IL DRAMMA DELL'AMORE - THEODORE&ELEANOR: Come tasselli di un puzzle di Alvin Miller (/viewuser.php?uid=112400)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1: Dieci anni ***
Capitolo 2: *** 2: Theodore ***
Capitolo 3: *** 3: L’incidente ***
Capitolo 4: *** 4: La famiglia. ***
Capitolo 5: *** 5: Una tragedia. ***
Capitolo 6: *** 6: Sogni. ***
Capitolo 7: *** 7: Il medium. ***
Capitolo 8: *** 8: Tutti sbagliano. ***
Capitolo 9: *** 9: Nostalgia ***
Capitolo 10: *** 10: Il passato. ***
Capitolo 11: *** EPILOGO ***
Capitolo 1 *** 1: Dieci anni ***
1.1:
8
FEBBRAIO 2029 (Los
Angeles)
«Desidera
qualcosa, signore?» Gli chiese una voce femminile.
La
domande gli era stata posta da una giovane cameriera del Bar in cui
si trovava da oltre un’ora.
Ancora
oggi, dopo tutto questo tempo, gli suonava strano essere chiamato
“signore” come un comune essere umano, data la sua
condizione. Probabilmente nel
corso degli anni la gente si era abituata a quelli come lui
più di quanto lui
non lo fosse per se stesso.
«Hm?
Ah, no… non ancora, la ringrazio. Sto aspettando una
persona»
guardò l’orologio digitale appeso alla parete
sopra il bancone del bar «solo
che è un po’ in ritardo.»
Sbuffò.
«D’accordo.
Allora passerò da lei più tardi, va
bene?» Propose la
cameriera con un tono di voce sicuro e professionale.
Lui
annuì.
Mentre
la cameriera si allontanava dal suo tavolo per dedicarsi agli
altri clienti, lui la osservò, cercando di mantenere un
atteggiamento discreto.
Era una ragazza giovane, probabilmente ventenne o poco più,
capelli bruni,
corti e ricci, che teneva raccolti a coda di cavallo.
Aveva
l’età per poter essere una studentessa
universitaria, forse dell’
U.C.L.A.
(“Università
della California, Los Angeles” n.d.a.).
Chi
sa, magari era pure una delle sue studentesse. Forse gli si era
avvicinata nella speranza che lui la riconoscesse. Poi però
la osservò meglio.
No, quella ragazza dava più l’idea della
studentessa di Giurisprudenza, lui
invece insegnava Psicologia, e comunque, se era andata da lui era solo
perché
in questo consisteva il suo compito nella locanda.
Comunque
era proprio una ragazza carina e piacente. Se non fosse stato
per il fatto che era già sposato, probabilmente si sarebbe
concesso di fare
qualche ulteriore commento su di lei, ma ora come ora non poteva
più permetterselo.
Come se non bastasse, lui e sua moglie avevano compiuto da pochi mesi
il loro
decimo anniversario di matrimonio, perciò, a maggior ragione
non voleva
lasciarsi coinvolgere in pensieri frivoli e sconvenienti nei confronti
di
un’altra donna, soprattutto, viste e considerate le enormi
differenze che lui e
la cameriera avevano sul piano fisico.
Alla
fine decise di distogliere l’attenzione dalla ragazza, e
tornò a
fissare l’orologio. In effetti la persona che stava
aspettando era parecchio in
ritardo.
«Il
lupo perde il pelo ma non il vizio» commentò tra
se e se
bisbigliando dopo aver sbuffato dalla noia.
Si
pentì di non essersi portato dietro un quotidiano o qualcosa
da
leggere nell’attesa e cominciò a guardare verso la
vetrata, osservano le automobili
e i mezzi pubblici che scorrevano nelle trafficate strade di Los
Angeles.
Era
l’ora di punta, quando la gente finiva i propri turni
mattinieri di
lavoro e si dirigeva nelle propri abitazioni o in qualche locale per
pranzare,
e le strade erano quasi intasate dal traffico. Forse era per questo che
la
persona che stava aspettando era così in ritardo. La sera
prima al telefono gli
aveva detto che sarebbe arrivato in taxi subito dopo essere giunto
all’aeroporto e aver trasportato i bagagli a casa di
papà.
Forse
era già per strada, imbottigliato da qualche parte nel
traffico,
magari intendo a imprecare con il taxista per il ritardo che gli stava
costando.
Due
donne entrarono nel bar e furono subito accolte dalla cameriera coi
capelli ricci, le chiesero se era disponibile un posto per due e la
ragazza
guardò verso i tavoli, soffermandosi per un tempo maggiore
sul Nostro, che
abbassò lo sguardo imbarazzato, poi si voltò
verso le due potenziali clienti e
fu costretta a dire loro che erano al completo.
Come
biasimare quello sguardo che gli era stato rivolto? Ormai era
un’ora che occupava il posto, e non aveva nemmeno ordinato
nulla.
Si
disse che per lo meno avrebbe dovuto ordinarsi un caffè
nell’attesa,
fece quindi per chiamare la cameriera quando d’improvviso,
nel marciapiede
proprio all’infuori del locale, gli parve di vedere la
persona che stava
aspettando.
Erano
passati dieci lunghi anni da quando l’aveva visto
l’ultima volta.
Si
erano parlati per telefono, scritti innumerevoli mail, in un paio di
occasioni, tre anni prima, si erano persino parlati in una video chat,
ma di
persona, quella era la prima occasione da ormai un decennio.
Era
leggermente diverso da come se lo ricordava. Più atletico,
con un
discreto orecchino sull’orecchio sinistro, ma era
inequivocabilmente lui. Altri
non poteva essere.
Indossava,
dei piccoli jeans neri, una maglietta rosso cremisi a maniche
corte con una collana d’oro al collo e con un ciondolo a
forma di nota musicale,
e si proteggeva dai raggi del sole con un paio di Ray-Ban su misura.
Era
giunto dinanzi alla locanda a piedi, quindi il Nostro, mentre lo
fissava da dentro la sala, ipotizzò che avesse deciso
congedare il taxista e di
proseguire da solo per non tardare ulteriormente a causa del traffico
stradale.
Si
guardò prima intorno e poi in alto, nell’insegna
del Bar, forse per
verificare che si trovasse nel luogo giusto, poi, appurato di essere
arrivato
alla sua destinazione, si diresse con fare sicuro verso
l’entrata.
Quando
aprì la porta, si trovò l’attenzione di
tutta la clientela su di
lui.
Come
non dar loro torto, del resto lui era Alvin Seville, uno dei
più
famosi talent scout d’America, oltre a essere stato una
rock-star di fama
mondiale da giovane.
Quel
giorno Alvin avrebbe finalmente dovuto rincontrarsi con suo fratello
Simon, il quale non lo incontrava di persona da ormai dieci anni.
Quando
lo vide entrare, Simon tirò un sospiro di sollievo, pensando
che
finalmente, dopo oltre un’ora di attesa, aveva la
possibilità di rivederlo.
Adesso
i due fratelli avevano entrambi trentacinque anni a testa, ma ai
tempi in cui erano ancora dei ragazzini che amavano giocare e
divertirsi, Simon
ricordava che uno dei principali piaceri di suo fratello, oltre che
provocare
guai, era di crogiolarsi delle grida e dell’amore dei fan. Si
aspettò, quindi,
che come minimo, al vedere tutta la gente circondarlo per conoscerlo e
chiedergli l’autografo digitale sui proprio tablet personali,
avrebbe iniziato
uno dei suoi tipici discorsi da egocentrismo smisurato come ai vecchi
tempi. Invece
Alvin si limitò a firmare autografi a chi glielo chiedeva e
a rispondere
semplicemente con un «Grazie» ai pochi commenti e
complimenti che gli venivano
fatti.
In
seguito, dopo aver dedicato loro quei pochi istanti di attenzione,
superò la folla, tra gente soddisfatta
dell’autografo e gente delusa per non
aver potuto dirgli quello che avrebbero voluto, e cominciò a
guardarsi intorno
alla ricerca di suo fratello.
La
solita cameriera dai capelli ricci lo accolse educatamente, senza
dare di matto alla sua vista, e quando lui le chiese quale fosse il
tavolo di
Simon Seville, lei glielo indicò con l’indice
della mano sinistra e dicendogli
qualcosa che il fratello, dal suo tavolo, non udì.
A
quel punto gli occhi dei due finalmente s’incrociarono. Simon
avrebbe
voluto fin da subito farsi notare da lui e chiamarlo, ma non ci
riuscì, preda
delle emozioni che stava provando in quel momento.
Alvin
camminò verso il tavolo di Simon e si levò di
dosso i Ray-Ban
mentre si avvicinava, l’altro chipmunk, nel frattempo,
saltò giù dal tavolo su
cui stava seduto e aspettò.
Quando
i due fratelli si trovarono finalmente l’uno di fronte
all’altro,
non riuscirono a dirsi alcuna parola.
Avevano
già parlato in diverse altre occasioni, una delle ultime,
quando
dovevano organizzare quell’incontro, eppure questa volta il
fatto di potersi
finalmente ritrovare a tu per tu, li ammutolì.
Simon
azzardò un sorriso impacciato, Alvin ricambiò con
uno molto più
sicuro e pronunciato.
Simon
porse al fratello la mano destra, con l’intenzione di
stringere la
sua, Alvin invece, dopo un paio di secondi di attesa, gli si getto
incontro e
lo abbracciò. Il gesto colse di sorpresa Simon, ma subito
dopo lo ricambiò.
«Grazie
per essere qui Alvin, sono davvero contento di rivederti.»
«Anch’io,
Simon. Non immagini quanto.» Rispose Alvin, commosso.
1.2:
7
FEBBRAIO 2029 (New York)
Un
rumore svegliò d’improvviso Alvin.
Si
strofinò gli occhi e cercò di tornare lucido per
capire cosa fosse
stato e da dove provenisse.
La
prima cosa che fece fu di guardare alla sua sinistra, verso la parte
di letto dove abitualmente dormiva Brittany. Non c’era.
Guardò
sul comodino di fianco alla sua parte del letto e costatò
che
erano l’una di notte.
Sette
ore dopo avrebbero dovuto svegliarsi per raccogliere le valige che
avevano già preparato e dirigersi all’aeroporto,
dove si sarebbero imbarcati
per il volo New York – Los Angeles delle 10.00.
Scese
giù dal loro letto (a una piazza, ma che per le loro ridotte
dimensioni era come e anche meglio di un matrimoniale), si stiracchio i
muscoli
sbadigliando e uscì dalla camera da letto trascinando i
piedi a ogni passo.
Dal
corridoio vide una luce provenire dal bagno e senti lo scroscio
dell’acqua che usciva dal rubinetto.
Sentiva
anche un flebile rumore di passi che andavano avanti e indietro
nel bagno e si tranquillizzò.
Percorse
il corridoio fino ad entrare nella stanza, e lì vide
Brittany
intenta ad asciugarsi il viso con un asciugamano su misura per chipmunk.
«Stai
bene, Britt?» Le chiese con voce stanca.
La
domanda era un po’ sciocca, non era la prima volta che le
succedeva
quello, ma gli sembrò comunque educato chiedere.
«Sì,
Al, non preoccuparti. E’ solo nausea notturna, mi ci sono
abituata.»
Lo tranquillizzò lei.
Brittany
era incinta di sette mesi del loro primo figlio.
Aveva
sofferto di alcuni leggeri disturbi durante i primi periodi, per
poi stare meglio a partire dal quarto mese. Arrivata al sesto,
però, la nausea
tornò, e secondo quanto aveva detto loro il medico, sarebbe
continuata anche
nei successivi due mesi che le rimanevano.
Esistevano
in commercio dei medicinali in grado di annullare del tutto
ogni malessere legato alla gravidanza umana, ma dal momento che lei era
comunque uno scoiattolo, e non si sapeva come il prodotto avrebbe
potuto
reagire sul suo organismo o su quello del nascituro, il dottore
sconsigliò loro
il trattamento.
Accettare
il consiglio non fu un problema per Brittany, del resto erano
pur sempre animali e in natura le future madri non hanno certo bisogno
di
prodotti chimici per terminare le loro gestazioni. Avrebbe lottato e
tenuto
duro fino alla fine con il sorriso sulle labbra.
Da
ragazzina Brittany si comportava il più delle volte come una
piccola
smorfiosa egocentrica, ma crescendo, un po’ come tutta la sua
famiglia dopo
quello che era successo loro, era diventata molto più
responsabile e matura.
Un
atteggiamento, il suo, che aiutava moltissimo Alvin in quel periodo,
il quale era agitatissimo all’idea di diventare padre. Anche
se gli ultimi mesi
erano stati più sopportabili che non agli inizi.
Forse
anche lui, come Brittany, ormai ci aveva fatto l’abitudine
all’idea, ma sapeva che l’agitazione sarebbe
tornata a travolgerlo come un
fiume in piena nel momento in cui avrebbe tenuto per la prima volta in
mano il
suo piccolo e avrebbe capito che da quel momento in poi sarebbe toccato
a lui
educarlo al meglio.
«Coraggio,
andiamo a letto. Domani ci aspetta un lungo viaggio.» Le
disse.
«Sì,
hai ragione.»
Cominciò
a camminare verso di lui, quando Alvin la fermò.
«Aspetta,
ti aiuto!»
«Oh,
no caro. Non disturbarti… » gli disse dolcemente.
«Nessun
disturbo, piccola.» Insistette lui amorevolmente.
Le
si avvicinò e le appoggiò un braccio sulle
spalle, aiutandola a
uscire dal bagno e a tornare in camera da letto.
Gesti
come questi facevano sentire Britt una donna molto fortunata.
Negli
ultimi anni e in particolare da quando lei era in dolce attesa, le
era capitato spesso di sognare il periodo in cui loro due erano stati
costretti
a far ritorno sull’isola a causa del suo malessere
improvviso.
Nel
sogno lei affogava, delle catene di metallo la trascinavano
giù nel
profondo degli abissi e quando ormai sentiva che sarebbe annegata, la
mano di
Alvin, grande e forte, la afferrava e la tirava fuori
dall’acqua. D’improvviso
lei si trovava sulla spiaggia, con Alvin che le stava vicino e che
guardava
qualcosa in mare.
Brittany
si voltava nella sua direzione e lì il suo sogno si
trasformava
in un incubo. Vedeva qualcun altro annegare al posto suo. Una persona a
lei molto
vicina e che ora non c’è più. Nel
sogno, prima di affondare tra i flutti del
mare, questa persona si voltava verso di lei e urlava una frase
“Non è giusto!
Questo non doveva succedere a me!”. A quel punto Brittany si
svegliava sempre
con le lacrime che le colavano sulle guance e piangeva ripensando al
ricordo di
quella tragica perdita.
Forse
era vero, forse toccava davvero a lei. Se Alvin non l’avesse
salvata, forse quella persona sarebbe ancora viva.
Ogni
volta che quel pensiero le balenava in testa e tentava di prendere
il sopravvento su di lei, Brittany cercava di combatterlo ricordandosi
degli
enormi sacrifici che il suo compagno aveva compiuto per trarla in
salvo, e si
ripeteva tra se e se che perseverare con quell’idea era una
profonda mancanza
di rispetto nei suoi confronti.
No,
Alvin non aveva colpe di nessun tipo. Era il compagno perfetto,
migliore di quanto avesse mai desiderato, e anche se non erano sposati
come sua
sorella Jeanette con Simon, presto avrebbe avuto un figlio da lui.
Avrebbero
formato una famiglia e avrebbero vissuto felici per sempre. Quel che
era successo
diciotto anni prima, per quanto doloroso, faceva parte del passato,
Brittany
ora doveva pensare al suo futuro e lasciare che i sogni fossero solo
sogni.
1.3
Alvin
la riaccompagnò in camera loro.
Erano
una coppia ricca. Grazie al successo di entrambi erano riusciti ad
arricchirsi quanto basta per permettersi un lussuoso attico nei pressi
dell’aeroporto di New York. Un appartamento che avrebbe fatto
invidia agli
stessi umani, figurarsi a due scoiattoli come loro.
Con
lo sciogliersi del gruppo dei Chipmunks e delle Chipettes a causa
dell’incidente e dopo essersi trasferiti a New York
lasciandosi tutto alle
spalle, avevano continuato a incidere alcuni dischi da solisti o in
coppia per
una manciata di anni, dopo di che avevano intrapreso strade diverse.
Brittany
era diventata un’insegnante di ballo per bambine e con la sua
abilità, unita alla fama accumulata nel corso degli anni,
aveva fondato una sua
scuola di ballo di straordinario successo, tanto da poterle presto
permettere
di assumere nuove istruttrici per ampliare il numero di corsi e di
ingrandire
l’attività tanto da renderla praticamente
autosufficiente anche in assenza
della Chipette.
Contemporaneamente
Alvin, dopo aver proseguito da solista per un anno in
più rispetto a Britt, si era ritirato dalla scena per
diventare un talent
scout.
Girava
per il Paese alla ricerca di giovani stelle nascenti della
musica, e la sua abilità nello scovare nuove star lo rese
una delle personalità
più celebri degli USA, restituendogli un po’ della
notorietà internazionale che
aveva perduto con lo sciogliersi del gruppo.
Disponevano
quindi di molti soldi da parte, che gli permettevano il
mantenimento di quel lussuosissimo attico.
La
decisione di trasferirsi lì l’avevano presa
insieme.
Jeanette
e Simon, nonostante anche loro avessero intrapreso delle ottime
carriere di successo e vivessero come essere umani in un discreto
appartamento
di Los Angeles, non davano certo nell’occhio come Al e Britt,
la coppia più
paparazzata di tutta l’America sia nel passato che nel
presente.
Già
era difficile e rischioso per un divo umano sfuggire ai pericoli dei
fan impazziti e ai malfattori affamati del loro successo e della loro
ricchezza, figurarsi come sarebbe potuta essere la vita da ricchi per
due
chipmunk, senza più la supervisione e la tutela di un umano
responsabile come
ai tempi in cui vivevano a casa di Dave.
L’attico
da loro scelto faceva parte di un complesso nel quale
risiedevano molte personalità di spicco della
città, pertanto era dotato dei
più avanzati sistemi di sicurezza e antifurto disponibili
sulla piazza nel
2029.
In
poche parole, era l’ideale per loro!
In
più di un’occasione Brittany aveva avuto la
possibilità di compiere
trasferte a Los Angeles, quindi aveva avuto modo di vedere come
vivessero la
loro vita Simon e Jeanette.
La
loro coppia doveva far fronte al problema di vivere in una casa le
cui proporzioni non si adeguavano per niente alla loro taglia. Un
inconveniente
di non poco conto a cui però non erano incappati Alvin e
Brittany.
Grazie
alla loro ricchezza, erano riusciti a permettersi la costruzione
di impianti ed elettrodomestici su misura, che permettevano loro di
svolgere
una vita praticamente indistinguibile da quella degli esseri umani.
Minuscoli
servizi igienici, piccoli fornelli dall’altezza di quindici
centimetri e
frigoriferi di trenta, tavolo e sedie ideali per permettere loro di
mangiare
senza sforzi. E per quando era necessario fare ordine e pulizia in
quello
spazio sconfinato che era il loro attico, Brittany si faceva aiutare da
alcune
assistenti umane pagate affinché svolgessero il compito di
donne delle pulizie.
Anche
Alvin disponeva di un paio di autisti personali, che a comando li
portavano a lavoro o dovunque volessero in qualunque momento, visto che
non
avrebbero mai potuto guidare un veicolo umano.
Quando
Brittany era andata a far visita a sua sorella e al marito Simon,
si era sempre offerta di dar loro i soldi per potersi permettere quelle
comodità che semplificavano di molto la loro vita, ma anche
Jean nel corso
degli anni era cambiata come tutti gli altri. Era diventata
più sicura di se e
orgogliosa, forse persino più severa e irascibile. Non
voleva accettare quegli
aiuti da parte di Brittany e reagiva sempre all’offerta
alzando la voce e
ribadendo che non avevano bisogno dei loro soldi per cavarsela.
Si
volevano ancora bene e andavano d’accordo, ma Brittany era
convinta
che sotto sotto non l’avesse ancora perdonata del tutto per
essere partita
insieme ad Alvin per New York e averli lasciati da soli ad affrontare
la loro
situazione.
Alla
notizia che Alvin sarebbe andato a vivere dall’altra parte
del
paese e che Britt l’avrebbe seguito, Simon si
sentì profondamente tradito dal
fratello, e nel tentativo di convincerlo a non andare
scoppiò un acceso litigio
tra i due che si concluse con un amaro saluto che per molti anni era
sembrato
un addio.
Passarono
sei anni prima che Alvin e Simon decidessero di riparlarsi.
La
prima volta fu Alvin a inviare una mail al fratello, che ricevette
prontamente risposta e a cui ne seguirono diverse altre nei mesi e
negli anni
seguenti.
Talvolta
riuscirono a vedersi in video chat, benché nel frattempo la
nuova carriera di Alvin lo teneva impegnato più del previsto.
Viaggiava
costantemente per gli Stati Uniti alla ricerca di nuovi
talenti da lanciare nel firmamento musicale. Per ogni nuovo cantante o
band che
scopriva, la casa discografica per la quale lavorava, secondo il
contratto che
si erano accordati, gli pagava una piccola percentuale sulla base dei
guadagni
che gli artisti da lui scoperti fruttavano alla Major.
Fu
proprio questo continuo spostarsi da un posto all’altro che
lo tenne
molto spesso lontano da Los Angeles, e anche le poche volte in cui il
suo
pellegrinare lo riportava nella città in cui era cresciuto,
a causa di
imprevisti di vario tipo non era mai riuscito a rivedere di persona il
fratello.
Solo
di recente gli si era presentata una buona occasione. Alla notizia
che Brittany aspettava un figlio, decise di prendersi finalmente un
anno
sabatico durante il quale avrebbe sostenuto la sua compagna che
altrimenti non
avrebbe mai potuto cavarsela da sola in una casa così
grande, e fu proprio
durante questo periodo che finalmente Simon riuscì a
convincerlo a tornare a
Los Angeles per un po’.
1.4
Nonostante
la maggior parte del mobilio della loro casa fosse stato
costruito su misura, alcune cose erano ancora della taglia per gli
umani. Una
di queste era il letto.
Quando
vivevano da Dave dormivano abitualmente su materassi così
grandi,
quindi non era mai stato un problema per loro, ma ultimamente, a causa
della
situazione di Britt, dovettero ingegnarsi un po’ per riuscire
a farla salire.
Usavano
una piccola scaletta sulla quale Alvin saliva sempre per primo,
dopodiché, afferrava la sua compagna per un braccio e la
tirava su aiutandola a
salire. Ripetevano questo rituale per tre volte, corrispondenti al
numero di
gradini della scaletta, fino ad arrivare al letto.
Anche
sta volta fecero così, e prima di rimettersi a dormire Alvin
ricontrollò la sveglia per assicurarsi che fosse regolata
per suonare alle 8.00
di mattina.
«Buona
notte, Britt.» Le augurò.
«Notte
Alvin e… grazie.» Gli sussurrò lei.
«Per
cosa?»
«Per
tutto quello che fai per me e… »
abbassò lo sguardo e guardò il suo
pancione «per lui.»
Alvin
le accarezzò il ventre e lo baciò da sopra il suo
pigiama, dopo di
che diede un bacio anche sulla guancia di Britt.
«Grazie
a voi due di esistere.» le disse dolcemente, lei sorrise e lo
ricambiò con un altro bacio, questa volta sulle labbra e
più duraturo, poi
spensero la luce e si addormentarono abbracciati.
1.5
La
mattina si svegliarono puntuali alle 8.00.
Alvin,
dopo essersi fatto aiutare a portar giù le valige da uno dei
suoi
autisti personali, tornò in casa a far una rapida colazione
a base di caffè per
lui e una semplice tazza di latte per lei, poi, quando tutto fu pronto,
si
prepararono e partirono per l’aeroporto, accompagnati dallo
chauffeur.
Si
imbarcarono alle 10.00 in punto senza imprevisti.
Non
erano nuovi a quel genere di viaggi, perciò sapevano
esattamente
cosa fare e in che modo.
Il
viaggio verso Los Angeles sarebbe durato sei ore, ma dal momento che
tra New York e la loro destinazione c’era una differenza di
fuso orario pari a
tre ore, alla fine sarebbe stato come se il loro viaggio fosse durato
la metà
del tempo.
Arrivarono
all’aeroporto di Los Angeles alle 13.00, dove Dave era pronto
ad accoglierli dopo tanto tempo.
Il
loro vecchio tutore e padre umano aveva da poco compiuto il
cinquantanovesimo anno di età e da un paio di anni si era
messo in testa di
lasciarsi crescere una folta barba bianca, che secondo lui, gli dava
l’aria da
“uomo vissuto”.
Brittany,
durante le sue visite si era già abituata a questa sua nuova
tendenza, così come Dave era consapevole della gravidanza di
lei, perciò i due
si scambiarono solo un abbraccio e qualche convenevole, oltre a una
battutina
detta dall’uomo per scherzare sul suo stato interessante e
che la fece ridere
allegramente.
Per
quanto riguarda Alvin, loro due non si vedevano da ben quattro anni.
L’ultima volta era stata quando Dave era venuto a far loro
visita a New York
durante una giornata in cui per un grande colpo di fortuna, Alvin era
riuscito
a restare a casa dal lavoro e a rivederlo.
La
prima cosa che l’uomo notò era
l’orecchino che Alvin portava
all’orecchio sinistro (una novità che il chipmunk
aveva deciso di aggiungere al
suo look un anno prima, e che quindi risultava nuovo a Dave)
Sgranò
gli occhi e si strozzo nel vederlo, e non poté trattenersi
dall’esclamare «Alvin!!». Non si trattava
di vera rabbia, ormai Alvin era
grande e indipendente, ma Dave cercava solo un pretesto per rompere il
ghiaccio
in modo ironico (anche se, sotto sotto, se ne avesse avuto la
possibilità,
glielo avrebbe volentieri strappato di netto dall’orecchio).
Alvin
rise divertito e un po’ imbarazzato.
«Eheheh,
ciao Dave.» Lo salutò passandosi la mano tra i
capelli
nervosamente.
L’uomo
gli sorrise.
«Avanti,
vieni qui!» Lo invitò poi.
Alvin
si avvicinò alle gambe dell’uomo, il quale lo
prese in braccio e
lo abbraccio. Poco importava che uno avesse trentacinque anni e
l’altro
cinquantanove, non sarebbero stati certo gli anni a impedire loro di
salutarsi
alla vecchia maniera.
«Mi
sei mancato, papà!» Gli disse.
«Anche
tu, Al. E comunque ti consiglio di farci l’abitudine a quella
parola, perché presto anche tu comincerai a sentirla molto
spesso!» Lo informò
alludendo alla parola “papà”.
«Già,
ehehe… »
I
due si guardarono negli occhi per alcuni secondi, un po’
imbarazzati.
«Ci
hai già parlato?» Gli chiese Dave poi.
«A
chi ti riferisci?» Era una domanda retorica, lo sapeva
benissimo a
chi si riferiva.
«Simon…
»
«Abbiamo
parlato per telefono ieri. Mi ha dato il nome di un locale.
Diceva che non dovrebbe essere molto lontano da qui e mi ha detto che
mi
avrebbe aspettato lì.»
«Hmm,
che ora vi dovrete vedere?»
Alvin
guardò sul suo orologio da polso (un Rolex,
anch’esso creatogli su
misura).
«Bhe,
tra mezz’ora… portiamo i bagagli a casa tua e ci
vado subito.
Prenderò un taxi.»
Dave
ci rifletté un po’. Poi fece segno di no con la
testa.
«Non
arriverai mai in tempo» fece una piccola pausa, come se
dovesse
prendere fiato o si preparasse a prendere una decisione particolarmente
ardua.
«Io
porto i vostri bagagli e Britt a casa, tu prendi un taxi da
qui.»
Alvin
e Brittany si guardarono scambiandosi in silenzio alcuni segni
d’intesa.
«D’accordo,
allora faremo così. Vai con Dave, Britt. Noi ci vediamo
dopo.»
Lei
annuì.
«Va
bene Alvin, ci vediamo dopo, intanto io sistemerò le nostre
cose in
stanza.»
«No
Britt, ci penserò io quando vi raggiungerò. Non
devi affaticarti.»
Lei
gli sorrise.
«Non
c’è problema, e poi… »
guardò in alto, indicando Dave «ci sarà
Dave
ad aiutarmi».
Dave
fece spallucce.
«Per
me non è un problema.»
«Ok,
bhe, ora sarà meglio che vada, o rischio sul serio di far
tardi. Ci
vediamo dopo!»
E
così Alvin si congedò dalla sua compagna e da suo
padre, e percorse di
fretta il terminal dell’aeroporto fino alle uscite.
In
un paio di occasioni qualche fan lo fermò per chiedergli
l’autografo
e lui lì accontentò senza perderci troppo tempo.
Raggiunse
finalmente la fermata dei taxi e ne chiamò uno.
Purtroppo,
per quanto fosse andato di fretta e per quanto il Bar del
loro incontro fosse vicino, mezz’ora di tempo non sarebbe mai
bastata contro il
traffico stradale dell’ora di punta.
A
un certo punto chiese al taxista di lasciarlo nei pressi di un
incrocio, aggiungendo che avrebbe fatto molto prima a percorrere il
resto della
strada a piedi.
Il
taxista si scusò rammaricato del disagio e Alvin gli
spiegò che non
ne aveva motivo, che non era sua la colpa, ma del traffico. Detto
ciò, pagò il
pedaggio per il viaggio già compiuto e si fece spiegare la
strada che avrebbe
dovuto ancora percorrere per raggiungere la sua destinazione. Quindi si
avviò
di fretta alla ricerca della locanda.
Tra
il tempo perso imbottigliato nel traffico e quello speso per
raggiungere il luogo dell’appuntamento a piedi, gli ci volle
un’ora per
arrivare, ma alla fine, dopo dieci lunghi anni, finalmente aveva la
possibilità
di riabbracciare di persona il fratello.
E
così fece non appena se lo ritrovò davanti,
all’interno della locanda
in cui si erano prefissati l’incontro.
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Capitolo 2 *** 2: Theodore ***
2.1:
8
FEBBRAIO 2029 (Los
Angeles, nella locanda)
Dopo
la calorosa rimpatriata, i due Fratelli Alvin e Simon salirono sul
tavolo e si sedettero sopra di esso.
Non
erano certo composti nel modo che si addiceva a un famoso talent
scout e a un professore plurilaureato dell’U.C.L.A. ma anche questo faceva
parte delle condizioni
che dovevano rispettare per poter condurre una vita tra gli esseri
umani, e
avevano imparato ad accettarlo.
«Scusami
se ti ho fatto aspettare, avrei voluto chiamarti e avvertirti,
ma sai, la fretta. Me ne sono reso conto troppo tardi…
» spiegò Alvin.
«No,
lascia stare Al. L’importante è che ora sei qui.
Sono davvero
felice di vederti.» Gli rispose con un sorriso gioioso e
felice.
«Riesci
a crederci? Sono già passati dieci anni…
»
«Già.»
Tra
i due c’era ancora un forte imbarazzo. Si erano
già visti e parlati
in altre occasioni, ma mai di persona. E ora la sensazione che entrambi
provavano era di
non parlarsi sul serio
da oltre un decennio.
Si
studiavano attentamente a vicenda per analizzare quanto il tempo li
avesse cambiati. Da una parte Alvin osservava l’abbigliamento
formale ed
elegante del docente, con la sua camicia azzurra, i capelli corti ben
rasati e
la cravatta a righe nere grigie che portava al collo,
dall’altra, Simon che
guardava ancora una volta la maglietta cremisi, il ciondolo a forma di
nota
musicale e l’orecchino sull’orecchio sinistro del
talent scout.
«Ok.
Senti, io ho fame quindi la prima cosa che intendo fare è
mangiarmi
qualcosa.» Annunciò Alvin. «Tu hai
già ordinato?»
Simon
ridacchio alla domanda.
«Stavo
aspettando te… »
«Bhe,
in questo caso, che stiamo aspettando?»
Si
alzò in piedi sul tavolo e face segno alla cameriera dei
capelli
ricci di avvicinarsi.
Lei
si avvicinò subito.
«Buon
giorno, signore» disse rivolgendosi ad Alvin
«Allora? Avete deciso
cosa ordinare».
«Sì.
Ci porti un toast, e che sia bello abbondante… »
«E
due caffè!» Aggiunse Simon.
La
cameriera segnò l’ordinazione sul display del suo
palmare.
«Toast
e due caffè, basta così?»
I
due chipmunk si guardarono per chiedersi conferma a vicenda con lo
sguardo poi annuirono alla cameriera.
«Molto
bene, toast e caffè in arrivo!»
Mentre
la ragazza si allontanava, Alvin tornò a sedersi.
«Come
sta Brittany?» Gli chiese Simon.
«Lo
sai, ne avevamo parlato anche per telefono… le è
tornata la nausea e
ultimamente è sempre esausta.»
«Sapete
già se è maschio o femmina?»
Alvin
fece segno di no con la testa.
«Brittany
vuole tenersi la sorpresa per il grande giorno… e bhe, chi
sono io per contraddirla?»
«Eheh.
E…i crampi allo stomaco?»
«Non
credo ne abbia… » gli rispose portandosi la mano
al mento per
riflettere.
«Non
mi riferivo a lei… »
Si
guardarono in silenzio per un po’, poi Alvin capì.
Simon intendeva i
crampi allo stomaco che probabilmente doveva sentire costantemente
Alvin
all’idea che presto sarebbe diventato padre.
«Oh,
bhe… non farmici pensare!»
Scoppiarono
a ridere.
«Il
peggio sarà quando tornerete dall’ospedale, dopo
sì che comincerà a
bruciarti il “pancino”». Lo prese in giro
Simon mentre continuavano a ridere.
«E
tu lo sai per esperienza, vero?»
«Ci
puoi scommettere!»
Risero
di gusto ancora per un po’, fino a che non si
avvicinò la
cameriera con il loro caffè. Glielo portò su due
tazzine da espresso, in modo
che potesse essere più facile per loro sollevarlo e
portarselo alla bocca per
bere.
Dopo
averla ringraziata ed essere tornati ai loro discorsi, restarono in
silenzio per un po’.
Parlare
della gravidanza di Britt aveva risvegliato il ricordo del loro
litigio di dieci anni prima. Si guardarono a fatica negli occhi.
Entrambi
sapevano che l’altro stava ripensando a quel giorno. La colpa
di tutto era
stata di Alvin, ma anche Simon doveva ammettere con se stesso che se
l’era
presa un po’ troppo.
Stavano
cercando a fatica di ricominciare una vita dopo la tragedia
accaduta alla loro famiglia. Un raggio di speranza nel buio delle loro
anime
era giunto con la notizia che Jeanette aspettava il loro figlio Mark.
Simon
sapeva che prima o poi sarebbe successo. Ricordava bene la volta in cui
era
apparso nei loro sogni per avvertirli di un pericolo imminente. Una
grossa
massa di rami della quercia sotto la quale erano soliti trascorrere le
loro
uscite romantiche da giovani sarebbe stata colpita da un fulmine
durante un
temporale e li avrebbe uccisi schiacciandoli sotto di essa. Mark,
però, che in
quegli anni doveva ancora nascere ed era ancora solo uno spirito che si
era
autodefinito “un Viaggiatore dei Sogni”, aveva
visto nel loro futuro e aveva
fatto di tutto per impedire che ciò accadesse.
Quando
era arrivato il momento di dare delle spiegazioni, disse loro che
non avrebbe potuto avvertirli per tempo in modo diretto, sostenendo che
il
destino avrebbe cambiato le carte in tavola in modi che nemmeno lui
poteva
prevedere. Per fortuna, era riuscito a entrare nei sogni di suo padre
Simon
appena in tempo e a metterlo in guardia sull’imminente
pericolo. Fu così che
per mano di suo padre, Mark riuscì a salvarli entrambi, e
prima di sparire per
sempre dai loro sogni li salutò con la promessa che un
giorno si sarebbero
rivisti.
Quando
entrambi avevano capito che il loro misterioso salvatore era il
figlio che avrebbero avuto un giorno insieme, si ripromisero che una
volta
nato, gli avrebbero dato il nome di “Mark”.
Da
quel giorno sapevano che erano destinati a vivere insieme per sempre
e che avrebbero formato una famiglia tutta loro. Quello che non
immaginavano
erano le circostanze in cui questo sarebbe successo. Mark li aveva
salvati
dalla morte, ma non era riuscito ad avvertirli di quello che diversi
mesi dopo
sarebbe stato per sempre ricordato da loro come l’
“Incidente”.
Quando
avvenne, l’unione della famiglia Seville iniziò ad
andare
rapidamente allo sfascio.
La
gravidanza di Jeanette, seguita dalla nascita di Mark, avrebbe potuto
restituir loro un po’ del legame che i Chipmunks, le
Chipettes e Dave avevano
perso da tempo. Magari non lo avrebbe cementificato come loro avrebbero
voluto,
ma avrebbe dato loro l’illusione di un ritorno alla
normalità. Le cose, invece,
andarono diversamente.
Furono
costretti, per ovvi motivi, a sciogliere la band, e senza
quell’unione che il palco dava loro, iniziarono ad
intraprendere strade
diverse.
Alvin
ricevette presto un’offerta di lavoro da New York come
cantante
solista e decise di accettarla, Brittany, nonostante aveva la
responsabilità di
sostenere Jeanette durante la sua maternità, scelse di
seguire il suo compagno
e ciò provocò le ire di Simon, che si
sentì improvvisamente privato dell’unico
conforto che ancora gli restava. Fu a causa di questa decisione che i
due
litigarono, e fu anche questo il motivo per il quale le due coppie si
separano
per tutti quegli anni.
2.2:
«Il
toast per voi, signori. Buon appetito!» Augurò
loro la cameriera
dopo averglielo riposto sul tavolo.
«Grazie
mille, gentilissima!» Le rispose Alvin facendole
l’occhiolino.
Anche
Simon ringraziò.
«Finalmente!
Ancora un po’ e penso che mi sarei mangiato il
tavolo!»
Disse Alvin.
Simon
ridacchio ancora.
«Sai,
è bello vedere che certe cose non cambiano… bhe,
buon appetito!»
Simon
stava per addentare un piccolo pezzo di toast appena strappato,
quando la frase di Alvin lo bloccò.
«Che
vuoi dire?»
«Quella
tua risatina… sai, ne sentivo la mancanza.»
«Già,
ehehe…oh, ecco… l’ho fatta
ancora… »
Alvin
sorrise.
«Bhe,
però vedo che anche tu sotto sotto non sei cambiato
molto… come ha
reagito Dave quando ti ha visto l’orecchino?» Gli
chiese Simon indicandolo col
dito.
«Oh,
questo…aveva una faccia come se avesse voluto strapparmelo
via
insieme a tutto l’orecchio!»
I
due fratelli risero ancora una volta insieme, mentre mangiavano e
sorseggiavano i loro caffè.
«Correggimi
se sbaglio… dopodomani è il compleanno di Mark,
giusto?»
Domandò Alvin.
«Sì,
dieci anni esatti… il prossimo week end ci sarà
la festa con tutti
i suoi compagni di classe da noi ma… »
«Aspetta
aspetta, scusami se t’interrompo ma… mi stai
dicendo che
accoglierete in casa vostra una band di ragazzini delle elementari
urlanti e… UMANI?»
«Eheheh,
già. Proprio così!»
Alvin
sgranò gli occhi.
«Ma
ce la fate a gestirli tutti?!»
«Lo
facciamo ogni anno, Al. Jeanette sa farsi rispettare, i ragazzi le
danno retta.»
Alvin
era rimasto leggermente shockato dalle rivelazioni appena
ascoltate.
«Bhe,
Brittany me l’aveva detto che era cambiata, ma
così… wow…
comunque, stavi dicendo?»
«Oh,
sì… sai, ho parlato con Dave, e gli ho proposto
di organizzare una
piccola festa di compleanno anche a casa sua dopodomani, niente di
eccessivo,
solo tra familiari… così per una volta potremo
stare di nuovo insieme… come ai
vecchi tempi… »
Alvin
ci rifletté un po’.
«L’idea
mi piace, e sono sicuro piacerà anche a Brittany, sempre
ammesso
che Dave non gliene abbia già parlato… ci verremo
senz’altro, fratellone!»
D’improvviso,
calò un silenzio imbarazzante. C’era una domanda
che
martellava nella testa di Alvin. Aveva cercato di ignorarla fino a quel
momento, ma ora stava spingendo all’interno del suo cranio
come un’orribile
creatura che scavava per farsi strada nel suo cervello. Simon
l’aveva capito.
Non era necessario essere un plurilaureando in Psicologia, Fisica e
Algebra per
capire quale fosse il quesito che Alvin avrebbe voluto porgli.
Pensò
di parlargliene prima che lui avesse tempo di chiederglielo, ma
ora aveva capito che ormai Alvin non avrebbe retto ancora per molto.
Aveva
evitato di chiederglielo nelle mail, di parlarne per telefono o nelle
loro
video chat. Per dieci anni quello era stato l’unico argomento
su cui entrambi
avevano evitato di discutere.
Se
non fosse stato per le trasferte a Los Angeles di Brittany, al
ritorno dalle quali lei gliene parlava di continuo, adesso come adesso
Alvin avrebbe
anche potuto essere convinto che la persona in questione fosse sparita
dalla
circolazione, o ancora peggio, che fosse morta anch’essa.
Alla
fine si fece forza, bevé un altro sorso di caffè
per schiarirsi la
gola, strinse i pugni e finalmente glielo chiese.
«Lui
come sta?»
Simon
smise di mangiare
«Chi?»
Simon lo sapeva. Aveva intuito fin da subito che Alvin glielo
avrebbe chiesto, voleva solo scoprire se avrebbe avuto la forza di fare
il suo
nome.
«Non
prendiamoci in giro, Simon.» Gli rispose con voce seria.
La
felicità e il brio dell’essersi ritrovati si erano
improvvisamente
azzerati dopo che Alvin gli aveva posto quella domanda.
Simon
tirò una profonda boccata d’aria e
parlò.
«Fino
ad ora che cosa sai? Cosa ti ha raccontato Britt?»
«Mi
ha detto che vive ancora con Dave, che è deperito, che
è chiuso in
se stesso e che parla di rado con la gente... e anche che quando parla,
lo fa
con una voce spenta, come se fosse… »
«Senza
anima?» Lo interruppe Simon.
«Sì…
lei ha detto proprio così… ma
come…?»
«Come
lo so? Perché è stato Dave a definirlo
così… »
Dopo
quel breve scambio di parole, i due fratelli restatono in silenzio.
Continuarono a mangiare quel che restava del loro toast e finirono i
loro
caffè.
Fu
Simon a spezzare l’imbarazzante alone di silenzio che li
aveva
avvolti.
«Sai…
io ogni tanto ci provo a parlare con lui… Jeanette dice che
dovrei
rassegnarmi… che ormai è al punto di non ritorno,
però, non lo so… spero sempre
di riuscire a spronarlo ad andare avanti, come abbiamo fatto tutti noi.
Convincerlo a farsi una nuova vita, ricominciare. Ci sono periodi in
cui non ci
dormo la notte a pensare a come aiutarlo… cerca di capirmi
almeno tu, Al… tutti
l’hanno abbandonato… tutti si sono rassegnati con
lui, io… io non voglio!»
Alvin
ascoltava con attenzione, e non appena Simon ebbe terminato di
parlare, colse l’occasione per prendere lui la parola.
«Avete
mai pensato di provare a convincerlo a parlare con uno
psicologo?»
La
domanda irritò Simon.
«Alvin,
dovresti saperlo… ho anch’io una laurea in
psicologia! Fidati!
E’ tutto inutile… ho provato a parlarci, a
psicanalizzarlo, a persuaderlo, a
ipnotizzarlo… tutto quello che mi fosse passato per la
testa, ma niente! Non
c’è verso di farlo cambiare!» Si
fermò per riorganizzare le idee, il discorso
per lui era molto più difficile da trattare di quanto non
avrebbe voluto darlo
a vedere «da quando si è convinto di essere la
causa di tutto, non c’è più
stato verso di fargli accettare la realtà. Non fa altro che
guardare la Tv o
fissare le macchine che passano per strada e a tormentarsi per delle
colpe che
non ha!» Si fermò ancora una volta, mentre Alvin
lo ascoltava in silenzio,
cercando di comprendere le sue ragioni.
«Forse
Jeanette ha ragione…devo smettere di insistere.»
«E
allora perché non ti fermi? Insomma, non fraintendermi, non
sto
dicendo che sbagli, è solo che, insomma… se dici
che non c’è modo di farlo
ragionare, perché non accetti semplicemente la
realtà e ti rassegni?»
Simon
ci pensò per un po’. Voleva dargli una buona
risposta, qualcosa che
lo giustificasse. Non solo Jeanette, ma anche Dave e Britt continuavano
a
ripetergli di rinunciare. Si augurava che almeno suo fratello Alvin,
sangue del
suo sangue, lo comprendesse e approvasse la sua ostinazione, ma se
anche lui
gli diceva di rinunciare, forse doveva dar loro retta.
Alvin
capì il disagio e il malessere del fratello.
«Sai,
io non sono stato poi il fratello migliore del mondo,
tant’è vero
che me ne sono andato lavandomene le mani per anni e lasciando te e
Jeanette da
soli… però… bhe, immagino che se io e
Britt dovremo alloggiare alcuni giorni da
Dave, avrò anche modo di vederlo…quindi
forse… magari vedendo anche me le cose
con lui miglioreranno… lo so che è
un’ipotesi stupida, ma… tanto vale cercare
di scoprirlo, no?»
Simon
sbuffò. Non sapeva cosa pensare. Forse Alvin aveva ragione.
Ora
che la famiglia avrebbe finalmente potuto riunirsi, forse la cosa
avrebbe
aiutato quella persona a riprendersi. Sarebbe stato sufficiente che si
aprisse
un po’ con loro. Anche questo sarebbe stato un trionfale
successo, ora come
ora.
«Sperò
che tu abbia ragione, Al.»
2.3:
Finirono
i rimasugli del loro pranzo, dopo di che si diressero verso il
bancone del Bar per pagare.
Simon
frugò nelle sue tasche alla ricerca di qualcosa, ma Alvin
gli
poggiò una mano sulla spalla e lo fermò.
«Lascia
stare, pago io.»
«No,
dai. Non ce bisogno… »
«Invece
sì, insisto!»
Simon
si fece da parte e lasciò il posto ad Alvin. Questi estrasse
dalla
tasca destra dei suoi jeans taglia chipmunk un piccolo oggetto
rettangolare di
due centimetri di lunghezza per uno di spessore. Era la sua Idkey.
Le
Idkey sono un particolare tipo di chiavi elettroniche inventate nel
2021 e divenute obbligatorie per legge in ogni angolo del mondo. Sono
apparecchi simili alle vecchie USB che vengono rilasciati a tutti i
cittadini
al compimento del loro quattordicesimo anno di età e nel
quale, come una carta
d’identità, sono contenuti e registrati tutti i
dati identificativi del
proprietario. Ne esistono di varie forme e dimensione e
dall’anno 2023, anno in
cui il denaro virtuale era divenuto l’unica forma di valuta
universale, svolgono
anche la funzione di “portafoglio”.
L’invenzione
delle Idkey e il successivo obbligo di renderle
obbligatorie a ogni singolo cittadino finirono per spaccare in due
parti ben distinte
l’opinione pubblica dei cittadini. Da una parte ci fu chi
sosteneva che il loro
uso rappresentava una grave violazione della privacy dalla persona, dal
momento
che qualunque tipo di transazione eseguita con esse veniva prontamente
registrata e salvata nei database statali per essere consultabile a
piacimento
da chiunque avesse potuto avere accesso a quegli archivi, ma
dall’altra, era
anche vero che esse rappresentavano la forma di denaro più
sicura che sia mai
apparsa sulla terra.
Tra
le altre cose, oltre alla registrazione dei propri dati personali e
del proprio denaro, nella memoria dell’Idkey venivano
registrati anche
l’impronta digitale e lo stesso DNA del loro proprietario, in
questo modo, se
si desiderava essere gli unici ad attingere dalle finanze archiviate al
loro
interno, grazie a questa funzione si poteva essere certi che in caso di
furto o
smarrimento nessun altro avrebbe potuto farne uso. Come se
ciò non bastasse, in
caso di perdita della Idkey, il suo possessore non doveva fare altro
che
rivolgersi a un servizio gratuito telefonico o on-line e richiedere la
consegna
di una nuova chiave. Dopo aver proceduto a una serie di rapidi
controlli di
autenticazione, la Idkey smarrita veniva prontamente disattivata dal
servizio e
tutti i dati contenuti in essa trasferiti in una seconda copia che
sarebbe
stata consegnata al richiedente nel giro di poche ore.
A
parte questo, comunque, le Idkey sono state una vera rivoluzione non
solo per gli esseri umani, ma anche per Alvin, Simon e le loro
rispettive
compagne, poiché con essi avevano finalmente la
possibilità di trasportare con
sé grosse somme di denaro senza temere furti o perdite di
qualunque tipo,
inoltre, data la possibilità di personalizzarne la forma e
la dimensione, erano
riusciti anche a farsene consegnare alcune abbastanza piccole da
permettere
loro di portarsele dovunque volessero.
Dunque
Alvin, dopo aver consegnato la propria Idkey alla donna che stava
alla cassa del Bar, aspettò che questa completasse la
transizione della loro
consumazione inserendola nell’apposito lettore, e quando gli
fu riconsegnata
saltò giù dal bancone con Simon e uscirono dal
locale, salutando cameriere e
baristi con dei cordiali arrivederci.
«Quindi
adesso? Cosa facciamo?» Chiese Alvin.
Simon
fece spallucce.
«Per
oggi non ho più lezione, quindi farò un salto
anch’io da Dave. Qui
vicino c’è una stazione degli autobus, tra
mezz’ora dovrebbe esserci una
navetta che ci porterebbe praticamente davanti al suo giardino, quindi
opto per
quella.»
Alvin
era restio.
«Non
sono proprio un amante degli autobus, se devo essere sincero.»
«Sì,
però i taxi costano… »
Alvin
sbuffò.
«Uff…
d’accordo. Andremo in autobus. Infondo sono io il turista,
devo
anche sapermi adattare un po’.»
Simon
ridacchiò ancora. Non era proprio abituato a un Alvin che
sottostava alle condizioni. Pensò che probabilmente tutto
ciò fosse dovuto al
fatto che stava per diventare anche lui papà, e che stesse
finalmente capendo
l’importanza di maturare e responsabilizzarsi. O forse no,
forse erano stati
solo gli anni a cambiarlo. Non ci aveva mai fatto caso nel corso delle
loro
video chat, quindi non seppe darsi una risposta.
I
due fratelli si diressero a piedi alla stazione e una volta giunti fin
lì, aspettando l’arrivo della navetta che li
avrebbe portati da Dave, ad Alvin
fu chiesto in almeno tre occasioni di firmare qualche autografo alla
gente di
passaggio. Lui accontentò tutti, seppur non con lo stesso
entusiasmo di una
volta.
La
navetta arrivò alla fermata in orario e lì i due
fratelli chipmunk
salirono a bordo.
Durante
il viaggio altre due persone chiesero l’autografo di Alvin
Seville, e anch’esse furono accontentate con poco brio del
talent scout.
Arrivati
a destinazione, premettero il pulsante d’avviso di fermata
per
l’autista e quando il mezzo si fu arrestato, si diressero da
questo per pagare
il pedaggio con la Idkey. Questa volta si divisero le spese e ognuno
pagò il
proprio.
Quando
scesero, come diceva Simon, si trovarono effettivamente a due
passi dalla casa di Dave.
Alvin
si avviò subito per il marciapiede, mentre Simon
restò indietro,
pensieroso per l’atteggiamento che aveva manifestato Alvin
all’interno del
mezzo pubblico.
«Sai,
pensavo che tu non volessi viaggiare in autobus per un tuo
capriccio… » cominciò a parlare. Alvin
si fermò e si voltò verso il fratello.
«…
ma in realtà lo fai per gli autografi che la gente ti
chiede, non è
così?»
Alvin
lo guardò in silenzio e annuì senza proferir
parola, con
un’espressione triste sul volto.
«Non
capisco, Al… »
Alvin
Sospirò.
«Il
fatto è che… mi fa tornare in mente i tempi in
cui… insomma… quando
eravamo i “Chipmunks”… “Alvin
e i Chipmunks”… capisci?»
Già,
Simon capiva eccome. Avevano cercato di dimenticare il passato. I
Chipmunks e le Chipettes così come i loro fan, ma qualcuno
ancora non si
rassegnava, qualcuno voleva ancora l’autografo di un
ex-membro di quella band
dei primi anni 2000, oppure desiderava poter dire ai propri conoscenti
di aver
incontrato per strada il famoso talent scout Alvin Seville.
Anche
a Simon e Jeanette capitava ancora di rilasciare qualche
autografo, non con la stessa frequenza di Alvin, ma per lo meno non
erano stati
trascurati dal resto del mondo.
«Dai,
andiamo.» Disse in conclusione Alvin.
Simon
riprese la marcia al suo fianco.
Mentre
percorrevano il giardino, il talent scout notava che nonostante i
dieci anni trascorsi, la casa di Dave era rimasta esattamente come se
l’era
sempre ricordata, con quel prato perfettamente curato e quelle aiuole
nelle
quali crescevano fiori di ogni tipo. Qualcosa tutto sommato era rimasto
uguale,
pensò tra se e se.
Salirono
i tre gradini che precedevano il portico della casa e bussarono
alla porta.
Da
dentro casa sentirono la voce di Dave rispondere e quando
aprì la
porta e li fece entrare, li accolse entrambi con un «Ben
arrivati!» entusiasta.
Dopo
i saluti, i tre si scambiarono qualche breve chiacchiera sul
corridoio e a quel punto Alvin gli fece la fatidica domanda
«Dave, lui dov’è?»
L’entusiasmo
dell’uomo si spense d’improvviso e sul suo volto si
stampò
un’espressione seriosa.
«E’
di là, in sala da pranzo. Abbiamo appena finito di
mangiare.»
Alvin
guardò Simon negli occhi per una manciata di secondi, poi
insieme,
tutti e tre si diressero nella stanza.
Alvin
avanzava davanti a tutti, andando di fretta, mentre alle sue
spalle, con passi più lenti e incerti, si muovevano
affiancati suo fratello e
suo padre.
Quando
entrarono, Alvin lo vide subito. Se ne stava seduto in angolo del
tavolo da pranzo e fissava in silenzio la finestra.
Quando
li vide entrare, si voltò lentamente verso di loro e
iniziò a fissarli.
Alvin
si schiarì la gola e ingoiò la saliva, prese una
lunga boccata
d’aria e lo salutò.
«Ehm,
ciao…Theo.»
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Capitolo 3 *** 3: L’incidente ***
3.1:
14 FEBBRAIO 2013 (Los Angeles Liceo
West Eastman)
La
campanella suonò per annunciare la fine delle lezioni per
quella
giornata.
Erano
all’ultimo anno del liceo, dopo il diploma ognuno avrebbe
intrapreso una strada diversa. Simon e Jeanette avrebbero proseguito
gli studi
iscrivendosi all’U.C.L.A., Alvin si era fatto rimediare con
l’aiuto di alcuni
contatti di Ian Hawke un lavoro niente meno che negli studi di
registrazione
della Jet Records, mentre Brittany cominciava ad appassionarsi al ballo
e
desiderava cominciare dei corsi di preparazione per diventare
insegnante di
danza classica a tutti gli effetti.
Grandi
ambizioni e grandi progetti, ai quali gli unici che sembravano
non volerne prendere parte erano Theodore ed Eleanor. Non che non si
preoccupassero del loro futuro, ma semplicemente si trovavano
d’accordo
nell’affermare che tutto sommato non aveva molto senso andar
così di fretta,
del resto era solo febbraio, come Alvin e Brittany nemmeno loro erano
intenzionati a frequentare il college e prima del termine della scuola
c’erano ancora
gli esami di Maturità da superare.
Già,
la Maturità, un problema che non sfiorava minimamente Simon
e
Jeanette, ma che Eleanor non tardava a ricordare di continuo ad Alvin e
Brittany, i quali sembravano pensare a tutto fuorché allo
studio.
