Fiuto da Detective

di Il Cavaliere Nero
(/viewuser.php?uid=25348)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il Vecchio Soffia e Graffia ***
Capitolo 3: *** Liceale Detective ***
Capitolo 4: *** Il Coraggio del Liceale Detective ***
Capitolo 5: *** Shinichi Kudo Apre L'Indagine! ***
Capitolo 6: *** Fiducia ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo


La Fanfic contiene spoiler; chi  segue soltanto l’edizione italiana del manga, se deciderà di leggere, troverà  sorprese citate tra le righe. Pertanto, suggerisco ai non-spoilerati di evitare la fanfic: certe rivelazioni è meglio gustarle pian piano che tra le pagine di una storia. Non dubito che quanto citato inoltre, arriverà in Italia presto: non siamo troppo lontani dalle edizioni giapponesi.
 
Con uno speciale augurio di buona lettura a tutti coloro che mi hanno sostenuta con tanto affetto in un Silenzio Controproducente. E’ stata per me un’esperienza meravigliosa e non smetterò mai di ringraziarvi.
 
 “Perché diavolo mi chiedi di lui, ora?” la sua voce allo stesso tempo sospettosa e minacciosa risuonò in quel corridoio arancione come fosse il ruggito d’un leone che sovrasta i versi delle altre fiere, al tramonto, per designarsi capobranco.
“Perché ritengo sia necessario conoscere tutti coloro che sono intervenuti in questa faccenda, anche in passato, e in maniera poco eclatante. I piccoli dettagli sono i più importanti.” Spiegò tranquillo, il tono di voce calmo: il  potente ringhio del felino pronto all’attacco sembrava non averlo intimorito affatto.
Estrasse un pacchetto dalla tasca posteriore dei jeans e lo rivolse a lui, offrendogli implicitamente una sigaretta.
Quello sorrise di scherno, afferrandone una e ponendola tra le labbra.
“Un attore che si cimenta in un inchino di fine atto sotto il palcoscenico, un pittore consapevole che tutti riconoscono il suo quadro sebbene non abbiano mai visto la sua mano impugnare il pennello .” Disse a mezza bocca, mentre l’altro accendeva la sigaretta per lui.
 “Questa è l’unica cosa che ricordo d’aver pensato, quella sera.”
Quando la sigaretta iniziò a buttare fumo la sputò a terra, intera e ancora accesa.
“Non osare più trattenermi per simili sciocchezze.” gli alitò sul volto, una minaccia sussurrata capace di terrorizzare, solitamente, più d’un grido di battaglia; ma l’uomo che aveva davanti non era una preda troppo docile.
Prima ancora di udire la risposta gli rivolse le spalle, in direzione della porta.
Non sopportava quel tipo! I suoi modi di fare, le sue tecniche, le sue ricerche: che andasse tutto alla malora!
Lo superò senza neppure rivolgergli uno sguardo, con passo tracotante: quando però fece per varcare la soglia, la sua voce lo raggiunse, placida ma forte:
“Quale impegno ti costringe a tanta fretta? Da quando io stesso mi sono occupato di quella faccenda, credevo avessi più tempo libero.” Lo schernì, colpendolo nel vivo del suo orgoglio da feroce lupo sanguinario. Quindi, schiacciò con la punta del piede nudo la sigaretta contro il legno del pavimento in linoleum.
L’uomo ringhiò, sbattendosi la porta alle spalle.
Che andasse alla malora!
 
§§§
 
“Davvero, Conan-kun? Ma il professor Agasa ne è convinto?” la voce di Ran risuonò tra le pareti del piccolo appartamento sopra l’agenzia investigativa Mouri.
La ragazza stava sparecchiando la tavola, mentre il padre era sdraiato sul suo futon sorseggiando comodamente una birra: quello stesso pomeriggio aveva risolto brillantemente l’ennesimo caso, guadagnandosi così i complimenti degli astanti, Tooru Amuro compreso. Sfortunatamente non richiamava alla memoria lucidamente i dettagli di quell’omicidio a porte chiuse, poiché i ricordi del suo Sleeping Show apparivano un poco confusi; certo non se ne preoccupava affatto, visto che questa strana sensazione onirica accompagnava, da mesi oramai, ogni sua indagine.
Ignorava che  Conan avesse utilizzato con rammarico un altro ago soporifero.
Il vero detective della scena del crimine sedeva al suo fianco, inginocchiato sul suo cuscino blu scuro con fantasie infantili ricamate dalle amorevoli mani di Ran, e aveva appena ricevuto una telefonata dal suo ex vicino di casa: Agasa lo informava d’aver vinto un concorso indetto su internet che metteva in palio un soggiorno per quattro persone nell’isola di Oki , famosa per le grandi qualità ristorative e rigeneranti delle sue terme.
“Per quale ragione non se ne serve lui, Conan-kun?” gli domandò la karateka, poggiando i tre piatti sporchi nel lavandino.
“In quei giorni ha promesso la sua consulenza ad un amico per una sua a invenzione che non funziona tanto bene!” le spiegò, commentando nella sua testa:
-Si tratterà sicuramente di vecchio ciarpame, come al solito!-
“Sei sicuro che non ci sia sotto nulla di losco, moccioso?” rincarò la dose Kogoro, tornando in posizione semi-eretta “L’ultima volta che c’ha promesso un soggiorno gratis c’era una clausola, te lo ricordi?*”
“No no, stavolta è tutto a posto! Soltanto il viaggio di andata e ritorno sono esclusi dalla tariffa.”
L’uomo in risposta mugugnò: “Bah, se non sbaglio quell’isola è collegata alla terraferma da un solo battello…e che passa una sola volta al giorno, per di più!” bofonchiò bevendo un sorso di birra.
“Se qualche criminale che ho incastrato venisse a sapere che mi trovo lì, potrebbe raggiungermi e attaccarmi senza alcuna difficoltà! Mi sarei messo in trappola da solo!”
“Suvvia, papà! L’acqua di quelle terme è famosissima! Dicono faccia miracoli alla pelle!” Minimizzò la bella castana mentre sciacquava i piatti in ceramica.
“Perché sei così ansiosa di avere il corpo tonico, Ran?” la fulminò con uno sguardo, poggiando la lattina sul tavolino in legno di fronte a lui. “Non mi dirai che qualcuno…qualcuno…” l’idea che pian piano si faceva largo nella sua mente gli impediva di proseguire senza che le guance avvampassero d’un rosso fuoco e le mani, strette a pugno, tremassero convulse per l’ira “…quel ragazzino!” riuscì a sputare d’un solo fiato, a denti stretti “…vuoi farti vedere nuda da quello??”
Notò immediatamente sua figlia assumere il colore di un pomodoro maturo, ma non si accorse che la medesima reazione aveva colto anche il piccolo rompiscatole alla sua destra: gli occhi ridotti a puntini, non osava neppure immaginarsi in quella condizione.
“Ma cosa vai blaterando, papà?” replicò, alla fine.
“Quel tipo che gioca a fare il detective si riempie la bocca di parole, ma quando si passa ai fatti…” lo criticò ad alta voce, non esitando ad esprimere ancora una volta l’antipatia nutrita nei confronti del collega.
-Ah, tu invece sì che ti dedichi all’azione senza riempirti la bocca di parole!- ridacchiò tra sé e sé Conan, il viso ancora rosso, figurandosi nella testa Kogoro durante una delle sue abitudinarie interviste tutt’altro che modeste.
“A me piacerebbe andare alle terme, papà.” Spiegò Ran, asciugandosi le mani sul grembiule da cucina che aveva indossato. “Tu non ci porti mai da nessuna parte…” aggiunse in un borbottio.
“Ma che dici? Quanti giorni fa ti ho portato con me alla serata mahjong, eh?”
-Sai che divertimento!- Ran e Conan condivisero lo stesso pensiero.
“Volevo solo dire che quell’isola è un po’ isolata…sperduta, ecco…ma se ti va di andare…” sembrò acconsentire, un pallino fisso nella mente che non esitò a esplicitare: “E poi è gratis!”
Ci vollero ancora pochi secondi perché la decisione fosse presa:
“Ebbene sì, figliola, tuo padre ti porta a Oki!” scoppiò in una fragorosa risata.
“Ah, Ojii-san!” richiamò la sua attenzione il piccolo investigatore privato “In cambio del regalo, il professor Agasa vorrebbe un favore…”
 
§§§
 
“Non è giusto, Conan! Perché partite e ci lasciate qui?” cantilenò Genta, camminandogli vicino con le sopracciglia aggrottate.
La squadra dei giovani detective era diretta verso l’istituto elementare Teitan: da quando si erano incontrati, quella mattina, i tre bambini non avevano fatto che lamentarsi per l’improvvisa partenza dei loro amichetti, sostenendo fosse loro dovere portarli con sé per non decimare il team degli Shonen Tantei!
 “E’ vero! …perché tu e Ai-chan da soli? ” aggiunse Ayumi a bassa voce, arrossendo lievemente.
Il debole che nutriva nei suoi confronti era giorno dopo giorno più evidente e, nonostante non lo desse a vedere, Conan ne era lusingato. Dal momento in cui aveva capito la cotta della piccola, si era sentito come in dovere di proteggerla da ogni minaccia, ergendosi a fratello maggiore; lo stesso sentimento che aveva persuaso Ran a tenere il piccolo Conan con sé giorno e notte.
L’investigatore sospirò: -Accidenti, professore! Era indispensabile avvisarli?-
“Dai, ragazzi! I biglietti erano solamente quattro, non saremmo potuti andare tutti insieme comunque!” cercò di rabbonirli, agitando le mani aperte di fronte al viso “Kogoro e Ran non volevano lasciarmi a casa e il professor Agasa non era tranquillo sapendo Haibara da sola!”
La verità era che, dopo quanto accaduto sul Mistery Train*, Ai non avrebbe gradito affatto la solitudine: sapere che un pericoloso membro dell’organizzazione, un detective per di più, era stato messo sulle sue tracce la rendeva davvero ansiosa. A nulla erano valse le consolazioni di Kudo –“Stai tranquilla, Haibara! Grazie a quell’esplosione e all’aiuto di Kaito Kid, lui ti crede morta! Interromperà le ricerche, ne sono sicuro!”- sebbene per un attimo vi avesse riposto fiducia, perché le previsioni del liceale si erano rivelate errate: Amuro non aveva abbandonato Beika Choo, anzi continuava a prestare servizio al Poirot, interessandosi alle indagini di Kogoro. Cosa stesse cercando ancora, non lo sapeva: che sospettasse l’inganno? Conan questo lo escludeva:
“Probabilmente non vuole dare troppo nell’occhio. Nonostante tutto, Kogoro è un famoso investigatore: sparire dalla circolazione immediatamente dopo la misteriosa esplosione di un vagone risulterebbe sospetto, e teme d’essere ricollegato alla tua morte. A quanto l’FBI mi ha riferito, è molto abile: sono certo che non manderebbe i suoi piani per aria, dopo aver ottenuto la vittoria poi, solo per un’azione frettolosa. Credimi: calmate le acque, spiccherà di nuovo il volo”.
 Lo sperava davvero! Effettivamente da quel giorno non aveva mai avuto l’impressione che qualcuno la spiasse, o seguisse: questo significava forse che davvero Tooru persisteva in città solo per precauzione. L’unico inconveniente alla sua tranquillità era Subaru-san: in sua presenza percepiva con potenza l’aura dell’organizzazione, ma Shinichi aveva liquidato la faccenda con un “Ah, lui è un nostro amico!”.
Guardò di traverso il compagno di banco, sospirando: -Spero che tu sappia quello che fai, Kudo-kun.-
“Uffa, tutte le fortune!” borbottò Genta, calciando una lattina a terra.
Conan sbuffò: la verità era che nemmeno lui scoppiava di felicità all’idea di quel viaggio: in fin dei conti, Kogoro non aveva tutti i torti. Si trattava di un’isola scarsamente collegata con la città, dove l’unica attrazione degna di nota era rappresentata dalle terme: dunque il soggiorno non gli sembrava troppo allettante…d’altra parte, tuttavia, il dottor Agasa aveva insistito perché accettasse la sua offerta, desiderando in cuor suo procurargli un po’ di tranquillità dopo l’esperienza sul Mistery Train: sebbene avesse previsto tutte le mosse degli avversari e fosse riuscito a tenere testa a Bourbon e contemporaneamente, chiudere Vermouth in una morsa, risolvendo definitivamente la questione Sherry, era certo avesse bisogno di un po’ di riposo; troppe responsabilità gravavano sulle esili spalle di un diciassettenne intrappolato in un corpo di sette anni! Per fortuna, inoltre, Kogoro aveva accettato di portare con loro anche Haibara: il destino sembrava indicare la strada dell’isola come unica via percorribile.
“E se dovesse succedere qualcosa, come fareste da soli?” li ammonì Mitsuhiko agitando in aria l’indice.
Il piccolo detective fece per rispondere: “Ma cosa vuoi che…” ma la scienziatina lo interruppe:
“Se dovesse succedere qualcosa, avremmo la conferma che il signor Holmes qui presente…” gli lanciò un’occhiata colma d’ironia “…porta sfortuna quanto un gatto nero che ti attraversa la strada dopo che hai rotto uno specchio.”
I ragazzini scoppiarono a ridere e lei fissò il suo sguardo irrisorio sulla piccola figura del compagno, deridendolo con la luce degli occhi; eppure non potè fare a meno di pensare:
-Eppure…Oki...Questo nome…mi suona familiare…Quando l’ho già sentito?-
-Spiritosa come sempre!- con gli occhi ridotti a fessure, Conan ignorava i pensieri della finta bimba e certamente non poteva immaginare quel che sarebbe accaduto nei giorni a venire.
La predizione dei Giovani Detective si sarebbe avverata.
 
 
***                      
Precisazioni:
(…) clausola, te lo ricordi?: si riferisce al caso del Night Baron, volume 8, files 2-7.
*Oki: l’isola esiste davvero, anche se ignoro se sia davvero famoso per le proprietà termali e per quanto narrerò nei prossimo capitoli. Semplicemente, ho voluto appigliarmi alla realtà come una base su cui costruire la mia invenzione; inoltre, il kanji Oki significa in giapponese 'Alto mare' e mi è sembrato un nome appropriato.
Mistery Train: voume 78, file 824, attualmente spoiler.
 
***
 
 
Note dell’autrice: Bene, rieccomi! Dopo una piccola pausa creativa, ho ritrovato l’ispirazione per una nuova storia. In questo prologo viene citato il Mistery Train e a Tooru Amuro e nei prossimi capitoli verranno menzionati eventi accaduti negli ultimi files usciti in Giappone, anche se ancora ignoro in quale misura…non sono ancora sicura della direzione che voglio dare a questa storia, pertanto non so ancora troppo precisamente quali spoiler inserirò e quali no. Comunque sia, diciamo che potrebbero essere presenti nei futuri capitoli  rivelazioni di identità sino a prima segrete o dubbie, perciò chi non segue gli spoiler farebbe meglio a non leggere questa fic, o rimandare la lettura a quando i files a cui faccio riferimento usciranno anche in Italia. Non mi piacerebbe rovinarvi le sorprese! Comunque, conto di avvisarvi in anticipo se deciderò di inserire grossi spoiler o meno!
Detto questo, lasciatemi dire che sono davvero contenta di essere tornata ! Dopo Un Silenzio Controproducente,spero di non aver perso quella minima vena creativa che m’ispirava nello scrivere.
Non credo sarà una storia lunga come Un Silenzio, ma sto scrivendo contemporaneamente questa fic,
Fiuto Da detective, e un’altra storia nella sezione Originali-Romantiche, Divertissement, per cui non credo mi sarà possibile aggiornare molto spesso (in passato, ahimè, non mi sono di certo distinta per la mia velocità! :[ ).
Abbiate pazienza e sopportate questo capriccio da  sedicente scrittrice XP
Al momento inoltre mi trovo fuori città, e non rincaserò prima di un altro paio di giorni; perciò mi connetto sfruttando la rete wifi di un McDonald qui vicino, saltuariamente purtroppo.
Colgo l’occasione per mandare un abbraccio ENORME E GIGANTESCO a tutti i lettori e i recensori che mi hanno davvero trattata benissimo durante la stesura e l’aggiornamento di Un Silenzio Controproducente, perché quella storia rappresenta una parte del mio cuore, e con lei tutti voi.
Lieta d’essere di nuovo qui a seccarvi XD
Un grandissimo bacio
XXX Cavy-Chan XXX

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il Vecchio Soffia e Graffia ***


Capitolo Primo
Il Vecchio Soffia e Graffia





“Oh! Ma che meraviglia!” Esclamò la giovane Mouri, sporgendo il busto oltre il fianco del battello “Conan-kun, Ai-chan: guardate!” richiamò l’attenzione dei due bambini oltre la balaustra perché ammirassero anche loro il fondale dell’oceano: l’acqua era talmente limpida da mostrare i pesci di mille colori che guizzavano tra le onde. Il ragazzino si sporse leggermente verso l’acqua, i capelli mossi dolcemente dalla brezza marina.
“Il fondale qui è ricoperto di sassi…” borbottò Kogoro, la testa appoggiata alla mano aperta mentre osservava la distesa d’acqua.
“Non sono sassi, sono scogli!” lo informò il timoniere, un uomo non più giovane con i capelli brizzolati e la carnagione abbronzata di chi spesso naviga sotto il sole. “Qui il fondale è costituito interamente da scogli, rendendo così impossibile la presenza di meduse. Al contrario, la fauna marina è costituita quasi interamente da pesci, crostacei e polpi!” si rivolse ai ragazzi più giovani, che gli avevano dato l’impressione d’essere di miglior umore di quell’uomo con i baffetti.
Ran emise un gridolino di esultanza, tornando ad ammirare l’acqua; Conan la imitò, rivolgendo lo sguardo al fondale mentre Haibara, silenziosa come d’abitudine, si lasciò sfuggire un commento piuttosto cinico:
“Chissà i pescatori quanti affari faranno, allora…” Prima che Conan le rifilasse una gomitata tra le costole, fece in tempo ad aggiungere: “Zuppa di polpo a volontà…”
“No, ragazzina…” le rispose l’uomo, rivolgendo lo sguardo al lembo di terra che iniziava ad essere visibile oltre l’acqua. “I pescatori che desiderano avere buona sorte debbono inoltrarsi in alto mare, e non tutti sono disposti a farlo.”
“Ho sentito dire che c’è un lago sull’isola. Non ci sono pesci, lì?” domandò Ran, tornando seduta composta sulla panca in metallo del battello.
“E’ forse vietata la pesca?” ipotizzò Conan.
-Peccato…- stava già pensando, con gli occhi ridotti a fessure –Una buona zuppa di pesce non mi sarebbe dispiaciuta questa sera…-
“Nulla del genere. Ma quel vecchio non permette a nessun pescatore d’avvicinarsi al lago.” Rivelò, in un soffio.
I quattro viandanti rimasero sorpresi.
“Forse un vecchio bisbetico ha acquistato il lago?” chiese Kogoro, sardonico.
Ma il timoniere non rispose.
Lui e la figlia si scambiarono un’occhiata interrogativa, mentre Conan assottigliava lo sguardo:
- Quale vecchio?-
Kogoro e Ran si erano ricongiunti con Conan ed Ai, scortati da Agasa, al porto: lì quel piccolo battello li aveva caricati alla volta dell’isola. Il detective  dormiente aveva ragione: quell’imbarcazione, che impiegava all’incirca venti minuti per raggiungere la costa, rappresentava l’unico collegamento che  Oki conservava con la terraferma. Avevano dovuto aspettare mezz’ora prima di poter salire a bordo, poiché il timoniere aveva affermato di compiere un solo viaggio ogni mattina verso l’isola, quando il tempo era sereno e non preannunciava tempeste e disordini.
“Peccato!” sussurrò Ran all’orecchio del suo fratellino “Mi sarebbe piaciuto fare il bagno tra i pesci!”
Conan arrossì all’idea dell’amica d’infanzia in costume.

§§§
 
“Che razza di domanda è questa?” l’uomo con gli occhiali da sole contrasse i muscoli della bocca, preso in contropiede da quella richiesta.
Il suo interlocutore scrollò le spalle, ostentando indifferenza.
“Tu rispondi.” Gli sorrise, le mani in tasca, appoggiando il busto all’automobile nera.
L’omone sospirò.
“Non lo so…” scosse il capo, cercando di superarlo per salire in macchina.
“Aveva una buona mira, anche se usava un’arma strana!” rispose frettolosamente, come se non ritenesse quell’informazione importante.
L’altro invece la ritenne piuttosto interessante.
“Ora lasciami passare, è tardi e devo andare.”
Si scostò dall’auto, permettendogli di sedersi  al posto dell’autista.
“Porta i miei peggiori omaggi al tuo amico.” Si raccomandò attraverso il finestrino aperto per metà.
 
§§§
 
I quattro cittadini avevano raggiunto la costa dell’isola e visitato la pensione nella quale avrebbero alloggiato: un edificio accogliente anche se non troppo affollato, di gusto antico. Gli arredamenti distribuiti in tre piani ricordavano quelli del secolo precedente, come tutta l’isola del resto; aveva dato loro l’impressione di un paese d’altri tempi. Non vi erano supermercati, ma negozi singoli di macelleria, erboristeria, emporio e pescheria; l’ospedale era costituito da un semplice ambulatorio, affiancato da un piccolo appartamentino che doveva essere stato l’obitorio in tempi di guerra. La centrale di polizia, una larga stanza comunicante con il corridoio che conduceva a due celle, era frequentata da tre poliziotti, che loro stessi avevano visto sulla soglia indicare ad un bambino  la strada che doveva aver perso.
Le case rivelavano un desunto progetto architettonico ed erano affiancate l’una all’altra, non superando i due piani se non in rari casi; gli abitanti del villaggio si conoscevano tutti tra di loro, e si riunivano spesso sull’unica piazza dove Ran aveva scoperto tenersi un mercato ogni martedì, giovedì e sabato mattina. Non vi erano centri commerciali o cinema, anzi:  un’unica antenna e un unico ripetitore, posti sulla cima d’un monte a ridosso delle abitazioni, forniva una rete di onde utile per qualche veloce telefonata.
La loro pensione era l’unica presente, e non vi erano alberghi: le terme si trovavano dietro l’edificio in questione, non troppo distanti da un tempio sacro.
Quello era il centro dell’isola; dei sobborghi non avevano visto ancora nulla, ma ritenevano fossero in gran parte occupati dal lago acquistato da qualche ricco signorotto che non ne permetteva più l’accesso agli isolani.
“Siamo fuori dal mondo!” esordì Kogoro dopo quel rapido giro dell’isola.
Il piccolo gruppo stava bussando alla porta della pensione, i bagagli ancora tra le mani.
“E dai, papà! Non abbiamo ancora visto nulla di qui, solo la strada dal porto alla pensione!” gli fece notare, prima di  congiungere le mani all’altezza del petto. “E poi, non è bello? Sembra di essere tornati nel passato!”
 “Sai che noia!” replicò il padre, sbuffando.
Conan e Ai si scambiarono uno sguardo irrisorio.
-Se il professore desiderava farci riposare dopo lo scontro con Bourbon, va bene, ma così è troppo…-ridacchiò lui, un sopracciglio che tremolava.
La porta della pensione si aprì, rivelando una donna di mezza età piuttosto robusta con indosso un kimono rosso.
“Benvenuti, signori. Suppongo siate la famiglia Mouri.” S’inchinò leggermente in segno di rispetto.
“In realtà i due bambini non sono…” fece per precisare Kogoro, ma l’occhiata torva della figlia lo zittì subito.
“Non mettere a disagio Conan e Ai!” gli sussurrò, cercando di non farsi sentire. Ma i due finti bimbi sospirarono.
“Prego, vi mostro le vostre stanze.” La donna s’avviò e loro la seguirono.
Percorsero un lungo corridoio piuttosto scuro mentre la donna si presentava: Izuomi Kakeshi, proprietaria della pensione insieme al marito, Ikku Kakeshi, al momento fuori casa per una rapida visita al tempio; quando l’anno scolastico terminava, la sedicenne Kyoko e la piccola Yiu aiutavano i genitori svolgendo gli incarichi più semplici.
“Se i piccoli vorranno visitare il centro dell’isola, sono certa che Kyoko-chan e Yiu saranno ben lieti di accompagnarli.” Assicurò, sorridendo cordiale a Conan ed Ai; lei rimase impassibile, lui invece ricambiò il sorriso:
“Grazie, Kakeshi-san!”
La donna si fermò, indicando una porta in legno chiaro infondo al corridoio.
“Ecco, questa è la stanza 221, al secondo piano. Spero che il signore e la signorina si troveranno bene qui, la porta scura che vedete lì infondo porta direttamente alle terme miste.”
“Mia figlia è ancora troppo piccola per quelle!” si affrettò a replicare Kogoro, guadagnandosi uno sguardo spiacevole da parte della ragazza.
La donna sorrise maternamente: “Al terzo piano c’è una porta verde, da lì la signorina potrà raggiungere le terme per donne, mentre la porta rossa conduce allo spazio per gli uomini.”
I due s’inchinarono leggermente per ringraziarla, quindi Izuomi proseguì: “E’ sempre al terzo piano che si trova la camera per i bambini.”
Strabuzzarono gli occhi.
“La camera per i bambini…?” ripetè Kogoro, esterrefatto.
“Abbiamo pensato che i due bambini avrebbero preferito una stanza tutta per loro.” Spiegò la donna, ammiccando ai due ragazzini “La finestra mostra il centro della piazza, un giusto panorama per scambiarsi segreti tra fratelli!” S’abbassò all’altezza delle vittime dell’aptx “Non è vero, piccoli?”
Conan ridusse gli occhi a due fessure:
-Maledetto professore, ci ha fatto assegnare la stessa stanza!-
La proprietaria della pensione fece per avviarsi alle scale, mentre Kogoro replicava:
“Ma questi due non sono esattamente fratelli, non so se sia di buon gusto lasciarli dormire nella stessa camera…”
“Suvvia, papà! Sono dei bambini!” gli rammentò la karateka, rivolgendo poi un occhiolino a Conan “Sicuramente staranno meglio da soli!”
Un enorme goccia bagnò la nuca del piccolo detective: -Ran è davvero convinta che io abbia un debole per Haibara?-
“Ah, come vi pare!” accettò subito Kogoro, varcando la soglia della loro stanza “L’importante è che tu, figliola, abbia un atteggiamento conveniente!”
“E con questo che vuoi dire?” replicò subito lei, seguendolo.
E mentre Conan e Ai seguivano la signora Kakeshi per le scale, sentirono la voce di Kogoro: “Ti proibisco di mettere piede nelle terme miste!”
Haibara rise, attirando l’attenzione di lui:
“Che c’è?” le domandò, le mani nelle tasche dei pantaloncini.
“Oh, nulla.” Rispose lei, a bassa voce “Pensavo solo come reagirebbe Kogoro se per caso una serie di eventi fortuiti portasse Ran a gridare quando è in procinto di bagnarsi nella vasca, un detective impiccione a correre per aiutarla e vederla nuda.”
Si riferiva ovviamente a quanto accaduto a loro pochi mesi prima.*
“Ti ho già detto che non l’ho fatto apposta e che ho visto soltanto il tuo…!” arrossì violentemente, mordendosi la lingua quando la donna si voltò verso di loro.
“Eccoci, piccoli. Stanza 327. Non è sopra quella del vostro papà, così potrete fare anche tardi la sera senza che lui senta le vostre voci, contenti?” Quella donna era convinta d’aver fatto loro un grande regalo.
-Ahah- ridacchiò tra sé e sé Conan, rabbrividendo all’idea che Kogoro fosse suo padre.
Ringraziò la donna, guardandola scendere nuovamente al piano terra della pensione.
“Oh, ma dopo anche io ho visto il tuo…” riprese con malizia la discussione la scienziata, provocando nuovamente il rossore sulle guance dell’amico.
“Mi-mi hai messo il peperoncino nelle mutande!” le rammentò, scarlatto.
“Già. Ayumi rise quando ti vide nudo.” Disse con un tono leggero che dava a quella frase la parvenza d’una normale asserzione.
“Haibara…” s’innervosì, ma fu interrotto: “Alloggiamo nella stessa stanza, Kudo. Guai a te se fai il pervertito!” lo ammonì con gli occhi che ridevano, varcando la soglia della porta.
“Fino a prova contraria quella che ha riportato a galla quella storia sei tu, Haibara!” decretò, ancora rosso in viso, seguendola.
“Cercavo solo di distogliere la tua attenzione da questa grande delusione.” Fece spallucce, guadagnandosi un’occhiata interrogativa:
“Quale delusione?”
“La tua ragazza ti ha appena gettato nel letto di un’altra, Kudo.” Gli sorrise.
Conan sbuffò.
-Il suo umore sta decisamente migliorando se si diverte con tutte queste battute…ma io già non la sopporto più!-
Ad ogni modo i due liceali nei panni di studenti delle elementari non rimasero soli a lungo, perché Ran andò a chiamarli. Disse d’aver parlato con la signora, che suggeriva un bagno di mezz’ora tutti i giorni per la durata del loro soggiorno perché le acque potessero attuare un’azione rinfrescante e lenitiva sulla loro pelle; quindi li invitava ad accompagnarla in vasca.
“Sarà meglio però che Conan-kun vada con mio padre, stavolta…” gli sorrise, arrossendo leggermente “Non siamo soli, c’è anche Ai-chan!”
La bimbetta gli rivolse l’ennesimo sguardo malizioso del giorno.
-Ancora questo discorso…- si lagnò nel pensiero il moro, iniziando a stancarsi di quella situazione.
Tuttavia, la confessione che gli fece la sua sorellina mentre Haibara era in bagno a prendere l’asciugamano lo fece tornare di buon umore, nonostante l’imbarazzo:
“Peccato, vero, Conan-kun? Sono contenta che ci sia Ai-chan con noi…ma mi sarebbe piaciuto fare il bagno con te come l’altra volta!”*
Prese il suo silenzio come un consenso, e si piegò sulle ginocchia per essere alla sua stessa altezza:
“Magari un giorno troviamo il modo di farlo, va bene?”
Quella promessa gli riecheggiò nelle orecchie per tutta la durata dell’immersione con Kogoro.
 
 
Dopo il bagno, mezz’ora di tempo da attendere perché la cena fosse pronta e potessero scendere nella sala da pranzo della pensione.
Kogoro decise di fare un salto alle terme miste, con l’intento non troppo celato di incontrare qualche bella donna; Ran volle fare un giro del paese, alla ricerca di qualche negozietto carino; invitò Ai e Conan ad andare con lei, ma entrambi  declinarono l’invito.
“Cosa vuoi fare tu, Kudo?” gli aveva chiesto la bimba.
“Un giro del paese, ma non certo dei negozi.” Aveva replicato, mostrandosi intenzionato a visitare la periferia.
Ai aveva sogghignato consapevole “Ecco l’anima da investigatore, pare. Non ho intenzione di perlustrare la zona per scoprire un cadavere. Va’ pure, io torno in camera a finire il libro che mi ha regalato il professore.”
Il detective aveva annuito ridacchiando, avviandosi poi per le strade dell’isola. Il sole stava tramontando, tingendo di rosso il cielo e la distesa d’acqua circostante: un’atmosfera che contribuiva molto al cattivo umore che s’era impossessato di Shinichi da quando aveva messo piede in acqua. Gli era infatti tornata in mente un’affermazione di sua madre, di qualche anno prima:
“Stai diventando un uomo, Shin-chan! Il calcio va benissimo, ma dovresti sottoporre il tuo corpo anche a qualche bagno termale, freddo possibilmente: ti verrebbe un bellissimo fisico, caro mio!”
I soliti vaneggiamenti di Yukiko; ma quella frase gli aveva ricordato, con una consapevolezza maggiore del solito, che non possedeva più il suo vecchio corpo.
Inoltrandosi sulla salita di fronte la porta posteriore della pensione, si domandò cosa avrebbe percepito se l’acqua avesse massaggiato le membra da giovane uomo, piuttosto che da piccolo bambino. Più d’una volta, in quegli ultimi tempi, aveva pensato che nella lotta contro Bourbon riprendere le sue sembianze sarebbe stato un atto sconsiderato: era plausibile che  avesse letto i rapporti della traditrice sulle cui tracce il Boss l’aveva indirizzato, e che il nome di Shinichi Kudo fosse presente a chiare lettere nella lista dei decessi per l’apotoxina. Eppure battersi contro quei corvi  da adulto gli avrebbe lasciato in bocca un sapore ben più dolce, anche se forse più corroso dal gusto pungente del sangue.
Senza rendersene conto si ritrovò davanti alla soglia del tempio, dove decise di entrare. Si guardò intorno ammirando l’ordine e godendo del silenzio di quel luogo, di cui in quel momento aveva davvero bisogno.
S’inginocchiò sul marmo freddo e chiuse gli occhi, vittima di un attimo di nostalgia. Quando li riaprì, il sangue nelle vene divenne ghiaccio.
 

