IL DRAMMA DELL'AMORE - THEODORE&ELEANOR: Come tasselli di un puzzle

di Alvin Miller
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1: Dieci anni ***
Capitolo 2: *** 2: Theodore ***
Capitolo 3: *** 3: L’incidente ***
Capitolo 4: *** 4: La famiglia. ***
Capitolo 5: *** 5: Una tragedia. ***
Capitolo 6: *** 6: Sogni. ***
Capitolo 7: *** 7: Il medium. ***
Capitolo 8: *** 8: Tutti sbagliano. ***
Capitolo 9: *** 9: Nostalgia ***
Capitolo 10: *** 10: Il passato. ***
Capitolo 11: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** 1: Dieci anni ***


1.1:

8 FEBBRAIO 2029 (Los Angeles)

«Desidera qualcosa, signore?» Gli chiese una voce femminile.

La domande gli era stata posta da una giovane cameriera del Bar in cui si trovava da oltre un’ora.

Ancora oggi, dopo tutto questo tempo, gli suonava strano essere chiamato “signore” come un comune essere umano, data la sua condizione. Probabilmente nel corso degli anni la gente si era abituata a quelli come lui più di quanto lui non lo fosse per se stesso.

«Hm? Ah, no… non ancora, la ringrazio. Sto aspettando una persona» guardò l’orologio digitale appeso alla parete sopra il bancone del bar «solo che è un po’ in ritardo.» Sbuffò.

«D’accordo. Allora passerò da lei più tardi, va bene?» Propose la cameriera con un tono di voce sicuro e professionale.

Lui annuì.

Mentre la cameriera si allontanava dal suo tavolo per dedicarsi agli altri clienti, lui la osservò, cercando di mantenere un atteggiamento discreto. Era una ragazza giovane, probabilmente ventenne o poco più, capelli bruni, corti e ricci, che teneva raccolti a coda di cavallo.

Aveva l’età per poter essere una studentessa universitaria, forse dell’ U.C.L.A.

(“Università della California, Los Angeles” n.d.a.).

Chi sa, magari era pure una delle sue studentesse. Forse gli si era avvicinata nella speranza che lui la riconoscesse. Poi però la osservò meglio. No, quella ragazza dava più l’idea della studentessa di Giurisprudenza, lui invece insegnava Psicologia, e comunque, se era andata da lui era solo perché in questo consisteva il suo compito nella locanda.

Comunque era proprio una ragazza carina e piacente. Se non fosse stato per il fatto che era già sposato, probabilmente si sarebbe concesso di fare qualche ulteriore commento su di lei, ma ora come ora non poteva più permetterselo. Come se non bastasse, lui e sua moglie avevano compiuto da pochi mesi il loro decimo anniversario di matrimonio, perciò, a maggior ragione non voleva lasciarsi coinvolgere in pensieri frivoli e sconvenienti nei confronti di un’altra donna, soprattutto, viste e considerate le enormi differenze che lui e la cameriera avevano sul piano fisico.

Alla fine decise di distogliere l’attenzione dalla ragazza, e tornò a fissare l’orologio. In effetti la persona che stava aspettando era parecchio in ritardo.

«Il lupo perde il pelo ma non il vizio» commentò tra se e se bisbigliando dopo aver sbuffato dalla noia.

Si pentì di non essersi portato dietro un quotidiano o qualcosa da leggere nell’attesa e cominciò a guardare verso la vetrata, osservano le automobili e i mezzi pubblici che scorrevano nelle trafficate strade di Los Angeles.

Era l’ora di punta, quando la gente finiva i propri turni mattinieri di lavoro e si dirigeva nelle propri abitazioni o in qualche locale per pranzare, e le strade erano quasi intasate dal traffico. Forse era per questo che la persona che stava aspettando era così in ritardo. La sera prima al telefono gli aveva detto che sarebbe arrivato in taxi subito dopo essere giunto all’aeroporto e aver trasportato i bagagli a casa di papà.

Forse era già per strada, imbottigliato da qualche parte nel traffico, magari intendo a imprecare con il taxista per il ritardo che gli stava costando.

Due donne entrarono nel bar e furono subito accolte dalla cameriera coi capelli ricci, le chiesero se era disponibile un posto per due e la ragazza guardò verso i tavoli, soffermandosi per un tempo maggiore sul Nostro, che abbassò lo sguardo imbarazzato, poi si voltò verso le due potenziali clienti e fu costretta a dire loro che erano al completo.

Come biasimare quello sguardo che gli era stato rivolto? Ormai era un’ora che occupava il posto, e non aveva nemmeno ordinato nulla.

Si disse che per lo meno avrebbe dovuto ordinarsi un caffè nell’attesa, fece quindi per chiamare la cameriera quando d’improvviso, nel marciapiede proprio all’infuori del locale, gli parve di vedere la persona che stava aspettando.

Erano passati dieci lunghi anni da quando l’aveva visto l’ultima volta.

Si erano parlati per telefono, scritti innumerevoli mail, in un paio di occasioni, tre anni prima, si erano persino parlati in una video chat, ma di persona, quella era la prima occasione da ormai un decennio.

Era leggermente diverso da come se lo ricordava. Più atletico, con un discreto orecchino sull’orecchio sinistro, ma era inequivocabilmente lui. Altri non poteva essere.

Indossava, dei piccoli jeans neri, una maglietta rosso cremisi a maniche corte con una collana d’oro al collo e con un ciondolo a forma di nota musicale, e si proteggeva dai raggi del sole con un paio di Ray-Ban su misura.

Era giunto dinanzi alla locanda a piedi, quindi il Nostro, mentre lo fissava da dentro la sala, ipotizzò che avesse deciso congedare il taxista e di proseguire da solo per non tardare ulteriormente a causa del traffico stradale.

Si guardò prima intorno e poi in alto, nell’insegna del Bar, forse per verificare che si trovasse nel luogo giusto, poi, appurato di essere arrivato alla sua destinazione, si diresse con fare sicuro verso l’entrata.

Quando aprì la porta, si trovò l’attenzione di tutta la clientela su di lui.

Come non dar loro torto, del resto lui era Alvin Seville, uno dei più famosi talent scout d’America, oltre a essere stato una rock-star di fama mondiale da giovane.

Quel giorno Alvin avrebbe finalmente dovuto rincontrarsi con suo fratello Simon, il quale non lo incontrava di persona da ormai dieci anni.

Quando lo vide entrare, Simon tirò un sospiro di sollievo, pensando che finalmente, dopo oltre un’ora di attesa, aveva la possibilità di rivederlo.

Adesso i due fratelli avevano entrambi trentacinque anni a testa, ma ai tempi in cui erano ancora dei ragazzini che amavano giocare e divertirsi, Simon ricordava che uno dei principali piaceri di suo fratello, oltre che provocare guai, era di crogiolarsi delle grida e dell’amore dei fan. Si aspettò, quindi, che come minimo, al vedere tutta la gente circondarlo per conoscerlo e chiedergli l’autografo digitale sui proprio tablet personali, avrebbe iniziato uno dei suoi tipici discorsi da egocentrismo smisurato come ai vecchi tempi. Invece Alvin si limitò a firmare autografi a chi glielo chiedeva e a rispondere semplicemente con un «Grazie» ai pochi commenti e complimenti che gli venivano fatti.

In seguito, dopo aver dedicato loro quei pochi istanti di attenzione, superò la folla, tra gente soddisfatta dell’autografo e gente delusa per non aver potuto dirgli quello che avrebbero voluto, e cominciò a guardarsi intorno alla ricerca di suo fratello.

La solita cameriera dai capelli ricci lo accolse educatamente, senza dare di matto alla sua vista, e quando lui le chiese quale fosse il tavolo di Simon Seville, lei glielo indicò con l’indice della mano sinistra e dicendogli qualcosa che il fratello, dal suo tavolo, non udì.

A quel punto gli occhi dei due finalmente s’incrociarono. Simon avrebbe voluto fin da subito farsi notare da lui e chiamarlo, ma non ci riuscì, preda delle emozioni che stava provando in quel momento.

Alvin camminò verso il tavolo di Simon e si levò di dosso i Ray-Ban mentre si avvicinava, l’altro chipmunk, nel frattempo, saltò giù dal tavolo su cui stava seduto e aspettò.

Quando i due fratelli si trovarono finalmente l’uno di fronte all’altro, non riuscirono a dirsi alcuna parola.

Avevano già parlato in diverse altre occasioni, una delle ultime, quando dovevano organizzare quell’incontro, eppure questa volta il fatto di potersi finalmente ritrovare a tu per tu, li ammutolì.

Simon azzardò un sorriso impacciato, Alvin ricambiò con uno molto più sicuro e pronunciato.

Simon porse al fratello la mano destra, con l’intenzione di stringere la sua, Alvin invece, dopo un paio di secondi di attesa, gli si getto incontro e lo abbracciò. Il gesto colse di sorpresa Simon, ma subito dopo lo ricambiò.

«Grazie per essere qui Alvin, sono davvero contento di rivederti.»

«Anch’io, Simon. Non immagini quanto.» Rispose Alvin, commosso.

 

 

 

 

1.2:

7 FEBBRAIO 2029 (New York)

Un rumore svegliò d’improvviso Alvin.

Si strofinò gli occhi e cercò di tornare lucido per capire cosa fosse stato e da dove provenisse.

La prima cosa che fece fu di guardare alla sua sinistra, verso la parte di letto dove abitualmente dormiva Brittany. Non c’era.

Guardò sul comodino di fianco alla sua parte del letto e costatò che erano l’una di notte.

Sette ore dopo avrebbero dovuto svegliarsi per raccogliere le valige che avevano già preparato e dirigersi all’aeroporto, dove si sarebbero imbarcati per il volo New York – Los Angeles delle 10.00.

Scese giù dal loro letto (a una piazza, ma che per le loro ridotte dimensioni era come e anche meglio di un matrimoniale), si stiracchio i muscoli sbadigliando e uscì dalla camera da letto trascinando i piedi a ogni passo.

Dal corridoio vide una luce provenire dal bagno e senti lo scroscio dell’acqua che usciva dal rubinetto.

Sentiva anche un flebile rumore di passi che andavano avanti e indietro nel bagno e si tranquillizzò.

Percorse il corridoio fino ad entrare nella stanza, e lì vide Brittany intenta ad asciugarsi il viso con un asciugamano su misura per chipmunk.

«Stai bene, Britt?» Le chiese con voce stanca.

La domanda era un po’ sciocca, non era la prima volta che le succedeva quello, ma gli sembrò comunque educato chiedere.

«Sì, Al, non preoccuparti. E’ solo nausea notturna, mi ci sono abituata.» Lo tranquillizzò lei.

Brittany era incinta di sette mesi del loro primo figlio.

Aveva sofferto di alcuni leggeri disturbi durante i primi periodi, per poi stare meglio a partire dal quarto mese. Arrivata al sesto, però, la nausea tornò, e secondo quanto aveva detto loro il medico, sarebbe continuata anche nei successivi due mesi che le rimanevano.

Esistevano in commercio dei medicinali in grado di annullare del tutto ogni malessere legato alla gravidanza umana, ma dal momento che lei era comunque uno scoiattolo, e non si sapeva come il prodotto avrebbe potuto reagire sul suo organismo o su quello del nascituro, il dottore sconsigliò loro il trattamento.

Accettare il consiglio non fu un problema per Brittany, del resto erano pur sempre animali e in natura le future madri non hanno certo bisogno di prodotti chimici per terminare le loro gestazioni. Avrebbe lottato e tenuto duro fino alla fine con il sorriso sulle labbra.

Da ragazzina Brittany si comportava il più delle volte come una piccola smorfiosa egocentrica, ma crescendo, un po’ come tutta la sua famiglia dopo quello che era successo loro, era diventata molto più responsabile e matura.

Un atteggiamento, il suo, che aiutava moltissimo Alvin in quel periodo, il quale era agitatissimo all’idea di diventare padre. Anche se gli ultimi mesi erano stati più sopportabili che non agli inizi.

Forse anche lui, come Brittany, ormai ci aveva fatto l’abitudine all’idea, ma sapeva che l’agitazione sarebbe tornata a travolgerlo come un fiume in piena nel momento in cui avrebbe tenuto per la prima volta in mano il suo piccolo e avrebbe capito che da quel momento in poi sarebbe toccato a lui educarlo al meglio.

«Coraggio, andiamo a letto. Domani ci aspetta un lungo viaggio.» Le disse.

«Sì, hai ragione.»

Cominciò a camminare verso di lui, quando Alvin la fermò.

«Aspetta, ti aiuto!»

«Oh, no caro. Non disturbarti… » gli disse dolcemente.

«Nessun disturbo, piccola.» Insistette lui amorevolmente.

Le si avvicinò e le appoggiò un braccio sulle spalle, aiutandola a uscire dal bagno e a tornare in camera da letto.

Gesti come questi facevano sentire Britt una donna molto fortunata.

Negli ultimi anni e in particolare da quando lei era in dolce attesa, le era capitato spesso di sognare il periodo in cui loro due erano stati costretti a far ritorno sull’isola a causa del suo malessere improvviso.

Nel sogno lei affogava, delle catene di metallo la trascinavano giù nel profondo degli abissi e quando ormai sentiva che sarebbe annegata, la mano di Alvin, grande e forte, la afferrava e la tirava fuori dall’acqua. D’improvviso lei si trovava sulla spiaggia, con Alvin che le stava vicino e che guardava qualcosa in mare.

Brittany si voltava nella sua direzione e lì il suo sogno si trasformava in un incubo. Vedeva qualcun altro annegare al posto suo. Una persona a lei molto vicina e che ora non c’è più. Nel sogno, prima di affondare tra i flutti del mare, questa persona si voltava verso di lei e urlava una frase “Non è giusto! Questo non doveva succedere a me!”. A quel punto Brittany si svegliava sempre con le lacrime che le colavano sulle guance e piangeva ripensando al ricordo di quella tragica perdita.

Forse era vero, forse toccava davvero a lei. Se Alvin non l’avesse salvata, forse quella persona sarebbe ancora viva.

Ogni volta che quel pensiero le balenava in testa e tentava di prendere il sopravvento su di lei, Brittany cercava di combatterlo ricordandosi degli enormi sacrifici che il suo compagno aveva compiuto per trarla in salvo, e si ripeteva tra se e se che perseverare con quell’idea era una profonda mancanza di rispetto nei suoi confronti.

No, Alvin non aveva colpe di nessun tipo. Era il compagno perfetto, migliore di quanto avesse mai desiderato, e anche se non erano sposati come sua sorella Jeanette con Simon, presto avrebbe avuto un figlio da lui. Avrebbero formato una famiglia e avrebbero vissuto felici per sempre. Quel che era successo diciotto anni prima, per quanto doloroso, faceva parte del passato, Brittany ora doveva pensare al suo futuro e lasciare che i sogni fossero solo sogni.

 

1.3

Alvin la riaccompagnò in camera loro.

Erano una coppia ricca. Grazie al successo di entrambi erano riusciti ad arricchirsi quanto basta per permettersi un lussuoso attico nei pressi dell’aeroporto di New York. Un appartamento che avrebbe fatto invidia agli stessi umani, figurarsi a due scoiattoli come loro.

Con lo sciogliersi del gruppo dei Chipmunks e delle Chipettes a causa dell’incidente e dopo essersi trasferiti a New York lasciandosi tutto alle spalle, avevano continuato a incidere alcuni dischi da solisti o in coppia per una manciata di anni, dopo di che avevano intrapreso strade diverse.

Brittany era diventata un’insegnante di ballo per bambine e con la sua abilità, unita alla fama accumulata nel corso degli anni, aveva fondato una sua scuola di ballo di straordinario successo, tanto da poterle presto permettere di assumere nuove istruttrici per ampliare il numero di corsi e di ingrandire l’attività tanto da renderla praticamente autosufficiente anche in assenza della Chipette.

Contemporaneamente Alvin, dopo aver proseguito da solista per un anno in più rispetto a Britt, si era ritirato dalla scena per diventare un talent scout.

Girava per il Paese alla ricerca di giovani stelle nascenti della musica, e la sua abilità nello scovare nuove star lo rese una delle personalità più celebri degli USA, restituendogli un po’ della notorietà internazionale che aveva perduto con lo sciogliersi del gruppo.

Disponevano quindi di molti soldi da parte, che gli permettevano il mantenimento di quel lussuosissimo attico.

La decisione di trasferirsi lì l’avevano presa insieme.

Jeanette e Simon, nonostante anche loro avessero intrapreso delle ottime carriere di successo e vivessero come essere umani in un discreto appartamento di Los Angeles, non davano certo nell’occhio come Al e Britt, la coppia più paparazzata di tutta l’America sia nel passato che nel presente.

Già era difficile e rischioso per un divo umano sfuggire ai pericoli dei fan impazziti e ai malfattori affamati del loro successo e della loro ricchezza, figurarsi come sarebbe potuta essere la vita da ricchi per due chipmunk, senza più la supervisione e la tutela di un umano responsabile come ai tempi in cui vivevano a casa di Dave.

L’attico da loro scelto faceva parte di un complesso nel quale risiedevano molte personalità di spicco della città, pertanto era dotato dei più avanzati sistemi di sicurezza e antifurto disponibili sulla piazza nel 2029.

In poche parole, era l’ideale per loro!

In più di un’occasione Brittany aveva avuto la possibilità di compiere trasferte a Los Angeles, quindi aveva avuto modo di vedere come vivessero la loro vita Simon e Jeanette.

La loro coppia doveva far fronte al problema di vivere in una casa le cui proporzioni non si adeguavano per niente alla loro taglia. Un inconveniente di non poco conto a cui però non erano incappati Alvin e Brittany.

Grazie alla loro ricchezza, erano riusciti a permettersi la costruzione di impianti ed elettrodomestici su misura, che permettevano loro di svolgere una vita praticamente indistinguibile da quella degli esseri umani. Minuscoli servizi igienici, piccoli fornelli dall’altezza di quindici centimetri e frigoriferi di trenta, tavolo e sedie ideali per permettere loro di mangiare senza sforzi. E per quando era necessario fare ordine e pulizia in quello spazio sconfinato che era il loro attico, Brittany si faceva aiutare da alcune assistenti umane pagate affinché svolgessero il compito di donne delle pulizie.

Anche Alvin disponeva di un paio di autisti personali, che a comando li portavano a lavoro o dovunque volessero in qualunque momento, visto che non avrebbero mai potuto guidare un veicolo umano.

Quando Brittany era andata a far visita a sua sorella e al marito Simon, si era sempre offerta di dar loro i soldi per potersi permettere quelle comodità che semplificavano di molto la loro vita, ma anche Jean nel corso degli anni era cambiata come tutti gli altri. Era diventata più sicura di se e orgogliosa, forse persino più severa e irascibile. Non voleva accettare quegli aiuti da parte di Brittany e reagiva sempre all’offerta alzando la voce e ribadendo che non avevano bisogno dei loro soldi per cavarsela.

Si volevano ancora bene e andavano d’accordo, ma Brittany era convinta che sotto sotto non l’avesse ancora perdonata del tutto per essere partita insieme ad Alvin per New York e averli lasciati da soli ad affrontare la loro situazione.

Alla notizia che Alvin sarebbe andato a vivere dall’altra parte del paese e che Britt l’avrebbe seguito, Simon si sentì profondamente tradito dal fratello, e nel tentativo di convincerlo a non andare scoppiò un acceso litigio tra i due che si concluse con un amaro saluto che per molti anni era sembrato un addio.

Passarono sei anni prima che Alvin e Simon decidessero di riparlarsi.

La prima volta fu Alvin a inviare una mail al fratello, che ricevette prontamente risposta e a cui ne seguirono diverse altre nei mesi e negli anni seguenti.

Talvolta riuscirono a vedersi in video chat, benché nel frattempo la nuova carriera di Alvin lo teneva impegnato più del previsto.

Viaggiava costantemente per gli Stati Uniti alla ricerca di nuovi talenti da lanciare nel firmamento musicale. Per ogni nuovo cantante o band che scopriva, la casa discografica per la quale lavorava, secondo il contratto che si erano accordati, gli pagava una piccola percentuale sulla base dei guadagni che gli artisti da lui scoperti fruttavano alla Major.

Fu proprio questo continuo spostarsi da un posto all’altro che lo tenne molto spesso lontano da Los Angeles, e anche le poche volte in cui il suo pellegrinare lo riportava nella città in cui era cresciuto, a causa di imprevisti di vario tipo non era mai riuscito a rivedere di persona il fratello.

Solo di recente gli si era presentata una buona occasione. Alla notizia che Brittany aspettava un figlio, decise di prendersi finalmente un anno sabatico durante il quale avrebbe sostenuto la sua compagna che altrimenti non avrebbe mai potuto cavarsela da sola in una casa così grande, e fu proprio durante questo periodo che finalmente Simon riuscì a convincerlo a tornare a Los Angeles per un po’.

 

1.4

Nonostante la maggior parte del mobilio della loro casa fosse stato costruito su misura, alcune cose erano ancora della taglia per gli umani. Una di queste era il letto.

Quando vivevano da Dave dormivano abitualmente su materassi così grandi, quindi non era mai stato un problema per loro, ma ultimamente, a causa della situazione di Britt, dovettero ingegnarsi un po’ per riuscire a farla salire.

Usavano una piccola scaletta sulla quale Alvin saliva sempre per primo, dopodiché, afferrava la sua compagna per un braccio e la tirava su aiutandola a salire. Ripetevano questo rituale per tre volte, corrispondenti al numero di gradini della scaletta, fino ad arrivare al letto.

Anche sta volta fecero così, e prima di rimettersi a dormire Alvin ricontrollò la sveglia per assicurarsi che fosse regolata per suonare alle 8.00 di mattina.

«Buona notte, Britt.» Le augurò.

«Notte Alvin e… grazie.» Gli sussurrò lei.

«Per cosa?»

«Per tutto quello che fai per me e… » abbassò lo sguardo e guardò il suo pancione «per lui.»

Alvin le accarezzò il ventre e lo baciò da sopra il suo pigiama, dopo di che diede un bacio anche sulla guancia di Britt.

«Grazie a voi due di esistere.» le disse dolcemente, lei sorrise e lo ricambiò con un altro bacio, questa volta sulle labbra e più duraturo, poi spensero la luce e si addormentarono abbracciati.

 

1.5

La mattina si svegliarono puntuali alle 8.00.

Alvin, dopo essersi fatto aiutare a portar giù le valige da uno dei suoi autisti personali, tornò in casa a far una rapida colazione a base di caffè per lui e una semplice tazza di latte per lei, poi, quando tutto fu pronto, si prepararono e partirono per l’aeroporto, accompagnati dallo chauffeur.

Si imbarcarono alle 10.00 in punto senza imprevisti.

Non erano nuovi a quel genere di viaggi, perciò sapevano esattamente cosa fare e in che modo.

Il viaggio verso Los Angeles sarebbe durato sei ore, ma dal momento che tra New York e la loro destinazione c’era una differenza di fuso orario pari a tre ore, alla fine sarebbe stato come se il loro viaggio fosse durato la metà del tempo.

Arrivarono all’aeroporto di Los Angeles alle 13.00, dove Dave era pronto ad accoglierli dopo tanto tempo.

Il loro vecchio tutore e padre umano aveva da poco compiuto il cinquantanovesimo anno di età e da un paio di anni si era messo in testa di lasciarsi crescere una folta barba bianca, che secondo lui, gli dava l’aria da “uomo vissuto”.

Brittany, durante le sue visite si era già abituata a questa sua nuova tendenza, così come Dave era consapevole della gravidanza di lei, perciò i due si scambiarono solo un abbraccio e qualche convenevole, oltre a una battutina detta dall’uomo per scherzare sul suo stato interessante e che la fece ridere allegramente.

Per quanto riguarda Alvin, loro due non si vedevano da ben quattro anni. L’ultima volta era stata quando Dave era venuto a far loro visita a New York durante una giornata in cui per un grande colpo di fortuna, Alvin era riuscito a restare a casa dal lavoro e a rivederlo.

La prima cosa che l’uomo notò era l’orecchino che Alvin portava all’orecchio sinistro (una novità che il chipmunk aveva deciso di aggiungere al suo look un anno prima, e che quindi risultava nuovo a Dave)

Sgranò gli occhi e si strozzo nel vederlo, e non poté trattenersi dall’esclamare «Alvin!!». Non si trattava di vera rabbia, ormai Alvin era grande e indipendente, ma Dave cercava solo un pretesto per rompere il ghiaccio in modo ironico (anche se, sotto sotto, se ne avesse avuto la possibilità, glielo avrebbe volentieri strappato di netto dall’orecchio).

Alvin rise divertito e un po’ imbarazzato.

«Eheheh, ciao Dave.» Lo salutò passandosi la mano tra i capelli nervosamente.

L’uomo gli sorrise.

«Avanti, vieni qui!» Lo invitò poi.

Alvin si avvicinò alle gambe dell’uomo, il quale lo prese in braccio e lo abbraccio. Poco importava che uno avesse trentacinque anni e l’altro cinquantanove, non sarebbero stati certo gli anni a impedire loro di salutarsi alla vecchia maniera.

«Mi sei mancato, papà!» Gli disse.

«Anche tu, Al. E comunque ti consiglio di farci l’abitudine a quella parola, perché presto anche tu comincerai a sentirla molto spesso!» Lo informò alludendo alla parola “papà”.

«Già, ehehe… »

I due si guardarono negli occhi per alcuni secondi, un po’ imbarazzati.

«Ci hai già parlato?» Gli chiese Dave poi.

«A chi ti riferisci?» Era una domanda retorica, lo sapeva benissimo a chi si riferiva.

«Simon… »

«Abbiamo parlato per telefono ieri. Mi ha dato il nome di un locale. Diceva che non dovrebbe essere molto lontano da qui e mi ha detto che mi avrebbe aspettato lì.»

«Hmm, che ora vi dovrete vedere?»

Alvin guardò sul suo orologio da polso (un Rolex, anch’esso creatogli su misura).

«Bhe, tra mezz’ora… portiamo i bagagli a casa tua e ci vado subito. Prenderò un taxi.»

Dave ci rifletté un po’. Poi fece segno di no con la testa.

«Non arriverai mai in tempo» fece una piccola pausa, come se dovesse prendere fiato o si preparasse a prendere una decisione particolarmente ardua.

«Io porto i vostri bagagli e Britt a casa, tu prendi un taxi da qui.»

Alvin e Brittany si guardarono scambiandosi in silenzio alcuni segni d’intesa.

«D’accordo, allora faremo così. Vai con Dave, Britt. Noi ci vediamo dopo.»

Lei annuì.

«Va bene Alvin, ci vediamo dopo, intanto io sistemerò le nostre cose in stanza.»

«No Britt, ci penserò io quando vi raggiungerò. Non devi affaticarti.»

Lei gli sorrise.

«Non c’è problema, e poi… » guardò in alto, indicando Dave «ci sarà Dave ad aiutarmi».

Dave fece spallucce.

«Per me non è un problema.»

«Ok, bhe, ora sarà meglio che vada, o rischio sul serio di far tardi. Ci vediamo dopo!»

E così Alvin si congedò dalla sua compagna e da suo padre, e percorse di fretta il terminal dell’aeroporto fino alle uscite.

In un paio di occasioni qualche fan lo fermò per chiedergli l’autografo e lui lì accontentò senza perderci troppo tempo.

Raggiunse finalmente la fermata dei taxi e ne chiamò uno.

Purtroppo, per quanto fosse andato di fretta e per quanto il Bar del loro incontro fosse vicino, mezz’ora di tempo non sarebbe mai bastata contro il traffico stradale dell’ora di punta.

A un certo punto chiese al taxista di lasciarlo nei pressi di un incrocio, aggiungendo che avrebbe fatto molto prima a percorrere il resto della strada a piedi.

Il taxista si scusò rammaricato del disagio e Alvin gli spiegò che non ne aveva motivo, che non era sua la colpa, ma del traffico. Detto ciò, pagò il pedaggio per il viaggio già compiuto e si fece spiegare la strada che avrebbe dovuto ancora percorrere per raggiungere la sua destinazione. Quindi si avviò di fretta alla ricerca della locanda.

Tra il tempo perso imbottigliato nel traffico e quello speso per raggiungere il luogo dell’appuntamento a piedi, gli ci volle un’ora per arrivare, ma alla fine, dopo dieci lunghi anni, finalmente aveva la possibilità di riabbracciare di persona il fratello.

E così fece non appena se lo ritrovò davanti, all’interno della locanda in cui si erano prefissati l’incontro.

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Capitolo 2
*** 2: Theodore ***


2.1:

8 FEBBRAIO 2029 (Los Angeles, nella locanda)

Dopo la calorosa rimpatriata, i due Fratelli Alvin e Simon salirono sul tavolo e si sedettero sopra di esso.

Non erano certo composti nel modo che si addiceva a un famoso talent scout e a un professore plurilaureato dell’U.C.L.A.  ma anche questo faceva parte delle condizioni che dovevano rispettare per poter condurre una vita tra gli esseri umani, e avevano imparato ad accettarlo.

«Scusami se ti ho fatto aspettare, avrei voluto chiamarti e avvertirti, ma sai, la fretta. Me ne sono reso conto troppo tardi… » spiegò Alvin.

«No, lascia stare Al. L’importante è che ora sei qui. Sono davvero felice di vederti.» Gli rispose con un sorriso gioioso e felice.

«Riesci a crederci? Sono già passati dieci anni… »

«Già.»

Tra i due c’era ancora un forte imbarazzo. Si erano già visti e parlati in altre occasioni, ma mai di persona. E ora la sensazione che entrambi provavano era  di non parlarsi sul serio da oltre un decennio.

Si studiavano attentamente a vicenda per analizzare quanto il tempo li avesse cambiati. Da una parte Alvin osservava l’abbigliamento formale ed elegante del docente, con la sua camicia azzurra, i capelli corti ben rasati e la cravatta a righe nere grigie che portava al collo, dall’altra, Simon che guardava ancora una volta la maglietta cremisi, il ciondolo a forma di nota musicale e l’orecchino sull’orecchio sinistro del talent scout.

«Ok. Senti, io ho fame quindi la prima cosa che intendo fare è mangiarmi qualcosa.» Annunciò Alvin. «Tu hai già ordinato?»

Simon ridacchio alla domanda.

«Stavo aspettando te… »

«Bhe, in questo caso, che stiamo aspettando?»

Si alzò in piedi sul tavolo e face segno alla cameriera dei capelli ricci di avvicinarsi.

Lei si avvicinò subito.

«Buon giorno, signore» disse rivolgendosi ad Alvin «Allora? Avete deciso cosa ordinare».

«Sì. Ci porti un toast, e che sia bello abbondante… »

«E due caffè!» Aggiunse Simon.

La cameriera segnò l’ordinazione sul display del suo palmare.

«Toast e due caffè, basta così?»

I due chipmunk si guardarono per chiedersi conferma a vicenda con lo sguardo poi annuirono alla cameriera.

«Molto bene, toast e caffè in arrivo!»

Mentre la ragazza si allontanava, Alvin tornò a sedersi.

«Come sta Brittany?» Gli chiese Simon.

«Lo sai, ne avevamo parlato anche per telefono… le è tornata la nausea e ultimamente è sempre esausta.»

«Sapete già se è maschio o femmina?»

Alvin fece segno di no con la testa.

«Brittany vuole tenersi la sorpresa per il grande giorno… e bhe, chi sono io per contraddirla?»

«Eheh. E…i crampi allo stomaco?»

«Non credo ne abbia… » gli rispose portandosi la mano al mento per riflettere.

«Non mi riferivo a lei… »

Si guardarono in silenzio per un po’, poi Alvin capì. Simon intendeva i crampi allo stomaco che probabilmente doveva sentire costantemente Alvin all’idea che presto sarebbe diventato padre.

«Oh, bhe… non farmici pensare!»

Scoppiarono a ridere.

«Il peggio sarà quando tornerete dall’ospedale, dopo sì che comincerà a bruciarti il “pancino”». Lo prese in giro Simon mentre continuavano a ridere.

«E tu lo sai per esperienza, vero?»

«Ci puoi scommettere!»

Risero di gusto ancora per un po’, fino a che non si avvicinò la cameriera con il loro caffè. Glielo portò su due tazzine da espresso, in modo che potesse essere più facile per loro sollevarlo e portarselo alla bocca per bere.

Dopo averla ringraziata ed essere tornati ai loro discorsi, restarono in silenzio per un po’.

Parlare della gravidanza di Britt aveva risvegliato il ricordo del loro litigio di dieci anni prima. Si guardarono a fatica negli occhi. Entrambi sapevano che l’altro stava ripensando a quel giorno. La colpa di tutto era stata di Alvin, ma anche Simon doveva ammettere con se stesso che se l’era presa un po’ troppo.

Stavano cercando a fatica di ricominciare una vita dopo la tragedia accaduta alla loro famiglia. Un raggio di speranza nel buio delle loro anime era giunto con la notizia che Jeanette aspettava il loro figlio Mark. Simon sapeva che prima o poi sarebbe successo. Ricordava bene la volta in cui era apparso nei loro sogni per avvertirli di un pericolo imminente. Una grossa massa di rami della quercia sotto la quale erano soliti trascorrere le loro uscite romantiche da giovani sarebbe stata colpita da un fulmine durante un temporale e li avrebbe uccisi schiacciandoli sotto di essa. Mark, però, che in quegli anni doveva ancora nascere ed era ancora solo uno spirito che si era autodefinito “un Viaggiatore dei Sogni”, aveva visto nel loro futuro e aveva fatto di tutto per impedire che ciò accadesse.

Quando era arrivato il momento di dare delle spiegazioni, disse loro che non avrebbe potuto avvertirli per tempo in modo diretto, sostenendo che il destino avrebbe cambiato le carte in tavola in modi che nemmeno lui poteva prevedere. Per fortuna, era riuscito a entrare nei sogni di suo padre Simon appena in tempo e a metterlo in guardia sull’imminente pericolo. Fu così che per mano di suo padre, Mark riuscì a salvarli entrambi, e prima di sparire per sempre dai loro sogni li salutò con la promessa che un giorno si sarebbero rivisti.

Quando entrambi avevano capito che il loro misterioso salvatore era il figlio che avrebbero avuto un giorno insieme, si ripromisero che una volta nato, gli avrebbero dato il nome di “Mark”.

Da quel giorno sapevano che erano destinati a vivere insieme per sempre e che avrebbero formato una famiglia tutta loro. Quello che non immaginavano erano le circostanze in cui questo sarebbe successo. Mark li aveva salvati dalla morte, ma non era riuscito ad avvertirli di quello che diversi mesi dopo sarebbe stato per sempre ricordato da loro come l’ “Incidente”.

Quando avvenne, l’unione della famiglia Seville iniziò ad andare rapidamente allo sfascio.

La gravidanza di Jeanette, seguita dalla nascita di Mark, avrebbe potuto restituir loro un po’ del legame che i Chipmunks, le Chipettes e Dave avevano perso da tempo. Magari non lo avrebbe cementificato come loro avrebbero voluto, ma avrebbe dato loro l’illusione di un ritorno alla normalità. Le cose, invece, andarono diversamente.

Furono costretti, per ovvi motivi, a sciogliere la band, e senza quell’unione che il palco dava loro, iniziarono ad intraprendere strade diverse.

Alvin ricevette presto un’offerta di lavoro da New York come cantante solista e decise di accettarla, Brittany, nonostante aveva la responsabilità di sostenere Jeanette durante la sua maternità, scelse di seguire il suo compagno e ciò provocò le ire di Simon, che si sentì improvvisamente privato dell’unico conforto che ancora gli restava. Fu a causa di questa decisione che i due litigarono, e fu anche questo il motivo per il quale le due coppie si separano per tutti quegli anni.

 

2.2:

«Il toast per voi, signori. Buon appetito!» Augurò loro la cameriera dopo averglielo riposto sul tavolo.

«Grazie mille, gentilissima!» Le rispose Alvin facendole l’occhiolino.

Anche Simon ringraziò.

«Finalmente! Ancora un po’ e penso che mi sarei mangiato il tavolo!» Disse Alvin.

Simon ridacchio ancora.

«Sai, è bello vedere che certe cose non cambiano… bhe, buon appetito!»

Simon stava per addentare un piccolo pezzo di toast appena strappato, quando la frase di Alvin lo bloccò.

«Che vuoi dire?»

«Quella tua risatina… sai, ne sentivo la mancanza.»

«Già, ehehe…oh, ecco… l’ho fatta ancora… »

Alvin sorrise.

«Bhe, però vedo che anche tu sotto sotto non sei cambiato molto… come ha reagito Dave quando ti ha visto l’orecchino?» Gli chiese Simon indicandolo col dito.

«Oh, questo…aveva una faccia come se avesse voluto strapparmelo via insieme a tutto l’orecchio!»

I due fratelli risero ancora una volta insieme, mentre mangiavano e sorseggiavano i loro caffè.

«Correggimi se sbaglio… dopodomani è il compleanno di Mark, giusto?» Domandò Alvin.

«Sì, dieci anni esatti… il prossimo week end ci sarà la festa con tutti i suoi compagni di classe da noi ma… »

«Aspetta aspetta, scusami se t’interrompo ma… mi stai dicendo che accoglierete in casa vostra una band di ragazzini delle elementari urlanti e… UMANI?»

«Eheheh, già. Proprio così!»

Alvin sgranò gli occhi.

«Ma ce la fate a gestirli tutti?!»

«Lo facciamo ogni anno, Al. Jeanette sa farsi rispettare, i ragazzi le danno retta.»

Alvin era rimasto leggermente shockato dalle rivelazioni appena ascoltate.

«Bhe, Brittany me l’aveva detto che era cambiata, ma così… wow… comunque, stavi dicendo?»

«Oh, sì… sai, ho parlato con Dave, e gli ho proposto di organizzare una piccola festa di compleanno anche a casa sua dopodomani, niente di eccessivo, solo tra familiari… così per una volta potremo stare di nuovo insieme… come ai vecchi tempi… »

Alvin ci rifletté un po’.

«L’idea mi piace, e sono sicuro piacerà anche a Brittany, sempre ammesso che Dave non gliene abbia già parlato… ci verremo senz’altro, fratellone!»

D’improvviso, calò un silenzio imbarazzante. C’era una domanda che martellava nella testa di Alvin. Aveva cercato di ignorarla fino a quel momento, ma ora stava spingendo all’interno del suo cranio come un’orribile creatura che scavava per farsi strada nel suo cervello. Simon l’aveva capito. Non era necessario essere un plurilaureando in Psicologia, Fisica e Algebra per capire quale fosse il quesito che Alvin avrebbe voluto porgli.

Pensò di parlargliene prima che lui avesse tempo di chiederglielo, ma ora aveva capito che ormai Alvin non avrebbe retto ancora per molto. Aveva evitato di chiederglielo nelle mail, di parlarne per telefono o nelle loro video chat. Per dieci anni quello era stato l’unico argomento su cui entrambi avevano evitato di discutere.

Se non fosse stato per le trasferte a Los Angeles di Brittany, al ritorno dalle quali lei gliene parlava di continuo, adesso come adesso Alvin avrebbe anche potuto essere convinto che la persona in questione fosse sparita dalla circolazione, o ancora peggio, che fosse morta anch’essa.

Alla fine si fece forza, bevé un altro sorso di caffè per schiarirsi la gola, strinse i pugni e finalmente glielo chiese.

«Lui come sta?»

Simon smise di mangiare

«Chi?» Simon lo sapeva. Aveva intuito fin da subito che Alvin glielo avrebbe chiesto, voleva solo scoprire se avrebbe avuto la forza di fare il suo nome.

«Non prendiamoci in giro, Simon.» Gli rispose con voce seria.

La felicità e il brio dell’essersi ritrovati si erano improvvisamente azzerati dopo che Alvin gli aveva posto quella domanda.

Simon tirò una profonda boccata d’aria e parlò.

«Fino ad ora che cosa sai? Cosa ti ha raccontato Britt?»

«Mi ha detto che vive ancora con Dave, che è deperito, che è chiuso in se stesso e che parla di rado con la gente... e anche che quando parla, lo fa con una voce spenta, come se fosse… »

«Senza anima?» Lo interruppe Simon.

«Sì… lei ha detto proprio così… ma come…?»

«Come lo so? Perché è stato Dave a definirlo così… »

Dopo quel breve scambio di parole, i due fratelli restatono in silenzio. Continuarono a mangiare quel che restava del loro toast e finirono i loro caffè.

Fu Simon a spezzare l’imbarazzante alone di silenzio che li aveva avvolti.

«Sai… io ogni tanto ci provo a parlare con lui… Jeanette dice che dovrei rassegnarmi… che ormai è al punto di non ritorno, però, non lo so… spero sempre di riuscire a spronarlo ad andare avanti, come abbiamo fatto tutti noi. Convincerlo a farsi una nuova vita, ricominciare. Ci sono periodi in cui non ci dormo la notte a pensare a come aiutarlo… cerca di capirmi almeno tu, Al… tutti l’hanno abbandonato… tutti si sono rassegnati con lui, io… io non voglio!»

Alvin ascoltava con attenzione, e non appena Simon ebbe terminato di parlare, colse l’occasione per prendere lui la parola.

«Avete mai pensato di provare a convincerlo a parlare con uno psicologo?»

La domanda irritò Simon.

«Alvin, dovresti saperlo… ho anch’io una laurea in psicologia! Fidati! E’ tutto inutile… ho provato a parlarci, a psicanalizzarlo, a persuaderlo, a ipnotizzarlo… tutto quello che mi fosse passato per la testa, ma niente! Non c’è verso di farlo cambiare!» Si fermò per riorganizzare le idee, il discorso per lui era molto più difficile da trattare di quanto non avrebbe voluto darlo a vedere «da quando si è convinto di essere la causa di tutto, non c’è più stato verso di fargli accettare la realtà. Non fa altro che guardare la Tv o fissare le macchine che passano per strada e a tormentarsi per delle colpe che non ha!» Si fermò ancora una volta, mentre Alvin lo ascoltava in silenzio, cercando di comprendere le sue ragioni.

«Forse Jeanette ha ragione…devo smettere di insistere.»

«E allora perché non ti fermi? Insomma, non fraintendermi, non sto dicendo che sbagli, è solo che, insomma… se dici che non c’è modo di farlo ragionare, perché non accetti semplicemente la realtà e ti rassegni?»

Simon ci pensò per un po’. Voleva dargli una buona risposta, qualcosa che lo giustificasse. Non solo Jeanette, ma anche Dave e Britt continuavano a ripetergli di rinunciare. Si augurava che almeno suo fratello Alvin, sangue del suo sangue, lo comprendesse e approvasse la sua ostinazione, ma se anche lui gli diceva di rinunciare, forse doveva dar loro retta.

Alvin capì il disagio e il malessere del fratello.

«Sai, io non sono stato poi il fratello migliore del mondo, tant’è vero che me ne sono andato lavandomene le mani per anni e lasciando te e Jeanette da soli… però… bhe, immagino che se io e Britt dovremo alloggiare alcuni giorni da Dave, avrò anche modo di vederlo…quindi forse… magari vedendo anche me le cose con lui miglioreranno… lo so che è un’ipotesi stupida, ma… tanto vale cercare di scoprirlo, no?»

Simon sbuffò. Non sapeva cosa pensare. Forse Alvin aveva ragione. Ora che la famiglia avrebbe finalmente potuto riunirsi, forse la cosa avrebbe aiutato quella persona a riprendersi. Sarebbe stato sufficiente che si aprisse un po’ con loro. Anche questo sarebbe stato un trionfale successo, ora come ora.

«Sperò che tu abbia ragione, