se nella notte non avessimo dimenticato. Chi gli spiegava che era solo un gioco, tra l’altro stupido. La madre ci portò davanti un giornale, al cui interno c’era una nostra foto all’arrivo all’aeroporto di Londra, la sera precedente, che ci ritraeva mano nella mano. Un immagine innocente forse, ma che ora ci mandava in bestia entrambi visto che era un gesto vietato per UNA settimana. E poi una scritta a caratteri cubitali parlava da sé dicendo: “Pattinson arriva a Londra con la sua migliore amica?”. Il punto interrogativo era molto eloquente, metteva in dubbio la nostra amicizia alludendo a qualcosa di più, come infatti era in realtà. Non mi preoccupai, avevo altri grilli per la testa, e poi qualcuno sarebbe intervenuto tempestivamente a smentire le varie effusioni di cui eravamo stati partecipi o sarebbero stati zitti facendo restare tutti nel dubbio. 
“Certo che non vi lasciano in pace un attimo!”, commentò Richard a quell’articolo.
“Eh, già!”, disse Rob sorseggiando la sua coca in modo vacuo.
Era bello vedere le occhiate che si scambiarono i genitori al nostro strano comportamento. Morivo dalle risate nel vederlo.
Entrammo in camera per cambiarci dato che da un momento all’altro sarebbe arrivato Tom, come ci aveva già annunciato la sera prima.
Io ero davanti alla mia valigia mentre aspettavo di scegliere che cosa mettere per la serata con le braccia incrociate a contemplare quelle magliette e quei jeans che a me sembravano tutti terribilmente brutti e uguali. Mi sedetti a gambe incrociate a terra con la valigia di fronte, contemplando tutto ciò che mi era disponibile.
“Non sai di nuovo che mettere?”, mi domandò Rob impaziente vestendosi. Mi girai per rispondergli e lo vidi a petto nudo mentre s’infilava una camicia blu, una delle tante che amavo. Stava salendo bottone per bottone facendomi impazzire. Mi portai una mano sul viso per non vederlo.
“Che c’è?”, mi sussurro dolcemente con un sorriso appena accennato che mi fece andare in fibrillazione.
“Niente!”, divenni rossa come un peperone di vergogna. Maledetta me e le mie dannate idee da stupida demente.”Mi stai istigando..  fortemente!”.
Il cuore si scatenò sotto il mio petto. I battiti divennero immediatamente aritmici. Il respiro mi si mozzò in gola e mi venne la pelle d’oca sulla nuca. Il mio viso si infiammò al solo incrocio col suo splendido sguardo.
Poi mi sia avvicinò e sedendosi vicino a me iniziò a sfiorarmi con un dito la mano facendo dei ghirigori immaginari e iniziò a sussurrarmi parole con fare ammiccante. Mi stava letteralmente mandando in pezzi il cervello. Il suo profumo dolcissimo di frutti di bosco, che gli era rimasto dal nostro bagno quella mattina, mi mandò in estasi, non facendomi capire più nulla. Mi avvicinai pericolosamente alle sue labbra sporgendomi verso di lui, ma poi ritornai in me lasciandolo a bocca asciutta. Mi alzai di scatto per evitare ogni tentazione e mi portai le mani nei capelli, tirandomeli su. Quel tic me lo aveva trasmesso lui.
“Non ce la faccio più!”, sbottai. “Io e le mie idee stupide!”.
Rise dolcemente. “Non potrei darti torto.. ma se ti vuoi arrendere, ho già in mente una punizione da darti!”, mi soffiò nell’orecchio, ammiccando.
Le sue labbra perfette e morbide si aprirono in un sorriso malizioso, catturandomi come un’idiota e facendomi mancare il respiro. Mi allontanai ancor di più da lui cercando di riprendermi per quanto potevo.
“Questo gioco inizia a piacermi. Mi piace istigarti e farti diventare rossa senza che tu possa toccarmi!”. Rise divertito.
Presi al volo una maglia e un jeans a caso dalla valigia, tanto qualunque fosse stata sarebbe andata bene ormai.
“Ora tocca a te!”, lo avvertii sfidandolo. Lui annaspò.
Mi sfilai lentamente la maglia che avevo di dosso, proprio davanti a lui per farlo morire, come lui aveva fatto con me, anche se non avevo, di certo, il suo stesso fascino in queste cose e non ci sapevo neanche fare. Cercai di fare del mio meglio senza inceppare rendendo la cosa, per me assai squallida, un evento da circo.
Era sospeso in una bolla priva d’aria. Lo vedevo da come respirava e da come diventava rosso in viso vedendomi.
Mi ero avvicinata molto al suo corpo ora e potevo vedere ogni goccia di sudore freddo scendergli lungo la nuca. Era esaltante la cosa, aveva ragione.
Iniziò a balbettare qualcosa che non riuscivo a capire.
“Tu.. mi stai.. davvero inducendo a farti del male, lo sai?”. Così lentamente mi avvicinai al suo orecchio destro quasi sedendomi in braccio a lui.
“Hai iniziato prima tu, e quindi, sai come si dice: Chi la fa, l’aspetti!”, sussurrai con voce fievole al suo orecchio per poi scappare in bagno dove finì di vestirmi lasciandolo lì, per l’ennesima volta a bocca asciutta.

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Capitolo 9
*** 8. Tom, ma dove cavolo ci hai portati?! ***


8. Tom, ma dove cavolo ci hai portati?!

 

“Tom, ma dove cavolo ci hai portato?”, esordì vedendo la discoteca, o forse era meglio dire il bordello in cui ci aveva condotti quella sera. Dato che ovunque ti girassi c’erano persone, che appartate sui divanetti, amoreggiavano con gran fervore fregandosene di chi gli stava intorno.

“Sai com’è, Rob mi ha raccontato del vostro giochetto, così ho pensato di mettervi alla prova!”
Mirai a Rob con sguardo truce, e delle saette al posto degli occhi. Volevo fulminarlo. Lui in risposta alzò le mani scuotendo la testa.
“Non gli ho detto nulla, giuro!”.                     
“Si, come no! Da quando in qua Thomas Sturridge, amico del cosiddetto sa leggere nel pensiero?”, dissi sottolineando volontariamente il suo nome e cognome per fargli capire quanto lo odiassi. Lui sorrise divertito di rimando, sorseggiando la sua birra. Gliel’avrei tirata in testa.
“Siete proprio bastardi!”, dissi allontanandomi irritata.
“Vaffanculo Tom e grazie!”, gli disse Rob.
“Come sempre”. L’ho sentii dire. Ma certo che era proprio sfacciato.
Mi diressi verso un divano libero dove senza l’ombra di nessuno intento a limonare appassionatamente. La musica era assordante. In vita mia non ero mai stata in una discoteca, neanche in Italia, non amavo quel genere di locali con la musica rintronante, amavo sentirla in un numero minore di decibel casomai in modo da chiudermi in una bolla e pensare ai fatti miei quando ne avevo voglia e in più non amavo neanche ballare. Era proprio il locale giusto per me direi. Io e la discoteca non avremmo mai fatto amicizia, lo sapevo di già. Anche loro mi seguirono. Rob con due bicchieri in mano di non so che, e Tom solo con tre birre in mano.
“Non ti sarai incazzata per questo, vero?”, domandò Tom ancora più divertito.
Non risposi e mi voltai dalla parte opposta a lui per non guardarlo nella sua sfacciataggine. Menomale c’era Rob che ci divideva, anche lui divertito.
“Ma è una congiura nei miei confronti forse?”, dissi guardando tutti e due corrucciata. Avevo il sangue che mi ribolliva nelle vene dalla rabbia. Come aveva potuto Rob, raccontargli una cosa così intima?
“Van, davvero non gli ho detto nulla. Te lo giuro”. Mi mormorò lui all’orecchio dato che non sentivo un corno lì dentro.
Feci finta di niente e mi voltai ancor di più sorseggiando il mio cocktail dalla cannuccia a piccoli sorsi, dato che non mi piaceva neanche.
“Dai, dico la verità”. Disse carezzandomi il braccio. Gli fulminai la mano con gli occhi.
“Hai già perso un punto!”, disse Tom, facendo il vago e sorseggiando la birra con gli occhi puntati in pista.
“Eh già!”, risposi io ridendo ora.
“Se è per questo tu ne hai già perso due, quindi io sono in vantaggio!”.
“Vantaggio un corno, se ben ti ricordi hai cercato di baciarmi oggi. Quindi siamo pari caro mio!”
“Guarda Rob che belle ragazze ci sono lì.. che ne dici di stuzzicarla un po’ provandoci”, s’intromise Tom girandosi verso di noi.
“Deve solo provarci. Tornerà a casa mozzato e irriconoscibile..”, dissi indifferente facendo bolle d’aria attraverso la cannuccia nel cocktail senza guardarli.
“L’hai sentita?”, disse indicandomi e rendendo palese la sua risposta all’offerta.
“Secondo me sono tue fan, ti stanno fissando come se ti volessero mangiare. E poi secondo me non sono nemmeno di qui”. Fece Tom noncurante di ciò che avevamo appena detto.
“Allora sono vampire!”. Rob rise capendo la mia battuta che si rifaceva a Twilight. Tom non capii e ci guardò interrogativo terminando una delle tante birre che quella sera si preparava a bere.
“Dio, che schifo!”. Fece Rob sputando il cocktail che aveva iniziato a sorseggiare. “Dammi questa birra!”, disse afferrando la bottiglia dalle mani di Tom, che stava per bere. Scoppiai a ridere vedendo la sua espressione confusa mentre Rob rideva a crepapelle insieme a me notando il motivo per cui sogghignavo.
“Ok, io vado a divertirmi un po’, voi scolatevi pure tutte le bottiglie di birra che ci sono!” e cosi dicendo si dileguò in pista tra le due ragazze avvistate poco prima.
Mi accomodai comodamente sul divano poggiando il drink sul tavolo lì vicino e rilassandomi adagiando la schiena allo schienale del comodo divano.
Incrociai le braccia al petto dopo aver dato luogo al mio tic e guardai le persone ballare nella pista.
Lui sorseggiò un altro po’ di birra dalla bottiglia prima di guardarmi pensieroso e avvicinarsi pericolosamente a me.
“Stasera combinerò una strage”. Affermò dando un altro sorso e assaporando la birra per un secondo.
Lo guardai ambigua non capendo il senso della sua affermazione.
“Quello lì ti sta fissando da quando ti sei seduta qui!”, disse indicando un tizio seduto al bancone che sorseggiava un drink e teneva gli occhi fissi su di me come fa un cacciatore con la sua preda. Cavolo. Mi passai di nuovo una mano nei capelli nervosa.
“Magari sa chi sei tu, e per questo che mi guarda..”, optai sussurrando la mia idea al suo orecchio in mezzo a quel trambusto.
Mi fece cenno di no scuotendo la testa. “Sta guardando solo te, a me non mi ha visto proprio, si vede dallo sguardo”. Me ne andai ancora più in agitazione. Odiavo essere fissata, odiavo avere gli occhi puntati su di me. Qualunque fosse la natura dello sguardo, mi faceva pietrificare al mio posto. Rob lo notò e mi passò una mano sulla schiena strofinandola dolcemente e si avvicinò di nuovo decretando la mia morte. “Secondo me un bacio risolverebbe le cose, ma purtroppo c’è il patto!”, e si allontanò di nuovo dopo aver buttato l’esca a cui secondo lui, avrei abboccato.
Il mio sguardo s’incastro in quello dello sconosciuto, un ragazzo dai capelli neri tirati indietro, forse in una coda o con il gel, la sua pelle era ambrata e aveva un fisico muscoloso che s’intravedeva da sotto la camicia messa apposta per attirare l’attenzione. Tranne la mia, ovvio. Da lontano il ragazzo prese a salutarmi mostrandomi il bicchiere a mo’ di brindisi e prendendo a sorridere e ammiccare nello stesso momento. Era sceso dalla sedia e sembrava venirmi incontro con due bicchieri in mano. Dio che l’avevo guardato a fare cavolo? Distolsi subito lo sguardo e incontrai le labbra di Rob che si erano avventate sulle mie in modo repentino, probabilmente aveva assistito a tutta la scena, cogliendomi di sorpresa. La sua lingua era entrata prepotentemente nella mia bocca, mentre io praticamente gli salivo in braccio dalla voglia contenuta che avevo avuto di lui per tutto il giorno, avevo cercato di resistere, ma ora non ce la facevo più e mi ci avvinghiai prepotentemente infischiandomene di tutte le persone che c’erano intorno e che ci osservavano. Ero nella mia bolla insieme a lui ora, niente importava. Era stato lui a perdere un altro punto d’altronde, quindi tanto valeva farglielo perdere con dignità. Cosi giocherellai con lui per un po’, giusto il tempo di mandarmi in fuoco l’anima e la pelle che stava toccando. Stavo perdendo fiato ma non volevo staccarmi da lui e nemmeno lui notai, dato che iniziammo ad ansimare entrambi. Affondai le mie dita nei suoi capelli e lui fece lo stesso con la mia schiena, fin quando non arrivò molto nocivamente alla chiusura del reggiseno. Lì mi fermai bloccandolo.
“Non qui, non ora!”, dissi appoggiando la mia fronte alla sua.
Sorrise.
Si staccò da me e si guardò in giro, lo feci anch’io. Vedemmo parecchie facce di ragazze sbalordite, alcune con le mani sulla bocca altre che si sussurravano reciprocamente parole insulse all’orecchio. Rob non ci badò, neanche io. Perché lui era mio.
“Se ne andato”. Disse sollevato. “Ho temuto il peggio!”.
“E quale sarebbe stato il peggio per lei Signor Pattz?”. Rise a quel soprannome mentre eravamo di nuovo fronte su fronte.
“Beh, tu ti saresti innamorata di lui e saresti fuggita lasciandomi solo!”, mise il broncio come un bambino piccolo arricciando le labbra. Gliele baciai non potendo resistere a tale espressione.
“Come sei melodrammatico!”. A quel punto mi sedetti di nuovo sul divano, anche se stavo meglio tra le sue braccia. “E comunque siamo a tre!”, disse sventolandoglielo davanti agli occhi.
“L’ho fatto per salvarti!”
“… E per salvarti!”, aggiunsi io bevendo un sorso dalla sua birra.
“Comunque siamo pari di nuovo!”, rise vittorioso.
“No! Ma che..?”. Scossi la testa protestando.
“Mi hai baciato anche tu, potevi anche staccarti!” ribatté come un bambino. Non sapevo che rispondere. Mi imbronciai e mi buttai sullo schienale, mentre lui alzò le mani vittorioso cantilenando “We are the champions”, sottovoce, perché l’aveva vinta lui. Era proprio un bambino a volte.
Scossi la testa ridendo e gli diedi una pacca sul braccio. “Scemo!”.
La musica cambiò, e delle note leggere e piacevoli invasero la pista facendo ballare solo gli innamorati, che si staccarono dai loro divanetti e iniziavano a volteggiare in pista. Io li guardavo incantanti e chiusi gli occhi rilassandomi un po’ quando sentii che Rob si alzò. Mi si era parato davanti e mi porgeva una mano tenendo dietro l’altra come un cavaliere che va a prendere la sua dama. Come un vero gentiluomo.
“Vuole ballare con me signorina?”, chiese come se non ci conoscessimo.
Mi guardai intorno facendo la vaga. “Ma sei scemo? Non so ballare”. Ma lui conosceva la mia avversione contro il ballo e contro ogni cosa che richiedeva una coordinazione mano- piede.
“Ti affideresti a me?”, e mi sembrò di udirlo in Twilight quando mi ero innamorata follemente di lui. Sorrisi. E con passo indeciso mi mossi verso di lui ponendo la mia mano in quella del mio principe. Mi prese quasi in braccio per ballare quel lento, mentre io gli avvolgevo il collo con le mie braccia.
Ero concentrata sui suoi piedi giusto per imparare, evitando così il rischio di pestargli un piede. Mi alzò il mento con un dito.
“Non serve”. Mi disse sorridente.
“Non ci so fare con queste cose!”, ammisi guardandolo negli occhi. “Sono proprio negata”, continuai ridendo imbarazzata.
Avevo, anzi avevamo tutti gli sguardi puntati addosso. Abbassai la testa cercando di ricreare la bolla personale di poco prima.
“Quella volta”, gli dissi dal nulla mentre volteggiavamo. “Quando abbiamo litigato per Emilie”. Avvertii un dolore nel pronunciare quel nome e lo potevo vedere riflesso nei suoi occhi. “Ho temuto il peggio. Ho avuto davvero paura nel sentire le tue parole”. Tentai di non dirle ad alta voce, non avevo voglia di ripeterle e rievocare completamente quell’incubo. “Quando mi hai detto quelle cose, ho sentito un frammento del mio cuore andar via. Mi sono sentita vuota, sperduta anche se è stato un secondo. Mi chiedevo come potessi pensare quelle cose, come, in tutti i mesi in cui eravamo stati insieme non fossi riuscita a trasmettere niente. Mi sono sentita morire”.
Mi scappò una lacrima.
“Perché mi ricordi questo, ora?”, chiese infastidito.
“Perché volevo dirti una cosa che mi va che tu sappia e che, né quel giorno, né in tutti questi mesi sono riuscita mai a dirti”. Feci una pausa, prendendo il fiato necessario a dirglielo subito senza interruzioni. “Tu, Robert Thomas Douglas Pattinson. Tu sei tutto per me, sei la mia metà, senza di te non sono intera, non mi sento intera. So per certo che tu fai parte della mia vita, perché le emozioni che provo per te e quando sono con te, sono indescrivibili. Non ho mai provato delle emozioni così forti in vita mia. Nessuno credo ti possa amare almeno un po’ di quanto io ti ami. Nessuno potrebbe eguagliare l’amore che provo per te, e non lo dico per egoismo o vanità, lo dico perché è la pura verità, è ciò che sento. Ci vorrebbero ottant’anni per eguagliare un giorno dell’amore che io provo per te. Tu sei l’uomo con cui voglio stare, con cui voglio vivere, sposarmi, fare dei figli. Voglio invecchiare con te e coccolare i nostri nipoti con te. Non chiedo altro. Tu non sei l’amore della mia vita, perché mi aspetto di amarti molto più a lungo. Tu sei l’amore della mia esistenza”. Dissi sorridendo usando una frase della saga che a mio parere esprimeva davvero bene il mio sentimento per lui e lui sorrise dolcemente di rimando restando basito davanti a quel mio discorso improvviso e con la stessa dolcezza mi accarezzò la guancia.
“.. E così il leone s’innamorò dell’agnello..”, continuò lui con le stesse parole della saga che mi avevano fatto piangere. Sorrisi timidamente.
“Che agnello stupido direi!”. Sorridemmo entrambi.
“Che leone pazzo e masochista.. comunque anch’io provo lo stesso per te. Non avrei saputo fare meglio di te per dirtelo”.
“Ora non ti posso baciare perché c’è questo stupido patto, altrimenti non usciresti viva da qui. La prossima volta che ti vengono idee tanto stupide in mente avvertimi prima così ti do una mano a ripensarci. Anche se una domanda ce l’avrei. Ma queste proposte le partorisci la notte o le pensi al momento?”. Rise poggiando la sua fronte alla mia per un istante.
“Te l’ho detto: sono un agnello stupido. E comunque questa mi è venuta al momento!”.
“Ok! Starò attento alle prossime tue idee mattutine. Fanno paura”. Sorridemmo e con la musica che iniziava a sfumare ritornammo al nostro posto.
 
Tre ragazze più tardi all’uscita dalla discoteca, ci si avvicinarono, estremamente eccitate e contente di vedere Robert Pattinson che finalmente si stava godendo una sigaretta dopo tante ore di astinenza.
“Scusa, possiamo fare una foto con te?” chiese una delle quattro, probabilmente la più razionale e la più lucida rispetto alle altre che gongolavano alla sola sua vista. Le guardavo da lontano e una delle due mi fulminò con lo sguardo, cosi come altre due lì vicino che attendevano il loro momento di gloria. Mi voltai verso Tom che aveva appena gettato a terra la sua sigaretta consumata.
“Ed ecco l’ennesima!”, sbottai scocciata.
“Non devi essere gelosa sono solo delle fan..”, mi tranquillizzò Tom.
“iuh!”, gli dissi scuotendo le mani di fronte a lui per richiamarlo all’attenzione. “Anch’io lo ero!”, gli ricordai.
“Si, è vero. Ma mica Rob s’innamora di tutta le sue fan. Sta tranquilla. E poi guarda quelle quattro, non hanno niente di che!”, mi fece notare.
“Tre di loro mi hanno appena folgorato con lo sguardo”. Rise sommessamente.
“Le fan sono così. Ti vedono come una loro ipotetica rivale.. e non sanno quanto hanno ragione”. Disse non negando la realtà.
Battevo il piede a terra con stizza, pensando a quelle civette mortificatrici vicino al mio Rob.
“Ma quanto ci mettono!”, dissi nervosa non togliendo lo sguardo dall’orologio.
“Manca solo una foto e un autografo credo!”, disse Tom, guardando oltre di me verso la scena dove stava avvenendo il misfatto.
“Ha finito”. Annunciò ”Che ne dici di far arrabbiare un po’ Rob?”.
“Cosa? Come?”, chiesi incuriosita.
“Basta poco per ingelosirlo e istigarlo per fargli perdere altri punti. Basta metterti un braccio intorno al collo e camminare!”.
“Tutto qui? Allora ci sto!”. Era un piacere macchinare piani con Tom, aveva una mente così diabolicamente a fin di bene per i miei scopi.
Ci incamminammo verso di lui con Tom che mi cingeva il collo. Lo vidi cambiare colore e poi ridere.
“Cioè Tom, ma da che parte stai?”
“Dalla parte dei miei amici e lei è tra quelli ora. Non posso lasciarla sola contro di te, la devo aiutare in qualche modo”. Rispose quello.
“Bene ora l’hai aiutata abbastanza, la puoi mollare”. Disse avvicinandosi e togliendo di peso il braccio di Tom dal mio collo.
“E se io non volessi?”, disse Tom tirandomi di nuovo a lui con aria di sfida.
Rob lanciò un ringhio acuto. “Ho detto lasciala!”. Li guardai impaurita. Qui finisce male, mi staccai da Tom e decisi di dirigermi da Rob, ma Tom mi riprese per un braccio. “No, no. Lascialo stare un po’! istigalo un po’ di più. Il signorino ora che è famoso vuole tutto e subito, eh?”. Gli disse sottolineando specialmente l’ultima frase.
“Più che istigarlo qui finisce male per te stasera Tom. Su ora basta. Lo scherzo è bello quando dura poco”.
“L’hai sentita lasciala!”, disse Rob che pian piano si era avvicinato e aveva preso per la gola Tom che mi lasciò all’istante per staccarsi dalla presa. Non l’avevo mai visto così, che gli prendeva?
“Rob! Ma che fai?!”, urlai impaurita ormai, cercando di abbassargli il braccio senza risultati. “Lascialo era uno scherzo. Dai così lo uccidi!”, quasi piango dalla paura. “Che ti prende cazzo?”. D’un tratto si fermarono e iniziarono a ridere entrambi come due dementi mentre io li guardo confusa e allibita ancora con la mano sul braccio di Rob ormai più morbido.
Tom se la rideva sguaiatamente tenendosi la pancia, Rob è nella stessa posizione, piegato in due dalle risate.
“Avresti dovuto vedere la tua faccia Van! Stavi morendo!”. Dice Tom tra una risata e l’altra indicandomi. “Era uno scherzo!”
Cosa? Uno scherzo? I miei occhi diventano di fuoco a quella dichiarazione.
“Uno scherzo?!”, urlai tra i denti. Tutti e due annuirono ancora piegati. Strinsi i pugni per calmarmi ed evitare di commettere un duplice omicidio. “Ma andatevene a fanculo! Siete proprio degli stronzi cazzo!”.
“Mai fidarti di due attori!”, rispondono loro.
Detto questo mi diressi verso la macchina mentre loro ancora lì davanti morivano dalle risate. Per tutto il tragitto fino a casa non proferii parola e me ne stavo imbronciata nel sedile posteriore guardando la città di Londra, illuminata dalla notte, scorrermi davanti in modo incantevole. Loro intanto, continuavano a rivivere l’accaduto mentalmente ridendo con le lacrime agli occhi. Che finezza. Ma lo sapevo Rob si lasciava sempre un po’ andare in presenza di Tom, e a dare alito alle loro risate e al senso di euforia c’erano anche tutte le birre che quella sera si erano scolati. Arrivati a casa Rob ancora rideva a crepapelle come uno scemo, mi sa che le birre gli erano andate in testa. Lo dovetti aiutare a mettersi a letto e non passò molto tempo prima che piombasse nel sonno più profondo. Io andai a farmi una piccola doccia prima di andare a letto e piombare anch’io nel mondo dei sogni.

 

NOTE AUTRICE:
Beh, questa settimana ho avuto un bel po' da scrivere con questa fanfiction! mi sta prendendo un sacco e mi piace, ha avuto anche una sua evoluzione e ho dovuto cambiare il rating... ma vabbè!
Un sacco di idee mi sono venute in mente e le ho buttate giù subito... spero sia di vostro gradimento!
Al prossimo sabato!

kiss

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Capitolo 10
*** 9. Lei non è quella giusta per te… ***


9.    Lei non è quella giusta per te… 

Questo capitolo è un po'  più piccolo rispetto agli altri. 
Ma mi andava di pubblicarlo perchè credo sia una parte importante della storia.
Fa capire, quanto sia difficile a volte stare con un attore di fama mondiale come, in questo caso Robert Pattinson..
almeno come la vedo io!

Spero vi piaccia... e che recensiate per farmi capire le vostre idee!

Kiss e Buona lettura!

- Elle.

 

 

“Adesso come faccio a smentire queste foto? Eh Rob?!”, urlò Nick sventolandoci in faccia un giornale con in copertina i nostri baci rubati nella serata in discoteca a Londra. “Eh Rob? Come faccio spiegamelo! Posso smentire un abbraccio, un vostro mano nella mano a cui nessuno ora fa più così attenzione, ma un bacio, per di più così poi… come faccio, cazzo?”.
Forse né io, né Rob eravamo stati molto attenti alla cosa quella sera, forse per le birre, forse per il senso di euforia da cui eravamo invasi, ma se avessi scovato chi aveva scattato quelle foto l’avrei davvero scannato vivo. Poteva essere chiunque, la discoteca era davvero piena quella sera e molti occhi erano puntati su di lui. E così ora eccoci qui a sorbirci insieme, come sempre, le arringhe e le urla di Nick a quelle foto.
“Ma chi se ne importa!”, rispose Rob noncurante alla cosa. Risposta che fece diventare una bestia Nick, al quale sembrava davvero che gli uscisse del fumo dalle orecchie mentre era diventato rosso come un peperone dalla rabbia, sembrava un vulcano pronto ad eruttare.
“Eh sì! Tanto a te che te ne importa!”, sbottò urlando prima di calmarsi e riprender fiato. “Senti Robert, tu lo sai cosa ne penso di questa tua relazione, sono contento che tu sia felice e che abbia trovato la donna giusta per te, ma non è così che doveva andare! Almeno non ancora. Vi ho sempre raccomandato di tenere la cosa segreta, di non farvi scoprire, almeno fino alla fine della saga. Erano questi i patti. E ora, stamattina mi sveglio e cosa trovo? Una cosa del genere su un giornale importantissimo come il Times!”, esplose di nuovo.
Io ero rossa di vergogna, tenevo le mani incrociate sulle gambe con lo sguardo abbassato. Non volevo causare problemi a nessuno. Ma quella sera era stato Rob a baciarmi e non viceversa. Cavolo che situazione complicata era stare con lui, ma non per questo l’avrei lasciato o abbandonato. L’amavo con tutta me stessa, l’amavo con ogni cellula del mio corpo e gli sarei rimasta accanto fino a che la morte non ci avesse separato, oppure fin quando lui avesse avuto bisogno di me.
Mi bastava davvero.                                                                                                                 
“Scusaci Nick”. Esordì in un sussurro mortificato. “Abbiamo esagerato un po’ me ne rendo conto, ma davvero non volevo creare problemi a nessuno, insomma non potevamo immaginare che ci fosse anche lì qualcuno”. Neanche si curò di me e si voltò a guardare fuori dalla finestra cercando di calmarsi. Rob vicino a me era stravaccato sul divano con la mano sulle tempie ad occhi chiusi nervoso, mi toccò una gamba come a dire:”Non ti giustificare di nulla lascialo stare”.
Poi si alzò di botto sistemandosi meglio sul divanetto dallo stile “figlio dei fiori” e calcò bene il cappello sulla testa.
“Ok Nick, senti io mi sono stancato. Dico davvero. Tutti questi segreti. Va bene che i fan credano in Edward e Bella, va bene che siano innamorate di Edward e che urlino ad ogni mia foto, intervista ecc. Ma io non sono Edward, e Kristen non è Bella. Ma non hanno nessun diritto di decidere anche della mia vita decretando con chi devo stare e con chi no! Ti pare che ogni volta debba fingere che io stia con Kristen facendo soffrire Vanessa per la saga? Ma dico! Non sono mica un burattino cazzo! Io e Kris siamo solo amici, ed è bene che i fan aprano gli occhi invece di tenerli chiusi per sempre!”. Disse davvero irritato, diventando rosso in viso mentre io restai sconvolta. Dave si voltò lentamente. “Quindi è questo ciò che vuoi?”
“Perché non potrei? Io non capisco. Che me ne frega dei fan. Se gli piaccio per davvero, se gli piaccio come attore non baderanno alla mia vita privata, accetteranno chi amo e con chi sto senza problemi”. Esordì lasciandomi a bocca aperta.
“Ma lei non è una diva hollywoodiana, lo capisci Robert? Ti rovineresti l’immagine!”. A questa affermazione, di cui ero già consapevole anch’io, il mio cuore parve cadere a terra perdendo un battito. Quindi io e Rob, non avremmo avuto un futuro, saremmo rimasti sempre segregati lì in quell’oscurità per tutta la vita? O un giorno, nonostante il nostro amore fosse abbastanza grande da riempire un mondo intero, ci saremmo dovuti lasciare? Restai pietrificata al mio posto senza accorgermi che i miei occhi, stupidi occhi, erano già scoppiati in lacrime.
Rob non poteva vedermi in quel modo, lo sapevo, lo conoscevo abbastanza da capirlo in un suo semplice gesto, mentre ad un tratto sbalzò dal divanetto.
“Scusa Nick?”, ripeté facendo il finto tonto e camminando a passo lento verso la sua scrivania dove lui era seduto. In realtà dentro scoppiava. Vedevo i suoi pugni chiusi apposta per calmarsi come facevo io.
“Lei non è una diva?! E che cazzo me ne frega a me? Dove è scritto che gli attori devono mettersi con altre star, eh? Dove Nick? Io la mia diva l’ho trovata! E che lo sia per davvero o solo per me non conta. Conta l’amore che riesce a darmi in ogni singolo giorno e la felicità che mi regala in ogni singolo attimo. Non gliene importa un cazzo della mia popolarità e a me non frega un bel niente che lei, a tuo parere e a quello degli altri, non sia nessuno. Per me lei è tutto! È anche meglio di tutte le dive che ci sono in giro in questo mondo compromesso e non tollererò mai più che qualcuno parli di lei così, perché se non accettano lei non accettano neanche me!”. Gridò lui, imbestialito e diventando paonazzo. Avevo seriamente paura che gli succedesse qualcosa in quell’attimo.
“Ma ti senti come parli? Ti senti? Parli come uno alla sua prima cotta! Stare con una star è importante per uno come te. Tu dovresti stare con Kristen, Nikki o con chiunque altro a parte lei!”. Il mio cuore ormai non sentiva più nulla tanto era straziato.
Rob era incollerito, peggio di un vulcano, molto peggio.
“A te sono quei stramaledetti soldi che ti danno alla testa eh Nick? Se non faccio come tu dici secondo te avrò molto meno fan e guadagnerai di meno. Te lo ripeto le fan che dicono di amarmi mi seguiranno sempre e comunque, delle altre non me ne frega niente!”, soffiò lui, sbattendo un pugno sul tavolo.
“Non te ne frega dei fan? Ma ti rendi conto di ciò che stai dicendo?! I fan sono coloro che ti fanno mangiare, che ti danno la popolarità che ottieni..”
“Ma non decidono della mia vita, chiaro?”. Urlò Rob.
“Ok, ok.. ora calmiamo un po’ gli animi, stiamo facendo già troppo casino. Smentirò la cosa oggi pomeriggio. Le cose se vuoi e se starete ancora insieme cambieranno a fine saga, chiuso il discorso. Anche se ti ripeto: pensaci bene”.
“Oh si che staremo ancora insieme Nick, ci puoi scommettere”, disse Rob prendendomi per mano per andarcene, mentre io ero rimasta muta per tutto il tempo. Mi muovevo dietro di lui come un automa. “E ci ho già pensato bene, non ti preoccupare. Lei è la donna che sposerò”. Così dicendo uscimmo dallo studio del suo agente. Io avevo il vuoto negli occhi, guardavo tutto ciò che era intorno a me in modo vacuo e disinteressato con le guance tutte bagnate dal pianto.
“Mi lascerai, non è così?”, domandai all’improvviso mentre stavamo attraversando il gran corridoio per uscire.
“Cosa?”, domandò lui, ancora rosso in volto dopo la discussione accesa appena avuta e fermandosi di colpo per guardarmi negli occhi.
“Prima o poi succederà, lo so!”, dissi con la voce rotta. “Io non voglio creare problemi a nessuno amore, davvero. E se sono un peso per te io..” il suo dito m’interruppe posandosi sulle mie labbra mentre io ero diventata inevitabilmente una fontana.
“Shhh” mi ripeté stringendomi a sé. “Non succederà mai! Non devi nemmeno pensarlo, non ti lascerò mai..”
“Se non lo farai tu, lo farà il tuo agente.. ho visto i suoi occhi mentre diceva quelle parole”.
“Ci deve solo provare. Io voglio stare con te per sempre!”, affermò cercando di farmi tornare il sorriso e asciugandomi le lacrime con la sua mano.
“Non voglio che la vivi come una punizione..”.
“Sciocchina, per me non è una punizione, non lo è mai stata. La mia punizione è stare senza te ogni volta che parti o che non ci sei. Stare con te è la cosa più bella che la saga mi abbia dato. Se non fosse stato per la saga non ti avrei mai conosciuta”. Ammise sorridendo con quel suo sorriso sghembo che mi fermava sempre il cuore e mi mandava tra le stelle. Arrossii di colpo come la prima volta.
Lui sorrise nel vedere la mia reazione e mi diede un bacio come sempre mi regalò uno dei più dolci.
“Ora andiamo non mi va giù questo posto..”, disse trasportandomi con sé verso la macchina.

 

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Capitolo 11
*** 10. Strage in casa Cullen. ***


10. Strage in casa Cullen.

I preparativi dentro di me fervevano in vista del giorno più importante per noi e per tutti gli innamorati: il nostro primo San Valentino.
Il patto si era sciolto con un giorno di anticipo dato il giorno che stava per arrivare, con la mia vittoria schiacciante che mise Robert al tappeto e gli fece mettere il broncio per un paio di secondi prima di stringermi a sé e baciarmi con una passione pari alla devastazione di un incendio che divora i boschi e in quanto alla punizione, non ce ne fu una in particolare, gli feci semplicemente promettere di amarmi per sempre con la stessa intensità con la quale mi amava ora.
I baci, gli abbracci e ogni contatto fisico fino ad allora proibito severamente ricominciò con gran fervore di entrambi, data tutta la settimana di contenimento a cui eravamo stati sottoposti dopo la geniale idea della mia geniale mente che mi ripromisi di non ascoltare mai più.
Stavo lavorando al regalo per Rob da circa un mese senza che lui se ne accorgesse. Era una cosa fatta col cuore e con le mani che speravo avrebbe apprezzato. Riguardo a lui non avevo idea di cosa mi regalasse, e ne ero curiosissima, ma non potevo chiedergli nulla. Non sapevo se e cosa avesse preparato quella sera, ma sapevo che qualunque fosse stata la cosa, in qualunque posto mi avrebbe portato sarebbe stato ugualmente magico perché ero con lui al nostro primo San Valentino.
Quella mattina fu un risveglio dolcissimo e bellissimo che non potevo immaginare. Iniziai nel sonno a baciare Rob, credendo almeno che fosse un sogno, uno di quelli che mi capitava spesso di fare, nonostante lo avessi sempre al mio fianco.
Sentivo le sue labbra fermarsi sulle mie mentre io ricambiavo, come sempre, e poi scendere pian piano più giù, mentre tra un bacio e l’altro una voce mi sussurrava un “Buongiorno amore”, seguito da un dolcissimo “Ti amo”, sussurrato delicatamente. Aprii gli occhi, ancora un po’ appannati e vidi il mio angelo lì di fronte mentre mi carezzava e mi baciava dolcemente.
“Buongiorno tesoro”.Le sue labbra si schiusero in un tenero sorriso che mi incantò seriamente. “..e buon San Valentino! Spero il primo di tanti..”
“Buon San Valentino anche a te Amore!”, fiatai sfiorandogli una guancia delicatamente.
Lui si avvicinò di nuovo a me e mi diede un altro dolcissimo bacio.
“Questo è il primo dei tanti pensieri che oggi avrai!”, disse tirando fuori un vassoio con tutta la colazione sopra e una piccola rosa rossa al centro, che attirò subito la mia attenzione. Tutte le cose che c’erano lì erano a forma di cuore, persino il pancarré tostato. Lo guardai divertita.
“Non ho fatto tutto io, eh! Diciamo che mi hanno aiutato le cameriere dell’hotel quando ho accennato a una colazione speciale..”.
“Non dovevi amore! Non puoi viziarmi così..”, risi divertita.
“Non è niente..”. Mi rassicurò lui. Mangiammo in due imboccandoci a vicenda come due bambini, mentre ognuno all’altro diceva “Prova questo, è delizioso!” oppure “No, questo non mi piace proprio!”, sembrava avessimo scoperto la luna insieme. Dopodiché Rob poggiò il vassoio a terra e mi spinse su di sé, iniziandomi a baciare e sussurrare all’orecchio quei “Ti amo” che quel giorno avevano tutt’altro tono e le sue labbra, quel giorno avevano il gusto dolce della panna, che avevamo entrambi appena mangiato. Mi ci avvinghiai sopra e le divorai con gran amoreMordicchiandole e tirandole mentre lui, inerme stava al mio gioco.
Amore ma non abbiamo appena mangiato?”, azzardò.
“Mmh..”, borbottai sorridendo sulle sue labbra. “Quello era cibo per il corpo.. io ho bisogno di un po’ di cibo per il cuore sai?”.
Anche lui rise iniziando a fare altrettanto per poi staccarsi, come sempre, mentre io ribollivo. Lo guardai con una sopraciglia inarcata.
“Devo andare..”, ammise angosciato al pensiero. Mi staccai da lui imbronciata ritornando al mio posto mentre sbuffavo spazientita.
Lui mi guardò e sorrise divertito buttandosi di nuovo sul letto per coccolarmi mentre io facevo finta di essere infuriata. Avevo incrociato le braccia al petto e mi girai dall’altra parte ridendo sotto i baffi.
“Amore..” mi richiamò. “Stasera avremo tutto il tempo che vuoi per mangiarci entrambi”, disse allusivo ammiccando.
“Mmh.. l’idea non mi dispiace. Cercherò di resistere allora..”. E gli diedi un bacio furtivo prima di alzarmi.
“Vado a prepararmi allora e arrivo..”
“Ehm Van, aspetta..”, disse fermandomi a un passo dalla porta del bagno. Si stava frizionando i capelli imbarazzato perché non sapeva come dirmi un qualcosa che gli agitava in mente.
“Che c’è?”, risposi mettendo una mano sul fianco perentoria.
“Oggi dobbiamo girare quella scena con Kristen”.
“Ah..”, risposi afflitta facendo cadere il braccio. Sapevo a quale scena alludeva, gli avevo chiesto di dirmelo quando l’avrebbero girata perché non avrei voluto assistere. “Va bene. Allora ne deduco che non ti rivedrò fino a stasera.”
“Si..”, rispose avvicinandosi. “Ok, non ti preoccupare! Ce la farò e poi avrò più tempo per la sorpresa!”
“Non vedo l’ora di vederla..”, disse un ultimo bacio prima che Dan lo richiamò per andare.
 
14 febbraio 2010 h. 21.30
Il mio sguardo era fisso sull’orologio, in attesa di una sua stramaledetta entrata, da quella stramaledetta porta mentre andavo su e giù con i nervi a fior di pelle.
Se avessi potuto incendiarla con lo sguardo lo avrei già fatto da un pezzo.
Non sapevo se ero più nervosa perché era il nostro primo San Valentino e lui non si presentava o perché quel giorno aveva, o stava, girando una scena che a me mandava in bestia al sol pensiero e che ancora, probabilmente, non era terminata. O forse era per tutte e due le cose che mi trovavo in quello stato.
“Non arriverà più presto se fai così. Dai Vane, calmati, Mi stai facendo girare la testa..”, mormorò Ash, portandosi una mano alle tempie.
“Non capisco perché tu sei qui, mentre lui ancora non lo è!”, sbottai rossa in viso.
“Vane, già te l’ho detto: non siamo stati sullo stesso set oggi. Io sono stata con la seconda unità per tutto il giorno. Non l’ho visto proprio!”, ribatté per la settima volta scuotendo la testa.
“Questo vestito mi sta seriamente seccando!”, dissi strattonandomelo un po’di dosso.
“No! Van, che fai?”, strillò davanti a quel maltrattamento.
“Ma è possibile che debba tenermi questo vestito se non dobbiamo andare da nessuna parte?”. Lei non sapeva che dire mentre cercava di aggiustare quel vestito nero di raso e tulle con un nastro rosso avvolto sotto il seno che mi aveva costretto a forza, anzi con la forza, a farmi indossare contro la mia volontà.
L’avrei denunciata poco dopo.
“E’ una giornata importante per te, Vane. Anche se non andate da nessuna parte. E’ il vostro primo San Valentino”. Sorrise lei.
Sbuffai.
“Non avresti voluto indossare la solita maglietta con il solito jeans, vero?”
“Avrei preferito!”, sorrisi stizzita.
“Dai sei così carina!”, disse facendo gli occhi dolci e incrociando le mani stile cartone animato giapponese.
Le feci la linguaccia.
“E queste scarpe poi.. mi stanno uccidendo i piedi Ash!”, dissi indicando le decolté rosse che mi aveva prestato, come se gliel’avessi chiesto.
“Si abbinano col nastro..”, squittì lei mentre io le facevo il verso.
Battevo il piede a terra con fare nervoso aspettando e incollando i miei occhi all’orologio, che nel frattempo, tiranno, mandava avanti le lancette.
D’un tratto un bussare ripetuto avvenne da dietro la porta.
Non dissi nulla e mi precipitai ad aprire, schiantandomi quasi sul gradino adiacente l’entrata.
“Ehilà!”, esultò Nikki vedendomi.
“Ah, sei tu Nikki..”, dissi amareggiata ritornando di nuovo dov’ero prima con un muso lungo quanto il collo di una giraffa.
“Eh grazie per l’accoglienza!”, fece lei entrando e chiudendosi la porta alle spalle.
“Non è per te credimi!”.
“Che hai?”, disse girandosi dalla mia parte.
“Rob non è ancora arrivato ed è il loro primo san Valentino insieme”. S’intromise Ash, con aria stufata dal divano mentre era intenta a sfogliare un giornale.
“Grazie Ash!”, gridai sarcastica.
“Dovere amore!”, rispose noncurante.
“A proposito lo hai visto?”, domandai rivolgendomi a Nikki che era di fronte a me.
La vidi esitare e poi rivolgere un occhiata furtiva a Ashley che ricambiò alzando la testa dalla rivista.
“Ehm.. no! Ho girato con la seconda unità..”, rispose vacua sorridendo.
“Anche tu?!”, risposi scocciata. “Ma che diavolo di scena dovevate girare?”, dissi voltandomi di spalle.
“LA LOTTA!”, risposero in coro come se glielo avessi chiesto anche ad Ash.
Mi girai di scatto e le guardai con sopraciglia inarcate mentre qualcosa mi stava frullando in mente.
“Ma, Ash. Non l’avete girata l’altro giorno la lotta?”, domandai confusa.
Entrambe si scambiarono un occhiata fugace.
“Sì, è vero. Ma quella di oggi era un'altra versione della lotta. Sai com’è Slade, vuole mettere in pratica tutte le idee che gli saltano in mente”. Rise nervosa.
“Sì, infatti! Siamo state sballottate con dei cavi per tutto il giorno”. S’intromise Nik.
“Sì! E poi hai visto Kellan quante volte è caduto? Voleva farsi bello, e invece!”, disse Ashley con troppo entusiasmo.
Nikki parve non capire, mentre la guardava stralunata.
“Ma che cavolo stai dicendo?” esclamò Nikki cadendo dal pero.
Ashley quasi le pestò un piede per farle ricordare l’evento facendo gridare alla povera Nikki un “ahi!” leggero.
Poi parve rinvenire.
“Ah, ma certo! Me l’hanno raccontato gli altri, io in quel momento non c’ero..”, rispose lei con negligenza.
Entrambe tossicchiarono non sapendo più che dire.
Capii che mi avevano preso per i fondelli fin dall’inizio così mi misi davanti a loro a braccia incrociate aspettando spiegazioni.
“Non mi bevo nessuna delle vostre stronzate, ok? Non sapete recitare nella vita reale. Vi impappinate e basta. Su ditemi dov’è!”
Chiesi inviperita dalla loro copertura nei confronti di Rob.
“Chi?”, chiese Ash sfidando la sorte perché sapeva benissimo di chi parlassi.
“Oh Ash, non fare la finta tonta. Ormai lo ha capito, te l’avevo detto che questo piano non avrebbe funzionato. Su diglielo e finiamola qui!”. Sbottò Nikki, non sopportando più quella farsa.
“Rob mi ucciderà se te lo dico!”
“Non ti devi preoccupare di questo tesoro! Se non me lo dirai sarò io la prima a ucciderti… Rob non arriverà mai a te”. Esclamai arrabbiata.
Lei esitò per un momento, guardando in cagnesco Nikki per aver rivelato l’arcano mistero.
“Seriamente Nik, che sei venuta a fare? Non potevi andare a dormire?”, le disse Ash sgarbata.
“Dov’è?”, urlai tra i denti con gli occhi fuori dalle orbite mentre attendevo risposta.
“Ci aveva promesso che ti avrebbe mandato un messaggio per dirtelo.. ma a quanto vedo il compito spetta a me!”, ronzò Ash con uno sguardo sinistro a Nikki che nemmeno la guardava.
“E..”
“E.. non verrà stasera mi dispiace! David lo ha trattenuto sul set contro la sua volontà, non puoi prendertela con lui dai!”, fece Ash tirandogli le parti.
“No, cazzo! NO!”, sbraitai esplodendo del tutto e vagando per la stanza come una forsennata.
Pochi secondi e un biiip mi richiamò all’attenzione.
 
Amore scusami tanto. Scusami se ti ho fatto aspettare tutto questo tempo, ma Slade mi ha trattenuto sul set con la forza. Non riesco a venire stasera, e mi dispiace tantissimo credimi.. rimandiamo a domani? Giuro che sarò tutto il tempo con te! 
Rob.
 
Gettai il telefono sul divano.
“No, no che non aspetto domani! San Valentino è oggi, non domani..”, spolmonai in preda alla collera mettendomi le mani nei capelli.
“Come sono stupida, come sono stupida!”, strillai buttandomi sul divano piangendo.
“Dov’è Dan?”, domandai senza preavviso.
“Credo in camera sua, perché?”, chiese Nik, sobbalzando.
“Stasera ci sarà un strage in casa Cullen!”, dissi alzandomi mentre mi dirigevo alla porta.
 
Dan si era dimostrato molto disponibile quando mi presentai davanti alla sua porta nera in viso.
E come se già sapesse aveva le chiavi in mano, o magari era appena rientrato dopo essere stato da qualche parte.
Arrivammo nei pressi del set dopo circa mezz’ora dalla nostra partenza dall’albergo.
Mezzora in cui fremevo dalla voglia di ucciderlo, prendere David e squartarlo e sopprimere l’intera troupe per averlo trattenuto.
Il mio stomaco borbottava nervoso qualcosa, ma io non ci badavo tanto e cercavo di tenerlo a tacere.
Il vestito mi pizzicava in maniera terribile e le scarpe mi facevano un gran male il tutto unito a una dose di nervosismo ben notevole.
“Siamo arrivati?” chiedevo in continuazione al povero Dan, ogni millesimo di secondo impaziente di vederlo per menarlo.
“Ancora no!”, mi rispondeva lui sempre con gentilezza, mai impeccabile.
Tamburellavo le dita sul sedile di pelle bianca che tra poco avrei di sicuro perforato con la mia rabbia, mentre nel frattempo guardavo fuori dal finestrino la città che mi scorreva sotto gli occhi immaginando migliaia di coppie felici e normali festeggiare il loro giorno d’amore mentre io invece ero sola. Sola al mio primo San Valentino con lui. Bellissimo direi.
Come aveva potuto. Non gliel’avrei perdonata giuro.
“Siamo arrivati. La casa in cui stanno girando credo sia di lì, dentro quel garage.”. Annunciò Dan mentre io mi ero già fiondata verso la casa.
I ciottoli, sul viale per la casa, sotto i tacchi mi fecero camminare in modo scoordinato, facendomi inciampare dovunque non permettendomi di correre. Decisi di togliermele e camminare scalza fino a quando non l’avrei incontrato. Magari in quel lurido letto mentre stava girando ancora quella scena maledetta.
Un sacco di persone erano davanti alla porta di quella casa, magari era un momento di pausa. Alzai la testa per vedere qualcuno, magari con una sigaretta in mano dopo quella performance, ma niente. Non c’era. Mille luci uscivano da quelle vetrate distribuite su tutti i piani, una luce calorosa e accogliente. Aprii la porta, naturalmente già aperta ed entrai. Mi rimisi le scarpe notando che all’interno non c’era nessuno, ma salii di fretta guardando in ogni stanza che mi capitava a tiro aspettando di vedere un letto enorme e delle cineprese che riprendevano ciò che stava succedendo.
Quando entrai nella sala da pranzo dei Cullen, trovai una luce soffusa e romantica emanata da una set di tre candele al centro del tavolo che mi fece tremare restando immobile al mio posto.
“Buon San Valentino amore..”, sussurrò qualcuno al mio orecchio cingendomi i fianchi.
Mi voltai di scatto e lo guardai negli occhi per accertarmi che fosse lui. Di fronte a me si presentò una visione.
Un uomo vestito in modo impeccabile, vestiva in un costume nero elegante adornato da una cravatta.
Due occhi verdi presero il mio sguardo facendomi incantare e una mascella meravigliosamente muscolosa contrasse le labbra in un sorriso spacca cuore.
Non potevo immaginare una cosa simile.
Mi aveva tratto qui con l’inganno, facendomi credere fino all’ultimo che era davvero impegnato con le riprese facendomi incavolare tantissimo.
E quelle due sicuramente sapevano qualcosa.
Non sapevo che dire, il mio cuore era fermo ad osservare attraverso i miei occhi quanto fosse magnifico il suo volto sotto quella luce venata.
Gli accarezzai una guancia perché non mi sembrava vero.
E lui inerme obbediva al mio tocco chiudendo gli occhi.
Lo abbracciai piangendo di nuovo.
Perché avevo dubitato di lui, perché lui era troppo per me e perché ero felice. Felice come mai prima di allora.
“Buon San Valentino anche a te amore della mia vita..”, dissi tra i singhiozzi mentre mi allontanavo da lui tamponandomi gli occhi.
Ma lui mi tirò di nuovo a sé dandomi uno dei suoi baci e stordendomi quando mi lasciò.
“Vogliamo andare a mangiare? C’è una cena che ci spetta”. Mi soffiò all’orecchio suscitandomi dei brividi. “E comunque sei bellissima!”.
Arrossì di colpo sussurrando un leggero “Grazie”, mentre mi trascinava verso il tavolo, e da vero gentiluomo inglese mi faceva sedere spostando la sedia.
 
