Storie per un anno di Sunny_Blue (/viewuser.php?uid=101850)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Indice ***
Capitolo 2: *** Una macabra ricorrenza ***
Capitolo 3: *** Chi ha paura della casa infestata? ***
Capitolo 4: *** Senza famiglia ***
Capitolo 5: *** Affinità elettive e coniglietti assassini ***
Capitolo 6: *** Una proposta per dire di... no! ***
Capitolo 7: *** Lacrime di pioggia ***
Capitolo 8: *** La principessa reclusa ***
Capitolo 9: *** La promessa del domani ***
Capitolo 10: *** Happy Birthday, Mr. Weasley ***
Capitolo 11: *** Frammenti di una vita fa ***
Capitolo 12: *** L'innocenza del condannato ***
Capitolo 13: *** Colpa del whisky ***
Capitolo 14: *** Il destino nel nome ***
Capitolo 1 *** Indice ***
Indice
Salve a tutti e a tutte, accaniti lettori harrypotteriani!
Ho deciso di riunire in un'unica raccolta (il titolo "Storie per un
anno" è di pirandelliana memoria) le storie che
scriverò da qui a ottobre 2012
per il 12
Mesi di Fanfiction di BS.
La challenge prevede che ogni mese scriviamo una storia su un prompt
(parola, immagine, citazione) che la giudiciA ci darà di volta in
volta.
Ogni partecipante sceglie il suo giorno, in cui postare la
storia.
Teoricamente, quindi, la raccolta verrà aggiornata una sola
volta al mese.
Dico teoricamente, perchè già per il primo
mese, novembre, ho scritto 2 storie, quindi duplice aggiornamento.
Il giorno di pubblicazione dovrebbe essere sempre il 9... ma anche qui,
sono possibili cambiamenti in corso d'opera (per esempio se qualcuno mi
ruba tale giorno... :)
Penso di avervi dato tutte le spiegazioni tecniche del caso! ^^
Spero che mi seguirete in questa avventura a lungo termine, per tenermi
compagnia con i vostri commenti, ma anche per incitarmi ad andare fino
in fondo.
Si sa, a volte l'ispirazione viene meno sulla lunga
distanza...
Ma con voi come compagne di viaggio il rischio di perdermi tra i mesi
dovrebbe essere scongiurato!!
Buona lettura a tutti!! ^^
p.s. Ringrazio Beatriz Aldaya per l'idea di questo indice! ^^
Indice
Tema del mese -
Titolo
della storia - Personaggi
- Rating
1) Halloween
- Una macabra ricorrenza
- Barone Sanguinario, Helena Corvonero - giallo
2) Halloween
- Chi ha paura della casa infestata? - Rose & Hugo Weasley, Lily Luna & Albus Severus Potter, Ron & Hermione - verde
3) Natale
- Senza famiglia - Tom Riddle; Harry Potter - verde
4) "Ho visto tante persone che se ne andavano."
"E mai nessuno è tornato indietro?" -
Affinità elettive e coniglietti assassini - Draco Malfoy, Harry Potter - giallo
5) Dichiarazione non a lieto fine - Una proposta per dire di... no! - Argus Gazza, Mrs Purr, Madama Pince - verde
6) In un giorno di pioggia - Lacrime di pioggia - Andromeda Black, Ted Tonks, Teddy Lupin - giallo
7) Potranno tagliare tutti i fiori, ma non fermeranno mai la primavera [Neruda]
La principessa reclusa - Astoria Greengrass, Narcissa Malfoy, Nuovo personaggio - verde
8) Incontro - La promessa del domani - Severus Piton, Lily Evans - verde
9) Compleanno - Happy birthday, Mr. Weasley - Bill Weasley, Fleur Delacour - verde
10) "Questo caldo mi sta sciogliendo il cervello" - Frammenti di una vita fa - Bellatrix Lestrange - giallo
11) Ho sempre ammirato le persone che parlano con gli occhi perché mi paiono più svelte a capire il mondo [Chabon] -
L'innocenza del condannato - Sirius Black - giallo
12) "Non
ho voglia di pensare al futuro. Non potremmo semplicemente goderci il
presente?" - Colpa del whisky - Draco Malfoy, Nuovo personaggio - verde
13) Kiss the rain (song) - Il destino nel nome - Scorpius Malfoy - giallo
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Capitolo 2 *** Una macabra ricorrenza ***
Una macabra ricorrenza
Ho
scritto la storie per il 12
Mesi di Fanfiction
Prompt
di novembre: Halloween
Personaggi:
Barone Sanguinario, Dama Grigia
Rating:
giallo
Genere:
drammatico
Introduzione:
Ogni
anno, la notte di Halloween, lei
porta una rosa bianca sul luogo della sua morte. Ogni anno,
lui
l'aspetta lì, con una rosa scarlatta in mano e un'eterna promessa
d'amore.
NdA:
Ho immaginato che il Barone abbia ucciso Helena, tanti anni addietro,
proprio la notte di Halloween. La storia originale dice che Cosetta
Corvonero mandò il Barone a cercare la figlia per riportarla a casa,
dopo che lei le aveva rubato il diadema. Lui la trovò, ma la ragazza
non volle seguirlo, allora la uccise. Io ho inventato una variante.
Lui la uccide dopo l'ennesimo rifiuto – che poi, in un certo modo,
è anche vero – ma all'interno del castello.
Il
nome del Barone – Philippe LeGrande – è una mia invenzione.
Una
macabra ricorrenza
Era
la notte di Halloween.
Quella
sera si sarebbe tenuto un banchetto speciale, per allietare gli
studenti.
Le
decorazioni già rilucevano nel buio – zucche intagliate, ragnatele
argentee, cespugli sinistri.
Ma
il castello di Hogwarts era silenzioso, a quell'ora del mattino.
Tutti
riposavano, aspettando il giorno della festa.
Il
Barone avanzava lentamente nel corridoio buio, verso l'annuale
appuntamento.
In
mano stringeva una rosa scarlatta.
Mancavano
solo pochi minuti all'ora e sapeva che lei stava
per arrivare.
La
sua Signora.
La
Dama Grigia.
Helena.
Una
pendola suonò l'ora.
Non
si era ancora spento il terzo rintocco, che una figura di donna
comparve a sua volta nel corridoio. Aveva l'aria triste e lo sguardo
lontano, una rosa candida tra le mani.
Quando
vide di non essere sola in quel luogo non si mostrò sorpresa.
Si
mosse piano verso una pietra commemorativa incastonata nel
pavimento scuro. Posò
con dolcezza il fiore.
L'ombra
di un antico sorriso passò sul suo volto, dando splendore ai suoi
lineamenti.
Ma
fu solo un attimo.
Quando
si rivolse allo spettro dell'uomo, che la osservava bevendo ogni suo
movimento, nei suoi occhi ogni scintilla di vita era di nuovo sopita.
“Non
vi siete ancora stancato, Barone? Siamo vecchi per certi giochetti.”
La
voce di lei era bassa, come se venisse da una grandissima distanza.
Lui
scosse piano la testa: “Mai.”
Una
sola parola per dire tutto.
Erano
passati molti anni da quella notte, ma ogni 31 ottobre
entrambi si ritrovavano in quel luogo, come rispondendo a un macabro
richiamo...
*
* * * * * * * * * *
Philippe
LeGrande, il giovane uomo che sarebbe diventato il Barone
Sanguinario, aveva riportato Helena Corvonero ad Hogwarts, secondo il
desiderio della madre morente di lei.
La
ragazza non si era dimostrata grata di una simile cortesia.
Dopo
avere visto morire Cosetta, si era rivolta a Philippe con il suo
solito tono altezzoso e ironico:
“Credete
che vi sposerò per questo?” Ed era scoppiata a ridere, senza
attendere una risposta, senza allegria.
Helena
era così.
Già
mille volte in passato aveva rifiutato le profferte amorose del
giovane uomo, nonostante la madre approvasse e lui fosse un ottimo
partito.
Il
Barone era uso a quel rituale, alla scortesia di lei, al suo freddo
disprezzo, ma quella notte qualcosa era scattato dentro di lui.
Irato
per l'ennesima beffa della sua bella, reso pazzo dal pensiero di non
riuscire mai ad averla, aveva tirato fuori un pugnale da sotto la
veste e l'aveva colpita a morte.
Helena
era caduta a terra senza un lamento, il viso contratto in
un'espressione stupita.
Il
sangue rosso sulle mani bianche aveva riportato Philippe in sé quasi
più del corpo di Helena riverso a terra, senza vita.
Improvvisamente
consapevole del peccato commesso, si era tolto la vita con la stessa
arma usata poco prima.
Non
aveva senso vivere se l'oggetto della sua venerazione non era più di
questa terra.
*
* * * * * * * * * * * * *
Era
successo proprio lì, in un corridoio silenzioso nei sotterranei del
castello.
Era
stata posta una pietra in marmo chiaro sul luogo del misfatto, per
ricordare ai posteri il tragico amore del Barone Sanguinario per
Helena Corvonero.
Ogni
anno, nell'ora che era stata la sua ultima, la Dama Grigia scendeva
nelle segrete, per deporre un fiore candido nel luogo che era stato
la sua tomba.
Ogni
anno, nell'ora che aveva preceduto di poco la sua ultima, il Barone
l'aspettava lì, per offrirle un fiore rosso come la passione in
segno di pace, e implorare il suo perdono.
Ma
Helena si era dimostrata testarda e altezzosa in morte quanto lo era
stata in vita, e non aveva ancora ceduto alle disperate richieste di
lui.
"Ce
l'avete ancora per me per quella vecchia storia, madama Helena?"
Chiese lui, scrutando il viso impassibile del suo passato amore.
"Per
avermi pugnalata a morte?" Rispose lei, senza inflessione alcuna
nella voce.
"Per
essermi innamorato di voi", la lapidaria replica.
"Può
definirsi amore quello che uccide l'oggetto del proprio desiderio,
non accettandone il rifiuto?"
"Può
definirsi amore quello che brucia a tal punto da sacrificare sé
stesso!"
I
due spettri si fronteggiarono in silenzio per un lungo momento.
Alla
fine la Dama Grigia chinò il capo, e con un "Barone"
pronunciato a mezza voce, mise fine alla conversazione e si congedò
da lui.
Il
fantasma dell'uomo restò indietro, da solo.
Si
mosse per posare la rosa rossa sopra a quella bianca, lasciata poco
prima da Helena.
Nemmeno
quella sarebbe stata la notte della tanto agognata riconciliazione –
pensò tra sé, mentre si avviava fluttuando nella direzione opposta
a quella dove era appena sparita lei.
Ma
prima o dopo arriverà il momento.
Un'intera
eternità di 31 ottobre ci attende.
Con
quel pensiero lievemente confortante a lenire il dolore dell'ennesimo
rifiuto, il Barone si predispose ad aspettare pazientemente un altro
anno.
*
* * * * *
|
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Capitolo 3 *** Chi ha paura della casa infestata? ***
2. Chi ha paura della casa infestata?
Ho
scritto la storia per il 12
Mesi di Fanfiction
Il prompt di novembre è Halloween
Personaggi:
Rose e Hugo Weasley, Lily Luna Potter e Albus Severus Potter; Ron
&
Hermione.
Rating: Verde
Genere:
Commedia
Introduzione:
La
notte di Halloween
quattro bambini si raccontano storie di paura al sicuro dentro casa.
Ma la vicenda del cavaliere senza testa, iniziata da Hugo, non
è
destinata ad arrivare alla conclusione... Rose, infatti, ha in mente
qualcosa per movimentare la serata...
NdA:
E' la prima volta in assoluto che scrivo sulla Nuova Generazione (se
si esclude "Il Diplomato", ma lì la cosa era mista), non
tanto perchè sia ostile ai giovani, ma perchè di
solito preferisco
altri personaggi.
Ho
voluto fare un tentativo - novembre deve essere stato il mese del "ma
sì, dai, proviamo cose nuove!"
Che
dire, una cosa buona questo mese l'ho già scritta, quindi
diciamo
che questa è quella che se non piacerà pazienza!
^^
Ho
immaginato che la famiglia Weasley viva nella campagna inglese,
più
o meno l'ambiente della Tana.
Chi
ha paura della casa infestata?
Era
la notte di Halloween.
A
casa Weasley, quattro bambini stavano seduti al buio, sotto una tenda
improvvisata con le lenzuola tolte dai letti.
L'atmosfera
era febbrilmente eccitata.
Hugo
prese in mano la torcia, unica fonte di luce, e iniziò a
parlare.
Era giunto il suo turno di raccontare una storia di paura.
Lily
e Albus si concentrano sul ragazzino lentigginoso, ma la mente di
Rose era lontana.
Per
quanto spaventose potessero essere le loro storie, si trattava
comunque di invenzioni di fantasia.
I
brividi percorrevano le schiene, i respiri si mozzavano al momento
culminante del racconto, ma per quanto realistiche potessero essere
quelle emozioni, tutti sapevano benissimo che in realtà
erano al
sicuro, dentro casa, e che niente di niente poteva capitare loro.
La
bambina scosse la testa, spazientita.
A
soli 9 anni, era già tremendamente desiderosa di avventure e
di
brividi veri.
"Il
cavaliere percorreva la brughiera, il suono degli zoccoli della sua
cavalcatura rimbombava nel buio..."
Il
fratellino andava avanti col racconto, la voce bassa e spettrale.
"E
se invece di raccontare solo storie di mostri e fantasmi, non
andassimo a cercarli?" Rose con la sua domanda ruppe
l'incantesimo della cavalcata spettrale del barone senza testa.
"Roseeee",
la rimproverò Hugo, "mi stai interrompendo."
"Scusami",
buttò là velocemente lei, per niente pentita.
Il
bambino si ricompose in un attimo e iniziò di nuovo a
raccontare.
"Il
cavaliere percorreva la brughiera..."
"Cosa
dicevi, Rose?" Fu Albus a bloccare l'avanzata dello sventurato
cavaliere, questa volta.
Hugo
si arrese all'evidenza, quella storia era proprio nata sotto una
cattiva stella.
La
ragazzina prese a illustrare l'idea che le era balenata in mente...
"Qui
vicino c'è una casa...", pausa ad effetto per conquistare
l'attenzione generale, ma ormai l'intero gruppo era avvinto
indissolubilmente alle sue parole, "una casa disabitata."
Le
sopracciglia di Lily saettarono verso l'alto. Traduzione: E
allora?
"La
gente del villaggio, però, dice di avere sentito rumori
strani
provenire da lì, come se ci fosse qualcuno..."
"Ma
non hai appena detto che è disabitata?" La cugina
più piccola
era nota per ragionamenti deduttivi di quel tipo.
"Nessuno
di umano ci vive, sì. Ma pare che sia infestata dai
fantasmi..."
Un
brivido percorse la schiena dei tre ascoltatori.
Albus
ruppe il silenzio: "Sono solo storie."
"Perché
non andare a controllare, allora?"
La
proposta rimase lì, sospesa tra loro, come una voluta di
fumo che
esce dal camino.
Tre
paia di occhi erano fissi in quelli azzurri di Rose, tre visi
incuriositi e timorosi allo stesso tempo la scrutavano.
"Mamma
e papà ci hanno proibito di andare...", provò a
protestare
timidamente Hugo.
La
sorella lo fulminò con lo sguardo.
Era
tipico del fratellino tirare fuori i divieti dei più grandi,
quando
non era convinto di fare qualcosa.
"Nessuno
lo verrà a sapere", tagliò corto lei.
Spostò
lo sguardo dall'uno all'altro, cercando sul loro volto una conferma o
un diniego.
Alla
fine fu Albus a spezzare per primo il silenzio.
"Io
ci sto." Certo non poteva tirarsi indietro o dimostrarsi da meno
della cugina, di qualche mese più piccola di lui e femmina
per
giunta.*
"Anche
io", disse Lily, per non essere da meno del fratello.
Hugo
non disse niente, si limitò ad annuire rassegnato.
Rose
aprì piano la porta della loro stanza. Mise la testa rosso
vivo
fuori per controllare che il passaggio fosse libero. Nessuna luce
né
rumore proveniva dalla stanza dei genitori, lì accanto.
Evidentemente stavano già dormendo.
La
bambina fece segno alla sua piccola squadra di esploratori di venire
avanti, cercando di non fare rumore. Raggiunsero il piano terra con
relativa facilità.
Il
gatto Feelix li osservò passare dalla sua postazione sul
divano, ma
non fece commenti di sorta.
La
notte era fredda all'esterno. Il cielo era sereno, trapuntato di
stelle.
Le
zucche di Halloween che i quattro si erano divertiti ad intagliare
nel pomeriggio, formavano una buffa fila sulla veranda. La candela
magica all'interno di ciascuna continuava a brillare, nonostante la
brezza fredda che soffiava da ore.
Rose
guidò il gruppo oltre il cancelletto del loro giardino, sul
sentiero
in terra battuta che portava verso la campagna aperta.
Nessuno
parlava.
Il
silenzio era opprimente intorno a loro, neppure una civetta solitaria
faceva risuonare il suo richiamo in quella notte di fine ottobre.
Dopo
alcuni minuti di camminata, oltre un piccolo gruppetto di alberi che
si erano trovati ad attraversare, la casa sospetta comparve davanti a
loro. Spiccava dall'alto di una collinetta sulla desolazione
circostante. Era abbastanza vecchia, poco curata, e sembrava del
tutto vuota.
"Eccola
lì." Rose sentì il bisogno di spezzare
l'immobilità e
l'assenza di suoni, anche solo per rimarcare l'ovvio.
Cenni
di assenso, nessuna risposta.
Il
drappello proseguì la marcia.
Arrivati
sotto la veranda consunta, si fermarono di nuovo.
"Sei
proprio sicura che sia una buona idea? Possiamo ancora tornare
indietro...", provò a farsi sentire di nuovo Hugo.
Un'altra
occhiataccia della sorella lo fece tacere.
Rose
si era già voltata verso la casa e, saliti di slancio i due
gradini,
si fermò un momento prima di afferrare la vecchia maniglia
con mano
ferma e girarla. Quando sentì la serratura scattare, spinse.
Con un
cigolio sinistro, la porta iniziò a muoversi, lasciando un
varco
buio per il loro passaggio.
La
ragazzina non permise alla paura o al dubbio di impossessarsi di lei.
Alzò
la testa e fece un passo verso l'ignoto.
Non
si vedeva niente.