Per
quanto riguardava Theodore, non capiva perché i suoi
fratelli
desiderassero tanto distaccarsi dalla famiglia. Avevano già
una lunga e
promettente carriera da rock-star, perché voler a tutti i
costi avviarsi su
sentieri differenti?
Negli
ultimi tempi finivano spesso per discuterne, e se la maggior parte
delle volte erano solo chiacchiere innocue, non era raro che in taluni
casi
scoppiassero degli accesi litigi che coinvolgessero più
parti. Theodore con
Alvin, Brittany con Eleanor, oppure con lo stesso Dave, il quale pur
condividendo l’opinione secondo qui Alvin e Brittany
trascuravano troppo la
scuola a favore dei loro progetti, non era invece a favore
dell’indifferenza di
Theo e Ellie per il loro futuro.
Ad
ogni modo, era un San Valentino molto speciale quello che i Chipmunks
e le Chipettes avevano deciso di godersi quell’anno, sarebbe
infatti stato
l’ultimo che i sei avrebbero potuto trascorrere veramente
insieme, se i loro
progetti sarebbero andati tutti in porto.
Quel
giorno non sarebbero rientrati a casa subito dopo la fine delle
lezioni, bensì, sarebbero usciti tutti e sei insieme per
godersi, oltre alla
festa degli innamorati con i loro rispettivi partner, anche una
giornata
all’insegna del divertimento e dell’amicizia.
Avrebbero
iniziato con una passeggiata al parco, magari accompagnata da
qualche gelato da dividersi tra di loro, e poi tra una chiacchiera e
l’altra,
si sarebbero diretti a piedi a casa per cambiarsi d’abito e
uscire nuovamente
per una cenetta al ristorante che si sarebbe conclusa con
l’immancabile scambio
dei regali di San Valentino.
Non
sapeva quali regali i suoi fratelli avessero scelto per Jeanette e
Brittany, ma sapeva senz’altro cosa avrebbe donato a Eleanor.
Il
dono in questione era un anello in acciaio molto semplice e senza
pietre preziose a decorarlo, ma sul quale l’orefice aveva
inciso le iniziali
dei loro nomi, “T&E”.
Ovviamente
Eleanor non l’avrebbe portato al dito, ma a mo’ di
braccialetto, però Theodore era convinto che ne sarebbe
stata comunque entusiasta.
Subito
dopo essere usciti ed essersi salutati con i compagni di scuola,
i sei scoiattoli chiamarono al telefono pubblico Dave per avvertirlo
della loro
uscita e ridendo e scherzando tra di loro, si diressero verso il parco.
3.2:
Giunti
a destinazione, presero la decisione di separarsi per un po’.
Ognuno voleva godersi un po’ di privacy col proprio compagno.
Jeanette
e Simon tornarono alla loro quercia, la quale era stata il
luogo della consacrazione definitiva del loro amore e che per poco non
fu la
causa della loro prematura morte.
Dopo
quel terribile incidente, dal quale i due ne erano usciti solo con
qualche frattura di poco conto, Jeanette era convinta che avrebbe
iniziato a
provare odio per quell’albero, invece, benché si
sforzasse di vederlo dal lato
negativo, non poteva fare a meno di ricordarsi di Mark e delle sue
parole: “Un
giorno tornerò…dovrete aspettare ancora alcuni
anni prima che ciò accada, ma quando tornerò
resterò insieme a voi per sempre!”
Quante
coppie potevano
vantare la fortuna di scoprire che nel loro futuro sarebbero stati
destinati a
formare insieme una famiglia forte e stabile? E se ciò era
possibile lo
dovevano in parte anche a quell’albero.
Così,
dopo averlo
raggiunto ed essersi seduti ai suoi piedi, Jeanette appoggio la testa
alla
spalla di Simon, e lì, dopo essersi scambiati reciprocamente
un «Ti
amo»
seguito da un «anch’io» restarono in
silenzio e con occhi
socchiusi per godersi il loro momento di pace.
3.3:
Alvin
e Brittany passeggiarono un po’ per il sentiero del parco.
Anche
loro, come Simon e Jeanette, avevano vissuto un’esperienza
tragica che li aveva
uniti come mai avrebbero immaginato.
Tornati
finalmente sani e salvi dall’isola e dopo il successo
dell’esibizione agli International Music Awards, si misero
subito insieme, e da
quel giorno furono inseparabili. Non litigavano più come
prima e anzi, il più
delle volte se uno dei due combinava dei guai che provocavano le ire di
Dave,
l’altro correva subito in suo soccorso.
Mentre
passeggiarono tenendosi per mano, Alvin lasciò la mano di
Britt e
la invitò ad aspettare. Lei gli domandò dove
stesse andando, ma il chipmunk
corse via di fretta.
Brittany
fu tentata di seguirlo, scoprire dove stesse andando e cosa
stesse facendo, ma scelse di obbedire.
Poco
dopo Alvin tornò da lei sbucandole alle spalle e tenendo in
mano un
piccolo mazzetto di fiori di campo appena raccolti. Un gesto che
commosse
Brittany, la quale li raccolse, odorò il loro profumo e
abbraccio il suo
compagno per ringraziarlo del gesto.
3.4:
Theodore
ed Eleanor erano l’unica coppia dei Chipmunks e delle
Chipettes
a essere rimasti ancora due semplici amici.
Benché
festeggiassero il San Valentino come tutti gli altri e fossero
ancora più inseparabili dei loro fratelli con i partner, non
si vedevano ancora
come due innamorati, ma con il regalo che avrebbe donato a Ellie
durante la
cena di quella sera, Theodore sperava di poter finalmente arrivare a
una svolta
nel loro rapporto.
Pensava
ad Alvin e Simon e al legame che avevano con le sorelle di
Eleanor, e provava una forte invidia per i due. Come avevano fatto ad
arrivare
a quel punto? Era stato davvero merito/colpa dei loro incidenti? O
c’era
qualcosa che gli sfuggiva? Forse centra col fatto che lui si era sempre
comportato come il più infantile del gruppo? Anche se
Eleanor non gli aveva mai
dato l’impressione che questo fosse un problema, anzi,
sembrava quasi che le
piacesse quella specie di ruolo da “mamma” che a
volte interpretava con
Theodore.
«Hey,
Theodore? Ma mi ascolti?»
La
voce di Ellie spezzò il filo dei suoi pensieri.
«Oh,
sì scusa… » Le rispose.
«Che
succede?» Gli domandò curiosa e anche un
po’ preoccupata.
«Niente,
niente… eheh, dicevi?» Le rispose cercando di
eludere la sua
domanda.
Erano
usciti fuori dal parco e ora si trovavano sul marciapiede a pochi
passi dalla via d’accesso. Lei gli indicò con un
cenno della testa la gelateria
dall’altra parte della strada vicino all’incrocio.
«Che
ne dici? Ci andiamo?»
Theodore
fu colto alla sprovvista dalla domanda.
«Ma…
e gli altri?»
«Gli
altri mangeranno quando torneranno, no?»
Theodore
non era molto d’accordo.
«Si
però… dopo si arrabbieranno se…
»
«Ma
no, e poi non possono mica farcene una colpa! Se ne sono andati
lasciandoci qui imbambolati ad aspettarli!».
Theodore
era ancora restio ad assecondarla. Alternava gli sguardi tra la
gelateria, la sua amica Eleanor e il parco.
«Dai
su!» Insistette lei «Sono stanca di stare qui ad
aspettarli senza
far niente!»
«Ellie,
io… »
«Fallo
per me!»
Gli
si avvicinò e gli fece gli occhi dolci, un gesto a cui lui
non
poteva mai resistere e col quale lei riusciva a convincerlo a fare
qualunque
cosa.
Lui
la fissò in silenzio e ci rifletté per un
po’.
Guardò
ancora una volta in direzione del parco e poi verso lei.
Cosa
c’era di male in fondo? Eleanor voleva solo mangiare in
anticipo il
gelato che si erano ripromessi. Sarebbe potuta essere una buona
occasione per
fare qualcosa insieme che non comprendesse aspettare gli altri membri
del
gruppo o fare chiacchiere inutili.
«Allora?»
Insistette lei.
Ci
pensò ancora un po’, cercando di valutare i pro e
i contro che avrebbe
portato la sua decisione, e alla fine prevalsero i primi.
«Va
bene, andiamo.» Si lasciò convincere Theo.
«Yuhuu!»
Esultò lei.
Eleanor
lo prese subito per mano e insieme si diressero verso
l’attraversamento pedonale. Intorno a loro altre persone
camminavano
indifferenti e non curanti dei due piccoli scoiattoli.
Si
fermarono nell’attesa che la spia del semaforo
dell’attraversamento
diventasse verde e quando ebbero il via libera, procedettero sempre
tenendosi
per mano.
Alla
luce di quanto stava succedendo, Theodore tornò a pensare
all’anello che avrebbe regalato a Ellie. Le guardò
il polso sinistro e si
immaginò di vederglielo già indossare.
Sicuramente l’avrebbe portato sopra la
manica della maglietta, oppure avrebbe indossato capi
d’abbigliamento che le
avrebbero permesso di esporlo, perché Eleanor era fatta
così, amava far vedere
alla gente i doni che Theodore le faceva. Che si trattassero di fiori,
cartoline, cioccolati o nastrini. Lei li mostrava alle amiche, offriva
a tutti
i dolcetti che riceveva e parlava a ruota libera di quanto Theo era
stato
tenero con lei durante questa o quell’uscita.
Con
molta probabilità avrebbe cercato di tenere sempre
l’incisione
“T&E” del suo anello bene in vista, in modo
che tutti potessero leggere le
due lettere che Theo aveva fatto inciderci sopra.
«Sai»
iniziò lei «non so te ma io ho proprio voglia di
un bel gusto arancia!»
Sul
volto di Theo si stampò un sorriso allegro e soddisfatto.
«Allora
un gelato all’arancia per entrambi!» Propose lui.
Lei
si voltò verso di lui di scatto.
«Ma
a te non è mai piaciuta l’arancia…
»
«E’
vero, però mi piaci te.» Sussurrò lui.
L’aveva
detto davvero? Era una frase che avrebbe solo voluto pensare,
eppure finì per pronunciarla ad alta voce.
Stavano
ancora attraversando la strada quando lui lo disse. Eleanor
restò stupefatta dalla confessione del suo migliore amico,
lo guardò con
sorpresa e gli sorrise. Lui ricambiò a sua volta con un
altro sorrisino più
timido.
In
quel momento successe qualcosa. Nessuno dei due se ne accorse, se
fosse stato così forse sarebbero riusciti a evitarlo, ma
alla fine il destino
aveva giocato il suo scherzo più crudele.
All’incrocio
vicino al quale si trovava la loro gelateria, una macchina
sopraggiunse a folle velocità, e non curante del rosso del
semaforo sulla sua
corsia che imponeva lo stop, attraversò la strada nel
momento in cui i due
chipmunk stavano percorrendo sulle strisce pedonali.
Se
fossero rimasti ad aspettare i loro fratelli all’entrata del
parco,
se avessero attraversato le strisce due secondi prima o più
tardi, se non si
fossero distratti dalla frase di Theo, probabilmente si sarebbero
accorti per
tempo del mezzo e l’avrebbero evitato.
Solo
il chipmunk con la felpa verde riuscì a notarla, anche se
nel
momento in cui la vide era ormai tardi per fare qualunque cosa. Stava
sopraggiungendo sulla sinistra di Eleanor e lei in quel momento aveva
ancora lo
sguardo fisso su di lui.
Theodore
stava per gridarle “Attenta” e fu sul punto di
spingerla via,
ma non ci riuscì. La macchina li investì e dopo
di che, per i due chipmunk ci
fu solo il buio. Niente dolore, nessuna sensazione, soltanto
l’oscurità più
totale.
3.5:
DATA
IMPRECISA (Luogo Sconosciuto)
«Che
succede? Dove mi trovo?» Provò a domandarsi.
Se
glielo avessero chiesto, non sarebbe mai stato in grado di spiegare
la strana esperienza che stava vivendo in quel momento.
La
sensazione era come di svegliarsi da un lungo sonno senza sogni, solo
per poi scoprire di essere finiti in un altro sogno.
Non
vedeva nulla, era tutto buio, provò a guardarsi le mani, i
piedi, ma
non era sicuro di riuscirci. Non capiva se non era in grado di vederli
a causa del
buio o per qualcos’altro.
Provò
a camminare, e seppur sentiva lo stimolo nei muscoli delle sue
gambe, gli sembrò di essere immobile.
Anche
le mani erano bloccate, e poco dopo essersene reso conto,
realizzò
di essere sdraiato a pancia in su, su qualcosa. Un materasso, forse.
«C’è
nessuno? Che mi sta succedendo?!»
Avrebbe
giurato di sentire la sua bocca pronunciare quelle parole,
percepire il suono della sua voce, ma come per le braccia e le gambe,
alla fine
dovette ammettere a se stesso che quelli che per lui erano suoni
concreti, in
verità erano frutto della sua immaginazione, e che quelle
domande in realtà le
aveva solo pensate.
Perse
molto del suo tempo a cercare di spostarsi, muovere un dito, dire
ad alta voce almeno una singola parola, ma alla fine si arrese.
In
lontananza sentiva dei suoni indistinti, quasi impercettibili, e non
era in grado di capire cosa potessero essere.
Non
ricordava nulla, tutto gli sembrava così strano.
Trascorse
del tempo, forse delle ore, che potevano essere benissimo
minuti o giorni, per quel che ne sapeva, e un nome cominciò
ad affiorare nella
sua testa. Theodore. Theodore, sì. Era questo il suo nome. E
poi ci furono
Simon e Alvin. Chi erano loro? I suoi fratelli, adesso ricordava. Erano
tre
chipmunk, e vivevano con un uomo di nome Dave.
Il
tempo continuava a trascorrere, e finalmente quei suoni indistinti in
lontananza diventarono echi di voce, ma non ne comprendeva ancora il
significato.
Cominciarono
a riaffiorare altri nomi, e con essi anche i ricordi. Aveva
una vita. Era diversa da quella che stava vivendo ora, era fatta di
luce,
colori, emozioni, divertimento, avventure. Più le lancette
dell’orologio
scorrevano e più dettagli gli tornavano in mente.
Le
voci che sentiva cominciavano ad avere una propria identità.
Ogni
volta era un timbro di voce diverso. Certe volte gli sembrava che fosse
solo
una di esse a sussurrargli, altre volte che invece fossero in gruppo.
Brittany,
Eleanor e Jeanette erano i nuovi nomi che ricordò. I nomi
delle loro amiche, che vivevano con loro e dalle quali erano
inseparabili.
Quel
continuo di nuovi ricordi ed esperienze che riviveva ogni volta, lo
aiutarono a superare il tempo che scorreva, anche se ormai non si
chiedeva più
quanto ne fosse trascorso.
Gli
sembrava di trovarsi in quello stato da tutta la vita, immerso in
quel buio opprimente che non gli permetteva di muoversi.
Il
nome di Eleanor era diventato presto un’ossessione per lui.
Tutte le
migliori esperienze, i ricordi più felici, le emozioni
più intense le aveva vissute
stando con lei. Si domandava dove fosse ora, dove fossero finiti tutti.
Forse
erano proprio loro a sussurrargli in lontananza, forse Eleanor era
tra loro e lo stava aspettando. Ma lui dov’era? Cosa gli
stava succedendo?
Aveva
smesso di porsi la domanda per lungo tempo, ma ora era arrivato il
momento di trovare una risposta.
In
quel momento non sentiva più le voci. Non ci
badò. Si disse che non
significava niente.
Voleva
solo una risposta, aprire gli occhi e finalmente vedere tutto
quello che il buio gli aveva precluso.
Non
ci era mai riuscito, ma era solo perché non ci aveva mai
provato.
Ora era giunto il momento.
Apri
gli occhi, ordinò a se stesso. Apri gli occhi. E alla fine
li aprì.
Le
palpebre si alzarono a fatica. Si richiusero e tentarono di rispedirlo
nel luogo da cui era appena fuggito, nel buio. Si fece forza e li
aprì ancora
una volta.
Intorno
a lui vedeva il bianco, la luce.
Non
distingueva le forme, tutto sembrava avvolto dalla nebbia.
Un’ombra
scura attraversò il suo campo visivo. Si soffermò
su di lui,
come a studiarlo, e si allontanò con la stessa
rapidità con cui era arrivata.
Theodore
non riusciva ancora a muoversi, avrebbe voluto, ma anche tenere
gli occhi aperti gli sembrava una fatica indicibile.
Alla
fine era troppo stanco per poterli lasciare ancora aperti. Si
lasciò sopraffare dalla stanchezza e li richiuse.
Nel
momento in cui il buio tornò a dominare il suo mondo, cadde
in un
sonno profondo.
3.6:
«Guardate!
Si sta svegliando!» Disse una voce.
«Dici
sul serio?» Rispose un’altra, più
profonda.
«Sì,
guarda!»
Theodore
riaprì gli occhi. Questa volta non fu difficile come prima.
Era
stato un normalissimo risveglio. Ebbe solo un attimo di smarrimento
dovuto al
dubbio di non sapere dove si trovasse.
Si
osservò intorno e gli sembrò di trovarsi nella
stanza di un ospedale.
Il perché ci fosse finito dentro, però, non lo
ricordava.
Dopo
aver riordinato le idee, si concentro sulle persone che si
trovavano intorno a lui.
«Ragazzi,
siete voi?» Domandò loro.
«Sì
Theodore! Oh, sono così felice che sei tornato!»
Gli rispose uno di
loro.
«Alvin,
sei… sei tu?» Farfugliò.
«Si
Theo, e qui ci sono anche gli altri. E guarda, c’è
anche Dave!» Rispose
Alvin con un tono di voce misto tra commozione e felicità.
Mentre
parlava, tutto il gruppo si avvicinava al suo letto. Chi era
abbastanza piccolo da poterlo fare saltò sul materasso,
mentre gli altri,
un’infermiera e un uomo adulto, si limitarono ad avvicinarsi.
L’infermiera
diede solo una rapida occhiata a Theodore per accertarsi
delle sue condizioni.
«Ora
vi lascio soli.» Disse poi.
Theodore
riconobbe subito l’uomo che gli stava vicino, era Dave.
«D’accordo.»
Rispose all’infermiera.
Riconobbe
presto anche gli altri. Oltre ad Alvin, c’erano Simon,
Jeanette e Brittany, che lo fissavano agitati e in trepidazione. Al
contrario
di Dave, però, loro avevano qualcosa di strano. Sembravano
diversi. Jeanette in
particolare aveva una folta chioma di capelli lisci che le scendevano
sulle
spalle. Ma anche gli altri non erano da meno. Benché
avessero tutti più o meno
l’aspetto che lui ricordava, sembravano tuttavia
più vecchi. Cresciuti, era il
termine esatto.
«Ben
tornato, fratellino.» Gli disse Simon a bassa voce con un
grande
sorriso sulle labbra. In seguito gli si avvicinò e lo
abbracciò. Anche gli
altri, a turno, lo fecero. E mentre li abbracciava uno ad uno, non
faceva che
chiedersi dove fosse Eleanor e cosa stesse succedendo. Gli sembrava
anche che
ci fosse qualcosa nella sua testa che doveva ricordare. Qualcosa di
importante,
ma che in quel momento sembrava facesse di tutto per restare nascosto
nel
profondo della sua mente.
«Ti
voglio bene, Theo. Mi sei mancato da morire.» Gli disse Dave
abbracciandolo per ultimo. Commosso e con le lacrime che stavano
cominciando a
scendergli sul volto, bagnando le palpebre.
«Dave,
che sta succedendo? Me lo puoi spiegare?»
Brittany
si fece avanti.
«Non
ricordi nulla?» Chiese non molto sorpresa.
«No,
insomma… non… » Balbettò.
«Hai
avuto un incidente, Theo.» Lo interruppe Simon.
«Sei stato colpito
di striscio da un pirata della strada… la ruota anteriore
dell’auto ti ha
sbalzato a terra e hai battuto la testa sull’asfalto,
poi… poi sei entrato in
coma.»
Theodore
sgranò gli occhi incredulo.
«Un
incidente? Io… io non ricordo niente… »
«Sei
stato in coma per tre anni, Theo… oggi è il 26
aprile 2016»
intervenne timidamente Jeanette, l’unica che fino ad ora non
aveva ancora
parlato «i medici dicevano che non ti saresti mai
più svegliato, però noi, sai…
» si fermò. Fu Alvin a prendere il suo posto per
proseguire il discorso. «dicevano
che non ti saresti più ripreso, ti avevano dichiarato morto,
ma dopo Eleanor,
ecco… non volevamo arrenderci, non con te!»
«Eleanor?
Che centra Eleanor?! Dov’è? Perché non
è qui con voi?» Chiese
agitato Theodore, cercando di alzarsi dal suo letto. Simon e Alvin
dovettero
afferrarlo per le spalle per cercare di calmarlo.
«Theodore,
stai calmo, ti scongiuro.» Lo supplicò Simon.
«Lei
dov’è? Voglio vederla!!»
Ordinò Theo urlando e cercando di
ribellarsi alla presa dei suoi fratelli, ma era ancora debole. Dopo tre
anni di
coma i suoi muscoli erano completamente atrofizzati, e se non fosse
stato per
l’improvvisa esplosione di adrenalina non sarebbe stato
nemmeno capace di
mettersi in ginocchio.
Gli
occhi di Jeanette divennero lucidi e cominciò a piangere.
«Lei,
bhe… ecco… Ellie sta…
è…». Tentò di farfugliare
una risposta, ma
non ci riuscì, le si avvicinò Brittany che le
offrì la spalla e la abbracciò
per consolarla.
«Theodore,
calma. Lei non è qui.» Intervenne Dave.
Theodore
non aveva altra scelta che obbedire, era stremato ed esausto e
ogni più piccolo movimento che compiva gli sembrava uno
sforzo immane.
Alvin
e Simon lo lasciarono quando finalmente si tranquillizzò.
«Dov’è
Ellie, ragazzi. Io non riesco a ricordarlo. Rispondetemi, vi
scongiuro!» Li supplicò cercando di contenere la
paura e le lacrime.
Si
guardarono tra di loro imbarazzati. Avrebbero voluto dirglielo, ma sia
Alvin che Simon temevano il rischio di essere troppo freddi e diretti.
Dopo
alcuni sguardi tra loro due e Dave, con Theodore che attendeva con
impazienza
la risposta, alla fine toccò a loro padre parlare, mentre le
Chipettes non
avevano altra scelta che stare in disparte ad aspettare.
Dave
tirò un profondo sospiro e cominciò a spiegare.
«Eravate
insieme quel giorno… tu e lei… l’auto
ha… » anche lui come gli
altri temeva la reazione di Theo. Si augurava che capisse, che gli
risparmiasse
il dovere di dargli la notizia. Si sarebbe accontentato anche di
dovergli dare
solo la conferma, Theodore gli avrebbe chiesto “E’
successo quello?”, a quel
punto Dave avrebbe solo dovuto dire “sì”
o “no” ed era fatta. Invece Theodore
restò in silenzio e continuò a fissarlo.
«L’auto
vi ha investito entrambi e… lei è…
morta sul colpo.»
Complimenti
Dave, che sensibilità! Si rimproverò tra se e se.
Ora
che gli avevano comunicato la notizia, attendevano solo di scoprire
come avrebbe reagito.
Theodore
sgranò gli occhi d’improvviso, incredulo dinanzi
quanto aveva
appena sentito.
«Dave,
non scherzare, dimmi dov’è!»
Cominciò ad agitarsi.
«Theo…»
intervenne Alvin, senza sapere esattamente come continuare la
frase.
«Mi
state prendendo in giro, dov’è lei?!»
Quest’ultima domanda la gridò
tra le lacrime.
Alvin
avrebbe voluto consolarlo, ma nessuna parola avrebbe potuto
aiutarlo in quel momento. Lui meglio di tutti conosceva le sensazioni
che si
potevano provare alla consapevolezza di perdere la propria amata, e se
quel
giorno di cinque anni prima Brittany fosse annegata in mare, niente
avrebbe
potuto alleviare le sue pene.
Theodore
stava attraversando la così detta “fase del
rifiuto”, nessuno
avrebbe potuto fare nulla per fargli accettare la realtà,
era qualcosa a cui
doveva arrivarci da solo. L’unica cosa che Alvin poteva fare
era offrirgli l’amore
di un fratello, così lo abbracciò e lo strinse
forte a se.
Fu
in questo momento che Theodore realizzò. No, non era uno
scherzo.
Eleanor non c’era più.
«No,
non può essere vero, svegliatemi da quest’incubo!
Lei non è morta,
come può essere morta?!» Le urla strazianti di
Theodore penetravano negli animi
dei membri della sua famiglia. Il piccolo chipmunk piangeva,
continuando a
ripetere tra se e se che Eleanor non poteva essere veramente morta.
Simon
si unì all’abbraccio fraterno, sotto gli occhi
addolorati delle
due Chipettes restanti e di Dave, che mai come ora si sentiva
l’estraneo del
gruppo.
3.7:
14
MAGGIO 2016
Theodore
fu dimesso due settimane e mezzo dopo il suo risveglio.
Come
già detto, dopo tre anni trascorsi in coma su un letto
d’ospedale, durante
il quale tutti e cinque i chipmunk avevano avuto il tempo di compiere
ventidue
anni di età, i muscoli di tutte le articolazioni di Theodore
erano finiti per
atrofizzarsi a causa di tutto il tempo trascorso sdraiato nella stessa
posizione senza possibilità di movimento. Prima di essere
dimesso, dovette
superare un lungo periodo di riabilitazione per recuperare in pieno le
funzioni
motorie dovute all’atrofia muscolare della lunga degenza.
Secondo
le previsioni mediche, grazie anche ai progressi della medicina
e delle tecniche di riabilitazione, gli sarebbero stati sufficienti non
più di quattro
o cinque giorni per riprendersi del tutto e poter essere dimesso. I
medici,
tuttavia, non avevano considerato quanto poco sarebbe stato
collaborativo il
paziente.
Durante
tutto il periodo non aveva quasi proferito parola con nessuno, mangiava
poco e quasi sempre sotto costrizione e non si impegnava negli esercizi
della
riabilitazione. Aveva semplicemente perso il desiderio di vivere.
A
tormentarlo ancora di più, il fatto di non aver alcun
ricordo del
giorno dell’incidente. Gli sembrava di aver lasciato qualcosa
in sospeso,
qualcosa che avrebbe voluto fare per Eleanor, e il fatto di non
ricordarsene
gli causava tormento come e più della stessa consapevolezza
di non poterla più
avere accanto a se.
Ci
vollero otto giorni affinché iniziasse ad accettare la nuova
dura
realtà. Intorno a lui tutti si prodigavano per assisterlo e
a far si che non si
sentisse abbandonato. Quando finalmente si rese conto che
l’unico modo per
ritornare a vivere significava dar loro retta affinché
potessero aiutarlo, si
decise a collaborare con lo staff medico e la sua famiglia, e da quel
momento,
il programma di riabilitazione poté svolgersi regolarmente.
Quando
i medici terminarono le analisi su di lui e capirono che si era
completamente ripreso, decisero finalmente di dimetterlo.
Era
il 14 Maggio del 2016, quel giorno vennero solo Dave e Simon a
prenderlo per portarlo a casa. Lo accompagnarono fino alla macchina e
partirono.
Durante
tutto il viaggio, Theodore cercava di distrarsi osservando la
Los Angeles di quel futuro non troppo lontano.
La
maggior parte delle cose erano rimaste pressoché invariate,
mentre
alcuni negozi di cui Theodore aveva memoria erano stati chiusi e
sostituiti con
altre attività.
Il
mondo non è andato molto avanti in mia assenza,
pensò Theodore e
subito si stupì del pensiero che aveva appena formulato, non
era proprio da
lui, si disse tra se e se.
L’unico
che sembrava essere cambiato sul serio era proprio Theodore. Non
si sentiva più allegro e spensierato come ai vecchi tempi,
ma del resto non si
poteva dargli torto. Erano passati diciotto giorni da quando si era
risvegliato
e gli era stata comunicata la notizia della tragedia di Eleanor. Dopo
una lunga
settimana di sofferenza aveva faticosamente imparato ad accettare le
realtà e a
convivere col tormento di quel ricordo che ancora non riusciva a
rievocare,
eppure restava pur sempre la consapevolezza che la sua migliore amica
non c’era
più.
Forse
un giorno si sarebbe finalmente ripreso e avrebbe imparato ad
andare avanti, ma non sarebbe più ritornato quello di prima,
di questo ne era
certo.
Quando
finalmente arrivarono a casa di Dave, Theodore si rese conto di
non ricordare la disposizione delle varie stanze o del loro
arredamento.
Ricordava il giardino e le aiuole perfettamente curati, ricordava gli
esterni
della casa, ma degli interni la sensazione che provò una
volta varcata la
soglia dell’entrata era di totale smarrimento. Si
sentì come un ospite che
viene invitato per la prima volta in una casa nella quale non era mai
stato
prima.
Simon
notò questo suo senso di smarrimento.
«C’è
qualcosa che non va, Theo?» Gli chiese appoggiandogli una
mano
sulla spalla, mentre lui si guardava intorno spaesato.
«Non
so dove andare… non ricordo niente di questa
casa.» Gli rispose con
un tono di voce che gli parve apatico, privo di qualunque emozione
positiva o
negativa.
«Che
vuoi dire?» Domandò Simon, che non era sicuro di
aver capito bene.
Theodore
restò in silenzio per alcuni istanti.
«Non
lo so, mi sembra come di entrare in questa casa per la prima volta
in vita mia.» Rispose con lo sguardo abbassato verso il
pavimento.
Simon
non fu molto sorpreso dal sentirglielo dire. I medici li avevano
avvertiti che avrebbe potuto soffrire di amnesie selettive riguardo a
specifici
eventi, luoghi o persone, ma alla domanda “sarebbe mai
riuscito a riacquistare
la memoria perduta?” non seppero dar loro risposta.
L’unica cosa che potevano
fare consisteva nel provare a fargli rivivere quelle esperienze delle
quali non
rammentava.
Decise,
quindi di accompagnarlo a fare un giro per tutta la casa, mostrandogli
le varie stanze e raccontandogli qualche aneddoto divertente su Alvin e
su loro
due nel tentativo di sdrammatizzare un po’ la difficile
situazione. E magari
aiutarlo a risvegliare qualche tassello della sua memoria perduta.
Tentativi
inutili, dal momento che non fu in grado di strappare neanche
mezzo sorriso al fratello.
Finito
il tour del piano terra, salirono insieme le scale per il piano
superiore, dove erano situate le camere da letto.
Fu
a metà dei gradini che Theodore provò una strana
sensazione. Era il
suo ricordo bloccato, quello che per giorni aveva cercato di rammentare
senza
mai riuscirci, e che ora, d’improvviso, sembrava stesse
lottando per
riaffiorare.
Salirono
gli ultimi gradini e Simon stava per cominciare partendo dalla
stanza di Dave, Theodore invece si avviò dalla parte
opposta, verso la loro, e
suo fratello lo lasciò andare senza ostacolarlo.
Fu
tentato dal chiedergli dove stesse andando o se avesse in mente
qualcosa, ma dopo tutta la confusione e lo smarrimento vistogli negli
occhi,
quel fare deciso e convinto doveva pur significare qualcosa, quindi si
disse
che era meglio non interferire.
Theo
si mosse d’istinto, spinto da quella strana sensazione che lo
guidava verso la loro camera da letto. Lì entrò e
dopo essersi guardato un po’
intorno, analizzando i due letti a castello ai lati della stanza e
identificò
subito il suo e quello di Eleanor.
Saltò
su quello della sua amica defunta, mentre Simon se ne stava in
disparte a osservare le sue mosse.
Theodore
guardò i peluche disposti ordinatamente sul copriletto e
sopra
il cuscino, e lì si lasciò sfuggire una lacrima
che sarebbe scoppiata presto in
un pianto copioso, se lui non l’avesse bloccato con un grande
sforzo di
volontà.
Scese
giù con un salto e si arrampicò sul comodino
vicino al letto a
castello delle Chipettes.
C’erano
diverse foto che raffiguravano i Chipmunks e le Chipettes. Una
di queste era una foto di gruppo scattata durante l’estate
del 2011 poco prima
della loro partenza con la “Carnival Dreams”, che
Theodore fissò a lungo,
soffermandosi in particolare sul volto di Ellie.
C’era
qualcosa che ancora gli sfuggiva. Sentiva di essere ad un passo
dal rievocare quel ricordo, eppure la soluzione continuava a sfuggirgli
nonostante l’istinto gli dicesse che ormai c’era
molto vicino.
Saltò
giù di nuovo e, dopo essersi guardato ancora un
po’ intorno,
raggiunse infine la loro scrivania.
«Stai
cercando qualcosa?» Provò a domandargli Simon, ma
senza ottenere
risposta.
Theodore
aprì il primo cassetto in alto, ci frugò dentro
con attenzione
finché l’istinto non gli fece capire che aveva
finalmente trovato quello che
cercava. Una piccola scatoletta rettangolare di tre centimetri per
quattro. La
prese e salì sopra la scrivania dopo aver richiuso il
cassetto.
In
quel momento Simon decise di raggiungerlo, incuriosito da quello
strano piccolo oggetto che era stato sotto gli occhi di tutti per tre
anni e di
cui nessuno fino ad ora sembrava essersene mai accorto.
Theodore
la aprì, trovandoci dentro un piccolo ma splendido anello
che
nonostante non sembrava essere particolarmente costoso, era molto bello
da
vedere, soprattutto se indossato dalla persona giusta.
Doveva
essere il regalo che Theo aveva preparato per Ellie per il giorno
di San Valentino, concluse Simon.
«Ti
ricorda qualcosa?» Provò a domandargli.
Theo
ci pensò per un paio di secondi.
«No.»
«Ma
allora come facevi a sapere che l’avresti trovato
lì?»
«Non
lo so… » prese una pausa, cercava una risposta da
dare a Simon «io…
io non so perché l’ho cercato…
» Balbettò.
Appoggiò
la scatoletta sul banco delle scrivania e prese tra le sue mani
il piccolo anello per studiarlo.
«Ci
sono delle lettere qui, T&E… » disse
parlando ad alta voce tra
se e se, ma rivolgendosi, nel frattempo, anche a Simon
«T&E… Theo e Ellie.»
Fu
come una saetta che gli attraversò la testa.
D’improvviso ricordava
tutto, fin nei minimi dettagli. Come una proiezione su parete, rivide
la scena
degli ultimi istanti prima dell’incidente. Lui ed Eleanor che
attraversavano la
strada, lui che guardava il suo polso immaginandosi come sarebbe potuto
essere
con indosso il suo anello, lui che finalmente dichiarava i suoi
sentimenti per
lei, lei che lo guardava felice, la macchina che infine sopraggiungeva
a folle
velocità e li investiva.
Se
solo fosse stato più attento, se non si fosse
distratto, o se non l’avesse distratta, forse almeno uno dei
due si sarebbe
accorto in tempo del mezzo e tutto questo si sarebbe potuto evitare.
Era questa
la conclusione cui giunse Theo, era questa la verità che i
suoi ricordi avevano
cercato di nascondergli.
«Theo?
Stai… stai bene?» Gli domandò Simon,
preoccupato per lui.
«E’
colpa mia.» Farfugliò.
«Come?»
Gli chiese Simon.
«E’
colpa mia, solamente colpa mia.»
Simon
si sorprese di quella reazione improvvisa.
«Colpa
tua? Perché stai dicendo questo, che ti prende?»
«Non
capisci, è colpa mia, io… io l’ho
distratta mentre attraversavamo
le strisce pedonali… »
«No,
Theo! Non devi dirlo neanche per scherzo! E’ stato un
incidente,
non è colpa tua… »
«E’
soltanto colpa mia.» Lo interruppe.
«Theo…
»
«Lei
è morta per colpa mia.»
Quell’idea
s’insinuò nella sua mente come un tumore. Aveva
appena
cominciato a riassemblare i cocci della sua anima quando questa era
andata
nuovamente in frantumi, sfaldandosi in frammenti ancora più
piccoli.
Quel
poco di Theodore che era sopravvissuto all’incidente
morì in
quell’istante e da allora non si sarebbe mai più
ripreso per oltre 10 anni.
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Capitolo 4 *** 4: La famiglia. ***
4.1:
8
FEBBRAIO 2029 (Casa Seville)
«Ehm… ciao
Theo.» Farfugliò Alvin.
Quando
Al era partito per New York, nonostante la lunga degenza in coma
avesse fatto perdere a Theodore molta della sua massa corporea
originale,
restava tuttavia abbastanza in carne da non destare troppa
preoccupazione nei
confronti di chi lo guardava. Ora invece appariva estremamente
emaciato, più di
quanto Alvin avesse mai potuto credere. Indossava ancora la felpa verde
che
aveva fatto parte della sua infanzia, e nonostante fosse leggermente
cresciuto
di statura, gli stava persino larga ora che era così
deperito. Come se c’ho non
fosse già una visione turbante, quel Theo era anche
estremamente pallido in
volto, la pelliccia aveva perso molto del suo colore naturale e
appariva
arruffata o spelacchiata in diversi punti del corpo, lasciando
intravvedere la
pelle glabra.
Non
era il Theodore a cui Alvin era abituato, e dovette ammettere con se
stesso che purtroppo tutte le storie che Brittany gli aveva raccontato
sul suo
conto erano vere.
Theodore
non rispose al saluto. Si limitò a fissarlo con gli occhi
leggermente sgranati, quasi fosse incredulo di trovarsi veramente di
fronte il
fratello che non vedeva da così tanto tempo.
«Mi
riconosci?» Gli chiese Alvin, poi saltò sul tavolo
dove Theo stava
seduto a contemplare il nulla e gli si avvicinò.
«Sono io, Alvin.» Continuò
indicando se stesso con entrambe le mani al petto.
Theodore
lo guardò in volto. La sua espressione non comunicava alcuna
emozione. L’unico indizio che indicasse il fatto che forse
poteva essere
sorpreso di quell’incontro era la bocca leggermente aperta
che teneva spalancata
da quando Alvin lo aveva salutato entrando nella stanza.
Alvin
si inginocchiò a pochi centimetri da lui.
«Theo?».
Insistette.
Le
labbra di Theodore vibrarono leggermente.
«A-Alvin…
?» Farfugliò.
Alvin
sorrise e dovette trattenersi dal non esplodere dalla gioia.
«Sì
Theo, sono io! Sono Alvin!»
Lo
abbracciò e si aspettò che da un momento
all’altro anche lui facesse
altrettanto, ma Theodore resto impassibile e silenzioso, senza emettere
un solo
gemito.
«Come
stai, fratellino?» Gli chiese Alvin distaccandosi da lui di
un
paio di centimetri e fissandolo negli occhi.
Theo
non gli rispose, e anzi, voltò la testa verso la finestra e
ricominciò a fissare il vuoto.
«Ma…
Theo?» Lo chiamò Alvin costernato.
Una
voce femminile lo chiamò.
«Alvin…
»
Era
Brittany.
Si
voltò in direzione della voce e lì vide la sua
compagna vicino a
Simon e all’anziano Dave che seguivano insieme il suo
tentativo di dialogo con
Theodore.
Alvin
si voltò solo per un secondo verso Theodore, che continuava
a far
finta di nulla. Per un breve istante sembrava essersi ripreso, ma ora
era
tornato a dare l’impressione di non essere cosciente del
mondo che gli stava
intorno.
Ripensò
alle parole “Senza anima” con le quali Theo era
stato definito sia
da Brittany, che da Dave e Simon, e ora finalmente aveva capiva cosa
volessero
dire.
4.2:
Alvin
saltò giù dal tavolo e tornò dagli
altri.
Ricordava
il periodo in cui Theodore si convinse di essere in qualche
modo il responsabile della morte di Eleanor. Dopo un breve periodo
durante il
quale sembrava stesse cominciando a riprendersi dal trauma, cadde
nuovamente in
una specie di profonda depressione che lo chiuse in se stesso,
rendendolo
associale e assente nei confronti di chiunque. Allora le sue condizioni
erano
già preoccupanti, ma quello che Alvin si era appena
ritrovato di fronte agli
occhi era molto peggio di quanto potesse mai immaginare! Theo era
divenuto
l’ombra di se stesso, un guscio di carne, ossa e pelo al cui
interno non vi era
più traccia di emozione, e anche quelle poche che ancora vi
tentavano di
accedere, probabilmente venivano scacciate da una mente che ormai si
era
perduta nella sua cieca disperazione.
Simon
sperava che il ritorno di Alvin potesse finalmente sbloccarlo, del
resto era proprio dal giorno della sua partenza che le cose iniziarono
a
peggiorare col loro fratello, e quando Theodore, guardando negli occhi
Alvin,
aveva tentato con fatica di pronunciare il suo nome, una piccola
speranza
cominciò ad albergare per breve tempo nel cuore di Simon.
Dovette però ricredersi.
Theodore era tornato subito a essere il fragile e vuoto guscio che era
stato
per tutti quegli anni.
«Almeno
c’ho provato.» Ammise Alvin scambiando una serie di
sguardi
imbarazzati con Dave e il resto del gruppo.
«Non
fa niente Al… ora, se volete andare un po’ a
riposarvi per il
viaggio, ho già portato in camera vostra i
bagagli.» Gli spiegò Dave, senza
sforzarsi di contenere la tristezza che anche lui, come gli altri,
provava per
tutta la faccenda.
Alvin
annuì.
Simon
guardò il display dell’orologio digitale appeso
sopra la parete di
fianco al tavolo della sala da pranzo.
«Ragazzi,
io devo tornare a casa. Tra non molto Mark tornerà da scuola
e
lui non sa che sono qui, non vorrei che si preoccupasse non
trovandomi.»
«Vuoi
che ti ci porti io? Devo fare un salto alla banca, quindi se vuoi
approfittarne… » Gli propose Dave.
«Per
me va bene… » rispose, poi si rivolse ad Alvin e
Brittany «ah,
Jeanette mi ha detto di dirvi che sta sera siete invitati da noi,
sempre se non
avete altri programmi.»
«Sì,
sì, lo so. Ci ho parlato al telefono poco fa, mi ha chiamato
da
lavoro perché voleva sapere se eravamo arrivati, e ha
approfittato per
chiedermelo! Se Alvin è d’accordo verremo
senz’altro… Alvin?» Britt si rivolse
al suo compagno.
«Hmm…
bhe, è anche vero che siamo appena
arrivati…» gli altri lo
guardarono con un espressione sbigottita, come se volessero chiedergli
“E
quindi?”.
«Quindi
di impegni non ne abbiamo! Come dice Brittany, ci verremo
senz’altro, Simon!» Concluse facendo
l’occhiolino al fratello.
Cercava
di alleviare un po’ la tensione del gruppo, ma la cosa non
parve
funzionare, e anzi, portò un’ulteriore ondata di
tristezza tra tutti i presenti.
Primo fra tutti, lo stesso Alvin, che in quel momento si rese conto che
forse
con quell’atteggiamento era stato un po’
inopportuno.
«Molto
bene, allora… ehm, Dave, noi andiamo?» Gli chiese
Simon, il quale
aveva un tono di voce malinconico e sembrava non vedesse
l’ora di congedarsi
dagli altri due chipmunk.
«Sì,
fammi mettere le scarpe, prendere le chiavi e andiamo.» Gli
rispose
uscendo dalla stanza.
«Ok,
ehm… Alvin, Britt, ci vediamo sta sera allora.
Ciao.» Li salutò,
sempre con voce malinconica.
«Contateci!»
Risposero in coro mentre Simon usciva anch’egli dalla
stanza.
Poco
dopo Dave si affacciò di fretta all’entrata della
sala da pranzo.
«Ragazzi,
noi andiamo. Tornerò tra meno di un’ora, a
dopo!».
«A
dopo, Dave!»
«Ciao!»
Sia
Alvin che Brittany lo salutarono, solo Theodore era rimasto in
silenzio nel suo angolino del tavolo.
L’uomo
uscì rapidamente di casa, preceduto da Simon.
Alvin
restò piacevolmente sorpreso nel notare che nonostante
l’età, Dave
conserva ancora la vitalità dei tempi che furono. Pure lui,
come tutti gli
altri, aveva subito le conseguenze della tragedia
dell’incidente, del coma di
Theodore e della scomparsa di Eleanor, ma tra tutti era stato quello
che aveva
saputo affrontare meglio il dolore. Non era il tipo di uomo che si
lasciava
sopraffare facilmente. Quando erano finiti nell’isola, sia la
prima volta,
tutti insieme, che la seconda solo Alvin e Brittany, aveva affrontato
l’oceano
e le intemperie del vulcano per riportarli a casa sani e salvi, ed era
stato
con loro vicino anche dopo i due incidenti di Simon e Jeanette e di
Theo e
Ellie.
Dovevano
tutto a lui, e Alvin non faceva che rimpiangere ogni minuto di
ogni giorno la sua decisione di partire per New York. La sua carriera
gli aveva
garantito il continuum della fama e del successo, ma gli aveva anche
fatto
sprecare molti, troppi anni di rapporti con la famiglia con cui
è cresciuto e
che ora desiderava solo recuperare.
Forse
il merito di questa consapevolezza era dovuto ai suoi trentacinque
anni di età che finalmente lo stavano facendo maturare,
oppure era dovuto fatto
che presto sarebbe diventato lui stesso un padre. Si chiedeva quale di
queste
due eventualità fosse quella corretta. La prima? La seconda?
Oppure entrambe? Un
giorno l’avrebbe capito.
4.3:
Alvin
e Brittany erano rimasti solo in casa insieme a Theodore.
Alvin
lanciò un altro sguardo malinconico al fratello. Stava
valutando
se fare un altro tentativo provando a parlarci o se invece fosse meglio
lasciarlo perdere per ora.
Brittany
gli appoggiò una mano sulla spalla.
«Andiamo,
Alvin.» Gli disse.
«Uh…sì.»
Uscirono
dalla stanza e andarono verso le scale che li avrebbero
condotti al piano superiore della casa. Non si accorsero che nel
frattempo
Theodore si era leggermente voltato per guardarli.
Per
salire le scale, a causa del suo pancione Brittany doveva aiutarsi
afferrando la base del corrimano e aiutarsi con le braccia a compiere i
gradini, ma dopo averne completati solo un paio fu afferrata
d’improvviso da
Alvin che se la caricò in braccio.
«Uh,
Alvin? Ma… che stai facendo?»
«Non
crederai mica che ti lascerò salire le scale da sola?
Ricordi cosa
ti ha detto il medico? Niente sforzi inutili.»
Brittany
ridacchiò imbarazzata.
«Ma…
peso troppo per te, come farai a fare tutti i gradini con me
in… »
fu azzittita da un piccolo e delicato bacio sulle labbra dal suo
compagno.
«Stai
tranquilla e goditi il viaggio.» La rassicurò
sorridendole.
Alvin
salì i gradini a lunghi passi con in braccio Brittany senza
mostrare quasi segno di stanchezza, fino a che non si trovarono
finalmente al
piano superiore della casa.
«L’
“Alvin’s transport” le comunica che siamo
giunti a destinazione,
Mylady.» Annunciò Alvin, facendo ridere Brittany
per la battuta.
«Eheh,
quanto le devo?»
«Per
lei, Mylady, oggi: “sconto fedeltà”, un
bacio sulla guancia e siamo
a posto.»
Brittany
rise ancora, e invece del bacio sulla guancia, gli diede un
lungo e profondo bacio sulle labbra.
«Il
resto è la mancia.» Concluse Britt.
Si
avviarono subito per il corridoio e Alvin parti in quarta diretto
verso quella che una volta era la loro camera da letto.
«No,
non lì, Alvin.» Lo avvertì Brittany. Ma
Alvin ormai aveva già
raggiunto la stanza, e quando varcò la soglia
provò una sensazione di
smarrimento nel notare che molte delle loro cose erano state tolte. I
poster,
le locandine, i loro giocattoli, tutto era stato rimosso. Persino i
letti a
castello nei quali un tempo i Chipmunks e le Chipettes dormivano
insieme.
Restava
solo un letto a una piazza simile a quello che avevano Alvin e
Brittany nel loro attico a New York, con un copriletto monocromatico di
colore
verde. A guardarla ora, la stanza sembrava incredibilmente spoglia. Dei
tempi
passati restavano solo un piccolo armadio a due ante e un comodino
vicino a
quell’unico letto sopra il quale vi erano diverse foto,
alcune dei Chipmunks e
delle Chipettes in gruppo, e molte altre solo di Eleanor da sola o con
Theodore.
«Questa
ora è la camera di Theo.» Spiegò
Brittany dopo averlo raggiunto.
«A
quanto pare…» le rispose mentre la sua attenzione
era tutta
focalizzata sulle foto del comodino. «Quindi… dove
si va?» Domandò poi.
«Dave
ci ha preparato la stanza per gli ospiti, dormiremo
lì.»
L’espressione
di Alvin cambiò in una smorfia di sorpresa.
«Da
quando Dave ha una stanza per gli ospiti?»
«Sono
passati 10 anni, le cose cambiano!»
«Sì,
bhe, è vero. E’ solo che non mi aspettavo di
vedere questa stanza
così spoglia.»
Brittany
sospirò.
«Lo
so, non sembra neanche più la stessa. Dave dice che
è stato
costretto a farlo perché ogni cosa che c’era qui
dentro ricordava a Theo mia
sorella… gli causavano angoscia… quindi ha dato
via tutto eccetto le foto, che
non se la sentiva di portargli via. Theodore ha diritto ad avere un
ricordo di
Ellie e… »
«Andiamo
nella nostra stanza, ok?» Le frasi di Brittany stavano
diventando sempre più confuse e disordinate, e ad ogni
parola pronunciata la
sua voce si tramutava sempre di più in un pianto. Alvin
decise quindi di
stopparla.
«Sì,
va bene… seguimi.» Brittany si asciugò
una lacrima con il palmo
della mano e lo accompagnò alla stanza degli ospiti.
«Un
momento… ma questo è lo studio di
Dave!» Commentò Alvin stupefatto.
La
stanza degli ospiti era arredata svuotando dal suo contenuto tutto
quello che fino a qualche anno prima era lo studio nel quale Dave
lavorava ai
testi delle sue canzoni.
Quando
dovettero sciogliere la band dei Chipmunks e delle Chipettes, da
quel momento in poi tutti i guadagni che Dave percepiva provenivano
principalmente
dai diritti d’autore e dalla vendita degli ultimi cd del
gruppo. Per un po’
aveva tentato di comporre e registrare nuove canzoni per conto proprio,
le
quali però non ottennero lo stesso successo come ai tempi
d’oro dei sei
chipmunk, perciò decise di rinunciarvi. Questa parte della
storia Alvin la
conosceva, quello che però ignorava era che alcuni anni
prima , sotto
suggerimento di Simon, Dave aveva deciso di mettere in vendita
all’asta tutta
la sua attrezzatura da compositore, che ormai risiedeva abbandonata in
uno
studio che non aveva più motivo di esistere, ed era riuscito
a piazzarla ad un
ottimo prezzo a diversi collezionisti bramosi di avere per
sé un pezzo della
storia di una delle più grandi band musicali di tutti i
tempi.
Le
due valige che Alvin e Brittany si erano portanti dietro erano state
già svuotate del loro contenuto e riposte con
l’aiuto di Dave in uno degli
scaffali della stanza.
«Io
mi metto un po’ a dormire Alvin, sono stanca
morta.» Disse Brittany.
«Oh,
sì. Aspetta. Ti aiuto a salire.»
Dave
aveva già preparato una piccola scaletta sul bordo destro
del letto
per consentire alla Chipette di salire, e così lei e
compagno ripeterono lo
stesso rituale a cui già erano abituati nel loro attico a
New York.
Brittany
si accoccolò sul letto e aspettò che anche Alvin
si sdraiasse
insieme a lei, ma il chipmunk saltò subito giù
per dirigersi all’uscita.
«Non
vuoi dormire un po’?» Gli chiese Britt.
Alvin
si voltò verso di lei e scosse la testa.
«No,
voglio andare giù e provare a parlare ancora con
Theo.»
Lei
gemette.
«Credi
che sta volta funzionerà?»
Alvin
sospirò.
«Non
lo so… lo spero. Ma non mi va di dormire sapendo che mio
fratello
che non vedo da dieci anni è al piano di sotto tutto solo e
abbandonato a se
stesso. Riposati, Britt. Io ti raggiungerò tra
poco.»
Alvin
si congedò da Brittany, che rimasta sola nella stanza, non
poté
fare altro che ascoltare le parole del suo compagno e dormire, lui
invece
percorse il corridoio fino alle scale e scese al piano inferiore.
Si
diresse verso la sala da pranzo, dove prima avevano lasciato
Theodore, ma prima di raggiungerla, alcuni rumori attirarono la sua
attenzione
nel soggiorno. Sembravano provenire da una tv, e in effetti fu
così. Theo stava
seduto sul divano, con il telecomando di fianco a se e con lo sguardo
fisso sul
monitor ultrapiatto del televisore di fronte.
«Hey,
Theo!» Si annunciò Alvin saltando sul divano
insieme al fratello e
sedendosi vicino a lui. Theodore non gli rivolse nemmeno uno sguardo.
Ci
furono alcuni secondi d’imbarazzante silenzio, durante i
quali Alvin
cercò di pensare a un modo per spezzare la tensione. Tra
tutte quelle che
avrebbe potuto dire, gli venne in mente solo la domanda più
stupida e inutile
in assoluto.
«Che
stai guardando?» Gli domandò cercando di attirare
l’attenzione. Lo
sapeva che non avrebbe dovuto aspettarsi una risposta, ma non sapeva
davvero
come approcciarsi.
Faresti
meglio a stare zitto, Alvin! Si disse tra se e se.
Alla
fine si limitò a seguire la Tv insieme a Theodore senza
aprir
bocca. Sul monitor scorrevano le pubblicità dei prodotti
più disparati, dagli
snack agli spot delle compagnie aeree, dai prodotti per la casa agli
ultimi
ritrovati hi-tech della robotica domestica. Niente che potesse
stuzzicare in
alcun modo l’interesse di Alvin, che infatti si stava
annoiando sempre di più
man mano che il tempo trascorreva.
«Non
trattarmi come un bambino.»
La
frase penetrò in Alvin come una scossa elettrica e lo fece
sobbalzare
dal suo posto. A parlare era stato Theodore, il quale lo disse con una
voce
calma e apparentemente apatica, Alvin però aveva capito a
cosa si riferisse il
fratello.
«Lo
so… scusami.» Sospirò «Sento
di dover dire qualcosa, ma non so… »
«Rispondi
a questo, Alvin.» Theodore voltò il capo verso di
lui «Perché
solo ora?»
Alvin
non capì.
«Che
vuoi dire?»
«Perché
ci hai messo così tanto a tornare?»
Alvin
rimase allibito dalla domanda di Theodore. Già non si
sarebbe
aspettato di sentirlo veramente parlare, nonostante fosse tornato da
lui proprio
per questo, e ora si era ritrovato d’improvviso
dall’altra parte della
palizzata. Ora era lui a restare in silenzio mentre Theo attendeva la
sua
risposta.
Alvin
inspirò una lunga boccata d’aria.
«Era
per il mio lavoro Theo, come talent scout sono sempre in giro per
il Paese… California, Florida, Texas, New York, Ohio,
Missouri… insomma, non ho
mai un attimo di tregua. Quest’anno, visto che Brittany
aspetta un bambino, ho
deciso di prendermi un anno sabatico, e così eccomi
qui… »
Theodore
non credeva a una sola parola di quanto gli diceva Alvin.
«Non
mi risulta che i Talent Scout siano così pieni di
impegni.»
Commentò con fare sarcastico e cinico. «Quello che
mi hai appena detto è la
verità, oppure un’altra delle tue
scuse?».
Alvin
era rimasto basito. Le accuse di Theodore gli penetravano nella
pelle e lo ferivano da dentro.
«Sei
arrivato qui come se niente fosse, mi hai abbracciato come se tutto
quello che è successo non fosse mai avvenuto, hai insistito
per parlare con me
dopo essere sparito per dieci anni. Eppure nonostante tutto questo,
ancora non
riesci a essere sincero.» Continuò.
