Capricci

di GaiaTon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scherzi da caserma ***
Capitolo 2: *** Profumo d'Oriente ***
Capitolo 3: *** Vita intima dei moschettieri ***



Capitolo 1
*** Scherzi da caserma ***


Scherzi da caserma



Capricci è una serie di one shot. Scherzi da caserma è la prima, spero, di una serie. Si tratta di storie che mi affollano la mente, immagini di scene che stanno lì ed interferiscono con la fine dell'Orrendo Foco che io cerco con difficoltà di inquadrare per poi scrivere. Riversare queste scene su carta è una forma di liberazione, una valvola di sfogo.

A me piace scriverle, ma non mi piace piantare in asso le cose, quindi per certi versi sono infastidita dall'affollamento che popola la mia testa.

Buona lettura




L'episodio si colloca in un punto imprecisato del cartone prima dell'arrivo di D'Artagnan. I tre moschettieri rientrano a Parigi da una missione fuori città in un torrido giorno d'estate.




“Mio Dio che caldo!", sbottò Porthos allentandosi il colletto e allargando il farsetto sul petto.
"Per fortuna non abbiamo la casacca oggi!", aggiunse Athos che in un moto di rilassatezza aveva tolto il farsetto per rimanere in camicia.
"E voi Aramis, non avete caldo?", domandò Porthos mentre si asciugava il sudore che gli imperlava la fronte e beveva avidamente da una borraccia.
"Mmmpf", bofonchiò lei, facendo l'indifferente.
"Schiumano anche i cavalli", considerò Athos notando le chiazze scure che si allargavano sul petto delle loro cavalcature.
"Dobbiamo abbeverarli, prima che stramazzino!", e Porthos deviò dalla strada principale per addentrarsi nella boscaglia. Un sentiero si inoltrava dolcemente in un declivio, al termine del quale sapevano avrebbero trovato un ruscello. I cavalieri procedevano al trotto leggero sotto le fronde di alte querce, ma anche nell'ombra di quella fitta vegetazione la calura era insopportabile. Aramis represse un sospiro di disagio. In realtà aveva un caldo feroce, da dentro la sua giacca sembrava liberarsi il calore di un forno, ma non poteva permettersi, al contrario dei suoi amici, né di allentarsi il farsetto, né di rimanere in camicia. Il suo fisico molto poco virile sarebbe balzato all'occhio, una volta liberato dagli abiti studiatamente ampi. Grosse gocce di sudore le percorrevano la schiena, facendole aderire al corpo le bende e la camicia. Si era creato un tutt'uno appiccicoso con la stoffa che la ricopriva, una sensazione di insopportabile disagio. Sbuffò ancora. L'aria pareva mancarle, ma doveva stringere i denti, anche se non sapeva quanto avrebbe potuto resistere ancora senza farsi venire un malore. Dio, quanto avrebbe voluto anche lei potersi almeno allentare il farsetto sul collo!
I moschettieri, invece, liberati dagli abiti di troppo, procedevano con ritrovata baldanza. Dopo qualche minuto i tre raggiunsero il limitare di quello che era troppo piccolo per essere definito un laghetto: il torrente si allargava in un'ampia pozza azzurrina poco profonda circondata da massi muschiosi. Il gorgoglìo dell'acqua fresca arrivava ristoratore alle orecchie.
I tre amici scesero dai cavalli e cominciarono a liberarli dalle selle, poi, prima di condurli sulla riva per abbeverarli, cominciarono a passare delle pezze sui loro corpi schiumanti in modo da evitare che si raffreddassero1. Porthos si arrampicò su una delle grandi rocce e, sporgendosi con il braccio nell'acqua fresca, cominciò a riempire le borracce.
"Cari amici, qui ci vuole proprio un bagno. Quest'acqua è divina!".
A queste parole, Aramis si tese come una corda di violino. Non aveva ancora terminato di asciugare il suo cavallo, e continuò fingendo indifferenza, mentre valutava se era il caso di finire in fretta per dileguarsi con una scusa o continuare con studiata lentezza per sembrare affaccendata o indifferente alla proposta.
"Amico mio, non posso che seguirvi!", fece eco Athos al corpulento moschettiere, finendo proprio in quel momento con il suo Bajazet. Aramis, con le spalle ai suoi amici, percepì il rumore metallico della spada di Athos che veniva posata a terra, cui seguirono anche le altre armi. Poi fu la volta di due colpi più sordi. Aramis intuì che egli aveva levato gli stivali. Seguì quindi il fruscio degli indumenti che scivolano via dal suo corpo, pochi passi dietro di lei.
Oddio.
Il sudore di Aramis divenne improvvisamente gelido, mentre il suo corpo prese a tremare, doveva controllare il movimento della sua mano sul corpo del cavallo per non farlo apparire spasmodico.