Accese
la torcia che provvidenzialmente si era portata dietro. La luce,
però, illuminava solo un piccolo cono intorno a lei, oltre
quella
linea sottile l'oscurità era fitta.
Per
quanto un groppo senza nome le fosse salito in gola nel mettere piede
in quell'ambiente estraneo, non poteva certo mostrarsi spaventata
davanti ad Al.
"Dai
venite!" si rivolse al suo piccolo seguito, che ancora indugiava
sulla soglia. "Non c'è niente di cui avere paura."
I
cugini e il fratello si fecero avanti, attratti dalle sua parole,
quando capirono che per il momento non c'era niente da temere.
Entrarono
comunque nella casa in punta di piedi. Le si fecero più
vicini, con
passo malcerto.
Rose
si puntò la torcia sotto il viso, illuminandosi e facendo
una
smorfia.
"Buuuuu.
Ci sono i fantasmi."
E
scoppiò a ridere. Quel suono riscosse anche i due cugini,
che
sciolsero un po' della tensione, abbozzando un sorriso.
Hugo
restava il meno convinto di tutti. Non gli piaceva proprio trovarsi
lì.
"Oh
avanti Hugo!", lo rimbeccò Lily vedendo la sua espressione,
"Non c'è niente di cui avere paura."
Aveva
appena finito di pronunciare la frase, che un fruscio improvviso li
fece sobbalzare tutti.
"Cos'è
stato?" chiese Al, tremante.
"Il...
vento?" provò a ipotizzare Rose cercando di mantenere la
calma.
Era una ragazzina coraggiosa, non si sarebbe certo fatta spaventare
da un nonnulla come quello.
Ma
nonostante tutto, anche lei aveva la schiena percorsa da un brivido
freddo.
Puntò
la torcia intorno, illuminando arredi tarmati e finestre sbarrate
dalle imposte.
Poteva
filtrare l'aria da quelle persiane apparentemente serrate?
Prima
di trovare una spiegazione razionale al movimento di poco prima, uno
scricchiolio sordo arrivò dalle scale in legno.
I
quattro alzarono gli occhi verso il pianerottolo, giusto in tempo per
vedere due figure sfocate prendere forma dal buio.
Scapparono
a gambe levate.
Sulla
porta si spintonarono, per essere i primi a lasciare quella casa
maledetta.
I
genitori avevano ragione, c'era davvero qualche presenza lì.
*
* * *
Le
due figure velate si fermarono sul pianerottolo.
"Ahahahahah."
La risata proveniente da una delle due ruppe il silenzio irreale
della casa. Due mani pallide si spostarono verso l'altro... e
tirarono giù il cappuccio rivelando una testa rosso fuoco.
Al
fianco dell'uomo, una donna dai capelli ricci e castani apparve da
sotto l'altra tunica chiara.
"Direi
che per qualche tempo non dimenticheranno la lezione, che dici?"
chiese l'uomo.
"Non
credo che basti così poco per scoraggiare nostra figlia...",
rispose lei.
Ron
Weasley attirò a sé la moglie, stringendola tra
le braccia.
"Sei
sempre un asso, con i trucchi ad effetto..." Le posò un
bacio
lieve sulla fronte. "Quasi quasi ci ho creduto anche io ai
fantasmi, quando hai fatto muovere la tenda."
Hermione
sorrise.
"Conservare
qualche paio di Orecchie Oblunghe di scorta si è rivelata
un'ottima
mossa. Non avremmo mai saputo del piano di Rose, altrimenti."
L'uomo
strinse ancora di più la moglie al petto, ma uno strano
fruscio lo
fece sobbalzare.
"L'ho
ammesso, sei brava, ma adesso puoi anche smetterla, eh? I bambini
sono già scappati a casa."
La
donna lo fissò con occhi vigili, scuotendo la testa.
"Io
non ho fatto proprio niente."
I
due si fissarono per un secondo, prima di affrettarsi anche loro
verso la porta di ingresso.
Chissà
che le storie raccontate per spaventare i più piccoli non
nascondessero in fondo un pizzico di verità - pensarono
mentre si
chiudevano la porta della strana dimora alle spalle e si
smaterializzavano dentro casa propria.
Quella
era la notte delle streghe, la notte di Halloween... meglio non
disturbare gli spiriti con presenze umane non gradite!
*
* * * * * * * *
*
Non so se Albus sia effettivamente nato prima o dopo a Rose. Mi sono
presa questa piccola licenza poetica, perché secondo me era
meglio
per la storia! ^^
|
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Capitolo 4 *** Senza famiglia ***
3) Senza famiglia
Ho
scritto la storia per il 12
Mesi di Fanfiction
Il
prompt di dicembre è Natale
Personaggi: Tom
Riddle; Harry Potter
Rating: verde
Genere:
introspettivo, malinconico
Introduzione: Il
Natale è il momento per le famiglie di riunirsi, di stare
insieme.
Tutti
sono più buoni, tutti sono felici. Tutti...
Se
non hai nessuno al mondo che si curi di te, Natale è solo un
numero
in rosso sul calendario. Natale è solo un nome. Natale
è un giorno
come gli altri.
NdA: Il
personaggio di Tom Riddle sta diventando uno dei miei preferiti.
Mi piace soprattutto dipingere la sua infanzia, il periodo
dell'orfanotrofio. Penso che sia stimolante per una writer indagare
il bambino e il ragazzino che era prima di Hogwarts e di diventare
Lord Voldemort.
Harry,
invece, non lo avevo mai usato. Di solito non mi piace come viene
fuori nelle ff e non mi ispira (è così troppo
buono!!). Ma l'idea
di abbinare loro due alla stessa età (volevo sottolinearlo,
così
capite il perché delle date), di contrapporre questi due
momenti, mi
è venuta subito, per cui ho voluto fare un tentativo.
In
realtà, rileggendola a distanza di quasi un mese, non mi
sembra più
buona e convincente come quando l'ho scritta, ma ormai non ho tempo
di inventarmi qualcos'altro, quindi... vi toccherà leggere
questa. ^^
Senza
famiglia
Londra,
1934
La
neve cadeva fitta sulle strade grigie di Londra, coprendo con una
coltre bianca e morbida ogni angolo, ogni viale.
In
giro non si vedeva anima viva.
Solo
un ragazzino smilzo e cencioso avanzava per il viale silenzioso, come
uno spettro.
Avrà
avuto sì e no otto anni e la sua presenza scura stonava in
mezzo a
tanta candida purezza.
Tom
Riddle quel giorno era uscito di nascosto dall'orfanotrofio, senza
che nessuno facesse caso a lui.
Era
bravo a passare inosservato.
Non
aveva nessuna voglia di stare con gli altri.
Lo
squallido pranzo, festivo solo di nome.
I
regali ammaccati, gesto nobile di qualche ricco che così
facendo
pensava di guadagnarsi il suo posto in Paradiso.
I
canti stonati dei bambini.
Tutto
ciò gli dava la nausea.
Tom
Riddle non credeva nel Natale (in realtà non credeva in
niente se
non in sé stesso),
quel
giorno non aveva per lui alcun significato particolare.
Se
non hai nessuno che si preoccupa per te, tutto quello che vuoi
è che
arrivi in fretta il 26 dicembre.
Era
uscito per non prendere parte a quella pantomima di celebrazione.
Per
non dover fingere che ci fosse, per loro, qualcosa da festeggiare.
Mentre
camminava per le strade bianche di Londra, una finestra illuminata
attirò il suo sguardo corrucciato.
Si
avvicinò senza fare rumore.
Come
un folletto si arrampicò sul cordolo del davanzale, per
poter spiare
dentro.
La
stanza era addobbata a festa.
Il
pranzo sulla tavola era sontuoso e aspettava di venire consumato.
Intorno
all'albero la famiglia si scambiava i regali.
Una
bambinetta poco più piccola di lui sorrideva beata alla sua
nuova
bambola.
Tom
pensò che quello sarebbe potuto essere il suo presente, se
quella
sciocca di sua madre non fosse stata così debole da morire.
Avrebbe
voluto scartare pacchi colorati e cibarsi di pietanza gustose?
Per
un attimo quel pensiero gli sfiorò la mente...
Un
altro lui, diverso, meno isolato...
Una
famiglia...
Amore...
Tom
con un balzo riguadagnò il giardino.
“Non
ho bisogno di una famiglia, di qualcuno vicino. Sono io tutto quello
di cui ho bisogno.”
Prese
un sasso tra le mani e lo scagliò con tutte le sue forze
contro il
vetro della finestra, che andò in frantumi.
Quando
la testa bionda di un uomo si affacciò per cercare il
colpevole, il
ragazzino non era altro che una macchia grigia indistinta in
lontananza.
*
* * * * * * * * * * * * *
Little
Whinging, 1988
Un
ragazzino con i capelli neri spettinati aprì gli occhi,
cercando a
tentoni con la mano gli occhiali tenuti insieme con lo scotch, per
poter distinguere le forme in quella penombra avvolgente.
Travi
tarmate e ragnatele sopra di lui, come ogni mattina.
Ma
quel giorno era speciale...
Lo
sapeva, ma era solo la sua mente a registrare l'informazione, nessun
calore si era diffuso nel suo corpo a quel pensiero, nessuna emozione
l'aveva spinto a balzare giù dal letto.
Il
25 dicembre era un giorno come gli altri, per Harry Potter.
Nessun
regalo, nessun abbraccio, nessuna attenzione particolare.
Avrebbe
dovuto vestirsi nello spazio stretto del suo sottoscala e uscire per
affrontare 24 ore uguali in tutto e per tutto alle altre.
Natale
non aveva alcun significato, per uno come lui.
Anzi,
se possibile, quel giorno era anche peggiore degli altri.
Dudley
se la sarebbe presa con il cugino con maggior foga, avrebbe usato
Harry come bersaglio di qualche suo nuovo giocattolo (l'anno prima
era stata la volta del fucile ad aria compressa).
Nonostante
i fatti parlassero da soli, avrebbe sottolineato fino allo sfinimento
il fatto che lui,
Dudley, aveva tutto, mentre lui,
Harry, non aveva niente.
Non
ci sarebbero stati pacchi da scartare per lui, nessuna sorpresa,
nessuna gioia.
Solo
le occhiatacce dei parenti, i soliti commenti pungenti e le
frecciate.
"Ti
teniamo con noi per carità cristiana e non ti prendi nemmeno
la
briga di dire grazie...”
“Il
cibo che ti diamo, i vestiti, l'istruzione, ricevi regali tutti i
santi giorni...”
“Se
quei buoni a nulla dei tuoi genitori non si fossero schiantati con
l'auto non avremmo dovuto accollarci un simile incomodo...”
Già,
i suoi genitori.
Mai
come quel giorno il pensiero di Harry si appuntava su quelle due
figure, lontane e indistinte ai suoi occhi come i personaggi dei
film.
Non
sapeva che faccia avessero avuto, se fossero stati simpatici o meno.
Non
c'era nessuna foto di James e Lily Potter – così
si chiamavano
“mamma” e “papà” -
in casa Dursley; nessun modo per
conoscere qualcosa su di loro.
La
sola che avrebbe potuto parlare, taceva.
La
zia non aveva mai voluto toccare l'argomento con lui, non parlava mai
della sorella scomparsa.
Eppure,
nonostante fossero alla stregua di due estranei, Harry sapeva che se
fossero stati lì, il Natale per lui sarebbe stato diverso...
Immaginava
i regali che non aveva mai ricevuto, i dolci che non aveva mai
assaggiato.
Immaginava
risate e canti, giochi di società e allegria.
Soprattutto,
immaginava il calore di una vera famiglia.
Perché
era quello che Harry Potter bramava ogni anno, come il più
bello dei
regali.
Era
quello di cui il bambino sentiva la mancanza, nonostante non ne
avesse mai avuta una.
Famiglia,
amore, calore.
Ogni
anno, la mattina di Natale, prima di uscire ad affrontare la dura
giornata, Harry chiudeva gli occhi e pregava con tutto il cuore per
avere quei tre doni.
Famiglia,
amore, calore.
Perché
nessuno può desiderare davvero di vivere solo per sempre.
*
* * * * * * *
|
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Capitolo 5 *** Affinità elettive e coniglietti assassini ***
4) Affinità elettive e coniglietti assassini
Ho scritto questa storia per
il 12
Mesi di Fanfiction
Il
prompt di gennaio è: "Ho visto tante persone che
se ne andavano."
"E mai nessuno
è tornato indietro?"
Personaggi:
Draco Malfoy, Harry Potter
Rating:
giallo
Genere:
commedia
Avvertenze:
Slash (solo accennato)
Introduzione:
Quando
Draco Malfoy riceve
il più imprevisto degli inviti a cena la sua
curiosità lo porta ad
accettare. Si troverà davanti una persona ben diversa da
quella che
immaginava, ma forse non così diversa da sé
stesso...
NdA:
Allora... questa storia è un po' delirante, metto le mani
avanti in
anticipo! ^^
Purtroppo
in questo ultimo mese la mia voglia di scrivere si è
trasferita alle
Hawaii, ma non volevo smettere di partecipare al 12 mesi. L'idea mi
è
venuta appena ho letto la citazione, e non avendo trovato altro...
be' vi tocca leggere questa cosa.
Ho
visto che ultimamente è venuta fuori una specie di
discussione sullo
slash. Non condivido l'avversione di qualcuna per il genere, ma penso
non ci sia niente di male a non leggere una storia o a non lasciare
un commento. Se avete cose costruttive da dirmi, ovviamente, ben
venga!!
Fatte
queste precisazioni di rito, spero di essere stata abbastanza IC
–
o quanto meno credibile. Harry non mi fa impazzire come personaggio,
ma adoro Draco quindi... spero che le due cose si compensino e che la
storia regga. ^^
Affinità
elettive e coniglietti assassini
Mi
preparo ad uscire, sistemando gli ultimi dettagli del mio
abbigliamento davanti al grande specchio dalla cornice argentea.
Mentre
le mie mani si muovono su di me come se avessero vita propria, mi
osservo.
Carnagione
chiara, capelli biondi spettinati, corpo magro ma tonico. La cosa
più
sorprendente, gli occhi. Grigi come piombo fuso, freddi come
ghiaccio, indiscutibilmente targati Malfoy.
Sorrido
compiaciuto al mio riflesso, chiudendo il fermaglio del mantello con
un gesto secco. Sono pronto.
Non
posso negare che l'invito per questa sera mi abbia colto non poco di
sorpresa, cosa tutt'altro che scontata visto che si tratta di me. Non
sono certo tipo da rimanere senza parole per cose da poco, io. Ho
sempre una risposta pronta, non sono mai impreparato.
Ma
questo...
Ancora
adesso, mentre esco di casa e mi smaterializzo verso la mia
destinazione, non riesco a capacitarmi che sia successo davvero. Non
è tanto l'invito ad avermi stupito - non è certo
la prima volta che
esco a cena con una persona del mio stesso sesso - , quanto colui da
cui la richiesta è venuta...
Harry
Potter.
Nessuno
al mondo mi è mai sembrato più distante,
più estraneo. Qualcosa di
molto vicino alla mia nemesi, opposti come poli e antipodi.
Nessuno
ho mai pensato di detestare di più. San Potter, sempre
circondato
dai suoi amichetti adoranti. San Potter, sempre impegnato a fare la
cosa giusta. San Potter, salvatore del mondo magico.
Fermo
davanti ad una serie di casette a schiera scuoto la testa, scacciando
la raffica di pensieri dalla mente. Quello è il passato. Le
liti,
gli insulti, le recriminazioni. Tutto è finito una volta
lasciati
alle spalle i cancelli di Hogwarts. Non siamo più i
ragazzini
litigiosi di allora, ci si aspetta che da adulti i nostri screzi si
siano trasformati in nulla di più che ricordi infantili.
Dentro
non sono poi così convinto che le cose si siano smussate per
tutti
fino a questo punto, ma non è il caso di stare troppo a
pensarci su.
Ora
sono un giovane uomo rispettabile - per quanto la mia fama e il mio
nome lo consentano, almeno -, non posso permettermi passi falsi di
sorta.
Ho
un lavoro al Ministero - come consulente esterno, si intende. Nessuno
si fida abbastanza di me da volermi nel suo ufficio o nella sua
squadra, ma proprio per la mia dubbia lealtà alla causa
avermi
abbastanza vicino da potermi tenere sott'occhio è stata
considerata
un'ottima mossa.
Non
ho famiglia né amici intorno, ma è la storia
della mia vita, essere
solo. Ha smesso di avere importanza molto tempo fa.
Non
vedevo Potter da tempo. Avevo saputo che la sua carriera come Auror
era decollata alla fine della scuola, ma una volta finita la guerra
le nostre strade non si erano più incrociate. Per fortuna.
Questo
fino a oggi.
Mi
sono presentato puntualmente all'incontro mensile al Ministero per
rendere conto degli investimenti del periodo appena trascorso, pronto
a illustrare le mie iniziative e via dicendo. Invece del solito mago
dai capelli grigi e dallo sguardo un po' assente, però, mi
sono
trovato davanti un viso fastidiosamente noto.
Potter
non è cambiato molto dall'ultima volta che l'ho visto.
Capelli neri
incredibilmente spettinati, sguardo penetrante, abiti poco curati.
Non è mai stato il re dell'eleganza.
Vederlo
lì mi ha spiazzato, ma solo il tempo di un battito di
ciglia, poi ho
recuperato il mio solito contegno sprezzante.
"Chi
si vede", ho detto beffardo, posando il mio rapporto sulla
scrivania ingombra di carte. "Ancora vivo, sfregiato?"
Lui
mi ha lanciato un'occhiata penetrante e ha ribattuto: "Sempre lo
stesso, vero, Malfoy?"
Ci
siamo studiati per alcuni minuti in silenzio. Quando ho capito che
era a lui che si presumeva dovessi fare il mio rapporto, ho di nuovo
rotto il ghiaccio, esponendo cifre e grafici.
Potter
sembrava interessato, non saprei dirlo con certezza. In ogni caso mi
ha interrotto alcune volte per fare domande pertinenti, e le mie
risposte devono averlo soddisfatto.
Finito
il mio lavoro, ho recuperato le mie cose e mi sono avviato vero
l'uscita.
La
sua voce mi ha raggiunto quando avevo già un piede fuori
dalla
stanza.
"Ti
va di venire a cena da me, Malfoy?"