Alvin
strinse i pugni. La rabbia stava montando in lui. Cercò di
trattenersi, di mordersi la lingua e ingoiare il rospo, ma proprio non
se lo
aspettava che dal silenzio, Theodore sarebbe passato ad accuse tanto
pesanti in
così poco tempo. Alla fine, nonostante gli sforzi per
impedirlo, scoppiò.
«Io
non sono sparito! E’ vero, forse ho avuto paura di tornare a
casa,
ma con gli altri ho riallacciato i contatti da anni! Sai quante volte
avrei
voluto parlarti, chiederti come stavi, ma ogni volta mi è
sempre stato detto
che non volevi parlare con nessuno, che te ne stavi sempre chiuso in te
stesso!
Come potevo parlare con te se tu per primo me l’hai sempre
impedito?»
Theodore
esitò prima di parlare.
«Sì,
hai ragione… io l’ho uccisa… ma quando
te ne sei andato, ogni cosa
è andata in frantumi… »
Farfugliò abbassando lo sguardo.
Theodore
ora aveva improvvisamente cambiato atteggiamento.
Dall’ostentata sicurezza che mostrava fino a un attimo prima,
era passato
all’imbarazzo. Sbalzi di umore come questi non erano proprio
da Theodore, non
il Theodore che conosceva Alvin.
«Si,
ok è vero, ho sbagliato e sono tornato con
l’intenzione di rifarmi
con tutti, ma per quanto riguarda te, sbagli a darti delle colpe, non
hai
ucciso nessuno, è stato solo un incidente! Te lo abbiamo
sempre detto…»
Theodore
lo interruppe.
«Io
l’ho distratta… avrebbe potuto
scansarsi… »
«Oh,
no! Senti, torna ad accusare me! Io me ne sono andato e non mi sono
più sforzato di farmi vivo, punto! Tu in
quell’incidente sei stato solo una
vittima, proprio come lei!»
«Lei
è morta per causa mia… » Insistette
Theodore.
Alvin
si dannava nel tentativo di farlo ragionare, fargli capire chi dei
due meritasse di essere accusato e chi no, ma Theo non gli dava
ascolto.
Avevano avuto una conversazione quasi razionale fino a qualche secondo
prima.
Una conversazione dove un lucido Theodore accusava Alvin della sua
lunga
assenza. Ma ora era tutto tornato alla triste realtà, e
mentre il fratello
ripeteva ciclicamente le stesse frasi come un disco di vinile rovinato,
Alvin
saltò giù dal divano investito da un vortice di
emozioni contrastanti. Senza
aggiunger altro raggiunse le scale e salì tornando nella
stanza degli ospiti,
ora divenuta la loro, e dove Brittany stava già dormendo
sotto le coperte.
Alvin
chiuse la porta dietro di se in preda alla rabbia e alla
frustrazione e senza badare a lei, si rintanò in un angolo
della stanza e
cominciò a piangere.
Brittany
si era svegliata. Non fu molto sorpresa da quella reazione.
Immaginò che qualcosa tra i due fratelli non fosse andato
per il verso sperato.
Scese
con estrema lentezza dal letto, appesantita dal suo pancione, e
goffamente, andò a sedersi vicino a lui.
Nessuno
dei due disse nulla. Lei gli offri una spalla su cui piangere e
gli restò vicino aspettando che si calmasse.
Alvin
non soffriva per i suoi sbagli, li aveva compresi nel momento in
cui aveva rivisto suo fratello Simon dentro la locanda durante le ore
del primo
pomeriggio, e si era detto che avrebbe cercato di porre rimedio a
tutto. A
fargli quasi mancare il fiato dalla frustrazione era il fatto di non
saper come
aiutare Theodore.
Ora
capiva il perché tutti si fossero rassegnati con lui a parte
Simon,
e finalmente giustificava anche la malinconia del suo fratello
più dotto.
Si
disse che doveva farsi forza. Era solo il primo giorno del suo
ritorno, tanti altri ce ne sarebbero stati da lì in poi, e
non poteva
permettere che l’instabilità di Theodore prendesse
il sopravvento anche su di
lui, non così presto almeno.
Quel
viaggio doveva portargli anche delle esperienze positive. Ad
esempio, non vedeva l’ora di fare finalmente la conoscenza di
suo nipote Mark.
4.4:
LO
STESSO GIORNO-SERA (Los Angeles, un’altra località)
Il
piccolo pomello della porta, posto a venti centimetri da terra per
consentire agli occupanti di quella casa di impugnarlo e aprire la
porta, girò
su se stesso facendo scattare un piccolo click. La porta poi si
spalancò e la
persona che la aprì, Jeanette Seville, fece il suo ingresso
in casa.
«Sono
tornata!» Annunciò ad alta voce.
Simon
se ne stava nella stanza adiacente al corridoio d’entrata,
impegnato in alcune ricerche accademiche sul tavolo della loro sala da
pranzo.
Quando la vide entrare fece un piccolo sobbalzo di sorpresa.
«Oh.
Ciao tesoro. Come mai così tardi?» Le chiese
mentre si scambiarono
un piccolo bacio di saluto sulle labbra.
Lei
sbuffò.
«Lo
so, lo so. A lavoro Morrison ha di nuovo combinato un casino col
treppiede, abbiamo dovuto ripetere tutta la sessione fotografica sta
volta!
Guarda, lascia stare, non mi va di parlarne.»
Simon
ridacchiò.
Jeanette
si tolse di dosso la giacca e andò ad agganciarla
all’appendiabiti in salotto.
«Mark,
è arrivata la Mamma!» Chiamò ad alta
voce Simon, mentre lei
faceva ritorno nella sala da pranzo.
Simon
e Jeanette si sposarono il 28 luglio 2018 e appena sette mesi
dopo, il 10 febbraio 2019, venne al mondo il loro figlio Mark. A quel
tempo la
famiglia Seville si era già spezzata, dal momento che Alvin e Brittany erano
già partiti da diversi
mesi per New York. In seguito al suo travagliato periodo di
maternità, durante
il quale Simon stava ancora frequentando gli studi di specializzazione
di
psicologia, per poter garantire un’infanzia benestante al
loro bambino Jeanette
prese la decisione di cercarsi un lavoro che le permettesse di far
fronte alle
numerose e gravose spese che i due Chipmunks avevano a carico.
Decise
così di farsi assumere come aiutante in un piccolo studio
fotografico di periferia, con il quale Jeanette riusciva nonostante
tutto a
ritagliarsi una piccola fetta di tempo libero da dedicare
all’educazione del
figlio.
Non
fu facile per lei emergere in quel settore, dal momento che come
assistente di fotografo non era in grado di adempiere alle numerose
mansioni
che la sua posizione avrebbe richiesto. Operazioni apparentemente
semplici come
montare o smontare i set, spostare l’attrezzatura o anche
solo regolare le luci
di scena risultavano impossibili da compiere per una Chipette di venti
centimetri di altezza.
Per
sua fortuna il fotografo per il quale lavorava era un uomo molto
tollerante
e generoso, che conoscendo la sua situazione familiare e anche tutto
quello che
aveva passato gli anni precedenti con l’incidente di sua
sorella, e le
risparmiava molti dei doveri che le erano richiesti concedendole di
occuparsi
solo di quello che lei era in grado di eseguire, come gestire
l’archivio
fotografico al pc o scattare le fotografia mentre l’uomo
aggiustava la
scenografia.
Col
trascorrere dei mesi, Jeanette finì per imparare molte cose
sul
mondo dei fotografi professionisti e non passò molto tempo
prima che lei
cominciasse ad occuparsi dello studio fotografico al pari del suo
datore di
lavoro.
Nel
corso degli anni l’attività finì per
ingrandirsi, in parte anche
grazie al passaparola della gente, attirata dalle voci secondo cui in
quello
studio lavorava uno degli ex-membri del gruppo delle Chipettes.
Dopo
sette anni di collaborazione, l’uomo che fino ad allora si
era
occupato di stipendiare la Chipettes le comunicò una notizia
molto importante:
presto avrebbe dovuto trasferirsi in Europa. Per tanto, se Jeanette era
disposta ad accettare l’offerta, le avrebbe ceduto
l’attività.
Fu
una grande sorpresa per la Chipette, che tuttavia accettò
l’offerta,
e ben presto fu lei stessa ad assumere degli assistenti umani che
collaborassero con lei per la gestione
dell’attività, sebbene in taluni casi,
come con Morrison, dovette convenire con se stessa che non fu proprio
la più
saggia delle decisioni.
«Ho
deciso! Domani gli do il benservito!» Annunciò
Jeanette ripensando a
quell’incompetente di Morrison.
Simon
era vicino a lei, seduto al tavolo della sala da pranzo (di taglia
ridotta per adattarsi alle loro dimensione, proprio come per Alvin e
Brittany)
«Intendi
licenziarlo?»
Jeanette
sospirò amareggiata.
«Non
ho scelta! Non è mai puntuale a lavoro, manca di rispetto ai
clienti e come se non bastasse, non passa giorno che non ne combini una
delle
sue… »
«Ciao
Mamma.»
Lo
sfogo di Jeanette fu interrotto dal saluto di suo figlio Mark, che
entrò nella stanza.
«Ciao
Mark.» Ricambiò lei il saluto, poi suo figlio le
si avvicinò per
darle un affettuoso bacio sulla guancia che le fece tornare il sorriso.
«Allora,
com’è andato il test a scuola?»
«E’
andato benissimo! La Prof mi ha dato A+!» Rispose Mark
saltellando
dalla felicità.
«Bravo,
sono così fiera di te… » Jeanette si
voltò verso Simon «E Alvin
e Brittany?»
«Ci
ho appena parlato al telefono, stanno arrivando in taxi.»
«Immagino
che con Theodore… ?» Chiese lei, alludendo alla
possibile
reazione che Theo avrebbe potuto avere rivedendo il fratello di suo
marito.
Simon
scosse la testa in silenzio, comunicandole a gesti una risposta
molto chiara: “Non ha funzionato”.
«Capisco.»
Concluse rattristata.
Il
campanello di casa trillò.
«Devono
essere loro.» Ipotizzò Simon.
Jeanette
andò ad aprire la porta e si ritrovò dinanzi ad
Alvin e
Brittany.
«Sorpresa!»
«Britt!
Che piacere rivederti!» Le due sorelle si lanciarono
l’una
contro l’altra in un affettuoso abbraccio fraterno, poi
Jeanette guardò verso
Alvin «Alvin! Hey, come stai?»
Alvin
fece per rispondere, ma fu azzittito da Jeanette.
«Ma…
e quell’orecchino?»
Alvin
si passò una mano tra i capelli e si fermò a
stuzzicare
l’orecchino con le dita ridacchiando.
«Oggi
tutti che mi chiedono dell’orecchino, eheh…
comunque, sto bene
Jeanette, anch’io sono felice di rivederti.»
Anche
Alvin e Jeanette si scambiarono un affettuoso abbraccio di saluti.
Un gesto che non turbò in nessun modo né Brittany
di fianco a loro né Simon
all’entrata della sala da pranzo.
«Coraggio,
entrate pure! Che state aspettando?» Li invitò
Jeanette.
«Con
permesso.» Alvin entrò affiancato da Brittany e
cominciò a
guardarsi intorno «Wow, la vostra casa è davvero
bella, mi piace!»
«Già,
niente in confronto al vostro enorme attico a New York!»
Commentò
sarcasticamente Jeanette.
Alvin
si voltò di scatto verso di lei.
«Oh,
no, no! Dico sul serio, è molto bella…»
cercò di spiegare Alvin.
Si
diressero nel soggiorno, dove Alvin vide un piccolo Chipmunk
incredibilmente somigliante a Simon e Jeanette starsene fermo in piedi
a
guardarli.
«Hey!
E tu devi essere Mark, forte! Finalmente ci conosciamo!»
Brittany
si fece avanti e si avvicino al nipote, che al contrario di
Alvin, aveva già visto in più di
un’occasione.
«Lo
riconosci? Sai chi è?» Gli domandò lei
facendo un cenno con la testa
verso Alvin.
«Ma
certo! Sei lo zio Alvin, ti ho visto spesso in TV!».
Alvin
rise, poi andò verso il nipote e gli porse la mano. Mark la
strinse con sicurezza e decisione.
Alvin
si inginocchiò di fronte al piccolo Chipmunk.
«E
non solo alla TV immagino. Allora, Com’è il mondo
dei Vivi?» Gli chiese sussurrando.
Mark
fece una smorfia di stupore.
«Come?»
«Ehm,
Alvin… » Simon gli si parò di fronte
«Vieni un secondo con me, ti
devo parlare.» Gli disse agitato.
«Oh…
sì.»
Alvin
si Alzò e seguì Simon.
«Aspettateci
qui, noi torniamo subito!»
«Dove
state andando, Simon?» Gli domandò Jeanette.
«Qui
fuori in terrazza, non ci metteremo molto, gli spiego solo
“quel discorso”.»
Le rispose facendo con le dita il segno delle virgolette.
4.5:
«Fico!
C’è una vista magnifica da qui!»
Commento Alvin dopo essere saltato
sul parapetto della terrazza. L’appartamento di Simon e
Jeanette si trovava
all’ottavo piano di un grattacelo alto dodici, e da
lì si poteva godere di una
strabiliante vista sulla strada e dell’intero quartiere.
Simon
lo raggiunse sul parapetto.
«Già,
è vero. Era uno dei motivi per cui abbiamo preso questa
casa, ma
tu dovresti esserne abituato se non sbaglio.»
«Sì,
è vero. Però Los Angeles è molto
più bella di New York, l’ho sempre
pensato… »
I
due fratelli stettero per diversi secondi in silenzio contemplando il
paesaggio cittadino sottostante, Simon poi si voltò verso
Alvin.
«Mark
non sa niente dei “Viaggiatori dei Sogni” e di
tutto il resto.»
Gli spiegò a bruciapelo.
Alvin
strabuzzo gli occhi e spalancò la bocca dallo stupore.
«Come
sarebbe? Ma… ma io… io credevo che…
»
«Sì,
lo so che vuoi dire, ma Jeanette è convinta che lui non
ricordi
niente di quella sua vita precedente.»
«E
tu invece?» Gli chiese Alvin.
Simon
sospirò.
«Io
non ho vissuto le esperienze che ha vissuto lei con Mark nel Mondo
dei Sogni, ma adesso io lo guardo e vedo solo un normalissimo ragazzino
come
tanti altri. L’ho visto crescere, e con tutta onesta non
credo che stia
mascherando tutto.» Si fermò per riordinare le
idee, poi riprese «Jeanette ha
ragione, Mark non ricorda nulla, e ti chiederei di non accennare
più nulla a
riguardo.»
Alvin
annuì deciso.
«D’accordo
Simon, non ne farò parola, promesso!» Si diede due
colpetti
al cuore per siglare la sua promessa.
«Per
quello che hai detto prima… mi inventerò qualcosa
io, che so… che
era una tua battuta o cose del genere.»
«Sì,
sì, ok. Comunque ti chiedo scusa, non ne sapevo nulla.
Brittany non
mi aveva avvertito…»
Simon
lo interruppe.
«E
tutto a posto… ora sarà meglio che torniamo in
casa, o Jeanette se la
prenderà con me.» Scherzò Simon.
«Sì,
forse hai ragione. Mi sa che è meglio non scherzare con
lei!»
«L’hai
detto, fratello!»
I
due rientrarono in casa ridendo e scambiandosi battute a vicenda.
Anche
se non a parole ma solo mentalmente, si erano accordati che quella
serata l’avrebbero trascorsa all’insegna del
divertimento e della rimpatriata.
Passarono
il resto del tempo nella più totale serenità,
raccontandosi
storie divertenti degli anni trascorsi, rievocando i piacevoli ricordi
d’infanzia e facendo battute sugli argomenti più
disparati.
Verso
la fine della serata decisero di esibirsi in alcuni brevi
siparietti canori con le loro hits musicali di maggior successo, che
Mark
ascoltava ammirato e affascinato, soprattutto quando a cantare erano i
suoi
genitori.
Ogni
ricordo, ogni risata riesumava anche i ricordi più brutti,
ma
durante quella serata tutti li ignorarono, come se non ci fossero mai
stati.
Dopo
tanti anni, finalmente la famiglia si stava riunendo.
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Capitolo 5 *** 5: Una tragedia. ***
5.1:
NEL
FRATTEMPO (Casa Seville).
Theodore
era in camera sua, seduto sul suo letto. In mano teneva un
piccolo oggetto che nel corso degli anni era diventato il suo feticcio,
un
simulacro del suo dolore e della sua perdita. L’anello con la
scritta
“T&E”, quello che avrebbe regalato a
Eleanor per il loro San Valentino.
Nessuno
oltre a lui stesso era a conoscenza di quel piccolo oggettino di
bigiotteria e del valore simbolico che aveva assunto nel corso degli
anni.
L’ultimo ad averlo visto era stato Simon, il giorno in cui
Theodore tornò a
casa dall’ospedale. Mentre per quanto riguardava Dave e il
resto della
famiglia, Theo aveva sempre cercato di tenerlo nascosto a tutti, forse
per
timore di vederselo sottratto come il resto delle sue cose.
Dave
credé di fargli un favore portandogli via molti dei ricordi
che
avevano fatto parte della sua infanzia, pensando che questo
l’avrebbe aiutato a
superare il passato. Peccato che nel suo silenzio, Theo non aveva mai
detto a
nessuno di quanto ci tenesse alle sue cose, e nella convinzione di
sentirsi in
qualche modo responsabile per ciò che successe a Eleanor,
aveva cercato di non
far notare a nessuno il disagio per tutta la nostalgia che provava ogni
minuto
di ogni giorno.
Dal
corridoio del piano superiore un rumore sordo di passi
cominciò a
farsi udire sempre più forte ogni secondo che passava.
Theo
si portò rapidamente l’anello alla bocca e ne
baciò la superficie
fredda, poi lo richiuse in fretta e lo nascose dentro la fodera del
cuscino sul
quale dormiva.
Qualcuno
bussò delicatamente tre volte sulla porta, dopo di che, Theo
vide Dave entrare in camera sua.
«Theo…
è pronta la cena. Viene a mangiare.» Lo
invitò cordialmente Dave.
5.2:
POCO
DOPO.
«Sei
di buona forchetta questa sera!» Commentò Dave.
Da
diversi anni ormai Theodore era arrivato a mangiare poco o niente dei
pasti che Dave gli preparava. In taluni casi era stato persino
costretto a
forzarlo per spingerlo a mettere qualcosa nello stomaco. Quella sera
però le
cose non andarono così, per fortuna. Theodore aveva mangiato
in fretta e con decisione
la sua porzione di cibo ed era arrivato a chiederne ancora a Dave, il
quale si
era dimostrato più che felice ad accontentarlo.
Al
commento dell’uomo, il chipmunk smise di mangiare e
rifletté sulle
sue parole. Nemmeno lui si era reso conto di quanto stesse
effettivamente
mangiando quella sera.
«Credo
di sì.» Rispose.
Nel
volto di Dave si formò un piccolo e discreto sorriso di
soddisfazione, che cercò di nascondere al chipmunk mentre
finiva la sua parte
della cena.
«E’
per via di Alvin, non è vero? Sei contento di
rivederlo?» Gli chiese
poi, anche se forse non era stato una buona idea, si disse tra se e se.
Theodore
si fermò ancora, e proprio come poco prima, si mise
nuovamente
a riflettere.
«Non
lo so, io… » ripensò a quel pomeriggio,
alla prima discussione che
aveva avuto con Alvin dopo tutti quegli anni, alla reazione che questi
aveva
avuto saltando giù dal divano e fuggendo via in quel modo
«gli ho detto delle
brutte cose oggi… gli ho detto che ero arrabbiato
perché in tutti questi anni
non ha mai chiesto di parlare con me, anche se sapevo che in
realtà ero io a
non voler parlare con nessuno… gli ho detto che…
»
Theo
si stava alterando. Non era la prima volta che Dave assisteva a
questa situazione. Per anni il chipmunk era stato visitato e seguito
dai più
disparati psicologi e specialisti, eppure nessuno era mai stato in
grado di
fare qualcosa di concreto per aiutarlo. La colpa era in gran parte
dovuta,
appunto, a questi sbalzi d’umore improvvisi, che si
manifestavano nei rari
momenti in cui qualcuno riusciva a instaurare un dialogo con lui e con
i quali
passava in brevissimo tempo da uno stato d’umore neutro e
apatico, a uno di
rabbia e frustrazione incontrollata.
Col
tempo, Dave aveva imparato a riconoscere questi sbalzi e a
intervenire tempestivamente per prevederli.
Dopo
aver compreso che in quel preciso momento Theo stava per subirne un
altro, lo interruppe subito sperando di calmarlo.
«Theo,
Theo. Aspetta! Qualsiasi cosa tu gli abbia detto…»
mentre Dave
tentava di parlargli, con le mani mimava il gesto di calmarsi.
«…
e ora lui mi odia!» Lo interruppe a sua volta il chipmunk
«Se n’è
andato senza neanche rivolgermi la parola… »
Dave
si alzò dal suo tavolo e si avvicinò con passi
lenti ma ampi verso
Theo, poi gli si inginocchiò di fianco e gli
appoggiò alcune dita della mano
destra sulla spalla, facendolo azzittire subito.
«Stammi
a sentire… qualsiasi cosa tu gli abbia detto, lui non ti
odia.
Alvin e Simon sono i tuoi fratelli, ti vogliono bene. Non potrebbero
mai
odiarti.»
«E
allora perché Alvin se n’è andato per
tutti questi anni? Perché non è
mai tornato?»
Dave
temeva questa domanda. In cuor suo aveva sperato di non trovarsi
mai nella situazione di dover spiegare il perché delle
decisioni di suo figlio
Al. La verità è che nemmeno lui conosceva la
risposta, quindi l’unico tipo di
soluzione che avrebbe potuto dare a Theodore erano le sue impressioni
soggettive e le sue idee.
Sospirò.
«Perché
era sconvolto per tutto quello che era successo a te e a
Ellie…
come tutti noi, del resto… e alla fine ha commesso degli
errori. Ma questo non
conta ora, Theo. Alvin finalmente è tornato, e questo
significa che ha capito i
suoi sbagli.» Prese una piccola pausa, durante la quale si
alzò in piedi. «Vedrai
che da oggi le cose cominceranno ad andar meglio per tutti.»
Theo
lo guardò con la sua prima espressione ottimista da oltre un
decennio.
«Nei
sei sicuro?» Gli domandò speranzoso.
Dave
annuì.
«Assolutamente!»
Dopo
di che, finalmente Theodore accennò un sorriso, infondendo
anche a
Dave una nuova ventata di ottimismo.
Mentre
sparecchiava la tavola, cominciò a sperare che forse il
ritorno
di Alvin, tutto sommato, stava facendo veramente la differenza.
«Lei…
mi manca molto.» Esclamò malinconico, Theo.
Dave
inserì i piatti e le posate nella lavastoviglie e si
voltò verso il
chipmunk con un’espressione seria.
«Manca
a tutti noi, Theo. E sbagli a pensare che la colpa sia tua.»
«Se
io non l’avessi distratta…»
Dave
lo interruppe.
«Non
potevi saperlo. Nessuno poteva… »
Theodore
restò in silenzio, così come l’uomo.
Quella
quiete improvvisa era quasi ipnotica per l’anziano Dave.
Mentre
si passava delicatamente la mano tra la sua barba bianca,
d’improvviso cominciò
a rievocare quella drammatica giornata di tredici anni prima.
5.3:
14
FEBBRAIO 2013 (Los Angeles, luogo dell’incidente)
Dave
non poteva ancora credere a quanto stava succedendo.
Solo
fino a un’ora prima aveva ricevuto una chiamata dai ragazzi
nella
quale lo avvertivano che erano usciti dalla scuola e che si stavano
dirigendo
al parco.
Era
il giorno di San Valentino e con ogni probabilità avrebbero
approfittato della passeggiata per stare un po’ per conto
loro.
Quella
sera sarebbero andati tutti insieme al ristorante, e lì
avrebbero
colto l’occasione per farsi lo scambio dei doni. Sempre
ammesso che non
avessero deciso di farlo già durante il pomeriggio.
Dave
era nel suo studio quando squillò il telefono, intento a
occuparsi
della contabilità casalinga del mese.
Scese
al piano di sotto con non curanza, quasi senza preoccuparsi del
rischio che gli squilli potessero interrompersi. Raggiunse il telefono
e
afferrò la cornetta portandosela all’orecchio.
Dall’altro
capo della linea una voce e lui molto familiari, quella di
Simon, lo pregava di raggiungerli il più presto possibile al
parco.
«Simon,
che succede?» Gli aveva domandato. E tra i caotici rumori di
sottofondo, uniti all’evidente agitazione del chipmunk, era
riuscito a cogliere
solo due parole: “incidente” e
“grave”. Ma furono più che sufficienti
per
spingerlo ad uscire di fretta da casa senza nemmeno preoccuparsi di
chiudere la
porta a chiave.
Durante
il breve tragitto, le parole di Simon gli martellavano in testa
insistentemente, mentre lui non faceva che formulare tra sé
e sé domande su
domande per trovare una risposta a quello che fosse successo.
Tutto
gli sembro inverosimile quando raggiunse la sua destinazione. Cinque
volanti della polizia di Los Angeles erano parcheggiate ai bordi della
strada,
un paio di agenti si occupavano di far confluire il traffico mentre
altri
cercavano di tener lontani i curiosi.
Un’ambulanza
partì a sirene attive allontanandosi dal luogo e un
furgoncino con dentro una giornalista del Tg locale arrivò
ben presto sul
posto.
Una
coppia di poliziotti andò verso di loro intimandoli di star
lontano.
Dave
seguiva tutta la scena stranito da quanto i suoi occhi stavano
vedendo.
«Dave!
Dave! Siamo qui!»
La
voce di Alvin che lo chiamava con agitazione, seguita in coro da
quella degli altri Chipmunks e Chipettes gli fece riacquistare contatto
con la
realtà.
Corse
verso di loro.
Uno
degli agenti gli si parò di fronte per bloccarlo,
scambiandolo per
un altro passante curioso o forse un giornalista, ma dopo averlo
riconosciuto
si fece da parte per permettergli di raggiungere il gruppo dei chipmunk.
«Ragazzi?!
Che diavolo è successo qui, cos’è tutta
questa gente? E la
polizia?»
«Oddio
Dave…è una cosa terribile!» Gli rispose
Brittany. La guardò negli
occhi e vide che aveva le lacrime.
«Che
cosa vuoi dire? Che è successo?!» Insistette Dave,
sempre più nel
panico.
Qualcuno
gli appoggiò una mano sulla spalla. Dave si voltò
e si trovò di
fronte uno degli agenti. Nel frattempo, un’altra ambulanza li
raggiunse.
«Dave
Seville? Lei è il Signor David Seville?»
Dave
annuì.
«Sì,
ma cosa…»
«Venga
con me, la prego» Gli ordinò. In volto aveva
un’espressione seria
e il suo tono di voce non era rassicurante. Dave aveva capito che
doveva
prepararsi al peggio.
«S-sì…»
si voltò verso i chipmunk «ragazzi, voi
aspettatemi qui, ok?»
Simon
e Alvin annuirono, Brittany e Jeanette invece si tenevano
abbracciate e piangevano.
All’inizio
non ci fece caso, forse perché lui stesso si rifiutava di
concepire quell’idea, ma alla fine dovette per forza porsi
quella domanda.
“Dove
sono Theodore ed Eleanor?”
«Agente,
mi dica che è successo.» Lo pregò Dave.
Questi
si allontanò insieme a lui di altri tre metri e si
avvicinarono a
una delle volanti parcheggiate.
L’agente
si voltò verso Dave e tirò un breve sospiro,
forse per
prepararsi a comunicare la notizia.
«C’è
stato un incidente, Signor Seville. Due dei suoi ragazzi stavano
attraversando la strada, quando un pirata alla guida di una Ford li
ha…
investiti». L’agente esitò prima di
pronunciare l’ultima parola. Doveva essere
professionale, non farsi sopraffare dalle emozione, eppure anche lui
appariva
turbato dalla notizia.
Dave
non badò però al turbamento
dell’agente. Pensò solo a quella
parola, “investiti”. Allora era andata proprio
così! Si disse. Non era solo
un’altra delle paranoie da genitore iperprotettivo di Dave.
Si
portò una mano alla bocca.
«O
mio… Dio… e… e loro? Come stanno?
Chi… chi è stato…»
L’agente
lo interruppe.
«Signor
Seville, la prego. Si calmi. So che per lei è una notizia
non
facile da accettare, ma deve ascoltarmi: uno dei due, Theodore,
è stato portato
con urgenza all’UCLA Medical Center per un grave trauma
cerebrale. L’auto che
li ha investiti l’ha urtato di striscio con la ruota
anteriore sinistra. Quando
l’hanno soccorso aveva perso molto sangue ed era privo di
sensi.»
Ogni
singola parola dell’agente appariva a Dave come una confusa
allucinazione. Stava davvero parlando di Theodore? Il sangue, la
frattura
cerebrale? Poteva davvero trattarsi di lui?
«E-ed
Eleanor?» Aveva paura a chiederglielo, ma il modo in cui
l’agente l’aveva
esclusa dalla conversazione non prometteva nulla di buono nemmeno per
lei. Si
augurava solo che almeno le condizioni di Ellie fossero meno disperate
che non
per Theo.
«Ecco,
vede Signor Seville. Sembra che fossero molto vicini quando
l’auto li ha investiti. Theodore è stato sfiorato
dalla vettura ed è caduto a
terra battendo la testa, lei invece… non ce l’ha
fatta. Mi dispiace.»
Se
fino ad ora l’impressione di Dave era di vivere una qualche
specie di
allucinazione, dopo aver udito quelle ultime terrificanti parole
dell’agente, a
Dave sembrò di vivere un incubo a occhi aperti.
«C-cosa?»
Fu l’unica parola che riuscì a pronunciare.
L’agente
gli lanciò un’ultima, compassionevole occhiata,
poi abbassò lo
sguardo e si allontanò. Non poteva fare altro per
quell’uomo, e il suo lavoro
gli imponeva di mantenere un atteggiamento quanto più
distaccato possibile, anche
se nemmeno per lui era facile, nonostante non avesse nulla a che fare
con i
Seville.
Del
resto, due grandi star del firmamento musicale internazionale erano
appena state vittima di uno degli incidenti stradali più
sconvolgenti degli
ultimi anni, e uno dei due, una “Lei” per giunta,
era deceduta sul colpo in un
modo orrendo. Si sarebbe parlato a lungo di quell’incidente e
i giornali ne
avrebbero tratto spunto di discussione per mesi, per non parlare dei
Talk Show
delle TV locali, che di queste notizie ci campano sempre in maniera
vergognosa.
Mentre
Dave restava ammutolito e immobile, cercando di convincersi che
quello che stava succedendo fosse solo un terribile incubo, i
paramedici usciti
dalla seconda ambulanza si mossero velocemente con una piccola barella
di un
metro di lunghezza verso il centro del marciapiede. Nel punto dove i
due
chipmunk erano stati colpiti dal pirata della strada. Lì, in
terra, un piccolo
panno bianco era stato disteso sopra qualcosa che aveva bisogno di
essere
coperto.
Uno
dei due uomini si chinò per raccoglierlo con calma e
delicatezza,
mentre intorno a loro la polizia cercava a fatica di contenere la folla
di
passanti e giornalisti che si stava rapidamente aggregando intorno al
corpo.
Dopo
averlo caricato sulla piccola barella, lo portarono dentro
l’ambulanza e si avviarono per la loro strada, mentre i
Chipmunks e le
Chipettes, insieme a Dave ma privati di due membri del loro gruppo,
rimasero
lì, impotenti e in balia degli eventi.
5.4:
ALCUNE
ORE DOPO (Los Angeles, UCLA Medial Center)
Erano
passate diverse ore, almeno cinque da quando Theo era stato
condotto alla centro medico.
Dave,
insieme ad Alvin e Simon erano nella sala d’attesa,
aspettando con
ansia qualche notizia dalla sala operatoria.
Brittany
e Jeanette avevano scelto di restare a casa, troppo scosse
dalla perdita della sorella per poter sopportare di trovarsi
lì con loro.
I
tre erano distrutti per quello che era successo a Ellie, tuttavia in
loro albergava ancora la speranza che almeno Theo riuscisse a
cavarsela. Una speranza
vana, ma alla quale si erano aggrappati con tutte le loro forze.
C’erano
stati dei problemi per quanto concerneva chi si sarebbe dovuto
occupare delle sue cure. Dato il suo retaggio e il fatto che si
trattasse di un
chipmunk parlante considerato praticamente alla stregua di un essere
umano, la
decisione di condurlo all’UCLA Medical Center era stata quasi
immediata, ma
arrivato a destinazione, i medici dovettero ammettere che si trattava
pur
sempre di un roditore. Fu così chiamato direttamente dal
Campus un abile
Veterinario specializzato in chirurgia al quale fu affidata la
responsabilità
di salvargli la vita.
Era
sulla sua esperienza che albergavano tutte le speranze della
famiglia Seville e dei fans della band.
Dave
camminava avanti e indietro per la sala d’attesa, borbottando
tra sé
e sé parole a tratti incomprensibili.
«Non
posso crederci… questo è un incubo! Non
può essere successo
davvero!!»
Alvin
e Simon erano invece seduti sulle poltrone.
«Avrebbero
dovuto aspettarci! Perché non ci hanno
aspettato?!» Si chiese
Alvin, come se si aspettasse che la risposta potesse riportarlo
indietro nel
tempo per cambiare le cose. «Se dovesse morire anche
Theodore… » proseguì, ma
Simon gli diede uno spintone sulla spalla.
«Alvin,
stai zitto! Theodore ce la farà!»
«Come?!
Come fai a esserne così sicuro? Sai anche fare i miracoli
ora?!»
Lo aggredì di tutta risposta Alvin.
Simon
non seppe rispondere. Come tutti, anche a lui sembrava
inverosimile la situazione. Durante quegli ultimi giorni al liceo, non
vedeva
l’ora di iniziare il suo periodo di College
all’U.C.L.A.. Sarebbe dovuto
sentirsi onorato di camminare in una delle proprietà del
campus dei suoi sogni,
ma ora le circostanze che l’avevano condotto al centro medico
erano tutto
fuorché piacevoli. Suo fratello stava lottando per la vita,
assistito da uno
staff medico impreparato ad affrontare una situazione come la sua. E
anche se
ce l’avrebbe fatta, restava poi il problema di come dirgli di
Eleanor. Come
l’avrebbe presa? E
loro, quali parole
potevano usare per comunicarglielo?
Più
ci pensava e più gli sembrava che non ci fosse risposta.
«Simon
ha ragione, Alvin… Theo… lui deve
farcela… lui non può… »
farfugliò Dave, cercando di trattenere a stento le grida di
frustrazione.
Subito
dopo, uno dei chirurghi che si stavano occupando di Theodore
uscì
finalmente dalla sala operatoria.
«Signor
Seville?» Lo chiamò. Era giovane. Forse uno
studente dell’ultimo
anno, ma sembrava sapesse il fatto suo.
Dave
e i due chipmunk corsero subito verso di lui, ansiosi di ascoltare
gli esiti.
«Allora?
Ci siete riusciti? Come sta?» Gli chiese agitato Dave.
«Il
veterinario è riuscito a curare tutte le fratture
più gravi. Ora le
sue condizioni sono stabili… » cominciò
a spiegare.
«Ah
bene! Grazie al cielo.» Esultò Dave, seguito da
Alvin e Simon che
tirarono un sospiro di sollievo.
«Non
ho finito… le fratture sono state curate, ma purtroppo
durante
l’operazione è entrato in coma, e non sappiamo
dirle per quanto ci resterà.»
«Cosa?!»
Trasalì Dave. «Ma…
com’è possibile? Non avete detto che le sue
condizioni erano stabili?!»
«Non
è più in pericolo di vita, ma le sue condizioni
restano gravissime.
Ha subito una lesione al lobo temporale causata da alcune schegge
dell’osso
cranico … »
«Oh,
no!» Commentò Simon.
«Che
significa, Simon? Fatemi capire qualcosa!» Si intromise
Alvin,
ancora più agitato di Dave.
«Il
lobo temporale… è la regione che regola i ricordi
delle persone.»
Gli spiegò il fratello.
«Precisamente.»
Gli confermò il giovane chirurgo.
«Quindi?
Che succederà? Potrebbe soffrire di perdite di
memoria?» Chiese
Dave al chirurgo.
«Tutto
dipende da quanto grave sia la lesione. Purtroppo il centro non
ha esperienza con i chipmunk senzienti. Non sappiamo a quali
conseguenze
potrebbe portare. Potrebbe soffrire di leggeri vuoti di
memoria… o non ricordarsi
più nulla al suo risveglio…» il
chirurgo si fermò per sospirare «…
credo che
dovrete prepararvi al peggio.»
Non
c’è limite al peggio! si disse tra sé e
sé Dave. Ma ad ogni modo
c’era ancora qualcosa che non gli era chiaro.
«Ma
ora come sta? Voglio dire… lei ha detto che è
entrato in coma?
Quanto ci vorrà perché si risvegli? Un giorno?
Due?»
Altro
sospiro del chirurgo. Significava “altra cattiva notizia in
arrivo”.
«Non
sappiamo nemmeno questo. Tutto dipenderà da quanto si
protrarrà il
coma. In genere i pazienti si risvegliano entro tre o quattro
settimane, se
tutto va bene. Ma oltre quel periodo le percentuali calano
drasticamente. Dopo
sei mesi, solo il 15% dei pazienti si riprende, e oltre quel lasso di
tempo ci
si può affidare solo ai capricci del fato. In genere dopo un
anno o due, per
statistica tendiamo a considerarli irrecuperabili.»
Dave
non sapeva più cosa dire. Andò a sedersi su una
delle poltrone e si
portò le mani al volto, senza emettere alcun suono.
«Lei
cosa ne pensa, dottore? Voglio dire, se dovesse riprendersi…
come
sarà?» Domandò, quindi, Simon.
Il
giovane chirurgo fece spallucce, non sapendo nemmeno lui cosa
pensare.
«Vostro
fratello ha subito una lesione gravissima. Se si dovesse
svegliare, forse potrebbe soffrire anche di altri problemi
comportamentali. Il
punto è che la lesione era estesa oltre
l’immaginabile. E’ davvero un miracolo
che sia ancora vivo. E se volete la mia opinione, in tutta
onestà non credo che
si sveglierà molto presto.»
Le
sue parole suonarono come una sentenza di morte.
Si
erano appena risollevati con la notizia che Theodore sarebbe
sopravvissuto e immediatamente una nuova minaccia aveva iniziato a
incombere su
di loro.
Quanto
avrebbero dovuto aspettare prima di poter avere una qualche
certezza sul suo destino?
5.5:
I
giorni seguenti erano stati un vero tormento per tutta la famiglia
Seville.
Theodore
giaceva nel suo letto d’ospedale senza dare segni di
miglioramento, mentre fuori, nel mondo, la Stampa e il web impazzavano
di
notizie sull’incidente dei due chipmunk.
Ogni
testata editoriale esigeva il suo pezzo di storia da raccontare
nell’articolo di turno, i reporter facevano continue
pressioni per ottenere
interviste da parte di Dave e degli altri chipmunks, che venero quasi
sempre
rifiutate, salvo in un paio di casi, dopo i quali Dave decise che non
avrebbe
avuto più niente da dichiarare.
Tre
giorni dopo l’incidente ci furono i funerali di Eleanor,
seguiti in
diretta da tutte le principali TV del mondo. Per i Seville
l’evento era ancora
più tragico, per la consapevolezza che Theo non era presente
lì con loro per
assistere la sua amica durante l’ultimo viaggio.
Dopo
i funerali arrivò presto l’inevitabile decisione
di sciogliere la
band, che ormai non aveva più motivo di esistere. Questa fu
presa unanimemente
da tutti i chipmunk rimasti, insieme a Dave.
Le
settimane passavano e Theodore non si riprendeva.
Il
polverone mediatico scoppiato in seguito all’incidente e alla
quasi
immediata decisione di sciogliere il gruppo andò via via
scemando col
trascorrere dei giorni.
Ormai
il mondo si stava cominciando ad abituare alla loro mancanza, e
mentre gli ultimi cd andavano letteralmente a ruba, i fan
più accaniti e
addolorati continuavano a spedire mail e lettere di condoglianze e
solidarietà
alla famiglia.
Tutto
stava cominciando ad assumere un tono assurdamente
“normale”.
I
Chipmunks e le Chipettes finirono la scuola e decisero di proseguire
con le strade che si erano prefissati. Simon e Jeanette si iscrissero
all’U.C.L.A. come da programma, avendo così la
possibilità di fare visita a
Theodore molto più spesso di quanto non lo facessero prima.
Nel frattempo,
Alvin ottenne il suo lavoro alla Jet Records, mentre Brittany si era
iscritta
al suo corso di studio per diventare istruttrice di ballo
professionista.
Ognuno
cercava di andare avanti come poteva.
5.6:
Trascorsero
2 anni.
Ormai
si erano completamente abituati alla realtà. A intervalli di
tempo
regolari passavano a trovare Theodore all’ospedale, ci
parlavano, gli
raccontavano come avevano trascorso le giornate, scherzavano con lui,
cercando
di illudersi che li ascoltasse e rispondesse loro.
In
effetti Theodore li sentiva. Nel mondo onirico e oscuro in cui la sua
mente era precipitata, percepiva in lontananza le voci dei suoi
famigliari che
gli parlavano. Man mano che il tempo passava, riusciva a comprenderli
sempre di
più, anche se non poteva rispondere.
Alcuni
dei medici che avevano in cura Theodore avanzarono la proposta
sull’eventualità di staccare la spina. I
macchinari a cui era attaccato da
tutto quel tempo e che respiravano per lui erano l’unica cosa
che lo tenesse in
vita, e ormai le probabilità che si svegliasse erano davvero
poche.
Nessuno
dei Nostri volle però accettare il suggerimento. Non
potevano
sopportare la perdita di un altro membro della famiglia e speravano
ancora in
un miracolo che diventava via via più inverosimile man mano
che le settimane
seguenti trascorsero.
5.7:
Un
altro anno era passato.
Erano
le 2.30 di notte quando il cellulare di Dave squillo. Si
svegliò
di colpo e rispose, temendo che l’ospedale gli portasse
qualche altra brutta
notizia. Era preparato quasi a tutto, ma non a quanto gli fu comunicato
quella
notte del 26 aprile. La notizia gli era parsa inverosimile quanto
quella
ricevuta il giorno in cui Simon lo chiamò per avvertirlo
dell’incidente. Ma questa
volta all’altro capo del telefono a parlare fu il medico di
Theodore, il quale
comunicò loro la notizia che si era finalmente svegliato e
aveva cominciato a
respirare da solo.
Immediatamente
Dave svegliò gli altri e senza dar loro troppi dettagli,
salvo avvertirli del risveglio dal coma di Theo, disse loro di vestirsi
e di
venire con lui al centro medico.
Lo
raggiunsero in fretta, e lì furono accolti dal medico
curante di
Theodore e dall’infermiera che aveva assistito al suo
risveglio. Fu proprio
questa infermiera, una donna dai capelli corti e neri, sulla quarantina
d’età e
con gli occhiali, ad accompagnarli alla stanza dove era stato
trasferito il
chipmunk e a restare con loro nell’attesa del suo risveglio.
Quel
che avvenne poco dopo, già lo conoscete.
Theodore
si risvegliò confuso e spaesato, con qualche vuoto di
memoria come
era stato previsto, ma per fortuna senza le gravi amnesie paventate da
quel
giovane chirurgo tre anni prima. Gli comunicarono la notizia di Ellie e
gli
restarono vicino mentre lui soffriva per la sua tragica perdita.
Quando
tornò a casa, dopo il lungo periodo di riabilitazione,
iniziò ben
presto a manifestare un comportamento via via sempre più
distaccato. Si
convinse di essere in qualche modo responsabile
dell’incidente di Eleanor e
Dave pensò che anche questo, oltre che le leggere amnesie,
fosse una
conseguenza dei danni cerebrali che aveva subito. Non immaginava certo
che la
causa scatenante di tutto fosse quel piccolo anello di bigiotteria che
sarebbe
dovuto essere il regalo di San Valentino per Ellie.
5.8:
8
FEBBRAIO 2029 (Casa Seville)
Mentre
Dave stava rievocando i ricordi di quei terribili tre anni,
qualcuno suonò al campanello per farsi aprire. Era ormai
tarda serata e c’erano
solo due persone che potevano presentarsi in casa sua a
quell’ora. Alvin e
Brittany.
Li
salutò dopo averli fatti entrare e cominciò a
discutere con loro sul
come avessero trascorso la serata da Simon e Jeanette. Discorso innocui
ed
evasivi per distrarsi dai ricordi che aveva appena rivissuto nella sua
mente.
Lo
avvertirono che il giorno dopo sarebbero usciti con Simon per
acquistare il regalo per Mark. Alvin sapeva già cosa
prendergli, aveva
adocchiato il regalo quel primo pomeriggio, mentre stava raggiungendo a
piedi
la locanda nella quale aveva l’appuntamento con Simon.
Dave
nel frattempo disse loro che aveva già provveduto a ordinare
la
torta con l’aiuto di Jeanette, e che a parte alcuni piccoli
preparativi
secondari, il grosso dell’organizzazione per il compleanno
era ormai ultimato.
Chiacchierarono
ancora un po’ in salotto, in particolare della
conversazione che Dave aveva avuto a cena con Theodore, e a sentire
cosa si
erano detti, ad Alvin tornarono i sensi di colpa. In parte per la sua
lunga
lontananza per tutti quegli anni, e in parte per essere fuggito in quel
modo
dopo aver tentato di parlare con suo fratello.
Alla
fine decisero di andare a dormire.
Dave
prese in mano Brittany
e la aiutò a raggiungere il piano di sopra, poi si
salutarono e ognuno si
diresse nella propria camera da letto.
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Capitolo 6 *** 6: Sogni. ***
6
6.1:
09
FEBBRAIO 2029 (Los Angeles)
Era
venerdì, Alvin e Simon, approfittando della giornata libera
di
quest’ultimo, decisero di intraprendere insieme un giro
turistico di Los
Angeles, per rievocare i vecchi tempi e rivedere i luoghi che avevano
fatto
parte della loro infanzia.
Inizialmente
anche Brittany avrebbe dovuto unirsi a loro, ma all’ultimo
momento aveva scelto di restare a casa con Dave, lasciando i due
fratelli
liberi di girare per conto loro e tentare di riallacciare i rapporti.
Mentre,
per quanto riguardava Jeanette, lei era a lavoro, pertanto non aveva
avuto la
possibilità di partecipare.
Facendosi
accompagnare in Taxi, si fecero lasciare nei pressi della sede
della Jet Records, che nonostante si fosse rinnovata
nell’aspetto, con un
enorme schermo Ultrapiatto che ora proiettava sul display il suo nome,
al posto
del vecchio logo con la scritta, era rimasta tutt’ora quasi
del tutto
invariata. Con le sue fontane decorative e le aiuole variegate di fiori
colorati e ben curati e con l’ampia vetrata
dell’entrata principale, dalla
quale entravano e uscivano in continuazione gente delle più
disparate
professioni e caste sociali.
Alvin
si ricordò del breve periodo nel quale
quell’enorme edificio era
per lui sinonimo di “luogo di lavoro”, e
dell’uomo che lo aveva aiutato a farsi
assumere. Quell’Ian Hawke che da nemico giurato dei Chipmunks
e delle
Chipettes, era finito per diventare un caro amico della famiglia
Seville, e di
cui Alvin non aveva notizie da anni.
«Hai
più saputo niente di Ian?» Domandò
Alvin al fratello. Contando in
una risposta che potesse placare la sua curiosità.
«Perché
me lo chiedi?» Replicò Simon
all’inaspettata domanda.
«Mah…
niente. Sono solo curioso. Non lo sento più da quando mi
aveva
rimediato quel lavoro alla Jet. Mi chiedevo solo che fine avesse
fatto.»
Simon
ci pensò su un po’, cercando di delucidarsi la
memoria.
«Non
saprei… » sospirò «per quanto
ne so, pare abbia chiesto il
prepensionamento 3 o 4 anni fa e si sia trasferito da qualche parte nel
Wisconsin.»
«Nel
Wisconsin?! E che c’è andato a fare
lì?» Chiese Alvin, stupito.
«Ehehe,
non chiederlo a me. Non so altro.»
Dopo
questo breve scambio di domande e risposte, i due fratelli ripresero
la marcia, chiacchierando del più e del meno e raccontandosi
aneddoti dei loro
rispettivi trascorsi.
Tra
le altre cose, non poterono fare a meno di accennare a Theodore e
alla sua condizione. Alvin, in particolare, aveva riferito a Simon
delle novità
che gli erano state raccontate da Dave sulla conversazione che i due
avevano
avuto la sera precedente, e Simon ascoltò con interesse.
Quando
finirono di parlarne, Simon si sentì quasi sollevato dalle
novità.
Dopo tanti anni di inutili tentativi, questo era il primo vero cenno di
miglioramento
accertato del loro fratello. Forse, in fondo, si poteva ancora sperare
nel suo
recupero.
La
felicità che era improvvisamente montata in Simon
andò bruscamente
scemando insieme a quella di Alvin nel momento in cui, camminando,
raggiunsero
i pressi del L.A. National Cemetery, il cimitero nel quale riposava la
loro
povera amica Eleanor. Lì si arrestarono
d’improvviso, come se di fronte a loro
si fosse materializzato un muro invisibile che gli sbarrava la strada.
Si
guardarono negli occhi in silenzio, dicendosi con lo sguardo molto
più di
quanto le parole avessero mai potuto esprimere: il dispiacere per la
perdita, i
sensi di colpa per gli sbagli di entrambi, le scuse per le loro
reazioni alle
decisioni dell’altro e per i litigi che li portarono a
restare separati per
tanto tempo.
Non
era stata una casualità essersi ritrovati nei pressi dello
stesso
cimitero nel quale avevano dato il loro ultimo addio alla loro amica:
due
giorni dopo avrebbero dovuto accompagnarci Theodore, e lì
Alvin e Brittany
avrebbero colto l’occasione per porgerle il loro triste
saluto.
Non
si soffermarono troppo sul posto. Alla fin fine decisero di
riprendere a camminare, cercando di ritornare ai loro precedenti
discorsi, ma
già adesso le cose erano cambiate per entrambi. Quel breve
momento in cui i due
si arrestarono e si fissarono, era stato fondamentale per la loro
rinascita
interiore. Si perdonarono a vicenda, accettarono il passato e
contemporaneamente decisero di lasciarselo alle spalle per lasciare
spazio al
futuro e ai suoi misteri.
6.2:
10
FEBBRAIO 2029 (Casa di Simon e Jeanette)
«Tanti
auguri a teee! Tanti auguuuri a teee! Tanti auguri, caro Maark!
Tanti auguuuriii a teee!!»
Tutta
la famiglia Seville, finalmente riunita, stava cantando gli auguri
per il piccolo Mark nella sala da pranzo per gli ospiti della casa di
Simon e
Jeanette.
Benché,
come Brittany e Alvin, avessero un tavolo su misura per
mangiare, una delle stanze della loro casa era stata anche arredata per
poter
ospitare esseri umani. Era lì che in quel momento si stava
celebrando la festa
per il decimo compleanno di Mark, e con loro c’erano anche
Theodore e
soprattutto Dave, che come ogni altro anno, non si era fatto sfuggire
l’occasione di partecipare ai festeggiamenti di suo
“nipote”.
L’uomo
entrò portando con se la torta che aveva ordinato con
l’aiuto di
Jeanette, e mentre gli altri iniziavano a cantare la canzoncina degli
auguri,
lui la poggiò sul tavolo per poi unirsi con loro nel canto.
«Auguri,
ragazzo mio!» Gli augurò quando tutti ebbero
finito di cantare.
«Grazie,
nonno!» Fu la risposta del piccolo chipmunk.
«Ora
esprimi un desiderio e soffia sulle candeline!» Disse
Brittany.
«Sì!»
Rispose alla zia.
Mark
guardò per alcuni brevi istanti le fiammelle delle candele
che
bruciavano di fronte a lui, riflettendo su quale desiderio chiedere ad
esse,
dopo di ché, chiuse gli occhi.
“Voglio
che la nostra famiglia finalmente si riunisca, e voglio anche
che lo zio Theodore torni finalmente a essere felice”.
Fu
questo il suo desiderio. Quindi soffiò con foga e per
spegnere le
dieci candeline. Faticò un po’ per spegnerle
tutte, ma quando finì, i suoi
sforzi furono ripagati da un forte applauso da parte degli altri membri
della
sua famiglia.
Alvin
si fece avanti e gli diede una amichevole gomitata sulla spalla.
«Allora?
Cos’hai desiderato?»
«Non
posso dirlo, altrimenti porta sfortuna!» Rispose riluttante
Mark.
Brittany
squadrò Alvin con uno sguardo di disapprovazione. Lui si
passò
la mano sinistra tra i capelli.
«Eheheh,
si lo so. Stavo scherzando!»
Ci
fu un breve istante di silenzio imbarazzante che fu interrotto da
Dave.
«Allora,
che ne dite. Passiamo all’apertura dei regali?»
Propose.
«Sì.
Certo!» Esultò Mark.
Sul
tavolo dove la famiglia stava festeggiando, Dave appoggiò i
tre
regali che il piccolo chipmunk aveva ricevuto dal nonno, dagli zii
Alvin e
Brittany e dai suoi genitori.
«Da
quale vuoi partire?» Gli chiese Jeanette.
Mark
guardò i tre pacchi davanti a lui, tutti e tre di forma e
dimensioni diverse le une dalle altre.
«Non
lo so… sono così indeciso!»
Simon
si alzò in piedi.
«Bhe,
in questo caso, se posso intervenire. Suggerisco di partire da
quello mio e della Mamma. Che ne dici, Mark?» Propose mentre
camminava verso
pacchi riposti sul tavolo e indicandone uno in particolare, che a prima
vista
appariva come un oggetto rettangolare e solido, forse una scatola.
«Ok!»
Accettò il festeggiato.
Dave
gli avvicinò il pacco e lui saltò sulla sua
superficie, cominciando
a strappare con foga la carta regalo con la quale era imballato. Simon
arrivò
in sua aiuto per assisterlo.
Quando
Mark finì, si trovò subito di fronte al possibile
candidato come
“regalo preferito”. Quello che gli era stato
regalato era, infatti, un libro.
Ma non un libro qualsiasi, bensì il terzo capitolo di
“Cronache dei giorni di
quarzo”, una saga letteraria di fantascienza di cui Mark
andava letteralmente
pazzo.
Il
piccolo chipmunk non credé ai suoi occhi quando lo vide. Il
libro era
infatti destinato ad uscire nelle librerie, virtuali e cartacee, due
mesi dopo!
E ciò significava che probabilmente Mark era uno dei
pochissimi fortunati a
poterlo leggere in anteprima, se non l’unico!
Simon
era riuscito a farselo procurare da un suo conoscente della casa
editrice che si occupava della distribuzione del libro.
In
passato il chipmunk aveva collaborato con loro nella scrittura di una
biografia dedicata all’ex-gruppo musicale dei Chipmunks e
delle Chipettes.
Biografia che era diventata subito un best seller e che aveva permesso
al
chipmunk di instaurare ottimi rapporti con gli editori. Tanto da farsi
consegnare in anticipo la suddetta copia del libro preferito di suo
figlio.
Mark
saltò in braccio a suo padre dalla gioia e poco dopo,
passato
l’attimo di euforia, proseguì con
l’apertura dei restanti regali.
Questa
volta fu il turno del regalo degli zii Alvin e Brittany.
Il
pacco era più piccolo rispetto a quello di Simon e Jeanette,
ma il
suo contenuto era di altrettanto gradimento.
Una
volta scartato, si rivelò essere un piccolo contenitore di
latta
dentro il quale era riposta una piccola armonica placcata
d’oro.
L’idea
per il regalo era venuta due giorni prima ad Alvin, che
l’aveva
vista di sfuggita dalla vetrina di un negozio d’antiquariato.
Non era sicuro
che potesse essere un buon regalo, ma dopo aver visto con quanto
entusiasmo
Mark aveva seguito le loro esibizioni canore e dopo averne discusso
attentamente con Brittany, alla fine decise che sarebbe stato il dono
perfetto.
