Ogni notte ti conduco nel mondo dei sogni

di silvia_arena
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ogni notte ti conduco nel mondo dei sogni ***
Capitolo 2: *** Un dio e una mortale ***
Capitolo 3: *** La lite ***
Capitolo 4: *** Il figlio di Ade ***



Capitolo 1
*** Ogni notte ti conduco nel mondo dei sogni ***


NdA
Salve a tutti! Sono tornata – dopo secoli – con una one-shot, che potrebbe anche diventare una long.
Prima di introdurvi la storia, vi dico sinceramente quale meravigliosa one-shot mi ha ispirata: “L'agognato riposo di Morfeo” di NikOttina. Mi ha davvero toccata, è molto dolce e ben scritta, consiglio a tutti di leggerla.
Questa mia storia narra di un incontro tra Morfeo e una ragazza – Diletta – nei giorni nostri.
Come potrete notare, i personaggi non hanno età. Morfeo è descritto come “giovane, molto giovane”, perciò potrebbe avere tra i diciassette e i venticinque anni, mentre Diletta è una “ragazzina”, non avrà meno di quindici anni ma nemmeno più di diciotto.
All'inizio i punti di vista variano tra quello di Morfeo e quello di Diletta – non è indicato ma ve ne accorgerete – invece, dopo che i personaggi interagiscono, è narrato solo dal punto di vista di Diletta. La storia è interamente in terza persona.
Be', bando alle ciance e buona lettura! Mi farebbe piacere se mi faceste sapere cosa ne pensate :)
 
 
Ogni notte ti conduco nel mondo dei sogni
 
Morfeo aveva quasi finito il suo turno di lavoro per quella notte. Mancava solo una persona, una ragazzina che non si decideva ad alzarsi dalla sua scrivania.
Era mezzanotte passata e lei si ostinava a rimanere seduta e sveglia, così Morfeo decise di avvicinarsi per vedere cosa la trattenesse dallo stendersi sul letto e provare a dormire. Rimase fermo alla finestra.
 
«Così dalla testa di Zeus nacque Afrodite... No, Atena... ARGH! Chi se ne importa di questi tizi, tanto non esistono! E anche se esistessero, ormai non ci crede più nessuno!»
Non fraintendete, Diletta amava studiare – anche se la storia e le sue derivanti non erano fra le sue materie preferite – solo che, a quell'ora della notte, imparare i nomi delle divinità greche per una verifica di latino non era la parte migliore dello studio.
“Al Tartaro” pensò, tanto per rimanere in tema con ciò che stava studiando. Si alzò e, grata per aver già indossato il pigiama, s'infilò sotto le coperte e chiuse gli occhi.
Stava per addormentarsi, quando percepì il tocco di una carezza sul suo viso. Spalancò gli occhi, pensando che fosse solo una sensazione del sonno o forse un insetto, poi guardò meglio e notò che c'era davvero qualcuno accanto al suo letto.
 
Morfeo sorrise.
Molte erano le persone che studiavano ancora la loro religione, quella dell'antica Grecia. Pochi erano quelli che l'apprezzavano, inesistenti quelli che ci credevano.
Ma naturalmente, anche se i mortali smisero di credere nella sua esistenza, lui non smise di fare il suo lavoro, altrimenti l'umanità sarebbe morta per mancanza di sonno.
Quando finalmente la ragazza spense la luce e si mise sotto le coperte, Morfeo entrò dalla finestra e si avvicinò a lei, consapevole del fatto che lei, come tutti i mortali, non potesse vederlo. Il suo viso rilassato e con gli occhi chiusi aveva qualcosa di angelico, ma in fondo tutti sembriamo più buoni quando dormiamo. Morfeo l'accarezzò, ma lei fece una cosa inaspettata: spalancò gli occhi e si drizzò a sedere.
A volte capitava, qualcuno percepiva la sua vicinanza, ma poi accendevano la luce e si accorgevano che non c'era nessuno, così la spegnevano e si sdraiavano di nuovo. Lei però era come se lo vedesse: lo fissava negli occhi, spaventata. Poi il suo viso si rilassò un po' ma rimase stranita, sorpresa, curiosa. Infine parlò: la sua voce era ironica ma non di scherno.
«Restare immobile non ti rende mica invisibile.»
 