La
proposta era così strana, così incredibile, che
non ho trovato una
battuta adeguata con cui rispondere sul momento. Mi sono voltato
verso di lui, gli occhi dubbiosi di chi teme di cadere in una
trappola. Ma lui mi guardava con lo sguardo più sincero che
avessi
mai visto.
"Il
tuo lavoro mi ha colpito, penso che potremmo parlarne meglio davanti
a una buona cena.”
Incontro
di lavoro, chiaro. Cosa avevi pensato Draco?
Scuotendo di
nuovo la testa per allontanare pensieri strani, ho ripreso la mia
strada verso la porta.
“E
poi mi farebbe piacere godere della tua compagnia”, il
sussurro
roco di Potter mi ha raggiunto alle spalle, facendomi rizzare i peli
sulle braccia.
Per
qualche motivo sconosciuto la mia salivazione era andata a farsi
benedire. Mi sono limitato ad annuire e sono uscito, mentre le sue
parole mi seguivano come una maledizione: "20:30 da me. Sai come
fare."
Così
eccomi qui, fermo davanti ad una serie di case tutte uguali, a
puntare gli occhi sulla mia meta, anche se di fatto questa è
invisibile.
Cosa
ci faccio in questa piazza? Accidenti alla mia curiosità! Ma
il
desiderio di scoprire cosa vuole da me è così
forte che non ho
potuto tirarmi indietro.
Ma
c'è di più... Per un attimo, quando Potter mi ha
fatto quella
domanda a bruciapelo, la mia fantasia ha galoppato come cosa viva. E'
pura follia, lo so bene. Draco Malfoy ed Harry Potter? La
più comica
delle assurdità. Ammesso poi che il santerellino abbia di
queste
tendenze. Ai tempi di Hogwarts sbavava per quella insopportabile
Weasley dai capelli rossi; chissà magari adesso hanno
già sfornato
un paio di bambini e mi aspettano tutti allegri dietro queste mura.
Eppure
la sua voce è stata come una carezza sulla mia pelle, quando
ha
parlato.
I
miei passi mi portano verso la porta della casa che, una volta
pensato l'indirizzo esatto, si sta materializzando davanti ai miei
occhi. Salgo i pochi scalini e busso con le nocche sul legno scuro.
Potter dovrebbe prendersi la briga di far sistemare questo posto. Lo
stile da casa degli orrori direi che è abbondantemente fuori
moda.
Passano
alcuni istanti di immobilità assoluta in cui la mia mente
è
attraversata da diverse immagini di ciò che potrei trovarmi
davanti
tra poco. La famigliola felice, o il rigido Auror interessato solo al
lavoro. Per quanto la visione di Potter in grembiule rosa a cuori non
sia delle migliori, non sono preparato a quello che mi trovo
effettivamente davanti.
Lui
è di fronte a me.
Indossa
un'orribile maglietta sformata con un coniglietto bianco con le zanne
sguainate e un paio di jeans consunti. I capelli sono spettinati come
al solito e il colore della sua pelle è cinereo. Non
è questo che
mi spiazza. È il fatto che sia coperto di sangue.
Per
un attimo nei miei occhi passa un'ombra di stupore. L'ho già
detto
che sono bravo a riprendermi? Riporto le emozioni sotto controllo e
mi dipingo un ghigno sulle labbra.
“Bell'accoglienza,
sfregiato”, la mia voce è ferma e sicura, non
mostra cedimenti di
sorta.
Lui
mi guarda in silenzio per quelle che sembrano delle ore.
Poi,
quando inizio ad essere stanco di starmene qui in piedi sulla soglia
come uno stupido, dice piano:
“Ho visto
tante persone che se ne andavano.”
“Se
inviti la gente a casa per farti trovare conciato così, non
stento a
crederlo.”
L'occhiata
che mi lancia mi gela il sorriso sulle labbra. D'accordo, d'accordo,
forse potevo risparmiarmi la battuta. Il tatto non è la mia
dote
migliore, si sa.
Mi
mordo la lingua per non aggiungere altre frecciate velenose e mi
concentro sulla frase che ha detto un attimo fa. Ho visto
tante
persone che se ne andavano... Cos'è Potter, il
teatrino di Jack
lo Squartatore è un modo per saggiare le intenzioni dei tuoi
ospiti
subito e non restare deluso in un secondo momento? È una
specie di
prova, per testare i nervi dei malcapitati? Sei stato ferito, Harry?
Quante volte? Chi ha osato tanto?
Ma
non dico niente di tutto ciò.
“E
mai nessuno è tornato indietro?”
chiedo invece.
La
mia domanda lo spiazza. Posso vedere la sorpresa prendere forma nelle
sue iridi verdi.
Soppesa
per un po' la possibilità di rispondermi, poi scuote la
testa.
Tengo
a freno la lingua, evitando di lasciarmi andare ad un altro commento
dei miei.
"Io
non sono come gli altri." Non so bene perché ho detto questa
cosa. "Mi fai entrare o no?"" Batto il piede sul
gradino, impaziente.
Potter sembra, se possibile, ancora più sorpreso.
Si sposta per lasciarmi entrare in casa con un gesto goffo e
imbarazzato.
L'ambiente
dentro è in linea con la facciata scrostata all'esterno.
Tappeti
tarmati, quadri polverosi, abiti gettati a casaccio sul corrimano
delle scale. Penso di poter affermare con certezza che qui dentro non
viva nessuna rossa dal carattere impossibile. Abbandono,
trasandatezza, marciume. Troppo persino per il poco gusto di Potter.
Per Merlino, cosa gli è successo?
Seguo
il padrone di casa senza fare domande fino a una grane sala da
pranzo. Solo un paio di candele illuminano la stanza che per il resto
è avvolta nelle tenebre.
"Si
può sapere che ti prende, Potter? Non ricordavo tu avessi il
gusto
del macabro."
Lui
si volta verso di me. Nella luce soffusa il suo aspetto è
ancora più
inquietante, con tutto quel sangue che gli macchia gli abiti e la
pelle.
Scuote
di nuovo la testa senza dire niente.
D'un
tratto capisco il perché di questo suo prolungato silenzio.
"Non
pensavi che sarei arrivato fino a qui, vero? Il tuo test di
resistenza non prevedeva fino ad oggi una seconda parte dopo lo shock
della porta." Soffio nella sua direzione mentre mi slaccio il
fermaglio del mantello scuro. "Come ti ho detto poco fa, per tua
sfortuna, io non sono come tutti gli altri."
Il tessuto pesante
scivola a terra dalle mie spalle, rivelando una maglietta scura. E'
molto simile alla sua, anche se di miglior tessuto e fattura.
Stampato sopra c'è un secondo coniglietto assassino, che
ghigna
nella direzione di Potter con gli occhi iniettati di sangue.
Diciamo
che anche io ho avuto la mia buona dose di rifiuti e delusioni e
preferisco testare in anticipo le potenzialità dei miei
accompagnatori. Evito di ricoprirmi di sangue, quanto meno. Ma ho la
sensazione che con lui queste precauzioni saranno inutili.
"Chissà,
potremmo avere delle cose in comune, sfregiato."
Sorrido
appena al suo indirizzo quando i suoi occhi si posano sull'abito che
indosso e vedo prima sorpresa, poi una poco contenuta euforia
dipingersi sul suo viso.
È
più bello di quanto sia mai stato in tutte le altre volte
che ci
siamo visti, mentre un sorriso felice si dipinge sul suo viso e i
suoi tratti si distendono. Penso di poter vedere anche una nota di
colore farsi largo sulla pelle esangue delle sue guance.
Scuotendo
la testa per fermare questa sequela di osservazioni sciocche, prendo
posto al tavolo di legno, aspettando di vedere cosa Potter mi
proporrà come cena.
Mentre
aspetto, spero intensamente che entrare dentro questa casa non si
riveli il più grande sbaglio della mia vita.
*
* * * * * * * * * * * *
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Capitolo 6 *** Una proposta per dire di... no! ***
5 - Una proposta per dire di... no!
Ho
scritto la storia per il 12 Mesi di FF
Il
prompt di febbraio è: una
dichiarazione non a lieto fine
Personaggi:
Argus Gazza, Mrs Purr, Madama Pince
Rating:
verde
Genere:
commedia,
parodia
Introduzione:
Il giorno di San Valentino,
il custode di Hogwarts ha indossato il suo completo “migliore”.
Dopo decine di anni di attesa è pronto a rivelare i suoi sentimenti
a quella che crede essere la donna della sua vita... Lei sarà pronta
a dire di sì???
NdA:
Per il 2° mese consecutivo mi sono buttata su un genere comico e
divertente, poco serio. Anche in questo caso l'idea mi è venuta
subito dopo aver visto il tema, ma il tempo per buttare giù la
storia scarseggiava e ho dovuto posticipare il mio giorno.
La
storia è ambientata il giorno di San Valentino, in un anno
imprecisato.
Ho
voluto giocare con l'immagine classica della dichiarazione d'amore –
il lui impeccabile, la bella in estasi, le rose, ecc. - inserendo
però dei personaggi fuori dai canoni. L'immagine dovrebbe risultare
comica – sarete voi a dire se ci sono riuscita o meno.
Per
il lessico ho scelto volontariamente di accostare parole “basse”
ed “alte”, sempre per dare l'idea della paradossalità
dell'intera vicenda.
Il
personaggio di Madama Pince l'ho caratterizzato un po' a mio modo.
Non ho trovato descrizioni fisiche dettagliate, per cui mi sono
sentita libera di farlo...
In
corsivo i pensieri di Gazza.
Il titolo l'ho preso da un film (solo che lì era "Una proposta
per dire di sì) riadattandolo alla situazione... ^^
Una
proposta per dire di... no!
Lui
si guardò allo specchio impolverato con sguardo soddisfatto.
I
radi capelli grigi erano pettinati con cura in due ciuffetti
laterali, l'abito tarmato stava su che era una meraviglia, il cardo
spinoso all'occhiello richiamava alla perfezione il mazzo di fiori
nella sua mano destra.
Una
bellezza.
Mentre
sorrideva fiero alla propria immagine, mostrando una fila di denti
ingialliti, la sua mente andò veloce alla lei che di lì a poco
avrebbe potuto godere di quello spettacolo.
La
figura rinsecchita, il naso aquilino, gli occhi piccoli e penetranti.
Una
vera bellezza – si disse tra
sé per la seconda volta in pochi minuti.
Il
momento infine era giunto.
Dopo
anni passati nell'ombra, ad osservare da lontano senza il coraggio di
dichiararsi, aveva deciso che quello era il giorno giusto per farlo.
Non
era forse la festa degli innamorati?
I
melensi Cupido dai boccoli dorati che per tutto il giorno erano
volati di qua e di là per il castello, ricoprendo di petali di rosa
e cuoricini di carta i passanti sventurati, glielo avevano ricordato
incessantemente.
Aveva
preso coraggio.
Aveva
indossato il suo abito migliore, dopo aver raccolto nel giardino dei
fiori adatti per l'occasione, e si era preparato una dichiarazione
con i contro fiocchi.
Così,
agghindato e sicuro di sé, il custode di Hogwarts, Argus Gazza,
camminava ad ampie falcate verso la sua bella.
Quando
arrivò in vista della sua meta si sistemò il cravattino ingiallito
e preso fiato.
La
porta della Biblioteca si stagliava davanti a lui, minacciosa e
apparentemente inattaccabile proprio come la custode di quel luogo,
la donna a cui era pronto ad aprire il suo cuore.
Le
nocche ossute di Gazza risuonarono sul legno di quercia, il rumore
amplificato dal corridoio ampio e deserto. Toc, toc, toc.
Solo
pochi minuti prima che Madama Pince aprisse uno spiraglio per vedere
di cosa si trattasse.
“Non
è orario di consultazione...”, iniziò con voce secca, prima di
mettere a fuoco chi si trovava davanti. “Gazza? Cosa...”, ma
prima che potesse terminare la frase l'ometto si era già buttato in
ginocchio ai suoi piedi.
La
donna rimase senza parole.
Il
custode, brandendo davanti a sé il mazzo di cardi come una spada,
fece tutto di un fiato la sua studiatissima dichiarazione: “Pince,
sei la donna giusta con cui condire... condividere i miei
giorni. Vuoi sposarmi, dolcezza?”
Il
silenzio calò sul corridoio in penombra.
Lo
sguardo della bibliotecaria posato sulla figura davanti a sé era una
via di mezzo tra la sorpresa e l'orrore.
Non
proferì parola, mentre Gazza la fissava dal basso verso l'alto...
poi richiuse la porta con un sonoro tonfo.
Lui
rimase lì in silenzio.
Non
deve essere andata bene – pensò tra sé mentre si rimetteva in
posizione eretta.
Prima
di avere il tempo di fare qualsiasi cosa, il custode avvertì una
nota presenza accanto a sé. Mrs Purr si strusciò alla sua gamba e
rispose alla carezza affettuosa dell'uomo con un sonoro e soddisfatto
“Miaooo”.
“Ho
preso un granchio, dolcezza”, le si rivolse l'ometto suadente, “sei
tu la sola donna della mia vita.”
E
detto questo si incamminò per i corridoi fiocamente illuminati,
gettando nella pattumiera lo strano mazzo di fiori e ogni velleità
amatoria diversa da quella animale.
***************
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Capitolo 7 *** Lacrime di pioggia ***
6 - Lacrime di pioggia
Ho
scritto la storia per il 12 Mesi di FF
Il
prompt di marzo è: in
un giorno di pioggia
Personaggi:
Andromeda Black, Ted Tonks, Teddy Lupin
Rating:
giallo
Genere:
triste,
malinconico
Introduzione:
Andromeda guarda fuori dalla
finestra. Piove. Mentre vede l'acqua scorrere la donna pensa che,
ironia della sorte, questo sembra essere lo sfondo di molti momenti
importanti della sua vita recente...
NdA:
Vogliate
scusarmi – ve lo dico in anticipo! - per i toni tragici della
vicenda. Non è un gran momento per me, e questo mio stato d'animo si
è riflesso sulla storia. Spero di non risultare troppo... chissà,
vedremo cosa ne pensate.
La
storia è ambientata alcuni anni dopo la guerra (la storia è andata
come racconta la Row).
Ho
immaginato che i momenti importanti della vita recente di Andromeda,
quella segnata dalla guerra e dal ritorno di Voldemort al potere, si
siano svolti con il ticchettare della pioggia come sottofondo.
Diciamo che ho fatto della pioggia il filo conduttore della storia.
Non
ho idea se gli occhi di Andromeda siano viola o quelli di Ted
castani, diciamo che ho giocato di fantasia.
Ho
usato il corsivo per i ricordi. Il fatto di non usare i nomi
propri, ma lui, lei, ecc. è voluto. Così indefinita la
storia mi piaceva di più... ^^
Lacrime
di pioggia
Amo
la pioggia,
lava
via le ferite dai marciapiedi della vita.
[Woody
Allen]
Guardo
fuori dalla finestra.
L'aria
è pesante e nebbiosa, tanto che a stento posso vedere le colline a
poche miglia da qui.
Il
cielo è plumbeo, un velo grigio senza fine sembra coprire ogni cosa.
Piove.
Le
gocce bagnano tutto, tanto fitte che non si possono distinguere le
une dalle altre.
Mi
stringo lo scialle intorno alle spalle rabbrividendo appena.
Guardo
fuori, seduta da sola sulla mia sedia a dondolo.
Guardo
fuori e penso. Mi capita spesso in questo periodo. Non mi è rimasto
poi molto altro da fare.
Patetica.
Ecco come mi apostroferebbero mio marito e mia figlia, se fossero
qui. Una signora anziana e patetica. Sono diventata questo.
Guardo
fuori, guardo la pioggia. Un sorriso appena accennato e terribilmente
amaro si dipinge sulla mia faccia.
Strano come ogni evento
dell'ultimo periodo, ogni evento che mi abbia riguardata da vicino,
sembri essersi svolto sotto una pioggia incessante. Il ticchettio
delle gocce sulle travi del tetto, la fumosa immobilità tutto
intorno. Ogni mio dolore sembra avere avuto questo come scenario
prestabilito...
*
* * * * * * * * * * *
Pioveva
a dirotto il giorno che mio marito era dovuto fuggire.
Una
mattina non salutata dal bacio caldo del sole, un'alba neppure
accennata.
Lui
aveva raccolto poche cose dentro uno zaino, senza dire niente.
Sapevamo entrambi che quel momento prima o dopo sarebbe arrivato. Il
mondo intorno a noi aveva preso a girare, sempre più vorticosamente.
Restare immobili non era più un'opzione. Tutto era diverso, adesso.
Andarsene, nascondersi, vivere in clandestinità, erano le sue uniche
possibilità di vivere. “Vivere libero”, come mi aveva ripetuto
molte volte. Non esisteva altro modo, per lui. Un'esistenza fatta di
catene e divieti e schiavitù, quella sarebbe stata la vera morte.
Se
ne era andato per cercare una possibilità, per credere ancora che il
mondo potesse tornare ad andare alla velocità giusta, per credere
che per noi ci sarebbe stato un futuro.
L'avevo
accompagnato alla porta di casa senza dire una parola.
Un
ultimo sguardo sulla soglia, occhi ametista in occhi castani. Poi lui
aveva voltato le spalle e a me non mi era rimasto altro che una
presenza sempre più sbiadita tra le mura di questa casa.
*
* * * * * * * * * * * * * *
Anche
quando avevo saputo della sua fine, scendeva la pioggia.
Mi
ero svegliata con una strana sensazione addosso. Era come se nel mio
petto il cuore avesse iniziato a battere in modo più lento, come se
qualcosa si fosse spento per sempre.
Avevo
provato a non dare peso alla cosa, concentrandomi sulle mie inutili
faccende. Avevo finto che fosse solo la paura, da mesi mia fedele
compagna, a farmi quello strano effetto. Menzogne di una vedova.
Il
mio corpo già sapeva, prima che una voce giovane, ma triste,
annunciasse alla radio la lista giornaliera dei caduti, che quella
parte di me che da anni ormai era legata a lui se ne era andata per
sempre.
*
* * * * * * * * * *
Grosse
gocce rigavano i vetri delle finestre il giorno che alcuni maghi si
erano presentati alla mia porta per portarmi l'ultima, terribile
notizia.
La
guerra era finita, il male era sconfitto, ma... mia figlia non ce
l'aveva fatta.
“E'
morta combattendo per quello in cui credeva, facendo la cosa giusta.”