Poi udì un tonfo pesante nell'acqua e il rumore di mille spruzzi che ricadevano ovunque come una pioggia torrenziale. Ecco Porthos che già doveva essersi tuffato. Aramis sperò di sentire anche Athos seguirlo a breve. Invece no, non ancora.
Doveva trovare un modo per andarsene di lì. Per evitare l'invito al bagno, per evitare di vedere i suoi compagni nudi. Per evitare di manifestare l'imbarazzo che già, era sicura, l'aveva fatta arrossire fin sopra i capelli e tremare di disagio e paura.
"Aramis, insomma! Ma voi non venite?", le urlò Porthos.
Ecco. L'aveva detto. E adesso?
Altre volte era riuscita a svicolare da questo genere di iniziative, ogni volta c'era riuscita con una varietà di scuse improbabili quanto fantasiose, tutte al limite della credibilità. Cosa avrebbe inventato questa volta? Cosa avrebbe fatto per non insospettire i suoi compagni?
Non poteva mentire dicendo di non avere caldo. Non poteva essere vero.
Non poteva raccontare ancora una volta – l'ennesima - di avere l'impellente necessità fisiologica di allontanarsi da sola nel bosco proprio in quel momento.
Non poteva dire che il sole le irritava la pelle facendola coprire di bolle.
Non poteva dire ancora che non sapeva nuotare, che non amava l'acqua, che era raffreddata, che aveva ancora una ferita non ben rimarginata dall'ultimo duello.
Aveva terminato tutte le scuse plausibili. E il fatto di avere i suoi amici praticamente nudi di fianco a sé non l'aiutava. E' che non era mai successo ancora. Le altre volte era riuscita a svignarsela prima di trovarsi di fronte a visioni quantomeno inappropriate ad un fanciulla. Porthos era già in acqua, e aveva cominciato rumorosamente a sguazzare cantando a squarciagola canzonette oscene, esprimendo in quel modo tutto la sua gioia per il bagno ristoratore. Athos era a qualche passo da lei, ma non si era ancora immerso anche se Aramis lo aveva chiaramente percepito svestirsi. Perché non era ancora in acqua? Cosa diavolo stava facendo? Probabilmente, si disse Aramis, stava appendendo ordinatamente i suoi abiti per evitare che si gualcissero, da vanitoso e metodico qual era.
"Allora, Aramis, non vi buttate con noi?", fece una voce calda alle sue spalle.
"No, grazie Athos. Non ne sento l'esigenza", disse freddamente lei, senza voltarsi verso il suo interlocutore, anzi spostandosi di fretta dall'altro lato del cavallo, come se sfuggire di un metro dalla prossimità dal corpo del suo amico la potesse far sentire meno in subbuglio. Il cavallo la separava dalla vista del nudo  dell'uomo di cui, da quella nuova posizione, per fortuna, vedeva solo il viso e le spalle.
Per fortuna.
Aramis continuava ad affaccendarsi scrupolosamente sull'animale. La povera bestia, però, vedendo i suoi simili abbeverarsi, mosse nervosamente un passo verso di essi. Aramis riuscì a trattenerlo per le briglie un attimo prima che esso lasciasse scoperta la vista integrale di Athos.
"Il vostro cavallo è perfettamente asciutto. Aramis, avanti, lasciatelo bere e venite a fare il bagno", aggiunse ancora Athos.
Aramis bofonchiò qualcos'altro di inintelleggibile.
"Non c'è motivo di avere vergogna, amico mio, siamo tra uomini, no?", le sorrise Athos, con dolcezza fraterna.
La giovane donna distolse lo sguardo irritata e confusa, rossa fino all'inverosimile. Un'espressione perplessa si dipinse sul viso del bel moschettiere moro. Mentre si allontanava a piedi nudi sulla riva muschiosa, un lampo furbesco gli attraversò lo sguardo, e un'idea gli balenava in mente. Porthos, che dall'acqua aveva seguito la scena facendo finta di nulla, riprese a cantare, ma un lampo del tutto simile a quello del suo amico gli illuminò lo sguardo. I due uomini si lanciarono un'occhiata di intesa. Aramis, ancora alle prese con il suo cavallo, non si accorse di nulla. Anche perché, non vista, si era concessa di indugiare pericolosamente con gli occhi sulla bella figura maschile che le volgeva le spalle, considerandone i dettagli anatomici con istintivo apprezzamento.
Calma, Aramis calma, si ripeté, quando si accorse della piega peccaminosa dei suoi pensieri.
Al di là di tutto era in pericolo. Non era solo imbarazzo, non erano le nudità dei suoi amici e tutto quello che non osava immaginare. Era pericolo. Pericolo vero. Anche se si trattava di Athos e Porthos. Bisognava stare calmi ed evitarlo. La vista del corpo di Athos e la sua vicinanza avevano quasi minato la lucidità con cui affrontare una situazione che, scherzi a parte, era estrema.
Ce la posso ancora fare. Pensò, calmandosi d'un tratto. L'istinto di conservazione prese vantaggio sull'imbarazzo.