Di una cosa era certa: non era né un assassino né un molestatore.
Indossava una tunica greca bianca e i ricci castani chiari gli ricadevano fino alla nuca. Aveva gli occhi castani ed era giovane, molto giovane. Diletta non sapeva precisamente cos'era: poteva essere uscito da uno spettacolo teatrale o da una macchina del tempo, ma in qualche modo sapeva che non aveva cattive intenzioni, così si tranquillizzò un po'.
Guardandolo meglio, si accorse che la sua aurea emanava potere, aveva quasi un aspetto divino... Diletta scacciò quel pensiero dalla testa.
Attese a lungo una risposta al suo commento.
Lui si voltò, come per vedere se lei si stesse rivolgendo a qualcuno dietro di lui, poi balbettò, incredulo: «Riuscite a vedermi?»
Stavolta fu Diletta a voltarsi per vedere se ci fosse qualcuno dietro di lei. Nessuno. Perché allora parlava al plurale?
«Non dovrei?» domandò. «Cosa sei, un fantasma?»
Ma lui non rispose alla sua domanda.
«Qual è il vostro nome?» chiese, ora più incuriosito che incredulo.
«Il mio?» domandò Diletta, non prima di aver ricontrollato se ci fosse qualcun altro dietro di lei.
«Sì, il vostro» confermò, gentilmente. «Vedete qualcun altro?»
“No, infatti” pensò Diletta. “Quindi perché parli come se ci fosse?”
«Sono Diletta» rispose. «E tu chi sei? E perché sei in camera mia?»
«Sono Morfeo» si presentò lo sconosciuto. «Dovevo farvi addormentare, bella fanciulla. È incredibile che voi riusciate a vedermi, non capisco come sia possibile.»
«Farmi addormentare?»
«Come ogni notte.»
«Ogni notte vieni qui?»
«Ogni notte vi conduco nel mondo dei sogni.»
«Io credo che tu stia delirando» Diletta si alzò dal letto ma rimase dall'altro lato, in modo che ci fosse qualcosa che li separasse. Il suo tono non era accusatorio, né spaventato. Diletta era gentile, e cercava gentilmente di farlo andare via; nonostante, per qualche assurdo motivo, non voleva che se ne andasse.
«Affatto, mia bella» rispose lui. «Prima stavate studiando le divinità dell'Olimpo, se non sbaglio. Non avete mai letto di me?»
Diletta cercò di ricordare, poi scosse la testa. «Dovresti andartene» disse; decisa, ma non spaventata.
«Non posso» spiegò lui. «Altrimenti non riuscireste a dormire. Vi prego, cercate di tranquillizzarvi e provate a ricordare chi sono.»
Aspettò invano che lei parlasse, così ribadì «Mi chiamo Morfeo» per aiutarla.
«Morfeo» ripeté lei, pensierosa. Poi ricordò. «Il dio del sonno.»
«Esattamente» confermò lui, con un sorriso.
«No» protestò Diletta. «C'è un solo dio. Gli altri sono solo miti e leggende.»
«Io sono reale, mia bella. Ma ora dovete dimenticare questa conversazione e lasciare che vi addormenti.»
Morfeo si avvicinò a lei, ma Diletta fece un passo indietro. Avrebbe dovuto lasciarsi toccare da uno sconosciuto che insinuava di essere un dio e parlava in modo strano?
«Ti prego, vattene, se non vuoi che chiami la polizia.»
Diletta non fu molto convincente, perché ancora non voleva che andasse via. Quel ragazzo non la spaventava, però l'affascinava e la preoccupava contemporaneamente.
«La polizia? E perché mai?» domandò lui, come se Diletta avesse detto una cosa assurda.
«Per violazione di domicilio.»
Morfeo non sapeva di cosa stesse parlando. Quella legge non esisteva ai suoi tempi.
«Vi prego, fanciulla...» pregò, facendo un altro passo.
«No» lo interruppe lei, facendo anche lei un altro passo indietro, e per poco non si scontrò con il muro. «Devi andartene.»
«Non vi farò del male» assicurò lui, pregante. «Non potete mandarmi via.»
«Sì che posso!» ribadì Diletta. «E lo sto facendo! Vattene, per favore!»
Poi Diletta ricordò che al piano di sotto dormivano i suoi genitori, e fu costretta ad abbassare la voce per non farli preoccupare.
Lui la raggiunse, e lei si ritrovò contro il muro. Le accarezzò la fronte, di nuovo, ma lei lottò con lui, per paura che potesse davvero addormentarla e andarsene.
«Ti credo!» esclamò, a bassa voce, provando a divincolarsi. «Sei il dio Morfeo, ti credo! Ti prego, non farlo...»
«Fare cosa, mia bella?» sussurrò, gentile e suadente.
«Non farmi addormentare, non... non andare via.»
Così Morfeo l'avvolse tra le braccia e la condusse verso il suo letto. Restò lì tutta la notte.
Diletta dormì fra le braccia di Morfeo.

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Capitolo 2
*** Un dio e una mortale ***


Salve! Alla fine non è una one-shot, anzi: vi avverto, nella mia mente questa storia è infinita! Spero di riuscire a continuarla. Grazie a chi ha recensito e a chi ha letto, spero che gradiate questa continuazione!


Capitolo due - Un dio e una mortale

Quando Diletta si destò, l’indomani, si trovava sola nel suo letto. Era felice del sogno che fece, e sperò di farlo ancora. Magari quella sera avrebbe fatto attenzione e avrebbe davvero scorto Morfeo entrare dalla finestra. Sorrise per quel pensiero. Gli unici ragazzi che le davano corda erano quelli nei suoi sogni, ma a lei andava bene. Non sentiva ancora la necessità di trovarsi un fidanzato.
Si alzò dal letto e si preparò per andare a scuola.

«Non era mai capitato prima d‘ora» raccontò Morfeo all’amico Ermes. «Alcune persone percepiscono la mia presenza. È strano, sì» confermò Morfeo alla faccia stranita del messaggero degli Dei. «Raramente, ma è successo. Però lei mi ha proprio visto, mi ha guardato negli occhi, mi ha parlato, e...»
«Non per interromperti, amico mio» lo interruppe Ermes. «Ma dove hai trascorso questa notte?» Morfeo intuì che Ermes immaginava già la risposta.
«Be', è stata lei a chiedermelo. Mi ha pregato di non andare via, perciò… ah, devi sempre pensar male tu, Ermes?»
«Scusa, rogare licet est» protestò Ermes con un sorriso. «Pensi di vederla ancora?»
«Per forza! È il mio lavoro, Ermes, devo far addormentare la gente.»
«Certo, ma di solito non ti vedono.»
«Per questo sono venuto da te. Noi Dei non abbiamo relazioni con i mortali da quanto, duemila anni?»
«Anno più anno meno» confermò Ermes.
«Zeus sarebbe furioso se lo scoprisse.» Morfeo mise la testa fra le mani, in un gesto di disperazione.
«La chiami relazione, Morfeo? Avete parlato solo per cinque minuti, scommetto non ricordi nemmeno il suo nome.»
Morfeo lo ricordava eccome, ma cambiò discorso. «Zeus s‘arrabbierebbe comunque.»
Ermes si sedette su una roccia, con l’aria da grande pensatore.
«Non puoi lasciarla morire per mancanza di sonno, questo è certo.»
Morfeo trattenne il “Ma dai” solo perché Ermes era suo amico e non voleva ferirlo, e poi stava cercando di aiutarlo.
«Magari ieri è stata un‘eccezione» continuò il messaggero degli Dei. «Insomma, ti aveva mai visto, prima?»
«No» rispose Morfeo. «Come chiunque.»
«Allora forse questa sera non ti vedrà.»
«Lo spero bene.»
«Ma prova a pensare negativo per un attimo» disse Ermes. «Se ti vedesse, cosa farai?»
«Non lo so» ammise Morfeo. «Le ho fatto credere che il nostro incontro di ieri sia stato un sogno.»
«Bella mossa» si congratulò Ermes, ma stranamente, Morfeo pensava che il suo amico fosse sarcastico. «Ora devi scusarmi, Morfeo, ma Zeus ha un importante messaggio per Ade - niente di amichevole, come sempre - che avrei dovuto consegnare già dieci minuti fa. Maledetto te e le tue fiamme. Zeus mi fulminerà.»
«Saremo in due, allora, ad essere fulminati. Ehi, aspetta, chi ha parlato di fiamme…?»
Ma Ermes era già andato via dall’Olimpo, con i suoi sandali alati, in direzione degli Inferi.