Mai
parole erano suonate alle mie orecchie più vuote ed inutili.
Bene
e male, giusto e sbagliato. Allora e una volta di più tutto mi era
parso così vuoto e vacuo.
Intere
famiglie distrutte, decine di vite spazzate via, era quello ciò che
contava al momento. Non
concetti astratti, non vuote formule di cortesia.
Erano
la mia famiglia, la mia vita, che non esistevano più.
*
* * * * * * * * * *
Guardo
fuori dalla finestra e saluto mentalmente tutti i miei morti. Lo
facci sempre, quando vedo le gocce d'acqua bagnare il mondo, simili a
lacrime.
Lacrime
mai versate, le mie. Nonostante tutto quello che è successo, non
sono mai riuscita a piangere. C'è chi direbbe che qualcosa non va in
me – questione di sangue -, chi invece darebbe la colpa al dolore
che mi ha resa dura come la pietra e insensibile.
La
verità forse sta nel mezzo, o in nessun luogo.
Un
rumore di passi sul tappeto mi fa voltare, interrompendo la mia
contemplazione del paesaggio tetro.
Il
bambino, i capelli scarmigliati del colore delle ciliegie mature, mi
sorride.
Allunga
le braccia verso di me, in una muta richiesta.
“Come
si dice, Teddy?”
“Nonna!”
Sillaba lui, la voce fiera e argentina dei suoi due anni.
Mi
alzo e mi muovo verso di lui, prendendolo in braccio.
In
vero qualcosa mi è rimasto, oltre le rovine di vite perdute, di vite
spezzate.
Mio
nipote.
Mi
siedo con lui sulla sedia a dondolo, e inizio a cantare una vecchia
ninnananna con la mia voce melodiosa. Lui appoggia la testa contro il
mio petto, sereno, fiducioso.
Io
lo stringo e smetto per un attimo di pensare ai fantasmi del passato,
per concentrarmi solo su questa nuova vita che mi porta verso il
futuro.
Due
lacrime solitarie spuntano ai lati dei miei occhi, mentre il bimbo si
riaddormenta.
Fuori
la pioggia ha smesso di cadere.
-
- - - - - - -
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Capitolo 8 *** La principessa reclusa ***
7 - La principessa reclusa
Ho
scritto la storia per il 12 Mesi di FF
Il
prompt di aprile è:
Potranno
tagliare tutti i fiori, ma non fermeranno mai la primavera [Neruda]
Personaggi:
Astoria Greengrass, Narcissa Malfoy, Nuovo personaggio
Rating:
verde
Genere:
malinconico,
introspettivo
Introduzione:
Il matrimonio non è stato
una scelta per Astoria. Nessuno l'ha interpellata, nessuno ha pensato
che lei potesse avere qualcosa da dire. Dopo tre anni, la sua vita da
sposa è quella di una prigioniera - chiusa in una prigione d'oro, ma
pur sempre prigioniera.
Ma
nessuno può chiudere fuori la vita per sempre...
NdA:
L'idea
mi è venuta appena ho visto la frase del mese di aprile. Per
l'ennesima volta ho scelto di usare un personaggio non molto definito
o utilizzato nel fandom e di cui si sa ben poco... Ma la storia che
mi è venuta in mente è perfetta per Astoria quindi ho deciso di
buttarmi. In questo caso ho dovuto dipingere un Draco molto freddo,
molto distaccato – molto alla Lucius! - e quindi allontanarmi dal
Draco che di solito uso nelle mie storie.
Ho
immaginato che anche nel mondo magico esista il matrimonio per
procura – nel senso che viene firmato un contratto tra le parti, ma
i due sposi restano a casa propria, se uno o entrambi sono minorenne,
fino al raggiungimento della maggiore età (questo mi ha permesso di
far unire la nostra coppia alla fine degli anni di scuola di Draco,
ma anche di non immaginare un matrimonio tra un diciottenne e una
sedicenne).
La
principessa reclusa
Sto
volando a cavallo di una scopa.
Intorno
a me l'aria è tiepida, frizzantina, mi accarezza il viso facendomi
quasi il solletico.
Pochi
metri più in basso si apre un panorama mozzafiato. Il fiume scorre
impetuoso tra le rocce, per poi precipitare a valle e trasformarsi in
un placido laghetto.
Prendo
in considerazione l'idea di fermarmi un po' nel verde. Sarebbe bello
immergere i piedi nell'acqua fresca e riposarmi all'ombra degli
alberi. Potrei anche fare una passeggiata e arrivare a quei frutteti
che vedo poco più avanti...
Sì,
è un'ottima idea!
Punto
verso terra il manico della mia scopa e...
“La
colazione, Signora.”
La
voce di Holly, l'elfa domestica addetta alla cura della mia persona,
mi strappa dal mio sogno a occhi aperti ributtandomi di prepotenza
nella realtà. Stacco con disappunto lo sguardo dal cielo
azzurrognolo fuori dalla finestra della mia stanza per voltarmi verso
di lei.
“Non
ho molta fame, grazie.”
“Oh
no”, nei suoi occhi compare un lampo di panico, “la Signora non
sarà contenta con Holly se lei porta indietro il vassoio intatto.”
Dopo
diversi anni ancora mi sorprendo dell'effetto che anche solo il
pensiero di scatenare il disappunto di mia suocera ha sulla servitù.
Sorrido
rassicurante all'elfa di fronte a me, prima di sedermi al tavolo e
mandare giù qualche cucchiaio di porridge. Posso sentire Holly
rilassarsi, anche senza bisogno di guardarla.
* * * * * *
La
mia giornata passa lentissima, ogni ora sembra corrispondere a una
settimana.
Mandata
via Holly con quel che resta della mia colazione, faccio un lungo
bagno nella vasca di marmo bianchissimo. Quando l'acqua inizia a
raffreddarsi esco fuori e mi siedo davanti allo specchio.
Osservo
il mio viso pallido mentre mi spazzolo i lunghi capelli biondi, una,
due, dieci volte. Alla fine la mia chioma risplende come oro lucido,
ma nessun colorito è comparso sulle mie guance.
Con l'aiuto
dell'elfa indosso un bellissimo abito di seta cremisi che ho scelto
tra le centinaia ancora intatti contenuti nel mio armadio.
Mi
specchio di nuovo.
Sono
impeccabile come una regina, sono pronta a ricevere i regnanti di
tutta Europa... ma non ho nessuna visita in programma.
Lavata,
pettinata e abbigliata come una gran signora, mi siedo sulla poltrona
davanti alla finestra e leggo un libro.
Alle
12:00 in punto mi viene detto di scendere per il pranzo. Questo è,
se possibile, uno dei momenti che detesto di più. Per quanto mi pesi
la solitudine, tutto è meglio che condividere qualche minuto con mia
suocera.
Entro
nella sala e lei è già lì, seduta impettita al suo posto a
capotavola. Anche se, di fatto, adesso dovrei essere io la padrona di
questa casa, nessuno ha mai messo in dubbio che la madre di mio
marito occuperà quel posto fino alla sua dipartita.
La
donna bionda di fronte a me mi fissa per qualche istante con cipiglio
critico, poi piega appena la testa in segno di assenso. È il segnale
che ho superato il primo dei miei giornalieri esami e posso sedermi
per consumare il pasto.
Nessuna
delle due dice una parola mentre le portate compaiono sul tavolo.
Mangio appena.
“Non
ti senti bene, Astoria?” Il suono della sua voce mi fa quasi
sobbalzare, tanto sono avvezza al silenzio.
“Sto
benissimo, la ringrazio, mamma.”
Tutta
questa formalità mi strappava un sorriso, i primi tempi qui al
Manor. Dare del lei a una persona di famiglia e subito dopo usare un
appellativo confidenziale e affettuoso? Non era forse un'assurdità?
Mi prendevo gioco di simili convenzioni, una volta. Ridevo.
Oggi
non lo faccio più. Ho perso per sempre quella spensieratezza
infantile. Sono rinchiusa qui da troppo tempo.
“Non
vorrei dover avvisare mio figlio di questa tua indisposizione.”
Non
so per quale motivo, sentir alludere a Draco, a mio marito, mi
manda un brivido lungo la schiena.
Sono
ormai diversi giorni che non si fa vedere. La versione che mi è
stata data è un viaggio di lavoro, la verità... suppongo non si
riduca a questo.
“Non
ce ne sarà alcun bisogno”, rispondo piatta, servendomi un altro
po' di pasticcio di carne.
La
farsa si protrae per altri venti, interminabili minuti. Lei che
scruta quello che mi metto nel piatto e finge di interessarsi, io che
ribatto con una cortesia tutt'altro che naturale e cerco di
assecondarla.
Spariti
i dolci dalla tavola, con un altro contenuto cenno del capo, Narcissa
mi congeda.
Esco
dalla stanza a testa alta, lo stomaco ancora più chiuso di quando mi
sono seduta.
* * * * * * *
La
pendola nell'ingresso batte tetramente quattro rintocchi quando mi
chiudo i battenti della porta alle spalle.
Ho indosso un abito meno
sontuoso di quello con cui mi sono presentata a pranzo. I capelli li
ho raccolti in una coda che mi scende morbida sulla schiena. Guanti
di pelle di drago tutt'altro che nuovi e scarpe comode.
Se qualcuno
mi vedesse stenterebbe a riconoscere in questa ragazza l'impeccabile
Signora Malfoy.
So
di essere in disordine e so di non essere impeccabile come ci si
aspetterebbe da me. Non mi importa anzi, ne sono quasi felice. È
come una piccola ribellione, la sola che mi rimane.
Sorrido
mentre entro nel mio momento preferito della giornata...
La
primavera mi avvolge, quando mi lascio il patio alle spalle ed esco
in giardino.
Questo è il solo spazio della casa che sembra pulsare
di vita, il solo dove posso respirare allegria e luce.
È
il solo spazio qui che sento davvero mio.
Quando
tre anni fa mi sono sposata e sono venuta a vivere al Manor, vedendo
questo grande spazio verde ho capito subito che volevo essere io a
occuparmene.
Narcissa
e Draco non erano d'accordo – potare le aiuole non rientrava nelle
attività che loro avevano pensato per me! -, ma alla fine non hanno
potuto negarmi anche questo piccolo, unico, piacere.
I
giardinieri sono stati congedati, sono rimasta io la sola regina.
Amo
stare qui fuori. Sistemare i fiori e le piante aromatiche, cogliere
la frutta, innaffiare l'erba. Le ore passano, per una volta,
velocemente e il momento di tornare indietro arriva correndo. Mi pesa
il doppio, dopo, chiudermi la porta di legno alle spalle e lasciare
il mondo all'esterno... ma non rinuncerei mai a questo passatempo! Mi
fa sentire viva, mi fa sentire utile, e per un momento posso anche
dimenticare la mia vita.
Una
reclusa, ecco cosa sono.
Una
prigioniera incatenata con anelli d'oro, ma pur sempre una
prigioniera.
Quando
i miei genitori mi informarono che Draco Malfoy e io saremmo
diventati sposi fui sorpresa ed eccitata al tempo stesso. Con tutte
le ragazze che c'erano ad Hogwarts e non solo, doveva esserci un buon
motivo perché lui aveva voluto me. Da ragazzina ingenua quale ero
pensavo si trattasse di amore.
Illusa.
Quando,
incontrandoci, mi resi conto che non c'era sentimento negli occhi
grigi di Draco – nessun trasporto particolare per me, nessuna luce
–, non mi detti per vinta. Iniziai a pensare che fosse del tutto
naturale, che non ci conoscevamo, ma che col tempo, vivendo sotto lo
stesso tetto, alla fine l'amore sarebbe arrivato.
Dopo
tutto lui mi aveva scelta...
Bugie.
La
nostra non è stata altro che un'unione di interesse. Non è stato
lui a prendere una decisione, non è stato lui a volermi. Sono stati
i nostri genitori. Cose come l'amore o il desiderio non hanno avuto
alcun peso sui piatti della bilancia di questo accordo.
Sono
moglie dall'età di sedici anni.
Andavo
ancora a Hogwarts quando io e Draco siamo stati uniti in
matrimonio... per procura.
Io
non ho dovuto fare niente, nemmeno essere fisicamente presente; mio
padre ha pensato a tutto. Un notaio, la firma di Rodolphus Greengrass
insieme a quella di Draco Malfoy, inchiostro smeraldo su una
pergamena chiara.
Sono
diventata moglie in pochi minuti - moglie di nome, senza poterlo
essere ancora di fatto.
Anche
questo era stato già deciso da tempo. Io sarei rimasta a scuola,
avrei completato la mia istruzione per i due anni rimanenti, prima di
trasferirmi nella mia nuova casa e cominciare la mia nuova esistenza.
Così,
mentre il mio neo-sposo iniziava una carriere e una vita lontano da
me, e io restavo intrappolata in un limbo spaventoso (non più
ragazzina, non ancora donna) non ho fatto altro che riempirmi la
testa, giorno dopo giorno, di sogni su quello che sarebbe venuto
dopo.
Quando
lui veniva a trovarmi era sempre gentile, un impeccabile gentiluomo.
Non avevo niente di concreto di cui lagnarmi, eppure provavo una
sensazione strana, un'inquietudine di fondo.
Tante
volte ho provato a confidarmi con i miei genitori, con Daphne, a
trovare in loro risposte ai miei dubbi - perché Draco era sempre
così freddo, così distante? Perché non sembrava provare nulla di
particolare per me? -, ma loro mi hanno sempre liquidata con
un'alzata di spalle. Le mie non erano altro che le farneticazioni di
un'adolescente. Il futuro avrebbe portato tutti i chiarimenti del
caso.
Mi
hanno convinta. Ho pensato davvero che il giorno in cui io e lui
avessimo iniziato a condividere la casa, a vivere davvero da marito e
moglie, tutto sarebbe andato a posto.
Sono
venuta a vivere a Malfoy Mannor a diciotto anni, maggiorenne per le
leggi magiche, sposata da tempo.
Nonostante
questo, non ero preparata affatto. Nessuno mi aveva avvisato su
quello che era in serbo per me, nessuno era stato nemmeno in parte
sincero.
Nessuno
dei sogni che mi ero costruita in quei primi due anni di matrimonio
'a distanza' si è dimostrato veritiero.
Lui
non è diventato meno freddo col tempo, né si è mai avvicinato a
me. Semplicemente, abbiamo iniziato a vivere sotto lo stesso tetto
restando due estranei.
Draco
aveva già la sua vita, la sua carriera, le sue ambizioni, non aveva
bisogno di me per sentirsi completo, né tanto meno lo desiderava.
Con
il passare del tempo mi sono sempre più resa conto che era una
bambola di porcellana quella che, sposandosi, aveva voluto ottenere.
Quello di cui un nobile Malfoy aveva bisogno era una consorte
impeccabile, bella e sorridente, da esibire a comando nelle occasioni
in cui era richiesta una compagna, da riporre sul piedistallo una
volta servita allo scopo.
Quello
di cui un nobile Malfoy aveva bisogno era una ragazza giovane, con il
sangue giusto, che a tempo debito gli desse dei figli dal sangue
altrettanto puro.
Per
questo ero stata scelta.
Avevo
la bellezza giusta, l'albero genealogico giusto. Ci si aspettava da
me che fossi sempre pronta a ricoprire il ruolo della sposa devota e
perfetta, per il resto il mio compito si esauriva lì.
Non
era previsto che io avessi delle ambizioni, dei sogni, delle
aspettative. Non era previsto che io volessi fare qualcosa che non
fosse passare le giornate, vestita in modo impeccabile, ad aspettare
che lui avesse bisogno di esibirmi. Non era previsto che volessi
uscire dal Manor né tanto meno che non fossi del tutto soddisfatta
della mia nuova condizione.
I
primi tempi avevo tentato di protestare, di ribellarmi. Non avevo
forse diritto anche io a una vita mia? A una professione, degli
amici, una qualche occupazione?
Qualsiasi
cosa, ma fuori da queste mura?
La
risposta era no.
Nessun
diritto, nessuna aspettativa. Per la moglie di Draco Malfoy il mondo
doveva iniziare e finire con lui.
Ho
provato a rivolgermi ai miei genitori, non è servito a niente.
“Hai
tutto ciò che ogni donna sogna – potere, ricchezza, denaro.
Cos'altro può esserci di importante?” Queste sono state le
lapidarie parole di mia madre.
Per
la prima volta ho capito di essere sola. La firma su quel contratto
di matrimonio mi aveva separato per sempre dalla casa della mia
infanzia, dalla mia famiglia... ora era Draco la mia unica famiglia.
Draco,
e sua madre.
Fin
dal primo giorno, Narcissa è stata una figura ingombrante nella
relazione tra me e mio marito. Ogni volta che avremmo potuto
ritagliarci un momento per noi, guadagnare un po' di intimità, lei
era lì. Compariva immancabilmente come a sventare il pericolo che io
e Draco ci avvicinassimo.
Col
tempo mi sono convinta che la sua sia pura e semplice gelosia. Mia
suocera è gelosa di me. Ha paura di perdere l'ascendente che da
sempre esercita sul figlio, ha paura che io prenda il suo posto nella
vita di Draco. Non ha nessuna intenzione di farsi soppiantare dalla
nuora ventenne e usa tutte le armi a disposizione per mantenere il
suo posto.
Ho imparato a non intromettermi, a rispettare certi confini.
Mia
suocera vuole continuare a essere la padrona qui al Manor? Vuole
guidare da dietro le quinte le scelte di Draco come ha sempre fatto?
Così sia.
Ma
la mia sottomissione e remissività non l'hanno resa più bonaria nei
miei confronti. Per quanto io cerchi di vederla il meno possibile, la
sua presenza preme su di me come una cappa scura. Nessuna mia azione
le sfugge, nessuna mia parola passa inascoltata.
Narcissa
avrebbe potuto essere una madre per me, persino un'amica e
un'alleata. In realtà non è altro che la mia carceriera.
E
i cancelli di questa casa sono il mio confine.
Non
mi viene negato niente, qui dentro. Dormo tra le lenzuola più fini,
indosso i migliori vestiti, mangio il cibo più prelibato. Ho a
disposizione una biblioteca sterminata, posso guardare le stelle
dalla torretta del castello, se volessi potrei avere un animale.
Tutto ciò che desidero... purché io resti qui.
Qui,
dove Narcissa può tenermi sotto stretto controllo e dove Draco può
sempre trovarmi, in caso di bisogno.
