Once upon a time

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 3: *** Capitolo due. ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre. ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro. ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


 

Once upon a time

 

La mia casa era molto diversa da quelle degli altri abitanti del villaggio.

Essere la cacciatrice più brava di tutta la contea ha i suoi vantaggi, per fortuna.

Ed essere la prima in assoluto è ancora meglio.

Almeno, questo è quello che mormorano tutti.

Io non sono affatto d’accordo.

Io preferirei vivere anche un solo giorno come quei poverelli che vivono sulle strade, che sanno il vero significato della vita e che non la sprecano per i giudizi altrui, piuttosto che vivere cent’anni di quest’inferno.

Ovviamente, non è stato sempre così.

Alcune persone, tra un pettegolezzo e l’altro, sussurravano che io prima ero diversa.

Che sorridevo, addirittura.

Ma nessuno aveva anche solo ipotizzato il perché di tutto questo.

Nessuno ha mai pensato che le lame più affilate non sono quelle delle mie spade e delle mie frecce, sono le lingue delle persone.

Non tutti i pettegolezzi sono insensati, però.

Era vero, prima sorridevo.

Per la precisione, prima dei miei dodici anni.

Poi tutto cambiò.

 

Non mi ero mai resa conto di essere in qualche modo diversa.

Pensavo che fossimo tutti amici, che ci volessimo bene.

Invece dovetti ricredermi.

Iniziarono in due, poi in tre, poi in quattro.

Sembrava che tutti all’improvviso si fossero accorti di me e dei miei ‘difetti’ e che dovessero farmeli notare per forza.

Cercai di cambiare, ma più ci provavo, più facevo errori su errori.

Mi dicevano che ero una ‘debole’, che ‘non avrei saputo accendere nemmeno un fuoco’, che ‘non sarei resistita una notte intera nel bosco’.

Cercai di fargli capire che non era affatto vero, e accettai tutte le loro sfide, anche se la maggior parte finirono davvero male.

I miei genitori erano preoccupati, non capivano cosa mi stesse succedendo, e il perché.

Così cambiammo villaggio.

Non prima, però, che io cambiassi.

Avevo promesso a me stessa che sarei stata all’altezza di qualsiasi cosa, che non avrei lasciato a niente e a nessuno di farmi sentire così.

Come una che non vale niente.

Come una completa nullità.

Come un’erbaccia, che esiste solo per dar fastidio.

Così cambiai.

Cominciai ad allenarmi costantemente, a mettermi sempre alla prova, a non lasciar entrare a far parte della mia vita nessuno.

Così non avrei sofferto.

Così sarei stata forte.

I risultati si videro fin da subito.

Passavo i pomeriggi nei boschi a cacciare, a riconoscere quali sono i cibi buoni e i cibi velenosi, a evitare tutti.

E tutti evitavano me.

Successe che un giorno, mentre cercavo del cibo nel bosco, presi dei funghi velenosi.

Ancora oggi non riesco a spiegarmi come avevo fatto a non riconoscerli.

I miei genitori li mangiarono.

E morirono entrambi.

Credo che da quel giorno, io non sia più la stessa.

Se prima ero quella che non aveva contatti con nessuno, che pensava solo a cacciare e a sopravvivere, dopo quella volta per gli altri non esistevo più.

Non mi facevo più vedere.

Ma la mia fama di cacciatrice si estese, e divenni la più famosa.

Dovrei esserne orgogliosa.

La prima cacciatrice della storia.

Entrai nei cacciatori ufficiali del villaggio.

E poi niente cambiò..

.. o, almeno, non ancora.

 

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Ehi! Salve a tutti! Se siete riusciti a leggere tutto fino alla fine, vi dico GRAZIE, perchè per me significa tanto! 
Che ne dite di farmi sapere cosa ne pensate? Sarebbe di grande aiuto, anche se le critiche sono negative! Si può sempre migliorare;)
Ancora grazie mille!
-Scarr.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo uno. ***


Capitolo uno.

 