Zia
Brittany gli spiegò che da giovane anche Alvin ne aveva
avuto una,
con la quale avevano anche registrato una delle loro canzoni di maggior
successo di sempre, quell’ “Alvin’s
Harmonica” che ultimamente si ripresentava
nelle nuove edizioni delle Greatest Hits del gruppo.
Mark
aveva accolto con grande entusiasmo anche questo dono, e quando
Alvin si fece avanti per insegnargli come fare per suonarla, il piccolo
chipmunk perse almeno dieci minuti nel tentativo di padroneggiare la
tecnica al
meglio. Aveva ancora delle difficoltà, ma Alvin era convinto
che presto sarebbe
stato in grado di suonarla come un piccolo maestro.
Restava
un ultimo regalo, quello di Dave, che si presentava come il
pacco più piccolo di tutti.
Mark
lo scartò con la stessa energia con la quale aveva aperto
gli altri
e quello che ci trovò dentro lo lasciò senza
fiato ancor più del libro che
aveva avuto in regalo dai suoi genitori.
Dall’imballaggio,
Jeanette lo aiutò a tirar fuori una piccola felpa
della taglia da chipmunk, e quando la videro, tutti si girarono verso
Simon.
Quella felpa era, infatti, la Sua felpa. Quella che aveva indossato per
tanti
anni durante la giovinezza, e che dopo essere stata amorevolmente
conservata da
Dave per tutti quegli anni, adesso era finita, come
un’eredità, nelle mani di
Mark.
Il
piccolo chipmunk la tenne stretta tra le sue mani e la fissò
incredulo.
Aveva
visto un sacco di volte i suoi genitori nelle varie copertine dei
vecchi cd dei Chipmunks e delle Chipettes conservati nelle mensole di
casa, e
non poteva credere che ora stava tenendo tra le mani proprio quella
felpa che,
ai tempi, aveva contribuito a fare di suo padre una vera e propria
icona della
musica.
Tra
tutti i regali che avrebbe mai potuto desiderare, quella felpa
rappresentava una specie di obbiettivo irraggiungibile che ormai
sembrava dato
per disperso da anni. Se avesse saputo che era custodita in casa di suo
nonno
Dave, probabilmente non si sarebbe dato pace finché non
sarebbe riuscito a
trovarla.
Restò
imbambolato a fissarla per alcuni secondi, dopo di che, corse
subito ad abbracciare anche il nonno umano per il sorprendente regalo
ricevuto.
In seguito, dopo aver riposto da parte i tre regali di compleanno, si
passò al
taglio delle torta e alla sua consumazione.
Theodore
era sempre lì con loro, ma per tutto il tempo non aveva dato
alcun segno di reazione. Si limitava solo a fissarli in silenzio mentre
gli
altri continuavano a festeggiare indifferenti.
Dal
loro punto di vista, sembrava che stesse
mantenendo ancora una volta il suo tipico atteggiamento distaccato e
apatico,
ma in verità, quello che Theodore stava provando questa
volta era un profondo
senso di colpa nei confronti di suo nipote.
Durante
quei due giorni, mentre gli altri
organizzavano la festa di compleanno, lui aveva avuto molto tempo per
riflettere sugli ultimi avvenimenti e sul discorso tenuto con Dave
alcune sere
prima.
Per
troppo tempo aveva lasciato che le sue ossessioni
prendessero il sopravvento sulla sua persona, e stava cominciando a
rendersi
finalmente conto che forse era il momento di cambiare. Pertanto, quando
Dave
gli porse un piatto con una piccola porzione della torta di compleanno,
si
disse che se avesse dovuto fare qualcosa, avrebbe dovuto cominciare da
adesso.
6.3:
La
festa proseguì regolarmente come previsto e ormai si stava
avviando
al termine.
La
famiglia era ancora seduta a tavola a chiacchierare del più
e del
meno, mentre Mark, da almeno mezz’ora, aveva deciso di
recarsi in salotto per
guardare un po’ di Tv.
Con
se teneva l’armonica regalatagli dagli zii Alvin e Brittany e
tentava di esercitarsi a suonarla mentre in Tv scorreva un film action.
Nessuno
badò molto a Theodore quando questi saltò
giù dal tavolo e usci
dalla sala da pranzo.
Si
diresse verso il salotto e si fermò all’entrata,
appoggiandosi allo
stipite della porta e osservando di nascosto il nipote che con impegno
e
pazienza cercava di mettere in pratica i consigli di Alvin.
Mark
cercava di far uscire qualche suono dallo strumento provando ad
alternare il soffio dell’aria tra un foro e
l’altro. Se fatto nel modo giusto
questo gli avrebbe permesso di far risuonare tutta la scala delle note
musicali, invece quelli che uscivano erano solo suoni appena
percettibili o
comunque non corretti.
Theodore
era convinto di saperne il motivo.
«Rilassa
la lingua e tirala il più in dentro che puoi.» Si
fece avanti.
Mark
sobbalzò nell’udire la sua voce.
«Zio
T-Theodore?!» Balbettò.
«Sì.»
Saltò sul divano. «Posso farti vedere come si
fa?»
Mark,
dopo un breve momento di confusione, si riprese.
«Oh?
Sì, certo!»
Consegnò
l’armonica d’oro a Theodore, il quale, subito dopo
averla
impugnata con entrambe le mani e aver soffiato un paio di volte per
provarla,
cominciò a intonare un motivetto musicale improvvisato molto
gradevole.
Alternando ritmicamente il soffio tra un foro e l’altro e
tappando e aprendo
quelli nella parte posteriore dello strumento a seconda delle note che
doveva
fare.
Era
la prima volta che Mark vedeva suo zio fare una cosa del genere, e
vederlo suonare con tanta concentrazione e abilità dopo
averlo sempre visto
immerso nel suo silenzio impenetrabile per tanti anni, era una vera
gioia. Si
disse tra sé e sé che forse il suo desiderio per
il compleanno si stava già
realizzando.
Mentre
Theodore intonava il suo motivo musicale con l’armonica,
tornò
con la mente ai fasti della loro carriera musicale.
D’improvviso,
il volto di Eleanor ricominciò a tormentarlo ancora una
volta, e di conseguenza, le ultime note risuonarono rovinate e
rumorose,
facendolo arrestare immediatamente. Ma non aveva importanza,
perché il nipote,
nonostante questo, continuava ad osservarlo con ammirazione e
felicità.
«Le
armoniche sono fatte per gli esseri umani. Noi dobbiamo soffiare con
molto più forza per poterle suonare, quindi devi cercare di
tenere la lingua il
più in dentro possibile, per permettere al tuo fiato di far
passare più aria.»
Gli spiegò Theodore nel tentativo di distrarsi dai ricordi
su Ellie.
«Posso
provare?» Chiese Mark, e Theodore gli passò lo
strumento in
silenzio.
Il
piccolo Chipmunk ci soffiò dentro cercando di seguire i
consigli
dello zio. Questa volta il suono che ne uscì era molto
più melodioso e
gradevole.
«Hey!
Ci sono riuscito!» Esultò.
«Già,
e impara a usare anche le mani per alternare le note. Sono
fondamentali tanto quanto il fiato» Aggiunse Theodore.
«Sì!»
Rispose Mark, sorridendogli.
I
due guardarono insieme qualche scena del film in Tv, ma mentre Mark
sembrava trovarlo interessante, Theodore non riusciva ancora a trovare
l’entusiasmo necessario per goderselo a pieno. Gli sembrava
quasi strano
trovarsi lì con suo nipote, si poteva quasi dire che era la
prima volta in
assoluto in cui i due si parlavano.
«Mark…
» cominciò d’improvviso.
«Sì?»
il piccolo chipmunk distolse l’attenzione dalla Tv e
guardò suo
zio.
«Scusami
se non ti ho mai fatto un regalo…e che non ho mai voluto
parlare con te… » Borbottò Theo.
Mark
gli sorrise.
«Non
fa niente. E poi… ora sei qui, no? E’ questo
l’importante!»
«Sì,
è vero… »
Theodore
stava cominciando a rendersi conto solo ora di quanto fosse
intelligente e maturo suo nipote, nonostante avesse appena compiuto
solo dieci
anni. Finalmente riuscì un po’ a rilassarsi. Cosa
che non gli accadeva da
troppo tempo, e tentò di seguire il resto del film insieme a
lui.
6.4:
Passarono
cinque minuti, o forse dieci. Theodore non aveva aperto bocca,
solo Mark ogni tanto si era lasciato sfuggire qualche commento sul film
o aveva
tentato di spiegare allo zio qualche scena. D’improvviso
però, accadde qualcosa
di strano.
Mark
si portò le mani alla testa e poco dopo iniziò a
lamentarsi. Un
lamento che divenne in brevi secondi un grido di dolore.
Theodore
saltò in piedi sul divano.
«Mark?
Mark! Che succede?»
«La…
mia testa… mi fa male! Aiutami Zio Theodore.
Aiutami!!»
Questa
risposta colse Theodore completamente alla sprovvista. Doveva
andare a chiedere aiuto agli altri.
«Oh…
aspetta! Non ti muovere! Vado a chiamare tua madre e tuo
padre!»
«Sbrigati
per piacere!»
«Sì,
sto andando. Resisti!»
Theodore
saltò giù dal divano e cominciò a
correre verso la porta, ma
non fu necessario, perché anche il resto della famiglia
aveva udito le grida di
Mark e si erano precipitati subito in salotto.
«Theo?
Che succede?!» Fu interpellato da Simon.
«Non…
non lo so… è Mark! Non sta bene!»
balbettò Theodore.
«Cooosa?!»
Gridò Jeanette, e facendosi strada tra Simon e gli altri,
passò oltre a tutti e si diresse di corsa verso il divano.
«Sì!
Dice che gli fa male la testa… tanto male!»
Continuò a spiegare
agli altri Theodore.
Subito
dopo anche Simon raggiunse il figlio.
Jeanette
gli si era inginocchiata vicino e tentava di parlarci, mentre
Mark continuava a premersi la fronte con le mani.
«Tesoro,
tesoro?! Come stai? Che ti succede?» Domandò
Jeanette in ansia.
Poco
dopo, Mark smise di dimenarsi e tolse una delle mani dalla testa.
«Ho
avuto un fortissimo mal di testa, ma non so… adesso non mi
fa più
tanto male…»
«Che
è successo? Ti è passato così
d’improvviso o e stato graduale?» Lo
interrogò Simon.
Mark
stette momentaneamente zitto, riflettendo sulla domanda.
«Non
lo so… stavo guardando la Tv con lo zio e ha iniziato a
farmi
malissimo. E adesso non la sento più. Mi è
passata… »
Jeanette
e Simon si guardarono l’uno con l’altra, poi
scambiarono
un’occhiata anche con Theodore, che era lì di
fianco a loro, e ad Alvin,
Brittany e Dave, che invece si tenevano a un metro di distanza dal
divano.
«Vuoi
una pastiglia per il mal di testa? Nel caso dovesse
ricominciare?»
Chiese Jeanette a suo figlio.
«Sì,
mamma..» Accettò lui dopo averci riflettuto.
Jeanette
saltò quindi giù e si diresse in cucina, dove
tenevano la
cassetta dei medicinali.
In
salotto, intanto, Alvin e Brittany si fecero avanti per parlare con
Simon.
«Simon,
forse è meglio che noi andiamo.»
Suggerì Alvin.
«Non
è necessario, Al. Adesso diamo la pastiglia a Mark e dopo se
volete
possiamo riprendere… »
«No,
no. Va bene così. Ormai si è fatto tardi, e
Brittany deve riposare…
sai… » cercò di indicare con un cenno
della testa il pancione di Brittany.
Simon, che aveva vissuto un’esperienza simile,
capì.
Guardò
per un istante Dave, come a cercare una qualche approvazione da
lui. L’uomo fece spallucce e disse «Io faccio
quello che mi dicono loro. Ma per
quel che mi riguarda, penso che abbiano ragione. Si è fatto
un po’ tardi. Forse
Mark è solo un po’ stanco per la serata.
Lasciamolo riposare.»
Per
quanto riguardava Theodore, lui era venuto con loro. Quindi,
nonostante ora stesse diventando finalmente più loquace e
socievole, non poteva
far altro che assecondarli. Perciò tacque.
Mentre
si preparavano a partire, con Dave che portava in mano Brittany
per non costringerla a camminare troppo, Jeanette accompagnava in
camera sua
Mark, gli consegnava un minuscolo pezzo frammentato di pastiglia per
l’emicrania e gliela fece ingerire con dell’acqua
che gli aveva portato in un
piccolo bicchierino da caffè in plastica.
Si
scambiarono la buonanotte e lei gli diede un amorevole bacio materno
sulla guancia, ripetendogli ancora una volta gli auguri di compleanno.
Poi uscì
dalla stanza e andò in fretta verso Simon, per salutare
insieme a lui Dave,
Brittany, Alvin e Theodore.
Simon
avvertì Alvin che gli avrebbe telefonato la mattina seguente
per
decidere l’orario in cui avrebbero fatto visita a Eleanor,
dopo di che si
augurarono anche tra di loro la buona notte, prima di salutarsi
definitivamente.
Restati
soli, Simon e Jeanette si aiutarono a vicenda per mettere a
posto le ultime cose in sala da pranzo. Dave li aveva aiutati a riporre
posate
e piatti sul lavandino, ma restavano ancora da ripulire le briciole
della cena
dal tavolo. Jeanette si destreggiava abilmente con una piccola
scopetta, mentre
Simon la aiutava avvicinandole e tenendo ben salda la paletta per la
raccolta delle
briciole.
A
lavoro finito, saltò giù dal tavolo tenendo
abilmente tra le mani la paletta
e corse al piccolo bidone della spazzatura vicino al loro frigorifero
per
rovesciarci dentro la sporcizia raccolta.
Era
un lavoro di collaborazione tra i due che a prima vista appariva
terribilmente complicato, e in effetti lo era stato i primi giorni. Ma
dopo
oltre dieci anni di pratica, ormai faceva parte della loro routine
quotidiana,
proprio come
accadeva ad Alvin e
Brittany nel loro attico a New York (sebbene questi ultimi erano
comunque
aiutati dalle loro personali assistenti umane).
Finite
le pulizie, andarono a lavarsi e a dormire. Ma prima, Simon diede
una rapida sbirciatina nella stanza di Mark, giusto per assicurarsi che
stesse
bene, e quando lo video dormire tranquillo e sereno, tirò un
sospiro di
sollievo e raggiunse sua moglie in camera da letto.
6.5:
DATA
IMPRECISA (Luogo Sconosciuto)
Era
un limpido pomeriggio d’estate. Il cielo era sereno e il sole
splendeva luminoso, illuminando con i suoi raggi di luce una simpatica
collinetta.
Sulla
sua cima una grande quercia regnava sovrana, come
l’imperatore di
una foresta seduto sul suo trono.
Jeanette
si trovava ai suoi piedi. Era dentro un sogno, e ne era
pienamente consapevole.
Da
quando il Viaggiatore dei Sogni dalle fattezze di suo figlio Mark
aveva cominciato ad apparirle in sogno, lei aveva imparato a superare
quella
sottile linea che permetteva di distinguere il sogno dalla
realtà. Dove per
tutti gli altri sognare rappresentava uno stato di caos di cui spesso
era
difficile ricordarsi al risveglio, per lei era un’esperienza
straordinaria e
incredibilmente nitida, proprio grazie a questa maturata consapevolezza
della
distinzione tra realtà e sogno. Quando sognava, sapeva che
in realtà niente di
tutto quello che viveva era reale, che in realtà si trovava
sotto le coperte
del suo letto. Quindi lasciava sempre che ogni cosa seguisse il suo
corso,
permettendo ai suoi sogni di pilotarla automaticamente nei binari
prestabiliti
dal suo inconscio.
Per
metterla in altri termini, lasciava se stessa libera di immergersi
in pieno nel sogno.
La
quercia sotto la quale si trovava in questo specifico sogno era la
Loro quercia, quella sotto la quale, secondo la volontà del
destino sarebbe dovuta
giungere la sua ora e quella di suo
marito Simon, se il Viaggiatore dei Sogni non li avesse salvati.
Inginocchiandosi
sull’erba, appoggiò per terra un piccolo cestino
da
pic-nic dal quale iniziò a tirare fuori una tovaglia da
stendere, e in seguito
cominciò ad allestire il tutto tirando fuori anche il resto
del materiale
contenuto al suo interno.
D’improvviso,
la luce del sole che fino ad allora aveva illuminato il
paesaggio, sparì, lasciando posto alle tenebre. Si era fatto
tutto buio e
Jeanette dovette arrestare la sua attività per guardarsi
intorno.
Benché
sapesse che era un sogno, il fatto che tutto fosse così
nitido e
realistico le incuteva comunque un certo timore.
Alcune
saette cominciarono ad abbattersi nella foresta, distruggendo gli
alberi che colpivano. Una di esse centrò in pieno anche la
quercia di Jeanette,
che fu troncata di netto come un foglio di carta e che
precipitò proprio su di
lei.
La
Chipette non poteva fare altro che osservare inorridita
l’enorme
albero caderle addosso, ma poi, qualcuno comparso dal nulla
urlò il suo nome e
la spinse via.
L’albero
cadde violentemente a terra e iniziò o rotolare
giù dalla collina
facendo tremare il mondo. Nel frattempo, Jeanette e la persona che
l’aveva
spinta via erano distesi a terra. Finalmente lo guardò, e
vide che ad averla
tratta in salvo era stato Simon. Ancora una volta.
I
due si alzarono in pieni, aiutandosi a vicenda, poi, dopo un breve
momento in cui si fissarono negli occhi, si scambiarono un profondo
bacio da
innamorati, che aprì letteralmente il cielo e fece tornare
la luce sulla
collina.
«Mamma?
Papà?» La voce di Mark che li chiamava interruppe
il loro bacio.
Jeanette
guardò verso di lui, che era spuntato improvvisamente vicino
a
loro.
«Che
ci fai qui Mark? Non dovresti essere a casa a studiare?» Gli
chiese
sua madre.
Era
una domanda che non aveva alcun senso, ma era questo che il suo sogno
voleva che dicesse.
«No,io…
stavo cantando in un concerto. C’eravate anche voi e gli
zii…
anche lo Zio Theodore e la Zia Eleanor… poi mi sono
ritrovato qua.»
Che
strana risposta. Troppo strana anche per un sogno.
«Cosa?»
Non poté fare a meno di chiedere stupita Jeanette.
«E’
successo anche a me…» cominciò Simon
«ero tornato ragazzo… stavo
giocando ai videogames con Alvin e Theodore. Poi, non so
perché, sono corso
fuori, ho aperto la porta e mi sono ritrovato su questa
collina…»
Se
prima era solo un vago sospetto, adesso ne era sempre più
sicura.
C’era qualcosa di strano nella piega che stava prendendo il
sogno. Com’era
possibile che Jeanette stesse sognando dei dettagli così
precisi della
personalità di suo marito e di suo figlio?
Mark
e Simon stavano parlando tra di loro.
Probabilmente
la Chipette non era la sola ad aver percepito la stranezza
della situazione. Era come se una qualche
specie di sesto senso avesse voluto
avvertirli che chi avevano di fronte non fosse solo una proiezione
della loro
mente, ma la persona in carne e ossa che faceva parte della loro vita
nella
realtà.
Il
tronco della quercia che era stato abbattuto dalla saetta ed era
rotolato giù dalla collina era
ancora
lì, nel punto in cui si era fermato poco prima. Jeanette si
allontanò di
qualche passo dagli altri due chipmunk e provò a immaginare
di sollevarlo in
aria e di ricollocarlo al suo posto. In men che non si dica, accadde,
mentre
Mark e Simon non potevano fare altro che guardare la scena a bocca
aperta.
Jeanette
pensò poi di distruggerlo, e subito l’albero si
dissolse in una
nuvola di polvere luminosa che si propagò
nell’aria.
«O
mio dio! Ma quella è… »
«Sì,
Simon. Materia dei sogni.»
Ormai
Jeanette non ne avevano più dubbi: poteva rendersi conto dei
suoi
sogni e agire fino a un certo limite per modificarli, ma alterare in
quel modo
la materia stessa di cui erano fatti era una capacità
possibile solo in
presenza di un Viaggiatore dei Sogni, e forse Jeanette aveva capito chi
poteva
essere.
«Sei…
sei davvero tu, Jean?» Balbettò Simon.
Lei
tornò da loro.
«Sì,
sono io.»
«Ma
com’è possibile? Come ci sei riuscita?»
Jeanette
guardò verso suo figlio Mark, l’unico che sembrava
non capire
nulla di quello che stava succedendo. Almeno, a giudicare dalla smorfia
di
confusione e disagio che aveva stampata in volto.
«Stiamo
condividendo un sogno… e credo che sia Mark a consentirlo.
E’ diventato
un Viaggiatore dei Sogni!» Spiegò.
Anche
Simon guardò verso il loro figlio, prima di tornare a
rivolgere la
sua attenzione a lei.
«Ne
sei sicura? Credevo che ormai non ne fosse più in
grado…»
«Papà…
non capisco? Di cosa state parlando?» Li interruppe Mark
chiedendogli spiegazioni in tono supplichevole e inquieto.
Suo
padre non ebbe tempo di rispondergli, che una specie di scossa di
terremoto fece sobbalzare tutti e tre.
«Cos’è
stato?» Domandò Simon.
Subito
dopo altre scosse sismiche cominciarono a percuotere la collina
del loro sogno.
La
paura cominciò a insinuarsi nella mente di tutti e tre.
Jeanette
guardò Mark, che sembrava stesse per avere un attacco di
panico. Camminava di qua è di la in maniera confusionaria e
provocando ad ogni
suo piccolo passo un’ulteriore scossa sismica che si sommava
a quelle che già
stavano sconvolgendo il mondo del loro sogno, come se non fosse un
piccolo
chipmunk di dieci anni, bensì un enorme titano che
percuoteva la terra ad ogni
passo.
Un’enorme
voragine si aprì tra Simon e Jeanette, separandoli. Dentro
l’enorme canyon non si vedeva nient’altro che il
Vuoto più totale.
I
sismi non si arrestavano e man mano che la voragine si allargava,
grosse porzioni della collina si staccavano di netto precipitando
nell’abisso,
dove ad un certo punto si polverizzavano in Materia dei Sogni.
«E’
Mark!» Urlò Jeanette. «Sta facendo
collassare il sogno!»
«Che
cosa facciamo?!» Urlò di risposta Simon,
dall’altra parte della
voragine che diveniva via via sempre più larga.
Jeanette
si voltò in direzione di suo figlio, che era rimasto con lei
e
che ora era paralizzato dalla paura.
«Devo
riuscire a calmarlo… » Bisbigliò e si
inginocchio di fronte a lui.
«Mark,
piccolo… stammi a sentire… »
cominciò a parlargli, ma lui aveva
uno sguardo perso nel vuoto. Vederlo così le fece tornare in
mente gli sguardi
persi di Theodore.
«Mark?
Mark!!» Lo chiamò più e più
volte. Alla fine lui si riprese,
sbatté un paio di volte le palpebre e si guardò
intorno. Nel frattempo i sismi si
fermarono.
«Mamma,
che sta succedendo?»
«Non
lo sai, vero?»
«No.
Cosa?»
Jeanette
sospirò.
«Ci
troviamo dentro un sogno, tu, io e papà. Stiamo facendo
tutti
insieme un sogno condiviso. Ci sei fin qua?»
Mark
guardò oltre la voragine dove suo padre stava in piedi sul
bordo a
osservarli.
«Credo
di sì.» Annuì poi.
«Bene,
bravo. Ora non agitarti, ok? Ti spiegheremo tutto quando ci
risveglieremo, ma per ora devi sapere che è merito tuo se ci
troviamo qui!»
«Mio?
Ma… come… »
«Ti
racconterò tutto dopo, ora l’importante
è non agitarsi e restare
calmo. Va bene?»
Mark
attese un paio di secondi prima di rispondere.
«Sì
mamma…ok.» Concluse poi.
«Bravo.
Ora fai quello che ti dico, stammi dietro…» gli
ordinò Jeanette,
poi si rivolse verso Simon «Simon, allontanati dal bordo, e
sta attento!»
«Oh…
sì, ok!» Rispose lui dall’altra parte
dell’enorme canyon.
Si
allontanò di qualche passo, fino a che Jeanette non gli
disse che
poteva fermarsi. In seguito, la Chipette cercò di immaginare
che d’improvviso
dal canyon spuntasse un ponte che collegasse le due
estremità della voragine, e
immediatamente, comparse dal nulla della Materia dei Sogni che
iniziò a
compattarsi per formare ciò che lei aveva immaginato. Simon
a quel punto capì
le sue intenzioni e quando il ponte si era ormai completamente
materializzato,
lo attraversò con cautela, raggiungendo finalmente la sua
famiglia.
«Ora
che facciamo? Come usciamo da qui?» Chiese in seguito Simon.
«Non
credo che Mark possa risvegliarci… non ricorda niente dei
viaggi
nei sogni.» Gli spiegò Jeanette, mentre loro
figlio, preso in causa, non poteva
far altro che ascoltare confuso.
«E
allora? Aspettiamo che il sogno finisca da solo?»
Non
appena Simon finì di porre la domanda, un’altra
serie di scosse
sismiche tornò a demolire il mondo del sogno.
«Non
credo… il sogno sta continuando a collassare.
Mark?!»
«Io
sto facendo quello che mi hai detto te! Non mi sto agitando!»
Obbiettò Mark.
«Forse
il sogno sta semplicemente collassando da solo… e
possibile?»
Ipotizzò Simon.
«Non
lo so, forse hai ragione tu.»
Jeanette
doveva pensare in fretta, doveva trovare una soluzione prima
che fosse troppo tardi.
«Ma
che succede se il sogno collassa?»
«Non
lo so, Mark… ma devi tirarci fuori in qualche
modo!» Gli disse sua
madre.
«Io?
Ma… ma io non so come si fa!»
L’ambiente
intorno a loro cominciò a disgregarsi nuovamente, e sta
volta
ad un ritmo molto più rapido di prima. Dopo appena un minuto
da quando l’ondata
sismica iniziò, solo una piccola porzione di collina restava
ancora in piedi,
quella dove si trovava la famiglia di Simon. Tutto il resto del sogno
si era
già quasi del tutto sgretolato. La domanda di Mark era
più che lecita. Cosa
sarebbe successo se il sogno fosse collassato? Una volta il Mark adulto
che
Jeanette aveva incontrato nei suoi sogni glielo aveva spiegato, ma ora,
a
distanza di così tanti anni, lei non lo ricordava
più. Qualsiasi cosa fosse,
non era nulla di buono. Come non era nulla di buono l’idea di
restarsene lì con
le mani in mano ad aspettare di scoprirlo. Doveva risvegliare la sua
famiglia,
in un modo o nell’altro.
Pensò
intensamente all’idea di fermare il sisma che stava
devastando la
terra sotto i loro piedi, senza successo. Provò a insistere
chiedendo a Mark di
immaginare intensamente di svegliargli, ma per quanto il piccolo si
sforzasse,
nemmeno questo era possibile.
Non
si sa cosa successe, ma d’improvviso lei e solo lei si
svegliò.
Era
distesa sul suo letto, di fianco a lei Simon che dormiva
profondamente, emettendo di tanto in tanto qualche mugolio.
«Simon,
Simon! Svegliati!!» Gli gridò scuotendolo, e lui
aprì gli occhi.
Farfugliò
qualcosa, ma lei non stette ferma ad ascoltarlo. Corse giù
dal
letto e in seguito fuori dalla stanza, diretta in camera da letto di
Mark. Lo
raggiunse e svegliò anche lui.
Il
piccolo Mark aprì gli occhi urlando.
«Calma,
calma. E’ tutto finito.» Lo rincuorò
Jeanette abbracciandolo.
Mark
iniziò a piangere.
«Mamma,
è stato… è stato terribile…
la terra mi era crollata sotto i
piedi… io… io stavo cadendo…»
«Lo
so, lo so. Ora calmati. E’ passato.»
Lo
coccolò e lo tenne abbracciato a se. Nel frattempo, Simon
fece la sua
comparsa in camera raggiungendo moglie e figlio sul letto, e
lì restò con i
due, attendendo che Mark si tranquillizzasse.
6.6:
Aspettarono
pazientemente che Mark smettesse di piangere, dopo di che,
all’ennesima richiesta di spiegazioni gli raccontarono tutto
partendo dal
principio. Gli riassunsero la storia di come Jeanette aveva iniziato a
sognarlo
tanti anni prima, dei modi spesso assurdi che aveva adottato per
cercare di
impedire ai suoi genitori di organizzare il pic-nic che secondo il
destino
avrebbe segnato le loro vite e di tutti i poteri che lei aveva imparato
a
padroneggiare proprio grazie al Viaggiatore dei Sogni.
Il
piccolo Mark, che era sempre stato curioso di natura, non poteva fare
a meno di porre domande su domande inerenti all’argomento.
Domande a cui
Jeanette e talvolta anche Simon, quando ne era in grado, rispondevano
pazientemente. Tutto pur di fargli comprendere e accettare una
realtà che da
quel giorno, probabilmente, avrebbe fatto parte della loro vita, se
quel caso
non fosse stato solo un evento occasionale e se Mark fosse veramente
divenuto
un piccolo Viaggiatore dei Sogni in carne e ossa.
Come
se gli leggessero una fiaba, gli parlarono di tutte le cose che
conoscevano, fino a che non si addormentò, e a quel punto
tornarono in camera
loro e si rimisero sotto le coperte.
«L’avresti
mai detto? Il nostro Mark è un Viaggiatore dei
Sogni!» Esclamò
Simon.
«Già…
» Rispose Jeanette con tono di voce turbato.
«Chi
sa…forse quel suo mal di testa improvviso era dovuto a
questo. Deve
essergli successo qualcosa… ha appena compiuto il suo decimo
anno di età e
tutto d’un tratto… questo! Non la trovi una cosa
straordinaria?»
Jeanette
lo squadrò con un’occhiataccia che non prometteva
niente di
buono.
«Straordinario?
Cosa ci trovi di così STRAORDINARIO?!?»
Simon
non se la sarebbe aspettata una reazione del genere, così
d’improvviso, e a sentirsi urlare contro da sua moglie, gli
montò una strana
inquietudine.
«C’è
qualcosa che non va?»
Jeanette
distolse lo sguardo da Simon e chinò la testa in basso.
«No…
è solo che… niente.»
«Lo
conosco quel tono di voce. Non è vero che non
c’è niente.»
Lei
sospirò.
«E’
solo che non doveva succedere!»
«Cosa?
Che Mark diventasse un Viaggiatore dei Sogni? E che
c’è di male,
non ti fa piacere sapere che nostro figlio è
speciale?»
Jeanette
rispose alla domanda con un’altra occhiataccia.
«Quello
non è “speciale”, è
“pericoloso”! Cosa succederebbe se
d’improvviso
il sogno dovesse collassare di nuovo mentre noi non siamo lì
con lui?!»
«Ma
perché dovrebbe succedere?! Questa volta è andata
così perché non ne
sapeva nulla, non significa che dalla prossima andrà ancora
male! E poi non è
nemmeno detto che sia un fatto così grave, il sogno potrebbe
collassare e lui
potrebbe semplicemente risvegliarsi! Non possiamo saperlo!»
«Ti
sbagli! Invece è proprio quello che succederebbe!
E’ stato lui
stesso a dirmelo, anni fa!»
«Bhe,
forse non vale per i Viaggiatori dei Sogni… forse per
lui… »
«Ma
lui non è un Viaggiatore, è solo un
bambino!!» Urlò Jeanette.
«E
tu sei troppo iperprotettiva! Cosa pensi di fare? Tornare di la e
tenerlo sveglio per sempre per impedire che sogni?!»
Jeanette
non seppe come rispondere. Si sentì offesa dal marito.
«Se
tu pensi questo di me, allora puoi dormire sul divano sta
sera!»
«Cooosa?
Stai scherzando spero!»
«Non
sono mai stata così seria in tutta la mia vita!»
Ora
era Simon a farfugliare alla ricerca di una risposta.
«Senti.
Non voglio litigare. E’ solo che non capisco cosa ti
è preso
d’improvviso! A parte che è tutta la sera che hai
un muso lungo come non so
cosa, ma ora!»
Jeanette
ci rifletté. Simon aveva ragione. Forse non su tutto, ma non
poteva negare che durante tutta la sera era turbata da qualcosa.
«E’
solo che non sono più abituata a queste cose…
voglio dire…
Alvin che
d’improvviso ricompare dal
nulla… Theodore che torna a parlare con la gente…
e ora nostro figlio, che ha
appena compiuto dieci anni ed ora salta fuori che è
diventato un Viaggiatore
dei Sogni… »
Dunque
era questo. Non solo un problema isolato, ma tante piccole cose
che, insieme, avevano turbato la quiete che Jeanette si era costruita
nel suo
animo. Simon si spostò sul materasso e le si
avvicinò. La consolò con un
delicato bacio sulla guancia, che poco dopo lei ricambiò con
uno sulle labbra.
Si
sdraiarono l’uno accanto all’altra e si
abbracciarono.
Era
come tornare ai vecchi tempi, quando il loro amore era appena
sbocciato e non c’erano ancora brutti ricordi
d’incidenti a tormentare i loro
animi.
Jeanette
dimenticò le sue ansie e, prima di addormentarsi tra le
braccia
del marito, pensò intensamente alle frasi che le disse pochi
minuti prima:
«Lo
so che stanno succedendo d’improvviso tante cose, ma io credo
che
sia il segnale che finalmente gli eventi stanno per prendere una nuova
piega.
Alvin è stato l’inizio, e ora tocca a Theodore e
Mark. Prima, nel sogno gli
avevi detto di non aver paura. Ricordi? Ebbene. Non avere paura,
Jean.»
«Sei
sicuro che si risolveranno le cose anche con Theodore?» Gli
aveva
chiesto poi lei.
«Sì.»
si era limitato a rispondere lui, e a quel punto le augurò
solo
dolcemente la buona notte, chiudendo gli occhi e addormentandosi subito
con lei.
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Capitolo 7 *** 7: Il medium. ***
7.1:
11
FEBBRAIO 2029
Durante
il proseguire della notte, Simon sognò ancora.
Questa
volta non aveva a che fare con la sua famiglia. Non c’era una
Jeanette apprensiva che cercava di placare i poteri di suo figlio
Viaggiatore
dei Sogni.
No,
in questo sogno Simon vide Eleanor.
Per
la prima volta da sedici anni gli era apparsa in sogno.
Era difficile mettere a fuoco l’ambiente
circostante che stava intorno o loro, solo la defunta Chipette gli
appariva
vivida e materiale, e avevo lo stesso aspetto che ebbe la vera Eleanor
il
giorno dell’incidente.
Ma
poi cosa successe? Si parlarono? Si dissero qualcosa?
Quando
la mattina, Simon si svegliò, non ricordava quasi nulla del
sogno
e dovette sforzarsi per preservare quel poco che ancora riusciva a
ricordare.
Nella
stanza entrò Jeanette, che saltò sul letto dove
costatò che il
marito era già sveglio.
Gli
diede un bacio sulle labbra e gli disse «La colazione
è pronta,
tesoro.»
«Arrivo
subito.»
Poi,
mentre lei usciva dalla stanza, Simon si alzò e si mise a
sedere
sul bordo del letto.
Il
sogno di Eleanor continuava insistentemente a martellargli nella
testa, benché non ricordasse quasi nulla. Era convinto che a
restargli impressa
sarebbe stata l’esperienza avuta nel corso della notte con il
sogno condiviso
con la sua famiglia, di certo non questo.
C’era
qualcosa di strano, si disse tra sé e sé, che
però non riusciva a
comprendere.
Andò
nella cucina, dove c’era il tavolino
taglia–Chipmunk dove erano
soliti mangiare. Era stato apparecchiato con un bicchierino di plastica
(dello
stesso tipo usato da Jeanette la sera prima per dare l’acqua
a Mark per la
pastiglia) e riempito con del caffè fumante appena
preparato, che Simon bevé
amaro e tutto d’un fiato.
Jeanette
era lì, e non poté non notare la stranezza di
quel gesto.
«Da
quand’è che bevi il caffè
amaro?»
«Oh…sul
serio? E’ vero… non… non me ne sono
accorto… » Le rispose
balbettando.
«C’è
qualcosa che non va? E’ per quello che ho detto sta notte? Lo
sai
che non ti avrei mai mandato a dormire sul divano…
»
«No,
no, non è per questo… bhe, lascia
stare… dov’è Mark?» Chiese
tentando di sviare dal discorso.
«Sta
ancora dormendo…»
Ma
in quel momento il piccolo fece capolino nella stanza.
«Ciao
Mamma, ciao Papà.»
I
genitori ricambiarono il saluto.
«Come
stai? Hai fatto altri sogni strani?»
«Non
lo so, Mamma, ma credo di no.»
«E
il mal di testa?» Aggiunse Simon.
«Mi
è passato. Non mi fa più male.»
«Bene,
allora vieni a fare colazione, il latte è pronto.»
Concluse
Jeanette.
Nel
frattempo Simon si alzò dalla sedia.
«Io
vado di là a telefonare ad Alvin, intanto.»
Uscì
dalla stanza e si diresse sul comodino dove era riposto il loro
telefono fisso (un apparecchio che nonostante il progresso, non era
ancora
stato rimpiazzato), compose il numero di casa di Dave e attese la
risposta.
Fu
una voce femminile, quella di Brittany, a pronunciare il
“pronto” di
risposta e dopo un breve saluto e un rapido scambio di parole, la linea
fu
passata ad Alvin.
Non
persero tempo in convenevoli. Si dissero solo che si sarebbero
incontrati ai cancelli dell’ L.A. National Cemetery per le
11.00 in punto, poi
si salutarono con un “a dopo” reciproco.
Simon
diede una rapida controllata al display elettronico
dell’apparecchio telefonico, dove era indicato che in quel
momento erano le
09.03.
Il
loro incontro al cimitero era previsto tra due ore.
Costatato
ciò. Tornò in cucina.
7.2
(L.A.
National Cemetery)
La
famiglia Seville al completo, eccetto il piccolo Mark, che era
rimasto a casa, si era riuscita quella mattina per andare a far visita
a
Eleanor al National Cemetery di Los Angeles.
Ognuno
si era presentato con indosso dei completi eleganti e neri in
segno di lutto.
Benché
in altre occasioni le avevano fatto visita in abiti quotidiani,
questa era, se così si poteva definire, una situazione
“speciale”, dal momento
che era la prima
volta che andavano da
lei tutti insieme.
Durante
quella mattina non ci furono molti scambi di dialoghi tra i vari
Seville. Dopo un discreto saluto, una volta incontratisi alle 11.00
come
d’accordo, varcarono subito la soglia del cimitero e
iniziarono a percorrere il
sentiero ghiaioso che li avrebbe condotti alla tomba della loro amica e
sorella.
Non
dovettero percorrere molto, poiché il lotto in cui riposava
non era
molto distante.
Theodore
non era mai riuscito ad affrontare con serenità quelle
visite,
che anzi, lo spingevano a distaccarsi sempre di più dalla
realtà nel quale si
rifiutava di vivere, ma questa volta, forte dei cambiamenti avvenuti in
seguito
al ritorno di Alvin, trovò la forza di fare una cosa che si
era sempre
rimpianto di non essere riuscito a fare.
Mentre
il resto della famiglia restava in silenzio a osservare le sue
azioni, Theodore si avvicinò alla sua lapide e vi ripose
alla base un piccolo
mazzo di tulipani rossi, alcuni tra i fiori preferiti in assoluto di
Eleanor,
dopo di che, si inginocchio di fianco al mazzo e restò in
silenzio.
Se
stesse pregando, o solo parlando in silenzio con la sua amica, gli
altri non lo capirono.
Dopo
un po’, furono Brittany e Jeanette a fare la prossima mossa
avvicinandosi alla lastra sepolcrale della loro sorella.
Dissero
ad alta voce che Ellie mancava loro moltissimo, ma per il resto,
come per Theodore, la maggior parte delle emozioni che provavano
restarono
confinate ai loro pensieri.
Le
facevano visita frequentemente. Jeanette
almeno una volta al mese e Brittany ogni volta che aveva la
possibilità di
tornare a Los Angeles, e per loro trovarsi in quel luogo,
così come per Dave e
Simon, non creava più quel disagio e quella sensazione di
malessere che ci fu i
primi tempi. Si poteva dire che ormai erano abituate all’idea
che Eleanor non
era più con loro.
Per
Alvin invece le cose furono diverse. Come ormai è stato
detto più e
più volte, era stato lontano da Los Angeles per 10 anni, e
la visita alla tomba
della Chipette era un’altra di quelle cose che si potevano
aggiungere all’elenco
dei doveri dai quali era sempre fuggito.
Mentre
si avvicinava al suo giaciglio eterno, prendendo il posto di
Brittany e Jeanette, con Theodore che continuava a rimanere
inginocchiato sulla
metà di destra della lapide, cercò di prepararsi
mentalmente un discorso da
fare.
Si
chinò su di essa e guardò per un attimo la sua
foto incisa sopra, appoggiò
una mano sulla pietra tombale e prese una lunga e profonda boccata
d’aria per prepararsi
al discorso. Quindi iniziò.
«Ciao
Ellie. E’… è passato tanto
tempo… lo so. Io volevo, sai… volevo
solo chiederti scusa per tutto. Per il modo in cui mi sono comportato,
per il
fatto di non essere mai venuto a trovarti… »
Brittany,
di fianco agli altri, ascoltava attentamente le parole del suo
compagno, e commossa del suo discorso, cominciarono a scendere le
lacrime sul
viso, bagnandole la pelliccia sulle guancie e facendole provare un
brivido di
freddo.
«…
Ero convinto di essere cresciuto… credevo che lasciandomi
tutto alle
spalle e dimenticandomi del passato sarei potuto essere felice. Ma mi
sbagliavo. Usavo il mio lavoro come scusa per non tornare
più qui a casa… per
non dover più affrontare le conseguenze della tua
morte… » Dovette fermarsi. Le
parole gli uscivano a sbiascichi.
Si
sforzò di contenere le lacrime che anche a lui stavano
iniziando a
colare. Prese un’altra profonda boccata d’aria e
riprese.
«Però
ora sono qui… e… e spero che tu, da
lassù, mi voglia perdonare. Mi
manchi, manchi a tutti noi… e ti prometto che non
sbaglierò più. Sono tornato,
e voglio recuperare tutto il tempo perduto con i miei fratelli, con
Dave e con
Jeanette…» si alzò.
Poggiò
le labbra sulla foto di Eleanor, più precisamente sulla
guancia
sinistra, e la baciò. Era un’azione insolita per
lui, che però gli venne spontanea.
«Grazie,
Alvin.»
Era
Theodore, ancora inginocchiato e ancora a occhi chiusi, ma era lui
ad averlo ringraziato. Alvin capì il perché. Lo
stava ringraziando per le
parole dette a Eleanor.
Mentre
quella scena continuava a seguire il suo corso, Simon invece non
riusciva a fare a meno di pensare al suo sogno. E il fatto di trovarsi
proprio
lì, di fronte alla tomba di Ellie non faceva che alimentare
questa sua
ossessione.
Doveva
pur significare qualcosa.
«Non
riesco ancora a credere che siano parole sue, quelle che ho appena
sentito!» Intervenne Dave, rivolgendosi a Simon.
«Uh?»
Emise lui.
«Parlo
di Alvin, sai, ti ho visto pensieroso. Immagino sia per quello
che ha appena detto nel suo discorso.»
«Oh,
no… non è per quello, è…
bhe, non ha importanza.»
«Che
succede, Simon?»
«E’
solo che continuo a pensare a una cosa che mi sta ossessionando, ma
non è niente, dico davvero.»
Potevano
essere solo delle coincidenze?
Ieri
era stato il compleanno di suo figlio, e poche ore dopo, ecco
giungere la scoperta che anch’egli, come la sua versione
adulta conosciuta
molti anni prima, era divenuto un Viaggiatore dei sogni.
Anime
destinate a non venir mai al mondo, confinate in una dimensione
onirica dove l’unico scopo a cui possono adempiere
è di introdursi nei sogni
dei “Vivi” per alimentare le loro esistenze eterne.
Ma un giorno una di esse
decise di ribellarsi al destino, e di modificare gli eventi a suo
favore per
far sì che potesse nascere e condurre una vita normale tra i
viventi. Una vita
che però ora non poteva più essere definita tale,
dato che quei poteri di cui
godeva nella sua precedente esistenza lo hanno seguito anche in questa,
rendendolo di fatto un essere unico
nel
suo genere. Un essere che era anche suo figlio. Il figlio di Simon e
Jeanette.
Un piccolo chipmunk di appena dieci anni, divenuto improvvisamente
possessore
di un potere immenso.
Il
sogno di Eleanor era un indizio per qualcosa di importante. La sua
ipotesi Simon ce l’aveva, ma gli sembrava allo stesso tempo
impossibile e
fantastica. Troppo per poter essere vera.
Se
un sogno condiviso la sera precedente bastava per confermare che Mark
fosse divenuto davvero un Viaggiatore dei Sogni, questo significava che
forse
era anche in grado di collegarsi con il mondo dei Viaggiatori, e se
poteva
davvero collegarsi a un mondo di anime mai nate, era possibile che
fosse in
grado di contattare anche i defunti?
Impossibile
da una parte, verosimile dall’altra.
Suo
figlio potrebbe essere divenuto il primo autentico medium di tutti i
tempi! L’idea entusiasmò Simon, ma poi il suo lato
razionale da professore
d’Università prese il sopravvento. Non hai alcuna
prova per dimostrarlo. Sono
solo farneticazioni fantasiose. I vivi sono i vivi, mentre i morti
devono
essere lasciati al loro riposo eterno, si disse tra sé e
sé.
Mentre
tornarono a casa con l’auto di Dave, Simon non emise una sola
parola per tutto il viaggio, e dato il contesto, nessuno aveva fatto
molto caso
al suo silenzio. Quando, però, decise di tornare a parlare e
di spiegare a
tutti la sua idea, non solo ottenne finalmente l’attenzione
di tutti, ma
ricevette anche un inaspettato e violento schiaffo da sua moglie
Jeanette, che
ora lo guardava con un espressione furibonda e di sgomento.
7.3:
«Scordatelo!!»
Urlò lei.
«Ma…
Jean…»
«No!
Mai e poi mai! Ti rendi conto di quello che stai dicendo?! Ti sei
dimenticato che è di tuo figlio che stai
parlando?!»
«Bhe,
non credi che forse sarebbe meglio parlarne con lui prima di
prendere decisioni affrettate!»
«Potrei
dirti la stessa cosa!!»
«Io
non ho deciso niente! La mia era solo un’idea! Credevo che vi
avrebbe fatto piacere sapere che forse c’era una
possibilità per…»
«Per
cosa?! Fare una seduta spiritica!?! Vuoi metterti intorno a un
tavolo e farci tenere tutti per mano a occhi chiusi recitando formule
magiche e
riti voodoo?»
«Adesso
basta, fatela finita tutti e due!!» Intervenne Dave, nel
tentativo di placare la discussione tra Simon e Jeanette.
«Prima di tutto,
cos’è questa storia? Perché dici che
Mark sarebbe in grado di entrare in
contatto con lo spirito di Eleanor? Insomma, fatemi capire!»
Simon
restò sgomento. Guardò verso Jeanette.
«Credevo
che gliel’avessi raccontato!»
«E
perché avrei dovuto?»
Simon
quasi si strozzò.
«Perché
avresti dovuto? Ma…» si fermò, trasse
un profondo respiro per
calmarsi e decise di raccontare tutta la storia a Dave e agli altri,
che a
quanto pare erano tutti allo scuro dei fatti di quella notte, anche se
non
comprendeva il motivo del silenzio di Jeanette.
Si
stava comportando in maniera ridicola, pensò tra
sé e sé Simon, da
perfetta madre iperprotettiva.
Raccontò
quindi del sogno condiviso e di come era quasi collassato
mentre loro erano al suo interno, aggiungendo che secondo lui era
questo il
motivo dell’emicrania fulminante che era venuta a Mark la
sera prima, i suoi
nuovi poteri. E man mano che approfondiva nei dettagli il racconto, i
suoi
ascoltatori sembravano cominciare a comprendere via via sempre di
più la logica
dietro alla proposta di Simon.
«E
funzionerà secondo te?» Chiese con un entusiasmo
rinato, Theodore.
«No!
Non funzionerà, Theodore, e non ve lo permetterò
mai!» Insistette
Jeanette.
Simon
non era d’accordo con lei, ma poteva capire le sue ansie. Si
parlava pur sempre di loro figlio, e quello che era successo nel loro
sogno
tutto sommato era un motivo più che valido per essere in
ansia.
«E
poi comunque, lei ha ragione. Come pensi che ci riuscirà?
Può entrare
nei sogni della gente, ma non vi è alcuna certezza che sia
in grado di
contattare le anime dei morti!» Disse Brittany, prendendo le
difese della
sorella.
«E
se invece ci riuscisse?» Domandò Alvin, ricevendo
subito obbiezione
dalla sua compagna.
Anche
tra i due partì un dibattito, al quale però Simon
non prese parte.
Si
alzò dal sedile e camminò verso sua moglie, che
si era chiusa in un
angolo con le braccia conserte e un’espressione di collera in
volto.
Lui
cercò di voltarle delicatamente la testa per incontrare il
suo
sguardo, ma lei scostò via la mano.
Simon
sbuffò.
«Ascolta,
amore… so che Mark è nostro figlio, e so che
correrà dei
rischi enormi finché non imparerà a gestire
questa cosa. Ma fino ad allora ci
sarai tu pronta ad aiutarlo. Conosci quel mondo, sai come funzionano le
sue
regole e sei già riuscita una volta a salvarlo. Un giorno
vedrai che sarà in
grado di controllare i suoi poteri da solo. E non credo che tarpargli
le ali
sia la soluzione migliore.»
Un
rapido movimento degli occhi di lei fece incrociare il loro sguardo,
poi in qualche modo le sue parole riuscirono a fare breccia in
Jeanette. Che
sembrò farsi più disponibile al dialogo.
Nonostante fosse sempre irritata.
«Simon,
qui non stiamo parlando di tarpargli le ali. Tu vuoi che usi i
poteri del Viaggiatore dei Sogni per contattare l’anima di
sua zia defunta. E’
qualcosa di completamente diverso, che non ha nulla a che vedere con la
Materia
dei Sogni! E tu vuoi sottoporlo a uno stress simile senza neanche
sapergli dire
se può farcela! Insomma, io non ti capisco!»
«Sono
sicuro che può farcela.» Le confermò
lui, sicuro di se e della sua
idea.
«Come?
»
«Diciamo
solo che è una mia intuizione. Fidati di me.»
Sembrò
averla convinta, almeno a giudicare dall’espressione che la
Chipette montò dopo averci riflettuto per alcuni secondi, ma
non le spiegò i
dettagli della sua intuizione. A conti fatti, lui era il primo ad
ammettere che
basare la sua teoria su un sogno all’apparenza casuale e su
una debole sensazione
non erano sufficienti per giustificarlo. Eppure, in un modo o
nell’altro,
l’istinto gli diceva che questa cosa poteva essere fatta. Ora
restava soltanto
di proporla anche a Mark, e sperare che fosse in grado di portarla a
termine.
Simon
e Jeanette avevano raggiunto l’accordo di cui avevano
bisogno, e
Alvin, Brittany e Dave dovettero solo adattarsi alla loro decisione.
Brittany,
così come Jeanette e Dave, continuavano ad avere dei dubbi
sulla riuscita del
piano, mentre Alvin era dalla parte del fratello.
Simon
era sempre stato il più intelligente del gruppo, mai una
volta si
era sbagliato in qualcosa, e questo per lui gli era più che
sufficiente per
convincerlo a dargli ragione.
Per
quanto riguarda Theodore, lui non aveva preso alcuna posizione. A
dire il vero non era nemmeno sicuro di aver afferrato in pieno le
intenzioni di
Simon. Aveva solo capito che forse c’era un modo per poter
rivedere ancora una
volta Eleanor, e se ciò fosse stato possibile, qualunque
fosse il mezzo per
riuscirci, anche per lui questo era più che sufficiente per
credere al fratello.
7.4:
(Casa
di Simon e Jeanette)
Mark
era pensieroso. Lo era da tutta la mattina.
Non
poteva credere alle cose che gli erano state raccontate la notte
prima dai suoi genitori. Non riusciva nemmeno a comprendere appieno
cosa fosse
un Viaggiatore dei Sogni.
Nella
sua testa si era figurato l’immagine di una specie di
fantasma che
entrava nei sogni delle persone per parlare con loro e ordinargli di
far delle
cose, i fantasmi però sono morti, come la Zia Eleanor, lui
invece era vivo e
vegeto! Quindi, com’era possibile che lo fosse diventato
anche lui? E perché
proprio ora?
Aveva
cercato di distrarsi ripassando alcune materie scolastiche e
continuando a esercitarsi con l’armonica regalatagli dallo
Zio Alvin.
In
seguito, per ammazzare il tempo si era a messo a guardare uno dei
suoi film action in Tv e a mezzogiorno aveva pranzato con alcuni degli
avanzi
della cena precedente.
Alle
due di pomeriggio, i suoi genitori, accompagnati dal resto della
famiglia Seville, tornarono a casa e lui fu subito chiamato da suo
padre.
Simon
era ansioso di scoprire se la sua idea avrebbe potuto funzionare e
se Mark avrebbe mai tentato l’esperimento.
Non
volle perdere molto tempo nelle spiegazioni. Evitò di
riassumergli
tutto il processo mentale che l’aveva condotto a
quell’ipotesi. Si limitò solo
a chiedergli se potesse essere in grado di farlo.
«Credi
di poterlo fare, figliolo?»
Mark
era allibito dall’insolita richiesta del padre. Guardo verso
sua
madre Jeanette, sulla sua destra, sperando di poter avere una risposta
sul da
farsi dal suo sguardo.
La
mamma non sembrava d’accordo, costatò.
«Io…
non lo so. Non so nemmeno come si fa a entrare nei sogni delle
persone, come
faccio a fare questo?»
Già,
come poteva farlo?
Simon
si rese conto che stava correndo troppo, spinto da un entusiasmo
inopportuno. Non poteva pretendere tanto da suo figlio, del resto era
appena
agli inizi.
Anche
Simon guardò verso Jeanette, incrociando ancora una volta il
suo
sguardo di disappunto.
«Hai
ragione… avete ragione. Ok, non fa niente…
scusami Mark.»
Simon,
deluso e amareggiato, si rassegnò.
«Mi
stai prendendo in giro?! Getti la spugna così, su due
piedi?»
«Come?»
Jeanette
si avvicinò al marito. Negli occhi uno sguardo serio come
non
gliene aveva mai visti in tutta la sua vita.
La
vide passarsi le mani tra la sua lunga e folta chioma di capelli.
«Mi
avevi chiesto di fidarmi di te? Che eri certo che potesse
funzionare! Che fine ha fatto tutta la tua sicurezza? E’
volata via
d’improvviso?»
Come
poteva rispondere a quelle accuse? La Jeanette che aveva di fronte
era completamente diversa da quella che era un stata un tempo. Questa,
quando
doveva dire qualcosa, non si faceva scrupoli a parlare, anche a costo
di ferire
chi aveva di fronte.
«Credevo
che Mark sapesse cosa fare. Pensavo…sì,
insomma… hai capito.»
Abbassò
lo sguardo, imbarazzato.
«Pensavi
che ti sarebbe bastato chiederglielo e aspettare che lui ci mettesse
in contatto con mia sorella, non è vero?»
Simon
annuì.
«Bhe,
ora sai uno dei motivi del perché non ero
d’accordo.»
«Jeanette…»
la chiamò Dave «Forse è meglio che
leviamo il disturbo?»
«No.
Restate.» Rispose, poi voltò lo sguardo verso suo
figlio «Mark. Se
ci mettessimo a dormire, pensi di riuscire a unirci in un unico
sogno?»
Il
piccolo chipmunk ci rifletté un po’.
«Penso
di sì»
«Bene!»
Esclamò lei.
«Aspetta,
che intendi fare?» Le chiese Simon.
«Se
vogliamo che Mark usi i suoi poteri, prima di tutto dobbiamo entrare
in un sogno condiviso. Non ti pare?»
