You steal my heart away

di _Marzia_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Presi un respiro profondo ed entrai nella sala riunioni.
Questo sarebbe stato il punto di svolta della mia vita, ne ero certa, e ovviamente non aspettavo altro.
Intorno a un tavolo erano sedute parecchie persone, leggende di numerose aziende discografiche che mai avrei sognato di vedere di persona, tanto che stentavo a credere ai miei stessi occhi.
I loro occhi incuriositi percorrevano senza sosta la mia figura, e questo non faceva altro che aumentare il mio nervosismo.
Meccanicamente raggiunsi la sedia davanti al tavolo e mi sedetti. Il silenzio che dominava in quel luogo era quasi palpabile, poi venne interrotto da Franklin: << Bene Nicole, abbiamo assistito con molto entusiasmo ai tuoi provini, e ne siamo rimasti colpiti. Abbiamo discusso a lungo su come potrebbe evolversi la tua carriera e al valore che rappresenti  in qualità di artista e cantante, e siamo giunti a una decisione ... >> .
Presi a torturarmi le mani e a battere furiosamente il piede per terra, mentre aspettavo il responso dell’uomo che mi aveva concesso questa magnifica opportunità .
<< Benvenuta nella Interscope Records >> disse con un sorriso di congratulazioni.
Non potei fare ameno di sorridere anch’io. Brividi di gioia ed euforia percorrevano la mia schiena: sembrava un bellissimo sogno, e mi meravigliai accorgendomi che era la pura realtà.
<< Grazie, grazie infinite, non so come ringraziarvi … >> risposi con le lacrime agli occhi e stringendo la mano dell’uomo seduto di fronte a me.
<< No, grazie a te, siamo stati fortunati a trovare una persona con così tanto talento >>.
Mi alzai per cercare di stabilire un po’ di ordine nel mio stomaco, che in quel momento era più aggrovigliato di un gomitolo di lana.
Così fecero gli altri, e colsi l’occasione per stringere la mano agli altri presenti nella riunione.
<< Abbiamo in mente molti progetti per te, e siamo sicuri che ne sarai senz’altro entusiasta. Domani ci sarà un’altra riunione sempre alla stessa ora in cui ne potremmo discutere >> disse Sabine, che fino a quel momento era rimasta in silenzio affianco a Franklin.
<< Certamente, sarebbe fantastico >> risposi ancora su di giri.      
<< Perfetto, allora la riunione è sciolta >>.
Uscii dalla sala felice come non mai, incredula che il desiderio di una vita si stesse realizzando.










Note autrice: Salve a tutti :) questa è la prima FF che pubblico,e spero che la troviate almeno un po' interessante.
Essendo questo solo un breve prologo, a breve pubblicherò il primo capitolo.
Mh... sì, non ho altro da dire xD però ci tengo da subito a ringraziare anche chi passa solo per leggere.
A prestissimo.

_Marzia_

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***








<< Nicole! … Nicole! … Una domanda, per favore! >> .
Intorno a me sentivo e vedevo solo una miriade di giornalisti. Tentai di sgusciare via da quella mandria inferocita, ma fallii miseramente.
Perché questa mattina mi ero rifiutata di farmi accompagnare da Carlos? Lui era senza dubbio la guardia del corpo più competente che avesse mai lavorato per me. Poi mi ricordai della sua inarrestabile corte e riconfermai la mia decisone.
<< Hey, hey, fate spazio! Nessuna domanda, sloggiate! >> .
Appena in tempo: Franklin, Simon e Lenny erano i miei salvatori. Mentre loro si sbracciavano per fare spazio entrai negli studi di registrazione, e appena mi voltai la porta era già chiusa e inaccessibile.
<< Smetteranno mai di darti fastidio questi giornalisti? >> mi chiese Simon con ironia.
Lo abbracciai ridendo, << sono felice di rivederti >>.
<< Non si saluta? >> domandò Lenny abbracciandomi a sua volta. Ero talmente felice di rivedere i miei dolcissimi fratelli. Non li vedevo più da parecchio tempo, poiché ero spesso impegnata nei miei soliti ed estenuanti, ma non per questo sgradevoli, impegni lavorativi. Non mi aspettavo di certo un successo così grande dopo il mio primo singolo da esordiente, “Don’t hold your breath”*. Tutto ciò ha sconvolto completamente la mia vita, le mie abitudini, portandomi in un mondo parallelo del tutto sconosciuto. Ne ero entusiasta, ma allo stesso tempo infinitamente terrorizzata, perseguitata dal dubbio che possa prima o poi fare qualche sbaglio. Tuttavia decisi di non arrendermi alle prime difficoltà, così ora eccomi qua, inseguita giorno e notte da una miriade di paparazzi.
<< Sono così contenta che siate venuti! Potreste approfittarne per ascoltare il mio nuovo inedito, io e Frank lo registriamo proprio oggi >>.
<< Sarebbe stupendo! >> disse Simon. Non lo vedevo così raggiante da molto.
Ci dirigemmo insieme verso la sala delle registrazioni, mentre a mente ripassavo le parole della canzone che di lì a poco avrei dovuto cantare. Era una canzone intensa, dolce, ma allo stesso tempo ritmata. La adorai fin dal primo momento in cui la lessi e la sentii cantare da Sabine. Lei era sicuramente la vocalist più brava, oltre che con più esperienza, che avessi mai conosciuto, perciò seguivo spesso i suoi consigli. Il testo non era molto difficile, ci misi poco ad impararla a memoria, eppure non riuscivo a togliermela dalla mente, e mi ritrovavo spesso a cantarla in casa, o per strada (il che non era una cosa positiva, visto che molte volte la gente mi riconosceva). E’ proprio per questo mio carattere che spesso mi metto nei guai: tendo a distrarmi quando canto, mi perdo in un mondo dove ci sono solo io, o meglio, è un mondo dove sono in armonia con me stessa, dove mi sento felice e serena, e i problemi e le angosce scivolano via come pioggia. Inoltre, come se non bastasse, alla mia sbadataggine si aggiunge una particolare propensione nell’attirare più disgrazie possibili nel raggio di qualche chilometro. Tuttavia i miei fratelli mi adorano proprio per questo, e non perdono mai l’occasione per prendermi in giro. Sono entrambe molto scherzosi, divertenti, ma anche gentili e iperprotettivi.
Poco dopo arrivammo nello studio.
<< Siamo pronti per registrare >> disse con entusiasmo Franklin.
Così entrai nella sala registrazioni, lasciando alle mie spalle sia Simon che Lenny.
Appena varcai la soglia della sala mi fermai di botto. Gli occhi sgranati. Uno sconosciuto indossava le mie cuffie e canticchiava davanti al microfono con uno spartito in mano. Probabilmente non mi aveva sentito. Mi girai intorno, confusa, cercando qualcuno che mi desse spiegazioni, fino a quando incontrai dall’altra parte della vetrata gli occhi divertiti di Simon e Lenny.
<< Sorellina, calmati. Non ti mangerà >> disse Simon dall’interfono, e scoppiò in una risata sguaiata.
Sbuffai, seccata.
In quel momento il ragazzo si girò verso di me: era molto bello, giovane, moro e mi guardava come se non fossi la benvenuta, ma allo stesso tempo sembrava sorpreso. Ricambiai lo sguardo e si mise a ridere.
<< Si può sapere cosa sta succedendo?! >> urlai, sperando che almeno Simon diventasse sordo a causa dei microfoni.
<< Calma, Cole. Era una sorpresa, farai un duetto insieme a Enrique >>.
<< Oh, grazie per avermi avvertito >>. Incrociai le braccia, indispettita.
<< Non dirmi che non lo conosci? >> chiese, guardandomi male dall’altra parte del vetro.
All’improvviso mi sentii terribilmente a disagio. Sentivo gli occhi di quel ragazzo su di me, ad ispezionarmi.
<< Ehm, in verità … ecco,io … >>.
<< Uuuh, che figura, sorellina! >> saltò su Lenny, e cominciò a rotolarsi dalle risate, sotto l’espressione sbalordita del brunetto.
<< Cole, ti presento Enrique Iglesias, la star esordiente del pop. Enrique Iglesias, ti presento Nicole Scherzinger >>enunciò Franklin, presentandoci brevemente.
<< Piacere, Nicole. Ho avuto modo di ascoltare qualche tuo brano, oltre al primo singolo, e devo dire che te la cavi bene >>  disse, parlando per la prima volta, con voce calda.
<< Piacere di conoscerti, Enrique >> risposi timidamente, perdendo la mia iniziale esuberanza.
Franklin si schiarì la voce con un colpo di tosse, portando l’attenzione su di lui: << Bene, ora che vi siete presentati, posso dirvi il motivo per cui siete entrambi nella sala registrazioni. Come ho già detto, penso che voi abbiate un grande talento. Così ho pensato di usarlo a nostro vantaggio facendovi cantare in duetto: scommetto che ne uscirà un grande pezzo, e tutti e due avrete una risvolta positiva nella vostra carriera>>, si appoggiò allo schienale della sedia, <>, concluse incrociando le braccia al petto e sfoggiando un sorriso, soddisfatto della sua idea.
Non ci potevo credere. La mia canzone non era più mia. Improvvisamente una furia incontrollata prese a imperversare nel mio stomaco. Odiavo quando Franklin si metteva in testa una delle sue,perché, conoscendolo, sapevo che era irremovibile quando prendeva una decisione. Senza sapere cosa dire, rimasi impalata sul posto, a guardare in cagnesco il mio manager.
<< Come proposta mi sembra buona, ma avresti potuto dirmelo >> si schernì Enrique. In questo momento sembrava nuovamente che non volesse la mia presenza.
<< Ormai quel che è fatto è fatto, ragazzo mio. Tuttavia oggi vi ho convocato qui non per registrare, ma per darvi il nuovo spartito per il duetto >>.
<< No! Non se ne parla! >> esclamai.
Tutti i presenti si zittirono.
Franklin sbuffò:<< E ora qual è il problema? >>.
Mi infuriai ancora di più al sentire quella domanda, e quando aprii bocca, sembrò uscisse fuori un sibilo: << Qual è il problema? Sai benissimo quello che intendo! >>. Uscì di corsa dalla sala registrazioni e mi fermai davanti a Franklin e continuai il discorso: <>.
<< Okay, okay … quando ti sarai calmata fammi un fischio >>.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso: << Bene, se non mi vuoi ascoltare, tanto vale che alzi i tacchi e me ne vada >> e così feci. Tornai indietro e presi il cappotto, poi mi rivolsi al Brunetto: << E’ stato un piacere, Enrique >>.
<< Hey, calmati. Ascolta: anche io avevo altri progetti, ma mi fido di Frank, e credo che anche tu dovresti farlo >>.
<< Non si tratta di questo >> replicai, << so che è il miglior manager che potessi trovare, ma ha i suoi difetti, e non li sopporto. Comunque ci hai provato >> detto questo uscii, lasciando nella stanza i presenti, compresi Simon e Lenny, che per tutto il tempo erano rimasti in silenzio, stupefatti dalla mia inaspettata reazione.
Forse avevo esagerato, soprattutto nei confronti del brunetto, ma non m’importava. Se Frank non avesse cambiato metodo, lo avrei sostituito, seppur a malincuore. In quel momento avevo dimenticato tutto quello che aveva fatto per me, riuscivo solo a vedere la sua superficialità nei confronti dei miei desideri.
Camminavo velocemente lungo i corridoi, fino a quando sentii  dei passi che mi seguivano. Decisi di non voltarmi, per il momento. Desideravo solo stare da sola e aspettare che mi calmassi.
<< Fuori ci sono ancora i paparazzi >> era Lenny.
<< Chiamerò Carlos >>.
<< Scommetto che non ne saresti granché entusiasta >> disse sghignazzando.
<< Non mi interessa >>.
<< Nicole >>. Mi posò una mano sulla spalla e fui costretta a fermarmi << stai esagerando, e a parer mio Enrique non ha apprezzato molto la tua scenata >>.
Abbassai il capo. << Lo so, non avrei dovuto coinvolgerlo >>.
<< Appunto. Per favore, torniamo indietro e parliamone >>.
Sospirai e scossi la testa : << Ne riparleremo, ma non oggi. E … chiedi scusa da parte mia sia al Brunetto che a Frank >>.
Sogghignò per il nomignolo che avevo affibbiato a Enrique.
<< Capisco, io vado. Stai attenta a Carlos >>.
Risi :<< Ci proverò >>.
Ci salutammo e io proseguii per il corridoio. Intanto presi il cellulare e composi il numero della mia guardia del corpo. Rispose appena dopo uno squillo.
<< Hey, bellezza! >>.
<< Tanto per ricordartelo, il mio nome è Nicole >>.
<< Cosa posso fare per te? >> chiese con tono malizioso. Alzai gli occhi al cielo.
<< Vieni a salvarmi dai paparazzi, mio eroe >> risposi sarcastica.
<< Resisti, principessa >>. E riattaccò.
Incredibilmente, arrivò solo dopo qualche minuto.
Appena mi vide mi corse incontro, e mi prese totalmente alla sprovvista con un abbraccio.
<< Calma i bollenti spiriti, sono di cattivo umore >>.
<< Ma, bellezza mia, come faccio a non starti vicino con questo vestito così leggero … >>.
<< Non farmi pentire di averti chiamato, accompagnami a casa >>.
Riuscimmo a evitare facilmente i paparazzi e con la moto di Carlos ci mettemmo poco ad arrivare alla villa con piscina, che da poco era diventata casa mia.
Scesi dalla moto e tolsi il casco. Poi mi rivolsi a Carlos: << Grazie per avermi salvato >>.
Rise, divertito : << Per me è un piacere, puoi sempre darmi fastidio >>.
<< Non ci contare troppo, non mi piace dare fastidio alla gente, al contrario tuo >>.
<< Wow, come siamo offensive oggi, cosa è successo? >>.
<< Una litigata con Frank, dovrò fare un duetto e come al solito non mi ha detto niente >>.
<< Un duetto? >> chiese, aggrottando le sopracciglia << con chi? >>.
<< Un certo Enrique Iglesias, non ne ho neanche sentito parlare. In verità, però, mi sento un po’ in colpa per averlo trascinato in questa discussione … >> smisi di parlare. Il volto di Carlos era diventato teso e cupo, minaccioso.
<< C’è qualcosa che non va? >> il mio tono interrogativo.
<< No, tutto bene >>  rispose secco, abbassando il capo sul casco che teneva fra le mani.
<< … Sicuro? >> insistetti, non del tutto convinta.
Per risposta annuì leggermente, senza ancora alzare la testa.
<< Ok, allora … io vado, grazie ancora >>. Feci per allontanarmi, ma mi afferrò per un polso e non mi permise di allontanarmi.
<< Non mi ringrazi? >> sul volto si era di nuovo acceso un sorriso aperto e ammiccante.
Non potei fare altro che ridere.
Mi avvicinai e gli baciai la guancia, senza però avvicinarmi troppo, ma lui ne approfittò. Con un movimento gentile mi attirò a lui, conducendomi direttamente tra le sue braccia. Iniziò lentamente ad accarezzarmi la schiena, dall’alto verso il basso, in un moto continuo. Mi ritrovai con il suo volto all’altezza del collo, il suo respiro caldo mi solleticava la pelle. Ricambiai l’abbraccio, convinta che un secondo dopo mi sarei allontanata, ma lui colse quel gesto come un buon segno, così cominciò a lasciarmi leggeri baci sulla guancia. Mi staccai qualche momento dopo, e lui me lo lasciò fare senza proteste.
Era stato stranamente piacevole.
<< Adesso sei ancora di cattivo umore? >> mi chiese con un sorriso beffardo dipinto sulle labbra carnose.
<< Non molto, ma non dipende da te >> dissi scherzando, e scompigliandogli i capelli neri.
Lo salutai con un sorriso, al quale lui rispose con un altro ancora più aperto e luminoso, ed entrai nel cancello che separava il viale dal giardino di casa mia. Appena entrai chiusi la porta a chiave, feci una doccia lunga e rilassante per sciogliere i nervi, e mi sedetti sul divano. Non sapendo cosa fare, iniziai a vagare con la mente. Ripensai alla discussione con Franklin, e guardandomi intorno, posai lo sguardo proprio sugli spartiti che Lenny aveva messo ( evidentemente di nascosto) nella borsa. Gli diedi un’occhiata veloce. Il titolo era cambiato, adesso la canzone si intitolava “Heartbeat”, e anche alcune parole erano diverse. Un'altra cosa che mi fece irritare. Decisa a lasciar perdere fino al giorno dopo, andai a dormire.