“Mi ci hai fatto cascare per davvero, quando hai detto che non potevi venire”, dissi ridendo tra un boccone e l’altro.
“Non volevo farlo all’inizio, perché sapevo come avresti reagito. Farti stare male non mi piace per niente. Ma poi Ashley ha insistito dicendo che ti avrebbe tenuto a bada lei per quanto poteva. Ma non sono stato tranquillo uguale, ho stressato chiunque fino alla noia chiedendomi se non stavo facendo una cazzata  e se alla fine da sorpresa sarebbe diventato una tragedia”. Rise ed io m’incantai a guardarlo.
“Ashley?”, chiesi sorpresa. Immaginavo che c’entrasse qualcosa, ma non che avesse architettato tutto insieme a Rob.
“E beh, sì! È stata lei a convincermi e a dirmi che stavi arrivando”, ammise.
Lo guardai sbalordito.
“In poche parole è stata la tua complice quindi..”, compresi.
“Direi di sì. D'altronde è l’unica che ti conosce quanto me.. e sa le tue reazioni”
Era vero. Ashley lì era diventata la mia migliore amica. Mi ci ero affezionata subito, non era una di quelle dive che se la tiravano, non che le altre lo fossero. Era semplice, spigliata e piena di energie. Proprio il tipo di cui avevo bisogno.
L’unica che quando stavo male o avevo qualche dubbio era pronta ad accogliermi nonostante fosse giorno o notte fonda, nonostante fosse libera o occupata.
Era davvero importante per me.. come Rob.
Annui con la testa continuando a masticare il pasto che avevo sotto i denti.
“Da quanto l’avevate architettata questa commedia?” domandai interessata.
Lui si toccò i capelli, come sempre quando cercava una risposta. Sorrisi.
“Da poco, in verità.. da qualche giorno. Poi l’ho rivelata ad Ash e l’abbiamo montata..”, disse contento come un bambino mentre rideva.
“Complimenti allora me l’avete fatta. Io stavo morendo pensando al perché non venissi mentre tu avevi architettato tutto”.
“Si, sono un vero genio!”, disse compiaciuto del proprio lavoro e scoppiammo entrambi a ridere.
“Comunque grazie”, gli sussurrai, “Perché nonostante il fatto che fra poco sarei andata in ospedale per un infarto o qualcosa del genere.. E’ stata una magnifica sorpresa.. Grazie mille amore”.
“Non so pensavo avessi preferito qualcosa in un ristorante di lusso, con i camerieri che ci portano ogni tipo di cibo, ma purtroppo non mi è possibile, o almeno non volevo farlo in una serata così importante per noi. Non volevo che le fan ci disturbassero. Io non sono una persona che può andare tranquillamente da un posto all’altro senza farsi notare.”. ammise con un po’ di dispiacere.
Lo guardai torva.
“Sai che non mi sento a mio agio nei ristoranti, più sono di lusso, come dici tu, e più mi sento gli occhi addosso. Preferisco mille volte mangiare un panino in camera con  te. E poi non mi interessa dove mi porti, m’importa stare con te e questa cena nella casa in cui ti visto per la prima volta da fan e il regalo più bello che tu mi abbia fatto Rob. Sei una persona straordinaria. Ringrazio ogni giorno Dio per avermi portato a te. Se quel giorno non mi avessi rovesciato il caffè addosso e i tuoi occhi non si fossero incollati ai miei quella mattina, non saremmo qui ora”. Rivelai sorridendo al ricordo più bello della mia vita.
“The coffee’s girl, è vero! Quel nome te lo diedi per un mese circa.. ricordo ancora la nostra prima telefonata dopo gli Mtv Movie Award. Ti svegliai nel bel mezzo della notte non calcolando il fuso orario. Sentivo la tua voce assonnata e emozionata allo stesso tempo..”
“Già, mia madre si spaventò sentendo suonare il telefono e venne in camera mia spiritata mentre io le facevo cenno che un certo Robert Pattinson era al telefono!”. E oltre ai pasti, tutti piatti prelibati e leggeri, andarono giù anche ricordi e risate, ricordando ogni minimo particolare delle nostre vite da quando ci eravamo conosciuti. I suoi occhi  alla luce delle candele assumevano un colore strano e brillante che mi incantava ancora di più a sé.
Le sue risate poi, erano una cucchiaiata di miele insieme alla sua voce delicata e dolce.
Nonostante ormai lo conoscessi, anche meglio delle mie tasche.
Nonostante ora fosse mio, in tutti i sensi.
Nonostante stessimo insieme ormai da nove mesi, i miei sentimenti per lui restavano immutati, facendomi stupire ogni volta, di ogni suo sorriso, di ogni suo gesto e ogni sua occhiata come se fosse la prima volta che lo vedessi e ci parlassi.
Era incredibile restare stupita ancora oggi per questa cose.
 
“Che ne dici di scambiarci i regali?”, espresse lui con entusiasmo. “O preferisci più tardi?”
Lo guardai stupefatta.
“Ancora regali?”, dissi io un po’ in imbarazzo. “E questa cena?”
“Non era questo il regalo!”
“Ah no?!”
Scosse la testa divertito dalla mia faccia perplessa.
E da dietro la sua schiena spuntò un cofanetto allungato impacchettato con una carta rossa, e un biglietto che mi fece sussultare.
Me lo passò tra le mani, mentre il mio cuore iniziava a tremare.
Me lo rigirai tra le mani per capire, cos’era, senza scuoterlo. Dalla forma della confezione sembrò qualcosa di prezioso.
“Non lo scarti?”, chiese Rob in fremito per vedere la mia faccia quando avrei visto il contenuto.
Tolgo la carta delicatamente, come sempre con ogni regalo, non mi piace rompere la carta regalo nonostante la mia forte sia curiosità.
I suoi occhi sono puntati su di me e sulle mie reazioni.
Ed eccolo un cofanetto di velluto blu è sotto i miei occhi e tra le mie mani.
Lo guardo incerta, mi blocco un po’. Ma poi lo apro a poco a poco, lievemente scopro cosa c’è.
Un braccialetto di oro bianco con alcune pietre verdi simili a smeraldi è al suo interno, e un pendente, a forma di cuore, ha inciso due lettere “R & V” che mi incantano e iniziano a farmi piangere come una scema. Le sue mani entrano furtive tra le mie, e mi aiutano a girare la medaglietta per vedere la frase che c’è scritta sul retro.
“And so the actor fell in love with the fan.. I will love you forever. Rob”. Scoppiai a ridere tra le lacrime e lui con me.
“Sapevo che ti avrebbe fatto ridere”. E un buffetto sulla guancia mi venne dato da quelle bellissima dita.
“Anche io ne ho uno”, e dalla sua tasca né spuntò uno uguale al mio ma con una cordicella di caucciù invece che di oro. Il pendente era lo stesso, con le stesse iniziali e la stessa frase. Mi ricacciai le lacrime dagli occhi mentre lui si offriva di mettermelo.
Al polso era ancora più bello.
Il cuore d’oro risplendeva emanando riflessi attraverso quelle piccole pietre verdi.
“Grazie..” gli sussurrai all’orecchio buttandogli le braccia al collo e rovinandogli tutto il colletto della camicia con il trucco.
Poi mi staccai e decisi di aprire il bigliettino. Era grande, bianco e con la scrittura ordinata. Insolito per lui.
E rincarai la dose dei pianti già dal primo rigo.. tanto già c’ero!
 
E allora siamo qui. Al nostro primo San Valentino.
E che dire amore: Ti amo. È un po’ banale forse, ma sincero.
Probabilmente ti ho amata fin dal primo momento, da quando i tuoi occhi hanno sfiorato i miei in quel giorno di Maggio.
Probabilmente forse anche da prima, come dici tu, aspettavamo solo di trovarci.
Ti desideravo già da quei nostri incontri furtivi a Montepulciano solo che ancora non me ne rendevo conto forse.
Ti ho guardata dormire, quella volta quando ti addormentasti in camera mia stanchissima. 
Ti misi nel letto e ti osservai per tutta la notte, osservando il tuo respiro e accarezzandoti i capelli mentre il mio cuore sussultava in preda ad una nuova emozione immaginando che da un giorno all’altro ti avrei persa a causa delle nostre partenze.
Ho passato notti insonne, nervoso e bevendo come un matto a quel pensiero e di giorno ti cercavo tra la folla mentre giravamo.
Non potevo immaginare come saresti entrata nella mia vita quando ci conoscemmo , quanto saresti diventata importante e quanto i miei pensieri fossero falsi.
Ormai eravamo legati e tu eri diventata mia in certo senso.
Ti amo Vanessa. 
Ti amo come non ho mai amato nessuna e voglio amarti per sempre passando la mia vita insieme a te.
Ti amo mia eternità.
 
Tuo Rob”.
 
Quando finii di leggerlo, avevo il viso rigato da lacrime e lucciconi che mi appannavano la vista e che avevano bagnato persino il foglio.
Piegai dolcemente la lettera e lo guardai mentre aveva gli occhi incollati su di me e sorrideva. Mi fece una carezza catturando una lacrima che ingenua stava per cadere, e mi abbracciò tirandomi a lui mentre io l’abbracciavo forte.
Sarei stata per ore lì ferma in quel momento con lui. Mentre abbracciavo e tenevo stretta a me quella scultura umana, e invece mi staccai.
O almeno, dovetti farlo.
Strofinai i miei occhi pieni di lacrime e cercai di parlare.
“Dopo questo regalo sono rimasta un po’.. non me l’aspettavo ecco!”. Ammisi scuotendo la testa per cacciare via l’emozione. Mi alzai e presi il mio pacco dalla borsa con le mani che tremavano. E senza proferire parola avanzai verso di lui e glielo diedi nelle mani.
“Spero ti piaccia, non l’ho comprato, o almeno non tutto. L’ho fatto io. Ma di certo non ha lo stesso valore del tuo”. Dissi con la voce che calava verso l’ultima frase.
Lesse il biglietto, due piccole righe che avevo incrociato in mente, mentre tutto il resto era in quel regalo.
 
Ciao amore.
E’ il primo San Valentino che passiamo insieme.
Non avrei mai pensato un giorno di stare qui con te, e per me è un’emozione bellissima. 
Perché ti amo davvero.
Sei la mia metà. Solo con te mi sento completa.
Ti amo.
 
Mi guardò e io sorrisi imbarazzata.
Poi scartò il regalo al cui interno c’era un album.
Mi guardò per un po’ confuso e io immaginai il peggio pensando non gli piacesse.
“Aprilo…”, lo incoraggiai impacciata.
“Ho voluto crearlo con le nostre foto. Lo so che magari fa schifo un po’.. ma volevo che portassi un pezzo di me sempre con te quando non ci sono, magari è ingombrante..”, iniziai a parlare a vanvera e gesticolare, come mio solito quando ero nervosa.
“E’ un regalo stupendo”, m’interruppe lui.
“Davvero? Puoi dirlo se non ti piace”.
“Sono un attore, ma non dico cazzate”. E così dicendo mi tirò di nuovo a sé, mentre io montavo sulle sue ginocchia dandogli un bacio.
Lo guardammo insieme. Ad ogni foto avevo associato una frase da me scritta o citata per descrivere le varie cose che succedevano intorno a me e intorno a noi.
C’era la nostra prima foto. La prima scattata a Montepulciano il pomeriggio prima che io partissi.
L’aveva voluta fare lui e io accettai.
Lì eravamo ancora fan e attore dei sogni.
“Io sorridevo come un ebete e avevo le farfalle nello stomaco per l’emozione di stare vicino a te… *-*”
La prima frase che avevo annotato riguardo alla foto.
Poi ce n’era una di lui sul set di New Moon, sempre a Montepulciano, senza camicia mentre interpretava Edward.
E via così, in ordine cronologico, avevo disposto tutte le foto che ci riguardavano e che includevano tutti i nostri momenti insieme.
“Questo vale molto di più di questo bracciale”, esclamò riferendosi non al valore economico.
I suoi occhi mi guardavano divertiti cercando ancor più di sedurmi, come se già non lo fossi abbastanza.
Presi quell’album dalle sue mani e, nonostante lo avessi fatto con tanta cura e amore nelle ultime settimane, lo buttai sul divano.
Avevo bisogno di qualcos’altro ora. E a buon intenditore poche parole.
E Rob sì che era un buon intenditore. In piena regola.
Avvertii la mia voglia e mi legò a sé ancor di più iniziando a fondere le nostre anime.
Una frenesia assurda delle sue labbra e di tutto il resto, mi fece perdere la cognizione necessaria per resistere a quella tentazione.
Lui si alzò e con fare divertito mi aspettò tra le sue braccia sulle quali atterrai poco dopo incrociando le gambe dietro la sua schiena come sempre.
“Ho voglia del mio dessert”, sussurrai al suo orecchio divertita non tradendo le sue aspettative.
Iniziò a camminare portandomi in braccio e salendo al piano superiore di quella casa, ma io non ci badavo. Tenevo d’occhio le sue labbra con le mie.
Si staccò dalle mie labbra e con smania iniziò a mordicchiarmi il collo provocandomi dei piaceri assurdi e immensi a cui sapevo solo dire un “Oddio..” e un “Oh merda!”.
La finezza non faceva parte di me in quei momenti e scappava a gambe levate.
Il mio cuore non stava più in petto e rimbalzava ad ogni suo assurdo contatto.
“Mi stai facendo impazzire..”, ammisi tra un vagito e un altro mentre lui si stendeva su di me e entrava con crudeltà nella mia bocca.
Incrociai le mie braccia intorno al suo collo mentre con la mia lingua esploravo ogni minuzioso angolo della sua bocca.
“Sei bellissima stasera..”, sospirò staccandosi un attimo da me per togliersi quella camicia che ostruiva il nostro contatto definitivo.
Io lo aiutai sbottonandola e ribollendo.
Tolta gliela gettai a terra e lo tirai di nuovo verso di me, in modo da ritornare nella posizione iniziale.
Lui scese sempre più giù e inizio a mordicchiarmi la pancia mentre gemevo e affondavo le mie mani nei suoi capelli.
Nei suoi morbidi capelli.
Mi strappò il vestito di dosso in attimo , lasciandomi in biancheria, bramoso del mio corpo.
Lo stesso feci io con lui poco dopo.
Gli sfiorai il torace con le labbra, montandogli sopra e facendolo gemere.
Lui afferrò i miei fianchi mentre con la bocca rincorreva la mia, era piacevole vederlo soffrire per un po’.
Risi malefica per poi cedere inerme ai suoi baci che si facevano sempre più calorosi.
Ero già in paradiso per quanto mi riguardava.
D’un tratto cambiò posizione e fu lui a stendersi di nuovo su di me.
E giù con altri morsi, altri baci appassionati dappertutto e.. spinte.
La mia mente non ce la faceva più,
il mio corpo lo desiderava troppo,
e il mio cuore lo amava in modo smisurato.
Con il suo bacino spinse forte contro il mio corpo facendomi boccheggiare.
Mio Dio, Mio Dio, Mio Dio, stavo per svenire. Ne ero consapevole.
Ansimavo, non riuscendo quasi più a respirare ed ecco che lui si fiondò sulle mie labbra pronto a salvarmi.
E varie ondate di piacere m’invasero l’anima facendomi sussultare graffiandogli la schiena.
Più passava il tempo e più stavo impazzendo sotto le sue possenti spinte che mi incendiavano dentro e fuori.
Ero vicina. Eccome se lo ero.
Nonostante non ci fosse nessuno cercavo di non gridare, ma lui era dentro di me e stringeva sempre più facendo cadere ogni mio intento.
Mi sfiorò le labbra, me le tirava mordendole, cercando di farmi cedere.
Cercava in tutti i modi di fargli sentire il mio sentimento.
E alla fine gridai.
Forse un po’ troppo, lasciandomi andare a quella passione e facendo comparire un sorriso compiaciuto sul viso di Rob che mi sussurrò l’ennesimo “Ti amo”.

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Capitolo 12
*** 11. I’m sorry dad! ***


“Cavolo mamma, arrivo!”, strillai dalla mia camera mentre mia madre mi chiamava come una matta dal piano inferiore.
 
Mi sistemai alla meglio i capelli come sempre ribelli in una modesta acconciatura. Infilai una maglia di Rob, una delle tante che mi ero portata dietro a sua insaputa, per avere un po’ di lui sempre con me, i miei “Miss Swan” tanto per restare in tema e il mio bracciale, diventato tipo anello di fidanzamento per far capire tutti a chi ero legata e mi decisi a scendere.
A mia madre piacque tantissimo il regalo che a San Valentino mi aveva fatto Rob.
Gli era piaciuta anche la frase, anche se gliel’avevo tradotta io, anche perché ormai era risaputo che lei in inglese non ci capiva una mazza.
 
Ero tornata in Italia da varie settimane, sempre contro la mia volontà.
Armata di valigie e valigette, mi ero lasciata alle spalle Rob all’aeroporto, assediato da una torma di odiose ragazzine urlanti.
Ma dico io. Che bisogno c’era di urlare porco Cullen? Non potevano avvicinarsi e basta chiedendo il suo autografo e foto e andarsene.
Una tale, una volta, ebbe anche la sfacciataggine di dire a Rob, “Scusa posso stuprarti?”.
Arrestai il mio tentativo omicida di risponderle per le rime con un “Scusa vuoi tirato un cazzotto?” sempre per il solito motivo e mi limitai a guardarla torva aggrottando le sopracciglia e fulminandola, mentre il mio amorevole Rob se l’era cacciata a ridere con una punta di idrofobia nelle corde vocali.
Scossi la testa fintamente divertita.
Maledizione a lui e alla sua popolarità, pensavo a volte.
 
“Vanessa! Stai scendendo o ti sei persa? Devo chiamare i carabinieri per caso?”, chiamò lei, di nuovo irritata e irritandomi fortemente.
“Si, un attimo, cavolo!”, sbuffai spazientita da tanta insistenza.
 
Dire che ero nervosa in quei giorni sarebbe stato un eufemismo.
Mi mancava Rob.
Inutile dirlo, ormai ero irrecuperabile.
Bastava la sua voce a scatenare in me una forte nostalgia e lui da parte sua sembrava farlo anche apposta con quei suoi “Mi manchi!”, smielati conditi dalla sua voce terribilmente sexy che mi mandavano fortemente in bestia.
Secondo: Non sopportavo più questo patto del cavolo, che mi stava facendo perdere anni della mia vita, ma non riuscivo, in nessun modo a convincerli del contrario. Tranne certo, se Rob avesse deciso di sposarmi.
Idea geniale direi.
Mia madre era una tradizionalista.
Cioè, in realtà non lo era mai stata per davvero.
L’embolo gli era partito nel momento in cui le dissi che mi ero innamorata di un certo Robert Pattinson, prima da fan e poi da verità.
Ma lei non credeva alla svolta che poteva prendere la mia vita quando tutto ciò era solo tra i sogni rinchiusi in una piccola stanza.
Quando le dissi di averlo conosciuto per davvero, di aver passato una settimana con lui e di averlo baciato fu quasi vicina ad un infarto.
Quando poi avvenne la proposta di andarmene con lui per i vari set in cui doveva girare i film, ecco questo stupido, noioso e gravoso patto.
Non amava la convivenza, quindi, di conseguenza non amava nemmeno la vita che conducevo in quel momento e sperava che mi sposassi al più presto. Come desidera ogni madre per la propria figlia credo, e io, il più delle volte, immaginavo lei che piangeva al mio matrimonio.
Sono sicura che l’avrebbe fatto.
E poi, naturalmente, ogni scusa era buona per avermi a casa.
Scesi le scale con una fiacca enorme, mentre mia madre sotto era accerchiata da amici e parenti che non avevo mai visto in vita mia, dato il giorno.
L’onomastico di mio padre andava sempre festeggiato. Io mi ero limitata a fargli gli auguri la mattina presto e a porgli, il regalo che avevamo fatto io e Rob, tra le mani, con un suo caloroso “Grazie”.
E così ora eccomi in una stanza gremita di gente che mi vede e sorride falsamente solo per l’opportunità che mi è davanti. Io ricambio, ma senza la minima voglia, lo faccio solo per cortesia.
Odio stare a feste del genere. Che siano casalinghe o mondiali. Mi sento a disagio come sempre, ma gli altri non sono vestiti meglio di me.
Le mie cugine, ferme a chiacchierare allegramente in sei sul divano, mi vedono e da lontano si avvicinano con qualche drink in mano.
“Ehi cuggì, da quanto tempo!”, fa una.
“Sì, è proprio vero.. non ti fai sentire mai. Ormai sei una diva!”.
“Sì diva del salotto”. Rispondo io sarcastica mentre le abbraccio e mi dirigo al buffet per un aranciata e loro mi seguono.
Guardo l’orologio, sono le sette. Calcolando il fuso da lui sono le 11 del mattino. Controllo il telefono ma nessuna chiamata è stata persa.
Affogo la mia preoccupazione barra disperazione in quel bicchiere di bibita gassata.
Chissà perché non ha ancora chiamato. Possibile che stia girando una scena che non può lasciare? Probabilmente sì. Con Slade la cosa è prevedibile.
“Com’è Hollywood?”, chiede la più piccola del gruppo.
“Non so, non ci sono mai stata!”. Rispondo mentre saluto gli altri appollaiati sul divano.
“Come non ci sei mai stata?”, ribatte quella con un tono un po’ acido.
“I film non si girano mica a Hollywood. Almeno non tutti. È a Vancouver che sto alloggiando”.
Lo squillo del telefono mi fa vibrare la tasca posteriore dei jeans. Lo prendo al volo e cedo il bicchiere a una delle tante che mi è vicina mentre esco fuori in veranda.
“Pronto?”
Ma qualcuno dall’altra parte ha già messo giù.
Era uno squillo.
Guardo il numero. Ashley. La solita Ashley.
Rientro mettendomi il cellulare in tasca.
“Chi era?”, chiede Cecilia curiosa.
“Ashley Greene..”. Ma vedo il suo sguardo vacuo a questo nome. “Interpreta Alice, la sorella di Edward”, chiarisco prima di bere e far penzolare davanti ai loro occhi il pendente a forma di cuore. E bastò poco a far entrare in camera i gridolini di sei voce eccitate. Erika quasi si strozzò con il suo drink alla coca cola.
E una serie di domande a raffica partono senza confini.
“Chi te l’ha regalato? Quando? Come e perché?”
Spiego loro che è un regalo di San Valentino da parte sua e questo attira la loro attenzione anche di quelli che stanno ad origliare fingendosi impegnati in altre conversazioni. Ed ecco che divento un attrazione. Zii e cugini si fiondano a guardare la meraviglia e a leggere la frase strattonandomi il braccio di qua e di là come un giocattolo. Non sono sicura di sentirlo più attaccato alla spalla dopo vari minuti.
Ripeto minino mille volte la frase a chi non capisce l’inglese e definitivamente divento io l’attrazione della serata, contro il mio volere, con la faccia sconvolta di mio padre.
“Menomale che gli uomini non sono attratti da queste cose”. Sussurra ai suoi amici, rimasti lì nonostante il trambusto scatenatosi da un braccialetto.
Un innocuo e semplice braccialetto.
“Mio Dio, ma è splendido!”, dicono quasi in coro. Guardo mia madre lanciando un SOS con gli occhi, chiedendogli aiuto.
Lei li richiama all’attenzione con un assurda idea, ma va bene sono salva e intorno a me restano solo le sei cugine che ancora sono in procinto di commentare. Ma io quasi non le ascolto. Mi passai una mano tra i capelli nervosa.
Le lancette segnavano quasi le otto e ancora niente. Stavo tremando dal nervoso, non riuscivo a stare ferma.
Non era mai successo che in un giorno lui non mi chiamasse, ed era già abbastanza tardi rispetto il solito.
Decisi di prendere il coraggio tra le mani e inizia a scrivere velocemente il messaggio. Aspettando una risposta.
 
Dove sei? Hai buttato il caffè addosso a qualche altra fan oggi? Vane.
 
Inviato.
Riposi il telefono in tasca e continuai ad ascoltare la conversazione senza fiatare, con la mente altrove.
“Scusa tesoro? Puoi andare ad aprire la porta?”. Disse mia madre dolcemente. Fin troppo dolcemente.
Io rinvenni dai miei pensieri alla sua voce. Perché avevano suonato alla porta? Mi chiesi.
Mi alzai svogliatamente e nella stessa maniera, insieme a un misto di nervosismo, aprii la porta.
 
E un angelo mi si parò davanti con il suo splendido sorriso.
Indossava un giubbotto di pelle nera, una maglia bianca, dei jeans e delle splendida adidas ai piedi.
Restai incantata.
Il suo sorriso si allargò sempre di più contagiandomi e dipingendo anche sul mio volto un sorriso che a piano a piano andava allargandosi.
 
“Ehi coffee’s girl!”, disse lui, facendomi sciogliere al suono della sua voce.
“Ma.. amore! Che.. che ci fai qui?”, balbettai a fatica davanti allo splendore dei suoi occhi che mi fissavano.
Lui allargò le braccia, facendo spallucce e ridendo come un bambino. “Ti pare che mi perdevo la faccia di tuo padre al nostro regalo? E poi sono stato invitato a tua insaputa!”. Ammise.
Non lo feci nemmeno finire e mi fiondai in braccio a lui socchiudendo la porta.
“Devo farti più sorprese se reagisci così!”, mi sussurrò lui.
“Lo sai cosa significa questo? Stai per presentarti alla mia intera famiglia”.
“Era ora, no?! Non sei contenta?”, chiese un po’ corrucciato.
“Amore, come potrei non esserlo? Ma tu, tu sei felice di farlo?”.
“Non sarei qui se non lo fosse..”. Ammise con un sorriso stampata in faccia.
Gli stampai un bacio in bocca e scesi prendendogli la mano e facendo sbattere, con uno stridente rumore metallico, i nostri pendenti.
“Pronto?”, sussurrai con una mano sul pomello della porta.
“Prontissimo!”. Tirammo un gran respiro e aprimmo la porta.
 
“Oh mio Dio! Robert Pattinson è qui!”, esclamò la prima a vederlo.
Mia madre si fiondò su di lui con un “Benvenuto Roberto!” e il suo discreto inglese. Sì, a mia madre piaceva italianizzare i nomi. Specie il suo. E Rob l’accettava di buon grado ridendo.
“Salve Maria!”, aveva salutato lui ricambiando l’abbraccio con una mano sola, dato che l’altra era legata a me.
Poi ci dirigemmo verso mio padre per dargli gli auguri.
E poi ci furono una serie di presentazioni, seguite da commenti e chiacchierate con quello che, secondo loro era soltanto un divo hollywoodiano. Come tipo un oggetto di valore tutti si fermavano a guardare e ad apprezzare.  
Prendemmo qualcosa dal buffet dell’antipasto. Ormai quasi a secco. E prima di iniziare la vera e propria cena feci un cenno d’intesa a Rob che mi segui senza esitazioni.
“Scusa mamma”, dissi separandola dai parenti. “Salgo un attimo sopra per far vedere una cosa a Rob”.
Mia madre ci guardò, annuendo, con un sorriso finto sulle labbra e fece cenno di andare.
“Ok, ma scendete presto. Fra poco la cena sarà in tavola”.
Ma che aveva capito?
Tutti ci guardarono sparire per le scale al piano di sopra.
Finalmente un po’ da soli.
Prima di entrare in camera presi Rob per mano mettendogli una mano sugli occhi per non rovinargli la sorpresa.
Lui la stuzzicava leccandomela e mordendola fino a quando non gli diedi una pugno amorevole sul braccio.
Entrai in camera trascinandolo e chiusi la porta alle mie spalle.
“Sei pronto?”, domandai eccitata.
“A vedere un tuo nuovo completino intimo? Sempre!”, esclamò lui sorridendo.
“Daii Rooob!” mugulai sbattendo un piede e facendo la finta arrabbiata ma con scarsi risultati. “Se scherzi un altro po’ niente baci per una settimana!”, lo minacciai.
“E allora ne approfitto ora!”, disse aprendo gli occhi e avvicinandosi.
“NOOO!”, gridai tappandoglieli di nuovo e respingendolo. “Quello dopo! Ora mi devi dire se sei pronto e sii serio!”
“Sono pronto”, asserii.
Inspirai e gli tolsi le mani dagli occhi posandogli un enorme scatola sulle ginocchia.
Restò incantato, guardava ciò che gli era tra le mani mentre io aspettavo che da un momento all’altro scoppiasse a ridere.
“E’ stupendo!”, esclamò esterrefatto per poi guardarmi . “L’hai fatto tu?”.
“Sì!”, ammisi diventando rossa.
 
Mi dilettavo a ricamare, mi piaceva un sacco.
E in quelle due settimane avevo trovato il tempo di farlo dopo tanto tempo. Mi ero divertita a ricamare il ritratto di una nostra foto di San Valentino su un lenzuolo, cucendo poi, a macchina delle foto trasformate in tessuto tutt’intorno come un collage. Le mie mani erano quelle che ne avevano passato di peggio dato che più volte mi ero conficcata l’ago nelle dita pungendomi e facendomi colare un sacco di sangue.
Senza volerlo iniziai a guardarmele. Rob se ne accorse e le prese tra le sue accorgendosi delle ferite.
“Non dovevi seviziarti così però..”, rimproverò con un leggero cipiglio di disapprovazione vedendo i buchi sulle dita.
Iniziando a baciarle una per una per poi trascinarmi con lui, sulle sue gambe.
Ci trovammo petto contro petto e fronte contro fronte mentre io affondavo tra i suoi magnifici occhi verdi.
Con la sua bocca sfiorò le mie labbra che inermi obbedivano al suo contatto facendomi percorrere da migliaia di brividi.
Iniziai a baciarlo dolcemente mentre ceravo di contenere in tutti i modi la mia eccitazione.
Lui non fu dello stesso parere perché si gettò sulle mie labbra desideroso e bramante.
Già dopo un paio di minuti mi mancava il fiato e chiudendo gli occhi dimenticai persino dov’eravamo, che sotto c’erano ospiti e che mia madre mi avrebbe chiamata da un momento all’altro.
“Ragazzi! La cena è pronta.. muovetevi sennò si fredda”. Gridò mia madre dalle scale mentre io malvolentieri, mi staccavo dalla mia qualità preferita di eroina per risponderle un dannato Sì!.
Restai seduta su di lui per un altro po’ e assaporando le labbra che ancora sapevano di lui mi alzai incoraggiando ad alzarsi.
Poi si fermò di blocco, guardando stralunato la porta, mentre io non capivo perché. Mi voltai ed ecco il motivo.
Un poster gigantesco di Rob nei panni di Edward in “New Moon” che avevo trovato in un giornale.
“Cioè, ancora questo hai?”, chiese un po’ irritato.
“Dai, amore! Sei bellissimo..”
“Ma non in questo schifo di foto”.
“Oh ma come sei paranoico!”, dissi avvicinandomi al suo petto e abbracciandolo. Ma i suoi occhi, corrucciati ora, erano ancora fissi sul poster.
“Amore se ti da fastidio, lo tolgo.. e metto quello di Tay. E’ dietro”, dissi dirigendomi alla porta per staccarlo mentre sul suo volto si dipinse il terrore.
Mi tirò di nuovo a sé da dietro facendomi il solletico.
“Sai credo che alla fine questa foto non sia tanto male dopotutto!”, risi. “E poi è sul di questo film che ci siamo conosciuti”. Rifletté.
“Infatti. Vedi che usare il cervello non fa tanto male?!”, dissi canzonandolo mentre lui muoveva ancora le sue dita sulla mia pancia per farmi ridere mentre imploravo perdono.
Gli scoccai un altro bacio e poi giù, di nuovo verso la ghigliottina.
“Ah, e comunque.. tu e la coperta stasera venite via con me!”, disse ridendo.

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Capitolo 13
*** 12. Okay.. e ora che si fa? ***


 

 
Quel bastoncino dal basso delle mie mani mi guardava con aria torva e beffarda. Sputandomi una verità non attesa e desiderata al momento.
Andai nel panico più assoluto, non riuscivo ancora a crederci. Cazzo, esclamai tra me e me digrignando i denti.
Com’era potuto succedere?
Ma certo. Domanda stupida, avrebbe risposto una qualsiasi persona con un po’ di senno.
Se stavate più attenti non sareste arrivati fin qui.
Ci mancava anche questa ora. Ora che dovevamo stare sotto copertura, far restare la nostra relazione al sicuro. Mancava ancora tanto, troppo.
Magnifico.
Mi misi una mano sulle tempie più volte cercando di ricordare, mentre giravo su e giù per la camera come una deficiente, cercando di trovare un senso logico a ciò che mi stava accadendo. Ma niente, non lo trovavo, non ci riuscivo.
“Perché? Perché? Perché?”, mi ripetevo mandandomi al manicomio e facendomi prendere di nuovo da quel senso di nausea insopportabile.
Non sapevo se ora fosse dovuto al nervosismo o quell’altra cosa che mi rifiutavo anche di nominare.
Feci di nuovo il conto a mente per rendermi conto del ritardo. Di nuovo.
E di nuovo mi ritrovai davanti alla stessa obiettività di poco prima.
Erano in ritardo. Ma non un ritardo piccolo come nelle altre volte in cui la loro mancanza si faceva sentire per tre, quattro giorni. No!
Questa volta avevano raddoppiato, o quasi, arrivando a dieci giorni e facendomi stare nervosa con un terribile senso di nausea.
È il nervosismo. Ma si certo è il nervosismo. Dicevo per trovare una giustificazione al voltastomaco che mi era venuto in quei giorni.
Intanto quel maledetto bastoncino sembrava dire il contrario.
Ma poteva anche prendermi in giro giusto? Non sempre quei test erano attendibili.
Che dovevo fare?
Rob era sul set, anche se di controvoglia dato che quella mattina mi aveva trovato in condizioni più simili a uno zombie.
Avevo brividi di freddo in pieno tempo estivo nonostante fosse Marzo, nausea e strani capogiri fin dalla mattina. E questo aveva destato in Rob motivi per restare.
Ma io non volevo che restasse, non perché non volessi, ma perché doveva andare a dar vita al personaggio che mi aveva fatto innamorare follemente di lui, perciò lo cacciai via a pedate rassicurandolo del fatto che se mi fossi sentita davvero male l’avrei chiamato.
Cosa che non avrei fatto di sicuro per non allarmarlo.
Mio Dio che situazione!
Mi accovacciai in un angolo della stanza e mi portai le ginocchia al petto cercando di svuotare la mente ma non ce la facevo.
Ogni cosa, ogni minima parte del mio cervello riportava a me il ricordo di quello che avevo appena visto.
Mi rialzai di botto cadendo quasi per la rapidità del gesto e mi dovetti appoggiare per qualche secondo ad un mobile lì vicino.
Presi il telefono e composi il numero di Ashley dato che oggi aveva il giorno libero dalle riprese e aveva deciso di sfogarsi nello shopping, come mi aveva accennato invitandomi il giorno prima.
“Pronto?”, rispose una voce squillante ed esaltata.
“Ash?”, feci io più mesta
“Ehilà Van!”. Dall’altra parte sentivo un rumore metallico sbattere in modo ripetitivo.
Sicuramente era in qualche negozio a curiosare tra le crucce in cerca di qualche abito da decretare infinitamente carino.
“Hai cambiato idea e vuoi venire? Guarda che mi faresti un gran piacere dato che sono in crisi!”, sbuffò dall’altra parte del capo mentre io immaginavo la sua crisi.
“Ehm no..”, cercai di sputarle la verità, almeno a lei. “Mi dispiace interromperti in questo momento Ash. Ma ho un problema grave. Sono disperata. Ho bisogno di te”, dissi quasi singhiozzando.
Qualcosa dall’altra parte smise di sbattere in maniera brusca e un silenzio accentuato inoltrò la cornetta.
“Van, che succede? Non farmi preoccupare. Hai litigato con Rob?”, chiese in preda al panico.
“No, no, tranquilla! Rob non c’entra nulla”. Le assicurai.
“Ok, un paio di minuti e sono lì da te”.
 
Qualcuno bussò alla porta ripetutamente.
“Arrivoo!”, gridai dall’altra parte della suite.
Non feci in tempo a spalancare tutta la porta che lei era già entrata.
Il suo viso dimostrava quanto aveva fatto per essere lì, era accaldata e rossa in viso.
“Al telefono sembravi allarmata. Che succede?”, domandò subito con il fiatone.
Non la risposi. Tra le mani avevo il colpevole e glielo mostrai posandoglielo tra le mani.
Lo guardò alzandosi gli occhiali da sole e spalancando gli occhi  uscendo con un “Oh merda!”, per poi guardarmi anche lei con la stessa espressione che mi tormentava da ore.
“La tua espressione è molto rassicurante sai?”, dissi cercando di essere sarcastica con scarsi risultati.
In quel momento non avevo proprio voglia di scherzare.
“Oh scusa, ma tu mi dai il benvenuto così!”, disse rimostrandomi quell’aggeggio infernale.
Io nel frattempo mi ero già seduta sul divano.
Anche lei lo fece, posando la borsa sul tavolo e accomodandosi accanto a me.
“Da quanto lo hai scoperto?”, domandò preoccupata.
“Stamattina”. Risposi con una voce amorfa mentre fissavo il vuoto e tiravo le ginocchia verso di me.
“Rob..” azzardò.
“non lo sa!”, continuai io allarmandomi al sol pensiero.
“Perché non mi hai detto nulla? Almeno a me potevi dirlo!”, chiese con disapprovazione.
“Oh Ashley, pensavo fosse un ritardo!”, mi lamentai. “Comunque nulla è sicuro.. a volte questi test non sono attendibili”. Dissi più calma.
“E’ vero. Ma sono sicuri al 90%.. Non puoi negare l’evidenza”.
Mi alzai di scatto riprendendo il mio andirivieni.
“Ma si! Giriamo il dito nella piaga.. cazzo Ash sto morendo dalla paura. Se Dave lo scoprisse..”.
Un conato di vomito rinvenne dentro, l’ennesimo mi percorse il corpo facendomi fiondare in bagno per l’ennesima volta quel giorno.
Ashley corse in bagno con me aiutandomi a passarmi il rotolo di carta a fine sessione.
Odiavo farla partecipare, ma avevo bisogno di lei in quel momento e dato che era la mia migliore amica eccola!
Mi appoggiai a lei per alzarmi e mi lavai i denti.
Mi appoggiai alla parete esausta.
“Mi sa che siamo con la merda.. anzi il vomito fin sopra la testa!”, mi incoraggiò. Alzai il pollice in segno di ringraziamento e me ne andai di nuovo sul divano distendendomi ad occhi chiusi fin quando il cellulare, il mio, non riprese a squillare prepotentemente.
Ash era la più vicina. Rispose.
Con la voce mimò “E’ Rob!”, ma io non avevo né la forza né la voglia per risponderlo in quel momento post conato. Ero uno straccio.
Da dentro la cornetta sentivo un vociare confuso e indistinto farsi sempre più lontano, fino a non sentirlo più.
Ero caduta nell’oblio.
Quando mi svegliai ero nel letto accovacciata contro un corpo familiare e caldo che mi teneva stretta tra le braccia.
Era Rob, che mi accarezzava dolcemente i capelli e mi guardava preoccupato.
Aprii gli occhi sbattendogli più volte per svegliarmi e staccarmi da lui.
“Amore..”, sussurrò lievemente.
“Mmh”, riuscii a dire io con la bocca ancora impastata dal sonno. “Ash?”, domandai.
“E’ di là con Kris..”.
C’era anche Kris, perché? lo guardai corrucciata non riuscendo a capire.
“Ash mi ha già detto che stavi male, e sono venuto.. Perché non mi hai chiamato? Me l’avevi promesso.”, disse un po’infastidito facendomi spaventare.
“Hai finito le riprese?”, mi preoccupai di dire non sapendo nemmeno che ora era.
“Ma chi se ne frega delle riprese! Perché non mi hai chiamato?”, chiese imperterrito.
“Rob non volevo allarmarti, scusa..”, dissi biascicando sedendomi piano sul letto a gambe incrociate.
“Allarmarmi? Allarmarmi dici? Pensi sia stato bello per me venirlo a sapere da Ash invece che da te?”, disse digrignando i denti.
“Oh Rob, non sono mica in fin di vita, cavolo.. ragiona!”, cercai di sdrammatizzare ma nessun accenno di nessuna risata apparve sul suo volto.
“Cosa ti ha detto Ash esattamente?”, chiesi calma mentre lui andava su e giù per la stanza torturandosi i capelli.
“Che stavi male. Non ti reggevi in piedi”.
“Non ti ha detto il motivo?”, chiesi preoccupata ora. Lui si fermò di botto.
“Perché c’è un motivo anche?”.. guardai in basso cercando di trovare le parole giuste.
“Van sto aspettando, che motivo c’è?”. Chiese nervoso.
Mi girai e presi l’arma del delitto dal comodino appoggiandogliela sul letto.
Lui si adagiò e guardò quell’aggeggio con aria ancora più confusa. Corrucciò la fronte e mi fissò.
“Cos’è?”. Possibile che non conoscesse un test di gravidanza? O mi stava prendendo in giro?
“E’ un test.. di gravidanza..”, mugugnai abbassando gli occhi e torturando un lembo di lenzuolo tra le dita.
S’impietrì e mi guardò fisso negli occhi.
“Ho avuto un po’ di ritardo”, spiegai non dettagliando i giorni per non peggiorare la situazione. “E poi, avendo nausea, capogiri ho deciso di fare il test.. per sicurezza. Per sapere che fosse tutto a posto, ma..”, mi venne un groppo in gola nel continuare.
“Ma..”, continuò lui esitante.
“.. le mie sicurezze sono sparite nel momento in cui ho visto il risultato. È positivo..”. Dissi facendomi forza.
Lui in compenso sembrava una statua, guardava nel vuoto e non spiaccicava parola.
Di male in peggio, pensai.
“Positivo vuol dire..”, disse in un sussurro.
“.. che sono incinta..”, mi stavano venendo le lacrime agli occhi. Lo vedevo che non era felice della cosa.
“Rob, senti..”, mi avvicinai a lui senza toccarlo però per paura di un rifiuto, cercando di farlo ragionare. “Niente è sicuro. Queste cose non sempre dicono la verità. Aspetterò qualche altro giorno per vedere se arrivano e poi..”. Scoppiai in un pianto ininterrotto. Non volevo rovinare la vita di Rob. Non era quello il mio desiderio.. non lo era mai stato.
“Non voglio rovinarti la vita..”, dissi singhiozzando mentre lui mi stringeva tra le braccia.
 
Poi mi sentii scuotere tutta come un terremoto che potevo sentire al di fuori di me, ma che in realtà non c’era.
“Vanessa. Vanessa svegliati!”. Una voce, riconoscibile tra mille mi chiamò ripetutamente facendomi tornare alla realtà.
Aprii gli occhi e con fatica vidi che era già giorno.
La luce fuori dalle finestre della camera risplendeva mentre io ero ancora avvinghiata a Rob.
Mi stropicciai un po’ gli occhi per vederci meglio.
“Che è successo amore?”, domandò Rob preoccupato accarezzandomi una guancia umida. Avevo pianto.
“Stavo sognando?”, mi chiesi incredula e felice allo stesso tempo.
“Almeno.. ti muovevi tutta e parlavi nel sonno dicendo ‘Non voglio rovinarti la vita, non voglio rovinarti la vita!’ e piangevi. Mi hai fatto seriamente preoccupare.
A chi non volevi rovinare la vita, cosa hai sognato?”, chiese incuriosito.
“Ho sognato!”, continuavo a ripetere eccitata. Tutte le preoccupazioni, le paure erano state solo un incubo.
Uno schifosissimo incubo.
Robert continuava a guardarmi stralunato mentre io come una pazza battevo le mani a qualcosa che non c’era.
“Amore come reagiresti se fossi incinta?”. Chiesi buttandomi su di lui abbracciandolo.
Il suo viso variò colore un paio di volte come se qualcosa lo stesso strozzando.
“Sei incinta?”, chiese con un filo di voce.
Mi allontanai da lui un po’ confusa e triste. Mi sembrava di vedere il volto del sogno.
“No, ma è quello che ho sognato. Come reagiresti?”.
Aprii e chiuse gli occhi e riprese fiato.
Incrociai le braccia al petto con le labbra corrucciate.
“Amore, non lo so dovrei trovarmi nella situazione”, sorrise. “Ma sarei comunque felice, perché sarebbe frutto del nostro amore. Sarei con te e nulla più conterebbe”.
Sorrisi della confessione e mi riposizionai tra le sue braccia.
“Aspetta, aspetta.. quindi dicevi a me quel ‘Non voglio rovinarti la vita’?”
“Beh.. sì. Nel sogno non l’accettavi e mi guardavi pietrificato come se avessi commesso un crimine”. Confidai.
Rise un po’ nervoso.
“Non ti rifiuterei mai amore. Specialmente se porteresti nostro figlio in grembo. Quello che hai sognato non ero proprio io!”.
Sentii un brivido percorrermi la schiena quando disse nostro figlio.
Un brivido unico, mai sentito che mi drizzò anche i capelli.
Lui pensava avessi freddo e mi ricoprii con il lenzuolo.
Presi il suo viso tra le mani e avvicinandolo al mio lo baciai con trasporto, fino a quando non sentii il suo “Mmh” sulle mie labbra. Doveva andare da qualche parte.
Fine del divertimento.
Mi staccai.
“Che devi fare oggi?”, mugugnai sedendomi a gambe incrociate sul letto.
“Dove dobbiamo andare vorrai dire..”. Lo guardai confusa mentre indossava la sua camicia blu. La mia preferita.
Si girò verso di me e vedendomi corrucciata incrociò le braccia.
“Te ne sei dimenticata? Ecco perché l’hai sognato!”. Disse dedicandomi il suo sorriso sghembo e quasi non capii più niente.
Che c’entrava ora il sogno.
“Il ginecologo!”, mi ricordò picchiettandomi dolcemente sulla testa.
Il ginecologo. Il ginecologo? IL GINECOLOGO? Che c’entrava il ginecologo.
Feci mente locale.
“Il ginecologo? Perché?”
“Dio Van, ma che hai bevuto ieri sera? Abbiamo preso appuntamento col Dott. Felix. Certo, nome strano, ma un bravo dottore hanno detto!”.
Oddio. Quindi il sogno che avevo fatto era in parte vero.
Mi pietrificai sul letto con gli occhi spalancati.
“E se fossi davvero incinta? Se quel sogno fosse premonitore?”, chiesi guardando il vuoto.
Lui mi si avvicinò e mi abbracciò.
“Primo non era un sogno premonitore. Io nel tuo sogno non sapevo nulla del tuo ritardo. Secondo, se fossi incinta non sarei più felice. Certo non sarei pronto, ma non si nasce pronti nella vita. Ti amo e voglio stare con te, non ti lascerei mai. E poi ci sono io con te”. Disse rassicurandomi.
“Perciò.. ora giù dalle brande e usciamo. Siamo già in ritardo”. Fiatò controllando l’orologio prima che io mi fiondassi in bagno per prepararmi e uscire andando incontro a una nuova verità.

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Capitolo 14
*** 13. Now I'm all yours... ***


 

Innanzitutto vorrei ringraziare le persone che hanno recensito il capitolo precedente, davvero grazie mille è una grande soddisfazione per me!
E anche grazie a loro se la storia è continuata in un momento in cui non avevo idee.
Poi vorrei ringraziare anche la mia amica Roby che mi sostiene sempre in tutto ciò che faccio, lo svolgimento di questo capitolo mi è stato permesso solo grazie alla sua genialità!
Quindi grazie a tutte.. e grazie anche alle persone che seguono la mia storia!
 
Spero che il capitolo vi piaccia.. è stato un po’ complicato descrivere la visita in quanto non ne ho mai fatta una di questo genere, ma vabbè.. spero sia venuta bene. Mi raccomando recensite e fatemi sapere al più presto.
Kiss

A gambe accavallate cercavo di tenere a bada la mia tensione aspettando che il dott. Felix, lo stimato e bravissimo ginecologo da cui ero andata uscisse da quella porta e ci facesse entrare.
Ero tutta un tremore, battevo convulsamente il piede a terra fremente guardando ogni cinque secondi il display del mio telefono sperando che le lancette andassero avanti di ore, e non di minuti. Le pareti bianche della sala d’attesa mi davano ancor più la nausea.
Odiavo gli ospedali e tutto ciò che aveva a che fare con loro, compresi anche i medici, da quando ero piccola.
E se il risultato fosse stato lo stesso del test? Se fossi stata davvero incinta?
Mio Dio. Mio Dio. Mio Dio. Continuavo a ripetermi torturandomi e nominando il nome di Dio invano.
Rob si dimostrò premuroso vedendo lo stato di shock in cui ero finita.
Mi carezzava il braccio disegnando ghirigori immaginari mentre sul suo viso era dipinta la mia stessa espressione mista ad un sorriso. Non sapevo se era per incoraggiarmi o perché lo sentiva davvero. Fatto sta che mi sembrava che mi sembrava di vederlo felice mentre io ero immobile.
“Vuoi star tranquilla?!”, questa era la domanda che riecheggiava nell’aria da circa quindici minuti.
Quel cappello, indossato per non farsi riconoscere, come se fosse possibile, distoglieva il mio sguardo da quegli occhi color del mare.
“Non hai detto che eravamo in ritardo?”, sbottai con voce tremolante come se avessi freddo nonostante fuori ci fossero, nonostante Marzo, forse 40 gradi all’ombra.
“E forse non ci ha visti arrivare e ha fatto entrare l’appuntamento dopo. Che ne so?!”. Fece sorridendomi. “E poi se pure fossi incinta dove sarebbe il problema?”, pronunciò a bassa voce in maniera quasi inudibile. Lo guardai sconcertata come se avesse bestemmiato.
Dove sarebbe stato il problema? Dove sarebbe stato il problema?
Boh.. non so! Forse non contando un agente furibondo solo per un bacio sbattuto in prima pagina dopo la serata a Londra, non contando le fan e il fatto che tutti dovevano credere che stesse con Kristen Stewart.. beh forse non ci sarebbe stato nessun problema.
Iniziava a darmi fastidio, davvero. Feci una piccola risata nervosa e a braccia incrociate mi voltai dall’altra parte.
C’erano altre persone in sala d’attesa.
Un’altra cinquina di coppie che ci fissavano increduli. Non sapevo se fossero suoi fan, se lo conoscessero per la popolarità e quant’altro ma i loro sguardi erano fissati su di noi in modo impercettibile: Alcuni facevano finta di leggere qualche rivista, presa dal tavolino lì accanto, e udivano soltanto, altri conversavano fintamente con il marito/fidanzato/compagno e nel frattempo ascoltavano, altri ancora, decisamente più spietati e temerari, avevano gli occhi fissati sul mio grembo per notare qualche sporgenza che rivelasse la cruda verità che non sapeva nessuno. Poi con Rob che sorrideva e mi carezzava era davvero una gioia vedere le loro espressioni stupite. Mi sentivo a disagio come sempre quando qualcuno mi fissava.
Una coppia sulla trentina si guardava felice e innamorata scherzando su qualcosa successo il giorno prima. Sotto il giubbino di lei spuntava una pancia già morbida, piena. E’ l’unica che non ci fissava e mi fermai a guardarli estasiata.
I loro grembi erano gonfi – qualcuna di poco, qualcuna di tanto - ripieni di una nuova vita, una nuova gioia da tenere tra le braccia quando sarebbe stata fuori da quella prima casa. Già li amavano quegli esserini piccoli che vivevano dentro di loro e che hanno concepito in due, perché quello si sa è il frutto di un amore, ma loro già li amano si vede e si sente nell’aria, qualsiasi sesso avrà, qualsiasi colore di occhi e capelli loro già provano amore per quel lui o lei.
E trovo che sia una cosa splendida e vorrei tanto averlo anch’io, con il mio Rob.
Mi toccai la pancia, in modo impercettibile come un riflesso incondizionato.
Ma quello non era né il momento né il luogo per avere tutto questo. Non ero ancora pronta.. non eravamo ancora pronti.
Lo guardai. Aveva qualcosa che gli frullava in testa lo vedevo dalla sua espressione.
Quando sarebbe uscita l’altra paziente? Maledizione.
“Vuoi dirmi che se io fossi incinta non ci sarebbe nessun problema?”, esclamai a denti stretti.
“Che problema ci sarebbe?”, domandò lui fintamente non consapevole delle conseguenze.
“Dimentichi un dettaglio tesoro, sei un attore famoso, hai un agente che ha fatto una storia per un foto di un bacio dicendoti che non sono quella giusta per te, delle fan accanite – ma di questo non mi lamento perché lo ero e lo sono anch’io – e una finta relazione con la collega Stewart.. vuoi dell’altro?”.
Sorrise e mi diede un buffetto sulla guancia. Stava per ribattere quando uno scatto della porta mi fece sobbalzare aprendosi.
Un omone panciuto e buffo, dai pochi capelli intorno al capo si affacciò sull’uscio facendo uscire una donna gestante quasi alla fine della sua gravidanza dedussi dato che il dottore se ne usci sorridente con un “Tra una settimana signora avrà il suo pargoletto tra le mani!”.
Ero contenta per lei ma io ero diventata una statua.
Poi mutò espressione quando notò chi era seduto nella sua sala d’attesa, sulle sue poltrone rosse. Quasi gli venne un colpo.
Rob notando la sua espressione calcò il cappello in testa abbassandosi la visiera.
“Pattinson?”, chiese con tono più professionale sapendo già dove dirigere il suo sguardo per guardarci.
Feci un respiro profondo.
Rob mi prese per mano e mi trascinò dietro di lui tra i bisbigli della gente intorno.
“Prego”. Esclamò il dottore invitandoci ad entrare.
Rob mi abbandonò sull’uscio della porta lasciandomi la mano. Voleva farmi entrare da sola? NO! Lo guardai terrorizzata.
Penso che il dottore notò la mia espressione terrorizzata e lo invitò cordialmente ad unirsi al colloquio chiudendo la porta alle sue spalle.
“Prego accomodatevi!”, disse con un sorriso stampato in faccia mentre si dirigeva alla scrivania piena di arnesi e cartelle.
Lo studio era abbastanza grande, io e Rob ci guardammo intorno mentre ancora lo tenevo per mano come una bambina. C’erano alcuni poster che ritraevano varie immagini delle varie fasi della gravidanza seguite da altre del ciclo mestruale.
Una croce medio grande era fissata al muro e varie lauree e specializzazioni lo adornavano tutti intorno.
La scrivania era vicina ad una grande libreria che stava in mezzo alla stanza con sulla destra un tramezzo con un lettino e un macchinario dietro che mi fece rabbrividire.
“Allora qual è il problema?”, chiese l’uomo rassicurandoci e sistemandosi alla meglio nella scrivania mentre si faceva spazio in quel casino che l’adornava. Con tante foto diverse di bambini, probabilmente i figli del dottore.
Restai muta, impietrita. Non ero mai stata da un ginecologo, che dovevo dirgli.
Mi metteva a disagio parlare dei miei problemi ad uno sconosciuto, per di più uomo, che mi guardava come “La fidanzata segreta di Pattinson”.
Rob mi guardò incoraggiandomi mentre io tendevo a torturare quella poltrona in pelle nera su cui ero seduta.
Quello dall’altro parte mi fece un cenno con il capo mettendomi fretta.
“Sta tranquilla, non mangio mica nessuno. Non sono un vampiro!”, disse sarcastico per rompere il ghiaccio.
Sul mio volto comparve un sorriso nervoso. Anche questo si ci metteva.
Rob invece rise sommessamente in maniera nervosa, tenendomi la mano.
“Ehm.. qualche giorno fa abbiamo fatto un test di gravidanza”, ammisi in un sussurro cercando di prenderla alla leggera ma con la voce che ovviamente cercava di tradirmi, mentre quello mi guardava senza cambiare espressione iniziando a prendere un block notes e scriverci sopra con quella scrittura incomprensibile dei dottori. Cercavo con gli occhi quelli di Rob prima di poter continuare un  po’ incerta. “… Ed è risultato positivo. Si sono evidenziate le lineette scure.. però non sappiamo se..”
Il dottore alzò lo sguardo dagli appunti e ci guardò. Facendo scorrere lo sguardo prima su di me e poi su Rob.
“Di quanto è il ritardo?”, continuò quello ritornando con lo sguardo fisso sulla carta su cui stava scrivendo.
“Quasi due settimane..”, confessai con un filo di voce.
“Mmh..” sentii bisbigliare mentre con una coda dell’occhio guardai la scrittura indecifrabile da cui spiccava solo la parola settimane in modo distinto.
Guardai Rob sconsolata mentre gli stringevo ancora più forte la mano. Lui me la carezzò come sempre per tranquillizzarmi.
“Ok. I giorni non sono molti per poter sperare in un risultato davvero attendibile e certo. Ma avete fatto bene a venire. In effetti, lo dico sempre ai miei pazienti, è meglio fare un esame più accurato. Intanto un’ecografia transvaginale ci metterà più al sicuro. E poi dovremmo fare un esame del sangue..”.
Parlò con tono tranquillo e pacato. Forse aveva intuito che eravamo alle prime armi con quelle cose e che quindi eravamo anche un po’ spaventati.
Io e Robert assentimmo all’unisono come dei ritardati mentre io da sola sussurrai un “Ok..”, sbiascicato.
Rob non parlò, sembrava ammutolito da quelle osservazioni, guardava il vuoto mentre di sicuro stava pensando ancora a qualcosa.
Lo guardai e gli scossi il braccio per farlo rianimare.
Si voltò verso di me e mi sorrise o almeno cerco di farlo.
Si alzò e noi insieme con lui facemmo lo stesso.
“Hai bisogno di andare in bagno?”, mi chiese il dottore guardandomi.
“No, no.. sono andata prima”.
“Bene. La transvaginale non è come le altre ecografie, si fa a vescica vuota”. Mi confermò il dottore rassicurandomi.
“Ma lui deve uscire?”, chiesi ansiosa, sperando di no, con un groppo in gola, non dandogli una definizione precisa.
Lui era dietro di me con le mani infilate nelle tasche dei jeans.
“No, se vuole può restare..”. Ci Assicurò il dottore con un sorriso in viso.
Lo guardai preoccupata aspettando la sua risposta.
“No, no. Resto”. Confermò lui quasi tremando alleggerendomi il cuore mentre aveva gli occhi fissi sul monitor della verità.
Mi invitò a stendermi sul lettino dopo essermi spogliata e arrossita violentemente. Guardai Rob. Anche lui è rosso come un peperone e anche un po’ rabbioso.
Il dottore cerca di rassicurarmi mostrandomi la sonda che tra poco, entrando nel mio corpo ci dirà la verità.
Io stavo morendo di paura iniziando anche a crederci un po’, non va bene ma lo spero.
Un figlio con Rob. Nostro figlio come aveva detto lui. Mi percorse un brivido.
“Se ti faccio male dimmelo, ok? Ora facciamo un osservazione dell’utero e delle ovaie. Puoi vedere con me sul monitor..”.
Rob quasi sbianca vedendo quell’arnese. Ho paura che caschi da un momento all’altro.
Gli sfioro la mano e lui ricambia.
Poi il dottore sorride soddisfatto e con un pensiero in meno. Sembra che anche lui fosse preoccupato.
“Bene ragazzi – puoi rivestirti”. Dice alzandosi e togliendosi i guanti prima di lavarsi le mani.
Io obbedisco e mi sorreggo da Rob per mantenere l’equilibrio mentre ci dirigiamo di nuovo alla scrivania.
Sento mancarmi la terra sotto i piedi al pensiero di quella notizia. Positiva o negativa che sia.
Ma comunque andrà sarà con il mio Rob e solo questo conta. Mi dico per incoraggiarmi.
Il dottore si siede di nuovo.
“Allora ragazzi. Tirate il fiato non siete in pericolo di vita”. Fece il sarcastico. “La signorina Vanessa non è incinta. Potete rilassarvi..”.
Entrambi ci guardammo, o meglio io lo guardai mentre lui mi sorrise a malapena un po’ deluso.
Come me, che iniziavo a crederci davvero. Un piccolo Pattinson nel mio grembo e poi fuori.
Magari con i capelli del padre e i miei occhi o magari viceversa.
Lo so che non dovevo crederci, che dovevo restare con i piedi per terra. Ma non ce la faccio e divento un po’ triste.
Il dottore lo nota.
“Oh, ma non dovete preoccuparvi. Siete giovani e famosi..”, disse rivolgendosi a Robert che nemmeno l’ascolta più, lo guarda in modo vacuo e sorride amorfo.
“Ne avrete di tempo per rifarvi.. non dovete preoccuparvi!”. Ci rassicurò quello.
Annui come tranquilla. Ero come sospesa, o almeno mi sento così. Ascoltai le parole del dottore capendole parola per parola non rendendomi ancora conto di ciò che stava accadendomi. Non ero incinta. Nessun piccolo Pattinson cresceva dentro di me, forse un giorno, ma non ora. Non sapevo come stare. Non capivo il mio umore e mi sentivo confusa. Ero in un misto di apparente gioia e vivo sconforto.
“Ok. Vi lascio il mio biglietto da visita. Se c’è qualcosa, qualsiasi cosa e il ritardo continua non esitate a chiamarmi mi raccomando”.
Io e Rob ci alzammo prendemmo il biglietto in mano e con il dottore dietro di noi ci dirigemmo verso la porta ringraziandolo con un magone ancora più grande di quando eravamo entrati.
 