Se i miei incubi avessero avuto un unico nome, sarebbe stato Rosso.
Rosso: come i miei capelli che sfuggono dalla treccia quando caccio.
Rosso: come le foglie che scricchiolano sotto i miei piedi in pieno autunno.
Oppure, rosso: come il sangue.
Quello dei cervi o delle alci.
Quello dei Ribelli.
Quello dei miei genitori.
O il mio.
A quel punto mi svegliavo all’improvviso, ogni singola volta.
Avevo paura di andare avanti, paura che se avessi continuato, avrei potuto vedere il rosso dell’amore, o delle fragole che raccoglievamo io e mia mamma, oppure rosso delle galline che mio padre allevava.
Avrei potuto sopportare altre mille notti con lo stesso incubo, purchè non ci fossero state immagini che avrebbero stuzzicato emozioni, lasciate lì impolverate da molto tempo, che non fossero odio, o, la mia preferita, l’indifferenza.
Sudata e ancora mezza tra le braccia di Morfeo, mi alzai lentamente dal mio letto.
Ci vollero una mela, del latte e un intruglio che avevo preparato badandoci appena, per farmi ricordare che giorno era oggi.
Oh, dannazione. pensai. Il giorno del taglio delle gole. Fantastico.
Almeno una volta al mese, il re e la regina della contea organizzavano questo evento molto particolare: si faceva una specie di controllo in tutti i villaggi, per controllare se ci fossero Ribelli (persone che non appoggiavano le scelte della corte e che volevano ribellarsi), e se li trovavano, li portavano direttamente da me per farli giudicare.
Ovviamente solo io potevo svolgere quell’incarico: la regina era troppo altezzosa per avere il coraggio di uccidere la gente, e il re, a quanto pare, aveva compiti più importanti da svolgere.
Ed io ero l’unica a cui sembrava non importare nulla, perciò la scelta fu molto facile.
‘Il giorno della purificazione’, o ‘del taglio delle gole’, come lo chiamavo io, aveva anche i suoi lati positivi: manteneva la mia reputazione e teneva la gente il più lontano possibile da me.
Nessuna emozione, niente dolore.
Ormai era il mio motto già da un po’.
Appena mi allontanai dai miei pensieri, mi resi conto di quanto fosse disgustoso quell’intruglio che stavo bevendo, e lo sputai tutto. Non potevo davvero permettermi di vomitare davanti ai Ribelli.
Dopo aver messo tutto in ordine, me ne tornai in camera e mi misi la mia divisa da cacciatrice.
Era ruvida al tatto, ma ci ero talmente abituata, che ormai era quasi una seconda pelle.
Feci gli ultimi ritocchi, come sistemarmi bene la treccia, e poi uscii fuori.
La fresca brezza che c’era in quel periodo dell’anno mi ricordava che, dopotutto, qualcosa di puro e semplice era rimasto al mondo.
Alcuni avrebbero detto il sole, ma io no.
Era tutta una bella messa in scena, la sua. Ci faceva vedere la sua bella faccia, ma nel frattempo sotto sotto bruciava.
(Non che ne fossi davvero sicura. Che bruciasse intendo. Ma l’impressione era quella. E io mi fidavo ciecamente del mio istinto.)
Mi ricordava tante persone, il sole.
La pioggia, invece, mi piaceva. Lavava via tutto, lo sporco, la polvere. A volte speravo, da sciocca, che mettendomi sotto la pioggia avrei cancellato tutto, tutti gli sbagli, le colpe.
Ma quel giorno no. Niente pioggia.
Avrei dovuto tenermi i miei errori per un altro po’.
Quando la gente mi vide per strada, si zittì all’improvviso.
Mi guardavano tutti come se fossi un fantasma, o qualcosa di peggio.
Nessuna emozione, niente dolore. mi ripetevo. Nessuna emozione, niente dolore.
Ma ogni volta che camminavo per strada, reagivano sempre allo stesso modo.
E l’unica cosa che potevo provare era odio, per loro e per me stessa.
Sarà sempre così? Dovrò continuare e provare solo odio per il resto della mia vita?
Erano sempre le solite domande che mi martellavano nella testa, ma le ignoravo, come facevo con tutto il resto.
Arrivai di corsa a destinazione, per evitare che la mia mente sfornasse altre stupide idee.
Il palazzo, visto da altri occhi, sarebbe davvero bellissimo.
Ogni singolo dettaglio raccontava una storia, bella o brutta che sia, ma pur sempre degna di essere ascoltata e vista.
Altri occhi sarebbero impazziti alla vista dei colori vivaci che, stranamente, stavano così bene insieme, o delle tende di velluto così morbide da toccare..
Altri occhi. Non i miei.
Una delle guardie mi si avvicinò, tutto tremante.
-Mia signora.. signora cacciatrice...-
Balbettava così tanto che era difficile da intendere, ma era così bello che qualcuno le parlasse, dopo tanto tempo, che le sue parole strozzate sembrarono alle sue orecchie assolutamente perfette.
-.. la stanno at-tendendo nell’altra sala.. signora cacciatrice.-
-Bene.- risposi con tono gelido. Non ero tipo da grazie, prego o scusi.
Quelle parole le usavano le persone che potevano permettersi di essere gentili.
Raggiunsi la sala che mi aveva indicato il soldato, e senza far attenzione a chi ci fosse o no nella stanza, entrai e mi sedetti sul mio ‘trono’ personale.
In realtà era una semplicissima sedia, con giusto qualche decorazione in più sullo schienale, ma mi piaceva vedere in essa un certo senso di potere, del qualcosa in più che gli altri non avevano.
Il primo da giudicare era un fabbro. O almeno credevo.
Potevo essere anche la più coraggiosa di tutta la contea, ma proprio non ci riuscivo a guardare in faccia quella gente. Mi limitavo a trovare i dettagli più insignificanti nelle mie scarpe, e per tutto quel tempo aveva funzionato, eccome.
Non sentii nemmeno quello che aveva fatto.
Appena mi accorsi che nessuno parlava più, dissi, con assoluta tranquillità:
-Tagliategli la testa.
E il fabbro venne portato via, tra urla e singhiozzi.
Ne venne portato un altro.
Questa volta mi esaminai con attenzione le unghie.
Analizzai bene ogni singola pellicina, ogni unghia mangiata quasi fino alla carne.
Come con quello di prima, appena non sentii più parlare, replicai:
-Tagliategli la testa.
Poi il silenzio.
Per la prima volta da quando erano iniziati i ‘giorni del taglio delle gole’, alzai gli occhi, e mi ritrovai davanti un ragazzo.
Era abbastanza alto, almeno credevo. Era un po’ difficile capirlo visto che era stato messo in ginocchio, con le spalle leggermente incurvate quasi a simulare un inchino.
Indossava dei pantaloni color sabbia leggermente troppo grandi per lui, con dei risvolti all’altezza delle caviglie che mostravano le scarpe marroni.
La camicia di cotone bianca, invece, gli stava perfettamente, e il tessuto leggero lasciava intravedere i muscoli del petto e delle braccia.
Il mio sguardo, però, si soffermò particolarmente sul viso.
Non sentii nemmeno che una delle guardie mi aveva fatto una domanda.
Il ragazzo aveva un viso dolce, leggermente spigoloso sugli zigomi pronunciati. Aveva i capelli color dell’oro fuso, delle ciglia lunghissime sotto cui stavano dei bellissimi occhi color del..
Miele.
-Come, scusi? Ehm.. signora cacciatrice, signora.
Non mi accorsi nemmeno di averlo detto ad alta voce.
Il ragazzo, che non mi degnava della minima attenzione, sbuffò, e borbotto tra sé e sé:
-Questa è pazza.-
Cosa?
Non ci potevo credere. Era la prima volta in assoluto, da quando ero cacciatrice, che qualcuno mi mancava di rispetto così, anche se non direttamente.
Alzai entrambe le sopracciglia.
-Come..?
Finalmente il ragazzo sollevò lo sguardo. Per un attimo, solo per un attimo, balenò una scintilla di sorpresa nei suoi occhi, ma sparì subito com’era venuta.
-Voglio dire.. Maledizione, ho rubato una stupidissima gallina! Non vedo perché mi dovrei far ammazzare per così poco.
-Una gallina?- Sul serio? Da quando mandavano al ‘giorno del taglio delle gole’, gente che rubava galline?
Il ragazzo annuì leggermente, poi aggiunse:
-Sì, lo ammetto: ho rubato una gallina! Oh mio Dio, arrestatemi!
A quanto pareva, si divertiva a prendermi in giro.
Come osava?
Dovetti ammettere, però, che era da davvero molto tempo che qualcuno non mi trattava da persona alla pari. O quasi.
Il ragazzo voleva giocare? Bene, ma volevo divertirmi anch’io.
Sorrisi con fare minaccioso, e sorrisi ancora di più quando vidi una piccola ruga tra le sopracciglia del ragazzo, segno che almeno un pochino gli importava, anche se voleva far credere il contrario, con il suo sguardo fermo e deciso.
-Ottima idea.- dissi, all’improvviso radiosa.
La rughetta che aveva tra le sopracciglia divenne all’improvviso più lunga, quando anche l’ultimo sprazzo di determinazione sparì dai suoi occhi.
-C-cosa?- Sperava davvero che l’avrei lasciato andare così?
Le guardie lo trascinarono via, senza parlare.
Poi mi ricordai una cosa:
-Ah, a proposito.- dissi – Posso sapere chi ho il piacere di arrestare stamattina?
Lui si girò molto lentamente, e con sguardo cupo rispose:
-Andrew. Andrew Evans.