*Se siete interessati :) http://youtu.be/z4nKOzk8qbw
                                http://losslessmusicfans.com/wp-content/uploads/2011/03/wpid-Nicole_Scherzinger_2011_Don_t_Hold_Your_Breath_Single_Lossless_.jpg














 
Note autrice: Come promesso, ho pubblicato presto il primo capitolo :D come prima cosa vorrei ringraziare Yume Kourine e Sh_NT per aver recensito il prologo, e rkoFT96 per aver aggiunto la storia tra le seguite :) naturalmente ringrazio anche solo chi passa per leggere u.u Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo, anche se pensate che non vi piaccia, ci tengo a conoscere le vostre opinioni. Ditemi anche se volete che nel prossimo capitolo vi sveli i volti degli altri personaggi: preferisco chiedervelo prima, perché dal canto mio ogni tanto preferisco immaginarmi da sola i volti, non so se capita pure a voi xD Al prossimo aggiornamento :) _Marzia_

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***











Quando mi alzai, la mattina dopo, mi sentii più riposata. Ero riuscita a dormire tranquillamente, nonostante quel pensiero fisso che mi balzava in mente senza sosta. Decisi di prendermi una giornata di riposo, in modo da poter trovare le parole giuste per scusarmi con Frank, una volta che lo avrei incontrato. Scelsi di approfittarne anche per studiare meglio il nuovo brano, così non mi sarei fatta cogliere impreparata.

Tuttavia rimandai quegli impegni a più tardi: in quel momento desideravo solo uscire a godermi il sole intenso di quella bellissima giornata di primavera. Così mi vestii velocemente, presi la borsa e uscii di casa con la bicicletta: una lunga pedalata mi avrebbe sicuramente aiutato a rendere più limpidi i miei pensieri. Una volta fuori montai sulla bici e iniziai a dirigermi verso Washington Square Park, con la musica dell’ I Pod nelle orecchie.

Per essere venerdì mattina, non c’era molta gente. Mi guardai intorno: notavo i bambini che giocavano, cani che abbaiavano e prendevano frisbee al volo, donne e uomini che facevano jogging , quando a un certo punto posai lo sguardo su una donna. Quel che più mi meravigliava non era la donna in sé, o la sua bellezza che già di per sé era notevole, ma chi le stava accanto.

Erano sdraiati sul telo, all’ombra di un albero, uno accanto all’altro, intenti ad imboccarsi con delle ciliegie. Per la sorpresa, non mi accorsi nemmeno di essermi fermata e di avere la bocca spalancata come una completa impedita. Per un momento pensai che non mi avesse vista, ma proprio in quell’istante girò la testa, e mi ritrovai a fissare degli ipnotici occhi color nocciola. Non mi ero resa conto di quanto fossero belli, intenta com’ero a prendermela col mio manager. Resta il fatto che si girò anche la ragazza in sua compagnia. Gli occhi erano identici, ma lo sguardo era completamente differente:  erano pieni di disappunto e privi di qualsiasi traccia di gentilezza. Rimasi turbata da quegli occhi, così belli, eppure così terribilmente intimidatori.