Qui,
rinchiusa, prigioniera.
A
vent'anni, prima di cominciare, la mia vita è già finita.
Per
questo ho scelto di occuparmi del giardino e per una sola volta mi
sono imposta.
Per
illudermi, i brevi attimi che passo qui fuori, di poter sfuggire al
loro giogo.
Mi
fa stare bene il fatto che la loro mano non si allunghi anche qui,
tra i mandorli in fiore e i cespugli di rose. Possono tenermi sotto
una campana di vetro, possono privarmi della libertà, ma non hanno
potere sulla natura. Le piante tornano a fiorire ogni anno, per
quanto rigido sia stato l'inverno. Nuovi boccioli ricoprono i rami.
Potranno
tagliare tutti i fiori, ma non fermeranno mai la primavera.
È il ciclo della vita.
Mi
avvicino al boschetto di alberi da frutto piantati sul limitare del
giardino. Il solido muro di pietra mi ricorda, se mai ce ne fosse
bisogno, la mia condizione di reclusa. Cerco di non perdere il buon
umore dato dalla belle giornata e mi concentro sulle piante.
Poto
qualche rametto spezzato, accarezzo i tronchi rugosi, do una
sistemata alle foglie cadute.
A
un tratto, un rumore inatteso attira la mia attenzione. È come se
qualcosa stesse raschiando contro la pietra. Mi faccio guidare da
quel suono inatteso. Arrivo a fronteggiare la recinzione che mi
separa dal mondo.
Prima che possa fare o anche solo pensare qualcosa,
una piccola apertura spunta nel grigio del muro. Resto letteralmente
a bocca aperta.
“Ciao.”
Dall'altra
parte, mi sorride un ragazzo.
Le
sillabe faticano a salirmi alle labbra. È come se mi avessero
stregate.
Lui
mi osserva, un'espressione gioviale e allegra dipinta sul viso
lentigginoso.
“Non
volevo spaventarti.”
Il
suono della sua voce mi scuote nel profondo. È così tanto tempo che
qualcuno non parla con me in questo modo – senza formalità, senza
affettazione...
“Se
non ti avessi sentita parlare alle piante, penserei che ti abbiano
rubato la lingua.” Due fossette compaiono sulle sue guance, quando
il sorriso si allarga.
Mi
riprendo. Almeno quanto basta per rispondergli per le rime. “Quindi
mi spii da molto tempo?”
I
suoi occhi chiari scintillano mentre un lieve rossore gli sale alle
guance.
“E
tu offendi normalmente gli sconosciuti?” Questa volta è il mio
turno di arrossire. Abbasso lo sguardo e lui scoppia a ridere.
“Scherzavo.
Non mi sento affatto offeso.”
Involontariamente
metto su un lieve broncio. Si sta prendendo gioco di me?
“Non
era mia intenzione farti arrabbiare”, prosegue dopo un attimo.
Quegli occhi tanto azzurri mi invitano a crederci. “Comunque io
sono Sam, Sam Callpepper.”
A
fatica fa passare la mano dalla fessura nel muro e la tende nella mia
direzione.
Lo
fisso, spaventata per quello che sta per accadere.
Non
so perché, ho sempre immaginato che i miei carcerieri avessero messo
misure di sicurezza estremamente sensibili e complicate a custodia
della mia persona. Di fatto non ho mai provato queste mie teorie
perché non ho mai tentato di uscire di nascosto - che senso avrebbe
avuto? Sono chiusa qui di mia volontà. Sono sposata con Draco, non
mi ha rapita. Dove sarei potuta andare? E per fare cosa? - ma pensavo
a sirene, incantesimi scudo e difensivi, fatture e contro-fatture.
Narcissa che compare sul posto dopo un solo istante. Cose così.
Per
questo nel vedere il suo braccio che penetra nello spazio del Manor
resto impietrita, trattengo il fiato e... non succede niente. Nessuna
esplosione, nessun suono stridulo, nessuna suocera sul piede di
guerra che mi guarda pronta a incenerirmi. Niente di niente.
Solo
il cinguettio degli uccelli e la lieve brezza che agita le foglie.
Dopo
tanto tempo, mi esce una sincere e profonda risata.
Sam
mi guarda, senza capire, mentre rido come una bambina.
Dopo
un minuto abbondante, scuoto la testa come a volermi scusare per lo
sfogo e stringo forte la sua mano nella mia.
“Io
sono Astoria, Astoria... Greengrass.”
“Be',
è un piacere conoscerti Astoria.” La sua stretta è sicura e
decisa. “E sì, ti osservavo da diverso tempo.”
Passiamo
il pomeriggio a parlare attraverso la piccola fessura.
Lui
mi racconta qualcosa di sé e io l'ascolto rapita come se fosse la
più bella storia del mondo. Vive poco distante da qui, con il padre,
la madre e le due sorelline minori. Ha la mia stessa età, sta
finendo gli studi all'Università della cittadina vicina – ignoro
cosa sia questa Uni-qualcosa, ma mi guardo bene dal dirglielo! - e
dopo sogna di trasferirsi a Londra.
È
un Babbano, non c'è niente di magico in lui, eppure nessuno prima di
oggi è risultato ai miei occhi così interessante e affascinante.
Dal buco nel muro posso vedere solo il suo viso, ma attraverso le sue
parole la mia mente immagina molto di più.
Parla
e io l'ascolto, a volte faccio un commento e ridiamo insieme.
Non
ricordo l'ultima volta che ho provato una gioia così pura e
semplice.
Quando
è il mio turno di parlare non so bene cosa dire. È il primo
contatto autentico che ho da anni e non voglio rischiare di
spaventarlo e rovinare tutto.
Resto
sul vago – una famiglia ricca, istruzione privata, genitori
possessivi.
“Allora
non avevo sbagliato troppo nelle mie supposizioni.” Commenta sempre
sorridente, quando smetto di parlare.
Lo
guardo, interrogativa. “Sì, da quando ho scoperto che qualcuno
viveva dall'altra parte del muro, e da quando ho visto che si
trattava di te, be'...”
“Cosa?”
Lo incalzo incuriosita.
“Non
prendermi per matto, ok?” Se solo sapesse chi sono e come vivo
dubito che potrebbe anche solo pensare che prenderei lui per matto.
Scuoto la testa.
“Ho
pensato che tu fossi una principessa, tenuta prigioniera da una
strega malvagia.”
Scoppia
a ridere subito dopo averlo detto.
Sei
andato terribilmente vicino alla verità, Sam.
Rido
anche io, come se fosse la cosa più folle del mondo.
Il
tempo passa in fretta, arriva l'ora di rientrare al Manor. Per quanto
vorrei prolungare questo momento più a lungo, razionalmente so che
non posso tardare o dentro si chiederanno che fine ho fatto e
verranno a cercarmi.
Mi
congedo con un semplice: “Devo andare”, pensando che sia la cosa
migliore tagliare così.
Sam
sorride. “Ok.”
Faccio
per andarmene.
“Astoria?”
Mi
volto al suono caldo della sua voce. “Tornerai in giardino domani?”
Con un entusiasmo che avevo dimenticato di avere faccio segno di sì
con la testa.
Il
suo viso si illumina.
“A
domani, allora.”
“A
domani.”
* * * * * * *
Mi
volto per tornare alla casa come riscaldata da una luce interna. Le
sue parole continuano a risuonarmi nelle orecchie. “A domani... a
domani... a domani...”
Per
la prima volta da anni, qualcosa mi aspetta terminato questo giorno.
Per la prima volta, domani non si prospetta vuoto e sterile come
tutti gli altri giorni. Per la prima volta sento la vita che torna a
pulsare nelle mie vene, come acqua che scorre impetuosa in un fiume.
Mi
sento esultante.
Quando però vedo la facciata imponente davanti a me reprimo a stento un
brivido. Quello che sto facendo è molto pericoloso.
Se solo Narcissa
lo venisse a sapere...
Ma quando la incontro a cena e mentre mangiamo il suo contegno è
lo stesso di poche ore fa, lo stesso di sempre, i miei timori si acquietano e so per certo che,
almeno per ora, non ho nulla da temere.
Né
mia suocera né tanto meno il mio troppo assente marito hanno motivo
di dubitare di me.
Io
sono solo la perfetta signora Malfoy, quella che loro si aspettano
che io sia. Io mi faccio bella, leggo, curo il giardino. Non penso
nulla che a loro non stia bene, non desidero nulla di più. Non mi
spingo oltre queste mura e questo matrimonio.
Pensano
di avermi domata, pensano di avermi cambiata. Si fidano di me. Anche
se la verità, oggi come non mai, è un'altra.
Mentre
salgo le scale per tornare nella mia stanza e prepararmi per la notte
penso che, contro ogni aspettativa, Astoria non è affatto morta. In
questi anni ho dormito, ho aspettato e mi sono adatta ad essere solo
la bambola di Draco, ma il fuoco in me non si è spento affatto. È
bastata una piccola scintilla per farlo ardere di nuovo brillante
come il sole.
I
miei sogni, le mie aspirazioni, quelli che avevo quando ho varcato
quella soglia a diciotto anni, sono ancora tutte qui. È bello
ritrovarle tale e quali le avevo lasciate.
Sento
il cuore che batte forte nel mio petto.
Per
quanto questo periodo sia stato difficile, sono ancora qui.
Potranno
tagliare tutti i fiori, ma non fermeranno mai la primavera.
Non sono riusciti ad uccidere la mia personalità, non sono riusciti
a rubarmi la speranza.
Sono
viva. E non la fermi la vita, quando pulsa nelle vene.
Mi
spazzolo i capelli seduta sull'ampio letto e sorrido beata.
Poi
mi sdraio e il lenzuolo pregiato mi avvolge come un manto.
Prima
di chiudere gli occhi, rivedo il sorriso aperto di un ragazzo
lentigginoso che mi guarda con interesse dall'altro lato del muro.
Il
suo sguardo è limpido e sincero, il suo sguardo parla di futuro.
A
domani... a domani.
*
* * * * *
|
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Capitolo 9 *** La promessa del domani ***
8 - La promessa del domani
Ho
scritto la storia per il 12 Mesi di FF
Il
prompt di maggio è: incontro
Personaggi:
Severus Piton, Lily Evans
Rating:
verde
Genere:
introspettivo,
malinconico
Introduzione:
Dopo anni di distanza e
separazione, Severus – passato per lei dalla parte dei buoni - non
resiste alla tentazione di rivedere Lily. La spia nascosto dalla
nebbia, a pochi passi, ma senza palesarsi. Prima di sparire, i loro
occhi sembrano incrociarsi per un momento e Severus torna a sperare.
Forse un giorno, quando la guerra sarà finita, il loro rapporto
potrà tornare a esistere... Non può sapere che è l'ultima volta
che la vede viva.
NdA:
Non
so perché, tra le tante possibilità sul tema, mi è venuta in mente
una storia così sad... Fatto sta, eccola qui! ^^
La
storia è ambientata nell'ottobre 1981 (la data penso dica già
qualcosa).
E'
plausibile che Piton e Lily non si siano visti per almeno un paio di
anni (precisamente dal 1978/79 quando finisce Hogwarts e i due
prendono strade opposte. Anche a scuola erano un paio di anni che i
due non si parlavano). Nel 1981, passato tra i buoni, ho immaginato
che Piton non abbia resistito alla tentazione di andare a Godric's
Hollow per vedere almeno per pochi istanti Lily (il fulcro e il
motore di larga parte delle sue scelte). La situazione fa molto
Piton: nascosto dal mantello dell'invisibilità e dalla nebbia, che
osserva senza essere visto stile stalker... ^^
L'insistenza
sul termine lei per indicare Lily (e anche l'uso di lui
per James) è voluta.
La
canzone che fa da sottofondo è Incontro di F.Guccini. Titolo
a parte, dice delle cose che mi sembravano davvero, davvero
azzeccate.
La
promesse del domani
Ottobre
1981
E
correndo mi incontrò lungo le scale,
quasi
nulla mi sembrò cambiato in lei.
Non
dovrei trovarmi qui. Ne sono cosciente. Troppo grande il pericolo per
me, anche se consapevole. Enorme quello per lei, fulcro ignaro
della mia visita.
Ma
non ho potuto più rimandare il viaggio. Troppo forte il desiderio di
vederla, di posare gli occhi su di lei anche se solo per pochi
istanti.
Così
sono qui, avvolto dalla nebbia che ammanta questo paesino perso nella
brughiera.
Così
sono qui, nascosto dalla cappa atmosferica e dal mio mantello.
Così
sono qui, come un ladro, come un criminale.
Ho
fatto cose spregevoli negli ultimi anni, forse è davvero questo
quello che sono. Le ho fatte, ma alla fine ho deciso di cambiare
tutto.
E
l'ho fatto per lei.
Un
brivido mi percorre la schiena. Prima ancora di vederla so che è lei
la persona che è uscita sulle scale della casa pochi passi davanti a
me.
Capelli
rossi, raccolti dietro la testa.
Corporatura
esile, ma una certa forza che traspare dal suo corpo.
Posso
distinguere il luccichio dei suoi occhi verdi.
Sono
passati gli anni, ma è esattamente come la ricordo nei miei sogni -
bella, viva.
Oh
Lily...
La
tristezza poi ci avvolse come miele,
per
il tempo scivolato su noi due.
Resto
immobile, come sospeso. Penso quasi di non star nemmeno più
respirando.
Lei
è qui, a pochi passi da me, eppure così irrimediabilmente lontana.
Ci
separa un breve tratto di strada. Se solo volessi potrei avvicinarmi,
parlarle, toccarla...
La
mia Lily...
Il
pianto di qualcuno poco lontano mi riscuote.
A
quel suono la vedo darmi la schiena e abbassarsi. Quando torna a
voltarsi verso di me, quando posso di nuovo vederla in volto, tiene
tra le braccia un bambino.
Mi
sento venire meno.
I
capelli scuri del piccolo sono spettinati come quelli di lui.
Gli occhi invece... posso vedere il verde brillare.
Guardando
questa scena in silenzio, allora capisco quanto la prima impressione
che ho provato rivedendola fosse sbagliata. Non è vero che non è
cambiato niente, non è vero che il tempo sembra non essere passato.
I giorni sono voltai in questi anni, veloci come lampi nel cielo.
Sono
stato lontano da Lily per molto tempo.
Oggi
niente è come allora.
Il
sole che calava già, rosseggiava la città
già nostra e ora
straniera e incredibile e fredda.
Dovrei
andare via. Il motivo stesso per cui sono venuto fin qui sembra
adesso una follia.
Vederla.
Nonostante
fossi consapevole del fatto che adesso lei ha una vita, una famiglia,
un figlio. Con lui - quell'essere spregevole di nome James
Potter. Con lui, non con me.
Dovrei
andarmene.
Il
sole alle mie spalle sta calando. Non lo vedo, avvolto nella cortina
di nebbia, ma posso dedurlo dal fatto che tutto intorno si sta
facendo buio e scuro.
Anche
lei sembra essersi accorta del cambiamento, perché con il bambino
ancora stretto tra le braccia si volta per tornare dentro casa.
Come
un istante "deja vu",
ombra
della gioventù, ci circondava la nebbia...
Io
me ne sto andando, lei se ne sta andando. Una scena già vista che sa
di consuetudine.
Una
scena che ho rivissuto mille volte nella mia mente, nelle notti
tormentate dal ricordo di lei.
Lily
che cerca di parlare, di farmi ragionare. Io che la insulto. Lei che
mi volta le spalle e se ne va, per sempre.
Prima
di scomparire nella foschia fisso ancora per una volta gli occhi su
di lei.
E'
un attimo. Mentre io la guardo lei alza gli occhi.
So
che è impossibile. So che lei non può vedermi, avvolto come sono
dal mantello dell'invisibilità e dalla notte che incombe. Lo so.
Eppure per un momento, per un breve e intenso attimo, è come se i
nostri sguardi si incrociassero. Sento i suoi occhi verdi nei miei.
Sento il calore di Lily.
Poi
l'incanto si spezza. La vedo rabbrividire appena e rientrare in casa
senza indugio.
Mi
volto per andarmene.
Ma
nel mio cuore sento adesso bruciare una piccola fiamma di speranza.
Forse
un giorno, quando la nebbia che ci avvolge sarà svanita e tornerà a
splendere il sole... forse, dopo aver combattuto tanto, potrò
tornare da lei, a volto scoperto, senza nascondermi.
Tornerò
qui e le parlerò a cuore aperto, le dirò tutto quello che le ho
taciuto negli anni.
E
forse allora lei potrà perdonare la mia follia.
*
* * * * *
I
coniugi James e Lily Potter morirono in un attacco del Signore
Oscuro.
Era
il 31 ottobre 1981.
*
* * * *
|
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Capitolo 10 *** Happy Birthday, Mr. Weasley ***
9 - Happy birthday, Mr. Weasley
La
storia è stata scritta per il 12 mesi di FF
Il
prompt di giugno è (azzecatissimamente :) compleanno
Personaggi:
Bill Weasley, Fleur Delacour
Rating:
verde
Genere:
commedia
Introduzione:
La guerra cambia molte cose.
Insegna a mettere tutto nella giusta prospettiva. Che importanza può
avere il compleanno in uno scenario del genere? È solo un giorno
come gli altri, un giorno in cui lottare per cercare di restare vivi.
Il
29 novembre Bill Weasley compie 27 anni, e l'ha dimenticato.
Ma
Fleur, novella sposa, troverà il modo per rendere quel giorno
indimenticabile...
NdA:
Qui
vi dico solo che in corsivo leggerete i pensieri di Bill e che il
punto di vista è per il 90% suo e per il 10 % di Fleur. Il resto
delle NdA sono alla fine, leggendo penso capirete perché... ^^
Happy
birthday, Mr. Weasley
29
Novembre 1997
Il
cielo era grigio sulla brughiera, dell'alba imminente non si vedeva
nessuna traccia.
Faceva
freddo, un freddo penetrante e sinistro che ti penetrava nelle ossa e
ti faceva dubitare che una qualche forma di calore sarebbe mai più
stata sufficiente a scacciarlo via.
La
nebbia avvolgeva il paesaggio e le persone, una nebbia sovrannaturale
e strisciante, una nebbia che parlava di morte, di male, di paura.
Bill
Weasley entrò in quella che da alcuni mesi era diventata la sua
nuova casa scrollandosi di dosso la condensa provocata dal clima
spettrale all'esterno.