Athos montò agilmente sulle rocce che sovrastavano il laghetto e con un gesto leggero si buttò nell'acqua riemergendo qualche metro più in là. Porthos continuava a sguazzare sguaiato, al canto dell'osteria numero mille. Aramis elaborò la sua strategia. Avrebbe condotto il cavallo sulla riva e poi, velocemente, nascondendosi tra i corpi degli altri due cavalli, si sarebbe allontanata da quel laghetto maledetto, cercando di non dare troppo nell'occhio, e sarebbe tornata un'oretta più tardi. Athos e Porthos nuotavano e non sembravano dare troppa attenzione a lei. Tirò un sospiro di sollievo, forse i suoi amici avevano finalmente capito che non amava bagnarsi o che non aveva piacere di mostrarsi senza vestiti o entrambe le cose. Cercò di non soffermarsi a pensare a quali motivazioni essi potessero darsi per un comportamento quantomeno bizzarro, ma tali elucubrazioni non erano d'aiuto soprattutto in quella contingenza.
Sospirò sollevata, prese il cavallo per le briglie e lo avvicinò alla riva. La povera bestia assetata cominciò a bere con avidità.
Poi successe tutto molto velocemente.
Una morsa d'acciaio la bloccò tenendola per le ascelle: Porthos. Un'altra morsa le afferrò le caviglie sollevandola: Athos.
I due moschettieri la solleveranno portandosi nel laghetto ad un paio di metri dalla riva. A nulla valse il suo divincolarsi agitandosi come un pesce. Dovette anche evitare di non strillare per non tradire acuti troppo femminili, ma si opponeva con energia.
“No! Non osate No!".
"Avanti, un bel bagnetto, amico mio!", annunciò gongolando Porthos.
Poi i due la sollevarono tirandola verso destra.
"No!" protestò lei con un urlo soffocato.
"E uno", dissero i due moschettieri in coro e la fecero ondeggiare.
"E due!", stava acquistando velocità.
"E tre!" e la lanciarono. L'acqua gelata la investì soffocandola, Aramis, che in altri tempi aveva imparato a nuotare, sapeva bene che in acqua bisogna tenere la bocca chiusa, ma tanta era l'agitazione che in quel momento lo dimenticò e bevve parecchio dalla bocca e dal naso. Riemerse dall'acqua tossendo forsennata, come fosse mezza annegata in mare aperto, invece si ritrovò praticamente seduta sul fondo melmoso del laghetto con l'acqua che le arrivava al petto. I moschettieri ridevano di lei, aspettando che anche lei, stando allo scherzo, si unisse alle loro risate. Non si accorsero che lei stringeva il pugno con rabbia, con il terrore che gli abiti le si appiccicassero troppo addosso una volta che avesse provato a uscire di lì.
Porthos e Athos smisero di ridere per guardarla. Erano sinceramente convinti di averle giocato uno scherzo innocente, uno di quelli abitualmente frequenti tra amici e commilitoni, e non potevano immaginare quanto l'avessero messa in difficoltà. Pensavano che Aramis fosse affetto da un'eccessiva ritrosia, da un esagerato senso del pudore, qualcosa che magari aveva a che fare con un'educazione rigida, come di chi fosse cresciuto in un convento. Volevano scuotere il loro amico, senza rendersi conto che invece lo mettevano ancora più in difficoltà. Non potevano immaginarsi la verità della situazione. Ovvero due uomini nudi a ridere di una giovane donna, travestita da uomo, bagnata fino alle midolla e terrorizzata di essere tradita dalla forma del suo stesso corpo.
"E ora non potete non togliervi i vestiti, andiamo Aramis... ve lo ripeto... siamo tra uomini!", Porthos fece per avventarsi su di lei e Athos le si avvicinò con il chiaro intento di cominciare a slacciarle il farsetto.
"Aramis, siete più pudico di un educanda. Non c'è peccato per un uomo a mostrare il petto!", le disse il moschettiere, scherzoso, ma gentile. E se Aramis gli avesse risposto con una battuta o l'avesse schernito a sua volta replicando, non se la sarebbe presa, anzi avrebbe riso di se stesso con Porthos e con lei. Ma non era questo il caso. Non poteva esserlo. Con buona pace di tutte le sue ingenue e ludiche intenzioni.
Aramis, che ancora non era riuscita ad alzarsi, seduta e mezza immersa nell'acqua gelida vide il moschettiere avvicinarsi verso di lei in scorcio da sotto in su. L'acqua non gli arrivava alla vita. Nonostante il fresco dell'acqua il viso della giovane andò in fiamme dovette distogliere lo sguardo dal suo compagno, fino a che non sentì le mani del moschettiere sfiorarle il collo per cercare di raggiungere il bottone del farsetto. Allora il terrore divenne improvvisamente gelato e convulso.
"Attento a quello che fate".