L’aria che in macchina si era instaurata al nostro ritorno era abbastanza tangibile.
Lui guidava teso come una corda di violino con il volto apparentemente abbattuto.
Pareva gli era passato sopra un treno e non esageravo.
Aveva gli occhi fissi sulla strada con una mano sul volante e l’altra sul mento. Era presente solo fisicamente, ma mentalmente era altrove.
Io me ne stavo rannicchiata sul sedile a guardarlo mentre non dava cenno di vita, nemmeno per un po’.
Avevo paura anche di toccarlo. Una sua reazione sbagliata mi avrebbe fatto scoppiare.
Solo la musica riempiva quei silenzi dettati dal vuoto delle nostre parole chiuse e sigillate.
 
Now I’m all yours, I’m not afraid 
I’m yours always                                            
say what they may                                   
and all your love I’ll take to a grave            
and all my life starts now
 
Le note dei Metric andavano avanti con la loro canzone.
L’avevo conosciuta sul set, era stata una delle canzoni da mettere nella colonna sonora del film di Eclipse e io, o meglio noi ce n’eravamo perdutamente innamorati era per questo che era finita in quella compilation.
 
Tear me down  they can                                  
take you out of my thoughts                            
under every scar   
there’s a battle I’ve lost  
will they stop when they see us again?
I can’t stop now I know who I am     
 
Gli sfiorai il braccio, quasi senza volerlo, per poter alzare un po’ il volume della musica.
Rinvenne e mi guardò.
“Scusa..”, dissi abbassando gli occhi sui miei jeans.
“Di cosa?”, intervenne interrogativo.
Feci spallucce, confusa, disorientata mentre un groppo in gola impediva alle mie corde vocali di emetter suono.
Si fermò di colpo. Parcheggiando in un posto decisamente desolato. Mi guardai intorno. Dove mi aveva portato?
Lo guardai perplessa.
“Che hai?”, chiesi riprendendo fiato calma mentre lui mi guardava con sguardo confortante.
“Non voglio.. che ti senti in colpa..”, sussurrò piano con i suoi occhi verde mare che si immischiavano ai miei castani.
“Non mi sento in colpa amore.. ma ti vedo triste e deluso e..”.
“Boh, non lo so Vane, ho iniziato a sperarci quando eravamo lì. Lo speravo già da tempo, poi quel ritardo mi ha dato una speranza, poi il test di gravidanza lo aveva anche confermato e ci ho creduto.”. Confessò buttandosi  sul sedile affranto.
“Anche io ci ho creduto sai? Quando eravamo in sala d’attesa. Tutti quei pancioni.. immaginare un piccolo Pattinson qui dentro me”, rivelai indicando il mio ventre mentre mi ero seduta su di lui. Lo sterzo dava un po’ fastidio al fianco ma non volevo abbandonare quella posizione e al diavolo i guardoni cavolo, anche se non c’era anima viva. Anche lui, impercettibilmente, portò una mano sul mio grembo.
“Amore anche io ci ho sperato.. ma il fatto che non lo sia adesso, non significa che non lo sarò domani”. Sorrisi al pensiero. “ … Se ancora tu lo vorrai. Voglio crearmi una vita con te, una famiglia.. voglio tutto da te. Per ora possiamo accontentarci di questo, per quello c’è tempo, come ha detto il dottore..” non mi fece finire che si fiondò sulle mie labbra togliendomi il respiro. Mi avvinghiai con le mani tra i suoi capelli mentre lui scrutava attentamente ogni anfratto della mia bocca facendomi quasi soffocare. Mi staccai violentemente. Riprendendo fiato e mettendo la mia fronte contro la sua.
“Ho capito che vuoi metterti subito all’opera amore.. ma qui, adesso.. mi sembra un po’ eccessivo!”. Dissi congedandomi dalle sue braccia e ritornando al mio posto. O almeno, cercando di ritornare al mio posto mentre lui mi teneva stretta dai fianchi per non lasciarmi andare.
Lo pietrificai con gli occhi con finta aria arrabbiata che non mi riusciva molto bene, dato che il signor Pattinson in questione aveva il solito sguardo ammaliatore.
Maledizione a lui.
Iniziò a mordicchiarmi il collo a tradimento come se fosse un vampiro mentre cedevo a lui come una scema.
Venni percorsa da mille brividi prima di cercare invano di tornare lucida contro la mia volontà.
“Daiii amoreeee!”, urlavo ridendo mentre aveva iniziato a farmi il solletico.
Approfittai di un momento di distrazione e mi fiondai sul sedile allacciandomi la cintura.
Lui rise beffardo.
Poi prese il biglietto da visita dalla tasca del mio giubbino rosso di pelle, senza permesso, e lo stracciò.
“Ma sei scemo?!”, urlai sbarrando gli occhi cercando di recuperarlo mentre era ormai irrecuperabile.
“La prossima volta..”, sbottò divertito. “Andremo da una ginecologa donna! Non voglio MAI più vedere le mani di un altro uomo su di te, a parte le mie, ovvio!”.
Lo guardai con gli occhi a palla piena di felicità, entusiasta in un certo senso per quella confessione e gli buttai le braccia al collo.
“Il mio gelosone!!!”.
“Non farò mai più un simile errore.. che visione tremenda è stata..”. Esclamò rabbrividendo al ricordo.
“Tu sei geloso di me?”, chiesi incredula guardandolo negli occhi.
“Ancora non te ne sei accorta? Non ti devono nemmeno guardare!”, confessò serio. “Mi pare che hai visto che ha scatenato la mia gelosia a Londra!”. Disse rimettendo in moto l’auto mentre io ero tornata al mio posto.
Si è vero. E chi se la dimenticava più la gita a Londra? Quel bacio era stato immortalato e inviato a milioni di giornali in tutto il mondo, e nonostante Dave avesse poi smentito non era servito a nulla. Nessuno credeva più al fatto che tra noi non ci fosse proprio nulla. Se prima lo sospettavano da un “mano nella mano”, il bacio avvenuto a Febbraio aveva dato il colpo di grazia, scatenando nei paparazzi americani e inglesi una vera e propria caccia al prossimo bacio.
I fan su facebook e altri social network ci avevano già affibbiato un nuovo nome: RobEssa.
E anche qui si erano scatenate le fazioni tra i Pro RobSten e i Pro RobEssa.
Ma io non ci badavo, nessuno di noi due ci badava. C’era chi mi amava e chi mi odiava.
Ma non me importava nulla del mondo, mi importava di lui, lui che era innamorato di me quasi quanto io ero innamorata di lui.
Lui che era geloso persino di uno sguardo rivoltomi per caso.
C’era lui e nulla importava, lui era la mia vita e solo questo contava.
Come dicevano i Metric..
 
Now I’m all yours, I’m not afraid 
I’m yours always                                            
say what they may…

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Capitolo 15
*** 14. Rob, ti prego, NON FARLO! ***


Questo capitolo è nato in un momento in cui non avevo la più pallida idea di cosa scrivere..
I miei soliti ringraziamenti vanno alla mia Roby, che mi aiuta sempre in questi casi... perciò grazie tesoro!
Ora spero leggerete e commentiate per sentire un po' i vostri pareri..

Kiss!



TOC TOC.
 
“Roooob, bussano alla porta!!”, gridai dal bagno dov’ero intenta a farmi una doccia.
Nessuna risposta avvenne dai meandri delle altre stanze.
 
“Ma che cavolo..”, esclamai sciacquandomi gli occhi che iniziavano a bruciare a causa dello shampoo.
 
TOC TOC TOC.
Di nuovo!
Maledizione, ma Rob dove si era cacciato?
Possibile che fosse caduto nel suo disordine cronico mentre io mi ero decisa a fare una stramaledetta doccia.
 
“Rob, la porta!!”, sbraitai.
 
Ed eccolo apparire sulla porta del bagno con la sua perfetta muscolatura mentre indossava una perfetta maglietta.
Mi affacciai dal vetro appannato e m’imbambolai nel guardarlo proprio mentre volevo dirgliene quattro.
“L..la po..porta..”, balbettai come una scema.
Rise divertito dalla mia tremenda cotta eterna.
“Ho ordinato un po’ di cibo in camera per rifocillarci un tantino!”, spiegò sorridendo.
“Se è quel tuo solito tantino non né usciremo vivi!”, sbottai sarcastica chiudendo la vetrata.
Sentii la sua ennesima risata, sempre tanto dolce.
“Vado ad aprire”. Si congedò.
“Arrivo subito!”, gli urlai mentre lui era già alla porta e io finivo di nuovo avvolta da quel caldissimo e potentissimo getto d’acqua calda.
Esco mentre mi avvolgo veloce in un accappatoio, mi friziono i capelli e li avvolgo in asciugamano a mo’ di turbante sembrando un po’ a Moira Orfei, ma a lei quell’effetto esce perfettamente senza asciugamano in testa.
Di là sento che dibatte con qualcuno. Non so precisamente con chi, ma so che non è da lui.
 
Uscii dal bagno e cercai di strisciare senza farmi vedere, in camera da letto, ancora in disordine.
Le mie robe e le sue sono del tutto aggrovigliate nei cassetti.
Come un’archeologa cerco di destreggiarmi cercando un raro manufatto, o meglio una maglia decente da indossare.
La trovo, una maglia rosa confetto con una bambolina dai capelli rosa shocking come stampa mi sorride ammaliatrice. È fatta, la indosso.
Poi dal letto un paio di pantaloni di una tuta, non so se è sua o mia, spuntano reclamandomi a loro, la infilo e lo raggiungo legando i capelli ancora umidi in una misera coda riccia.
 
Origlio un po’ da dietro la porta perché lo sento ancora discutere. In modo non acceso, ma sono pur sempre discussioni e per di più sento una voce familiare. Terribilmente familiare che mi terrorizza. Non è possibile.
 
“Certo sai dare un accoglienza Pattz!”, borbottò un voce maschile.
“Tom, che ci fai qui?!”, rispose Rob un po’ irritato.
Quel nome. Non poteva essere. Di nuovo?
Uscii ad occhi spalancati per accertarmi che fosse solo fantasia, ma invece eccolo, stravaccato sul nostro divano con il nostro vassoio in mano mentre si rimpinzava con le briciole del cibo che aveva già, ovviamente ingurgitato.
Incrociai lo sguardo di Rob terrorizzata da quella visione, mentre lui alzava le mani e faceva spallucce.
Benissimo.
“Ehy ragazzina!”, salutò Tom accorgendosi della mia presenza.
Lo salutai accorata mentre fingo entusiasmo nel vederlo e mi dirigo da Rob afflitta.
“Che ci fa lui?”, chiedo digrignando i denti in un sussurro mentre lo abbraccio dolcemente.
“Non lo so. Non avrei aperto la porta se avessi saputo chi era”, disse lui sussurrandomi all’orecchio.
“Guardate che vi sento”. Commentò lui con lo sguardo puntato al televisore.
Sorrido scusandomi quando invece lo vorrei solo bastonare.
Chissà se Rob ha la sua chitarra a portata di mano. Mmh..
“Hai intenzione di dormire qui stasera?”, chiese indispettito.
“Così vi tengo a bada no? Piccioncini!”, sorride malizioso degnandoci di uno sguardo. “E poi non ti fa piacere vedere un amico, il tuo migliore amico, dopo tanto tempo?”.
“Tom ma che cazzo dici, ci siamo visto poco tempo fa a Londra!”, risponde Rob riportandolo alla realtà.
Si guardano e scoppiano a ridere come due scemi.
“E poi a Van non darà fastidio!”, dice convinto.
“Se lo dici tu Sturridge!”, dico indispettita lasciando le braccia di Rob per andarmi a sedere sul divano a debita distanza da quell’intruso. Rob mi segue mentre lo trascino con la mano.
“E poi le riprese sono finite no? Passeremo un po’ di giorni insieme, ci divertiremo, ci sbronzeremo come si deve – tranne te mia Van, per l’America non puoi bere fino ai 21 anni – e poi torneremo tutti e tre insieme a Londra. Un buon piano no?”
Guardo Rob terrificata da quel macabro piano.
“Ho risposto sì forse?”, fece lui divertito.
“No, ma lo stai per dire lo sento!”, fa lui sicuro.
“No..”, dici tu cercando di rimanere serio immaginando la sua espressione alla tua risposta.
“Come no?”, fiatò lui deluso guardandolo con gli occhi da pesce lesso.
“No”. Dici alzandoti. “Ancora a queste sbronze pensi?”.
“E va beh, a lei le diamo un po’ di coca.. cola!” ride alludendo seguendolo con lo sguardo.
“Lo sai Tom? Mi prudono le mani..”, gli sussurrai annoiata dalle sue solite conversazioni cretine mentre il mio stomaco privo di cibo dalla sera prima iniziò a brontolare.. forte facendomi scoprire.
“Ecco deficiente, grazie a te la colazione è andata”. Esclamò Rob sentendo il brontolio stupido del mio stomaco. “Ora chiamo un bar e faccio portare qualcosa. Ah paghi tu Sturridge..”.
“Oh ma certo! Estrai pure dal mio conto”, fa lui alzando una mano. “A proposito, avete una birra?”. Chiese imperterrito come se fossimo i suoi servi.
“Si certo.. alza il culo e vattele a pigliare!”, rispose Rob intento a digitare il numero del bar più vicino. Mi avvicinai a lui sedendomi sul bracciolo del divano dove lui era seduto. Tom si alzò stanco come se avesse camminato a lungo e si diresse verso il banco frigo.
“Pronto? È lo Sky’s breakfast?”, domandò lui con dolcezza ammaliatrice. Speravo che dall’altra parte non ci fosse una donna.
“Bene, vorremmo ordinare una colazione se si può”, continuò lui.
Qualcuno dall’altra parte probabilmente si rifiutò.
“Ho capito, ma non la si può portare in camera? Non siete tanto lontani dall’albergo..”, ribatté lui. “Purtroppo non posso venire a ritirarla. Ci sarebbero dei problemi..”, non usò il suo nome per far cambiare le cose come di sicuro sarebbero cambiate. Non voleva favoritismi di nessun genere.
“Ok.. cercherò di venire la ringrazio!”. Disse infine concludendo la chiamata e buttando giù la cornetta.
Stava quasi impazzendo. Si mise una mano tra i capelli.
“Amore, non preoccuparti..”, dissi sfiorandogli un braccio scoperto con la punta delle dita.
Lui mi prese la mano tra la sua e carezzandosela a sua volta.
Mi guardò negli occhi con uno sguardo dolcissimo questo bastò a mandarmi Il cuore in tilt, facendolo battere come la piena di un fiume in inverno.
Tom notò i nostri sguardi e le nostre carezze furtive e lanciò un risolino divertito.
“Ma neanche con me davanti vi contenete? Eh che diavolo!”, sbottò ridendo.
“Stai zitto Stu! Nessuno ti ha invitato. Se non vuoi vedere le nostre smancerie sei libero di andartene”. Dissi incavolata nera per quella sua intrusione.
Mi guardò sbalordito restando con la bottiglia a mezz’aria.
“Te la sei cercata!”, fece Rob divertito.
Mi alzai, e presi la borsa dato che il mio stomaco continuò a brontolare imperterrito e mi diressi verso la porta con le chiavi in mano.
Lui mi afferrò da un polso alzandosi.
“Dove vai?”, chiese preoccupato.
“Ti lascio solo con il tuo amico – che si è fregato TUTTA la colazione”, dissi accentuando il tono sull’ultima frase. “Vado un po’ con Ash nella sua camera a mettere qualcosa nello stomaco. Ti porto qualcosa?”.
“Non fai come l’altra volta che sei scappata?”, dissi riferendosi alla giornata con la De Ravin. Sbuffai. Avevo cercato di dimenticare e che cavolo!
“Non sono scappata! Ero sempre qui in albergo. E poi di chi dovrei essere gelosa? Di Tom?.. l’importante è che non fate niente che possa nuocere alla salute.. alla tua in modo particolare”, dissi sorridendo stringendogli dolcemente il mento tra le mani.
“Ok Van. Tu vai.. che qui iniziamo una bella festa piena di belle ragazze – senza offesa eh!”, s’intromise quel cretino gridando dal divano.
Lo trucidai con gli occhi e lo stesso fece Rob.
“Tanto neanche le guarderebbe..”, ribattei.
“Se.. credici!”, rispose quello facendomi saltare i nervi mentre diventava nera che più nera non si può.
Rob lo notò.
“Lo sai che non guarderei nessuna..”, mi rassicurò tenendomi con le mani le spalle.
“Lo so, ma quel decerebrato mi da seriamente sui nervi!”, esplosi dando vita al mio tick passandomi una mano tra i capelli.
Ghignò sotto i baffi.
“Meglio che me ne vado va.. a dopo. Speriamo che gli intrusi se ne siano andati al mio ritorno!”, dissi con un piede già fuori dalla porta.
“Chiamo la disinfestazione non preoccuparti”.
Gli diedi un lieve bacio su quelle labbra morbide mentre lui mi strinse a sé e mi precipitai lungo il corridoio in direzione della camera di Ash.
 
“Allora, per mercoledì, ultimo giorno delle riprese per noi, ho intenzione di fare una mega festa!”, disse tutta eccitata all’idea mentre io quasi mi strozzavo con una fetta biscottata spalancando gli occhi a quella notizia mattutina.
“Oh Kris, hai sentito cosa ha fatto quello del piano di sotto.. come si chiama? Aiutami dai.. tu lo conosci!”. Le domandai d’un tratto con troppa frenesia e interesse.
Kris dall’altra parte del tavolino mi guardava addentando una fetta di pane chiedendosi se non fossi uscita completamente pazza.
Inarcò le sopracciglia e mi guardò con occhi vacui mentre anche Nikki assunse la stesse espressione.
Tirai un calcio a entrambe da sotto il tavolo.
S’illuminarono come delle lampadine appena accese.
“Si! Steven dici?.. ha combinato un casino con la receptionista giù con la fidanzata davanti, è stato uno spasso vedere l’espressione di lei quando ha notato che ci stava provando!”.
Nikki annuii interessata, troppo interessata.
 
Un grido acuto si levò alle nostre spalle facendoci trasalire e raggelare il sangue nelle vene.
“RAGAZZE”, gridò “Dovete dirmi qualcosa?”, disse in tono più pacato incrociando le braccia al petto e attendendo risposta.
Ci scambiammo dei rapidi sguardi con le altre e alla fine fui io la prima a parlare.
“Oh Ash. Tu lo sai quanto ti vogliamo bene. Ma un'altra festa è troppo”.
“Su dai, sarà divertente!”, disse scampanellando dalla gioia. Mi sembrava Alice giuro!
“Si, certo come l’altra volta!”, dissi rimembrandole l’ultima festa aggrottando le sopracciglia in segno di disapprovazione. “Siamo finite sbronze senza sapere come quel punch si fosse allungato così tanto, e poi, nonostante tutto, devo sorbirmi Kel che tutti i giorni non fa altro che ricordarmelo prendendomi in giro – mi sa che qualche giorno di questi combino una strage – quindi no, grazie ma no!.. e comunque io e Rob partiremo nel pomeriggio per Londra, perciò non ci sono!”, dissi alzando le mani congedandomi da quella nuova tortura.
Non era vero, ma lo sarebbe stato. Avrei convinto Rob in tutti i modi cercando di farlo cedere. Bastava poco e lo sapevo.
Mi guardò facendo il labbrino scontenta.
“E’ inutile Ash, non ci sono!!!”, cantilenai.
“Ok.. questa volta non ci sarà punch, ok? Solo succhi di frutta e.. qualche birra, ma nulla di più! E poi ci saranno anche i ragazzi e tutto il cast oltre a noi, perciò Rob ti terrà a bada e Kel lo terremo lontano! Ma ti prego: non puoi partire!”, disse parandomi davanti i suoi occhioni dolci a palla con le mani unite in preghiera.
Il fatto che ci sarebbe stato Rob non poteva che rendermi felice e entusiasta. Ma poi pensai all’intruso, all’intruso che quella mattina si era intrufolato nella nostra camera e mi passò decisamente la voglia.
“Te l’ho detto.. non posso!”, dissi sorseggiando un po’ d’acqua.
Allora si alzò e da occhioni dolci stile cartone animato passò nella modalità sguardo cupo e bieco.
“Ok.. allora dirò a Rob quello che hai fatto!”, era passata alle minacce.
“Quando?”, dissi tranquilla.
“Quando.. quando l’hai fatto ecco!”, disse a disagio non trovando nulla da dire.
“Ho la fedina penale pulita Ash.. non puoi farci nulla!”
“Ci penserò io a sporcarla..”, disse divertita. “Se non vieni alla festa non sarai più la mia migliore amica, ecco. E poi Rob deve venire per forza essendo il protagonista principale della saga insieme a Kristen..”, disse indicandola e mettendomi alle strette.
Rimuginai su qualcosa da ribattere. Cavolo mi aveva incastrata.
“Beh.. e allora partirò solo io!”, rinviai divertita.
“Daiiiii, che ti costa?”, continuò ritornando nella modalità dolce e tenera che si taglia con un grissino.
“Mi costa una reputazione!”.
“Ok se non vieni ecco cosa ti spetta..”, disse puntandomi un cuscino contro pronta a gettarmelo addosso.
“Ora: vieni o non vieni?!”, fece minacciosa inarcando le sopracciglia con le altre due accanto.
“No..”, risposi un po’ titubante.
E iniziarono cuscinate e svolazzate di piume dappertutto, su di me e su di loro fin quando costretta da quella serpe non risposi con un sì forzato al suo invito.
 
Rientrai in camera a pomeriggio verso le undici sperando che Rob nel frattempo non fosse morto di fame.
Entrai con un vassoio incartato e due starbucks in mano, dato l’ospite, e una coca cola per me, nonostante fosse un po’ tardi.
Aprii la porta piano e quasi mi cadde tutto.
“Rooob!”, chiamai guardandomi intorno e non trovandolo per farmi aiutare.
Poggiai il vassoio e le bibite sul tavolo lì vicino e decisi di andare a dare un occhiata nelle altre camere poggiando la borsa sul divano.
Non era da nessuna parte. Possibile che fosse uscito senza dirmi nulla? Gli avevo detto di chiamarmi se sarebbe uscito. Ma sicuramente conoscendolo, con Tom in giro non ne aveva avuto neanche il tempo chissà dove l’aveva portato.
Mi accomodai sul divano incrociando le gambe e sorseggiando la mia coca mentre facevo zapping sui canali del televisore in cerca di qualcosa di decente da guardare per uccidere la noia che mi stava già invadendo. Una replica di American Idol campeggiava su un canale con un ragazzo che cantava in maniera abbastanza strimpellato una canzone di Michael Jackson, facendomi inorridire, ma non c’era niente di meglio e lasciai lì a torturarmi le orecchie, visto che il mio mac era anche fuori uso al momento.
Una porta dal fondo del corridoio si aprii facendomi spaventare. Poi vidi l’artefice.
“Ah sei tu Tom!”, esclamai sollevata. “C’è una bibita anche per te se vuoi”, enunciai mentre si avvicinava al divano per sedersi.
“No, grazie, ora non ne ho proprio voglia..”, disse sistemandosi il cappello.
“Rob?”, chiesi non sapendo che fine avesse fatto. Se lui era in camera lui era uscito da solo.
“E’ andato a cercare delle belle ragazze. Te l’ho detto che ci sarebbe stata festa!”. Lo guardai fosca.
“Ah sì? E che gli offrite dato che ti sei scolato tutte le birre?”, domandai stando al gioco girandomi meglio verso di lui mentre impregnava l’aria con il suo alito pesante e acido tipico di chi si è scolato più birre del dovuto.
“Eh sì infatti, credo sia andato a comprare anche quelle!”, esordì sprezzante guardandomi fisso negli occhi in modo intenso. Mi girai di nuovo verso il televisore sorseggiando la mia bibita. Mi sentii sfiorare leggermente da un dito una ciocca di capelli sentendomeli sistemare leggermente dietro l’orecchio.
Restai atterrita. Cosa cazzo stava facendo? Che diavolo si era fumato oltre le birre?
Mi voltai lentamente verso di lui guardandolo leggermente arrabbiata mentre lui si stava pericolosamente spingendo verso il mio viso in modo pericoloso.
Altamente pericoloso.
“Sei bellissima oggi, lo sai?”, continuò accarezzandomi dolcemente una guancia.
Sbattei la coca sul tavolino e mi allontanai di scatto alzandomi.
“Che cazzo stai facendo Tom? Cosa cazzo hai bevuto oltre alla birra si può sapere?”, sbraitai incollerita da quegli atteggiamenti troppo inusuali.
Si alzò anche lui e facendomi arretrare sempre più mi mise alle strette facendomi finire contro un muro.
“Non dirmi che non provi nulla per me. Sei così bella, non puoi stare con lui. Lui non ti merita, sono io che ti amo, che ti desidero dalla prima volta che ti ho visto non lui..”, mi sussurrò a pochi centimetri dal viso mentre io cercavo di svincolarmi da quella morsa.
“Non sai quello che stai dicendo Tom. Sei sbronzo. Ora lasciami, ti prego. Fammi uscire e di questo Rob non saprà mai nulla te lo prometto. Non vuoi rovinare la vostra amicizia”. Gli dissi calma, con una leggera nausea.
“Ma io voglio che lui lo sappia. Che male ci sarebbe?”. Rispose quello imperterrito facendosi rosso in viso mentre io uscivo dai gangheri.
“Lasciami ho detto..”, continuai cercando di restare calma ma non riuscendoci del tutto.
Delle labbra umide e calde si fiondarono sulle mie inaspettatamente mentre io mi dimenavo cercando di tirargli pugni e calci dappertutto per lasciarmi, mentre lui mi teneva stretti i polsi inchiodati al muro.
La sua lingua prepotente e sgarbata avevo la sua stessa forza, cercando in tutti i modi di entrare nella mia bocca mentre io tenevo le labbra sigillate che avevano assunto il sapore salato delle lacrime che avevano iniziato a inondarmi.
Poi uno scatto di serratura, qualche passo e un tonfo di qualcosa a terra. Mi sentii sollevata da quel peso che mi teneva bloccata gli arti.
“Che CAZZO stai facendo?”, disse Rob rosso in viso dalla rabbia sollevando di peso Tom da sopra di me e gettandolo a terra per menarlo di brutto.
“ROB”, gridai in preda al panico mentre tentavo di tenerlo a bada. “No.. ti prego!”.
Cercai di tirarlo da dietro ma non ci riuscivo e avevo paura di quello che stava per fare.
Se ne sarebbe pentito lo sapevo.
“Razza di Stronzo cosa stavi facendo? Maledizione!”. Aveva i pugni pronti e gli occhi pieni di sangue che gli uscivano quasi  dalle orbite.
Non sapevo che fare, come facevo a chiamare qualcuno per rialzarlo da terra e farlo ragionare.
Afferrai il suo telefono che dalla rabbia era caduto a terra violentemente.
“Pronto? Kellan?”, chiesi con le lacrime agli occhi nonostante fosse nella stanza accanto.
“Calmati Van, che hai?”, era la prima volta che lo sentivo seriamente preoccupato.
“Ti prego vieni subito in camera di Rob, sta succedendo un macello!”, gridai impaurita.
Non passarono nemmeno due secondi che subito me lo ritrovai davanti mentre scioglieva le braccia da quelle di Rob per afferrarlo e sollevarlo lui.
Appena mi liberai mi misi una mano nei capelli mentre ero nel panico più totale e avevo gli occhi appannati dalle lacrime.
“TI UCCIDO STRONZO! TI UCCIDO! SARA’ PER TE CHE ANDRO’ IN GALERA PER LA PRIMA VOLTA!”. Continuò a sbraitare mentre Kellan lo teneva stretto con la forza.
Mi sembrava un incubo. Volevo svegliarmi.. in quel momento, subito. Che quella stramaledetta sveglia lì fuori suoni maledizione! Mi ripetevo.
Nel frattempo le grida e il putiferio che si era scatenato in quella camera aveva attirato attenzione, acclamando la presenza di Taylor, Jackson e altri del cast che non distinguevo neanche più. Sentii solo delle braccia, più di un paio in verità, che mi trascinarono con forza in una delle tante camere di quella stramaledetta camera d’albergo mentre io non capivo più nulla.
“E’ colpa mia!”, continuai a ripetere mentre di là sembrava che il mondo si fosse fermato.
Qualcuno dal di fuori mi teneva abbracciata intimandomi a stare calma, non so chi era e non avevo nemmeno voglia di guardare.
Il mio volto era rigato, stavo piangendo e parlando da ore a vanvera mentre un mal di gola mi attenuava la voce e un gran mal di testa iniziava a farsi sentire.
“Dov’è Rob?”, chiedevo da circa un ora preoccupata seguito da “Non ha fatto nulla a Tom vero?”.
Avevo paura. Paura per ciò che credeva di aver visto, paura per ciò che avrebbe potuto aver fatto al suo migliore amico e tutto per colpa mia.
“Non ti devi preoccupare Van, è di là. Non ha fatto nulla a Tom. Stai tranquilla”. Nikki, so di certo che è lei, era l’unica persona che distinguevo in quella camera perché andava su e giù come una matta non facendomi stare del tutto meglio.
Il mio cuore sotto il mio petto sbraitava e urlava.
Perché ero tornata in camera, non potevo aspettare un altro po’ prima di entrare e ritornare da Ashley.
Perché combinavo tutti questi casini? Perché dovevo rovinare la vita di Rob rendendola uno schifo? Non volevo.
Non volevo.
Lui era di là, lo sentivo parlare ora con una voce calma ma rabbiosa nello stesso tempo. Non identificai ciò che stava dicendo. Capivo solo parole indistinte a distanza di parole senza riuscire a collegarle tra loro scoppiando a piangere ancora più forte ogni volta che sentivo pronunciare dalla sua voce il mio nome.
Poi dei passi si avvicinarono lenti alla porta. Dei passi che avrei riconosciuto tra mille.
Una battuta leggera alla porta e poi si apre è lui, lo so ma non lo vidi.
“Posso parlarle un attimo?”, chiese gentile alle ospiti in camera.
Sentii un abbraccio sciogliersi lasciandomi sul letto da sola.
“Tesoro, stai tranquilla..”, era Ashley che con voce preoccupata e amorevole mi aveva tenuta tra le braccia per tutto quel tempo.
Mi accarezzò i capelli e andò via chiudendo la porta e sussurrando un “Mi raccomando..” a Rob.
Avevo gli occhi chiusi. Avevo paura di vederlo, vedere il suo viso, il suo sguardo su di me chissà con quale espressione.
“Amore?”, chiede accostandosi piano al letto. “Amore, non sono arrabbiato con te”, mi tranquillò avvicinandosi a me, sentii il suo peso sul letto mentre le molle rivelarono il suo arrivo. Si stese dietro di me e mi abbracciò baciandomi i capelli.
Mi girai e lo guardai.
“Amore..”, riuscii a dirgli soltanto con voce rotta.
“Shhh..”, mi sussurrò all’orecchio intimandomi a calmarmi.
Lo baciai.
“Scusa..”.
“Non ti devi scusare di nulla..”, disse asciungandomi una lacrima che era intenta a cadere. “Non è colpa tua”.
“Si, invece”. Continuai piangendo. “Ti sto rovinando la vita”, riconobbi singhiozzando.
Mi fece girare e mi tirò vicino a lui stringendomi forte, mentre io non riuscivo a toccarlo.
“Sai che non è così”.
Mi baciò di nuovo in modo delicato e tenero come se avesse paura di farmi male. Poi prese una mia mano e se la portò sul petto.
“Lo senti questo? Ha bisogno di te per continuare a battere così!”, disse sorridendomi per farmi quietare.
“Ti sto rovinando la vita Rob, non faccio che combinare casini nella tua vita e non voglio. Voglio renderti felice e invece? Non ci riesco. Ti ho fatto litigare con il tuo agente, con Emilie e ora anche con il tuo migliore amico.. forse aveva ragione Dave quando ha detto che non sono fatta per te..”, cercai di sputare quell’ultima parola con tutte le forze contro la mia volontà. Non volevo dirlo, non volevo ammetterlo, ma era così.
I suoi occhi diventarono cupi quasi rossi come prima. Mi prese il viso tra le mani.
“Ehy”, disse cercando di incrociare il mio sguardo mentre io cercavo di evitarlo. “Ascoltami. Non voglio più. Mai più sentirti parlare in questo modo ok? Tu sei la donna GIUSTA per me. Puoi essere insicura, paranoica, gelosa e tutto ciò che vuoi ma non puoi convincermi del fatto che non ti ami e che non fai parte del mio destino. Ti amo, e solo Dio sa quanto sia vero. Amo tutto di te, il tuo sorriso, i tuoi occhi, il tuo naso e persino quel brufoletto che ti è appena nato qui..”, disse indicando il mento e facendomi sorridere tra le lacrime. “Amo tutto ciò che sei e puoi farmi litigare con mezzo mondo. Potrei farlo davvero.. non ti devi preoccupare ok? Quello che è successo oggi NON è colpa tua, ma è colpa di quel deficiente che ti ha messo le mani addosso. E non mi importa se è mio amico o no, ti ha toccata e ho reagito in quel modo, sai quanto sono geloso. Ma ora è tutto a posto con lui. Ora è di là con Jackson, Chaske e gli altri mentre si riprende dalla sbronza mattutina quel coglione. Non gli ho fatto nulla, nemmeno l’ho sfiorato.. per te”. Confidò facendomi venire la pelle d’oca quando mi sfiorò con le sue labbra le mie.
“Io amo te..”, sussurrai. “In un modo assoluto e viscerale amore mio che sembro quasi malata. Sono malata di te. Sembro quasi un adolescente alla sua prima cotta quando penso a noi. Ti amo amore e non so farci nulla”, dichiarai sorridendo con le lacrime agli occhi dalla gioia.
Lui iniziò a baciarmele e io iniziai ad abbracciarlo spingendomi verso di lui ricambiando i suoi baci appena trovai le sue labbra.
“Dimmi che ci farai pace. Non è successo nulla Rob, insomma.. non era lui! Aveva bevuto, tu sai com’è Tom, anche meglio di me.. sai che non capisce più nulla quando beve.. ti prego!”, lo pregai.
Mi diede un buffetto sulla guancia e sorrise amaro.
“Sai anche che nella sbronza c’è un pizzico di verità? E se ti ha baciata o almeno ci ha provato..”, disse digrignando. “Significa quel che ha fatto. Che voleva farlo”.
“Non puoi negare che può portare anche delle forti allucinazioni”, optai cercando di farlo ragionare. “Chissà cos’ha immaginato Rob! Non puoi avercela con lui per questo.. non mi ha baciata poi come pensi tu”.
Strabuzzò gli occhi guardandomi incredulo.
“Non ce l’hai con lui?”.
“No, non era lui. E poi non voglio che la vostra amicizia finisca per questo”.
“Ci proverò amore.. ma non lo so..”.
Non sapevo  se ciò che mi avesse detto fosse vero o lo avesse fatto solo per tranquillizzarmi, ma mi bastò. Sarei andata a controllare dopo i danni fatti anche se non sapevo se sarei riuscita a guardare Tom negli occhi. Se la cosa non fosse stata vera avrei risolto poi con l’aiuto di Ashley magari, lei sapeva come fare, lo avrebbe saputo, e li avrei fatti riappacificare perché era così che doveva andare. Loro erano grandi amici e non poteva finire per una sbronza che aveva causato effetti collaterali a dir poco abissali. Non sarebbe successo, non l’avrei permesso.TOC TOC.
 
“Roooob, bussano alla porta!!”, gridai dal bagno dov’ero intenta a farmi una doccia.
Nessuna risposta avvenne dai meandri delle altre stanze.
 
“Ma che cavolo..”, esclamai sciacquandomi gli occhi che iniziavano a bruciare a causa dello shampoo.
 
TOC TOC TOC.
Di nuovo!
Maledizione, ma Rob dove si era cacciato?
Possibile che fosse caduto nel suo disordine cronico mentre io mi ero decisa a fare una stramaledetta doccia.
 
“Rob, la porta!!”, sbraitai.
 
Ed eccolo apparire sulla porta del bagno con la sua perfetta muscolatura mentre indossava una perfetta maglietta.
Mi affacciai dal vetro appannato e m’imbambolai nel guardarlo proprio mentre volevo dirgliene quattro.
“L..la po..porta..”, balbettai come una scema.
Rise divertito dalla mia tremenda cotta eterna.
“Ho ordinato un po’ di cibo in camera per rifocillarci un tantino!”, spiegò sorridendo.
“Se è quel tuo solito tantino non né usciremo vivi!”, sbottai sarcastica chiudendo la vetrata.
Sentii la sua ennesima risata, sempre tanto dolce.
“Vado ad aprire”. Si congedò.
“Arrivo subito!”, gli urlai mentre lui era già alla porta e io finivo di nuovo avvolta da quel caldissimo e potentissimo getto d’acqua calda.
Esco mentre mi avvolgo veloce in un accappatoio, mi friziono i capelli e li avvolgo in asciugamano a mo’ di turbante sembrando un po’ a Moira Orfei, ma a lei quell’effetto esce perfettamente senza asciugamano in testa.
Di là sento che dibatte con qualcuno. Non so precisamente con chi, ma so che non è da lui.
 
Uscii dal bagno e cercai di strisciare senza farmi vedere, in camera da letto, ancora in disordine.
Le mie robe e le sue sono del tutto aggrovigliate nei cassetti.
Come un’archeologa cerco di destreggiarmi cercando un raro manufatto, o meglio una maglia decente da indossare.
La trovo, una maglia rosa confetto con una bambolina dai capelli rosa shocking come stampa mi sorride ammaliatrice. È fatta, la indosso.
Poi dal letto un paio di pantaloni di una tuta, non so se è sua o mia, spuntano reclamandomi a loro, la infilo e lo raggiungo legando i capelli ancora umidi in una misera coda riccia.
 
Origlio un po’ da dietro la porta perché lo sento ancora discutere. In modo non acceso, ma sono pur sempre discussioni e per di più sento una voce familiare. Terribilmente familiare che mi terrorizza. Non è possibile.
 
“Certo sai dare un accoglienza Pattz!”, borbottò un voce maschile.
“Tom, che ci fai qui?!”, rispose Rob un po’ irritato.
Quel nome. Non poteva essere. Di nuovo?
Uscii ad occhi spalancati per accertarmi che fosse solo fantasia, ma invece eccolo, stravaccato sul nostro divano con il nostro vassoio in mano mentre si rimpinzava con le briciole del cibo che aveva già, ovviamente ingurgitato.
Incrociai lo sguardo di Rob terrorizzata da quella visione, mentre lui alzava le mani e faceva spallucce.
Benissimo.
“Ehy ragazzina!”, salutò Tom accorgendosi della mia presenza.
Lo salutai accorata mentre fingo entusiasmo nel vederlo e mi dirigo da Rob afflitta.
“Che ci fa lui?”, chiedo digrignando i denti in un sussurro mentre lo abbraccio dolcemente.
“Non lo so. Non avrei aperto la porta se avessi saputo chi era”, disse lui sussurrandomi all’orecchio.
“Guardate che vi sento”. Commentò lui con lo sguardo puntato al televisore.
Sorrido scusandomi quando invece lo vorrei solo bastonare.
Chissà se Rob ha la sua chitarra a portata di mano. Mmh..
“Hai intenzione di dormire qui stasera?”, chiese indispettito.
“Così vi tengo a bada no? Piccioncini!”, sorride malizioso degnandoci di uno sguardo. “E poi non ti fa piacere vedere un amico, il tuo migliore amico, dopo tanto tempo?”.
“Tom ma che cazzo dici, ci siamo visto poco tempo fa a Londra!”, risponde Rob riportandolo alla realtà.
Si guardano e scoppiano a ridere come due scemi.
“E poi a Van non darà fastidio!”, dice convinto.
“Se lo dici tu Sturridge!”, dico indispettita lasciando le braccia di Rob per andarmi a sedere sul divano a debita distanza da quell’intruso. Rob mi segue mentre lo trascino con la mano.
“E poi le riprese sono finite no? Passeremo un po’ di giorni insieme, ci divertiremo, ci sbronzeremo come si deve – tranne te mia Van, per l’America non puoi bere fino ai 21 anni – e poi torneremo tutti e tre insieme a Londra. Un buon piano no?”
Guardo Rob terrificata da quel macabro piano.
“Ho risposto sì forse?”, fece lui divertito.
“No, ma lo stai per dire lo sento!”, fa lui sicuro.
“No..”, dici tu cercando di rimanere serio immaginando la sua espressione alla tua risposta.
“Come no?”, fiatò lui deluso guardandolo con gli occhi da pesce lesso.
“No”. Dici alzandoti. “Ancora a queste sbronze pensi?”.
“E va beh, a lei le diamo un po’ di coca.. cola!” ride alludendo seguendolo con lo sguardo.
“Lo sai Tom? Mi prudono le mani..”, gli sussurrai annoiata dalle sue solite conversazioni cretine mentre il mio stomaco privo di cibo dalla sera prima iniziò a brontolare.. forte facendomi scoprire.
“Ecco deficiente, grazie a te la colazione è andata”. Esclamò Rob sentendo il brontolio stupido del mio stomaco. “Ora chiamo un bar e faccio portare qualcosa. Ah paghi tu Sturridge..”.
“Oh ma certo! Estrai pure dal mio conto”, fa lui alzando una mano. “A proposito, avete una birra?”. Chiese imperterrito come se fossimo i suoi servi.
“Si certo.. alza il culo e vattele a pigliare!”, rispose Rob intento a digitare il numero del bar più vicino. Mi avvicinai a lui sedendomi sul bracciolo del divano dove lui era seduto. Tom si alzò stanco come se avesse camminato a lungo e si diresse verso il banco frigo.
“Pronto? È lo Sky’s breakfast?”, domandò lui con dolcezza ammaliatrice. Speravo che dall’altra parte non ci fosse una donna.
“Bene, vorremmo ordinare una colazione se si può”, continuò lui.
Qualcuno dall’altra parte probabilmente si rifiutò.
“Ho capito, ma non la si può portare in camera? Non siete tanto lontani dall’albergo..”, ribatté lui. “Purtroppo non posso venire a ritirarla. Ci sarebbero dei problemi..”, non usò il suo nome per far cambiare le cose come di sicuro sarebbero cambiate. Non voleva favoritismi di nessun genere.
“Ok.. cercherò di venire la ringrazio!”. Disse infine concludendo la chiamata e buttando giù la cornetta.
Stava quasi impazzendo. Si mise una mano tra i capelli.
“Amore, non preoccuparti..”, dissi sfiorandogli un braccio scoperto con la punta delle dita.
Lui mi prese la mano tra la sua e carezzandosela a sua volta.
Mi guardò negli occhi con uno sguardo dolcissimo questo bastò a mandarmi Il cuore in tilt, facendolo battere come la piena di un fiume in inverno.
Tom notò i nostri sguardi e le nostre carezze furtive e lanciò un risolino divertito.
“Ma neanche con me davanti vi contenete? Eh che diavolo!”, sbottò ridendo.
“Stai zitto Stu! Nessuno ti ha invitato. Se non vuoi vedere le nostre smancerie sei libero di andartene”. Dissi incavolata nera per quella sua intrusione.
Mi guardò sbalordito restando con la bottiglia a mezz’aria.
“Te la sei cercata!”, fece Rob divertito.
Mi alzai, e presi la borsa dato che il mio stomaco continuò a brontolare imperterrito e mi diressi verso la porta con le chiavi in mano.
Lui mi afferrò da un polso alzandosi.
“Dove vai?”, chiese preoccupato.
“Ti lascio solo con il tuo amico – che si è fregato TUTTA la colazione”, dissi accentuando il tono sull’ultima frase. “Vado un po’ con Ash nella sua camera a mettere qualcosa nello stomaco. Ti porto qualcosa?”.
“Non fai come l’altra volta che sei scappata?”, dissi riferendosi alla giornata con la De Ravin. Sbuffai. Avevo cercato di dimenticare e che cavolo!
“Non sono scappata! Ero sempre qui in albergo. E poi di chi dovrei essere gelosa? Di Tom?.. l’importante è che non fate niente che possa nuocere alla salute.. alla tua in modo particolare”, dissi sorridendo stringendogli dolcemente il mento tra le mani.
“Ok Van. Tu vai.. che qui iniziamo una bella festa piena di belle ragazze – senza offesa eh!”, s’intromise quel cretino gridando dal divano.
Lo trucidai con gli occhi e lo stesso fece Rob.
“Tanto neanche le guarderebbe..”, ribattei.
“Se.. credici!”, rispose quello facendomi saltare i nervi mentre diventava nera che più nera non si può.
Rob lo notò.
“Lo sai che non guarderei nessuna..”, mi rassicurò tenendomi con le mani le spalle.
“Lo so, ma quel decerebrato mi da seriamente sui nervi!”, esplosi dando vita al mio tick passandomi una mano tra i capelli.
Ghignò sotto i baffi.
“Meglio che me ne vado va.. a dopo. Speriamo che gli intrusi se ne siano andati al mio ritorno!”, dissi con un piede già fuori dalla porta.
“Chiamo la disinfestazione non preoccuparti”.
Gli diedi un lieve bacio su quelle labbra morbide mentre lui mi strinse a sé e mi precipitai lungo il corridoio in direzione della camera di Ash.
 
“Allora, per mercoledì, ultimo giorno delle riprese per noi, ho intenzione di fare una mega festa!”, disse tutta eccitata all’idea mentre io quasi mi strozzavo con una fetta biscottata spalancando gli occhi a quella notizia mattutina.
“Oh Kris, hai sentito cosa ha fatto quello del piano di sotto.. come si chiama? Aiutami dai.. tu lo conosci!”. Le domandai d’un tratto con troppa frenesia e interesse.
Kris dall’altra parte del tavolino mi guardava addentando una fetta di pane chiedendosi se non fossi uscita completamente pazza.
Inarcò le sopracciglia e mi guardò con occhi vacui mentre anche Nikki assunse la stesse espressione.
Tirai un calcio a entrambe da sotto il tavolo.
S’illuminarono come delle lampadine appena accese.
“Si! Steven dici?.. ha combinato un casino con la receptionista giù con la fidanzata davanti, è stato uno spasso vedere l’espressione di lei quando ha notato che ci stava provando!”.
Nikki annuii interessata, troppo interessata.
 
Un grido acuto si levò alle nostre spalle facendoci trasalire e raggelare il sangue nelle vene.
“RAGAZZE”, gridò “Dovete dirmi qualcosa?”, disse in tono più pacato incrociando le braccia al petto e attendendo risposta.
Ci scambiammo dei rapidi sguardi con le altre e alla fine fui io la prima a parlare.
“Oh Ash. Tu lo sai quanto ti vogliamo bene. Ma un'altra festa è troppo”.
“Su dai, sarà divertente!”, disse scampanellando dalla gioia. Mi sembrava Alice giuro!
“Si, certo come l’altra volta!”, dissi rimembrandole l’ultima festa aggrottando le sopracciglia in segno di disapprovazione. “Siamo finite sbronze senza sapere come quel punch si fosse allungato così tanto, e poi, nonostante tutto, devo sorbirmi Kel che tutti i giorni non fa altro che ricordarmelo prendendomi in giro – mi sa che qualche giorno di questi combino una strage – quindi no, grazie ma no!.. e comunque io e Rob partiremo nel pomeriggio per Londra, perciò non ci sono!”, dissi alzando le mani congedandomi da quella nuova tortura.
Non era vero, ma lo sarebbe stato. Avrei convinto Rob in tutti i modi cercando di farlo cedere. Bastava poco e lo sapevo.
Mi guardò facendo il labbrino scontenta.
“E’ inutile Ash, non ci sono!!!”, cantilenai.
“Ok.. questa volta non ci sarà punch, ok? Solo succhi di frutta e.. qualche birra, ma nulla di più! E poi ci saranno anche i ragazzi e tutto il cast oltre a noi, perciò Rob ti terrà a bada e Kel lo terremo lontano! Ma ti prego: non puoi partire!”, disse parandomi davanti i suoi occhioni dolci a palla con le mani unite in preghiera.
Il fatto che ci sarebbe stato Rob non poteva che rendermi felice e entusiasta. Ma poi pensai all’intruso, all’intruso che quella mattina si era intrufolato nella nostra camera e mi passò decisamente la voglia.
“Te l’ho detto.. non posso!”, dissi sorseggiando un po’ d’acqua.
Allora si alzò e da occhioni dolci stile cartone animato passò nella modalità sguardo cupo e bieco.
“Ok.. allora dirò a Rob quello che hai fatto!”, era passata alle minacce.
“Quando?”, dissi tranquilla.
“Quando.. quando l’hai fatto ecco!”, disse a disagio non trovando nulla da dire.
“Ho la fedina penale pulita Ash.. non puoi farci nulla!”
“Ci penserò io a sporcarla..”, disse divertita. “Se non vieni alla festa non sarai più la mia migliore amica, ecco. E poi Rob deve venire per forza essendo il protagonista principale della saga insieme a Kristen..”, disse indicandola e mettendomi alle strette.
Rimuginai su qualcosa da ribattere. Cavolo mi aveva incastrata.
“Beh.. e allora partirò solo io!”, rinviai divertita.
“Daiiiii, che ti costa?”, continuò ritornando nella modalità dolce e tenera che si taglia con un grissino.
“Mi costa una reputazione!”.
“Ok se non vieni ecco cosa ti spetta..”, disse puntandomi un cuscino contro pronta a gettarmelo addosso.
“Ora: vieni o non vieni?!”, fece minacciosa inarcando le sopracciglia con le altre due accanto.
“No..”, risposi un po’ titubante.
E iniziarono cuscinate e svolazzate di piume dappertutto, su di me e su di loro fin quando costretta da quella serpe non risposi con un sì forzato al suo invito.
 