Abbassai immediatamente lo sguardo e continuai a pedalare, allontanandomi da Enrique e da quella donna. Per i minuti che seguirono quello strano incontro, non feci altro che pensare a chi potesse essere quella ragazza. Sapevo perfettamente che non dovevo incoraggiare la mia insana curiosità, e che se non mi fossi fatta gli affari miei, presto mi sarei cacciata nei guai. Tuttavia dovevo saperlo, anche se non mi spiegavo il motivo di questo mio improvviso interessamento verso il Brunetto e Occhidiserpe. A un certo punto, stufa di girare intorno al parco senza una meta precisa, mi fermai ad una panchina. Iniziai a intonare un brano per distrarmi, e un bambino era seduto accanto a me.

«Per favore, canta ancora» chiese dolcemente, quando smisi di canticchiare.

Probabilmente non era il momento adatto, ma lo accontentai, quindi ricominciai a cantare sottovoce, mentre il bambino mi ascoltava estasiato.

Dopo qualche minuto si avvicinò qualche adulto e altri bambini, che si attorniarono intorno a me, a formare un semicerchio. Inoltre, in lontananza, molte persone si erano voltate verso di me. Intuii che la situazione sarebbe diventata insostenibile, di lì a poco. Così sorrisi sia al mio piccolo - grande pubblico, saltai in sella e mi diressi verso casa, intenzionata a svignarmela, prima che i paparazzi potessero attorniarmi, ma era già troppo tardi: ero già inseguita da un paio di giornalisti urlanti, per di più armati di macchinette fotografiche con flash accecanti. Mi sembrava di essere perseguitata, non poteva essere concepita una cosa del genere! Decisi di non perdere il controllo, in fondo non ero molto lontana da casa. In un primo momento pensai di chiamare Carlos, ma ci ripensai quasi subito: mi sembrava stupido dover chiedere aiuto per qualsiasi cosa. Così cercai di distrarmi con la musica dell’I Pod, anche se in realtà venivo continuamente distratta dalle innumerevoli luci di quegli affari infernali.

Ad un certo punto mi si affiancò una moto, nera e tirata a lucido, con sopra un tizio con un casco, e a causa dell’opacità del vetro non riuscì a vedere il suo volto. Iniziai a infastidirmi, ma prima che potessi formulare qualche parola per cercare di dissuaderlo a seguirmi, riconobbi la sua voce:

«Nicole! Salta su!» per lo stupore frenai di botto e persi quasi l’equilibrio.

«Che stai facendo?»

«Ti porto via! Muoviti!»

Ancora ammutolita scesi dalla bici, facendola cadere. Dopodiché salì sulla moto, aggrappandomi al busto di Enrique. Neanche un secondo e la moto sgommò via, ruggendo come una bestia inferocita, e per la paura mi aggrappai ancora più forte al Brunetto. Sentendo la presa che aumentava si girò per un momento, ma poi continuò a concentrarsi nella guida. Durante il viaggio mi resi conto che probabilmente sapeva dove abitavo, così mi avvicinai al suo orecchio per farmi sentire: «Come fai a sapere dove abito?»

«Chi ti dice che ci stiamo dirigendo lì?» rispose con ironia.

«Cosa vorresti dire?» chiesi stupita.

«Hai fame?».



***
 
 

Seduta comodamente sulla sedia imbottita del ristorante “La belle dame” , gustavo la seconda portata a base di pesce. Fino a quel momento io e il Brunetto avevamo parlato del più e del meno, senza arrischiarci troppo in certi argomenti.

«Che ne dici se oggi andiamo nello studio di registrazione?» chiese con cautela.

Questa domanda riportò dentro di me sia dispiacere, che rabbia, ma questa volta decisi di essere più gentile con Enrique, visto che dopotutto era arrivato in mio soccorso.

«Vedremo … » risposi vacua.

«Scommetto che alla fine ti divertirai, Frank mi ha detto che ti senti molto a tuo agio davanti a un microfono» insistette.

Alla fine dissi diretta: «Lo so che vuoi che chieda scusa a Frank, ho sbagliato a comportarmi in modo così infantile. Più tardi andrò da lui».

Mi guardò in modo comprensivo.

«Non penso che tu abbia del tutto sbagliato, né che tu sia stata infantile. So che a volte Franklin è cocciuto e arrogante e per questo ti do ragione, ma so anche che è il miglior manager che potessi trovare, perciò mi fido delle sue intuizioni. Pensaci: ti ha mai dato motivo di non fidarti di lui?».

Lo ascoltai rapita e conclusi che aveva ragione. Abbassai la testa e annuii.

All’improvviso mi soggiunse un piccolo particolare che avevo dimenticato e la curiosità tornò ad imperversare nella mia mente.

«C’è qualcosa che non va?» mi chiese.

«Ehm … certo che no, perché?».

«Sembravi molto assorta nei tuoi pensieri».

Non risposi. Alla fine, però, la curiosità ebbe la meglio, ma tentai di arrivarci non direttamente.

«Oggi mi è sembrato di vederti al parco».

«Già, anch’io ti ho vista. In fondo perché non godersi una bella giornata all’aperto?».

«Eri …  da solo?» chiesi con titubanza. Perché nutrivo tanta curiosità nei suoi confronti?

«No, ero con mia sorella» rispose disinvolto.

«Con tua sorella?!»

Sbarrò gli occhi davanti alla mia inopportuna quanto improvvisa esuberanza.

«Certo … chi credevi che fosse?» un attimo dopo sembrò capire, ma non disse nulla.

«No … l’ho vista di sfuggita, ma da quel che ho notato, non vi somigliate molto» dissi cercando di divincolarmi da quel groviglio.

«E’ vero, lei somiglia di più a mia madre, mentre io ho il volto di mio padre», poi aggrottò le sopracciglia, cercando di capire qualcosa che sfuggiva alla sua vista.

Subito dopo ritornò in sé: «Forse è meglio che ti accompagni … ».

«Va bene … a proposito, ti ringrazio per quello che hai fatto ».

«Figurati … non c’è problema » disse smagliando un sorriso.

Un sorriso fin troppo affascinante, giudicai.

«Vado a pagare il conto, aspettami qui»

«Okay … ».

Nel frattempo mi diressi verso l’uscita. Sbirciai fuori sperando di non notare nessun fotografo, ma mi imbattei in qualcosa di più interessante: a una decina di metri da me, appoggiata un albero, Occhi di Serpe mi stava praticamente pugnalando con gli occhi. Invece di sentirmi intimidita, questa volta ricambiai lo sguardo.

Posso sapere qual è il tuo problema?

«Hey, chi stai guardando?»

«Tua sorella» risposi semplicemente.

«Come scusa … ?»

Gli feci un cenno con la testa verso la direzione in cui si trovava e appena lui la vide, cambiò espressione: sembrava irritato.

«Vieni …» disse. Cominciai a camminare accanto a lui, ricambiando sempre lo sguardo della ragazza, che però adesso era rivolto al Brunetto.

«Sorellina, che ci fai qui?»

« “Sorellina”? Che fai, mi prendi in giro?»

«Io no di certo! Si può sapere che ti prende?» esclamò Enrique, sorpreso.

«Da quanto tempo mi tradisci?».

Silenzio.

Enrique era a bocca aperta, poi all’improvviso scoppiò a ridere, dovette reggersi sulle ginocchia per non perdere l’equilibrio.

«Rachel, non so cosa tu abbia in mente, ma ne riparleremo dopo, devo riaccompagnare Cole a casa» disse cercando di trattenersi.

«Ma certo! Dalle pure un nomignolo, e già che ci sei, perché non resti con lei stanotte?»

E’ stato divertente fino a questo punto, ma ora basta …

«Senti, chiunque tu sia, non ti voglio rubare il ragazzo. Mi ha solo fatto un favore, non c’è bisogno che ti arrabbi tanto»

«Lascia perdere, scusala, non capisco perché si comporti in questo modo, andiamo … ».

Occhi di Serpe, a sentire quel commento, incrociò le braccia al petto e iniziò a guardarci in cagnesco.

«Se vuoi posso tornare a casa a piedi, così puoi parlare con la tua ragazza»

«Non se ne parla neanche … ! E poi non è la mia ragazza, è veramente mia sorella ».

Certo, pensai con sarcasmo.
Saltammo in sella e con lo sguardo di quella ragazza che mi perforava la schiena, partimmo.



***

 

«Grazie per avermi riaccompagnata» dissi ad Enrique.

«E’ stato un piacere … » rispose sfoggiando un altro dei suoi sorrisi luminosi. Questa volta ne rimasi decisamente incantata.

«Ehm … ho deciso di andare in sala registrazione oggi pomeriggio, così potrò chiarire con Frank e potremo fare la prova generale per quanto riguarda la canzone ».

«Mi sembra un ottima idea, ti passo a prendere verso le 16.00» disse mettendosi il casco.

«Sei stato fin troppo gentile, forse non è il caso che … » non mi lasciò finire.

«Non dire sciocchezze, e poi non vorrei che qualche paparazzo malintenzionato ti rapisca» disse sghignazzando sotto i baffi.

«Tranquillo, so benissimo badare a me stessa » chiarii stizzita.

«Come no, avrei voluto vedere cosa sarebbe successo se non fossi arrivato … »

«Me la sarei cavata egregiamente!» dissi incrociando le braccia al petto e mettendo il broncio.

Scoppiò a ridere, e dopo qualche secondo iniziai a ridere anch’io.

Che situazione: la persona che pensavo fosse solo un ladro di canzoni in realtà si era rivelato gentile e divertente. In quel momento cominciai davvero a rivalutare le carte in tavola e pensai che dopotutto non sarebbe stato così male stare di più con lui.