Athos si ritrasse repentino indietro. Tutta l'ilarità era sparita d'un tratto dal suo viso. Anche Porthos di fianco a lui si era fermato, basito per il gesto del moschettiere biondo. La spada di Aramis era puntata alla gola di Athos. Aramis si alzò in piedi tenendo ben ferma la lama ad una distanza infinitesimale dalla sua pelle. Non c'era più imbarazzo negli occhi della giovane, solo una fredda e dolorosa risolutezza.
"Aramis...", mormorò Athos tra lo sbalordito, l'irritato ed il mortificato.
La giovane donna non abbassò la spada, ma la spostò verso Porthos come se fosse un lungo dito accusatore che intimava anche al gigante di fermarsi. Egli non rideva più, conosceva abbastanza Aramis da riconoscere nei suoi occhi la stessa furia con cui affrontava i combattimenti. E non ne era solo sorpreso, ma ne era addolorato per averlo spinto fino a quel punto estremo, anche se per una ignota e incomprensibile ragione.
Di fronte alla muta resa dei suoi amici, Aramis, rinfoderò la spada. I tre si scambiarono una altro silenzioso sguardo, poi Aramis raggiunse a grandi passi la riva del laghetto e con i pugni serrati a sangue sulla pelle scomparve di corsa nel bosco. Quando trovò un angolo nascosto nel fitto della vegetazione, tagliato appena da una lama di sole si lasciò andare ad un pianto dirotto. Passò così un tempo indefinito, poi, lentamente, singhiozzando ancora a intervalli, cominciò a spogliarsi, avendo ben cura di non essere visibile. Stese i suoi panni nel lembo soleggiato della radura, rimanendo accucciata nell'ombra tremante di paura, di rabbia e di vergogna, mentre stringeva forte la spada in una mano e il pugnale nell'altra.
Non dovette aspettare molto perché i suoi vestiti fossero passabilmente asciutti, allora si fece coraggio e si rivestì scrupolosamente, si asciugò tutte le lacrime pulendosi il viso, quindi, calato bene il cappello sulla fronte perché non fossero visibili i segni del pianto sui suoi occhi, tornò al laghetto dai suoi amici.
Athos e Porthos l'aspettavano vestiti e pronti a ripartire, avevano sellato tutti i cavalli, anche il suo. L'accolsero con un'espressione seria sul viso, in cui si mescolavano il pentimento per aver spinto il loro amico ad un gesto estremo ed il biasimo per la reazione ingiustificatamente violenta che egli aveva avuto nei loro confronti. Si scrutarono qualche secondo, sospettosi. Aramis fu pienamente consapevole che l'esito di quel momento avrebbe anche potuto significare condurre una vita solitaria. Sarebbe stato un dolore profondo perdere gli unici affetti che ancora le rimanevano. Ma Athos mosse un passo verso di lei, tendendole la mano con un sorriso.
“Perdonateci, Aramis, se vi abbiamo messo a disagio. Non era nostra intenzione”, la giovane sbatté gli occhi un paio di volte, sentì gli occhi bruciarle di lacrime di gratitudine.
“Perdonatemi Athos, Porthos. Ho esagerato”, ammise lei, anche se in cuor suo sapeva di aver fatto l'unica cosa possibile per preservare il suo segreto.
“Sì, è vero... avete esagerato, ma lo abbiamo fatto noi per primi”, aggiunse Porthos che aveva già ritrovato la sua aria scanzonata. “non lo faremo più amico mio”, annunciò solennemente.
“Già... non fatelo più...”, mormorò Aramis con gli occhi bassi, mentre allungava la mano a Porthos, ma il gigante la travolse in uno dei suoi abbracci stritolanti, e le batteva la mano sulla schiena.
“Coraggio, amici, rimettiamoci in marcia. Parigi è ancora lontana!”, li esortò Athos montando a cavallo. Il più anziano dei moschettieri aveva visto le lacrime affacciarsi sugli occhi di Aramis, aveva avuto conferma che c'era una zona intoccabile del suo amico, qualcosa che costituiva un limite invalicabile anche per luie Porthos.  Cosa esso potesse mai essere il moschettiere non riusciva in alcun modo a spiegarselo, anche se per un attimo considerò che potesse trattarsi persino di un marchio di infamia impresso sul corpo dell'efebico amico. Poi ricacciò l'idea nel labirinto dei suoi fantasmi personali. Porthos lo riscosse dai suoi lugubri pensieri con una proposta.
“A me questo bagno ha fatto venire un po' di appetito... conosco un'osteria, qui, lungo la strada, dove fanno una fricassea d'agnello davvero sopraffina. Eh? Che ne dite Athos? E voi, Aramis?”. I due interpellati si guardarono e di fronte alla genuinità dell'amico , con gli occhi fissi uno nell'altra, dimenticarono tutto e, di nuovo solidali nel cuore, scoppiarono in una fragorosa risata.
Il sole si avviava al tramonto in quella giornata di mezza estate, tre cavalieri procedevano al trotto lungo la strada per Parigi. Il più grosso dei tre si teneva alla testa del gruppetto. Alla prima locanda sulla strada smontò da cavallo e fece cenno agli altri due di seguirlo dentro. E la serata terminò in allegria.