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Ehilà! Per questo capitolo la nota sarà un po' più lunga u.u
Però, prima di iniziare, voglio ringraziare chi è riuscito a leggere fin qui, perchè mi rendo conto che è davvero moooooolto lungo, ma spero vi sia piaciuto ugualmente!
Ok, torniamo a noi.
Per prima cosa, prima che qualcuno me lo chieda, non ho intenzione di mettere il luogo o il periodo in cui si svolge la storia.
Siccome il titolo è Once upon a time, cioè C'era una volta, vorrei restare fedele all'idea della favola, anche se questa storia ha tutto fuorchè elementi magici o principi eccetera eccetera.
Poi, ancora non ho trovato un nome alla protagonista, ma vi prometto che nel prossimo capitolo ci sarà!
Altra cosa: Tagliategli la testa! So che fa molto 'Alice nel paese delle meraviglie', ma vi giuro che ci ho pensato solo dopo, e comunque mi sembrava molto teatrale hahahahahaha
Per il resto.. oddio, che dire? Ho cercato di far sembrare Andrew uno simpatico, che prende le cose con molta leggerezza e che non ha paura di esprimere la propria opinione, anche se potrebbe farlo finire in guai seri.
Detto questo, ho concluso.
Spero che il capitolo vi piaccia e non vi siate annoiati a leggerlo, e che non abbia deluso le vostre aspettative.
Al prossimo capitolo!
xoxo,

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Capitolo 3
*** Capitolo due. ***


 

Capitolo due.

 

Mio padre diceva che, senza la mamma, sarebbe stato un uomo incompleto.
Diceva che, secondo lui, una persona non poteva sperare di vivere così bene e a lungo senza qualcuno accanto.
Qualcuno che amava.
E che amava lui.
E mia madre lo amava, eccome.
Si vedeva nelle più piccole cose, negli sguardi, nei gesti.
Io non avevo mai provato niente del genere, e c’è stato un periodo in cui aspettavo ansiosa che qualcuno arrivasse e mi facesse sentire la più bella del mondo, o, almeno, la più bella per lui.
Mi ricordo che da adolescente avevo avuto una piccola cotta per un ragazzo che incontravo per strada, un ragazzo con i capelli castani e gli occhi azzurri come il cielo.
Era gentile, e mi sorrideva quando ci incontravamo.
Non ci eravamo parlati molto, sapevo soltanto che si chiamava Jake.
Era il periodo delle sfide, degli insulti.
E prima di poter sapere qualcosa in più di lui, cambiammo villaggio.
Ho passato tanto tempo a pensare che magari, se lo avessi conosciuto meglio, ci saremmo innamorati, e la mia vita ora sarebbe completamente diversa.
Ma non potevo cambiare il passato.
Mia madre, quando ero triste per aver fatto qualcosa di sbagliato, mi stringeva forte e diceva:
-Annabelle.. non essere triste. Non si può cambiare il passato, ma ricorda: tu puoi fare in modo di cambiare il tuo futuro. Ora che sai cosa non devi fare, cercherai di non farlo mai più. La vita è così, piccola. Ma errore dopo errore, sarai la donna più forte e coraggiosa di tutte, perché hai imparato dai tuoi errori, non li hai ignorati.
Ora mia madre non c’è più.
E con lei se ne sono andati anche i suoi insegnamenti.
In realtà, li tenevo ancora scrupolosamente dentro il mio cuore, come se fossero una cosa preziosissima che preferivi lasciare lì a impolverarsi, piuttosto che prenderla e avere paura che si rompi.
Ma sapevo che era inutile lasciarli lì.
Avevo deciso di ignorarli, e ora ne subivo le conseguenze.
Quanto avrei voluto che fosse qui, a guidarmi verso la strada giusta.
Probabilmente non l’avrebbe fatto. Probabilmente mi avrebbe detto:
-Io non sono te, non ho i tuoi stessi sogni, o le tue paure. Devi decidere tu cosa fare, e qualunque cosa sceglierai, io sarò comunque fiera di te, perché hai pensato con la tua testa.
Era tutta colpa mia.
Io avevo preso quei funghi.
Io li ho dati loro.
Io ho ucciso i miei genitori.
Che cosa c’era da imparare da tutto questo?
I miei genitori si amavano. Speravo che questo li avrebbe tenuti insieme per sempre.
Nulla può andare storto quando due persone si amano, no?
Già, lo pensavo anch’io.
Ora, mentre tornavo a casa dal palazzo, cominciavo a pensare che, io che non avevo mai amato veramente nessuno, ero già morta dentro.
L'amore è la più mortale tra tutte le cose mortali: ti uccide sia quando ce l'hai che quando non ce l'hai.
Arrivai a casa mia fradicia di sudore per la corsa, e stanchissima per la lunga giornata.
Quel giorno avevo fatto uccidere dieci Ribelli, e ne avevo arrestato uno.
Il pensiero mi fece ridere.
Non avevo mai fatto arrestare nessuno, soprattutto perché non avevo mai fatto caso a quali colpe avessero commesso.
Ma quell’Andrew Evans aveva davvero una faccia tosta a rispondermi in quel modo.
E adesso aveva quello che si meritava.
Dopo essere entrata in casa, mi tolsi la divisa e la gettai sul letto. Dopodiché aprii la porta sul retro che dava sul fiume e mi immersi nell’acqua gelida.
Avevo davvero una bella casa.
Non molte persone del villaggio potevano dire di avere la casa, a due piani per di più, proprio sul fiume, e ancora meno di poterci fare tranquillamente il bagno.
Ma non avevo mai fatto caso a queste cose.
Già, è vero. Troppo impegnata? E a fare cosa, di preciso? Ah, sì. Uccidere la gente. Anche gente che ha rubato galline.
Non poteva essere vero. Andrew mentiva.
Il re e la regina non avrebbero mai mandato ad uccidere gente che faceva cose del genere.
Loro volevano bene a tutti noi. Per noi volevano il meglio.
O no?
Ancor prima di pensarci su, scacciai quei pensieri, e me ne tornai in casa.
Mi misi la camicia da notte e mi spazzolai bene i capelli, salii le scale e mi preparai per tornare nel Rosso.
Ma, prima di chiudere occhio, sentii dei colpi alla finestra.
All’inizio pensai di essermelo immaginato. Insomma, chi era così stupido da andare a bussare alla casa della cacciatrice?
Ma poi li sentii di nuovo, quei ticchettii.
Così andai alla finestra, la aprii e mi affacciai dal terrazzo.
E rimasi a bocca aperta.
Andrew Evans, quell’Andrew Evans, mi sorrideva in mezzo ai cespugli, con in mano dei sassolini.
-Gesù!- esclamai. Ero semplicemente spiazzata.
-Ehm, no. Sono soltanto io. Posso entrare?
-Puoi.. cosa? Entrare? Fai sul serio?- Chi è che ritornava nella tana del lupo dopo esserne uscito?
-Non dovresti essere in prigione?!
-Già, be’. Sono scappato. In realtà non è stato difficile, la guardia dormiva. E per quanto riguarda la ragazza fuori.. insomma, mi hai visto? Non poteva dirmi di no.
Se era arrivato fin qui per raccontarmi le sue conquiste, poteva benissimo andare a quel paese.
-E allora? Cosa vuoi da me?
-Mi sembrava ovvio. Devi nascondermi.
-Si. Ma perché?
-Perché, se non fossi stato abbastanza chiaro, sono scappato. E devo trovare qualcuno che mi nasconda. Tu sei la prima persona che mi è venuta in mente.
-No, aspetta un attimo: tu sei scappato di prigione, dove io ti ho mandato, poi scappi, e vieni da me, la persona che ti ha arrestato. Dimmi un po’, hai qualche problema?
Sembrò offeso all’inizio, ma si riprese subito rendendosi conto che il tempo stava passando, mentre parlavamo.
-Senti, se non vuoi farmi entrare, dovrò usare le maniere forti.
-Ah, si? Cioè?
Si schiarì la gola, poi iniziò a cantare.
Era incredibilmente stonato, e per poco non mi misi a ridere.
Poi mi ricordai chi ero, la mia immagine, o, più precisamente, la mia maschera.
Non potevo certo permettermi di farmi vedere con uno sconosciuto che canta sotto il mio terrazzo.
E, in qualcosa come due secondi, decisi che lasciarlo entrare sarebbe stata la scelta migliore.
-D’accordo. D’accordo! Smettila! Puoi entrare.
Sfoderò un sorriso da un orecchio all’altro, poi si arrampicò sui rampicanti di quel lato della casa.
In pochi secondi, era di fianco a me.
C’erano alcune cose che non avevo notato quella mattina: le cicatrici che aveva vicino all’orecchio, gli occhi che, con meno luce, sembravano più scuri, e i capelli che dietro il collo si arricciavano leggermente.
-Carina la camicia da notte.- disse.
Non ci avevo proprio fatto caso.
Tentai in tutti i modi di coprirmi di più, incrociando le braccia al petto, ma riuscii soltanto a far sghignazzare Andrew.
Stranamente, sorrisi anch’io.
Mi piaceva tirar fuori quella parte di me, qualche volta.
Quella che è capace di sorridere, e che ha il coraggio di far entrare un completo sconosciuto in casa sua.
O quella che risponde «Miele» alle domande.
Forse con lui avrei potuto essere.. sì, me stessa.
Oh, ma per favore.
Smettila, smettila, smettila.
Non potevo essere me stessa, né ora, né mai.
E, mentre cercavo di ficcarmi quest’idea in testa, dei colpi risuonarono dalla porta d’ingresso.
Oh, no. Non promette niente di buono.