§§§
 
Ran rientrò in pensione con qualche minuto di anticipo; aveva trovato un paio di negozietti molto carini, anche se non troppo a poco prezzo e non aveva acquistato altro che un vestitino leggero di lino. Gli isolani erano stati molto cordiali, e quasi tutti le avevano chiesto da dove proveniva: conoscendosi tra loro, riconoscevano facilmente un viso estraneo.
Eppure aveva colto in quel paese una strana atmosfera, come una cappa d’inquietudine che aleggiava sulla città nonostante tutti cercassero d’ignorarla.
Il rumore di un motore richiamò la sua attenzione sulla strada dirimpetto la pensione: si voltò scorgendo un’automobile nera dirigersi all’entrata dell’edificio. Si fermò a pochi metri da lei e quando lo sportello s’aprì rivelò un uomo dai capelli neri, di circa trent’anni. La vide subito:
“Una forestiera, eh?” domandò, in un’espressione che quel pomeriggio molti avevano utilizzato per descriverla.
Lei annuì, non potendo scorgere gli occhi di lui celati dalle lenti scure dei suoi occhiali da sole neri.
“Vengo da Tokyo.” Sorrise cortesemente, sentendosi inspiegabilmente a disagio.
“Oh, la capitale!” esclamò quello, ma il tono di voce le parve ironico.
“Le auguro un piacevole soggiorno.” Le disse, prima di varcare la soglia della pensione.
 
§§§
 
Era così preso dai suoi pensieri da non aver notato quel pezzo di pietra; quando aveva riaperto gli occhi se l’era ritrovata davanti, lì appesa al muro, e per un attimo l’aveva spaventato: un gigantesco mezzobusto dalle sembianze sataniche, gli occhi spalancati di un’anima in pena, la bocca feroce e contratta dalle cui labbra spuntavano denti simili a canini vampireschi. Le braccia risalivano attorno al corpo e si staccavano dalla pietra all’altezza del volto, concludendosi in due mani rivolte all’esterno come se stessero attaccando lo spettatore con l’ausilio di lame più simili ad artigli che ad unghie.
Una statua agghiacciante, resa ancora più tetra dalla penombra che regnava in quel tempio.
Conan tirò un sospiro di sollievo: -Effettivamente ho i nervi a fior di pelle, per essermi spaventato per così poco. E’ solo un’erma, anche se è strana…-
“Che coraggio, ragazzino!”
Si voltò scorgendo un monaco che s’avvicinava a lui: gli occhi vivaci sembravano simpatici.
“Nessun bambino aveva fissato per più di un minuto Ade senza scappare via spaventato.” Gli rivelò, a pochi passi di distanza da lui.
“Ade è il nome della statua?” domandò, repentino.
Il monaco scosse il capo: “Ade è il nome dello spirito che la statua rappresenta. Guardala: non ti fa paura, piccolo?”
Conan fece segno di no, sorridendo poi al ragazzo con il kimono arancione.
“E’ solo pietra, signore.”
Il monaco poggiò una mano sulla testa del bambino per scompigliargli i capelli: “Hai ragione, bravo! E’ solamente pietra, non c’è da averne paura.”
 
§§§
 
“Lo vedi che avevo ragione? Siamo fuori dal mondo, non c’è nessun altro qui!” incalzò Kogoro, incrociando le braccia all’altezza del petto.
Padre e figlia s’erano incontrati nella sala da pranzo, assolutamente deserta.
“Forse non è stagione!” aveva cercato di ipotizzare la karateka, muovendo le mani davanti al capo per dare enfasi alla sua argomentazione.
Ai li raggiunse allora, comparendo dalle scale scricchiolanti dell’edificio. Notò che Conan non era ancora lì, e sorrise, consapevole che la sua curiosità non poteva essere saziata in solo mezz’ora.
“Non è più stagione da molto tempo, oramai.”
Kogoro e Ran si voltarono, incontrando gli occhi d’un uomo anziano con il volto incorniciato da una folta barba bianca. Intorno al suo collo tintinnavano quattro amuleti diversi e i suoi vestiti emanavano l’odore forte d’incenso.
Sorrise ai due pensionanti, invitandoli a sedere al tavolino al centro della stanza, su cui erano già state collocati sette piatti e quattordici bacchette.
“Vi prego di scusarci, ma Yiu non cenerà con noi. E’ piccola e ha già mangiato. Se preferite stare soli, Izuomi apparecchierà un altro tavolo.”
Compresero solamente allora che quel vecchietto fosse il proprietario della pensione, marito della donna conosciuta nel pomeriggio.
Ran quindi s’affrettò a replicare: “Oh, no! Sarà un piacere per noi. Ed anzi, siamo noi a chiederle scusa: stiamo benissimo qui. Inoltre, Conan-kun non è ancora rientrato.”
“E’ un bambino?” domandò loro, mentre tutti prendevano posto a tavola.
La ragazza annuì:
“Ha sette anni, come Ai-chan.” Indicò con un cenno del capo la piccola biondina, che sedeva composta di fronte all’uomo.
“Beh, andare in giro da solo a quest’ora non è raccomandabile per un bambino di quell’età.” Decretò severo, perciò Kogoro volle precisare:
“Ama girovagare, da un momento all’altro sparisce e ricompare dopo ore.”
“Ma sa badare a se stesso.” Assicurò Ran, ringraziando Izuomi che si era materializzata senza alcun rumore alle sue spalle e stava ponendole sotto gli occhi un piatto fumante.
“L’importante è che non s’avvicini al lago di notte.” Raccomandò lei, facendo la stessa raccomandazione a Shiho.
“Neppure di giorno.” Ingiunse in tono duro Kakeshi, mentre la moglie serviva tutti. “E lo stesso vale per voi due. Nessuno deve avvicinarsi al lago.”
Per la seconda volta quel giorno fu citato il bacino in una frase d’ambiguo divieto. Kogoro allora azzardò la stessa domanda di poche ore prima:
“L’uomo che ci ha condotto qui in battello ha parlato di un vecchio…qualcuno ha comperato quel territorio?” poi, per allentare la tensione che gli sembrava essersi diffusa nella stanza, scherzò:
“Cosa c’è, quel vecchietto spara a vista se qualcuno viola la sua proprietà?”
Ma nessuno rise.
“Se andate lì il Vecchio vi soffierà addosso  con tutta la sua forza!” una voce sicura e squillante li minacciò alle loro spalle.
Si voltarono, trovandosi di fronte una ragazza dai capelli ricci e rossi, con degli scuri pantaloncini corti e attillati a fasciarle le gambe magre e un top bianco che le lasciava scoperto l’ombelico.
“E se ci andrete ancora, vi graffierà fino a farvi morire!” li ammonì, le mani sui fianchi con fare perentorio.
Ran rabbrividì, portando una mano alla bocca, mentre Ai assottigliò gli occhi.
“G-graffierà?” balbettò Kogoro, più attirato dall’appariscenza che dalle parole della ragazza.
“Kyoko! Non spaventare gli ospiti!” l’ammonì la madre, agitando in aria il cucchiaio di legno con cui serviva la minestra.
“Di…di che vecchio parlava?” domandò Ran, in allerta.
“Di Ade!” la vocina di Conan le rispose, rivelando anche la sua presenza di fronte alla porta.
“Il vecchio di cui parlate è Ade, vero?” insistette lui, fissando gli occhi sui talismani dell’uomo, notando subito attraverso le lenti trasparenti degli occhiali che anche la signora Kakeshi ne aveva uno legato intorno al polso: un lungo ciondolo in ottone che quello stesso pomeriggio non aveva.
“Come fai a saperlo, ragazzino?” Solo quando gli rivolse parola notò Kyoko e il suo abbigliamento provocante: arrossì trovandosi a pochi centimetri di distanza dalle sue gambe nude.
“Vieni a sederti, moccioso!” lo rimproverò Kogoro, afferrandolo per un orecchio e sollevandolo da terra “Sei in ritardo!”
Il signor Kakeshi ignorò il piccolo siparietto tra il bambino e il suo Ojii-san, attendendo che l’uomo lo avesse gettato malamente sul tatami accanto a Ran ed Ai prima di chiedere conferma:
“Hai visto la sua statua, non è così?”
Lui annuì.
“Sono stato al tempio. E’ un enorme mezzobusto di pietra non lavorata appesa ad una parete all’ingresso, e il monaco mi ha detto che rappresenta uno spirito chiamato Ade.” Rispose alla muta domanda di Kogoro, Ran e Ai.
“S-spirito?” gli fece eco la karateka, gli occhi che mal celavano timore.
“Stai tranquilla! Il monaco mi ha anche detto che è solo pietra e che non c’è da averne paura!” cercò di rasserenarla, ma Ikku prese la parola:
“Quel monaco parla a vanvera, non sa quello che dice. Quella non è solo pietra, è Ade personificato: lì gli abitanti di questo villaggio possono rendere omaggio al Vecchio Ade, con offerte e preghiere, ed evitare così che lui soffi e graffi la sua ira contro di loro.”
“Che cosa significa ‘soffi e graffi ’?” non tardò la domanda di Mouri senior.
“Il Vecchio Ade…” esordì la sedicenne Kyoko, sotto lo sguardo indagatore di Conan: scorse un talismano legato come una cavigliera al suo piede “…è uno spirito maligno che abita il Lago. Un tempo era buono e bendisposto verso gli isolani, per questo era possibile pescare e vivere sulle sponde dell’acqua. Tutt’un tratto però il Vecchio si è adirato, e ha cominciato a soffiare la sua ira contro di noi: chiunque si rechi anche solo nei pressi del lago viene colpito dal suo soffio, un maleficio terribile che causa bolle e prurito nei casi migliori, in quelli peggiori una febbre altissima accompagnata da difficoltà respiratorie.”
Ran sussultò, aggrappandosi d’istinto al suo fratellino, che arrossì.
“Ma questa è solo una leggenda…” cercò di dire il detective dormiente, ma il signor Ikku lo smentì all’istante:
“Gli sciocchi tracotanti che non prestano fede al Vecchio vengono puniti; sono coloro che riconducono la febbre e i malori a malattie di stagione e si spingono sino al Lago, dove Lui ricompensa la loro insolenza con la giusta punizione.”
“Li graffia!” rivelò sua donna, gli occhi iniettati di paura “ Li graffia sul collo con le sue unghie velenose finchè non muoiono dissanguati!”
Ran emise un urlo, chiudendo gli occhi spaventata; si strinse più forte a Conan, tremando.
Ai socchiuse gli occhi, parlando per la prima volta quella sera:
“Dite questo perché si è verificato? O è solo la leggenda che è andata trascendendo i limiti?”
Il tono cinico, da fredda scienziata, non piacque al proprietario della locanda, che rispose dimenticando d’avere a che fare con un’apparente bambina.
“Diciamo questo perché è vero. Due anni fa il medico condotto, un uomo che voleva riportare la realtà alle sole regole della medicina, si mise in testa d’indagare sul Vecchio; di notte s’insinuò nei pressi del Lago. Fu ritrovato la mattina dopo, riverso a terra, con cinque graffi lunghi e profondi sul collo, morto dissanguato.”
“La stessa sorte toccò a una giornalista impicciona, che abitava l’isola. Lo studio l’aveva resa intelligente, il successo impertinente: voleva dimostrare che Ade non esisteva, e trascorse la notte nel bosco vicino al Lago. La mattina dopo, aveva cinque graffi sul collo, cinque graffi come cinque sono le dita di quella mano da diavolo!” raccontò loro Izuomi, cedendo poi il passo alla figlia:
“E infine un poliziotto. Era arrivato qui da poco tempo e derideva coloro che rendevano omaggio alla sua statua. Durante un’esplorazione notturna, il Vecchio Ade gli alitò contro la terribile pestilenza e poi lo graffiò fino alla morte. Nonostante le cure, non sopravvisse.”
-Cinque graffi sul collo…le cure per cinque graffi sul collo…- si ripetè mentalmente Ai, gli occhi socchiusi.
“Ma perché queste tre vittime non avevano anche bolle sul corpo?” domandò Conan, ancora stretto tra le braccia di una tremante Ran. “Ade non ha alitato su di loro?”
“Ha letto il loro animo tracotante e li ha uccisi immediatamente.”
La karateka si voltò in direzione del padre, cercando d’attirare la sua attenzione: “Che—che ne dici se domani facciamo le valigie e ce ne andiamo?”
“Non essere sciocca, Ran!” la rimproverò suo padre, severo. Anche Kyoko s’aggiunse, ma la sua voce era più rassicurante:
“Stai tranquilla, signorina! Se non offendi il Vecchio, non ti farà nulla. E’ sufficiente che tu non ti avvicini al lago, e se ti trovi davanti alla sua statua al tempio non la devi toccare.”
“La polizia cosa pensa di quei tre decessi?” domandò Kogoro al capofamiglia.
Le orecchie di Conan si fecero più vigili.
“Dopo la morte del loro collega, anche la polizia ha capito la potenza del Vecchio.”
“Ma cosa dicono le autopsie? Quei graffi…” la voce della ragione fu azzittita ancor prima che terminasse la sua asserzione.
“Non ci sono state autopsie.”
I due detective trasalirono:
“Non ci sono state autopsie?” ripetè Kogoro “Vuole dire che la polizia non ha eseguito alcun controllo sulle vittime?”
Shinichi tornò con la mente alla piccola stanzetta che aveva visto quel pomeriggio al fianco dell’ospedale: effettivamente la porta dell’obitorio era tanto impolverata e così mal ridotta da indurre a pensare che non fosse più stata usata.
“Avrebbero mancato di rispetto ad Ade!” volle spiegargli la donna, agitando sapientemente le bacchette di legno davanti alla faccia.
Ai rivolse a Conan uno sguardo incerto.
“Ma sono matti?” la reazione di Mouri fu brusca e rude “Non hanno svolto le indagini o preso provvedimenti  per non mancare di rispetto a un pezzo di pietra marcio?”
“La polizia non intende fomentare strane reazioni degli abitanti dell’isola.”
Quella risposta proveniva dalle loro spalle ed inseriva una settima persona in quella conversazione: Ran riconobbe in lui l’uomo incontrato quel pomeriggio, gli occhiali scuri ancora calati sugli occhi.
“Abbiamo appurato che a quella nefasta notte non seguì più alcuna morte, e gli isolani ritengono sia lecito attribuire la serenità nuovamente raggiunta ai doni offerti ad Ade. L’ondata di terribile panico che aveva investito il paese è andata scemando. Prestare fede a questo culto è il provvedimento più saggio che la polizia potesse prendere.” Dichiarò l’uomo, in piedi di fronte alla tavola.
Kogoro rimase allibito, la bocca leggermente aperta e il labbro superiore tremante a quelle parole.
“Signor Mouri, mi permetta di presentarle Chika Kiichi. Detiene il grado più alto nella polizia di ruolo ad Oki, perciò fa le veci del commissario.”
I Mouri strabuzzarono gli occhi, osservando sorpresi l’agente dell’ordine sfilarsi gli occhiali per rivelare una cicatrice circolare vicino al sopracciglio destro.
-E questo qui dovrebbe essere un commissario?- Conan lo fissò, il volto scuro che dava forma alla sua preoccupazione.
“Mouri, eh? Lei è forse il detective Mouri?” il poliziotto gli rivolse un’occhiata di scherno, muovendo alcuni passi nella sua direzione.
I membri della famiglia Kakeshi ammutolirono:
“De-detective?”
“Sì, sono Kogoro Mouri, vengo da Tokyo.” Si presentò lui, alzandosi in piedi con orgoglio. I suoi occhi erano seri, il suo viso contratto: “E non posso credere che lei non abbia indagato su…”
“I forestieri portano solo guai!” lo interruppe Kiichi, guardando Ran dall’alto in basso. “Quando ho visto il volto straniero di questa ragazza, ho capito subito che mi avreste ostacolato.”
“Ostacolato?” ribatté Kogoro colto nel vivo della sua fierezza da investigatore e dell’affetto da padre “Voi, e lei in particolare, che fa il commissario, piuttosto, ostacolate il normale svolgimento delle indagini! Cosa vi hanno telegrafato oltremare? Davvero hanno permesso che evitaste l’inchiesta?”
Chika accusò il colpo, ribattendo subito senza esitazione e con tono sicuro: “Non ci hanno telegrafato un bel nulla. Non era necessario avvisarli, questa sfera non è di loro competenza.”
“Non è di loro competenza?” Gli fece eco lui.
Haibara lanciò uno sguardo al piccolo detective, notando che teneva gli occhi fissi sulla sagoma di quel pazzo.
“La giustizia divina non può essere rinchiusa nella legge positiva.” Sentenziò il proprietario dell’albergo in quell’isola dimenticata dal Giappone.
“Lei deve comunicare immediatamente l’accaduto alla sede centrale!” scoppiò il detective di Tokyo, avvicinandosi al poliziotto, che sembrò divertito:
“E perché mai?” 
“Perché potrebbero essere omicidi.” Gli rispose, provocando lo stupore nei Kakeshi.
“O-omicidi?” balbettò Kyoko, rivolgendosi al capofamiglia mentre in lei s’insinuava il dubbio “Papà…”
Ma Ikku non tentennò neppure per un istante, guardando serio e ammonitore l’uomo con i baffi. Si alzò anche lui, tagliente: “Non c’è alcun omicida da trovare. E’ opera del Vecchio.” Poi, più rivolto alla figlia che agli altri astanti, affermò con tono deciso:
“I detective sono una brutta stirpe: impiccioni che si fanno grandi senza motivo, dotati di scarse capacità e che sembrano godere della loro immeritata fama!”
Per un attimo calò in silenzio in quella sala; gli edochiani* erano sconcertati, e per breve tempo non seppero come replicare.
Il poliziotto allora tornò a parlare, saccente: “Come può vedere, la questione è chiusa. Dal kimono che indossa, detective, suppongo sia qui per le terme. Beh, le consiglio di godersi la vacanza e le acque, e basta.”
 
§§§
 
“Che ne pensi?” domandò la piccola Ai a Conan, una volta aver chiuso la porta della loro stanza alle sue spalle.
Il giovane detective si sedette sul bordo del materasso disteso a terra, sospirando:
“Quella leggenda è sciocca, e banale. Ricorda vagamente la storia del Mastino dei Baskerville, che sbranava le sue vittime nella brughiera .”
Shinichi ci aveva pensato subito; eppure, un senso di irrequietezza mista a fastidio l’aveva colto, mutando il suo umore. Una favola tanto sciocca aveva predominato ed anzi predominava sulla ragione comune, impedendo persino alla polizia di svolgere il suo dovere. In più, cos’era quella sensazione che gli chiudeva lo stomaco in una morsa?
“Di fantasticherie su fantasmi e spiriti è pieno il mondo, Kudo. Come pretendi originalità in queste favole?” gli ricordò la bambina, estraendo il cellulare dalla piccola pochette appoggiata accanto al suo materasso.
“Lo so. Ciò che mi lascia perplesso, è che le forze di  polizia credano a questa leggenda. Com’è possibile? Perché quel tipo non ha dato l’ordine di indagare? Tre persone sono morte.”
-E poi perché quella strana invettiva contro gli investigatori?- si chiese, una goccia di sudore che gli attraversava la tempia.
La scienziata fece spallucce, visionando attentamente il display del telefonino:
“Forse il  professor Agasa avrebbe potuto consultare internet e scoprirlo per te, ma pare che in quest’isola non ci sia segnale.”
 
 
§§§
 
“Com’è possibile che la polizia si accontenti di uno spirito per spiegare tre decessi?” bofonchiò Kogoro, le mani incrociate dietro il capo. Lui non era un bravo investigatore; le parole sicure pronunciate durante la risoluzione dell’inchiesta appartenevano a Shinichi, le cui labbra forgiavano una voce diversa grazie al modulatore vocale. Nonostante i complimenti che, pubblicamente, rivolgeva a se stesso, qualche volta il dubbio che si verificasse qualcosa di strano s’era insinuato, serpeggiando, nella sua mente e il cervello, dopo ragionamenti non indifferenti, aveva collegato il suo rinnovato successo all’arrivo del ‘moccioso’, come soleva apostrofarlo.
Una sola volta questo dettaglio aveva assunto nei suoi pensieri proporzioni ragguardevoli, e nel giro di pochi secondi il sorriso divertito per la bizzarra coincidenza si era piegato in una smorfia di profonda inquietudine; lo sguardo era volato, repentino, sul volto del ragazzino, poggiato con le braccia incrociate sotto il mento sulla spalliera del divano*, l’aria innocente di chi si atteggia a bambino. In un istante tutti i casi risolti sino ad allora si erano susseguiti rapidi nella testa di Kogoro, che non aveva faticato a rintracciare in ciascun indagine un suggerimento pronunciato con apparente noncuranza dal piccoletto.
-Chi diavolo è questo bambino?- aveva realizzato senza neppure accorgersene, scrutandolo sconcertato issare la schiena per tornare in posizione eretta e correre verso la sua scrivania.
L’aveva osservato afferrare la busta di carta con all’interno le foto del suo ultimo pedinamento, rovesciarla sul tavolino e comparare le immagini immortalate con occhi attenti, vispi, che guizzavano da un foglietto all’altro con la certezza di chi sa quello che fa.
Non gli era parso un bambino, allora; gli aveva dato l’impressione di un professionista.
Il cuore aveva preso a tamburellargli con violenza nel petto, in preda a una presa di coscienza che perdeva assurdità per assumere ragionevolezza.
L’attimo successivo Conan muoveva convulsamente le mani a terra, cercando di raccogliere velocemente tutte le foto che aveva fatto cadere sul pavimento di marmo: le dita toccavano la superficie delle fotografie senza grazia, segno evidente che il moretto non si curava di poter rovinarle con le impronte digitali.
Ma quale professionista? Immediatamente il battito cardiaco di Kogoro si era regolato, tornando a battere la normale pulsazione: tirando un sospiro di sollievo, certo non poteva ricondurre quella mancanza di professionalità di Shinichi all’esigenza di nascondersi, alla consapevolezza che mostrarsi troppo sveglio avrebbe suscitato il sospetto.
D’allora in poi, i suggerimenti di Conan gli erano parsi più radi. Spesso risolveva il caso da solo, credeva:  Shinichi aveva preso l’abitudine d’addormentarlo frequentemente, optando per la scelta meno faticosa…riuscire a portarlo sulla giusta strada era snervante! Ricorrere al farfallino e all’orologio, piuttosto, risultava più facile e neppure troppo rischioso: Mouri non accennava a interrogarsi sulle ragioni della sua sonnolenza improvvisa e della successiva dimenticanza delle indagini. Il successo e in buona parte il denaro delle commesse avevano contribuito a vanificare ogni suo sospetto e il dubbio circa l’identità del bambino non gli aveva più attraversato la mente.
Eppure Kogoro non aveva perso, insieme al talento investigativo, il senso di giustizia, l’ardore da ex poliziotto: non sopportava le malefatte, non tollerava i crimini! Non c’era ingiustizia che lo lasciasse indifferente: Shinichi l’aveva capito quando, in quel vecchio albergo in mezzo ai monti, l’aveva rincorso per vederlo battere il pugno chiuso contro il muro.*
“Chiudi quella boccaccia, ti ho detto di non intrometterti!” l’aveva rimbeccato, rude “Sciocchi! Ma a chi vogliono darla a bere? L’assassino si sarebbe introdotto dall’esterno? No: l’omicida è uno di loro e questo significa che a commettere l’omicidio è stato uno dei miei migliori amici! Non so ancora chi sia, né quale trucco abbia usato, ma di una cosa sono sicuro: le sue ore sono contate!”
Quella volta non l’aveva addormentato.
E Chika Kiichi pretendeva di metterlo a tacere? Non sapeva chi aveva davanti. Forse non avrebbe risolto l’indagine –anzi, sicuramente non ci sarebbe riuscito- ma non avrebbe mai permesso che le inchieste fossero tralasciate, tre potenziali delitti occultati.
Il detective dormiente, già in tenuta da notte, era sdraiato sul suo tatami e rifletteva sul da farsi mentre la figlia sistemava la loro roba nelle valigie.
“Io ho trovato quella storia agghiacciante.” Gli confessò lei, piegando con attenzione un maglione di lana.
“E’ solo una stupida leggenda, Ran!” le ripetè per la seconda volta, sbraitando: cominciava davvero ad innervosirsi! Ma cos’avevano tutti quella sera?
“Lo so, papà…ma ti ricordi che io ho paura dei fantasmi, no? Quei tre sembrano così spaventati…”
“Sono degli stupidi!” proruppe l’ex poliziotto, chiudendo gli occhi.
“La questione non è affatto chiusa!” Decretò.
No, non avrebbe permesso che quella follia proseguisse indomata.
Ran storse la bocca, preoccupata. Adagiandosi sul materasso mentre suo padre spegneva la luce, prese il cellulare tra le mani, sospirando delusa quando vide che non c’era campo.
-Se solo potessi contattare Shinichi…- pensò, girandosi su un fianco –Lui saprebbe cosa fare…-
Ma prima ancora di dedicare qualche momento al ricordo del suo amico d’infanzia la stanchezza ebbe il sopravvento, e s’addormentò.
 
§§§
 
Aveva trascorso tutta la notte a rimuginare su quella faccenda, e non aveva trovato un solo tassello logico nella questione; l’unica considerazione possibile che poteva estrapolarsi da quella diceria era che tutte e tre le vittime avevano perso la vita durante la notte, e nei pressi del lago.
Sebbene fossero passati due anni, forse un sopralluogo avrebbe giovato: questa l’idea che l’aveva spinto ad alzarsi all’alba, ed incamminarsi di buon ora. Durante il tragitto, tuttavia, aveva incontrato Ran, preoccupata per l’assenza di suo padre: si era svegliata e non l’aveva trovato in camera.
Immediatamente Shinichi aveva compreso dove fosse andato, e dopo qualche minuto entrambi erano sulla via della centrale di polizia, dove effettivamente avevano rintracciato Mouri.
Da lontano, lo scorsero discutere con il poliziotto conosciuto la sera precedente.
“Cosa si staranno dicendo?” chiese lei a voce alta, forse parlando più con se stessa che con Conan.
Il detective bambino non seppe risponderle, ma nutriva la stessa curiosità; quindi sfuggì alla presa della ragazza, trotterellando nella loro direzione.
“Ehy! Torna indietro!” lo richiamò lei, inseguendolo.
Quando lo riacciuffò, erano abbastanza vicini da poter udire il discorso dei due uomini.
“Senta” stava dicendo il poliziotto “Le dirò la verità soltanto perché mi ha davvero seccato. Quelle tre persone, probabilmente, sono state attaccate da un animale feroce, visto che hanno avuto l’ardire di inoltrarsi da soli, e disarmati, nel bosco o sulla riva del lago di notte. Quella bestia li ha aggrediti e sbranati. Crede sia necessario un’autopsia, un’indagine per arrivare a questo? Ma questa storia di Ade tranquillizza la popolazione: non appena si era sparsa la voce della morte di quei tre, erano tutti in preda al panico, la situazione generale rischiava di capitolare. Invece, lasciando che la leggenda dello spirito si alimentasse, gli abitanti di quest’isola si sono tranquillizzati  portando in dono un po’ di frutta e facendo ardere dell’incenso ai piedi di quella statua, al tempio.”
-Ecco perché il vecchio puzzava d’incenso…- comprese Conan, ritornando con la mente alla sera precedente.
“Bisogna mantenere l’equilibrio: è questo il compito della polizia. Un detective cosa vuole saperne?” concluse Chika.
“E i segni dell’aggressione?”
La vocetta di Conan attirò gli occhi di tutti più in basso.
“Se  un animale li ha aggrediti, sui corpi dovrebbero essere presenti tracce della lotta.” Spiegò cercando di parlare con voce infantile.
Kogoro era troppo preso per notare che, nuovamente, era un suo suggerimento a sbloccare la situazione.
“E’ vero!” esclamò dunque battendo il pugno chiuso sul palmo della mano “Debbono essersi difesi e aver combattuto contro l’animale!”
Il piccolo annuì:
“Inoltre, un animale feroce solitamente butta a terra le sue prede, graffiandole su tutto il corpo e al limite, mordendola.”
Kogoro, spronato dalle affermazione del bambino che sembravano aver messo in difficoltà Chika, incalzò:  “A questo serviva l’autopsia!”
Preso in contropiede, Kiichi non trovò modo migliore di replicare che passare al contrattacco:
“Sta dunque sostenendo che io avrei volutamente occultato le prove dell’incidente. Oppure mette in dubbio il mio operato?”
L’uomo battè più volte le palpebre, sorpreso.
“No, non intendevo dire questo, è che…”
“Ah, no? Allora cosa insinua? Lei è venuto qui per sottopormi ad un interrogatorio. Creda che io sia coinvolto in qualcosa di losco?”
Kogoro negò nuovamente, ma non servì a nulla: il poliziotto aveva in mente qualcosa.
E Conan comprese subito cosa.
-Accidenti!- imprecò, maledicendo la testardaggine di quel poliziotto.
“Bene. Di cosa preferisce che io l’accusi, signore? Diffamazione o incitazione al disturbo dell’equilibrio pubblico?”
Ran afferrò Conan per le spalle, presagendo l’esito della conversazione: Kogoro era in trappola. Non aveva a disposizione la collaborazione della polizia, anzi: non poteva aprire le indagini se non deviando dai sentieri della legalità.
 
***
Precisazioni:
(…) accaduto pochi mesi prima: simpatico siparietto ConanxAi dell’episodio 598, numerazione giapponese.
(…) il bagno con te come l’altra volta!: episodio 28, numerazione giapponese (In Italia, episodio intitolato Gita nel Mistero).
(…) spalliera del divano: episodio 39, numerazione giapponese (In Italia, episodio intitolato Amico del Cuore).
(…) pugno chiuso contro il muro: di nuovo episodio 28.
 