Correndo per il corridoio della scuola, Diletta scorse Angela, la sua migliore amica.
Be', “migliore amica” non era il termine esatto. In realtà, Angie - così insisteva che venisse chiamata - era la sua unica amica. E non provava nemmeno una gran simpatia continua per lei. Spesso s’insultavano e si prendevano in giro - e non per scherzare -, ma a volte andavano anche molto d’accordo e chiunque le avrebbe scambiate per sorelle.
Avevano un rapporto molto strano.
«Hai visto quant‘è figo il ragazzo nuovo, verginella?»
Era così che Angie iniziava una conversazione con Diletta, di solito: vedeva un ragazzo carino e glielo faceva notare, anche se sapeva che Diletta non era interessata ai ragazzi. Lo faceva per prenderla in giro.
In realtà anche Angie era vergine. S’interessava ai ragazzi, o a volte fingeva d’interessarsi, ma non chiedeva mai loro di uscire e se erano loro a invitarla, rispondeva loro di girare a largo.
S’interessava a loro solo per infastidire Diletta, ma non si sarebbe mai fidanzata per non deluderla.
Sì, anche questo era uno strano aspetto del loro strano rapporto. Amore-odio. “Chi le capisce è bravo” dicevano tutti.
Ma a loro due andava bene così.
«No, e non m‘importa» ribadì, fredda, Diletta.
«Sai che novità» ribatté Angie, con un ghigno di scherno. «Pronta per la verifica di latino?»
Quella domanda rimembrò a Diletta il suo sogno. Morfeo, il Dio del Sonno… E se fosse stato tutto vero? Se fu proprio Morfeo a donarle quel sogno?
All’improvviso si pentì di non aver studiato a fondo, com’era suo solito fare. Avrebbe voluto approfondire l’argomento. Scoprire di più su Morfeo.
«Pronto?» Angie le diede uno scossone, e Diletta era così immersa nei suoi pensieri che per poco non perse l’equilibrio.
«Cosa? Sì, certo che sono preparata» rispose, ancora stordita dal “brusco risveglio”.
«Allora cerca di collaborare, cervellona, perché io non ho studiato un accidente.»
«Sai che novità» replicò Diletta.

«Ho avuto un‘illuminazione, amico.» Ermes tornò sull’Olimpo e non si sorprese di trovare Morfeo seduto dove l’aveva lasciato.
«Ti ascolto» rispose Morfeo, sollevato che ci fosse un piano diverso da “Vai e scopri che succede”.
«Parla con Apollo. È il Dio della Profezia, no? Magari sa qualcosa.»
«Apollo?» domandò ironico Morfeo. «Ma se l‘unica cosa che può fare è rispondermi “Una ragazza? Dove?” e andare a cercarla!»
«Ehi, io ci ho provato» si giustificò Ermes. «Sei tu che hai chiesto il mio aiuto.»
«Il tuo, infatti» puntualizzò Morfeo.
«Secondo me può aiutarti» concluse Ermes. «Va' da lui.»
Morfeo sospirò e si ritrovò costretto a seguire il consiglio dell’amico.

«Ma lei è così bella, e coraggiosa, e… bella…»
«L‘hai già detto.»
«Andiamo, Artemide!»
«No! Lei è una Cacciatrice! Ha giurato devozione, castità, e…»
«…e bla bla bla. Come tutte, d‘altronde. Ma non potresti fare un‘eccezione? Sono tuo fratello!»
«No» ribadì Artemide. «Va' a rimorchiare qualche mortale, se proprio vuoi.»
«E interrompere la “striscia positiva”?» Apollo guardò Artemide come se fosse pazza, ma in realtà era sarcastico, e Artemide lo capì. Era così che Zeus la pensava: niente accoppiamenti con i mortali, niente semidei, niente guai.
La Dea della Caccia sorrise. «Recati da qualche ninfa, allora.»
«Lo farò, sorella» Apollo le sorrise di ricambio. «Meglio che sprecare il tempo a discutere con te.»
Morfeo non volle interrompere la conversazione fra i due gemelli. Aspettò che Apollo si allontanasse dalla sorella e si avvicinò a lui come se niente fosse. «Salute, Apollo.»
«Morfeo.» Apollo fece un gesto di saluto. «Qual buon vento ti porta da me?»
«Desidererei sapere se per caso tu avessi visto qualcosa…»
Apollo non afferrò il senso della frase. «Scusami?»
«Insomma, c‘è qualcosa che dovrei sapere?»
Apollo si accigliò. «Qualcosa che dovresti sapere… per esempio?»
«Non so, tu hai visto qualcosa?» insisté Morfeo.
«Morfeo, di che parli?»
Il Dio del Sonno si ritrovò costretto a vuotare il sacco: gli spiegò che una ragazza era stata capace di vederlo e che voleva capire com’era stato possibile, perciò Ermes gli aveva consigliato di andare da lui, visto che era il Dio della Profezia, nel caso avesse qualche risposta.
«Amico, non funziona così» disse Apollo. «Cosa credi, che abbia avuto una visione di te che vai da una mortale e lei che riesce a vederti? Non sono mica un veggente o un Oracolo!»
Morfeo in quel momento si sentì molto stupido e maledì Ermes per avergli fatto fare tale figura.
«Però… una ragazza che riesce a vedere gli Dei senza che noi vogliamo, hai detto? Dov‘è che abita?» domandò Apollo, molto interessato, facendo già fantasie su come l’avrebbe scampata al cospetto di Zeus: “Io passeggiavo tranquillo per la città, una ragazza si è avvicinata e mi ha detto «Ehi, tu!» e da lì siamo finiti nel suo letto. Non è colpa mia!”
Morfeo sospirò e scosse la testa. «Arrivederci, Apollo, ti ringrazio comunque» si congedò.

Diletta arrivò a casa, abbattuta per la sua prima C+.
Non era un voto così brutto - Angela avrebbe pagato per prenderlo almeno una volta - ma per lei era una tale vergogna che appena lo lesse, accartocciò il foglio alla velocità della luce e lo infilò dentro lo zaino per impedire a chiunque di vederlo.
Sapeva di dover studiare per l’indomani se non voleva che un voto del genere si ripresentasse, ma era interessata - ossessionata era la parola giusta - a scoprire di più su Morfeo.
Così passò l’intero pomeriggio sui libri di storia e latino, e lesse anche quelli di mitologia dalla libreria.
Dopo diverse ore scoppiò: Oh, ammettilo, Diletta, a te non importa un accidente degli Dei greci; tu stai solo cercando delle prove sull’esistenza di Morfeo. Ma cosa speri di ottenere, eh, Diletta? Sei davvero fuori.
Era piuttosto presto e aveva altro da studiare, ma Diletta era così nervosa, irritata e stanca che mandò tutto all’inferno e si mise sotto le coperte.