Note autrice: Salve! :) eccoci qui con il secondo capitolo. Non ho commenti particolari da fare a riguardo, però sono ansiosa di leggere le vostre opinioni u.u Ringrazio di cuore Sh_NT, xtomx95, Yume Kourine e Aine Walsh per aver recensito, aggiunto la storia tra le seguite e le preferite ;)
Al prossimo aggiornamento <3

_Marzia_
 
P.S. Ricordate quando vi ho chiesto se volevate sapere i volti degli altri personaggi?

Il volto che ho scelto per Carlos è David Gandy (bruttino, eh? xD) Avrei voluto mettere un'immagine, ma quando metto il link non apre il file O.o boh... comunque basta che cercate su Google immagini ;)
Lei invece è Rachelhttp://ic.pics.livejournal.com/pryf/39738266/4530617/original.jpg


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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***










Quando io e il Brunetto arrivammo alla casa discografica avevo già in mente tutto il pezzo che di lì a poco avrei dovuto cantare. Avevo anche pensato alle parole che avrei dovuto dire a Franklin per scusarmi della scenata di ieri. Il problema è che sembrava essersi volatilizzato: di solito mi accoglieva all’entrata con un “Ciao, Cole” e una carezza sulla spalla, ma in quel momento non c’era quasi nessuno anche nella sala principale.

«Che strano … » disse sottovoce Enrique, quasi stesse parlando a sé stesso.

«Già, di solito a quest’ora è pieno di gente, comunque è meglio se saliamo».

Ci dirigemmo insieme verso l’ascensore, e quando le porte si chiusero, calò un silenzio piuttosto pesante. Mi sentivo osservata, infatti vidi con la coda dell’occhio che Enrique mi stava rimirando dalla testa ai piedi.

«Perché mi guardi?».

Rispose dopo un minuto buono : «Sei molto bella … ».

Girai la testa e trovai uno sguardo così intenso da far venire un colpo al cuore. Cercando di non far trasparire troppo le mie emozioni, posai i miei occhi sui suoi. Mentre osservavo quel dolce color nocciola, mi sembrava che il petto si stesse lentamente scaldando. Passarono secondi , oppure minuti, non ne avevo idea, e persi l’uno nell’altra, mi accorsi per miracolo del momento in cui lentamente sollevò una mano e la posò con dolcezza sulla mia guancia. Tiepida, la consistenza morbida, chiusi leggermente gli occhi per goderne meglio il tocco. Ero completamente svuotata, sembrava che in quel momento non avessi peso, non riuscivo né a respirare né a muovermi. Poi con una calma disarmante avvicinò il suo volto al mio. Un piccolo meandro della mia mente mi stava urlando di allontanarmi subito, ma più lui diminuiva la distanza che ci separava, più quel suono si disperdeva.

Proprio in quell’istante si aprirono le porte dell’ascensore.

«SORPRESA!»

Tutti i miei colleghi di lavoro, Frank, Sabine, Lenny e Simon si erano riuniti in sala registrazione per farmi una sorpresa. Vedevo intorno a loro alcuni tavoli con dei buffet e tutti indossavano quei buffi cappelli di carta che di solito si usano alle feste di compleanno. Mi venne da ridere.

Poi il mio pensiero ritornò ad Enrique, e notai che eravamo ancora troppo vicini l’uno all’altro. Mi scostai repentinamente, sperando che nessuno avesse inteso quello era successo.

Mi gettai tra le braccia dei miei fratelloni, per ricambiare il loro entusiasmo.

Ma cosa diamine mi era successo?

Io non do baci ai ragazzi conosciuti da un giorno e mai ne ho dati. Neanche mi piace, pensai.

«Ma come vi è venuto in mente?» chiesi loro.

Cavolo. L’ho quasi baciato. Perché?

«Semplicemente volevamo brindare al tuo futuro, sorellina! E dopotutto ti meriti un po’ di riposo … ».

Mentre i battiti del cuore deceleravano, cercai di apparire il più disinvolta possibile.

«Grazie, vi adoro!» dissi abbracciandoli con amore.

Poi mi rivolsi a tutti: «Ragazzi, grazie mille per aver organizzato questo incontro. Ogni giorno lavorare con voi mi da gioie e soddisfazioni. Detto questo … ingozziamoci di sandwich!».

La folla che mi stava ascoltando rise di gusto, e poi si disperse per la stanza: ognuno iniziò a chiacchierare e divertirsi. Lenny e Simon non persero tempo, infatti corsero subito verso il buffet. Ho sempre pensato che fossero dei pozzi senza fondo, e ogni volta che l’occasione lo permetteva, questa mia teoria veniva confermata.

Mi guardai attorno: scorsi Enrique – di cui mi ero momentaneamente dimenticata - che parlava con un mio collega, e poi finalmente vidi Frank. Iniziai a farmi strada per raggiungerlo, e quando gli fui vicino gli dissi: «Frank, possiamo parlare?».

«Cole, so già cosa vuoi dirmi … tranquilla, per me è già tutto dimenticato» disse accarezzandomi la spalla.

«No, Frank. Voglio davvero scusarmi per come mi sono comportata, non ne avevo il diritto. Sono stata una stupida: io vi ho trattato da schifo, però siete stati così gentili da organizzarmi una festa. Mi sento talmente in imbarazzo … ».

«Nicole, nessuno ti sta giudicando. Noi ti vogliamo bene esattamente per come sei, e se dobbiamo dire tutta la verità, anch’io dovrei chiederti scusa: prometto che d’ora in poi cercherò di essere un miglior manager».

«Già lo sei … » e dicendo questo lo abbracciai con sincero affetto.

Ricambiò l’abbraccio e sul volto comparve un sorriso.

«Oggi non si lavora, riposati. Ci vediamo domani» dicendo così mi salutò.

«A domani» risposi, guardandolo allontanarsi. Nonostante avessi scambiato solo poche parole con Frank, quelle erano bastate a far volatilizzare il peso che mi gravava sullo stomaco.

Appena cercai di muovermi verso il piccolo bancone delle bibite, una mano mi si posò sulla spalla facendomi fermare.

«Sorellina!» esclamò Simon appena mi voltai.

«Hey ... » sorrisi. «E’ stata una tua idea, vero?»

«A cosa ti riferisci?» domandò con aria leggermente confusa.

«Sai a cosa mi riferisco» replicai, alzando un sopracciglio.

«Se parli di questa festicciola, ci ha pensato il tuo amichetto … » ribatté lui con un ghigno divertito.

Spalancai gli occhi, basita.

«Stai scherzando?» balbettai dopo qualche secondo.

«Affatto, perché dovrei?»

«Perché sei mio fratello e adori prendermi in giro» dissi con risolutezza, incrociando le braccia al petto.

Lui sbuffò.

«Dico sul serio!»

«Certo» risposi con sarcasmo. «E come faresti ad esserne così sicuro? Te l’ha detto lui?» chiesi.

«Certo che no. Me l’ha detto Lenny. Ieri ha sentito il Brunetto – come lo chiami tu – e Frank che ne parlavano insieme, sottovoce» spiegò lui.

«Siete incredibili» risposi ancora più sorpresa.

«Parli proprio tu, come se lui non ti piacesse» riprese, squadrandomi con il fare di chi la sa lunga.

«A cosa ti riferisci?»

«Sai a cosa mi riferisco»

Sospirai. «Lo conosco da un giorno» dissi semplicemente.

«E quindi?»

«E quindi non mi piace!» sbottai.

«Non fare la bugiarda. Prima stavate quasi per saltarvi addosso … »

Allora si era visto?

«Simon!» esclamai.

«Cole … » rispose con tono calmo.

Ero ancora a bocca aperta quando parlò di nuovo.

«Dai, scherzavo, ce ne siamo accorti solo io, Lenny, Carlos e Sabine … ».

«Carlos? Non l’ho visto … » dissi, mentre cercavo di alzarmi sulle punte dei piedi per riuscire a scorgerlo.

«Ci credo, appena ha visto Enrique se l’è filata» commentò alzando le spalle.

«Come sarebbe a dire che “se l’è filata?”» domandai, meravigliata di ciò che aveva appena detto.

«Non guardarmi in quel modo, io non so niente … » chiarì lui, alzando le mani.

Abbassai il viso, aggrottando le sopracciglia.

Perché Carlos era andato via appena aveva visto Enrique? Cercai di ragionarci su per qualche secondo, e ad un tratto capii. Mi ricordai del giorno prima, quando il mio bodyguard mi aveva riaccompagnata a casa. Mentre stavamo parlando gli accennai del fatto che dovessi cantare con il Brunetto, e senza dubbio, mi tornò alla mente quando si rabbuiò appena sentì il suo nome. Ora che ci penso, era come se si fosse rituffato in un lontano e doloroso ricordo. Non aveva voluto darmi spiegazioni, così decisi di lasciar perdere. Facendo rapidi collegamenti, iniziai a sospettare che Carlos conoscesse Enrique, e che forse non erano in così buoni rapporti.

Ma ci ripensai quasi subito.

Possibile che fosse successo qualcosa tra di loro, in precedenza?

No, certo che no. Come al solito stavo viaggiando troppo con la mente e avevo cominciato a immischiarmi in affari non miei. Ma anche se la situazione fosse stata veramente come l’avevo immaginata, non avrei di certo potuto mettermi in mezzo.

Lo squillo del cellulare mi ridestò dai miei pensieri.

Velocemente mi sfilai la borsa dalla spalla per rispondere in tempo alla chiamata. Quando vidi il nome sullo schermo, spalancai un po’ gli occhi, sorpresa che proprio il soggetto delle mie riflessioni mi stesse cercando. Premetti il tasto verde e appostai il cellulare all’orecchio.

«Hey! So che sei passato alla Interscope» dissi con pacatezza.

«Già, avrei voluto salutarti, ma sono dovuto scappare per un impegno … » rispose cercando di scusarsi.

«Nessun problema, davvero » lo rassicurai.