***
 



Note dell’autrice: Molto bene, eccoci qui. Mi rendo conto che questo capitolo sia un po’ troppo dialogato, ma era necessario per entrare nel vivo della storia –inoltre, questo stile è il mio vizio, trovo molto difficile evitarlo. Queste sono le basi della vicenda: cosa ne pensate? Certo, la trama è ben diversa da quella di Un Silenzio Controproducente:  stavolta ho voluto dedicarmi a qualcosa di più ‘mistico’ anche se tradizionale quanto un serial killer temibile. La differenza sta nel fatto che, mentre per la serie di omicidi dell’altra fic avevo preso spunto da un caso del manga, in questa circostanza ho cercato di elaborare un’indagine originale e quindi non ho idea di cosa verrà fuori. Come avevo già avuto modo di sottolineare in passato, non sono troppo brava in questo genere di  cose. Mi auguro davvero che la stori vi interessi e che vorrete leggere i prossimi aggiornamenti.
Spero di poter raggiungere buoni risultati, come per Un Silenzio; non vorrei davvero essere deludente.
Qualcuno di voi penserà che io odi la polizia, visto che in entrambe le storie presento degli agenti un po’ antipatici XD La verità è che mi piace creare delle situazioni di scontro tra Conan (in questo caso, anche Kogoro) e un possibile rivale che mette i bastoni tra le ruote; nell’altro caso mi sono concentrata soprattutto sull’aspetto sentimentale, anche se Ishimaru Michiyo rappresentava un opponente di Shinichi anche in campo investigativo. Stavolta, credo che presterò maggiore attenzione alla sfera professionale, anche se non mancheranno neppure le tematiche amorose: oramai credo sappiate che sono una ShinRan convinta ed esaltata dalla London Confession.
Grazie di cuore a tutti coloro che hanno commentato:

Roxina, Rob, aoko_90, Hoshi Kudo, Kaori_.
Un bacio e alla prossima!
XXX Cavy-chan XXX




Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Liceale Detective ***


Capitolo Secondo
Liceale Detective





Ran sbuffò un sospiro dalle labbra, immergendosi sino alle spalle nell’acqua bollente: quel pomeriggio aveva deciso di provare il bagno caldo, ed accantonare per un po’ la piscina fredda tanto lodata dalla signora Kakeshi.
“La pelle respira molto meglio, percepirai nitidamente il refrigerio!”
Sì, poteva darsi: ma neppure quel bagno temperato le dispiaceva troppo! Assorbendo il calore dell’acqua Ran ritemprava un po’ lo spirito, distraendo per breve tempo l’attenzione da quella strana situazione: quando il poliziotto Chika Kiichi aveva praticamente minacciato suo padre perché non cercasse d’avviare delle indagini, lei lo aveva visto gonfiare le guance come per rispondere qualcosa, ma nessuna parola era fuoriuscita dalle sue labbra. Quel pomeriggio aveva raccomandato a Conan di convincerlo a trascorrere un po’ di tempo alle terme, ma senza alcun risultato: il fratellino le aveva riferito che, senza dargli alcuna risposta, gli aveva voltato le spalle ed era uscito dalla pensione diretto chissà dove.
“L’acqua è troppo calda per te, Ai-chan?” domandò alla bambina accanto a lei, poiché l’aveva sentita muovere le gambe tra le piccole onde.
Lei scosse il capo: che fine aveva fatto Kudo?
Quando le aveva raccontato, quella stessa mattina, quanto accaduto alla centrale di polizia aveva scorto un’ombra di preoccupazione attraversare i suoi occhi: ma non si era abbandonato alle emozioni in alcun modo. Né una parola di sconforto, né una lamentela: semplicemente, aveva spiegato con calma gli eventi che, velocemente, si erano susseguiti coinvolgendo i due detective in una spirale di impotenza, e poi aveva taciuto. Per un attimo, era stata in silenzio anche lei; poi gli aveva rivolto un sorriso:
“E tu cosa intendi fare?”
Aveva sorriso anche lui e neppure un piccolo segno d’esitazione era comparso a contrarre quel volto serio da bambino:
“Avviare le indagini, naturalmente.”
Haibara sospirò, gli occhi ridotti a due fessure.
“Davvero tuo padre è un detective?” la squillante voce di Kyoko fece voltare le due ragazze immerse nell’acqua: la giovane sedicenne teneva con una mano l’asciugamano all’altezza del seno, i capelli raccolti in uno chignon.
Ran si poggiò una mano sul petto, sospirando: non l’aveva sentita arrivare!
Annuì: “Sì, a Tokyo è famoso come Kogoro il Dormiente!” esclamò con entusiasmo.
“Non avevo dubbi.” Rispose quella, lasciando che le labbra s’incurvassero in un sorriso ironico “Tutti i detective sono talmente indolenti da sembrare addormentati!”
Gli occhi della karateka si tramutarono in due puntini: “C-cosa? No!” s’affrettò a spiegarle “E’ soprannominato così perché ogni volta che risolve un caso finge di dormire, sedendosi o poggiando la schiena contro il muro!”
Fu la signorina Kakeshi a stupirsi: “E che razza di tecnica sarebbe?”
Ai nascose un sorrisetto con l’ausilio del vapore acqueo.
“Beh…in effetti non è nella norma…” rise, allegra “Però papà ha risolto molti casi, in questo modo.”
Haibara sorrise ancora.
“Peccato! Quando ti ho vista arrivare ieri sera, dalla finestra della mia camera, mi sembravi simpatica…e poi credo che tu abbia circa la mia stessa età.”
Kyoko immerse una gamba nell’acqua rivolgendo il naso verso l’alto, con aria saccente.
“…non…non capisco il nesso…” esitò la giovane Mouri, mentre l’altra scendeva completamente nella vasca, posizionandosi di fronte a lei.
“A me non piacciono gli investigatori!” tuonò, aprendo di scatto gli occhi “Quindi non posso essere amica della figlia di uno di loro!”
Haibara alzò un sopracciglio, girandosi per la prima volta a guardarla; Ran invece le chiese la ragione di tanto astio.
Lei non replicò.
“Non ti fidi dei detective, forse?” la incitò a rispondere, sporgendosi leggermente nella sua direzione.
L’adolescente scrollò le spalle, evitando il suo sguardo.
Ran, in tutta risposta, ridacchiò.
“Scusami.” S’affrettò a dirle quando lei la guardò stupita.
“Prendimi, prendimi in giro. Io so quello che dico!” si difese, pensando d’essere motivo della risata della sua ospite.
“Ma no, ti chiedo scusa!” insistette lei “E’ solo che mi pare evidente che non reputi i detective degni di nota.” Sprofondò nell’acqua sino alla gola, e le sue guance iniziarono a colorarsi di un rossore non dovuto solamente al calore del vapore.
“Mio padre, effettivamente, forse non ispira tanta fiducia a prima vista…è un peccato che lui non sia qui. Sarebbe riuscito subito a farti cambiare idea.”
Haibara diede loro le spalle, lasciando che la frangetta le coprisse gli occhi.
“Di chi parli?” Ran era riuscita a catturare l’attenzione di Kyoko.
“Di Shinichi Kudo.” Rispose tutto d’un fiato “Ne hai mai sentito parlare?”
La giovane scosse la testa.
“Se è un altro detective, preferisco non sapere chi sia.”
“Sì, è un investigatore…ma credimi, se fosse qui cambieresti subito idea. Lui…”
Il rumore di gocce d’acqua che si ricongiungono alle onde la fece interrompere:
“Vai via, Ai-chan?”
La bimba si era infatti alzata.
“Inizio a sentire troppo caldo.” Rispose, senza rivolgerle troppa attenzione “Ma non preoccuparti, tu resta pure.” E si dileguò in un attimo, senza far alcun rumore.
“Sei una sua fan?” le domandò Kyoko, riprendendo quel discorso.
“In realtà lui è un mio amico. Ha diciassette anni, come me. Ma è molto bravo, risolve qualunque caso gli venga proposto. Per questo ora si trova da qualche parte, forse all’estero, impegnato in un’inchiesta difficile…” la sua voce tradì una vena di tristezza.
“Impossibile!” decretò, alzando il pugno in aria “I detective non sono brava gente! E se sono abili, sono cattivi.”
Ran scosse il capo, seria: “No, Kyoko. Ti sbagli. Shinichi è bravissimo, e non è affatto cattivo.”
Lo assicurò senza la minima esitazione, richiamando alla mente il volto affascinante dell’investigatore di cui era innamorata.
“E’ il tuo ragazzo?” Sulla bocca della giovane s’era disegnato un ghigno malizioso.
“No!” rispose avvampando Ran, agitando entrambe le mani “Lui…noi…”
Le parole che Shinichi le aveva pronunciato a Londra le tornarono in mente, forti e audaci nonostante fossero state dette con imbarazzo e rossore a incorniciare il volto.
“Il cuore della donna che amo…come potrebbe essere oggetto di deduzione?”
“Sei simpatica, Ran-san. Mi dispiace che tuo padre e il tuo ragazzo siano detective.” Ammise, sbuffando.
“Lui…non è esattamente il mio ragazzo. E’ un mio amico.” Già: perché da amico divenisse fidanzato, era necessario che lei rispondesse alla sua dichiarazione; e per il momento, non ne aveva voglia. Credeva d’essere stata lei a spingerlo a quella confessione, che lui non avrebbe mai deciso di rivelarle i suoi sentimenti se non costretto da quella folle corsa per le vie di Londra. E se fosse stato un discorso avventato? Tutto s’era svolto troppo in fretta, quasi violentemente. La meravigliosa sensazione provata, come se si trovasse in una profumata bolla di sapone, rischiava di venire meno, esplodere in tante mille goccioline se avesse risposto alla sua dichiarazione facendo un passo falso, equivocando le sue parole, confondendo i suoi gesti e le sue intenzioni. Per di più, non avrebbe saputo cosa dire: come riprendere il discorso? Era trascorso molto tempo.
“Ah, sai, Shinichi? Ah proposito di quel che mi hai detto, anche tu mi piaci.” E poi?
Cosa s’aspettava?
Sonoko le aveva descritto uno Shinichi disperato al pensiero d’essere stato rifiutato, un uomo a pezzi che non avrebbe saputo dove sbattere la testa; in realtà, quel dipinto non rappresentava affatto il carattere del detective, che invece era forte, sicuro. Non avrebbe mai reagito a quel modo, come non avrebbe mai reagito a una sua replica saltandole al collo per baciarla.
Baciarla? Aveva davvero immaginato che Shinichi…?
Divenne ancora più rossa, immergendo il mento nell’acqua per raffreddare le guance, dimenticando che l’acqua fosse bollente.
L’aveva sognato, sperato, forse. Ma doveva ancora scoprire molte cose, rivelarne tante altre…perché Shinichi non le aveva detto d’essere a Londra, tanto per cominciare? Se l’amava, avrebbe dovuto essere ben lieto di trascorrere del tempo con lei. Eppure non si era rivelato se non per sbaglio - “E’ il Big Ben qui, Ran!” l’aveva tradito- e non le si era mostrato se non quando lei l’aveva inseguito: questa stranezza nel suo comportamento costituiva l'ostacolo ed il freno più grande alla sua replica. Non riusciva a comprenderne le motivazioni e per questo le temeva.
Quelle circostanze non le permettevano di prevedere un bacio tra loro, anche se le sarebbe tanto piaciuto; solo pensare di sapere Shinichi suo e di nessun’altro, quando tanti notti insonni aveva trascorso divorata dalla gelosia per possibili ammiratrici che, ovunque si trovasse, avrebbero potuto ammaliarlo, era folle, ma straordinario.
“E non mi dispiace affatto che siano detective.” Riprese il discorso da dove l’aveva interrotto: i suoi pensieri, estremamente contorti, s’erano accavallati l’uno sull’altro nel giro di pochi secondi.
“Ma anche tu mi sei simpatica. Perché non mi mostri il villaggio?”
Il sorriso di Kyoko le fece comprendere che la giovane aveva ceduto.

§§§

Alzò un sopracciglio, rivolgendogli uno sguardo stupito, e non rispose. Lui fissò i suoi occhi, cercando di leggervi la replica da sé, cogliendo un guizzo di consapevolezza o incertezza, un dubbio o una conoscenza, ma quelli rimasero fermi, puntati sul suo volto inquisitorio.
Non fu capace di dedurre nulla, perciò dovette porgere nuovamente la domanda, cercando di spiegarsi meglio: cercò però di rimanere piuttosto vago, conservando per sé le informazioni più interessanti.
Per la seconda volta, non arrivò una risposta fatta di parole; al contrario, un’espressione furba si fece largo su quel bel volto, gli occhi che brillavano come quelli d’una gazza ladra che scopre il nascondiglio di una gemma.
“Di cosa ti stai occupando? E’ così che perdi tempo?” Nonostante il tono di voce suonasse canzonatorio, ebbe l’impressione di captare anche un rimprovero dal sapore severo.
“Mi sembrava ti fossi proposto tu stesso per…”
“E’ quello che sto facendo.” Ma si morse la lingua non appena ebbe parlato; interrompendo la sua frase, aveva mostrato d’essere stato preso in contropiede, reagendo di scatto come gli occhi saettanti di chi, all’angolo, cerca una via di fuga.
E poi, raramente qualcuno osava interrompere i suoi discorsi.
Ciò nonostante, tenne alto il suo sguardo.
“Credo che abbia a che fare con questo.” Si riprese, sorridendo lievemente.
Sospirò, senza rispondere ancora alla sua domanda.
Lui assottigliò gli occhi, optando per la via meno dignitosa ma sicuramente più fruttuosa.
“Mi avevi chiesto di farti una promessa, mi sembra. E mi sembra d’averla mantenuta.”
A queste parole, si voltò nuovamente nella sua direzione.
“Ti sto solo chiedendo di ricambiarmi il favore. Devi solo rispondere a questa domanda, niente di più.”
Tra le righe, aveva insinuato una minaccia: “Faccio ancora in tempo a sciogliere i patti, se voglio.” Era ciò che non aveva detto ma aveva lasciato intendere. Pensò di aver sortito un qualche effetto, di vedere sul suo volto un’espressione seria; invece quel suo sorriso non traballò neppure per un istante ed anzi, se possibile divenne più vistoso.
“Ohhh…” cantilenò, la fermezza d’una statua “Ti interessa molto, si direbbe.”
E ancora non si decideva a rispondere.
L’uomo sorrise mentalmente: -Tendo a dimenticare troppo spesso la sua caparbietà…-
“Perché? Cos’hai scoperto?”
Oh, ecco il punto!
“Qualcosa d’interessante?” insistette. E allora, soltanto allora, anche se per un attimo, una luce attraversò quegli occhi di ghiaccio celeste.
Lui pensò erroneamente che fosse interesse.
“Non ne sono ancora sicuro, e non vorrei farti perdere tempo.” Ripetè le sue stesse parole, allo stesso modo tenace. “Ma non appena avrò qualcosa di certo, sarai la prima persona a cui lo dirò. Forse l’unica.” Aggiunse, con voce più bassa.
“Mi capisci, vero?” tentò quell’ultima carta di persuasione che poteva giocarsi “Cosa si prova quando si scopre che le conclusioni che avevi dedotto sono corrette.”
Finalmente, si sorrisero.

§§§


Quando uscì dal bagno insieme a Kyoko, erano quasi le sette di sera.
-Ma che fine avrà fatto papà?- si chiese, stringendosi nel chimono blu.
“Dopo cena allora facciamo un giro in piazza?” si offrì Kyoko, vestendo con disinvoltura un chimono di una taglia più piccola, piuttosto succinto.
Ran tentennò.
“Ahhh! Figlia di detective, ma ragazza come tutte le altre, non è vero? Hai paura del Vecchio!” la prese in giro la ragazza, additandola.
“Non devi avere paura!” si affrettò a rassicurarla, quando la vide arrossire leggermente: “Se non ci spingiamo fuori dal centro del paese, non succederà nulla!”
“Che cosa? Un altro detective?!” la voce concitata del signor Ikku, padre di Kyoko e proprietario della pensione, interruppe quella piccola lite.
-D-detective?!- constatò Ran, avvampando. Che le sue speranze…?
Immediatamente iniziò a correre verso la reception, seguita a ruota dalla giovane nuova amica.
“Ehy, Ran-san!”
Per la fretta di raggiungere il luogo da cui provenivano quelle voci non calzò neppure le ciabatte leggere che aveva lasciato di fronte alla porta della sua camera: in un attimo fu alle scale. I piedi nudi battevano violentemente sui gradini di legno, mescolando lo scricchiolio delle assi al rumore causato dall’impatto tra la pelle candida e il pavimento.
Raggiunse il primo piano.
Le voci si facevano più chiare, meno lontane.
“Se sei venuto per portare guai, sparisci! Se qualche curioso inizia a ficcare il naso, Ade s’arrabbierà e inizierà di nuovo a soffiare sulla città!” stava gridando l’uomo.
L’asciugamano di cotone leggero posto attorno al collo, perché i capelli bagnati non colassero sul colletto del kimono, cadde a terra con un fruscio appena udibile, ma lei non si fermò di certo a raccoglierlo: scese le scale saltando due gradini alla volta, reggendosi saldamente al corrimano.
-Shinichi!- lo chiamò mentalmente, già figurandosi la sagoma del ragazzo davanti agli occhi.
Raggiunse il piano terra.
Le bastava svoltare l’angolo per arrivare alla reception.
“Senta, facciamo così: per il momento, si limiti a darmi una camera!”
Sentì chiaramente il detective pronunciare queste parole con tono perentorio, e arrestò la sua corsa.
Aveva il fiatone, e il cuore batteva forte per la corsa.
Sul viso era dipinta un’espressione di disillusione.
“Alle domande che devo farle, penseremo dopo!”
Ran l’aveva riconosciuto subito: Kansai-ben!*

§§§

Non appena il poliziotto aveva cessato la sua apologia delle tecniche utilizzate dalla forze dell’ordine per mantenere l’equilibrio sull’isola, Conan aveva preso la decisione di controllare attentamente la periferia, le case nascoste dalla campagna, il lago.
Cercando di sottrarsi al controllo di Ran, dunque, aveva repentinamente intrapreso la via secondaria per raggiungere il bosco.
Per un circa un chilometro aveva trovato case, poste l’una accanto all’altra, ai due lati della strada: ogni proprietà era circondata da un giardino ben tenuto oppure un piccolo pezzo di terra ben coltivato; un contadino, che Conan aveva trovato indubbiamente d’altri tempi – Ma quest’isola è ferma a cinquant’anni fa? Aveva pensato con un gocciolone sulla testa- gli aveva offerto una mela del suo albero, una donna seduta a ricamare un tessuto di lana davanti la porta di casa alcuni chicchi d’uva.
Ma inoltrandosi maggiormente le case erano divenute più rade e le persone più fredde.
Un uomo con i baffi, dalla finestra, l’aveva chiamato:
“Dove stai andando? E’ pericoloso girare da solo a quest’ora.”
Conan aveva capito di essere vicino al lago.
“Sto tornando a casa, da mia nonna! Non sono di qui, sono solo venuto a trovarla e così mi sono perso!”
Con una scusa inventata rapidamente se l’era cavata.
Poi aveva raggiunto un bivio: lanciando un’occhiata scorse tre enormi ville, molto distanziate tra loro, immerse nei campi. A sinistra, un edificio cadente, coperto per metà da foglie d’edera che erano cresciute avviluppandosi attorno ai mattoni, e alberi fitti.
“Signore, mi scusi!” aveva richiamato l’attenzione di un autista che aveva rallentato all’incrocio per svoltare “Come raggiungo il lago?”
Gli occhi del ragazzo l’avevano indotto ad aggiungere velocemente: “Lo uso come punto di riferimento per ritrovare casa di mia nonna, mi perdo sempre!”
-Cosa mi tocca fare…- compatì se stesso, mentre rideva infantilmente, strofinandosi una mano sulla nuca.
Dal sedile posteriore spuntò la testa di una donna: “Chi è tua nonna, piccolo?”
Il finto bambino esitò.
-Ahi ahi…-
“A quest’ora è tardi per passeggiare. Ti diamo un passaggio noi!” gli sorrise, ricevendo un segno d’assenso dall’uomo al volante.
“Ma certo! Dimmi dove devi andare.”
Conan ridacchiò, ritrovandosi con le spalle al muro.
“Beh…se è così tardi, forse disturberei la nonna.” Mentì, salendo in macchina. “Andrò da lei domani. Potete riportarmi da mio papà? Alloggiamo alla pensione in centro.”
Il tragitto in automobile, oltre ogni previsione, non fu completamente inutile: fingendo d’essere nipote di una donna del posto, Conan raccontò ai due paesani d’aver sentito parlare di Ade e di essere stato al tempio, dove c’era la sua statua; riuscì così ad ottenere qualche dettaglio in più rispetto alle informazioni che aveva raccolto sino ad allora: la signora tanto premurosa era stata, infatti, cuoca alla pensione per qualche tempo ed aveva conosciuto personalmente il poliziotto caduto durante l’indagine. Gli rivelò che il corpo dell’agente, arrivato da Nagoya*, era stato ritrovato sulla strada non asfaltata che portava al lago; una giovane che alloggiava nella pensione si era per caso imbattuta in lui, e l’aveva portato nella sua stanza, dove aveva cercato inutilmente di curarlo.
“Perché non l’ha portato all’ospedale?” domandò Conan, cercando di resistere agli sbalzi delle ruote su quella strada piena di buche.
“L’ospedale è stato chiuso da molto tempo, perché siamo rimasti davvero in pochi a vivere qui. C’è solo l’ambulatorio medico, ma quel giorno il dottore non era di turno. La ragazza voleva farlo ricoverare, ma era necessario aspettare che passasse il battello per salpare; nel frattempo, aveva deciso di occuparsene lei.” La signora portò una mano al mento, nello sforzo di ricordare:
“Era una bella ragazza, aveva i capelli castani…”
“Che fine ha fatto?” l’aspetto da bambino lasciava il posto all’anima da investigatore.
“ Partì il giorno dopo. Era venuta qui in vacanza, dopotutto. Poverina!”
Allora fu l’autista a parlare:
“Ma tu sei parente anche di quel ragazzo dalla pelle scura, piccolo?”
Conan storse il naso.
“Un ragazzo con l’accento strano si è aggirato per la strada per un po’, curiosando intorno. Poi ci ha fatto le stesse domande che ci hai fatto tu ora.” Gli disse, guardandolo attraverso lo specchietto retrovisore.
Shinichi sbuffò attraverso le labbra di Conan Edogawa.


§§§

“Hattori!”
Svoltato l’angolo, Ran si ritrovò di fronte alla figura del Detective dell’Ovest: era appoggiato con un braccio al bancone della reception e teneva sulla spalla la sua borsa cilindrica. Gli occhi erano ridotti a due fessure e a giudicare dal tono di voce con cui si era rivolto a Kakeshi, davanti a lui, non sembrava di buon umore.
Lo sguardo di Ran volò sulla figura al suo fianco, una ragazza con un vestitino corto ed i capelli legati in una coda di cavallo.
“E Kazuha-chan!”
I due ragazzi di Osaka si voltarono, strabuzzando gli occhi sorpresi quando la videro.
“Ran-chan!” la salutò affettuosamente lei, prendendole le mani “Che bello vederti!”
Heiji le sorrise.
“Non dirmi che sei sola!” si guardò intorno, sperando di scorgere la figura del piccoletto che da qualche tempo a quella parte aveva scoperto essere Shinichi Kudo.
La karateka scosse la testa: “Sono con Ai, mio padre e Conan. Ma non so che fine abbiano fatto quei due!” si passò una mano tra i capelli, a mo’ di scusa.
Le parve inutile chiedere loro perché si trovassero lì, quindi si limitò a sorridere cordialmente.
“Quanti detective conosci esattamente?” La voce di Kyoko li raggiunse “Di minuto in minuto aumentano in maniera esponenziale.” Affermò, e la voce non parve né a Kazuha né ad Heiji gioviale.
“Ma si può sapere che avete contro i detective?” sbraitò il ragazzo dalla pelle scura con lo scarso garbo che lo caratterizzava.
La ragazza si tirò un occhio con l’indice e poi gli fece la linguaccia, nascondendosi dietro il corpo di Ran.
Hattori strinse in aria il pugno, mentre Kazuha cercava di calmarlo:
“Andiamo, Heiji! Non ti arrabbiare!”
“Se volete una stanza, vi accontento.” Il signor Ikku mise fine alla breve rimpatriata “Ma non risponderò a nessuna domanda.”
Heiji fece ancora una volta per replicare con poca gentilezza, ma la figlia del capo della polizia fu più veloce: “Se fosse possibile, noi vorremo due stanze!” Agitò una mano davanti alla faccia un po’ rossa “Non ho alcuna intenzione di dormire con questo!”
Ran ridacchiò, il detective lasciò un sopracciglio tremolare: “Kazuha…”
La sua pazienza aveva un limite, non difficile da superare, peraltro. E quei pochi minuti trascorsi lì avevano esaurito la sua già scarsa tolleranza.
“Due camere sono disponibili. Kyoko!” La chiamò, un tono che non ammetteva repliche “Accompagnali nella 222 e nella 330, la cena sarà servita alle venti e trenta.”


§§§

Kogoro e Conan s’incontrarono fortuitamente di fronte all’entrata della pensione.
“Chi erano quelli, moccioso?” gli domandò il detective più grande, accennando con il capo all’automobile che correva via, oltre la collina.
“Nessuno, nessuno!” gli assicurò, incamminandosi al suo fianco.
“Vedi di non combinare guai, moccioso! Se succede qualche altra cosa fuori programma, impazzisco!”
Il bimbo oltrepassò la soglia con uno sguardo furbo: “Non dirlo due volte, Ojii-san!”
Mouri non fece in tempo a chiedergli spiegazioni che una voce attirò il suo sguardo al tavolo della cena: accanto alla figlia, due ragazzi inginocchiati sul tatami lo salutavano con la mano alzata e un sorriso a trentadue denti disegnato sulle labbra.

§§§

“Ecco il suo the, signorina.” Izuomi pose la tazza di fronte a Kazuha, che la ringraziò con un largo sorriso. Durante la cena non avevano avuto modo di parlare approfonditamente poiché sedevano allo stesso tavolo dei tre proprietari della pensione, poco propensi a certi discorsi; si erano pertanto limitati a chiacchiere di poco conto, come le ultime partite di baseball o i nuovi costumi del takarazuka*.
Terminato il pasto si erano trattenuti nel giardino posteriore dell’edificio: le luci delle città oltremare erano visibili all’orizzonte ed offrivano un vasto e meraviglioso panorama ai quattro giovani e all’uomo con loro.
Rimasti soli, finalmente erano liberi di affrontare l’argomento.
“Anche tu sei qui per quella sciocca leggenda, non è vero?” Kogoro ruppe il ghiaccio, rivolgendogli un’occhiata eloquente.
Hattori annuì: “Esatto. Un’amica di mia madre venne qui in vacanza un po’ di tempo fa e sentì parlare di questa superstizione senza capo né coda…all’inizio non ci fece caso, ma quando scoprì che la polizia sembrava dare adito all’esistenza dello spirito, chiese a mia madre di mandare papà a controllare. Questi erano i piani, in effetti, ma all’improvviso un uomo la cui cattura era avvenuta grazie a lui è evaso, ed ovviamente ora l’incarico di riacchiapparlo spetta a lui. Perciò, sono venuto io…” quindi si rivolse alla ragazza al suo fianco “…e questa qui mi ha seguito!”
“Che dici, Heiji?” lo rimbeccò lui, dimentica della presenza degli atri tre. “Sono venuta qui per controllarti ed aiutarti!”
“L’unica cosa che ti interessa sono le acque termali...” quella battuta pronunciata a mezza bocca gli valse un pizzicotto sul braccio.
“Zitto!” Ma Kazuha era arrossita.
Conan si schiarì la voce, riportando Hattori nel vivo del discorso: “Ad ogni modo, che avete scoperto voi? Confrontiamo le notizie!”
La reazione mogia dei tre abitanti di Tokyo li sbigottì.
Ascoltarono con attenzione il resoconto della sera precedente, dalla leggenda che la famiglia Kakeshi aveva riferito loro all’incontro poco cordiale con il poliziotto con più gradi, Chika Kiichi. Heiji volse lo sguardo al suo miglior collega, e comprese subito che c’era dell’altro oltre a ciò che Mouri aveva raccontato.
Con un tacito assenso convennero di discutere meglio in solitudine.

A notte inoltrata, tre forti battiti contro la porta fecero alzare Conan di soprassalto; non stava dormendo, ma sdraiato sul suo futon rifletteva intensamente, mentre Ai osservava distrattamente un quiz a premi alla televisione.
“Arriva la cavalleria a dar man forte ai soldati in battaglia.” Commentò ironica, seguendo la piccola sagoma scocciata del bambino.
Aperta la porta, Heiji Hattori lo guardò da capo a piedi: “Oh, indossi la maglietta?” lo salutò, scrutandolo dall’alto in basso.
Conan seguì i suoi occhi, monitorando la maglia bianca e i pantaloncini da ginnastica che utilizzava come pigiama: in realtà in valigia aveva una reale tenuta da notte, ma non gli pareva il caso d’indossarla davanti ad Haibara.
“Come credi che io dorma?” lo rimbeccò, facendosi da parte per lasciarlo entrare.
“Con un bellissimo pigiamino con i coccodrillini!” ridacchiò, compiacendosi da solo della battuta.
“Guarda che non ti faccio entrare…” lo minacciò, entrambe le sopracciglia tremanti.
“Non ti piacciono i coccodrilli? Scusa piccolino, forse sei più tipo da robottini, vero?” insistette, richiudendosi la porta alle spalle. Lui indossava dei pantaloni lunghi, probabilmente di una tuta, e una canottiera nera.
Il detective di Tokyo sospirò, per poi udire il commento di Haibara:
“Avete intenzione di tubare così tutto il tempo?”
Solo in quel momento Heiji rammentò la presenza della bambina.
“Tu sei la ragazzina che vive con il vecchietto, vero?” si avvicinò a lei, porgendole la mano “Abbiamo parlato al telefono in occasione del caso dello Shiragami!”*
Ai non si girò neppure a guardarlo, lasciandolo con la mano sospesa in aria: “Sì, mi ricordo di te. Sei quello che s’è travestito da Kudo al festival del ritorno disperato.”*
Hattori mosse le dita, un po’ a disagio: “Ahm…esatto…” ritirò la mano, tornando a rivolgersi a Shinichi:
“Come mai siete nella stessa stanza? Guai in vista? Quell’organizzazione…”
“No, nulla di cui preoccuparsi, Hattori. Condividiamo la camera perché siamo bambini.” La sua voce tradiva una vena d’autosarcasmo.
“E non potreste essere più adorabili!” tornò a scherzare “Tu poi, Conan-chan…! Non dormivi perché aspettavi la ninna nanna?”
“Vattene da questa stanza.” Sillabò calmo come risposta.
Haibara si alzò, spegnendo il televisore.
“Vi lascio alle vostre cose.” Hattori non la conosceva e non potè capire, ma Kudo colse in quella frase una vena di ironia. La seguì con gli occhi per notare di avere indovinato: lei lo guardò eloquentemente, con un’aria di sufficiente superiorità stampata in viso, prima di chiudersi al bagno. Poco dopo un rumore d’acqua gli fece capire che aveva intenzione di fare un bagno.
-Non le sono bastate le terme?-
“Allora? Cos’hai scoperto oggi?” L’amico lo richiamò all’indagine.
In breve, Conan riferì della ragazza che aveva tentato di salvare il poliziotto.
“Questo lo so anche io!” gli confessò “Anzi! La commessa dell’emporio, che a quei tempi prestava servizio come donna delle pulizie in questa pensione, mi ha detto che la ragazza fu raggiunta da un uomo: cercò anche lui di prestare soccorso al poliziotto. Li sentì dire che quei graffi erano troppo profondi per essere medicati da inesperti, e che il fatto che quell’uomo non godesse di buona vista non li aiutava affatto. Quando il giorno seguente venne a sapere che l’agente era morto, non se ne sorprese affatto.”
“Graffi profondi, eh? La scusa di quel tipo non regge, se davvero fossero stati causati da un animale feroce…” Conan ed Heiji presero a ragionare all’unisono:
“…sui corpi delle tre vittime dovrebbero esserci anche altri segni. Anche se effettivamente non venne mai effettuata alcuna autopsia, dunque…”
“…impossibile. Quei ragazzi che soccorsero il poliziotto… se avesse avuto lividi o ferite dovute a una lotta…”
“…lo avrebbero detto, hai ragione.”
Due cervelli che procedevano contemporaneamente, una sola logica declinata in due menti affini.
“Hai fatto un sopralluogo del lago?”
“Ci ho provato, ma era sera e non mi è stato possibile spingermi oltre il bivio che porta al bosco.”
“Idem per me. Ogni persona che incontravamo, ci spingeva in città.”
Anche le loro vicende erano simili, nonché le loro espressioni: sorrisero nello stesso istante.
“Domani mattina presto, allora…”
“…andremo al lago, a quell’ora non dovrebbe esserci nessuno.”
Stabiliti i piani, Hattori parve più rilassato; si buttò indietro ricadendo con le spalle sul materasso.
“Però non capisco: forse non c’entra con questa storia, ma perché i proprietari di questa pensione ce l’hanno tanto con i detective?”
Conan scosse la testa: “Non lo so. Haibara mi ha detto che oggi pomeriggio, alle terme, lei e Ran hanno incontrato Kyoko, la figlia dei titolari. Pare che non abbia voluto spiegare il motivo, ma neppure lei sopporta gli investigatori privati. Credevo fosse dovuto a qualche altra strana credenza diffusa per il paese, ma se gli abitanti di quest’isola hanno risposto alle tue domande facilmente…”
“Oh, non hanno esitato neppure un attimo! Soltanto qui ho trovato ostacoli.” Gli confidò, incrociando le braccia sotto la testa.
“Impiccioni che si fanno grandi senza motivo, dotati di scarse capacità e che sembrano godere della loro immeritata fama…così, ha detto il signor Kakeshi.” Rivelò, donando la stessa occhiata perplessa che ricevette in cambio.
“Bah…Di detective buoni a nulla è pieno il mondo…pensa se avessero ingaggiato Mouri prima che tu andassi a vivere da lui. Che opinione avrebbero potuto avere dei detective?”
I liceali risero, rilassandosi: entrambi avevano appreso la notizia di quelle morti con grande preoccupazione, salvo rincuorarsi non appena avevano scoperto la presenza dell’altro sull’isola. Insieme, confidavano di trovare una soluzione quanto prima.
Eppure, nonostante una ritrovata serenità, che il giorno prima aveva invece vacillato, Conan non riusciva a sentirsi del tutto tranquillo: una strana sensazione lo inquietava, una sorta di morsa allo stomaco.
Un presentimento?