Con
un colpo di bacchetta il mantello fu di nuovo asciutto.
Dentro
Villa Conchiglia l'aria era tiepida, fragrante. Per un attimo potevi
quasi dimenticare tutto il grigio e il gelo che si trovava
all'esterno.
Bill
si passò una mano sul viso segnato, cercando di cancellare anche la
stanchezza e l'allarme dai propri tratti. Non voleva mettere in
allarme Fleur, che magari dormiva serena.
Sorrise
mestamente sentendo che la cappa di nero che lo avvolgeva era meno
facile da far scomparire del bagnato sui vestiti.
È
stata una lunga notte...
Stava
per salire le scale che portavano ai piani superiori quando una serie
di candele si accese nella cucina.
Bill
fu colto di sorpresa da quel chiarore inaspettato, ma in meno di un
secondo aveva già sguainato la bacchetta, pronto a combattere
l'intruso.
Restò
del tutto senza parole quando si accorse che il solo altro occupante
della stanza ora leggermente illuminata era un'enorme cosa
nell'angolo.
Per
Merlino, cosa ci fa una torta gigante nella mia cucina?
Ma
subito dopo aver formulato il pensiero, Bill realizzò. Quel giorno
così tetro e grigio che incominciava fuori dalla finestra era il 29
del mese di novembre.
Il
mio compleanno.
L'uomo
non ebbe il tempo di pensare che la moglie era stata carina a
ricordare quella data, fuori luogo forse – visto tutto quello che
stava succedendo nel Mondo Magico -, ma indubbiamente carina, che una
musichetta riempì l'aria.
Per
la seconda volta in pochi minuti Bill Weasley rimase impietrito e
senza parole.
La
cosa nell'angolo si era magicamente aperta in due.
Dal
suo interno era uscita sua moglie, Fleur Delacour.
Solo
che era diversa...
Era ovviamente bellissima, ma i suoi capelli
chiari erano acconciati in modo che sembrassero più corti e
cadessero in morbide onde molto sopra l'altezza delle spalle.
Indossava un vestito color carne decisamente succinto. Bill vide che
aveva anche un neo sulla guancia sinistra, poco sopra la bocca.
Tutto
l'abbinamento gli ricordava qualcuno...
Ma
non ebbe tempo di scervellarsi su chi fosse quel qualcuno quando lei
iniziò a cantare con voce suadente, muovendosi sinuosa e provocante
verso di lui.
Happy
birthday to you.
Happy
birthday to you.
Happy
birthday, Mr. … Weasley!!
Happy
birthday to you.
Bill
fissò per un attimo la sosia di Marilyn Monroe che si era appena
esibita nella sua cucina... poi scoppiò a ridere.
Una
risata sentita, una risata di cuore.
Una
risata incontenibile e profonda come era da tempo che non gli
capitava.
Fleur
lo guardò negli occhi e mise su un impercettibile broncio.
Come?
Aveva letto tutti quei vecchi libri Babbani sul cinema notando i
commenti che il giovane Bill aveva appuntato sui margini delle
pagine. Aveva capito che lui aveva una specie di cotta per una di
quelle attrici dalle forme prorompenti a dai capelli platinati -
Marilyn qualcosa.
Aveva
cercato i filmati su di lei a casa dei suoceri e li aveva guardati
tutti, per capire chi fosse la donna per cui suo marito sembrava
avere da ragazzo una specie di ossessione. E poi si era sistemata a
quel modo, mettendoci tutto il pomeriggio, e diciamocelo quella non
era proprio la sua migliore mise.
E
ora lui le rideva in faccia?? Inaccettabile.
Quando
Bill si fu calmato abbastanza da poter di nuovo parlare, lei gli
chiese con voce lievemente irritata.
“Non
ti è piasciuto?”
Il
suo accento francese con il passare del tempo era quasi del tutto
sparito, ma quando non era del tutto padrona di sé tendeva a tornare
a galla a tradimento.
“L'ho
adorato, tesoro”, rispose lui asciugandosi le lacrime che lo
scoppio di ilarità gli aveva fatto venire agli occhi.
“Alors,
perché ridi?”
Perché
ridi?
Bill
avrebbe potuto rispondere mille cose diverse, in quel momento.
Rido
perché ho sognato per anni un incontro con Marilyn, ho anche cercato
qualche incantesimo che potesse darmi un mano all'epoca, ed ecco che
il mio desiderio si concretizza nella mia cucina, quando ormai la
fissazione per lei è solo un lontano ricordo.
Rido
perché con tutto il male che ci circonda è incredibile rendersi
conto di poterlo ancora fare, che esistono su questa terra momenti
felici, che nessun malvagio può strapparti via.
Rido
perché sei bellissima, e sei mia.
Rido
perché non credo che la vera Monroe si sia mai sognata di uscire da
una torta di compleanno, e di sicuro non nell'occasione ufficiale in
cui ha cantato questa canzone.
Rido
perché siamo indubbiamente vivi e questo è qualcosa su cui
lavorare.
Rido
perché la speranza di un futuro migliore non è spenta.
Bill
avrebbe potuto rispondere mille cose diverse in quel momento, ma
disse solo:
“Rido
perché mi rendi felice.”
E
attirò la moglie tra le braccia, facendo scomparire il suo broncio
con un bacio dolce sulle labbra.
Mentre
accarezzava i capelli chiari di Fleur che stavano perdendo la piega
anni '50 e tornavano a poco a poco a scenderle sulle spalle esili di
lei in morbide onde, pensò che in effetti quello – nonostante lo
avesse quasi dimenticato, nonostante i pericoli in agguato fuori
dalla porta, nonostante l'incertezza del futuro - era un buon
compleanno.
Uno
dei migliori.
Si
ritrovava a 27 anni ad essere un uomo molto più ricco e fortunato di
quanto non lo fosse mai stato prima.
La
sua fortuna la stringeva proprio in quel momento tra le braccia.
*
* * * * *
NdA:
Penso che adesso avrete capito perché ho
messo queste note alla fine... ^^
In
origine avevo pensato di scrivere una storia sull'adolescenza di
Sirius e sul suo 16 compleanno – sì, ok, fate bene a pensare che
il mio cervellino deve averne fatta di strada per passare da quello
a... questo
– ma la cosa (essendo lui nato di febbraio) presentava dei problemi
logistici e ho dovuto accantonare l'idea.
Il
titolo della storia, come avrete capito, non era scontato ma faceva
riferimento alla canzone cantata da Marilyn Monroe al presidente J.F.
Kennedy nel 1962 durante i festeggiamenti per il suo 45° compleanno.
Visto il film che sta per uscire su di lei mi è venuta in mente e mi
sono ispirata proprio a quel momento della sua vita (ma certe cose le
ho esagerato io. Per esempio, la Monroe non è mai uscita da una
torta o almeno non in quella occasione formale e ufficiale).
Vista
la passione del Signor Weasley per i Babbani non è del tutto
improbabile che anche i figli abbiano sviluppato un qualche interesse
per alcuni aspetti della vita “normale”. Ho immaginato che a Bill
piacesse il cinema, gli attori e la vecchia Hollywood. Ho pensato che
potesse avere dei libri sull'argomento. Fleur ha letto e ha preso
spunto a modo suo... ^^
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Capitolo 11 *** Frammenti di una vita fa ***
10 - Frammenti di una vita fa
La
storia è stata scritta per il 12 mesi di FF
Il
prompt di luglio è: “Questo
caldo mi sta sciogliendo il cervello”
Personaggi:
Bellatrix Lestrange
Rating:
giallo
Genere:
introspettivo,
dark
Introduzione:
Prigioniera
in una cella fredda come solo l'inferno dovrebbe essere. Prigioniera
di mura spesse e di sé stessa. Prigioniera da quella che sembra una
vita intera.
Nei
brevi momenti in cui torna padrona della sua mente sconvolta, quella
che una volta era conosciuta come Bellatrix Black vede cose...
desidera cose... Soprattutto, sogna il calore.
NdA:
Per
il 2° mese consecutivo quella che state per leggere non è la storia
che avevo immaginato di scrivere quando ho letto il prompt. Avevo
pensato a una storia leggera e divertente sul 36° compleanno di
Harry, visto con gli occhi di Lily. Sono finita a scrivere di
Bellatrix, della sua pazzia e della sua prigionia ad Azkaban. Che
salti può fare la mente umana, vero?! ^^
Bellatrix
non è un personaggio semplice su cui scrivere. Soprattutto perché è
difficile parlarne senza pensare a quello che ci ha raccontato di lei
zia Row. Non si può pensare Bellatrix scissa dai suoi delitti, dalla
sua cattiveria. Non si può immaginarla troppo diversa dalla pazza
assassina che diventerà. Quando io scrivo di lei, però, senza
dimenticare il futuro e il passato, cerco sempre di non farmi
condizionare. Per scrivere di qualcuno bisogna in un certo modo
sentirlo, anche affezionarcisi un po'. Con lei non è semplice, lo
ammetto, però in qualche modo ci riesco. Me la immagino sempre
contorta e malvagia, attraversata da questa vena di ossessione per il
male e di crudeltà fin da bambina, ma anche profonda, sfaccettata,
femminile. Be', questa è la mia versione.
La
storia è ambientata durante la reclusione ad Azkaban. Ho
situato la prigionia di Bellatrix tra il 1982 (i Potter sono morti
nel luglio 1981, quindi è plausibile) e il 1996 (quando Harry è al
5° anno, se non sbaglio), circa 14 anni. 5110 giorni.
Le
frasi in corsivo sono parole dette tra sé, voci immaginate,
ricordi.
Frammenti
di una vita fa
Giorno
1634
Fa
freddo qui dentro, tanto freddo.
Tutto
quello che riesco a percepire con chiarezza è gelo.
Non
so da quanto tempo la mia mente fosse lontana da questo ammasso di
ossa che ancora mi ostino a definire corpo.
Non
so quanto tempo sia passato dall'ultima volta che ho ripreso una
sorta di coscienza di me.
Giorni,
mesi, anni.
Potrei
esserei rinchiusa qui da pochi minuti, o da tutta una vita.
Farebbe
differenza?
Per
il mondo che continua a girare, ignaro persino della nostra esistenza
– noi esseri rinchiusi e rinnegati?
Per
le persone che ci hanno intrappolati, sicure e felici, ora che il
Male sembra sconfitto?
Per
me, patetica specie di relitto umano, senza più un nome, senza più
un futuro?
Una
risata sinistra e isterica sale dalle profondità delle mie viscere.
La
sento risuonare per un attimo tra le pareti vuote, prima di tapparmi
la bocca a forza, terrorizzata e attonita da questo mio gesto.
Loro
potrebbero arrivare...
Il
silenzio torna a prendere il sopravvento su tutto.
Forse
nessuno mi ha sentita. Forse ho solo immaginato di ridere.
Ma
dopo un attimo in cui il mio cuore ritrova il battito, sento qualcosa
che striscia nel buio.
Si
fa più vicino, sempre più vicino.
Loro
sono qui.
Un
attimo prima che il gelo mi attanagli, prima che quelle cose mi
sfiorino con i loro aliti che sanno di morte e putrefazione, mi copro
la testa con le braccia, in un patetico quanto vano tentativo di
difesa.
*
* * * * *
Giorno
1659
Apro
gli occhi all'improvviso.
Per
un attimo mi sento pervasa da una strana quanto folle lucidità.
So
dove mi trovo. So
chi sono.
Bellatrix
Black, così mi chiamavano le mie sorelle.
Dopo,
Madama Lestrange. Quella è una parte della mia identità che nessuno
mai mi permetterà di dimenticare.
Bellatrix.
Bella.
Mi
sembra di sentire una voce che mi chiama così dall'oscurità. Credo
davvero di sentirla.
Accesa
da questa folle fiammella di speranza cerco di orientarmi nel buio
fitto che mi circonda. I sensi all'erta, cerco di localizzare la
fonte del suono.
Brancolo
come una cieca nello spazio angusto della cella. Sbatto contro il
muro di pietra.
Sola,
sono sola.
Sfiancata
dallo sforzo fatto, mi accuccio a terra e mi lascio di nuovo
avvolgere dall'oblio.
Oblio
insidioso e avvolgente come un manto; oblio vuoto come la peggiore
delle maledizioni.
*
* * * * * *
Giorno
1699
Luce,
ecco cosa desidero.
Luce
e calore.
Ero
una donna potente, prima di finire qui.
Non
ricordo con esattezza, i contorni della mia vita passata si fanno
ogni giorno più sfocati. Non ricordo tutto, ma di questo fatto sono
certa.
Ero
potente, temuta, rispetta. Avevo tutto. Ho perso tutto. Adesso non mi
resta niente.
Eppure
se mi venisse chiesto quale è il mio desiderio più grande in questo
momento la risposta sorprenderebbe il mondo. Risponderei subito,
senza esitare. Né potere, né gloria. Direi:
luce, calore, bruciare.
Ho
sempre saputo che quello era il mio destino, ho sempre saputo che
solo nel fuoco avrei realizzato a pieno la mia natura più intima.
Mi
definiscono una creatura delle tenebre, lo so bene. Non posso dire di
non essermi adattata a questo ruolo.
Ho indossato il manto nero come
una seconda pelle. Ho indossato la maschera.
Ho seguito l'Oscuro
Signore fino a perdermi nell'ombra. Senza
rimorsi, senza rimpianti.
Ma
non posso dire di essermi sentita viva come quella volta che ho
brillato in pieno sole.
Non
ne sono sicura, eppure per un attimo il ricordo si fa cosa viva
davanti a me...
*
* * * * * * * * *
Ho
compiuto da poco 9 anni.
L'estate
è arrivata torrida come mai prima, quest'anno in Inghilterra.
Un
giorno, nell'ora di massima luce, esco fuori per mettermi alla prova.
So
che sono fatta per questo. Per il fuoco.
Dopo
un paio di ore sento delle voci che mi chiamano, allarmate.
Le
mie sorelle mi stanno cercando nel parco immenso.
Io
me ne sto sotto il sole cocente, incurante della mia pelle diafana
che lentamente prende fuoco. Incurante del calore di mezzogiorno,
incurante del dolore.
Immobile.
E
così che mi trovano.
“Bella,
andiamo”, la voce impaziente di Narcissa, “questo caldo mi sta
sciogliendo il cervello.”
Povera,
piccola sorella mia. Così
bella, così... debole.
Rivolgo
a lei i miei occhi spiritati. Le soffio contro: “Io sono fatta per
bruciare”, con un filo di voce prima di cadere a terra, consumata
dal calore e dalla potenza del sole.
*
* * * * * * * * * * * *
Allungo
la mano per toccare mia sorella. Afferro il nulla.
Resto
stupita.
Dove
ti sei nascosta, Narcissa?
Non
può essere un sogno.
Sento
il calore del sole cocente sulla mia pelle, la fiamma che mi brucia
le membra.
Sento... credo di sentire la vita che scorre nelle mie vene.
Allora
dove sei?
Illusione,
follia, inganno.
La
consapevolezza mi colpisce come un fulmine.
Nell'ultimo
attimo di lucidità che mi resta prima di scivolare nell'oblio
realizzo che qui intorno c'è solo umido e freddo. Nessun calore,
nessuna luce.
Mai.
*
* * * * * * *
|
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Capitolo 12 *** L'innocenza del condannato ***
11. L'innocenza del condannato
La
storia è stata scritta per il 12 mesi di FF
Il
prompt di luglio è:
“Ho
sempre ammirato le persone che parlano con gli occhi
perché
mi paiono più svelte a capire il mondo.”
[Chabon]
Personaggi:
Sirius Black [Dorcas, James e Lily Potter]
Rating:
giallo
Genere:
introspettivo
Introduzione:
Libero.
Dopo 12 anni passati dentro a una cella buia. L'essere che è fuggito
da Azkaban, però, non è che un'ombra sbiadita del ragazzo che
chiamavano Sirius Black. Troppe cose sono cambiate, troppe sono
andate irrimediabilmente perdute.
Ma
il fuggitivo ha una missione: trovare Peter Minus. Ristabilire la
verità. Solo dopo potrà, finalmente, riposare.
NdA:
È
la prima volta che scrivo di Sirius. L'ispirazione mi è venuta
leggendo una delle storie di luglio (su di lui e la prigionia ad
Azkaban). Ho voluto raccontare i momenti dopo la fuga – di cui non
si legge molto spesso. Uno esce di prigione dopo anni e si ritrova
nel mondo... e niente di ciò che conosceva è come prima. Non deve
essere facile.
Non
so perché, scrivendo i pensieri di Felpato - che in origine dovevano
essere solo sul deprimente-triste-malinconico - è venuta fuori una
nota leggermente comica... Ci sento un che di scanzonato e ironico,
che per me fa molto Sirius.
Per
quello che riguarda il suo rapporto con Harry, non ricordo cosa viene
detto nel 3° libro a riguardo. Io ho immaginato che quello che
inizialmente spinge Sirius sia solo desiderio di rivalsa su Minus,
per riabilitare il proprio nome e dimostrare la propria innocenza.
L'interesse per Harry, nella mia storia, arriva in un secondo momento
(magari dalla lettura di qualche giornale rubato dal grosso cane nero
:)
Per
la relazione Sirius/Dorcas ho ripreso la versione fan, adattandola.
Nella mia interpretazione tra i due c'era una simpatia, in crescita,
ma non ancora sbocciata in amore. Il sentimento si stava formando, in
pratica. Ho
immaginato Dorcas come un opposto di Sirius, pacata, riflessiva. Non
per questo debole. Anzi. Per come l'ho voluta vedere io, era proprio
questo suo osservare e riflettere che la rendeva potente.
L'innocenza
del condannato
Di
queste case
non
è rimasto
che
qualche
brandello
di muro
Di
tanti
che
mi corrispondevano
non
è rimasto
neppure
tanto
Ma
nel cuore
nessuna
croce manca
È
il mio cuore
il
paese più straziato
[San
Martino del Carso, G.
Ungaretti]
Quello
che non ho
è
un treno arrugginito
che
mi riporti indietro da dove son partito
[Quello
che non ho, F. De Andrè]
Agosto
1993
Mi
guardo intorno, teso. Non posso fare a meno di controllarmi dietro le
spalle, continuamente, come se fossi inseguito. Ogni mio senso canino
è all'erta.