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Ehi! Ma ciao!
La nota sarà corta: mi sono impegnata davvero tanto questa volta, e sono soddisfattissima.
La frase L'amore è la più mortale tra tutte le cose mortali: ti uccide sia quando ce l'hai che quando non ce l'hai. è presa da 'Delirium' di Lauren Oliver.
Spero che il capitolo vi piaccia quanto piace a me!

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Capitolo 4
*** Capitolo tre. ***


Capitolo tre.

 

Qualcuno continuava a bussare alla porta d’ingresso.
Solo una volta, da quando abitavo lì, qualcuno era entrato in casa mia, ed era perché il re e la regina avevano deciso di assegnarmi il compito di giudicare i Ribelli nel ‘giorno del taglio delle gole’.
E non ci misi molto a capire il perché fossero qui stasera.
Mi voltai verso Andrew, che finalmente sembrava un po’ spaventato, e iniziai a fargli cenno con le mani di nascondersi da qualche parte.
Lui non capì subito, e fece un’espressione perplessa.
Alzai gli occhi al cielo, poi gli sussurrai:
-Muoviti! Nasconditi!
Anche lui alzò gli occhi al cielo, come per dire ‘grazie, non l’avevo capito.’
Poi si nascose nella mia camera.
Andai alla porta, cercando di coprirmi di più.
Appena mi affacciai, notai che c’erano tre, o quattro guardie fuori da casa mia.
Sembravano tutti spaventati e irrequieti, perché continuavano a guardarsi intorno, senza proferire parola.
Toccò a me iniziare a parlare.
-Si? Cosa volete?
-Signora.. ci dispiace di averla svegliata, m-ma è un’emergenza.
-Ah, si? Che tipo di emergenza?
La guardia che avevo davanti cominciò a sudare. Se ne accorsero anche le altre, perché una si fece coraggio e uscì dal gruppo.
-Il ragazzo che avete messo in prigione, signora, è scappato.
-Scappato? E come ha fatto, se posso saperlo?
-Be’, è stato molto furbo.. e veloce! Abbiamo cercato di fermarlo, ma deve aver imparato a difendersi molto bene.
Non ridere, non ridere, non ridere.
Fu davvero molto difficile, ma ci riuscii.
-E perché state qui impalati? Muovetevi, andate a cercarlo!
-Ma signora.. abbiamo visto che si dirigeva qui..- balbettò.
-Si, certo! E secondo voi, una persona così furba e veloce sarebbe venuta da me?- Appena vidi un po’ di consapevolezza della situazione nei loro occhi, continuai: -Su, andate via, prima che mi arrabbi sul serio.
Scapparono via, farfugliando scuse senza senso e inciampando sui sassolini del vialetto.
Per la terza volta quel giorno, mi venne una gran voglia di ridere.
Non capivo il perché. Era colpa di Andrew?
O ero io che pian piano stavo cambiando?
Tornai dentro, e mi diressi verso la mia camera.
Quando aprii la porta, vidi Andrew sdraiato tranquillamente sul mio letto, come se fosse il suo.
Mi sorrise e disse:
-Quindi non sono né furbo né veloce?
Fece un’espressione imbronciata, da cucciolo, forse perché voleva cercare di farmi ridere.
Per poco ci riuscì.
Ma mi limitai a sorridere anch’io, dicendo:
-Non molto.
Ridacchiò piano, poi mi chiese, improvvisamente serio:
-Perché fai così?
Il mio sorriso lentamente sparì.
-Così come?
-Come se odiassi tutti. Perché lo fai?
Ritornai al mio sguardo truce, che avevo usato solo un minuto fa.
Come faceva a farmi cambiare umore in così poco tempo?
-Io non faccio niente. Sono così. Che ti piaccia o no.
Iniziò a ridere, non accettando la risposta che gli avevo dato.
Alzai le sopracciglia, e per poco non lo colpii.
Cercai di controllarmi, tenendo le mani a pugno.
-Ah-ah. Certo, come no.
-Dico sul serio!
-E io non ti credo. La ragazza che mi ha fatto entrare in casa sua, non è la stessa che mi ha arrestato stamattina. Ammettilo.
Ok, stavo iniziando ad arrabbiarmi seriamente. Perché doveva sempre dire quello che pensava, alla faccia delle buone maniere o della buona educazione?
-Lo dico solo a patto che tu ammetta di essere un gran maleducato.
-Ah, per questo non ci vuole un patto. So di essere maleducato, ma è questo che fa impazzire le signore.- rispose, facendo uno stupidissimo, ma devo dire anche abbastanza seducente, sorriso sghembo.- Adesso tocca a te.
Feci un bel respiro profondo.
Quand’era stata l’ultima volta in cui qualcuno era riuscito a tirarmi fuori tutto? Parlare con Andrew sembrava così facile, come bere un bicchier d’acqua. Ma probabilmente era perché era la primissima volta in cui qualcuno sembrava volermi ascoltare, ma ascoltare veramente.
Allo stesso tempo, però, avevo una gran paura.
Che cosa sarebbe successo se gli avessi raccontato tutto?
Era un’idea assurda, inconcepibile. Raccontare la verità, per me, era sempre stato associato alla fine di tutto.
Come se il mondo avrebbe potuto andare in frantumi se anche solo ci avessi provato.
Ma ne avevo bisogno, dovevo ammetterlo.
Credevano tutti che fossi di ghiaccio, e si divertivano a riderci su.
A pensarci bene, quella situazione non era tanto diversa da quando ero adolescente, solo che adesso la gente rideva di me a causa della mia maschera, non di quello che ero veramente.
Rilasciai tutta l’aria che avevo preso, e dissi:
-Lo ammetto.
Due parole.
Due parole grosse come un masso.
Era come se mi avessero tolto un peso dallo stomaco, che non sapevo di avere.
All’improvviso iniziai a sorridere, poi il sorriso diventò una risata, che si unì a quella di Andrew, che, anche se sorpreso, sembrava contento che avessi detto la verità.
E, wow, che bello ridere.
Mi piaceva da matti, non volevo più smettere.
Dopo qualche minuto iniziai a sentir male alla pancia, allora mi fermai.
Ma mi rimase ancora quel sorriso ebete sulla faccia, che non riuscivo a mandar via.
Anche Andrew sorrideva.
-Vedi? Non era così difficile.
Presi un cuscino e glielo tirai.
Non era così difficile?
Ma scherziamo?
Lui rise per un attimo.
-Ok, ok, me lo meritavo.
Mi guardò, e, non sapevo il perché, sentii qualcosa alla pancia, che non avevo mai provato.
Lo associai alla lunga risata di prima, e me ne sbarazzai guardando da un’altra parte.
-Allora.. me lo fai fare un giro della casa o no?
Lo guardai di nuovo.
Non mi aveva nemmeno chiesto perché recitassi quella parte.
Forse non voleva saperlo.
Forse preferiva aspettare.
Non ne avevo idea, ma gliene fui davvero grata.
Non ero ancora pronta per quello.
-Ancora no.
-Che cosa? Perché?
-Ancora non mi hai detto perché ti sei nascosto da me.
Mi guardò perplesso, e, non vorrei sbagliarmi, anche un po' imbarazzato.
-E invece sì, te l’ho detto. Sei la prima persona che mi è venuta in mente. Non è così difficile da capire, mi pare.
-Mh, si. Certo. Dai, ti trovo un posto per dormire.
Mentre camminavo tra i corridoi di casa mia, in cerca di un posto per Andrew, mi chiedevo se quello fosse un segno.
Magari erano i miei genitori che me lo avevano mandato.
Magari volevano che cambiassi strada, che facessi vedere la parte migliore di me, quella vera.
Magari, mia madre aveva deciso che qualche volta non ero capace di agire di testa mia.
E mi aveva aiutato.
O magari no.
Magari era solo perché mi mancavano terribilmente, che immaginavo queste cose.
Tornai in camera mia.
-Andrew..- iniziai.
Ma Andrew dormiva beatamente sul mio letto.
Sembrava un leoncino addormentato, forte e innocente allo stesso tempo.
Ormai non mi dicevo più di smetterla di pensare a quel modo.
Mi dicevo soltanto:
D’ora in poi, sarò solo me stessa.

 

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Ehilà, quattro gatti! *smettila, almeno quelli ti seguono!*
Anche oggi la nota sarà corta: in questo capitolo ci sono meno riflessioni del solito, perchè non ce n'era un gran bisogno.
Questo non vuol dire che non ci siano! E' la parte che mi piace di più, come potrei non metterla?
Ma comunque, tornando a noi.
Sto pian piano entrando nella testa di Annabelle. Ormai siamo una cosa sola. Si vede? Lo spero!
Comunque, non vedo l'ora di farvi sapere cosa succederà nei prossimi capitoli, la sottoscritta ha un po' di belle idea che gli frullano nel cervello, e che non vede l'ora di mettere per iscritto.
Quindi, che ne dite di farmi salire di almeno una tacca la mia autostima, per farmi continuare, con una recensione?
Non vi si bruciano mica le dita é_è
Grazie mille!

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Capitolo 5
*** Capitolo quattro. ***


 

Capitolo quattro.

 