***

Precisazioni

*Kansai-ben: è il dialetto tipico di Osaka.
*Nagoya: omaggio a Ishimaru Michiyo, ahah XD. Nagoya era la sua città natale!
* (…) baseball o (…) takarakazuka: faccio riferimento ai due poli della sfida da Heiji e Kazuha, episodio 381 secondo la numerazione originale giapponese.
*(…) Shiragami: episodio 525 Tutti contro Shinichi.
*(…) ritorno disperato: volume 26.

***



Note dell’autrice: Bene! Anche il secondo capitolo è fatto. Pensavate che il liceale in questione fosse Shinichi, eh? Perdonatemi, ho voluto giocarvi uno scherzetto. Dai tempi di Un Silenzio avevo in mente qualcosa con Hei-chan, mi piace molto la sua amicizia con Shin e cercherò, nei prossimi capitoli, d'approfondirla. Come per allora, ovviamente torna sempre lo stesso problema che si propone con i personaggi che descrivo per la prima volta: lo renderò OOC? Spero proprio di no, ma non esitate ad avvisarmi se quest'eventualità dovesse verificarsi! Cosa ne pensate di Kyoko? Un nuovo personaggio, un pò come il poliziotto e il fu Ishimaru XP Inoltre, pian piano spuntano i primi indizi per il caso principale...spero di non averli messi troppo alla luce del sole -mwuaha! Vorrei sorprendervi ancora :D Fatemi sapere! Un abbraccio a tutti i recensori =P e un bacio ai soli lettori! Grazie in particolare a Roxina, Rob, aoko_90, Hoshi Kudo, Kaori_.
A presto, Cavy

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Il Coraggio del Liceale Detective ***


Capitolo Terzo
Il Coraggio del Liceale Detective





Heiji sollevò di qualche centimetro la manica del giacchetto verde scuro per scrutare l’orologio da polso: le sette meno venti.
Kudo era in ritardo di dieci minuti!
Sbuffando, poggiò le spalle contro il cancello dell’uscita posteriore della pensione, quella che dava direttamente sul boschetto che portava dapprima al tempio e, più avanti, al lago; la sera precedente avevano infatti deciso di procedere con un sopralluogo di quel posto, per cercare di capire cosa fosse realmente successo e cosa si celasse dietro quei tre apparenti decessi.
-Ma cosa diavolo sta facendo?- pensò, grattandosi la fronte lasciata scoperta poiché indossava il cappello da basket al contrario, la visiera rivolta alla nuca.
Alzò lo sguardo verso la finestra della sua stanza, ma non vide nulla: le serrande erano ancora abbassate.
-Possibile che stia ancora dormendo?- ipotizzò, scuotendo la testa per eliminare quel pensiero subito dopo.
-No, non è da Kudo…-
Già, non era da Kudo e questo Hattori lo aveva capito da tempo; lo stimava moltissimo, a dispetto di quanto la sua testa gli avesse suggerito la prima volta che l’aveva sentito nominare. Aveva appena risolto un caso piuttosto complesso, e con le mani nelle tasche dei jeans ascoltava fiero le parole di Otaki:
“Sei stato bravo, Hei-chan!”
Ad un tratto, una giovane donna che aveva assistito alla sua risoluzione gli si era avvicinata, entusiasta: “Complimenti, Hattori! Avevano ragione sul tuo conto, sei bravo proprio come il Detective dell’Est!”
Lì per lì non ci aveva fatto molto caso.
-Detective dell’est?- aveva ripetuto, battendo le palpebre un paio di volte mentre il sorriso dipinto sulle labbra andava spegnendosi; ma nel giro di pochi secondi la bocca si era nuovamente curvata in un’espressione soddisfatta, e l’ispettore di polizia gli aveva chiesto di presenziare con lui all’interrogatorio.
Presto tuttavia quel nome gli sarebbe tornato tra i piedi: il quotidiano di Osaka dedicava un lungo articolo alla sua brillante indagine, ma la prima pagina riportava gli sviluppi di un’inchiesta della capitale.
L’ispettore locale, il cui nome Heiji aveva scoperto poi essere Yuzo Megure, aveva replicato alle domande dei giornalisti: “Confidiamo di risolvere questo caso il prima possibile, perché  i parenti della vittima possano rendere omaggio al suo corpo.  Il detective Kudo ha già confermato la sua collaborazione.”
Il brano continuava ancora, ma il ragazzo del Kansai interruppe la lettura: “Shinichi…Kudo?”
Ma ancora quel nome non l’aveva indispettito: “Un altro cialtrone che ardisce chiamarsi detective…” aveva ridacchiato tra sé e sé, nascondendo poi il giornale sotto il banco perché il professore, appena entrato in aula, non lo vedesse.
Il detective di Osaka era tornato alla sua normale routine: un caso di omicidio, un’indagine, una brillante scoperta del colpevole.  Tutto sembrava andare per il meglio, quando si era ritrovato a passare di fronte ad un locale di periferia, diretto a casa.
“Mentre attendiamo la risposta, comunichiamo con piacere l’arresto dell’assassino della signora Tsutomi. “ recitava la conduttrice televisiva di un talk show cittadino attraverso lo schermo della tv nella vetrina di quel pub * “La polizia ha ammesso di aver trovato il colpevole grazie alla consulenza dell’investigatore privato Kudo Shinichi, collaboratore frequente delle forze dell’ordine.”
“Kudo…Shinichi? Di nuovo?” stavolta quel nome gli era parso un po’ troppo presente, e l’aveva portato a rallentare il passo.
“Un poliziotto della questura di Osaka, che era stato chiamato a Tokyo in qualità di testimone, ha definito la mente di questo giovane investigatore veloce e scattante. ‘Le forse dell’ordine dovrebbero riporre maggiore fiducia nelle due grandi personalità che sempre di più si fanno largo nel mondo della legge’ ha dichiarato al nostro inviato ‘…Kudo dell’Est e Hattori dell’Ovest!’. Il processo…”
Ma Heiji non prestava più attenzione al reportage.
I piedi erano allora fermi, ben saldi a terra e le gambe leggermente divaricate; aveva stretto le mani con veemenza, serrando la mascella.
“Kudo dell’Est e Hattori dell’Ovest?!”
Da quel giorno aveva sempre drizzato le orecchie al nome di Kudo Shinichi e con l’alternarsi dei giorni la sua mente aveva finito per etichettarlo come estremamente fastidioso ed indisponente.
Di punto in bianco, poi, nulla: nessun giornale, nessun articolo, nessun programma televisivo…nessuno parlava più di Shinichi Kudo.
Hattori se ne era rallegrato: perché mai un sedicente grande investigatore avrebbe appeso gli attrezzi al chiodo così, di punto in bianco? Perché era un incapace, un ragazzino vanaglorioso che forse aveva un po’ di intuito superiore alla norma e per questo era stato esaltato.
Riteneva giusto che le persone dotate di scarso talento esaurissero presto l’energia della ribalta e tornassero nella polvere da cui erano venuti.
Non fosse stato per una veloce conversazione udita per metà in centrale, nello studio di suo padre:
“Trasferisci degli uomini in più in aeroporto, quando quel cantante farà rientro…e fa’ attenzione, Otaki. Negli ultimi tempi gli omicidi delle pop star sono aumentati, non possiamo escludere si tratti di uno stalker pericoloso.”
“Beh, in realtà credo che nell’ultimo caso non si possa parlare di stalker. Un amico di Tokyo mi ha detto, chiedendomi però la massima discrezione, che l’omicidio del cantante Takeshi * si è rivelato essere avvenuto per movente passionale.”
“E perché Tokyo richiede la massima discrezione per un movente tanto frequente?” aveva sentito domandare suo padre, e aveva fatto spallucce.
-Non mi interessano questi atti burocratici…- aveva decretato, avviandosi alla porta per tornare a casa.
Ma la frase successiva l’aveva bloccato:
“Perché il caso è stato risolto grazie all’intervento di un detective…un certo Kudo Shinichi, se non sbaglio, che ha chiesto di non comparire come partecipante alla risoluzione del mistero…”
Le pupille dilatate per la sorpresa, il ragazzo con la carnagione scura aveva stretto i denti in una morsa.
-Ancora…ancora questo Shinichi Kudo? Kudo dell’Est?!- l’apostrofò ironicamente, associando subito quella richiesta di discrezione a una motivazione più losca.
Sulle sue labbra serrate, però, si era presto aperto un sorriso: la visiera del cappello calata sugli occhi, aveva pensato: - Bene! Staremo a vedere!- prima di recarsi in aeroporto.
L’aveva sfidato, l’aveva trovato, l’aveva battuto; l’attimo dopo, aveva scoperto d’aver perso, d’essere caduto in una trappola ordita dal colpevole.
Una trappola che  Kudo, sebbene non fosse presente, aveva evitato con grande abilità.
Risolto il caso, aveva oramai compreso d’aver di fronte un ragazzo abile, tutt’altro che incapace come invece la sua prima impressione gli aveva rivelato.
Sapeva riconoscere una sconfitta e, nonostante gli bruciasse, non  poteva fare altrimenti che accettarla.
Ma quando, manifestate le sue scuse, Kudo si era voltato nella sua direzione e aveva fissato il suo sguardo nel suo viso…quando aveva notato chiaramente quegli occhi brillare di una luce viva, indomabile, quando aveva udito quella voce ferma e sicura – “La verità è sempre una sola, Hattori.” – un sussulto l’aveva attraversato.
E allora, aveva cambiato idea: non gli dispiaceva più così tanto d’essere stato sconfitto da lui. In fin dei conti, non è un disonore perdere contro i migliori.
Il termine ‘Quello’, con cui si riferiva a lui, era stato sostituito da un dignitoso e rispettoso “Kudo”, e il sentimento covato non era più fastidio, ma stima e ammirazione.
Sentir pronunciare il suo nome gli causava un sorriso che non possedeva più alcun intento derisorio.
Saputo della riunione degli appassionati di Sherlock Holmes, aveva sperato di poterlo incontrare di nuovo – non era un dilettante, prima di giungere a Tokyo aveva fatto delle ricerche sul suo avversario- e, forse, anche di riuscire a ottenere la vittoria, quella volta.
Ed effettivamente, l’aveva incontrato; ed effettivamente, aveva vinto: già, perché aveva scoperto il suo segreto.
E allora la sua ammirazione era aumentata ulteriormente: pensava e ripensava a quel ragazzo che da solo, con una tenacia mai vacillante, indagava di nascosto su un’organizzazione criminale e probabilmente di portata nazionale. Un ragazzo che fingeva tutti i giorni di essere qualcuno che non era, che nonostante la difficile situazione non si abbandonava mai all’esitazione o alla sfiducia: i suoi occhi brillavano sempre di quella luce che aveva scorto durante il loro primo incontro. Le sue decisioni era rapide, i suoi metodi scaltri, le sue azioni decise, i suoi pensieri lucidi; con un solo sguardo era capace di comprendere la verità dietro ogni apparente velo.
Ma non si dava troppe arie per questo, né aveva perso di vista ciò che conta davvero:
Il detective che incastra il colpevole e lo spinge al suicidio non è diverso da un assassino.”*
“Quando hai eliminato ciò che è impossibile, quello che resta, per quanto improbabile, è la verità.”*
Audace sino ad un'apparente incoscienza, in realtà profondamente presente a se stesso e temerario –straordinariamente coraggioso!- ;  padrone di un’ostentata indifferenza che in realtà cela profonda sensibilità e consapevolezza della sua posizione:
Come posso dirle la verità? Ran è una persona generosa che si fa carico dei problemi degli altri e ne soffre, non me la sento di farle una cosa del genere. Ma so perfettamente che non riuscirò a mentirle ancora per molto, l’ho vista così preoccupata quando ero malato! Una parte di me vorrebbe rivelarle tutto e piantarla con queste bugie.” *
Era il suo migliore amico, non aveva conosciuto mai nessuno come lui, anche se indubbiamente si dimostrava sempre piuttosto freddo e distaccato: aveva minacciato d’attaccargli il telefono in faccia quando, invece di spiegargli del caso, l’aveva invitato a mangiare gli onigiri, aveva accettato di presentarsi all’inaugurazione del ristorante Three K solamente dopo un lungo e felice tentativo di persuasione, non gli aveva ancora rivelato con chiarezza la sua dichiarazione alla ragazza dell’agenzia investigativa. Hattori era molto più socievole, chiacchierone, quasi pettegolo e avrebbe gioito se avesse potuto godere della sua compagnia e delle sue parole in varie situazioni, ma rispettava la sua discrezione: aveva compreso da tempo che quell’atteggiamento, facile oggetto di fraintendimento, non definiva una carattere a tratti scostante – valutazione che, i primi tempi, aveva ritenuto la più probabile-, ma rappresentava la sua vera essenza; un ragazzo disposto a chiedere consiglio solo quando ha esaurito ogni idea, nei momenti di peggior indecisione; altrimenti, pronto ad agire da solo, senza confidarsi con nessuno, capace di farsi carico d’ogni problema pur di non mettere in pericolo le persone care.
“Sta’ tranquillo, finchè rimarrà qui chiusa a chiave in questa stanza non le accadrà nulla.”*
Pronto ad ogni evenienza.
“…a meno che non abbia nascosto da qualche parte gli occhiali da inseguimento di riserva.”
E deciso a combattere fino alla fine.
“Tu come reagiresti? Se sapessi di essere vicino alla soluzione…non andresti avanti? Non vorresti verificare che le conclusioni dedotte siano corrette?”*
Un vero investigatore.
E, nonostante tutto, umano:
“Tu che faresti? Che faresti al mio posto? Cosa devo fare con Ran?”
All’inizio, aveva intuito vagamente il suo carattere; poi, aveva letto con precisione l’animo di Kudo. E aveva deciso d’aiutarlo, qualunque cosa fosse successa. A qualunque costo.
Gli voleva bene, avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui: destreggiarsi con abilità e fatica durante il caso dello Shiragami non gli era costato nulla, mai il pensiero d’aver potuto risparmiare forza od energie per uno scopo migliore gli aveva sfiorato la mente.
Ma, in cuor suo, desiderava ancora batterlo: lo spirito di competizione che l’aveva indotto a sfidarlo non scemava, semplicemente s’assopiva nelle condizioni più gravi per dare luogo al senso di responsabilità e all’amicizia, per poi però esplodere di nuovo e con maggior potenza quando nessun ombra scuriva l’orizzonte.
Hattori forse ignorava che, per lui, Shinichi rappresentava un continuo stimolo, un’esortazione a migliorare incessantemente, senza sosta, un allenamento ininterrotto.
 Un fruscio appena udibile, ma abbastanza palese per il suo orecchio allenato,
lo destò dal mare di pensieri in cui era incagliato.
Alzò gli occhi per accogliere Kudo con un ‘Ma dove accidenti ti era cacciato?’, ritrovandosi al cospetto di un monaco avvolto in un kimono arancione, i piedi che strusciavano sul terreno fangoso.
L’uomo camminava placidamente, le mani coperte dalle lunghe maniche della tenuta religiosa, e sembrò non curarsi di lui sin quando non lo ebbe raggiunto.
“Tutto bene, ragazzo?” gli domandò, gli occhi stretti oltre le lenti degli occhiali.
Heiji annuì: “Sto aspettando un amico.” Si lasciò sfuggire, credendo a stento alle parole che giunsero in risposta:
“Oh, temevo fossi paralizzato dalla paura.”  Indicò il bosco alle loro spalle con un cenno del capo, riprendendo a camminare. Parlò più con se stesso che con il liceale del Kansai. “Qui tutti temono gli alberi che crescono in altezza con i rami e in larghezza con il tronco, diffidano che il frusciare delle foglie nasconda il sospiro di Ade.”
Hattori alzò un sopracciglio: quello doveva essere il monaco cui il collega gli accennava la sera precedente.
Non ragionò consapevolmente ma, affidandosi all’istinto, lo seguì.
 
 
§§§
 
“Perché mi hai seguito?”
Si fermò di fronte alla porta del suo appartamento, un braccio abbandonato lungo un fianco, rilassato; tuttavia, l’altro era teso e la mano pronta ad afferrare la guancetta della pistola.
“Mi complimento con te per lo spirito d’osservazione.” Uscì dall’improvvisato nascondiglio, una colonna poco distante ed abbastanza spessa da celare nell’ombra la sua figura.
“Chi ti manda?” persistette a dargli le spalle, le orecchie pronte a raccogliere qualsiasi rumore avrebbe significato il minimo movimento da parte sua.
Ma lui non si mosse.
“Nessuno che richieda l’uso di quella splendida Baby Browning.*”
Strabuzzò gli occhi, percependo un senso d’inquietudine originarsi nello stomaco. Come faceva a sapere che ne possedeva una? Ufficialmente, in suo possesso aveva una Beretta.
Quell’attimo di distrazione ebbe caro prezzo, poiché s’accorse troppo tardi che il suo inseguitore s’era spostato.
Fece per voltarsi, ma sentì un lieve fiato sul collo.
“Troppo nervosismo nell’aria, per i miei gusti.” Sentì quella voce minacciosa risuonare nell’orecchio e, cosciente della vicinanza, fu vittima d’un brivido di paura.
“Ti hanno mandato a controllarmi, eh? Non si fidano ancora di me…credono che li tradirei?” finse un tono sicuro e beffardo, immobile con il corpo ma vivace con gli occhi, nel tentativo di scorgere il suo viso.
“Ne hanno motivo?” sorrise, incutendo timore senza neppure l’ausilio di un arma.
 
§§§
 
“Questa sarebbe la famigerata statua di quello spirito da favoletta?” domandò brusco Heiji Hattori, puntando gli occhi sul blocco di marmo.
Kudo non aveva mentito: quell’affare era ripugnante.
“Oh, in due giorni due giovani che irridono Ade. Non potrei esserne più contento.” Gli sorrise in risposta il monaco, che durante tutto il tragitto aveva visto il giovane seguirlo ma aveva taciuto.
Dal momento che Hattori non replicò, l’uomo si sentì autorizzato a dedurre:
“Come mai sei qui, ragazzo? Non sei venuto perché avevi timore di rimanere da solo nel bosco?”
Il detective quasi gli rise in faccia; pose le mani nelle tasche dei jeans, scostando lo sguardo dalla statua per concentrarlo su quella figura arancione.
“Vuole scherzare? Sono qui per dirle che trovo la sua tenuta inadeguata.”
Anche il monaco permise a un flebile sorriso di comparire sul volto.
“Perché ho abbandonato il tempio per una passeggiata? Sono stato fuori per pochi minuti, a quest’ora nessuno viene mai in visita.” Rispose con tono sereno, proprio di chi ha ricevuto in dono gentilezza e candore.
“Lei crede in quest’assurda leggenda?” andò dritto al punto, lo sguardo serio.
“Parli di Ade, ragazzo?” credette d’aver indovinato e di trovarsi a parlare con un giovane troppo orgoglioso per ammettere di aver bisogno d’essere  rassicurato.
“No, affatto.” Proseguì, senza attendere la risposta: sapeva che il soggetto di quella domanda era il Vecchio.
“Un animo forte mi ha detto che è solo pietra, ed io sono d’accordo.” Ripetè le parole di quel bambino con gli occhi  stranamente guizzanti per la sua tenera età.
“E allora perché tiene questa statua qui?”
Il monaco aggrottò la fronte sorpreso.
Deglutì, prima di voltargli le spalle:
“Perché tranquillizza i fedeli.”
“Li terrorizza, piuttosto!”  ribatté immediatamente, sollevando il pugno chiuso.
“Co-cosa dici?” balbettò il monaco, abbassando lievemente il capo.
Un flusso di parole dure lo investì, spiazzandolo:
“Se lei continuerà a conservare quest’assurdo monumento alla paura nel tempio sacro, la gente crederà che sia giusto lodarlo e averne timore! Nessuno cambierà idea se lo trova appeso alla parete di un luogo di preghiera!”
Non attese una risposta, consapevole che non sarebbe arrivata, e abbandonò il tempio.
 
§§§
 
“Hattori!” lo chiamò la voce ferma di un adulto che poco s’addice al timbro squillante d’un bambino.
Lo vide, mingherlino e smunto, correre verso di lui; sorrise.
Dopo l’incontro con il sacerdote era tornato frettolosamente di fronte al cancello della pensione, imbronciato e contrariato.
 “Scusami, Haibara mi ha trattenuto con le sue sciocche preoccupazioni.”
Quella frase bloccò a mezz’aria il movimento che Heiji s’apprestava a compiere: rimase dunque con le dita sospese a pochi centimetri di distanza dalla visiera del cappellino.
“Problemi?” scattò, repentino. “Quell’organizzazione…?”
Conan scosse il capo, smorzando quella preoccupazione ancor prima che sorgesse.
“No, è solo paranoica.”
Ma alla vista del detective di Osaka non sfuggì una piccola goccia di sudore che bagnava la fronte del finto bambino.
“Ne sei sicuro? Sai che puoi dirmi tutto.” Insistette, tranquillizzandosi al suo sorriso:
“No, Hattori. Sta’ tranquillo, va tutto bene.” S’aggiustò gli occhiali sulla punta del naso, poi lo invitò ad avviarsi in direzione del lago: erano le sette e un quarto.
Lui annuì:
“Ma certo!” convenne, afferrando con indice, medio e pollice la visiera del cappello per coprirsi gli occhi.

Si erano inoltrati nel boschetto, scoprendolo tutt’altro che ameno: le foglie erano appassite nonostante la piena stagione, di fiori non v’era neppure lontana traccia, l’erba assomigliava al fieno a causa della sfumatura giallognola che la soggiogava.
“Potrebbero anche ingaggiare un giardiniere qualche volta!” esternò Hattori ad alta voce, lanciando uno sguardo seccato a un fusto d’albero oramai marcio.
“Non crescerebbe niente comunque!” udì la risposta, ma la voce non apparteneva al compagno d’avventura: entrambi si voltarono per trovarsi di fronte ad un uomo di mezza età con indosso una tuta da lavoro.
“Questo bosco è stato maledetto dal Vecchio, non crescerà mai più nulla!” decretò, voltando le spalle ai due ragazzi per prenderne le distanze.
Una vena comparve, pulsante, sul collo del detective di Osaka che, infatti, stette quasi per sfociare in una nuova accusa verbale, ma il collega dell’Est fu più rapido:
“Come mai, signore? Che cosa è successo?”
La domanda tanto ingenua di un bimbo lo colpì, arrestando la sua marcia: di una creaturina di sette anni forse avrebbe avuto compassione. E avrebbe risposto.
“Da questo bosco sono passati i tre ficcanaso che Ade ha graffiato. Dopo la loro venuta, ogni foglia si è seccata ed ogni pianta è stata prosciugata della sua linfa come ammonimento! Perciò, ragazzini, vi do un consiglio: state alla larga!”
“Ma lei è qui con noi, signore.” Gli ricordò Conan; quando aprì nuovamente la bocca per parlare, la sua voce non echeggiava più infantilmente candida, ma seriamente adulta: “Lei non crede alla leggenda, se è qui.”
“Non essere sciocco, certo che ci credo!” sbottò, gli occhi in fiamme per la paura delle ritorsioni di quell’affermazione; s’affrettò infatti a chiudere gli occhi, borbottando tra sé e sé qualche parola incomprensibile.
-Ma che accidenti fa?- si domandarono entrambi, osservandolo sostare in quella singolare posa per qualche minuto.
Nel momento in cui riaprì gli occhi, li fissò sulle loro figure:
“Passo da qui perché non posso fare diversamente. Abito oltre la radura che precede il bosco, e questa è l’unica strada per arrivare in centro: sono il guardiano dell’orologio antico che si trova nella torre, i rintocchi che scoccano ogni ora sono opera mia. Compio questo tragitto ogni giorno, ma rendo omaggio ad Ade al vecchio tempio sulla collina, perché mi perdoni di tanta tracotanza. Siete forestieri, non ho mai visto il vostro volto; perciò, se davvero non avete altra scelta se non attraversare questo luogo, portate in offerta al Vecchio carne di pecora, menta e foglie di pioppo bianco*. Se avete il cuore puro, vi perdonerà.”
Terminò il suo discorso, pronto ad andarsene; fu Hattori a bloccarlo:
“Lei prestava servizio come guardiano anche quando morirono quelle tre persone?”
Con un cenno del capo, l’uomo confermò.
“Meglio sbrigarsi, Hattori.” Suggerì Shinichi allorché il guardiano non poteva più distinguere le loro voci.; “Ho l’impressione che se incontriamo ancora qualcuno, sarà impossibile raggiungere il lago.”
Il collega convenne, ed entrambi s’avviarono rapidi; purtroppo, non ebbero fortuna.
Il loro fiuto da detective, infatti, non mancò di interessarsi alla lieve musica diffusa nell’aria quando, superato il bosco, erano arrivati nella più aperta campagna.
La melodia proveniva da una grande villa sul lato della strada non incatramata, un enorme edificio circondato dalla vegetazione.
Ma anche quella non appariva troppo florida né rigogliosa.
“Non ti sembra triste questa sinfonia?” domandò il diciassettenne dalla carnagione scura, fermandosi dirimpetto l’abitazione.
“Non…non mi intendo molto di musica, in realtà!” gli rivelò, grattandosi la nuca un po’ in imbarazzo.
"Requiem für Mignon, di Robert Schumann.” Suggerì loro un uomo sui quarant’anni, vestito elegantemente d’una giacca marroncina e di pantaloni dello stesso colore.
Era in piedi poco più avanti di loro, vicino al citofono della villa; reggeva tra le mani una borsa nera di pelle piuttosto capiente.
“Sì, è indubbiamente molto nostalgica.” Sorrise ad Heiji, confermando la sua precedente valutazione.
-Nostalgica? Altrochè, è un requiem!- commentò mentalmente Conan, una giocciolona di sudore che gli attraversava il capo.
-Qui sono tutti matti!- Hattori condivise la sua opinione, una vena che pulsava visibilmente sulla fronte.
“Lei chi è?” domandò quindi piuttosto bruscamente, pronto a scattare: la discussione con quel monaco l’aveva innervosito abbastanza da portarlo a litigare con chiunque.
“Piacere, il mio nome è Meohoshi Katushiko, e sono un archeologo. Dirigo il museo di storia antica e medievale che si trova nel centro del villaggio.” Piegò leggermente il capo con educazione formale “Voi invece siete turisti, non è vero?”
I due giovani annuirono.
“Beh, se non conoscete la leggenda del Vecchio è comprensibile che vi siate spinti sin qui. Per due ragazzi giovani come voi, rimanere fermi nella piazza per più di un giorno dev’essere noioso.” Sorrise accondiscendente, passando la borsa da una mano all’altra.
“La conosciamo, ma non ce ne importa affatto!” affermò con tono di voce e atteggiamento fiero l’apparente uomo più adulto.
La bocca dello storico s’allargò in un’espressione gentile: “Allora siete molto coraggiosi. Il paese è paralizzato da anni a causa di questa leggenda, ed anche i turisti diminuiscono di stagione in stagione. E’ un vero peccato.” Confessò sembrando malinconico, in piena armonia con le note di quella soffice musica che ancora fendeva l’aria.
“Anche questo requiem è un omaggio ad Ade?” domandò Conan, sforzandosi di esprimersi con voce da bambino.
“E’ probabile. A suonare il pianoforte all’interno di questa casa è una ragazza, Akemi Mitsuoshi. Da qualche giorno prova continuamente questo pezzo, per ore ed ore. Forse solamente perché è l’anniversario della morte di quel giovane…”
“Quale giovane?!” l’anima da investigatore scattò in entrambi.
“Sapete del poliziotto che si addentrò nel bosco e morì?” Al cenno d’assenso, proseguì “Beh, fu soccorso da una ragazza e, poco più tardi, anche un ragazzo. Quella giovane gentile e premurosa, però, prima di imbattersi nel corpo martoriato dell’agente di polizia, passò di qui, sentì la musica e varcò la soglia della casa; pare adorasse alcune melodie e avesse stretto amicizia con Akemi. Quando le comunicai la morte di quel poveretto, soffrì molto anche lei.”
Conan alzò gli occhi per scrutare la finestra al secondo piano di quella villa: non vide nulla, ma fu certo che la pianista si trovasse lì.
“Abbia pazienza, dottore, non avevo sentito suonare il campanello.” Un terzo uomo, con l’apparenza di contadino, aprì il cancello ai tre interlocutori, interrompendo così il dibattito.
“Quel sasso che le dicevo ieri mattina è sotterrato dietro il ripostiglio. Mi segua.” Poi, notando solamente allora Shinichi ed Heiji, aggiunse: “Sono i suoi nuovi assistenti?”
Meohoshi si voltò verso i due ragazzi, che sorridevano un po’ a disagio.
“Sarebbe un piacere.” Replicò, rivolto più a loro che al vecchio. Quest’ultimo sparì dentro il suo orto, invitando l’archeologo a fare altrettanto.
“Questo signore è un contadino molto abile, ma poco colto. Ha ritrovato, seppellito nel suo campo dietro la casa, un vecchio sasso che gli impediva l’aratura.” Rise “In realtà, potrebbe trattarsi d’un reperto importante; sono venuto a prenderlo prima che lo getti da qualche parte.” Concluse la sua spiegazione, avviandosi anche lui all’interno del giardino recintato.
“E voi, dovete siete diretti?”
Conan fece per rispondere: “Stiamo facendo una pass…” ma Hattori lo interruppe: “Al lago!”
Il piccoletto lo colpì al ginocchio con il gomito: “Morditi la lingua, Hattori!!” lo ammonì sottovoce.
Fortunatamente, però, Meohoshi non li  investì di ammonimenti e rimproveri.
“Dovreste andare di mattina tarda, verso le due del pomeriggio forse sarebbe ancora meglio. A quell’ora tutti i negozi sono chiusi, ed il sole scotta troppo perché i contadini lavorino i loro poderi. Non incontrereste anima viva e nessuno vi fermerebbe.” Ammiccò ai due con un tenero sorriso di comprensione dipinto sul volto prima di richiudere il cancello della casa alla sue spalle.
“Che ne pensi?” esternò il suo dubbio, scoprendo che anche l’amico ci aveva pensato.
“Evitiamo di perdere tempo…torniamo questo pomeriggio.”
Ma fu impossibile: uscendo dalla pensione immediatamente dopo pranzo, infatti, furono travolti da una calca di persone rumorose accompagnata da un vociare concitato.
Ran e Kazuha, scorta la confusione dalla finestra delle loro camere, s’affrettarono fuori, seguite a ruota anche da Kogoro.
“Cosa sta succedendo?” domandò, ma non ebbe risposta.
Tutte le persone s’affrettavano al tempio, descrivendo con il corpo movimenti frenetici e poco assennati:
la fronte di ciascuno era aggrottata in segno di preoccupazione, le mandibole serrate per il timore.
Il piccolo gruppo di cittadini non esitò un attimo e, di corsa, raggiunse il vecchio luogo di culto: lì, scoprirono il monaco con la statua tra le mani, diretto a tutta velocità verso il bosco.
“E’ forse impazzito?” gli  stava domandando l’uomo che Heiji e Conan riconobbero come il guardiano dell’orologio.
“Non esiste nessuna maledizione!” rispose ad alta voce il sacerdote, continuando indefesso la sua marcia. “Il Vecchio Ade non esiste!” gridò, rivolto all’intero gruppo di fedeli misti a curiosi accorsi allo spettacolo.
“Ma cos…” stava per domandare Kogoro, ma un uomo gli diede una forte spallata per superarlo e raggiungere in pochi passi il monaco: era Ikku Kakeshi, proprietario della pensione.
“Maledetto sacerdote, vuoi morire? Vuoi farci morire tutti? Riporta quella statua al suo posto!” l’aggredì, spalleggiato da altri numerosi compagni.
Conan si voltò, scorgendo la figura esile di Kyoko: la ragazza stava convulsamente sciogliendo il nodo dei fili con cui l’amuleto era saldamente legato alla caviglia, per poi accoglierlo tra le mani ed iniziare a pregare con gli occhi serrati.
Sembrava davvero impaurita.
“Fermo, fermo!” gridavano tutti, mentre il sacerdote sollevava oltre la testa quelle tremenda raffigurazione:
“Smetti di terrorizzare questa gente!” Tra la folla, il suo sguardo s’incatenò a quello del giovane originario del Kansai: gli sorrise riconoscente, prima di urlare: “TU NON ESISTI!”, così gettando l’erma nel dirupo che si presentava agli occhi, tra la sterpaglia.
Tutti i presenti assistettero allibiti a quella scena e le voci, prima concitate e frequenti, ammutolirono istantaneamente alla vista di Ade che precipitava inesorabilmente verso il basso.
Attesero trepidanti il tonfo che testimoniasse quella caduta, e terrorizzati udirono il rumore tipico di un blocco di marmo che si frantuma in mille pezzi.
Per qualche istante, nessuno osò fiatare; il primo a riprendere la parola fu Ikku, proprietario della pensione; ma non si rivolse al sacerdote.
“TU!” gridò furente, puntando il dito contro Kogoro “E TU!” additando subito dopo Hattori: “LO SAPEVO CHE NON AVRESTE PORTATO CHE GUAI! COSA GLI AVETE FATTO FARE??” ruggì avvicinandosi a loro a grandi passi, gli occhi che lanciavano fiamme.
Eppure la gente accorsa lì non sembrò prestargli troppa attenzione e preferì rivolgersi al sacerdote: in breve tempo, il terrore dipinto sui loro volti si tramutò in rabbia, poi in ferocia. Un piccolo gruppo più violento degli altri iniziò a muovere dei passi contro il povero monaco, minacciandolo.
Uno sparo mise a tacere ogni voce.
Tutti si voltarono, per vedere Chika Kiichi attorniato dai suoi agenti, la Beretta fumante che aveva appena esploso il colpo sollevata in aria.
“SILENZIO!” gridò, ordinando poi ai suoi uomini di scortare il monaco sino all’interno del tempio affinché sfuggisse al linciaggio.
Non curandosi della numerosa folla di curiosi, affiancò presto il signor Kakeshi, aggredendo Kogoro: “Gliel’avevo detto di farsi gli affari suoi o mi sbaglio?” tuonò, riponendo l’arma da fuoco nella fondina sotto l’ascella.
“Non c’è posto qui per i detective!!” insistette Ikku, afferrando Mouri per il colletto della camicia.
“Ma io non ho fatto nulla!” replicò lui, cercando di liberarsi da quella presa. “Sebbene non possa negare che sia estremamente d’accordo con l’azione di quel monaco…”
“Taci!” lo interruppe l’albergatore, chiudendo gli occhi: “Ade, perdonalo per queste parole…”
“Sono stato io.”
Heiji Hattori attirò l’attenzione sulla sua persona, sbalordendo anche Conan.
“Questa mattina sono stato al tempio e ho parlato con quel monaco. Gli ho detto che nessuno avrebbe mai capito che quella di Ade è solo una sciocca leggenda se avesse continuato a conservare il pezzo di pietra qui…”
“PAZZO!” ruggì Ikku, facendo per avventarsi su di lui; l’archeologo di quello stesso pomeriggio, Meohoshi, si fece largo tra la folla cercando di sedare i bollenti spiriti del vecchio, afferrandolo per le spalle:
“Andiamo, Ikku-san, è solo un ragazzo…”
Improvvisamente però comparve sua figlia, la giovane Kyoko: gli occhi erano lucidi e le guance solcate dalle lacrime:
“Tu non capisci niente!” gemette contro Heiji, portando entrambi i pugni serrati vicino il petto. Chiuse gli occhi, cercando di trattenersi: “Sei proprio un detective: freddo, cinico e spietato!” l’accusò senza remore, fuggendo poi via con i capelli sciolti che ondeggiavano al vento.
Seguendola con lo sguardo, Conan notò una signorina con degli spartiti tra le braccia:
-Akemi Mitsuoshi?-
 
 
Ovviamente, risultò loro impossibile recarsi al lago: la folla accorsa allo scempio non voleva saperne d’allontanarsi; vi era chi, disperato, si inginocchiava e pregava perché il Vecchio non ricominciasse a soffiare e graffiare. Alcuni, palesemente colti da una paura irrazionale, non sapevano come comportarsi; altri infine, i più arditi, ipotizzavano la possibilità di scendere nel dirupo e recuperare l’erma, aggiustarla e porla nuovamente nel tempio.
“Non finchè ci sarò io!” aveva però stroncato ogni progetto sul nascere il monaco, rivolto agli astanti: “Non voglio più vedere quella statua!”
 