«Già,
immagino di sì»
«E
oltre a Theodore, vorrei che veniste anche voi.» Disse
rivolgendosi a
Alvin, Brittany e Dave «Così potrete vedere
Eleanor anche voi. Certo, sempre se
questa cosa funzionerà»
«Mi
sembra giusto.» Commentò Alvin. Anche Brittany e
Dave, seppur ancora
scettici, avevano deciso di collaborare.
«Mamma…
io però continuo a dirti che non so come
fare…»
«Non
ti preoccupare di questo. Qualcosa ci inventeremo.»
«Quindi,
che facciamo?» Domandò Theodore.
«Bhe,
credo che potrei sottoporre tutti a una seduta d’ipnosi.
Farò in
modo che ci addormenteremo tutti insieme. Dopo di che ci
penserà Mark a
collegarci al sogno.» Suggerì Simon.
«Sì.
Può andare. Cerca di collegarci al mio sogno, Mark. Se
potrò
controllarlo direttamente sarà più facile evitare
che collassi in caso di
problemi. Ma l’importante è che resti calmo. Sii
sicuro di te così come quando
vieni interrogato a scuola in un argomento che conosci bene, vedrai che
non
sarà difficile!»
«D’accordo
mamma!»
I
due si scambiarono un occhiolino d’intesa.
«Ok
Simon, tocca a te.»
7.5:
Facendosi
aiutare da Dave, chiusero tutte le tende presenti nel salotto.
Allestirono poi alcune candele sul tavolino di fronte alla poltrona e
le
accesero.
Secondo
Simon, avrebbero creato l’atmosfera rilassante di cui avevano
bisogno
per la seduta d’ipnosi.
«Bene,
signore e signori. Ora fate quello che vi dico. Chiudete gli
occhi, rilassatevi e cercate di svuotare la mente…
» cominciò a parlare Simon,
con un timbro di voce basso e lento. Quasi sussurrando.
Gli
altri, obbedendo ai suoi comandi, restarono seduti a occhi chiusi
sulla poltrona, ascoltando soltanto il suono della sua voce.
«Non
ce nulla che vi possa distrarre, siete soltanto Voi e nessun
altro…
le vostre mani e i vostri piedi non hanno peso… i vostri
corpi sono leggeri. Vi
sentite come se steste volando… »
Mentre
recitava la formula dell’ipnosi collettiva a cui stava
sottoponendo gli altri, sentì che stava facendo effetto
anche su se stesso. Più
il tempo passava e più le sue parole divenivano sempre
più flebili.
«Ora
le vostre membra si fanno stanche… sentite la vostra mente
annebbiarsi… vorreste dormire… e quando io ve lo
dirò, voi…dormirete… »
7.6:
(Località
sconosciuta)
Qualsiasi
cosa fosse successa. Mark ora stava sognando. Ne era certo.
Forse
era per merito dei suoi poteri da Viaggiatore dei Sogni, ma sta di
fatto che poteva chiaramente percepire La differenza tra entrambi i
mondi,
quello reale, dove si erano addormentati, e quello del sogno, dove ora
lui si
trovava.
La
realtà era solida fatta di superfici inalterabili, il Mondo
dei Sogni
era come una gelatina. Avrebbe potuto alterarlo a suo piacimento in
qualunque
modo e in qualunque momento desiderasse.
Sua
madre gli disse che una volta entrato, avrebbe dovuto allacciare se
stesso e tutti gli altri al suo sogno. Perciò, per prima
cosa, doveva trovare
il modo di raggiungere il suo “spirito”.
Il
mondo che aveva creato nel suo sogno gli ricordava in modo
incredibile una pizzeria nella quale avevano cenato un mese prima, ma
nel suo
sogno le persone presenti avevano volti che lui non aveva mai visto. Ad
ogni
modo, non c’era tempo da perdere, doveva trovare i sogni dei
suoi genitori e
degli altri.
La
notte prima era avvenuto tutto in modo assolutamente casuale, si era
collegato ai loro sogni semplicemente per istinto, ma ora, dovendo
compierlo
volontariamente, non aveva idea di come fare.
Ci
rifletté su un po’, e gli venne un’idea.
Forse era come cercare di
ascoltare la voce di qualcuno in una stanza affollata! Si disse fra se
e se. E’
sufficiente cercare di concentrarsi e provare a captare il
“segnale”.
Quindi
ci provò, e con sua immensa sorpresa si rese conto che era
davvero facile! Eccoli lì! Poteva chiaramente percepire sei
differenti presenze
muoversi nei propri Mondi dei Sogni!
Chi
di loro era sua madre? Come avrebbe fatto a trovarla? Ma
soprattutto, come fare per raggiungerli, ora che li poteva chiaramente
sentire
nella sua testa?
Decise
di fare un fuori programma, e visto che credeva di sapere come
fare, fece in modo di unire tutti a un unico sogno. Gli era stato
sufficiente
focalizzarsi su una in particolare delle sei presenze e immaginarsi che
fossero
tutte raggruppate lì con lei, e funzionò!
Ora
doveva raggiungerli, e ciò significava aprire un portale tra
il suo
Mondo dei Sogni e il loro. Tentò di nuovo di immaginarsi di
raggiungerli, e
subito dopo si aprì un portale proprio di fronte a lui, nel
bel mezzo della
stanza del suo sogno.
Non
vedeva cosa ci fosse dall’altra parte del portale, ma non
poteva
tirarsi indietro, doveva attraversarlo.
Lo
attraversò, e subito dopo, d’improvviso si era
ritrovato sott’acqua.
Come
ci era finito lì dentro?
Non
sapeva nuotare, e quindi si limitò a dibattersi nervosamente
nel
tentativo di non affogare, ma d’un tratto qualcosa di freddo
e metallico, come
dei tentacoli di un mostro marino, o forse delle catene, gli si
avvinghiarono
intorno al corpo e lo trascinarono giù,
nell’abisso.
Era
impossibile che stesse veramente succedendo. Aveva appena imparato a
padroneggiare parte dei suoi poteri e stava già per morire
annegato senza
nemmeno sapere il perché.
Allungò
il braccio, come se si aspettasse che dall’alto una mano
venisse
ad afferrarlo per tirarlo fuori e portarlo in salvo. Pensava a sua
madre e
sperava che venisse a portarlo via da quell’incubo.
Sarà
forse stata una semplice coincidenza, ma alla fin fine una mano che
lo afferrò ci fu sul serio. Era forte, possente, ma era la
mano di un chipmunk.
Lo prese e lo tirò su con decisione, e le catene che lo
stavano facendo
affondare non potevano nulla contro la forza di quella mano.
Quando
riemerse vide che era lo Zio Alvin, insieme a suo padre, e
notò
anche che non erano più in mare, bensì su una
spiaggia.
Mark
tossì due volte e si guardò intorno, tutti gli
altri erano lì con
lui.
«Mark,
piccolo! Stai bene? Oddio, ti prego, scusami… è
colpa mia!» Gli
disse la Zia Brittany.
«Ma…
che è successo? Stiamo ancora sognando?»
Domandò il piccolo
chipmunk.
«Sì…
» intervenne Jeanette «ma siamo nel sogno
sbagliato. Questo è
quello di Brittany. Ti avevo detto di unirci al mio.»
«Lo
so Mamma, scusami… è che non sapevo come fare.
Ho… ho provato a
collegarci al tuo, ma non riuscivo a capire quale era, così
ho improvvisato.»
Si scusò mortificato.
Jeanette
gli passò delicatamente una mano sulla guancia,
accarezzandolo.
«Non
fa niente. Sei stato bravo comunque.»
«Ok,
e adesso che si fa?» Chiese Dave.
«Non
lo so, Dave. Dovremo cercare di capire come fare a trovare
Eleanor.»
«Quella
di prima… non era lei? Intendo, quella che stava affogando
in
mare?»
«No,
Theo. Quella era solo parte del mio sogno. Credimi, non è la
prima
volta che ho questo incubo, e tutte le volte, dopo che Alvin riesce a
tirarmi
fuori dall’acqua, vedo Eleanor affogare in
lontananza.» Gli spiegò Brittany.
«Oh…
sì, capisco… ma allora? Come facciamo?»
«Mark?»
Simon si fece avanti.
«Sì
Papà?»
«Come
hai fatto a trovarci prima? Ti è venuto in
automatico?»
«No,
ho provato a concentrarmi e a cercarvi, e ha funzionato. Sono
riuscito a sentire le vostre presenze…»
«E
per collegarci?»
«Mi
è bastato immaginarlo… e ho fatto così
anche per arrivare da voi.»
Simon
rifletté su qualcosa. Poi si rivolse a Jeanette.
«Credi
che possa funzionare anche per questo?»
Lei
sbuffò.
«Non
lo so… insomma, come ti dicevo, entrare nei sogni
è un conto. Ma
qui si parla di qualcosa che probabilmente nessuno ha mai tentato
prima, e che
forse non è nemmeno possibile fare… »
«Sto
pensando intensamente alla Zia Eleanor, ma non riesco a percepire
niente oltre a noi.»
«Non
fa niente Mark, lascia stare, non affaticarti.»
Questa
volta fu Alvin a farsi avanti.
«Ma
tu dicevi di essere certo che ci saremo riusciti! Che dobbiamo fare
allora?»
Simon
fu restio a rispondergli, ma data la situazione, che altro poteva
fare. Ormai erano dentro un sogno condiviso. La sua parte del piano
l’aveva
portata a termine.
«L’ho
sognata questa notte… »
«Cooosa?!?
Chi?» Chiese sgomento, Alvin.
«Eleanor…
»
Jeanette
quasi si strozzò.
«Che??
Ma stai scherzando? Tutto questo solo perché hai visto mia
sorella in sogno?!»
«Sì
lo so, Jean! E’ stato stupido! Ma ero convinto che avrebbe
funzionato. Insomma… dopo la storia del sogno condiviso che
abbiamo avuto ho
pensato che significasse qualcosa… che fosse, che no
so… una specie di segno!»
«Un
segno di cosa?! Tutti noi abbiamo avuto incubi su di lei! Non puoi
averlo
pensato sul serio! Hai una laurea in psicologia e sei un professore
dell’U.C.L.A.!! Come ti è venuto in mente una cosa
del genere!»
«Adesso
basta, Jeanette.»
La
Chipette smise subito di gridare contro il marito e la sua
espressione si paralizzò in una smorfia di shock.
Così come quella di tutti gli
altri, Mark compreso, anche se, al contrario del resto del gruppo, non
aveva
riconosciuto la voce che aveva appena intimato a sua madre di calmarsi.
«Non…
ci posso credere… l-l’avete sentita anche
voi?» Balbettò Dave, con
la testa rivolta al cielo, come se cercasse qualcosa proveniente
dall’alto.
«Sì,
Dave… io sì…»
Commentò Alvin.
«Ma…
chi è?» Chiese Mark.
«Jean…
io… dimmi che abbiamo davvero sentito la sua
voce… »
«Sì
Simon… credo sia lei.»
«Britt…
anche questo fa parte del tuo sogno?» Le domandò
alvin.
«No…
questo no… »
«MA
CHI E ??» Insistette Mark.
Qualcuno
gli appoggiò una mano sulla spalla. Era Theodore.
«E’
lei, Mark… è tua Zia!»
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Capitolo 8 *** 8: Tutti sbagliano. ***
8.1:
«Forse
anche questo fa parte del sogno…»
Suggerì Dave.
«No
Dave, te l’ho detto! Non ho mai sognato la voce di
Eleanor!»
Obbiettò Brittany.
«Non
intendevo dire questo! Ma che forse fa parte del sogno di qualcun
altro! Di Theodore magari, o di Simon!»
«No
Dave, non è così.» Gli rispose la voce
di Eleanor.
«Eleanor…
dove sei?» Provò a chiedere Simon, ma non ci fu
risposta.
«Mark,
Jeanette. Riuscite a sentire qualcosa?» Chiese rivolgendosi a
sua
moglie e a suo figlio
«Io
non ne sono in grado, Simon. Solo Mark potrebbe… »
Rispose Jeanette.
«Non
ci riesco nemmeno io! E’ come se non ci fosse! Riesco a
sentire
solo le vostre presenze, ma di lei niente!
Però…» si ammutolì.
«Però
cosa?» Domando suo padre.
«Mark?»
Lo chiamò invece sua madre.
«Sta…
sta per accadere qualcosa… »
Ci
fu un breve istante in cui tutto si azzittì, subito dopo,
però,
un’altra violenta scossa sismica, simile in modo inquietante
a quella del sogno
della notte precedente, si manifestò con tutta la sua furia
facendo sobbalzare
tutti. Dave compreso.
«E
adesso che diavolo succede?!» Chiese nervosamente
l’uomo.
«Non
può essere! Non sta succedendo di nuovo! Mark, ma
che… »
«Mamma!
Io non ho fatto niente questa volta! Lo giuro!»
«Ma
allora come… »
Un’altra
scossa sismica spaccò letteralmente in due l’isola
in cui era
ambientato il loro sogno.
«Pensiamo
dopo alle domande! Mark, svegliaci, presto!» Gli
ordinò Simon.
Mark
si stava sforzando di rispedirli nella realtà. Credeva di
sapere
come fare, eppure avvertiva una specie di sensazione opprimente, come
di
qualcosa che gli stava impedendo di usare i suoi poteri da Viaggiatore
dei
Sogni.
Digrignò
i denti, chiuse gli occhi e cercò di usare tutto quello che
aveva imparato in quelle poche ore per impedire che la sua famiglia
venisse
inghiottita dal Nulla che sarebbe venuto quando il sogno sarebbe
collassato.
Anche
Jeanette cercava di inventarsi qualcosa per salvare la situazione.
Ai
tempi in cui aveva conosciuto il Mark adulto, nei suoi sogni, oltre
ad aver imparato ad usare molti dei poteri del suo futuro figlio, le
era anche
stato spiegato che i Sognatori, essendo “Vivi”
erano molto più potenti dei
Viaggiatori, perciò detenevano un certo vantaggio su alcune
capacità.
Allora
lei era molto più forte del Mark adulto, pertanto poteva
compiere
con molta più facilità azioni che a lui
risultavano difficili se non
impossibili, come alterare in modo complesso la realtà
stessa del sogno o altri
trucchetti simili.
Col
suo intervento, sperava quindi di riuscire in qualche modo ad
impedire il collasso del sogno in cui si trovavano, o di trasferire
tutti in un
altro mondo, dove sarebbero stati al sicuro. Ma questa volta la
situazione era
diversa. Mark non era più un semplice Viaggiatore, era un
Viaggiatore “Vivo”,
con un potenziale superiore a quanto lei avrebbe mai potuto sviluppare!
Di
conseguenza, se nemmeno Mark era in grado di fermare il collasso del
sogno,
quante speranze poteva avere lei di farcela?
Ci
era riuscita una volta, questo era vero. Ma qualcosa nella sua testa
le diceva che ora non avrebbe più avuto la stessa fortuna.
Nel
frattempo, il mondo del sogno intorno a loro stava collassando
sempre di più, nonostante gli sforzi congiunti di madre e
figlio per mantenere
il controllo sulla Materia dei Sogni che lo componeva.
«Non
abbiamo molto tempo, fate qualcosa!» urlò Simon.
«Ci
stiamo provando! Ma
è
inutile!!» gridò invece Jeanette.
«Fermatevi.»
Era
ancora la voce di Eleanor, sempre così distante ed
enigmatica.
«Cosa?»
«Fermatevi,
Jeanette. Andrà tutto bene.»
«Ma…
il sogno sta…»
«Non
vi succederà niente. Fidatevi di me.»
Jeanette
si fermò. Ammutolita dalla strana richiesta della voce di
sua
sorella.
«Mamma?
Cosa devo fare?» Le chiese Mark, che nel frattempo stava
ancora provando
a riportarli tutti alla realtà, cercando di farli svegliare.
«Fermati
anche tu, Mark.» Gli disse la voce di Eleanor.
Il
piccolo chipmunk guardò verso sua madre.
«Mamma…
?»
«Fa
come dice.» Gli disse lei.
«Ok…»
«Jeanette…
sei sicura di fare la cosa giusta?» Intervenne Brittany.
«Non
lo so, Britt. Lo spero.»
«Dannazione!
In che situazione siamo finiti?!» Commentò Alvin.
I
sei chipmunk e Dave attesero in ansia che succedette qualcosa, mentre
intorno a loro, come in una scena già vista non molto tempo
prima, le scosse
sismiche facevano crollare progressivamente intere porzioni di sogno,
che
precipitavano in profondi baratri neri disgregandosi in Materia dei
Sogni.
«Come
facciamo a essere sicuri che quella sia davvero lei?»
Domandò
Dave, estremamente turbato.
«Sono
io, Dave. Fidati di me… fidatevi tutti. Presto
capirete.» rispose
la voce.
Senza
dare nell’occhio, Jeanette aveva cercato di sforzarsi di
svegliare
almeno se stessa, ma senza riuscirci.
Ormai
non avevano comunque scelta. Era tardi per fare qualsiasi cosa.
Pochi
minuti dopo, l’ultima porzione del sogno rimasta integra,
quella
in cui il gruppo si trovava, precipitò nel vuoto insieme a
loro.
Dave,
Alvin, Brittany e Theodore iniziarono a gridare mentre i loro
corpi cadevano nel baratro sottostante. Mark gridò aiuto ai
suoi genitori,
anche se non potevano aiutarlo in nessun modo. Mentre, per quanto
riguarda
loro. L’unica cosa che fecero era di guardarsi l’un
l’altra, prima di chiudere
gli occhi e aspettare di scoprire cosa sarebbe successo alla fine di
quel
baratro.
8.2:
Fu
una sensazione veramente strana.
Mentre
precipitavano, ci fu uno strano bagliore bianco, seguito da un
acuto stridio molto simile a quello di un vetro sul pannello di una
lavagna.
In
seguito, lei e il resto del gruppo si trovarono a levitare nel vuoto,
in una realtà che le ricordava stranamente il Nulla del suo
sogno di tanti anni
prima, quando aveva fatto la conoscenza del Mark Viaggiatore dei Sogni.
Anche
se in questo caso non era proprio la stessa cosa.
Il
Nulla del sogno di Jeanette era nient’altro che una
riproduzione del
cosmo, con la Via Lattea, le costellazioni e i pianeti, un Mondo dei
Sogni che
aveva sognato perché a quei tempi condivideva con suo marito
la passione per
l’astronomia. Quello in cui, invece, si trovavano ora era un
vero e proprio
Nulla. Una realtà vuota e apparentemente infinita, nella
quale loro levitavano
come se la gravità non esistesse più.
«Che
sta succedendo, stiamo ancora cadendo?» Domandò
Alvin, più
perplesso che spaventato.
«No…
non credo. Sembra quasi di stare in una stanza a zero G.»
Rispose
Simon.
«Non
per essere sgarbato, ma che accidenti è una stanza a zero G.
?»
«A
zero gravità, Alvin.»
«Ahh!
Ok. Adesso mi è tutto più chiaro…
quindi? Che succederà adesso?»
Theodore
stava levitando di fianco a Brittany, Mark e Dave. Cercò di
spingersi in avanti, superare il gruppo muovendosi nel vuoto come se
nuotasse
nella gelatina.
«Ellie…
sei qui?» Chiese ruotando il capo in tutte le direzioni
possibili e cercandola.
«Appoggiate
i piedi a terra.» Disse la voce di Eleanor.
«Terrà?
Ma dove? Io non la vedo… » Obbiettò
Mark.
Jeanette
aveva assistito a troppe cose strane nel corso della giornata,
quindi si disse che avrebbe seguito le indicazioni della voce della
sorella.
Si
spinse all’indietro usando le braccia e non appena si
trovò in
posizione verticale allungò il piede destro fino ad
appoggiarlo ad una
superficie solida ma invisibile. Allungò anche il secondo
piede e finalmente la
gravità tornò a funzionare nel modo giusto.
Pavimento
invisibile. Anche questo era un elemento in comune con il
Nulla del suo vecchio sogno.
«Scendete
pure, è sicuro.» Avvisò gli altri Jean,
e anche lo, uno dopo
l’altro, scesero al suo livello e si riunirono in gruppo.
«Ellie,
dove sei?» Domandò , ansioso, Theodore.
Ma
nessuno gli rispose.
«Ellie?»
Insistette
ancora un paio di volte, ma ancora nessuna risposta.
«E’…
è sparita… Mamma?»
«Non
lo so, Mark. Eleanor, se sei qui… se ci senti. Hai detto che
dovevamo fidarci. Che dobbiamo fare adesso?»
Il
silenzio fu la sola cosa che si sentì.
«Fantastico…
» commentò Alvin «Siamo arrivati fin qui
per niente… haia!!»
Brittany lo azzittì con una gomitata sul fianco. Poi gli
indicò con un cenno
della testa Theodore.
Il
chipmunk aveva un’espressione di delusione e tristezza che
sarebbe
stata in grado di spezzare il cuore a chiunque. Esattamente come era
spezzato
il suo in quel momento.
Aveva
così tanto sperato di poter rivedere la sua Eleanor ancora
una
volta, e quella voce che li aveva guidati fino a lì e che
era stata come un
faro che portava luce nella nebbia del suo animo affranto dal dolore,
ora
sembrava sparita nel nulla.
Teneva
la testa rivolta verso il basso, con lo sguardo fisso verso quel
pavimento invisibile sopra il quale stavano in piedi.
Dave,
che si sentiva il gigante del gruppo, cercò di sfruttare la
sua
altezza per scrutare in lontananza, sperando di notare
nell’orizzonte qualcosa
che ai chipmunk era sfuggito.
«C’è
un modo per svegliarci?» Chiese Simon rivolgendosi a Mark e
Jeanette.
Lei
sospirò.
«Non
lo so, possiamo provarci.»
«Aspettate!»
Esclamò Dave.
«Cosa?
Che c’è?» Domandò Alvin.
«Lì
in fondo! C’è qualcosa!»
Tutti
guardarono verso la direzione che Dave stava puntando con
l’indice
destro, anche Theodore, e videro a una decina di metri di distanza da
loro una
specie di piccola luce che si stava avvicinando procedendo lentamente e
con
passo regolare.
Non
sembrava levitare nel vuoto, era invece a terra e pareva fosse
all’incirca delle dimensioni di Mark.
Non
era facile riuscire a distinguere una forma, poiché
l’oscurità del
vuoto creava un contrasto con l’intensità della
luce emessa da quel piccolo
corpo, che li accecava col suo riverbero.
Dopo
un breve momento di stupore, però, i Nostri non ebbe
più bisogno di
distinguere le sue forme per capire cosa fosse
quell’entità che si stava
avvicinando.
Forse
era Eleanor. Ipotizzarono i Chipmunks e le Chipettes.
Sì,
è lei! Costatò invece Dave, che dalla sua altezza
riusciva a vederla
meglio di tutti.
8.3:
Per
Theodore fu l’attesa più snervante della sua vita.
La
piccola luce accecante che si stava dirigendo verso di loro era
troppo lenta perché lui potesse aspettarla.
Forse
non era la scelta migliore che avrebbe potuto compiere, ma
dimenticandosi degli altri, che come lui attendevano con trepidazione
il suo
arrivo, decise di farsi avanti e di raggiungerla per primo.
«Theodore,
fermo. Che fai?» Gli chiese Dave.
Il
chipmunk lo ignorò e cominciò a camminare verso
la luce, da prima con
piccoli titubanti passetti, che divennero ben presto una marcia spedita.
Completò
gli ultimi metri che lo separarono dal piccolo corpo luminoso,
e finalmente la vide. Eleanor. Proprio lì, di fronte a lui.
La
luce che avvolgeva il suo corpo ora si era fatta meno intensa e lui
poté osservarla senza rimanere abbagliato dalla sua
intensità.
Era
giovane. Aveva ancora l’aspetto che aveva il giorno
dell’incidente,
persino lo stesso vestito, quel maglioncino verde che era diventato
parte della
sua persona al pari dei suoi due codini nei capelli. E sorrideva,
serena come
se non fosse successo mai niente.
«Ciao
Theo.»
La
mente di Theodore era percossa da mille domande.
Era
davvero lei? Gli aveva davvero parlato? Perché era
così serena?
Perché li ha condotti fin lì? Ed era stata
davvero lei a farlo? La voce che li
ha guidati era davvero la sua?
Domande
a cui sperava che Eleanor potesse rispondergli.
«Si.
Sono proprio io.» Gli rispose come se gli avesse letto nel
pensiero, poi si protrasse in avanti e lo abbracciò. Quando
lo fece, Theodore
poteva sentire la solidità delle sue braccia stringersi
intorno a lui. Qualunque
cosa fosse quella Eleanor, non era di sicuro un fantasma, non del tipo
che lui
conosceva.
Per
anni aveva desiderato di poterla rivedere ancora una volta.
Stringerla a se. Ma ora che si trovava faccia a faccia con lei, in un
contesto
talmente strano e di fronte a una persone che ormai non dovrebbe
esserci più.
Non riusciva a manifestare altro sentimento al di fuori
dell’incredulità.
«Ellie?»
Era Brittany ad averla chiamata.
Lei
e il resto del gruppo avevano deciso di raggiungerla poco dopo Theo.
«Britt!
Jean! E’ bello avervi qui, sorelline!»
Esultò prima di correre
ad abbracciare anche loro.
Di
tutto il gruppo, Eleanor sembrava l’unica a non sentirsi in
alcun
modo stranita da tutta la situazione.
«Ellie…
come mai sei qui? Pensavamo che fossi… morta…
» Iniziò a parlare
Jeanette.
Il
volto di Eleanor si fece serio.
«Già,
è così infatti… »
Andò
verso Alvin e Simon.
«Ragazzi...»
Alvin
ebbe un istante di esitazione, poi aprì le braccia e si fece
abbracciare
come gli altri.
Dopo
aver ripetuto il rito anche con Simon, Eleanor si scostò da
lui.
«Vedo
che ce l’hai fatta.» Disse rivolgendosi a Simon, e
andando poi da
Dave.
Mentre
l’anziano prese in mano la piccola Chipette. Il chipmunk con
gli
occhiali scambiò alcuni sguardi interrogativi con gli altri.
Eleanor
fece alcuni commenti sul conto della folta barba di Dave,
dicendogli che stava bene con essa, poi, quando l’uomo la
appoggiò a terra, lei
si diresse anche verso Mark.
«E
tu devi essere il mio nipotino!»
«S-sì…
sono Mark… »
«Sì,
lo so.» Gli disse sorridendogli.
«Ellie…
cosa volevi dire prima?» Si fece avanti Simon
d’improvviso.
Eleanor
si voltò verso di lui.
«Quando
ti ho detto che ce l’avevi fatta, vuoi dire?»
«Sì…
»
Eleanor
sospirò e si allontanò di pochi passi.
«Ragazzi.
Lo so che la situazione in cui vi trovate ora vi sembra
strana. Ma la verità è che avevo bisogno di
rivedervi ancora una volta.»
«Rivederci?»
«Si
Dave… soprattutto te, Theo.» Tornò da
lui e gli mise una mano su una
guancia, non potendo fare a meno di distogliere lo sguardo dal pessimo
stato in
cui si trovava quello che una volta era il suo migliore amico. Con il
corpo
così deperito, i ciuffi di pelo mancanti,
l’evidente espressione di malinconia
che negli anni aveva scavato il suo viso, anche ora che la
felicità di averla
ancora vicino a se gli aveva momentaneamente fatto dimenticare tutto il
periodo
nero trascorso fino ad ora.
«Che
cosa ti è successo? Perché ti sei ridotti
così, Theodore?»
I
Seville si guardano tra di loro con sguardi imbarazzati, ben
consapevoli di ciò che Eleanor voleva dire.
Alvin
si passò la mano tra i capelli.
«Già,
non ce la siamo passata molto bene da quando non ci sei
più… »
cominciò «però ora siamo qui,
no?»
«Sì,
Alvin. Siete qui. Ma fino ad ora? E non mi rivolgo solo a te, che
te ne sei andato, o a Brittany che ti ha seguito… mi rivolgo
a tutti voi,
ragazzi. Come avete potuto comportarvi in questo modo? Come avete
potuto
permettere che il mio Theo si riducesse così?»
Chiese indicandolo con entrambe
le braccia.
Nessuno
di loro era in grado di darle una risposta, ma tutti
unanimemente erano costretti ad ammettere che aveva ragione. Poi,
però, il
raziocinio prese il sopravvento sui sensi di colpa di Simon, e un
dubbio
cominciò a insinuarsi nella sua mente.
«Come…
come fai a sapere queste cose?»
Eleanor
lo fulminò con lo sguardo, come se si sentisse offesa dalla
domanda del chipmunk.
«Vi
ho osservati, Simon. Vi osservo da tanto tempo… »
Eleanor
cominciò a dar loro spiegazioni sul perché si
trovassero lì.
Mentre
parlava, Dave, Mark e i Chipmunks ascoltavano con attenzione
ciò
che la Chipette aveva loro da dire. Brittany e Jeanette, invece,
stavano comunicavano
tra loro con lo sguardo. Non c’era bisogno delle parole per
quello che dovevano
dirsi, perché entrambe sapevano a cosa l’altra
stava pensando. Le parole di
Eleanor risvegliarono ancora una volta, anche nelle due sorelle, il
ricordo
delle vicende che avevano condotto la loro famiglia al distacco,
già, perché
non era solo Alvin il responsabile di tutto. Anche Brittany aveva le
sue colpe,
e insieme a lei, anche Jeanette, che forse a ben pensarci, potrebbe
essere
stata la vera responsabile di tutto.
8.4:
10
ANNI PRIMA (Los Angeles)
Si
dice che il tempo ha il potere di guarire tutte le ferite, ma con
regole precise.
Come
i graffi più profondi, che guarendo non scompaiono mai del
tutto,
ma lasciano comunque traccia del loro passaggio con le cicatrici, anche
le
tragedie peggiori guariscono, lasciando però nella mente di
chi le ha subite il
ricordo di quei drammatici momenti.
Ed
era così che avevano trascorso la loro vita, quelli della
famiglia
Seville, nel corso dei sei anni seguenti alla morte della loro Eleanor.
La
Band non esisteva più. I concerti, le interviste, i CD e i tour facevano parte
del passato.
Ognuno
aveva cercato di andare avanti come poteva.
E
così, mentre Theodore era caduto in uno stato di catalessi
quasi
perenne dovuta alla convinzione di essere in qualche modo responsabile
della
sua morte, Simon insieme a Jeanette, e Alvin insieme a Brittany avevano
proseguito con le strade che si erano prefissati fin
dall’inizio.
Jeanette
ormai era all’ultimo anno del suo periodo di college e
passava
le giornate a dedicarsi allo studio per affrontate l’esame
finale e conseguire
la laurea, mentre Simon era intenzionato a inseguire un sogno che
all’apparenza
poteva sembrare irrealizzabile, voleva cioè diventare egli
stesso un docente
dell’ U.C.L.A., e per farlo avrebbe dovuto affrontare delle
imprese immani. Non
solo per la difficoltà in se che raggiungere un tale
ambizioso posto di lavoro
comportava, ma anche per il fatto di dover convincere il mondo intero
che uno
scoiattolo parlante che da giovane era stato anche una rock star di
successo
aveva le carte in regola per essere degno di insegnare in una delle
università più
prestigiose d’America!
Nel
frattempo, mentre Alvin proseguiva alla Jet Records il lavoro che
gli era stato rimediato qualche tempo prima da Ian Hawke, Brittany
stava
dedicando tutta se stessa all’avvio della sua
attività da insegnante di
ballerina.
Ogni
cosa stava seguendo il suo regolare corso degli eventi,
finché un
giorno, il 17 Maggio 2018, l’allora ventiquattrenne Jeanette
scoprì qualcosa
che rischiava di compromettere per sempre tutti i suoi sforzi per
conquistare
la laurea tanto desiderata.
Era
accaduto tutto troppo in fretta. Le emozioni avevano preso il
sopravvento e la natura alla fine aveva deciso per lei, ma se solo si
fosse
fermata un attimo a riflettere alle conseguenze, sicuramente si sarebbe
potuta
evitare ogni cosa.
Era
tarda serata. Una serata che Simon e Jeanette avevano deciso di
dedicare solo ed esclusivamente ai loro studi.
Nel
campus universitario erano riusciti a farsi assegnare la stessa
stanza, che dividevano con altri due compagni di corso di Simon, che
però
quella sera non c’erano.
Erano
l’1.00 o forse l’1.30 di notte quando Simon decise
di chiudere i
suoi testi e di andare a letto dopo aver augurato alla sua ragazza la
buona
notte con un bacio.
Jeanette
restò a studiare ancora per un po’,
finché la sua testa
riusciva ancora ad assimilare qualche nozione da quel che leggeva, dopo
di che,
trascorsi quaranta minuti, anche lei decise di chiudere.
Salì
sul letto nel quale dormiva Simon, che dividevano in due, ed
entrò
sotto le coperte cercando di non svegliarlo. Un senso di inquietudine
però le
impedì di addormentarsi. Non era per gli
esami che avrebbe dovuto sostenere, no. Era per Eleanor. Le mancava il
suo
dolce sorriso e la sua solare allegria, ripensò a lei, agli
anni dell’infanzia
trascorsi insieme, ai concerti, alle avventure con i Chipmunks, e ora,
niente,
non c’era più. Volata via come una foglia
trasportata dal vento, per non fare
più ritorno al suo albero.
Una
lacrima le scese sulla guancia mentre portava le mani al viso per
evitare che il pianto e i singhiozzi svegliassero il suo amato Simon.
Mentre
piangeva in silenzio, la mano del suo ragazzo le si poggiò
sul
braccio.
«Hey,
hey… che succede?» Le domandò.
«Oh…
scusami…» cercò di asciugarsi le
lacrime e di tirar su col naso del
muco con il quale il pianto le aveva riempito le narici «non
volevo svegliarti…
torna a dormire.»
Con
un’espressione compassionevole sul volto, Simon le
accarezzò il viso
con una mano.
«Lo
sai che a me puoi dire tutto. Coraggio.»
«E’…
è Eleanor… mi manca mia sorella, Simon, mi manca
tantissimo!»
«Lo
so, amore. Manca moltissimo anche a me, ma se fosse qui in questo
momento credo che l’ultima cosa che vorrebbe per noi
è vederci soffrire così
tanto per lei.»
«Sì.
Hai ragione… è solo che qualche volta mi chiedo
se fosse stato
possibile fare qualcosa per impedirlo, come è successo a
noi… credi che sia una
pazza a pensarlo?»
Simon
ci rimuginò su per alcuni secondi, alla ricerca di una buona
risposta da darle.
«Io
credo che se Mark avesse potuto fare qualcosa per salvare anche lei,
l’avrebbe fatto.»
«Ne
sei sicuro?»
«Certo
che lo sono… non saremo nemmeno qui altrimenti.»
Seguì
una breve pausa di riflessione, durante la quale, mentre Jeanette
rifletteva sulle parole di Simon, lui restava lì ad
aspettare che lei reagisse
in qualche modo.
Poco
dopo. Pensando di dover essere lui a giungere per primo alla
conclusione, le chiese «Va un po’ meglio?»
«Sì…
» anche se non ne sembrava convinta.
«Allora
che ne dici se andiamo a dormire adesso, sai come si dice:
“La
notte porta buoni consigli”»
«Già…
» rispose accennando un timido e indeciso sorriso.
Simon
le diede un altro piccolo bacio sulle labbra prima di rimettersi a
letto.
Jeanette
chiuse gli occhi. Ma i mille pensieri che le frullavano nella
testa le impedivano ancora di prendere sonno.
Simon
aveva ragione, si disse tra sé e sé, Mark avrebbe
salvato anche
Eleanor se solo ne avesse avuto la possibilità.
Certo
è triste, quando credi di crescere col libero arbitrio,
scopri poi
che tutte le tue scelte, in realtà sono già
scritte. Dove vai, chi conosci,
come vivi. Tutto fa parte di uno schema prestabilito.
Forse
anche il fatto di essere sfuggiti alla morte faceva parte di un
qualche piano.
Era
assurdo pensare che in un mondo dove tutto era stato già
deciso da
un potere più alto, loro due ora erano gli unici a poter
beneficiare di quel
grande privilegio che era la libertà di scegliere.
No.
Simon e Jeanette erano vivi per una ragione. Doveva per forza essere
così.
Trovandosi
dieci anni dopo di fronte al fantasma di Eleanor, a rievocare
il ricordo di quella notte, si chiese cosa l’avesse spinta a
fare quello che di
li a poco avrebbe fatto, ma in quel momento, nel passato, non
pensò a nulla.
Sentiva solo il bisogno di farlo, guidata forse da un istinto che
credeva
assopito da anni.
Strisciò
verso Simon e prima ancora che lui, svegliandosi, avesse il
tempo di chiederle cosa stesse facendo, lei era già sopra di
lui intenta a
baciarlo con una passione irrefrenabile.
Qualsiasi
cosa avesse spinto Jeanette a comportarsi in quel modo, Simon
non volle scoprirlo, e lasciò che gli istinti prendessero il
controllo del suo
corpo così come accadde a Jeanette.
Quella
sera si concluse in un modo che nessuno dei due avrebbe potuto
prevedere e ci vollero appena due giorni perché Jeanette si
rendesse conto di
quanto grave fosse stato il suo errore.
Quella
notte era il 15 Maggio 2018, e la mattina del 17 Maggio dello
stesso anno, dopo essersi sentita strana per diverse ore,
scoprì con spaventoso
stupore di essere incinta.
8.5:
Non
era facile poter dare una descrizione ben precisa di come avessero
accolto la notizia i restanti membri della famiglia Seville.
Da
una parte, tutti sapevano che prima o poi sarebbe accaduto per forza,
dato che a confermarglielo era stato il Viaggiatore dei Sogni Mark,
dall’altra
invece ci fu l’ovvia sensazione di incredulità
dello scoprire che si stava
realmente concretizzando la sua previsione. Ma a rendere le cose
più difficile
e inopportune era il periodo in cui tutto avvenne.
Ormai
l’esame finale per la laurea era alle porte e Jeanette si
trovò
nella situazione di dover affrontare una gravidanza nel periodo
più stressante
e difficile della sua vita.
Simon
faceva il possibile per sostenerla, anche a costo di sacrificare
il suo sogno di diventare professore all’ U.C.L.A. e nei
giorni seguenti alla
scoperta di Jeanette, anche Dave e Brittany cercavano di fare il
possibile per
sostenerla.
Per
quanto riguarda Alvin, aveva deciso di starne fuori. Anche lui come
Theodore, non era stato in grado di reggersi nell’oblio nel
quale era stato
trascinato dopo l’incidente. Si era visto costretto a dare
l’addio a un’amica e
quasi a un fratello, mentre tutto quello che il suo nome rappresentava
andava
completamente allo sfascio con la decisione di sciogliere per sempre la
band.
Amava
Brittany, ma non provava più alcun interesse per le vicende
della
famiglia. Quando la sua compagna gli comunicò la notizia,
decise che avrebbe
mostrato un minimo di interessamento solo ed esclusivamente per
rispetto nei
confronti del fratello Simon, per il resto invece, non pensava ad altro
che non
al suo lavoro.
8.6:
13
GIUGNO 2018 (Casa Seville)
Era
una serata particolare.
A
causa degli impegni che un po’ tutta la famiglia doveva
sostenere
quotidianamente da alcuni mesi, Dave non aveva più la
possibilità di
trascorrere del tempo con i suoi ragazzi.
L’unico
che gli restava era Theodore, che purtroppo continuava a restare
chiuso nel suo silenzio. Alvin e Brittany avevano il loro lavoro e
Simon e
Jeanette per la maggior parte del tempo passavano le giornate a
studiare e a
trascorrere le notti nella camera del loro dormitorio. Solo di recente
lo stato
interessante di Jeanette li aveva riavvicinati un po’, ma
erano ancora lontani
dall’unione che avevano avuto prima dell’incidente.
Per
rimediare, Dave decise di organizzare una piccola cena di famiglia
con la quale si augurava sul serio di poter trascorrere una piacevole
serata in
compagnia dei suoi ragazzi, ormai divenuti grandi.
Si
assicurò che fosse tutto pronto e attese il loro arrivo con
trepidazione.
Simon,
Brittany e Jeanette arrivarono insieme in taxi e si accomodarono
a tavola chiacchierando e scherzando nell’attesa del rientro
dal lavoro di
Alvin.
Ci
fu uno scambio di domande e risposte di Simon e Dave riguardo alle
condizioni di Theodore, che come già detto, non sembrava
migliorare in nessun
modo, benché Dave l’avesse già fatto
sottoporre e diverse sedute psichiatriche.
Mentre
parlavano, se ne stava seduto da solo in un angolo della poltrona
in salotto, e anche se si fosse accorto che si stava parlando di lui,
non
avrebbe comunque fatto niente per reagire.
Alvin
arrivò venti minuti dopo gli altri, e dopo aver salutato
tutti e
posto un paio di domande riguardo la gravidanza di Jeanette, che era
già a
quasi un mese, si accomodò a tavola insieme agli altri.
Dave
portò un piccolo vassoio con la cena per Theodore, che a
quell’epoca, nonostante il suo stato, mangiava ancora senza
problemi il cibo
che gli veniva offerto, e ritornò dagli altri per dare il
via alla serata.
8.7:
Nel
bel mezzo della cena, tra una battuta ironica, il racconto di
qualche aneddoto universitario e diverse domande riguardo il futuro da
genitori
di Simon e Jeanette, Alvin, di punto in bianco diede un paio di
colpetti al suo
bicchiere di vetro, nel quale era contenuta della Cola, per richiamare
l’attenzione degli altri.
«Devo
fare un piccolo annuncio, ragazzi!»
Calò
improvvisamente il silenzio e tutti guardarono con curiosità
Alvin,
per sentire ciò che aveva da dire.
«Vi
ricordate di quella proposta del contratto da solista di cui vi
avevo parlato tempo fa?» Chiese rivolgendo lo sguardo a Dave
e Brittany, che
sapevano di cosa stesse parlando.
«Se
ce ne ricordiamo? E’ da giorni che non parli
d’altro!» Commentò
Dave.
«Ehehehe,
già! Bhe, dovete sapere che…»
«Aspetta
Al… contratto da solista?! Di cosa state parlando?»
«Ah,
è vero Simon. Voi due non sapete niente. Bhe è
successo la
settimana scorsa. Ero a lavoro quando si è presentato questo
tizio… un pezzo
grosso della Jet Records credo, che mi ha fatto questa proposta di
tornare a
cantare per un paio di anni (tre forse) come solista per alcune canzoni
su cui
stavamo lavorando in studio. Voleva sapere se ero interessato e aveva
detto che
avrebbe dovuto scegliere tra me è un altro paio di nomi che
erano nella sua
lista. Per il momento avrei solo dovuto dare la mia
disponibilità o meno.»
«Gli
ho detto di accettare… » continuò
Brittany al posto suo «i fan non
hanno mai preso molto bene la notizia dello scioglimento della band dei
Chipmunks e delle Chipettes, così abbiamo pensato che magari
sarebbe potuta
essere una buona occasione per un breve ritorno… ma quindi,
che hanno detto? Ti
hanno scelto?»
«Ehehe,
certo!»
«Dici
sul serio?! Ma è fantastico!!»
«E
non hai ancora sentito la parte più bella! Ho chiesto loro
se c’era
posto anche per te, se c’era la possibilità di
farti fare alcuni duetti con me,
cose del genere, e lo sai? Hanno accettato!»
«Mi
prendi in giro?!»
«No,
sono serio!!»
Brittany
saltò in piedi e andò ad abbracciare Alvin, per
poi iniziare a
ringraziarlo e baciarlo felice come non lo era stata da anni.
«E’
una notizia fantastica, Alvin! Allora, quando inizierete?»
Domandò
Dave.
«Presto!
Tra un paio di giorni dovremo partire per New York, e a
settembre inizieremo a registrare nella sede di Manhattan!»
«Come?!?»
Brittany
fece un passo indietro.
Anche
gli altri ebbero la stessa reazione di stupore.
«Che
c’è, Britt?»
«Non
mi avevi detto che saremo dovuti andare a New York!»
«Come
sarebbe a dire? Sì che te l’ho detto!»
«No!
Non l’hai mai fatto!»
«Alvin,
ti rendi conto che è dall’altra parte degli Stati
Uniti?!» Gli
chiese con aria sbigottita Simon.
«Credi
che non lo sappia, genio? E comunque, si può sapere che vi
è
preso a tutti d’improvviso? Britt, che
c’è? Pensavo che ne saresti stata
felice!»
«Alvin,
non possiamo andare a New York!»
«Cheee??
E perché, scusa?!»
«Come
sarebbe a dire “perché”?? Non pensi a
Simon e a mia sorella? Hanno
bisogno di me… di noi! E ora più che mai! Non
possiamo partire così di punto in
bianco piantandoli in asso! E poi, come la mettiamo con il mio corso
per
insegnare ballo, ci hai pensato?»
«Ma
Britt, ci sono ottime scuole anche lì, lo sai!»
«Brittany
ha ragione! Alvin, questo è il momento meno opportuno per
fare
viaggi di quel genere.» Si intromise Dave.
Ad
Alvin montò improvvisamente dentro una rabbia indescrivibile.
«Ohh,
ma pensa per te, Dave! Non hai il diritto di intrometterti nella
faccenda!!»
«Ma,
Alvin… »
L’uomo
restò ammutolito. Incapace di concepire che a rispondergli
in
modo tanto sgarbato era stato proprio suo figlio Alvin.
«Alvin,
è con Dave che stai parlando, adesso finiscila, ti stai
comportando come un dannato egoista!!» Lo intimò
Simon dopo essersi alzato dal
suo posto.
«Cooosa?!?
Chi è l’egoista qui?!? Tu e Jeanette vi divertite
tutta la
notte con le vostre cose e dopo venite qui a pretendere che io mi
giochi la mia
carriera per colpa vost… »
Non
finì la frase. Brittany lo aveva colpito con un potente
schiaffo
che rimbombò
per la stanza.
«Non
parlare in questo modo di mia sorella, chiaro?!»
La
guancia di Alvin cominciò a bruciargli, ma riuscì
a fermare la sua
furia.
Ora
al posto della rabbia, provava solo frustrazione.
Sperava,
anzi, era convinto che con quell’annuncio avrebbe dato una
notizia con la quale avrebbe allietato ulteriormente la serata. Invece
quello
che ottenne era solo uno schiaffo da parte di Brittany.
«Sì.»
Disse per risponderle. «Credevo che ne saresti stata felice,
l’ho
fatto per te.»
Detto
questo, saltò giù dal tavolo e uscì
fuori dalla stanza.
«Alvin,
dove stai andando?» Gli domandò Dave, che aveva
deciso di chiudere
un occhio per l’aggressione che aveva appena subito dal
chipmunk.
Il
chipmunk non volle rispondergli.
Percorrendo
il corridoio, all’entrata del salotto trovò
Theodore intento
a seguirlo con lo sguardo. Probabilmente aveva sentito la discussione e
aveva
deciso di uscire temporaneamente dal suo stato associale per capire
cosa stesse
succedendo. Lo sguardo dei due fratelli si incrociò per un
istante, prima che
Alvin cominciasse a salire le scale per raggiungere la stanza di lui e
di
Brittany (che un tempo apparteneva alle Chipettes).
Era
arrabbiato. Cercava di controllare il respiro e di mantenere il
controllo, ma le mani gli formicolavano, e lui desiderava solo sfogarsi
con
qualcosa.
Guardò
la parete sulla sua sinistra e decise di farne il suo bersaglio.
La colpì con violenza cinque volte, tanto da ferirsi
leggermente le nocche di
entrambe le mani, ma quel dolore lo aiutò a ristabilire il
controllo.
Andò
verso l’armadio, dove sapeva che Dave teneva alcune delle
loro
valige.
Trovò
la sua e quella di Theodore e Jeanette, ma non sapeva dove fossero
le altre tre. Ad ogni modo, afferrò la sua per la maniglia e
la tirò fuori.
La
apri e ci guardò dentro.
Voleva
partite per New York, accettare l’offerta. Anche dopo quella
ridicola discussione che si era appena tenuta nella sala da pranzo.
Restò
a fissare per alcuni secondi l’interno vuoto della valigia,
finché
qualcuno non lo raggiunse.
«Alvin…»
Era Brittany.
Lui
sospirò.
«Che
c’è?»
«Che
stai facendo?»
Già,
bella domanda Alvin, “Che stai facendo?”, si chiese
fra sé e sé.
Ripetendo a mente le parole della Chipette.
«Non
lo so nemmeno io.» si voltò verso di lei a la
fisso dritta negli
occhi. «Ti chiedo scusa per prima, davvero. Ma io
partirò comunque.»
Brittany
sbuffò.
«Alvin,
dai su, smettila…»
«Non
sto scherzando, Britt. Io partirò…» si
diresse verso di lei e
quando le fu vicino le prese la mano «… e vorrei
che tu venissi con me.»
«Lo
sai che non possiamo farlo… io vorrei venire,
credimi… ma devo stare
con mia sorella, cerca di capire, ti prego. Ha sofferto tantissimo per
Eleanor,
non possiamo abbandonare lei e Simon… e poi, non ci pensi a
Dave e a Theodore?»
«Britt…
anch’io ho sofferto per Ellie, e tu lo sai. Ma qui non reggo
più! Devo andarmene da questa casa, ho bisogno di
ricominciare, e… non posso
farlo senza di te… ».
Brittany
restò in silenzio, dubbiosa e incapace di rispondere.
«Sono
anni che loro sono lontani da casa. Stanno in quei loro dormitori
del campus e non pensano ad altro che studiare. Noi siamo sempre
rimasti qui! Ssono
loro che se ne sono andati per primi, e adesso vorrebbero farci credere
che noi
gli siamo indispensabili?!» Continuò allora Alvin.
«Alvin,
quello è un altro discorso… Simon e Jeanette
vanno al college. Lì
devono per forza studiare tutto il giorno se vogliono andare avanti e
costruirsi un futuro…»
«Anche
lì dove dovremo andare noi ci aspetta il futuro…
il Nostro!»
«Questo
l’ho capito, ma no ti sembra di correre un po’
troppo? Insomma,
dove vivremo, cosa mangeremo?»
«Prima
avevo cercato di dirtelo, ma non me ne hai dato il tempo. Se
firmiamo il contratto ci offriranno vitto e alloggio fino a che non
inizieremo
a registrate, poi coi soldi che faremo potremo pagarci
l’affitto di un
appartamento tutto nostro, ci pensi! Potremo vivere come esseri umani!
Potremo
tornare a fare quello per cui siamo nati! Cantare e ballare, non
è quello che
hai sempre voluto?»
L’entusiasmo
nelle parole di Alvin era palpabile nell’aria, ma Brittany,
benché più disponibile di prima a rivalutare la
proposta, aveva ancora dei
forti dubbi.
«Alvin…
noi… noi siamo solo dei chipmunk… come faremo a
gestire una casa
per umani? Non… non essere ridicolo…»
Alvin
avvicinò il suo viso a quello della sua ragazza, e quando
era a
pochi millimetri da lei, le diede un lungo e tenero bacio, diverso dai
soliti
abitudinari che si scambiavano quotidianamente. Quello era un vero
bacio,
lento, delicato e suadente.
«Qualsiasi
cosa dovremo affrontare, potremo farcela, se lo faremo
insieme.»
Le
sue parole riuscirono a fare breccia nel cuore di Brittany. Mentre lo
guardava negli occhi da così vicino, riusciva a leggere in
essi tutta la
felicità che sprizzava. Era felice, e Brittany
finì per essere totalmente
ammaliata dalla sua gioia.
Era
riuscito a convincerla. Alvin non aveva bisogno di una conferma a
parole per capirlo.
«Lo
sai che gli altri non la prenderanno bene?» Lo
avvertì lei.
Alvin
abbassò lo sguardo.
«Sì…
ma sai, di loro non mi importa niente!»
Brittany
gli sorrise. Non seppe spiegarsi nemmeno lei perché lo fece,
ma
c’era una cosa che ormai aveva capito. Voleva andare con lui!
Ormai era decisa.
8.8:
Brittany
aveva ragione. Non la presero per niente bene.
Era
salita con l’intento di far ragionare Alvin e convincerlo a
desistere, ma scendendo con lui era solo riuscita a convincere se
stessa a
seguirlo in quell’assurdo viaggio a New York.
Simon
andò su tutte le furie quando gli comunicarono la notizia, e
la
discussione fra lui e Alvin finì per essere molto simile a
quella avuta con
Brittany: tirarono in ballo l’università, lo stato
di Jeanette, le domande su
dove avrebbero vissuto durante i primi mesi a New York. La sola
differenza è
che sta volta le cose non si risolsero a favore di Alvin, come nella
precedente
discussione.
Simon,
fuori di se, uscì dalla stanza e chiamò un taxi,
dicendo che se
ne sarebbe andato e che per lui la serata era finita lì.
Brittany
e Jeanette non si dissero nulla per tutto il tempo. Il loro
litigio si basò su sguardi di odio e rabbia e anche se non
lo disse
apertamente, lei odiò Brittany per la sua decisione
esattamente come Simon odiò
Alvin.
Per
quanto riguarda Dave, aveva tentato di prendere posizione, ma le sue
parole finirono per essere vuote e insignificanti, e non
poté fare altro che
osservare le ultime fondamenta della loro famiglia crollare miseramente
di
fronte ai suoi occhi.
Il
giorno seguente Brittany e Alvin andarono insieme in taxi alla Jet
Records per firmare il contratto che li avrebbe vincolati
definitivamente al
viaggio per New York, poi lei andò alla sua scuola di Ballo
per comunicare il
suo ritiro improvviso dall’istituto. Un po’ le
dispiaceva farlo, ma come aveva
detto Alvin, a New York avrebbe potuto riprendere le sue lezioni non
appena la
situazione si sarebbe stabilizzata.
A
casa, preparano le loro cose con l’aiuto di Dave, che
benché non
approvasse la loro decisione, non poté fare a meno di
adempiere al suo ruolo di
buon genitore.
E
il 15 giugno 2018, senza che vi fosse niente che li potesse fermare,
Alvin e Brittany presero l’ultimo taxi, quello che li avrebbe
ricondotti ancora
una volta alla Jet Records, dove un’auto li attendeva per
accompagnarli
all’aeroporto.
Jeanette
era lì quando partirono, e nonostante la rabbia che ancora
provava per la decisione della sorella, la salutò con un
abbraccio prima che
salisse sul veicolo insieme ad Alvin. Simon invece aveva deciso di
restare al
campus. Si sentiva tradito nell’animo e non aveva intenzione
di essere lì ad
assecondare il loro egoismo.
Theodore
era rimasto fuori da tutta la faccenda e non aveva bene in
chiaro il perché stesse succedendo tutto ciò.
Alvin e Brittany erano passati a
salutarlo prima di andare. Scoprì solo che i due se ne
stavano andando a New
York, e presto avrebbe anche scoperto che sarebbero stati via per molto
tempo,
forse per sempre.
Con
la loro partenza, l’ultimo legame della famiglia si
spezzò, e mentre
Simon e Jeanette non potevano fare altro che proseguire i loro studi,
Dave
restò da solo, con un Theodore estraniato da tutto e chiuso
ogni giorno nel suo
impenetrabile silenzio.
Qualche
giorno dopo la loro partenza, nel tentativo disperato di
recuperare un po’ dell’equilibro di cui aveva
bisogno. Simon propose a Jeanette
di sposarlo, e lei shockata e incredula, ma felice ed estasiata,
accettò.
A
New York, Brittany e Alvin si erano già ambientati
nell’appartamento
che gli era stato dato dalla sede di Manhattan della Jet Records e
così lei poté
già tornare per qualche giorno in California per partecipare
al matrimonio di
sua sorella.
Alvin
provava rancore per la volta in cui Simon non era venuto a
salutarli, pertanto, decise a sua volta di non venire al matrimonio. Ne
seguì
una breve discussione con Brittany che però non
durò molto.
Così
partì la prima di una lunga serie di viaggi in solitaria che
lei
avrebbe dovuto sostenere da sola negli anni a venire.
Il
matrimonio di Simon e Jeanette avvenne il 28 luglio dello stesso
anno, in una cerimonia più tosto discreta, formata
prettamente da parenti e
amici.
Sette
mesi dopo, il 10 febbraio 2019, venne al mondo il loro primo
figlio. Un maschietto che senza esitazione decisero di chiamare Mark,
in onore
al Viaggiatore dei Sogni che lì aveva salvati molti anni
prima.