Ero circondata.
Mi trovavo nel mio vecchio villaggio, senza sapere come ci ero arrivata.
Attorno a me, c’erano i ragazzi che avevano tormentato la mia adolescenza.
I loro visi sembravano ancora più terrificanti di quanto me li ricordassi.
Probabilmente erano le luci che venivano da sotto terra.
Un attimo.. sotto terra?
Sembrava che il terreno fosse una grossa lastra di vetro, e che sotto ci fossero milioni di lanterne.
L’effetto era simile a quello che i bambini vogliono ottenere quando si mettono una fiaccola sotto la faccia per raccontare una storia dell’orrore.
E in quel momento mi sentivo proprio la fanciulla perseguitata dai fantasmi, o dagli zombie.
Solo che sembrava tutto così maledettamente vero.
Uno dei ragazzi si allontanò dal gruppo per avvicinarsi a me.
Oh, me lo ricordavo bene.
Era Alexander, il peggior incubo per una ragazza timida come me all’epoca.
Iniziò a ridere, e la sua risata rimbombò tutt’attorno.
Tremavo tutta, e mi sentivo sull’orlo delle lacrime.
Me n’ero andata da quel villaggio proprio per essere lasciata in pace, ed ecco che i problemi ritornano.
Alexander iniziò a parlare.
-Bene, chi abbiamo qui? Credevamo ti fossi trasferita. Ci sei mancata.
Il suo tono, all’improvviso, suonava dolce e assolutamente sincero, ma non gli credevo neanche un po’.
Dopo anni di esperienza, avevo imparato a non dare niente per scontato.
Il terreno si era lentamente ‘spento’, ed era tornato ad essere la soffice e normale terra di sempre.
Ora potevo vedere chiaramente tutti in faccia.
Erano tutti uguali a come li ricordavo, e questo non mi rincuorava molto.
Sorridevano tutti, e stavo iniziando a spaventarmi sul serio.
-Ora sei la cacciatrice più brava di tutte, no? – continuò Alexander – Be’, da un certo punto di vista è anche grazie a noi, non credi? Tutto grazie a noi..
Avevo una gran voglia di prenderlo a pugni.
Prima non lo potevo fare, prima ero una ragazzina indifesa contro un branco di giganti.
Ma ora era diverso. Ero la cacciatrice più brava di tutte, no?
Iniziai ad avanzare, ma lui mi fermò con un gesto.
-Ehi, ehi, non avere fretta. Volevo solo dirti.. che adesso siamo uguali, no? Possiamo parlare tranquillamente.
Mi fermai di botto.
-Uguali..?
-Be’, sì, mi sembrava ovvio. A noi piace trattare male le persone, è un po’ il nostro lavoro, non credi?
-A me non piace trattare male le persone!
-Ah, no? E allora perché sei una cacciatrice? Tu sei cattiva, come noi.
-Tu non sai niente. Niente di me.
-Oh, Annabelle. Svegliati. Apri gli occhi. Non te ne rendi conto?
Svegliati, svegliati, svegliati.
Le immagini iniziarono a diventare confuse, e dopo qualche secondo riuscivo a vedere solo una macchia di colori indistinta, senza forma.
Continuavo a sentire Alexander che parlava: Svegliati, svegliati.
Poi la sua voce mutò, e diventò qualcosa di più familiare, qualcosa che mi faceva pensare a casa.
Svegliati..
E, in un battito di ciglia, il vecchio villaggio era scomparso.
Alexander e gli altri insieme a lui.
Ora davanti a me c’era Andrew che continuava a parlare, anche se non riuscivo a capire cosa dicesse.
Mi alzai velocemente per la sorpresa, e lo buttai giù dal letto.
-AHI! Ma sei matta?
-Dio, scusa! – scesi dal letto e corsi verso di lui. – Stai bene?
Andrew si alzò lentamente da terra, facendo delle smorfie.
-Sì.. più o meno. Un attimo.- disse, come se avesse appena capito qualcosa a me sfuggita- Hai detto scusa, o sbaglio?
Non me n’ero nemmeno accorta.
Era stato talmente facile, quella parola mi era scivolata sulla lingua come se la usassi di continuo.
Iniziai a sorridere.
Wow, prima avevo chiesto scusa, e poi avevo addirittura sorriso.
Quella giornata non poteva andare meglio di così.
Poi alcune immagini mi riaffiorarono alla mente, immagini del vecchio villaggio, di fiaccole..
Il sorriso mi sparì immediatamente.
Andrew se ne accorse, e chiese dubbioso:
-Ehi, qualche problema?
Mi voltai.
Ma figurati. Quale problema? Solo i fantasmi del passato che vengono a tormentarmi di notte.
-No, no. Sto bene.
-Bene.- rispose.
Mi alzai da terra e corsi in cucina, pronta per preparare un’abbondante colazione.
Poi mi accorsi che c’era davvero poco con cui sfamarsi.
Quand’era stata l’ultima volta che avevo comprato da mangiare?
Sembravano secoli fa.
Andrew nel frattempo mi aveva raggiunta, così gli dissi:
-Senti, io devo andare a comprare qualcosa da mangiare. Tu non ti muovere, d’accordo?
-Certo. Non mi muoverò da qui, bellezza.
Mi fece l’occhiolino, e io, facendo finta di ignorare l’ultima parola che aveva pronunciato, alzai gli occhi al cielo, e me ne tornai in camera.
Nessuno mi aveva mai chiamata bellezza.