§§§
 
Attento a non fare rumore, riuscì con facilità a scassinare la serratura della porta in ferro grazie all’ausilio di un semplice cacciavite. Varcata la soglia, lo infilò nuovamente nei pantaloni neri, tra la pelle a la cintura.
Vide subito il computer, e sorrise compiaciuto.
-Più semplice del previsto…- esultò nella sua mente, soddisfatto del suo successo: non era scattato alcun allarme!
S’avvicinò alla scrivania, avvicinando la sedia a sé per poter prendere posto di fronte allo schermo del pc.
Le mani ben coperte da guanti di plastica si concentrarono sulla tastiera, quando apparve il messaggio di richiesta password.
Le dita digitarono velocemente le due parole chiave: la prima di otto lettere, la seconda di quattro.
La barra di caricamento si colorò interamente, dimostrandogli d’aver azzeccato:
-Che password sciocca!- derise quel sistema di security –Considerando il suo nome, non poteva che essere questa la parola chiave…-
Iniziò la sua ricerca.
 
§§§
 
Un fulmine squarciò il cielo in due parti come una ferita inferta da un coltello con un colpo solo sulle carni d'un cerbiatto.
Ne seguì un possente tuono, rombando persino all’intero della pensione: le mura tremolarono.
“S-siamo sicuri  che vada tutto bene, vero?” balbettò Ran, già in preda al panico: aveva sempre avuto paura dei temporali!
“E’ solo un po’ di pioggia, Ran.” Le sorrise il suo fratellino.
I quattro giovani di Tokyo e Osaka s’erano attardati nella sala ristorante dell’albergo, poiché le due ragazze avevano chiesto spiegazioni agli amici riguardo quel pomeriggio. In realtà era stato Heiji a parlare, dal momento che effettivamente lui aveva convinto il monaco a rimuovere quella statua.
Ma più probabilmente le ragazze temevano la tempesta, scoppiata nel tardo pomeriggio, quasi come se il cielo volesse piangere la scomparsa dell’erma; Kazuha non voleva dormire da sola, mentre Ran non si sentiva tranquilla in camera con suo padre che già s’era addormentato.
L’unica a mostrarsi serena, durante la cena silenziosa, era stata Ai: aveva mangiato con appetito, per poi alzarsi da tavola e augurare a tutti la buonanotte.
Conan l’aveva guardata con sopracciglia tremanti: -Non solo ha assistito al trambusto di oggi pomeriggio dalla finestra della camera, ma ora ha anche il coraggio di mostrarsi indifferente…-
“Secondo me, hai un po’ esagerato, Heiji.” Lo riprese la figlia dell’ispettore Toyama, incrociando le braccia sopra il tavolo.
“Esagerato? Non dire sciocchezze, Kazuha!” scoppiò lui, facendole sobbalzare. “Se credi anche tu che ci saranno ritorsioni, sei solo una fifona!”
“Io non sono  una fifona, sei tu che sei un testone!” non se lo fece dire due volte, scattando in piedi per battere i palmi aperti sulla tavola.
Conan e Ran ridacchiarono, e lei prese la parola: “Ciò che Kazuha intendeva dire è che qui quasi tutti credono alla leggenda e dunque…”
“Dunque? E’ giusto che continuino a prendersi in giro da soli?”
Hattori era irremovibile; tornò ad appoggiare le spalle allo schienale della sedia, incrociando le braccia al petto.
“Quel monaco ha fatto bene.”
“Ne sei così sicuro?”
La voce dell’agente Chika li raggiunse: Kiichi, l’uniforme da poliziotto zuppa per la pioggia, li sovrastava dalla cima delle scale e li scrutava in cagnesco.
“Quel monaco è morto.”
Un altro tuono echeggiò nella piccola stanza della pensione: il ripetitore posto sulla cima del monte risentì del campo magnetico e rotolò rovinosamente lungo il pendio, sprofondando a valle. Eppure allora nessuno ci fece caso: non s’accorsero subito d’essere imprigionati su quell’isola, senza possibilità di comunicare con l’esterno via Internet o per mezzo d’un apparecchio telefonico.
“Il suo corpo senza vita è stato ritrovato da un agente di ronda all’interno del tempio, nel posto in cui prima s’ergeva la statua; sul suo collo sono evidenti cinque graffi, è deceduto per dissanguamento.”
“No-non è possibile…” Ran balbettò, chiudendo e aprendo gli occhi più volte.
“Com’è…” Kazuha non fu neppure in grado di pronunciare una frase di senso compiuto.
Kudo e Hattori, invece, non fiatarono: il detective dell’Est spostò lo sguardo sull’amico, leggendo nei suoi occhi la sorpresa trasfigurata nello shock.
“M-morto?” impiegò qualche minuto a metabolizzare l’accaduto. Quando le parole del poliziotto assunsero un significato preciso nella sua testa, assottigliò gli occhi battendo con forza il pugno contro il muro.
“Mi porti da lui! Voglio immediatamente visionare il luogo del delitto e…”
“Ma hai sentito cosa ti ho detto, ragazzino?” Chika scese le scale gocciolando e si fermò di fronte a lui.
“Il monaco che tu hai convinto a profanare Ade è morto.” Gli sputò addosso.
“Vuole farmi credere che pensa sia stato Ade?” lo rimbeccò ad alta voce, facendo sopraggiungere la sua voce al primo piano.
“Chiunque sia stato, è una singolare coincidenza che quel sacerdote muoia poche ore dopo aver gettato la statua oltre la collina. Un fedele fanatico, probabilmente, ha voluto punirlo per l’empietà e l’ha ucciso emulando i decessi causati dalla bestia feroce.”  Spiegò tranquillo la sua teoria, mentre nel soggiorno accorreva anche Kogoro, svegliato da quel trambusto.
“Mi pare chiaro a chi appartenga la responsabilità di quanto accaduto.” Decretò allusivo.
Kazuha e Ran sussultarono, concentrando l’attenzione sull’amico dalla pelle nera: Heiji teneva ancora gli occhi assottigliati, ma non pronunciò una sillaba.
 
§§§
 
“Capisco.” Fu l’unica cosa che disse Haibara dopo aver ascoltato il resoconto di Shinichi.
Pronunciata la sua accusa, il poliziotto aveva comunicato l’assoluto divieto d’avvicinarsi al lago o al tempio, le zone erano interdette.
Inoltre, la caduta del ripetitore aveva momentaneamente sospeso ogni collegamento con l’esterno, dunque contattare la questura centrale di Tokyo era un’impresa impossibile.
“Inoltre dubito che quel Chika ne avesse l’intenzione.” Conan aveva dedotto bene: archiviare il prima possibile l’omicidio come l’atto di un fedele integralista, impossibile da arrestare a causa dell’eccessivo numero di sospetti: questo voleva fare, altro che indagare!
“Tutti i presenti al tempio potrebbero essere i potenziali assassini.” Aveva stabilito l’agente che deteneva in quell’isola il falso ruolo da ispettore.
“Dove si trova il tuo amico, ora?” gli domandò la scienziata, il tono della voce stranamente basso: Conan comprese subito che anche lei iniziava a preoccuparsi.
“In camera di Kogoro. Stanno discutendo sul da farsi.” Rispose, sospirando.
“Non ha voluto parlarne prima con te?” si sorprese Ai, ma la risposta le parve chiara subito dopo aver posto la domanda.
Ciò nonostante, Shinichi spiegò: “Credo…credo si senta in colpa per quello che è successo. Forse non vuole parlare con me, al momento.”
Shiho annuì.
“Giusto.”
Scrutò il compagno di banco avvicinarsi alla finestra,  l’espressione corrucciata e pensierosa.
“E tu?” gli domandò, presagendo per la seconda volta la replica.
“Cosa intendi fare, tu?”
Il volto di Conan Edogawa assunse i lineamenti propri di Shinichi Kudo.
“Indagare, naturalmente.” Quindi, si voltò nella sua direzione e le sorrise.
 
§§§
 
“Papà è sparito!” comunicò Ran ai due ragazzi di Osaka, raggiungendoli nella loro camera: saliti al primo piano dopo il comunicato dell’agente, infatti,  non avevano trovato Kogoro; pensando si fosse fermato nel salone con Chika, Ran era andata a chiamarlo: la sala ristorante tuttavia era buia e vuota.
“Come?” Kazuha ed Heiji trasalirono.
Le ragazze dimenticarono per qualche tempo l’assenza di Conan, che invece non sfuggì al giovane di Osaka: occupato però nella ricerca del detective più grande, finse di ignorarla. Probabilmente era ancora in camera con la ragazzina, a spiegarle l’accaduto ed organizzare un piano; e lui non aveva voglia di vederlo, allora, di specchiarsi in quegli occhi candidi.
Sentiva sul cuore un peso: forse davvero avrebbe dovuto tacere, forse avrebbe realmente fatto meglio a tenere i suoi giudizi per sé invece d’incolpare quel monaco! Forse, se non avesse tolto quella statua da lì, non sarebbe morto.
Temeva il giudizio di Kudo, poiché era consapevole d’aver peccato; in quel momento, non avrebbe saputo resistere al suo sguardo filtrato dalle finte lenti degli occhiali da inseguimento.
Giunsero fino al porto, nel vano tentativo di rintracciare Mouri: con grande sorpresa videro in lontananza il battello che li aveva condotti lì, e il timoniere protetto da un’impermeabile chiaro scendere i gradoni per tornare a bordo.
Heiji, ignorando la pioggia che lo bagnava, s’affrettò nella sua direzione chiamandolo a squarciagola. L’uomo arrestò i passi, rivolgendogli attenzione.
“Mi scusi, ma i viaggi non erano sospesi in caso di tempesta?” gli domandò con il fiatone.
Il timoniere annuì: “Abbiamo anticipato il percorso di domani mattina a questa notte per rifornire l’isola dei viveri più indispensabili, dal momento che la pioggia sembrava aver subito qualche minuto di pausa. Tra poche ore si rialzerà il vento e credo sarà impossibile venire qui per un paio di giorni.”
Hattori annuì, fermandolo poi per un braccio quando gli diede le spalle per tornare al comando dell’imbarcazione:
“Aspetti un momento! Ha per caso visto…”
“Il tempo stringe, ragazzo, scusami. Come puoi vedere quel vecchio incappucciato sul battello non può più aspettare, mi sembra spiacevole costringere un uomo di quell’età alle intemperie. L’unica persona che ho visto è stato un tipo che si è definito un detective e mi ha affidato una lettera da consegnare a Tokyo. Ora, addio.”
Gli voltò le spalle, affrettandosi verso la barca.
“Una lettera?” ripetè ad alta voce, mentre la pioggia iniziava a divenire più violenta.
“HEIJI!” lo richiamò Kazuha, le mani ai lati della bocca a mò di megafono. “TORNIAMO INDIETRO, STA PER RICOMINCIARE A TUONARE!”
 
Rientrati nella pensione, trovarono Kogoro nella sua stanza: alle loro domande elargì uno sguardo cupo, eppure speranzoso.
Chiese di essere lasciato in pace e chiuse loro la porta in faccia, barricandosi all’interno della camera.
Titubanti, i tre tornarono nel salone: non avevano voglia di ritirarsi e dormire.
“Ma tu guarda!” borbottò Ran “L’abbiamo cercato per due ore sotto la pioggia e lui ci ringrazia così!” gettò una fugace occhiata all’orologio appeso alla parete: le due e mezza del mattino.
“Piuttosto, Ran: che fine ha fatto Conan-kun?”
La karateka sobbalzò: “Oh, poverino! L’abbiamo lasciato all’oscuro di tutto nella sua camera per ben due ore!” Si alzò, pronta ad andare ad avvisarlo.
Heiji non la seguì: filò direttamente nella sua camera, chiudendosi dentro.
Non fu una notte piacevole: non riuscì a chiudere occhio, ogni momento l’immagine di quel monaco che gli sorrideva grato con la statua di Ade tra le mani faceva capolino tra i ricordi come una pugnalata in pieno petto.
Il detective che incastra il colpevole e lo spinge al suicidio non è diverso da un assassino.”
Richiamò alla mente l’altruismo di Shinichi attraverso la voce di Conan, e serrò gli occhi:
-E un detective che spinge un innocente alla morte, che cos’è, Kudo?-
Finalmente giunse il mattino; ma Heiji non si azzardò a mettere piede fuori dalla stanza.
Kazuha battè contro lo stipite più volte, ma non le rispose: le braccia incrociate attorno al capo, in posizione supina rifletteva sull’assassinio, cercava di trovare un indizio tra le parole, i gesti, gli atteggiamenti dei presenti; un vacillamento, un’esitazione… qualunque cosa, maledizione!
Lui non era tipo da abbattersi; si sarebbe rimboccato le maniche e avrebbe trovato la verità! Perché la verità è una sola, gli aveva detto qualcuno.
Malauguratamente non scoprì nulla, se non il comportamento singolare del poliziotto fuori di testa: ma quello era stato evidente sin dall’incontro con Kogoro, per quanto gli avesse riferito Kudo.
Già, Kudo: lui aveva sicuramente pensato ad un piano! Inspirò profondamente, colmando i polmoni d’aria: era arrivato il momento d’incontrarlo.
 
 
§§§
 
“Che cosa sta succedendo?” domandò Kiichi al suo sottoposto, di vedetta sulla soglia della centrale.
“Molte…molte persone accorrono al vecchio ambulatorio, Chika-san.” Rispose l’agente, titubante.
“Questo l’avevo visto da me!” tuonò lui, gli occhi rivolti a quel tumulto. “Ma perché?”
L’agente scosse il capo: “Non lo so, signore.”
“Cosa diavolo deve capitare ancora? Quale altro problema ci hanno provocato quegli impiccioni?” parlò ad alta voce, desiderando pensare.
Afferrò il cappello della sua divisa e si precipitò in strada, portando con sé due agenti.
 
§§§
 
“Come come?” Per l’ennesima volta, Hattori non credette alle sue orecchie “Conan sta male?”
Kazuha annuì.
Entrambi si trovavano nella sala ristorante della pensione, ma nessun altro godeva della loro compagnia. Non appena l’aveva visto, la Toyama aveva tirato un sospiro di sollievo, sfociando poi un:
 “Meno male, Heiji! Problemi si susseguono a problemi!”
“Sei sicura di quello che dici, Kazuha?”
 “Certo!” Quando ieri Ran-chan è andata ad avvisarlo, gli ha risposto Ai-chan attraverso la porta. Le ha detto che Conan-kun era corso sotto la pioggia sino al traghetto, ma non ha saputo indicarle il motivo. Rientrato in stanza qualche ora dopo era privo di forze ed è  quasi crollato.”
-Sino al traghetto? Perché mai Kudo è andato là?- si chiese, ma le parole dell’amica d’infanzia suggerivano un quadro nitido delle intenzioni del liceale del Kanto.
“Ran mi ha detto che avrebbe voluto accudirlo, ma Conan già dormiva beatamente: Ai-chan gli ha chiesto di tornare questa mattina per non svegliarlo, poiché aveva impiegato lungo tempo a prendere sonno.”
“E questa mattina? Questa mattina l’hanno fatta entrare?”
Kazuha scosse il capo, rivelando che l’amica era salita allora al secondo piano.
Il cuore di Heiji perse un battito: -Possibile che…?-
Si precipitò anche lui verso la stanza 327.
“Che cosa ti prende, Heiji?” lo seguì, abbandonando sul tavolo la tazza di latte e cioccolata per metà ancora piena.
-Non ditemi che…devo scoprire se l’ha fatto entrare!- pensava correndo velocemente per le scale.
Ottenuto il secondo piano, scorse la figura di Ran davanti alla porta della camera: l’espressione era conformata alla preoccupazione.
“Che succede, Mouri? Il ragazzino non ti fa entrare?” la investì di domande senza neppure salutarla: non ce n’era il tempo, doveva sapere al più presto!
La giovane scosse il capo: “Non mi risponde nessuno! E’ tardi, debbono svegliarsi. E poi, qualora Conan abbia davvero la frebbre, dovrebbe misurarla questa mattina, se continua a dormire non sappiamo se la temperatura sia ulteriormente aumentata!”
Continuò a parlare, spiegando le motivazioni per cui era necessario svegliarli ed entrare in quella stanza: ma Heiji era occupato in ben altre congetture.
-Il detective di cui parlava il timoniere ieri notte non era Kogoro, ma Kudo! E’ tornato adulto!- esultò, gioendo al solo pensiero –Per questo non si mostra a Mouri, non può farsi vedere nuovamente come se stesso senza prima trovare una spiegazione convincente per Conan: la febbre! Ma come ha fatto? Mi aveva detto che quella ragazzina non portava più pillole con sé per evitare di sentirlo lamentarsi…Come ha fatto ad averle con il ripetitore fuori uso? Non ha avuto possibilità di contattare nessuno! E poi, per quale ragione si è presentato come un detective ieri sera al porto? E cosa conteneva quella lettera? Era diretta a Tokyo…alla questura, forse! Se i collegamenti con la terraferma non fossero sospesi, direi che quel vecchio sul traghetto era il suo amico ispettore…quel Megure! Ma questo non può essere, come avrebbe potuto avvisarlo?-
Le riflessioni s’aggiunsero alle ipotesi e le ipotesi alle deduzioni in pochi secondi: con pollice ed indice ad avvolgere il mento, Hattori ragionava concitatamente.
Una forte presa al braccio lo scosse, distraendolo dai suoi interrogativi:
“Andiamo anche noi, Heiji!” lo stava esortando Kazuha.
“Andare dove?” le domandò con stizza, seccato d’essere stato interrotto da pensieri tanto urgenti.
“Non hai sentito?”
Solo allora il ragazzo notò di fronte a sé il detective Mouri.
“Il signor Kakeshi è uscito affidando la gestione della pensione alla moglie perché la piazza del paese è in subbuglio! Potrebbe essere successo qualcosa, magari c’è bisogno d’aiuto!”
“Ma cosa vuoi che mi…” fece per liberarsi dalla sua presa, poi l’occhio cadde nuovamente sulla figura di Ran in piedi davanti alla porta dell’amico: Kudo non poteva mettere piede fuori se lei fosse rimasta lì!
“Anzi, hai ragione!” si corresse, afferrando la giovane figlia di Kogoro per il polso. “Andiamo!” Decretò, trascinandola via.
“E-ehy!” cercò di ribattere lei, ma anche suo padre insistette perché raggiungessero presto il centro del villaggio. Quando per la strada spiegò loro  il motivo Hattori strabuzzò gli occhi:
“Hai inviato una lettera alla centrale di polizia di Tokyo?”
L’uomo con i baffetti annuì: “Mentre rientravo, ho sentito dire che il traghetto anticipa il suo viaggio di alcune ore quando minaccia tempesta. Così sono andato al porto ed ho atteso finchè non ho visto arrivare quella barca. C’era anche il moccioso…”
“Conan?” lo interruppero all’unisono Ran ed Heiji.
“Sì, lui…gli ho chiesto cosa ci facesse lì sotto la pioggia, ma non mi ha risposto! In realtà, non ha pronunciato una parola…quando il battello è attraccato mi sono distratto, e il momento dopo era scomparso come suo solito!”
“Era tornato in albergo!” gli rivelò la ragazza, portando poi le mani sui fianchi “Ma tu avresti dovuto controllarlo meglio, papà!”
“Avevo di meglio a cui pensare!” replicò, acido “ Ho affidato al timoniere una lettera intestata all’ispettore Megure, nella quale ho spiegato dettagliatamente la faccenda…quanto prima, manderà una squadra o verrà qui lui stesso, ne sono sicuro!”
Le due ragazze si rallegrarono, e Kazuha si voltò per rivolgersi all’amico:
“Che fortuna! Non è vero, Heiji?”
L’aveva visto così preoccupato la sera prima! Sperava che quella notizia l’avesse rincuorato; la sua espressione, tuttavia, appariva tutt’altro che rasserenata.
-Il detective della lettera non era Kudo…e Kogoro ieri sera lo ha visto! Allora…non è tornato adulto!- battè la faccia contro la dura verità, provando poi un forte senso di delusione.
D’altronde, ragionando lucidamente avrebbe dovuto capire subito che non poteva aver ripreso la sua forma originaria! Era impossibile! Per essere riuscito in una tale impresa, avrebbe dovuto superare se stesso, e per quanto abile, non era capace dell’impossibile.
Sospirò, affranto: sapere Kudo adulto gli sarebbe stato d’aiuto.
-Che sciocco!- si riprese, iniziando a scorgere da lontano una folla ancor più numerosa della calca del pomeriggio precedente –Kudo è sempre Kudo, anche da bambino!-
Non era vero: da adulto avrebbe potuto agire liberamente, e lui stesso non sarebbe stato costretto a chiamarlo con un nome falso, ad inventare scuse per giustificare il suo entusiasmo per la sua presenza.
L’avrebbe chiamato Kudo di fronte a tutti, senza alcuna remora…
“Cosa sta succedendo qui?” domandò Kogoro ad un passante, il piccolo gruppo oramai giunto a quella specie di raduno.
Heiji vide chiaramente quell’antipatico poliziotto Chika, scortato da due uomini, muovere veloci passi in direzione del complesso di uffici.
“Qualcuno è entrato nel vecchio ambulatorio…nell’obitorio…e sta profanando il corpo di quel poveraccio!”
I quattro amici spalancarono la bocca:
“L’ispettore Megure!” realizzò Mouri, precipitandosi alla porta di quell’antico locale.
-Possibile che sia già arrivato? Come ha fatto in così poco tempo?-
Seguito a ruota dagli altri tre, si fece spazio tra le numerose persone addossate le une alle altre, avanzando con l’ausilio di gomiti e braccia.
Occuparono la prima fila proprio nel momento in cui l’agente di polizia Kiichi alzava la voce con fare perentorio: “Cosa diavolo stai facendo?”
“Finalmente l’ispettore gli darà una lezione!” esultò a bassa voce Kogoro, sporgendo il capo oltre la spalla del poliziotto in questione per scorgere la figura dell’ex collega.
Ma prima della vista, agì l’udito:
“Sto effettuando un’autopsia.” La voce, in effetti, suonava categorica e tassativa.
Ma nessuno di loro ancora riusciva a porre gli occhi sull’ispettore: il corpo di Chika lo copriva interamente alla vista.
Tuttavia lì, ben visibile a tutti, il cadavere del monaco era adagiato su un lettino da laboratorio.
“Un’autopsia? Io non l’ho autorizzata!” tuonò il poliziotto con maggior grado di Oki, causando un’improvvisa impennata del mormorio attorno a loro.
“L’hanno autorizzata i fatti: un quarto decesso, sommato ai tre avvenuti in passato, è segno di un grave precipitare degli eventi. E’ necessaria un’autopsia del corpo, potrebbero essere omicidi.”
“Ehi…un attimo…” Hattori cadde vittima del dubbio. “Ma questa…”
“Ancora con questa storia? L’ho già ripetuto a quel tipo fastidioso!” apostrofò Kogoro, che intanto dava corda al detective di Osaka:
“Questa non è la voce dell’ispettore…”
“Come osate insinuare che io sia coinvolto in qualche losca operazione? Che io abbia occultato le prove di un delitto?” proruppe nuovamente nella sua propria apologia.
“Quattro delitti.” Lo corresse lui, il tono di voce sempre più fiero. “Ma non intendevo certo dire questo.”
“Ah, no?” digrignò i denti Kiichi, i due agenti al suo fianco che lo guardavano con timore: era in procinto di perdere la pazienza!
“Ti stai avviando verso la strada della diffamazione o dell’incitazione al disturbo dell’equilibrio pubblico!” lo minacciò, ricorrendo alle stesse accuse mosse contro il Detective Dormiente qualche giorno prima.
Ma il suo interlocutore, allora, non era Kogoro:
“Non insinuo nulla di tutto ciò, non oserei.” Ma dal modo in cui parlò, lasciò intendere che sì, osava; sì, insinuava. “Semplicemente, credo che lei abbia commesso un errore. Ed un errore non è da punire, né necessita di una tanto energica difesa di se stesso, da parte sua…se viene corretto con celerità.” Quella protasi risuonò alle orecchie del poliziotto come una minaccia.
Nel frattempo, Ran era avvampata: quei modi, quella voce…!
Dopo una prima fase di sbigottimento aveva cercato di spostarsi di fronte al misterioso interlocutore di Kiichi, per scoprirne l’identità; anche se non nutriva alcun dubbio.
Heiji fece altrettanto, strattonando le persone contro cui sbatteva le spalle o il busto, evitando di scusarsi, rapito dalla situazione.
-No…-
“Ma si può sapere chi diavolo sei? Da dove vieni?” sbottò l’uomo, trovandosi con le spalle al muro.
“Sono un detective privato, vengo da Tokyo.” Gli rispose “Poiché la questura centrale al momento non gode della possibilità d’intervenire, ne farò per un po’ le veci io.”
Il ragazzo dalla pelle scura e la karateka, finalmente, trovarono quiete in un punto in cui la scena ed i volti erano riconoscibili: trasalirono.
Presto anche Kogoro e Kazuha li raggiunsero, e si lasciarono sfuggire contemporaneamente:
“Oddio!” .
“La questura centrale?...io…io non l’ho contattata! Non è necessario il loro intervento, bastiamo noi!” tornò a ripetere la stessa scusa per l’ennesima volta, cercando inutilmente di celare i tremori causati dall’ira prossima a un’impennata.
“Non mi pare.” Rispose lui; si sfilò con lentezza i guanti bianchi, sino ad allora utilizzati per compiere al meglio l’autopsia.
La camicia chiara nei pantaloni blu, stesso colore della giacca che aveva poggiato sul braccio di un attaccapanni alle sue spalle per dedicarsi al lavoro; le maniche rimboccate sino al gomito a mostrare due avambracci muscolosi e forti. All’orecchio destro brillava uno strano orecchino dalla forma allungata.
“Non ci credo…” Kogoro si strofinò gli occhi con i  pugni, come se si fosse appena destato da un lungo sonno.
“Non ti pare?!” Chika esplose in tutta la sua ferocia animale “Mi hai stufato! Voi: portate questo ragazzino via di qui!” ordinò quindi ai due colleghi. Ma non appena questi fecero per avvicinarsi a braccia tese per afferrarlo per le spalle, anche lui alzò un po’ la voce:
“Sono sicuro che non intendiate mancare di rispetto all’autorità dell’ispettore Yuzo Megure del quinto distretto della questura centrale di Tokyo, che io rappresento!”
I due agenti di polizia arrestarono i movimenti, titubanti; perciò tornarono a rivolgersi al loro dirigente.
“Chika-san…”
“Chi diavolo è?” li ignorò, porgendo all’affascinante giovane la stessa domanda: tutti notarono che, nonostante la resistenza, aveva deciso di dargli un più rispettoso ‘lei’.
“Gliel’ho già detto: sono un detective privato.” Sul suo volto s’aprì un sorriso d’orgoglio che causò un battito accelerato nel petto di Ran.
“Come quegli altri due impiccioni! Loro…” ma lui non gli concesse tempo di parlare:
“Impiccioni? Si riferisce forse a Mouri e Hattori?”
I due interpellati sobbalzarono.
“Fatemi la cortesia di chiamarli qui. Se lo desiderano, effettueranno anche loro gli appropriati rilievi sul corpo.”
“Non è necessario.” Hattori parlò, attirando l’attenzione su di sé in maniera meccanica “Siamo già qui!” si fece avanti, affiancato poi anche da Kogoro.
Allorché prese coscienza di quanto appena fatto, si diede da solo dello sciocco: aveva esitato a fronteggiarlo in privato, e poi accettava di reggere il suo sguardo di fronte a una folla in tumulto?
Ma si finse sicuro di sé: “Ciao, Kudo.”
Gli istanti che separarono quella frase dalla replica gli parvero lunghi e lenti come se equivalessero ad anni.
Shinichi, nella sua versione più adulta e più audace, fissò su di lui i suoi occhi.
Gli tolse un peso dal cuore, donandogli un sorriso. Un sorriso sincero e privo di qualsivoglia giudizio.
“Ciao, Hattori.”
 