Quello
che successe negli anni a venire è una storia già
raccontata. Le
carriere di ognuno prendevano le strade che il destino decideva per
loro, fino
a che, dieci anni dopo, eccoli lì, ancora una volta tutti
uniti, in una
dimensione onirica, a parlare con quello che aveva
l’apparenza di essere il
fantasma della loro defunta amica Eleanor.
8.9:
11
FEBBRAIO 2029 (Luogo Sconosciuto)
«Vi
ho osservati, ragazzi. Vi osservo da tanto tempo…
»
Era
giunto il momento che Eleanor desse loro delle risposte.
Era
grazie a lei se erano riusciti ad arrivare fin lì, e lei era
anche
il motivo del perché si erano imbarcati in
quell’assurdo viaggio.
«…
conoscete le storie sulla luce alla fine del tunnel, l’ultimo
viaggio
prima dell’aldilà?»
Alvin,
Dave e Simon annuirono alla domanda della Chipette, mentre le sue
sorelle si lanciavano sguardi a vicenda e cenni come se parlassero tra
di loro
in silenzio.
«Bhe…
» riprese Eleanor «… quel giorno ho
scoperto che non era solo una
leggenda. Quando ero morta qualcosa mi aveva condotta qui, proprio nel
posto in
cui ci troviamo ora.»
«Questo
posto è…
l’aldilà?» Chiese Brittany che
d’improvviso era tornata
a seguire insieme a Jeanette e agli altri il discorso di Eleanor.
«No,
non proprio. L’aldilà è quello che
c’è dopo la luce. Non so che
forma abbia, né cosa sia la vita oltre quella soglia. Ma
quel giorno io avevo
la possibilità di varcarla. Ero appena arrivata qui, che il
varco mi si aprì
proprio di fronte agli occhi. Sapevo dell’incidente e di cosa
mi fosse
successo, quindi sapevo che avrei dovuto attraversarlo, ma…
» si fermò di colpo.
«Ma?
Che successe poi?» La spronò Simon a continuare.
«…
sapete, è strano. Quando ti trovi in questo posto, impari
delle cose…
non so cosa lo rende possibile, ma ti ritrovi di punto in bianco a
conoscere
dei segreti che mai avresti immaginato in vita… quando mi
portarono qui, mi
resi conto che potevo continuare a vedervi. Potevo vedere tutto quello
che
facevate come se fossi la spettatrice di un film. Avrei dovuto varcare
la
soglia e andare al di là della luce, ma in cuor mio mi dissi
che se potevo osservare
le vostre vite, allora dovevo restare qui. Non volevo
abbandonarvi… »
«Perciò
sei rimasta?» Intervenne Jeanette.
Eleanor
annui.
«Vi
osservai durante l’arrivo di Dave nel luogo
dell’incidente, e
d’improvviso la luce dietro di me chiuse. Non immaginavo che
sarebbe successo,
credevo che sarebbe rimasta lì per sempre ad aspettarmi, ma
quando si chiuse
non mi importò comunque.»
«Quindi,
se questo posto non è l’aldilà, che
cos’è?»
«Credo
che tu lo sappia meglio di tutti, Jeanette. Lo chiamano il Limbo.
E’ una specie di dimensione vuota, dove vengono confinate
tutte le anime
destinate all’oblio, quelle che non hanno più uno
scopo. Anche lo spirito di
Mark, quando era Viaggiatore dei Sogni, finì qui prima della
sua
reincarnazione.»
Jeanette
sussultò. Quasi senza neanche volerlo, aveva ottenuto
risposta
a uno dei più grandi dubbi che si era mai posta in tutta la
sua vita.
Quando
il Viaggiatore dei Sogni scomparve di fronte a loro, dopo avergli
salvato la vita, disse che sarebbe rimasto confinato in un luogo
sconosciuto
dove non sapeva cosa gli sarebbe successo, e ora finalmente quel luogo
aveva
un’identità: il Limbo.
Jeanette
si era sempre chiesta cosa potesse essere questo posto e a
giudicare dalle parole di Eleanor, non solo lo aveva finalmente
scoperto, ma ci
stava pure camminando dentro.
Osservò
suo figlio, come se si aspettasse che da quei suoi piccoli
occhietti giungesse uno sguardo d’intesa che le confermasse
tutto. Ma il suo
Mark, benché condividesse gli stessi poteri del Viaggiatore,
non aveva i suoi ricordi.
Pertanto era inutile cercare risposte in lui.
«E
poi? Che è successo dopo?» Chiese questa volta
Dave.
«Bhe,
Dave… ormai avevo fatto la mia scelta. Avevo deciso di
restare qui
a osservarvi, ma non avrei mai immaginato che la mia morte vi avrebbe
sconvolto
fino a questo punto… » si fermò e guardò
ancora una volta Theodore.
Come
darle torto? Si disse tra sé e sé Alvin.
«…
vi ho osservati mentre,tra una discussione e l’altra, la
nostra
famiglia si sfaldava come tanti tasselli di un puzzle, e io non potevo
fare
nulla per impedirlo. Voi non sapete quante volte avrei voluto potervi
contattare per dirvi di farvi forza e di andare avanti. Insomma, voi
soffrivate
per me, e io ero qui che cercavo in tutti i modi di dirvi che in fin
dei conti
stavo bene. Che ero solo da un'altra parte, ma sempre con
voi!» Quest’ultima
frase, Eleanor la disse rivolgendosi a Theodore, che più di
tutti aveva bisogno
di sentire quelle parole.
Simon
rivolse lo sguardo a Mark e fu lì che finalmente comprese
ciò a
cui Eleanor stava mirando.
La
Chipette si accorse di questo e glielo confermò.
«Sì,
Simon. Per anni avevo cercato di contattarvi tramite i vostri
sogni, ma non ero in grado di raggiungervi. Voi spesso mi sognavate, ma
in
realtà – immagino ve ne siete già
accorti – quella non ero io… »
Brittany
annuì. In quella parte del racconto Ellie aveva alluso ai
suoi
incubi ricorrenti.
«…
sapevo che lo spirito del Viaggiatore si era reincarnato nel corpo di
vostro figlio, ma non sapevo che avesse i suoi stessi poteri. Ma quando
ieri
sera, vi aveva condotto tutti e tre in quel sogno condiviso, avevo
cercato
subito di condurvi qui… »
«Il
terremoto… oddio… non era il sogno che stava
collassando… eri tu
che… ?»
«Sì,
Jean.» Le confermò Eleanor.
Jeanette
si portò le una mano alla bocca. Sconvolta da quella
rivelazione.
«Pensavi
che fosse colpa dell’inesperienza di Mark coi suoi poteri,
invece ero io che tentavo di condurvi nel Limbo per potervi
parlare.»
Jeanette
rivolse lo sguardo a Simon e Mark e si scusò con loro.
«Oh,
non sentirti in colpa. Se proprio deve esserci una responsabile,
quella sono io. Avrei dovuto parlarvi fin da subito come ho fatto sta
volta, è
solo che temevo che non mi avreste dato retta, che avreste pensato che
la mia
voce facesse parte del sogno.»
«Sei
stata tu quindi? Sei entrata in uno dei miei sogni e mi hai detto
che avremo dovuto chiedere aiuto a Mark e sognare insieme
affinché tu potessi
riprovarci?»
«Non
è proprio corretto, Simon. Se fossi riuscita a entrare in un
tuo
sogno sarebbe stato più facile. Ho solo cercato di fare
ciò che potevo per
trasmetterti il messaggio. Ecco perché sta mattina credevi
di avermi sognato benché
non ne comprendessi la ragione. Io non sono una Viaggiatrice. Non
è tra i miei
poteri comunicare coi Vivi attraverso i loro sogni. Ma sono felice che
le
circostanze mi abbiano permesso ugualmente di portarvi qui. La
verità, ragazzi,
è che volevo solo dirvi di non soffrire più per
me. Io sono sempre stata qui
con voi, anche se non potevate vedermi.»
La
Chipette li lasciò un attimo riflettere in silenzio sulle
sue parole,
quando Theodore poggiò la sua mano su una spalla.
«Ellie…
io volevo solo... chiedere scusa per…»
«Theo.
Non devi scusarti di nulla! L’incidente è stato
solo uno stupido
scherzo del fato. So che in questi sedici anni ti sei sentito
responsabile di
tutto, ma non è così…»
«No!
Non è per quello… ecco, volevo solo scusarmi per
come mi sono
comportato in questi anni… tutti gli altri hanno cercato di
andare avanti, di
rifarsi una vita, mentre io sono stato solo capace di stare seduto in
un angolo
della casa a incolparmi per l’incidente e per tutto quello
che stava accadendo
intorno a me… quindi, chiedo scusa a tutti, ma
soprattutto…chiedo scusa a te.»
Theodore
si sentì improvvisamente più leggero. Come se si
fosse levato
dalla schiena un macigno di una tonnellata.
La
sua amica fu molto felice di sentirglielo dire, e anche se non lo
disse a voce, si sentì fiera di se per essere riuscita
finalmente a sbloccarlo.
Gli sorrise e lo baciò delicatamente sulla guancia. Per un
breve istante i loro
occhi si incrociarono, dopo di che, lei lo abbracciò ancora,
e sta volta, fu ricambiata.
Si
tennero stretti l’un l’altra per qualche secondo,
mentre gli altri se
ne stavano in disparte osservandoli.
Alvin
e Simon tirarono finalmente un sospiro di sollievo. Theodore si
era finalmente ripreso.
Simon
attese che i due finissero, per intervenire.
«Bhe,
anch’io credo di dovervi delle scuse… »
si rivolse a tutti «Non
dovevo prendermela in quel modo quando Alvin e Brittany avevano deciso
di
partire per New York. Sono stato egoista.»
«Vuoi
scherzare?! No, Simon! Avevamo già chiarito questo discorso,
sono
stato io a voler partire a tutti i costi portandomi con me Brittany
quando
Jeanette aspettava Mark!» Obbiettò Alvin.
A
quel punto Dave decise di intervenire e dire la sua. Aveva taciuto per
troppo tempo nel corso degli anni, ora era arrivato il momento di
prendere
posizione, così come aveva sempre fatto prima del giorno
dell’incidente.
«Ragazzi.
Dobbiamo guardare in faccia la realtà. Eleanor ha ragione.
Non
esiste un solo colpevole. Nessuno di noi e responsabile più
degli altri. E’
vero, Alvin è stato egoista a voler partire abbandonando
tutti, così come Simon
ha esagerato a reagire in quel modo. Ma poi ci sono state Jeanette e
Brittany,
che si sono fatte trascinare da loro due invece di tentare di trovare
una
soluzione. Theodore, che ha trascorso gli anni chiuso in se stesso e
dandosi
colpe che non aveva per la morte di Eleanor e io, che avrei dovuto fare
qualcosa per salvare la stabilità della nostra famiglia,ma
che invece non ho
fatto altro che stare in disparte lasciando che le cose accadessero e
basta.
Ognuno ha fatto la sua parte commettendo i suoi sbagli.»
Eleanor
sorrise alle parole di Dave.
«Non
avrei potuto dirlo con parole migliori! Dave, gli anni sono
passati, ma tu non hai perso il tuo smalto!»
L’anziano
le fece l’occhiolino e passo una mani tra la folta barba
bianca.
«Ora
è arrivato il momento di andare, ragazzi. Il Limbo non
è un posto
per i Vivi, e voi dovete tornare nel vostro mondo e continuare a
viverlo al
meglio.»
«E
tu che farai?» chiese Theodore. Nel suo tono di voce, una
vena di
apprensione per la consapevolezza che quel magico momento con Eleanor
al suo
fianco stava finendo.
«Io
dovrò restare qui. Le mie scelte le ho fatte e ora il mio
posto è
nel Limbo…» si fermò e gli prese le
mani tenendole tra le sue «ma continuerò a
osservarvi. Voi non potrete vedermi, ma ci sarò sempre. Se
vorrete parlarmi, se
vorrete mostrarmi qualcosa, io sarò lì con
voi…»
Le
parole di Eleanor avevano un che di familiare a Jeanette, come una
sensazione di déjà vu. Le sembrava di sentir
parlare il Viaggiatore dei Sogni
Mark. La stessa saggezza, le stesse consapevolezze sulle sue
capacità. Forse era
una caratteristica comune a tutte le anime che facevano parte di quella
realtà,
del Limbo, dei Mondi dei Sogni, dell’aldilà.
Eleanor
si diresse a passi lenti verso il giovane Mark.
«Tocca
a te adesso, piccolo. Devi portarli fuori da qui.»
«Oh,
sì… ma, non so come fare, Zia. Questi miei
poteri… non ho ancora
imparato a usarli bene… » La avvertì
imbarazzato.
Eleanor
lasciò intravvedere un altro piccolo sorrisetto appena
appena
accennato.
«Non
ti preoccupare. Te lo spiegherò io, ma tu continua a
esercitarti.
Hai un potere unico. Non sprecarlo!»
«Non
lo farò, promesso! Mi eserciterò e
diventerò un grandissimo
Viaggiatore dei Sogni!» Annunciò entusiasta Mark e
facendo sentire i suoi
genitori fieri di lui.
«Molto
bene… » Ellie parlò rivolgendosi a
tutto il gruppo «ora dobbiamo
salutarci. Aiuterò Mark a farvi uscire dal Limbo mentre lui
cercherà di farvi
svegliare. Jeanette, tu conosci alcune delle capacità dei
Viaggiatori, devi
aiutarci.»
Jeanette
annuì decisa.
«Addio
ragazzi, è stato bello poter parlare con voi ancora una
volta.»
I
Chipmunks e le Chipettes si unirono in un abbraccio di gruppo che li
fece tornare per un istante dei ragazzi e rivivere le emozioni dei
vecchi tempi,
poi si salutarono con la loro amica Eleanor. Quindi si separarono e si
fecero
in disparte per permettere anche a Dave di darle l’addio.
Theodore
avrebbe voluto restare lì con lei. Gli spezzava il cuore
doverla lasciare proprio ora che finalmente l’aveva
ritrovata, ma era la sua
volontà, e lui doveva accettarla.
Eleanor
spiegò a Jeanette e a Mark quello che avrebbero dovuto fare
col
suo aiuto.
Mark
avrebbe dovuto concentrare tutto il suo potere nella volontà
di far
uscire la famiglia dal sogno dal quale era partito il loro viaggio,
mentre il
compito di Jeanette sarebbe stato quello di dargli supporto
affinché il compito
del piccolo chipmunk fosse più facile.
Madre
e figlio si presero per mano, in modo da unire le proprie forze, e
insieme pensarono intensamente allo svegliare il resto del gruppo.
Nel
frattempo Eleanor doveva fare la sua parte cercando di farli uscire
dal Limbo. Sarebbe stato impossibile riuscirci senza l’aiuto
dei poteri dei
Viaggiatori dei Sogni, ma grazie agli sforzi congiunti della sorella e
del
nipote, poteva sentire la resistenza delle forze che regolavano quel
mondo,
farsi sempre più deboli.
Il
resto del gruppo attese che succedesse qualcosa, non potevano fare
molto altro. Erano in gioco forze che purtroppo andavano al di
là della loro
comprensione.
D’un
tratto i loro occhi furono accecati dallo stesso bagliore bianco
visto al loro arrivo nel Limbo, seguito dall’acuto stridio di
vetro sulla
lavagna che annunciava il trapasso dalla dimensione di Eleanor al loro
mondo.
8.10:
(Casa
di Simon e Jeanette)
Il
trapasso dal Limbo alla realtà era riuscito con successo.
Dave
e tutti i chipmunk presenti alla seduta di Simon si svegliarono con
successo nel salotto dal quale era partito il loro viaggio.
Alvin
aprì gli occhi e si mise in piedi. La testa gli girava e
aveva la
vista leggermente annebbiata.
Non
distingueva ancora bene le immagini di cosa lo circondava, ma a
giudicare dai brontolii e dalle lamentele degli altri, capii che non
era
l’unico a trovarsi in quella situazione.
Attese
alcuni secondi sbattendo rapidamente le palpebre, fino a che non
era tornato a vedere tutto chiaramente.
«State
tutti bene?» Chiese quindi.
Alcuni
risposero di sì, ma Jeanette si lamentò di un
acuto mal di testa.
«E’
per l’effetto del viaggio, credo. Fa male anche
me.» La informò
Mark.
«Quindi
che altro succederà ora?»
«Niente,
credo che ormai sia finita.» Gli rispose Simon.
Theodore
fu l’ultimo ad alzarsi, e in lui le parole del fratello
rimbombarono in testa più che a qualunque altro.
Era
davvero tutto finito?
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Capitolo 9 *** 9: Nostalgia ***
9.1:
14
FEBBRAIO 2029 (Casa di Dave)
Erano
passati tre giorni dal viaggio intrapreso nel Limbo per incontrare
Eleanor. Non solo. Era anche il sedicesimo anniversario dalla sua
morte.
Benché
sapesse che da un certo punto di vista Ellie in realtà era
ancora
viva e lo stava guardando, Theodore non era riuscito a
contenere la tristezza dell’averla perduta
ancora una volta.
Prima
di dirsi addio, gli aveva fatto promettere che non si sarebbe
più
tormentato per lei, e in effetti nei giorni seguenti aveva cercato di
prestar
fede alla sua parola.
Ora
però, nel giorno di San Valentino 2029, il peso dei ricordi
era
tornato a farsi imperturbabile e a tormentarlo.
Era
in camera sua, seduto sul bordo del suo letto e con in mano la
scatoletta con l’anello “T&E”.
Quante
volte si era trovato in una situazione simile, a osservare con
tanta intensità quel piccolo oggettino seduto sul suo letto
e in completa
solitudine? Ma non era mai stato solo, finalmente lo capì.
Eleanor era sempre
lì con lui, anche se non poteva saperlo.
Cominciò
a ridacchiare, immaginandosi la reazione che potrebbe aver
avuto Ellie nel Limbo, vedendolo comportarsi così.
«E’
divertente, sai! Per dieci anni non ho trascorso un solo giorno
senza rammaricarmi per non avertelo mai potuto dare, e ora scopro che
tu l’hai
sempre saputo! E così, vero?»
Tutto
tacque.
«Sì,
lo so. Non puoi rispondermi. Ma so che mi hai sentito. Io…
spero
solo che ti piaccia… tanti auguri Ellie, ti voglio
bene.»
Nel
Limbo, avvolta nell’oscurità di quel mondo vuoto,
la Chipette
ricambiò l’augurio di Theodore, e come lui, anche
a lei si dispiacque che non
potesse sentire la sua voce.
Baciò
la superficie dell’anello, fedele al suo rituale. Questa
volta,
però, non lo ripose in un angolo nascosto di qualche
cassetto o sotto il
cuscino del suo letto.
Lo
estrasse dalla piccola scatoletta che fungeva da custodia e dopo aver
riflettuto per un momento su quanto stava per fare, se lo
infilò sul polso
destro a mo’ di braccialetto. Esattamente come lo aveva
immaginato indossato da
Eleanor il giorno dell’incidente.
Lo
ammirò un po’ e lo girò sulla parte
sulla quale erano incise le loro
due iniziali in modo che fossero ben visibili.
«Che
ne dici se lo porterò io per te?»
Non
udì risposta, ma dal Limbo lei poté udire lui.
«Sì,
Theo… è bellissimo. Non merita di essere chiuso
in un cassetto.»
Theodore
saltò giù dal letto e baciò
l’aria, immaginandosi di averla di
fronte a se. Poco dopo anche Eleanor lo fece.
Per
quanto fosse un gesto curioso, di fronte a una distanza così
sconfinata la forza dell’immaginazione era la loro
l’unica via.
Theodore
uscì dalla stanza e si avviò lungo il corridoio,
diretto verso
le scale per il piano terra, quando uno squillo di suoneria, seguito da
alcuni
gemiti provenienti dalla camera di Alvin e Brittany, attirarono la sua
attenzione.
Normalmente
l’avrebbe ignorato, ma sta volta sentiva di dover fare
qualcosa per far sentire maggiormente la sua presenza in casa.
Nella
stanza trovò Brittany, che tentava di salire sul comodino
sopra il
quale era riposto il suo cellulare. Un modello di Nokia relativamente
piccolo,
ma comunque ingombrante per la ridotta taglia della Chipette.
Mentre
l’apparecchio squillava, lei cercava di aprire uno dei
cassetti
per saltarci sopra come se fosse un gradino, ma il pancione della sua
gravidanza le rendeva molto gravosa l’operazione, oltre che
rischiosissima nel
caso avesse perso l’equilibrio e fosse caduta.
«Lascia,
ci penso io.» Si offrì Theodore.
«Oh,
ciao Theo… »
Theodore
saltò sul letto.
«…
stavo facendo un po’ di ordine nelle valige e si è
messo a squillare.»
Spiegò lei.
Theodore
prese il cellulare dal comodino e glielo portò, ma poco
prima
che rispondesse, smise di squillare.
«Oh…
pazienza. Grazie lo stesso. Sei stato gentilissimo, Theo.» Lo
ringraziò sorridendo.
«Sì,
bhe… ti avevo visto in difficoltà e ho pensato
che avrei potuto
essere utile.»
«E
lo sei stato! Se era importante richiameranno.»
«Già.
Ora ti lascio… alle vostre valige… ah, a
proposito. Alvin dov’è?»
«Ha
detto che andava con Dave a fare delle spese. Poi credo che andranno
a prendere Mark a scuola. Oggi deve venire da noi.»
«Capisco.
Bhe, ora vado… se dovessi avere bisogno di aiuto…
non esitare
a chiamarmi.»
«Certo,
e grazie ancora.»
Theodore
si girò e si avviò verso l’uscita della
stanza.
«Theo,
aspetta…» lo chiamò Brittany.
«Sì?»
«Ho
visto che hai messo l’anello di Ellie al polso…
»
Theodore
guardò l’anello, focalizzando la sua attenzione
sull’incisione
T&E, prima di tornare a rivolgere la sua attenzione a Britt.
«Come
fai a sapere che è suo?»
«Dave
me ne aveva parlato, due anni fa. Lo aveva trovato sotto il
cuscino del tuo letto. Credeva che l’avessi buttato via, ma
quando poi lo ha
visto, aveva immaginato che tu volessi tenerglielo nascosto, e
così è stato
zitto.»
Il
chipmunk lo guardò ancora una volta. Non poteva credere a
quanto
aveva appena sentito. Per anni aveva cercato di tenerlo nascosto a
tutti, farne
un proprio personale e segretissimo feticcio, e proprio ora che si era
deciso a
rivelarlo al mondo, ecco scoprire che in realtà non era poi
quel grande
segreto.
«Certo
sarebbe bello se fosse possibile rivederla ancora una volta…
»
aggiunse la Chipette.
«Cosa?»
«Voglio
dire, tornare nel Limbo… in questi giorni mi sono chiesta se
fosse possibile farlo… pensa, ho perfino sperato di
sognarla, solo per riuscire
a convincerla a riportarmi lì con lei… a te
è successo?»
Theodore
ci rifletté su. Era una conversazione strana quella in cui
Brittany lo aveva appena introdotto.
«Sì,
è vero. Ho desiderato tante volte di poterla rivedere, e
vorrei
farlo ancora una volta… ma non credo sia più
possibile…»
Il
volto di Brittany assunse un’espressione rammaricata.
«Già…
anche se riuscissimo a entrare in un sogno condiviso con
l’aiuto
di Mark, non credo che lei ci permetterebbe più di
raggiungerla…»
Theodore
sussultò, ma senza che Brittany se ne accorgesse.
Al
piano terra la porta d’entrata si spalancò, e la
voce di Dave
annunciò che erano tornati.
«Hanno
fatto presto!» Commentò Britt, poi
superò Theodore e si avviò
verso l’uscita della stanza, con l’intenzione di
scendere al piano terra per
raggiungerli.
«Tu
non vieni, Theo?» Chiese al chipmunk che era rimasto nella
stanza.
«Uh,
sì, sì, scusa… mi ero distratto un
attimo… » le mentì. In
realtà si
era messo a riflettere su una frase detta dalla Chipette. Gli venne
anche
un’idea, e per poterla portare a termine avrebbe avuto
bisogno dell’aiuto di
Mark.
Si
augurò solo che suo nipote sarebbe stato disposto a dargli
retta.
9.2:
«Hey,
siete già tornati?!» Disse ad alta voce Brittany
dal piano
superiore.
Da
basso, Mark si affacciò ai piedi della scala.
«Ciao
Zia Britt! Oggi a scuola c’era uno sciopero degli insegnanti,
ci
hanno fatto uscire prima!» Spiegò Mark con una
vena di allegria nella sua voce.
Brittany
ricambiò il saluto prima di vedere Dave farsi avanti per
chiederle se aveva bisogno di aiuto per scendere.
«In
effetti sì, per favore.»
L’uomo
salì e la prese in mano. Theodore era lì nel
corridoio, e quando
Dave vide sul suo polso sinistro l’anello di Eleanor, i due
si scambiarono in
silenzio alcuni sguardi.
«Hey,
Dave. Mi vieni a dare una mano? Non ce la faccio da solo!»
chiese
Alvin dal piano terra, alludendo alle borse della spesa che a fatica
tentava di
trascinare in casa.
«Sì,
eccoci. Arrivo subito!»
Dave
scese le scale con Brittany in mano e Theodore al seguito. Quando
la appoggiò a terra, lei e il suo compagno si scambiarono un
amorevole bacio
per salutarsi, poi Alvin fu colto dal desiderio di parlare al suo
pancione. Mentre
lo faceva, appoggiando testa e orecchio sul ventre di Brittany, Dave
uscì per
prendere il resto della spesa dall’auto e recuperare quella
che Alvin era
riuscito a trascinare fino all’entrata della casa.
«Zio
Theo, come ti senti?» Chiese Mark.
«Meglio
del solito, a dire il vero… » lo
afferrò e lo porto in disparte
in un’altra stanza, guardando, nel frattempo, verso gli altri
per assicurarsi
che nessuno li vedesse allontanarsi «io e te dopo dobbiamo
parlare. Devo
chiederti un grosso favore.»
«Oh…
di che si tratta?» Domandò Mark ad alta voce, ma
Theodore gli fece
cenno di abbassare il tono.
«Scusa.»
Bisbigliò il piccolo chipmunk
«Non
fa niente, comunque dopo pranzo ti spiego. Ma per favore, evita di
farne parola con gli altri, ok?»
Mark
era confuso, ma aveva preso in simpatia lo Zio da quella sera in
cui gli aveva dato lezioni su come suonare l’armonica,
perciò acconsentì.
«Ok!»
«Bene,
ora torniamo dagli altri prima che si insospettiscano.»
«Sì»
Raggiunsero
il corridoio dell’atrio, dove trovarono Alvin e Brittany che
si stavano dirigendo alla sala da pranzo.
«Dov’eravate
finiti?» Chiese Brittany.
Troppo
tardi, possiamo dire addio alla segretezza, si disse tra sé
e sé
Theodore.
Aprì
la bocca cercando le parole per improvvisare una risposta, ma fu
anticipato da Mark.
«Gliel’ho
detto io di venire di là con me, volevo sapere delle cose
sulla Zia Ellie.»
Theodore
si stupì della rapidità e della naturalezza con
la quale il
piccolo chipmunk aveva inventato quella menzogna. Gli tornò
in mente la volta
in cui Alvin disse a qualcuno di loro, anni prima, che le migliori
bugie sono
quelle che hanno un piccolo fondo di verità nel loro
contenuto. In questo caso,
Eleanor era più che pertinente. Ma non capì come
faceva a conoscerla anche Mark
questa regola. Che gli si sia stata insegnata dallo stesso Alvin? Ad
ogni modo,
ora doveva aggiungere qualcosa anche lui per dare
credibilità alla bugia.
«Già,
è vero… » cominciò
«ma come ti dicevo, non c’è bisogno di
parlarne
di nascosto, puoi chiedermi quello che vuoi anche di fronte agli
altri.»
«Sì,
sì. Ho capito!» Resse il gioco Mark.
«Oh,
ok. Comunque noi andiamo di là in sala da pranzo. Dave sta
già
preparando da mangiare.» Lì avvertì
Brittany.
«Va
bene, arriviamo subito.» Concluse Theodore.
Mentre
Alvin e Brittany si allontanavano, Theo guardò Mark con
espressione sgomenta per la bugia appena raccontata, e di tutta
risposta il
piccolo chipmunk gli fece l’occhiolino per poi dirigersi
dagli altri nell’altra
stanza con un ghigno soddisfatto stampato in volto.
«Questo
piccoletto è pieno di sorprese»
bisbigliò Theodore, parlando da
solo.
9.3:
Il
pranzo era stato particolarmente anonimo.
Niente
conversazioni interessanti o riguardanti Eleanor e il viaggio nel
Limbo (si erano esaurite già dal giorno prima).
L’unica
cosa che spezzò la routine fu una domanda azzardata da
Theodore
su quando sarebbero ripartiti Alvin e Britt per New York e come
risposta gli fu
detto che sarebbero rimasti un’altra settimana.
Al
termine del pranzo, dopo aver atteso un po’ seduto al suo
posto sopra
il tavolo, il chipmunk si rivolse a Dave «Dave, per caso ce
l’hai ancora la
vecchia armonica di Alvin? O l’hai buttata via?»
L’uomo,
che stava lavando i piatti nella parte della stanza adibita alla
cucina, si fermò e d’istinto ripeté il
suo gesto di passarsi la mano tra la
barba, riflettendo alla domanda del chipmunk.
«No.
Credo che sia ancora qui, da qualche parte. Hai provato a guardare
nei cassetti vicino alla tv?»
«No,
ma mi dovrai dare una mano ad aprirli… » lo
avvertì Theodore.
«Non
c’è problema. Vieni con me.»
Dave
e Theodore si diressero in salotto, seguiti da Mark, che pensava
che anche questo facesse parte del “discorso” nel
quale lo Zio voleva
coinvolgerlo.
L’uomo
raggiunse il mobile con i cassetti in questione e lì
aprì uno ad
uno alla ricerca dell’armonica, dopo un paio di minuti di
esplorazione, la
trovò.
«Trovata!»
Esultò. Poi la consegnò in mano a Theodore.
«Ecco,
tieni.»
«Grazie.»
«A
che ti serve, se posso sapere?»
«No,
niente. Volevo solo far sentire dei motivi a Mark. Sai, visto che
Alvin gliene ha regalata una per il suo
compleanno…»
«Ah,
capisco… bhe, Ok allora. Fate pure!» Concluse Dave
senza, però,
riuscire a trattenersi dal fare un ampio sorriso che non
passò inosservato.
«Che
c’è?» Gli domandò allora
Theodore.
«E’
incredibile quanto tu sia cambiato in questi giorni… sono
contento
che anche tu sia finalmente tornato con noi.»
Già,
il nonno ha ragione. E’ cambiato tantissimo! Si disse tra
sé e sé
Mark.
«Già…
anch’io, credo… » sussurrò
Theodore «dai, vieni con me, Mark.» Lo
chiamò poi.
«Hey,
aspetta! Dove andate? Non vi mettete qua in salotto?»
«No,
Dave. Andiamo di sopra nella mia stanza.» Obbiettò
Theodore.
«Ah…
d’accordo.»
I
due chipmunk, Zio e nipote, si avviarono sulle scale per il piano
superiore.
«Vuoi
farmi delle ripetizioni di armonica, Zio Theodore?»
Domandò poco
dopo Mark.
Theodore
non rispose subito, ma aspettò di percorrere altri quattro
gradini prima di cominciare a parlargli bisbigliando.
«No.»
Gli rispose con una risposta secca, e per la seconda volta lo
invitò a gesti di parlare a bassa voce.
«Ok…
ma quindi? Perché hai chiesto al nonno Dave
l’armonica?»
«Perché
non volevo che si insospettissero.»
«Non
capisco… insospettirsi per cosa?»
«Aspetta
che arriviamo nella mia stanza e te lo dico.»
Percorsero
quindi anche il corridoio del piano superiore, fino a
giungere alla stanza di Theodore. Il chipmunk chiuse la porta e
iniziò a
parlare.
«Mark,
dimmi una cosa… »
«Sì,
Zio Theo?»
«Ecco,
questa cosa del Viaggiatore dei Sogni, come funziona?»
Dalla
sua espressione, Theodore si rese conto che Mark non aveva capito
la domanda.
«Voglio
dire, com’è controllare i sogni e poterli
modificare a
piacimento?» Aggiunse.
«Ah…
bhe, è strano… delle volte è come con
il… pongo… sì, come il pongo!
Posso fare quello che voglio semplicemente pensandolo! Altre volte
però… per
esempio con la Zia Eleanor e la Mamma… non lo so…
loro sanno fare delle cose
che io proprio non capisco… la Zia per esempio, con quella
cosa del Limbo. E’
strano. Devo ancora allenarmi molto.»
Theodore
rimuginò sulle parole del nipote. Cominciò a
chiedersi se Mark
sarebbe riuscito a fare quello che lui avrebbe voluto, o per lo meno,
se ci
avrebbe mai provato.
«Perché
me lo hai chiesto?» Lo anticipò il piccolo
chipmunk.
Theodore
cercò di eludere la domanda.
«Dimmi
una cosa, se adesso mi mettessi a dormire, credi che potresti
rifare la cosa che hai fatto l’altra volta?»
Mark
era confuso.
«In
che senso?»
«Voglio
dire, entrare nel mio sogno, fare le cose che i tuoi poteri da
Viaggiatore dei Sogni ti permettono?»
Il
piccolo rimuginò sulle parole dello Zio per una manciata di
secondi.
«Hmm,
credo di sì, ma dovrei dormire anch’io, e la mamma
non vuole che
faccia sogni condivisi senza la sua presenza… »
«Ah
sì? Eppure la Zia Eleanor aveva detto che non era stata
colpa tua se
i tuoi precedenti sogni si erano distrutti. Era lei che cercava di
portarvi nel
Limbo.»
«Sì,
però la mamma vuole comunque che mi eserciti insieme a
lei… sai,
nel caso dovessi perdere il controllo del sogno e… ma,
Zio… » Mark spalancò gli
occhi dalla sorpresa, forse aveva capito a cosa Theodore puntasse
«vuoi… vuoi
chiedermi di riportarti nel Limbo?!»
Anche
Theodore si stupì. Suo nipote era riuscito a coglierlo alla
sprovvista ancora una volta. Era sicuro di non aver fatto parola sul
fatto di
voler tornare lì. Gli aveva solo chiesto se fosse stato
possibile portarlo con
se in un sogno condiviso, ma nonostante ciò, Mark era
riuscito ad arrivare al
punto prima ancora che Theodore trovasse le parole per chiederglielo.
Forse era
per effetto degli anni trascorsi in quasi totale silenzio e solitudine,
che lo
hanno fatto diventare meno furbo di quanto credeva di essere, oppure
era solo
suo nipote a essere più sveglio di quanto non avrebbe dovuto
esserlo alla sua
età.
«No
Mark. So che non puoi farlo… » iniziò a
spiegare.
«E
allora perché?» Lo interruppe precipitosamente il
ragazzino.
«Bhe…
» rifletté sulle parole da usare per la risposta,
consapevole che
da qualche altra parte, in un altro mondo, Eleanor probabilmente lo
stava già
ascoltando «vorrei che tu mi portassi con te in un sogno
condiviso… e io poi… »
si fermò ancora una volta e prese una lunga boccata
d’aria, strinse i pugni e
si preparò a concludere la frase
«chiederò alla Zia Ellie di riportarci lei nel
Limbo… »
9.4:
Le
carte erano al banco. La richiesta a suo nipote Theodore
gliel’aveva
fatta, e ora attendeva la sua reazione, sperando di non dover insistere
troppo
per doverlo convincere.
«Io…
io non so… » farfugliò Mark.
Theodore
sospirò.
«Mark,
quello che ti sto chiedendo è difficile, è vero.
Ma vorrei solo
parlarle ancora una volta. L’altro giorno non ho avuto il
tempo per farlo.
Vorrei solo un’altra occasione… » mentre
spiegava, oltre che a convincerlo, si
augurava anche che dal Limbo Eleanor lo stesse ascoltando, e fosse
disposta ad
assecondare la sua volontà benché gli avesse
espressamente detto di andare avanti
e non cercare più di raggiungerla «una sola volta.
Dopo non te lo chiederò più!»
«Zio
Theodore, io… vorrei aiutarti, ma ho paura. E se poi ci
dovessero
essere problemi nel sogno? La mamma sa sempre cosa devo fare per
uscire, ma non
ho mai controllato un sogno condiviso senza di lei… e se
qualcosa dovesse
andare storto io non riuscirò a riportarci fuori?»
«E’
davvero così pericoloso?» Chiese Theodore,
perplesso.
«Sì!
La mamma me l’ha spiegato. Secondo lei, se un sogno dovesse
collassare mentre noi stiamo ancora dormendo, potremo non riuscire
più a
svegliarci!»
Come
in un coma, pensò Theodore. Improvvisamente gli tornarono a
mente
le sensazioni provate durante quei tre anni seguenti
all’incidente, quando lui
stesso era ridotto allo stato vegetativo. Allora era riuscito a
uscirne, ma sta
volta? E se fosse successo anche a Mark?
Dopo
aver trascorso un terzo abbondante della sua vita con la
convinzione di essere in qualche modo responsabile della scomparsa di
Eleanor,
non poteva permettere che un’altra tragedia colpisse la loro
famiglia
finalmente riunita, tanto meno se questa volta oltre a lui sarebbe
stato
coinvolto anche il piccolo Mark.
«Zio
Theo… ?»
«Uh?
Oh scusa, ero sovrappensiero… senti, hai ragione…
è rischioso.
Lasciamo perdere.» Decise.
«Sei
sicuro?» Gli chiese il nipote.
Rifletté
per alcuni secondi.
«Sì…
torniamo dagli altri. E scusami, non avrei mai dovuto chiederti una
cosa del genere.»
Si
avviò per uscire dalla stanza, ma Mark lo fermò.
«Aspetta!»
Theodore
si voltò.
«Sì?»
«Io
vorrei… vorrei provare!» Annunciò.
Non
c’è due senza tre. Ancora una volta, il piccolo
chipmunk era
riuscito a cogliere di sorpresa suo Zio.
«Mark,
ora te lo chiedo io: sei sicuro?»
«S-sì!»
Qualcosa nella sua voce fece capire che non ne era del tutto
certo. Per un istante stava per fare marcia indietro, ma poi decise che
avrebbero dovuto almeno tentare.
«Ok,
quindi, se ne sei convinto… che dobbiamo fare? Ci mettiamo a
dormire?» Domandò cercando di mantenere un
atteggiamento calmo e controllato. Almeno
esteriormente, perché dentro di se scoppiava di gioia come
quando rivide Ellie
per la prima volta nel Limbo.
«Sì,
basta solo questo. Almeno per iniziare.»
«E
per raggiungere il Limbo? Come abbiamo fatto l’altra
volta?»
«Non
lo so… forse dovremo provare a chiamare la Zia Eleanor e
sperare
che ci porti da lei… »
Il
chipmunk adulto rimuginò sulle parole del giovane.
Provò anche a
pensare a un piano B, qualcosa che potessero fare in caso Eleanor non
fosse
riuscita a condurli nel suo mondo o avesse deciso di ignorarli, ma non
gli
venne in mente niente.
«Bhe,
se vogliamo arrivare da lei non c’è molto altro
che possiamo fare,
giusto, Mark?»
«Già…»
«Ok…
allora saltiamo sul mio letto e dormiamo. E buona fortuna,
ragazzo.»
«Grazie,
Zio. E buona anche a te, spero che riusciremo a raggiungere la
Zia.»
«Lo
spero anch’io… dai, su. Andiamo a
dormire.»
9.5:
Theodore
si addormentò subito, e in men che non si dica, era
già in un
sogno.
Era
strano. Normalmente, sognando, c’era sempre una strana
sensazione di
realismo in quello che si viveva. Non ci si rendeva conto di essere
dentro a un
sogno fintanto che un qualche elemento insolito o ricorrente non
facesse capire
che in realtà si stava, appunto, sognando. Questa volta,
però, Theodore era
pienamente conscio della cosa.
Da
quello che aveva capito dai discorsi di Jeanette e degli altri,
questo era un effetto collaterale del vivere un sogno condiviso con un
Viaggiatore dei Sogni. Era una sensazione simile al ricercare il volto
di una
persona in particolare in una foto di gruppo. Nel momento in cui si
identifica
la faccia cercata, ritrovarla tutte le successive volte non richiede
alcuno
sforzo. Allo stesso modo. Dopo la prima esperienza di condivisione del
sogno,
si imparava e distinguere chiaramente la realtà dal mondo
immaginato nella
propria fase rem.
Il
Mondo del Sogno dentro il quale si trovò Theodore era
ambientato
all’interno di un luogo che lui identificava come la casa
della famiglia di
Simon, si chiese quindi se Mark non lo avesse già condotto
da lui.
Lo
chiamò ad alta voce un paio di volte, e non ricevendo
risposta,
cominciò ad esplorare le stanze. Entrò prima
nella cucina, che però era più
simile a quella di Dave che non a quella di suo fratello, poi
andò nel salotto,
e ricordandosi della porta che conduceva alla terrazza con vista sulla
città,
si diresse verso quella direzione.
Uscì
fuori, e improvvisamente non era più
nell’appartamento di Simon e
Jeanette. Era sul tetto di un enorme grattacelo. Il pavimento di
cemento bianco
rifletteva i raggi di un sole intenso che allungava i suoi raggi di
luce sulla
città.
Camminò
fino al margine del palazzo e guardò verso i grattaceli in
lontananza.
Si
sentì come se fosse sul tetto del mondo e l’abisso
davanti a se gli
infondeva una strana sensazione di sollievo.
Provò
il desiderio irrefrenabile di fare un passo in avanti e di
lasciarsi precipitare nel vuoto. Sì, lo voleva fare, lo
doveva fare. Alzò la
gamba destra e molto lentamente, la allungò in avanti.
«Zio
Theo?»
Era
Mark.
Sentire
la sua voce lo fece tornare in se.
«Mark?
Bene, ce l’hai fatta! Siamo nel tuo sogno.»
Il
piccolo chipmunk si guardò intorno disorientato.
«Veramente…
questo è il tuo, Zio.» Obbiettò.
Theodore
spalancò gli occhi.
«Sei
sicuro?»
«Sì.
Al cento per cento. Non sono ancora bravo a portare gli altri nei
miei. E’ molto più facile quando devo
raggiungervi.»
Theo
si voltò verso il baratro che si estendeva al bordo del
grattacelo
su cui si trovavano. Aveva davvero sognato lui quel luogo?
Perché?
«Credi
che riusciremo a contattare Eleanor da qui?»
Domandò al nipote
con voce malinconica.
«Non
saprei… credo che non importi molto in che sogno ci
troviamo.»
In
questo caso, dovevano solo chiamarla. Chi sa se li avrebbe ascoltati?
Si chiese Theodore.
«Ellie…
» la chiamò ad alta voce «se veramente
puoi vederci e sentirci…
allora probabilmente sai perché siamo qui. Per favore, se
puoi portarci ancora
una volta da te, io… ti supplico… voglio poterti
parlare solo un’altra volta… »
Dopo
di ciò, entrambi restarono in silenzio, aspettando
un’eventuale
risposta, che non ci fu.
«Ellie,
lo so che mi hai detto di andare avanti, ma… »
«Forse
non può sentirti da qui…» si intromise
Mark.
«…
non chiedo altro che di rivederti per una sola volta. Una sola, poi
te lo prometto, andrò avanti come tu vuoi!»
Continuò Theodore, ignorando le
parole del nipote.
Ancora
una volta, nessuna risposta.
«Ellie…
»
Era
tutto inutile. Se Eleanor poteva sentirlo, Aveva deciso di non
ascoltarlo.
Theodore
abbassò lo sguardo, sconfitto. Tutte le sue speranze di
rivederla morirono in quel preciso momento.
Mark
se ne stette in disparte. Avrebbe voluto fare qualcosa per aiutare
lo Zio, per condurlo nel Limbo da Eleanor, senza dover aspettare che
fosse lei
a farlo.
Quel
giorno aveva chiesto a mamma e papà di poter andare dal
nonno Dave
e dagli Zii solo per poter passare un po’ di tempo con loro,
in particolare,
con lo Zio Theodore.
In
effetti ora stavano passando del tempo insieme, ma trovarsi in un
sogno condiviso, in cima al tetto di un colossale grattacelo partorito
dalla
mente di suo Zio, mentre questi cercava invano di contattare la Zia
defunta,
non era esattamente ciò che avrebbe voluto per la giornata.
Si
diresse verso di lui e gli appoggiò una mano sul braccio
sinistro,
sfiorando con le dita il metallo di quello che aveva
l’aspetto di un anello.
Per un attimo, si lasciò distrarre dall’ornamento
e si chiese se lo avesse
avuto da sempre o se era una cosa recente, dato che era la prima volta
che Mark
lo vedeva.
«Zio
Theo… ?» Lo chiamò.
La
voce del nipotino, così innocente e premurosa, gli fece
tornare in mente
se stesso da giovane. Prima dell’inizio di tutta
quell’assurda storia.
«Cosa
c’è, Mark?»
«Va…
va tutto bene?»
Una
domanda che fece rivivere nella mente di Theodore tanti ricordi.
Diavolo, quanto voleva che tutto finisse. Che si svegliasse e scoprisse
che
quei sedici anni erano tutti frutto di un orribile sogno.
«Non
lo so, piccolo… non lo so.» Rispose con rammarico.
«Cosa
facciamo ora?»
Già,
cos’altro potevano fare? Il piano B non era riuscito a
trovarlo.
Sospirò.
«Rinunciamo…
facci risvegliare, è stato un bel
tentativo…»
«Ok…»
Mark
stava per cominciare a concentrarsi per farli uscire dal sogno,
quando un’improvvisa scossa sismica a lui molto famigliare,
fece tremare il
pavimento sotto i loro piedi.
9.6:
Dopo
quella primissima scossa. Talmente breve e fulminea che Theodore
cominciò a pensare di essersela immaginata, ne
seguì poco dopo un’altra serie.
«Zio,
ci siamo! E’ lei!» Esultò Mark, mentre
sotto di loro il tetto del
grattacielo su cui si trovavano cominciò a disgregarsi
rapidamente.
«Ne
sei certo?» Chiese Theodore, cercando nel frattempo di
mantenere
l’equilibrio.
«Sì
sì! Le riconosco queste scosse! La Zia Eleanor ci ha
sentito,
evvai!!»
Grazie,
Ellie. Sussurrò Theodore. Con una voce talmente flebile da
essere quasi un pensiero.
Alcune
crepe cominciarono ad aprirsi circondandolo a 360°, formando
tutto intorno a lui una ragnatela di fenditure, mentre frammenti sempre
più
grossi del pavimento cominciarono a staccarsi e cadere nel vuoto.
Lo
stato d’animo di Mark passo tutto d’un tratto
dall’entusiasmo alla
confusione. Osservò le crepe che circondavano Theodore e le
confrontò con
l’ambiente circostante. Normalmente, quando le scosse
iniziavano, tutto il
mondo del sogno crollava in modo progressivo e uniforme, ma sta volta
era
diverso. I palazzi sullo sfondo erano perfettamente intatti,
così come il
grattacelo nel quale si trovavano. Solo il tetto sembrava accusare
delle scosse
sismiche, e solo nel punto in cui era fermo Theodore.
«C’è
qualcosa che non va… » Costatò il
piccolo Viaggiatore.
Suo
Zio guardò d’improvviso verso di lui.
«Che
vuoi dire?»
Non
fece in tempo a sentire la risposta. Una voragine dal diametro
leggermente più ampio del corpo di Theodore si
aprì sotto i suoi piedi facendocelo
precipitare dentro, come in un pozzo senza fondo. Mentre cadeva verso
l’oscurità, guardando verso l’alto,
riuscì a vedere solo il nipote sporgersi
dal bordo e sentirsi chiamare da lui urlando, dopo di che la sua voce
fu
coperta dallo stridio di vetro su lavagna, seguito dal tipico lampo di
luce
bianca che preavvisava il passaggio dalla realtà del sogno
al Limbo di Eleanor.
9.7:
Era
sospeso nel vuoto, ma sta volta gli ci vollero pochi istanti per
capire come tornare con i piedi per terra.
La
prima cosa che fece in seguito era di cercare il nipote, senza
però
riuscire a trovarlo.
Dov’era
finito? E cosa voleva dire con quella frase?
Alle
sue spalle gli sembrò di vedere una piccola luce, e
voltandosi si
trovò di fronte Eleanor.
«Ciao,
Theo.»
«Ellie…
do-dov’è Mark?»
«Lui?
E’ rimasto di sopra.» Gli indicò con
l’indice un punto impreciso
sopra le loro teste.
«Di
sopra? Vuoi dire… nel Mondo del Sogno?»
«Sì.
Era troppo pericoloso portarlo quaggiù con noi. Ho preferito
lasciarlo nel sogno, da dove sarebbe potuto uscire con maggior
facilità» Spiegò
lei.
«E’
vero… anche lui lo diceva che sarebbe stato un viaggio
pericoloso…
però io… credevo che avessi bisogno della
presenza di un Viaggiatore dei Sogni
per farmi uscire dal Limbo?»
«Bhe,
in effetti è così. Ma sai… »
si allontanò da lui dandogli le
spalle, e mentre parlava, osservava un punto vuoto
nell’orizzonte di fronte a
se «visto che sta volta sei da solo, forse non
sarà necessario… »
Theodore
si passò la mano tra i capelli e la pelliccia, e
benché da
alcuni giorni (da quando aveva rivisto Eleanor la prima volta) il pelo
era
ricominciato a crescergli nelle zone dove gli era caduto, solo ora si
rese
conto di quanto fosse glabro in certi punti.
«Mah…
io continuo a non capire. Insomma, che centrano i sogni con
l’aldilà?» La sua era una domanda
retorica, e Eleanor l’aveva capito, tuttavia
aveva deciso di rispondergli comunque.
«La
morte e il sonno non sono poi così diverse, Theo. Alla fine
ci sono
sempre un risveglio e la consapevolezza di dover intraprendere un
cammino. Sono
due realtà molto simili, la sola differenza è
quello che voi percepite come “Vita”.»
Stette
in silenzio, aspettandosi una risposta che non ci fu. Si
voltò in
direzione di Theodore e vide che la stava guardando con
un’espressione strana
in volto.
«Cosa
c’è?» Gli chiese.
«Sei
così diversa… » camminò
verso di lei «quasi non ci credo che sei la
Eleanor che avevo conosciuto da giovane.»
Le
afferrò delicatamente le braccia e, accarezzandola, face
scendere
lentamente le mani fino alle sue, per poi afferrargliele.
Era
questo quello che avrebbe voluto l’altra volta. Un momento
romantico
insieme, solo loro due e nessun altro.
«Anche
tu, Theo… » si abbracciarono e cominciarono a
dondolare
lentamente, seguendo il ritmo di una canzone immaginaria che solo i
loro cuori
sentivano «non sai quante volte ho pianto vedendo come ti eri
ridotto. Quante
volte ho desiderato di poterti parlare solo per supplicarti di tornare
in te.»
«Non
sapevo che i fantasmi potessero piangere.» Scherzò
Theo.
«Eheh.
Nemmeno io, finché non mi era successo la prima
volta.»
Ne
seguì un piccolo momento di silenzio, durante il quale i due
continuarono la loro dolce danza.
«Scusami
Ellie… scusami per tutto. Sono stato uno stupido.»
«Non
fa niente, Theo. Ormai è passato. Pensa solo ad andare
avanti
quando uscirai da qui. E questa volta, promettimi che non mi cercherai
più.»
Avrebbe
voluto obbiettare, ma lei gli aveva dato una seconda occasione,
accettando di riportarlo nel Limbo un’altra volta. Ora doveva
darle retta.
«Sì.
Te lo prometto.»
Eleanor
sorrise. Era felice. Durante il loro primo incontro anche lei
avrebbe voluto un momento come quello da trascorrere con Theodore.
Fisicamente,
i loro corpi erano diversi. Lei era rimasta giovane, mentre
lui era invecchiato nel corso di quei sedici anni. Ma le loro menti
erano
maturate insieme, e insieme avevano sofferto la distanza che li
divideva.
Theodore
si scostò un istante da lei e scoprì la manica
sinistra della
felpa, rivelando l’anello, che lo aveva seguito nel sogno e
poi nel Limbo.
«Vorrei…
vorrei farti vedere questo. Anche se forse sai già di che si
tratta… »
Eleanor
prese la mano di Theodore tra le sue e guardò con grande
attenzione l’anello, Accarezzando anche la scritta
T&E incisa sopra prima
di lasciarlo andare.
«Sì.
Lo avevo visto già dal primo giorno. Da quando lo avevi
trovato
dentro quel cassetto della scrivania. Anche oggi, quando avevi deciso
di
indossarlo per me. E’ bellissimo, Theo.»
Il
chipmunk lo guardò ancora una volta. Lo portava con se da un
solo
giorno, e già gli sembrava di portarlo da tutta una vita.
Se
lo sfilò dal polso e continuò a fissarlo ancora
per un po’, tenendolo
tra le mani.
«Theo?»
Lo chiamò Eleanor.
Il
chipmunk fissò negli occhi la sua amica e nel frattempo
afferrò il
suo braccio.
Mentre
la Chipette lo lasciava fare in silenzio, lui faceva scorrere
dentro l’anello, la sua mano fino all’avambraccio.
«Oggi
è il giorno di San Valentino, Ellie… oggi come
sedici anni fa.
Tanti auguri… ti voglio bene.»
Gli
occhi della Chipettes si inarcarono in uno sguardo gioioso e la sua
bocca si allargò in un grande sorriso.
«Grazie,
Theo… grazie.»
Si
allungò verso di lui e lo baciò sulle labbra. Il
loro primo bacio.
«Che
strano dartelo proprio adesso.» Commentò Theodore
poco dopo.
«Già.»
Il
chipmunk sospirò.
«Quando
vorrei poter tornare indietro nel tempo fino a quel giorno, e
fare qualcosa per impedire l’incidente.»
«Sì,
è vero. Anch’io ho pensato un sacco di volte di
doverlo fare… »
Eleanor
guardò l’anello per un’altra volta e poi
allungò le braccia
verso Theodore per abbracciarlo ancora, lui però la
allontanò.
«Aspetta!»
Lei
si arrestò.
«Che
c’è?»
«Cosa
volevi dire con “ho pensato un sacco di volte di doverlo
fare” ?!»
Eleanor
ebbe un tremito che si sforzò di rendere il più
impercettibile
possibile, ma non fu certa di esserci riuscita.
«N-nulla…
solo che… anch’io vorrei poter fare qualcosa per
tornare indietro
nel tempo, tutto qui!» Cercò di essere il
più convincente possibile.
Sul
volto di Theodore si formò un ghigno.
«No.
Tu non hai detto “ho pensato un sacco di volte di volerlo
fare”! Hai
detto “di DOVERLO fare”! Che intendi? E’
possibile tornare indietro nel tempo?»
«No,
non ho mai detto questo!» Ma la voce di Eleanor era sempre
più
incerta e preoccupata, e Theodore se ne stava rendendo conto.
«Non
mentirmi! Il tuo linguaggio del corpo dice già
tutto!» Avanzava
sicuro di se verso Eleanor, che al contrario di lui, indietreggiava
spaventata.
«Theo…
per favore, fermati! Ti… ti sto dicendo la
verità, credimi!»
«E’
uno dei vostri poteri, confessa!»
«No!
Non è così! Non c’è modo di
tornare indietro nel tempo!!» Urlò la
Chipette.
Theodore
continuò ad avanzare verso di lei, voleva sapere la
verità, che
era certo, Eleanor gli stava nascondendo.
Era
a pochi centimetri da lei quando la vide guardare improvvisamente
verso l’alto, in un punto imprecisato
dell’oscurità. Fu un’azione talmente
strana che anche Theodore si fermò e guardò verso
la stessa direzione.
In
seguito entrambi tornarono a guardarsi negli occhi, e mentre Theodore
continuava a chiedersi il perché di quello che avevano
appena fatto,
l’espressione di Eleanor era invece di rammaricata
rassegnazione.
«Addio,
Theodore.» Gli disse. E subito dopo ci furono lo stridio e il
lampo bianco.