1Ho una vaga rimembranza di questa cosa da una mia amica che faceva equitazione. Vero, non vero? Non lo so, ma questa cosa per me è anche strumentale ai fini della narrazione.

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Capitolo 2
*** Profumo d'Oriente ***


Profumo d'Oriente

Fu lei ad avvicinarsi. Era bastato l'incontro degli sguardi per incuriosirlo ed esaminarla meglio. Lei se ne accorse e dal leggero sorriso che le increspò le labbra lui comprese che lei lo fissava già da un po' e che era soddisfatta di aver attirato la sua attenzione... lunghe ciglia incorniciavano degli occhi dal colore indefinito: non erano verdi, non erano marroni, ma magnetici e misteriosi. La giovane mosse il collo elegante voltandosi a sussurrare due parole alla donna che le era di fianco. L'anziana maitresse dalla scollatura troppo profonda per il suo décolleté avvizzito si volse verso di lui scrutandolo. Fece un segno di diniego con la testa, allora la giovane le sussurrò qualche altra parola e parlottarono un po' tra loro, in faccia a lui. Il moschettiere, offeso di essere l'oggetto di una conversazione tra puttane, assunse una posizione ancora più fiera e altezzosa, rendendo manifesto a tutti che quel luogo lo digustava, quasi indeciso sul punto di andarsene. Volse lo sguardo intorno a lui. I suoi commilitoni non lo avrebbero seguito, anzi forse lo avrebbero deriso. Erano loro ad averlo trascinato lì. Si doveva festeggiare il loro ingresso nella compagnia: quale festa migliore che una cena con i fiocchi ed un giro dalle ragazze di Madame J? L'intraprendente Bernajeux, dallo sguardo volpino sul viso sempre rubizzo, corso ad avvisare la maitresse che tenesse le ragazze migliori per l'arrivo dei giovani moschettieri, era tornato poco dopo vittorioso in taverna e tutti avevano alzato l'ennesimo calice alla godereccia piega della serata. Athos brindava con gli altri, senza che l'entusiasmo per l'ottenuta casacca lo sovrastasse, sentiva piuttosto un lieve sollievo sopra il senso di colpa che lo attanagliava da quando aveva lasciato casa sua. Ora aveva un nuovo nome ed una nuova vita, forse anche una nuova famiglia tra quegli uomini rumorosi. Il vino che correva a fiumi era come l'acqua che avvolge il battezzando dandogli una nuova esistenza libera dal peccato. Lui bevendo con loro era libero, forse, dal suo passato, almeno finché una spada o una palla non lo avessero trapassato. E andava bene così. I moschettieri ad un certo punto avevano smesso di bere per non compromettere l'esito della serata e avevano ripreso i loro cappelli piumati per recarsi da Madame J. Arrivarono cantando abbracciati canzoni oscene, e anche Athos si lasciò trasportare. Gli piaceva il contatto con quelle persone. Il cameratismo era una prospettiva affascinante. Ma finire la serata in un bordello, no. Quell'idea non gli andava a genio. Era comunque entrato. Alle sue narici sensibili erano subito giunti gli effluvi dei dozzinali profumi di cui l'aria era pregna. Decorazioni pesanti saturavano le pareti fintamente eleganti, tappezzate di un velluto vermiglio troppo sgargiante.

L'aria invece si riempì delle esclamazioni dei suoi commilitoni entusiasti alla vista delle ragazze che si paravano di fronte a loro. L'imbarazzo durò solo un instante poi ognuno scelse colei con cui avrebbe passato tutto il tempo che la propria borsa gli avrebbe concesso.
Athos osservava quello squallido scambio di sguardi, ammiccamenti, profferte oscene. Era palese il desiderio smodato degli uni e la finzione delle altre. Scollature profonde accompagnavano abiti di seta rammendata più e più volte, piume e trucco mascheravano lineamenti sfatti, e profumi stomachevoli provavano a rendere seducenti corpi emaciati. Il giovane moschettiere era nauseato e non provava alcuna attrazione verso quelle donne, che non poteva vedere se non attraverso la lente del suo pregiudizio di presunti inganni femminili. Il gioco della seduzione gli ripugnava. Avrebbe volentieri proseguito la bevuta nella taverna fino a non ricordare più il tempo non troppo lontano in cui aveva ceduto a quelle lusinghe. Avrebbe voluto bere di fino al punto di rigettare il cibo insieme alla sua propria insoddisfazione.

Con le labbra arricciate ad una smorfia di aristocratico disgusto, la mano sul fianco e la gamba protesa in avanti era l'immagine della più altezzosa fierezza e del più schifato disprezzo. E quello sdegno che lo avvolgeva era talmente manifesto che nessuna delle ragazze presenti gli aveva neanche osato rivolgere uno sguardo malizioso o aveva abbassato la scollatura, anche solo per canzonarlo. Peccato per loro, perché il giovane era senz'altro molto più bello degli altri, suoi compagni cui comunque le donne avevano dovuto ripiegare, se volevano guadagnare qualche moneta.

La sala andava vuotandosi, e le coppie si allontanavano nelle camere, allacciate. Alcuni, più focosi o esibizionisti, avevano già cominciato a posare lì davanti a tutti le loro bocche sulle generose scollature che venivano così oscenamente offerte. L'aria si stava riempendo di sospiri e gemiti, quando lei attrasse l'attenzione del moschettiere. Non era come le altre, la sua pelle era ambrata, e vestiva come una turca. Delle braghe ampie fasciavano appena la curva dei fianchi. Indossava una camicia impalpabile, di un colore cangiante, indefinibile tra l'indaco e il violetto che sarebbe stata davvero impudica se un corto farsetto dai ricami elaborati non le avesse coperto il petto. Le lunghe braccia ricadevano nude lungo i fianchi rotondi, lei parlava senza gesticolare alla vecchia maitresse accanto a lei. Il corpo della giovane non era esposto eppure il moschettiere venne attraversato da un lampo di sensualità quando il suo sguardo si posò sulla pelle compatta del collo che elegante sosteneva una testa graziosa incorniciata di capelli colore dell'ebano, raccolti in una crocchia spessa sulla nuca. Il viso della giovane era esotico, allungato, pervaso di mistero. La bocca carnosa dalle labbra scure denotava una sensualità intrigante, il naso sottile le conferiva un ché di statuario e gli occhi.... gli occhi erano brillanti come quelli di un gatto, ipnotici come quelli di un serpente... Athos non aveva mai visto occhi di quel colore, né immaginava che ne potessero esistere. La giovane gli sorrise compiaciuta , e ottenuto l'assenso della vecchia e l'attenzione del moschettiere, fu finalmente libera di avanzare verso di lui. Ammaliante senza ammiccare, i fianchi ondulavano appena nell'avanzare, mentre un'aura di magnetismo si dispiegava intorno a lei. Il vociare attorno del locale sparì, si fece intorno a lui come un silenzio ovattato. Il moschettiere rimase impassibile di fronte mentre lei avanzava, immobile senza compiere alcun gesto che denotasse quanto ne fosse rapito, eppure, non poté reprimere un moto di stupore quando colse da vicino l'oro puro negli occhi di lei. Oro colato scuro e lucente come ambra colorava le iridi di quella esotica creatura. Come una gazzella biblica ella si fermò in attesa a due passi da lui, abbassò appena gli occhi incorniciati da lunghe ciglia e lentamente allungò una mano verso quella del moschettiere ancora, altezzosamente, piegata sul fianco. Percepì che non doveva ancora a toccarlo ma quando lei, con un ultimo sguardo invitante si voltò, egli la seguì.

Misteriosa come un'eroina biblica, sensuale come un'odalisca da romanzo, il giovane Athos non ritrovava in lei l'essenza femminile che conosceva e disprezzava, ma qualcosa che pur essendo simile nella sostanza ne differiva completamente. Non c'era volgarità, non c'era ostentazione e in questo mistero non sentiva l'inganno. Soggiogato dalla curiosità si lasciò condurre nella sua stanza.

Non l'avvolse un profumo volgare come quello delle donne che aveva conosciuto, non c'erano ciprie e ventagli piumati. Ma un grande letto basso coperto di drappi dello stesso colore indaco e violetto della veste di lei e nell'aria una fragranza come issopo o mirra, giunti dalla Persia... chissà o dalla Cina...

Il giovane non voleva ancora cedere e rimasero a fissarsi qualche istante. La bocca socchiusa di lei denotava il desiderio che l'avvolgeva. Mosse un passo verso il moschettiere. Le sue lunga dita scure si poggiarono delicatamente sulle spalle di lui, facendolo fremere, e irrigidire. Allora risalendo piano il collo appoggiò le mani sul viso dell'uomo carezzandone i lineamenti così belli. Volle bearsi un po' di quell'immagine, stupendosi che l'uomo non dimostrasse ancora alcun cenno di desiderio per lei. Era ancora cupo e altezzoso. Come poteva un uomo così bello essere così freddo? Le mani della giovane si posarono sulle sue guance mentre un dito percorreva piano il profilo delle labbra, ma la presa d'acciaio della mano dell'uomo la interruppe. Non insistette. Capì che quell'uomo andava sedotto, conquistato, lentamente. Non era lei a concedere i suoi favori ma il contrario. Sorrise, era una sfida che sapeva condurre e che avrebbe vinto. Gli volse le spalle. Slegò sapientemente, con studiata ed estenuante lentezza i lacci del suo corsetto e proprio quando un raggio di luna la colpì, lo lasciò cadere. E in una notte d'argento si sciolse fluida una passione benefica come balsamo sulle ferite di entrambi.

 

Solo molto più tardi, quando un tuono si udì in lontananza, il giovane moschettiere si risvegliò da un sonno stremato. Prima che potesse rendersi conto di dove fosse, una sensazione di magia lo avvolse come se si trovasse in un luogo lontano, in una terra ai confini del mondo. Ma gli bastò un momento per tornare in sé per ricordare, e posare gli occhi sulla fanciulla dagli occhi d'oro che gli dormiva accanto. Flessuosa, la pelle liscia come marmo esotico, era coperta da lunghi capelli come da un lenzuolo di seta impalpabile. Sentendo il suo sguardo ella aprì gli occhi d'ambra. Si fissarono a lungo in muto saluto. Cosa dire ad una cortigiana dopo averla avuta? Pensava il moschettiere, e non riusciva a trovare parole adeguate. Sentiva però in sé come se quel fascino esotico avesse frapposto fra il presente ed il passato un velo, uno strato su cui appoggiare un'altra vita. Era ancora possibile?

Allora si alzò mormorando un grazie sulla labbra di quella creatura magnetica e sincera, e con discrezione le fece scivolare nella mano un sacchetto di monete, sentendo la vergogna di quel gesto. La lasciò con una carezza ed un bacio. Si rivestì e uscì nella notte che scoloriva. Forse il suo cuore era ancora vulnerabile al fascino femminile? O forse solo una donna aliena poteva ancora suscitargli un sentimento che non fosse la nausea? Non voleva comunque più nulla di tutto questo. Mentre spuntava il giorno il promettente Athos rientrava in via Ferou, dove la sua casacca azzurra di moschettiere l'attendeva, lei sì fedele. La vestì come il manto di un sacerdote perchè era il solo abito che voleva indossare, la sola seta di cui voleva avvolgersi. La corazza di risentimento e delusione attorno al suo era ancora tutta lì, granitica, appena scalfita da un profumo esotico e da due occhi d'ambra che avrebbe cercato in fretta di dimenticare. Ma la luce come anche l'acqua riesce a tracciare percorsi anche laddove non se ne vedono. E Amore, comunque, a far breccia.

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Capitolo 3
*** Vita intima dei moschettieri ***


Scrivo queste righe parafrasando l'omonimo caoitolo di Dumas e coniugandolo con i nostri beniamini in versione anime. É più una bozza che un racconto vero e proprio, ma chissà che non lo sviluppi di più prima o poi.

 

 

Cavalcando scalzo il suo ronzino arancione nei prati di Guascogna D'Artagnan aveva a lungo sognato la sua vita da moschettiere.

Ma le vicende vissute davvero avevano superato le sue aspettative ed il valore dei compagni d'arme immaginari era nulla al confronto del vero valore dei suoi tre nuovi amici. In un raro momento di pace, il guascone si ritrovò a pensare che non aveva mai riflettuto sulle necessità e sulla vita vera dei moschettieri. Ne aveva immaginato le prodezze, ma non pensava di poter essere tanto affascinato anche dai loro gesti quotidiani, dal loro carattere. E dopo sei mesi passati gomito a gomito con quegli uomini straordinari, D'Artagnan, che li aveva osservati con attenzione, aveva ritratto ciascuno dentro di sé per poterne emulare meglio anche ogni aspetto più intimo.

 

Certo non avrebbe mai potuto possedere in alcun modo la bellezza di Athos. Se D'Artagnan fosse stato così prestante forse sarebbe diventato vanitoso. ma il moschettiere sembrava del tutto inconsapevole o indifferente alla sua avvenenza. Capelli corvini, lisci e lucenti erano la cornice di occhi di un azzurro profondo che potevano trasmettere tutte le sfumature della rabbia, della saggezza e della cordialità anche senza che la bocca emettesse alcun suono. Il moschettiere più anziano parlava poco, sorrideva di tanto in tanto solo ai suoi amici e non rideva mai. Scambiava talvolta muti assensi con Aramis, e quel che risparmiava di parole lo guadagnava in ascolto. Di rado qualche trovata di Porthos aveva animato i suoi occhi di genuina ilarità. Sempre informato, sempre attento, sempre irreprensibile. Poteva contare con uno sguardo gli avventori di una taverna affollata sedendosi al tavolo e ordinando da bere. Conosceva intrighi di palazzo, nomi di dame e cavalieri, dinastie delle migliori famiglie e come potesse sapere tutto ciò D'Artagnan non riusciva a capirlo. Athos godeva della più alta stima del Capitano, le cui porte erano sempre aperte per lui. Tra palazzi e regge il moschettiere si muoveva con grazia e naturalezza. Si intuiva in lui un passato glorioso, ma svanito in cenere. Athos sembrava fare i conti col suo passato in certe sere torve dove tracannava fiaschi di vino in una tristezza plumbea. In quelle sere Porthos lo sosteneva fino a casa, mentre Aramis pagava il salato conto all'oste. La borsa di Athos era in genere più vuota che piena, ma egli, che pure non scommetteva poco poiché perdeva sempre, la apriva per i suoi amici e quando la fortuna lo abbandonava non lasciava che suoi suoi debiti sorgesse il sole di un nuovo giorno. Se poteva spendeva liberamente, senza trattare solo dai migliori fornitori.

“Voi dovete essere di gran lunga fortunato in amore!”, disse una volta un tale, che gli stava vincendo ogni cosa. A quelle parole Aramis e Porthos si scambiarono un sguardo, e misero ciascuno un mano sulla spalla dello sfortunato amico e l'altra sull'elsa, temendone le escandescenze.

Athos si era limitato a scuotere la testa. Aramis aveva quindi sussurrato all'avversario “Limitatevi a vincere”.

“Decisamente fortunato! Quale donna vi ama così tanto!”, aveva invece continuato l'ignaro vincitore. E sghignazzava arraffando le vincite e continuando con la stessa solfa. Era finita a tavoli per aria e pugni in faccia, Athos reso fin troppo agguerrito dai fumi dell'alcool. Alla fine la locanda era uno uno sfascio e solo ripagando profumatamente l'oste i quattro erano riusciti a tornare a casa incolumi. Quella sera fu Porthos a rimettere a letto lo sfortunato giocatore, molto contusoe D'Artagnan era tornato a casa con una certa amarezza. Quel lato di Athos non voleva emularlo mai.

Ma il giorno dopo Athos era di nuovo quello di sempre. Colui cui un intero reggimento accordava la propria stima, e senza che ciò destasse invidia perché la sua superiorità era palese.

Athos aveva insegnato la scherma a molti dei moschettieri e tra i suoi allievi Aramis era il più devoto. Ne era diventato col tempo amico fraterno, e per quanto Athos riservasse al Guascone un affetto quasi paterno, era il moschettiere biondo che aveva un rapporto d'elezione con lui e la sera spesso , rincasava solo con Athos. Il maestro scortava il suo allievo in rue Vaugirard e poi rientrava in via Ferou, al secondo piano di una bella casa, dove c'eran mobili eleganti provi di stemma creavano uno spazio sobrio e sicuro, come il proprietario. Proprio su quegli occhi favoleggiavano tante dame, ma D'Artagnan non aveva mai inteso che alcuna fosse la sua amante. Athos non aveva amanti, e quando si parlava di donne, egli taceva e se poteva beveva o si batteva.