L’ora della verità arrivò per Morfeo.
In realtà era arrivata già da ore, ma Morfeo si comportava da codardo e non aveva il coraggio di scoprire se Diletta lo vedesse o no.
Sembrava che la ragazza avesse avuto una giornata pesante e non vedeva l’ora di dormire. Morfeo sbirciava dalla finestra: erano circa tre ore che si girava e rigirava nel letto, non riuscendo - naturalmente - a prendere sonno.
Era mezzanotte inoltrata e Morfeo non voleva farle passare una notte insonne. Mise da parte le sue paure ed entrò dalla finestra.
Non sapeva cosa fare: se avesse fatto rumore l’avrebbe spaventata, ma mostrandosi all’improvviso l’avrebbe spaventata ancora di più. Decise di parlare: «Mia Diletta?» domandò, piano, con voce incerta.
Diletta non si mosse. Morfeo provò a chiamarla più forte, ma niente. Lei si rigirò nel letto, ma non diede segni d’averlo sentito. Morfeo tirò un sospiro di sollievo. Si avvicinò a lei, e si chiese perché non riuscisse a vederlo, e soprattutto per quale assurdo motivo c’era riuscita il giorno prima.
Le accarezzò il viso, pronto ad addormentarla.
È così bella, si ritrovò a pensare Morfeo. Vorrei che mi vedesse, solo per un istante.
Detto fatto, all’improvviso Diletta percepì il suo tocco e spalancò gli occhi. Morfeo, prima bloccato dalla sorpresa, capì che stava per urlare per lo spavento e le coprì la bocca con la mano.
Quando Diletta vide chi era l’intruso nella sua camera, la paura fu subito sostituita da un’immensa gioia.
Tolse la mano di Morfeo dalla sua bocca e la strinse forte nella sua, come se non volesse lasciarlo andare via - in effetti, non voleva proprio.
«Non era un sogno, allora!» esclamò, entusiasta. Si dovette trattenere dal saltargli addosso, tanto era contenta. Ma comunque non dovette aspettare troppo per sentire di nuovo il calore del corpo di Morfeo accanto al suo. Si mise in ginocchio sul letto per essere quasi all’altezza di Morfeo, e iniziò a saltellare sulle ginocchia esclamando «Lo sapevo, lo sapevo!»
Morfeo la cinse fra le sue braccia. «Oh, mia Diletta! Che gioia che riusciate a vedermi anche questa notte! Credo di averne capito la ragione: è perché l‘ho desiderato! Ieri inconsapevolmente, ma oggi lo volevo davvero. È così che funziona, in effetti, solo che io non ho mai avuto la necessità di mostrarmi ai mortali. Ma basta parlare di me, mia bella! Ditemi: perché siete così gaia? Provate forse la stessa felicità che provo io nello stare in vostra compagnia?» Morfeo mollò la presa solo quando finì di parlare, per guardare negli occhi Diletta mentre le porgeva quella domanda.
Morfeo e Diletta avevano le braccia intrecciate, lei in ginocchio sul letto e lui in piedi al suo capezzale, proprio come due innamorati che si vedono dopo tanto tempo.
«Morfeo, ho pensato a te tutto il giorno! Credevo fosse un sogno, ma nel mio cuore sapevo che era reale! Lo sapevo!» Diletta riprese a rimbalzare sul letto dalla felicità. Era strano: la presenza di Morfeo la spingeva a parlare in quel modo antico, ma a lei andava bene; non voleva sentirsi inadeguata - anche se fino al giorno prima avrebbe pensato che fosse Morfeo ad essere inadeguato. «Oh Morfeo, il mio ricordo di ieri sera è così confuso… come se avessi sognato tutto quanto!»
«Mia Diletta, è tutta colpa mia! Sono stato io a farvi credere che fosse stato un sogno, ma me ne pento! Oh, me ne pento così tanto! Non commetterò lo stesso errore anche questa notte, avete la mia parola.»
«Morfeo, resta con me anche questa notte» implorò Diletta, abbracciandolo di nuovo.
«Tutto quello che volete, mia Diletta.»
Così Diletta dormì fra le braccia di Morfeo per la seconda volta, ma l’indomani non si sarebbe svegliata da sola.

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Capitolo 3
*** La lite ***


Capitolo tre - La lite
 
Tecnicamente, fu Morfeo il primo a svegliarsi, ma vedendoli, chiunque avrebbe affermato che si fossero svegliati contemporaneamente: appena Morfeo allontanò leggermente le braccia da Diletta, anche lei si destò.
Diletta guardò il viso del suo innamorato – e pensò che fosse assurdo definirlo “innamorato”, visto che lo conosceva da soli due giorni. Anche se la storia del “Dio” era assurda da credere, come si poteva non innamorarsi di un ragazzo così? Diletta era certa che perfezione si trovasse difronte ai suoi occhi.
«Ben svegliata, mia bella» la salutò Morfeo.
«Sei rimasto sul serio.» Diletta era quasi commossa. Insomma, un Dio aveva esaudito una sua richiesta. «Morfeo, come fai ad esistere?» La ragazza preferì arrivare dritta al punto.
«Cosa intendete, mia Diletta? Volete dire, perché riesco a vivere così tanto? Sono un Dio, non morirò mai» spiegò Morfeo.
«Quindi tu sei sempre esistito… e anche tutti gli altri: Zeus, Era, Afrodite…»
«Certamente.»
«Perché mi dai del “voi”?» chiese ancora Diletta.
«Perché vi rispetto» affermò Morfeo. «Vi mette forse a disagio?»
«Affatto!» esclamò Diletta. «È solo un po'… antico. Vuoi che anch'io ti dia del “voi”? Anzi, perché invece non ci diamo del “tu”? Sai, come facevano alla tua epoca quelli molto in confidenza o imparentati o… sposati, no?»
«E, di grazia, quale sarebbe “la mia epoca”, esattamente?» domandò Morfeo con un sorriso.
«L'antica Grecia, credo» rispose Diletta, divertita.
Morfeo annuì. «Non volevo darti del vecchio o roba simile» assicurò Diletta.
«Non avevo dubbi» ribadì Morfeo, sempre sorridente. Poi, tutto d'un tratto, divenne serio e s'alzò dal letto. «Mia bella, il solo esser stato qui mi causerà dei guai. Temo di dover tornar sull'Olimpo immediatamente.»
«Tornerai questa sera?» domandò speranzosa Diletta, prendendolo per mano.
«Come sempre» assicurò Morfeo. Diletta lo seguì con gli occhi finché il suo amato sparì.
 