9.8:
Si
risvegliò nella sua camera da letto, intorno a lui, le
Chipettes e
suo fratello Alvin, oltre a Mark e Dave.
Ebbe
la vista annebbiata per alcuni secondi, come la precedente volta
che era uscito dal Limbo, e gli altri aspettarono che si riprendesse.
«Ma…
che sta succedendo?!» Domandò poi.
«Mark
ci ha detto cosa gli hai fatto fare! Non riuscivamo più a
svegliarti! Abbiamo dovuto far chiamare Jeanette a lavoro per venire a
tirarti
fuori dal sogno!» Gli spiegò Dave.
Quindi
era questo. Eleanor aveva percepito la presenza di Jeanette in un
sogno che tentava di risvegliarlo, e servendosi di lei per il potere
dei
Viaggiatori di Sogni, lo aveva fatto uscire dal Limbo prima che lui la
costringesse a dirgli la verità sul ritorno nel passato.
«Eleanor…
io… devo tornare subito da lei! Possiamo correggere tutto,
possiamo cancellare ogni cosa… » tentò
di spiegare.
«No,
adesso basta con i viaggi nei sogni! Da questo momento, MAI
PIU’!»
Urlò Jeanette, furibonda.
I
suoi occhi sembravano iniettati di sangue. Niente avrebbe potuto farle
cambiare idea.
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Capitolo 10 *** 10: Il passato. ***
10.1:
Le
era bastato urlarlo una sola volta. Un’unica risposta secca,
esclamata
con una rabbia che né Dave né nessuno degli altri
potevano immaginare.
Quell’unico
urlo era stato sufficiente a convincere Theodore a
desistere.
Prese
per mano bruscamente Mark e insieme uscirono dalla stanza. Il
piccolo chipmunk tentò di voltarsi, ma Jeanette lo
strattonò costringendolo a
distogliere lo sguardo.
«Theodore,
ma che ti è saltato in mente?! Hai idea di quanto ci hai
fatto preoccupare?» Gli domandò Brittany.
Lui
non le risposte, ma incrociò il suo sguardo con quello della
Chipette.
In
quel frangente, fissandolo negli occhi, le sembrò che
fossero tornati
vuoti e spenti come fino a una settimana prima.
«Theo?»
Lo chiamò Alvin.
Theodore
abbassò il capo, rimanendo ancora in silenzio.
La
porta della stanza si spalancò di colpo, e dalla soglia fece
capolino
Jeanette.
Anche
i suoi occhi comunicavano qualcosa. La rabbia con la quale
sen’era
andata era rimasta con lei anche ora che era tornata.
«Jeanette,
aspetta… » tentò di fermarla Dave,
invano.
Percorse
la stanza, diretta verso Theodore, che nel frattempo era
saltato giù dal letto, e quando gli fu vicina, lo
colpì in volto con un forte
schiaffo che fece trasalire tutti nella stanza. Non che non se lo
aspettassero,
ma nessuno (a parte Dave, forse), avrebbe immaginato che
l’avrebbe fatto sul
serio.
Theodore
incasso il colpo senza battere ciglio.
«Jean,
ma cosa… » Si fece avanti Brittany, Alvin
però la fermò. Era una
questione che riguardava loro due, Theodore e Jeanette, gli altri non
avevano
voce in capitolo.
«Questa
è l’ultima volta che metti in pericola la vita di
mio figlio per
le ossessioni! Lui ieri mi aveva chiesto se poteva venire qui per
passare del
tempo con te, lo capisci questo?! Voleva stare con te!! E tu ricambi il
suo
affetto costringendolo a fare viaggi nei sogni quando dovresti sapere
benissimo
che è ancora inesperto!! Sai cosa sarebbe potuto succedere
se foste rimasti
bloccati entrambi?!?»
Theodore
continuò imperterrito nel suo silenzio. Avrebbe avuto decine
di
modi diversi per giustificarsi. Poteva dirle che non aveva costretto
Mark a
fare nulla, che lo aveva deciso da solo di intraprendere con lui il
viaggio nel
sogno. Poteva dirle che non sarebbero mai rimasti bloccati se fossero
finiti
entrambi nel Limbo. O anche, poteva dirle che è stato
costretto a farlo, perché
sapeva che chiederle il permesso sarebbe stato inutile, dato che
gliel’avrebbe
negato comunque. Decise però di tenere la bocca chiusa,
perché si disse che non
valeva la pena di darle spiegazioni.
Di
ben altro avviso era Jeanette, che invece era intenzionata a
continuare.
«Sono
passati sedici anni dal suo incidente, tredici dal tuo coma! Apri
gli occhi e svegliati, una buona volta… »
«Jeanette,
adesso basta, stai esagerando!» Si intromise Dave, convinto
di poterla calmare. Inutile dire che invece fu un intervento inutile.
«…
tutti noi ci siamo rifatti una vita e stiamo andando avanti, mentre
tu corri ancora dietro al fantasma di mia sorella! Lei è
morta, mettitelo in
testa!! E’ morta e ti ha espressamente detto di
dimenticarla… »
«Hai
finito?» La interruppe d’improvviso Theodore.
Sta
volta, l’interruzione riuscì ad azzittirla. Forse
perché nemmeno
Jeanette se lo aspettò.
«Tu
mi accusi di inseguire i fantasmi, eh? Dici che sono vittima delle
ossessioni? E quella volta che tu hai perso contatto con la
realtà perché ti
appariva in sogno Mark da adulto, quella non era ossessione?»
Jeanette
restò basita.
«Quello…
quello… NON E’ LA STESSA COSA!!»
Urlò lei.
«Già,
forse hai ragione… ma tu non sei stata lì quando
tutto è successo.
Non sei stata tu a vedere l’auto dirigersi contro te ed
Eleanor, né sei stata
tu a pensare di scostarla per salvarle la vita solo per poi
risvegliarti in un
letto di ospedale, dopo tre anni di coma, per scoprire che è
morta senza che tu
non abbia potuto nemmeno partecipare al suo funerale…
»
Nella
stanza calò il silenzio generale, anche con Jeanette.
Theodore
la scostò e si avviò verso la porta, procedendo a
passi lenti.
Mentre avanzava, continuava a parlare.
«…
voi avete perso una sorella e un amica, e con voi, anch’io.
Ma io ho
anche perso la persona che amavo. Se Brittany fosse affogata in mare
cadendo da
quell’elicottero, o se Simon fosse stato schiacciato dalla
quercia nel
tentativo di salvare Jeanette, anche voi, come me, oggi avreste delle
ossessioni…» detto questo, abbandonò la
stanza.
Percorrendo
il corridoio, decise che non gli sarebbe importato niente
degli altri e di cosa si sarebbero detti o avrebbero fatto nel momento
in cui lui
varcò la soglia della porta.
La
sua testa vagava altrove. Doveva scoprire se le sue intuizioni su
Eleanor e i viaggi nel passato fossero corrette.
10.2:
Trascorse
così il resto della sua giornata. A chiedersi di continuo se
fosse possibile tornare indietro nel tempo per correggerlo e alterare
la
realtà.
Il
suo buon senso gli urlava di NO, ma i suoi occhi erano stati
testimoni di fatti che chiunque avrebbe reputato impossibili.
Sapeva
che era possibile leggere nel futuro di qualcuno per fare in modo
di cambiare il suo destino. Sapeva che la morte, come generalmente
viene
interpretata, non rappresenta la fine, bensì il passaggio a
una nuova vita in
un’altra dimensione. E sapeva che i sogni non sono solo il
frutto della nostra
immaginazione come si potrebbe pensare, ma delle realtà
concrete, che grazie
all’ausilio di speciali poteri, possono essere alterate a
piacimento da
chiunque in loro possesso.
Date
le premesse, era così sbagliato pensare che tornare indietro
nel
tempo fosse una cosa così irrealistica? No. Se esistono dei
poteri che
consentono di cambiare il futuro, sicuramente ne dovevano esistere
alcuni che
permettono di tornare nel passato per fare altrettanto, e il modo
esageratamente sospetto in cui aveva reagito Eleanor, ne era una prova.
Certo,
forse Theodore aveva calcato un po’ troppo la mano, ponendosi
a
lei con fare aggressivi e inopportuno, ma non vi erano dubbi che ci
fosse
qualcosa che lei gli voleva nascondere.
Ad
ogni modo, era tornato a starsene in silenzio su un angolo del divano
in salotto, quando gli venne in mente di guardarsi il polso sinistro.
Per un
attimo si aspettò di scoprire che l’anello era
magicamente sparito dal suo
braccio nel momento in cui lo aveva sfilato nel Limbo per donarlo a
Eleanor, ma
l’oggetto era ancora lì, al suo posto, e in fondo
non c’era da stupirsene.
Si
chiese se nel Limbo Eleanor lo stesse indossando ancora, o se si
fosse smaterializzato d’improvviso quando Theodore si era
risvegliato, giungendo
alla conclusione che per trovare risposta a tutte le sue domande,
c’era solo
una cosa che avrebbe dovuto fare: tornare da lei! In un modo o
nell’altro.
10.3:
16
FEBBRAIO 2029.
Passarono
altri due giorni, che Theodore trascorse per la maggior parte
del tempo dormendo, nella speranza che Eleanor l’avrebbe
chiamato a se in
qualche modo per dargli finalmente spiegazioni sul mistero dei viaggi
nel
passato.
Si
rendeva perfettamente conto che un ritorno nel Limbo sarebbe stato
impossibile senza i poteri dei Viaggiatori, che rendevano i mondi dei
sogni
malleabili e facilmente alterabili per il passaggio da una dimensione
all’altra, ma dopo l’ultimo coinvolgimento di Mark
e la successiva discussione
con Jeanette, ne scaturì un’altra che sta volta
coinvolse anche Simon.
I
due fratelli discussero sull’accaduto, e Theodore in
particolare,
cercava di convincere Simon sulla sua teoria dei viaggi nel tempo.
Simon
ascoltò le sue parole, ma si rifiutava di credere che
ciò fosse possibile.
Secondo lui, era vero che il futuro, in determinate condizioni, poteva
essere
cambiato. Ma riprendendo l’esempio del caso di lui e
Jeanette, in cui il
destino aveva cercato fino all’ultimo di impedire la loro
sopravvivenza, anche
ammesso che fosse stato possibile ritornare nel passato per correggerlo
in
qualche modo, quante probabilità c’erano di poter
cambiare qualcosa che era già
successo, quando pure bloccare avvenimenti del futuro era
così difficile?
Inutili
furono gli ulteriori tentativi di Theodore di convincerlo a
tentare comunque di far ritorno nel Limbo un’altra volta, e
come se l’ostentato
rifiuto non fosse stato sufficiente a lasciare l’amaro in
bocca a Theodore,
Simon gli disse anche che da quel momento a Mark era stato proibito di
far uso
dei suoi poteri per far tornare lui o qualcun altro nel Limbo.
Quindi,
se veramente voleva portare a termine il suo obbiettivo, doveva
trovare il modo di farcela con le sue forze.
A
un certo punto aveva anche pensato di chiedere a Jeanette di farsi
addestrare nell’arte della manipolazione dei sogni, dato che
era appurato che i
poteri dei Viaggiatori potevano essere appresi e applicati anche dagli
stessi
sognatori, ma era un’idea destinata a fallire in partenza.
Lei non glieli
avrebbe mai insegnati, non dopo quello che era successo due giorni
prima.
Cosa
fare dunque?
Se
nessuno era più disposto ad aiutarlo e se la stessa Eleanor
si era
rifiutata di dargli spiegazioni al momento opportuno, forse a questo
punto
avrebbe dovuto dare retta alle loro parole e andare avanti. In fondo
aveva
trentacinque anni, e al di fuori di quella casa c’era ancora
un’intera vita ad
attenderlo.
Alvin
e Brittany tra non molto sarebbero tornati nel loro lussuoso
attico a New York, e presto avrebbero avuto il loro primo figlio e un
altro
nipotino per lui, Simon e Jeanette avrebbero continuato la loro vita a
Los
Angeles, mentre Mark cresceva e imparava a padroneggiare sempre di
più i suoi
poteri, e Dave sarebbe rimasto lì, in quella casa, come un
fedele padre di
famiglia sempre disposto ad aiutare i suoi ragazzi ormai diventati
adulti.
In
fondo la vita non era poi tanto male, e più ci pensava e
più se ne
rendeva conto.
Era
davvero troppo tardi per un nuovo inizio? Già. Un nuovo
inizio.
Quelle
tre parole echeggiarono insistentemente nella sua testa, quasi
volessero comunicargli qualcosa.
Un
nuovo inizio, un nuovo inizio, un nuovo inizio, un nuovo inizio, un
nuovo inizio.
Sì.
Aveva preso la sua decisione. Ora sapeva cosa doveva fare.
10.4:
Saltò
giù dal divano, che in questi giorni era tornato a essere
una
specie di nido sopra il quale lui era tornato a trascorre il suo tempo,
e
iniziò a riflettere molto attentamente sul piano
d’azione che avrebbe dovuto
applicare.
Si
rendeva conto che era una mossa azzardata, che probabilmente non
avrebbe portato a nulla di buono. Anzi! Con molta
probabilità avrebbe aggravato
ulteriormente la sua posizione, ma ormai non aveva molta importanza.
Erano
le 16.20 del pomeriggio, probabilmente Mark era già arrivato
a
casa da scuola, mentre i suoi genitori dovevano ancora essere a lavoro.
Dave
non gli avrebbe mai dato un passaggio fino a casa di Simon e
Jeanette, né tantomeno avrebbe accettato di andar a prendere
il loro nipote per
portarlo da loro, perché non appena Theodore
gliel’avrebbe chiesto, l’uomo
avrebbe capito subito le sue intenzioni.
Anche
semplicemente uscire sarebbe stato sospetto, se lo avesse detto a
Dave. Pertanto, l’unica soluzione era fare tutto di nascosto.
La
casa di suo fratello Simon distava diversi chilometri dalla loro.
Andarci a piedi avrebbe comportato una lunghissima perdita di tempo,
col
rischio di arriva a destinazione troppo tardi, quindi doveva farsi dare
un
passaggio da un mezzo pubblico, un taxi, o forse un autobus, ma
servivano soldi
che lui non aveva.
Dave
aveva l’abitudine di tenere la sua Idkey su un bancone della
cucina
e non aveva blocchi di sicurezza di alcun tipo, almeno a quanto
risultava a
Theodore. Pertanto, se se ne fosse appropriato, avrebbe potuto
sfruttare il
credito monetario dell’anziano padre per pagarsi il viaggio.
Ma se lo avessero scoperto?
Pazienza. Era uno rischio che andava corso, ormai non poteva tirarsi
indietro.
Si
avviò furtivo verso la cucina, cercando di evitare di
incrociare
Alvin o Brittany, oppure lo stesso Dave. Se lo avessero visto, non solo
avrebbe
corso il rischio di essere colto sul fatto, ma avrebbe avuto anche meno
tempo a
disposizione per arrivare da Mark prima che gli altri si rendessero
conto della
sua scomparsa.
Non
aveva avuto notizia dei due chipmunk per tutta la giornata, e forse
questo voleva significare che erano usciti, ma Dave era
senz’altro in casa,
dato che lo aveva sentito camminare lungo il corridoio, una ventina di
minuti
prima.
Nei
pressi delle scale per il piano superiore, si arrestò per
scrutarsi
intorno e cogliere eventuali rumori che indicassero la presenza di
qualcuno nei
paraggi.
Sentì
dei rumori di passi di sopra e capì che per quanto
riguardava
Dave, per ora non correva rischio di essere scoperto, se avesse fatto
di
fretta.
Arrivato
all’entrata della sala da pranzo, controllò che
non ci fosse
qualcun altro e costatò di avere la via libera.
Raggiunse
di corsa il bancone sopra il quale sperava di poter trovare la
Idkey e con un agile salto ci salì sopra.
Ispezionò
il piccolo contenitore portaoggetti dentro il quale erano
riposti anche lo smartphone di Dave e un suo orologio da polso e
lì,
finalmente, la trovò.
Era
piccola e con la scocca di colore nero, Theodore avrebbe
tranquillamente potuto infilarsela nella tasca della sua felpa senza
essere
costretto a portarsela dietro tenendola in mano.
Prima
di prenderla, rifletté ancora un po’ sulla
stupidità del suo piano
e dovette azzittire la vocina della sua coscienza che gli diceva di
rinunciare.
Nel
momento in cui la prese, si ricordò anche di una presenza
ben più
concreta, che di sicuro in quel momento lo stava tenendo
d’occhio dal suo mondo
nel Limbo.
Alzò
lo sguardo fissando la parete di fronte a se e immaginandosi di
guardare negli occhi Eleanor.
«Scusami.
Ma non ho scelta.» Disse, sicuro del fatto che lei avrebbe
udito le sue parole.
Saltò
giù e, usando la stessa discrezione di prima, si
avviò verso
l’uscita di casa.
Incontrò
un altro ostacolo che, nella foga del momento, aveva
dimenticato di tenere in considerazione: la porta.
In
genere, quando qualcuno dei chipmunk doveva uscire, era sempre Dave a
farsi avanti per aprirla, ma non era questo il caso di Theodore. Se lo
avesse
chiamato, il suo piano sarebbe andato in fumo, perciò si
rese conto che avrebbe
dovuto cavarsela da solo anche sta volta.
Tento
di saltare fino alla maniglia della porta un paio di volte, ma in
entrambi i casi non era stato in grado di raggiungerla. Al terzo
tentativo
fallito, si allarmò sentendo i rumori dei passi di Dave sul
corridoio del piano
di sopra e dovette momentaneamente rinunciare al suo tentativo di fuga
per
correre a nascondersi.
Tornò
in salotto, sul suo divano. L’unico posto in cui essere visto
da
Dave, non avrebbe destato alcun tipo di sospetto.
Il
suo intuito si rivelò corretto, perché
l’anziano, dopo aver sceso le
scale, si diresse proprio verso la stanza. Theodore si
sdraiò e finse di
dormire, in modo da evitare di dover incrociare i suoi occhi o fare
qualcosa
che potesse tradirlo, e nel frattempo estrasse dal tascone della felpa
la Idkey
per nasconderla sotto uno dei cuscini (Dave avrebbe potuto notarla nel
caso si
fosse soffermato un po’ di più su di lui).
A
Theodore non importò di scoprire cosa stesse facendo
l’uomo nella
stanza, si limitò a restarsene immobile e a occhi
rigorosamente serrati,
aspettando che si allontanasse.
La
vocina nella sua testa era tornata a insistere sulla
stupidità di
quello che stava cercando di fare. Era stato visto. Anche se fosse
riuscito ad
andarsene, bastava che Dave si accorgesse della sua assenza per
cominciare a
chiedersi dove fosse finito, e di lì a poco, scoprire che
era sparito. Doveva
fermarsi ora che ne aveva la possibilità.
Ovviamente,
Theodore non aveva alcuna intenzione di darle retta. A
maggior ragione perché Dave, dopo aver probabilmente preso
qualcosa che stava
cercando in qualche cassetto, uscì dalla stanza e
risalì le scale.
Ora
o mai più, si disse tra sé e sé
Theodore. Doveva riuscire ad aprire
la porta e andarsene.
Recuperò
la Idkey da sotto il cuscino e tornò nel corridoio.
Si
arrestò a un metro dalla porta e fissandola insistentemente,
cerco di
escogitare un modo per riuscire a raggiungere la maniglia. Non
c’erano mobili
lì intorno di cui avrebbe potuto servirsi per raggiungerla
più facilmente,
doveva per forza saltare da terra e riuscire ad afferrarla.
Guardò
verso le scale, e pensò che forse c’era qualcosa
che avrebbe
potuto provare. Era la soluzione più ovvia, e si
sentì stupido per non averci pensato
prima.
In
pratica, quello che avrebbe dovuto fare era… prendere una
semplice
rincorsa. Da fermo non era stato in grado di raggiungerla, ma era
comunque
riuscito ad arrivarci molto vicino, gli bastava saltare giusto giusto
un paio
di centimetri in più e fare affidamento alla forza delle sue
mani per
afferrarla e tirarla verso il basso, e a quel punto sarebbe finalmente
stato
libero di andarsene.
Si
diresse verso le scale fino ad arrivare a poggiare la schiena al
primo gradino, e da lì, in un primo momento,
pensò di fare una serie di respiri
profondi per concentrarsi e prepararsi al salto che avrebbe dovuto
fare. Una
buona idea sulla carta, che però Theodore non
riuscì a mettere in pratica, dal
momento che subito dopo la prima profonda boccata d’aria
espirata, il rumore
dei passi di Dave dal piano di sopra lo mise in allarme.
Un’ondata
d’adrenalina gli entrò in circolo e lo
investì come un fiume
in piena, e senza quasi più riflettere sulle sue azioni,
cominciò a correre in
direzione della porta, per poi fare un incredibile salto che lo fece
arrivare
facilmente all’agognata maniglia. D’istinto la
afferrò e il suo peso, per
quanto ridotto, fece il resto.
Solo
in quel momento si rese conto di cosa era riuscito a fare, giusto
in tempo per accorgersi del fatto che Dave stava nuovamente per
scendere le
scale.
Si
affrettò a lasciare la presa e cadere a terra, e ignorando
l’intontimento dovuto alla caduta, aprì la porta
quanto bastava per permettere
al suo corpo di passare e finalmente fu fuori.
Ormai
non aveva importanza se Dave l’avesse visto o no, o se avesse
notato la porta aperta e si fosse insospettito. Si assicurò
di avere ancora con
se la Idkey dell’anziano e dopo averne accertato la presenza,
si avviò di corsa
sul vialetto, diretto in strada.
Conosceva
l’indirizzo della casa di Simon e Jeanette, ora gli bastava
solo procurarsi un mezzo di trasporto per arrivarci.
La
vocina nella testa gli fece notare che era la prima volta da diversi
anni che non prendeva un mezzo pubblico da solo, ma come nelle
precedenti
occasioni, anche sta volta il suo blando tentativo di farlo desistere
fu
completamente ignorato.
Dal
Limbo, Eleanor cercava in tutti i modi di entrare in contatto con
lui, ma dato che fino adesso le sue parole erano state inutili, stava
cominciando a pensare che forse non c’era modo di entrare
direttamente in
contatto coi Vivi, e decise di rinunciare. Da quel momento, le voci
nella testa
di Theodore si azzittirono.
10.5:
POCHI
MINUTI DOPO.
Dave
sentì suonare il campanello della porta.
Un
quarto d’ora prima, scendendo dalle scale, si era accorto che
era
rimasta leggermente aperta. All’inizio la cosa gli
sembrò quanto mai strana,
dato che fino ad allora era convinto che fosse chiusa, ma poi, pensando
al
fatto che l’aveva aperta ad Alvin e Brittany per farli
uscire, archiviò la cosa
come una semplice distrazione e non ci pensò più.
Andò
ad aprire e, come aveva immaginato, si trovò di fronte la
coppia,
che aveva fatto ritorno dalla passeggiata pomeridiana.
«Ben
tornati.» Li salutò, e loro lo ricambiarono.
«Dave,
se vedessi! Sai quel nuovo negozio di articoli per bambini che
hanno aperto a un paio d’isolati da qui? Abbiamo visto delle
culle bellissime
che sarebbero perfette per lui!» Annunciò la
Chipette esaltata, alludendo al
suo figlio in arrivo. «Chi sa se potranno farcene una su
misura?» Si chiese
rivolgendo lo sguardo ad Alvin, che dall’espressione sembrava
condividere con
lei lo stesso entusiasmo.
«Parlate
del “Child Choice”, quello che hanno aperto tre
mesi fa,
giusto?» Domandò Dave.
«Sì,
almeno… mi sembra che sia stato questo il suo nome, o no
Britt?» Le
chiese, invece, Alvin.
«Sì,
esatto!» Confermò lei.
«Ottimo!
Sapete, conosco il proprietario del negozio, posso parlarci io
se volete.» Propose Dave.
«Dici
davvero?! Ma è fantastico!»
Dopo
quel piccolo dialogo tra i tre, Alvin e Brittany si diressero nella
loro stanza, con il chipmunk che aiutò la sua compagna a
salire portandola in
braccio.
Dave
nel frattempo aveva ripreso le sue solite attività, felice
di
potersi rendere per una volta utile alla coppia.
Alvin
e Brittany erano molto ricchi, e la regola del capitalismo insegna
che coi soldi si può fare tutto, ma all’anziano
Seville faceva piacere il fatto
di poter ricorrere alle sue conoscenze, e non solo al vile denaro, per
ottenere
qualcosa di cui la sua famiglia aveva bisogno.
Era
in sala da pranzo, impegnato a leggere alcuni documenti giuntigli
quella mattina per posta, quando l’arrivò di Alvin
distolse la sua attenzione
dai fogli di carta.
«Dave,
sai dov’è Theodore?» Gli
domandò a bruciapelo.
«Oh,
lui? E’ di là in salotto, credo stia
dormendo.»
«Veramente
ho appena controllato lì… »
«E
non c’è?»
«E
non c’è.»
«Hmm,
sarà andato in camera sua, ultimamente non fa che andare
avanti e
indietro da lì.»
Alvin
ci rifletté su un po’.
«Sì,
può darsi. Vado a dare un’occhiata.»
Mentre
Alvin si allontanava, Dave non si preoccupò minimamente di
dove
potesse essere finito l’altro chipmunk, e riprese a dedicarsi
ai suoi documenti
come se nulla fosse.
Di
sopra, Alvin entrò nella stanza di Theodore e lo
chiamò un paio di
volte, ma del fratello, nessuna traccia. Decise persino di controllare
nella
stanza da letto di Dave, ma neppure lì lo trovò.
Tornato nel corridoio, vide la
porta del bagno spalancarsi, e da lì, uscire Brittany.
«Che
succede?» Gli chiese lei, accortasi
dell’espressione perplessa che
era montata sul volto del compagno.
Se
lei era uscita giusto in quel momento dal bagno, significava che Theo
non poteva trovarsi nemmeno lì dentro. Ma allora, dove si
era cacciato?
Da
basso, Dave, ignaro di tutto, si alzò dalla sedia su cui era
seduto e
fece per andare verso il frigo alla ricerca di qualcosa da bere, ma di
nuovo,
l’arrivo di Alvin, questa volta in evidente stato di
agitazione, lo distrasse.
«Dave!
Theodore è sparito!»
«Che
significa “sparito”?!»
«Significa
che ho guardato in tutte le stanze della casa e di lui
neanche l’ombra!»
Dave,
incredulo della strana piega degli eventi, tento di trovare una
spiegazione rassicurante da dare ad Alvin.
«Bhe,
forse è uscito qui fuori in giardino, hai provato a
controllare
dalla finestra?»
Guardarono
insieme e, come volevasi dimostrare, non era neanche lì
fuori.
A
quel punto, Dave, ricordatosi anche del fatto che Theodore non poteva
in alcun modo essere in giardino, dal momento che non si era fatto
aprire la
porta per uscire, cominciò a prendere sul serio le parole di
Alvin. Lo
cercarono insieme per tutta la casa, chiamandolo con toni di voce via
via
crescenti.
Non
soddisfatto di quella misera occhiata lanciata dalla finestra della
cucina, usci di casa e andò a verificare di persona se
potesse essere lì fuori
o no.
Non
trovandolo, rientrò in casa, e solo allora gli
tornò in mente la
porta trovata aperta venti minuti prima. Poteva essere solo un caso?
«Allora,
l’hai trovato?» Gli chiese Alvin apparendo dalla
sala da
pranzo, e con lui c’era anche Brittany.
«No,
dannazione! Dove diavolo si è cacciato?! Adesso inizio a
preoccuparmi sul serio!»
Rientrarono
in cucina.
«Sapete…
mi chiedo se… no, non può averlo fatto sul
serio!» Esclamò
Brittany.
«Cosa?!»
Le domandò Alvin.
«Stavo
pensando… e se fosse andato da lui?
Cioè… da Mark?»
«No,
non può essere stato così stupido, non dopo tutto
quello che è
successo! E poi… insomma, a piedi?! Sarebbe dovuto partire
come minimo questa
mattina!»
«E
se invece fosse così?» Si intromise Dave, dando
loro le spalle mentre
parlava.
«Intendi
dire…andare da Mark?!»
«Sì,
Alvin… mezz’ora fa scendendo al piano terra ho
trovato la porta
leggermente aperta, ma non ci avevo badato molto, anche se ero convinto
che
fosse rimasta chiusa per tutto il giorno… »
«Ma…
andare da Mark… hai idea di quanta strada sia per un
chipmunk?!»
«Alvin,
vuole chiedergli di riportarlo ancora da Eleanor, è
evidente!
L’atra volta sono stati interrotti da Jeanette, e ora lui
vuole riprovarci!»
Gli rispose Brittany, convinta di averla vista giusta con la sua teoria.
«E
c’è dell’altro… »
Dave indicò ai due chipmunk il piccolo contenitore
dentro il quale era solito tenere le sue cose «la mia Idkey
è sparita!»
«Oh
no! Ormai è chiaro, l’ha presa Theodore!
Probabilmente ha preso un
taxi per arrivare più in fretta!»
Alvin
si colpì la fronte col palmo della mano.
«Cavolo,
Simon mi aveva anche detto che oggi sarebbe tornato a casa
dall’università prima del solito!»
«Allora
speriamo che ci arrivi prima di Theodore… faccio un salto da
loro anch’io, per sicurezza.» Li avvisò
Dave.
«Veniamo
con te!»
«Bene,
allora preparatevi e aspettatemi all’entrata, io chiamo dal
lavoro Jeanette, se Brittany ha ragione, anche lei deve
sapere!»
L’uomo
uscì di fretta dalla cucina e andò a telefonare a
Jeanette
dall’altra stanza. Forse avrebbe dovuto fare un colpo di
telefono a Simon, ma
alla fine ritenette che sua moglie fosse più che sufficiente.
Dalla
cucina.
«Che
idiota. Questa volta ci penserà tua sorella ad ammazzarlo
sul
serio!» Scherzò sarcastico, Alvin.
«Non
dirlo due volte, tu non la conosci come la conosco io. Sarebbe
capace di farlo sul serio.»
Alvin
ci restò di sasso sentendo la risposta della Chipette.
Dave,
dal corridoio lì chiamò in gran fretta e disse
loro che era il
momento di andare.
«Hai
chiamato Jeanette, Dave?»
«Sì,
Britt. Smonta tra mezz’ora. Sarà lì
qualche minuto dopo di noi.»
«Le
hai detto di Theodore e di cosa vuole fare? Come ha reagito?»
Domandò Alvin, preoccupato per la prospettiva di dover
perdere un fratello per
mano di una madre furiosa.
«Meglio
che tu non lo sappia.» Si limitò a rispondere
seccamente.
A
quel punto salirono in macchina e partirono.
10.6:
(Casa
di Simon e Jeanette)
Seduto
comodamente sulla moquette del suo salotto, Mark stava
trascorrendo il pomeriggio dedicandosi alla lettura di
“Cronache dei giorni di
quarzo”, il libro avuto in regalo dai suoi genitori per il
compleanno.
Rispetto
ai precedenti romanzi della saga, trovava questo terzo capitolo
molto più lento e noioso del solito, privo della dirompente
azione che
caratterizzava gli altri episodi. Ma nonostante ciò,
proseguiva nella lettura
divorando minuto dopo minuto parole e pagine.
Non
poteva saperlo, ma mentre lui era dedicato alla lettura del suo
libro, suo zio Theodore era appena arrivato all’entrata del
palazzo nel quale
risiedevano.
Il
chipmunk adulto, dopo aver pagato il pedaggio del taxi che lo aveva
accompagnato fin lì, mise al sicuro la Idkey rubata a Dave
nella tasca della
sua felpa e entrò eludendo la vigilanza del portinaio grazie
alle sue ridotte
dimensioni (se Simon e Jeanette lo avessero messo in guardia
sull’eventualità
che Theodore potesse farsi vivo, essere visto da lui poteva
compromettere tutta
l’operazione).
Si
diresse furtivamente verso gli ascensori, ma decise infine di non
usarli (anche in questo caso avrebbe corso il rischio di essere visto),
optando
per le scale.
Salì
lungo i gradini di ben sette piani, prima di arrivare
all’ottavo,
dove si trovava l’appartamento di suo fratello Simon.
Ispezionò
il corridoio per verificare l’eventuale presenza di persone
sospette e accertando di avere il via libera, non perse altro tempo e
corse
alla ricerca della porta di casa loro.
Non
sarebbe stata una ricerca particolarmente ardua, doveva solo trovare
l’unica porta ad avere due pomelli e due campanelli ad
altezza e dimensioni
diverse, per umani e chipmunk. Inoltre, era già stato da
loro pochi giorni
prima, quindi aveva le idee chiare sul dove dirigersi.
La
trovò subito, anzi! Si può quasi dire che perse
più tempo a
raggiungerla che non a trovarla.
10.7:
Un
trillo del campanello della porta distolse l’attenzione di
Mark dalla
lettura del suo romanzo. Era raro che in casa loro ricevessero delle
visite
improvvisate durante i giorni lavorativi, perciò in un primo
momento credé di
esserselo immaginato, e tornò alla sua attività,
ma quando udì il secondo
trillo, non ebbe più dubbi che qualcuno stava suonando
proprio a casa loro.
Andò
alla porta, ma non aprì subito.
«Chi
è?» Domandò titubante.
«Sono
io, apri per favore.»
La
voce era inconfondibile, era suo Zio Theodore.
Il
piccolo chipmunk aprì la porta.
«Zio
Theo! Che ci fai qui?»
«C’è
qualcuno in casa? Mamma e papà sono tornati dal
lavoro?»
«Oh…
no. Papà credo che rientrerà tra poco, ma per la
mamma non so.»
«Hmm.
Ok, abbiamo tempo.»
«T-tempo
per cosa?»
«Fammi
entrare, dopo ti spiego.» Gli disse nervosamente.
«No…
aspetta. Vuoi tornare ancora da Zia Eleanor? Non posso farlo. Mamma
e papà me l’hanno proibito… e anche a
te.»
«Questo
lo so, ma ne parliamo poi. Fammi entrare!» Insistette
Theodore.
Mark
non aveva altra scelta che accontentarlo. Suo zio sarebbe entrato
comunque in un modo o nell’altro.
«Come
ti dicevo, non posso farti tornare nel Limbo! La mamma era
già
molto arrabbiata l’altra volta, se ci scopre di nuovo, questa
volta mi metterà
in punizione per tutta la vita e farà passare a te un mare
di guai…» Gli spiegò
Mark dopo averlo fatto entrare e aver chiuso la porta.
«Mark,
Mark… » lo interruppe Theodore
«ascoltami bene, per favore. E’
vero, l’altra volta volevo solo rivedere la zia
un’altra volta, ma adesso è
tutto diverso, credimi! Papà ti ha detto qualcosa riguardo a
viaggi nel tempo e
cose del genere?»
Mark
ci rifletté su un po’.
«L’ho…
l’ho sentito parlarne con la mamma… ieri sera. Ma
non avevo
capito molto… »
«Bhe,
è semplice! Se riuscissi a tornare nel Limbo, da Eleanor,
credo
che potrei… »
«Mark,
sono a casa… » annunciò una voce
«come mai la porta era aperta?»
Era Simon, di rientro dal lavoro e ignaro di tutto.
Theodore
cercò di pensare in fretta a un posto dove potersi
nascondere,
ma era inutile, suo fratello li raggiunse subito in salotto.
«Theodore?!
Ma cosa… » il suo sguardo passo fulmineamente da
Theodore a
suo figlio «Mark, ma che sta succedendo qui? La mamma
è già arrivata?»
«No,
non c’è nessuno. Zio Theodore è venuto
fin qui da solo.»
«Cooosa?!»
Tornò a guardare negli occhi il fratello. Non gli fu
difficile capire le probabili ragioni del perché avesse
fatto tutta quella
strada da solo.
«Oh,
no! Non puoi averlo fatto davvero!»
«Rilassati,
Simon. Sono appena arrivato… » lanciò
un’occhiata a suo
nipote «e comunque, Mark non ha voluto darmi retta sta
volta.» Aggiunse. Non
aveva senso coinvolgere anche suo nipote in quel folle piano che alla
fine si
era rivelato solo un buco nell’acqua.
Andò
a sedersi sul divano, un’azione che aveva fatto un sacco di
volte
nel corso degli anni, e che ormai gli era entrata nel sangue.
Chinò
la testa, chiuse gli occhi e appoggiò il volto sul palmo di
una
mano, e li restò in silenzio ad aspettare. Cosa, non lo so
sapeva nemmeno lui,
ma comunque si mise in attesa, amareggiato per un fallimento
così miserabile
dopo tutti gli sforzi fatti per compierlo al meglio.
«Per
la miseria, Theodore… » Simon lo raggiunse sul
sofà «la psicologia
è il mio campo di lavoro, ma proprio non ti
capisco… perché non riesci a
mollare? Hai rivisto Eleanor, ci hai parlato. Lo sai meglio di tutti
che è
ancora con noi, anche se non possiamo vederla. Perché
insisti con questa
storia?» Non riusciva a provare rabbia per il fratello.
Jeanette non poteva più
soffrirlo dopo la volta che aveva coinvolto Mark nella sua fissazione,
ma lui
non era così, lo compativa, e comprendeva le sue ragioni,
anche se a parole
diceva di non capirlo.
«E
tu perché fai domande, se poi non vuoi sentire le
risposte?» Rispose
Theodore.
Simon
lo guardò confuso.
«Sai
benissimo di che parlo.» Aggiunse Theodore.
Simon
sbuffò.
«Perché
è ridicolo. Te l’ho già detto. Non puoi
pensare sul serio di
farlo.»
«E
se ti sbagliassi? Jeanette non diceva le stesse cose di te quando
dicevi che avremo potuto trovare Eleanor attraverso i sogni condivisi
di Mark?»
«Non
è andata così. E comunque non è questo
il punto. Qui non centrano
niente viaggi nel tempo! La verità è che,
semplicemente, non vuoi lasciarla
andare. Non hai mai saputo accettare la sua morte, e ora che
l’abbiamo rivista,
dimostri ancora di più le tue ossessioni volendo tornare da
lei a tutti i
costi, fregandotene di chi ti sta intorno!»
Theodore
stava perdendo la pazienza.
«E
questo che pensi?»
«Se
il mio lavoro vale qualcosa, ebbene sì!»
Si
fissarono negli occhi, studiandosi in silenzio. Simon, in attesa
della prossima risposta di Theodore, e Theodore in attesa di decidere
se
continuare una discussione che non li avrebbe portati da nessuna parte
o chiudere
qui la questione.
Qualcuno
bussò nervosamente alla porta.
«Papà…
» lo chiamò Mark.
«Vado
io.» Gli rispose Simon, senza distogliere lo sguardo da
quello di
Theodore.
Quando
il chipmunk con gli occhiali uscì dalla stanza, quello con
la
felpa verde ritornò alla sua posizione d’attesa
seduto sul sofà.
Dall’altra
stanza, udì le voci di Dave e degli altri.
«Ci
sono il nonno e gli Zii, e c’è anche la
Mamma!» Lo informò Mark.
«Già,
mi chiedevo quanto ci avrebbero messo ad arrivare.» Gli
rispose
apaticamente Theodore, senza lasciar trasparire alcun tipo di emozione
e fregandosene
completamente degli altri, come avrebbe detto Simon.
Mark
non sapeva come comportarsi di fronte all’atteggiamento dello
Zio,
e uscì quindi dalla stanza per raggiungere gli altri.
Jeanette
parlò a suo figlio. Ci fu uno scambio di domande e risposte
tra
i presenti, che Theodore però non volle ascoltare.
L’unica
cosa a cui la sua concentrazione sembrava volersi dedicare era
la sua teoria sul ritorno al passato.
Simon,
Dave e tutti gli altri potevano dirgli quello che volevano su
quella che loro chiamavano “ossessione”, fare tutte
le loro supposizioni per
cercare una giustificazione che potesse spiegarla, suggerire soluzioni
o
seguire il modo di pensarla di Jeanette ed essere indifferenti nei suoi
confronti, ma in ogni caso, non avrebbero mai potuto comprendere le
vere ragioni
di Theodore. Nessuno di loro aveva visto la reazione di Eleanor nel
Limbo,
altrimenti non si sarebbero opposti così testardamente.
A
quel punto, mentre la sua mente vagava nel mare di pensieri in cui era
sommerso, tutti i membri della famiglia Seville, al gran completo,
fecero la
loro apparizione in salotto, ponendosi di fronte a lui.
Gli
unici due a cui dedicò attenzione erano Jeanette e Dave. Lei
con uno
sguardo di odio feroce, che sembrava non aspettasse altro che saltargli
addosso
per aggredirlo fisicamente, lui, invece, con un’espressione
di profonda
delusione sul volto, che a brave gli avrebbe anche dichiarato
apertamente.
Theodore
non aspettò che fosse Dave a chiederglielo. Estrasse dalla
tasca la Idkey di suo padre e gliela porse.
Lui
gliela strappò di mano bruscamente e se la mise in tasca.
«Sono
molto deluso di te, Theodore. Questa non me la dovevi fare…
»
Già,
come volevasi dimostrare, si disse Theodore tra sé e
sé.
«…
voler rivedere Eleanor è una cosa, ma il furto non posso
accettarlo.
Con questa ti sei giocato tutta la fiducia che avevo in te…
» continuò Dave, ma
le sue parole suonarono vuote e prive di significato per Theodore. Non
riusciva
più a esercitare quell’autorità che lo
rendeva il rispettabile capo famiglia di
un tempo. Lui e Theodore avevano vissuto giorno dopo giorno dieci anni
nella
stessa casa, e nel tempo nessuno di loro, a parte il chipmunk, aveva
capito che
anche Dave era stato profondamente scosso dall’incidente,
tanto da renderlo
l’uomo che era ora. Theodore, quindi lo lasciò
parlare senza batter ciglio e
quasi senza ascoltarlo.
«Ahhh!
Basta così!!» Urlò improvvisamente
Jeanette, cogliendo tutti di
sorpresa. «Non ne posso più di questa storia! Lo
voglio fuori da casa mia,
subito!!»
Simon,
trovatosi completamente alla sprovvista, cercò di trattenere
la
moglie, la cui furia, però, l’aveva resa
inarrestabile.
Jeanette
non era più intenzionata a instaurare alcun dialogo
né di
restare in silenzio mentre gli altri parlavano. Voleva che Theodore se
ne
andasse e che non facesse più ritorno, e per quanto la sua
reazione potesse
sembrare esagerata, aveva deciso che da quel momento in poi con lui non
avrebbe
più voluto aver nulla a che fare. Quel chipmunk doveva
uscire dalla sua vita, e
doveva farlo ora.
«Scendi
subito giù dal mio divano, e vattene da casa
mia!!» Lo afferrò
per la collottola della felpa e lo sollevo in piedi, per poi buttarlo
giù dal
sofà.
«Jeanette!!»
Urlarono in coro gli altri, e poi Simon e Alvin andarono da
Theodore per aiutarlo ad alzarsi.
«Jeanette,
ma sei impazzita!! Che diavolo ti passa per la testa pure a
te?!?» La rimproverò Dave.
«Non
ne posso più di questa storia! Non potevo sopportarlo prima,
e non
lo sopporto neanche adesso, voglio che se ne vada e ci lasci in pace.
Hai
capito, Theodore? Ci hai rovinato la vita! Vattene e non tornare
più!!»
«Jeanette,
piantala adesso, stai andando fuori di testa, non ragioni
più!» Le urlò contro Alvin.
«Ha
parlato quello che è stato per i fatti suoi per dieci anni.
Dov’eri
quando tuo fratello aveva bisogno di, eh? A New York a fare i comodi
tuoi! E
adesso vieni qui a fare il maestrino con me… »
«STA
ZITTA!» Questa volta a urlare era stato Simon. Un urlo
autoritario,
come non era stato in grado di farne da un sacco di tempo.
«Simon,
tu… vieni a dire a me… »
«Sì,
esatto! Hai capito bene! Ti credi superiore a tutti perché
sei
convinta di essere l’unica a non essere stata turbata dalla
morte di tua sorella!
Bhe, svegliati, perché ci sei dentro fino al collo anche
tu… »
«…
non lo credo prop… » tentò di parlare,
ma fu subito interrotta.
«…
quindi ora vatti a dare una rinfrescata in bagno e torna qui quando
ti sarai data una calmata, è chiaro? E sappi che non lo
ripeterò un’altra
volta!»
Jeanette
era indignata. Le sue labbra cominciarono a tremolare,
l’agitazione era al massimo.
«Se
le cose stanno così me ne vado io! Addio Simon, io ti
lascio!» E se
ne andò senza aggiungere una sola parola uscendo dalla porta
del loro
appartamento.
«Ma-Mamma…
dove vai?» Balbettò il piccolo Mark, con alcune
lacrime che
già gli stavano scendendo sul viso.
«No,
aspetta qui Mark. Simon, vado a parlarci io.» Disse Brittany.
«Lasciala
perdere. Che vada pure al diavolo.» Le rispose Simon.
«No,
non dirlo neanche per scherzo. Vado da lei adesso, e non cercate di
fermarmi.»
Brittany
corse dietro alla sorella, mentre nella stanza del salotto
restarono Dave, Mark e i tre fratelli Chipmunks.
«S-Simon…
mi… mi dispiace.» Disse Alvin.
«Non
importa, pensiamo a lui adesso. Theodore, stai bene?»
Theodore
era seduto sulla moquette con la schiena appoggiata al divano,
e oltre a tenere lo sguardo fisso davanti a se, fino ad allora non
aveva
reagito in alcun modo. Alla domanda di Simon, però,
parlò.
«Credi
ancora che si possa andare avanti?»
«Come?
Che vuoi dire?»
Theodore
si alzò in piedi, aiutato da Alvin che lo prese per un
braccio.
«Mi
avete sempre detto che io devo lasciarmi il passato alle spalle e
andare avanti con la mia vita. E’ questo che voi intendete
per vita? Bhe, che
belle prospettive»
«Theodore,
adesso non metterti tu a fare il sacente… »
cominciò Dave «tutto
questo non sarebbe successo se tu non fossi venuto qui…
»
«No
Dave, aspetta… » lo interruppe Simon
«Theodore ha ragione. Insomma,
guardateci. Eravamo una famiglia perfetta fino a sedici anni fa. Il
massimo che
ci succedeva erano dei battibecchi tra me e Alvin o qualche piccola
guaio in
casa o a scuola, e adesso invece… guardate cosa siamo
diventati.»
«No…
io… non sono d’accordo!» Si oppose Dave.
«Eravamo tornati a essere
una famiglia riunita qualche giorno fa, e poi… stiamo
dimenticando il motivo
del perché siamo qui!»
«Già,
Dave. Per cosa siete qui? Io ero venuto per tentare aggiustare
ogni cosa, voi invece?» Domandò Theodore.
Simon
ritornò nella conversazione.
«Ancora
con questa storia, Theodore?»
«Non
intendo rinunciarci, Simon. Non dopo tutto quello che ho dovuto
passare.»
Simon
sbuffò, ormai rassegnato.
«Pff…
allora fai quello che ti pare, ma sono curioso di sapere come
farai.»
«Io…
io non voglio riportarlo nel Limbo!» Annunciò
Mark, che era rimasto
in disparte fino ad allora.
«Ecco,
appunto. Mark ha detto tutto, quindi che farai ora?»
Sul
volto di Theodore si stampò d’improvviso un ghigno
preoccupante.
Totalmente fuori luogo nel contesto.
«Non
avevo intenzione di chiedere a Mark di riportarmi in un sogno
condiviso. Ci avevo rinunciato nel momento in cui siete arrivati
voi.»
Tutti
gli sguardi dei presenti erano improvvisamente puntati su Theodore.
Persino quello della stessa Eleanor, che aveva osservato dal Limbo
tutto quello
che era avvenuto fino a quel momento e che ora, come loro, si chiedeva
cosa volesse
dire.
Quando
Jeanette, in preda alla furia, aveva buttato Theodore a terra in
quel modo tanto violento, il chipmunk aveva finito per battere la testa
ancora
una volta. D’improvviso, gli si proietto nella mente lo
strano sogno che aveva
vissuto durante il secondo incontro con Eleanor, quando si era
ritrovato in
cima a quell’imponente grattacelo, e in quel momento si era
reso conto che
rimaneva ancora una cosa da fare. Il piano B che aveva cercato fin da
subito di
escogitare ma che non gli era mai venuto in mente.
Era
necessario l’intervento diretto di Eleanor
affinché lui potesse
raggiungere il Limbo attraverso i sogni condivisi di Mark, e senza di
lei,
qualsiasi cosa avrebbe detto o fatto, non sarebbe servita a nulla,
oppure no?
«Theodore…
cos’ hai in mente?» Gli domandò Alvin.
Lui
sorrise, soddisfatto e sicuro di se e si allontanò
d’improvviso da
loro, dirigendosi verso la vetrata che conduceva alla terrazza
dell’appartamento.
Gli
altri lo guardarono confusi e con mille domande in testa.
«Ma…
che sta facendo?» Questa volta fu Dave a chiederlo.
Simon
a quel punto capì.
«Oh,
no! Dave, fermalo! Vuole saltare dal terrazzo!!»
«Cosa?!?»
L’uomo
corse per cercare di raggiungerlo, ma Theodore aveva già
varcato
la vetrata ed era saltato sul bordo del parapetto.
«Non
ti muovere da lì, Dave!» Gli ordino il chipmunk.
Presto anche i
suoi fratelli li raggiunsero, mentre Mark se ne restava in disparte,
impietrito
dalla paura.
«Theodore,
ma che diavolo stai facendo?! Sei impazzito?!?»
Urlò Simon.
«In
questo modo Eleanor non potrà impedirmi di raggiungerla.
Quando
l’abbiamo vista la prima volta, ci ha spiegato
cos’ha dovuto fare per restare
nel Limbo, quindi, se non sarete voi ad aiutarmi a raggiungerla,
vorrà dire che
lo farò da solo.»
«Ma…
ma… ti rendi conto di quello che stai dicendo?! Finirai per
morire
anche tu se ti butti di sotto!» Disse Alvin.
«Lo
so, ed è proprio questo che voglio fare.»
«E
non pensi a noi? Che dovremo fare?! Come lo spiegheremo alle
ragazze!»
Aggiunse Dave.
«Non
ha più importanza. Quando io ed Eleanor cambieremo il
passato,
tutto questo si sistemerà, e non dovrete più
preoccuparvi di niente»
«No,
Theo! Non possiamo lasciartelo fare! Scendi giù di
lì, ti prometto
che poi io e Mark ti aiuteremo a tornare da lei!!» Lo
supplicò ancora Simon.
«Simon,
lo so cosa state pensando. Pensate che io sia pazzo, ma per
favore, dovete credermi, so quello che faccio. Non so per quale motivo
lo
faccia, ma Eleanor ci nasconde qualcosa! Ha quasi avuto un attacco di
panico
quando ho iniziato a farle domande sui viaggi nel tempo, questo deve
per forza
significare qualcosa!»
«Ma
non puoi saperlo! Non possiamo nemmeno essere certi che quella fosse
davvero Eleanor, potrebbe essere qualunque cosa! Una proiezione del tuo
subconscio, chi sa! Se ti sbagli avrai gettato la tua vita al vento per
niente!»
«E
cosa proponi che dovremo fare? Tua moglie se n’è
appena andata
gridando di volerti lasciare! Sto parlando di Jeanette,
Simon… Jeanette! Credi
davvero che le cose spariranno nel momento in cui io
scenderò da qui? Se c’è
una cosa che ho imparato in questi anni è che i traumi non
guariscono mai del
tutto. Noi li nascondiamo, cercando di far finta che non sia successo
niente.
Ci creiamo delle illusioni di successo e di stabilità
familiare e ci rifugiamo
in esse per sfuggire, ma quelli restano dentro di noi per sempre! Se ci
fosse
la possibilità di cancellare tutto, se tu fossi sicuro in
cuor tuo che è
possibile ripartire da zero per ricostruire la vita che ci è
stata negata, non
vorresti anche tu fare qualcosa per renderlo possibile?»
Era
davvero Theodore ad aver parlato? Se lo chiedevano tutti in quella
terrazza.
La
risposta più ovvia era: no. Non era Theodore, o meglio, non
era il
LORO Theodore. Quello che un tempo era il più tenere e
amichevole del gruppo,
ma allo stesso tempo il più ingenuo. No, non lo era. Solo
ora si resero
veramente conto di cosa fosse veramente diventato in seguito
all’incidente. I
dieci anni di silenzio e apatia erano stati solo una fase del suo
cambiamento.
Un tasto di “pausa” tenuto semplicemente premuto
per troppo tempo. Ma ora che
il tasto era stata sbloccato, potevano finalmente vederlo chiaramente.
Era
come se lui avesse sempre saputo di essere destinato a quello. Aveva
aspettato a lungo, lasciandosi quasi morire di stenti
nell’attesa di poter
finalmente tornare da Eleanor, e ora che ne aveva la
possibilità, qualunque
fosse stata la motivazione del suo gesto, niente al mondo avrebbe
potuto
fermarlo.
Forse
era proprio così che dovevano andare le cose. Forse era
proprio
questo il grande disegno che era sempre stato dietro ai drammi della
loro
famiglia. Forse Alvin doveva affogare nel disperato tentativo di
salvare
Brittany dal mare che la stava inghiottendo, forse Simon doveva essere
schiacciato insieme a Jeanette da quella maledetta quercia, e forse
Theodore
avrebbe dovuto perdere la vita nell’incidente insieme a
Eleanor, in questo
modo, non ci sarebbero state partenze improvvise che avrebbero diviso
la
famiglia, né litigi che ne avrebbero minato
l’equilibrio, e neppure disperate
ossessioni che avrebbero fatto crollare tutto quello che fino ad ora
era stato
faticosamente ricostruito.
«Theodore…
fratello, io… se potessi fare qualcosa per cancellare tutto
questo, sarei il primo a provarci, ma non a discapito della mia vita o
di
quella di chi mi sta intorno. Ogni persona al mondo, ogni giorno, vive
dei
grandi o dei piccoli traumi, e se ci fosse una soluzione per impedirli
è giusto
sfruttarla, ma la vita è un bene prezioso, non si
può sacrificarla in questo
modo!»
«Bhe,
Simon. Io sono morto quel 26 aprile 2016, quando mi sono
risvegliato dal coma e mi è stato detto che Eleanor non ce
l’aveva fatta.
Quello che vedete qui è solo il suo corpo, e ora
è arrivato il momento che si
ricongiunga alla sua anima. Vi prometto solo una cosa:
tornerò indietro e vi
ridarò la vita che non avete mai potuto avere. E ora,
addio.»
Non
indugiò ulteriormente. Si lasciò semplicemente
cadere dal parapetto,
mentre gli altri urlavano il suo nome e gridavano
“NOOO”, come se ciò potesse
servire a riportarlo indietro.
Il
piccolo Mark, fuori di se, quasi corse il rischio di cadere
giù
insieme a suo Zio, mentre si lanciò precipitosamente verso
la ringhiera, e fu
fermato all’ultimo secondo da Dave, che lo placò
con entrambe le mani.
Tutti
i maschi della famiglia Seville presenti in quel terrazzo,
guardarono con il volto pallido e sotto shock il corpo di Theodore che
diventava sempre più piccolo via via che precipitava dagli
otto piani da cui si
era lanciato.
Mentre
aspettava il momento in cui si sarebbe schiantato al suolo, il
chipmunk dalla felpa verde era sereno e per niente preoccupato,
perché aveva
già provato un’esperienza simile alla morte, e
sapeva comunque che in ogni
caso, quella non sarebbe stata la fine di tutto, ma solo un nuovo
inizio.
Doveva solo chiudere gli occhi e aspettare.
Preparati,
Ellie. Sto venendo da te. Si disse tra sé e sé, e
quello fu
il suo ultimo pensiero da vivo.
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Capitolo 11 *** EPILOGO ***
1:
ORA
SCONOSCIUTA (Luogo sconosciuto)
Strano.
Era convinto che avrebbe sentito almeno qualcosa, un istante di
dolore intenso che poi si sarebbe spento, invece non ci fu niente.