Rientrai in camera a pomeriggio verso le undici sperando che Rob nel frattempo non fosse morto di fame.
Entrai con un vassoio incartato e due starbucks in mano, dato l’ospite, e una coca cola per me, nonostante fosse un po’ tardi.
Aprii la porta piano e quasi mi cadde tutto.
“Rooob!”, chiamai guardandomi intorno e non trovandolo per farmi aiutare.
Poggiai il vassoio e le bibite sul tavolo lì vicino e decisi di andare a dare un occhiata nelle altre camere poggiando la borsa sul divano.
Non era da nessuna parte. Possibile che fosse uscito senza dirmi nulla? Gli avevo detto di chiamarmi se sarebbe uscito. Ma sicuramente conoscendolo, con Tom in giro non ne aveva avuto neanche il tempo chissà dove l’aveva portato.
Mi accomodai sul divano incrociando le gambe e sorseggiando la mia coca mentre facevo zapping sui canali del televisore in cerca di qualcosa di decente da guardare per uccidere la noia che mi stava già invadendo. Una replica di American Idol campeggiava su un canale con un ragazzo che cantava in maniera abbastanza strimpellato una canzone di Michael Jackson, facendomi inorridire, ma non c’era niente di meglio e lasciai lì a torturarmi le orecchie, visto che il mio mac era anche fuori uso al momento.
Una porta dal fondo del corridoio si aprii facendomi spaventare. Poi vidi l’artefice.
“Ah sei tu Tom!”, esclamai sollevata. “C’è una bibita anche per te se vuoi”, enunciai mentre si avvicinava al divano per sedersi.
“No, grazie, ora non ne ho proprio voglia..”, disse sistemandosi il cappello.
“Rob?”, chiesi non sapendo che fine avesse fatto. Se lui era in camera lui era uscito da solo.
“E’ andato a cercare delle belle ragazze. Te l’ho detto che ci sarebbe stata festa!”. Lo guardai fosca.
“Ah sì? E che gli offrite dato che ti sei scolato tutte le birre?”, domandai stando al gioco girandomi meglio verso di lui mentre impregnava l’aria con il suo alito pesante e acido tipico di chi si è scolato più birre del dovuto.
“Eh sì infatti, credo sia andato a comprare anche quelle!”, esordì sprezzante guardandomi fisso negli occhi in modo intenso. Mi girai di nuovo verso il televisore sorseggiando la mia bibita. Mi sentii sfiorare leggermente da un dito una ciocca di capelli sentendomeli sistemare leggermente dietro l’orecchio.
Restai atterrita. Cosa cazzo stava facendo? Che diavolo si era fumato oltre le birre?
Mi voltai lentamente verso di lui guardandolo leggermente arrabbiata mentre lui si stava pericolosamente spingendo verso il mio viso in modo pericoloso.
Altamente pericoloso.
“Sei bellissima oggi, lo sai?”, continuò accarezzandomi dolcemente una guancia.
Sbattei la coca sul tavolino e mi allontanai di scatto alzandomi.
“Che cazzo stai facendo Tom? Cosa cazzo hai bevuto oltre alla birra si può sapere?”, sbraitai incollerita da quegli atteggiamenti troppo inusuali.
Si alzò anche lui e facendomi arretrare sempre più mi mise alle strette facendomi finire contro un muro.
“Non dirmi che non provi nulla per me. Sei così bella, non puoi stare con lui. Lui non ti merita, sono io che ti amo, che ti desidero dalla prima volta che ti ho visto non lui..”, mi sussurrò a pochi centimetri dal viso mentre io cercavo di svincolarmi da quella morsa.
“Non sai quello che stai dicendo Tom. Sei sbronzo. Ora lasciami, ti prego. Fammi uscire e di questo Rob non saprà mai nulla te lo prometto. Non vuoi rovinare la vostra amicizia”. Gli dissi calma, con una leggera nausea.
“Ma io voglio che lui lo sappia. Che male ci sarebbe?”. Rispose quello imperterrito facendosi rosso in viso mentre io uscivo dai gangheri.
“Lasciami ho detto..”, continuai cercando di restare calma ma non riuscendoci del tutto.
Delle labbra umide e calde si fiondarono sulle mie inaspettatamente mentre io mi dimenavo cercando di tirargli pugni e calci dappertutto per lasciarmi, mentre lui mi teneva stretti i polsi inchiodati al muro.
La sua lingua prepotente e sgarbata avevo la sua stessa forza, cercando in tutti i modi di entrare nella mia bocca mentre io tenevo le labbra sigillate che avevano assunto il sapore salato delle lacrime che avevano iniziato a inondarmi.
Poi uno scatto di serratura, qualche passo e un tonfo di qualcosa a terra. Mi sentii sollevata da quel peso che mi teneva bloccata gli arti.
“Che CAZZO stai facendo?”, disse Rob rosso in viso dalla rabbia sollevando di peso Tom da sopra di me e gettandolo a terra per menarlo di brutto.
“ROB”, gridai in preda al panico mentre tentavo di tenerlo a bada. “No.. ti prego!”.
Cercai di tirarlo da dietro ma non ci riuscivo e avevo paura di quello che stava per fare.
Se ne sarebbe pentito lo sapevo.
“Razza di Stronzo cosa stavi facendo? Maledizione!”. Aveva i pugni pronti e gli occhi pieni di sangue che gli uscivano quasi  dalle orbite.
Non sapevo che fare, come facevo a chiamare qualcuno per rialzarlo da terra e farlo ragionare.
Afferrai il suo telefono che dalla rabbia era caduto a terra violentemente.
“Pronto? Kellan?”, chiesi con le lacrime agli occhi nonostante fosse nella stanza accanto.
“Calmati Van, che hai?”, era la prima volta che lo sentivo seriamente preoccupato.
“Ti prego vieni subito in camera di Rob, sta succedendo un macello!”, gridai impaurita.
Non passarono nemmeno due secondi che subito me lo ritrovai davanti mentre scioglieva le braccia da quelle di Rob per afferrarlo e sollevarlo lui.
Appena mi liberai mi misi una mano nei capelli mentre ero nel panico più totale e avevo gli occhi appannati dalle lacrime.
“TI UCCIDO STRONZO! TI UCCIDO! SARA’ PER TE CHE ANDRO’ IN GALERA PER LA PRIMA VOLTA!”. Continuò a sbraitare mentre Kellan lo teneva stretto con la forza.
Mi sembrava un incubo. Volevo svegliarmi.. in quel momento, subito. Che quella stramaledetta sveglia lì fuori suoni maledizione! Mi ripetevo.
Nel frattempo le grida e il putiferio che si era scatenato in quella camera aveva attirato attenzione, acclamando la presenza di Taylor, Jackson e altri del cast che non distinguevo neanche più. Sentii solo delle braccia, più di un paio in verità, che mi trascinarono con forza in una delle tante camere di quella stramaledetta camera d’albergo mentre io non capivo più nulla.
“E’ colpa mia!”, continuai a ripetere mentre di là sembrava che il mondo si fosse fermato.
Qualcuno dal di fuori mi teneva abbracciata intimandomi a stare calma, non so chi era e non avevo nemmeno voglia di guardare.
Il mio volto era rigato, stavo piangendo e parlando da ore a vanvera mentre un mal di gola mi attenuava la voce e un gran mal di testa iniziava a farsi sentire.
“Dov’è Rob?”, chiedevo da circa un ora preoccupata seguito da “Non ha fatto nulla a Tom vero?”.
Avevo paura. Paura per ciò che credeva di aver visto, paura per ciò che avrebbe potuto aver fatto al suo migliore amico e tutto per colpa mia.
“Non ti devi preoccupare Van, è di là. Non ha fatto nulla a Tom. Stai tranquilla”. Nikki, so di certo che è lei, era l’unica persona che distinguevo in quella camera perché andava su e giù come una matta non facendomi stare del tutto meglio.
Il mio cuore sotto il mio petto sbraitava e urlava.
Perché ero tornata in camera, non potevo aspettare un altro po’ prima di entrare e ritornare da Ashley.
Perché combinavo tutti questi casini? Perché dovevo rovinare la vita di Rob rendendola uno schifo? Non volevo.
Non volevo.
Lui era di là, lo sentivo parlare ora con una voce calma ma rabbiosa nello stesso tempo. Non identificai ciò che stava dicendo. Capivo solo parole indistinte a distanza di parole senza riuscire a collegarle tra loro scoppiando a piangere ancora più forte ogni volta che sentivo pronunciare dalla sua voce il mio nome.
Poi dei passi si avvicinarono lenti alla porta. Dei passi che avrei riconosciuto tra mille.
Una battuta leggera alla porta e poi si apre è lui, lo so ma non lo vidi.
“Posso parlarle un attimo?”, chiese gentile alle ospiti in camera.
Sentii un abbraccio sciogliersi lasciandomi sul letto da sola.
“Tesoro, stai tranquilla..”, era Ashley che con voce preoccupata e amorevole mi aveva tenuta tra le braccia per tutto quel tempo.
Mi accarezzò i capelli e andò via chiudendo la porta e sussurrando un “Mi raccomando..” a Rob.
Avevo gli occhi chiusi. Avevo paura di vederlo, vedere il suo viso, il suo sguardo su di me chissà con quale espressione.
“Amore?”, chiede accostandosi piano al letto. “Amore, non sono arrabbiato con te”, mi tranquillò avvicinandosi a me, sentii il suo peso sul letto mentre le molle rivelarono il suo arrivo. Si stese dietro di me e mi abbracciò baciandomi i capelli.
Mi girai e lo guardai.
“Amore..”, riuscii a dirgli soltanto con voce rotta.
“Shhh..”, mi sussurrò all’orecchio intimandomi a calmarmi.
Lo baciai.
“Scusa..”.
“Non ti devi scusare di nulla..”, disse asciungandomi una lacrima che era intenta a cadere. “Non è colpa tua”.
“Si, invece”. Continuai piangendo. “Ti sto rovinando la vita”, riconobbi singhiozzando.
Mi fece girare e mi tirò vicino a lui stringendomi forte, mentre io non riuscivo a toccarlo.
“Sai che non è così”.
Mi baciò di nuovo in modo delicato e tenero come se avesse paura di farmi male. Poi prese una mia mano e se la portò sul petto.
“Lo senti questo? Ha bisogno di te per continuare a battere così!”, disse sorridendomi per farmi quietare.
“Ti sto rovinando la vita Rob, non faccio che combinare casini nella tua vita e non voglio. Voglio renderti felice e invece? Non ci riesco. Ti ho fatto litigare con il tuo agente, con Emilie e ora anche con il tuo migliore amico.. forse aveva ragione Dave quando ha detto che non sono fatta per te..”, cercai di sputare quell’ultima parola con tutte le forze contro la mia volontà. Non volevo dirlo, non volevo ammetterlo, ma era così.
I suoi occhi diventarono cupi quasi rossi come prima. Mi prese il viso tra le mani.
“Ehy”, disse cercando di incrociare il mio sguardo mentre io cercavo di evitarlo. “Ascoltami. Non voglio più. Mai più sentirti parlare in questo modo ok? Tu sei la donna GIUSTA per me. Puoi essere insicura, paranoica, gelosa e tutto ciò che vuoi ma non puoi convincermi del fatto che non ti ami e che non fai parte del mio destino. Ti amo, e solo Dio sa quanto sia vero. Amo tutto di te, il tuo sorriso, i tuoi occhi, il tuo naso e persino quel brufoletto che ti è appena nato qui..”, disse indicando il mento e facendomi sorridere tra le lacrime. “Amo tutto ciò che sei e puoi farmi litigare con mezzo mondo. Potrei farlo davvero.. non ti devi preoccupare ok? Quello che è successo oggi NON è colpa tua, ma è colpa di quel deficiente che ti ha messo le mani addosso. E non mi importa se è mio amico o no, ti ha toccata e ho reagito in quel modo, sai quanto sono geloso. Ma ora è tutto a posto con lui. Ora è di là con Jackson, Chaske e gli altri mentre si riprende dalla sbronza mattutina quel coglione. Non gli ho fatto nulla, nemmeno l’ho sfiorato.. per te”. Confidò facendomi venire la pelle d’oca quando mi sfiorò con le sue labbra le mie.
“Io amo te..”, sussurrai. “In un modo assoluto e viscerale amore mio che sembro quasi malata. Sono malata di te. Sembro quasi un adolescente alla sua prima cotta quando penso a noi. Ti amo amore e non so farci nulla”, dichiarai sorridendo con le lacrime agli occhi dalla gioia.
Lui iniziò a baciarmele e io iniziai ad abbracciarlo spingendomi verso di lui ricambiando i suoi baci appena trovai le sue labbra.
“Dimmi che ci farai pace. Non è successo nulla Rob, insomma.. non era lui! Aveva bevuto, tu sai com’è Tom, anche meglio di me.. sai che non capisce più nulla quando beve.. ti prego!”, lo pregai.
Mi diede un buffetto sulla guancia e sorrise amaro.
“Sai anche che nella sbronza c’è un pizzico di verità? E se ti ha baciata o almeno ci ha provato..”, disse digrignando. “Significa quel che ha fatto. Che voleva farlo”.
“Non puoi negare che può portare anche delle forti allucinazioni”, optai cercando di farlo ragionare. “Chissà cos’ha immaginato Rob! Non puoi avercela con lui per questo.. non mi ha baciata poi come pensi tu”.
Strabuzzò gli occhi guardandomi incredulo.
“Non ce l’hai con lui?”.
“No, non era lui. E poi non voglio che la vostra amicizia finisca per questo”.
“Ci proverò amore.. ma non lo so..”.
Non sapevo  se ciò che mi avesse detto fosse vero o lo avesse fatto solo per tranquillizzarmi, ma mi bastò. Sarei andata a controllare dopo i danni fatti anche se non sapevo se sarei riuscita a guardare Tom negli occhi. Se la cosa non fosse stata vera avrei risolto poi con l’aiuto di Ashley magari, lei sapeva come fare, lo avrebbe saputo, e li avrei fatti riappacificare perché era così che doveva andare. Loro erano grandi amici e non poteva finire per una sbronza che aveva causato effetti collaterali a dir poco abissali. Non sarebbe successo, non l’avrei permesso.

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Capitolo 16
*** 15. Figure di merda? Oh yeah! ***


Nuovo capitolo, mi è venuto un po' così!
Spero vi piaccia...
Kiss



“Porca miseria.. ma Rob dai! Come non puoi?”, esplosi battendo il piede a terra come una bimba piccola.
“Amore, ti giuro.. avrei voluto, ma non posso davvero, puoi andare con mia madre no?”, rispose lui dispiaciuto coperto da una tazza di latte.
“Ma non siamo venuti a Londra per rilassarci un po’? lo sai che poi non potremo vederci per due mesi..”. Continuai incollerita con le braccia incrociate e il broncio.
Menomale che nessuno era in casa quella mattina.
“Lo so, ma mi hanno già mandato il copione del nuovo film e devo iniziare a leggerlo per immedesimarmi bene nel personaggio..”.
“Eh certo.. il lavoro! Lavoro, lavoro e sempre lavoro! Io non ho posto nella tua vita giusto? Siamo arrivati nemmeno tre giorni fa Rob.. tra meno di una settimana me ne andrò in Italia, ci resterò per due mesi. Non ci vedremo. Ma a te non importa nulla vero? Come sempre.. quando mi sono messa con te ho accettato le conseguenze”, mi misi una mano tra i capelli tenendomi la testa per evitare che scoppiasse.
Dovevo calmarmi.
Lui si alzò e venne verso di me, afferrandomi le braccia.
“Amore, lo so e mi dispiace davvero, vorrei tanto accompagnarti, lo sai che lo vorrei e che tu sei sempre al primo posto..”
“Dopo il tuo lavoro”, sussurrai in modo impercettibile voltandomi.
“Ma sai anche bene che per farti innamorare ancora una volta sullo schermo ho bisogno di studiare la parte. Anzi se vuoi puoi darmi una mano”, disse avvicinandosi alle mie labbra ammiccando, non funzionò.
Mi scostai violentemente.
“Ok. Ok.. fa nulla Robert davvero.. va bene così. Tu hai il tuo lavoro e io ho la mia vita. È giusto. Ora scusa ma vado un po’ di sopra se non ti dispiace. Ho da sbrigare un po’ di faccende”. E così dicendo lo lasciai attonito in cucina resistendo per la prima volta ad un suo bacio.
Salii le scale di fretta mentre lui si era affacciato sulla porta della cucina chiamandomi ripetutamente.
Mi chiusi in camera e accesi il mio pc per ascoltare un po’ di musica. L’Ipod non sapevo dove l’avessi lasciato, forse nei viluppi della mia valigia ancora ammassata in un angolo della stanza. Ancora da disfare. Cercai un volo per l’Italia per i prossimi giorni. Era inutile restare se lui aveva da fare.
La British Airlines offriva un sacco di voli dall’aeroporto di Stansted in vari orari, decisi di pensarci un po’ su prima di prenotare un volo per la mia città anticipato. Forse era una reazione affrettata, esagerata la mia, solo perché lui non volesse o non potesse, era uguale, venire a fare shopping con me, non significava che non voleva starci. Ma in fondo che male c’era a voler vivere un pomeriggio normale insieme a lui? Uno di quei pomeriggi che desideravo da tempo e che non avevo mai avuto occasione di mettere in pratica. Lui stesso diceva che Londra era un posto tranquillo fatta di gente altrettanto tranquilla a cui non importava chi lui fosse. Era raro che lo fermassero qui chiedendogli un autografo o una foto e allora, perché aveva deciso di fare ben altro?
Poteva leggere il copione l’indomani, e lo avrei aiutato come sempre, facendo la parte di chiunque avesse voluto lui, anche se non ero un attrice e facevo piuttosto schifo nel recitare come in tutto del resto anche se lui sosteneva il contrario. A volte quando mi guardavo allo specchio e pensavo alle mie non capacità mi chiedevo che c’entrasse lui con me. I miei pensieri oscuri diceva lui quando gliene parlavo. Ma lui era bravo in tutto, e non aveva di che lamentarsi, avrebbe potuto avere qualunque ragazza avesse voluto e invece aveva scelto me.
Un fastidio da sotto le coperte mi punse la schiena punzecchiandomela.
Ma che.. chiesi cercando di afferrare un arnese rettangolare che spuntava da sotto le coperte.
Un album rosa confetto con un cuoricino bianco ricamato sul lato inferiore destro della copertina mi spuntò tra le mani.
Era il mio album del battesimo. Che ci faceva lì sotto? Domandai corrucciata.
Aprendolo la dolce musica dei ricordi invase la mia mente e con le mani iniziai a sfogliarlo leggendo tutti gli appunti che mi madre aveva scritto da quando ero nata. Quando ero nata, a che ora, il peso, l’altezza, il mio dottore, il giorno del mio battesimo, le pappe e poi le foto, tante foto di quando ero ancora piccola.
“E cosi l’hai scoperto”, disse una voce avvicinandosi.
Una voce melodica e suadente che neanche il tempo avrebbe cancellato dalla mia mente.
Alzai gli occhi era lui, chi altro poteva essere?
“L’ho sfogliato ieri sera, quando tu dormivi e io non riuscivo a farlo. L’ho trovato nella tua valigia”., disse mordendosi un labbro imbarazzato da quella dichiarazione e sedendosi accanto a me sul letto.
Lui era l’unico che poteva permettersi di farlo. Frugare nelle mie valigie e nelle mie cose senza il permesso.
Amavo vedere il suo viso quando lo faceva, diventava buffo e faceva delle espressioni strane nel vedere alcuni miei indumenti che non conosceva o che non aveva mai visto.
“Non ricordavo nemmeno di averlo portato sai?”, chiesi retorica sorridendo nel vedere quelle guanciotte piene che avevo.
“Qui era il mio battesimo. Mia madre mi mise sul letto per farmi una foto”, spiegai indicando la prima foto dell’album, mentre sentivo il suo dolce respiro tra i miei capelli. “Ero davvero bellissima..”, dichiarai accarezzando la foto nel ricordo.
“Lo sei ancora oggi”, mi tranquillizzò lui che ormai era a pochi centimetri dal mio volto quando mi girai alla sua affermazione.
 I suoi occhi. Dio i suoi occhi. Mi fecero incantare. Erano il canto delle sirene di Ulisse per me, non sapevo resistere a quel mare immenso che aveva negli occhi. Deglutii cercando di resistere al bisogno irrefrenabile che sentivo dentro di me. Le sue labbra sorrisero. Il colpo di grazia. Mi stavano chiamando.
Quelle labbra, magnifiche rosee e tentatrici mi reclamavano fortemente.
Maledizione a lui.
“Che hai? Ho detto qualcosa che non va?”, chiese lui innocente mentre io chiudevo gli occhi per cercare di resistergli. Di far valere la mia volontà.
Ma nulla, quell’essere lì accanto a me, quel gran essere lì accanto a me aveva il potere di istigarmi con gesti semplici.
Troppo semplici.
Non era umano. Non lo ero per niente.
“Amore..”, sussurrò di nuovo più vicino sistemandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro. Gli scattai addosso scaraventandolo a terra mentre iniziai a baciarlo violentemente.
Le mie forze erano state disintegrate, come al solito.
“Tu.. hai il potere.. di istigarmi”, dissi piano un po’ più lontano dalle sue labbra. “Non sei umano!”, affermai convinta mordicchiandogli il labbro inferiore prima di ricominciare a baciarlo.
Sotto le mie labbra il suo sorriso si allargò, lo potevo sentire.
Le sue mani vagavano senza una meta precisa decisi di prenderle e posizionarle sui miei fianchi. Lui gli afferrò e mi spostò sotto di lui sulla moquette morbida, mentre lo accolsi tra le mie gambe ansimante come una depravata.
Qualcuno aprii la porta di scatto senza che noi avessimo sentito un bel nulla e senza che nessuno avesse bussato.
Che figura di merda, mi ritrassi subito da sotto di lui mentre lui si alzava, tirandomi la sua maglietta sul petto.
“Oops.. pensavo non foste in casa, avevate detto che andavate in giro per negozi”. Disse la gentile mamma Clare mentre teneva a metà la porta per non guardarci.
Rob era in cerca del mio reggiseno volato chissà dove. Mi misi una mano sulla faccia ridendo e rossa in viso.
“Ehm  sì.. pensiamo di andare tra un po’”, chiarii il figlio paonazzo.
“Ah, va bene.. allora io sono in salone se mi volete..”, fece la mamma di Rob con voce traballante chiudendoci la porta.
“Cazzo, che figura di cacca direi!”, esclamò quello cacciandosi a ridere.
Lo feci anch’io mentre appoggiata ad un muro stavo ripensando alla scena.
“Chissà che avrà pensato tua madre. Non avrò più il coraggio di guardarla negli occhi dopo questo episodio”.
“Che quello che dovevamo fare, abbiamo già fatto! Non sei più in libata amore mio e poi non preoccuparti mia madre dimentica in fretta..”, esclamò aiutandomi ad alzarmi.
“E tutto grazie al figlio, no?”.
“ Embé certo.. è sempre colpa mia, no?”, chiese ridacchiando.
“Sempre!”, asserii io alzandomi.
“Bene, ora mettiti qualcosa che ti porto a fare shopping..”, disse fintamente scocciato.
Mi si illuminarono gli occhi. Mi voltai verso di lui.
“No, amore, davvero?”, chiesi incredula.
Lui annui.
“E il tuo copione da studiare?”, esclamai facendo il verso sull’ultima parola.
“Si vedrà. C’è tempo. Ora voglio stare solo con una persona”.
Gli scoccai un bacio e volai a prepararmi.
 
“Rob che dici.. meglio questo oppure quest’altro?”, chiesi mentre la commessa stava letteralmente sbavando sul mio attuale ragazzo/amico.
Non avevamo avuto nessun atteggiamento sospetto durante le nostre passeggiate nonostante Londra fosse una città tranquilla la gente mormorava.
E come se mormorava.
Potevo sentire benissimo ciò che dicevano a proposito di me.
Ma non me importava nulla e mi tenevo stretto Rob da amico, ovvio!
“Perché non tutti e due?”, mi chiese quel mio tortino ripieno alla crema, con un volto e delle labbra che avrei voluto mangiare all’istante.
Dammit!
“Perché ce ne uno che non mi piace molto. Voglio vedere se l’azzecchi”. Chiesi a trabocchetto.
“Q.. quello bianco?”, balbettò lui rischiando un collasso. Come se la scelta fosse difficile: un  vestito era bianco decisamente troppo lungo per i miei gusti, mentre l’altro era di un rosa scintillante estremamente scollato e corto fin sopra al ginocchio.
Sorrisi a quell’intuizione e diedi il vestito bianco sposa alla commessa per rimetterlo al suo posto.
“Provo questo!”, dissi entrando in camerino e lasciando Rob con quella civetta.
“E’ bello vedere che siete così amici tanto da conoscere i vostri gusti reciprocamente”, disse quella civetta dai capelli biondo miele e un sorriso da buona donna che mi fece imbestialire rompendo di quasi il vestito.
“Eh sì..”, si limitò a dire Rob dondolando sui talloni come un bambino dopo avergli dato una mia ultima occhiataccia prima di entrare nel camerino.
“E’ di qui?”, chiese la signorina fintamente interessata alla mia provenienza.
“No, è itali…”.
“Allora cosa ne pensi di questo vestito?”, dissi avvicinandomi per far inquadrare meglio il vestito a qualcuno. “Secondo te è troppo stretto qui..”, chiesi sfiorandomi i fianchi. “Oppure mi stringe troppo qui?”, dissi ammaliatrice mostrandogli le cuciture del vestito all’altezza del petto.
Quel qualcuno mi guardò estasiato come se avesse visto una dea in carne e ossa.
Era sospeso in una bolla priva d’aria.
Lo si vedeva distintamente, quell’emozione non la sapeva camuffare a dovere come un attore.
Restò allibito e con gli occhi fissi su di me per qualche secondo.
“Mi vuoi sposare?”, sputò di colpo facendomi uscire gli occhi dalle orbite.
Che cazzo stava dicendo?
La commessa del negozio rimase scioccata da quella domanda, aveva strabuzzato gli occhi e lo guardava senza capire il senso di quella domanda.
Io mi sforzai di ridere.
“Dio mio Rob. Recita talmente bene che mi ci fa sempre cascare..”, cercai di dire cercando di convincere la commessa che fosse vero.
Quella ebbe fiducia, o almeno lasciò intendere questo ai nostri occhi.
“Scusi signorina può lasciarci soli un momento?”, chiesi educata cercando di mantenere la calma affinché non si venisse a scoprire qualcosa da quell’espressione da ebete che aveva assunto in quel momento.
“Ma certo..”, fece quella con qualcosa che le macchinava in testa. “Vi aspetto di là..”. E così dicendo si allontanò lasciandoci soli.
Appena la vidi abbastanza lontana mi avvicinai.
“Ok Rob, che ti è preso?”, chiesi dolcemente avvicinandomi.
Lui mi cinse i fianchi e mi tirò a sé.
“Tu..mi stai..veramente..mettendo..alla prova.. Lo dico..per la tua salute.. Potrei.. potrei compiere gesti affrettati.. troppo affrettati.. E troppo violenti..” riuscii a sussurrarmi a due centimetri dall’orecchio facendomi sorridere.
“Vedo che il vestito ti piace allora!”.
“Veramente ti preferisco senza.. ma se la vuoi mettere così..”, disse sorridendo. Gli diedi una pacca sulla spalla e mi allontanai sciogliendo l’abbraccio vedendo gente entrare. C’erano anche due adolescenti che nel vederlo diventarono rosse con un sorriso da ebete in viso.
Lo tirai per mano verso il reparto camerini e lo spinsi ad entrare nel mio abbastanza grande per contenerci entrambi lasciando quelle due ragazzine a sussurrarsi a vicenda qualcosa.
Chiusi la porta.
Lui mi guardò per capire cosa volessi fare.
“Ah non pensare male. Sei troppo malizioso. Devi solo aiutare a sfilarlo.. non lo vedi che ha un allacciatura dietro”. Dissi girandomi.
“E prima chi ti ha aiutato?”, chiese con una vena di preoccupazione.
“Mistero!”, espressi vaga.
«Mi aiuti? Sarei riuscita a togliermelo anche da sola, solo che si è impigliato il laccio qui dietro..» dissi indicando il laccio dietro le spalle. Un mega sorriso mi si allargò sulle labbra e, se possibile, divenni ancor più rossa.
Sentivo le sue mani fredde e affusolate sfiorarmi la schiena facendomi rabbrividire, l’unica cosa che mi teneva a bada dal non saltargli addosso era il fatto che eravamo in un luogo pubblico. Speravo di farcela.
“Stai continuando a mettermi alla prova, eh? Sei diabolica!”, risi sommessamente tenendomi il vestito sul petto che iniziava ad indebolirsi cadendo in avanti.
Dopo qualche minuto eccolo completamente slacciato.
“Fatto!”, esclamò lui baciandomi una spalla.
Mi girai e gli sorrisi.
Mi assalii facendomi cadere a terra travolgendo anche la sedia che era lì e mi baciò più volte.
Qualcuno dal di fuori iniziò a picchiettare sulla porta in maniera frenetica.
Entrambi trattenemmo il respiro e ci fermammo di colpo.
“OCCUPATO!”, strillai col poco fiato che avevo in gola.
Se qualcuno dal di fuori avrebbe aperto, visto che non avevo nemmeno chiuso la porta, la scena che avrebbe trovato davanti a sé sarebbe stata davvero strabiliante: lui era ancora sopra, a torso nudo, chinato su di me.
Io, in compenso, avevo le gambe strette attorno ai suoi fianchi col vestito quasi del tutto sfilato.
Ennesima figura di merda.
“Tutto bene?”, gridò una voce femminile dal di fuori. “Abbiamo sentito un tonfo”.
Commessa civetta impicciona.
“No, davvero..”, risposi trafelata rimettendomi in piedi e aggiustandomi il vestito stropicciato e spostato del tutto. “Tutto a posto. È.. è caduta la sedia..”.
“Ah, ok!” rispose qualcuno poco convinto da fuori.
Rimasi in silenzio per qualche minuti ascoltando il rumore dei tacchi sul parquet che indicavano l’allontanarsi dell’intruso, poi buttai fuori il fiato e mi appoggiai alla parete mentre Rob se la cacciava a ridere in silenzio. Lo fulminai con lo sguardo ma non lo scalfì minimamente.
“È la seconda figura di merda che mi fai fare oggi”, gli sussurrai indicandoglielo.
“Ti provi questi vestiti e poi cosa ti aspetti?”, chiese ridendo fortemente. Fiondai una mano sulla sua bocca.
“Che tu faccia il serio per una buona volta e che ti ricordi che tu stai con Kristen Stewart per il mondo. Oltre a questo il tuo agente ci ucciderebbe entrambi!”. Non la finiva di ridere. “Quindi fuori di qui ora!”, dissi cercando di spingerlo fuori.
“Ma allora alla fine lo prendi o no questo vestitino?”, mi domandò ammiccante.
“Non saprei.. tu che dici?”, dissi mostrandoglielo di nuovo anche se sfilato, mentre mi davo un occhiata allo specchio dato che non mi ero ancora vista.
“Mmh..”, disse lui, mettendosi una mano sul mento e diventando serio. “È un po’ difficile da sfilare, ma tutto sommato stai benissimo e non ce che dire..”.
Sorrisi e lo guardai intensamente.
“Ora fuori di qui. Devo svestirmi e non ti voglio tra i piedi per un’altra figura di merda abissale”. Dissi spingendolo fuori assicurandomi che non ci fosse anima viva in giro.
“Eccomi qui!”, dissi al vento uscendo e trovando Rob attorniato da cinque fan in fibrillazione con diari, penna e fotocamera in mano.
La solita storia.
Firmava autografi e sorrideva a tutte le foto che gli venivano fatte.
Lui era sempre sorridente.
Trovai i vestiti, maglie e jeans che aveva indossato e che mi erano piaciuti di più su una sedia lì vicino. Erano minimo, e non volevo esagerare, una quindicina.
Che mi era preso? Predominavano più magliette e jeans, l’unico vestito era quello che avevo appena indossato.
Dovevo fare uno scarto, non potevo spendere troppi soldi.
Non ero mica miliardaria io!
“Ok, di niente!”, sentii dire alle fan da Rob mentre quelle si allontanavano e lui si avvicinava a me.
“Che fai?”, disse mentre ero arrivata a sette magliette, quattro jeans e il vestito, ma era impossibile, perché vedevo di nuovo le mie prime scelte che mi reclamavano e impazzivo.
“Sto impazzendo”. Risposi sull’orlo della pazzia.
“Perché?”, fece lui non capendo.
“Rob, non posso spendere troppo. Questo da solo costa centodieci sterline”, dissi indicando il vestito rosa shocking.
“E chi ti ha detto di spendere?”, chiese lui con sopracciglia inarcate in segno di disapprovazione.
“Non voglio farti sempre spendere tutto! Mi fai sembrare una poverella”, dissi imbronciandomi.
“Io sono il padrone io spendo.. e poi siamo nella mia città. Sei mia ospite..”, disse prendendo tutto il malloppo dalla sedia.
“Ecco ora mi fai sembrare una schiava!”, dissi seguendolo.
Lui rise e si diresse alla cassa pagammo, anzi pagò, e uscimmo mentre la commessa, ora cassiera, ancora sbavava.
 
“Andiamo a mangiare, ti va?”, mi chiese prendendomi per mano appena dopo aver messo le cose in macchina.
“Si, ma niente ristorante lussuoso, ok? Un panino va anche bene!”.
“E il cinese?”. Chiese lui sorridendo sapendo già la risposta.
“Sai quanto ami il pesce, ma quello crudo mi fa venire decisamente il voltastomaco. No grazie!”, dissi alzando le mani.
Cacciò una risata.
“Lo sapevo, allora un bel panino da McDonald’s?”.
“Ora si ragiona Mr Pattz!”.
“Allora muoviamoci Mrs Pattz!”.
 
Eravamo da soli in mezzo a una cinquantina di persone più o meno, ma nessuno ci dava poi tanto peso lì.
Ognuno mangiava per conto proprio e con i propri pensieri in testa senza badare alla nostra presenza, o meglio alla sua.
Io come al solito non sapevo mordere un panino come una persona civile e mi sbrodolavo facendomi cadere quasi tutto addosso e facendo mostra, per l’ennesima volta, delle mie inguaribili figure di merda mentre lui, non tanto migliore di me, se la rideva sommessamente guardandomi.
Non servirono a nulla tutti le occhiatacce che gli riservavo, era come un bambino piccolo: mi guardava e rideva come un matto.
“Se ti dicessi che sei uno stronzo?”, chiesi io mentre cercavo di restare seria.
“Se ti dicessi che ti amo?”, fece lui facendomi strozzare con una patatina che avevo appena imboccato.
Iniziai a tossicchiare e mi voltai dall’altra parte per riprender fiato.
E Rob, giustamente, a ridere.
Mi porse il suo bicchierone di coca e mi sfregò con energia la schiena per farmi calmare.
 
Riuscii a bere poco o niente, tra i colpi di tosse e quegli occhi. I suoi occhi che mi fissavano.
Quando mi fui calmata un po’, Rob si chinò verso il mio viso, incrociando i miei occhi.
“Ehi Van tutto bene?” domandò con una lieve nota di preoccupazione nella voce.
Annuii come meglio potei. Avevo ancora le sue mani sulla schiena e questo bastava a mandarmi al rogo.
Gli restituii uno sguardo timido e alzai i pollici in su per dire: “Ok, tutto a posto!”
Si avvicinò ulteriormente, scrutandomi con occhio clinico.
Poi mi scoccò un veloce bacio in fronte bruciandomi del tutto.
“Non farlo mai più. Mi hai fatto spaventare!”, spifferò in un sussurro a pochi centimetri dalle mie labbra facendo andare in tilt il poco respiro che mi restava nel corpo.
Poi la sua risata alla vista del mio viso che andava divampandosi mentre cercavo di annuire.
 
“Rob?”, chiese una voce alle mie spalle facendomi trasalire e facendo smettere quella melodia.
Ecco un'altra fan. Addio pace apparente.
“Signora Lockwood!”, fece Rob stupito dalla visione alle mie spalle mentre si alzava per andarle incontro e abbracciarla.
Mi girai verso la codesta per vederne il volto.
Era una signora anziana mingherlina, con i capelli di un biondo scolorito a causa della tinta che stava scomparendo, e con degli occhi dolcissimi color nocciola.
Rob l’abbracciò forte.
“Come sta?”, chiese Rob da vero gentleman inglese e in modo educato.
“Oh, figliolo, tutto a posto per fortuna. Sono venuta qui per comprare uno di quei panini al mio nipotino. Cerco di farlo contento. Tu piuttosto, tutto bene?”, chiese con voce fioca e stanca la signora mostrando il minuscolo bambino che portava per mano.
Gli feci un gran sorriso, il bambino ricambiò nascondendosi dietro la signora.
“Tutto bene. Sono qui per qualche settimana in vacanza. Non vedevo l’ora di tornare a casa!”. Disse sorridente.
La signora mi guardò e mi sorrise amorevole.
“E questa bella ragazza che è con te chi è?”, lui mi guardò sorridente a quella domanda un po’ insolita, con uno di quei sorrisi che riserva solo a me, da quando ci siamo conosciuti e che da tempo ormai sono diventati parte di me.
“La mia ragazza signora Lockwood. Vanessa”, ammette fiero con le mani in tasca.
“E’ davvero bella. Complimenti Rob.. tanto piacere signorina Pattinson!”, snocciolò quella guardandomi e facendomi una carezza sorridendo per il nome affibbiatomi.
Sorrisi e con me anche Rob.
“Piacere mio!”, le dissi alzandomi.
“E’ davvero una bella ragazza mio caro. Tienitela stretta..”, le suggerisce la signora facendomi arrossire mentre lui mi cinge i fianchi tirandomi a sé.
Lui sorride e annuisce divertito. “E chi se la lascia scappare?”.
Io quasi muoio da quei complimenti, troppi complimenti a cui non sono abituata.
Poi lo sguardo di Rob si avvicina incuriosito a quel bambino semi nascosto.
“Mi scusi signora Lockwood, ma se posso permettermi, questo bambino chi è?”, chiede Rob interessato e illuminato dagli occhi del bambino.
“Lui?”, chiede la donna portandoselo davanti a sé. “Lui è George, il figlio di Lucas, il mio solo e unico nipotino al momento!”, dichiarò allargando le labbra a mo’ di sorrisone strafelice.
Robert strabuzzò gli occhi. “Il figlio di Lucas?”, chiede indicando il bambino.
“Si, si. Lucas ha avuto un figlio con Virginia, ricordi Virginia? Ti avevamo invitato al matrimonio..”, fece la signora dispiaciuta “E comunque questo è il primo, sta per arrivare il secondo!” rivelò la signora con occhi sfavillanti all’idea. Rob strabuzzò ancora gli occhi spalancando un sorriso.
“Oh, beh allora auguri!”, disse lui non trovando altre parole.
“Beh, io ora vado Robert. E’ stato un piacere rivederti”, disse la signora sporgendosi verso di lui per salutarlo. Rob si abbassa.
“Anche per me è stato un vero piacere rivederla..”, ammette Rob salutandola, poi la signora si dirige verso di me.
“E’ stato un piacere anche conoscere la tua nuova ragazza”. Io sorrido e arrossisco a quel la tua nuova ragazza.
Mi dà un bacio e va via col nipotino per mano. Io li seguo con lo sguardo finché non li vedo sparire tra la folla, per poi girarmi e incontrare i suoi occhi che mi guardano sorridenti e maliziosi.
“Che c’è?”, sbotto sorridendo pensando di avere qualcosa nei denti o da qualche altra parte. Cerco di strofinarmi alla cieca.
“La solita paranoica eh?”.
“E certo, se tu mi guardi in quel modo!”
Sorride ancora più allegramente mentre ci incamminiamo verso l’uscita.
“Stavo pensando..”, dice guardando davanti a sé mentre ha un braccio sulla mia spalla. “Che dobbiamo mettere in cantiere un figlio!”
Mi fermai di botto e lo guardai. Stava dicendo sul serio?
Lui esplode nella sua solita risata guardando la mia faccia perplessa.
“Si, penso sia arrivata l’ora!”

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Capitolo 17
*** 16. Senza te. ***


Mi dispiace per l'attesa. Ecco ciò che è uscito dalla mia mente dopo una lunga estate caldissima senza uno straccio d’ispirazione.
I neuroni sono andati in fumo da un bel po’ e questo è ciò che è nato.
Spero che il risultato vi piaccia..
Fatemi sapere!
 
Kiss.

 

 
“Oh mio Dio sei proprio cotta Van!”, fece Giorgia guardandomi in viso e ridendo come una matta con le altre.
“E ti credo Giò! Cioè ma hai visto con chi sta? Non so come non faccia ad essere gelosa, cavolo. Mezza terra gli va dietro e ci sono anche io compresa nel mezzo, eh!”, continuò Cecilia ghignando mentre sorseggiava la sua limonata che le avrei volentieri ficcato in gola con tutto il bicchiere.
Che idea malsana avevo avuto, o meglio AVEVA AVUTO Giò, di invitare le altre per tirarmi su.
E io che mi fidavo anche di lei!
Bah!
“La volete finire di parlare sempre e solo di me? cioè delle vostre vite niente proprio?”, feci per cambiare discorso.
E ora eravamo in un bar a strafogarci con quei drink e con la mia irritazione alle stelle per la presenza di quelle oche.
Cioè, oltre a me e a Giò nessuno sapeva che stavo con Rob, vero?
Lanciai un occhiataccia a Giorgia che mi guardò come un cane bastonato.
L’avrei uccisa se sarei venuta a scoprire il contrario, giuro, altro che migliore amica poi. L’avrei recisa con le mie stesse mani.
“Macchè! Sei tu la diva. Le nostre vite non sono niente in confronto alla tua”.
“Ma quale diva, non sono nessuna diva io”.
“Seh, seh! Qualche volta dovrai invitarci per farci vedere la tua routine..”
Piuttosto mi sarei tagliata un arto invece di invitarle. Non risposi.
“Non puoi tenerti Pattinson tutto per te. Tanto non avete nessuna storia, giusto?”
Stavo andando in ebollizione. Se Cecilia non avrebbe finito di parlare gli avrei ficcato tutta la brocca di limonata in gola.
E non è detto che gliel’avrei versato nel bicchiere.
“Io non ci vedo granchè in quel ragazzo. Su dai ragazze ammettiamolo è uno stupido fighetto dai capelli bronzei e la faccia da scemo. Solo perché è l’attore del momento ci andate dietro. Suvvia…”. Eleonora era di diritto entrata nella lista nera delle persone da eliminare perennemente dalla mia vita.
Mi infiammai all’istante, cercando di non strozzarmi con quella cavolo di granita al limone che stavo ingurgitando.
Ma d’altro canto sapevo benissimo che era un piano studiato a tavolino da quelle arpie per farmi tirar fuori qualche commento/parossismo/rivelazione o complimento verso quel londinese di cui ero amica. Si, amica.
Quando sarebbero passati quei due mesi? Mi chiedevo irritata.
“Ah, Ely mi sa che hai toccato un nervo scoperto. Si è incavolata di brutto ora”, notò Rebecca indicandomi.
“Ma che ci posso fare se non mi piace scusa? Non sto mica criticando lei!”, fece quella indifferente alla cosa.
Eleonora: colpita e affondata. Ecco la scritta che mi appariva in testa, non che le altre fossero da meno.
 
Non risposi.
Piuttosto che rispondere al loro gioco mi sarei mozzata la lingua.
Accavallai le gambe e spostai lo sguardo esasperato su delle ragazze, dall’altra parte della stanza,che non facevano altro che fissarmi.
Ecco pure questa ci voleva, ritornai a guardare quell’ammasso di ghiaccio nel bicchiere appoggiandomi allo schienale della sedia.
 
Guardai fuori. Almeno non c’erano paparazzi a infastidirmi.
E lui?
Lui dov’era in questo momento? Che stava facendo? Stava girando qualche scena o era in pausa? E se era in pausa perché non chiamava?
Mille domande mi frullavano in testa mentre intorno a me creavo una bolla di solitudine non ascoltando più nulla.
Guardai l’orologio malinconica facendo un rapido calcolo mentale del fuso.
Sei ore in meno e qui erano le 16.30 quindi non era tanto presto in fondo.
Dio mio come mi mancava.
Da quando ero partita mi ero sentita vuota, come se avessi perso un pezzo di me.
Con la sua partenza, dopo essere venuto qui, aveva portato via con se quasi tutto di me.
Mi sentivo vuota, completamente inerme, priva di vita, spolpata.
Mi aveva portato via tutto.
Il mio cuore, il mio cervello, e tutto il resto.
Sentirlo per telefono o vederlo su Skype non mi bastava più, lo volevo vicino a me, con me.
E non erano passate nemmeno due settimane.
Maledetta me e la mia idea malsana di passare due mesi con i miei. Mai più, giurai a me stessa.
 
“Cioè ma la guardate?! Ti mancano solo gli occhi a cuoricino guarda..” sbottò Cecilia al mio fianco dandomi una gomitata all’altezza del fianco.
“Non se la beve più nessuno che tra te e quel Pattinson non ci sia nulla!”, cantilenò. “Dai, togliti questo peso, dicci la verità, lo sai che ti siamo amiche..”, continuò quella cercando di persuadermi a dirle tutto.
Amiche? Megere semmai.. ma l’aveva omesso.
“Siamo solo amici e basta!” sbottai irritata da tanta insistenza.
La gente non faceva altro che ficcare il naso negli affari degli altri. Che subdoli. Che gliene fregava a loro se due persone stavano insieme oppure no dico io.
Perché tanto interesse proprio non riuscivo a spiegarmelo.
Scoppiarono a ridere.
“Oh Ely, guarda lì! C’è un asino che vola..”, indicò Cecilia alle altre burlandomi.
Ma che razza di amiche, o meglio conoscenti avevo? Dio mio!
Mi passai una mano tra i capelli nervosa al massimo.
Volevo andarmene e trucidare Giorgia che mi aveva condotto in questa trappola infernale.
Chiusi gli occhi, reprimendo la voglia di farle seriamente del male.
“E allora quel bacio a Londra? Come ce lo spieghi, eh? Avevi perso qualcosa nella sua bocca o lui aveva perso qualcosa nella tua? Com’è la storia?”, mi chiese la spudorata appoggiando i gomiti sul tavolo e il mento sul palmo delle mani incrociate.
Sei paia di occhi mi guardavano attendendo una risposta mentre io bruciavo di vergogna sotto i loro occhi.
Giorgia sapeva già tutto ma partecipava alla messa in scena irritandomi per davvero.
Uffa. Uffa. Uffa.
“L’avete finita di impicciarvi dei fatti miei e di ciarlare come delle vecchie comare? Manco mia nonna fa così ormai”, dissi seriamente scocciata e rossa in viso. “Mi state seriamente stancando con il vostro scavare nei fatti altrui”. Dissi incrociando le braccia al petto.
 
Love is forever
And we'll die, we'll die together
And lie, I say never
'Cause our love could be forever
..(Muse)
 
Ecco lo squillo del telefono che mi salvò dalla ghigliottina finale.
“Oh, oh chi sarà?! Robert? Robert? Robert?”, incominciò Ely sporgendosi verso la borsa dove cercavo di ripescare quel maledetto aggeggio parlante.
“Ma dove..” farfugliavo cercando di seguire la luce lampeggiante all’interno della borsa.
Ma perché non riuscivo mai a trovarlo? E che cavolo..
Svuotai l’intera borsa sul tavolino, facendo uscire la maggior parte delle cose compreso il braccialetto che ci eravamo scambiati con Rob a San Valentino, e che mi ero dovuta togliere per cause di forza maggiore.
Lo arraffai prima che i loro sguardi ci si posassero sopra in modo da non creare infiniti interrogatori, e lo rificcai velocemente in borsa prendendo al suo posto, al volo, quell’affare infernale che mi stava dando seriamente ai nervi.
“Pronto?”, risposi quasi urlando.
“Sono io!”, rispose allarmato quella voce familiare che mi sciolse il cuore.
Mi alzai e tappandomi un orecchio per non sentire le chiacchiere delle ragazze e uscii fuori dal locale, sperando di non essere disturbata.
“Amore, scusa tanto, ma c’era casino dentro.. non volevo urlarti contro”.
“Non preoccuparti. Dove sei?”, chiese impaziente.
“In un locale, contro la mia volontà credimi..”, dissi guardando all’interno del locale per accertarmi che le ragazze fossero dentro e che non mi avessero seguita.
“Sei con delle ragazze vero? Non c’è niente sotto?!”, chiese sarcastico.
“Più che altro megere”, dissi pronunciando l’ultima parola a bassa voce. “Non ti tradirei mai lo sai. Non è che stai diventando come me ora Rob?”.
“Mmh.. mi sa che la lontananza ha i suoi effetti negativi”.
“Mi manchi..”, esplosi tutta d’un fiato e controvoglia. Non volevo farlo stare male. Mi tappai d’istinto la bocca.
“Anche tu, ma non c’è bisogno che te lo dica credo, ti peggiorerei le cose e non voglio”, rispose malinconico facendomi sgorgare qualche lacrima e portando la mia voce alla tremarella. Se ne accorse.
“Amore, non fare così. Lo sai che ti vorrei qui con me..”
“Non sto piangendo”, mentii tirando su col naso e asciugandomi quelle stupide lacrime.
Feci un lungo respiro attendendo un parola  di vita dall’altra parte.
“Che fai?”, chiesi per sviare il dolore che mi assaliva.
“Sono in pausa e ho pensato di chiamarti un po’”.
Lo sentii boccheggiare e poi respirare, misi un braccio sul fianco come se fossi lì accanto a lui.
“Stai fumando per caso?”, chiesi inacidita.
“Dove sei?”, chiese fintamente agitato, immaginavo guardandosi intorno.
“Lo sapevo! Giuro che ti lascio sul serio se non la smetti. Cazzo. Mi dai sui nervi a volte!”, esplosi digrignando i denti e minacciandolo fintamente.
Non ce l’avrei mai fatta a lasciarlo per così poco, anche se mi avessero costretta.
Rise e pregustavo già il suo sorriso immaginandolo.
Quella schiera di denti bianchi farsi strada tra le labbra e uscire fuori allo scoperto solo per me, per causa mia.
Un brivido mi percorse la schiena.
“Amore, ora devo andare. Le riprese ricominciano”, riferii dispiaciuto facendomi cadere nella disperazione.
“Ok..”, sbiascicai afflitta più che mai.
“Ti richiamo presto. Ti amo”.
“Anch’io”. Risposi inalando l’ultimo respiro di gioia. Si riiniziava.
Guardai sconsolata lo schermo del telefono lampeggiare riportandomi il suo nome “Robert”, modificato a causa della segretezza, nella mia mente.
Un altro mese. Incoraggiavo a me stessa. Un altro mese e la tortura è finita.
Presi il telefono e lo ficcai in tasca depositandoci insieme anche il cuore.
 
Rientrai dentro a malincuore, e vidi sui volti delle ragazze un gongolamento generale determinato da qualche possibile pettegolezzo che avrei potuto donargli o che avrebbero potuto captare dalla mia espressione, un po’ migliorata, ma la stessa di prima.
“Allora?”, chiese Cecilia in trepidazione.
Guardai l’orologio. “60 minuti!”. Scoppiarono tutte a ridere tranne la mittente della domanda che mi guardava in cagnesco.
Mi avvicinai a Giò, che nel frattempo aveva tenuto la mia borsa.
Mi accomodai vicino a lei con Cecilia al mio fianco che non faceva che trivellarmi di domande su Rob, su me e su noi due, ipotizzando che secondo lei, io non dicevo tutta la verità e che solo amicizia tra me e Pattinson, come lo chiamava lei, non poteva esistere.
Io noncurante fingevo di ascoltarla chiudendomi nella mia bolla personale.
Chissà faceva Rob. Era la mia domanda ricorrente.
Chissà se anche io entravo nei suoi pensieri furtivamente come lui faceva con me, era una cosa che non gli avevo mai chiesto e che dovevo chiedergli.
 
Le ragazze continuarono a parlare senza curarsi della mia noncuranza mentre io ero mentalmente fuori.
Una donna mi chiese una foto insieme alla figlia, non mi rifiutai per non offenderla, ma non ero una diva, ci tenni a precisare, e lo stesso dovetti dire alla padrona del locale che insisti tanto nella stessa cosa, e alla precisazione: “ Non sono nessuno!”.
Lei mi rispose con un: “Ora che stai con un divo lo sei mia cara, lo sei!” adornato da un gran sorrisone.
“Io e Rob siamo solo amici!”, dissi io a testa bassa.
Lei non rispose, mi ripresentò lo stesso sorrisone di prima con una vaga espressione di chi la dice lunga sul crederci.
Ormai nessuno ci credeva era chiaro, cristallino.
Pagai la mia consumazione per ultima e filai via insieme alle ragazze e sotto quel caldo torrido che mi scioglieva in piena.
Piuttosto insolito per il mese di Maggio.
 
“Scusa?”. Una voce maschile possente e dolce riecheggiò tra i miei pensieri facendomi ancor di più rallentare e allontanare dalle altre mentre cercavo invano di ricacciare in dentro il portafoglio.
Mi voltai di botto per scoprire chi fosse e scoprire chi fosse l’ennesimo scocciatore che mi disturbava.
Un ragazzo alto, dalla corporatura atletica e i capelli nero corvino con gli occhi verde chiaro mi si parò davanti.
Le mie amiche restarono senza fiato e i loro ormoni partirono a mille, davanti a quella che secondo loro era una visione, potevo vedere distintamente i loro occhi farsi a forma di cuoricino, anche da lontano, mentre io ero rimasta impassibile e tranquilla. Avevo già avuto la mia visione.
“Ciao. Non ho potuto fare a meno di notarti dall’altra parte della sala prima. Sei davvero incantevole”.
Strabuzzai gli occhi guardandomi intorno. Ma con chi stava parlando?
Si mise una mano tra i capelli sperando di avere qualche effetto sulla sottoscritta, ma gli ormoni e la temperatura corporea restarono al loro posto.
“Vedo che non sei consapevole del fascino che hai..”, dedusse
“Non ho nessun fascino..”
“Eh come se ce l’hai!”, disse guardandomi da capo a piedi come un predatore con la preda. “Comunque mi chiedevo se ti andasse di incontrarci qualche volta, vorrei conoscerti meglio ecco tutto..”, fece quello imbarazzato da quella dichiarazione avvicinandosi di più a me.
Poi un flash proveniente dal lato destro della strada entrò d’un tratto nella mia visuale allarmandomi ancor di più.
Cazzo! Un paparazzo.
Presi il ragazzo per mano, senza sapere il suo nome, senza sapere chi era e lo trascinai con me con me sotto gli occhi inermi delle mie amiche sconcertate e sotto il suo sguardo allibito e confuso di chi non ci sta capendo nulla, trascinandolo con me in un portone che si stava aprendo in quel momento.
Entrai e mi chiusi la porta alle spalle.
Sapevo che il mio gesto era stato troppo avventato, che motivo c’era di scappare iin quel modo davanti a un paparazzo?
Tutto per evitare un danno che speravo non arrivasse e che invece l’indomani sarebbe arrivato come una tzunami travolgendomi del tutto.
La reazione di Rob? Oh mio Dio non l’avevo calcolata minimamente.
Mi misi una mano tra i capelli stravolta. Ero nei guai, nei guai fino al collo. Quel paparazzo avrebbe messo in giro quelle foto in un paio di ore e l’indomani, di sicuro, sarebbero finte sui giornali con un titolo eclatante, interpretando il tutto come un tradimento.
Io e Rob non avevamo mai rivelato di stare insieme, era vero, ma ormai anche se implicitamente, tutti immaginavano cosa c’era tra noi. Non solo alchimia o amicizia, ma qualcosa di più.
Ma non era degli altri che mi importava, non era quell’aspetto che mi interessava del guaio commesso, ma bensì la sua faccia, la sua espressione se non gli avessi spiegato nulla, se avrei lasciato che lo scoprisse da solo.
Dovevo chiamarlo.
O almeno questa era la mia intenzione prima che due occhi davanti a me mi guardassero perplesso.
Cavolo persa tra i miei pensieri avevo dimenticato che la causa dei miei problemi al momento era lì davanti a me.
Maledizione a lui.
“Ehm scusa..”, iniziai cercando di trovare le parole adatte. “se ti ho trascinato via così, non era nei miei programmi credimi”.
“Non preoccuparti”, rispose quello comprensivo e meno perplesso.
“Vorrei chiarirti che comunque non sono un mostro eh!”
Rise. “Non c’ho pensato davvero!”, risi di rimando con un nervosismo a fior di pelle.
“E che da quando..”, mi bloccai davanti a quello che stavo per dire. Non conoscevo quella persona da rivelargli una cosa simile. “Sono amica con Robert Pattinson..”, lasciai intendere sperando non capisse sul serio il sotterfugio sotto la parola amica. “Sono sempre inseguita da quei mostri succhia vita!”, dissi grignando quasi.
Quello strabuzzò gli occhi.
“Cioè tu sei l’amica di quel Robert Pattinson?!”, chiese incredulo indicandomi.
“Eccomi qui!”, dissi cercando di sembrare sarcastica mentre con la coda dell’occhio sbirciavo che quel terrore fuori se ne fosse andato. Niente da fare era ancora lì fuori. Maledizione,
Mi rivolsi di nuovo al mio amico prigioniero.
“Comunque piacere Vanessa!”, dissi porgendogli la mano in modo amichevole.
“Eh lo so chi sei! Comunque piacere Diego.”
Continuavo a guardare il telefono, indecisa se chiamarlo o meno. Ma a quanto aveva detto era sul set. Come facevo?
“State insieme?”, s’intromise quello avendo la sfacciataggine di chiedermelo. Era così evidente?
Lo guardai con espressione vaga, nessuno mai me lo aveva chiesto direttamente. Almeno non a me. mi stravolse quella domanda, tutti quelli che conoscevo avevano sempre dedotto la verità senza che io la rivelassi esplicitamente, io dibattevo sul fatto che non fosse vero, ma loro non mi calcolavano e quindi non mi ero mai posta il problema. Ora che dovevo rispondere?
“Te lo si legge in faccia. Non puoi dire di no!” mi minacciò amichevole nonostante non lo conoscessi.
Quindi eccolo il mio problema: la mia faccia rivelava troppo.
Abbassai il viso rossa di vergogna da quella non-rivelazione-esplicita-ma-vera.
“Ecco, vedi!”, disse sbirciando anche lui fuori ora.
“Tu dici?”, chiesi d’un fiato.
“Sì che dico! Te lo si legge in faccia. Al suo nome i tuoi occhi brillano e diventi rossa come un peperone. Sono i sintomi dell’amore”. Decretò appoggiandosi al muro di spalle a braccia incrociate mentre mi fissava.
Nonostante non lo conoscessi, aveva qualcosa, quel qualcosa negli occhi che m’ispirava fiducia. Mi fidavo di lui come se lo conoscessi da sempre e sapevo che quel segreto non sarebbe mai uscito da quelle mura. Era come stare al sicuro, mi sentivo protetta in qualche modo.
Gli sorrisi.
Mi rigirai quell’arnese tra le mani torturando il mio cervello se era giusto chiamarlo o no in quel momento.
Si sarebbe allarmato?
Maledetta sfiga che dovevo fare.
Mi ero concessa una sola uscita da quando ero rientrata ed ecco cos’era successo ora.
Sbuffai spazientita da quell’uomo che dal di fuori non accennava ad andarsene, ero imprigionata.
Mi passai una mano tra i capelli quando me li avrei più volentieri strappati.
Diego mi guardò preoccupato.
“Che hai?”, chiese cercando di capirmi.
“Ho paura di quello che potrebbe succedere domani”, ammisi appoggiando la testa al muro.
“Cioè nel senso delle foto che ha scattato quello lì?”, disse indicandolo.
Annui. “La mia vita è vincolata ormai”. Guardai di nuovo il cellulare in attesa di una decisione che non arrivava. Lui lo notò.
“Chiamalo”, suggerii vedendomi in quello stato.
“Non so sta girando, io..”
“Insomma vuoi che lo scopra dai giornali o dalla tv?”, sbottò cercando di aiutarmi.
Era incredibile come quel ragazzo che conoscevo appena cercasse di volere il mio bene.
“Ti conosco appena sai, e forse se non fosse stato per te non mi troverei in questa situazione ora, ma ti ringrazio, perché pur non conoscendomi mi stai aiutando.
Grazie mille”.
Lui assunse un leggero colore rosso porpora e sorriso imbarazzato.
“Beh, non ce di che..”.
Mi allontanai da lui pronta a digitare il suo numero e pronta ad ascoltare ogni sua inevitabile reazione.
 
Tuu. Tuu. Tuu. Tuu.
 
Quattro squilli e nessuna risposta.
Immaginavo il mio nome RobEssa- messo appositamente da me-  girare a vuoto sullo schermo.
Probabilmente aveva lasciato il cellulare in roulotte come al solito quando girava.
 
Tuu. Tuu. Tuu.
 
Ancora nulla. Decisi di chiudere. Non valeva la pena restare a sentire l’eco dell’ansia legata a una cornetta, quando una voce affannata dall’altra parte mi risvegliò.
“Van?”, domandò una voce simile al miele,
“Amore, sono io.”, dissi inevitabilmente come una scema.
Lo sapeva che ero io, naturale.
“Ti ho disturbato?”, dissi con un filo di voce.
“No, cioè sono rientrato un attimo per una cosa.. senti che succede?”, disse avvertendo una certa tensione nella mia voce.
Oltre al viso avevo anche la voce “evidente”.
Ero tutta evidente!
“Niente..”, cercai di mentire non se la bevve.
“Ok Rob ascolta. Prima ero in un locale, lo sapevi, mi hai chiamato tu un paio di ore fa”, cercavo di tergiversare, di allungare il brodo per buttargli la cosa poi su un piatto d’argento. Ma mica l’avevo tradito alla fine, no?
Ero scappata con un ragazzo, era vero, ma per nascondermi da quell’avvoltoio nulla di più.
“Ok, senti Rob, mi ha fotografata un paparazzo mentre uscivo dal locale e parlavo con un ragazzo. Appena l’ho visto scattare foto però sono fuggita per evitare danni, ma mi sa che ne ho combinato molti di più dato che il ragazzo è venuto con me”.  mormorai tutta d’un fiato, più a me che a lui.
Dall’altra parte silenzio accentuato da vari respiri ripetuti.
“Ora dove sei?”. La sua voce era amorfa, priva di emozioni.
“Sono rifugiata in un portone dato che il paparazzo è ancora lì fuori”. Dissi titubante non sentendo nessuna risposta. “Amore, ascoltami, mi dispiace di averti disturbato. Ma non volevo che domani ti trovassi davanti delle foto di cui non sapevi nulla. Sei dall’altra parte del mondo e avresti potuto pensare..”
“Non lo penserei mai..”, s’intromise immaginando ciò che stavo per dirgli. “ E poi ti avrei chiesto spiegazioni.. non avrei dato in escandescenza come una certa persona di mia conoscenza sai..”, mi accusò ridendo.
Certo a volta ero gelosa, lo ammettevo anch’io, davo in escandescenze come una pazza se vedevo qualche foto insieme a qualcun’altra, pure se era una fan, non mi interessava, mi urtava terribilmente vedere un essere del suo sesso opposto accanto a lui, ma avevo pur sempre ragione dico io, era o non era l’uomo tra i più sexy dell’anno? e gli avvoltoi non esitavano a venirgli intorno.. era chiaro.
M’imbronciai non rispondendo alla sua accusa.
Lui lo percepì.
“Dai Van, stavo scherzando.. lo sai che so quando ci tieni a me”.
“Si come no..”
“Ok, allora domani alla vista di quelle foto andrò di matto..”, continuò ridendo.
Lo seguii.
“Ti amo..”, sussurrò alla cornetta, “e sono gelosissimo di te, già il fatto che sei dentro ad un portone con un ragazzo mi sta portando al delirio”.
Mi rallegrai.
Non che fossi felice del suo delirio, ma ero contenta che almeno in qualche modo lui era geloso di me.
Significava che ci teneva, insomma, che mi amava.
“Ti amo anch’io” risposi di rimando diventando rossa in viso.

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Capitolo 18
*** 17. Baci, Abbracci & tante coccole. ***


Ed ecco sfornato un altro bel capitoletto per la mia storiella.
Questo mi soddisfa un po' più del precedente.
Comunque mi piacerebbe leggere le vostre opinioni a riguardo, come sempre.
Ora vi lascio augurandovi una buona lettura.

Baci..



 

“Hai preso tutto?”, chiesi per l’ennesima volta a Rob che era intento a caricare le ultime valigie in macchina prima di andarcene.
I due mesi insieme ai miei erano stati fantastici, ma anche faticosi e stressanti con tutti quei paparazzi che ormai avevano iniziato ad abitare le mie giornate senza Rob. Me l’aveva detto.
Era vero, verissimo. Stare con lui non era facile, specie in quelle condizioni di Grande fratello perenne.
E io tra l’altro odiavo il Grande fratello!
A ogni passo, ogni movimento qualcuno scattava foto, da lì nascevano storie su storie, uno qui a controllare me ad ogni mia uscita, che fossi con o senza trucco , che fossi con o senza qualcuno poco importava, e qualcun altro a controllare Rob facendo nascere vive e funesti gelosie in me.
Come la volta in cui sul set arrivò a trovarlo Camille, la sua amica Camille Belle, della quale mi irritava anche solo il nome e la gelosia? Beh arrivò alle stelle!
Lui non mi aveva detto nulla di quella visita per non ridestare in me alcun movimento funesto e conclusioni affrettate, ma ad informarmi c’erano stati i paparazzi con le loro foto della coppietta felice e sorridente che fuoriusciva da un pub del luogo a farmi andare davvero fuori di matto per l’ennesima volta con Rob, che cercava di spiegarmi le cose in tutti i modi.
E di nuovo dovetti scusarmi.
E poi con quei paparazzi intorno non riuscivo a stare calma, più cercavo di farlo e più tale situazione mi irritava terribilmente.
Chi cavolo ero io? Kristen Stewart, Ashley Greene o Nikki Reed per caso.. maledizione!
La cosa mi dava ancora più ai nervi nel ripensarci.
Più volte Kris mi aveva dato qualche consiglio riguardo a quegli impiccioni, ma non riuscivo ad ignorarli come mi premettevo di fare in realtà.
Andavo sempre più in escandescenza, anche se non lo davo a notare.
Una volta ce ne fu uno che mi segui persino in un camerino di un negozio e la cosa fece andare su tutte le furie Rob, che non tollerava un simile comportamento nei confronti di una sua.. ehm.. amica.
Inoltre la nostra relazione era stata messa a dura prova durante la lontananza, scatenando piccoli litigi e gelosie da entrambi.
In modo più accentuato da parte mia, comunque. Come sempre.
E poi a dir la verità quei due mesi senza il mio Rob non avevano fatto altro che darmi il colpo di grazia.
Mi mancava in maniera terribile e sentirlo per telefono o per Skype non mi bastava più, e infatti dopo averlo rivisto a sorpresa davanti ai miei occhi dopo quell’esilio durato due mesi, aveva scatenato in me una gioia pazzesca tanto che mi scaraventai addosso facendolo cadere.
Le nostre labbra s’incontrano ancor prima dei nostri sguardi e fu un bacio al di fuori di me e di lui, fuori dalla normalità.
Era pieno di passione e fervore e il che mi mandò in estasi profonda, mandando in fuoco definitivamente il mio cuore malato, quando dopo tanto tempo le sue mani tornarono ad afferrare i miei fianchi con decisione.
Mia madre aveva accettato la mia scelta, da sempre, da quando Rob era entrato a far parte della mia vita, anche se ogni volta il distacco era comunque difficile anche per lei, lo potevo vedere distintamente attraverso i suoi occhi verdi.
“Mamma, non ti devi preoccupare!”, continuavo a ripetere come un ebete cercando di non piangere. “Ritorno presto, insomma, non sto mica morendo!”, feci sarcastica per risollevarle il morale. “Ora andremo per un paio di settimane a Los Angeles, a casa di Rob, e tu lo sai che puoi venirci a trovare quando vuoi”, ribadii cercando fintamente di persuaderla. “E poi ritorno qui, promesso!”.
Speravo non lo facesse, almeno che non venisse al momento. Ne sarebbe stata capace, credo!
Anche Giorgia si era presentata quel giorno creando davanti casa un corteo di gente non indifferente insieme ad alcune fan insistenti.
L’amica delle mie giornate tra un paparazzo e l’altro, quella che mi aveva tenuto compagnia per tutto quel tempo riportandomi alla luce quando non avevo alcuna voglia di farlo. Era lì, di fronte a me a braccia incrociate immersa in chissà quali pensieri dopo aver dato una bella occhiata a Rob con tanto di occhi in formato cuoricino. L’avevo subito ammonita con uno sguardo degno di Victoria in Eclipse: assassino.
La mia migliore amica c’era anche stavolta.
L’abbracciai forte mentre le mie lacrime non accennavano a smettere nemmeno per un secondo.
Erano un fiume in piena. Rob, appoggiato alla macchina mi guardava incoraggiante. Roba da svenimento assicurato.
Ma come faceva diamine?
Anche in una situazione così banale a scatenarmi un fuoco dentro con un semplice gesto? Era una cosa che non riuscivo ancora a spiegarmi.
Menomale che non c’erano paparazzi in giro, quel giorno non gli avrei sopportati.
Intanto un messaggio fece squillare il mio telefono facendomi trasalire. Avevo dimenticato di averlo in tasca.
“Ciao sis, mi dispiace non essere lì con te oggi, magari per conoscere anche Rob! XD
Avrei tanto voluto abbracciarti e salutarti come si deve, ma purtroppo non posso!
Sei già partita? Come procede il viaggio? Tutto bene?
Avvisami quando arrivi, ci tengo..
Un bacione sis, ti voglio un mondo di bene! <3”
Era Roby, la mia Roby.
La ragazza che avevo conosciuto durante il periodo di vacanze tramite quel social network a cui mi ero iscritta: facebook.
Eravamo subito entrate in sintonia, anche se non mi ero presentata con il mio vero nome.
Sarebbe stato un delirio: frecciatine, insulti, mi sarebbero bastate ad abbassarmi l’autostima più di quanto già non fosse.
Lo immaginavo.
Intanto avevo voglia di conoscere gente nuova, era per questo che mi ero iscritta sotto consiglio della mia Giò.
Le persone mi avrebbero conosciuto per ciò che ero, e non per chi stavo e mi bastava questo.
Il mio nome non avrebbe destato alcun sospetto dato che molte Twilighters lo usavano.
Vanessa Cullen.
Sarei passata inosservata, come una twilighter innamorata totalmente e incondizionatamente di quella favola chiamata Twilight. Nulla di più.
Mi sarebbe piaciuto Robert dal punto di vista di una fan, la quale ero ovviamente, ma in modo un po’ più distaccato almeno così avrei dovuto far credere.
Avrei dovuto far finta di non aver mai sfiorato la sua pelle, di non aver mai visto i suoi occhi azzurri da vicino, di non aver mai unito le mie labbra alle sue e avrei dovuto sorbirmi ogni “Oh mio Dio, com’è bono! Oh mio Dio, com’è bello!”.
Ci avevo faticato, sul serio, nonostante il tutto mi desse tremendamente fastidio.
E poi avevo incontrato lei, colei che da un paio di mesi era diventata per me come una sorella.
Avevamo un sacco di cose in comune e ci eravamo conosciute grazie alla passione per Twilight e per Robert, nonostante lei non sapesse chi fossi in realtà, almeno fino a un po’ di tempo prima.
Avevamo molti gusti in comune, oltre alla saga ed era piacevole chiacchierare con lei anche se da dietro uno schermo e senza averla mai vista da vicino.
Non credevo potesse nascere un amicizia simile sul web.
Non l’avevo mai provato sulla mia pelle prima di quella esperienza, ma iniziai a volerle bene pur non conoscendola e imparai a conoscerla per ciò che era realmente, così come lei fece con me, scopri la bella persona che era interiormente e arrivai a fidarmi di lei completamente tanto da confidarle il mio segreto.
All’inizio non mi prese sul serio, credeva stessi scherzando, reazione abbastanza comprensibile credo e dovetti scendere a varie prove per farle capire che dicevo sul serio, infine le mandai una foto autografata da Rob sotto mia richiesta con il suo nome e una dedica tutta per lei.
Ed ecco svelato il mio segreto.
Rob indicò l’orologio impaziente sempre cercando di non disturbarmi venne verso di me.
“L’aereo parte tra due ore, dobbiamo andare se non vogliamo perdere il volo”, mi sussurrò all’orecchio facendomi rizzare i capelli sulla nuca.
Sbiascicai un sì affaticato e lui sorrise tornando alla vecchia postazione, vicino la macchina.
Salutai di nuovo tutti e mi fiondai sul sedile, lanciando la borsa sui sedili posteriori e cercando di non guardarmi indietro, sarebbe stato ancora più tragica la cosa .
Per tutto il viaggio verso Lamezia non fece altro che guardarmi e sorridere e io di guardarlo, arrossire violentemente e abbassare lo sguardo come se non l’avessi mai visto prima di allora.
Ero completamente degenerata!
“Che hai?”, chiesi sforzandomi di restare sveglia nonostante l’ondeggiare dell’auto sull’asfalto mi inducesse a fare il contrario.
“E’ impossibile come tu sia ancora innamorata di me in questo modo!”. Aveva gli occhi fissi sulla strada e sorrideva. “Sembra tanto che ti sei appena riinnamorata di me: sorridi, arrossisci e abbassi lo sguardo come le prime volte in cui ci incontrammo..”, dedusse.
“Io mi innamoro nuovamente di te ogni volta che ti vedo, e quando si ci mette la lontananza è ancora peggio!”, ammisi smielata.
Era sempre così ogni volta che lo rivedevo dopo tanto tempo, cioè lo ero già di mio, ma la mancanza incideva parecchio facendomi sembrare davvero una bambina alla sua prima cotta.
Dovevo sembrargli stupida. Tanto stupida. Mi passai una mano tra i capelli nervosa e irritata dal mio comportamento.
“Anch’io ti amo come se fosse sempre la prima volta.. sempre”. Ammise regalandomi uno dei suoi sguardi spassionati e poggiando la sua mano sulla mia e incrociandola a sé in un unione indissolubile. Il contatto con la sua pelle mi fece venire i brividi. Lui mi accarezzò con il palmo e sciolse la presa dirigendosi verso l’interruttore dell’aria condizionata credendo che avessi freddo. La ripresi violentemente e la saldai bene nella mia mano per evitare ogni altra scappatella.
“Avevo dimenticato questo particolare”.
“Significa che sono rimasta lontano da te troppo a lungo allora”.
“Esattamente! Quindi ora ci mettiamo sotto con le ripetizioni, non vorrei arrivare impreparato all’esame!”, rispose ammiccando mentre io lo guardavo interrogativa.
“Quale…?”
“Il matrimonio”, rispose intuendo la mia domanda sciocca e con un sorrisone che mi fermò il cuore.
“Eh già..” risposi non trovando altre parole visto che il tutto mi si era impastato in bocca con salivazione zero.
Lui mi guardò torvo alla vista della mia reazione.
“Sempre che tu voglia sposarmi un giorno..”, chiese con un filo di paura nella voce da una mia eventuale risposta negativa.
Vedere quando lui teneva a me in quel modo mi fece sentire terribilmente piccola e insignificante.
Era incredibile quanto mi amasse mentre io non riuscivo a capirlo e a volte mi mettevo a dubitare anche di lui, come potevo?
Scoppiai a piangere costringendo Rob a fermarsi in una stazione di servizio poco lontana.
Prima che iniziasse a parlare lo zitti mettendogli un dito sulle labbra.
“Non pensare male”. Premessi. “Sto piangendo di gioia. Ogni volta che ti sento parlare, ti vedo guardarmi con quello sguardo che regali solo a me e sento le tue carezze sulla mia pelle mi sento un po’ in colpa”.
Aggrottò le sopraciglia non capendo ciò che stavo dicendo mentre mi carezzava dolcemente la mano che era ancora legata alla mia.
“Ogni volta dubito di te. Dubito del tuo amore, di quanto tu tenga a me e solo ora mi accorgo di quanto in realtà mi sbagli! Ti attacco senza motivo e senza darti possibilità di spiegare a volte quando vedo alcune tue foto con altre ragazze perché penso subito a qualcosa di male”, ammisi tutto d’un fiato. “Mi dispiace!”. Lo guardai negli occhi e mi ci persi completamente.
Lui mi guardava, semplicemente, con un sorriso enorme e amorevole.
Poi con una mano si diresse al mio viso asciugando con un dito una lacrima che stava fuggendo al mio controllo.
Il mio cuore sobbalzò.
“Amore..”, iniziò “Non devi sentirti in colpa. E’ normale essere gelosi, anche io lo sono, anche se non vado in escandescenza come te certo, ma è un modo per farmi capire che ci tieni a me. A volte esageri, è vero, su questo non posso darti torto”, disse alzando le mani in difesa. Sorrisi. “Ma ti amo anche per questo e non puoi farci nulla. E poi diciamoci la verità sei più bella quando sei gelosa!”, disse sfiorandomi il naso con la punta di un dito.
“Ti amo”, sussurrai arrossendo, sempre come una scema.
“Anch’io, e non sai quanto”. Detto questo mi schioccò un bacio spassionato uno di quelli a respiro mozzato da cui non riuscii a staccarmi molto facilmente e nemmeno lui a quanto pare dato che continuava a rimanere aggrappato a me.
Fu una faticaccia staccarsi da lui e da quelle labbra morbide che si muovevano in sincrono con le mie, e con quel “Dobbiamo andare..”, detto da me per giunta mi congedai dalle sue labbra e dal suo abbraccio.
Mi abbandonai al dolce dormire pochi minuti dopo che l’aereo si alzò da terra, stanca per l’alzataccia della mattina precedente, e appoggiai dolcemente la mia testa sulla spalla di Rob che non faceva altro che coccolarmi con una carezza dietro l’altra aiutandomi a conciliare il sonno, e al diavolo i guardoni se c’erano. Non avevo avuto il tempo di guardare, si sarebbero gustati la scena e arrivederci, non avevo alcuna voglia di staccarmi da lui, avrei chiesto a Rob poi..  Avevo chiamato mia madre, come promesso, appena arrivata all’aeroporto prima di partire, prima di spegnere il cellulare e gettarlo in borsa insieme alle altre cose.
Mi persi tutto il panorama del viaggio, e non mi accorsi nemmeno delle ore che passarono dato che a me sembrò di arrivare dopo dieci minuti.
Cosa che non era assolutamente da me, tranne quando mi sentivo tranquilla.
E in quel caso Rob era la mia tranquillità, il mio rifugio felice oltre la quale andare e sentirmi bene per davvero.
Mi svegliò dolcemente tra un sussurro e l’altro poco prima di atterrare con quella voce pari a una cucchiaiata di Nutella.
“Amore, siamo quasi arrivati..” seguito da un bacio sulla fronte.
Strizzai gli occhi e notai di essere nella stessa posizione di quando mi ero addormentata, ero ancora aggrappata al braccio di Rob come ad un ancora. Mi ci levai subito. Ma non per la gente. Non me ne fregava granché, ma con la paura di avergli indolenzito il braccio.
“Scusami”, biascicai spostandomi e stirandomi i muscoli tutti indolenziti in quello spazio ristretto e con la luce abbagliante del sole che mi colpiva gli occhi e mi costringeva a richiuderli a causa della troppa luce. Eravamo partiti che era giorno, e qui era ancora giorno.
Era come rivivere lo stesso giorno due volte.
Rob vedendomi odiare il sole mi passò i suoi Ray Ban che accettai ben volentieri e che mi misi al volo.
“Perché mi hai chiesto scusa?”, chiese passandomeli.
Lo guardai aggrottando le sopracciglia ancora assonnata non ricordando un bel niente.
“Ehm.. per averti indolenzito il braccio credo. Ti ci ho dormito sopra per tutto il tempo”.
“Tutto bene. Non ti devi preoccupare sono ancora vivo”.
Sorrisi ancora mezza assonnata non capendo quasi un cavolo delle parole che sentivo, che era ancora vivo glielo avevo letto nelle labbra mentre lo vedevo massaggiarsi indolenzito l’arto sinistro.
Mi aggiustai meglio sulla poltrona e legai i capelli in coda mentre da fuori il finestrino vedevo il panorama abbassarsi.
Non avevo visto nemmeno una nuvola circondata d’azzurro oggi ma non me ne curavo particolarmente.
L’aeroporto di LAX era vicino.
“Ci ha visti qualcuno?”, chiesi tra uno sbadiglio e un altro coperta dalla mano.
“Tranne, tutta la fila centrale, e cinque ragazze sulla fila destra nessuno ha dato peso alla cosa”. Disse rallegrato quasi, prendendomi con il braccio indolenzito una mano nella sua e alzandola mentre giocherellava con il mio bracciale solleticandomi il polso.
All’arrivo a Los Angeles ci fu un casino assurdo, uno di quelli che non riscontravo da mesi ormai e da cui mi ero persino disabituata.
Ne fui abbastanza infastidita e Rob non era da meno.
Paparazzi che con i loro attrezzi infernali in mano, ci venivano dietro mentre io appena sveglia non ci capivo proprio niente, sentivo solo qualcuno dal davanti che mi trascinava dietro di se con una mano e poi cingendomi i fianchi dato che restavo sempre indietro.
Prendemmo i bagagli e a passi veloci arrivammo all’auto di Rob posteggiata lì davanti con dentro Sam ad aspettarci.
“E che cazzo sempre in mezzo alle scatole stanno!”, sbottò quello irritato nel sol vederli.
“Benvenuto nella mia vita Sam”. Ironizzò sarcastico Rob entrando in macchina.
“E se sapevo che era così da me che ti mollavo..”, fece quello facendo retromarcia mentre Rob gli diede un finto pugno sul braccio. “Come vorrei metterne qualcuno sotto!”.
“Si così ci arrestano tutti e tre”, intervenni io strattonando i miei poveri capelli.
Risero di gusto da quel mio intervento improvviso.
Rob mi mise una mano intorno alla spalla invogliandomi ad entrare tra le sue braccia, non me lo feci ripetere due volte e mi avvinghiai a lui come un polipo.
La mia mano poggiava sul suo petto mentre la mia gamba si era attorcigliata sulle sue gambe mentre lui le carezzava dolcemente.
Gli diedi un bacio nell’incavo del collo, profumava di menta e di lavanda, odori che su di lui si espandevano benissimo, per poi poggiare ad occhi chiusi la mia testa sulla sua spalla ormai mia vittima in tutti i sensi.
Lui ricambiò baciandomi i capelli e carezzandomi il braccio.
“Allora quanto dista questa casa che hai comprato Rob?”, chiesi in preda di nuovo a Morfeo.
“Un po’, ma la vista è magnifica.. sono sicuro che ti piacerà”.
“Se è come te di sicuro”, pronunciai in maniera ormai indistinta.
Sentii le loro ultime risate e tra un mio “Smettetela” e “Ora vi fracasso” non sentii più nulla di nulla a riguardo.
Ero troppo stanca per occuparmene e non dormivo dal giorno precedente e così cullata dal movimento dell’auto, mio solito sonnifero anche quand’ero bambina, e cullata dalle braccia di Rob abbandonai i miei sensi e iniziai a sognare.

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Capitolo 19
*** 18. Insicura e Paranoica. ***


Ed eccolo partorito l'ennesimo capitolo... è stata una vera faticaccia, e trovare il tempo per scriverlo a volte è mancato, ma ora eccolo!
Ringrazio di vero cuore chi segue la storia e chi l'ha aggiunta ai preferiti, è un enorme soddisfazione per me.
E un grazie di cuore va inoltre a chi ogni volta recensisce ogni mio nuovo capitolo.
Grazie mille di cuore.
 
Bene ora dopo tutti questi ringraziamenti vi lascio al capitolo, sperando che vi piaccia e sperando di avere al più presto dei vostri pareri.
 
Buona lettura!
Kiss

 
Dormii per un bel pezzo quel giorno perdendo completamente il senso del tempo e dello spazio.
Mi ritrovai poi in un letto bianco e soffice solleticata da un non so che sulla fronte che mi stuzzicava spostandomi un riccio maldestro ponendolo dietro l’orecchio in modo del tutto impercettibile.
Apri gli occhi di malavoglia e trovai nel mio angolo di paradiso colui che sulla terra aveva le fattezze simili ad un angelo.
I suoi occhi cerulei mi guardavano intensamente sorridendo.
Mi girai dall’altra parte mentre la sua mano lievemente si spostò dal mio fianco.
Fuori da quello che era un balcone il cielo non emanava nemmeno un sibilo di luce, tutto fuori taceva oscurando anche la stanza illuminata solo dalla flebile luce della luna argentea, l’orologio sul comodino segnava le 20.30, mi strofinai gli occhi e ritornai nella mia vecchia posizione ad ammirare quell’angelo che continuava a fissarmi cercando di tenere gli occhi aperti.
Mi raccattai accanto a lui.
“Che ci fai ancora sveglio?”, chiesi ad occhi chiusi mentre lui dolcemente mi sfiorava il braccio scoperto.
“Veramente sono appena sveglio”, precisò.
Aprii gli occhi per incontrare i suoi e andai in iperventilazione non appena un secondo dopo.
“Trovi interessante vedermi dormire?”, chiesi interessata sfiorandogli la mano.
“Mmh”, sussurrò aggrottando le sopracciglia. “Diciamo che mi piace guardarti, ecco tutto”.
Sorrisi diventando rossa come un peperone e abbassando la testa distogliendo i miei occhi dai suoi.
“E cosa ci sarebbe d’importante in me?”, chiesi avvicinandomi al suo viso.
Ero a poco meno di qualche centimetro e le sue labbra mi invogliavano a fare di meglio che parlare.
Ma amavo la sua voce, lo amavo appena sveglio quando aveva tempo e mi dedicava quei discorsi un po’ smielati.
Amavo tutto di lui, era inevitabile non amarlo.
Lui guardò le mie labbra poi menzionò i miei occhi a pochi centimetri dal suo.
“C’è di interessante che quando dormi russi e non mi fai chiudere occhio”.
La sua risposta mi aveva offesa. 
Tirai indietro la mia mano dalla sua e gli ricacciai via la sua dal mio braccio.
Ero seriamente incazzata ora.
Lui se la cacciò a ridere e m’incitò a girarmi di nuovo verso di lui nella stessa posizione di poco prima, mi girai di malavoglia mostrandogli un muso lungo come il collo di una giraffa.
“Stavo scherzando. Dai non prendertela”.
Non risposi mentre lui continuava a divertirsi in modo evidente.
“C’è di interessante che a volte mi chiami nel sonno e sussurri il mio nome seguito da un ti amo che già conosco. C’è che scopro che abito la maggior parte dei tuoi sogni. C’è che a volte nel sonno sorridi e mi sfiori, altre volte cerchi la mia mano e mi cerchi nel letto. C’è di interessante che ti amo e che di te m’importa un intero mondo e voglio scoprire tutto di te”. Confessò facendo crescere sul mio viso un mega sorriso abbinato a degli occhi luccicanti.
Non aspettai che fosse benevolo ad accogliermi su di sé, mi buttai tra le sue braccia e basta dandogli un bacio sulla fossetta sexy che gli si formava sull’angolo della bocca quando sorrideva. Poi mi spostai cercando le sue labbra e quando le trovai toccai il cielo con un dito.
Lui mugugnò qualcosa quando atterrai su di lui.
“Amore ma lo sai che sei diventata pesante!” azzardò afferrandomi i fianchi e guardandomi.
Non me la presi, o almeno in apparenza.
Mi avvicinai ammiccando al suo collo per poi salire fino alle sue labbra.
“Mmh.. può darsi che sia incinta sai..”, osai scioccandogli un bacio in bocca.
Lui mi guardò stralunato fissandomi spaventato.
“Cioè.. e con chi scusa? Ci dobbiamo vedere da due mesi?”, la sua fronte al pensiero era madida di sudore. Come se davvero potessi aver fatto qualcosa.
Che scemo.
Continuai a baciarlo lasciandolo appollaiato sulle spine un altro po’ prima di togliergli il dubbio.
“Amore dai scherzavo!”, dissi tranquillizzandolo “Oggi non fai altro che trovare difetti in me. Non ti piaccio più?”, dissi sedendomi su di lui e incrociando le braccia, imbronciandomi come una bimba piccola.
 Lui rise rasserenato mentre con una mano mi sfiorò dolcemente la gamba.
Poi mi spostò da sopra di sé tenendomi per i fianchi e facendomi scivolare dolcemente sul letto mentre io lo guardavo ancora con la stessa espressione risentita.
“Amore mio”, fiatò sedendosi a pochi centimetri fa me e prendendomi le mani. “Tu, mi piaci sempre. Non ti mettere queste idee in testa”.
E mi baciò.
“Non voglio nemmeno che ci pensi”.
Un altro bacio mentre sul mio viso si apriva un sorriso.
“Tu sei la ragazza più bella che ci sia in questo mondo, ok?”, disse guardandomi fisso negli occhi serio come non mai.
Feci cenno con la testa e volai tra le sue braccia perdendomi nei suoi baci funesti.
 
25 Giugno 2010 ore 14.40, Los Angeles.
 
Ashley guardava e rimirava la sua opera andando su e giù per la stanza con aria dubbiosa ma soddisfatta.
“Non ho parole giuro stai benissimo!”, sentenziò la ragazza riguardandomi per la millesima volta.
Io in compenso ero stritolata e ammassata in un vestitino bianco di raso adornato da leggerissime rose fucsia dipinte su di esso, senza spalline e scollato dietro vertiginosamente, non c’ero abituata. La gonna del vestito era a balze ed andava a stringersi poi sotto un po’ sopra le ginocchia.
Ai piedi delle leggerissime decoltè di raso fucsia dai tacchi vorticosi se ne stavano inermi con quel fiocchetto rosa in alto che le rendeva splendide ma anche altrettanto odiose per il dolore atroce che provocavano alla pianta del piede.
Speravo di non cadere a terra come una pera cotta durante il red carpet, sarebbe stata una figura di merda colossale, fatta tra l’altro davanti a mezzo mondo.
Rabbrividivo al sol pensiero. Scossi la testa e allontanai quel pensiero.
Ero in ansia, in una fottuta ansia, non capendo ancora il significato di tale commedia che ero costretta a tenere.
Possibile che nessuno capisse la mia voglia di non apparire? E poi che c’entravo io alla premiere?
Io una semplice fan amica di Pattinson?! Porca miseria.
Mi sudavano le mani ed ero tesa come una corda di violino, non riuscivo a calmarmi nemmeno per un attimo.
“Davvero Ash! Faccio schifo!”, fiatai guardandomi per l’ultima volta allo specchio mentre mi aggiustavo il vestito meglio sui fianchi.
Ash mi guardò con aria categorica incrociando le braccia e venendomi incontro.
“Primo: Non dire cazzate. Secondo: il vestito l’ho scelto io perciò non offendere. Terzo: Sei completamente e assolutamente bellissima!”. Disse tenendomi per le spalle. “Ti manca solo un tocco di kajal unito al mascara e stai da Dio!”, pontificò Ash facendomi un gran sorriso per tranquillizzarmi.
Le sorrisi di rimando debolmente e senza fiducia. Se ne accorse.
“Tesoro, senti. Tu lo sai che ti voglio bene si?”. Mi guardò fissa negli occhi. Annui.
“Bene. Credi forse che ti direi cazzate in un giorno così importante? Credi che ti farei apparire non degna di una presenza mondiale? Rob mi ucciderebbe, lo sai meglio di me, e poi non sarei più capace di guardarti in volto. Non lo farei mai”.
“Si lo so, ma…”.. cercai di ribattere.
“Niente ma stasera. Mancano due ore e dico DUE alla premiere perciò preparati, non abbatterti e non rompere più sei splendida. E se continui così ti mando Rob e infrango le regole che io stessa ho imposto, ok?”
“Ok!”, mi limitai a rispondere abbassando lo sguardo esausta. Sapevo quali erano le regole. Ash mi aveva prelevato dalla mia stanza la mattina presto promettendo a Rob che mi avrebbe vista solo ed esclusivamente al momento della premiere, o al limite alcuni momenti prima. In pratica mi aveva rapita e costretta per tutto il giorno a rilassarmi con delle cure di bellezza per essere uno splendore, manco ci dovessimo sposare.
E poi non si potevano fare miracoli su di me.
“Bene”. Sorrise soddisfatta. “Ora ti mando Melanie e Kelly per trucco e parrucco,, io esco un attimo per prendere una cosa e per parlare con la mia manager dopodiché torno. Non ti devi preoccupare”. Disse prima di svolazzare dietro quella porta leggera e spensierata.
Restai un attimo da sola.
Sola con la mia anima e la mia immagine riflessa.
Una ragazza dalla superficie vetrata posava di spalle e si stava girando lentamente per ammirarsi meglio.
Guardava incredula quell’abito che le calzava a pennello e sottolineava le gentili forme che madre natura le avevo donato.
Il vestito non faceva una piega sul suo corpo e quel fucsia delle rose disegnate su di esso mettevano in lei una certa allegria.
Era sempre stato il suo colore preferito, lo sapevano tutti.
Per un attimo quasi incredula si senti bella, per davvero.
 
Un paio di ore e i miei occhi vennero velati da un leggero ombretto rosa perlato che si mischiava perfettamente con un colore bianco che illuminava la palpebra superiore, il tutto contornato da un sottile kajal intorno all’occhio e tantissimo mascara per infoltire e volumizzare al massimo le ciglia.
I capelli in compenso erano stati perfettamente stirati e ondulati verso le punte a mo’ di bambolina di porcellana con tanto di gote rosee a causa del fard, sulle labbra un leggero e brillante rossetto fucsia concludeva il tutto.
Lo specchio di fronte a me rifletteva un immagine del tutto diversa dall’abituale capace di abbagliarmi e farmi sorridere.
Mi riguardai un paio di volte ancora facendo alcune pose davanti allo specchio prima di andare.
Ma la figura che era riflessa di fronte ai miei occhi sembrava di più ad un vero e proprio spaventapasseri.
Ma perché faccio così schifo? Mi chiesi come sempre.
Passai una mano tra i capelli disperata e lanciai un piccolo urlo di disperazione e timore inudibile.
Non potevo indossare una maglia e un jeans per la serata? In queste vesti non mi sento proprio a mio agio. Tiro la pancia in dentro, tiro su le spalle, tengo le gambe unite con quelle trivellatrici ai piedi, e sposto il peso da una gamba all’altra, ma niente. Uffa!!
Decisi di prendere il coraggio a due mani, guardai l’orologio appeso al muro, l’ora è ormai fatta.
Spalanco la porta che mi divide dal salotto di Ash e via.
 
“Ash? Ash dove sei?”, ripetei più volte mentre uscivo dalla stanza per farmi ammirare e consolare da lei, ma non la trovavo.
Ogni parte di lei si era volatilizzata da quella stanza. Che avessero deciso di andare alla premiere senza di me vista l’ora?
Magari, fu la risposta immediata della mia coscienza a riguardo prima di trovare un bigliettino sul tavolo vicino alla mia pochette.
 
“Tesoro io sono già volata, mi hanno chiamata urgentemente e non ho potuto avvisarti.
I’m sorry! ;P
In compenso nel balcone della mia camera troverai quello splendore di Mr Pattinson ad aspettarti.
Spero non si sia mosso di lì, altrimenti lo prendo a badilate.
E comunque spero che questo biglietto sia servito a qualcosa..
Ci vediamo sul red carpet splendore (ti immagino dire il contrario!)..
Kiss Ash.”
 
Il biglietto parlava chiaro: Rob era in terrazza.
Rob era in terrazza. Rob era in terrazza. Rob era in terrazza.
Il mio cervello si inceppò andando in TILT mostrando chiari segni di squilibrio. Andai in iperventilazione e l’autostima che poco prima aveva guadagnato un po’ di punti li perse tutti d’un colpo al pensiero dell’espressione di Rob. Mi sarei sentita a disagio.
Mi avviai verso la terrazza e tirai il fiato prima di affacciarmi sistemandomi il vestito.
“Ok Rob, ora puoi voltarti. Ma non ridere ti prego, mi sento già ridicola di mio!”, esordì entrando nei suoi pensieri, mentre lui in terrazzo, già pronto e agitato quanto me, si fumava una sigaretta.
Il fumo quasi gli andò di traverso provocandogli una tosse convulsa nel vedermi. Gli andai vicino per massaggiargli le spalle, si calmò.
“Cavolo Van, chi hai intenzione di far innamorare stasera?”.
“E’ troppo dici?”, chiesi agitatissima. “Faccio schifo, vero?!”
Inalò un altro tiro di sigaretta.
“La tua solita autostima, eh? Dove l’hai lasciata?”.
“Nel ventre di mia madre”, risposi stizzita da quel suo girare intorno alla risposta.
“Sei bellissima”, decretò con il suo sorriso sghembo facendo rallentare i battiti del mio cuore.
“Non è esagerato secondo te?”, chiesi ancora un po’ dubbiosa riguardandomi il vestito addosso.
Tirò fuori l’ultimo tiro e spense la sigaretta nel posacenere lì vicino per poi prendermi tra le sue braccia.
“Ascolta, sei splendida punto.”, disse prendendomi il viso tra le mani e penetrandomi con i suoi occhi.
Fui incapace di respirare e le mie idee riguardo al vestito andarono in fumo quando incontrai i suoi occhi, limpidi, puri e pentranti.
Cercai con tutte le mie forze di abbassare lo sguardo dal suo e risi nervosa un po’ per entrambe le situazioni accentuando così il color rosso sulle guance. Mi senti avvampare sotto quel fuoco e prendendo fiato sbiascicai un “Grazie” al suo complimento.
Mi prese sotto il mento  trasportando il mio viso verso il suo per far incontrare le nostre labbra, che all’unisono presero forma le une sulle altre modellandosi a vicenda. Lo abbracciai forte e iniziai a baciarlo con fervore mentre lui ricambiava e mi tirava a sé, alzandomi di dieci centimetri o forse più.
Il gusto delle sue labbra al sapore di fumo e cenere si confondevano con le mie al sapore di fragola e mora, un retrogusto che sulle nostre labbra aveva del tutto un certo effetto.
“La vostra macchina arriva tra tre minuti”. Disse Dan affacciandosi e arrossendo a quel momento di intimità violato. Noi ci staccammo e ridemmo.
“Ok!”, rispose Rob, congedandolo. “Odio essere interrotto quando ti bacio!”, confessò irritato mentre mi tirava dentro. Lo consolai con un bacio sul collo.
Un cellulare trillò convulsamente da dentro la tasca di Rob.
Era un messaggio.
Dovevo chiedergli chi era o avrei violato la sua privacy? Diedi uno sguardo veloce allo schermo per intravedere qualcosa, ma nulla. Rinunciai e abbassai lo sguardo.
“E’ Lizzie”, sentenziò Rob captando la mia espressione con la coda dell’occhio. “Sono appena arrivati alla premiere”.
“Non ti ho chiesto nulla!”, dissi.
“Infatti ma avresti voluto”.
“Non è vero!”, mentii spudoratamente imbronciandomi e fissando il pavimento.
Spostò la sua attenzione dal telefono e mi guardò intensamente affinché io tradissi le mie emozioni, sapeva che quello era l’unico modo.
Cercavo di restare seria il più possibile ma guardando la sua espressione impassibile e impenetrabile scoppiai a ridere.
Avevo ceduto.
“Vedi che avevo ragione”., debuttò lui entusiasta della mia evidente confessione ritornando con lo sguardo al telefono.
“Si, ma un po’”, mentii io per non dargli importanza.
Mi avvolse un suo braccio intorno al collo tirandomi a se e baciandomi la fronte mentre  le risate riempivano la stanza.
“La macchina è qui”. Annunciò Dan entrando nuovamente nella stanza, dando un tonfo finale al mio cuore.
 
In macchina ero agitatissima, accavallavo e scavallavo le gambe di continuo alzando prima una poi l’altra, tremavo come una foglia, segno del mio più che evidente nervosismo, ed ero in fissa col vestito che mi tirava qua e là e che a mio parere era troppo corto mostrando delle gambe non degne di presentazione.
Controllavo il mio volto e i miei capelli ogni cinque secondi allo specchio, che mi ero portata dietro, per vedere che fosse tutto a posto.
Stavo diventando paranoica, o meglio, io ero paranoica!
Robert d’altro canto, se ne stava tranquillo, o meglio così appariva mentre alternava occhiate prima a me e poi fuori dal finestrino.
D’un tratto lo specchietto mi volò dalle mani, o meglio mi venne tolto dalle mani da un certo Mr Pattz che non ce la faceva più a vedermi in quello stato.
“Questo è sequestrato!”, disse beffardo passando lo specchietto nel bagagliaio tra varie scartoffie e valigie ormai irrecuperabile.
“Dai Rooob!”, cantilenai irritandomi e sporgendomi per poterlo scorgere prima che lui mi tirasse giù e mi posizionasse a pochi centimetri dai suoi occhi, il mio sedativo, mi calmai all’istante cercando di immaginare un angelo più bello di quello che avevo al fianco.
“Ehi amore, sei splendida. Davvero non ti devi preoccupare”.
“Si lo so, è che mi sento a disagio”.
“Non ti devi preoccupare, ok? Ci sono io qui con te, e poi i fan mica ti mangiano”.
“A me non di sicuro!”, risposi sarcastica allusiva.
Lui sorrise creando quella leggera fossetta all’angolo della bocca e prendendomi una mano nella sua per incoraggiarmi.
Mi accoccolai sulla sua spalla chiudendo gli occhi e cercando di calmarmi.
Un paio di minuti dopo una serie di urla mi fece sobbalzare facendomi sbarrare gli occhi eravamo arrivati.

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Capitolo 20
*** 19. Una premiere.. zoppicante! ***


Ed ecco un altro capitolo appena sfornato sempre sulla premiere.. in cui non voglio dir troppo ma succederà qualcosa che romperà i loro equilibri. >.<
Non mi resta che augurarvi buona lettura come sempre.
Spero che il capitolo vi piaccia..