Anche
se la notizia della mia fuga non può essersi ancora diffusa – so
che il Ministero cercherà in tutti i modi di catturarmi senza far
trapelare la notizia, prima di diffondere il panico nella comunità
magica – non è molto semplice essere razionali in questo momento.
Non
è molto semplice essere razionale in senso assoluto, data la mia
situazione.
Secondo
i canoni della natura umana dovrei essere uscito di senno, da un bel
po' di tempo. Tutti pensano che sia così – o lo farebbero, se
ancora qualcuno si interessasse a me, e al destino della mia psiche.
12
anni ad Azkaban.
12
anni lontano dalla luce del sole.
12
anni rinchiuso tra quattro mura umide e gelide.
12
anni circondato dal potere oscuro e letale dei Dissennatori.
Questo
dovrebbe essere abbastanza per chiunque. Questo dovrebbe essere
troppo.
Dovrei
essere impazzito in quella cella.
Dovrei
essere morto.
Invece
sono qui.
Sento
il sangue pulsare con forza nelle mie vene, sento il battito del mio
cuore. La consistenza della terra sotto le zampe è reale. Reale come
l'odore fragrante dell'aria, misto a quello delle foglie degli
alberi. Sento tutto questo. Percepisco decine di altre cose.
Sono
indubbiamente vivo.
Mi
guardo intorno con sguardo stupito. Avevo finito per dimenticare
quanto il mondo fosse... bello. Semplicemente e incredibilmente
bello.
Contro
ogni logica e previsione – se mi fosse rimasta un briciolo di
arroganza potrei complimentarmi con me stesso per essere stato il
primo a trionfare in questa impresa – sono riuscito a scappare
dalla prigione dei maghi.
Uno
scatto di volontà, una scintilla della mia antica forza. Tanto è
bastato per riuscire ad assumere ancora queste familiari sembianze
ferine.
Il
resto è stato quasi un gioco da ragazzi.
Infilarmi
tra le sbarre, giocando i dannati custodi della mia prigionia.
Scappare
lungo gli interminabili corridoi fino a raggiungere l'aria.
Nuotare
dall'isola fino alla terra ferma.
Sono
vivo. Sono libero. Non ho più arroganza per gloriarmi con me stesso
di questa impresa.
So
bene che non ci sarei mai riuscito se quella foto non avesse
riacceso in me tutta la rabbia, tutto l'odio che un tempo ero capace
di provare.
È
stata quella foto che mi ha salvato.
È
stato l'odio per l'essere immondo che si faceva chiamare Peter Minus
a farmi fuggire.
Pensare
a Codaliscia, anche solo computare mentalmente il suo nome, mi ha
provocato una scarica di adrenalina. È stato come essere
rivitalizzato da un incantesimo potentissimo.
Non
potevo restare lì dentro, mentre lui si aggirava ancora per il mondo
- vivo, libero.
Non
potevo.
Ora
sono fuori.
E
tutto mi sembra estraneo. Tutto mi sembra nuovo.
12
anni sono lunghi da passare.
12
anni sono infiniti, rinchiuso innocente per un crimine non commesso.
Ma
adesso che le mie zampe si posano di nuovo sulla terra, mi rendo
conto di quanto questi 12 anni abbiano cambiato il mondo, oltre alla
mia persona.
Nei
momenti di lucidità, dentro la mia cella, immaginavo quello che ci
sarebbe stato fuori. Immaginavo il futuro, immaginavo la vita.
Non
avevo del tutto messo a fuoco quello che era successo prima
dell'incarcerazione.
Non
avevo considerato tutto ciò che, in un modo o nell'altro, non ci
sarebbe stato comunque, che io fossi stato dentro o fuori la
prigione.
Tutti
quei morti. Tutti quei lutti.
Dentro
le mura di Azkaban non potevo lasciarmi sopraffare, non potevo
concentrarmi su quello che significassero per me. Il dolore mi
avrebbe ucciso. La disperazione era la mia più acerrima nemica. Ho
messo tutto in un angolo della mente, demandando a un momento
successivo la riflessione.
Per
12 anni mi sono nutrito solo della certezza della mia innocenza.
Ho
bandito la paura, ho scacciato la disperazione più nera che viene
dal pensiero di non avere via d'uscita. Io ero innocente. Non dovevo
smettere di crederci.
È
stato questo che mi ha tenuto in vita.
Per 12 anni.
Ma
adesso sono fuori, sono libero, certi pensieri non possono più
essere messi da parte.
Proprio
adesso che sono fuori, mi rendo conto che niente è come prima. Che
niente, per me, potrà mai più essere lo stesso.
James
e Lily non torneranno.
Non
potrò più sentire la risata cristallina del mio migliore amico,
mentre gli racconto una delle mie imprese. Non condividerà più i
miei pensieri, con un semplice sguardo. Non mi aiuterà più a
sopportare il peso della mia famiglia e della mia stirpe. Mai.
Andato, perduto per sempre.
E
Lily... la dolce, ma tenace Lily. Non potrà più guardarci con
quegli occhi verdi, profondi; con lo sguardo divertito di una mamma
che ha a che fare con due bambini un po' troppo monelli.
Lily...
così vicina a una sorella, anche se spesso non condivideva le mie
azioni e la mia impulsività. Ma c'era sempre. Per me, per noi.
Pronta a sgridare e a consolare. Pronta a essere la nostra fortezza.
Non accadrà mai più. Andata, perduta per sempre.
E
Dorcas...
Oh,
Dorcas aveva un modo tutto suo di relazionarsi con le persone. Ho
sempre ammirato le persone che parlano con gli occhi perché mi paiono
più svelte a capire il mondo.
Lei
era proprio così. Il mio contraltare perfetto, oserei dire. Tanto io
ero avventato e impulsivo, così lei era pacata e riflessiva.
Preferiva guardarsi bene intorno, prima di esprimere un'opinione.
Preferiva assicurarsi di avere capito bene, valutato bene, prima di
agire.
Io
ero l'opposto. Arrogante e pieno di me. Un ragazzo, sempre pronto a
gettarsi nella mischia – ma non lo eravamo tutti? Ragazzi. E
incoscienti, anche, perché no.
Ragazzi.
Teste calde, a volte. Certi di essere invincibili. Perché quando hai
20 anni non riesci a pensare seriamente che la tua vita potrebbe
interrompersi in un battito di ciglia. Non puoi proprio farlo.
All'epoca
avevo senso dell'umorismo. Ero divertente, così mi dicevano. Avevo
la tendenza a calcare la mano, però. Ho sempre avuto dei problemi a
capire quando era il momento di lasciar perdere...
Anche
Dorcas era spiritosa, a suo modo. Ma non feriva mai nessuno con le
sue parole, come invece troppe volte ho fatto io.
E
aveva una risata così bella... Cristallina e sincera. Limpida, come
lei.
Il
nostro rapporto era cresciuto nel tempo, giorno dopo giorno, senza
fretta. Assurdo, se si pensa ai tempi incerti in cui ci eravamo
trovati a vivere. Ma non esisteva altro modo di vivere, per lei. Non
avrebbe mai affrettato le cose, non sarebbe mai stata avventata.
Così
non è mai successo nulla tra noi.
Sguardi
che si fanno via via sempre più dolci. Mani che dopo aver lottato si
cercano nel buio, per scambiarsi una silenziosa e dolce carezza.
Tutto qui quello che mi resta, tutto ciò che ho per cui provare
nostalgia.
Scuoto
il capo, spargendo tutto intorno le gocce di pioggia che hanno preso
a cadere, inzuppandomi il pelo.
Fantasmi,
niente altro che fantasmi.
Porto
i mie morti nel cuore, come un macabro camposanto.
Avrei
potuto unirmi a loro.
In
questi 12 anni avrei potuto mille volte mollare la presa su questa
vita così crudele, così ingiusta. Lasciarmi andare, semplicemente.
Smettere di respirare. In certi momenti avrei accolto la morte come
una benedizione, come una sorella attesa da lungo tempo.
Avrei
potuto... ma non l'ho fatto.
Troppo
forte il senso dell'ingiustizia che ho patito. Troppo forte il
desiderio di vivere per dimostrare al mondo quanto grande sia stato
il suo errore.
Avete
sbagliato a giudicarmi.
Avete
sbagliato tutto.
Sono
sopravvissuto sperando, un giorno, di poter gridare in faccia alla
gente la mia rivalsa.
La
mia innocenza.
Non
sono un assassino, non sono un mostro.
Non
ha senso recriminare adesso. Non ha senso abbattersi.
Adesso
che ho la possibilità vera e concreta di portare a termine la mia
vendetta. Adesso, che il momento della rivalsa è arrivato davvero, e
non solo nei miei sogni.
I
fantasmi saranno ancora lì ad aspettarmi, quando avrò finito con
Minus.
************
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Capitolo 13 *** Colpa del whisky ***
Colpa del whisky
La
storia è stata scritta per il 12 mesi di FF
Il
prompt di settembre è:
"Non
ho voglia di pensare al futuro. Non potremmo semplicemente goderci il
presente?"
Personaggi:
Draco Malfoy, nuovo personaggio
Rating:
verde
Genere:
commedia
Introduzione:
Draco
Malfoy non ha voglia di pensare. Dopo tutto quello che gli è
successo negli ultimi due anni, tutto quello che vuole è
dimenticare
per una sera i problemi, le responsabilità, anche la propria
identità. Per questo si rifugia nel più
impensabile dei posti, un
pub Babbano... Un incontro inaspettato getterà nuova luce su
una
serata da dimenticare...
Colpa
del whisky
Sarà
colpa del whisky o sarà colpa del caffè
ma
non mi ricordo più di te
Sarà
che questa sera fa un freddo micidiale
sarà
che non ho neanche voglia di parlare
Londra,
autunno 1997
Ancora
non riesco a capacitarmi di avere scelto come scenario della mia
fuga, tra i mille luoghi esistenti al mondo, proprio questo.
Se
qualcuno mi vedesse, prima resterebbe basito, poi forse riderebbe di
me.
Non
avrei la forza per accennare una reazione, probabilmente lo lascerei
fare.
La
situazione risulta comica persino per me, se mi sforzo di vederla
dall'esterno...
Draco
Malfoy, purosangue, discendente di una famiglia impeccabile, seduto
sullo sgabello malridotto di un pub polveroso. Un pub Babbano.
Mi
sfugge un fugace sorrisino, mentre stringo il bicchiere dozzinale di
vetro spesso tra le mani. Sono fuori luogo tra queste pareti, come
forse non lo sono mai stato prima.
Con
i miei abiti firmati, le scarpe lucide. Le mani curate e i capelli
perfettamente in piega.
Stono
terribilmente contro questa tappezzeria consumata dal tempo e dal
fumo.
Oppure
no.
Se
qualcuno incrociasse il mio sguardo, oltre a squadrare il mio
abbigliamento, potrebbe cambiare parere. Non sono poi così
diverso
dai pochi altri avventori, uomini stanchi, relitti umani.
Ho
gli occhi grigi cerchiati di nero. La pelle di un pallore giallastro
malsano.
Alzo
la testa e riesco a intravedere il mio viso nel riflesso di una
specie di specchio appeso dietro il bancone.
Non
ho bisogno di conferme, comunque, so di non essere all'apice del mio
splendore.
Sono
notti che non dormo come si deve, giorni che non mangio un pasto
decente.
Le
responsabilità, i problemi, mi gravano sulle spalle, e in
certi
momenti credo di non essere abbastanza forte per farmi carico di
tutto.
**
* ** * ** * ** * ** * ** * ** * ** * **
La
guerra è finita, il Signore Oscuro è stato
sconfitto – in modo
definitivo, stavolta, almeno così dicono.
I
Buoni festeggiano e si leccano le ferite.
A
noi Malvagi è concessa solo la seconda delle due
attività.
Non
ho niente da festeggiare, io. Al momento il futuro mi sembra terreo,
imperscrutabile, foriero solo di brutte notizie.
Mio
padre è rinchiuso ad Azkaban. L'avvocato dice che le
possibilità di
assoluzione, al processo, sono buone.
“Pressione
psicologica, terrore, minacce di morte. Ci sono attenuanti in
quantità, signor Malfoy, non si preoccupi.”
Per
me queste non sono altro che parole. Non ho mio padre su cui fare
affidamento, adesso. Conta solo questo.
Mia
madre è solo un pallido spettro della donna che era. Cerca
di
fingere una serenità che non prova, cerca di farlo per me.
La recita
non le riesce.
È
pallida e delicata come un fantasma, tanto che certi giorni temo che
basterà un soffio di vento più forte degli altri
a portarla via.
“Mr.
Dabledy dice che tuo padre potrebbe uscire presto”,
mi ripete
dopo ogni incontro con l'avvocato.
Non
so se almeno lei creda a queste promesse dette più per
contratto che per reale convinzione.
Per
me sono solo parole.
Non
ho mia madre su cui fare affidamento, adesso. Conta solo questo.
Sono
solo, completamente solo. E devo pensare a tutto.
Il
patrimonio di famiglia è sotto sequestro, al momento. Ci
è stato
permesso di tenere la Manor, ma non possiamo toccare il denaro nei
nostri conti.
Anche
su questo punto Dabledy è ottimista, ma lui non deve fare i
conti
quotidianamente con i creditori e gli avvoltoi.
Cerco
di tenere duro, di non mostrare debolezza. Tengo la testa alta come
un vero Malfoy, rispondo sprezzante a chi mi fa domande sulla nostra
situazione. Recito tutto il giorno, tutti i giorni. Ma lo sforzo, la
stanchezza iniziano a pesarmi addosso.
Mi
guardo allo specchio e sono di nuovo l'ombra di me stesso. Un
ragazzino sopraffatto dalle responsabilità e dai problemi,
come al
6° anno.
Ma
allora avevo amici su cui fare affidamento, e una famiglia alle
spalle. Mai avrei chiesto il loro aiuto, mai li avrei coinvolti nei
mie drammi, eppure sapevo che erano lì per me.
Che
ci sarebbero stati, se io avessi deciso di rompere gli indugi,
superare l'orgoglio, e chiedere.
Adesso
sono solo. Davvero.
Ognuno
è preso con la propria vita, con i propri guai.
Non
c'è più tempo per pensare agli altri.
*
* * * * * * * * * * * * * * * * * * * *
La
tensione si è fatta via via più forte. Tante cose
da tenere in
equilibrio, solo due mani e due spalle nemmeno troppo prestanti per
cercare di farlo.
Quando
stasera sono rientrato alla Manor e ho sorpreso mia madre a osservare
con sguardo vuoto e spento una foto di alcuni anni fa che ritrae la
nostra famiglia... non ce l'ho fatta più.
Sono
uscito dalla porta da cui ero appena arrivato e ho deciso di staccare
la spina per una sera.
E
ora eccomi qui.
In
un malconcio pub Babbano, pronto a scolarmi il quinto – o era
il
sesto? Non credo di ricordarmelo con esattezza – bicchiere di
whisky.
I
problemi si sono fatti via via più piccoli, risucchiati dal
liquido
ambrato e forte.
Sto
per buttare giù il liquore, quando qualcuno mi ferma il
braccio.
“Direi
che per stasera può bastare così.” Una
voce femminile mi coglie
alle spalle.
“Direi
che non sono affari tuoi”, rispondo con fare impastato, e
quasi
stento a riconoscermi.
“Che
gentleman”, ribatte prontamente la voce. “Vedendo
la mise avevo
pensato di avere davanti un tipo diverso dal solito e invece... il
solito ubriacone.”
L'ironia
delle parole mi incuriosisce, tanto che finalmente mi volto nella
direzione da cui provengono.
Accanto
a me c'è una ragazza.
Una
ragazza molto carina.
Queste
sono le uniche informazioni che, d'impatto, la mia mente traballante
riesce a registrare.
Metto
a fuoco lo sguardo per vedere meglio.
Capelli
rosso scuro, legati dietro la testa. Ciocche ribelli che sfuggono.
Occhi azzurri. Pelle chiara, con delle simpatiche lentiggini sul
naso.
“Soddisfatto?”
Corrugo
la fronte, senza capire a cosa si riferisca.
“L'esame
scrupoloso a cui mi hai appena sottoposto.” Mi fa il favore
di
spiegare lei.
Sento
il calore salirmi sulle guance, e imporporarle leggermente.
Lei
non se lo lascia sfuggire.
“Sei
umano, allora. Visto il colorito cereo iniziavo ad avere qualche
dubbio...”.
Mugugno
qualcosa e torno a concentrarmi sul bancone e sul mio bicchiere
ancora intatto.
“Ancora
convinto di berlo, quello? Posso portarti un ottimo analcolico, in
alternativa.”
La
voce, che adesso ha anche un corpo abbinato, non molla.
La
ignoro, ma lei non si muove. Sento i suoi occhi addosso.
Dopo
un paio di minuti, sono io il primo a cedere.
“Non
hai niente di meglio da fare che importunare la gente?”
“Come
puoi vedere, tu sei il solo avventore del pub, quindi... direi di
no.”
Torno
a guardarla e noto il grembiule bianco che porta intorno ai fianchi.
“Lavori
qui?”
“Ci
sei arrivato, genio.”
Certo
che ha una bella lingua lunga, la cameriera.
Mi
chiudo di nuovo nel mio silenzio.
Questa
volta è lei a spezzarlo. “Scusami, non dovrei
essere così
pungente.”
Silenzio.
“Io
sono Andy, comunque.”
“Dr...
Harry.”
“Non
hai proprio la faccia da Harry, sai?”
“Perché
che faccio ho?”
“Quella
di qualcuno che cerca di annegare i suoi problemi nell'alcool.
Fidati, ne ho visti tanti provarci, e nessuno ha avuto grande
successo.”
Scuoto
le spalle.
So
che ha ragione, ma questa è la mia serata di
libertà e non lascerò
certo che una cameriera impicciona me la rovini.
“Da
cosa di preciso stai cercando di scappare?”
“Direi
che non sono affari tuoi.” La mia risposta secca.
“Deve
essere qualcosa di grosso, se un ragazzo che sembra avere tutto si
riduce a tanto.”
La
sua affermazione mi fa riflettere.
Non
posso certo dirle cosa mi affligge – è una
sconosciuta, una
Babbana per giunta.
Tra
l'altro non saprei nemmeno da che parte cominciare...
Mio
padre è in prigione, mia madre è uno spettro, tra
poco sarò
costretto a impegnare la casa per pagare da mangiare.
E
l'elenco potrebbe continuare.