Aprì
gli occhi come se si fosse risvegliato da un sogno e davanti a
sé
vide subito proiettarsi, come fosse un megaschermo, tutte le immagini
facenti
parte della sua vita, dalla nascita fino ad ora. Sicuramente faceva
parte del
rituale del trapasso, come se si trattasse di un riepilogo di tutto
quello che era
stato fatto fino ad allora, prima di proseguire. Ma cominciò
a domandarsi che utilità
avrebbe mai potuto avere e se veramente ce n’era una.
Quando
il “film” della sua vita giunse al termine, al suo
posto si aprì
un’enorme sfera di luce che abbaiò tutto il suo
corpo, e una specie di
richiamo, silenzioso ma irresistibile, cominciò ad attrarlo
verso di essa,
invitandolo a entrarci.
Theodore
provava dentro di sé il desiderio intenso di varcarla, per
scoprire tutte le meraviglie che erano contenute al suo interno. Se
fosse
entrato, lì dentro sarebbe stato felice per
l’eternità, ne era convinto.
A
passi lenti ma sicuri, compì la breve strada che di
lì a poco lo
avrebbe condotto alla serenità eterna. Non avrebbe
più dovuto preoccuparsi di
niente. Mai più dolore, mai più conflitti, mai
più solitudine.
Ma
era la scelta giusta?
Ricordati
perché sei qui, Theodore! Si disse tra sé e
sé.
Giusto,
non poteva permettersi di cedere al richiamo della luce, se era
qui era solo perché doveva trovare il modo di aggiustare le
cose nel mondo dei Vivi.
Aveva costretto i suoi fratelli e il suo stesso nipote ad assistere al
suo
folle gesto, e ora doveva portare a termine la seconda parte della sua
missione.
Distogliere
lo sguardo dalla luce si rivelò più arduo di
quanto non lo
credeva possibile, e ancora più difficile era compiere i
passi necessari per
allontanarsi.
«Ma
in fondo, perché resistere? Se è questo quello
che aspetta a tutti,
che senso ha dannarsi per cambiare le cose?» Si chiese a
sé stesso ad alta
voce, e per un attimo si fermò e valutò
l’idea di entrare nella luce.
«No!
Hai promesso loro che avresti cambiato le cose! Ora fallo!»
Si
spronò da solo, e ciò gli diede la carica
necessaria per voltarsi dall’altra
parte e allontanarsi il più possibile dal potente richiamo.
Fece
cinque passi in avanti, uno più faticoso
dell’altro, e giunto al
sesto, ebbe l’impressione che la luce si stesse affievolendo.
Che significava
questo? Si stava finalmente allontanando dalla sua influenza? O era
qualcos’altro? Avrebbe dovuto voltarsi e guardare, ma temeva
che ciò avrebbe
vanificato gli sforzi compiuti fino ad allora. Ne compì
altri tre, durante i
quali costatò che la luce non diminuì di
intensità, ma lo fece nel momento in
cui lui, terminato il terzo, si fermò. Si stava indebolendo
in modo irregolare,
indipendentemente da quanto Theodore si allontanasse.
La
curiosità, o forse l’attrazione esercitata dalla
luce, lo spinse a
voltarsi verso la sua direzione e guardare. A quel punto
capì cosa stava
succedendo. La luce si stava rimpicciolendo!
Se
inizialmente era grande il doppio di Theodore, ora si era rimpicciolita
al punto da essere grande quanto metà del suo corpo, e pochi
secondi dopo, si
ridusse ancora di più.
D’un
tratto, dopo essersi ristretta sempre di più,
sparì davanti agli
occhi di Theodore esattamente come era apparsa, facendolo sprofondare
nel buio
più totale.
Era
accaduto esattamente quello che aveva descritto Eleanor. Il portale
per l’aldilà si era chiuso di fronte a Theodore, e
ora lui, come la Chipette,
era destinato a restare intrappolato nel Limbo per
l’eternità.
2:
Laggiù,
avvolto nell’oscurità del Limbo, Theodore
vagò alla ricerca di
Eleanor, che sembrava sparita nel nulla.
Il
suo corpo aveva iniziato a brillare, proprio come quello della
Chipette, ed era l’unica fonte di luce visibile nel raggio di
un orizzonte che
sembrava infinito.
In
quel luogo freddo e spoglio, dove non sentiva più
né la stanchezza né
la fame, ben presto finì per perdere completamente la
cognizione del tempo. Più
di una volta si domandò se avesse vagato nel nulla per
giorni, per mesi o
ancora peggio, per anni.
Si
accorse ben presto, però, che quella condizione di
degradante vita
eterna aveva anche dei lati positivi. Man mano che il tempo passava,
nella sua
testa cominciavano a emergere conoscenze che non credeva di avere. Il
significato della vita, l’importanza delle regole che
governano l’equilibrio tra
i vari mondi, la consapevolezza di essere in grado, come Eleanor, di
stabilire
un contatto con i sogni condivisi dei Viaggiatori, e molti altri
segreti che il
linguaggio umano non sarebbe stato in grado di descrivere a parole
(nemmeno
quello dei chipmunk). Volta per volta, nuove conoscenze si aggiungevano
a
quelle già apprese, come se ci fosse qualcuno col preciso
compito di imprimerle
nella mente di Theodore.
Alcune
ore, o forse alcuni giorni dopo il suo arrivo nel Limbo, quando
ormai stava per perdere le speranze di trovare Eleanor, in un punto
imprecisato
dell’orizzonte di fronte a sé, gli parve di
scorgere un minuscolo puntino
luminoso che si stava dirigendo verso la sua direzione.
Si
strofinò gli occhi per schiarirseli e vedere meglio, ma si
rese conto
che, essendo divenuto uno spirito, non era più necessario
che lo facesse.
Allora decise che avrebbe atteso alcuni secondi, giusto per assicurarsi
di non
avere una specie di allucinazione, e se la luce sarebbe rimasta ancora
lì o si
sarebbe avvicinata, lui l’avrebbe raggiunta.
Chiuse
gli occhi e contò ad alta voce fino a dieci. Non era
più nemmeno
sicuro di ricordarsi quanto fosse lungo l’intervallo di tempo
tra un secondo e
l’altro, ma non aveva importanza, alla fine
l’importante era terminare quella
conta.
Quando
lì riaprì, con sua grande fortuna la luce
c’era ancora, e come
lui aveva sperato, si era ulteriormente avvicinata. Quindi le
andò incontro.
D’improvviso
però si arrestò. E se poi non fosse stata
Eleanor, ma
qualcun altro? Si chiese dubbioso. Non era detto che loro due fossero
gli unici
a girovagare in quel mondo per l’eternità.
Così come loro avevano scelto di
restare, anche altri potrebbero aver deciso di fare la stessa scelta.
Ma
non dovette attendere molto per vedersi smentire di fronte a se la
sua stessa ipotesi. Erano ancora molto distanti l’uno
dall’altra, ma riuscì
comunque a riconoscere la sua sagoma e i suoi lineamenti.
Sì,
era Eleanor, l’aveva trovata!
3:
Le
era molto vicino adesso. Non più di un metro.
Lei
lo stava fissando con uno sguardo che lasciava trasparire tutta la
sua incredulità e il suo disappunto.
Da
quando si erano visti l’ultima volta, Eleanor non aveva mai
distolto
la sua attenzione da Theodore, pertanto, era al corrente del gesto che
aveva
appena compiuto.
«Ciao,
Eleanor.» La salutò Theo, nel tentativo di rompere
il ghiaccio.
L’espressione
di lei si tramutò in rabbia sgomenta.
«Oddio,
Theodore… che cosa hai fatto!» Esclamò
scuotendo la testa.
Il
chipmunk emise un sospiro amareggiato.
«Non
ho avuto scelta. Era l’unico modo per tornare da
te.»
Seguì
un breve istante di imbarazzante silenzio, durante il quale la
Chipette cercò di riordinare le idee.
«Non
posso crederci… no, mi rifiuto! Non puoi averlo fatto sul
serio.»
«Hai
ragione. Nemmeno io immaginavo che l’avrei fatto, ma a questo
punto
ero pronto a tutto pur di sapere la verità… e
poi, sapevo che non mi sarebbe
successo niente se fossi morto. Mi sarei solo svegliato qui nel
Limbo… » smise
di parlare e la fissò, aspettando di scoprire se avrebbe
obbiettato in qualche
modo. Eleanor invece non parlò.
Ora
la sua espressione, oltre alla rabbia e allo sgomento,
comunicò
anche timore per quanto sarebbe avvenuto poco dopo, perché
Theodore si trovava
lì per uno scopo, e questa volta, nel modo che aveva
escogitato per
raggiungerla di nuovo, lei non poteva fare nulla per allontanarlo.
«Sai
perché sono qui. Ora, per favore, se ti è mai
importato qualcosa di
noi, parla.» Insistette lui.
«Theo…
certo che mi importa di noi, ma… »
«Ma
cosa? Ellie. Perché non me lo vuoi dire? Ormai non
è più un tuo
segreto, che senso ha continuare a far finta che non ci sia
nulla?!»
«Non
è per questo… è solo che…
» E si ammutolì ancora.
Theodore
stava cominciando a spazientirsi.
«Ok,
senti. Tu hai detto che qui nel Limbo si finisce per apprendere
delle cose che non conosceresti da nessun’altra parte,
Giusto? Ebbene, da
quando io sono qui ho imparato segreti che non mi sarei mai potuto
immaginare,
e sono pronto a scommettere che i viaggi nel tempo fanno parte di
questi segreti.
Prima o poi finirei comunque per scoprirlo da solo, quindi che senso ha
continuare a tacere?! Eleanor, io voglio sapere… anzi
no… DEVO sapere se sono
veramente possibili e come!»
Sperava
davvero, questa volta, di essere riuscito a convincerla a rispondergli,
e mentre la attendeva, tornò a fissarla in silenzio,
cercando di stabilire un
contatto visivo con il suo sguardo. Un contatto che però lei
non voleva, dato
che continuava a evitarlo guardando sempre da tutt’altra
parte.
La
Chipette dovette rassegnarsi al fatto che Theodore aveva ragione. Era
inutile cercare di nascondere una verità che in fondo non
avrebbe tardato a
scoprire da solo.
«Questo
posto, Theodore… il Limbo… è una
specie di corridoio… una via
d’accesso attraverso la quale è possibile
raggiungere le varie dimensioni.
Esistono mondi, come quello che noi definiamo
l’Aldilà, in cui è possibile
accederci solo a determinate condizioni… in questo caso,
entrando nella Luce
prima che il varco si chiuda. Oppure nei sogni, coi quali
però è possibile
interagire solo in presenza di un Viaggiatore. In altri, invece,
è possibile
aprire una via d’accesso semplicemente sacrificando parte
della proprio energia
spirituale… quella di cui sono fatte le anime…
»
«Hai
detto… sacrificare?»
«Sì…
cedendo una piccola parte della propria energia, puoi aprire
portali per alcuni mondi per brevi periodi di tempo, e entrarci
finché
l’accesso resterà aperto.»
«E
la conseguenza di questo sacrificio qual è?»
Eleanor
sospirò.
«La
perdita dei nostri poteri… la capacità di
osservare i nostri cari
nel mondo dei vivi e di comunicare con i loro sogni, o di aprire altri
portali
per altre dimensioni… »
Ora
Theodore era perplesso.
«Tutto
qui? Stai cercando di dirmi che tornare nel passato è
possibile e
che l’unica cosa che ti preoccupa è perdere i tuoi
poteri?! Per quanto mi
riguarda, è un sacrificio che sono disposto ad accettare
più che volentieri… »
«No
Theodore, aspetta. Il discorso non è così
semplice, altrimenti avrei
cercato anch’io di farlo da tempo… il fatto
è che… bhe, mettiamola così:
esistono tre dimensioni distinte che hanno a che vedere col mondo dei
Vivi. E
ognuna di esse segue un preciso binario temporale…
» si fermò cercando di dare
a Theodore il tempo di elaborare le informazioni che gli stava fornendo
«queste
tre dimensioni sono quello che noi
percepiamo come “passato”
“presente” e
“futuro”.»
«Quindi,
stai dicendo che in questo momento, mentre io e te parliamo…
ci
sono tre dimensioni nelle quali succedono le stesse cose… ma
in tempi diversi??
Scusa… e di quant’è la differenza di
tempo trascorso tra una dimensione e
l’altra?!»
«In
realtà non funziona così. Però
è un concetto difficile da realizzare.
Io vivo nel Limbo da molti anni ormai, e ancora non sono certa di
averlo compreso
appieno. Il “presente”, la dimensione da dove
veniamo noi, è collegata
direttamente con il “passato” e il
“futuro”. Tutto quello che accade nel
“presente”, è conseguenza di quello che
era previsto dal “futuro”, e tutto
quello che è già successo, modifica per sempre il
“passato”…»
«Ellie,
aspetta! Io… non riesco a seguirti… voglio dire,
ok… passato,
presente e futuro, fin qui ci sono… ma cosa ha a che fare
tutto questo con te?
E’ possibile cambiare il passato sì o
no?»
«Sto
cercando di spiegartelo, Theodore! Te l’ho detto che non
è facile
nemmeno per me. Abbi un po’ di pazienza!» Lo
rimproverò Eleanor, spazientita.
«Hai
ragione… scusami.» Rispose Theodore, imbarazzato.
«Cerca
solo di seguirmi, ok? Tutti noi, che veniamo dal mondo dei Vivi,
viviamo nella dimensione appartenente al
“presente”. Mentre le nostre copie del
“passato” e del “futuro” sono
solo delle proiezioni di quello che eravamo e di
quello che saremo, e tutto ciò che accade nel presente,
determina come saranno
le cose nelle altre due dimensioni. Secondo le regole ufficiali,
quindi, il
“presente” è l’unica delle tre
realtà che può essere modificata per influire
sulle altre… è tutto chiaro fino a qui?»
Theodore
ci rifletté un po’.
«Credo
di sì.»
«Bene.
Ora senti, come ti dicevo prima, esistono dimensioni in cui alle
anime è concesso accedere senza che queste debbano
rispettare per forze dei
requisiti fondamentali, anche se è comunque sono tenute a un
sacrificio di una
parte della propria essenza, fondamentale per aprire un varco tra il
Limbo e
quel mondo e mantenerlo aperto. Una di queste dimensioni è
quella del
“passato”, così come lo è
quella del “futuro”. Una volta al suo interno le
regole sono molto simili a quelle del “presente”,
quindi, c’è la possibilità di
entrare direttamente in contatto telepatico con un Vivente.»
«Più
o meno come hai fatto tu con Simon?»
«Sì…
»
«Però,
se ben ricordo quella volta non eri riuscita a stabilire un vero
contatto con mio fratello. Eri solo riuscita a comunicare con lui
durante il
sonno.»
«Questo
perché, secondo le regole, i defunti non possono comunicare
con
i Vivi. Ma è una regola che molti di coloro che scelgono di
restare nel Limbo,
alla fine finiscono per ignorare.»
Theodore
analizzò molto attentamente le informazioni che gli
giungevano
all’orecchio dalla voce di Eleanor. Solo ora si rendeva conto
di quanto fosse
stato improvvisato e stupido il piano che l’aveva portato da
lei. Alla fine era
riuscito a tornare nel Limbo e a trovarla, ma alla luce di quanto gli
era
appena stato raccontato, forse potrebbe essere stato lo stesso, tutto
inutile.
«Quindi,
anche se riuscissimo a tornare nel passato, non è detto che
riusciremo a cambiare il presente e il futuro… »
si fermò a riflettere «ma
Ellie… non credi che valga comunque la pena
di tentare?» Si rivolse a lei.
Eleanor
ora aveva di nuovo quello sguardo. Come se avesse
qualcos’altro
da nascondere, e Theodore se ne accorse.
«C’è
dell’altro, vero?»
Lei
sospirò.
«Sì…
» mormorò.
«Di
che si tratta?»
«Ricordi
cosa ti ho detto prima? Solo il “presente”
può subire delle
modifiche, e non appena avvengono dei cambiamenti, anche il suo
“passato” e il
suo “futuro” cambiano insieme a lui. Non
è possibile cambiare il “passato”
mantenendo intatto quello che è il suo
“presente”. Quindi, se noi due lo
cambiassimo, il “passato” diventerebbe il nuovo
“presente”, e tutto quello che
avverrebbe dopo, diventerebbe il nuovo
“futuro”.»
«Quindi
ci sarebbe un nuovo presente e un nuovo futuro, bhe…
Ellie… non
mi dici niente di nuovo! Ripartirebbe tutto da quel 14 febbraio e
prenderebbe
una strada completamente diversa. Nel caso non lo avessi ancora capito,
è
proprio quello che voglio fare!»
«No,
Theodore. Sei tu che non hai capito! Qui non siamo in
“Ritorno al
Futuro” o in uno di quei film di fantascienza che parlano dei
viaggi nel tempo,
non ci può essere un secondo futuro che segue un binario
differente da quello
prestabilito! Ci può essere solo un
“passato”, solo un “presente” e
solo un “futuro”!
Il presente di ora diverrebbe il nuovo futuro, e tutto quello che ne fa
parte,
scomparirebbe per far spazio al NUOVO presente!»
Theodore
a questo punto aveva perso il filo del discorso.
«Eleanor…
non riesco ancora a capire… cosa stai cercando di
dirmi?»
«Sto
dicendo, Theodore, che se adesso noi due cambiassimo il passato,
Alvin, Brittany, Dave e tutti gli altri, non ricomincerebbero la loro
vita a
partire dal quel 14 febbraio 2013 come se niente fosse successo!
Verrebbero
cancellati per sempre insieme al loro presente…
scomparirebbero nel nulla! E
noi con loro!»
4:
Se
Theodore fosse appartenuto ancora al mondo dei Vivi, probabilmente
ora suderebbe freddo.
Era
arrivato fin lì con un piano e una promessa, ma ora stava
seriamente
cominciando a pensare che fare qualcosa avrebbe potuto rivelarsi di
gran lunga
peggiore che non farlo.
«Lo
capisci adesso? Capisci perché non ho voluto che sapessi
niente?
Quando mi sono tradita e tu hai cominciato a pensare alla
possibilità di
tornare indietro nel tempo, ho temuto che saresti finito nuovamente per
ossessionarti! Che avresti tentato di coinvolgere ancora Mark nel
obbiettivo di
tornare nel passato! Non è una cosa che i Viaggiatori dei
Sogni possono fare, e
non pensavo che tacendo, ti saresti spinto a tanto pur di conoscere la
verità… »
Spiegò Eleanor.
«E
comprensibile… nemmeno io lo immaginavo, e di certo, se
l’avessi saputo
prima, avrei dato retta a Simon… »
Entrambi
i chipmunk si sentirono in colpa per quello che era appena
uscito dalla bocca di Theodore, e in particolare, Eleanor si
pentì per non aver
detto fin da subito la verità.
«Quando
dici che anche noi verremo cancellati, che intendi
esattamente?»
Chiese Theodore, per approfondire la questione.
Eleanor
temeva la risposta più di ogni altra cosa e inizialmente
valutò
la possibilità di tacere anche su questo, magari raccontando
una menzogna che
potesse placare il bisogno di sapere di Theo, ma poi, riflettendoci
meglio, si
disse che forse la verità gli avrebbe dato una valida
motivazione per
rinunciare al suo folle piano.
«Esattamente
questo, Theo. Le nostre copie del passato al momento sono
solo una proiezione di noi, ma se il loro passato diventasse il nuovo
presente,
loro diverrebbero i nuovi “Noi”…
»
«E
non ci possono essere due copie della stessa persona nello stesso
presente… » Continuò Theodore.
«Esatto.»
Concluse amareggiata la Chipette.
«Quindi…
che ci succederebbe? Verremo cancellati, ma poi?»
«Ogni
anima ha diritto a un posto dove stare, quando le regole vengono
rispettate. Ma stravolgere l’equilibrio stesso del presente
è un’azione
gravissima. Se il presente viene riscritto, non ci sarà
più nulla per le anime
che ci vivono. Nessun Limbo, nessun aldilà, nessuna
dimensione. Significherà
condannare tutti alla desolazione più totale, senza ricordi,
senza emozioni. La
morte, nella sua definizione più terrificante.»
Quindi
erano questi i timori di Eleanor. Erano comprensibili. Persino
Theodore ora era combattuto. Il coraggio di buttarsi da quel terrazzo
gli era
stato reso possibile dalla consapevolezza che non sarebbe stata la
fine, ma
ora, a giudicare da quanto Eleanor gli diceva, se fossero andati fino
in fondo,
per la prima volta in vita loro avrebbero scoperto il vero significato
della
parola morte. O forse nemmeno quello, perché non avrebbero
nemmeno avuto il
tempo di scoprirlo.
Il
chipmunk si sentì sulle sue spalle il fardello della
decisione da
prendere. Era a lui che sarebbe toccata la decisione finale,
benché Eleanor
sperasse di averlo convinto a desistere.
Cosa
fare dunque? Lasciare che la vita di una famiglia distrutta
continuasse per la strada intrapresa o premere il tasto reset per
donare a dai
nuovi Seville, di un nuovo universo, la possibilità di
intraprendere una nuova
strada?
«So
già cosa mi risponderai, ma… tu che
faresti?» Domandò a quel punto il
chipmunk.
«Theodore,
io… ho paura. Paura di quello che ci succederebbe se
alterassimo il passato… non… non voglio
farlo!» Farfugliò lei.
«Ma
se lasciassimo tutto così, condanneremo anche a quelli del
passato
di subire il nostro stesso fato.»
«Ma
loro non sono reali! Sono solo proiezioni! Quando arriverà
anche per
loro il momento della morte, non cambierà niente
nell’aldilà o qui nel Limbo!
E’ solo il presente che conta,
nient’altro!»
«Eppure
tu stessa hai detto che il passato potrebbe diventare il nuovo
presente.»
«Sì!
Ma per farlo noi dovremo smettere di esistere!»
«Questo
l’ho capito, non è necessario che tu lo ripeta! Ma
ora mettiamola
così: siamo nel 14 febbraio 2013, stiamo uscendo dal parco e
tu stai per
convincermi ad andare a prendere quel gelato. Non possiamo saperlo, ma
tra
neanche 3 minuti tu morirai e la vita di tutti noi cambierà
per sempre. Se in
quel momento ci fosse qualcuno che ha in mano i mezzi per intervenire e
salvarci, tu non vorresti che lo facesse?»
«Certo
che lo vorrei, ma… »
Theodore
non la lasciò parlare.
«Ellie,
quelle saranno proiezioni fintanto che noi continueremo a
esistere, ma quando loro prenderanno il nostro posto, diventeranno
Viventi a
tutti gli effetti! E loro hanno diritto ad avere una seconda
possibilità!».
In
cuor suo, Eleanor sapeva che Theodore aveva ragione, tuttavia la
prospettiva di morire ancora una volta, e stavolta per davvero, la
terrorizzava
più di ogni altra cosa.
«Io…
non lo so… »
«Si
tratta di un sacrificio, Ellie. Io voglio farlo. Ho promesso loro
che gli avrei restituito una vita. Ok… forse non saranno gli
stessi Alvin,
Simon e Dave a cui mi ero rivolto, ma sono sempre loro. Che facciano
parte del
passato o che facciano parte del presente. Se dovessi riuscire a
cambiare il
passato da solo, tu scompariresti lo stesso con me. Ma io non posso
fare questa
cosa da solo, perciò… Eleanor… mi
aiuterai? »
Eleanor
non ne era affatto convinta. Voleva dare retta a Theodore,
accettare di aiutarlo nella sua missione, ma la paura era ancora
pressante.
Theodore
la osservava in ipnotico silenzio, aspettando una sua risposta.
«C’è
una cosa che devi vedere.» Disse quindi lei.
Chiuse
gli occhi come se si concentrasse su qualcosa, e subito dopo
averli riaperti, tra i due chipmunk si manifestò
nell’aria un specie di
ologramma sfumato con una serie di immagini che inizialmente Theodore
non
riuscì a identificare.
Le
chiese cosa fosse, ma senza ottenere risposta, quindi non gli
restò
che cercare di scoprirlo da solo. Guardò dentro quella
specie di ologramma e lì
finalmente capì. Stava guardando alcuni stralci della vita
della famiglia
Seville, tante piccole scene amalgamate tra di loro come
un’enorme collage di
riprese video. Probabilmente era così che Eleanor aveva
seguito la loro vita
nel corso di quei sedici anni.
A
seconda di dove puntasse la sua attenzione, la sequenza gli si
ingrandiva di fronte agli occhi, e inoltre, benché
l’ologramma non emettesse un
vero suono, nella sua mente gli sembrava di sentire le parole dette da
ciascuno
di loro.
Simon
e Jeanette, insieme a Mark, erano seduti intorno al loro tavolo in
miniatura e pasteggiavano con qualcosa che Theodore non capì
se potesse essere
la cena o il pranzo. Il fatto che Jeanette fosse ancora con loro stava
a
significare che forse Brittany era riuscita a convincerla a tornare,
tuttavia,
nel volto di tutti e tre, il piccolo Mark compreso, c’era un
velo di leggera
malinconia. Un dettagli che sorprese Theodore, non per il fatto che
fossero
malinconici, ma perché pareva esserlo troppo poco. In fondo
si era appena
buttato dall’ottavo piano del loro appartamento perdendo la
vita, era mai
possibile che l’avessero presa così bene?
Guardò
quindi la sequenza che mostrava la vita di Dave. L’uomo era
seduto al suo PC, impegnato probabilmente a scrivere un documento con
un’aria
ancora più serena di quella della famiglia di Simon.
Infine,
passò a Alvin e Brittany, che si trovavano in una lussuosa
ed
enorme stanza che Theodore non aveva mai visto prima di allora. Poteva
trattarsi del loro famigerato attico a New York? Era questo quindi che
Eleanor
voleva che vedesse? Che erano già passati alcuni giorni da
quando lui aveva
compiuto il suo gesto? Certo, se n’era già accorto
per conto suo che nel Limbo
si finiva per perdere la cognizione del tempo, ma non riusciva a capire
il
punto a cui Eleanor voleva condurlo (sempre ammesso che ce ne fosse
uno). Li
osservò con maggiore attenzione e non poté
credere quando vide cosa avesse tra
le braccia suo fratello Alvin. Avvicinò persino lo sguardo
all’ologramma, per
essere sicuro di non sbagliarsi, ma non c’erano dubbi: un
piccolo chipmunk!
Non
sembrava nemmeno appena nato, anzi, considerando che l’ultima
volta
Brittany era ancora in dolce attesa, questo piccolo sembrava
già abbastanza
cresciuto.
D’istinto
tornò alla sequenza di Simon, e osservando con maggiore
attenzione Mark, si accorse che appariva cresciuto parecchio rispetto a
come se
lo ricordava.
«Quanto
tempo è passato da quando… ?»
«Tre
anni, Theo. Ho preferito non dirtelo per ora. Volevo aspettare che
lo scoprissi da solo nel momento in cui avresti imparato a guardare nel
mondo
dei Vivi da solo, ma a questo punto è giusto che tu lo
sappia. Simon e gli
altri hanno superato anche questa difficoltà e hanno deciso
di andare avanti.
Jeanette è tornata con lui dopo due settimane dal tuo
funerale. Da quel giorno,
quando lei se n’è andata e tu sei morto, le cose
si sono fatte più difficili
per loro, ma nonostante tutto sono felici, e Mark sta diventando un
bravissimo
Viaggiatore dei Sogni. Dave vive la sua anzianità
serenamente, viaggiando
spesso per il mondo e andando spesso a trovare gli altri quando cerca
un po’
compagnia… anche loro vengono spesso a trovare lui. Mentre
Alvin e Brittany,
bhe, la loro vita va avanti proprio come per gli altri. Sai, hanno
persino
deciso di chiamare loro figlio – un maschio –
Theodore Jr., in tuo onore. Come
vedi, sono stati capaci di rialzarsi di nuovo. Sono felici.»
«Mentono
a se stessi.» obbiettò Theodore.
«C-come?
No, loro… »
«Ellie,
l’abbiamo già vista questa scena! E’
vero, forse ora sono più
uniti rispetto a prima, ma nessuno di loro è veramente
felice. E se ci pensi
bene, ti accorgeresti che ho ragione.»
Già.
Era stata sciocca a pensare che Theodore non se ne sarebbe accorto.
Aveva ragione su tutto. Da quando anche lui era morto, ogni traccia di
normalità dagli occhi della famiglia Seville si era spenta
come un fiammifero
nell’oscurità.
Doveva
gettare la spugna. Forse un reset era l’unica cosa veramente
sensata,
a questo punto.
«Te
lo chiedo ancora… » continuò il
chipmunk «vuoi aiutarmi? »
Le
porse anche la mano, invitandola ad unirsi alla sua missione. Nel suo
volto aveva un sorriso sereno. I suoi occhi comunicavano a Eleanor
tutto quello
che lei aveva bisogno di sapere. Era la cosa giusta da fare.
L’unico modo per
salvare la loro amata famiglia.
Così
come Alvin era stato pronto a morire per salvare Brittany,
così
come il Mark adulto aveva sacrificato la sua vita da Viaggiatore dei
Sogni per
donarla ai suoi genitori, ora era arrivato il momento che loro due
dessero la
loro per salvare tutti.
Eleanor
afferrò la mano di Theodore e i due le unirono in una decisa
stretta che consolidò la loro collaborazione.
Erano
pronti per tornare nel passato e impedire a quel dannato incidente
di distruggere le loro vite.
5:
«Allora.
Che dobbiamo fare?» Chiese Theodore, impaziente di cominciare.
Eleanor
non era certa di sapere la risposta. Grazie alle conoscenze che
aveva appreso nel Limbo, credeva di avere un’idea su come
procedere, ma si
trattava solo di un’ipotesi fino ad ora mai comprovata.
Si
voltò dall’altra parte, dando le spalle a Theodore
e senza perdere
tempo diede subito inizio all’esperimento, in fondo non era
necessario andare
alla ricerca di un punto specifico del Limbo per tentare di aprire il
portale
per il passato, dato che qualsiasi posto, dovunque loro si trovassero
in quel
momento, sarebbe andato bene allo scopo.
Theodore
osservò quindi in silenzio la Chipette intenta,
probabilmente,
a concentrarsi, e si domandò se anche lui avesse dovuto fare
altrettanto per
prepararsi all’eventualità di doverla aiutare,
aspettando nel frattempo, che
lei facesse qualcosa.
«C’è
qualcosa che non va… » annunciò qualche
secondo dopo, Eleanor.
«Che
vuoi dire?»
Qualsiasi
cosa stesse facendo in quel momento, si fermò e
tornò a
guardarlo con un’espressione sorpresa, come se avesse appena
scoperto qualcosa
di inaspettato.
«Non
credevo che sarebbe stato così difficile…
» rispose vagamente lei.
«Ellie,
aspetta. Non fare la misteriosa! Di che si tratta?»
«Pensavo
che sarebbe stato sufficiente aprire il portale ed entrarci,
invece…»
«Invece?»
«Theo…
devi andarci da solo.»
Theodore
non era sicuro di aver capito bene.
«Aspetta…
cosa?! Perché??»
«Credo…
credo che uno di noi debba restare qui per tenere aperto
l’accesso. Non può rimanerlo da solo. Credo che
sia una misura di sicurezza per
impedire che qualcuno come noi possa mettersi in testa di cambiare il
passato.»
Questa
non ci voleva, pensò Theodore. Aveva bisogno
dell’aiuto di
Eleanor per impedire l’incidente nel passato. Come avrebbe
fatto senza di lei?
«Che
cosa facciamo allora? Te l’ho già detto, non possa
farcela da solo!»
«Però
è necessario! O non riusciresti a cambiare le
cose!»
«E
se tu aprissi il portale e poi ci entrassi con me prima che si
chiuda?»
«Non
è possibile questo, noi non facciamo parte di quel tempo. Se
il
portale si dovesse chiudere verremo rispediti immediatamente nel Limbo.
E io
non credo che avrò le forze per aprirne un altro. Devi dirmi
in quale punto del
tempo devo spedirti e poi devi farcela da solo!»
«Dannazione!!»
Imprecò Theodore.
Le
cose non potevano andare peggio di così. Non solo non
avevano alcuna
via di scampo una volta modificato il passato, ma dovevano persino fare
i conti
con assurdi sistemi di sicurezza che impedivano loro di iniziare.
Eleanor
ormai era pronta a fare quel che era necessario per riuscire a
portare a termine la missione di Theodore, ma a parte tener aperto
l’accesso
per lui, a quel punto poteva fare ben poco.
«Tu
cosa consigli di fare?» Le chiese, ma Eleanor non
capì la domanda. «Dicevi
che abbiamo un solo tentativo, giusto? Bene, secondo te in quale punto
del
passato dovrei andare per impedire l’incidente, e come dovrei
fare?»
«Oh…
bhe, devi impedire che quel pirata della strada ci colpisca,
giusto? Allora forse potresti provare a bloccare le nostre copie prima
che
attraversino la strada… loro non ti vedranno, ma tu potresti
riuscire a
stabilire un contatto con la loro mente e convincerli a non
muoversi… »
«Sì…
può funzionare… credo di sapere come fare. Quindi
immagino di dover
tornare a quel pomeriggio del 14 febbraio… »
«Già.
Se si fosse trattato del presente, probabilmente il destino
farebbe qualcosa per far sì che gli eventi seguano il suo
corso, ma nel passato
le cose già successe si possono solo cambiare. E per questo,
anche la più
piccola modifica è sufficiente a stravolgere
tutto.»
«Vuoi
dire che se sbagliassi qualcosa rischierei di cancellare tutto il
nostro presente senza riuscire comunque a salvarci?
Grandioso… le cose vanno di
bene in meglio.»
«Io…
credevo che l’avessi già capito…
»
«No
infatti… ma non fa niente Ellie, ormai andiamo
avanti.»
Aspettò
che Eleanor facesse la sua parte, dandole nel frattempo le
spalle, ma non si accorse che la Chipette gli si era avvicinata. Quando
se ne
rese conto e si voltò per chiederle cose stesse facendo, lei
lo baciò.
Erano
solo spiriti, eppure quel gesto apparse a Theodore così
reale che
per un attimo percepì pure un brivido lungo tutto il corpo,
prima di rendersi
conto che anche questa era solo una sensazione, dato che non avevano
più un
corpo che potesse provare quelle emozioni.
«Quando
cambierai il passato, sia io che te spariremo per sempre. Volevo
solo darti un ultimo saluto.» Confessò lei.
Theodore
le sorrise.
«Ci
rivedremo in un’altra vita, te lo prometto.» Le
disse dolcemente,
per rassicurarla.
«Lo
spero… ora… iniziamo?»
«Sì.»
Annuì Theodore.
A
quel punto il chipmunk era curioso più che mai di scoprire
cosa
sarebbe successo dopo.
Eleanor,
ora con le idee più chiare su cosa avrebbe dovuto fare,
tornò a
concentrarsi nello stesso modo in cui aveva tentato prima, e se la
regola per
aprire un portale per il passato era la stessa che per portare un
sognatore nel
Limbo, allora l’unica cosa che avrebbe dovuto fare era
desiderarlo
intensamente. E così fece. Con tutta se stessa,
pensò intensamente all’aprire
un varco di fronte a sé.
Theodore
la guardava in disparte, mantenendo le distanze e restando in
assoluto silenzio per non distrarla, ma già da adesso poteva
sentire una specie
di presentimento nell’aria, come di qualcosa che stava per
avvenire.
Eleanor
sentì le sue energie iniziare a ridursi. Stava accadendo
esattamente quelle che temeva, e a una velocità persino
superiore di quanto
immaginasse.
Di
fronte a sé, una specie di fenditura nel Limbo
cominciò ad aprirsi,
ma ogni millimetro di cui la circonferenza si allargava, strappava allo
spirito
della Chipette un quantitativo spropositato di energia, e quel che
è peggio, e
che avrebbe dovuto mantenerlo aperto per Theodore, una volta che
sarebbe passato.
Theodore
avrebbe voluto fare qualcosa per esserle d’aiuto, ma se si
fosse unito a lei, non ci sarebbe stato nessuno a entrare nel varco
temporale
al posto suo.
«Ok,
Theo! Vai ora. Non posso tenerlo aperto a lungo!» Lo
avvertì
Eleanor.
«D’accordo!»
«Addio,
Theodore… e buona fortuna!»
Quell’addio
per un attimo lo trattenne dall’entrare nel portale, ma ora
più che mai era arrivato il momento di attraversarlo e
completare la missione.
La
ringraziò e ricambiò il suo triste addio, dopo di
che, entrò.
6:
Di
punto in bianco si ritrovò lì, nel 14 febbraio
del 2013.
Benché
non se ne fosse reso conto, aveva trascorso tre interi anni a
vagare nel Limbo alla ricerca di Eleanor, e passare da
quell’ambiente buio e
sconfinato, dove era solo il suo corpo spirituale a illuminare il suo
cammino,
a questa realtà fatta di luci e colori, lo faceva sentire
spaesato. Era un
mondo a cui ormai non faceva più parte.
Eleanor
aveva fatto in modo di farlo tornare in quel marciapiede
all’uscita del parco, proprio nel punto in cui avrebbero
dovuto fare la loro
comparsa le loro copie del passato. L’unico problema era
capire quanto dovesse
aspettare.
Valutò
l’idea di avviarsi nel parco per intercettarli prima e
tentare di
anticipare in qualche modo i tempi, anche per non costringere Eleanor a
tenere
aperto il varco troppo a lungo. Si rese conto, però, di non
ricordare le
direzioni che avrebbero percorso prima di uscire nel marciapiede,
quindi se
fosse partito alla loro ricerca, avrebbe rischiato di lasciarseli
sfuggire.
Restò
lì, guardando in continuazione verso l’accesso del
parco in attesa
del loro arrivo.
Passarono
alcuni minuti, che per Eleanor dovevano probabilmente
rappresentare un vero supplizio, sicché poi finalmente li
vide fare la loro
comparsa proprio di fronte ai suoi occhi.
Theodore
faticò a crederlo. Stava vedendo se stesso da giovane a
pochi
passi da lui, che parlava come se niente fosse con la copia di Eleanor,
entrambi ignari di ciò che sarebbe successo se lui non
avesse agito subito.
Non
c’era un secondo da perdere, doveva riuscire a stabilire in
qualche
modo un contatto telepatico con il Theodore giovane, ed era rimasto
abbastanza
a lungo nel Limbo da sapere come fare.
Mentre
percorrevano il marciapiede, i due si arrestarono
d’improvviso.
La copia di Eleanor continuava a parlare con il Theodore giovane,
mentre questi
pareva avere lo sguardo perso nel vuoto.
Il
Theodore originale si convinse di essere riuscito a stabilire il
contatto che voleva, pertanto si avvicinò ai due, che
ovviamente non potevano
vederlo, e cominciò a spigargli la situazione, sicuro che
ciò sarebbe stato
sufficiente a metterlo in guardia. Gli parlò
telepaticamente, spiegandogli per
filo e per segno chi fosse, da dove venisse e perché si
trovava lì.
«Hey,
Theodore? Ma mi ascolti?» Sentì la copia di
Eleanor chiedere.
Il
Theodore giovane la guardò.
«Oh,
sì scusa… »
«Che
succede?»
«Niente,
niente… eheh, dicevi?»
A
quel punto la copia di Eleanor iniziò a fargli pressione per
convincerlo ad andare alla gelateria dall’altra parte della
strada, mentre il
Theodore originale aveva appena finito di metterlo in guardia.
Il
Theodore giovane non sembrò d’accordo con la
proposta della copia di
Eleanor, ma nonostante ciò, lei continuò a
insistere.
A
quel punto, al vero Theo si raggelò il sangue, o comunque,
qualsiasi altra
cosa avesse ora al posto di esso.
Ricordava
molto bene quella scena, benché fossero passati ben
diciannove
anni da quando l’aveva vissuta sulla sua pelle, e anche ora
stava seguendo lo
stesso identico copione: lui voleva aspettare gli altri, lei insisteva,
lui si
faceva convincere e insieme si dirigevano all’attraversamento
pedonale.
C’era
qualcosa che non andava. Non stava funzionando!
Il
passato non era ancora stato alterato, altrimenti se così
fosse
stato, il Theodore adulto sarebbe già dovuto scomparire
insieme all’Eleanor
originale, invece, il fatto che lui fosse ancora lì voleva
dire che aveva
fallito.
Corse
incontro ai due, cercò di parlare telepaticamente con
entrambi,
chiamò i loro nomi ad alta voce, provò persino a
bloccarli con la forza, ma i
loro corpi gli passavano attraverso come un fantasma.
Si
picchiò la testa nel tentativo di farsi venire
un’idea, qualunque
cosa potesse cambiare anche di poco gli avvenimenti. Tutto
però fu inutile.
«Ma
a te non è mai piaciuta l’arancia…
» Disse la copia di Eleanor alla
copia di Theodore.
Non
dirglielo, ti prego. Non dirlo!! Implorò il Theodore
originale. Se
avesse taciuto, forse almeno di poco il passato sarebbe potuto cambiare.
«E’
vero, però mi piaci te.» Disse il Theodore giovane
Le
suppliche furono inutili. Alla fine l’aveva detto.
Si
fermarono entrambi in mezzo al marciapiede, un breve sguardo
reciproco, dopo il quale avrebbero ripreso la marcia, se non fosse che
il
Theodore originale sapeva cosa sarebbe avvenuto da lì a poco.
Il
pirata della strada con la sua dannatissima auto entrò in
scena,
comportandosi esattamente secondo il copione, e sta volta davanti gli
occhi
impotenti del Theodore adulto.
7:
Gli
sembro di rivivere un esperienza tremendamente familiare.
Subito
dopo aver visto con i propri occhi l’auto pirata colpire le
loro
due copie, si ritrovò immerso nel buio più
totale, esattamente come nel periodo
in cui fu in coma. Questa volta però era diverso. Era
tornato nel Limbo.
Eleanor,
quella vera, era accasciata a terra, ansimante. La luce che
irradiava il suo corpo ora era meno intensa, molto debole.
«Ellie!
Come stai?» Le chiese preoccupato Theodore, inginocchiandosi
di
fronte a lei e sollevandola da terra.
«Non…
non lo so » ansimò lei «non ci sei
riuscito, vero?»
«Già!
Ero convinto di sì, ma non so cosa sia successo! Ho provato
a
parlarci telepaticamente ma è come se avessi parlato al
muro!»
«Forse
non eri… abbastanza potente. Pensavo che sarebbe stato
più facile
parlare con delle proiezioni del passato… non credevo che ci
sarebbero state delle
difficoltà come per i Vivi.» Tentò di
giustificarlo.
«O
forse lo era sul serio ma io non l’ho fatto nel modo giusto!
Ahh,
dannazione!! Ellie… perdonami se puoi.»
«Perdonarti?
Per…cosa?»
«Per
cosa?! Per tutto! Credevo di venire qui e salvare tutti come un
accidenti di supereroe, invece ci ritroviamo bloccati nel Limbo per
sempre, con
un nulla di fatto e con te indebolita. Ho sbagliato tutto!»
«No,
no Theo. Non dire così, ci abbiamo provato…
aiutami ad alzarmi, per
favore.»
Theodore
la aiutò a mettersi in piedi. Era terribile quanto Eleanor
apparisse mal ridotta benché fosse solo uno spirito.
«Non
posso credere di averti forzato a fare questo, se solo ti avessi
ascoltata… »
Eleanor
lo interruppe.
«Hai
fatto del tuo meglio. E comunque, per lo meno… non abbiamo
cambiato
il passato in modo sbagliato.»
«Già,
anche se comincio a credere che non avrebbe funzionato in nessun
caso. Insomma… cambiare il passato! Cosa mi è
venuto in mente quella volta?!?»
Stettero
in silenzio per un po’, una appoggiata all’altro.
Theodore non
seppe determinare quanto restarono effettivamente muti e immobili. Per
scoprirlo avrebbe dovuto chiederlo a Eleanor, che però era
esausta.
Forse
lo sarebbe rimasta per sempre, e tutto per colpa mia si disse tra
sé e sé Theodore.
Ellie
aveva gli occhi chiusi, e benché fosse in piedi, sembrava
dormisse, appoggiata al chipmunk.
Theodore
avrebbe voluto poter piangere, almeno per sfogarsi un po’, ma
se lo avesse fatto, avrebbe solo finito per peggiorare la situazione, e
Eleanor
era già ridotta troppo male per potersi permettere quel
lusso. Quindi, si
ritrovò a dover combattere, oltre che per la frustrazione di
aver fallito,
anche con lo stress di non potersi sfogare.
«E
se non l’avessimo fatto nel modo giusto?» Chiese
Eleanor
d’improvviso.
«Bhe,
mi sembra ovvio, dato che non ha funzionato.» Disse lui, con
una
vena d’accidia nella voce.
«No,
voglio dire… » non riusciva a stare in piedi,
perciò si sedette a
terra «e se avessimo… sbagliato
qualcosa?»
«Non
riesco a seguirti, Ellie… »
«Ho
pensato a quella volta in cui avevo tentato… di contattare
Simon nel
sogno. Avevo… già provato a contattarvi durante
questi anni, ma solo… dopo che
ha fatto quel sogno condiviso con Mark, ero riuscita a…
parlare con lui. Nei
sogni, la mente è più suggestionabile che non da
svegli, quindi è anche più
facile… parlare con qualcuno mentre sta dormendo…
» Parlare le riusciva
difficile. Ogni tot di parole doveva fermarsi come se dovesse
riprendere fiato.
«Stai
dicendo che se avessimo provato a parlare con uno di loro nei
sogni, saremo riusciti ad avvertirli dell’incidente? Bhe,
sì. Se quello che
dici è vero, è un peccato che non ci abbiamo
pensato subito. Chi sa… magari a
questo punto saremo riusciti a salvare almeno le nostre proiezioni del
passato.»
«Il
passato non è stato cambiato… quindi puoi ancora
salvarli… »
Theodore
spalancò gli occhi incredulo.
«Stai
parlando di… tornare ancora una volta
lì?»
Eleanor
annuì.
«Sì.
Devi tornare alla notte del 14 febbraio… entra nei sogni
della tua
proiezione e convincila a fare qualcosa per evitare…
quell’incidente… »
Theodore
sospirò.
«E
come faccio a tornarci? Io non so ancora come fare ad aprire i
portali da solo… e tu sei troppo debole per farlo
un’altra volta.»
«No,
lo farò io. Tu pensa solo… a cambiare una volta
per tutte… il
passato.»
Gli
stava davvero offrendo la possibilità di una seconda chance?
Non si
reggeva nemmeno in piedi, eppure era disposta a subire ancora una volta
quella
tortura col rischio che nemmeno sta volta potesse funzionare.
«Non
posso lasciartelo fare, Ellie. Sei troppo debole!»
Rifiutò
Theodore.
«E
sarà sempre peggio, Theo. Abbiamo perso troppo…
per arrenderci
proprio ora. Non volevo farla… questa cosa, ma tu hai
insistito e mi hai
convinto… perciò ora voglio insistere io. Torna
lì e fallo! Io me la caverò.»
Non
c’era obiezione che potesse reggere. Ellie aveva tutte le
ragioni
dalla sua parte, e se era convinta di poter tenere aperto il varco
temporale
ancora per un po’, allora, tanto valeva provarle tutte.
«Ellie…
e va bene. Riproviamoci!» Accettò alla fine
Theodore.
8:
Questa
volta non ci furono indugi come durante il primo tentativo.
Eleanor
diede tutta se stessa nell’arduo compito di aprire per la
seconda volta il portale.
Theodore
sarebbe stato spedito in camera loro, durante la notte, e lì
avrebbe contattato in sogno il Theodore giovane.
Eleanor
non parlò né disse niente, e nemmeno Theodore
ebbe il coraggio
di guardarla. Attendeva solo che il portale si aprisse quanto bastava
per
permettergli di entrare, e quindi lo attraversò.
Si
ritrovò esattamente lì dove avrebbe dovuto
essere, in camera loro,
mentre tutti dormivano.
Ora
per davvero non poteva permettersi di perdere tempo, Eleanor aveva
i secondi contati.
Animato
da una determinazione ferrea come non mai, raggiunse
immediatamente il letto nel quale dormiva la sua copia, il Theodore
giovane, e
conscio di cosa fare per entrare nel suo sogno, non esitò un
solo attimo ad
entrarci.
Sapeva
cosa avrebbe dovuto aspettarsi. Non era un Viaggiatore dei Sogni,
pertanto non sarebbe riuscito ad entrare direttamente nel suo Mondo del
Sogno, più
tosto sarebbe stato come parlare a quattrocchi con una persone mentre
si era
avvolti da una fitta nebbia.
Si
sedette di fianco alla sua copia che dormiva e lì chiuse gli
occhi,
come se anche lui dovesse sognare insieme all’altro.
«Theodore,
riesci a sentirmi?» Provò a contattare la sua
copia.
Come
nel precedente tentativo, gli parlò telepaticamente, ma se
l’ipotesi di Eleanor era giusta, questa volta avrebbe
funzionato.
«Theodore,
senti quello che ti dico?» Insistette e attese.
«Chi
sei?»
Incredibile,
ce l’aveva fatta!
Di
punto in bianco il Theodore adulto e il Theodore giovane si ritrovano
a parlarsi a quattrocchi, in una versione annebbiata e confusa del
sogno di
quest’ultimo.
Il
Theodore adulto tirò un sospiro di sollievo.
«Grazie
al cielo! Senti. So che tutto questo può sembrarti strano,
ma ti
prego, è veramente importante, ascoltami!»
Il
Theodore giovane sembrò sbigottito dalla situazione, ma per
fortuna,
anche incline a collaborare.
«Oh…
ok, va bene.»
Mentre
stava per iniziare a parlare, il Theodore adulto si ritrovò
improvvisamente nel Limbo.
«Ma…
Ellie? Che sta succedendo ora?!»
Eleanor,
la cui luce sembrava ormai sul punto di spegnersi per sempre,
sembrava cercasse di tener aperto il portale del passato, che si stava
lentamente richiudendo.
«Non…
riesco a… tenerlo… aperto! S-sbrig…
ati!» Balbettò lei.
Il
Theodore adulto venne rimandato subito nel sogno della sua copia
giovane. Presto, si disse tra sé e sé. Ormai
Eleanor era allo stremo delle
forze.
«Eccoti!
Prima eri spar… » tentò di parlare la
copia, prima di essere
interrotta del Theodore adulto.
«Lo
so, ma ora ascoltami. Domani, dopo la scuola tu e gli altri
deciderete di andare a passare il pomeriggio nel parco… non
chiedermi come
faccio a saperlo né chi sono! Quello che è
importante, è che tu dovrai portare
con te questo… » si sfilò dal polso
l’anello con la scritta T&E e lo mostrò
al Theodore giovane.
«Questo
è l’anello che ho comprato per il regalo a
Eleanor! Ma… io
volevo darglielo… »
«Lo
so, lo so. Volevi darglielo durante la cena che farete domani sera,
ma no, credimi! E di vitale importanza che tu glielo darai nel momento
in cui
uscirete dal parco e vi avvierete sul marciapiede. E visto che ci sei,
preparati anche un buon discorso per dichiararti a lei. Chiedi a Simon,
lui ti
saprà aiutare!»
Bastava
questo per impedire l’incidente e modificare il passato? Se
avesse fallito anche questa volta non ci sarebbe stato più
niente da fare per
davvero. L’idea che Eleanor potesse avere le forze per un
terzo tentativo era
da escludere a
priori.
«Hai
capito quello che devi fare, quindi?» Chiese alla sua giovane
copia, per assicurarsi che l’avrebbe fatto.
«Perché
mi stai dicendo questo? Io… non so se ne avrò il
coraggio… non
so nemmeno chi sei… »
Oh
cavolo, questa non ci voleva, pensò il Theodore adulto.
«Theodore,
ascolta, non ho più tempo. Se tu domani non farai questa
cosa, succederanno delle cose terribili. Cose che tu non puoi neanche
immaginare. Vorrei poterti spiegare tutto con calma, ma non posso! Devi
fidarti
di me!»
«Ma
tu… chi sei? Sei un chipmunk? Sei uno di quei Viaggiatori
dei Sogni
di cui parlano Simon e Jeanette?»
«Niente
di tutto questo. Sono qualcuno che non rivedrai mai più in
tutta
la tua vita, se alla fine mi darai ascolto. E io mi auguro che tu
domani lo
farai. Quando uscirete del parco e raggiungerete il marciapiede, dalle
l’anello
e dille tutto quello che provi per lei. Sei molto più forte
di quanto credi, e
io lo so bene. Puoi farcela!»
Se
non altro, aveva avuto il tempo di convincerlo meglio. Ora
però non
poteva più permettere ad Eleanor di mantenere aperto il
portale per niente. La
sua missione era compiuta. Più di così non poteva
fare. Era tutto nelle mani
della sua giovane copia da quel momento.
«Basta
così. Fammi uscire!» Urlò, e
immediatamente fu di nuovo nel Limbo.
9:
«Ellie,
Ellie! Come stai, tesoro?»
Eleanor
era a terra. La sua luce ormai non c’era più. Il
suo spirito si
era consumato per permettere a Theodore di portare a termine il suo
viaggio nel
tempo.
Il
chipmunk la prese tra le sue braccia e la guardò impotente.
La
Chipette riuscì ad aprire gli occhi e a dire una sola frase.
«Ce…
l’hai… fa… tta… »
Dopo
di che, scomparve.
Theodore
era di nuovo solo, ma non provò dispiacere per la cosa,
perché
sapeva cosa sarebbe successo tra pochi istanti.
Quel
giorno accadde l’impensabile. Per la prima volta dalla notte
dei
tempi, qualcuno era riuscito a violare la più importante
delle regole del Limbo.
Un chipmunk che parlava la lingua degli umani era riuscito a cambiare
il corso
stesso degli eventi. Un intero presente fu spazzato via insieme alle
sue anime
e ai suoi Viventi. Un equilibrio che sembrava inviolabile era stato
stravolto,
e ora, come previsto da Theodore e Eleanor, doveva essere ripristinato.
Mentre
il chipmunk restava in attesa della fine, insieme a tutto
l’universo che aveva appena distrutto, un nuovo presente era
giunto a prendere
il posto di quello che non esisteva più.
Gli
tornò in mente una metafora sentita da Eleanor la prima
volta che la
vide nel Limbo. Lei aveva parlato di tasselli di un puzzle, per
spiegare lo
stato in cui si era ridotta la famiglia Seville dopo la sua morte.
Anche
ora si poteva parlare di un puzzle, i cui tasselli si stavano
finalmente ricostruendo per dare vita al nuovo mondo.
Nella
nuova versione del presente, i nuovi Theodore e Eleanor avrebbero
passeggiato nel parco esattamente come avevano fatto i vecchi, e come
loro, si
sarebbero poi avviati verso il marciapiede.
Theodore
era pensieroso, perché una voce nel suo sogno, di cui non
ricordava quasi nulla, lo aveva convinto a dichiararsi apertamente a
Eleanor, e
per l’occasione, aveva portato con se anche la scatoletta con
l’anello che
avrebbe sancito il loro fidanzamento.
Eleanor
gli propose di attraversare la strada e di andare a mangiarsi un
gelato in attesa dell’arrivo degli altri, ma Theodore non era
interessato al
gelato.
La
prese per mano e si inginocchiò proprio di fronte a lei. La
guardò
dolcemente e poi le diede la scatoletta con dentro l’anello.
Con
l’aiuto di Simon si era preparato un discorso con il quale
sperava
di far colpo sulla Chipette, ma dopo che lei ebbe aperto la scatoletta
e visto
lo splendido dono contenuto al suo interno, si rese conto che non era
più
necessario.
Lei
lo abbracciò pazza di gioia e lo tempestò di
baci. Nessuno dei due,
nel frattempo, fece caso all’automobile che passava a folle
velocità col rosso
proprio sulla strada in cui avrebbero dovuto attraversare.
Theodore
era imbarazzato ma felice, e fiero di se per aver trovato il
coraggio di dichiararsi apertamente alla sua Eleanor.
Quella
sera durante la cena avrebbero avuto un motivo in più per
festeggiare, perché al contrario degli altri, che avevano
già formato coppie
stabili, per loro l’avventura era appena iniziata.
Ora
che finalmente i tasselli del puzzle erano stati ricomposti e il
caos aveva lasciato il suo posto all’ordine, forse vi starete
domandando se
questa è veramente la fine di tutto?
Bhe,
questa non è la fine,
ma solo un nuovo inizio.
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