 

Aramis era un uomo riservato e gentile. Di età sconosciuta, D'Artagnan pensava che non potesse avere che due o tre anni appena più di lui, ma si dovette ricredere quando seppe che il giovane era nei moschettieri da circa sei anni. Nessun accenno di barba o baffi era ancora spuntato sulle sue gote rosee ed il moschettiere avrebbe avuto un aspetto angelico se non fosse stato un soldato temibile. Lunghi capelli biondi e occhi di un azzurro cristallino e labbra di rosa vermiglie. Aveva una corporatura sottile ed allungata, ed un'andatura sicura, priva di quella malagrazia adolescenziale di cui invece il Guascone era ancora pregno.

Aramis indossava un farsetto azzurro profilato di rosso, sempre ben abbottonato sotto il collo sia d'inverno che d'estate, e anche nella calura o nelle mischie non lo allentava mai. Aveva mani bellissime, come quelle di una madonna fiorentina, che teneva sempre coperte dentro guanti dello stesso colore del farsetto. Tanto belle quanto letali, le mani di Aramis si muovevano con destrezza con ogni arma. Athos doveva essere stato un insegnante eccezionale con Aramis se in soli due o tre anni aveva raggiunto una tale destrezza con la spada, ma Porthos un giorno gli disse che Aramis era giunto a Parigi più che ben addestrato e che De Treville non aveva avuto esitazioni ad accoglierlo nel reggimento. D'Artagnan ne era stupito poiché Aramis aveva accennato di essere cresciuto in un convento una volta.

Carente in forza fisica, Aramis compensava con una grande velocità e con una mira eccezionale. “Quella non si può insegnare”, aveva un a volta detto Athos, dopo che Aramis aveva colpito un bersaglio a grande distanza. Il moschettiere più anziano guardava a lui con soddisfatta fierezza, quando, egli spesso, si copriva di gloria. Come non si conoscevano le origini di Athos così non si conoscevano quelle di Aramis, a parte la storia piuttosto vaga del convento e che avesse ascendenze bretoni, D'Artagnan non sapeva niente altro di lui.

“Siamo lo scudo del re, D'Artagnan. Forse ti chiedi da dove viene l'acciaio della tua spada od il cuoio delle tue scarpe? Così non chiederti del legno di cui sono fatti gli scudi del re”, aveva obiettato Athos ad una richiesta di d'Artagnan.

“Siamo servi inutili”, aveva aggiunto Aramis. “Ricorda d'Artagnan tutti per uno, questo solo ti basti”. E D'Artagnan non aveva fatto più domande, avrebbe fatto tacere la lingua ma non la curiosità.

Se Athos non amava la compagnia femminile, anzi sarebbe più corretto dire che ne fosse disgustato, ed era scortese con l'altra metà del cielo, Aramis era gentile, premuroso, attento. Egli sembrava entrare nel cuore di ogni donna di qualsiasi età e, che fossero nobildonne o popolane. Molte amanti gli si attribuivano e lui si scherniva con gesto della mano. Mai una volta però d'Artagnan lo aveva visto in tenera compagnia, non solo: mai una volta lo aveva visto irrispettoso, mai uno sguardo di troppo od un genuino apprezzamento. Solo poche parole e gentili. Se nell'anticamera del presidio De Treville si parlava di donne come ne parlano tra loro gli uomini, egli taceva e scuoteva la testa, ma, se c'era da ridere, al contrario di Athos, Aramis rideva.

E D'Artagnan guardava con sospetto la sua cortesia nei confronti di Constance, perchè anche lei, come tutte, era colpita da quell'uomo d'arme riservato e gentile.

 

Di Porthos si notava l'altezza. La misura non era dalla sua parte, in alcun aspetto dell'esistenza. Alto grande rumoroso, in Porthos l'eccesso era la regola. Smodato quanto generoso, il moschettiere era riuscito a penetrare la barriera di sospetto di Athos molti anni prima e a legarsi a lui fraternamente. Qualche anno dopo Aramis era riuscito a completare questo strano organismo ed ora non passava giorno che i tre non trascorressero insieme dall'alba a l tramonto. Aramis era leggero, Athos era grave, Porthos carnale. Vestiva di verde perchè voleva essere considerato bello. Indossava tessuti pregiati già più volte rivoltati e rattoppati da un sarto amico suo ed una tracolla troppo sfavillante per essere davvero nuova. Aveva appetiti smodati di cibo e di vita e compensava la cupezza di Athos e la morigeratezza di Aramis.

Athos aveva gusti raffinati,soprattutto in fatto di vini e quando erano a tavola un impercettibile movimento delle labbra denotava come egli apprezzasse limitatamente il quel piatto, poiché ne aveva assaggiati di migliori, in passato Aramis disdegnava il pesce ed era molto parco. Porthos gradiva tutto, in grande quantità, che fosse musica o che fosse cibo, sia di grasso che di magro, il pesce e la carne, e solo due cose lo rattristavano malamente: la scarsezza ed il digiuno. Il gigante era forte come Ercole, affamato come Polifemo e ingenuo come un bambino. Le sue doti militari erano forza e destrezza, ma strategia e astuzia gli facevano divetto. Per contro era leale e fedele, come un gigantesco mastino.

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