E poi, che cosa voleva dire Andrew? Mi stava prendendo in giro?
Ripensai all’incubo di stanotte.
No, ne avevo abbastanza di prese in giro.
Frugai nell’armadio qualcosa da mettere, ma la maggior parte dei vestiti erano per la caccia o per gli incontri con la corte. Il mio guardaroba era tutto un troppo, da entrambe le parti. Nessuna via di mezzo.
Così decisi di mettermi la prima cosa che mi fosse capitata in mano.
Chiusi gli occhi e frugai nei cassetti, poi presi una cosa a caso.
Anche senza poter guardare, sapevo benissimo che era un vestito per cacciare.
Quella stoffa ruvida l’avrei riconosciuta ovunque.
Anche se non molto soddisfatta, decisi che non valeva la pena di perdere altro tempo.
Andai in bagno, mi vestii e mi feci una coda di cavallo.
Poi uscii.
Fuori c’era il sole, ma stranamente non avevo nulla da ridire.
Per me poteva anche nevicare, niente mi avrebbe tolto quel sorriso dalla faccia.
Ora che sapevo com’era sorridere, l’avrei fatto più spesso.
Un sorriso poteva cambiarti la giornata, e, tenendo conto di chi ero io, se non facevi il primo passo potevi scordarti la gentilezza di qualcuno.
Ma, qualche minuto dopo, scoprii che neanche facendo la prima mossa gli altri erano gentili, se ti avevano visto sempre in un certo modo.
Appena arrivai nella via del mercato, tutti si zittirono, come al solito.
Avevo creduto che se fossi arrivata tutta sorridente, le persone avrebbero cambiato idea sul mio conto.
Magari sarebbero state anche gentili.
Mi ero illusa completamente.
Tanta fatica per farmi una reputazione, e poi ecco che mi si ritorce contro.
Che stupida.
Stupida, stupida, stupida.
Il sorriso mi morì sulle labbra.
Mi voltai, iniziando a camminare velocemente, poi cominciai a correre, per dove, non lo sapevo.
E’ facile pensare una cosa, e prefissarsi di farla.
Non altrettanto facile è portarla a termine.
Avevo promesso a me stessa che d’ora in poi l’avrei fatta uscire allo scoperto, avrei fatto vedere a tutti chi ero sul serio.
Invece non avevo il coraggio.
Mi avevano scelto come cacciatrice proprio perché sembrava che ne avessi.
E in realtà davanti a loro, sembravo sul serio coraggiosa.
A tal punto che ci avevo creduto anch’io.
C’erano troppe bugie.
E le avevo ripetute talmente tante volte che ormai mi ero convinta che fossero vere.
Sapevo chi ero io, e chi era la cacciatrice, certo, ma i dettagli li avevo confusi.
Questa storia del coraggio ne era un esempio.
Ormai nella mia testa avevo mischiato tutto, come in un frullatore.
Ne avevo davvero abbastanza.
In realtà, se non fosse arrivato Andrew, probabilmente non ci avrei neanche fatto caso.
Probabilmente avrei continuato sulla strada che mi ero costruita da sola, con bugie e maschere, e non mi sarei accorta di niente.
Avrei continuato a fare la stessa strada per il palazzo, ignorando gli sguardi della gente.
O, più che altro, non facendo vedere che mi facevano del male.
Ma adesso basta.
Basta.
La mia vita era tutto un fallimento.
Senza accorgermene, ero arrivata ai confini del villaggio, su una collina.
Da lì potevo vedere tutto il regno.
La vista era spettacolare.
Il mio sguardo partì da casa mia, attaccata al fiume, poi seguì l’acqua che avanzava verso la parte residenziale del villaggio, dove vivevano praticamente tutti.
Poco lontano da lì, partiva la via del mercato, dove prima mi trovavo.
E invece di pensare a tutte quelle persone che mi fissavano, pensai:
Wow, ho fatto una bella strada.
Da lì la strada si divideva in due: da una parte si arrivava al palazzo, e dall’altro si andava verso il bosco, che tutti evitavano.
Si raccontavano strane storie su quel posto, ma io non ci avevo mai creduto.
Ci andavo sempre a caccia e non avevo trovato mai niente tranne gli animali.
Se ci fosse stato qualcuno, o qualcosa, me ne sarei accorta senz’altro.
Anche perché, chi è che si nasconderebbe mai nel bosco?
Insomma, nessuno a parte me..
..sapeva come sopravvivere.
L’acqua del fiume sembrò risplendere ancora di più, il profumo dei fiori che avevo accanto a me divenne ancora più inebriante.
Perché non ci avevo pensato prima?
Tutto quel tempo a rimpiangere ogni decisione, ogni gesto, ogni pensiero.
Ormai avevo deciso.
Iniziai a correre verso casa.
Non m’importava se Andrew fosse venuto o no.
O, almeno, la sua decisione non mi avrebbe impedito di fare quello che avevo in mente.
Scappare.
E questa volta, non sarei scappata per fuggire dai problemi, no.
Per ricominciare.
Sì, l’idea era quella.
Ma la vera domanda era:
Sarei stata all’altezza di mandare a quel paese tutto quanto e ricominciare con niente, essendo soltanto me stessa?
Be’, dovevo soltanto scoprirlo.