Kiss




Tra macchinisti, truccatori, hairstylist e attori della saga il backstage della premiere era strapieno di gente e le urla delle fan al di fuori delle tende si sentiva distintamente allarmandomi ancor di più. Sapevo di non essere io quella che sarebbe stata al centro dell’attenzione, sarebbero stati gli interpreti e l’autrice ad essere osannati a livelli paranormali, ma era anche vero che tra gli attori c’era anche Rob e l’idea che le fan lo avrebbero toccato sussurrando un “Ti amo” come capitava spesso, un “Bite me” o molto peggio un “Mi vuoi sposare?” era davvero il culmine dei miei poveri nervi.
Cercavo comunque di reggere la cosa al meglio e di non dare troppo nell’occhio con la mia gelosia che fino ad allora aveva causato non pochi guai.
Io me ne stavo attaccata a Rob per quanto potevo facendomi trascinare di qua e di là dalla sua mano ancora intrecciata alla mia cercando di guardarmi qualche volta in qualche superficie riflessa per vedere che aspetto avevo, ma la mia autostima non cresceva più di tanto.
Specie dopo aver visto le varie ragazze della saga e non, sfilarmi vicino con delle silhouette mozzafiato.
Lasciai Robert ai suoi discorsi con David, Melissa e Stephenie, che cordialmente e affettuosamente mi aveva salutata con un “Sei splendida tesoro!” e un bacio sulla guancia facendomi arrossire e sprofondare di colpo.
Un complimento da parte sua era pari all’incontro con il padre eterno per me. La osannavo in maniera incredibile anche perché se non fosse stato per la Saga io e Rob non ci saremmo mai incontrati nemmeno lontanamente. Twilight aveva semplicemente dato una mano al mio cupido e lei aveva dato l’aiuto più grande.
Sputai un grazie poco convinto e mi diressi con Ashley in giro per il capannone che aveva più che altro le fattezze di un villone ad un piano.
Mi disse più volte quanto quel vestito mi stesse bene e quanto fossi fantastica quel giorno.
Sapevo che lo faceva solo per farmi sentire a mio agio e perciò la ringraziai più volte non creando storie, almeno non quel giorno.
Le altre avevano un aspetto magnifico.
Ashley indossava un vestito semplice lungo, sul grigio perla con i capelli leggermente raccolti e nonostante tutto era splendida come sempre.
“Ehi? Sei nuova qui?!”, sentii chiedere da una voce alle mie spalle.
Era Jackson, accompagnato da Taylor che ci venivano incontro.
“Ehi!”, dissi salutandoli e abbracciandoli cordialmente.
“Non hai detto che non saresti venuta?”, chiese Jack con il labbro superiore alzato a mo’ di sfottimento.
“Perché? Ti dispiace forse?”, fiatai poggiando le mani sui fianchi con aria di superiorità.
Scoppiammo entrambi a ridere.
“No che non mi dispiace! Come faremmo senza di te intorno? Sei la più piccola del gruppo”, come se io facessi parte della comitiva.
“Quale piccola?! E’ Taylor il più piccolo!”, gli ricordai indicandolo.
“Ma noi intendevamo delle femmine!”, rispose quello con un sorriso d’incoraggiamento.
“Vi ricordo, ad entrambi, che io e Kris abbiamo la stessa età!”.
“Ah già, è vero!” si guardarono all’unisono fingendosi preoccupati. “Allora lo sai che si fa?”, cominciò dando inizio a una delle sue idee strampalate.
“Andiamo al ballottaggio e apriamo il televoto!”.
L’avevo detto io.
Eravamo nuovamente giù dalle risate.
Robert si avvicinò più volte a me di sfuggita, ma non senza un piccolo sguardo o un piccolo sorriso.
Lo vidi chiacchierare con Kristen un paio di volte, abbracciarla e ridere con lei con uno di quei suoi soliti sorrisi mozzafiato, mi limitai a non guardare per non andare in escandescenza e mi diressi al distributore per calmarmi.
Una voce d’improvviso entrò nel mio dolce far niente mentre armeggiavo delicatamente con quell’arnese per un bicchiere d’acqua.
“Non ci posso credere”, esalò qualcuno entusiasta di vedere qualcosa.
Mi girai per vedere meglio chi fosse e mi cadde quasi il bicchiere nel vedere l’artefice di quell’esclamazione.
Era Cesare. Quel Cesare. Il mio ex ragazzo era lì, nel mio stesso angolo di mondo insieme a Robert.
“Cesare!”, esclamai con un misto tra la preoccupazione e il nervosismo, ormai dovuto a un sacco di cose.
“Sono qui di passaggio, poi ho saputo che oggi ci sarebbe stata la premiere del terzo film della saga ed ho pensato ci fossi anche tu. Come vedo non ho sbagliato”, notò con piacere mentre con una mano mi accarezzava un braccio.
“Si, si, hai fatto bene”, dissi arrossendo non sapendo che fare.
Non potevo mandarlo via. Sarebbe stato sgarbato e inutile dato che era qui ormai.
Speravo solo Robert non lo vedesse. Mi guardai intorno senza coglierne la benché minima traccia.
Cesare aveva il suo solito cappello calcato in testa, lo ricordavo benissimo dato che era stato un mio regalo. Era un caso che l’avesse messo quel giorno?
Non ci volevo credere, volevo sperarci.
“Quando sono entrato prima, non credevo fossi tu”, disse sorridendo. “Da quando ti piacciono i vestiti?” osservò malizioso.
“Mi hanno costretta. Ancora non mi piacciono!”, gli feci notare. “E che a questi eventi si ci veste così, anche se questo è il primissimo per me. Avrei indossato più volentieri un jeans e una maglietta credimi. Con questo vestito sto tremando come una foglia”. Affermai mostrandogli una mano tremante e un braccio con la pelle d’oca.
“Hai freddo?”, esclamò togliendosi la giacca per mettermela addosso.
“No, no. E’ che sono agitata tutto qui”, feci per ridargli la giacca, ma lui mi bloccò.
“Lascia stare. Ti conosco e so che non diresti la verità nemmeno sotto tortura. Tienila, a me non fa freddo”.
Peccato che ciò che avessi detto sull’agitazione fosse vero. Non tremavo per freddo ma non voleva capirlo e io non sapevo che rispondere.
Poi da lontano mi sentii uno sguardo addosso, circospetto, ostile. Qualcuno guardava verso di me e potevo immaginare anche bene chi fosse.
Avevo paura a voltarmi.
Sussurrò uno “Scusate”, ad alcuni uomini li intorno e li lasciò lì per avvicinarsi a me.
Volevo buttare quella giacca dalle spalle a terra o ridargliela al suo legittimo proprietario per evitare qualsiasi cosa, ma era troppo tardi.
Rob rivolse uno sguardo prima a me e poi a quell’ospite indesiderato con un nervosismo abbastanza concreto.
“Van, ti stavo cercando dappertutto. Dov’eri finita?”, chiese con un ghigno parandosi tra me e Cesare e guardandomi negli occhi.
“Ero qui Rob. Sono venuta a prendere un bicchiere d’acqua e ho incontrato”, pausa. “Cesare”, dissi a voce bassa.
Il suo sguardo si spostò verso quel rivale in modo ostile.
“Vedo..”, quello dall’altra parte lo salutò con un sorriso beffardo alzando la mano di pochi centimetri.
Avrei voluto prendermi a calci.
Rob non gli rivolse molta attenzione, e nemmeno lo salutò. Si girò di nuovo verso di me notando quella giacca nera sulle mie spalle.
“Hai freddo?”, chiese interrogativo inarcando le sopracciglia stupito.
“No, ehm..”, dissi sfilandomi la giacca di Cesare per riporgliela. “Sono nervosa, tremavo e Cesare pensava avessi freddo tutto a posto”. Confessai rassicurandolo, o almeno così credevo.
Rob mi strofinò le braccia e mi avvolse in un abbraccio cingendomi i fianchi.
“Van, ora dobbiamo andare. Tra poco si inizia..”, disse Rob mettendomi fretta.
“Ehm okay!”, risposi abbassando gli occhi sulle mie decolté arrossendo.
Cesare, vista la situazione gelida che si era creata, decise di defilarsi.
“Ok Vanessa, credo sia arrivato il momento di andare. Comunque volevo semplicemente dirti che resterò in città per una settimana circa prima di ripartire. In caso ci possiamo vedere”, tossì non sapendo che rispondere con Rob davanti. Che pretendeva? Non osavo alzare lo sguardo per vedere quello di Rob, sarebbe stato simile a un predatore che puntava una preda.
“Senza alcuna pretesa ovviamente. Solo come amici”.
Sentivo la schiena di Rob inarcarsi e diventare dura a quell’invito.
“Cesare, non so. Ti farò sapere”. Dissi stizzita da quel suo comportamento così sfacciato.
“Va bene, tanto il mio numero lo sai. Ci vediamo splendore!”, disse dileguandosi al di fuori.
Quel complimento mi fece arrossire, ma non in bene piuttosto perché immaginavo benissimo le emozioni di Rob, sentivo la contrazione dei suoi muscoli irrigiditi e irremovibili, lo guardai dal basso: serrò la mascella diventando scuro in volto.
Iniziammo a camminare senza una parola.
Il respiro trattenuto gli gonfiava il petto, era evidente che lo tratteneva per non scoppiare.
“Che ci faceva lui qui?”, chiese abbassando di sbieco lo sguardo per misurare la mia espressione.
“Ha detto di essere qui di passaggio Rob, l’hai sentito anche tu. Non credo sia venuto con un intenzione ben precisa. E’ Passato da queste parti e mi è venuto a salutare credo”. Ammisi guardandolo.
“Io un idea sul perché sia qui, proprio in questi giorni ce l’avrei.. Non si passa qui per caso, specie in questo giorno”, alluse guardando dritto davanti a sé senza incrociare mai il mio sguardo.
“Dai Rob, non puoi essere geloso di un ragazzo che ha fatto parte della mia vita in passato. Non sapevo nulla di questa cosa, è da molto che non lo sento”.
Annui nervoso. Cioè perché quel nervosismo? Perché quel farmi sentire in colpa come se quell’incontro lo avessi programmato io a sua insaputa?
Lo guardai di sottecchi misurando ogni sua minima espressione.
“Siamo pronti Rob, pochi minuti e si comincia!”, annunciò un qualcuno  che non guardai minimamente mentre mi passava davanti.
Lui mi guardò, ma nel modo in cui conoscevo.
“Che fai? Vieni con me o vai con Cesare?”.
Quella battuta era fuori luogo, priva di umorismo e offensiva al momento. Sciolsi l’abbraccio incrociando le braccia.
“Questa battuta te la potevi pure risparmiare”. Feci per andarmene, ma lui mi prese per un braccio.
“Dai stavo scherzando Van!”, sorrise per farsi perdonare, sapeva che quello era il mio punto debole, ma in quel momento non ce la faceva a farmi sorridere proprio per niente, il broncio restava lì dov’era.
Le sue labbra si appoggiarono sulle mie e con fare tra il dolce e il prepotente iniziò a spingere sulle mie mentre con la lingua cominciò a leccarmi il labbro inferiore nel tentativo di farmi cedere per farla entrare nella mia bocca, ma decisi di tenerla chiusa e mi rifiutai di ricambiare il bacio per dimostrargli quanto quella offesa mi avesse ferita. Ma lui non cedette e con fare sfacciato mi tirò verso di sé, abbracciandomi di più.
Nessun cambiamento, nessun cedimento.
Mi guardò con un sopracciglio inarcato.
“Non la faccio la premiere se non mi dai un bacio, ti avverto!”, provocò ammiccando.
“Tanto meglio..”, risposi scocciata sciogliendo l’abbraccio.
“Ti ho chiesto scusa dai, scherzavo.. vuoi tenermi il broncio per il resto della vita proprio adesso?”, chiese allargando le braccia per accogliermi.
“E’ colpa tua, sei tu che hai fatto la battutaccia proprio ora!”.
“Okay, mi devo prostrare ai tuoi piedi per lo sbaglio commesso, devo dare l’anima a Dio o cosa?”.
“Vorrei che non dubitassi di me e che evitassi queste battute se puoi, mi fanno male”, ammisi voltandomi verso di lui.
“Non le farò più, promesso. Parola di lupetto!”, esclamò cacciando un sorriso e incontrando le mie labbra che ora approvavano il suo arrivo.
“Casomai di vampiro scemo!”, dissi buttandogli le braccia al collo e lasciandomi andare nel bacio con trasporto mentre lui mi tirava verso di sé.
 
Un tossire inatteso ci riportò alla realtà, richiamandoci all’attenzione.
“Ragazzi, è ora..”.
 
La sfilata tra fotografi, paparazzi e fan fu del tutto esilarante.
Io stessa ero emozionata e soprafatta dalla cosa. Il calore che emanavano i fan, le urla, i pianti di gioia e tutto il resto erano una cosa più simile alla pazzia.
Partecipare a quell’evento, per la prima volta nella mia vita, da fan soprattutto prima che da ragazza di Pattinson portava in me una strana sensazione.
Capivo solo ora quanto fosse difficile per Robert gestire una tale situazione: avere tutto intorno persone che ti urlavano contro e non riuscire a capirle, non riuscire a gestirle tutte e ad accontentarle come vorresti e avere solo voglia di piangere in mezzo a quell’immensità.
Io me ne stavo in disparte dal resto del coro, in disparte rispetto a coloro che venivano considerate della star, come giusto che sia. 
Camminavo in un angolo, dall’altro lato delle transenne con Dan vicino, il bodyguard affibbiatomi da Rob, come se ne avessi bisogno, come se qualcuno mi assalisse. L’avevo ritenuta una sciocchezza, la ritenevo una sciocchezza, vicino a me John, Ruth mi camminavano vicino guardando la loro stella, Kris vestita di un leggero abito monospalla bianca brillante ed elegante da togliere il fiato legato poi alla sua eterea bellezza, non potevo negare la sua bellezza, le avevo fatto più volte i complimenti prima di uscire e lei mi aveva abbracciato ricambiando con un sei bellissima anche tu. Vedevo Rob a volte cercarmi con lo sguardo mentre io ricambiavo guardandolo di volta in volta con un cenno della mano e qualche sorriso, lo vedevo ridere. Altre volte mi si avvicinava e con una mano sfiorava la mia, mi sorrideva per poi di nuovo svanire nella folla a firmare autografi e farsi sommergere dai flash dei giornalisti.
Ammiravo l’immensità e la vastità della gente radunata nei pressi dello Staple Center, quando traballai su me stessa strattonata da qualcosa o meglio da qualcuno.
Se non fosse stato per Dan che mi aveva sostenuta e sorretta in quel momento, avrei fatto la mia inesorabile figura di fronte al mondo e l’artefice sarebbe stato poi un ragazzo che da dietro tre bodyguard ora, urlava un “I love you!” con scritto il mio nome sulla fronte.
Guardai stralunata non capendo quella pazzia mentre abbassata su me stessa mi massaggiavo lievemente la caviglia dolorante a causa della storta che avevo preso.
“Stai bene?”, sentii dire alle mie spalle.
“Si, tutto a posto Dan.. penso solo di aver slogato una caviglia a causa di questi trampoli infernali”, ammisi con una smorfia dolorante. Non avevo mai sopportato il dolore, nemmeno in minima parte, e quello beh superava di gran lunga la media.
“Ti riaccompagno dentro!”, non era una domanda la sua, ma un affermazione pura e secca che era meglio ascoltare.
Si piegò verso di me e mi prese cingendomi i fianchi incitandomi ad avvolgere il mio braccio intorno al suo collo.
Lo feci e dolorante mi avviai verso l’entrata.
“Ce la fai a camminare?”, chiese preoccupato guardandomi la caviglia che cercavo di non far camminare.
“Cerco di farcela”. Ammisi quasi sull’orlo di una crisi. “Non vorrei un'altra abissale figura di merda con te che mi prendi in braccio come se fossi un invalida”.
“Non hai fatto nessuna figura di merda credimi..”, cercò di incoraggiarmi.
“Dan, come la chiami tu una quasi caduta sul red carpet più importante del mondo?”.
Nonostante il dolore non facevo altro che guardarmi intorno per guardare se ci fossero o no persone che avevano notato la mia quasi caduta e il mio attuale zoppicare sul red carpet, ma tutto era tranquillo. Le telecamere, gli sguardi, e tutto il mondo era rivolto ai tre protagonisti e al resto del cast sparso per il red carpet.
Più tranquilla buttai fuori un respiro di sollievo.
Robert girato di spalle, teneva un intervista per non so quale giornale o televisione, non mi vide e lo considerai un bene, dato che in caso contrario si sarebbe allarmato rientrando anche lui e rovinando così anche il suo red carpet.
Dave mi portò dentro e con la più accurata cura, mi prese in braccio fino ad una sedia una volta dentro, nonostante io gli avessi già detto che potevo camminare, di poco, ma ce la facevo. Arrivai ad una sedia, mi ci buttai del tutto massaggiandomi ancora la caviglia dolorante e iniziando a far sgorgare delle lacrime provocate dal dolore allucinante che stavo provando. Era una fitta terribile.
Dan si prodigò a cercare dei medici all’interno, dato che c’erano perché non usufruirne? Non mi lamentai, anzi ne fui sollevata.
Una voce femminile, nel frattempo, mi sorprese. Era Ashley, come al solito.
“Che succede?”, esclamò scura in volto per la paura. Come cacchio aveva fatto a vedermi se era di spalle?
“Hai visto il futuro Ash? Cioè eri di spalle! Comunque mi sono slogata una caviglia grazie a te e a questi trampoli!”, quasi urlai dal dolore.
“Ah, ora è colpa mia?”
“Volevo venire in converse io..”, mi lamentai. Lei sorrise per incoraggiarmi e si mise alla mia destra all’arrivo dei paramedici.
“Cosa è successo?”, chiesero nuovamente i medici vedendo la caviglia che nel frattempo si era arrossata e gonfiata.
“Una storta”, cercai di fiatare.
Quelli presero a tastarla per constatarne il dolore mentre io cercavo di soffocare le urla, annuendo ogni volta che mi chiedevano “Fa male qui? ..e qui?”.
“Non so davvero come riusciate a mettervi questi aggeggi ai piedi. Sono la maggior causa delle distorsioni”.
“Non me lo dica nemmeno, mi hanno costretta”, ammisi guardando di sottecchi Ashley tra un dolore e l’altro.
 
Dopo circa dieci minuti me lo ritrovai rosso come un pomodoro impacchettato per bene in una fasciatura bianca, translucido a causa della crema appena messo, gonfio e dolorante. Ero aggiustata per le feste. A fare la differenza, anche se di poco era lo smalto fucsia applicato alle unghie dopo la pedicure.
“Mi dispiace Vanessa. Mi dispiace davvero, è che non l’ho visto, pur essendo di un passo dietro di te, non sono riuscito a scorgere il suo gesto..”, fece Dan cercando di giustificarsi.
“Dan, davvero nessun problema. Stai tranquillo, anche io pensavo non mi succedesse nulla, non potevo immaginarlo, e nemmeno tu. Dovevo stare solo un po’ più lontana dalle transenne quando camminavo, come gli altri. Ma è la prima volta che mi cimento in cose del genere e non lo sapevo.. davvero, scusami tu per averti recato fastidio magari”.
“Ma quale fastidio? È il mio lavoro, è il fatto che oggi non ci sia riuscito non mi fa stare tranquillo”. Stavo per rispondere, ma il cellulare iniziò a squillare e si congedò da noi allontanandosi con un cenno. Ash mi guardava, o meglio guardava la mia caviglia con aria miserevole e assai snervante per me.
“Ash ti prego risparmiami sto volto!”, dissi ridendo per mascherare il mio nervosismo per la conclusione della serata. “Ho fatto una figura colossale davanti a mezzo mondo.. spero solo non mi abbiano visto, ripreso o non so cos’altro mentre la papera che è in me camminava su quel tappeto giuro”.
Mi portai una mano alla testa al pensiero.
La sua risata invase la stanza contagiandomi lievemente.
“Tesoro, cioè invece di pensare al dolore, pensi alla figura di merda?”, chiese ridendo.
“Noo, ma infatti..”, feci sarcastica.
“Non ti ha notata nessuna, se è per questo nemmeno Rob, e poi domani avranno già dimenticato tutto. Piuttosto pensa a guarire in fretta, che ti devo portare ad una festa!”, disse entusiasta come un folletto saltellando e battendo le mani al pensiero come una bambina di cinque anni.
“Cioè, ma mi vedi?”, chiesi incredula. “Sono in fasce!”.
“Embè, crescerai in fretta e verrai..”, sorrise a trecentoventiquattro denti, prima che una voce mi sovrastò entrando nella stanza.
Non avevo bisogno di girarmi, sapevo chi era, e volevo prendermi a schiaffi.
“Cosa è successo? Cosa ti hanno fatto?Stai bene?”, chiese trafelato avvicinandosi al posto in cui ero seduta con altre domande indecifrabili a causa della velocità.
“Mi hanno uccisa Rob, non vedi?”, dissi indicando la fasciatura, ma nessun sorrise apparve sul suo volto a quella battuta.
“Non mi sembra il momento di scherzare Van!”, rimproverò quasi severo.
“E che devo fare Rob, devo piangere? L’ho fatto fin’ora!”
“Amore, scusa è vero”, esclamò stampandomi un bacio in bocca nervoso. “Innanzitutto come è successo?”
“Ero troppo vicino alle transenne, un ragazzo mi ha strattonata per ricevere la mia attenzione e siccome ero sovrappensiero sono quasi caduta lussandomi una caviglia, quella che praticamente vedi avvolta come un salame in questa bendatura”, dissi indicando il misfatto.
“In tutto questo Dan dov’era?”, chiese sull’orlo di un furia di nervi. Sapevo già dove voleva andare a parare.
“Dan c’era okay. Ma nessuno dei due immaginava una cosa del genere. Non stava mica proteggendo Ash, Kris o Nikki, non ce lo aspettavamo Rob, è stata una cosa improvvisa, io camminavo troppo vicina alle barriere e mi sono imbattuta in questo ragazzo un po’ malato credo, che invece di richiedere l’attenzione delle attrici richiede l’attenzione di una ragazza normale, tutto qui. Dan non c’entra nulla”.
“Vai sempre con la solita storia”, disse sbuffando. “Quando ti renderai conto che io ogni giorno rischio di perderti? Ci sono un sacco di ragazzi lì fuori che ti vogliono”. Anche lui si ci metteva. Come poteva crederlo?
“Rob è stata solo una coincidenza. E poi ci potrebbero essere anche mille ragazzi li fuori, a me non me ne importa!”.
Qualcuno lo chiamò.
“Devi andare Rob. Non puoi far attendere e deludere tutte le fan che sono venute qui per te anche da lontano. Ti vogliono fuori come giusto che sia e devi andare per non deludere altrimenti ce l’avranno con me e non voglio avere la tua legione di fan contro perché lo sai da te, sarebbe un suicidio”.
“Io vado, ma dopo ritorno. Vedi di essere qui però..”, disse imprigionandomi nel suo sorriso.
“E dove vuoi che vada invalida come sono ora?”.
“Non so, magari potresti fuggire con uno di quelli la fuori!” disse baciandomi.
“Vedrò quello che posso fare signor Pattz”, rimarcai sarcastica.
Una altra chiamata.
“Tra un po’ verranno a prenderti i volturi qui se non ti muovi!” esclamai immobilizzata sul  quella sedia, improvvisamente scomoda.
Con un lieve bacio mi sfiorò la fronte e si dileguò di nuovo in quella orda.
 
Il dottore mi ha consigliato, anzi mi ha quasi costretta a tornare in albergo per riposarmi. Ti lascio qui di malavoglia, perché vorrei rivedere il tuo viso al rientro dal red.. Ti aspetto in albergo. Ti amo. Tua Vane”
 
Ritornai in albergo in anticipo rispetto al resto del cast e rispetto a Rob, sotto preciso consiglio del medico, che mi invitò a tornare a casa per riposare la caviglia.
Ashley ovviamente venne con me, la consideravo ormai la mia balia personale.
“Ash, con tutto il bene che ti voglio, ma sempre dietro mi devi venire ora?”, chiesi sbuffando in macchina durante il tragitto.
“Certo, non posso mica lasciarti sola, non vedi che ti è successo? E poi ti devo aggiustare per il party di stasera!”, sorrise a millecinquecento denti per contagiarmi.
Strabuzzai gli occhi incredula. “Mi stai prendendo in giro vero?!”.
“Per nulla mia cara! Ho già preparato tutto.. il vestito ti attende in camera mia. Doveva essere una sorpresa”.
“Significa che lo metterò in qualche altra occasione dato che stasera non me la sento”, risposi categorica guardando dritta davanti a me.
“Altre occasioni, altri vestiti!”, ribatté tassativa, mentre io la guardavo più simile ad un vampiro famelico ora.”Ora vai in albergo, tranquilla in camera tua. Ti riposi per bene e alle..”, guardò l’orologio , “nove circa ti preparo e se tutto va bene entro le dieci siamo a destinazione. Non possiamo mancare”.
“Io posso mancare, tu no.. puoi andare senza me”. Mi guardò in cagnesco ma restai della mia opinione. “Cioè Ash, davvero guardami”, dissi più calma e prendendo fiato. “Come potrei divertirmi con un piede dolorante, davvero non è serata.. e poi ho bisogno di Rob stasera”, confessai stanca di quella tiritera.
Avevo un piede dolorante, prima del red carpet avevo fatto arrabbiare Rob e volevo rimediare anche se non sapevo come , ero stanca, stufa di stare in un vestito e di essere al centro dell’attenzione, volevo solo starmene in camera chiusa e avvinghiata a Rob se potevo, peccato che Ash non fosse dello stesso parere.
Arrivate in albergo Ash mi salutò ribadendo il suo “Ci vediamo dopo” abbastanza poco promettente sui miei progetti appena espressi.
Arrivata in camera sbuffai, slacciai il vestito e lo gettai a terra nervosa, mi appoggiai alla porta prendendo la testa  tra le mani, stava per scoppiarmi ad influire era anche il dolore della caviglia. Presi il telefono dalla pochette e zoppicando mi diressi in camera per sdraiarmi sul letto e lì mi addormentai.

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Capitolo 21
*** 2O. In vino veritas ***


 
“VAAAN! VAAAAAANESSAAAAAA!”, una voce stridula entrò nei miei sogni insieme ad un bussare ripetuto e forzato. “Guarda che non mi convinci più di tanto. Se non vieni ad aprirmi butto giù la porta e ti ci porto per i capelli”. Ma perché non mi lasciava in pace?
“Arrivooo”, cercai di gridare nonostante fossi ancora in preda al sonno.
“E muoviti che sono già le otto e tra poco dobbiamo andare!”, gridò quella pazza da dietro la porta senza un po’ di ritegno.
Mi buttai giù dal letto salvo dimenticare di non atterrare sul piede destro dato che avrei visto le stelle del firmamento una per una.
Troppo tardi, iniziai a contarle e zoppicando e indossando una maglia lì vicino mi avviai intenta a far tacere Ash che mi stava rompendo i timpani oltre a  qualche altra cosa di poco femminile.
“E’ possibile che rompi sempre?!”, esclamai aprendole la porta e lasciandola mentre sciancata mi avviavo verso il divano per riprendermi.
“Grazie per l’accoglienza comunque!” enfatizzò entrando e chiudendo la porta alle sue spalle con fare sarcastico. “Sono venuta a prenderti per il party!”.
“Nessuno te lo ha chiesto”.
“Eddai Van, un po’ più di entusiasmo!”, disse radiosa e raggiante come se avesse dormito quattordici ore. Ma come faceva?
Io ero sveglia da meno ore di lei e non mi reggevo più in piedi, di più il piede era deceduto quel pomeriggio.
“Ash sto male davvero non mi va..”. A quest’affermazione eccola venirmi incontro per tirarmi per un braccio e farmi alzare.
“Ohi.. ho già il piede fuori uso, vuoi massacrarmi anche il braccio e concludere l’opera!”, gridai pregandola di smetterla.
Era una tortura.
Rise. “Ora vai a farti una bel bagno, poi torna qui che ti sistemo!”.
“Credo ti eliminerò dalla lista dei miei contatti Ash. Sei un mostro!”, enunciai avviandomi verso il bagno.
“Grazie, questo è un complimento per me!”, la sentii dire mentre chiudevo la porta del bagno.
Rob non era ancora rientrato dopo quella giornata e la cosa bastava a mandarmi in tilt per bene.
Il getto d’acqua calda e il tepore che emanava mi riportò quasi in vita.
Mi frizionai i capelli cercando di dargli una forma a quella massa informe che si era formata, mi asciugai e infilai un tubino decisamente fucsia abbinato a delle decolté nere, con cui grazie alla caviglia nuovamente dolorante apportavano al mio essere un andamento da papera scema.
Chiesi ad Ashley che fine avesse fatto Rob, ma non ne sapeva nulla, per quanto la riguardava poteva essere al party a cui stavamo andando, mi tranquillizzai apparentemente e affrontai quella mezzora di viaggio senza chiamarlo, ma con il suo viso in mente.
 
Non ero mai stata ad una festa hollywoodiana, il più delle volte l’avevo vista in alcuni film, ma nulla di più.
Non ero assolutamente una ragazza mondana e non ne sapevo molto nemmeno di feste italiane, quindi navigavo nel sicuro accanto ad Ashley in quell’immensa sala riempita forse da millecinquecento persone senza esagerare.
Io come sempre mi sentivo a disagio, grazie anche al mio andamento quella sera. La caviglia non accennava a perdere intensità nel dolore e nonostante il rossore sembrava essere diminuito, non si poteva dire lo stesso riguardo all’ingrossamento della caviglia che ora pareva uno zampone.
Nel mio tragitto lungo la sala cercai più volte il suo volto, aspettavo che quegli occhi cerulei mi colpissero e mi venissero incontro per abbracciarmi, ma nulla, nemmeno l’ombra, mi lamentai più volte con Ashley chiedendogli dove fosse Rob, ma nulla, era troppo occupata in altre conversazioni.
Joe Jonas sembrava averla adocchiata e non la mollava più, così mi appollaiai su una sedia e da lì mi feci spettatrice della serata, aspettando e sperando ogni volta che dalla porta principale del salone scorgevo un ombra sperando che fosse la sua, e invece nulla.
Controllai il telefono più volte, ma tranne le cinque chiamate perse di Cesare di poco prima e assenza completa di campo nulla di nuovo, cercai di chiamarlo ma in quel maledetto posto il telefono non prendeva, in più le tracce di Ashley si erano disperse nel nulla, in sala non c’era più e io mi stavo gettando nella disperazione più assoluta dato che, non ero arrivata da nemmeno un ora e già mi stavo annoiando a morte mentre la mia voglia di tornare in albergo cresceva ancora di più.
“Hey, posso sedermi qui?”, chiese un ragazzo dalle voce possente e forte da sopra di me che chiedeva di sedersi al mio tavolo.
“Ehm.. certo!”, risposi impacciata.
“Vuoi un po’ di vino bianco?”, fece quello cordiale con due bicchieri in mano.
“No grazie, non mi piace il vino”. Sorrisi elegantemente declinando la sua offerta.
“Ah, non lo sapevo. Non so, magari preferisci qualcos’altro?”.
“No no ti ringrazio, sto bene così guarda”. Sorrisi di nuovo.
Quello allungò la mano attraverso il tavolo porgendomela.
“Comunque piacere, io sono Nicolas”. La afferrai cercando di presentarmi anche io.
“Piacere, io sono Vanessa”. Lui sorrise dolcemente.
“Ti ho vista zoppicare, mi dispiace.”
“Si, purtroppo.. uno spiacevole incidente”.
“Nulla di grave spero”, sembrava seriamente preoccupato della mia salute.
“No, no. E’ solo una lieve slogatura”.
“Comunque non dovresti camminare con una simile distorsione e con dei simili tacchi. La sforzi e ti fai solo del male”. Mi consigliò.
“Li sento già gli effetti. Avrei voluto restare in albergo infatti, solo che qualcuno mi ha costretta ad esserci stasera”.
“La Greene, vero?”, azzardò guardandomi di sottecchi.
Scoppiai a ridere istintivamente. “Esattamente. La conosci?”
“No, in verità, non ne ho avuto il piacere. La conosco solo per la saga di Twilight”, confessò.
“Ah capisco”.
Parlammo per un po’ in quell’infinito caos di musica e balli in cui Ashley pareva essersi dileguata. Nicolas, che ormai chiamavo Nick per la confidenza creatasi, mi parlò un po’ di lui, del suo lavoro, della sua vita. Mi disse di avere ventisei anni e di non aver ancora trovato la donna della sua vita, diceva di essere un tipo romantico e glielo si leggeva negli occhi, degli splendidi occhi nocciola che fin da subito mi avevano colpito.
Faceva il modello, sfilando per di più per i più grandi stilisti, ma confessò di aver fatto anche i suoi bei sacrifici prima di arrivare a quella vita.
Mi rivelò di essere stato anche più volte in Italia, a Milano la città della moda, città in cui non ero mai stata per le scarse occasioni che mi si erano state presentate, e di aver sfilato più volte per Armani, Cavalli, Versace e Dolce & Gabbana.
Ammisi con grande soddisfazione di prediligere soprattutto l’ultima nota marca con i suoi vari abiti e accessori. Scoppiammo a ridere più volte notando quanti gusti in comune avevamo e scherzando sul fatto che magari uno dei due cercava di provarci con l’altro.
Mi confessò di essere a Los Angeles per un servizio fotografico e uno spot per la nota marca di Calvin Klein che doveva lanciare un nuovo profumo e una nuova idea di intimo maschile. Arrossì di colpo.
Quando guardai l’orologio poi mi venne quasi un colpo, erano le due passate ed io ero ancora lì senza la minima ombra di Ashley intorno, come avrei fatto a tornare in albergo senza quella svampita? Mi prudevano le mani dalla voglia di ucciderla. Semmai l’avrei trovata l’avrei distrutta.
Saltai dalla sedia facendomi male come al solito e ricadendo su di essa come una scema.
Nick mi fu subito vicino e mi afferrò evitando l’impatto col terreno e spostando il mio corpo in direzione della sedia.
“Ohh.. attenta!”, avvertì spaventato.
“Maledetta caviglia!”, imprecai massaggiandola.
“Ricorda non la devi sforzare..”, ricordò.
“Si, ma io devo tornare in albergo e quella scema di Ashley non si vede.. dovrei chiamare Rob forse, ma uno: non so dov’è. Due: Qui il telefono non prende.”
Ero disperata.
“Si, infatti non la vedo neanch’io”. Notò guardandosi intorno. “Ma se vuoi posso farti chiamare dal mio. Credo la mia compagnia telefonica regga”. Fiatò passandomi il telefono e stupendomi.
“Grazie Nick. Ti rubo solo un minuto giuro, chiamo Rob, vedo dov’è e vedo se può mandarmi qualcuno”.
Lui annui e si allontanò per lasciarmi un po’ di privacy. Mi tappai un orecchio cercando di isolarmi dal frastuono intorno per sentire Rob dall’altra parte.
Tuuu. Tuuu. Tuuu.
Tre squilli, risposta immediata.
“Pronto?!”, chiese una voce allarmata dall’altra parte della cornetta.
“Rob? Rob, sono io Vanessa!”, ammisi con un sorriso sperando che captasse la mia voce in quel casino. “Dove sei?”.
“Dove sono io?  Dove sono io dici? Dove cazzo sei tu?! Non ti sei slogata una caviglia? Perché non sei qui? Mi hai lasciato un biglietto e ti sei dileguata”. Gridò adirato mentre io ero incredula alle sue parole.
“Lo so che ti ho fatto preoccupare amore, lo so credimi.. ma Ash mi ha portata ad una festa.. e io, ora non so che fare, perché lei se n’è andata, o almeno.. non la vedo più da circa tre ore..” nessuno mi rispondeva più dall’altra parte, nemmeno il suono di un respiro, nulla.
Chiamai invano il suo nome per un paio di secondi prima di scoprire che la linea era caduta magicamente anche da quel telefono.
Fantastico, esclamai dentro di me nervosa a mille, e ora come faccio? Mi passai una mano nei capelli.
Nick si avvicinò visto il degrado apparente dei miei poveri nervi, non più saldi.
“Che succede?”
“E’ caduta la linea, sono bloccata qui, dato che non ho potuto dirgli granché..”. Ammisi cercando di restare calma, anche se era un impresa.
Nick si guardò intorno per poi esclamare: “E se ti accompagnassi io? La prenderesti male?”.
Incredula strabuzzai gli occhi da quella sua generosità.
“Puoi fidarti di me”.
“Prenderla male dici? Come potrei? Mi aiuteresti un sacco Nick perché sono disperata e a quanto pare anche qualcuno dall’altra parte lo è. Mi fido di te Nick”.
Sorrise con quel viso da angelo cherubino e mi prese quasi in braccio sorreggendomi per non zoppicare.
“Andiamo allora!”.
 
Arrivati in alla porta dell’ingresso dell’hotel si incaponì nel voler accompagnare fino in camera, aggiungendo che non era un modo per provarci per farmi stare sicura, ma non volevo e insistei a mia volta nel voler salire da sola dato che il dolore non era così atroce, ma nulla di fatto, Nick non si mosse dalla sua idea e avvolgendomi con un braccio mi scortò fino al stanza 32b del quattordicesimo piano.
Quando bussai, il viso che riscontrai davanti ai miei occhi era nero di rabbia e trovandosi davanti quella scena gli andò in fritto il cervello pensando chissà cosa, glielo leggevo negli occhi, quella maliziosità velata mascherata da due occhi rossi e lucidi come se avesse anche bevuto.
Nick mi accompagnò fino al divano lì vicino sotto gli occhi trucidi di Rob che non l’aveva degnato nemmeno di un saluto o di un ringraziamento.
“Grazie Nick”, ringraziai una volta comoda sul divano.
“Non mi devi ringraziare di nulla. Non potevo lasciarti lì”. Sorrise illuminando i suoi occhi.
Si accorse dell’aria creatasi intorno, simile quasi al polo nord e decise di andare.
Mise le mani in tasca impacciato mentre si guardava intorno. “Ok Van, io ora vado. Ci si sente”.
Salutò Rob con un cenno basso della mano e chiuse la porta alle sue spalle una volta fuori.
Da dietro il divano Rob stringeva forte i pugni e guardava un punto fisso davanti a sé e prima che trovassi il coraggio di invadere il suo momento di calma esclamò: ”Mi dici dove cazzo sei stata?”.
“Rob, ascolta..”, dissi voltandomi verso di lui per guardarlo in faccia e vedere i suoi occhi che in quel buio sembravano neri come la pece. “Sono andata ad una festa con Ashley, solo che poi si è dileguata e sono dovuta tornare con quel ragazzo”. Non avevo il coraggio di pronunciarne il nome, nelle condizioni in cui si trovava mi avrebbe azzannata credo, ne sarebbe stato capace.
“Non ti eri slogata la caviglia? Non ti faceva male? Perché non sei rimasta qui come hai scritto nel biglietto?!”, esplose dando in escandescenza e colorando la sua faccia di un rosso paonazzo. Ebbi quasi paura.
“Me la sono slogata, infatti.. non mi sarei fatta accompagnare fino a qui se non fosse stato così!”, urlai per sovrastare la sua voce che ormai riempiva la stanza. “ E poi Ashley mi ha..”
“Ahhh.. non dire costretta giuro! Peggioreresti le cose!”.
“Ma è così! Perché ti dovrei dire il contrario? Dovrei mentirti?”. Sbraitai.
“Lo STAI GIA’ FACENDO PORCO CAZZO!”, spolmonò in tutta rabbia non calcolando che ora fossero.
Restai impietrita al mio posto a fissarlo. “Non mi credi? Pensi che io ti stia dicendo una bugia?”
Si calmò di poco e prese fiato guardandomi fisso negli occhi. “Penso solo che non ti conosco più. Mi dici un sacco di bugie! Stanno sempre a costringerti a te? Se non volevi potevi declinare l’invito non ti è stata puntata una pistola contro cazzo! Perché non dici che ci sei voluta andare, magari per incontrare quello lì”. Il colorito ritornò sul suo viso accusandomi di un qualcosa che io stentavo anche a pensare figuriamoci a commettere.
“HAI BEVUTO STASERA ROB?? Bugie? BUGIE IO?! Se conoscessi Ashley almeno un minimo di come la conosco io sapresti che dico la verità e che quando si impunta su una cosa deve essere quella per forza, e poi se mi amassi almeno un po’ dovresti fidarti di me e di ciò che ti dico. Io quello lì nemmeno lo conoscevo! Non sapevo nemmeno chi fosse.. come puoi minimamente pensarlo? MIO DIO!”. Mi passai una mano tra i capelli incredula con la testa che sembrava scoppiare.
Era un urlare continuo quella sera.
“Vi siete divertiti almeno? Cosa avete fatto?”, disse più calmo lasciando intendere però ben altro. “Ho visto che c’era grande affiatamento tra di voi: i vostri sguardi, le vostre occhiate, il suo abbraccio e il fatto di SALUTARTI CON IL NOME CON CUI TI CHIAMO IO!” .
“Rob, ti prego dimmi che non sta accadendo. Mi stai facendo una scenata senza cognizione di causa lo capisci? Apri gli occhi, abbiamo solo chiacchierato, mi ha tenuto compagnia dato che Ashley aveva altro da fare tutto qui! Quali occhiate, sguardi o cose varie? Le hai viste solo tu! E poi per il nome non mi ci chiami solo tu, tutto il cast mi ci chiama! Jackson, Taylor, Kellan, Michael.. allora me la sono fatta con tutti a come dici tu??”. Urlai ormai a due passi da lui.
“Può darsi..”, rispose non curante della reazione che stava provocando. Sentii uno squarcio aprirsi al mio interno e mi cadde la terra sotto i piedi nello stesso istante in cui senti il pronunciarsi di quella frase abominevole. Come poteva pensarlo, forse era l’alcool iniettato nel suo sangue e nel suo organismo a farlo parlare in quel modo. Ma se è vero il proverbio “In vino veritas” probabilmente ciò che stava dicendo lo pensava realmente. Una consapevolezza che mi stralciò del tutto.
“VAFFANCULO ROBERT!”, urlai con le lacrime agli occhi e il vuoto dentro al cuore mentre entravo in camera sbattendo la porta e chiudendola a chiave così come il mio cuore.

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Capitolo 22
*** 21. Non ho che te. ***



E' la prima volta che mi cimento in un Pov Robert e sinceramente non so nemmeno quanto sia venuto bene, ma mi è venuto così.. anche perchè Van è un po' in suspance al momento, non si sa che fine abbia fatto, si può solo immaginare il dolore che la sta lancinando dentro, e poi, era giusto anche, secondo me, sottolineare lo stato d'animo di Rob dopo quello che è successo..
Il resto è tutto da scoprire, perciò non dovete fare altro che leggere..

Ringrazio come sempre tutte le persone che seguono, commentano e aggiungono la storia tra le loro preferite, è una grande soddisfazione per me vedere che vi piace! Inoltre grazie mille a tutte coloro che mi fanno i complimenti, sono sempre molto graditi per una pessimista come me. :P
Ora comunque bando alle ciance e buona lettura!
Kiss


Pov Robert.

4 Luglio 2010.

L’avevo trattata male, lo sapevo da me e stavo da schifo per questo.
Il tutto era iniziato alla premiere, quella stupida gelosia che d’un tratto era riemersa dopo mesi che stavo con lei. Tutto a causa del suo ex, che aveva deciso di presentarsi rovinandomi la serata e facendomi andare in escandescenza ad un solo sguardo, quando avevo visto il suo corpo vicino a quello di colui che una volta aveva portato nel cuore e di cui si era perdutamente innamorata ero andato su tutte le furie non capendo più nulla.
Avevo visto una sua mano sfiorarle il braccio, avevo visto un abbraccio e un giacca messa sulle sue spalle da parte sua, un mix perfetto per farmi perdere la testa come uno stupido e sfogarmi con lei nel modo sbagliato.
Ora capivo cosa provava lei quando mi vedeva con Kris, lo capivo benissimo e me ne pentivo amaramente.
Non ero stato con lei quando si era slogata una caviglia, non l’avevo sorretta e presa tra le mie braccia quando serviva, tutto a causa della mia stupida popolarità che d’un tratto riprendevo ad odiare.
Se fossi stato un ragazzo normale con una vita normale al di fuori dei riflettori, tutto questo non sarebbe successo, ne avevo la certezza.
Ed ora mi ritrovavo con una sua foto in mano, più che altro nostra.
Eravamo abbracciati e la sua mano poggiava sul mio petto, in entrambi gli sguardi una luce diversa, speciale. Tutti e due felici, tutti e due innamorati.
La buttai sul letto e mi misi le mani nei capelli disperato.
Che avevo fatto? Che mi era saltato in mente quel giorno?
Il suo bracciale era ancora lì sul comodino accanto al letto, su cui lo lasciava ogni sera prima di dormire. Il pendete a forma di cuore con le nostre iniziali risplendeva alla luce del sole quasi accecandomi come a deridermi e illudermi di poterla riavere.
Non osavo toccarlo, sarebbe stato come rimuovere ogni traccia di lei dalla mia vita. Sarebbe stato come non esistere più.
Il ricordo di quella sera mi ballonzolava in mente ad ogni secondo.
Non avevo calcolato il fatto di quanto fosse fragile e sensibile e quella sera avevo fatto traboccare il vaso facendola esplodere e uccidendomi allo stesso tempo. L’avevo accusata di qualcosa che non c’era e che mi ero messo in testa come un bambino capriccioso e stupido.
Negli ultimi giorni causavo discussioni su discussioni come niente e per niente, riportando poi tutto al punto focale del mio problema: la paura di perderla, che esprimevo male e che sfogavo nel modo sbagliato aggredendola e usando parole pesanti che non erano in me e che non la rispecchiavano neanche minimamente.
L’ultima discussione era stata la più dura e la più acida dal mio punto di vista.
Lei dormiva ancora chiusa in camera dopo una serie di pianti che le sentii fare per tutta la notte in cui singhiozzi e muggiti mi fecero più volte avvicinare alla porta tentando di aprirla, ma con l’orgoglio che avevo quella sera non ne ebbi mai il coraggio. Tenevo la chiave di riserva della camera in tasca e avvicinandomi più volte avevo tentato di infilarla nella toppa senza mai, però arrivare a girarla per aprirla.
Ero stato un verme, schifoso verme viscido che l’aveva fatta soffrire senza ritegno calpestando il suo amore.
La mattina presto, dopo svariate ore di sonno su quel divano scomodo dove mi ero appollaiato col sottofondo dei suoi pianti, venni svegliato da un bip improvviso di un telefono dal tavolo, pensando fosse il mio, l’avevo aperto ancore in preda a Morfeo.
Sullo schermo lampeggiava una bustina che si apriva e chiudeva con sottoscritto un numero cinque al di sotto.
Decisi di sedermi sul divano e dopo aver strofinato un po’ gli occhi, ancora appannati e venati dal brusco risveglio, apri la sezione dei messaggi a sua insaputa, senza sapere a cosa andavo incontro, o meglio a cosa credevo di andare incontro.
Cinque nomi di ragazzi campeggiavano tra i messaggi non letti.
Sgranai gli occhi passandoli in rassegna uno per uno: Diego, Nick e Cesare. Gli ultimi due mi erano conosciuti, il primo mi era abbastanza insolito, motivo in più per sospettare, motivo più per ingelosirmi, motivo in più per esplodere.
Tre messaggi arrivavano da Nick, uno da Cesare e uno da Diego.
Mi alzai nervoso dal divano, senza leggerli, senza nemmeno aprirli, ciò che avevo visto mi bastava, o almeno così credevo per trarre conclusioni affrettate, fin troppo affrettate e la mia voglia venutami in mente nella notte appena trascorsa di chiederle scusa mi passò di colpo.
Decisi di scendere giù, abbandonare quella stanza ed andare a prendere un cappuccino magari, passeggiare per riprendermi.
Quando rientrai, dopo circa un ora dal mio giro di sbollimento la trovai sul divano intenta a guardare la tv, o almeno così pareva dato che il suo sguardo era del tutto vuoto. Ma non mi fermai, stupido come sono rincarai la dose della sera precedente e presi di nuovo ad attaccarla con apparente calma.
Presi il suo telefono, dal luogo in cui lo avevo riposto e che lei non aveva nemmeno visto e glielo lanciai sul divano senza nemmeno salutarla.
Ricordo il suo sguardo, i suoi occhi erano rossi e gonfi per la notte appena trascorsa in pianti.
Dovevo fermarmi. Perché non mi ero sciolto davanti a quella visione e l’avevo accolta tra le mie braccia invece di aggredirla, come avevo sempre fatto prima di allora? Perché avevo pensato male di lei?
STRONZO. STRONZO. STRONZO.
Gridava la mia coscienza mentre mi tenevo la testa tra le mani a quell’incubo.
“Ti sono arrivati cinque messaggi stamattina. Tutti dai tuoi spasimanti”, dissi sorridente togliendomi i miei RayBan.
Di nuovo quello sguardo perso e incline all’incredulità.
“Hai letto i miei messaggi?”, mi accusò lei sospettosa e adirata.
“E’ mai stato un problema forse? Mi pare che non ci siamo nascosti mai nulla, siamo sempre stati fedeli l’uni all’altro, o non è più così?.”, azzardai riempiendole il vuoto.
“Perché fai così Rob?”, disse di nuovo con gli occhi gonfi di lacrime. “Non ho fatto nulla, non ce nessuno oltre te nella mia vita. Amo solo te, sempre e solo te Rob”. Mi guardò con uno sguardo deluso e amareggiato dalle mie ultime parole.
Non mi curai di ciò che disse, ero accecato dalla gelosia e da quella maledetta paura di perderla senza rendermi conto che facendo in quel mondo l’allontanavo di più.
“Se non è come penso io, perché continuano a mandarti messaggi? Trovami una spiegazione perché io non so cosa pensare!” ed ecco che iniziava una nuova discussione. L’ennesima scena che si ripeteva ogni giorno da due giorni ormai.
Lei ammutolì, non rispose mentre i suoi singhiozzi diventarono più frequenti e forti.
Corri da lei, abbracciala e baciala. Scusati. Non farla soffrire! Urlò la mia attuale coscienza al ricordo di questa scena.
Poi i suoi occhi ancora più rossi e lucidi si voltarono lentamente entrandomi dentro la memoria.
Il suo sguardo era vacuo, privo di ogni sensazione, ormai del tutto vuota.
“Rob, non starai di nuovo mettendo in dubbio il mio amore per te vero?”, chiese incredula incapace di avvicinarsi schiarendosi la voce, ormai più bassa e roca a causa mia.
“SI. Si che lo sto mettendo in dubbio, ok? Forse non è più come prima! Forse ti è venuta voglia di nuovo di metterti con LUI! Perché infondo il tuo giro con me l’hai avuto, no? Sei diventata una diva! Tutti ti cercano, tutti ti vogliono, io non ti basto più.. puoi metterti con chiunque ora! Puoi chiamare Nick, Cesare e anche quel Diego che campeggia tanto nella tua rubrica”.
Lei si alzò e come un automa misurò distintamente le parole una per una, lo vedevo dai suoi occhi.
Stava per esplodere. Dovevo fermarmi lo sapevo.
“Il mio giro?”, strizzò l’occhio destro in preda ad un tic nervoso. “Il mio giro Rob? Spiegami di cosa stai parlando ti prego perché non ci capisco davvero più nulla! Credi che io stia giocando con i tuoi sentimenti Rob, credi che non ti ami per davvero come ogni volta ti professo? Credi che mi sia messa con te solo per popolarità e questo che pensi Rob? O credi, ancor peggio che io sia una poco di buono e che ti abbia solo sfruttato per andare sempre più in cima? Quali di queste cose pensi Rob perché non l’ho ben chiaro ora!”. Il suo pronunciare ad ogni frase il mio nome mostrava evidenti segni di nervosismo che cercava di tenere a bada.
“In realtà lo sai cosa? Penso tutte e tre le cose!”, dissi noncurante della reazione che stavo per scatenare e della sofferenza che le stavo procurando.
Le lacrime iniziarono a vacillare  di nuovo dai suoi occhi, ormai sconfitta dal dolore. Lo vedevo bene mentre io me ne stavo lì inerme senza abbracciarla e senza tornare suoi miei passi.
Colpita e affondata.
“Come puoi dirmi questo? Come puoi pensarlo davvero? Ogni parola, ogni promessa, ogni bacio è sempre stato pura verità. Te la prendi con me solo per un paio di telefonate, e per una festa a cui io NON VOLEVO NEMMENO PARTECIPARE. Te la prendi con me per la pura idea che vuoi avere e per tutte le macchinazioni che il tuo cervello ha fatto, mentre io? Cosa dovrei dire io? Che sopporto dall’inizio della nostra storia la tua farsa con Kris, sopportando ogni vostro bacio, ogni vostra carezza per accontentare i fan. Cosa dovrei dire io?”.
“Non ribaltare la frittata ora!”, gridai.
“Io non ribaltò nessuna frittata! Ti dico solo le cose come stanno, la pura e semplice verità!”.
Il suo cuore cadde a pezzi dentro di lei, mi sembrò quasi di sentirlo.
Abbassò lo sguardo e un ultima lacrima cadde sul pavimento ormai sconfitta dal dolore che le stavo provocando.
“Non ti fidi più di me?” domandò con un filo di voce ormai rotta, incrociando i miei occhi per constatare la mia espressione,
“Non lo so più..”, risposi sotterrandola nel baratro più eterno.
Vidi bene quell’espressione che le si dipinse in volto dopo queste mie affermazioni, tutte eternamente sbagliate.
Era pari al vuoto che avevo ora io.
Quel silenzio assestante mi disarmò facendomi ritornare in me, anche se ormai troppo tardi.
La vidi entrare in stanza, in questa stanza che ora uccideva i miei pensieri e mi riportava lei in mente.
La stanza che era stata testimone fino a otto giorni prima di un intenso amore.
La lasciai lì, in preda al nervosismo, senza salutarla spalancai la porta e mi avviai verso l’uscita per sbollirmi un po’ per l’ennesima volta quella mattina.
Tornai in albergo dopo tre ore buone dopo aver camminato per tutta Los Angeles credo, con mille pensieri e ripensamenti in testa.
Apri la porta della suite piano impaziente di vederla e di chiederle scusa, per confessargli quanto stupido ero stato in quei giorni, per abbracciarla e baciarla consolandola, ma quando la chiamai ripetutamente, di lei non c’era nemmeno l’ombra, sul tavolino all’ingresso un biglietto.
 
“Scusa per averti disturbato.. nel mio cuore ti ho amato sempre e sempre ti amerò”.
 
Il mondo mi crollò addosso nello stesso istante in cui lo lessi.
L’avevo persa.
 
Mi sembrava di vivere in incubo. Un incubo dal quale non riuscivo a riemergere nemmeno se lo volessi.
Erano sette giorni di pura agonia. Sette giorni in cui non sapevo più nulla di lei.
Per quanto la chiamassi, per quanto la cercassi, non riuscivo a reperirla.
Non rispondeva alle mie chiamate, e rifiutava di rispondere anche a quelle di Ashley, che quando venne a sapere la storia mi scannò vivo scavandomi la fossa in cui buttarmi. Erano sette giorni in cui nemmeno lei mi rivolgeva più la parola.
Non rispondeva a nessuno che fosse del cast, non rispondeva alle mie mail tanto meno ai messaggi che gli mandavo in ogni nano secondo della mia misera vita.
Non sapevo dov’era, se stava bene, cosa assai poco probabile.
Non voleva più sentirmi era chiaro e forse anche giusto, mentre io a poco a poco mi sentivo morire.
Che avevo combinato? Perché ero stato così stupido, così accecato da quella gelosia per non vedere il suo dolore?
Mi mancava, mi mancava terribilmente, più delle altre volte, perché sapevo che non sarebbe tornata.
Vivevo quei sette giorni a stento, in cui mi sembrava di non riuscire più a trovare un mio equilibrio, tutto era precario, tutto mi sembrava fuori posto e assurdo.
 
Avevo bisogno di parlarle, volevo poterle chiedere scusa, dirgli che ero stato uno stupido e forse anche di più, volevo darle spiegazioni di quel mio comportamento macabro, volevo che tornasse tutto come prima, la volevo di nuovo vicina a me, volevo che tornasse mia. Solo ed esclusivamentemia.
Volevo poterla ancora osservare in ogni suo gesto, volevo sentirla ridere e conoscere ancora in ogni sua azione , volevo amarla, rassicurarla e proteggerla ogniqualvolta ne avesse bisogno, ogniqualvolta avesse bisogno di me.
La rivolevo indietro.
 
Ti prego ritorna. Sto davvero male amore”, digitai per l’ennesima volta in preda a quel dolore malsano che mi divorava.
Avrei voluto chiamarla, sentire la sua voce e rassicurarmi almeno per un po’ pregandola di ritornare, anche in ginocchio, anche piangendo se avessi potuto. Sapevo che le mie lacrime non sarebbero state uguali alle sue, ma le avrebbe sentite, avrebbe sentito quanto stavo male senza lei.
Non conoscevo nessun numero delle sue amiche, e non potevo tantomeno chiamare i suoi genitori per constatare che fosse a casa, perché se così non fosse stato avrei preoccupato loro e me al tempo stesso e non volevo.
Ma avevo urgente bisogno di lei.
Mi buttai sul letto e iniziai a piangere, come sempre da quando se n’era andata.
 
Un trillo del telefono dopo una mezzora mi fece sperare in qualcosa.
Il mio cuore iniziò a sobbalzare.
Girai lo schermo del telefono piano e le mie speranze svanirono.
 
“Pronto Nick?”, dissi amorfo e con la gola dolorante.
“Dove sei Rob? Ti stiamo aspettando tutti giù in reception per l’intervista”.
Oddio l’intervista. La mia mente non connetteva più con tutto quello strazio.
“Ah, già… ok! Un’attimo e arrivo..” sbiascicai e staccai la chiamata prima che il mio agente potesse ribattere.
Mi passai una mano tra i capelli esausto, ripresi la foto dal letto e la riposizionai nel cassetto guardandola per l’ultima volta.
 
Nonostante il dolore lancinante che sentivo nel petto dovevo mascherarmi di una felicità che non avevo e indossare un sorriso che il più delle volte pareva forzato anche a me per quanto era finto. Speravo che nessuno se ne accorgesse, speravo di non dover dare spiegazioni a nessuno, specie a quei giornalisti succhiasangue che mi divoravano da tre anni.
Dovevo fingere di stare bene, e ridere anche se in controvoglia, come se stessi interpretando un ruolo in film, dovevo fare il mio lavoro, dovevo fare l’attore anche nella vita reale.
Dovevo mantenere la concentrazione ma non ci riuscivo per più di un'ora, poi iniziavo ad andare nel pallone a perdere il gusto anche di parlare e la mia mente tornava a lei, al mio punto di riferimento, il centro del mio mondo, lei. Le interviste furono le solite, risposi cordialmente, sorridendo il più possibile, scherzando e cercando di mettere da parte tutta la rabbia e l’angoscia che avevo dentro.
In compenso mi muovevo sulla sedia, incapace di trovare una posizione comoda.
Uscì dalla stanza stralunato ed esausto come se avessi lavorato invece di parlare.
Mi faceva male la testa e mi sentivo intontito.
Kris e Taylor erano dietro di me.
“Come stai?”, chiese Kris seriamente preoccupata del mio stato di salute mentale appoggiandomi una mano sulla spalla come incoraggiamento.
“Non si vede? Sto da schifo!”, sbuffai appoggiandomi a una finestra lì vicino per riprendermi.
Indossai gli occhiali.
Avevo di fronte a me due volti che si confondevano con il mio per l’angoscia.
“Devo sentirla. Ne ho bisogno, non ce la faccio più..”, confessai quasi sull’orlo di una crisi di pianti. “Sapete qualcosa da Ashley a riguardo? L’ha sentita? Non vuole parlarmi, non sente ragioni per farlo”.
I due si guardarono.
“Non abbiamo saputo nulla Rob”, disse Taylor, “non ne parla perché sa che alla fine te lo diremmo quindi evita di toccare l’argomento con noi”.
Mi portai una mano sulla testa.
“Perché vuole farmi soffrire? Insomma, voglio solo sapere dov’è, come sta, visto che non posso parlarci..”, volevo piangere, ma sarebbe stato uno strazio anche per loro, e non volevo mostrare le mie pene anche agli altri nonostante fossimo amici.
“Ti capiamo Rob cosa credi? Ogni giorno sento Ash e cerco di spillarle qualcosa, ma nulla. Cambia discorso appena tocco l’argomento. Secondo me comunque l’ha sentita altrimenti non eviterebbe. Magari Nikki sa anche qualcosa però..” ammise Kris dandomi un barlume di speranza.
Non era amica diretta con Vanessa come Ashley, ma era grande amica di quest’ultima e magari sapeva qualcosa.
Non ci pensai più di tanto, presi il telefono dalla tasca e chiamai nonostante l’avessi vista poi nel pomeriggio. Non volevo aspettare, se c’era qualcosa da sapere dovevo conoscerla.
“Pronto Nikki?”.
“Ehi Rob.. come va?”, chiese come se mi dovesse vedere da mille anni.
“Va che ho da chiederti una cosa a cui mi devi rispondere per forza: dimmi cosa sai di Vanessa? So che parli con Ashley..”, sputai tutto d’un fiato.
“Mmh.. non so Rob, Ash mi ha raccomandato di non farti sapere nulla”, disse pensierosa.
“Non me ne frega un cazzo di quello che dice Ash! Vanessa è la mia ragazza e devo sapere qualcosa di lei, è da giorni che sto di merda, sono nel baratro più profondo e non riesco ad andare avanti, sembra che mi hai visto. Me lo devi Nikki..” esplosi di rabbia. Ash che dettava legge nella mia vita.
Quella titubò un po’ accentuando i miei nervi e innescando la loro esplosione.
“Non ne possiamo parlare da vicino? Oggi pomeriggio ritorno”.
“Pomeriggio un corno Nikki. Ho bisogno di sapere ORA!”.
“Ok..” sbuffò. “Con Ash ci parli tu poi..”. Stavo per sbraitare quando iniziò a parlare di lei.
“Allora, Vanessa dopo la vostra ultima litigata in cui TU hai fatto traboccare il vaso, è tornata in Italia, ma non a casa sua. Non vuole preoccupare i genitori, a cui ovviamente non ha detto nulla, per loro lei è ancora con te a Los Angeles. E’ a casa di un’amica, a Roma. Lei mi pare si chiami Giorgia, molte volte Ash chiama anche sul suo numero, perché il suo a volte lo stacca per non sentire ne te, né nessuno”.
“Come sta?”, chiesi d’un fiato assorbendo come una spugna le informazioni ricevute.
Una pausa e un sospiro.
“Come vuoi che stia Rob? Di certo non balla sui tavoli la conga e non sprizza felicità. Sta male. A volte non vuole nemmeno rispondere ad Ash, e la sua amica sta male nel vederla piangere e deperire ogni giorno di più”.
“Deperire in che senso?”, sgranai gli occhi seriamente preoccupato, cercando di escludere l’unica verità che combaciava con quella parola.
“Non mangia Rob. Ci sono giorni in cui è difficile che tocchi cibo e se lo tocca dopo vomita perché è nervosa e triste. Di notte molto spesso grida il tuo nome seguito da degli incubi che la fanno svegliare e piangere. E’ chiusa in una stanza, non esce più. L’ha presa male Rob, le hai fatto male non puoi negarlo. Ti ama più di ogni altra cosa al mondo, non ti tradirebbe mai”. Io intanto ormai stavo piangendo. Non emettevo nemmeno un suono a causa del nodo che sentivo in gola in quel momento. Le avevo fatto del male. Troppo male. Era da un amica, piangeva e non mangiava a causa della mia stupida ossessione. Non sapevo che fare. Volevo andare da lei, dirgli che andava tutto bene e che l’amavo e l’avevo sempre amata e che quei momenti erano stati solo attimi di pura pazzia e gelosia che mi avevano fatto diventare un mostro.
Volevo riaverla tra le mie braccia, vicino a me, sorridente e radiosa mentre mi aiutava a sopportare questa popolarità e questa invadenza con un sorriso.
Volevo baciarla, farla mia di nuovo.
“Ci sei?”, gridò Nikki dall’altra parte.
Rinvenni straziato più di prima.
“Hai il numero di questa ragazza?”.
“Cosa vuoi fare?”
“Voglio sentirla e parlarle”.
“Rob, non te lo consiglio. La faresti stare peggio, lascia stare”.
“E voi che la chiamate sempre?!”
“Noi non siamo le dirette interessate della vicenda”
“Tu no, ma Ash sì. Se non fosse stato per quella festa non ci troveremmo in questa situazione ora, a soffrire come cani. Dammi quel numero”, ripetei categorico.
A quel punto fu costretta e dandomelo sbuffò più volte.
La ringraziai e chiusi la telefonata.
 
Guardai soddisfatto i due spettatori lì vicino che parevano essere rimasti con il fiato sospeso, ma non era il momento di spiegare, dovevo saperne di più dalla diretta interessata o almeno da colei che le era vicina in quei momenti.
Feci un rapido calcolo del fuso e chiamai decretando l’ora italiana accettabile per una telefonata inaspettata.
Composi il numero e iniziai a farlo squillare.
Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei squilli poi qualcuno avviò la chiamata e il suono di un respiro entro nelle mie orecchie.
“Pronto?”, chiesi cordialmente aspettando una voce dall’altra parte. “Van?”, chiesi speranzoso.

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Capitolo 23
*** 22. And I back to you. ***



Ed eccolo il nuovo capitolo.
Mi scuso per l'attesa, ma a volte gli impegni non mancano e il tempo per finire un capitolo mi sfugge dalle mani! >.<
I'm sorry.
Comunque il capitolo è ancora POV Rob (ci sto prendendo gusto!) anche perchè è anche bello vedere il suo punto di vista di fronte a questa lontananza. Spero comunque sempre che vi piaccia e che mi diade recensioni a riguardo!
Ora vi lascio immergervi nella lettura del capitolo.

Buona lettura.
Kiss...



A rispondermi dall’altra parte una voce inaspettata, forte e decisa. Una voce che non mi aspettavo di sentire. La sua amica.
“No, sono Giorgia”. Rispose quella in tono acido.
La sua acidità mi spiazzò facendomi traballare pentendomi di quella chiamata.
Avrei voluto staccare, ma dovevo chiedere di lei. Dovevo sapere che era lì per davvero e consolarmi con quella idea.
“Ehm.. sono Robert. Se posso vorrei parlare con Vanessa”., chiesi titubante toccandomi in continuazione i capelli, segno evidente del mio nervosismo.
“Non mi sembra davvero il caso..”, replicò quella probabilmente chiudendo una porta, dato il rumore che sentii in sottofondo.
Era quella della sua camera ad essere stata chiusa? Magari per non far si che mi sentisse, o meglio che non sentisse la sua amica pronunciare il mio nome.
Iniziavo a farmi delle paranoie in testa capaci di sfracellarmi.
“Lo so davvero Giorgia..”, cercai di pronunciare il suo nome in perfetto italiano, ma ne usci una storpiatura dall’accento inglese.
“Senti Robert, sai quanto io simpatizzi per te. Insomma sei uno dei miei attori preferiti e non te l’ho mai nascosto.. ma quello che è successo con Vanessa non mi ha rallegrato più di tanto. Non avrei mai immaginato questo tuo lato… ma qui ovviamente non si tratta di me, ma di lei e di te, di voi due.. e io sinceramente, dopo quello che è successo mi sento in dovere di dirti che non è il momento più adatto per sentirla. Non le gioveresti affatto”, dichiarò interrompendomi.
“Io non voglio che stia male, nemmeno per un secondo l’ho desiderato,.. Non so cosa ti abbia raccontato degli ultimi giorni insieme ma non rinnego niente, tutto ciò che ti ha detto è vero. Verissimo.. sono stato un mostro me ne rendo conto. Ma non posso vivere senza di lei.. sto soffrendo come un cane da quanto se ne andata.. Ho bisogno di sentirla!”.
“Hai bisogno di sentirla per cosa? Per pulirti la coscienza e vivere meglio la tua popolarità facendo stare male lei? dimmi di cosa hai bisogno Rob perché davvero non capisco il tuo accanimento. Tu non sai come sta.. come vive ogni notte e ogni giorno. Tu come ti sentiresti se dalla persona che ami ti saresti sentito dire che, in poche parole, sei un poco di buono, che è una persona priva d’amore e che non ti fidi minimamente di ciò che fa? Come credi che possa andare avanti una storia senza la benché minima fiducia nell’altro? Solo perché ti sei fatto dei film mentali senza fondamento. E allora tu che continui a fingere al mondo che stai con Kristen? Come si sente lei secondo te?! Sorbire ogni vostro finto bacio e ogni vostra finta carezza facendo finta di nulla..”, esclamò infuriata come era giusto che fosse. Abbassai la testa come un bambino piccolo che viene rimproverato dalla propria mamma.
Tutto ciò che stava dicendo era vero, verissimo per quanto mi riguardava.
Io non giovavo alla sua salute, o meglio la mia popolarità non giovava alla sua salute. Io che fingevo giorno per giorno di stare con una persona che in realtà non era altro che un amica e niente più facendo stare male colei che per me era molto di più di tutto il mondo messo insieme, colei che desideravo più di quella insulsa popolarità che ci faceva star male.
Come potevo essere così meschino?
Mi allontanai dalla postazione di quei quattro occhi indiscreti al momento e mi diressi in un posto più tranquillo, senza gente, solo con me stesso e con la persona che dall’altra parte mi stava facendo una vera e propria ramanzina.
Non sapevo che dire e mi limitai ad un lento e stupido “Come sta?”, una domanda della quale conoscevo già la risposta.
“Come vuoi che stia Rob? Dire di merda sarebbe un eufemismo forse.”. Si limitò a dire senza approfondire come aveva fatto Nikki. Mi bastò, sapevo già la verità. Da parte mia il silenzio mi sovrastò con un groppo in gola.
“Non so Rob, giusto per farti un idea del suo stato attuale puoi rivedere New Moon magari.. è terribilmente caduta in uno stato di depressione perenne”, disse dilaniando il tormento nel mio petto.
Le immagini che avevo in mente erano abbastanza chiare, visualizzavo Vanessa e il suo dolore alla perfezione lacerandomi del tutto.
Mi presi la testa tra le mani iniziando a piangere a dirotto ormai distrutto.
“Non so quanto sia corretto nei suoi confronti Rob che io te ne parli, ma è inutile dirti che è delusa, amareggiata da tutto quello che è successo. Non capisce cosa ti sia preso, e il fatto che non ti fidi più di lei, senza avertene dato mai motivo, è la cosa che la tormenta di più”. Confessò tra i denti a cuore aperto come se volesse alleviare il mio inutile dolore.
“Ho avuto paura di perderla”, sbiascicai.
Dall’altra parte silenzio seguito da un “Glielo hai dimostrato in modo sbagliato..”, deduzione a dir poco esatta.
“Ti prego dille che ogni cosa detta in quei giorni non era vera, dire che non mi fidavo più di lei, non è vero, non lo è mai stato!”.
“Dirglielo significherebbe confessarle che ho parlato con te, e la farei stare ancora più male. Ma vedrò cosa posso fare Rob, ci tengo a lei e vedo ogni giorno nei suoi occhi e nel suo dolore che ti ama. Tu non immagini nemmeno quanto..”.
Un rumore di sottofondo simile a un grido acuto mi fece sbarrare gli occhi e alzare la testa prima che la conversazione finii.
“Scusa Rob, ma stanno bussando alla porta e devo andare, ci si sente!”, stavo per replicare per chiedere cosa fosse quel rumore che avevo sentito ma la linea non c’era già più. Aveva chiuso.
 
Che quel grido acuto fosse il suo, che stesse succedendo qualcosa di cui ignoravo il pericolo?
Usci dalla stanza più bianco e cadaverico del vampiro che da tre anni interpretavo, Taylor e Kristen erano fuori nello stesso angolo in cui li avevo lasciati, iniziarono a muoversi per venirmi incontro e sapere cosa avevo saputo di nuovo, erano preoccupati per me, lo sapevo e lo vedevo dai loro volti corrucciati, ma feci un cenno con la mano per indicargli di stare al proprio posto. Li avrei contattati io dopo se avessi voluto.
Sotto i miei RayBan i miei occhi sanguinavano dolore in forma di lacrime.
Stavo piangendo e volevo stare solo rinchiudendomi nel mio dolore prima di rispondere a qualche altra intervista che nella sera si sarebbe presentata.
Volevo restare solo con me stesso e con i miei ricordi, era tutto ciò che chiedevo.
 
Camminavo per il corridoio dell’albergo in modo pesante e passivo in cerca della mia stanza forse, o in cerca di lei, non lo sapevo nemmeno io.
Niente mi avrebbe scalfito in quel momento, i danni al cuore erano già stati fatti e non c’era modo di ripararlo.
“Ha bisogno di aiuto signor Pattinson?”, chiese una cameriera dell’albergo nei paraggi di quell’immenso hotel.
Il suo viso era dolce, bello incorniciato da due gote ora rosse dall’emozione forse, o per le faccende che era tenuta a sostenere ogni giorno in quell’hotel,
sorridendo il suo volto diventava ancor più radioso, era carina per non dire una bellezza rara, ma in me non suscitava il benché minimo interesse.
Rivedevo anche in quella ragazza minuta il volto di colei che era l’altra parte di me. La mia parte umana e non popolare.
Sorrisi a stento patendo un “No grazie” poco convincente e mi riavviai in cerca del mio rifugio dal mondo.
Entrai in camera e privo di qualsiasi voglia gettai le chiavi sul tavolino lì vicino incrociando anche così per un attimo il mio sguardo con lo specchio.
Un ragazzo bianco cadaverico con i primi accenni di una barba in crescita mi fissava stanco e triste, alzai gli occhiali per toglierli e gettarli nello stesso posto delle chiavi, e ritrovai quello stesso riflesso con un punto macabro in più: gli occhi.
Erano rossi e gonfi, lucidi e rossi per il pianto.
Sarei passato di sicuro per un vampiro ora, senza bisogno di trucco e lentine fastidiose, era certo.
Mi buttai sul letto nella mia postazione iniziale e ascoltando la nostra canzone caddi nel sonno più profondo sognandola per l’ennesima volta.
 
Mi risvegliai abbastanza intontito svegliato di nuovo dal suono di un telefono, puntualmente il mio.
“Ehm si?”, risposi cercando di riprendermi.
“Intervista per Jay Leno tra dieci minuti.. non dico altro”, fece Nick dall’altra parte.
Mi limitai ad un “Ok” e mi alzai controvoglia dirigendomi in bagno per una doccia.
 
Cercavo di essere il più naturale possibile, sorridere a più non posso e rispondere in modo convenevole alle domande che mi venivano poste, cosa abbastanza difficile dato che due volte confusi il nome di Kristen con quello di Vanessa innescando nel presentatore e nel pubblico una curiosità che non volevo attirare almeno non in quel momento.
“Allora Robert perché non ci racconti il tuo rapporto con Kristen nel film, insomma si dice che tu e lei siate molto affiatati sul set..”, domandò quello.
“Ehm, beh io e Vanessa abbiamo un rapporto speciale..”. Mi bloccai accorgendomi dell’errore e scoppiai in una risata quasi isterica davanti a tutto il mondo, o quasi. Intanto ora il presentatore iniziò a guardarmi con fare perplesso.
“Okay, forse sto sbagliando io. Kristen Stewart ha cambiato nome?”, chiese abilmente il presentatore per storcermi un qualcosa in più dati i miei continui errori riguardo a una certa “Vanessa” non nominata nel cast.
Risi ancora più istericamente agitandomi sulla sedia come una biscia, improvvisamente la giacca che indossavo iniziò ad andarmi stretta.
“No, ehm.. Kristen Stewart è sempre Kristen Stewart!”, cercai di divagare.
“E allora chi è questa Vanessa? Su dai spiegaci un po’, siamo tanto curiosi ora”, lasciò intendere rigirando il coltello nella piaga aggiustandosi alla meglio su quella scrivania di fronte a me.
Non sapevo che fare, in risposta presi a ridere ancora più forte, segno evidente di pazzia che ora vedevano tutti.
“Vanessa è..”, cercai di dire, non trovando una definizione adatta per definirla.
Cos’era lei per me? Cos’era sempre stata per me lei?
“Vanessa è una persona speciale che fa parte della mia vita da sempre”. Risposi serio cercando di non iniziare a piangere come un bambino davanti all’America. Sapevo che però la definizione che avevo appena dato di lei non era la più giusta, almeno non totalmente. Avrei voluto aggiungere dell’altro e dire come stavano le cose in realtà ma non potevo, avevo o meglio dovevo avere la bocca cucita.
Lasciai il “Tonight Show”, un po’ impressionato, salutando il carissimo Leno e cercando di uscire senza farmi sbranare dai paparazzi e dai fans.
Firmai un paio di autografi e distribuii sorrisi, a dir loro, mozzafiato tra fan un po’ matte e richieste del tutto fuori di senno che ogni volta, nonostante le sentissi da tre anni, mi scioccavano fortemente. Più avanti un cartellone al di là delle transenne infierì sul mio povero stato d’animo: “RobEssa the couple of my heart!” con intorno tutte foto di magazine mie e di Vanessa.
Colpito e affondato.
 
“Quando una storia finisce .. il dolore è proporzionale alla bellezza dell'amore che si è vissuto. E quando è così il mondo sembra divertirsi alle tue spalle”, ecco ciò che avevo letto una volta e che ora si riproponeva davanti ai miei occhi in modo perfido.
Il tragitto fino in albergo fu abbastanza tranquillo, la telefonata con mia madre ricoprì la maggior parte del tempo per pensare.
Sapeva dov’ero, motivo per la quale credevo che la sua chiamata fosse inutile.
Mi chiese quando sarei tornato a Londra, gliel’avevo promesso era vero, ma non mi andava di andarci nel fine settimana, come aveva programmato lei, soprattutto non in questo periodo, e soprattutto non dopo il suo “Douglas, è inutile che ti dica che Vanessa è sempre la benvenuta!”.
Inutile quella sera il mondo ce l’aveva con me ed io ero succube dei suoi raggiri.
Un “Okay mom!” andò più che bene, era pressoché inutile e insensato informarla di quanto fosse successo.
Chiusi il telefono e tra le solite urla e pazzie varie e autografi vari venni scortato in albergo.
Il mal di testa mi stava intontendo del tutto quel giorno, sembrava che dovesse scoppiare da un momento all’altro.
“Mi scusi signor Pattinson?”, chiamò qualcuno dal lato destro della sala. Era il receptionist che mi pregò gentilmente di avvicinarmi al bancone.
Mi allontanai per un attimo da Dean e mi avviai verso di lui.
“Mi scusi per il disturbo signor Pattinson, immagino la sua stanchezza, ma la signorina Greene mi ha pregato di darle questo”, disse porgendomi un busta bianca in mano. Ed ha anche aggiunto di riferirmi la risposta per dargli o meno la seconda lettera.
Mi rigirai quel biglietto tra le mani, non capendo il significato di tutto quel mistero. Perché non mi aveva chiamato? E poi cos’era questo secondo biglietto di cui quel signore blaterava?
Strappai la carta senza aprirla delicatamente e mi riparai dagli occhi indiscreti di quell’uomo spostandomi nell’angolo.
 
Prima di tutto, non pensare male.. ce l’ho ancora con te sappilo.
Ma nonostante questo non posso farti soffrire così a lungo dopotutto, resti sempre il mio migliore amico tanto quanto Van.
So tutti i tentavi che hai fatto e stai facendo per sentirla, questi giorni sono stati duri sia per lei che per te, è ovvio e non posso negarlo.
So che la ami, lo capisco dai tuoi occhi anche se ti vedo di striscio, e so che ci stai male per quello che hai fatto, anche per lei è così, sappilo.
Le manchi, ti ama sempre incondizionatamente e questo ciò che mi rivela sempre quando ci sentiamo ultimamente, non riesce a non pensarti anche se è delusa certo, ma sei sempre al centro del suo cuore.
Mi ha fatto promettere di non dirti nulla di tutto quello che ho scritto, ma come vostra amica e sostenitrice, da sempre, non voglio che stiate lontani, perché non ce cosa più bella di vedervi insieme, innamorati e splendidi quali siete.. perciò ho pensato bene di andare a trovarla, e con la scusa della festa di Armani a cui sono stata invitata, di portarla con me per farla distrarre e per riappacificarvi.
I biglietti per l’invito ce li ha il receptionist, devi dargli conferma altrimenti non se ne fa niente, anche se sono sicura che li prenderai al volo.
Io sto già partendo ci vediamo lì.
E poi non dire che non ti sono amica!
 
Kiss Ashley.
 
Lei mi amava, l’avevo delusa ma mi amava era questo che più del resto della lettera mi ballonzolava davanti agli occhi come un barlume di speranza e di gioia. Non l’avevo persa, le avrei spiegato tutto una volta lì e avrei visto di nuovo i suoi occhi castani dentro i miei.
Alzai la testa dal biglietto, ponendomelo in tasca e andai di nuovo dal signore, che da lontano scrutava ogni mio movimento.
Presi il secondo biglietto tra le mani e mi avvicinai a Dan.
“Prenotami il primo aereo per l’Italia, devo partire subito!”. Dissi dirigendomi in camera per prendere le mie cose.
In ascensore chiamai Nick riferendogli quello che stavo per fare.
“Cosa?! Rob non puoi farlo! Siamo nella più fitta programmazione per la prossima uscita di Eclipse, non puoi sparire così”, iniziò a sbraitare.
“Inventati qualcosa, saprai cosa fare..”
“Che mi invento Rob? Sei impazzito forse?! Sei il protagonista principale della saga, non puoi!”
“Posso, ok? Chi ti dice che non posso?! Sono malato, ho l’influenza, non posso partecipare, punto”. Sbottai irritandomi senza dargli il tempo di replicare. “Torno presto Nick, ci sentiamo!”, e chiusi la conversazione chiudendo definitivamente il telefono principale.
Non mi importava nulla della saga e di tutto il resto in quel momento, dovevo recuperare la mia felicità, solo quello contava e la mia felicità si trovava dall’altra parte del mondo pronta ad aspettarmi forse.

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Capitolo 24
*** 23. Ti amo e tu non puoi farci niente. ***


Ecco il nuovo capitolo.
Questa volta è dal punto di vista di Van, dopo un sacco di tempo. u.u
E' nato così, non apposta, in principio volevo continuare con un Pov Robert ma poi l'ispirazione mi è venuta dal punto di vista di Van, ecco. >.<
Spero comunque che vi piaccia come sempre e che mi diciate cosa ne pensate.
Ne approfitto inoltre per ringraziare come sempre tutte le persone che leggono e commentano la mia storia.
Mi sempre un gran piacere, perciò che dirvi GRAZIE di cuore!

Bene, ora che ho finito il mio monologo, vi lascio immedesimarvi..
Buona lettura!
Kiss.
 

Guardai il mio aspetto sempre più cadaverico allo specchio, causa del mio continuo dolore e del mio continuo rimettere, cercando un cambiamento, anche piccolo per sentirmi meglio con me stessa anche da sola.
Ashley era entrata, o meglio era venuta nella casa romana da circa un giorno con la scusa di una festa di Armani a cui era stata invitata e a cui, ovviamente, voleva imbucare anche me. Più volte cercai invano di persuaderla nel non farlo, lo sapevo che lo faceva per me, per il mio bene e perché in fin dei conti lei era la mia migliore amica in quel mondo, ma non ce la facevo. Non mi andava di sorridere, non mi andava di divertirmi, se mai ci fosse stato un modo per farlo, non mi andava di vivere, non più, non senza di lui.
Senza di lui nulla aveva più senso.
Senza di lui il mondo aveva perso i suoi colori abbandonandosi ad un perenne bianco e nero che a volte si alternava al buio perenne che abitava la mia stanza da giorni, se non da settimane che a me parevano un eternità infinita.
Senza di lui sembrava essersi spento anche il sole. O almeno il mio.
Non vedevo più la luce, e da quando era successo stentavo a credere a tutto ciò che era accaduto. Cercavo invano di credere che fosse tutto un incubo che mi attanagliava la mente cercando di distruggermi, ma quando aprivo gli occhi, lui non c’era e capivo che la verità era un altra.
La peggiore ovviamente.
Non era lì ad osservarmi e ad abbracciarmi come sempre. Tutto era svanito, i miei sogni, il mio futuro, tutto si era vaporizzato e del nostro amore non restava altro che cenere. Le sue ultime parole mi rimbombavano in mente scavandomi una voragine nel petto.
“Non ti fidi più di me?”
“Non lo so più..” quel quasi pari ad un no, mi squarciò il petto e il dolore mi mozzò il respiro.
Per la prima volta ai suoi occhi mi sentii un estranea incapace di ritrovarmici. In quegli occhi che mi avevano rapita sin dal primo istante. In quegli occhi che ormai erano diventati anche i miei. Quel mare immenso non era più mio.
Ed eccola, di nuovo quella fitta, proprio lì dove si dice risieda il cuore. Era questa che da giorni mi provocava il suo volto e il suo ricordo. Avrei voluto odiarlo pur di non amarlo più, ma per quanto cercassi e per quanto lo volessi, il cuore non obbediva mai al mio cervello, che ogni qualvolta si abbandonava al suo ricordo e alla sua completa autodistruzione.
Come poteva amare il dolore? Quanto poteva essere stupido quell’organo lì per continuare a deteriorarsi in quella maniera? E poi quante lacerazioni poteva subire un cuore prima di cedere completamente?

Un bussare ripetuto alla porta e un ticchettio di tacchi si stava avvicinando.
“Tesoro, sei splendida!”, disse quel follettino dark che amavo tanto.
Non le risposi e non le rivolsi nemmeno un sorriso convenevole e fintamente finto, mi buttai tra le sue braccia senza guardarla in faccia, iniziando di nuovo a lacerarmi dentro. Come poteva un cuore crearti tanto dolore?
Se un piatto o un bicchiere cadono a terra senti un rumore fragoroso.
Lo stesso succede se una finestra sbatte, se si rompe la gamba di un tavolo o se un quadro si stacca dalla parete. Ma il cuore, quando si spezza, lo fa in assoluto silenzio. Data la sua importanza, ti verrebbe da pensare che faccia uno dei rumori più forti del mondo, o persino che produca una sorta di suono cerimonioso, come l’eco di un cembalo o il rintocco di una campana. Invece è silenzioso, e tu arrivi a desiderare un suono che ti distragga dal dolore.
“Oh”, la senti dire quanto d’un tratto mi rincasai tra le braccia della mia migliore amica.
Avrei mai potuta ringraziarla per tutto quello che faceva per me e per il fatto di esserci sempre?
“Non amo vederti così sorellina. Farei di tutto per cancellare il tuo dolore ora, se solo esistesse Jasper..”, lasciò cadere il discorso lì, perché sapeva quanto quella saga valesse per me, sapeva cosa mi aveva portato e cosa mi aveva tolto.
Le lacrime sgorgavano dai miei occhi ormai involontarie. Troppi pensieri, troppi ricordi, troppe volte i suoi occhi mi si aggrovigliavano dentro facendomi dilaniare e troppe volte il ricordo delle sue labbra sulle mie, il calore e l’odore della sua pelle mi facevano soccombere accendendo il bruciore che nel mio petto divampava.
Pareva quasi di assistere alla lacerazione di un cuore in atto.
Il dolore lancinante mi andava alla testa, era un dolore assurdo, dal suono impercettibile e dalla potenza devastante, lo sentivo staccarsi pian piano da me per raggiungere mete lontane e per arrivare a lui senza nessun risultato. Probabilmente lui stava meglio.
Si, decisamente meglio, mi sforzai di pensare.
Avermi sempre intorno era sempre stato per lui un grande peso.
Ora poteva stare con Kristen per davvero, esaudendo così le richieste delle sue fan che gridavano “RobSten” ogniqualvolta lo vedessero.
Lo immaginavo ora, mano nella mano con lei a dare un altro servizio sgamo che insospettisse i fedeli fan di entrambi. Una rivelazione appena accennata, una parola appena smorzata, e una smentita subito dopo per creare ancora più suspance e il piatto era servito, magari con un bacio e un abbraccio finto a concludere l’opera. Ora poteva stare con lei, esaudire anche i desideri di Nick che tanto bramavano quella situazione, ora poteva vivere con lei o farsi benissimo una vita con qualcun’altra più degna di me. Una vita con una donna che l’avesse amato più di me, che gli desse quello che lui voleva e che non gli stesse sempre appiccicata. E magari, un giorno, quando tutto questo dolore sarebbe finito, e se fosse finito, avrei preso un giornale in mano, con un bel titolo in prima pagina che parlava chiaro: “Robert Pattinson si sposa!” e ci avrei riso su, senza commenti, senza rancori, senza che la ferita all’interno si riaprisse.
Si, magari, ma ora al sol pensiero di una cosa possibile il cuore si lacerava a dismisura, mostrando i segni di un’innaturale frattura.
Non riuscivo a chiederlo ad Ashley. Avevo paura di una qualsiasi conferma alle mie ipotesi.
Anche se vedevo che lei leggeva in me tutti i miei pensieri ormai.
Le avevo chiesto di non parlarmi di lui, di non accennare nemmeno il suo nome in mia presenza, nemmeno in un brusio. Non ne volevo sapere nulla di lui senza me. un solo accenno alla sua vita ora mi avrebbe fatta cadere nel baratro in cui mancava poco che io finissi.
“Tirati su, dai”, supplicò Ashley per l’ultima volta alle mie cantilene. Alzai lo sguardo di poco ancora appannato e scorsi i suoi occhi che nel frattempo erano diventati specchio dei miei. L’avevo fatta piangere, l’avevo costretta a sentire il mio dolore e a immedesimarsi.
“Scusa Ash..”, dissi tirando su con il naso cercando di asciugarmi le lacrime dal viso. “Sono una terribile bambina. Una terribile, stupida bambina che crede ancora nelle favole e non riesce a non smettere di piangere”. Giustificai per smettere.
Ashley mi accarezzò un braccio per consolarmi.
“Lo so che non ne vuoi sentir parlare Van..”,
“Non chiamarmi Van, ti prego Ash..”, e giù di nuovo un altro groppo in gola.
Alzò le mani in segno di difesa. “Scusa, hai ragione”. Ammise. “Comunque.. Vane, lo so che non ne vuoi sentir parlare, ma lui ti ama.. davvero e..”.
“Ash, ti prego, ti scongiuro, se mi vuoi anche un minimo di bene non parlarmi di lui, non dirmi che mi ama per consolarmi. Non è così, credimi non fai altro che farmi star male dandomi false speranze. Lui non mi ama. Forse mi ha amata, ma ora non più, ora non sono più niente per lui!”.
Un'altra lacrima scese giù dritta nel fosso.
“Mi hai detto di non pronunciare il suo nome, io non l’ho fatto, ma è giusto che ti dica come sta..”.
“Come sta? Come sta lui? Ash, non l’ho lasciato io, e lui che lo ha fatto, non io! Come dovrebbe stare? Beatamente felice ora. Non ha più nessuno intorno, nessuno che gli abbia mai regalato il cuore e messo tra le mani come ho fatto io.. Ash davvero se sei venuta come sua ambasciatrice sprechi il tuo tempo, non ne voglio più sapere. Sono stanca”. Dissi incrociandomi le braccia al petto e voltandomi.
“Okay, allora guardami negli occhi e dimmi che non ne vuoi più sapere davvero!”, disse alzandosi e venendomi incontro.
“Ti prego Ash, lasciami in pace. Ti prego davvero. Non voglio più parlare di lui. Basta!”, dissi sgorgando lacrime ancora più di prima e buttandomi sul letto con la testa fra le mani.
Ash rimase al suo posto per un po’, poi sbuffò dispiaciuta e mi sedette affianco.
“Ti disidraterai così..”, blaterò materna.
Non mi interessava un bel nulla del disidratarmi, non mi interessava più nulla del mondo intorno. Stavo male e nessuno sembrava capirmi.
Il mio cuore sembrava uscito da un conflitto, era completamente a pezzi, era ridotto in frammenti come se qualcuno lo avesse preso e buttato a terra per romperlo e camminarci sopra.
Era indescrivibile il dolore che mi travagliava.
Speravo di svenire, di perdere conoscenza e di perdere anche la memoria, qualunque cosa pur di togliermelo dalla mente e cancellare quel dolore insopportabile nel petto.
Un squillo ripetuto di un telefono iniziò a farsi sentire.
“Ashley..”, gridò qualcuno al di fuori della stanza. Doveva essere Giorgia o Hèllen per quanto mi riguardava. Non ne volevo sapere.
“Un attimo e arrivo subito..”, disse prima di uscire.
La porta si chiuse alle sue spalle ed io rimasi sola, sola con il mio silenzio e il mio dolore.
Mia madre chiamò un sacco di volte in quella settimana, evitavo di dirle dov’ero, per quanto ne sapeva lei, io stavo ancora con Robert a Los Angeles o giù di lì. Mia madre non era il tipo da comprare giornali dal gossip rosa, e non era tantomeno il tipo in cerca di notizie sul web, era difficile quindi che qualche parola le arrivasse al riguardo. E io, dal canto mio, quindi continuavo ad indugiare sulla verità della situazione.
Farle sapere che mi ero rifugiata a casa della mia amica a Roma, perché Robert mi aveva lasciata e stavo soffrendo come un cane l’avrebbe solo preoccupata e con lei anche i miei familiari, e non volevo. Quando sarebbe arrivato il momento giusto gliene avrei parlato, ora no, preferivo restare con me stessa a rimuginare su una vita ormai persa. Non chiedevo altro.
Mi sentivo una luna solitaria, dopo che il mio pianeta era stato distrutto e sbriciolato da un cataclisma, che si ostinava a orbitare attorno a uno spazio vuoto facendosi beffe della gravità.
 
“Dormigliona! Ti voglio sveglia e pimpante oggi”. Gridò Ashley intenta a farmi svegliare dal sonno in cui ero caduta. “Stasera, voglio far provare una nuova ricetta alle tue amiche, ma mancano gli ingredienti e quindi c’è bisogno che tu vada a fare la spesa in qualche supermarket”
Capi a stento tutte le sue parole dette in fretta, strizzai gli occhi più volte per abituarmi inoltre alla luce che entrava dalla finestra.
“Ash, ma che stai dicendo?”
“Sto dicendo che ti devi alzare e devi andare a far la spesa con le tue amiche, perché in casa non c’è nulla e io voglio preparare una ricetta speciale da far provare alle tue amiche! Su..”, disse per l’ennesima volta strattonandomi le coperte di dosso.
“Ma tu stasera, non devi andare alla festa di Armani?”, dissi mezza intontita, sbattendo le palpebre.
“Si, ma non ci vado, data la situazione, resto con voi”.
“Come non ci vai? Sei matta? Cioè Ash, è Armani, non puoi mancare!”, quasi gridai.
“Si, preferisco restare con mia sorella, ha più bisogno di me che di Armani ora”, disse contenta come se la cosa non le dispiacesse.
“No. Cioè.. no! Non voglio che ti sacrifichi per me Ash, davvero, tu…”. Esclamai incredula. Non poteva farlo. Stava pagando troppo per me. Non volevo nessun sacrificio. Ero io a stare male e non lei, e così doveva essere.
Lei sbuffò stufa. “Oh, quante storie! Ormai ho deciso, non si può tornare indietro. Ti ho preparato già la vasca. Ora tu vai e ti immergi in un bel bagno caldo con dell’ottima musica rilassante, senza pensare a nulla, ok?”, ripeté facendomi alzare e sorreggendomi per le spalle.
“Io..”, cercai di dire, ma lei mi zittì.
“Andiamo prima che l’acqua si raffreddi”, fece soddisfatta, come se avesse concluso un opera.
Non riuscivo a tollerare la cosa, migliore amica o no, non dovevi sacrificarsi.
Mi fece entrare in bagno e tra le note dolci di una canzone che non conoscevo mi rilassai in quel tepore che mi invase il corpo.
Per la prima volta senza pensieri e senza preoccupazioni, volevo estraniarmi dal mondo e rilassarmi come mi aveva detto Ash. Volevo avere almeno un attimo di pausa per riprendermi e non soffrire.
Dopo il bagno, il follettino mi venne a prendere sulla soglia della camera, costringendomi a tenere gli occhi chiusi perché diceva, c’era una sorpresa per me, una sorpresa di cui fino ad un momento prima non sapevo nulla.
Mi fece sedere sul letto e mi invitò ad aprire gli occhi solo dopo un suo ordine.
“Ora puoi!”, disse con una voce sprezzante di felicità.
La visione che mi ritrovai davanti era pari all’impossibile. Un vestitino di un colore pari al rosa pallido mi era parato davanti, era abbastanza scollato e corto fin sopra il ginocchio, arricciato poi sulla gonna, con una cintura nera cucita in vita, quasi non piansi di fronte ad un tale capolavoro.
“Ash, io..”, cercai di dire.
“Nessun ringraziamento. E’ un regalo di Armani, e te lo voluto cedere. Semmai devi ringraziare lui”. Risi tra le lacrime. “E poi..” aggiunse, lasciandomi il vestito tra le mani. “Ti ho scelto anche le scarpe:degli stivaletti neri che sembrano quasi delle decoltè. C’è anche un nastro”. Disse indicandomelo. “Che ne dici?”
“E’ tutto splendido Ash. Ma io non saprei mai dove e in quale occasione indossare tutto questo”. dissi spaesata di fronte a tutti quei regali improvvisi. “Non è che mi vuoi portare alla festa di Armani per caso?”, dissi seriamente preoccupata cercando di capirci qualcosa.
Non volevo andarci, non avevo voglia di un bel nulla, e se quello era il suo piano poteva riprendersi tutti i suoi regali. Mi accigliai.
“Tu intanto indossali, la situazione poi si crea, e comunque no, non voglio portarti alla festa di Armani e non voglio nemmeno vederti più soffrire in quel modo. Insomma guardati. Stai dimagrendo troppo e tra poco non potrò farti indossare più nulla che sottolinei le tue forme, dato che se continui così le perderai, perciò, volente o nolente, accetterai le mie condizioni!”. Esplose in un sorriso mentre io iniziavo a preoccuparmi.
“Ora indossa questi, ti trucco per bene e poi usciamo da qui!”.
 
Lo specchio ora riportava una nuova visione.
Una ragazza dalla pelle lucida, gli occhi brillanti, le ciglia folte, le labbra carnose mi osservava dall’altra parte dello specchio, e quasi non sembravo più io. Mi ricordava quando l’emozione mi pervadeva in quei momenti perché sapevo che fuori poi c’era Rob ad aspettarmi e a guardarmi. Sentii invadermi dal calore delle lacrime.
“Non ti permettere sai!”, uscii minacciosa Ash nei miei ricordi. “Se solo ti permetti a piangere sul capolavoro appena fatto, ti sbrano!”.
Ricacciai le lacrime indietro.
“Ok”, cercai di convincermi.
“Vedrai che dopo stasera starai meglio, o almeno me lo auguro. Sei pronta?”.
“Pronta per cosa Ash? Non so nemmeno cosa vuoi fare, e dove mi vuoi portare”.
“Ci credi se ti dico che non usciremo di casa stasera, anche se sei comunque invitata a una festa? Devi solo stare calma e fidarti di me”. esclamò guardandomi negli occhi infondendomi coraggio.
 
Quando aprimmo la porta della camera, la casa era invasa dall’oscurità.
“Ash, non ci vedo”, dissi stringendole la mano per controllare che ci fosse.
“Fidati!”, rispose lei divertita.
Il vestito iniziava a pizzicare o era il nervosismo dell’ignoto?
“Ash, ho davvero paura del buio, credimi. Mi stai ammazzando così”, dissi cominciando ad annaspare.
“Davvero stai calma!”, ripeté trovando un non so che di divertente nella situazione, dato che la sentii ridere.
Persi per un attimo il contatto con la sua mano e andai nel panico più assoluto prima di ritrovarlo subito dopo.
“Insomma, la casa non è così grande! Dove diavolo mi stai portando?”, dichiarai seccata da quel terribile mistero che mi chiudeva lo stomaco.
“Da un sogno, magari”, rispose una voce familiare, fin troppo familiare per me e per il mio cuore che iniziò ad accelerare i suoi battiti.
Ora immaginavo anche la sua voce.
La luce si accese e due occhi mi folgorarono l’anima.
Lui era lì, accanto a me e aveva preso la mia mano nella sua senza che io me ne accorgessi. Provai un brivido assoluto.
Mi si mozzò il respiro in gola e le mie corde vocali si annodarono, mentre il cuore andava a briglia sciolta.
Il suo sorriso, quel magnifico sorriso era rivolto a me, ancora una volta.
Lo stavo immaginando, lo stavo sognando, come al solito, o era un ricordo del mio inconscio a riemergere.
Speravo non lo fosse davvero, l’ennesimo sogno ingannatore che mi dava un illusione.
Non riuscivo a smettere di osservarlo in tutti i suoi dettagli: i suoi capelli sotto quella luce che parevano dorati, i suoi occhi più brillanti e magnifici, il suo naso perfetto, le sue labbra carnose e morbide che erano aperte in un sorriso mozzafiato solo per me.
Non ci credevo.
Volevo piangere, lo volevo fare per l’ennesima volta non riuscendo a parlare.
Poi il suono della sua voce mi invase l’anima riportandomi indietro.
“Scusa. Lo so che è poco, magari è un niente di fronte al tuo dolore, ma ti chiedo immensamente scusa per tutto ciò che è successo, per lo stupido che sono stato e per la sofferenza che ti ho recato. La gelosia mi ha accecato, e non l’avrei mai detto, ma è stato così. Ho avuto davvero paura di perderti, paura che il tuo cuore si potesse legare a quello di qualcun altro e sono diventato un mostro per questo. Non ci ho visto più e ti ho trattata nel peggiore dei modi. Quando ritornando non ti ho trovata più mi è crollato il mondo addosso, e metà del mio cuore se ne è andato con te. Sono stato male, davvero uno schifo, e se sono qui ora è perché io ti amo. E’ così e non posso negarlo, tu sei la donna con cui ho intenzione di passare una vita intera, tu sei la donna con cui io voglio sposarmi, avere dei figli e invecchiare insieme, non chiedo altro”. Ammise avvicinandosi ancora di più a me con gli occhi lucidi, mentre io inevitabilmente iniziavo a piangere a dirotto.
“Sempre ammesso che tu lo voglia ancora, e se sei pronta a riaccogliermi nella tua vita, perché se non lo facessi davvero, non saprei che fare”. Disse quasi sull’orlo di un pianto.
Non l’avevo mai visto in quel modo. Insomma tra i due ero sempre stata io la debole che doveva essere poi consolata da lui.
Si erano invertite le parti ora, e di sicuro avevamo sofferto entrambi.
Restai lì, incapace di rispondere incantata dai suoi occhi magnetici che mi penetravano.
Sembrava quasi di essere catapultata di nuovo al nostro primo incontro. Risi tra le lacrime.
“Sai cosa c’è Rob?” cercai di parlare. “C’è che ti amo e non posso farci nulla. Ero delusa dal tuo comportamento quando me ne sono andata, e forse ho sbagliato anche io ad andarmene in quel modo. Ma mi è sembrata una cosa giusta dato che nei tuoi occhi non vedevo più nulla del nostro amore. Mi hai fatto soffrire, è vero. Sono stata malissimo in questi giorni perché la mia mente e il mio cuore rifiutavano di dimenticarti, ma ora tu sei qui. Hai attraversato un mondo per venire da me, e questo significa che a me ci tieni”. Lo guardai negli occhi. “E significa indubbiamente che mi ami quasi quanto io amo te, quindi, come potrei rifiutarti ora mio umile eroe?”, sorrise facendomi perdere un battito. “Ti desidero e ti amo tutt’ora e non puoi farci nulla!”.
I nostri sorrisi si aprirono di più all’unisono prima che il suo viso andò ad avvicinarsi sempre più al mio per far incontrare le nostre labbra in un bacio morbido, dolce, bramoso l’uno dell’altro mentre stretti in un abbraccio ci abbandonavamo a noi stessi e al nostro amore.

 
 
 

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Capitolo 25
*** 24. Chiusi in un miracolo. ***


Allora, Allora.. come al solito mi scuso per l'interminabile attesa, è inutile dirlo ormai, ma ecco il nuovo capitolo.
Rob e Van si sono ritrovati e hanno fatto pace, come molti di voi sapranno, ed ora si godono un po' di intimità tra di loro, appunto per questo il capitolo ha preso una sfumatura abbastanza HOT, non eccessiva ma c'è qualcosina... 
Spero comunque che vi piaccia, come sempre e che mi diate commenti e recensioni al riguardo per sapere le vostre impressioni :D
Ora scappo, che vado a dare gli ultimi ritocchi all'albero! XD
Al prossimo capitolo!

Kiss!


“Mi sa che hai dimenticato qualcosa sai?”, disse sventolandomi di fronte agli occhi un bracciale d’oro che parlava chiaro: “The actor fell in love with the fan”, era quello che mi aveva regalato a San Valentino.
“Oh”, esclamai sorpresa nel rivederlo quando me lo porse tra le mani. “E così ce l’avevi tu?”, chiesi divertita rimirandomelo tra le mani con gli occhi luccicanti di chi prova un emozione indescrivibile.
Annui con un sorriso degno di infarto mentre mi teneva abbracciata a sé su un divano di una camera d’albergo che avevamo preso per restare da soli e non disturbare ulteriormente le mie amiche, che figuriamoci non erano dispiaciute affatto. “Ehm sì”, indugiò. “Teoricamente lo hai dimenticato tu in albergo, ma si comunque, lo avevo io..” tagliò corto continuando a sfiorarmi accarezzandomi le gambe che erano sulle sue e facendomi rabbrividire ogni qualvolta il palmo delle sue dita toccasse un lembo della mia pelle. Bruciavo viva sotto il suo tocco.
Mi morsi le labbra per reprimere un insana nuova voglia di lui.
“Sai, il fatto è che.. quel giorno”, ne parlavo a fatica, davanti a lui, perché sapevo quanto dolore potevo provocargli. “ho preso tutto così in fretta per fuggire che non ho fatto proprio caso al fatto che non l’avevo messo in borsa. Quando sono arrivata in Italia infatti, credevo di averlo perso. Ho scandagliato in tutta la valigia ma niente. Ho creduto fosse un altro segno del destino che mi indicasse di non stare più insieme”, alzai gli occhi, fino a prima bassi per guardarlo e misurare ogni sua espressione. Inequivocabilmente era nero in volto e serrava i denti cercando in tutti i modi di non farmi notare nulla con un sorriso tipicamente finto. Lasciai perdere il bracciale e gli accarezzai una guancia cercando di fargli tornare il sorriso. “Ma ora io e te siamo qui, no? Tu me l’hai portato e sei venuto qui, insomma è stato un buon motivo per farti tornare da me!”, dissi cercando di fargli cambiare espressione.
Ed eccolo di nuovo quel raggio di sole, quel mio raggio di sole. Sorrisi di rimando, stupita da come potesse ancora farmi battere il cuore e completamente rossa in viso, lo tirai dal collo della sua maglia bianca verso me, verso le mie labbra che bramavano fortemente di lui come il mio cuore.
Le sue labbra morbide si adagiarono perfettamente alle mie in un bacio, dapprima molto lento e dolce fatto di risate e morsi ad ogni piccolo distacco, poi più bramoso e vivo quando la sua lingua prepotente si fece strada nella mia bocca socchiusa in cerca della mia e in quell’intreccio fatto di sospiri e brama in cui nessuno dei due ormai respirava più. Il sapore dolce delle sue labbra unito al retrogusto amaro della nicotina mi erano entrati dentro diventando completamente miei, ed era così anche per il suo odore, mi stava riempiendo l’anima inebriandomi e facendomi perdere i sensi. Poi il divano finì e io quasi non caddi a terra se lui non mi avesse sollevata ridendo.
“Sei sempre la solita maldestra eh?”, disse sorridendo mentre ci risistemavamo nella stessa posizione di prima.
Risi imbarazzata guardando in basso. “Eh sì. Non mi ameresti se non fossi così!”.
Mi guardò corrucciato. “Ti amerei anche con un occhio in mezzo alla fronte”.
“Si, si.. come no. Non esagerare ora!”, scoppiammo a ridere entrambi.
La sua mano riprese a far bollire le mie gambe e il mio cuore con le sue carezze che ora avevano preso a fare dei ghirigori.
Sbuffai nervosa.
“Ti do fastidio?”, chiese guardandomi di sottecchi.
Lo guardai interrogativa, non capendo a cosa si riferisse prima di capire cosa intendeva.
“No, no.. direi di no!”, dissi imbarazzata come se lo conoscessi a pena. Rise.
“E Nick?”, chiesi per sviare l’imbarazzo.
“Nick cosa?”.
“Come l’ha presa? Il tuo venire qui in piena promozione, non credo l’abbia rallegrato”, dedussi.
“Vuoi sapere davvero come l’ha presa?”, chiese sgranando gli occhi. Gli sembrava una cosa strana? Annui.
“Beh, quando gliel’ho detto, e l’ho fatto all’ultimo minuto, mi ha urlato contro per tutto il tempo con parole che non oso pronunciare. Ma non me n è fregato nulla, gli ho sbattuto la porta in faccia e me ne sono andato”, disse con sguardo vitreo.
“Addirittura?”, chiesi incredula sgranando gli occhi.
“Non mi sarei mica fermato davanti alle sue minacce e alle sue insulse arringhe”.
Lo guardai senza rispondere, non avevo voglia di rattristarlo nuovamente. Volevo vedere i suoi occhi ardere e gioire dentro i miei, i suoi occhi azzurri mescolarsi ai miei castani, non oscurarsi.
“Mi sei mancato, sai?”, dissi accarezzandogli il braccio e abbassando lo sguardo, come sempre quando ammettevo di amarlo.
Si voltò lentamente verso me e mi guardò con il solo sguardo che mi sapeva regalare, mozzandomi il fiato.
“Anche tu amore”. Rivelò.
“Sai Rob, quando ero lontana da te, ho pensato che tu senza me potessi stare meglio, che tu..”
“Stai impazzendo vero?”, mi zitti sgranando gli occhi come se fossi matta. “Secondo te avrei potuto vivere senza respirare?”, domandò serio a pochi centimetri dal mio viso.
“La similitudine mi piace”, ammisi arrossendo. “Quindi io sono il tuo respiro?”, chiesi inchiodandomi ai suoi occhi.
“Anche molto di più”, disse mentre con fare dolce iniziò a baciarmi sull’incavo del collo facendomi rabbrividire.
Chiusi gli occhi lasciandomi andare ai suoi baci.
Mi venne quasi la pelle d’oca quando pian piano iniziò a dirigersi verso l’orecchio. Mi stava facendo eccitare, lo sapevo dove voleva arrivare e ci stava riuscendo alla grande dato che iniziai a gemere in silenzio, mordendomi il labbro inferiore di tanto in tanto martoriandolo. Lo senti ridere divertito per poi riprendere famelico sul mio collo con ancora più vigore.
Iniziò a succhiare e a mordere facendomi morire. Sapevo che alla fine mi sarei ritrovata con un livido in bella vista preda del suo insensato senso d’amore improvviso. Avrei dovuto mettere una sciarpa per non far vedere il succhiotto al resto del mondo.
Ma chi se ne importava in quel momento?
Il mondo poteva aspettare, guardare, gioire e invidiare.
Lui era su di me mentre io mi abbandonavo a lui completamente chiudendo gli occhi e immergendo le mie mani nei suoi capelli.
Mi distesi sotto di lui, pronto ad accoglierlo e iniziai a baciarlo freneticamente seguendo il ritmo dei suoi baci.
Il mio cuore iniziò a battere più furiosamente, sembrava al galoppo ormai e penso iniziasse a sentirlo anche lui a un certo punto, dato che mise due dita sul collo in silenzio intento ad ascoltarlo. Il caldo mi pervase e il tocco delle sue mani, sulla mia pelle seminuda incendiò il tutto facendomi divampare ansimando.
Stavo morendo sotto di lui e lui era colui che mi stava uccidendo.
I nostri baci, intanto iniziavano a non avere più nulla di leggero e dolce, erano diventati tutt’altro ora. Iniziò a succhiare il mio labbro inferiore quasi strappandomelo e io feci lo stesso con il suo labbro azzardando anche a passarci sopra la lingua, in men che non si dica mi ritrovai immersa in un bacio che di leggero aveva ben poco se non un bel nulla, era d’un tratto diventato pieno, corposo, travolgente e passionale e io ci ero immersa completamente dentro, con il corpo, con l’anima e con il cuore.
Ci staccammo piano alternando piccoli baci per riprender fiato e non morire del tutto.
Poi un telefono squillò, non era il mio, o almeno non volevo fosse il mio.
Continuai a bramare di lui, noncurante degli squilli ripetuti, noncurante di chi fosse, volevo restare in quella posizione, con lui, in quell’intimità che si era appena creata perciò lo lasciai squillare prendendo a baciarlo ancora di più.
Ma a lui la cosa sembrava non convincere.
“Ti.. sta.. squillando.. il.. telefono”, uscì ansimante almeno quanto me a pochi centimetri dal suo viso.
“Lo so”, risposi ad occhi chiusi non volendo rovinare il momento. “Lascialo squillare”.
Ed eccolo di nuovo riappropriarsi delle mie labbra imprigionandomi nei suoi baci. Le sue mani iniziarono a scendere sempre più frenetiche in un posto proibito a molti tranne che a lui.
Il telefono riattaccò a squillare a circa 5 metri facendomi saltare i nervi.
“Cazzo!”, esclamai irritata staccandomi dalle sue labbra.
Lui sorrise. “Potrebbe essere importante. Forse è tua madre”. Cercò di consolarmi lui, baciandomi il collo.
“La solita guastafeste”.
Lui intanto, con quel fisico da bronzo di Riace, a petto nudo si recò nell’altra stanza per prendere il telefono.
Il volto che mi propose al suo ritorno era più livido e nero. Mi alzai di scatto pensando fosse successo qualcosa di grave e mi diressi  verso di lui con espressione impaurita.
“ E’ Diego..”, fece porgendomi il telefono di controvoglia mentre stringeva con l’altra mano un pugno e cercava di mascherare la gelosia che stava riemergendo. E pure ora no, maledizione. Il display del telefono continuava a lampeggiare, dalle sue mani, nemmeno lo guardai, avevo gli occhi fissi sul suo volto che fingeva invano un sorriso non naturale che conoscevo meglio di me.
Presi il telefono e lo staccai completamente spegnendolo e lanciandolo su un tavolino lì vicino.
Mi alzai sulla punta dei piedi per alzarmi e arrivare a baciare quell’ evidente statua umana che avevo accanto.
Dovevo arrivare alle sue labbra.
Lo abbracciai avvinghiandomi al suo collo nel tentativo di ricreare l’atmosfera di poco prima in modo da finire nelle sue labbra e farmi amare anche in modo fisico. Non poteva essere tutto rovinato da quella telefonata che per me non aveva senso.
“Amo solo te, solo te amore mio, solo te..”. Inarcai la schiena e mi sporsi sempre più verso le sue labbra. “E voglio averti, ora e per sempre”. I suoi occhi parvero riaccendersi, riemersero dal vuoto in cui erano caduti e mi guardarono.
Mi prese in braccio come solo lui sapeva fare, accogliendomi su di sé mentre io gli cingevo i fianchi con le gambe e lui mi carezzava dolcemente la schiena che prese a sbattere con vigore contro la parete e riprendendo da dove eravamo rimasti.
Ci spogliammo completamente lanciando i nostri vestiti di qua e di là per la camera e perdendoci completamente l’uno nell’altra.
Le emozioni che mi dava, il modo in cui riusciva a entrarmi dentro non erano mai la stessa cosa.
Ogni volta era un emozione nuova, da scoprire.
Mi divaricò le gambe e iniziò lentamente ad entrare spingendo con ritmi leggeri e morbidi, il suo petto nudo poggiava su di me andando su e giù, gli cinsi il collo portando il suo viso verso il mio, cercando di soffocare i miei gemiti e il mio respiro affannoso con i suoi baci ogni volta che le sue spinte si facevano più veloci e potenti. Dovevamo essere riservati, mantenere segretezza, ecco il comandamento che mi risuonava in testa da sempre, se solo avessi dato sfogo a uno solo dei miei gemiti mi sarei messa in un bel pasticcio e Dio solo avrebbe immaginato le arringhe di Nick d una qualsiasi rivelazione inaspettata.
La nostra vita, anzi la mia vita con lui era vincolata, lo sapevo, ma avevo lui e che importava?
“Mi. Farai. Morire. Un. Giorno.”, dissi ansimante tra un spinta e l’altra.
Lui sorrise madido di sudore e stupendo come un Dio sceso in terra, facendomi eccitare ancor di più, non potei fare a meno di baciarlo.
Affondò la sua lingua nella mia bocca e io in risposta lo lasciai accomodare non riuscendo a resistergli nemmeno un po’.
Il fatto che fosse mio, e mio in quel modo, in quel senso e in quella vita era ancora al di fuori di me, e quando me lo ritrovavo sempre più accanto, la maggior parte delle volte stentavo a credere che non fosse un sogno.
Era incredibile quanto fosse dolce, sensibile, premuroso oltre che bello, ed era impossibile che tra tutte le donne a disposizione che aveva avuto e aveva nel mondo avesse scelto me.
Presi a graffargli le spalle insieme a tutto il resto, quelle spalle possenti che insieme al suo splendido corpo ora risiedeva su di me.
Ero completamente abbandonata a lui, alle sue armi e al suo volere, poteva fare di me ciò che voleva.
Ormai non capivo più nulla, vivevo nell’estasi più assoluta, entrambi eravamo inebriati dai nostri corpi e dal nostro amore, chiusi gli occhi e assaporai al massimo quel momento, uno di quei momenti unici che solo lui sapeva regalarmi.
Poco dopo il tutto diminuì di intensità e lo sentii accasciarsi su di me con respiro affannato quasi come il mio.
Scivolò accanto a me e appena mi fu possibile riprender fiato e possesso di me misi una gamba sopra le sue e la testa sul suo petto abbracciandolo e ascoltando il suo cuore fare dei lunghi passi. Con l’altra mano lui mi accolse in quell’abbraccio e mi baciò la testa sussurrandomi un “Ti amo”, alzai il capo verso il suo e mi ritrovai nei suoi magnifici occhi. Mi allungai verso e gli baciai le labbra calde sussurrando a mia volta un leggero “Ti amo anch’io, non sai quanto”.
Non volevo separarmi da lui nemmeno per un attimo, mai più avrei permesso al mio cuore di patire le pene dell’inferno senza il suo battito, perché per me lui era quello, il battito del mio cuore, il respiro e l’amore della mia vita, senza alcun dubbio.

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Capitolo 26
*** 25. The sun under the snow. ***


Eeeee… dopo 2 mesi il nuovo capitolo è QUI!!! *stilecarrambata*
Oddio, lo so, sono passati due mesi dall’ultima volta che ho pubblicato un capitolo e magari avrete pensato che sono morta o cose del genere, e con il freddo che sta facendo credetemi ci sono stata vicina! LOL
Comunque è inutile dirvi che non ho avuto tempo, ho iniziato a lavorare e i tempi per scrivere si sono ristretti notevolmente senza che me ne accorgessi, ma ora il capitolo è pronto, è una cosa più sul natale (Lo so che è passato, ma l’idea era di pubblicarlo in quei giorni!) e all’inizio dovrei ben dire che è forzato al massimo perché non avevo la minima idea di cosa scrivere, il tutto è andato scorrendo verso la fine anche grazie all’immenso aiuto della mia migliore amica e sorella che ringrazio davvero di cuore per essermi sempre vicina anche in cose come questa. <3
Beh, ora mi dileguo e vi abbandono al nuovo capitolo come sempre.
Tornerò presto, almeno spero! XD
 
Buona lettura, e mi raccomando recensite come sempre.. mi fa sempre piacere sapere che ne pensate!
Baci. :*


 

“Scommetto che tu stai morendo di freddo!” esclamò premurosa Clare vedendomi entrare per l’ennesima volta in quella casa.
“Ehm.. a dire il vero sì. Posso dire nettamente che sto congelando qui, non ci sono abituata probabilmente..”, feci spallucce abbassando lo sguardo.
Un altro brivido di freddo m’invase l’anima e sobbalzai appena la mia giacca si sfilò.
Rob puntualmente se ne accorse e prese ad abbracciarmi e a strofinarmi le spalle con vigore.
“Sto bene”, mugugnai in un sussurro imbarazzata di tutte quelle attenzioni davanti a sua madre.
Lui non ci badò come suo solito. Alzai gli occhi al cielo rassegnata.
“Mamma la porto di là, non vorrei morisse congelata”. Confessò con un sorriso.
“Si, è decisamente meglio, tra un po’ arrivo anch’io con due belle tazze di thè fumanti”, disse quella entusiasta, neanche il tempo di ribattere ed eravamo già in salone seduti sul divano di fronte ad un immenso camino addobbato a festa, porsi subito le mani congelate per riscaldarmi.
Era difficile abituarsi ai climi freddi e rigidi di Londra ancora, specie per chi come me arrivava da una regione che di nebbia, freddo e neve ne vedeva raramente, la temperatura di Londra era abbastanza uggiosa, non credo mi sarei abituata facilmente.
Una mano mi accarezzò lievemente un guancia per testare la mia temperatura corporea. Chiusi gli occhi assaporando al meglio quel momento prima di girarmi verso di lui.
“Sto bene”, risposi con un sorriso che lo invitò ad avvicinarsi al mio viso.
“Quante volte l’hai detto oggi?”, chiese malizioso.
Ci pensai su. “Uhm.. un paio di volte probabilmente”.
“E sai quante volte ci ho creduto?”
“Immagino nessuna”. Conclusi.
Annui divertito baciandomi le labbra.
“Ancora non puoi abituarti eh?”.
“Il freddo non è qualcosa che prediligo, forse perché non ci sono mai stata abituata, ma me la faccio scendere. Non ti devi preoccupare davvero”. Spiegai per l’ennesima volta prendendogli una mano. Lui se la rigirò e prese la mia tra le sue: erano terribilmente calde.
“E’ stato bello comunque vederti cadere sul ghiaccio oggi”, e scoppiò a ridere.
“Ah si?”, misi il broncio e incrociai le braccia allontanandolo da me. “Non è colpa mia se non ho mai pattinato!”.
“Sam non smetteva di ridere”, ricordò, e ancora giù con le risate.
“E perché tu no? Menomale che dovresti essere dalla mia parte”, stipulai tirandogli un pugno in pieno petto facendolo strozzare quasi.
“Cos’ì t’impari!”, dichiarai stizzita prolungandomi verso il focolare e il suo calore.
“Ti fa arrabbiare eh?”, chiese adorabile Clare entrando con un vassoio in mano.
“Non sa quanto”, dissi lanciandogli un occhiataccia prima che un’altra venne riservata a me. Clare mi guardava in cagnesco quasi.
“Vanessa, quante volte ti ho detto di non darmi del lei? Su, ormai sono tua suocera”.
Suocera. Una parola, un attributo che non avevo mai ingurgitato per bene, non perché non fossi legata o cose del genere ma per il semplice forte imbarazzo che creava in me quella parola, come il definire il loro figlio il mio fidanzato.
Era mio solo in parte, tutto il resto era dei fan e di Kristen, se così si poteva dire.
Mi sforzai di sorridere e ne usci qualcosa come un “Ok” smorzato a fatica, ma almeno l’avevo fatta felice.
“Nero, come piace a te”. Disse porgendomi la tazza.
“Ho un po’ stravolto le vostre abitudini, mi dispiace”, sapevo che gli inglesi adoravano il thè al limone e cose del genere. Avrei voluto sapere davvero cosa pensasse a proposito.
“Non ti devi dispiacere di nulla, lo sai”, disse porgendo un'altra tazza a Rob. “I gusti son gusti, non si possono stravolgere per piacere a qualcuno no? Altrimenti non saresti te stessa”.
Annui sorseggiando quel thè bollente quasi.
“E i tuoi?”, prese a chiedere Clare sedendosi vicino a noi.
“Oh, li ho chiamati poco prima. Arriveranno nei prossimi giorni”. La informai. “Stanno controllando un po’ di alberghi nella zona”.
“Quali alberghi, scusa? Sono nostri ospiti, c’è la camera di sopra. Non esigo, ti prego di dirglielo”. Feci per ribattere, ma non me ne diede la possibilità. “E tu Douglas non dici nulla a proposito?”, assillò il figlio.
“Oh Clare, davvero Rob non c’entra nulla. Anche lui sa benissimo come sono i miei: non vogliono recare disturbo, ma non si preoccupi, ehm.. ti preoccupare” cambiai notando di nuovo quel rimprovero a fior di labbra. “Cercherò di convincerli come meglio posso”.
“Assolutamente, mi offendo se prendono una stanza in albergo, per una volta che possiamo stare tutti insieme. Quale festa migliore del natale per farlo?”, le brillavano gli occhi. Era persino più entusiasta di me.
“Già..”
Guardai Rob guardarmi a sua volta. “Un natale tutti insieme suoceri e consuoceri”. Sorrisi.
Eravamo lì da un po’, in special modo io e Rob e mancava davvero poco al natale, quell’aria calorosa e colorata che si creava in quel periodo, le luci, gli addobbi e quello stare in famiglia era qualcosa che ogni volta mi mandava in estasi. Adoravo quella festa e Rob lo sapeva meglio di me.
Quando ero arrivata non avevo fatto altro che stare attaccata al finestrino dell’auto osservando ogni minimo particolare di quella città così magnifica che non avevo mai visto sotto quell’aspetto.
Le luci, il calore e la forte sensazione del natale che c’era in quel posto era qualcosa di straordinario. I miei occhi non avevano mai visto uno splendore simile alla città londinese e, di conseguenza, me ne stavo lì, col naso all’insu’ ogni qualvolta ci trovassimo fuori, a guardare le meraviglie che mi mostrava: Le luci e i colori di Londra a Natale erano qualcosa di spettacolare, l’ammiravo sempre più basita e meravigliata, il tutto era adornato da un leggero manto di neve che andava sciogliendosi a poco a poco nonostante la temperatura gelida che toccava il sette gradi.
La magia del Natale lì era assolutamente qualcosa di travolgente.
“Vogliamo salire un po’?”, chiese il signorino accanto a me indugiandomi a dare una risposta positiva.
Annui riponendo la tazza nel vassoio sul tavolino lì vicino.
Lui mi prese per mano e mi trascinò su per le scale.
“Scenderemo più tardi”, informò la madre trasportandomi in camera per mano.
La salutai con una mano e con un lieve sorriso.
“A dopo, e mi raccomando però.. non scendete tardi che si fredda.”
“Ok”. Sbuffò il figlio scocciato.
 
Una volta entrati in camera chiuse la porta.
“Ho bisogno di una doccia”, dissi dirigendomi verso il bagno un po’ intontita prima che una forza al di fuori di me mi sbilanciasse all’indietro.
“Mmh..” mugugnò sorridendo. “Dov’è che vai?”, chiese a una decina di centimetri dal mio viso.
Non mi diede il tempo di rispondere che m’incollò alle sue labbra momentanee ospiti di un aspro sapore al limone.
Ricambiai il bacio lasciandomi trasportare e avvinghiandomi completamente a lui come una piovra e succhiai con dolcezza il suo labbro inferiore alternando il tutto con dei lievi morsi anche sul collo.
“Da quando sei diventata una vampira?”, chiese divertito.
“Da quando ho visto un certo Twilight, non so se conosci..” allusi staccandomi dalle sue labbra ma non dal suo corpo che mi sosteneva, d’un tratto una cosa al di sopra di una mensola catturò la mia attenzione facendomi sporgere come una bambina piccola.
“Che c’è lì?”
“Lì dove?”, chiese quello voltandosi non capendo a cosa mi riferissi.
Scesi dalle sue braccia e mi diressi verso l’ultima mensola che avevo visto dall’alto, afferrando ciò che aveva colpito la mia attenzione.
“Oddio Rob!”, un sorriso m’illuminò il volto vedendo quello che avevo tra le mani. Una foto mia e di Rob quando ancora non eravamo niente.
Una foto semplice tra una fan e il suo attore preferito.
Sentivo le farfalle nello stomaco una per una nel ricordo di quella foto.
Quante emozioni m’invasero nel ricordo, accarezzavo la foto e sorridevo felice.
 
Ci eravamo incontrati un po’ di giorni dopo l’incidente col caffe’ al bar.
Ero dietro le transenne ad ammirarlo dietro una schiera di fan urlanti ed emozionate quasi quanto me.
Ero ancora a Montepulciano e da lontano l’ammiravo estasiata, era la miglior cosa che si potesse vedere, lo guardavo bellissimo e magnifico sotto quel portone a petto nudo mentre interpretava Edward, venni invasa da mille emozioni in quel momento e quasi, trasportata dai ricordi, iniziò a scorrermi qualche lacrima.
Stringevo a me una fotocamera, ma le mie mani tremavano come foglie e il mio cuore sobbalzava in sua presenza: Eravamo lontani, ma eravamo insieme nello stesso angolo di mondo in quel momento, e non era un sogno.
Chissà se mi avrebbe riconosciuta, la “Coffee’s girl” gli sarebbe tornata in mente? O lo aveva già dimenticato? D’altronde però non poteva ricordarsi di tutte le fan che incontrava per strada o durante i suoi viaggi. Ma almeno io speravo nel contrario, il mio cuore vagava in una piccola luce, un luccichio nei suoi occhi quando mi avrebbe vista e un suo: “Oh, but I recognized. Are you the Coffee’s girl, really?” mi sarebbe bastato per arrossire violentemente e confermare il tutto.
Momento di riprese, un attimo di silenzio sorvolò l’aria intorno: Robert era all’interno di quel portone, si avvicinava a passo lieve all’esterno togliendosi la camicia lentamente. Lo vedevo, riuscivo a osservarlo  e andai implicitamente in iperventilazione mentre altre vicino a me gemevano come delle pazze.
Camminava lentamente ad occhi chiusi, interpretando il suo personaggio che andava incontro alla sua morte mentre io inerme lo osservavo quasi paralizzata.
Poi Kristen quasi come un razzo gli volò tra le braccia scaraventandolo quasi all’interno nonostante ci fosse un uomo a reggerlo.
Tutti scoppiarono a ridere della troppa veemenza con cui ci si buttò sopra.
Il regista gridò uno Stop poco dopo.
Chiusi gli occhi.
Un momento di pausa e urla, emozioni e quaderni con penne si protendevano verso qualcosa che io non riuscivo a vedere, pur essendo verso le prime file.
Mi allungai di più verso l’ala destra della folla, ancora lontana e distante da me dove l’attenzione si concentrava maggiormente e lo vidi.
Un raggio di sole nelle vesti di un sorriso mi penetrò l’anima facendomi mancare per poco non svenni a terra come più volte avevo immaginato in sua presenza.
Ma non volevo e non potevo farlo, ero ancora una volta vicina al sogno e non potevo farmelo sfuggire.
Ero a un passo da me, mancavano un paio di metri e mi sarebbe stato di fronte. Mi si mozzò il respiro e andai in iperventilazione ancora una volta.
Chiusi gli occhi per un momento cercando di riprendermi.
“Ehi tu”, fece una voce maschile in perfetto inglese. “Ehi tu, stai bene?”, chiese quasi preoccupato ora non vedendomi rinvenire e aprire gli occhi. Lo senti toccarmi e contemporaneamente avvertì una scossa. Impossibile che fosse lui.
Aprii gli occhi e mi trovai di fronte a un angelo. Il più bello che avessi mai visto.
Aveva gli occhi fissi su di me, con un espressione quasi preoccupata. Mi bloccai del tutto non emettendo alcun suono in risposta.
Lo vidi misurare ogni mia espressione prima di voltarsi.
“Jim, fai uscire fuori questa ragazza da dietro le transenne. Non sta per niente bene”, annunciò lui a qualcuno lì vicino.
Tentai di ribattere senza che alcun suono uscisse dalla mia bocca, prima che una forza mi sollevò di peso da quella folla e mi portò davanti a lui per l’ennesima volta, in modo libero.. inspirai tutta l’aria possibile una volta fuori da quel delirio e lo guardai negli occhi, per poi abbassarli, timida com’ero.
Lui sospirò e qualcosa in testa gli ricomparve.
Sgranò gli occhi sorpreso e quasi felice.
“Tu, tu.. sei la ragazza del caffè! Ti ho trovata finalmente. Ti ho cercata dappertutto dopo quel giorno”.
Lui mi aveva cercata. Lui mi aveva cercata. Lui mi aveva cercata. Ecco cosa appariva in sovraimpressione nel mio cervello in quel momento.
“Tu. Hai. Cercato. Me?”, balbettai inebetita, non capendo il senso di quelle parole.
“Si insomma, quella mattina ti ho versato tutto il caffè addosso. Volevo sdebitarmi”. Esclamò imbarazzato toccandosi i capelli.
Restai a bocca aperta non riuscendo a proferire altra parola.
“ E quindi, dato che sei qui, che ne diresti di passare una giornata insieme? Insomma vedrai come si gira un film. E poi è anche la tua saga preferita no?”
Annui ancora incredula. Possibile che tutto ciò che stavo vivendo stesse succedendo davvero? Stentavo a crederci. Volevo che qualcuno mi desse un pizzicotto ma che non mi svegliasse.
Lui ancora aspettava risposta: “Allora? Accetti?”.
“Sì!”, dissi con decisamente troppo entusiasmo. Se ne accorse e rise nella sua melodiosa risata capace di incantarmi.
“Allora andiamo. Tra un po’ si ricomincia!”
 
*
 
Mi guardava ignaro del viaggio mentale che avevo fatto in quel momento.
Avevo il viso rigato da immense lacrime che avevano iniziato a scorrermi senza che io me ne accorgessi.
Tenevo gli occhi fissi sulla foto e dolcemente l’accarezzavo.
“Come ce l’hai questa?”, chiesi d’improvviso.
“L’hai lasciata tu qui l’ultima volta che ci sei stata..”, rispose non capendo un bel nulla.
“Ah”, risposi amorfa senza colori ne tono ancora invasa nel ricordo.
“Van, succede qualcosa?”, chiese avvicinandomi e sollevandomi il viso.
Lo guardai dritto negli occhi e sorrisi.
“Sei la cosa migliore che questa vita mi abbia donato”, sussurrai gettandomi al suo collo per abbracciarlo.
Mi baciò i capelli e mi carezzò le spalle.
“Anche tu sei la cosa migliore di tutta questa vita e questa popolarità”.
Mi scostai dal suo collo e iniziai a baciargli le labbra di nuovo, prima in modo lieve e leggero. Poi di nuovo in modo impetuoso, violento e famelico fino a quando entrambi non finimmo a terra.
“Che ne dici se quella fatidica doccia ce la facessimo insieme?”, chiese al di sotto di me il ragazzo.
“Mmh, direi che l’idea non e’ tanto male..”. Risposi tra un bacio e un altro.
 
“Vanessa, vuoi un po’ d’insalata?”, chiese Clare a pochi posti di distanza dal mio porgendomi l’insalatiera.
“Ti ringrazio Clare, ma preferisco di no”. Per quanto mi riguardava stavo gia’ scoppiando, rimuginavo la forchetta nel piatto cercando a stento di non rimettere tutto quello che avevo ingurgitato in una cena durata ore, a cui non ero minimamente abituata come d’altronde anche i miei che dall’altra parte del tavolo avevano appena finito di mangiare.
Una lieve carezza mi richiamò all’attenzione facendomi voltare.
“Stai scoppiando, te lo si legge in viso!”, esordì lui.
Sorrisi lievemente.
“In effetti..”, ammisi abbandonando la battaglia e allontanando il piatto.
“Non le puoi dire nulla, quando si ci mette è dura poi uscirne”, fiatò lui osservandolo di sottecchi mentre mi parlava in un sussurro.
“Era tutto squisito comunque, questo è da ammettere”.
Robert annui ridendo.
“Aspetta quando arriverà la prossima portata!”, annunciò addentando un trancio di rosbif che aveva ancora nel piatto.
Sgranai gli occhi. “Starai scherzando spero”, dissi a bassa voce per non farmi sentire, anche se in quel casino era improbabile.
Scosse la testa in segno di disapprovazione.
“Tua madre ci vuole morti o cosa?”, chiesi sull’orlo di una crisi.
Misurò ogni mio piccolo atteggiamento, calcolando ogni mio piccolo sospiro per poi scoppiare a ridere.
“Stavo scherzando comunque”.
Gli mimai un vaffanculo di cuore prima di voltarmi definitivamente da lui.
Sghignazzò qualcosa e riprese a mangiare come prima.
Alla vera fine della cena stavo morendo, mi congedai con Rob sul divano mentre gli altri se ne stavano ancora lì al tavolo a chiacchierare, giocare aspettando la mezzanotte.
Mi appoggiai al petto di Rob e chiusi gli occhi già stanca al massimo.
“Sto scoppiando”, esalai distrutta del tutto.
Lui mi accarezzava dolcemente i capelli mentre lo sentivo ridere beatamente sopra il mio viso.
“Manca poco alla mezzanotte”, sospirò lui incoraggiandomi a non morire di già.
“Si, lo so. Se sarò ancora viva magari vedrò quell’omone buffo portarmi un regalo no?”
“Mmh, chissà..”, dichiarò sghignazzando.
Aprii gli occhi e lo guardai attentamente scostandomi di poco dal suo petto.
“In che senso? Vuoi dire che sono stata cattiva quest’anno?”.
“Tu che dici?”, ribadì scostandomi un riccio dal viso.
Misi il broncio e incrociai le braccia.
Scoppiò in una viva risata ancora più energica, ma anche un tantino nervosa mentre gli altri si avvicinavano alla sala.
Mi sistemai alla meglio sul divano dato che mi ero coricata.
“Siamo a meno cinque ragazzi! Prepariamoci ai brindisi su”, gioì Clare arrivando con una bottiglia enorme di spumante seguita da altrettante cibarie.
Rob mi aiutò ad alzarmi porgendomi una mano e dopo il “3.. 2.. 1..” che contrassegna ogni festività del genere mi abbracciò forte e mi baciò, io per quanto mi riguardava ricambiai imbarazzata senza troppa enfasi alla cosa.
L’unica cosa a non tradirmi era la mia carnagione scura, almeno non permetteva ad altri di vedere il mio totale imbarazzo.
Ci scambiammo gli auguri e i regali vari, alla fine non sapevo nemmeno quanti fossero i regali totali che avevo ricevuto ma mancava ancora quello di Rob, e la cosa era l’unica che davvero mi importava e bastava  a mantenermi in un ansia perenne che non riusciva a scemare, dato che tra tutti sarebbe stato il più importante.
Non avevo la minima idea di cosa mi spettasse quella sera, anche perché ogni volta che tentavo di prendere l’argomento lui sviava con abile arguzia abbindolandomi e facendomi zittire di colpo con i suoi baci e le sue carezze.
Abile ingannatore.
Lo vidi da lontano avvicinarsi alla sala, dopo che con un gentile e amoroso “Vengo subito”, mi lasciò lì vicino a mia madre per andare a prendere il regalo, supponevo io. Lo segui con gli occhi mentre ogni tanto si voltava fino a quando non sparì su per le scale. Perché, da quando eravamo lì non aveva mai messo nulla per me sotto l’albero come gli altri, il suo regalo nei miei confronti era stato nascosto sicuro negli oscuri meandri di quella casa a me sconosciuta, sapeva che se avrei visto qualcosa di suo là sotto non avrei esitato a sbirciare anche solo per una volta.
Perciò ora eccolo scendere e fermarsi a pochi passi da me senza venirmi incontro come suo solito.
Non vedevo nulla nelle sue mani, nulla che davvero mi facesse calmare.
Gesticolava in modo sereno e tranquillo con il padre e con il mio come se nulla fosse.
Lo fissavo impassibile mentre ogni tanto mi dedicava qualche occhiata divertita mentre io morivo.
Cercavo di stare serena, sorseggiando di tanto in tanto quello spumante e tenendo gli occhi puntati su di lui.
Nel mio cervello frullavano mille possibilità riguardo a quello che stava accadendo, ma davvero nessuna mi convinceva.
“Ehi Van”, disse avvicinandosi Lizzie. “Che sbadata! Ancora non ti ho dato gli auguri”. Fece risanando la sua dimenticanza.
“Oh, non preoccuparti Liz, mica sono scappata!”, ricambiai abbracciandola. “E comunque grazie per il regalo, dire che lo userò spesso sarebbe un eufemismo”. Risi.
“Prego tesoro. Ho voluto unire l’utile al dilettevole, e comunque Rob mi ha consigliato nel comprartela. Mi ha detto che ti piace il rosa e che vedendola ci hai lasciato gli occhi quindi ho pensato di regalartela, anche per i viaggi continui che fai per colpa sua”, disse indicandolo. “Una valigia ti serve”.
Annui sorridendo mentre sorseggiavo ancora quello spumante che iniziava a darmi il voltastomaco.
“E Rob?”, chiese Liz osservando il mio sguardo che lo fissava irritata.
“E Rob.. ancora nulla a quanto pare”.
“Come nulla?”, domandò la sorella sbarrando gli occhi e fissandolo a sua volta.
Ora aveva due paia di occhi puntati addosso.
“Nulla..”, risposi un po’ affranta ma non dandolo a vedere. “Non so a che gioco stia giocando, ammesso che stia giocando”. Dissi seria.
Lei mi guardò preoccupata.
“Ora vado lì e gliene dico quattro..”, disse avviandosi.
Le feci cenno di no. “Non ti preoccupare davvero. Voglio vedere fin dove arriva. Sappiamo tutti che è un attore, no?”.
E ridemmo, io un po’ più forzatamente, ma mi sforzai di farlo per la prima volta.
“Liz, vieni un attimo di la’”, le chiese il ragazzo dietro di lei.
Mi guardò sconsolata con un cipiglio che indicava di volermi lasciar sola.
“Vai Liz, davvero..”, le indicai per l’ultima volta, prima che sparisse in un stanza al di là della folla.
Stanca mi sedetti sul divano in cerca di distrazioni utili a far sparire l’angoscia che avevo in quel momento.
Cercavo ogni qualvolta di incrociare il suo sguardo per indicargli di venire da me, ma come se per davvero mi avesse letto nella mia mente per la prima volta, fece a meno di guardarmi. Guardai l’orologio stizzita da quello stupido inoltrare l’arrivo di qualcosa che palesemente non c’era, e dal suo continuo evitarmi.
Cosa c’era di male nel dirmi magari che non mi avrebbe fatto nessun regalo o che peggio ancora se n’era dimenticato?
Niente, ovviamente.. niente, mi ripetevo con la mente e non con il cuore violentato ormai da quella dimenticanza che non era suo solito.
Un tonfo al cuore, sbuffai e decisi di alzarmi definitivamente da quel divano, lontana dalla festa ancora in corso, lontana dal trambusto, lontana da una felicità natalizia che non arrivava, e diretta verso la camera da letto data l’ora.
Poggiai il bicchiere sul tavolo lì vicino e a sguardo basso iniziai a inoltrarmi verso le scale senza neanche guardarlo, prima che qualcosa, o meglio qualcuno mi afferrò un polso dolcemente.
“Dove vai?”, mi chiese sorridendo avvicinandosi alle mie labbra in cerca di un bacio.
“A dormire. Sono stanca. Ci vediamo domani”, ripetei ad alta voce scansandolo andandomene irritata, salendo le scale di corsa mentre lui restava lì dov’era.
Mi rinchiusi in camera e lanciai le decolté camminando scalza in cerca del mio ipod mentre sotto la festa ancora echeggiava tra le mura di casa.
Non avevo intenzione di dormire, almeno non potevo.
I miei occhi restavano sbarrati e inondati di lacrime allo stesso tempo.
Possibile che si fosse dimenticato di me? Possibile che non fossi più così importante da non meritare nemmeno un suo pensiero, anche il più piccolo e minuscolo tra tanti? Mi sembrava una cosa stupida pensare al regalo. Cos’era in fondo un dono materiale in confronto a lui che era diventato il mio sogno personale da un paio di anni. Forse stavo esagerando.
Forse doveva essere il suo amore a bastarmi in quella vita, eppure quel senso inutile di vuoto dentro mi rivoltava lo stomaco mentre le note della prima canzone del mio ipod mi inoltravano l’anima struggendomi il cuore e facendomi addormentare.
 
Mi svegliai un paio di ore dopo, quando mi scontrai con un letto terribilmente vuoto girandomi.
Protesi una mano, ancora ad occhi chiusi, verso il lato destro in cerca del suo corpo, del suo calore, delle sue mani ma niente.
Niente di lui era lì.
Mi sforzai quindi di aprire gli occhi, ancora appannati e per niente funzionanti e constatai la realtà, lui non c’era.
Alzai lievemente la testa per guardare in giro.
La sveglia sul suo comodino segnava le sei del mattino e in camera non c’era la benché minima traccia di lui.
“Rob?..”, lo chiamai con voce flebile e ancora in preda al sonno mettendomi una mano sulla testa per il gran dolore mattutino.
Ma nessuna risposta avvenne, nemmeno al di là del bagno.
Dove diavolo era finito? Mi domandai, mentre con la stessa forza mi sforzavo di alzarmi da quel letto.
 
Misi una vestaglia, la prima che trovai, non so se mia o sua, e prima ancora di ritornare in me dopo quelle ore di sonno per andare a cercare colui che era smarrito nel nulla peggio di un vampiro, venni catturata da un immagine, più che altro una scena di cui mai ero stata spettatrice per davvero, se non in film o cose del genere.
Nevicava.
Per la prima volta nella mia vita, in quel di Londra stavo assistendo ad una fioccata: un’immensa, coltre di neve stava scendendo dal cielo leggera e senza il  minimo rumore. Restai incantata da quel meraviglioso spettacolo che la natura mi stava offrendo e come una bambina piccola per poco non mi spiaccicai al vetro .
E tutto un attimo prima che una magia, ancora più grande, m’invadesse il cuore.
I miei occhi caddero distrattamente su un immenso, grande cuore bianco e candido che sostava su di un manto di neve appena caduto, mentre un minuscolo, piccolo quadratino giaceva nel mezzo.
Vicino a tutto questo, un ritratto pari a un sorriso si alzò guardandomi e perforandomi il cuore.
Restai interdetta quasi, ad ammirare una scena fin troppo irreale e inaspettata che mi fece sorridere come un ebete con gli occhi che iniziavano a sgorgare.
Non mi serviva un cenno o un altro sorriso per catapultarmi da quell’angelo sotto mentite spoglie, di corsa spalancai la porta e corsi giù per le scale quasi cadendo sull’ultimo gradino, sfracellandomi.
Quando lo vidi mi fermai sulla porta esterrefatta e con i lucciconi agli occhi ormai pari a canali straripanti e mi buttai tra le sue braccia.
Mi alzò di pochi centimetri da terra rendendomi la presa e l’aderenza al suo corpo ancora più forte e intensa.
Nascosi la testa nell’incavo del suo collo e lo baciai prima di staccarmi da lui.
“Scema davvero pensavi che non ti avessi fatto un regalo?”, disse scompigliandomi i capelli e porgendomi un scatoletta piccina in mano con sopra un bigliettino.
Lo guardai.
“Aprilo”, m’incitò sorridente mentre ci sedevamo su quel manto.
Ti regalo la mia vita recitava.
Il tutto non faceva altro che rendermi la cosa ancora più irreale.
Nuovamente lo guardai sbigottita mentre lui se la ghignava divertito e imbarazzato.
“E ancora non è finita”, esalò tirando fuori quel cofanetto ricoperto di velluto e rifinito tutt’intorno che presagiva qualcosa più grande di noi.
Lo aprii e vidi qualcosa al suo interno luccicare e promettere qualcosa in più di quello che avevo pensato.
Le ghiandole lacrimali ricominciarono da dove avevano terminato.
“Allora, che ne pensi?”, disse guardandomi con un espressione mista tra il divertito e il preoccupato.
Cosa ne pensavo?
Insomma la proposta era chiara, non l’aveva recitata in modo tradizionale ma quello voleva dire.
Restai interdetta non trovando le parole esatte e facendolo pendere dalle mie labbra.
Inalai tutta l’aria possibile e recitai d’un fiato. “Penso che non c’era alcun bisogno che tu mi regalassi la tua vita perché ti vivevo già prima di conoscerti. Sognavo i tuoi sorrisi, i tuoi occhi. Fantasticavo su come sarebbe stato parlarti almeno una volta e invece ora sono qui, ti rendi conto?”.
Sorrise e mi strinse a sé più forte appoggiando la sua fronte sulla mia.
“Allora lo prendo come un sì?”
Lo buttai sulla neve e mi stesi su di lui spostando i miei capelli.
“Tu che dici?”, risposi ammiccando avvicinandomi al suo volto.
Ribaltò la situazione mettendosi sopra di me e mi baciò, divorando con passione le mie labbra e mordendomi il collo creando così vari istinti, che portarono ad una situazione pari ad un fuoco capace di sciogliere l’intera neve nei dintorni.
Poi si staccò e decide di alzarsi porgendomi una mano per farmi alzare.
“Sta iniziando a fare freddo, saliamo?”.
Presi la sua mano completamente fredda e ghiacciata quasi quanto la mia e mi lasciai tirare su.
“Potrei giurare di stare con Edward in questo momento”, scherzai baciandolo.
Lui rise e mi abbracciò portandomi su, scherzando e fermandomi ogni qualvolta per le scale per baciarmi.
Sembravamo due adolescenti alla loro prima cotta per come ci comportavamo.
Arrivati in camera ci chiudemmo dentro e ci fissammo mentre lui mi teneva contro il muro e continuava a baciarmi con un nuovo vigore, una nuova passione, mentre io asso paravo il suo nuovo sapore.
Ad un certo punto lo abbandonai lì passando sotto il suo braccio che mi bloccava il passaggio.
“Vado a farmi una doccia”, lo provocai prima una mano gelida stile Edward Cullen mi afferrò.
“Aspetta, vengo anch’io”, disse avvicinandosi e seguendomi sfilandosi la camicia.
 

 
 

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Capitolo 27
*** 26. Follow your heart ***


Ritorno a scrivere dopo non so quanto tempo!
Non so quanti di voi leggeranno questo capitolo, ma spero lo farete in tanti.
Sono tornata dopo un periodo in cui tutte le mie idee erano in standby, unite anche al fatto che il tempo si è ridotto ulteriormente davanti ai miei occhi e trovare il tempo per mettersi al pc e buttare giù qualcosa è diventato abbastanza arduo.
La maggior parte di ciò che è scritto qui è avvenuto in varie notti in cui i miei occhi non ne volevano sapere di calare. LOL
 
Boh, non so, spero che continuiate a seguirmi e a recensire come sempre.
Desidero sapere cosa ne pensate. :)
Spero lo farete al più presto, intanto, mi scuso ancora, ENORMEMENTE, per il ritardo.
I’m so sorry guys.

Kiss. 





Avevo deciso di staccare. Vivere la mia vita, di nuovo, almeno per un attimo.
Volevo recuperare i miei affetti, i momenti con i miei, le visite a mia nonna, rincontrare i miei amici, la mia migliore amica e stabilire, di nuovo un rapporto stabile con loro prima che la mia vita prendesse una svolta decisamente radicale e caotica.
Insomma quanto li avevo trascurati? Sempre presa da Rob e da quella storia che tutt’ora sembrava una favola assurda, del tutto irreale anche per me.
Così, decisi di partire, allontanarmi da tutti, allontanarmi da quel mondo almeno per un attimo per riprendere fiato e respirare aria pulita e sana lontana dai flash, appostamenti o gossip vari che mi avrebbero travolto, ora che quell’anello era al dito la pressione e gli spasmi sarebbero aumentati.
“Sei proprio sicura?”, domandò Rob accigliato dopo non so quante ore e quanti giorni ormai dopo la notizia.
Era dura per lui quanto per me, e lo sapevamo entrambi, e lo ripeté insistentemente per l’ennesima volta di fronte all’aeroporto, quasi a volermi far cambiare idea a tutti i costi. E sapeva quanto ero debole in quello.
Le sue sopracciglia s’inarcarono ancora di più unendosi ad un notevole lingua sulle labbra, segno evidente di un nervosismo represso.
Mi avvicinai ancora di più a lui.
“Non sto scappando.. voglio solo un po’ godermi la mia vita normale per un po’ prima che tutto cambi e diventi non solo la signora Pattinson, ma la signora gossip sempre al centro del mondo!”.
Ridemmo.
“Non dobbiamo sposarci se non vuoi..”, disse con i suoi occhi azzurri tristi a pochi millimetri da me tentando un sorriso altamente forzato.
“E lasciarti in pasto ad oltre un migliaio di donne che non aspettano altro perdendo così l’amore della mia vita? Non sono mica pazza fino a questo punto”. Scossi la testa divertita.
“Io voglio sposarti Rob. Voglio vivere il mio sogno”. Dissi baciandogli le labbra calde assaporandone il gusto. “E poi ci sposeremo l’anno prossimo, no? C’è ancora tempo! Quindi, ripeto: Non sto scappando!”, ribadì osservandolo.
Lui si avventò sulle mie labbra ancora con più passione spingendomi quasi sul sedile.
 
Un bussare al finestrino ci interruppe.
“Van, sei in ritardo”, avvisò Dave da dietro il finestrino. Rimisi a posto me stessa e il mio essere dopo un bacio di quel fervore e presi la borsa a tracolla catapultandomi fuori dall’auto con Rob.
“Ritornerò prima che tu te ne accorga, giuro!”, dissi abbracciandolo per non dare nell’occhio delle persone lì vicino. “Tu ora catapultati a Vancouver. E’ lì che ti vogliono e che ti voglio, ritorna nei panni di Edward Cullen e fai del tuo meglio, come sempre”. Dissi respirando il suo profumo e stringendolo ancora più forte mentre lui mi accoglieva sul suo petto in un abbraccio che sembrava e voleva non finisse mai.
“Giuro che per quando sarai in Brasile ti raggiungerò”, continuai con una nota storta nella voce.
Sapevo cosa volesse dire il Brasile, a quale scena andavamo incontro da quelle parti. Da mesi il mio pensiero s’inchiodava a quei momenti facendomi salire il sangue al cervello e non facendomi connettere più normalmente: Edward e Bella = Luna di miele = Piume dappertutto.
E’ solo finzione, è solo finzione, è solo finzione. Continuava a ripetere il mio cervello in preda a spasmi.
Il mio cuore sobbalzò in gola a quel pensiero e la gelosia puntualmente si ripresentò alla porta.
Mi staccai da lui e presi fiato come se avessi corso, lo guardai e vidi tutto quello che mi faceva stare bene: lui.
Ancora corrucciato mi fissava afflitto da dietro quei RayBan, ormai inseparabili.
“Ti accompagno fino al gate”, pensò iniziando a prendere la valigia che avevo tra le mani.
“No Rob, davvero! Non amo i saluti dal portellone, mi faresti stare ancora più male e me ne pentirei per tutto il viaggio”.
Allentò la mano dalla valigia e abilmente la fece passare sulla mia schiena.
Un brivido mi pervase.
“Forse è questo che voglio, non credi?”, disse sfiorandomi un orecchio.
Lo faceva apposta. Era tutto studiato ad arte. Bastardo.
Si lasciò andare in un ok biascicato e mi passò l’altra valigia.
“E poi pensa a quante fan ti verrebbero addosso. A quanti voli faresti perdere alle persone, saresti la causa di un bel casino li dentro se lo faresti. Me ne andrei con il dubbio, no? Già un gruppo è laggiù”, risi indicandole con gli occhi guardandolo.
L’altoparlante dall’interno pronunciò il numero del mio volo.
“Io vado”, dissi incamminandomi e lasciandomelo alle spalle. I love you gli mimai in modo impercettibile.
I love you too so much.Mimò anch’egli con le labbra.
Mi voltai definitivamente e mi infilai all’interno senza girarmi ancora una volta.
Se l’avrei fatto non sarei mai più partita, ne ero certa.
Sarebbe stato più difficile.
 
Arrivai in Italia in tarda mattina dopo aver dormito costantemente per quasi tutto il viaggio cullata dal dolce andare dell’aereo tra le nuvole.
Una sola ragazza mi riconobbe in aereo, ma non fece nulla capace di infastidirmi davvero.
A Lamezia splendeva il sole, e un intensa afa mattutina impregnava l’aria costringendomi a togliere la felpa superiore.
Feci un ennesimo calcolo mentale del fuso orario, anche fin troppo vicino con Londra e inoltrai la chiamata al mittente.
Una voce, riconoscibile tra mille rispose al primo squillo.
“Ehi, sei arrivata?”.
“Sono appena uscita dall’aeroporto”, dissi guardandomi in giro affannata per le valigie pesanti che mi portavo dietro. “Ora prendo un taxi e mi faccio un altro paio di ore di viaggio”, risposi un po’ spossata, fermandomi.
E pensare che mio padre si era offerto di venirmi a prendere.
“Ti farei compagnia se potessi”, rispose lui.
Sorrisi al pensiero.
“Ora chiamo mia madre per dirle che sto arrivando, l’ha detto a mia nonna ed è molto entusiasta della cosa. Se non muoio prima ci faccio un salto nel pomeriggio”, confessai infilandomi un paio uguale al suo di RayBan e avviandomi verso un taxi lì vicino appena arrivato.
“Per la cronaca: hai dimenticato di nuovo il tuo ipod nella mia borsa”, dichiarai porgendo una delle valigie al tassista che mi guardava inebetito per quella conversazione che a lui doveva sembrare arabo puro . “Credo che l’ascolterò per tutto il viaggio ora”.
“Non l’ho dimenticato, l’ho messo lì apposta”. Confessò. “Così non potrai dire che ti dimentichi di me”.
“Tu non fare lo stesso comunque”, lo avvisai infilandomi sul sedile posteriore dell’auto.
Lo senti ridere di gusto. “Non lo farei mai, come pensi potrei vivere?”
“Lo so”.
“Ora devo andare. Appena arrivi a casa chiamami ok?”.
“Ok!”.
“Fai buon viaggio”. Mi augurò prima di chiudere la chiamata.
“Anche tu”. Dissi.
“Ti amo”.
“Anche io”, risposi arrossendo convinta del fatto che l’autista capisse con chi ero al telefono e cosa stavo dicendo.
 
Mi faceva un po’ senso ritornare ogni volta a quella che io definivo la normalità.
Era cambiato tutto da quando mi ero messa con Rob. Il mio mondo era cambiato insieme a lui e intorno a lui.
Lui era il fulcro su cui il mio mondo ruotava ormai.
Avevo cambiato stile di vita, abitudini e così tanti fusi orari che nemmeno ricordavo più.
Non facevo più differenze tra notte e giorno.
Mi ero ridotta più volte alle fattezze di gitana per stargli dietro e ad ogni minimo distacco soffrivo da cani.
Il suo modo di guardarmi, di stringermi, di ridere e di essere mi avevano intortata e resa completamente schiava al suo volere, ma di tutto questo non potevo parlarne fuori, nemmeno dimostrarlo in piccola parte perché ogni flash, ogni macchina era sempre in agguato.
Ad ogni uscita, o quasi, c’era un flash di una macchina fotografica a immortalare il momento e a braccarci come ostaggi, anche se fosse insignificante. Ormai la mia vita era sui giornali e sul web, e tutti, chi più chi meno fingeva di conoscermi giudicandomi e puntando il dito più di quanto fosse necessario.
Non riuscivo a fregarmene, come più volte mi aveva consigliato Rob, Ashley, Kris o chiunque altro in quel mondo, ci stavo male il più delle volte e piangevo in preda a crisi che mi riducevano al nulla.
Quel mondo avrebbe mai fatto parte di me? Non ci ero abituata, per niente ed ogni mio movimento, fuori era calcolato nei minimi dettagli.
Per quanto volessi non riuscivo ad essere me stessa fuori dalla nostra intimità, dai nostri momenti, da noi, solo quando guardavo Rob calavo la maschera, come quando mi prendeva la mano tra la folla o come quando un anno prima aveva azzardato a baciarmi in mezzo alla moltitudine della discoteca scatenando le ire di Nick e l’appetito famelico dei paparazzi che ci giravano intorno come avvoltoi.
Quel ragazzo mi faceva perdere il senno, sempre.
Risi tra me.
L’anello al mio anulare sinistro prese a brillare sotto un raggio di sole costante rinvigorendolo più del dovuto.
Lo osservai rigirandolo verso di me.
Mi sarei sposata.
Ancora stentavo a crederci pur avendo quella prova al dito e quei ricordi nitidi in testa.
Io Vanessa, una semplice ragazza italiana arrivata a Montepulciano per assistere alle riprese di una saga di culto avrebbe sposato colui che mezzo mondo ama e venera, l’inglese Robert Thomas Douglas Pattinson.
Sarei diventata la signora Pattinson. Vanessa Pattinson.
Roba da prendersi a pizzicate mille volte.
Se lo avrei detto a qualcuno, mi avrebbe seriamente riso in faccia e lo avrei fatto anche io senza problemi al pensiero.
L’aria intorno iniziava ad impregnarsi degli odori che conoscevo, ad assumere i colori con cui ero cresciuta e migliaia di ettari verdi si estendevano ai bordi delle strade. Sorrisi in preda a ricordi fulminei di ciò che ero stata e ricordando quella piccola bambina ancora ignara del suo destino e della svolta che avrebbe preso la sua vita.
“Signorina, mi scusi, siamo arrivati”, annunciò l’uomo al volante del taxi che si era voltato verso di me ora.
Rinvenni e sbattei più volte le palpebre stentando a dire una parola.
Ero a casa. La mia casa.
“Ehm.. Grazie!”, pronunciai catapultandomi fuori dallo sportello come una forsennata.
 
Chiamai Rob solo dopo che l’intera giornata estenuante era giunta al termine.
Mia madre fu la prima a piangere quando mi vide varcare la soglia dopo tanto tempo nonostante mi avesse vista non molti mesi prima.
Ritrovare la mia stanza poi, per alcuni poteva essere una gran cavolata, ma per me ritrovarla così com’era a quando l’avevo lasciata era un ritorno assurdo a ciò che ero stata. Vedere Robert che ora, in formato cartaceo, mi guardava sotto forma di Edward Cullen in New Moon, mi faceva un certo effetto, il quadro di New York con tutti i suoi simboli che mi era di fronte, con i miei sogni spiaccicati su una tela mi fece emozionare.
Quante volte c’ero stata ora da quelle parti? Ai tempi di allora tutto sembrava un sogno.
La mia stanza era tappezzata di sogni, speranze e un infanzia che mi veniva incontro non appena le rivedevo lì su quello scaffale.
Le mie Barbie, le uniche, vere amiche di un tempo, erano tutte lì a fissarmi sorridenti.
Mia nonna quasi non mi riconosceva più tanto, a suo dire, ero dimagrita. Mi spinse a ingozzarmi di cose e quantità esorbitanti di cibo che da tempo avevo dimenticato e di cui avevo perso decisamente l’abitudine.
Mangiai quel che bastava a rimpinzarmi anche se per lei era sempre, decisamente troppo poco.
Rob scoppiò in delle risate quando glielo raccontai, quasi non si strafogava con un hamburger, uno dei suoi soliti con cui lo sentivo mangiucchiare.
Skype era un buon antidoto alla mia voglia di vederlo e di sentirlo, solo che ovviamente non era la stessa cosa.
Lo salutai presto quando qui erano le dieci e lì erano le due del pomeriggio.
La valigia restò lì nell’angolo, ero troppo esausta per metterla a posto, mi rannicchiai sul letto e caddi nel sonno più profondo appena le mie palpebre si chiusero.
 
La mattina dopo mi svegliai a fatica non riuscendo a intendere se l’orologio che segnava le 10, mi stesse altamente prendendo per i fondelli oppure no.
Era tutto, decisamente troppo buio per essere mattina, se non era per la differenza che il formato orario mi riportava sul telefono avrei scambiato volentieri quell’ora per le 10 serali.
Quando in preda ancora a un sonno pesante avanzai verso il balcone per accertarmi del dovuto, mi accorsi del diluvio che stava avvenendo fuori dalla mia stanza.
Sembrava di essere Bella a Forks, ero sotto una coltre di nuvole e pioggia e aspettavo il mio Edward che nel frattempo era dall’altro capo del mondo a fare chissà cosa. Fece l’ennesimo calcolo mentale, ormai la matematica ed io in quella vita eravamo grandi amiche, e mi accorsi che l’idea di chiamarlo era assolutamente pessima, da lui erano solo le due della notte, abbandonai il telefono sul letto e decisi di farmi una doccia, una bella sana doccia che mi riportasse alla realtà puramente italiana.
 
 
Per quanto mi riusciva cercai di riappropriarmi almeno in parte di una vita che da un po’ avevo abbandonato.
Riprendere ritmi e abitudini di un tempo non era facile, stavo sconvolgendo la vita un po’ a tutti e pochi vennero a sapere del significato di quell’anello che aveva una vita davanti a sé, anche se iniziavano ad immaginarselo, avevo un sorriso da ebete stampato in faccia ogni volta che parlavo e pensavo a lui e ora spuntava anche un anello al dito. Se la gente che mi conosceva non era del tutto scema e se 2 + 2 non fa 4 erano arrivati tutti a  una minima conclusione, mai confermata.
Era una promessa, uno stile, una vita che mi ritrovavo davanti.
Mia nonna quando lo venne a sapere quasi le prese un colpo.
Ero la sua seconda nipote a sposarsi, per giunta una delle più piccole, una dalle quali si sarebbe aspettato uno degli ultimi matrimoni.
Era felice per me, lo era davvero, e la cosa non faceva altro che emozionarmi.
“Sicuramente dopo che ti sposerai non ritornerai più qui. Almeno non tanto spesso. Ormai sei un americana!”. Sorrisi sforzandomi.
Eccola la mia paura. Quella più grande, mi veniva spiattellata in faccia da mia nonna per giunta e fece traballare di nuovo le mie decisioni a riguardo.
Stavo per cambiare, trasferirmi e lasciare l’aria italiana per sempre?
Avrei davvero abbandonato tutti e tutto ciò che mi apparteneva qui?
La paura mi paralizzava e ritornare qui era stato una prova per i miei dolori futuri forse.
Il tutto iniziava a uscire allo scoperto a poco a poco, gli sgami che Robert si lasciava uscire durante le interviste, i colleghi che iniziavano a dare alito alle dicerie che si facevano in giro sulla coppia Robessa facendo aumentare la frenesia e la fame di gossip.
Mi sembrava di essere nell’occhio del ciclone per la prima vera volta ora che vedevo tutto da lontano.
Rob mi disse che era stato Nick a far scorrere le voci, senza nessuna smentita, senza niente di niente. La cosa mi lasciava davvero senza parole.
Ero tipo: “Rob, mi stai prendendo in giro?” ad ogni sua minima parola, e lui giù a tranquillizzarmi facendomi capire che era tutto dannatamente vero.
La vita anche qui non era facile, alcuni paparazzi avevano scoperto la città in cui stavo, e girovagare per le strade divenne ancora più arduo.
Rendevo la vita difficile anche ai miei, mi ritrovavo costretta in casa, nelle mie stesse mura senza curarmene.
Quanto mi sarebbero mancati questi momenti dopo?
Il tutto andava come doveva andare, la storia iniziava a prendere il suo corso così da attenuare, forse la botta finale che sarebbe arrivata a un anno di distanza.
Un matrimonio che nessuno si sarebbe aspettato!
Sul web, da quanto potevo constatare era l’inferno dei fan, pubblicavano qualunque cosa ci riguardasse, e ora che avevo più tempo per me constatavo come alcune fossero accanite alla cosa. C’erano fazioni su fazioni, chi era felice, chi era triste.
Chi sbandierava grandi castronerie pur di far soldi. Era tutto un grande casino che girava tutt’intorno a noi, e su di noi.
Tutti credevano di sapere, ma nessuno si avvicinava mai alla realtà, oppure c’era chi ci si avvicinava e andava anche oltre.
La mia vita insomma stava per cambiare, da lì a un anno avrei rivissuto questi momenti solo attraverso dei ricordi, i mal di stomaco, le ansie solo vecchie paure che sarebbero svanite.
La mia vita sarebbe cambiata, ma ancora c’era un anno per godersi gli ultimi attimi, perché preoccuparsi sin da ora, mh?

 
 
 
 


 




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