La
ragazza che fa la cameriera mi incalza.
“Ok,
niente domande sul passato. Cosa vedi nel tuo futuro?”
Cos'è,
una psicologa? Una consulente scolastica?
“Non
ho voglia nemmeno di pensare al futuro”, ribatto
laconico. “Non
potremmo semplicemente goderci il presente?” Il
mio tono è
ironico, mentre prendo in mano il bicchiere e lo inclino verso di lei
in un muto brindisi.
“Simpatico”,
ribatte.
Porto
il vetro alle labbra, ma invece di buttare giù il contenuto
in un
sorso, lo assaggio appena e poi lo poso di nuovo sul bancone.
Devo
ammettere che questo incontro inaspettato mi ha incuriosito e
distratto.
“Hai
qualche idea migliore?” la provoco.
Lei
aggrotta la fronte. È il suo turno di restare perplessa.
“Sì,
per godersi il presente in modo più proficuo.”
Il
mio ghigno si allarga quando sono le sue gote, questa volta, a
tingersi di un bel rosso vivo.
Appena
si accorge del mio divertimento mi tira contro lo straccio che teneva
alla vita e mi sibila uno: “Stronzo”.
“Una
vera lady”, ribatto io.
Lei
mi guarda per qualche secondo, poi scoppia a ridere.
E
io con lei.
“Touche”,
dice alla fine, quando ci siamo ricomposti entrambi. “Cosa ne
dici,
ora, di quell'analcolico?”
Faccio
segno di sì con la testa, e la osservo mentre lascia il mio
fianco e
si sposta dall'altra parte del bancone.
La
mia prima impressione trova conferma, ora che la mia testa si
è
leggermente alleggerita e le idee sono più chiare. Fisico
snello,
proporzionato. Anche se non è altissima le gambe sono belle.
Una
ragazza molto
carina.
Continuo
a guardarla mentre armeggia per un po' con le bottiglie e i cartoni
di succo di frutta.
“Cosa
ci fa un ragazzo di classe come te, qui? Almeno questo posso
saperlo?”
Alzo
le spalle. “Passavo di qui per caso.”
“Che
non sei di queste parti l'avevo capito. Non ti avevo mai visto
prima.”
“Lavori
qui da tanto?” è il mio turno di essere curioso.
“Qualche
mese. Il posto non è male come sembra, e in ogni caso i
soldi mi
servono.”
Anticipa
un paio delle mie domande con questa unica risposta concisa.
“Dimmi
come ti sembra”, mi dice passandomi un bicchiere allungato,
pieno
fino all'orlo di un liquido color rosso intenso.
Si
abbina con i suoi capelli e le sue lentiggini.
Sorrido
impercettibilmente, senza volere, a questo pensiero.
“Perché
ridi?” Certo che non le sfugge proprio niente.
Evito
di rispondere bevendo un sorso del mio drink.
È
buono. Il gusto è dolce, ma non troppo. Un mix perfetto tra
sapori
diversi. Arancio, credo, e anche pesca... poi non saprei.
“Arancio
e pesca?” chiedo per avere conferma.
Annuisce,
bevendo dal proprio bicchiere.
“E
qualcos'altro che non riesco a riconoscere...”.
“Frutto
della passione”, mi sorride allegramente, “sai, per
festeggiare
degnamente il nostro incontro.”
Le
sorrido di rimando e mimo un brindisi, toccando appena il vetro con
il vetro.
Poi
restiamo in silenzio per un po'.
È
strano. Per la prima volta da molto, molto tempo mi sento bene.
Sono
riuscito a mettere da parte per un'ora i brutti pensieri, e non ho
avuto bisogno di perdere conoscenza per farlo. Una piacevole
novità.
Potrei
prendere in considerazione l'idea di vederla ancora... è una
Babbana, senza dubbio.
Ma
questo ha molta importanza adesso? Conta più del fatto che
è
riuscita a farmi ridere di nuovo? Ad allentare la morsa che mi
attanaglia lo stomaco da settimane? Potrebbe addirittura piacermi...
“Dovrei
chiudere.” La sua voce mi strappa ai miei pensieri.
“Me
ne vado subito”, le rispondo precipitosamente. Provo la
sensazione
di essere stato colto in fallo. Non voglio certo essere un impiccio.
“Potrei
dirti che sarei felice di rivederti”, mi blocca lei quando
già
sono con un piede sulla porta, “se non avessi paura di
passare per
la solita ragazzina illusa.”
Mi
volto con un mezzo sorriso sulla bocca.
“Potrei
risponderti che ti incontrerò ovunque tu voglia, se non
temessi di
passare per il ragazzo che ci prova in modo spudorato.”
Sorride
anche lei.
“Domani,
qui, alla solita ora?”
“Non
interferirò con la tua promettente carriera
lavorativa?” la
provoco io.
“Penso
di riuscire a gestirla.”
“A
domani allora.”
“A
domani, Harry che non sembra affatto un Harry.”
***
* *** * *** * *** * *** * *** * *** * *** * ***
Esco
dal locale ancora sorridendo, ed è sempre col sorriso sulle
labbra
che mi materializzo, pochi attimi dopo, fuori dai cancelli della
Manor.
Vedere
quella che potrebbe non essere più la mia casa tra poco
tempo mi
provoca una fitta allo stomaco, ma arriva in mio soccorso il viso
allegro e lentigginoso di quella strana ragazza.
Il
panico passa, il respiro si regolarizza.
I
problemi sono ancora qui che mi aspettano. Non è cambiato
niente.
Eppure mi sento stranamente fiducioso, stranamente bene.
Per
questo penso proprio che tornerò di nuovo da lei, domani.
Una
cura molto migliore di una sbornia, no?!
7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'°7'
NdA
Ci
avviciniamo alla fine di questa avventura del 12 mesi. Ho voluto, in
dirittura d'arrivo, tornare a parlare di qualcuno
che amo in modo particolare, e dipingerlo proprio come lo amo (che
sia o meno aderente all'IC): combattuto, esaurito, sempre ironico. Me
lo figuro con gli occhi della mente, seduto a quel bancone, con il
bicchiere pieno tra le mani... le occhiaie e troppi pensieri per la
testa.
Il
titolo e la citazione iniziale sono presi dalla canzone Colpa
del whisky, di
Vasco Rossi.
Il
personaggio di Andy, così come quello dell'avvocato Dabledy,
sono
una mia invenzione.
Avrete
notato il fatto che, volendo evitare di rivelare la propria
identità,
Draco dica Harry come primo nome che gli viene in mente. Non ho
saputo resistere a inserire questa battuta. La si può vedere
in
molti modi. Un accennino, ino, ino di slash, oppure una deformazione
professionale di Draco (tanto tempo ha passato a odiare Potter, che
ora gli torna alla mente nei momenti più disparati).
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Capitolo 14 *** Il destino nel nome ***
13 - Il destino nel no,e
La
storia è stata scritta per il 12 mesi di FF
Il
prompt di settembre è:
Kiss
the rain (song)
Personaggi:
Scorpius Malfoy
Rating:
Giallo
Genere:
Malinconico,
introspettivo
Introduzione:
Quando
lo guardano, tutti vedono solo il ragazzo privilegiato e viziato.
Nessuno sembra rendersi conto delle difficoltà di portare quel
cognome... Nessuno sembra rendersi conto di come sia difficile, ogni
giorno, ogni momento, fingere che sia tutto a posto...
Il
destino nel nome
Hello
Can
you hear me?
...
'Cuz
I'm trying to explain something wrong
[Kiss
the rain – Billie Myers]
Il
vento temporalesco mi accarezza il viso. Il cielo è scuro, promette
pioggia.
Presto,
pioverà presto.
Lo
so, me lo sento.
Anche
a occhi chiusi riconoscerei l'odore caratteristico del momento che
precede la burrasca, quell'aria quasi elettrica che ti si addensa
intorno.
Sta
per piovere - non mi interessa. Continuo imperturbabile a camminare
sulle rive del lago scuro.
Sta
per piovere - è esattamente quello che voglio. Venire nascosto dalla
pioggia fitta, venire cancellato per qualche minuto.
*
* * * *
La
gente crede che sia facile, essere me.
Quando
mi guardano, le persone vedono solo Scorpius, il ragazzino che ha
tutto, quello viziato, quello privilegiato. La vista del mondo a
volte è talmente corta, non va oltre una prima impressione.
Superficiale, terribilmente superficiale.
Io
non sono semplicemente Scorpius, quello che ha tutto.
Io
sono Scorpius Malfoy, e questo fa tutta la differenza del mondo.
Il
cognome di mio padre, il cognome di mio nonno, mi grava addosso come
una maledizione.
È
un marchio sulla mia pelle, inciso in profondità contro il mio
volere, senza che di fatto io potessi farci niente.
Sono
nato Malfoy, e questo fatto non potrà mai cambiare.
Non
so molto di quello che è successo in passato – o meglio, non ne
sapevo molto prima di arrivare qui ad Hogwarts.
Fino
ad 11 anni i miei genitori mi hanno tenuto sotto una campana di
vetro, per proteggermi - si sono difesi quando, la scorsa
estate, ho gettato contro di loro tutto il mio dolore e la mia
rabbia.
Non
c'erano molti bambini della mia età, nella mia vita precedente. Sono
cresciuto nella Manor, circondato da tutti gli agi, ma
fondamentalmente solo.
Mio
padre e mia madre non parlavano mai del passato. La mamma mi
raccontava le favole prima di andare a letto, mio padre mi insegnava
a volare e cose simili. Ma quello che era successo prima della mia
nascita, quello che aveva portato alla caduta in disgrazia del nonno
e del nostro casato, era un tabù.
Non
ho mai fatto domande, perché di fatto ignoravo il problema.
Ho
avuto un'infanzia felice. Solitaria, ma felice.
Poi
sono venuto a scuola... ed è cambiato tutto.
Il
mondo da cui ero stato tenuto al sicuro fino a quel giorno entrava di
prepotenza nella mia vita. Senza chiedere alcun permesso, senza
esitazioni.
Ho
scoperto molte cose di cui non potevo avere idea. E le ho scoperte
nel modo più difficile, nel modo più duro: per mezzo di battute
taglienti e spesso offensive sulla bocca dei miei compagni.
La
mia famiglia non ha potuto tenermi al riparo anche da questo.
Fin
dai primi giorni sono diventato un bersaglio delle malelingue e non
solo, un bersaglio facile.
Riesci
a guardarti allo specchio, con quello che tuo padre ha fatto?
Non
ti vergogni di essere vivo, mentre tante persone non lo sono?
Come
sta il nonnino? Ucciso qualcuno questa settimana?
Cattivo
sangue non mente.
E
ancora, e ancora.
Parole
all'inizio senza senso, che piano piano si sono fatte più chiare.
Durante
le prime vacanze di Natale passate da studente a casa, i miei
genitori hanno dovuto riempire il silenzio di tutta una vita. Alla
fine sospettavo che non mi avessero ancora detto tutto, ma almeno
avevano parlato.
Questa
conoscenza e consapevolezza mi ha reso le cose più facili, dopo, ma
solo un po'.
Nei
mesi successivi ho fatto appello a tutta la mia strafottenza targata
Malfoy, a tutto il mio coraggio, per andare avanti. Ho finto di non
sentire le accuse che mi venivano rivolte, ho fatto buon viso a
cattivo gioco – per usare un modo di dire.
Ho
finto, appunto. Ogni giorno, ogni momento.
E
da allora ho continuato a farlo. Ancora, ancora.
Non
posso permettere a quelle persone di farmi crollare, non posso
permettere loro di vedere quanto questa campagna diffamatoria mi
faccia male.
Che
colpa ho io di quello che è successo 20 anni fa?
Posso
cambiare il passato?
No
di certo!
E
allo stesso modo non ho certo scelto io di nascere Malfoy, non più
di quanto ogni altro essere umano scelga di venire al mondo in questa
o in quella famiglia, in questa o in quella situazione. Se potessimo
decidere, tutti decideremo per il meglio. Ma è impossibile.
Sono
innocente! So di esserlo, e sotto sotto dovrebbero saperlo anche
loro. Ma offendermi e tormentarmi è più facile.
Immagino
sia la routine in ogni scuola, anche in quelle Babbane. Ci sono gli
aguzzini e le vittime, ed essere nel primo gruppo ti protegge mentre
stare nel secondo ti affossa.
Mi
è andata male, non sono stato molto fortunato.
*
* * * *
Sono
andato avanti, giorno dopo giorno.
Ho
13 anni, adesso.
Le
chiacchiere e le battute non sono del tutto sparite con il passare
del tempo.
A
volte penso che vada meglio, che il peggio sia finalmente passato, ma
poi nel mondo magico succede qualcosa di spiacevole... e allora il
fuoco di fila ricomincia.
È
che è così liberatorio, per loro, incolpare me e la mia famiglia
per qualsiasi cosa. Credo che li faccia stare meglio, che li
tranquillizzi.
Non
importa se sono tutte sciocchezze, se mio padre non ha fatto proprio
niente, e io tanto meno.
Scorpius
Malfoy, bersaglio perfetto.
Scorpius
Malfoy, sempre disponibile per il linciaggio quando le cose si
mettono male.
Sorrido
e fingo, come sempre.
Sorrido
e non abbasso mai lo sguardo o la testa.
Portamento
fiero, schiena dritta. Tutto quello che mi resta è la soddisfazione
di non dargliela vinta.
Ma
la mia recita è dura da reggere per me, attore principale e
incompreso.
Ci
sono dei momenti in cui vorrei solo raggomitolarmi in un angolo e
piangere – e non importa se questo non fa per niente Malfoy, per
niente mago purosangue.
Vorrei,
ma non posso. Disonorerei mio padre e me stesso, disonorerei il mio
nome, e comunque dopo le cose non sarebbero più facili. Anzi.
Se
in certi momenti penso di non farcela, se sento che sono vicino al
punto di non ritorno, invece di gettarmi a terra e lasciarmi andare
scappo fuori.
Esco nell'aria fresca del parco del castello, respiro.
Camminando i pensieri si aquitano, la sensazione di andare alla
deriva si calma.
Camminando riprendo il controllo.
Così
ho fatto adesso.
L'omicidio
di un noto esponente del Ministero della Magia ha fatto rimontare
alla massima potenza le frecciatine e le accuse contro di me e tutta
la schiatta dei Malfoy.
Gli
ultimi giorni sono stati molto pesanti da sopportare.
Oggi
sono arrivato al limite, quando un secchio di vernice rossa –
“Rosso come il sangue che macchia le mani della tua famiglia”
– mi è accidentalmente caduto in testa.
Potevo
scegliere: lasciarmi andare alla disperazione, cedere, oppure
reagire.
Ho
optato per la seconda opzione.
Senza
scompormi mi sono ripulito con un incantesimo e ho tirato dritto.
Senza un lamento, senza una parola. Sentivo il battito accelerato del
mio cuore rimbombarmi nelle orecchie.
Ciò
nonostante ho continuato a camminare composto, apparentemente
tranquillo.
Solo
quando ho oltrepassato il portone di ingresso e mi sono ritrovato
avvolto dalla caligine temporalesca ho preso a correre a perdifiato.
Non
mi sono fermato fino a quando non ho avuto più aria nei polmoni.
Allora mi sono lasciato andare contro un albero. E ho pianto.
Dopo
qualche minuto mi sono tirato su, e ho preso a passeggiare.
*
* * * *
Sto
passeggiano anche adesso, mentre la pioggia si prepara a cadere.
Cammino
quando le prime gocce mi bagnano il viso, scivolano sul mio corpo,
lavano via gli ultimi residui di vernice rossa.
Non
mi fermo neppure quando la pioggia diventa più forte. Adesso è più
simile a una tempesta - non mi interessa.
Nell'ululato
del vento posso gridare a pieni polmoni tutta la mia rabbia, senza
paura che qualcuno mi senta. Nel fragore dei tuoni che si susseguono
le urla di un ragazzo solo e incompreso non corrono il rischio di
venire intese da orecchie umane.
Se
in cielo c'è qualcuno di sovrannaturale, capirà.
Ma
non potrà tradirmi.
*
* * * * * * * *
NdA
L'idea
per la storie me l'ha data un post su Facebook. Non mi ricordo
l'autore del commento, ma questa persona si chiedeva perché, nelle
storie su Scorpius, nessuno pensasse mai alle sue difficoltà in
quanto discendente dei Malfoy. Ho voluto supplire alla lacuna con
questa one-shot.
Ho
immaginato che Scorpius sia stato cresciuto un po' sotto una campana
di vetro, cosa che ci può stare, senza che i genitori volessero
affrontare il tema della guerra e del loro ruolo in questa. La
scuola, si sa, cambia tutto...
Ho
usato la canzone “kiss the rain” come spunto, sia per
l'ambientazione temporalesca della storia che per la “confessione”
gridata al cielo di Scorpius. Le parole di Billie Mayer mi hanno
fatto pensare a questo.
*
* * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * **
Siamo
giunti alla fine del 12 mesi di FF
cominciato – ebbene sì! - nel novembre 2011.
Mi
sono divertita molto a partecipare e sono anche molto fiera della mia
costanza. Ammetto che all'inizio avevo un po' il timore che non sarei
riuscita a rispettare le scadenze e scrivere davvero 1 storia al
mese. Invece è fatta!
Arrivare
alla fine di un progetto a me lascia sempre un po' di amaro in bocca.
Se poi questa “avventura” ti ha tenuto compagnia per 12 mesi be',
il dispiacere è almeno doppio.
Concedetemi
un angolino per i ringraziamenti.
Grazie
alla promotrice del contest BS per avere avuto l'idea, non importa se
la presenza è andata in calando nell'ultimo periodo.
Grazie
anche alle altre partecipanti, che mi hanno tenuto compagnia con le
loro ff e mi hanno fatto conoscere personaggi “nuovi” e stili
diversi dal mio.
Grazie
di cuore a tutti quelli che mi hanno seguito, che abbiano o meno
commentato.
Infine
un grazie particolare va a Beatriz Aldaya, recensorA fedelissima e
instancabile di tutte le mie storie.
Visto
che “l'impresa” di 12 storie per 12 mesi si è rivelata
fattibile, e che ormai mi sono abituata, penso di lanciare una
iniziativa simile su Facebook. Ogni mese un prompt
(immagine/canzone/citazione/parola) su cui scrivere e tutti possono
partecipare scrivendo e linkando le storie. Che ve ne pare? ^^
|
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