Attese un secondo, poi riprese: «Ti andrebbe se tra poco ti passassi a prendere? Avrei bisogno di parlarti» il suo tono era diventato improvvisamente più serio, tanto che ne rimasi abbastanza interdetta. Non era da lui.

«Ehm … certo» dissi semplicemente.

«Ci vediamo sotto tra una mezz’ora. A dopo, dolcezza» concluse, riprendendo la sua solita voce sardonica.

«A dopo, Carlos». Chiusi la telefonata alzando gli occhi al cielo. Forse mi stavo facendo veramente troppi problemi e non c’era nulla che non andasse.

«Non dirmi che ti vedi con lui … Lo sai com’è fatto, non perde occasione per starti vicino» disse Simon con un moto d’irritazione.

«E’ un bodyguard, non un maniaco, Simon» lo rimproverai.

«Non mi piace» sbottò seccato.

«Non deve piacere a te» risposi con fare ovvio.

Sbuffò ancora più pesantemente, per poi ricominciare: «Non mi va che ti dia fastidio, tutto qui».

Capendo ciò che gli frullava per l’ennesima volta nella testa, gli avvolsi il braccio e gli posai la testa sulla spalla.

«Non fare il geloso, ne abbiamo discusso un sacco di volte. Lui non mi piace, dico sul serio» gli parlai tranquillamente.

«Non sono geloso!» ribatté lui.

Per tutta risposta mi misi a ridere. All’inizio lui non ne fu molto compiaciuto, ma dopo gli spuntò un sorrisetto sulle labbra. Ogni volta era la stessa storia: quando finivamo per parlare di Carlos, emergeva la parte protettiva di Simon. Era adorabile, anche tenero quando si comportava così, ma a lungo andare era anche diventato paranoico. Lenny era molto peggio, ma non lo dava mai a vedere in mia presenza, quindi ringraziai mentalmente il fatto che non avesse assistito alla chiamata. Un istante dopo però rinunciai a quel briciolo di speranza, intuendo che Simon gli avrebbe riferito tutto più tardi.

Passai i successivi venti minuti chiacchierando con dei colleghi, tra cui Sabine. Mi comunicò che la settimana prossima ci sarebbe stata la prova generale per il duetto insieme ad Enrique, mentre tra all’incirca un mese, essendo la data precisa ancora da determinare, ci sarebbe stata la registrazione ufficiale del brano, quindi avrei avuto tutto il tempo e la calma per prepararmi alla perfezione. Ne fui molto sollevata, poiché detestavo fare le cose di fretta.

Dando una veloce occhiata all’orologio allacciato al polso, mi accorsi che era quasi passata mezz’ora da quando Carlos mi aveva chiamata, quindi salutai la vocalist, feci un cenno con la mano a Simon, che in quel momento stava divorando una fetta – più precisamente metà  – di una torta al limone, e mi infilai nell’ascensore che conduceva al piano principale.

Chiusa in quella stretta cabina, non potei fare a meno di ripensare a Enrique e al nostro “quasi bacio”. Non ero sicura che gli interessassi, d’altronde anche lui mi conosceva da poco più di un giorno, eppure mi aveva fatto un complimento, e il modo in cui mi guardava era davvero … strano, intenso sì, ma anche con qualcos’altro. Non lo so. Ad un tratto mi resi conto di essere abbastanza confusa al riguardo.

Assorta nelle mie elucubrazioni, saltai quando si aprirono le porte dell’ascensore. Misi un piede dietro l’altro, non veramente attenta a dove stessi camminando, tanto che per poco non andai a sbattere contro una persona. All’ultimo momento cercai di scostarmi, ma scontrai comunque la sua spalla con la sua.

Non feci neanche in tempo a sussurrare un “mi scusi”, dato che alzai lo sguardo e per poco non mi cadde la mascella. Anche lei ricambiò la mia espressione, ma venne subito sostituita da una maschera di disdegno.

Sbattei le palpebre, e dovetti aspettare un attimo prima di poter riassumere una facciata tranquilla.

«… Ciao» la salutai con il tono più piatto possibile.

Lei rispose senza preamboli, né un saluto: «Dov’è Enrique?».

«Credo si trovi al primo piano, stava parlando con dei colleghi l’ultima volta che l’ho visto» gli spiegai, questa volta con un tono un po’ più seccato a causa del suo comportamento. Avrei davvero voluto sapere cosa aveva quella donna contro di me.

Lei si accorse del mio cambiamento di voce e, se possibile, i suoi lineamenti divennero ancora più rigidi.

«Sarà meglio che lo chiami per farlo scendere. E’ in ritardo per l’appuntamento … » disse contrariata, mentre prendeva il cellulare dalla tasca dei pantaloni.

Oh. Allora Occhidiserpe era veramente la sua ragazza?

Probabilmente il mio volto riacquistò un po’ di stupore, forse misto a un pizzico di dispiacere, al sentire quell’affermazione, ma tentai di non far trasparire nessuna emozione. Pensai di tagliare corto.

«Mi ha fatto piacere rivederti» mentii fingendo un tono gentile «ora però devo andare. Ci vediamo …» Occhidiserpe, Occhidiserpe, Occhidiserpe « … Rachel».

«A presto, Nicole» rispose con il volto contratto in un espressione altezzosa.

Senza attendere altro la superai e mi incamminai oltre la soglia dell’uscita, turbata, ma allo stesso tempo ancora più confusa da quello che avevo appreso.













Note autrice: Salve! ;) Quindi ... ecco il terzo capitolo. Fatemi sapere cosa ne pensate :) Ringrazio come al solito le persone che recensiscono e seguono i chapters. Mi date la giusta energia per continuare questa storia u.u

_Marzia_

Franklin: http://www.gophoto.it/view.php?i=http://www.everyeye.it/public/immagini/09082010/jeffgoldblum.jpg
Sabine: http://www.gophoto.it/view.php?i=http://4.bp.blogspot.com/_B1LlYh6iKqs/THRzf-J24yI/AAAAAAAACmw/mzXP0GdCwsI/s1600/jodie-foster.jpg

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***












Uscii con passo spedito dalla Interscope e mi accolse una folata di vento freddo. Non mi ero portata dietro una giacca, perché fino a poco prima il cielo era limpido e assolato. Mi sarei data volentieri uno schiaffo in piena faccia per quella dimenticanza, dato che non sopportavo per niente le temperature al di sotto dei dieci gradi. Presi un profondo respiro, sperando di controllare la mia crescente irritazione e mi diressi verso quella che sembrava la moto di Carlos. Mentre camminavo i bordi del vestito mi svolazzavano intorno in maniera convulsa a causa del tessuto morbido e leggero. Provai a stringermi il più possibile nel golfino, ma fu inutile. Nel frattempo i capelli si aggrovigliavano e si alzavano senza sosta. Pensai che darmi un pugno sullo stomaco sarebbe stato meglio, oppure avrei dovuto semplicemente mandare un pesante insulto al cielo per aver improvvisamente cambiato il tempo.

Mi fermai davanti al bodyguard, il quale indossava solo una giacca di pelle nera aperta sul davanti oltre a dei jeans e ad una canottiera bianca, e mi chiesi il motivo per il quale non stesse gelando.

«Stai tremando» affermò lui.

«Oh. Non è niente … » dissi, cercando di sminuire la cosa, ma un brivido più evidente mi tradì.

«Non dovevi parlarmi di qualcosa?» chiesi, curiosa.

Prima di rispondere, distolse lo sguardo, passandosi nervosamente la mano dietro la nuca.

«Meglio che entriamo in un bar, non voglio che ti raffreddi … » disse lui, portandomi una mano dietro la schiena per guidarmi verso un piccolo locale proprio lì vicino.

Ben lieta di assecondare la sua richiesta, entrammo, e mi sentii subito meglio, avvolta dal tepore dell’ambiente. Ci sedemmo uno di fronte all’altro, intorno a un tavolino quadrato, dalla parte resa più luminosa dai vetri che percorrevano un’intera parete. Poco lontano, al di dietro del bancone, il barista mi salutò con un cenno del capo e un sorriso amichevole. Ci vedevamo spesso a causa della vicinanza del locale alla casa discografica, ma nonostante questo non ne approfittò mai per invadere la mia privacy, quindi non avevo mai veramente parlato con lui. Mi sembrava si chiamasse Mike, ed era senza alcun dubbio una persona molto discreta e cortese. Ricambiai il saluto, sapendo che solo quando lo avrei chiamato, si sarebbe avvicinato per prendere l’ordinazione, e quando riportai la mia attenzione a Carlos non potei fare a meno di sbattere le palpebre. Mi guardava come se sotto quegli occhi covasse qualche pensiero inconfessabile e fosse indeciso sul rivelarmelo. Di nuovo tornarono a farsi strada nella mia testa i dubbi che avevo avuto durante il pomeriggio. Era possibile che fosse successo qualcosa di importante? Non si è mai comportato così, ripetei a me stessa, tanto per farmi assalire ancora di più dalla preoccupazione.

Mostrai un sorriso rassicurante, nel tentativo di farlo rilassare. Lui rispose debolmente, e neanche un secondo dopo aveva iniziato a guardare le sue dita torturarsi tra di loro.

Poco dopo non riuscii più a trattenermi.

«Carlos, cos’è successo?».

Lui alzò lo sguardo, sorpreso. Non si aspettava che glielo chiedessi in modo così diretto, così riprese a grattarsi le mani ancora più furiosamente.

Inconsapevolmente allungai una mano e la appoggiai sulle sue. A quel contatto si irrigidì, ma poi si calmò immediatamente, elargendomi finalmente un sorriso quasi del tutto sincero. Sapevo che mi sarei pentita di quel gesto in futuro, tuttavia non potevo, non volevo, che Carlos si sentisse triste, qualunque ne fosse la causa.

Mentre stringeva con delicatezza la mia mano, cominciò a parlare.

«Non è facile da dire, Cole. D’altronde non lo è mai … » rise piano.