 ^*********************************************************************^
 
 
Precisazioni:
 
*Nel primo episodio, Shinichi passa di fronte un locale non ben identificato e sente una giornalista televisiva parlare di sé; mi sono rifatta a quella scena, pensando cosa sarebbe successo se al suo posto ci fosse stato Hattori. Il nome della signora uccisa è inventato poichè nel primo file non è detto, ma il caso di riferimento è comunque quello.
* L’assassinio del cantante e l’intervento di Shinichi si trovano effettivamente nel manga, l’episodio è intitolato La Grande Festa, è stato trasmesso su Italia2 da poco.
Lo so che non ha molto senso ritenere che sia successo questo xD Ma mi sono sempre chiesta come mai Hattori compaia quando oramai di Shinichi nessuno parli più; e ricordando che pochi file prima il grande detective dell’est aveva fatto il suo rientro, anche se non di persona, ho pensato che forse qualche pettegolezzo d’ufficio fosse giunto sino al nostro amico di Osaka.
* Un detective che incastra il colpevole…: Volume 16, file 3.
*“Quando hai eliminato ciò che è impossibile, quello che resta, per quanto improbabile, è la verità.”: frase di Holmes, citata da Conan nello special L’Isola Della Sirena.
* (…)piantarla con queste bugie eCosa devo fare con Ran?:  Volume 26.
*“Sta’ tranquillo, finchè rimarrà qui chiusa a chiave in questa stanza non le accadrà nulla.” E “…a meno che non abbia nascosto gli occhiali da inseguimento: Volume 42, Halloween Party: quando Conan chiude Ai in camera prima di andare al porto contro Vermouth.

*(…) dedotte?: Volume 54: Heiji ha cercato informazioni su Rena Mizunashi, e consiglia Conan di andarci con i piedi di piombo. Ovviamente, lui rifiuta. (La traduzione è un po’ libera, poco fedele al manga, ma il succo è lo stesso XD Mi piaceva di più così!
*Baby Browning: pistola semi automatica di piccole dimensioni, definita “pistola da borsetta”. E’ originaria del Belgio.
*Beretta: La Beretta  (conosciuta anche nelle varianti Beretta 92, Beretta 96, Beretta 98 e Beretta M9) è una pistola semi-automatica a chiusura geometrica con blocco oscillante, progettata e costruita dalla Fabbrica d'armi Beretta in Italia. E’ un'arma di riferimento nel settore di difesa militare e civile.
*(…) pioppo bianco: sono tutte offerte che venivano rivolte ad Ade, dio degli Inferi, nell’antica Grecia e nella Roma imperiale al corrispondente Plutone.
* la verità è una sola: Shinjitsua itsumo istotsu! E’ la frase-manifesto di Shinichi e la pronuncia durante il loro primo incontro nell’episodio Il Diplomatico.
 
 ^**********************************************************************^

Note dell’autrice: Ed ecco a voi il grande detective dell’est, il liceale detective…KUDO SHINICHI!
Contenti di rivederlo? A gran richiesta, eccolo di nuovo adulto xD Ho impiegato un sacco a scrivere quest’ultima parte in quanto di fatto rappresenta il nucleo della storia: vale a dire, prima mi è venuto in mente questo suo possibile rientro in grande in stile, poi ho deciso che l’idea era buona e ci ho costruito tutta la leggenda di Ade intorno! xD
Spero sia di vostro gradimento!
Ho voluto cambiare stile rispetto a Un Silenzio: prima vi ho praticamente rivelato la verità attraverso le elucubrazioni di Hattori, poi ho negato tutto con l'intervento di Kogoro; infine, sono tornata all'origine e ho fatto avverare le ipotesi di Heiji. Ovviamente vi sono ancora delle parti poco chiare: i due brevi paragrafi inframezzati tra la narrazione di Heiji&Co, e la modalità con cui Shin è riuscito a tornare superando se stesso. A quest’ultimo interrogativo darò risposta nel prossimo capitolo –le teorie però sono ben accette: sono aperte le scommesse!-.
Ora, vado xD Perdonatemi, ma sono un po’ di fretta: debbo dedicarmi al cosplay per il Romics di domani!
Un grazie enorme alle mie carissime Roxina, Rob, aoko_90, Hoshi Kudo, Kaori_.

A presto,
Cavy


Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Shinichi Kudo Apre L'Indagine! ***



Capitolo Quarto

Shinichi Kudo Apre L'indagine!








 


 
“Ciao, Hattori.”
Il sorriso sereno con cui si rivolse a lui gli fece tirare un sospiro di sollievo: nell’istante in cui i loro sguardi s’incontrarono Heiji distinse chiaramente la calma di quel blu d’oceano, cosicché l’apprensione provata l’intera notte svanì immediatamente. Shinichi però si distrasse quasi subito, spostando l’attenzione sulla sagoma di Ran, accorsa al fianco del ragazzo di Osaka; le regalò un sorriso imbarazzato perciò mite, al quale lei non replicò se non quando ebbe incollato gli occhi alla punta dei piedi.
Il rosso colorava anche le sue guance.
Presto allora Kudo ritenne giusto riassumere l’atteggiamento sicuro e assolutamente privo d’impaccio adeguato al detective che s’arrischia a dare ordini e dirigere le operazioni.
“Il detective Hattori e il detective Mouri avranno libero accesso a questo ambulatorio, e potranno effettuare loro stessi dei rilievi sul cadavere, se lo desiderano.” ordinò alle tre forze dell’ordine, Chika compreso.
“L’accesso a questo studio è consentito solamente al medico condotto.” Lo informò tassativamente quest’ultimo, le braccia calate lungo il corpo in segno d’irritazione.
Shinichi prese a sfilarsi lentamente i guanti in plastica bianca, badando bene di non strapparli.
“Quando il medico condotto arriverà, gli restituiremo il campo d’azione. Al momento però mi pare sia assente, e non potrà tornare fin quando la tempesta non sarà cessata e il mare permetterà al battello di attraccare.”
Gettò con un movimento del polso i guanti sulla scrivania poco distante il lettino, e si diresse all’attaccapanni:
“Ma non credo avverrà presto.”
Effettivamente il cielo plumbeo non concedeva spazio alla speranza.
Kudo allora fece un cenno del capo ai due colleghi, mentre riaggiustava le maniche rimboccate della camicia chiara.
Heiji deglutì: esaminare personalmente quel corpo?
L’amico era stato comprensivo e non aveva dimostrato d’essere risentito o deluso dal suo operato in alcun modo: ma questo non bastava a rasserenarlo. Hattori era conscio d’aver sbagliato.
Scosse il capo:
“Mi…mi fido di quel che hai ricavato tu.” Replicò dunque, sorridendo lievemente a disagio.
Kogoro convenne.
“Molto bene.” Asserì lui, cercando di mascherare un sorriso d’orgoglio voltando loro le spalle.
“Il corpo non presenta alcuna traccia di lesioni della cute o delle mucose, non v’è nessuna escoriazione: quindi è da escludere che abbia lottato prima di morire. E possiamo dedurre che non ha affrontato alcun avversario neanche nel pomeriggio, dopo aver gettato la statua di Ade nel dirupo, poiché non si è formata la tipica crostasiero-ematica successiva ad una ferita,  e sono assenti cicatrici superficiali di colore biancastro.” Spiegò la sua attenta analisi, l’orecchino argentato che brillava sull’orecchio.
“Tuttavia i vestiti bagnati indicano che o è stato per qualche ragione gettato nell’acqua, oppure prima del decesso ha sudato molto.” Proseguì, afferrando dall’attaccapanni  la giacca depositata lì qualche tempo prima allo scopo di effettuare meglio l’autopsia.
“Sarà possibile determinare quale tra le due ipotesi sia quella corretta ricorrendo all’esame elettroforetico.” Infilò la giacca blu, tornando ad essere elegantissimo come sua norma.
I presenti batterono le palpebre, perplessi.
“Elettroforetico…?” ripetè Kogoro in un balbettio, prima che Hattori intervenisse:
“L'elettroforesi è una tecnica analitica e separativa basata sul movimento di particelle elettricamente cariche immerse in un fluido, per effetto di un campo elettrico applicato con una coppia di elettrodi al fluido stesso. Le particelle si spostano verso il catodo se hanno carica positiva e verso l'anodo se hanno carica negativa. Giusto?”
Il ragazzo annuì: “Esatto. Il sudore umano contiene immunoglobuline, un particolare tipo di proteina capace di reagire all’elettroforesi. Tuttavia non so se in questo laboratorio siano reperibili gli strumenti necessari…per questo, se necessario, cercheremo di accontentarci dell’effetto Tyndall.”
Fu Kazuha a sollevare il dubbio: “Non so cosa sia neppure quest’effetto Tyndall…”
Shinichi lanciò un’occhiata eloquente ad Hattori, che sbuffò; ignorava anche lui quel termine.
“L'effetto Tyndall è un fenomeno di diffusione della luce dovuto alla presenza di particelle, di dimensioni comparabili a quelle delle lunghezze d'onda della luce, presenti perlopiù nelle emulsioni.”
Le facce allibite degli astanti lo spinsero a continuare:
“Si può assistere a questo fenomeno anche nella vita di tutti i giorni. Ad esempio…avete presente i raggi di luce che all’alba o al tramonto attraversano le nubi, invece d’essere trattenuti all’interno del vapore acqueo che le costituisce? Oppure quando la luce dei fanali di un’automobile filtrano passa attraverso la nebbia. E’ la stessa cosa.”
“E cosa c’entra la luce con il sudore?” domandò Kogoro, mantenendosi a debita distanza dal cadavere del monaco: quei discorsi lo rendevano un po’ schizzinoso…
“Le proteine del sudore sono costituite da amminoacidi, che presentano questo fenomeno particolare.”
Sollevò il lenzuolo fin sopra la testa della vittima, coprendola interamente.
“Per sperimentare questo è sufficiente un’apparecchiatura piuttosto semplice e rudimentale.”
Sorrise al padre dell’amica, muovendo alcuni passi nella loro direzione.
“Ad ogni modo, a prescindere da quale sarà l’esito degli esami, l’assenza di ferite dimostra che la vittima non può essere stata aggredita da una bestia feroce. E la mancanza di tracce di qualsiasi colluttazione invece…”
“…rivela che la vittima conosceva il suo assassino.” Finì al suo posto Heiji, portando entrambe le mani nelle tasche.
“Giusto.” Convenne lui, arrestando i passi nonostante non fosse ancora troppo vicino a loro.
La presenza di Ran lo imbarazzava, sapendo poi che anche Kazuha era  al corrente di quanto accaduto a Londra; per non parlare poi di Hattori!!
“Altrimenti avrebbe lottato nel tentativo di difendersi. Protendo dunque per l’idea che…”
“…l’assassino l’abbia colpito alle spalle.”
Scattanti, su una lunghezza d’onda che loro solamente potevano seguire con una tale rapidità.
“Assassino?” Chika tentò di afferrare repentinamente le briglie della situazione. “Già parlate di assassini…”
“Certo. Appurato che la morte non è avvenuta per cause naturali, bensì per quei graffi che hanno portato la vittima al dissanguamento, e logicamente dedotto che il monaco non ha affrontato un animale, restano due possibilità. La teoria dell’omicidio, il che reclama un omicida, oppure la tesi del Vecchio Ade. Per quale opzione protende la polizia?” Incalzò Shinichi con tono di voce tranquillo ma perentorio.
Kiichi non replicò, mordendosi il labbro inferiore.
“Mi sembra inutile perdere tempo.” Stabilì, tornando sui suoi passi per aprire il primo cassetto della scrivania in quell’improvvisato laboratorio clinico: s’impadronì delle chiavi del locale accanto, il vecchio ambulatorio medico.
“Daremo inizio agli interrogatori oggi stesso, ora, subito.”
Hattori e Mouri strabuzzarono gli occhi: stava davvero tentando di avviare le indagini?
“Cosa? No! Voi…” fece per proibirlo il poliziotto più importante, ma Kudo non gli diede tempo di terminare il divieto:
“Si svolgeranno nel vecchio ambulatorio anziché in centrale, fin quando la polizia non avrà preso posizione.” Poi alzò la voce perché tutti gli astanti, anche i curiosoni, potessero udirlo:
“Ogni abitante del villaggio risponderà ad alcune domande. Nulla di allarmante, è necessario per riuscire a trovare qualche indizio. Qualcuno avrebbe potuto assistere inconsapevolmente, o aver sentito qualche rumore utile alla risoluzione del mistero. Inizieremo con coloro che abitano più vicini al tempio, proseguendo poi in ordine decrescente sino ai residenti in campagna.”
Fece per muovere dei passi ed avviarsi al luogo indicato, ma Chika diede in escandescenze:
“Non se ne parla: io glielo proibisco!”
Shinichi si bloccò:
“Ah, lei me lo proibisce?”
“Sì, in nome della mia autorità!”
Quella formula aveva sempre sortito l’effetto desiderato: nessuno osava disubbidire.
D’altronde però al suo cospetto s’ergeva Shinichi Kudo.
“Bene.” Replicò, il viso in aria di chi è sicuro delle proprie azioni.
Riprese a camminare, intenzionato a lasciare l’obitorio.
Di conseguenza un grande mormorio si diffuse per la zona, accrescendo ulteriormente la collera dell’agente ignorato. Hattori e Ran, tuttavia, sorridevano soddisfatti scrutando quell’uomo antipatico e negligente messo alle strette dal loro amico.
“Basta così! Fermatelo!” ordinò ai sottoposti, additando Shinichi con stizza. Allora i due poliziotto si mossero per immobilizzargli le braccia e ridurlo alla stasi, ma immediatamente l’ex bambino scattò:
“Intendete trasgredire le direttive imposte dall’ispettore Megure, che io rappresento?” ricorse nuovamente all’arma utilizzata pochi minuti prima, sperando funzionasse.
In corpo il cuore martellava violentemente e il sangue pulsava burrascoso nelle vene: quanto ancora avrebbe potuto camminare sul filo del rasoio? Eppure in apparenza non emanava altro che sicurezza.
Il brusio cessò, regnò il silenzio; i due uomini rimasero interdetti, fermando le braccia già distese a mezz’aria: parlarono poi al loro capo.
“Chika-san…”
Kudo non disse altro, ma a passo svelto si diresse al vecchio ambulatorio.
La folla circostante, nuovamente impegnata a sollevare voci di pettegolezzo paesano, s’aprì alla sua venuta lasciandogli lo spazio necessario per passare.
“Muovetevi!” Kogoro richiamò Kazuha e Ran, rimaste imbambolate a fissarlo allontanarsi: esattamente come Hattori, che anzi già ripercorreva le sue impronte, temeva che prendendo le distanze da lui Chika sarebbe riuscito in qualche modo a ostacolarli. Rimanere al suo fianco parve a tutti la strategia più sicura per avviare le indagini senza intoppi.
Incamminandosi, udirono poco distante le parole concitate del poliziotto appena messo a tacere:
“Se non la smettete di comportarvi come un branco di donnicciole di fronte a quel bellimbusto vi raddoppio il turno, avete capito?”
 
§§§
 
L’ufficio adibito a sala interrogatori non aveva visto molto ospiti: Shinichi, appoggiato con il bacino alla scrivania medica e le braccia conserte, attendeva in silenzio che qualcuno varcasse la soglia della porta di fronte a lui.
Heiji, seduto sul davanzale interno della finestra sul pianterreno tamburellava nervosamente le dita sul suo avambraccio, evidentemente a disagio; e Kogoro, lo sguardo oscillante tra l’amico di sua figlia e la porta d’entrata, appariva piuttosto spaesato.
-Possibile?- si domandava il moro, irrequieto –Possibile che nessuno qui abbia un minimo di senso civico?-
Hattori alzò il viso, decidendosi finalmente a puntare lo sguardo sul suo compagno d’investigazione: nonostante i dubbi che gli laceravano la mente, non dava segno d’incertezze.
Il portamento era fiero, l’atteggiamento ostentava sicurezza: dal momento in cui si era adagiato in quella posizione non si era spostato di una virgola; nessun movimento che tradisse vulnerabilità, alcun gesto di apprensione sul possibile esito di quella faccenda.
Kudo sembrava navigare nella convinzione che presto gli abitanti del villaggio, ad uno ad uno, avrebbero testimoniato con fervore e condiscendenza. Lo scrutò a lungo: i suoi occhi non furono mai attraversati da un lampo di ansia.
Ma Kogoro, diversamente da Heiji, sapeva guardare, eppure non possedeva l’abilità di osservare; dopo uno sbuffò, esordì:
“Sei sicuro che stare qui a far nulla potrà esserci d’aiuto? Non sarebbe meglio…” tentò, quando un rumore di passi lo bloccò.
I tre detective si voltarono per scoprire in piedi, oltre lo stipite, l’archeologo che Shinichi nei falsi panni di Conan aveva incontrato il giorno prima.
Kogoro battè la palpebre mentre Hattori scorse Shinichi sorridere soddisfatto; lo imitò, tirando la bocca su un lato.
“Buongiorno.” Li salutò, cordiale “Posso sedermi?”
“Certamente.” Gli rispose Kudo, accennandogli le sedie di fronte la scrivania.
Fu lui a porre le domande, dal momento che Kogoro conservava la perplessità di poche ore prima e Hattori non abbandonava lo stato taciturno, piuttosto discordante con la sua solita personalità espansiva e solare.
Non sfuggì a Shinichi; ma, allora, il peso dell’indagine gravava sulle sue spalle, più forti degli altri due, seppur a causa di motivi differenti. Quindi finse d’ignorare la singolare condizione delle cose e assunse un atteggiamento decisamente spavaldo, non difficile per il suo animo da prim’attore.
Meohoshi Katushiko si presentò come archeologo, nonché direttore del museo di storia antica e medievale del villaggio;  accennò all’incontro con il ragazzo dalla pelle scura il giorno prima, ma fu molto rapido ed esaurì quel breve racconto con un sorriso al giovane stesso.
“E quel ragazzino che era con te?” domandò a un certo punto, visto il fare cordiale del detective che dirigeva l’interrogatorio.
Hattori scosse il capo: “Lui…lui non si sentiva…molto bene…” ricorse alla balla inventata proprio dal diretto interessato, lanciandogli un’occhiata in tralice.
Il protagonista della conversazione annuì con gli occhi.
“Non credevo fossi un poliziotto ieri, sai? Stavi già indagando su questa storia?” proseguì, irrigidendolo.
“Non sono un poliziotto, sono un investigatore privato. Ma sì, indagavo sulla leggenda e sugli omicidi.” A dispetto del tono di voce stranamente mite, le orecchie di Shinichi percepirono un suono tronfio e gongolante.
“Omicidi? Allora è vero! Sono sul serio opera di un assassino?” sembrò allarmarsi, al che Heiji fece un passo indietro: “Beh…”
“Non ne siamo ancora sicuri, per questa ragione desidereremmo ascoltare ogni abitante di qui.” Intervenne paziente il Detective dell’Est, riconducendo il dibattito in forma d’interrogatorio.
L’uomo rivelò ciò di cui già i due amici erano a conoscenza: il pomeriggio si era recato presso l’abitazione del contadino Mitsuoshi, padre della musicista Akemi. Preso il sasso dopo una veloce analisi, l’aveva sottoposto a test più precisi nel laboratorio del museo, poiché probabilmente si trattava di un antico reperto archeologico:
“La parte più interna di una struttura difensiva medievale a forma di tronco di cilindr…” spiegava con solerzia come un professore ai suoi allievi, quando Mouri finalmente parlò:
“Bene, bene…va bene.” Liquidò la disquisizione storica “E la sera, tra le ore ventidue e le ore ventitré, dove si trovava?”
Meohoshi rise: “Dovete scusarmi, m’infiammò nel mio campo: sapete, colleziono oggetti antichi, anche i più bizzarri…! Adoro perderci tempo.” Si passò una mano dietro la nuca, aggiungendo: “In quell’ora mi trovavo in laboratorio: le analisi sulla roccia – mai un archeologo l’avrebbe chiamato semplicisticamente  ‘sasso’!- richiedevano del tempo, perciò sono tornato a casa nel tardo pomeriggio pensando di confrontare i risultati la mattina dopo. Ma non ho resistito e, calcolate le ore necessarie perché gli elementi reagissero con la soluzione in cui li avevo immersi, sono tornato a vedere.”
“Ha lei la chiave del museo?” gli domandò Shinichi, intenzionato a verificare il suo alibi; quello annuì.
“Sì, ma la guardia deve avermi visto. Ho parcheggiato proprio davanti il portone d’ingresso, ero entusiasta e non volevo perdere tempo.”
Il gelo s’impadronì della sala: che fare? Data l’assenza della polizia, era loro compito anche raffrontare le testimonianze?
-Possiamo prenderci anche la libertà di disporre di questo posto e del ruolo che ci siamo auto assegnati a tal punto…?- si domandava Kogoro.
Un cenno eloquente del giovane edochiano lo rassicurò, convincendolo ad afferrare la cornetta del telefono dell’ambulatorio per confermare le parole del testimone.
Katushiko allora si alzò, pronto a congedarsi:
“Cercherò di convincere altri abitanti, signori detective.”
Ma Kudo arrestò il suo avanzare:
“Mi scusi, signor Meohoshi. Un’ultima richiesta.”
Lui si voltò, le sopracciglia aggrottate.
“Lei crede alla leggenda di Ade?”
Nella sala irruppe un agente di polizia tra quelli che poco prima avevano affiancato il sedicente ispettore Chika; l’archeologo ne approfittò per rispondere con un solo sorriso.
Mentre abbandonava la stanza, il poliziotto si metteva sull’attenti:
“Chika-san mi chiede di riferirle che se vuole interrogare gli abitanti del villaggio ha il suo permesso, qualora essi decidano di collaborare. Ma gli altri due debbono lasciare immediatamente questo luogo.”
“Cosa?” digrignarono i denti entrambi, alzando un pugno in aria in segno di stizza.
-Maledetto moccioso: lui e la sua parlantina!- già lo insultava con la mente Kogoro, quando il suddetto moccioso replicò, deciso:
“Gli altri due? Si riferisce forse al figlio del capo questore di Osaka, Heiji Hattori…” calcò il timbro sul cognome, prova  della inequivocabile parentela  “…e il Detective Dormiente Kogoro Mouri?”
“Ahm…sì…” quell’agente non parve rapido di comprendonio: la frase avrebbe dovuto parlare da sè.
“In quanto sostituto di suo padre, Heizo Hattori, e come rappresentante oltremare dell’ispettore Yuzo Megure, Hattori e Mouri godono della mia stessa autorità.” Proferì, tranquillo. Poi aggiunse repentino, in uno sfogo d’ironia saccente:
“Qualora la loro fama non valga di per sé.”
Il povero poliziotto capitato lì, intimidito, accennò un saluto militare con la mano tesa sulla fronte, battendo lievemente il tacco della scarpa sul pavimento.
“Inoltre!” lo richiamò, impedendogli di voltare completamente le spalle per ritornare sui suoi passi con la coda tra le gambe: “Inoltre, qualora gli abitanti decidano di non collaborare, penserete voi a persuaderli. Noi aspetteremo fino a stasera.”
“Credi di essere ispettore?” gli si approssimò Kogoro, con un sussurro concitato.
Lui gli fece l’occhietto.
“N-noi?” parve sorpreso, anzi, piuttosto sarebbe meglio restio. Parve restio ad accettare quell’ordine mascherato da suggerimento.
I mesi trascorsi nei panni di un bambino l’avevano costretto al silenzio, se non in casi del tutto eccezionali e rari, che contemplavano l’assenza di chiunque eccezion fatta per i suoi genitori, Hattori, Agasa e Haibara.
Quando si presentava la possibilità di tornare normale, il suo ego, dapprima seppellito con fatica nelle profondità dell’ animo, mirava alla ribalta, contento d’aver nuovamente la possibilità d’esprimersi nella sua piena forma.
Il desiderio di mostrare le proprie capacità emergeva inconsciamente, ma più violento e rude, poiché non aveva avuto licenza di farlo a suo piacimento: come il meccanismo di una molla che, contratta, subisce una forza maggiore a quella capace di sopportare, ma non si spezza né si rompe; continua ad accartocciarsi su se stessa, diminuendo in lunghezza, pronta a cogliere il momento di estendersi con un moto prorompente; e quando avviene, la forza di cui è dotata vale molto di più di quanto non potesse in passato, giacchè nel frattempo ha accumulato energia potenziale. Perciò dalla compressione deriva trazione, dalla stasi un movimento in grado di declinarsi come un’ impetuosa onda che spazza via ogni ostacolo grazie alla nuova forza acquisita, una capacità travolgente.
Chiaro dunque intendere perché Shinichi rincarò la dose, gli occhi che brillavano di scaltrezza pungente.
“Lei.” Lo corresse, vedendolo trasalire.
“I-io?” il poliziotto cercò di nascondere, almeno quella volta, il disappunto.
Ma era troppo tardi:
“Già, lei. Vada in giro per il paese, li convinca.”
“Ma, Chika-san…” tentò di svincolarsi, incapace di rimanere saldo contro quell’ onda di spuma marina che era Shinichi Kudo:
“Ricordi A Chika…” evitò di proposito il suffisso rispettoso “…che, oltre a diffamazione e incitazione al disturbo del pubblico equilibrio,  esiste anche l’accusa di omertà. Ogni residente di Oki rischia d’incorrere in questo reato, se non viene a deporre.”
L’agente deglutì, mortificato.
“Agli ordini, signore.” Balbettò con poca convinzione, prima di scappare, letteralmente, dall’ambulatorio.
“Penserai davvero di essere un questore tu stesso?” lo investì Kogoro, tuttavia il volto era piegato in un sorrisetto canzonatorio e per nulla adirato.
Poggiò i gomiti sul tavolo, accettando stranamente di buon grado quell’espressione furbetta che Shinichi gli offrì in risposta.
 
§§§
“Ma quei tre sono al corrente di quello che stai facendo?” gli domandò, scettica.
Lui la guardò, quasi deridendola: “Non sono affari che li riguardano.”
“Credi? Sono loro che si occupano di…”
“Devo intendere che non hai intenzione d’aiutarmi?” la interruppe, pur restando immobile. La calma ostentata dal corpo fermo non trovava coincidenza negli occhi, assottigliati e minacciosi, tanto meno nella voce concitata, trasudante impazienza.
Lei sospirò, incrociando le braccia al petto:
“Tu sei sempre così suscettibile! Non ti tranquillizzi mai?” mosse leggermente il capo per esprimere fastidio.
“Bene, me ne ricorderò.” Decretò, lasciando ben intendere le sue intenzione tra le righe di quell’apparente resa; in realtà, era un attacco, ed anche piuttosto temibile.
“Accidenti, dove diavolo vai? Aspetta.” Lo richiamò, poggiandogli una mano sulla spalla. Incrociando i suoi occhi freddi, la ritrasse immediatamente.
“Stai aiutando quella? Se è per lei che fai così, dì pure quello che ti pare, non ho la benchè minima intenzione di…” cominciò ad accalorarsi, poggiando le mani sui fianchi.
“So come la pensi al riguardo.”
E, sebbene sia l’interlocutrice che  la circostanza lo proibissero, non riuscì a trattenere un guizzo d’ironia saccente:
“Lo sanno tutti.”
Si riprese subito, reprimendo quella sua energia tumultuosa negli abissi dell’ io:
“Lei non c’entra.”
 
§§§
 
Gli interrogatori si svolsero separatamente, poiché i tre investigatori si divisero al fine di velocizzare la questione: gli abitanti del villaggio non coprivano una gran quantità, ma si presentarono piuttosto tardi  e chiedere loro di tornare in questura il giorno dopo avrebbe costituito un salto nel vuoto; non c’era tempo a sufficienza per rischiare di ritrovarsi al punto di partenza.
Tali procedure diedero in fin dei conti i loro frutti così da restringere il cerchio dei sospetti  privi di alibi a due persone: Akemi Mitsuoshi, la pianista della banda attiva nel paese, Rosukko Ito, il guardiano dell’orologio.
La ragazza infatti –ascoltata da Kogoro- sostenne d’aver trascorso l’intero pomeriggio e buona parte della serata esercitandosi al piano, in quella melodia che Meohoshi aveva riconosciuto nel Requiem di Schumann.
L’uomo addetto all’orologio della torre – interrogato da Heiji- disse di aver cercato d’aggiustare il meccanismo delle lancette, poiché il temporale funesto della notte l’aveva danneggiato; nessuno l’aveva visto, dal momento che la cabina dove operare era costituita da un’angusta stanzetta sulla cima della torre.
Il proprietario della pensione fu l’unico a non presentarsi: ma sua moglie, avuta udienza con Shinichi, confermò l’alibi di entrambi:
“Il misuratore d’autoregolazione termica delle terme aveva subito un guasto, perciò mio marito l’ha aggiustato ed io l’ho assistito.”
Shinichi aveva annuito, permettendole d’andare. Poi aveva atteso che gli altri due lo raggiungessero: scambiate le informazioni ottenute, confidò loro altri dettagli circa l’autopsia del monaco.
“Sul colletto del suo chimono erano visibili tracce di uno strano materiale poroso, simile a legno. Inoltre, i graffi inferti sulla gola erano quattro, non cinque come le altre vittime.”
“Perché non  l’hai detto prima? Sei tornato di nuovo in obitorio?” gli domandò Kogoro, arricciando il naso: loro faticavano con quell’indagine puramente burocratica e lui, ideatore del programma, se la dava a gambe?
“No, ho preferito evitare di diffondere due dettagli così importanti davanti a tutti. Mezzo paese era presente, lì, ad ascoltare: ho creduto che una certa discrezione avrebbe potuto giocare a nostro favore.”
Spiegò tranquillo.
“Quindi…in totale, siamo solamente noi a conoscenza di questo?” domandò Heiji, grattandosi il capo.
Kudo annuì.
“Non lo hai detto neppure a Chika?”
“No.”
 
§§§
 
Giunti alla pensione, Mouri annunciò di voler parlare con la figlia, e tranquillizzare anche Kazuha. I due ragazzi annuirono comprensivi, pregustando il momento in cui sarebbero rimasti soli: Hattori continuava a chiedersi quale razza di trucco il suo amico furbone avesse utilizzato per tornare adulto e quale razza di scusa avrebbe mai addotto per spiegare l’assenza di quella peste d’un moccioso.
Ripose le mani nelle tasche dei jeans, inspirando profondamente mentre calciava lontano un sassolino.
“Kudo…” esordì, a bassa voce.
Shinichi alzò gli occhi su di lui, pronto ad ascoltarlo.
“Ehi, voi due! Se volete mangiare muovetevi, avete mezz’ora!” la voce infastidita di Kyoko li raggiunse, interrompendoli. Dalla terrazza in legno che dava sul sentiero, la giovane figlia di Ikku si rivolgeva a loro con le mani piegate a cono intorno alla bocca:
“Stasera la cena è anticipata, mia madre ha perso tempo prezioso per prestare attenzione alle vostre sciocche richieste!”
Heiji storse il naso, seccato.
-Sciocche??-
“I pasti saranno serviti dalle diciannove e trenta alle venti, non un minuto in più!” concluse, chiudendo la persiana in faccia ai due poveri liceali.
“K-Kudo…” voleva chiedergli di sbrigarsi, il digiuno dalla notte precedente gli procurava fitte allo stomaco. Ma apparire così materiale…
Gli occhi del compagno si tramutarono in due minuscoli puntini quando la pancia gorgogliò.
“Concordo.” Rispose allora Shinichi, i morsi della fame lampanti.
S’affrettarono nel salone, scoprendo le due ragazze già inginocchiate sul tatami e Kogoro al loro fianco.
-Non ha perso tempo, eh…-lo canzonò il brillante calciatore, una goccia sulla testa. Tuttavia presto i pensieri deviarono, perché Ran alzò gli occhi come ispirata dalla sua presenza, e i loro sguardi s’incontrarono: ammutolirono entrambi, deglutendo.
“Heiji!” lo chiamò Kazuha, non realizzando subito quale tensione aleggiasse nell’aria.
Le andò incontro, rispondendole brusco: “Cosa vuoi, ah? Sono stato fuori tutto il giorno,  ho il diritto di riposarmi o no?”
“Maledetto imbecille, ero in pensiero!” lo rimbeccò, alzando il tono della voce.
“Parla piano, accidenti! Vuoi mettermi fuori uso i timpani? Mi pulsano le tempie!”
Cominciarono a battibeccare come di norma, parlandosi addosso.
Nel frattempo, ad ogni modo, Shinichi era rimasto in disparte: non osava avvicinarsi a quella tavola, apparecchiata per sei persone. Forse per la prima volta nella sua vita desiderò passare inosservato, poco visibile a chiunque si trovasse nel raggio di miglia.
 
“Il cuore della donna che amo…come potrebbe essere oggetto di deduzione?”
 