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Ehi, ma ciao :3
Spero di vedere le persone che mi seguono dall'inizio e, sì, magari anche persone nuove!
Ma adesso iniziamo con le note:)
Purtroppo per molti di voi (e in realtà anche per me) ci sono pochi dialoghi tra Annabelle e Andrew in questo capitolo.
Quanto avrei voluto metterli! Ma purtroppo non ce n'era l'occasione e poi il capitolo sarebbe stato lungo assai.
Questo è una specie di capitolo di mezzo. So che potrebbe non piacervi come gli altri, ma era assolutamente necessario.
Ma, guardate il lato positivo! Dai prossimi capitoli la storia diventerà più avventurosa e con un pizzico di azione, e, (non voglio anticiparvi nulla) magari ci sarà anche Andrew, no? :3
Perciò, ditemi cosa ne pensate tenendo conto di quello che vi ho detto, e ve ne sarei grata sul serio.
Direi che a questo punto le vostre critiche sono praticamente necessarie per me

xoxo,

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Capitolo 6
*** Capitolo cinque. ***


 

Capitolo cinque.

 

La velocità con cui il mio umore cambiava negli ultimi tempi era impressionante.
Quella giornata era stata piena di alti e bassi, e non ci ero affatto abituata.
Ma la mia vita era tutto fuorchè normale, quindi non potevo certo fare commenti.
Stavo correndo a per di fiato, l’eccitazione era alle stelle.
Avevo un’idea fissa: prendere tutto quello che mi sarebbe servito e scappare anche subito.
Il prima possibile, almeno.
E Andrew.. Andrew non aveva altra scelta, credo.
Era scappato, non poteva certo restare lì a casa mia per sempre.
Da solo.
L’idea non mi piaceva per niente; sia perché le guardie, dopo la mia scomparsa, sarebbero sicuramente andati a controllare per prima cosa a casa mia, sia perché non me lo immaginavo proprio un Andrew responsabile e attento.
Arrivai a casa mia più in fretta di quanto pensassi, tutta sudata e appicicaticcia.
Nel bosco avrei avuto tutto il tempo che volevo per lavarmi, ora non era davvero il momento.
Aprii la porta con forza tale che avrei potuto staccarla dai cardini.
Andrew era lì che camminava avanti e indietro senza sapere che fare.
-Ah! Meno male, sei arrivata. Sto morendo di fame.- esclamò.- Che hai comprato?
-Nulla. Dobbiamo andare.- risposi frettolosamente.
Andavo avanti e indietro per le camere, senza una ragione precisa.
L’unica cosa di cui ero assolutamente certa era che dovevo sbrigarmi, ma non riuscivo a ragionare con lucidità.
Andrew non riusciva a starmi dietro; cercava di seguirmi ma ogni volta cambiavo strada e gli andavo addosso.
-Cosa? D’accordo, ho capito. Vuoi che me ne vada?- rispose sconsolato.
-Che cosa? No! Ma come ti è venuto in mente?- gli dissi.
-Uh, meno male. Pensavo..-
-..ce ne andiamo tutti e due.- continuai.
-..che volessi.. aspetta. Cosa? Perché?
-E’ meglio così.
-Senti.. d’accordo. Immagino di non avere altra scelta, no?
-Già, hai immaginato bene.
-Insomma, so che sono davvero attraente e tutto il resto, ma non immaginavo che tu ti innamorassi di me solo dopo un giorno.
Saltai sul posto per la sorpresa e il sangue affluì nelle mie guance.
Come avrei voluto avere la pelle più scura per nasconderlo!
Così cercai un modo per non farglielo notare e iniziai a ridere. Peccato che la mia sembrasse più una risata isterica.
-Che cosa!? Ma come ti viene in mente?- dissi, continuando a ridere.
-Ma sì, dai. Non devi vergognartene, è successo a molte ragazze prima di te.
Smisi subito di ridere.
-Non hai mai sentito dire che la qualità più attraente in una persona è la modestia?
-Vale solo per le persone brutte. Forse un giorno gli ultimi saranno i primi, ma per ora sono i vanitosi a divertirsi di più.- disse facendomi l’occhiolino.
Rimasi a bocca aperta per un po’. Come poteva una persona essere così.. così.. non c’era un termine adatto per una persona come lui.
Richiusi la bocca e mi preparai per ignorarlo per tutto il tragitto da lì fino al bosco.
Poi avrei dovuto trovare una soluzione efficace per fare di lui un ragazzo modesto (o quasi), e non quello che era ora, e cioè il tipico sono-figo-e-le-ragazze-cadono-tutte-ai-miei-piedi.
Che poi io non ero caduta ai suoi piedi.
Semplicemente non volevo farmi mettere a soqquadro casa mia.
E, in più, eravamo completamente diversi.
Io ero la pioggia, lui il sole.
Io ero quella che ci pensava su prima di agire, lui era quello che si buttava.
Semplicemente, io ero Annabelle, e lui Andrew.
Due mondi opposti.
Così gli feci un sorriso incerto e incominciai a raccogliere roba in giro.
Non avevo dubbi sul fatto che sarebbe stato difficile ‘convivere’.
Ma, stranamente, in cuor mio sapevo che ce l’avremmo fatta.
Bastava ignorare i difetti dell’altro.
Già, ci saremmo riusciti.
 