Non avrei voluto interromperlo, ma imposi a me stessa di farlo, per acquietare almeno in parte la tensione che mi attanagliava lo stomaco.

«E’ successo qualcosa di brutto?» parlai velocemente.

«No, no … » mi tranquillizzò subito lui. Sospirai impercettibilmente.

Si fece più vicino a me, avanzando sulla sedia e piantando i suoi occhi nei miei, colto da un momento di determinazione.

«Non ho più motivi per nascondertelo, Nicole. Per me sei molto più che importante … Tutto questo mi spaventa a morte, credimi, ma mi terrorizza ancora di più il solo pensiero di non poterti stare accanto» il suo tono si fece più basso, sofferto.

«So che sono stato un po’ troppo sicuro di me stesso nei tuoi confronti, ma la verità è che … beh, io non sapevo neanche cosa facevo esattamente. So solo che mi confondevi, e lo fai tutt’ora, nel modo più bello che esista» concluse con la voce incrinata, in netto contrasto con il suo sguardo deciso.

Dire che ero sbigottita era ben poco rispetto a quello che si agitava dentro di me. Rimasi lì, con il volto e il corpo pietrificato. La sorpresa fu talmente grande che impiegai una manciata di secondi per riprendermi, e quando lo feci, sentii che la mia mano era rimasta appoggiata sopra la stretta delle sue dita. D’un tratto quel contatto sembrò bruciare, così ritirai il braccio, ma lui non me lo permise, poiché mi bloccò per il polso. Fui costretta a guardarlo, e quello che ci vidi mi commosse così tanto che mi si svuotò i polmoni. Notai insicurezza, o meglio paura, e forse un pizzico di rimorso, così intensi da paralizzarmi ancora una volta sul posto. Capii che quello che avevo davanti era un altro Carlos, un uomo che non avevo mai avuto l’opportunità di conoscere. Davanti a quella scoperta, mi sentii spaventata anch’io. Non ero per niente pronta a quello. Ingenuamente, mi ero convinta che non avrebbe mai desistito nel suo corteggiamento, o che non avrebbe mai perso occasione per provocarmi, e che quindi non si sarebbe mai dichiarato, anche se sapevo, da qualche parte nel profondo, che prima o poi avrei dovuto affrontare questa situazione. Solamente, non pensavo che sarebbe arrivata così presto, imprevista, per giunta.

Il silenzio cominciava a farsi pesante, però non riuscivo davvero a pronunciare un suono.

«Dì qualcosa» mormorò lui.

Ingoiai a vuoto.

«Carlos … io … » mi bloccai. Non avevo la minima idea di cosa dirgli. Ferirlo era l’ultima delle mie intenzioni, ma dovevo fargli capire che non provavo le stesse cose. Avrei mentito a me stessa e a lui dicendogli che non gli volevo bene, ma era un tipo di affetto che avrei potuto provare verso un amico. Non avrei saputo dire se si potesse trattasse di una certezza, ma in quel momento sapevo con sicurezza che non sentivo le sue stesse emozioni.

Presi coraggio, e mi sforzai di continuare.

«Io … non voglio mentirti. Non ti ho mai considerato veramente una persona arrogante, sapevo che non lo sei mai stato. Mi sono affezionata a te e se ti dico che ti voglio bene, è la verità».

Inspirai e tentai di calmarmi per rendere la voce meno irregolare: «Non voglio neanche ferirti, ma … devo dirti che non credo potrà mai esserci niente che vada oltre l’amicizia, per noi».

A quelle parole abbassò lentamente la testa e lasciò andare la presa sul mio polso, come se anche lui avesse potuto sentire il bruciore in quel tocco. Decisi tuttavia di non ritirarlo, con il timore di poter causare qualche reazione negativa, anche se avevo l’impressione di averla già innescata.

Rimanemmo in silenzio per un po’, lui chiuso in se stesso, io con l’ansia sulla bocca dello stomaco.

Poi alzò gli occhi. Era ferito, deluso, ma con mia sorpresa – l’ennesima – anche arrabbiato.

«Sapevo che lo avrebbe fatto anche questa volta … » sussurrò più a se stesso che a me.

Quella strana affermazione mi colpii, facendomi aggrottare le sopracciglia, confusa.

 «Cosa? … Di che parli?» chiesi.

Sul suo volto si dipinse un’espressione dura, ancora più furiosa. La dolcezza, mista a insicurezza con cui mi aveva parlato prima, erano sparite dalla sua voce.

Poi tutto divenne più veloce.

Scattò in piedi, producendo uno stridio fastidioso con la sedia.

«Non gli basta mai» ruggì.

Era impazzito? Mi parve un’ipotesi plausibile.

Dapprima sconvolta, non seppi reagire, ma subito dopo cominciai ad irritarmi. Come poteva passare da un capo all’altro? E perché diceva cose senza senso?

Afferrò il casco che aveva appoggiato per terra e fece per andarsene, ma in qualche modo, sporgendomi, riuscii a bloccarlo per il braccio.

«Carlos, non ho la minima idea di cosa tu stia parlando!»

Si scrollò facilmente dalla mia presa e cominciò a camminare verso l’uscita, accompagnato dagli occhi incuriositi della gente intorno. Ripresi la borsa che avevo lasciato sullo schienale della sedia, la misi a tracolla e velocizzai il passo per raggiungere Carlos, il quale era già fuori dal bar. Appena uscii il vento freddo mi investì di nuovo, ma cercavo di non dargli importanza.

«Sei diventato matto, o cosa?» domandai, accostandomi a lui.

Grugnì qualcosa di incomprensibile e si sistemò il casco. Non mi ero resa conto di essere davanti alla sua moto. Ci salì con un movimento agile e la mise in moto, ma prima di andarsene si voltò.

Gli rivolsi l’espressione più rabbiosa che potei, perché mi sentivo esattamente così. Come poteva dirmi che teneva a me e un secondo dopo correre via infuriato senza neanche dare una spiegazione?

«Spero solo che ne valga la pena» disse infine, prima di voltarsi e andarsene.


***

 
Qualche ora dopo mi trovavo accoccolata sul divano, intenta a sorseggiare una cioccolata calda. Non avrei mai immaginato di potermi sentire più frastornata di così, ma a quanto pare avevo torto. Mi misi più comoda e presi una lunga sorsata, prima di immergermi nuovamente nei ricordi. Ripercorsi gli avvenimenti di quello stesso pomeriggio: l’incontro con Enrique al Washington Square Park e il seguente pranzo in sua compagnia, la festa organizzata per me alla Interscope, il piccolo scambio di battute con Rachel e l’uscita con Carlos. Quando mi ritrovai da sola, sul ciglio del marciapiede, decisi di chiamare un taxi per tornare a casa. Non mi sarei di certo fatta accompagnare da Lenny o Simon, perché avrebbero voluto sicuramente qualche spiegazione, e non ero dell’umore adatto per parlare. Così avevo passato il tempo cercando di rilassarmi e mettere un po’ di ordine nella mia mente. Tentativo vano.

Non avevo voglia di mettermi subito a dormire, così accesi il computer portatile e girovagai su un po’ di pagine. Quando aprii la finestra di Youtube, un titolo in evidenza catturò la mia attenzione: si trattava di una canzone di Enrique, intitolata “I like it”*. Solamente per il titolo mi venne da alzare un sopracciglio, scettica, ma spinta dalla curiosità, cliccai sul video e aspettai il caricamento. Quando partì la musica, e con essa anche le immagini, alzai anche l’altro sopracciglio. Cantava con Pitbull, un rapper che a mio parere aveva avuto successo solo per miracolo. Non mi piaceva, ed ho sempre avuto la convinzione che le sue “canzoni”, se così si potevano definire, abbiano avuto successo perché sono state accompagnate da voci di un livello decisamente superiore. Dopo quelle brevi riflessioni, mi concentrai sul video e quello che vidi mi deluse. Mentre Enrique ballava circondato praticamente da centinaia di ragazze seminude, la sua voce appariva distorta dai mixer. Non era un’interpretazione reale, sincera. Era solo qualcosa privo di senso, creato per vendere e non trasmettere qualcosa, anche se tutto sommato la melodia era orecchiabile. Avevo vissuto un’esperienza simile, ma vi posi fine immediatamente. Ho sempre cantato per me stessa, perché è una passione, un bisogno, non per guadagnare denaro ed abbassarmi ai voleri degli altri. Certo, attraverso la fama avevo raggiunto anche la ricchezza, ma non era mai stato un obiettivo da raggiungere, non per me.

Chiusi la pagina neanche a metà video. Quindi era questo il tipo di musica che produceva Enrique? A quel pensiero mi demoralizzai. Avevo immaginato che fosse un altro tipo di cantante, però, riflettendoci, non tutti erano disposti a raggiungere la notorietà percorrendo la strada più difficile senza prendere una scorciatoia, almeno una volta. Alla fine mi concessi il beneficio del dubbio: non lo conoscevo ancora, quindi non potevo sapere cosa realmente volesse dalla sua carriera musicale e perché avesse fatto determinate scelte.

Più tardi, vinta dalla stanchezza, decisi di riposarmi. Avvolta tra le coperte, però, feci fatica a prendere sonno. Non riuscivo a togliermi dalla testa la discussione con Carlos. Non facevo altro che chiedermi cosa gli potesse passare per la testa e perché si fosse comportato in quel modo. Avrei dovuto cercare di parlargli per chiarirci meglio, oppure aspettare che sia lui a farsi sentire e concedergli un po’ di spazio? Arrivai a considerare l’idea di assumere un altro bodyguard, ma mi sembrò la cosa peggiore da fare. Forse le cose si sarebbero sistemate da sole, riflettei.

Girandomi e rigirandomi sul materasso, sembrava che la superficie si fosse riempita di spine.

Proprio quando avevo iniziato a rilassarmi, percepii la vibrazione del cellulare, appoggiato sopra il comodino alla mia destra. Con un sonoro sbuffo feci leva sui gomiti per alzarmi e mi allungai per raggiungere il telefono.