Le parole cui s’era abbandonato gli riecheggiarono nella testa, mandando una scarica d’adrenalina al cuore.
Avvampò, conscio che Ran aveva fatto altrettanto.
“Anche lei qui?” sfortunatamente non era destino che quella sera il liceale detective passasse sotto silenzio. Con un tono di voce per metà contrariato per metà sorpreso, la signora Kakeshi gli si fece al fianco, un vassoio tra le mani.
A nessuno, comunque, sfuggì che anche lei si rivolgeva al moro con un rispettoso distacco formale: quella messa in scena all’obitorio l’aveva reso autoritario agli occhi dei popolani.
Le pupille nere minuscole, Shinichi non riuscì a far altro che annuire, imbarazzato.
Sapeva che, ben visibile a tutti al centro della sala da pranzo, anche Ran lo stava guardando; sapeva che, nel silenzio calato tra i tavoli, anche Ran lo stava ascoltando.
“Non l’aspettavamo.” Proseguì lei, indomita. “Cena con i suoi colleghi? Aggiungerò un coperto. Kyoko!” parlò velocemente, quasi volesse evitare che l’ospite potesse rimanere deluso dal trattamento inadeguato.
“Non è necessario!” s’affrettò però a interromperla, impedendole di chiamare la figlia.
“Non si ferma?” la voce sembra sollevata.
Heiji e Ran trasalirono, pensieri diversi si distendevano in loro:
-Quella pasticca dura così poco?-
- Non è neppure ancora arrivato!-
“No, no, anzi: mi fermerò per un po’.”
Quella frase, pronunciata con falsa nonchalance, valse a regolarizzare il battito cardiaco dei due giovani amici, ma ad accelerare quello di e di Kyoko, sopraggiunta al richiamo della madre. Le due Kakeshi si cambiarono un’occhiata complice, prima che lui riprendesse a parlare:
“Ma sei coperti saranno sufficienti…anzi, temo siano eccessivi.” Fece una piccola pausa, quindi s’addentrò nei meandri della bugia.
“Il ragazzino con gli occhiali e la sua amica sono partiti dall’isola questa notte.” Annunciò, un lampo di apprensione negli occhi che solo Hattori colse. Temeva…cosa temeva, Kudo? D’essere scoperto? L’aveva già fatto così tante volte!
“Conan-kun??” solo la convinzione che il fratellino fosse tornato a casa da solo le diede il coraggio di rivolgersi a lui.
“E…com’è che si chiama l’altra? Haibara, mi sembra…” finse, grattandosi la punta del naso per non sapere cos’altro fare.
“E tu come lo sai?” intervenne Kazuha,  tornando a sedere.
“E’ stato lui ad avvisarmi. Mi ha telefonato ieri sera, dopo l’assassinio del monaco…mi ha informato su come stavano le cose, mi ha chiesto di venire e, vista la gravità della situazione, ho accettato. Ma quello sciocco è corso al battello con ore di anticipo per accogliermi, così si è beccato un’influenza. Perciò ho creduto fosse meglio tornasse a casa, godendo delle cure del dottor Agasa. Gli ho chiesto io stesso di occuparsi di lui.”
“Perché l’hai fatto tornare a casa?” gli domandò Kazuha, inconsapevole di suscitare un attimo di panico nei due liceali detective “Non poteva ricevere cure mediche qui?”
“B-beh…”
“Come sei stupida! Quel ragazzino ama giocare a fare l’investigatore, l’hai dimenticato?” Heiji Hattori improvvisò, salvando l’amico “Credi se ne sarebbe stato buono buono in camera sua ad aspettare che il caso fosse chiuso?”
Shinichi Kudo convenne con un sorriso forzato.
“E Ai-chan?” gli domandò Ran, ma stavolta la direzione della voce non coincise con la linea degli occhi.
“Ha deciso d’accompagnarlo a casa.” Recitò a memoria la battuta imparata in precedenza.
“Già…il viaggio in traghetto da solo sarebbe stato difficile…” parve convinta, rimuginando ad alta voce.
I ragazzi tirarono silenziosamente un sospiro di sollievo, asciugandosi il sudore della fronte con il palmo della mano.
“Ma come diavolo ha fatto quel moccio so a contattarti? Le linee telefoniche e telematiche sono interrotte, il ripetitore è caduto!” finalmente Kogoro toccò il punto cruciale della questione.
“Già…come ha fatto Conan a comunicare con il mondo esterno tutto da solo?” Heiji, con tono stranamente contrariato, calcò il tono su alcune parole, scrutando Kudo con occhi assottigliati ed irosi.
Un brivido gli attraversò la schiena: trattare con un Hattori incollerito non era una voce della lista dei suoi propositi. Inoltre, considerando la situazione…
Lanciò un ennesimo sguardo a Ran, convinto che Kazuha avesse messo subito corrente il suo compagno di classe circa gli eventi di Londra.
Meglio non farlo arrabbiare!
“Ha fatto da solo perché non c’era tempo!” sventolò le mani aperte di fronte al viso, in segno di scuse.
“Come?” intimò il ragazzo di Osaka.
“Con le onde radio.” Replicò, senza che la voce tremasse: era la verità.
“Onde radio?” gli fece eco Kogoro, sorpreso.
“Esatto. Quel ripetitore distrutto dalla tempesta recepiva onde appartenenti a determinati campi magnetici, o elettrici. Per risolvere il problema, era necessario appoggiarsi ad altre reti, vale a dire frequenze differenti. Internet, infatti, è un’ interconnessione di nodi dotati di ricetrasmissione, appoggiata a collegamenti trasmissivi di vario tipo, fondati su cavi elettrici o connessioni wireless. Questi consentono la connessione da estremo a estremo, cioè da un capo all’altro del computer, nel caso di Internet, appunto, ma anche da un polo all’altro del telefono, nel caso dei cellulari che sfruttano la rete wireless dei satelliti. Naturalmente, la stessa cosa vale anche per gli apparecchi telefonici fissi. Il ragazzino con gli occhiali ha pensato bene di sfruttare invece le onde radio, che di fatto sono frequenze elettromagnetiche. Le informazioni che possono essere traportate d segnali radio dipendono dalla loro frequenza, e poiché  onde di bassa frequenza sono facilmente generabili e capaci di coprire lunghezze anche intercontinentali, è ricorso alla radiocomunicazione.”
Cadde il silenzio: nonostante la spiegazione dettagliata, quel discorso suonava così difficile – incomprensibile per taluni-, da istillare il dubbio che un bambino di appena sei anni fosse stato in grado di compiere un ragionamento tanto sofisticato.
“E…e quel moccioso avrebbe pensato a questo senza alcun aiuto? Sono cose che ignoro persino io!” una volta tanto Kogoro ebbe fiuto, esprimendo la perplessità generale.
-Proprio adesso ti devi svegliare, Oji-san?-ridacchiò l’ex bambino.
“Quel bimbetto sa sempre un sacco di cose!” prese di nuovo la parola Hattori, oramai maestro dei salvataggi in corner. “Deve passare giorni interi su Internet a cercare le notizie più bizzarre!”
Ran annuì: “E’ vero, in effetti…è informato sulle nozioni  più disparate…”
“…e più inutili.” Mouri concluse così la conversazione, soddisfatto delle risposte ricevute e pronto a colmare il suo bicchiere di sakè.
-Inutili?- gemette mentalmente il Detective dell’Est.
Le domande cessarono e il ragazzo potè prendere posto tra Hattori e Kogoro, di fronte le due ragazze.
Di fronte Ran.
“Beh…è stato molto gentile da parte tua correre qui, quando Conan ti ha avvisato…” iniziò Kazuha, con espressione allusiva. “Ti aveva detto anche precisamente chi avresti incontrato?” non mancò.
Il figlio di Yusaku deglutì: -Cominciamo bene…-
Ran le piazzò una gomitata tra le costole, fallendo però nell’intento di metterla a tacere: per un’abile campionessa d’aikido, per lo più pettegola, fu facile ignorare l’affondo.
“Sì, mi aveva detto di te e Hattori.” Si finse inconsapevole, optando per rimandare il chiarimento a un momento di maggiore intimità.
Era stato uno sciocco! Il giorno stesso in cui l’aptx  l’aveva catapultato nella vita di Conan Edogawa, Ran gli aveva rivelato d’avere un debole per lui* – “Fin da quando era piccolo era così ostinato e sicuro di sé…è fanatico di casi misteriosi…ma se ho bisogno di lui è sempre presente! Sai, Conan-kun, io sono davvero…davvero cotta!”-, pregandolo subito dopo di mantenere il segreto.
Poi l’aveva vista piangere, a causa sua: l’aveva chiamata, consolandola con la voce da bimbo filtrata nel modulatore vocale. I primi tempi, alle sue orecchie, suonavano così strani quei discorsi seri e profondi pronunciati con il tono fanciullesco, mentre contemporaneamente la cornetta li trasmetteva con suono adulto! Durante le telefonate con Ran, lui udiva la doppia voce di Conan e Shinichi, quasi come se quelli fossero i momenti in cui più che mai il suo sdoppiamento assumeva forma materiale e, persa l’inconsistenza ipocritamente onirica, gravava fisicamente sulla sua persona.
Piangeva comunque; allora non la chiamava.
Piangeva ancora.
Per ben tre volte tornato adulto*, non aveva esitato a pararsi davanti a lei con sorriso beffardo, convinto d’avere tempo a disposizione, sicuro di non abbandonarla prima d’averle rivelato i suoi sentimenti, d’averle fatto presente il suo amore.
E per ben tre volte il dolore lancinante delle ossa che si  fondono come roccia incandescente che si liquefa in magma si era unito alla sofferenza morale e psicologica, dovuta alla consapevolezza d’averla delusa.
Piangeva ancora.
Quindi era giunto, dopo notti trascorse insonne con la fedele compagnia dell’immagine di lei lacrimante, all’unica soluzione possibile: non le avrebbe detto la verità, mai. Mai finchè non avesse sconfitto l’Organizzazione, quei maledetti corvi!,  e non fosse tornato adulto per sempre. Perché lei non lo cercasse. Perché lei, felice per l’amore ricambiato, non si sentisse doppiamente tradita dalla sua assenza, umiliata da una promessa mancata. * Perché non credesse che l’avesse presa in giro, perché non si domandasse con ancora più insistenza per quale assurda ragione lui preferisse il suo lavoro a lei. Già: Shinichi aveva capito da tempo che questo interrogativo le dilaniava pian piano l’anima, la imprigionava in una morsa, le germinava dentro, anche se a Conan non ne aveva mai fatto parola. Una sola, unica volta probabilmente Ran era stata completamente sincera con Conan, preda delle sue emozioni:
“Lui mi ha di nuovo lasciata da sola… Basta, non voglio ascoltare! Di scuse, oramai, non ne voglio più sentire…”*
Vale a dire: “Mi ha ancora posposto alle sue indagini. Non valgo niente per lui.”
Ma d’altronde, cos’avrebbe potuto dire? Come restituirle coraggio?
Aveva tentato:
Shinichi-niichan mi ha detto di dirti…” ma parlare in terza persona sarebbe stato sgradevole, perché le parole sarebbe state cariche di un freddo distacco che, quella sera, pesava anche a lui, nonostante fosse proprio lì, accanto a lei.
“Prima o poi…prima o poi, certamente, vivo o morto, tornerò! E fino ad allora, vorrei che tu mi aspettassi, Ran…”*
Era valso, a qualcosa: lei aveva tolto le mani dalle orecchie, per ascoltare nuovamente quelle sciocche scuse… E vedendola così triste, il volto solcato dalle lacrime, il cuore in pezzi, i sentimenti avevano vinto la ragione:  perché non dirle che l’amava? Perché non approfittare del momento?  Forse non gli sarebbe più capitato...una forma o l’altra, sarebbe stato comunque Shinichi.
“E questo perché io…io…”
L’aveva interrotto: lì per lì Shinichi, rincuorato dal nuovo sorriso che, seppur flebile, le sorgeva sulle labbra, non ci aveva fatto caso. Più tardi l’avrebbe ricondotto a una ragione precisa: che lo dimenticasse, che lo cancellasse dal suo cuore, se sarebbe valso a farla star bene.*
E questo proposito non l’aveva abbandonato più: nei panni di Conan, ogni qualvolta scorgesse quell’ombra di pianto nascosto nelle iridi, l’idea di posticipare la dichiarazione a tempi maturi si rafforzava e pareva solida.
Ma nei panni di Shinichi la ragione spariva, lasciando luogo all’impulsività, solitamente tanto accuratamente evitata, messa da parte, domata:  i sentimenti lo dominavo, costringendolo ad agire istintivamente, come un pesciolino in balia d’un maremoto.
La fissava negli occhi, e desiderava ardentemente dirle d’amarla, complice l’anima, nemica la ragione:
“Aspettami, Ran. Sono sicuro che ciò che vuoi chiedermi coincide esattamente con ciò che io voglio dirti!”
Mai, mai la ragione veniva meno, se non allora.
E, puntualmente, l’effetto dell’aptx svaniva, i muscoli si contraevano, il cuore batteva violento nell’addome, il corpo si restringeva, le parole morivano soffocate in gola.
L’ultimo pensiero lucido a dimorare nella sua mente poco prima di tornare piccolo era lei.
“Devo resistere per lei…devo parlare un’ultima volta…devo farcela!”*
“Ran mi sta aspettando…non posso ritrasformarmi in Conan proprio adesso!”*
“Ran…”
Non servivano più neppure le parole, l’ultima volta*era stato sufficiente il suo nome a diffondergli per il corpo una fitta di dolore paralizzante.
E per evitare di farla soffrire ancora, affinché le emozioni non avessero il sopravvento sulla ragione, a Londra* aveva fatto di tutto pur di evitarla. Ma, messo all’angolo, ecco di nuovo che la razionalità si nascondeva nel cantuccio più remoto del suo cervello, lasciandolo mercé dell’attacco emotivo. Aveva commesso un errore dopo l’altro: aveva risposto al cellulare di Shinichi con la voce di Conan, aveva citato il “Big Ben qui”, dicendole praticamente d’essere anche lui nella capitale anglosassone, aveva corso senza meta dimentico che i tratti nipponici fossero difficilmente mimetizzabili, si era chiuso in trappola con le sue stesse mani; fra tutti i viottoli stretti, le strade trafficate, i negozi affollati, s’era rifugiato in una cabina telefonica!
Eppure, s’era ancora illuso di poter conservare lucidità e cadere in piedi, uscire indenne dalla faccenda: apotoxina, rivelazione, faccia a faccia.
Ma anche lacrime, delusione, affanno.
Per l’ennesima volta aveva pianto al suo cospetto: e, proprio come al Beika Center Building*,  l’orgoglio da donna innamorata s’era propagato dal cuore alla mente, portandola a gridare:
“Idiota!”
E a scappare via, dovunque, purché fosse lontano da lui.
Ancora, ancora e ancora, aveva esalato razionalità e lucidità nel fiatone d’ un conseguimento convulso e disperato, riuscendo per miracolo ad afferrarla per un polso e trattenerla accanto a lui.
Aveva provato davvero timore, quando l’aveva vista sfrecciare via, prendere le distanze, non volerlo più ascoltare: desiderava davvero dimenticarlo?
I primi passi concitati per rincorrerla gli erano parsi lenti e deboli, all’idea di non raggiungerla, di non bloccarla, la paura s’era fatta strada in lui.
E le parole erano volate via dalle labbra come un soffio di vento tra le foglie:
“Sei la ragazza più difficile che io conosca, talmente diversi sono i sentimenti che provi contemporaneamente! Anche se io fossi Holmes per me sarebbe impossibile capirti, perché il cuore della donna che si ama… come potrebbe essere oggetto di deduzione?”
Di nuovo: apotoxina, contrazione, corpo da bambino. E di seguito: pentimento, ossessione, rimorso.
Si era dichiarato.
Le aveva detto la verità.
Ma lei? Lei cosa provava? Cosa ne pensava?
A Conan non l’aveva mai rivelato: talvolta era stato presente alle sue chiacchiere con Sonoko e Kazuha, captando qua e là qualche fugace frammento di conversazione, bastevole per comprendere che aveva raccontato loro tutto.
Ma non aveva ascoltato le sue considerazioni in proposito, e le temeva.
No: temeva se stesso. Sapeva bene che non avrebbe saputo cosa risponderle, come rincuorarla: e se l’avesse posto di fronte alla scelta?
“O me o le tue indagini, Shinichi!”
Come poteva tornare ancora bambino senza spezzarle definitivamente il cuore?
Come amarla senza metterla in pericolo?
Inoltre, non di meno, Shinichi non era mai stato un ragazzo troppo espansivo, in questioni amorose; anzi, il termine più consono sarebbe stato ‘timido’, piuttosto che sveglio, in fatto di cuore. Perciò l’idea di affrontare un discorso tanto complesso di fronte a una ragazzina pettegola, e un ragazzo se possibile ancor più pettegolo, e Kogoro, padre geloso!...oh, quell’eventualità non lo garbava affatto.
Quindi, per il momento, decise di fingere, e calarsi nei panni dello gnorri.
“Ah, sì? Ti aveva detto solo di me ed Heiji, Kudo-kun?”
Ma Kazuha insisteva.
E Shinichi non demordeva.
“Cos’altro avrebbe dovuto dirmi?” rise, pregando di apparire persuasivo.
Anche Heiji sorrise, purtroppo, mentre Ran scoccava, complice il tavolo, un pizzicotto sul ginocchio dell’amica.
“Beh…non saprei…Conan sa di Lond…” la giovane Toyama non voleva arrendersi, e Shinichi temette il peggio.
Ran, rossa sino all’attaccatura dei capelli, spalancò la bocca con il cuore all’impazzata.
-No, no, no!-
“I vostri piatti!” Per una volta l’impertinenza di Kyoko risultò fruttuosa.
La giovane infatti irruppe nel piccolo gruppo, depositando veemente le pietanze sulla tavola, con un traballare di posate e bicchieri non indifferente.
“Grazie.” rispose Ran, riconoscente: Kyoko però non capì e pensò che la gentilezza dimostrata fosse riconducibile all’incontro delle terme, avvenuto il giorno prima, per cui si sforzò di ricambiare il sorriso.
Kazuha fece altrettanto, così la ragazza con lei: d’altronde, quella giovane con la coda di cavallo sembrava essere amica della mora tanto cortese che la trattava sempre educatamente!
Servì poi gli uomini: Kogoro replicò con un grugnito, Hattori con un’occhiataccia.
Shinichi, invece, aprì la bocca per rivolgersi a lei compiutamente:
“Grazie, Kyoko-san.”
La ragazza si sorprese; alzò gli occhi su di lui, scrutandolo per un po’.
Poi capì:
“Shinichi Kudo, suppongo.”
Lanciò un’eloquente occhiata a Ran.
Lui annuì.
“Beh…” La sua tenacia traballò per un attimo: forse la parola della karateka, pronunciata con volto sincero e affiatato, tornarono a occuparle la mente per sottrarre equilibrio alle credenze familiari e, soprattutto, paterne.
Riprese però il controllo di sé:
“…devo andare, mio padre mi sta aspettando per aggiustare un ingranaggio.”
Shinichi sgranò gli occhi, afferrandola per un polso:
“Ehy!” si dimenò, velenosa.
“Che ingranaggio?” le domandò: allora, anche Heiji afferrò la situazione. Divenne stranamente serio e le puntò gli occhi addosso.
“Ma che vuoi? Ran-san, dì al tuo amico di lasciarmi!” sbraitò, dando strattoni forte al braccio del ragazzo perché mollasse la presa.
Ma Ran non intervenne: se Shinichi si comportava in quel modo, doveva esserci un motivo.
Un motivo valido.
“Tua madre mi ha detto che quell’ingranaggio l’avete aggiustato oggi pomeriggio.” Disse infatti Shinichi, facendo comprendere a tutti i presenti il punto della questione.
Kyoko fece spallucce, come per dire: “E allora?”
Kudo si fece ancor più serio: “Quello era l’alibi di tuo padre.”
Kyoko trasalì.
“Alcuni clienti delle terme hanno visto tua madre qui in albergo nell’ora fissata per la morte del monaco…ma tuo padre…l’unica testimonianza a suo vantaggio è quell’alibi.”
“Si tratta di un altro ingranaggio!” sibilò “E ora, lasciami!”
Contro ogni previsione, Kudo aprì la mano liberandole il polso.
“Kyoko!!” la richiamò, quando già aveva il vassoio con i piatti sporchi e le bottiglie vuote tra le mani.
Fissò gli occhi nei suoi, come volesse leggerle dentro: o forse, ricorreva al trucco usato da Kir contro di lui e cercava di scorgere una possibile dilatazione delle sue iridi*.
“E’ davvero questa la verità?”
“Insomma, Kyoko-chan!!”
Una bambina molto piccola, al massimo di cinque anni, comparve sulla soglia del sala: una camicia da notte rosa troppa lunga le copriva le gambette sino a strusciare il pavimento.
“Non me la racconti la storia, stasera?”
La ragazza sorrise. Dedicò un ultimo sguardo a quel detective dall’aria sbarazzina, prendendo la bambina per mano.
“Andiamo a letto, Yiu…”
-Yiu?-ripetè lui, scuro in viso –La signora Kakeshi ha citato già questo nome, il giorno in cui siamo arrivati…- ricordò.
 
Se i piccoli vorranno visitare il centro dell’isola, sono certa che Kyoko-chan e Yiu saranno ben lieti di accompagnarli.” Assicurò, sorridendo cordiale a Conan ed Ai; lei rimase impassibile, lui invece ricambiò il sorriso:
“Grazie, Kakeshi-san!” *

 
Yiu è la Kakeshi seconda genita?-
 
 
La serata trascorse velocemente, anche se in religioso silenzio: gli investigatori davano l’impressione di provare una seria preoccupazione, soprattutto dopo aver scoperto l’alibi vacillante del signor Kakeshi, mentre le ragazze erano chiaramente a disagio: la voglia di abbandonarsi a chiacchiere futili e prese in giro aveva abbandonato Toyama, che non aveva più aperto bocca se non per chiedere qualche inezia.
“Mi passi l’acqua?”
“Allungami quel piatto!”
“Buono questo pesce!”
Erano le frasi ricorrenti di quella cena.
Finalmente finirono di mangiare e, comunque taciturni, distesero le gambe sul tatami nell’attesa di un caffè. Ran allora ripetè il gesto che aveva perpetrato per tutta la sera, ogni minuto: alzò gli occhi al volto dell’amico, sperando invano di specchiarsi nell’azzurro cobalto; notò che Shinichi teneva lo sguardo basso, fisso sul proprio piatto e, affranta, sospirò.
“Vuoi smetterla di sbuffare?” la rimproverò Kogoro, i nervi a fior di pelle. D’altronde, quella sera sarebbe bastata una scintilla per la deflagrazione del suo umore in bilico!
“Che diavolo ti prende, eh?”
La karateka arrossì, poggiando le mani chiuse a pugno sulle ginocchia: non rispose nulla, mordendosi un labbro.
Fu Shinichi ad emettere un sospiro allora, ma in silenzio: dentro di sé, non gli ci volle molto per capire cosa l’affliggesse.
Doveva parlare, ed era meglio colloquiare con lei il prima possibile! L’esperienza gli insegnava che la troppa attesa avrebbe portato alla disfatta: rischiava continuamente che l’effetto dell’apotoxina ingerita svanisse, trascinando nel baratro anche il suo corpo da liceale.
Aprì la bocca per chiederle di seguirlo in un luogo un po’ più appartato, però un fruscio al suo fianco gli mozzò le parole in gola: Heiji s’era alzato e, sempre con la bocca cucita – caratteristica solitamente estranea al detective di Osaka!- era uscito sulla terrazza del salone, dove quel pomeriggio Kyoko aveva urlato loro contro.
Emise un lieve sbuffo quando comprese che la ragazza avrebbe dovuto aspettare.
-Scusami, Ran.- le disse mentalmente, sorridendole nonostante lei non lo stesse guardando. Quindi imitò i movimenti dell’amico, raggiungendolo fuori.
Prima di iniziare a parlare, chiuse la porta finestra alle sue spalle con un tonfo.
Hattori non si voltò.
 In pochi istanti lo affiancò, poggiandosi con i gomiti alla ringhiera del balcone.
Rimasero così, zitti per un po’.
“Come hai fatto a tornare?” esordì a un tratto, tenendo ancora fisso lo sguardo alla volta celeste. “Quella ragazzina aveva con sé una pillola di scorta?”
Lui scosse il capo: “No. Le aveva nel cassetto della sua scrivania, a Tokyo. Grazie alla radiocomunicazione che accennavo poco fa ho contattato il professore Agasa, e gli ho spiegato l’accaduto chiedendogli il favore di portarmi  l’antidot…”
Ma Hattori non lo fece finire, sbalordito: “Quel vecchio sul battello…quello tutto incappucciato! Era lui?!”
 
“Abbiamo anticipato il percorso di domani mattina a questa notte per rifornire l’isola dei viveri più indispensabili, dal momento che la pioggia sembrava aver subito qualche minuto di pausa. Tra qualche ora si rialzerà il vento e credo sarà impossibile venire qui per un paio di giorni.”
Hattori annuì, fermandolo poi per un braccio quando gli diede le spalle per tornare al comando dell’imbarcazione:
“Aspetti un momento! Ha per caso visto…”

“Il tempo stringe, ragazzo, scusami. Come puoi vedere quel vecchio incappucciato sul battello non può più aspettare, mi sembra spiacevole costringere un uomo di quell’età alle intemperie.
 
“Probabilmente.” Gli sorrise, scaltro.
“Brutti…” imprecò Hattori; eppure anche il suo volto era illuminato da un sorriso che cercava vanamente di trattenere. “Anche quella ragazzina ha preso la pasticca?”
“Scherzi? Non ho mentito prima, non su questo almeno.” Si corresse all’istante, ridacchiando “Haibara è tornata a casa insieme al professore, sul battello, ieri notte.”
“Perché? Poteva rimanere qui…potevamo inventarci…” a Shinichi non sfuggì l’uso del plurale che inglobava anche lui nei piani “…che Conan fosse partito da solo.”
“Abbiamo preferito così.” Decretò, misterioso. Ma Hattori non parve tanto interessato alla questione Ai, quanto alla modalità con cui i fatti s’erano susseguiti.
“Avete, eh?” si sporse leggermente contro di lui “Perché non mi hai avvisato?”
“Perché mi piace stupirti.” Rispose, con finta voce sensuale. Hattori battè un paio di volte le palpebre, poi scoppiò a ridere:
“Preferisco la tua versione adulta, Kudo. Sei più simpatico!” gli rivelò, passandosi una mano tra i capelli per scompigliarli; era troppo preso dagli avvenimenti delle ultime ore, specialmente dalla morte di quel povero sacerdote, per scorgere negli occhi del liceale l’ombra della bugia: nascondeva un motivo per aver deciso di tacere anche a lui la scelta di tornare grande, ed era la stessa ragione per cui Ai era salpata in fretta dall’isola.
“Ma devo ammettere che hai superato te stesso. Sei stato formidabile!” ammiccò, entusiasta al ricordo delle sue gesta “Come accidenti hai potuto svolgere un’autopsia da solo?”
Shinichi mosse l’indice sul suo naso, schioccando furbo la lingua un paio di volte: “Non ero solo! Non hai visto quell’orecchino che avevo?”
Hattori non rispose, aspettando che proseguisse il suo discorso.
“Questo.” Kudo estrasse dalla tasca il suddetto gadget, mostrandoglielo “E’ un piccolo telefonino, non lo usavo da un po’ in realtà*, ma oggi mi è tornato utile: Haibara mi ha suggerito cosa fare.”
“Sempre appoggiandovi alle onde radio?” domandò, girandosi il telefonino a forma d’orecchino tra le mani.
Shinichi annuì.
“Fantastico!!” l’espressione pregna di fervore e slancio si ridusse presto in derisione altezzosa: “Quindi quelle belle parole sul metodo Tyndall…”
“Diciamo che io avrei potuto ricevere dei suggerimenti da lei…” ammise, gli occhi eludenti.
“Imbroglione!” l’apostrofò, donandogli una forte pacca sulla spalla.
“Per punizione, questo lo tengo io!” s’appropriò dell’orecchino, nascondendolo nella tasca posteriore dei jeans. “Tanto non ti serve più, no? Hai già eseguito il tuo rientro in grande stile!”
“Che ci devi fare?” cercò di scucirgli, aggrottando la fronte; ma l’unica risposta fu una scrollata di spalle.
Esaurito il discorso, calò il silenzio.
Hattori allora tornò a scrutare il cielo, le mani poggiate sulla ringhiera; i suoi occhi comunicavano rammarico.
Quello che era stato Conan si grattò la testa, indeciso su come reagire. Decise di essere piuttosto franco e parlò:
“Ti ricordi di Akemi, Hattori?”
“La Mitsuoshi?” anche il tono della voce tradì il senso di colpa; suonò pesante, roco.
“No, Miyano.” Pronunciò il suo nome con voce sicura, ma ebbe un tuffo al cuore “Akemi Miyano. Era la sorella di Haibara, lavorava per l’organizzazione come  pesce piccolo. Quando gli Uomini in nero le chiesero di rintracciare un uomo che, dopo una rapina, era scappato con la refurtiva lei si rivolse a Kogoro, fingendo che il traditore della banda fosse suo padre.*”
Richiamare alla memoria quel vecchio caso gli procurava sempre una strana sensazione di vuoto malessere alla bocca dello stomaco; dal giorno in cui la scienziata s’era buttata ai suoi piedi con le lacrime agli occhi, gemendo il nome della sorella tra i singhiozzi, aveva preferito non pensare.
Poi, naturalmente, aveva conosciuto Akai. E quel ricordo aveva fatto nuovamente capolino nella testa, il disagio nel cuore.
“Lo rintracciamo per lei e la conducemmo da lui. Il  giorno dopo, quel poveretto fu ucciso.” Fece una pausa colma di significato. “Il giorno dopo seguimmo le tracce di un omone, il vero assassino del rapinatore che in seguito fu ammazzato dall’Organizzazione, e arrivammo a un hotel dove fu rinvenuto il suo cadavere. Vidi Akemi, la riconobbi e la inseguii. Arrivai tardi, e lei morì; naturalmente, ad assassinarla furono Gin e Vodka. Conoscevo a malapena i loro nomi in codice, allora. E non avrei mai pensato che, mesi dopo, sua sorella m’avrebbe accusato di non averla salvata.”
“Come mai mi stai dicendo questo?” riuscì a domandargli, finalmente pronto a incatenare gli occhi ai suoi.
“Perché siamo umani, Hattori. Ci prefiggiamo traguardi alti, miriamo a scopi nobili, vogliamo sempre avere il controllo della situazione, fermi e saldi come se la realtà dipendesse da noi. Qualcosa che trascende i nostri piani è come sabbia che sfugge tra le dita, il suo corso è accanito e inesorabile. All’inizio ci illudiamo di reggere ancora le briglie e indirizzare il galoppo, poter risolvere l’imprevisto e  riacquistare equilibrio, ma quando capiamo che non è così la sicurezza lascia posto alla sconfitta, e al rincrescimento che ne deriva.
Chi non sbaglia non agisce, Hattori. Quando ti muovi, prima o poi, finirai sempre con il trascinare a terra qualcosa, è inevitabile. Con questo non intendo certo giustificare le…le morti che ho causato.” Gli occhi brillarono di consapevolezza dolorosa “Ma credo sia impossibile non sbagliare mai. Se operi con buoni intenzioni, non puoi farti una colpa quando qualcosa va storto.”
Prese il respiro un momento, per arrivare al nodo cruciale:
“E tu avevi ottime intenzioni, Hattori.”
“Ah, sì?” scoppiò a ridere d’una risata nervosa. “Tu non sei arrivato in tempo per evitare che l’ammazzassero, ma sei corso lì e hai fatto di tutto per salvarla. Io…io ho spinto un uomo verso la morte! E’ colpa mia se…”
“Non dire sciocchezze, Hattori, per favore! Che dici?”
“Che dico?” ruggì, portandosi una mano sul petto  “La sai la verità, Kudo? La sai? Tu parli di buone intenzioni, ma sbagli. Non ho pensato a quello che poteva succedere, gli ho fatto togliere la statua dal muro e l’ho fatto ammazzare! Dove sono le ottime intenzioni in questo, Kudo?”
Espresse con ferocia il rancore che nutriva contro se stesso: l’imbarazzo di essere al cospetto dell’amico, candido e leale, nacque nuovamente nei suoi subbugli interiori e lo costrinse ad abbassare lo sguardo e voltargli le spalle.
“Quando sono tornato bambino ho chiesto consiglio al professor Agasa, decidendo poi di andare a vivere da Kogoro per rintracciare qualche pista che mi conducesse agli Uomini in nero. Cosa pensi mi animasse, allora? Parlavo di Organizzazione davanti alla polizia!* Quello che volevo veramente era dimostrare che riuscivo a cavarmela e, guardandomi allo specchio, oltre la fisionomia d’un moccioso, avrei visto qualcuno che valeva! Ma quando Akemi è morta, quando una ragazza che avevo scoperto colpevole s’è lasciata bruciare viva in un incendio appiccato da lei*, ho compreso d’aver sbagliato: quel riflesso apparteneva a un ragazzino soltanto!”
Pronunciò l’ultima frase con rabbia a malapena contenuta, come se esternasse per la prima volta i suoi veri ragionamenti, i tormenti che l’avevano dilaniato per quei mesi quando tutti dormivano e lui, insonne, scrutava pensieroso il soffitto con le mani dietro la nuca.
Dal discorso per confortare Heiji, s’era ritrovato a pronunciare una confessione sentita e sofferta. E probabilmente non avrebbe potuto esporre i suoi crucci a confidente migliore.
La situazione lo aveva turbato a tal punto, coinvolgendo pienamente anche Hattori, da non permettergli di udire dei passi avvicinarsi a loro e la porta finestra aprirsi d’uno spiraglio sufficiente a captare le loro voci.
“Tu gli hai intimato, ammettiamo poco gentilmente, di rimuovere l’erma dal tempio e per questo il monaco è morto. Ma perché gli hai detto di toglierla? Perché volevi che questa follia finisse! Le tue intenzioni erano di porre termine a una paura sciocca e infondata che paralizza l’isola e le impedisce di svilupparsi come dovrebbe! Tu non hai ucciso quel sacerdote, l’ha ucciso la leggenda! Quella stupida leggenda di Ade l’ha ammazzato! Se nessuno credesse all’esistenza del Vecchio, sai meglio di me che l’assassino non avrebbe potuto agire indisturbato, l’avrebbero catturato subito. E quell’imbecille che pretende di darci a bere che si tratti d’una bestia feroce!  E’ anche sua, la colpa. Quel che è successo imputa agli abitanti di questo villaggio e agli agenti di polizia un’accusa grave, che si rifiutano di accettare! Lo capisci, questo?”
Aveva parlato concitatamente, afferrandolo per le spalle e scuotendolo con forza: tra le sue parole non intercorse neppure una pausa.
“E poi tu non l’hai costretto a liberarsi della statua, mi pare che sia stato lui con le sue mani a gettarla in quel burrone! E vuoi saperla una cosa? Quando ho esaminato il suo cadavere, ho visionato anche il suo volto: e lui sorrideva. Capisci cosa significa? Nel momento della morte ha capito non avere scampo, eppure era contento perché sapeva che, con quel gesto, s’era meritata la benedizione eterna, se davvero esiste un aldilà terreno. Non sappiamo come siano andate le cose, forse sarebbe morto comunque; tu gli hai salvato l’anima!”
Gli occhi di Hattori vacillavano, incerti.
“Se davvero vuoi rendere giustizia a quel monaco, scopri chi è il colpevole! Risolvi il caso: a qualunque costo.” Gli sorrise stringendo la presa sulle spalle, quasi fosse un abbraccio distanziato.
Lui rimase basito per un po’, battendo ripetutamente le palpebre.
Infine, le labbra si distesero in un’espressione gioviale.
“E tu indagherai con me, Kudo?”
“Sono qui per questo.” La risposta arrivò repentina, non ci aveva pensato neppure un momento.
Quel momento aveva del surreale: i forti, fieri, indomabili Detective dell’Est e dell’Ovest stavano palesando senza alcun riservo ogni loro debolezza all’altro, destituendo di fondamento le rispettive corazze sollevate per proteggersi da una professione, quindi una vita, rischiosa e forse azzardata.
Ciò nonostante non esitarono minimamente a rivelarsi l’un l’altro:
“Ah, è così? Quindi…sei tornato per me?” La frase si caricò d’una vena d’orgoglio.
Ma non era orgoglio proprio d’un detective, era orgoglio da amico soddisfatto e, probabilmente, colpito; sì, colpito. Perché Hattori non l’avrebbe mai ammesso ma Kudo era capace di sorprenderlo sempre; e quel discorso pronunciato con ardore, la scelta di prendere l’antidoto!… l’avevano colpito.
“Il giorno del nostro primo incontro ti ho umiliato davanti a tutti.” Iniziò lui, ma Heiji subito fiatò: “Beh, aspetta. Non è che le tue deduzioni fossero così tanto superiori alle mie…” cercò di ridimensionarlo ma lui, volutamente, l’ignorò:
“…dopo neanche un mese andavi in giro dicendoti ‘il mio miglior amico’. Ti sei impicciato di un’indagine che non ti riguardava, hai deciso chissà per quale assurda ragione di metterti in mezzo, accettando il grande rischio che questo caso comporta. E non ti sei tirato indietro neppure quando tutte le prove erano contro di me e Makoto aveva preso il mio posto*. Hai messo a repentaglio la tua carriera perché eri sicuro che io non avrei mai potuto commettere un omicidio, o mi sbaglio? Non ti ho mai ringraziato per questo.”
“Come come? Attaccarmi il telefono in faccia quando ti invito a Osaka per gustare i migliori onigiri del mondo non è un ringraziamento?” al ragazzo dalle pelle scura era tornata la voglia di scherzare: lo spirito indefesso ed estroverso aveva ripreso possesso delle sue facoltà.
“Permettimi di ricambiare il favore almeno in parte, Hattori.”
Così strinsero un sodalizio ancora più saldo e robusto che in passato: l’amicizia provenne chiaramente da entrambi i poli in modo chiaro e solenne.
Dietro la porta-finestra semi aperta Ran sorrise sincera, felice d’aver udito quella conversazione che le aveva scaldato il cuore:
-Shinichi…-
Lo amava, lo amava profondamente. E sapeva, sapeva che lui avrebbe risolto sempre qualunque problema!
Nessuno di loro s’era accorto però, che anche la piccola finestra sopra la terrazza era aperta: anche Kyoko aveva ascoltato l’ultima parte del loro discorso, e con le orecchie tese.
 
 
 
 
 
 
********************************************************* 
 
Precisazioni:
 
*debole per lui… :ovviamente, volume 1.
*…da una promessa mancata: parafraso liberamente le parole di Conan nel  caso di San Valentino, volume 33.
*…tornato adulto: mi riferisco al cado del diplomatico (volume 10) , al Cavaliere Nero (volume 26) , e allo Shiragami (volume 62).
*…da sola!: volume 26, in particolare episodio Omicidio Guastafeste, quando Ran aspetta Shinichi al tavolo del ristorante e vede ricomparirsi Conan, che le riferisce che Shinichi è andato via perché aveva un caso da risolvere.
*…che tu mi aspettassi Ran: vedi sopra.
*…farla star bene: volume 33.
*“Devo resistere per lei…devo parlare un’ultima volta…devo farcela!”: caso del diplomatico, volume 10.
*…proprio adesso: volume 26, episodio Omicidio Guastefeste.
* ultima volta: Shiragami, volume 62, episodio Tutti contro Shinichi.
*“Aspettami, Ran. Sono sicuro che ciò che vuoi chiedermi coincide esattamente con ciò che io voglio dirti!”: ultima parte caso Shiragami.
*…Londra: tutti i riferimenti al London Arc coprono il volume 71-72.
*…Beika Center Building: volume 26.
*…iridi: Scontro tra Rosso e Nero, cosiddettto Clash. Volume 58
* flashback su Yiu dal capitolo primo.
*…orecchino-telefono: compare negli episodi 81-82, che coinvolgono i Two Mix.
*…suo padre: mi rifaccio alla faccenda originale descritta nel manga, risalente al volume. Nell’anime infatti i fatti sono stati modificati e la vicenda di Akemi, leggermente modificata, è avvenuta molto più avanti.
*…davanti alla polizia!: volume 12, file 6
*…appiccato da lei: Il caso della suonata al chiaro di luna, volume 3.
*…Makoto aveva preso il mio posto: caso Shiragami.
 
******************************************************************************************
 
Note dell’autrice: : Eccomi eccomi eccomi.
Bene, alcuni misteri sono stati svelati. Spero siano stati vero simili xD La parte scientifica per me è stata rischiosa perché non sono espertissima in fisica e simili xD ma avevo delle reminiscenze dal secondo liceo e spero d’aver inserito tutto giusto! E chiaro, anche XD Se vi sfugge qualcosa, non esitate a chiedermelo!
La parte però che mi preoccupa di più in assoluto è quella finale, il dialogo tra Shin ed Heiji per intenderci. Ho sempre amato la loro amicizia e veder Hattori talvolta bistrattato mi dispiaceva xD Però temo come al solito d’averli resi troppo smielati, dunque OOC…vi prego di avvisarmi se quest’eventualità si fosse verificata.
Ringrazio di cuore le mie adorate adoratissime ragazze :D che recensiscono sempre con assiduità: Rob, aoko_90, Hoshi Kudo, Kaori.
 
In particolare debbo davvero porgere un ringraziamento particolare a Roxina, dal momento che le avevo promesso avrei aggiornato sabato mattina (scorso!) e invece…;_; Da Un Silenzio in questo senso non sono migliorata, purtroppo ^^”
Fatemi sapere cosa ve ne è parso.
Ovviamente ringrazio di cuore anche coloro che hanno inserito la storia tra le preferite o che semplicemente l’hanno letta!
Un bacio,
Cavy
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Fiducia ***


Capitolo Quinto

Fiducia

 
 


 
Shinichi abbassò lievemente le palpebre, cullandosi in quella sinfonia notturna di vento tra le foglie. Da quando quel monaco era morto, non s'era fermato un istante: il piano, Haibara, Agasa, l'autopsia, e le ossa che si fondono come ghiaccio in acqua gelida, producendo lo stesso inquietante sibilo.
Non l'avrebbe mai ammesso, ma si sentiva stanco; tanto stanco da percepire una presenza alle sue
spalle solamente quando la figura fu a pochi centimetri da lui.
Preso in contropiede, in un momento di pieno rilassamento d'ogni muscolo, quel dormiveglia per un attimo gli fece dimenticare di trovarsi al sicuro in albergo, e il presentimento che dal giorno prima l'assaliva lo aggredì, parandosi violento tra i pensieri assopiti.
Si voltò di scatto, alzando oltre la testa una mano  mentre ruotava il busto: due azioni in un unico momento, rapido come un felino. Solo quando il braccio destro sollevato in aria caricò il colpo di difesa, scoprì Kyoko scrutarlo intimorita.
“La…la disturbo?”
Sgranò gli occhi, ricomponendosi.
Hattori era tornato in salone, richiamato da Kazuha; uno sguardo riconoscente era stato il saluto della buonanotte, mentre la ragazza con i capelli legati in una coda lo trascinava su per le scale, perché al piano terra le cose prendessero la loro piega.
Ran era avvampata, fingendosi ignara; e lui, sbuffando silenziosamente, si era trattenuto sulla terrazza, i gomiti appoggiati alla ringhiera, la natura a tranquillizzare un po’ l’ansia crescente. Dovuta a cosa, poi? Cos’era quel presentimento?
“N…no.” Rispose, sorpreso: l’aria di quella ragazza impertinente appariva più docile, in un certo senso.
“Mia madre è nella sua stanza.” L’informò, arrestandosi di fronte a lui, piuttosto distante però.
Come a mantenere un limite di sicurezza tra i loro corpi.
“Oh…” replicò, grattandosi la nuca.
-E allora?- aggiunse nella sua testa.
Teneva lo sguardo basso, torturandosi le mani congiunte in grembo.
A Shinichi parve incerta, confusa.
-Combattuta…- capì, riportando alla mente l’alibi, con ogni probabilità falso, fornito dal signor Ikku quel pomeriggio.
Ma ricordò anche le parole dure pronunciate con tono fermo, e l’energia indomita da fiero investigatore spense la scintilla di tenerezza che già sorgeva.
Semplicemente, annuì, incrociando le braccia all’altezza del petto.
Lei emise un sospiro rumoroso, gonfiando le guance. Si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio con due dita, poi rivolse attenzione al panorama sottostante.
“Mia madre è nella sua stanza…ad aiutare mio padre con quel vecchio ingranaggio.”
Alcuni credono che il linguaggio tradisca un pensiero, che dalla forma possa trapelare l’essenza: ‘mia madre’, ‘mio padre’, aveva detto; non ‘mamma’, non ‘papà ’.
Il rispetto formale filtrava distacco essenziale?
“…che è poi lo stesso citato nel suo alibi. Si tratta semplicemente di un vecchio orologio a cucù.”
Ammise, gli occhi puntati oltre il balcone.
“Quindi l’alibi era falso.” Decretò il liceale, assottigliando gli occhi: non che avesse bisogno di quella dichiarazione, aveva già capito la bugia. Ma una testimonianza deteneva indubbiamente un valore legale maggiore di un’intuizione.
Pensando che volesse proseguire, aspettò; ma Kyoko tacque, massaggiandosi un braccio con la mano.
“E dov’era allora tuo padre stanotte?” si decise a domandare, professionale.
“Nella valle vicino il bosco.” Rispose sorprendentemente senza obiezioni.
“Dove si trova il tempio.” Precisò Kudo, poggiando il bacino alla ringhiera della terrazza.
Lei annuì:
“Sì.” Disse “Ma mio padre si trovava lì solo perché voleva recuperare la statua del Vecchio!!” dichiarò animosa, alzando il tono di voce, ma non lo sguardo; quello era sempre fissato su ogni punto, fuorché Shinichi.
“Quell’erma?” la voce del giovane tradì sorpresa “Il monaco l’ha lanciata nel dirupo, come pensava di riprenderla?”
“Con una fune e un bastone!” s’affrettò lei, stringendo le mani sul petto. “In cima al bastone aveva legato una specie di uncino, per afferrarla!”
“Per issare quel blocco di marmo, più che a un bastone sarebbe dovuto ricorrere a un tronco d’albero.” Commentò ironicamente, più rivolto a se stesso che alla ragazza in piedi di fronte a lui.
Credette che il detective non credesse al suo resoconto, e prese veemente la parola: “E’ vero, glielo giuro! E’ andato lì per questo, ma ha sentito un rumore provenire dal tempio e ha pensato d’aver svegliato il monaco, perciò  è tornato indietro!”
“E perché non ce l’ha detto, oggi pomeriggio? Perché si è inventato un alibi falso?” le domandò, severo.
Lei non tentennò: “ Perché sapeva che avreste sospettato di lui! E poi perché siete detective.” Aggiunse, e Shinichi colse in quell’ultima parola una vena d’ irriverenza. Ma in quel discorso risiedeva certamente incoerenza; e lui non tardò a rendergliene conto:
“E allora perché tu ora mi stai raccontando questo? Sono un detective.” Imitò il suo tono sprezzante, accompagnando quel nome ad un sorriso orgoglioso.
La ragazza sussultò, permettendo alla frangia di nascondere gli occhi; certo non poteva rivelargli d’averlo spiato durante la conversazione con Hattori. Il discorso rivolto all’amico di Osaka era servito infatti anche ad aprire la mente di Kyoko: le sue parole erano sembrate sincere alle orecchie della adolescente, e la riconoscenza dell’amico tanto spontanea da non lasciare spazio ad alcun dubbio.
Le erano tornate allora in mente le parole di Ran, che le aveva peraltro fatto un’ottima impressione:
 
“E’ un peccato che lui non sia qui. Sarebbe riuscito subito a farti cambiare idea.”
“Di chi parli?”
Ran era riuscita a catturare l’attenzione di Kyoko.
“Di Shinichi Kudo.” Rispose tutto d’un fiato “Ne hai mai sentito parlare?”
La giovane scosse la testa.
“Se è un altro detective, preferisco non sapere chi sia.”
“Sì, è un investigatore…ma credimi, se fosse qui cambieresti subito idea.”

 
E aveva deciso di fidarsi.
“E’ la verità, mi deve credere.” Ignorò la sua domanda, proseguendo con l’apologia. I pugni stretti tremavano lungo i fianchi.
E Shinichi decise d’ignorare la richiesta fatta poc’anzi, per riproporle quella precedente.
Proprio come successo durante la cena, lui le aveva domandato:
“E’ davvero questa la verità?” i muscoli del volto contratti per l’importanza della frase.
Kyoko tentennò per un pò, finchè non si decise ad alzare lo sguardo per incontrare gli occhi blu come l'oceano del detective prima tanto detestato: si perse, credendo d'aver visto un guizzo della sua anima grazie a quello splendore celeste. Si schiarì la voce, prima di rispondergli:
"Sì...questa è la verità."
Lui ricambiò lo sguardo, rimanendo zitto. Quindi l'espressione del volto si distese in un sorriso accondiscendente:
"Va bene. Ti credo, Kyoko."
Abituato nei panni d’un bambino di sette anni, non badò a darle del lei, come faceva la ragazza nei suoi confronti. Infatti allargò leggermente gli occhi, evitando comunque di chiedergli d’usare un certo distacco:
non le parve necessario.
 
§§§
 
Dal suo arrivo a Tokyo, ripensandoci, non aveva potuto fermarsi un minuto: gambe e mente allo stesso tempo lavoravano frenetiche per giungere ad un unico scopo.
Quella sera però era, forse, finalmente giunto un attimo di quiete; se non mentale, almeno fisico. Avrebbe solo dovuto inserire quel dischetto e controllare, per l’ultima volta, i dati scritti sino ad allora  in notti trascorse insonni per le richieste di quell’idiota.
Accese il pc nel sotterraneo, adibito da qualche mese a laboratorio, e sulla schermata s’aprì la spirale genetica utilizzata come modello per gli studi sull’apotoxina 4869; sorrise, pensando che certamente i dati non sarebbero stati cancellati e rimossi in dissolvenza dal virus informatico Night Baron, com’era accaduto invece tempo addietro. Sporgendosi lievemente verso il monitor illuminato, prese a far scorrere rapidamente il cursore del mouse.
 
§§§
 
Quella mattina, a Oki, per Ran il sole sorse in anticipo, affacciandosi sulla scena aerea tra nuvole di zucchero filato: la presenza di Shinichi l’aveva rinfrancata.
Portò le braccia intorno alla testa, dopo aver deciso di rimanere ancora un po’ distesa al calduccio sotto le coperte nonostante fosse sveglia; ripensò al giorno prima, ripercorrendo con la mente l’operato di Shinichi. Aveva dato, persino a lei che lo conosceva da anni, l’impressione d’essere circondato da un’aura di risolutezza simile a quella che aleggia attorno alle sagome degli ispettori: dava ordini con sicura autorevolezza, conduceva l’indagine con mano ferma,  portando ciascuno ad ubbidire alle sue disposizioni quasi senza capacitarsene. Eppure, i suoi modi rimanevano quelli di un detective: non aveva tradito la sua natura neppure per un breve istante.
I poliziotti, tra cui spiccava in negativo Chika, avevano immediatamente mutato atteggiamento dopo un’iniziale strafottenza nei suoi confronti, probabilmente consapevoli di non trovarsi davanti ad una persona comune. Le dispiaceva ammetterlo, ma Shinichi era stato molto più in gamba di suo padre, che alle minacce di Kiichi non aveva saputo replicare.
Aggrottò le sopracciglia: forse non le dispiaceva poi così tanto, ammetterlo.
Dai tratti austeri,  il suo amico d’infanzia non aveva trovato alcuna difficoltà ad assumere invece aria bonaria, confidenziale, quando aveva parlato con Hattori; sapeva di essere arrivata ad origliare a discorso quasi terminato, ma le parole di Shinichi le avevano comunque scaldato il cuore, considerando poi che persino Heiji, tanto sconvolto il giorno prima, in poco meno di qualche minuto era tornato irruento ed estroverso come  non fosse successo nulla.
Shinichi gli aveva porto la mano perché si rialzasse, sapendolo sorreggere con prepotente mitezza:
 
“E poi tu non l’hai costretto a liberarsi della statua, mi pare che sia stato lui con le sue mani a gettarla in quel burrone! E vuoi saperla una cosa? Quando ho esaminato il suo cadavere, ho visionato anche il suo volto: e lui sorrideva. Capisci cosa significa? Nel momento della morte ha capito di non avere scampo, eppure era contento perché sapeva che, con quel gesto, s’era meritato la benedizione eterna, se davvero esiste un aldilà ultraterreno. Non sappiamo come siano andate le cose, forse sarebbe morto comunque; tu gli hai salvato l’anima!”
 
 E con affettuosa severità:
 
“Se davvero vuoi rendere giustizia a quel monaco, scopri chi è il colpevole! Risolvi il caso: a qualunque costo!”
 
A dispetto dell’apparente aria strafottente e sempre seccata, Shinichi celava animosa sensibilità, nutrita poi da una grande altruismo: lo aveva capito da molto tempo. Probabilmente dalla notte in cui l’aveva aiutata a salvare la vita di quel criminale dai capelli argentati*, esprimendo con una semplice frase tutto il suo buon cuore:
 
“Non capisco il motivo che spinge una persona ad ucciderne un’altra, ma salvare una vita…perché ci dovrebbe essere un motivo?”
 
Aveva realizzato allora d’amarlo!
Amarlo…e lui? Lui l’amava? Ripensare agli eventi di Londra le mandavano il sangue alla testa, causandole un battito cardiaco accelerato e confuso: prima si ripeteva le parole del ragazzo, cullandosi nella certezza che i suoi sentimenti fossero ricambiati; subito dopo però sussultava, temendo qualche fraintendimento, presagendo un passo indietro, sicura d’averla costretto alla dichiarazione. Per telefono
non ne avevano più parlato, eccezion fatta per un misero tentativo durante le indagini sull’investigazione del padre, Yusaku, con Sonoko che le suggeriva le parole* –“Ti amo anche io, ti amo anche io!”. Quindi aveva però deciso che una situazione tanto complicata meritasse un colloquio faccia a faccia, non un rapido scambio di battute attraverso la cornetta del telefono, che persino rendeva talvolta la voce di Shinichi tanto gracchiante da darle l’impressione di udire gemiti e versi proprio d’un bambino.
Quell’occasione non era da sprecare: Shinichi si trovava lì, a pochi passi di distanza da lei; sarebbe stato sufficiente approfittare d’un attimo di distrazione degli altri, al limite chiedergli di parlare in privato…gli occhi si tramutarono in due puntini, al solo pensiero di specchiarsi negli occhi di Shinichi mentre gli chiedeva di appartarsi per chiarirsi.
Sbuffò, issandosi sui gomiti per alzarsi dal letto; eppure la sera prima s’era sentita animata da grande coraggio! Aveva atteso pazientemente finchè Hattori non lo avesse lasciato solo, e fortunatamente Kazuha l’aveva afferrato per un braccio per poi trascinarlo al piano di sopra –Fortunatamente? Ran dubitava si trattasse d’un caso, ma lì per lì non aveva dato molto peso ai due amici: c’era qualcosa che le premeva maggiormente!- .
E quando finalmente il detective era sulla terrazza, appoggiato alla ringhiera con i gomiti, aveva inspirato profondamente, facendo per accostarsi a lui. Ma i lineamenti dell’amico s’erano distesi per la prima volta in quella lunga e faticosa giornata, e i suoi occhi s’erano assottigliati placidamente in uno stato di riposata pace dei sensi. Perciò si era trattenuta dietro la tenda, contemplando la bellezza achillea del giovane amico: i capelli scompigliati dalla brezza serale, gli occhi luminosi puntati in un luogo imprecisato dell’orizzonte celeste, il volto reso pallido dal chiarore delle stelle.
S’era incantata a scrutarlo, abbandonandosi ad un flebile sospiro: possibile che l’amasse? Che Shinichi amasse lei, tra tutte? E in quali idee approdava la sua mente, cosa pensava nei momenti di quiete?
Improvvisamente però i muscoli distesi si erano nuovamente contratti, pronti a sferzare l’aria in un mossa di difesa: alle sue spalle era comparsa Kyoko.
Li aveva sentiti parlare ed era rimasta sorpresa dal repentino mutamento della giovane sedicenne; certo le faceva piacere che Shinichi fosse riuscito ad impressionare anche lei, tanto restia a collaborare con la giustizia, ma quel tono di voce le era sembrato fin troppo delicato, i suoi modi di fare rivelano un coinvolgimento inadeguato.
 
“Va bene. Ti credo, Kyoko.”
 
E poi perché l’aveva chiamata per nome?
La distesa autorevolezza cui era ricorso con Hattori prendeva, ai suoi occhi, la forma di dolce accondiscendenza nei riguardi della Kakeshi.
Cercò di cacciare quella sgradevole sensazione dalla testa, lasciando cadere la camicia da notte a terra, rimanendo così nuda;  una doccia le avrebbe restituito la serenità con la cui compagnia aveva aperto gli occhi al risveglio. Non c’era motivo di indispettirsi per un interrogatorio.
-Già…perché quello di Shinichi e Kyoko ieri sera è stato un interrogatorio!- si ripetè mentalmente, cercando inutilmente di convincere se stessa.
Certamente ignorava che, la sera prima, nel momento di ristoro, quando il vento della sera lo accarezzava, Shinichi s’era perso pensando a lei, la sua gelosa amica d’infanzia.
 
§§§

Fiducia.
Esiste parola più ricca di significati, pregna di emozioni sottese, gonfia di speranze spropositate, prodiga d’assensi a priori? Tacito patto sotteso di sguardi rapidi e sorrisi fugaci.
Accordo di promesse ineffabili.
Non è un emozione facilmente gestibile, e solitamente è meglio evitarla accuratamente: fidarsi di qualcuno comporta un ampio numero di rischi, che spesso accompagnano alla rovina con il corteggio d’un sorriso beffardo, proprio della derisione rivolta a se stessi. Come si dice: oltre il danno, la beffa.
“E tutto questo perché? Perché mi sono fidata di lui!”
E’ il primo rimprovero a muoversi nella calma piatta della delusione latente.
Ma in fondo, a ferire il cuore graffiato non è il presunto tradimento, quale infatti non è in realtà, della persona prima fidata, ma la consapevolezza d’essere stati artefici del proprio destino e avere miseramente imboccato la via scorretta. Chi davvero vuol definirsi cosciente, sa che la colpa non appartiene a chi ha tradito la fiducia, ma risiede unicamente in chi ha mal riposto la fiducia. Specialmente se la persona in questione non l’ha neppure richiesta.
Una serie di infinite aspettative deluse spalancano la voragine incandescente della disillusione frustrante, e divorano dall’interno  le pareti dell’anima, aprendo alla via della commiserazione di sé, alla presa di coscienza d’una sedicente ingenuità, precludendo qualunque altra strada al rapporto umano. Ne conseguono sospetto, timore, diffidenza, misantropia in una scala crescente di sentimenti avversi al proprio io, prima che al mondo circostante.
Che cosa significa, infatti, fidarsi?
Trovare la tua anima nel cuore d’un altro, e così riporre te stesso nelle sue mani.
Oltre ogni esitazione, superando ogni tentennamento, ignorando ogni dubbio: aver fede nella completa concordia delle vostre intenzioni, a scatola chiusa.
Sapere di condividere il medesimo parere, senza necessità di verificarlo. E se l’altro pure non avesse la tua stessa opinione, sapere che la perpetuerà con forza maggiore della tua; e seppure tu non avessi la sua stessa idea, sapere che la isserai con più convinzione di quanta ne avrebbe sopportata lui.
Perché se tu nutri quell’opinione, devi avere un motivo valido. Ed è sufficiente per agire.
Perché se lui è impantanato in quella convinzione, devono esserci radici che lo sostengono. Ed è sufficiente per essere d’accordo.
Vicendevole aiuto, difesa reciproca, mutuo sostegno.
Ovvero, salto nel buio: non sai perché stai agendo, sai soltanto che lo stai facendo.
Ti affidi completamente alle sue decisioni, alimentando in te la speranza siano guidate da una stella polare luminosa, ben visibile a distanza e non nascosta dalle tenebre degli arrivismi, dei tornaconti personali, della corruzione, dei giochi di potere. Qualunque scelta prenda, seguirla, condividerla, percorrerla a tua volta senza che la tua sicurezza sia offuscata, anche per un solo istante, dal dubbio dell’incertezza.
Interpretare al meglio ogni sua parola; scovare nelle sue molteplici espressioni vari modi d’apparire d’un’unica sostanza*, che è la sua anima buona. Riconoscere nel suo errore, la volontà d’agire bene: rispondere: “Ha sbagliato, ma almeno ci ha provato…e aveva buone intenzioni.” non come pretesto per giustificare te e la tua fiducia mal riposta, ma come vero pensiero,  dove irrazionalità, logica e speranza coincidono a suo favore. Perché la ragione e la non ragione si equivalgono, e puoi udire chiaramente i suggerimenti della mente accordarsi armoniosamente con gli istinti del cuore, affinché tu lo segua senza neppure conoscere le sue intenzioni; poiché tu già le conosci, in quanto sono i progetti della tua anima tramutate in azioni dal suo cuore.
E se ti fidi di un altro, allora devi fidarti anche delle persone cui lui si rimette: anche se non le conosci, anche se non ne hai la piena convinzione, anche se la tua prima reazione sarebbe quella di interporre indugio. Ti devi lasciare andare, senza esitazione, solo comprensione.
Se lui si fida, devi farlo anche tu.
Buio splendente, luce oscura.
Immobilità dinamica, movimento statico.
E come avere la certezza di potersi fidare? Come scoprire se la persona in questione è degna di fiducia?
Non puoi.
Perciò è un’esperienza rischiosa: perché devi farlo, e basta. Da un momento all’altro potresti scoprire d’aver sbagliato, ed essere costretto a cambiare bersaglio.
E mentre ti fidi, esiti: e mentre ti rimetti all’equilibrio di qualcun altro, barcolli. E mentre assecondi le scelte di un altro, tentenni; e mentre ripeti le parole di un altro, balbetti. E mentre percepisci il cuore di un altro battere, il tuo perde un colpo… Se ti costringi a fidarti:  perché è giusto così, perché meglio, perché così va fatto.
Ma se tu ti fidi: se non sai perché, eppure ti fidi; se sai perché e, nonostante, ti fidi; se non devi riflettere, valutare, ponderare, e solamente ti fidi…Allora, l’altro si solleverà in volo, e tu con lui.
L’altro camminerà, tu marcerai. L’altro aggredirà, tu conquisterai. L’altro si rallegrerà, tu gioirai. L’altro pronuncerà, tu griderai dando voce forte ai polmoni pulsanti.
E la fiducia sarà così l’emozione più bella, esauriente, appagante di qualunque altro sentimento: perché potrai rimetterti nelle sue mani, con la convinzione che tutto andrà bene. Avrai la possibilità di contare su qualcuno ad occhi chiusi:  percorrere una strada già battuta, sapendo che non troverai dirupi ad attenderti, ma solo sentieri lineari.
E Ran non aveva deciso di fidarsi di Shinichi: lei si fidava, semplicemente.
Perciò era convinta che Kyoko avesse detto la verità, perché lui ne era convinto. Eppure, in lei la fiducia spesso prendeva a scontrarsi con la gelosia: e la consapevolezza che il suo amico d’infanzia avesse così facilmente creduto alla giovane, se da una parte la tranquillizzava per il suo buon cuore, dall’altra l’allarmava per la sua complicità.
E le occhiate, gli sguardi, i sorrisi non le piacevano: perché si comportavano così?
Cosa provavano?
In una condizione di scintille scoppiettanti, quale era il camino del suo animo, sarebbe stata sufficiente una scintilla a farla divampare: e fu esattamente quello che accadde.


*°°°°*

 Precisazioni:
 
*(…) criminale dai capelli argentati: In realtà Vermouth, ma Ran non lo sa. Caso di Shinichi a New York, volume 35.
* indagine di Yusaku Kudo: file 813.
* Vari modi d’apparire d’unica sostanza: espressione del filosofo Spinoza.

 
*°°°*

Note dell'autrice:
 
Carissimi!
Mi rendo conto del ritardo, ma devo ammettere che non avrei postato non fosse stato per Roxina! Glielo avevo promesso, e nonostante l’attesa, ho mantenuto il patto (Prrrrr!)
Tuttavia il capitolo è più corto degli altri aggiornamenti, perché il momento non è dei migliori per me: a Gennaio avrò i primissimi esami universitari e, sapete come, dovrei anche studiare xD Perciò scusatemi se sono così frettolosa e se risponderò con un po’ di ritardo alle vostre recensioni ma davvero, il periodo è dei peggiori al momento, causa impegni.
Confido possiamo ritrovarci a Febbraio…e che gli esami abbiano avuto buon esito XD
Un grande bacione!!!
 
Cavy







 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1267537