Per la cronaca: ho il vizio di cambiare idea spesso.
E, dopo qualche ora, il mio giudizio su quell’impresa era cambiata completamente.
Continuavo a ripetermi: ‘non ce la faremo. Sicuramente.’
Non molto stranamente, era Andrew quello tranquillo.
Se ne stava lì a fischiettare, chiedendo ogni tanto quanto ci volesse per arrivare.
Avevamo deciso di partire di notte, così non avrei dovuto incontrare tutta quella gente.
Era un vantaggio sia per me che per Andrew.
Anzi, più per lui che per me.
Se si fosse fatto vedere da qualche guardia, il piano sarebbe andato in fumo.
Così camminavamo di soppiatto (la prudenza non era mai troppa) per le strade del villaggio, guardando a destra e a sinistra per controllare se per strada
ci fosse qualcuno.

Certo, se Andrew avesse smesso di fischiettare, avrei potuto sentire meglio se fosse arrivato qualcuno.
Ma fischiando metteva tranquillità anche a me, quindi lo lasciavo fare.
Eravamo a metà strada quando vidi una guardia di lì a pochi metri.
Mi fermai di botto e Andrew mi venne addosso.
Stava per urlarmi qualcosa quando gli misi una mano sulla bocca; poi gli indicai la guardia che passeggiava tranquilla per la strada.
Lui annuì e si liberò la bocca dalla mia mano.
Gli feci cenno di rimanere lì dov’era, in modo che rimanesse nell’ombra e la guardia non lo vedesse.
Poi mi allontanai da lui e andai verso il soldato.
Non mi vide subito, ma feci un colpo di tosse e quasi cadde per terra dalla sorpresa.
-Ehi ma chi diavolo..? Oh! Signora cacciatrice.. non mi aspettavo che fosse.. mi dispiace davvero che..-rispose balbettando.
-Non preoccuparti.-gli risposi, guadagnandomi un’occhiata incredula da parte sua. Non c’era davvero il tempo per comportarmi da cacciatrice.
-Oh, si.. certo. Posso aiutarla?
-Veramente sì. Stavo per andare a cacciare. Sa, non riuscivo a dormire.- feci una risatina, per smorzare la situazione. Intanto, però, stavo cercando di guardarmi attorno per riuscire a trovare Andrew, che, per fortuna, era ancora nascosto nell’ombra.
Anche la guardia fece una risatina, giusto per cercare di non offendermi, o almeno credevo.
Non avevo argomenti di cui parlare, con una guardia.
Ma dovevo trovare qualcosa altrimenti saremmo rimasti lì.
-Uh! Non ci posso credere! Ma quello è il ragazzo che ho messo in prigione!-urlai contro la guardia, che si voltò subito in direzione del mio dito.
-Dove!?
-Ma lì! Non lo vedi!? E’ scappato da quella parte!
La guardia iniziò a correre biascicando frasi senza senso, lasciando a me e ad Andrew la strada libera fino al bosco.
Andrew uscì dal suo nascondiglio con un sorriso smagliante.
Fece una risatina, poi mi sussurrò:
-Tranquilla, avremo modo di lavorare sulla tua scarsa fantasia nel bosco.
Ok, dovevo ammetterlo: non è stata una delle mie più grandi idee, ma era sempre meglio di niente.
E poi aveva funzionato, quindi non poteva dirmi nulla.
Non gli risposi, quindi mi misi davanti a lui e gli indicai la strada.
Non c’era molto da camminare, mancava veramente pochissimo al bosco.
Iniziarono ad affollarsi domande su domande nella mia mente.
Era stata una decisione saggia? Saremmo riusciti io ed Andrew a sopravvivere nel bosco?
E, quella più pesante: E’ proprio vero che hai fatto questa scelta per ricominciare? O magari era solo per scappare?
Non mi ero accorta di aver iniziato a camminare più lentamente.
Andrew ormai era avanti a me, e cercava di capire da che parte andare, perché evidentemente si era accorto che io non stavo più guidando.
A quel punto mi fermai completamente.
Andrew si girò, sicuramente pronto per chiedermi le indicazioni, ma restò zitto.
Si avvicinò un pochino; allungò la mano, ma poi sembrò ripensarci e la ritirò indietro.
Disse solo: -Ne sei sicura?
Cercava di sorridermi per mettermi coraggio, ma si vedeva benissimo che aveva paura che lo mandassi via.
Probabilmente ne aveva da quando mi aveva chiesto di entrare in casa mia.
Ma, anche se cambiavo idea in continuazione e avevo paura di prendere la decisione sbagliata, sapevo che mandarlo via sarebbe stato un errore.
E in quel momento pensavo, con tutta onestà, che non potevo prendere decisione migliore.
Sarebbe stato difficile, davvero difficile.
Ma, sinceramente, nulla poteva essere peggio di recitare una parte che neanche ti piace per tutta la vita.
-Si. Si, ne sono sicura.- gli risposi sorridendo.
E così ci avviammo verso il bosco, facendoci coraggio, e, per la prima volta, tenendoci per mano.

 

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Buongiorno gente!
Come va? Mi scuso subito per aver messo il secondo capitolo così tardi, ma tra la scuola e la scarsissima ispirazione non riuscivo a scrivere il capitolo, perciò posso considerarlo quasi un miracolo che oggi l'abbia messo! u.u
Comunque, spero sia venuto bene perchè l'ho scritto pensando al capitolo successivo, quindi la mia mente ora non vuole collaborare D:
Spero comunque che vi piaccia:D
Ah, e le frasi sulla modestia che si scambiano Andrew e Annabelle sono state prese dal libro 'Shadowhunters - Città di cenere'.
Al prossimo capitolo belli:3
Un bacio enorme,

scarr.

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