«Pronto?»

Non avevo neanche controllato lo schermo per vedere chi fosse.

«Cole, mi dispiace chiamarti così tardi. Ti ho svegliata?». Era Frank.

«Non stavo dormendo, tranquillo. E’ successo qualcosa?» chiesi, ancora un po’ scombussolata per via della sonnolenza.

«No, però vorrei proporti una cosa. Non potevo aspettare fino a domani»

Risi di gusto.

«Cosa ho detto?»

«Tu, Franklin Carter, mi proponiqualcosa … Sai sorprendermi, te lo concedo» risposi con enfasi.

«E tu sei sempre cosi spiritosa» ribatté lui, facendomi ridere. «Ti ho fatto una promessa, ricordi? Non ti avrei più costretto a fare nulla … »

«Già … beh, hai iniziato alla grande» dissi felicemente.

« … Mi fa piacere, Cole»

Certi momenti con Frank mi facevano sorridere.

«Comunque, tornando a noi, si tratta di una location che sono riuscito ad ottenere … Qualche settimana fa abbiamo registrato “Try with me” e pensavo che questo posto fosse perfetto per girare il video musicale»

«Dove si trova?» chiesi, improvvisamente curiosa e attenta.

«Messico, Xilitla … è un pezzo di paradiso, davvero»

«Ti credo … e mi fido di te, quindi dai pure la conferma»

«Non vuoi prenderti del tempo per pensarci?»

Ok, era diventato decisamente inquietante.

«Non esagerare con la promessa, vai tranquillo … ci sto. Ma ti ringrazio per avermelo chiesto»

«Va bene, però c’è un ultima cosa»

«Sarebbe?»

«Oh, niente si tratta solo del periodo di permanenza. Visto che avremo la registrazione ufficiale del duetto con Enrique tra più di un mese, pensavo di adoperare quell’arco di tempo»

«Mi sembra una buona idea, ma dopo i tempi non saranno troppo stretti?»

«No, a quanto pare le riprese non dovrebbero durare molto»

A quel punto non potei fare a meno di sbadigliare.

«Scusa, probabilmente sei esausta … » iniziò lui.

«Non c’è problema, Frank»

«Allora ‘notte, Cole. Ci sarai domani alla Interscope? Dovresti mettere qualche firma su dei fogli»

«Certo, buonanotte Frank».

Non appena chiusi la chiamata sprofondai nelle lenzuola. Incredibilmente, mi addormentai quasi subito.







* http://youtu.be/X9_n8jakvWU









Note autrice: Ciao a tutti! Ringrazio infinitamente le persone che come sempre recensiscono, mettono la storia tra le seguite e preferite ;)
Per quanto riguarda questo capitolo, lo ammetto, è un po' strano e sicuramente non ci state capendo niente, però ogni cosa si chiarirà a suo tempo :) Devo ammettere che è stato un po' complicato scrivere la specie di confessione/dichiarazione di Carlos nei confronti di Nicole, anche perché volevo che non fosse scontata e banale come le altre, oltre al fatto che ci sono mille cose non dette e spiegate. Spero che ne sia uscita una cosa decente xD

Gli ultimi due personaggi... almeno per ora :P
Lenny: http://www.malecelebnews.com/wp-content/images/2012/04/Happy-37th-birthday-Adam-Rodriguez-01-391x800.jpg
Simon: http://24.media.tumblr.com/tumblr_lallx7Lj9K1qbw9wgo1_500.jpg

_Marzia_


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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***












Quella mattina presi la Corvette per andare alla Interscope, giusto per passare inosservata. Parcheggiai a un paio di isolati di distanza, così non avrei dovuto girare continuamente per trovare un posto libero e, stranamente, non trovai paparazzi. Mentre misi piede all’interno dell’enorme casa discografica, guardai l’orologio al polso. Le lancette segnavano le dieci.

Premetti il pulsante dell’ascensore e aspettai pazientemente. Quando le porte si aprirono, entrai tranquillamente, ma prima che potessero richiudersi, una mano le bloccò. Un istante dopo sbucò la testa di Enrique.

«Oh, Buongiorno Nicole» mi salutò, e si infilò pure lui nella cabina.

No, di nuovo no.

«Ehm … Ciao, Enrique» gli risposi.

In un attimo eravamo chiusi nell’ascensore, a poca distanza l’uno dall’altra, come la volta precedente. Non potei fare a meno di provare imbarazzo, e qualcosa mi fece capire che anche per lui era lo stesso. Azzardai un’occhiata di sfuggita, ma quando mi accorsi che lui mi stava osservando senza troppi complimenti, tornai a guardarmi le scarpe, che d’un tratto avevano assunto un’aria molto interessante.

«Credi che dovremmo parlarne?» chiese lui.

Era incredibile, perché doveva essere così diretto nei momenti meno opportuni?

Scelsi di non fare la finta tonta.

«Non lo so» dissi, e non lo sapevo veramente.

«Comunque, ecco … Non è successo niente, quindi … mh, credo che sia tutto a posto» ripresi.

Sei un’oratrice nata, Nicole, pensai sarcastica tra me e me.

«Davvero?» sembrava sorpreso.

«Certo»

«Oh» esclamò, per poi grattarsi il collo.

«Sembra che tu abbia qualche dubbio» affermai.

«No, però …» lasciò cadere lui.

« “Però” cosa?».

Le porte dell’ascensore si aprirono, dandogli a malapena il tempo di sussurrare un : «Niente», visto che si precipitò fuori, dirigendosi verso una sala prove.

Avrei dato di matto, ne ero certa. Perché tutti erano così criptici? Non avevo ancora fatto chiarezza per quanto riguardava Carlos, e ora ci si metteva pure Enrique per quanto riguarda le situazioni in sospeso. Mi imposi di non pensarci più del dovuto per il resto della mattinata, d’altronde avevo impegni lavorativi da sbrigare.

 
***


Quando qualche ora dopo uscii dalla Interscope per ritornare a casa, aveva cominciato a piovere.

Qualcuno deve avercela a morte con me, riflettei con l’umore ridotto in frantumi.

Presi ad armeggiare con la borsa, nella vana speranza di avere con me un ombrello, o un ki -way, qualunque cosa.

Inutile. Avevo una giacca primaverile, purtroppo non impermeabile. Al pensiero che avrei dovuto camminare sotto quella cascata di acqua, rabbrividii, così decisi di aspettare. Credevo che dopo poco tempo l’acquazzone si sarebbe trasformato in una lieve pioggerellina, ma mi sbagliavo. Dopo venti minuti ero ancora appoggiata al muro esterno dell’edificio, e sembrava che stesse addirittura per grandinare.

«Come diavolo è possibile?» sbottai a voce bassa.

Continuai a borbottare per i seguenti minuti, convinta che potesse essere utile a qualcosa. Poi alzai lo sguardo e qualcosa, o meglio qualcuno, attirò la mia attenzione.

Dall’altro lato della strada, Enrique e Rachel erano l’uno vicino all’altra, stretti sotto il riparo di un ombrello. Vidi che Occhidiserpe agitava con vigore le braccia, mentre Enrique cercava di darsi un contegno. Sembrava che stessero avendo un’animata conversazione. Non riuscii a capire niente di quello che stavano dicendo, poiché lo scroscio dell’acqua attutiva ogni rumore, quindi aguzzai la vista, tentando, scioccamente, di catturare qualche parola osservando le labbra dei due interessati.

Passò più o meno un minuto, e proprio quando la mia curiosità aveva iniziato a scemare, i miei occhi finirono proprio su quelli gelidi di Rachel. Mi chiesi se davvero potesse pietrificare una persona solo osservandola.

Si girò nuovamente verso di lui, per poi dirgli qualcosa di breve e conciso. In quel momento una macchina si accostò accanto a loro, permettendo alla ragazza di salire, per poi lasciare Enrique con il capo chino e l’ombrello in mano. Sembrava che qualcosa lo tormentasse.

Sembra che chiunque abbia qualche problema, ultimamente, pensai scocciata.

Senza neanche guardare avanti, si avviò verso la direzione da dove era andata la macchina.

Considerai seriamente l’ipotesi che fossi veramente sfortunata, quando iniziò a grandinare e qualche tuono squarciò il cielo. Tuttavia non potevo rimanere in eterno sotto la tettoia della Interscope. Mi feci un enorme coraggio, mi strinsi il più possibile nella giacca e cominciai a camminare sotto quello che sembrava un diluvio universale.

Diventai zuppa quasi subito, ma cercai di non abbattermi fin dall’inizio. Tra dieci minuti avrei raggiunto la macchina. Ero a metà strada, quando una Porsche mi si affiancò al lato destro. Indecisa, rallentai l’andatura, ma quando calò il finestrino, mi bloccai di botto.

«Si può sapere cosa ci fai sotto questo temporale senza neanche un ombrello?» chiese Enrique ad alta voce, per farsi sentire oltre il rumore della pioggia.

Avrei voluto riprendere a camminare, sia per il fatto che mi sentivo un gatto mezzo annegato, sia perché iniziavo a sentire veramente freddo, ma mi concessi qualche momento per rispondergli.

«Ho parcheggiato più in là e non avevo un ombrello a portata di mano» spiegai con un’alzata di spalle.

Cercò di mantenere un’espressione normale, ma una smorfia tradì il suo divertimento.

«Non è divertente» affermai con tutta la serietà possibile.

«Perdonami, hai ragione» si scusò lui.

Dopo qualche secondo di silenzio decisi che era il momento di andarmene.

« E’ meglio che vada … »

Lui mi guardò con aria stranita. «Pensi che ti lascerei continuare a camminare sotto la pioggia? Sali, ti do un passaggio».

Dopo quell’invito il mio cuore perse quasi un battito. M’immaginai per un attimo io e lui seduti sui due sedili anteriori, al caldo tepore dell’abitacolo e con i nostri corpi a distanza ravvicinata … No.

«Uhm … ti ringrazio, ma non è necessario. E poi dovrei lasciare la Corvette qui» replicai poco convinta, visto che un rivolo d’acqua ghiacciata era appena scivolato all’interno della camicia.

«Per favore Nicole, tremi come una foglia. Non farti pregare inutilmente» disse, mentre apriva la portiera dalla parte del passeggero.

Arrossii leggermente, colta chissà come dall’imbarazzo. Forse perché aveva ragione, visto che si era accorto delle mie condizioni, o semplicemente perché si dimostrava così gentile.

Mi mossi il più velocemente possibile, aggirando il veicolo, per poi salire sul sedile e chiudere la portiera.

Mi sentii subito meglio, ma non mi misi comoda, anzi, cercai di sistemarmi in modo da bagnare il meno possibile i rivestimenti.

Notando la mia premura, mi rassicurò subito: «Non ti preoccupare, non si rovina con l’acqua».

Sospirai e mi misi comoda.

«Grazie, comunque» ripresi.

«Oh, non dirlo neanche» e mi scoccò uno dei suoi sorrisi abbaglianti. Probabilmente arrossii di nuovo.

Questa non ero io. Io non arrossisco, e questo è un dato di fatto, pensai.

Sfiorò il cambio per impostare la marcia e la macchina riprese a muoversi con un basso e rassicurante rombo.

«Quindi … Tra poco più di una settimana andrai a Xilitla?» domandò per intavolare un discorso.

Mi voltai verso di lui, sorpresa.

«Chi te l’ha detto?»

Si irrigidì un attimo e sbarrò gli occhi, ma poi rispose: «… Franklin».

Cercai di non fare caso al suo comportamento.

«Oh … Beh, sì. Giriamo “Try with me”»

«E’ una canzone stupenda» commentò lui.

«Grazie» sorrisi.

«Ci sarò pure io»

Questa volta mi voltai e non cercai di abbassare le sopracciglia, che forse erano diventate un tutt’uno con i capelli. Se era uno scherzo, non lo trovavo affatto spiritoso. Boccheggiai ancora un po’, cercando di riprendere il controllo, ringraziando che nel frattempo Enrique stesse guardando di fronte a lui.

«Mi vuoi spiegare?»

Finalmente una domanda sensata.

«L’ho appena saputo, è stata una sorpresa pure per me» affermò, lanciandomi un’occhiata.

Non sapevo come rispondere. Poco dopo continuò lui.

«A quanto pare Frank ha bisogno di me per qualche progetto futuro o per delle collaborazioni con la Interscope, è stato molto vago. Mi ha chiesto di venire in quel periodo perché tu saresti stata impegnata con le riprese, quindi lui avrebbe avuto più tempo libero per dedicarsi a queste sue nuove idee».

Lentamente realizzai quanto fosse concreta quella nuova situazione. Enrique sarebbe stato presente nella location in Messico. Iniziai a pregare che non diventasse un ospite fisso durante la realizzazione del video. A quel punto mi si annodò la gola, tanto che non riuscì più a spiccicare parola.

«… Inoltre» continuò lui «mi farà bene una piccola vacanza».

Ruotò di nuovo la testa, incontrando il mio sguardo. Non potei fare a meno di sorridere, ma vista l’angoscia che ormai mi opprimeva il petto, credo che ne uscì fuori una linea retta. Lui invece si limitò ad illuminare l’abitacolo con la luce che emanava il suo sorriso, come al solito.

Rimanemmo in silenzio per il resto del viaggio e stranamente, la sensazione di imbarazzo che si era venuta a creare le volte scorse si era volatilizzata, lasciando dietro di sé solo un senso di tranquillità. Guardando fuori dal finestrino, lasciai la mente libera di vagare per mille direzioni. Sentivo che una parte di me era nervosa all’idea che avrei visto Enrique durante il tempo che avrei trascorso a Xilitla, ma un’altra era eccitata e non vedeva l’ora che quel momento arrivasse. Il motivo era sotto i miei occhi, lo vedevo, ma non lo capivo. No, non riuscivo a capirlo, perché era assurdo che trovassi i suoi occhi i più caldi e intensi che avessi mai visto,  era folle pensare che il suo sorriso mi facesse venire quella sensazione calda allo stomaco che naturalmente contagiava anche le mie labbra, e poi era delirante il fatto di essermi pentita di non averlo baciato l’altro giorno nell’ascensore. Avrei voluto sbattere la testa contro un muro, perché veramente non riuscivo a spiegarmi il motivo per cui mi sentivo in quel modo. Non riuscivo più a capire me stessa, e questo iniziava a spaventarmi. La parte combattiva dentro di me stava urlando di non lasciarmi coinvolgere e di non pensare a lui in quei termini, perché da un lato era un mio collega di lavoro, ma non riuscivo a convincermene.

La piccola frenata dell’auto mi ridestò dalle mie riflessioni e mi resi conto di trovarmi di fronte a casa. Quando i tergicristalli si fermarono, l’acqua continuò a calare abbondante sul parabrezza e i finestrini, così da sembrare avvolti in una bolla.

«Grazie per avermi accompagnata» dissi.

«E’ stato un piacere … Oh, aspetta, non hai un ombrello» constatò lui.

«Sono già zuppa, non servirebbe a niente» ribattei ridendo.

«Già che ci sono vorrei evitare che ti ammalassi, quindi lasciati accompagnare fino alla porta» insistette.

«Va bene» lo assecondai.

Prese un ombrello ed uscì sotto il temporale, facendo il giro per aprirmi la portiera. Quando mi accostai vicino a lui per non bagnarmi, anche se già lo ero, mi avvolse le spalle con un braccio per stringermi, come se fosse una cosa naturale, ed effettivamente non aveva fatto nulla di male, tuttavia non potei impedirmi di un brivido lungo la spina dorsale. Lui se ne accorse, ma invece di distanziarmi, mi strinse ancora di più al petto, attribuendo il tremore al freddo. Frettolosamente raggiungemmo la porta dell’entrata, dove l’ampio portico fungeva da perfetto rifugio.

«Grazie ancora, mi hai salvato dall’ibernazione» scherzai, sfregando le braccia con le mani, alla ricerca di un po’ di calore, il quale era venuto a mancare dopo che Enrique si era allontanato.

«Smettila di ringraziarmi, non avrei mai potuto lasciarti lì» rispose beffardo.

«Quindi … ci vediamo?»

«Ehm … si, okay». Ecco l’imbarazzo che tornava a galla.

Prima che potessi compiere un piccolo passo indietro, però, alzò la mano per aggiustare un ciuffo bagnato che si era posizionato sulla guancia. Inutile dire come all’istante sentii i battiti del cuore aumentare. Non so come, giunsi immediatamente alla conclusione che se non avessi fatto niente per impedirlo, tra poco ci saremmo scambiati un bacio. La cosa di per sé non mi sarebbe dispiaciuta, se in verità avessi saputo se lo volevo o meno. Risolsi che lo avrei scoperto di lì a poco, così attesi.

Per pochi interminabili momenti, lasciò la mano vicina alla guancia, ma quando incatenò i suoi occhi ai miei, mi si bloccò il respiro. Colmò con lentezza la distanza che ci separava, facendo aderire i nostri corpi. Riuscivo quasi a distinguere i battiti del suo cuore che si scontravano contro il mio torace, o forse erano i miei, visto che erano tanto forti da rimbombarmi nella orecchie. Fece scivolare la mano libera sul fianco e poi con leggerezza andò a posarsi sulla parte più bassa della schiena. Facendo poi una leggera pressione, mi avvicinò ancora di più. Non sapevo se stavo respirando correttamente, poiché sentivo le gambe molli e le braccia pesanti, tuttavia mi costrinsi ad appoggiarle sulle sue spalle. Lui aveva ancora la mano sulla mia guancia e il calore emanato dalla sua pelle era piacevole come stendersi su un prato in una bella giornata di sole estivo. Poi finalmente la portò dietro al collo, ma quando finalmente mi ritrovai a un centimetro dal suo naso, inclinò la testa per posare le sue labbra sull’angolo più esterno della bocca. Quel semplice contatto bastò a scatenarmi una tempesta dentro e mi resi conto che volevo veramente baciarlo, lì e in quel momento. Non riuscivo a preoccuparmi per cosa sarebbe successo dopo, non quando lui iniziò a baciarmi la guancia, scendendo poi sulla mandibola e proseguendo sul collo, lasciando una scia irresistibilmente calda. In un attimo di lucidità mi domandai perché non mi avesse baciata subito, ma poi quel pensiero fu accantonato in un angolino remoto della mente, insieme a tutta la mia razionalità.

Mentre stringevo con le dita la maglietta ormai sgualcita, riposizionò il volto di fronte al mio. Stava per posare le sue labbra sulle mie, ma il contatto fu appena percepibile, perché si ritrasse. Mentre sbatteva confusamente le palpebre, sciolse l’abbraccio e abbassò la testa, quasi si sentisse colpevole per qualcosa.

«Scusami …» mormorò, prima di tornare sotto la pioggia per dirigersi verso l’auto.

Io rimasi lì, sconvolta, mentre lo seguivo allontanarsi con lo sguardo. Solo quando non potei scorgere più la targa dell’auto mi concessi di entrare in casa, per poi abbandonarmi pesantemente sulla porta, in preda alla desolazione.














Note autrice: Ormai avrete capito che adoro scrivere cose senza senso e confondervi fino a farvi impazzire u.u Mi sbaglio?
Comunque, passando al capitolo, Nicole sta iniziando a provare qualcosa per Enrique, ma le cose non quadrano come dovrebbero. Forse tra poco inizierà a capirci qualcosa, ma nel frettempo si dispera xD
Fatemi sapere le vostre opinioni ;) Alla prossima!

_Marzia_

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