Diletta si recò a scuola più pensierosa del dovuto. Aveva dormito con il Dio Morfeo. Due volte. Insomma, a chiunque l'avrebbe detto, l'avrebbe presa per matta.
Era così sovrappensiero che quasi non notò Angela, mano nella mano con un ragazzo. Erano appoggiati all'armadietto di Angie e parlavano ad una vicinanza sconsiderata. Se fosse passato di lì il preside, li avrebbe addirittura sospesi per “effusioni in luogo scolastico”.
Diletta era sbalordita: allora faceva sul serio? Si avvicinò a loro, cercando di non farsi vedere, per origliare la loro conversazione.
«Sei sicura che non si sia comportata in modo strano, ultimamente?» stava chiedendo lo sconosciuto ad Angie.
«Quella lì è sempre strana» rispose lei. «Ma perché mi chiedi sempre di Diletta? Non ti fingerai interessato a me per arrivare lei?»
«Ma ti pare!» esclamò lui, indignato. «Figurati se mi piace quella là.»
«Non so come faccio ad esserle amica» rise Angie.
Quello era troppo di Diletta; così, smossa dalla rabbia, uscì allo scoperto e ribatté: «Neanch'io so come faccia ad esserti amica!» Si godette lo sguardo sbalordito di Angie, per poi andare via, furiosa.
Era troppo presto per andare in classe – infatti era vuota – ma Diletta non aveva altro posto dove rifugiarsi.
Lei ed Angie solevano litigare, ma quando qualcuno le insultava loro si difendevano a vicenda – o quando non era il caso, li ignoravano – ma mai si comportavano come aveva appena fatto Angie.
Quando Diletta si calmò un po', pensò: “Non capisco perché mi arrabbio tanto. Quella lì non mi sta nemmeno simpatica. Copia solo i miei compiti. Ma perché gliel'ho sempre lasciato fare? Sono proprio stupida.
Si alzò per uscire di nuovo dalla classe, quando Angie entrò nell'aula.
«È assurdo che tu abbia creduto a quello che ho detto a Nate.»
«Perché non avrei dovuto? Mi sembravi sincera» accusò Diletta.
«Era solo per dargli corda!» replicò Angie.
«Non voglio sentire scuse, Angela.» Diletta si voltò.
«Sei solo invidiosa che nessuno ti fila, mentre Nathan mi ama!» esplose Angie.
«Si vede come ti ama!» ribatté Diletta. «E poi io ce l'ho un ragazzo!»
«Ah sì? E chi sarebbe lo sfortunato?»
«Morfeo.»
«Che razza di nome è Morfeo?»
«È un Dio, razza d'ignorante!»
Angela la guardò con un'espressione di scherno. «Tu sei pazza, cara mia» disse, per poi uscire dall'aula.
 
«Un'altra notte fuori casa» lo rimproverò Ermes. «Spero davvero per te che Zeus non se ne sia accorto nemmeno stavolta, amico mio.»
«Lo spero anch'io» sospirò Morfeo.
«Hai intenzione d'andare avanti così?» chiese Ermes. «Perché non so fin quando riuscirai a passarla liscia.» Morfeo non rispose. «Devi smettere di desiderare che ti veda.»
Morfeo alzò il capo e si accigliò, sorpreso. «Sapevi che era questo il problema fin dall'inizio?»
«Pensavo che tu non volessi ma lei ti vedesse comunque, poi ho decifrato la tua faccia innamorata e ho capito.»
«Perché non me l'hai detto prima?» accusò.
«Avresti fatto il tuo lavoro e saresti andato via?»
Morfeo ci rifletté a lungo per poi sospirare e scuotere la testa. Ermes fece lo stesso. «Sii prudente, Morfeo» concluse, poi andò via.
 
Arrivò la sera e Diletta aveva passato l'intero pomeriggio davanti la TV per distrarsi e non pensare al litigio con Angela e alla probabilissima fine della loro amicizia. Continuò a fare zapping ma non trovò nulla di suo gradimento, così si alzò dal divano e si recò in cucina per mangiare – da sola, perché i suoi genitori erano usciti. Mentre consumava la sua cena, udii dalla cucina il nome di Angela. Scattò in piedi e tornò in salotto.
Si fermò davanti la TV, immobile, gli occhi spalancati.
«Il corpo della ragazza è stato trovato poche ore fa nei pressi di casa sua, vicino la moto.»
Diletta per un attimo si tranquillizzò, Angela non aveva una moto. Probabilmente era un'omonima.
«Ecco il luogo dell'incidente.»
Diletta non voleva credere alla vista della moto integra, solo un po' ammaccata, di fronte la casa di Angela.
«Questa è Angela Mills, la giovane vittima dell'incidente.»
Si sentii svenire quando sullo schermo apparve la fotografia di Angie.
 
Quando Morfeo arrivò e vide la sua Diletta in lacrime, non esitò ed entrò dalla finestra. «Cosa vi turba, mia bella? Perché siete così disperata?» si preoccupò Morfeo.
«È morta!» urlò Diletta, singhiozzando. Poi imprecò e ripeté: «È morta!»
Morfeo l'abbracciò. «Chi, mia Diletta, chi è morta?»
«ANGELA!» Diletta non capiva più nulla, in quel momento sapeva solo urlare e piangere, e continuò per parecchio. Morfeo non sapeva cosa dire, non sapeva di chi stesse parlando. «Non le ho nemmeno chiesto scusa…» singhiozzò Diletta. «Non dovevo accusarla, non dovevo… Non sai cosa darei per vederla un'ultima volta e dirle che mi dispiace…»
Morfeo capì che Angela doveva essere una sua amica. Diletta era davvero disperata. «Non è il momento giusto adatto per una mortale per visitare l'Ade, mia Diletta. Quando le acque si calmeranno, magari.»
Diletta non capì il senso di quelle parole e continuò a piangere. Il cuore di Morfeo non riusciva a reggere la vista della sua amata che soffriva tanto, così l'addormentò e restò con lei quasi tutta la notte.
 
«Be', non è ancora l'alba, stai migliorando» commentò Ermes.
«Una sua amica è morta, è distrutta. Desidera rivederla per una volta. Quando credi che smetteranno di litigare quei due?»
«Zeus ed Ade? Credo mai, Morfeo, ma hai scelto proprio il momento peggiore per una gita negli Inferi.»
«Se Ade è adirato non gliela porterò di certo.»
«E poi, Ade lo direbbe a Zeus e… ciao ciao segreto.»
«Hai ragione, non posso proprio farlo. Solo che era disperata, dovevi vederla, Ermes… Devo fare qualcosa.»
«Non puoi e non devi fare proprio niente, Morfeo.» Così si congedò il messaggero degli Dei.
 
Il giorno dopo Diletta si svegliò quasi priva di forze. La notizia l'aveva distrutta, ma il pianto ancora di più. Le dolevano ancora gli occhi.
Non si chiese nemmeno dov'era Morfeo. Non voleva pensare all'amica perduta, perché non riusciva ancora a capacitarsene. Non voleva pensare a niente. Solo catapultarsi a scuola e non pensarci.
Non informò neanche i suoi genitori, i quali non sapevano nemmeno dell'esistenza di Angela. Dire “È morta una mia compagna” non avrebbe fatto capir loro la situazione. Lei era sua amica.
Arrivata a scuola, Diletta si bloccò nel cortile. Non riusciva a credere a ciò che vedeva: la stessa moto vicino casa di Angela, quella che l'aveva investita, in quel momento veniva posteggiata dal suo ragazzo.
Diletta s'incamminò verso di lui, la rabbia le cresceva dentro come non mai.
Appena il ragazzo la vide, sorrise – anzi, ghignò – e si tolse il casco.
«Sapevo che prima o poi saresti venuta da me.» Le porse la mano. «Nathan Shade, ma puoi chiamarmi Nate.»
«TU, sei stato tu! Tu l'hai uccisa, è colpa tua se è morta!»
Diletta fece il giro della moto e iniziò a riempirlo di pugni, poi gli afferrò il casco dalla mano che stava usando per difendersi e cominciò a colpirlo anche con quello.
«Ahu, ahi, tregua!» implorò lui. «Di che parli?» Diletta si fermò per riprendere fiato. «Posso sapere di cosa sono colpevole?» domandò.
«ANGELA! Tu l'hai investita! È… morta!» Diletta riprese a piangere e a picchiarlo.
«No, ehi, frena, dolcezza.» Nathan si fermò un attimo e trattenne una risata, come se avesse fatto una grande battuta. «Frena, proprio come ho fatto io ieri. È questo che è successo: ho frenato così violentemente che la moto ha impennato ed Angela è caduta. Ha battuto la testa ed è morta. Non è colpa mia.»
Diletta era così sconvolta che non riuscì a proferire parola per un po', poi esplose: «NON È COLPA TUA?! Non sei stato forse tu a frenare? Se fossi stato più attento lei sarebbe ancora viva! Anzi, se tu non ti fossi affatto avvicinato a lei, saremmo ancora amiche!» La voce di Diletta fu rotta dai singhiozzi. «Tu non l'hai mai amata, non t'importa un accidente se sia morta, tu non…» Quando si ricompose, notò che Nathan stava roteando gli occhi.
«Perché non te ne torni da dove sei venuto?!» sentenziò Diletta. Nathan fece un gesto di saluto e s'incamminò verso la scuola.
«E mentre che ci sei passa dal carcere minorile!» Quello non si fermò e non le rispose ma scosse la testa, come se la trovasse ridicola.
«E restaci!» concluse Diletta.
 
«Atena, necessito della tua saggezza. Hai un minuto?»
La dea della sapienza era molto sorpresa per quella visita.
«Morfeo! Caro Morfeo, da quanto tempo non ci si vede… Come posso aiutarti?»
«Amo una mortale, Atena. Non so cosa fare» confessò Morfeo.
Atena, prima raggiante alla vista d'un vecchio amico, si oscurò.
«Non sono un Oracolo, Morfeo.»
Morfeo le raccontò tutto: da come s'incontrarono, alla morte della sua amica e alla sua intenzione di portarla nell'Ade. «Devo sapere se l'ira di Zeus sarebbe peggiore di quella di Ade. Ragiona, Atena, ti prego. Devo saperlo.»
«Io non sono un oracolo, Morfeo» ripeté la dea. Poi, notando la faccia dell'amico, sospirò e disse: «Ade lo direbbe certamente a Zeus. E tutti sanno che Ade non apprezza le visite dei mortali nel suo regno.»
«E se Zeus scoprisse… di lei?»
«Non so come reagirebbe, Morfeo. Da così tanti secoli gli Dei e gli umani non…» Atena guardò Morfeo: era più abbattuto che mai. «Non puoi dimenticarla?»
Morfeo non rispose, ma dalla sua espressione era chiaro che non poteva: la amava.
Atena ci rifletté a lungo e le servì parecchio tempo per convincersi, ma poi annunciò: «Starò dalla tua parte, amico mio, qualunque cosa accada.»
Non era l'aiuto che Morfeo sperava di ottenere ma dovette riconoscere che, nel caso di una guerra fra gli Dei – scatenatasi per colpa sua – aveva Atena dalla sua parte. Atena, la dea della strategia di guerra. Sempre meglio di nulla.
 
Diletta sarebbe tornata a casa in lacrime, se di lacrime gliene fossero rimaste. Quell'idiota di Nathan Shade… Era tutta colpa sua. Diletta desiderava solo vendetta, ma come ottenerla?
Morfeo, quel giorno, le fece visita prima del previsto.
«Sono appena le quattro del pomeriggio» protestò la ragazza.
«Volevo solo accertarmi che stesti bene.» Morfeo l'avvolse fra le sue braccia. «E dirti che… se lo desideri… potrai vedere la tua amica ancora una volta.»
Diletta guardò Morfeo, confusa.
«Posso accompagnarti giù negli Inferi.»

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Capitolo 4
*** Il figlio di Ade ***


Capitolo quattro – Il figlio di Ade
 
Diletta era molto spaventata, ma ogni volta che percepiva Morfeo accanto a lei, si tranquillizzava. Teneva stretta la sua mano, e la stringeva ancora di più quando sentiva qualche rumore strano.
L’Ade era terrificante, ma avrebbe fatto qualunque cosa pur di rivedere Angela almeno una volta.
«Ti senti bene?» le domandò Morfeo.
«Sono terrorizzata» rispose Diletta, tremando. «Ma voglio farlo» aggiunse, cercando di suonare convinta. Poi si voltò verso Morfeo e gli disse: «Grazie.»
«Il minimo» sorrise Morfeo, cercando d’infonderle sicurezza.
Continuarono a camminare per un po’, e Diletta ancora non sapeva se stessero andando a cercare Angela o al cospetto del dio Ade. Era sul punto di chiederlo a Morfeo, quando qualcosa la colpì alle spalle e l’atterrò. Diletta gridò per lo spavento: a meno che le anime non avessero una massa negli Inferi, quello era un peso umano.
Provò a voltarsi per vedere chi l’avesse assalita, ma il suo peso le impediva di girarsi.
Morfeo si riprese dallo shock e urlò allo sconosciuto: «Chi sei? Lasciala!»
«Il dio Morfeo…» osservò lui. «Vorrei dire “Che piacevole sorpresa!” ma non è né piacevole, né una sorpresa: sapevamo che saresti venuto.»
A Diletta sembrò di riconoscere quella voce, ma era assurdo che Nathan Shade si trovasse negli Inferi. Scacciò dalla mente quel pensiero. Provò di nuovo a guardarlo in volto o a tirarsi su, invano.
«Chi sei?» ripeté Morfeo, a denti stretti.
«Il figlio di Ade» rispose lui «il quale è pronto a rivelare a Zeus che Morfeo se la fa con una mortale. Non credo ne sarà troppo felice.»
«A quanto pare anche Ade è stato con una mortale, visto che tu esisti» ribadì Morfeo.
«Ti sbagli, Morfeo» replicò il figlio di Ade. «Mia madre è la dea Persefone.»
«E lo sa che suo figlio ficca il naso negli affari altrui?» ribatté il dio del sonno.
«Come se voi Dei foste tanto diversi» accusò lui. «Non fate per caso del male, fra di voi e agli umani, solo per divertimento?»
Ci fu un attimo di silenzio. «Sei qui per farmi lezioni di condotta?» domandò, pungente, Morfeo.
Il figlio di Ade era sul punto di replicare, quando una voce rumoreggiò negli Inferi: «Quante chiacchiere.»
Diletta rabbrividì.
«Padre!» Il figlio di Ade s’irrigidì. «Credevo d’aver capito che sarebbe stato un MIO compito portare la mortale al tuo cospetto» disse, quasi offeso.
Diletta era già sbiancata al suono di quella voce così potente, ma appena il figlio di Ade lo chiamò “padre” e la chiamò in causa, si sentì quasi svenire.
«Parli di mortali, ma non lo sei forse anche tu, figliolo?»
Il ragazzo s’irrigidì ancora di più. «E con ciò cosa vorresti insinuare?»
Fu allora che apparve, altissimo, emanando un’aura di potere da far paura: Ade, il Dio dei morti.
«Che anche tu potresti restarci secco» rispose.
Morfeo e Diletta, ma specialmente il figlio di Ade, intuirono che quell’affermazione non prometteva bene.
Eppure, Diletta era sempre più convinta che si trattasse di Nathan Shade, così decise di prendere in mano la situazione. Un tentativo, che danno avrebbe fatto?
«Ti spiacerebbe lasciarmi alzare, Nate
Nathan esitò. «Come diamine…?»
«Il tuo tono impertinente» spiegò Diletta.
Nathan, rassegnato, si alzò. Diletta, stranamente, non era così sorpresa che quell’idiota fosse figlio del dio Ade.
«Incapace» commentò Ade.
«Ho fatto del mio meglio!» ribatté lui.
«Dovevi restare in incognito.»
«Volevo arrivare a lei prima ancora che mettesse piede negli Inferi!»
«Erano questi i miei ordini?»
«No, ma…»
«Allora non hai adempito il tuo compito» concluse Ade.
Nathan chinò il capo.
Morfeo, che fino a quel momento era stato in silenzio ad ascoltare la discussione, decise di parlare: «Ade, non intendevo violare i confini del tuo regno. Ero solo in visita.»
«In visita per cosa?» domandò Ade.
«Un’amica di Diletta è morta.» Quando lo sguardo di Ade si posò su Diletta, lei desiderò farsi piccola piccola fino a scomparire. Mosse istintivamente un passo verso Morfeo. «So che tu non gradisci questo genere di cose, ma… era davvero disperata, aveva un’ultima cosa da dirle ma purtroppo tu l’hai chiamata a te e perciò non ne ha avuto l’occasione» continuò Morfeo.
Lo sguardo di Ade si posò, severo e irato, sul figlio. Lui sembrava sul punto di una crisi. «Non avevo idea…»
«NON AVEVI IDEA?!» tuonò Ade.
«…che avrebbe osato tanto!» assicurò Nathan.
Il dio dei morti rivolse la sua attenzione a Morfeo: «La tua amica mortale crede forse che, possedendo le attenzioni di un dio, è libera di andare in ogni luogo vietato agli umani? Domani hai intenzione di portarla in giro sull’Olimpo?» domandò, sarcastico.
«No, lei non c’entra nulla, sono stato io a proporglielo» spiegò Morfeo.
«Allora sei un incosciente» concluse Ade. «Magari credi anche che la farò uscire viva da qui?»
Morfeo si parò davanti Diletta. “È così che finirà la mia vita?” si domandò la ragazza. “Uccisa dal dio dei morti… Questa sì che è una cosa tragicomica.” Era certa che se avesse parlato avrebbe solo peggiorato la situazione, ma preferì tentare che fare la figura di quella che non sa difendersi.
«Mi dispiace tanto, non intendevo mancarvi di rispetto» disse ad Ade – ricordandosi di usare il “voi” – senza avere il coraggio di guardarlo in faccia.
«Non implorare il mio perdono, ragazzina» rispose, gelido, Ade. «Oramai non serve più.»
Fu allora che Ade prese la sua forma divina, ed era davvero terrificante: era alto almeno il doppio e quasi non si scorgeva il volto. Sembrava un ammasso di fuoco.
«Puoi farlo anche tu, vero?» chiese Diletta a Morfeo.
«Temo di no» rispose lui.
«Siete finiti» dichiarò Nathan.
«Mi pare che tuo padre abbia tenuto a rammentarti che anche tu potresti restarci secco» replicò Diletta.
«Scherzava» ribatté lui, ma non ne sembrava così convinto.
Morfeo tirò a sé Diletta e si allontanarono prima che Ade la bruciasse viva. Nathan si spostò dallʼaltra parte.
Messa Diletta al sicuro, Morfeo si lanciò tra le fiamme – Diletta ricordò che era un dio e non poteva morire – per battersi con Ade. Diletta non capì nulla del combattimento, vide solo una figura avvicinarsi a lei mentre tossiva, e capì che si trattava di Nathan Shade.
«Perché stanno combattendo?» gli chiese Diletta – urlando, perché le fiamme e i suoni della lotta coprivano la sua voce.
«Non lo fanno per un motivo» rispose Nathan, continuando a tossire.
«Non ci sarà un vincitore, sono immortali» replicò Diletta – sempre urlando.
Il figlio di Ade non rispose, continuò a tossire fino ad accasciarsi al suolo.
Nonostante quel ragazzo avesse ucciso la sua migliore amica, Diletta – smossa dallʼumanità che cʼera in lei – si abbassò e gli sorresse la testa.
«Coraggio, resisti» gli disse. «La pianteranno prima o poi, non possono battersi allʼinfinito.»
«Non credo ci siano possibilità per me» rispose Nathan, con la voce roca. «Così ha deciso mio padre» disse, poi deglutì.
«Ma se tuo padre è Ade e tua madre è Persefone, tu non dovresti essere un dio?» domandò Diletta.
«Avrei dovuto esserlo, ma mio padre ha preferito di no. Sono lʼunico figlio che abbia mai avuto, aveva paura che potessi rubargli il trono…» Tossì di nuovo. «Seguivo solo gli ordini di mio padre» sussurrò. «Mi dispiace.»
Nathan Shade morì fra le sue braccia.
 
Diletta aveva sopportato due morti in due giorni. Certo, l’ultima non era stata dolorosa come la prima, ma veder morire qualcuno fra le sue braccia la scosse. L’avrebbe turbata anche se si trattasse del suo peggior nemico – cosa che era. Diletta non riuscì a trovare un senso di giustizia. Cercava di pensare “Tu l’hai uccisa, ora hai pagato”, ma non ci riusciva. Nessuno dovrebbe morire.
Restò lì, seduta, a fissare il volto di Nathan fin quando le fiamme non si attenuarono.
Ade aveva di nuovo sembianze umane. Morfeo era a terra, ansimante.
Diletta non riuscì a trattenersi: «Sei contento, ora che tuo figlio è morto? Lo lascerai al Prato degli Asfodeli, come tutti gli altri? O lo getterai nelle profondità del Tartaro?»
«Come osi…» cominciò Ade, ma Diletta non si fece intimorire e continuò: «Non meriterebbe di stare al fianco di uno come te. Meriterebbe i Campi Elisi. È un eroe.»
Diletta credeva che Nathan, di eroico, non aveva fatto proprio nulla, se non morire. Si era pentito, e aveva ammesso che tutto ciò che aveva combinato era per obbedire al volere del padre. Era stato un figlio fedele, per questo meritava i Campi Elisi.
«Tu, insolente…» Ade avanzò verso di lei.
«No…» mormorò Morfeo, che non riusciva ancora ad alzarsi.
Diletta strinse a sé il corpo di Nathan, ma se Ade l’aveva ucciso di certo non gli importava del cadavere.
«Pagherai per la tua arroganza» disse Ade. Diletta tremava, ma si sentiva anche più coraggiosa che mai.
«Ade…» Morfeo cercava con tutte le sue forze di restare sveglio e intervenire, ma era sempre più debole.
Ade afferrò Diletta per il collo e la sollevò da terra. Lei non riusciva a respirare bene e sentiva le sue forze già abbandonarla: Ade voleva ucciderla lentamente. Strinse le mani attorno al polso di Ade per fargli mollare la presa ma, al contrario, lui l’aumentò. Diletta non respirava più, ma era certa che Ade volesse solo indebolirla. Non sarebbe stato così facile: un’umana che manca di rispetto ad Ade non l’avrebbe passata liscia, e Diletta credeva che anche nella morte non avrebbe mai smesso di pagare. In fondo, le aspettava un’eternità passata nel suo regno e, cominciasse in quel momento o dopo, Ade non avrebbe cambiato idea.
I polmoni di Diletta erano ormai quasi vuoti, quando a un tratto, una voce esclamò: «Fermo!»
Diletta riconobbe la voce: era Nathan. Ma com’era possibile…?
«Lasciala andare, papà.»
Ade mollò la presa – probabilmente per la sorpresa, non perché ne aveva intenzione.
Diletta cadde a terra e, dopo aver ripreso aria, notò che la voce non proveniva da dove giaceva il suo corpo, ma da qualche metro alla sua destra. Era Nathan, sì, ma si trattava della sua anima.
«Credevi d’esserti liberato di me?» chiese a suo padre.
«In fondo al Tartaro» ringhiò Ade. «E lì che passerai l’eternità.»
«Non credo di avere scelta» rispose Nathan. «Ma tu lascerai andare Morfeo e la ragazza.»
«Non osare darmi ordini, Nathan.»
«Fa’ a me tutto ciò che vorresti fare a loro, me ne assumo la responsabilità.»
«Nathan, no!» cercò di dire Diletta, ma lui le parlò di sopra: «Immagino che per te non faccia alcuna differenza. Prendi me al loro posto e lascia che se ne vadano.»
Ade rivolse un ultimo sguardo a Diletta, tremante, implorante verso Nathan e Morfeo. Morfeo, in qualità di Dio, avrebbe potuto negoziare con Ade, ma non c’era nulla che lei potesse fare. E non voleva che Nathan si sacrificasse per loro. Non sarebbe stato giusto. Perché avrebbe dovuto addossarsi delle colpe che non aveva?
«Nathan» iniziò Ade, ma lui in quel momento non lo stava ascoltando.
«Diletta» Nathan la guardò intensamente negli occhi. «Va bene» disse, annuendo.
«No» sussurrò Diletta, scuotendo la testa. Le lacrime iniziarono a scendere senza che lei volesse. «No, Nathan, no»
«Va bene» ripeté il figlio di Ade. «Tu pensa ad andare via.»
Diletta iniziò a piangere.
Ade sbuffò. «E sia, figlio mio. D’altronde, te lo meriti. Sei libero di andare, Morfeo, e di portare con te la mortale.»
Morfeo pensava a portare Diletta via di lì il prima possibile e grazie a quel pensiero ritrovò la forza per alzarsi. Fece cenno a Diletta di avvicinarsi a lui.
Diletta si alzò da terra ma riusciva a stento a reggersi in piedi: le gambe le tremavano per la sorte che avrebbe avuto Nathan a causa sua. Evitò di guardarlo in faccia e si concentrò su Morfeo, così ebbe la forza per camminare.
Quando passò vicino ad Ade, lui la bloccò per il braccio e le disse all’orecchio: «Ci rivedremo, prima o poi. Allora non sarò magnanimo.»
Diletta fremeva dalla voglia di replicare che in quel momento era stato tutto tranne che magnanimo, ma non voleva buttare tutto all’aria e incasinare ulteriormente la situazione. Così si limitò a divincolarsi bruscamente dalla sua presa e raggiungere Morfeo, che senza esitazione la strinse a sé e la portò fuori dagli Inferi.

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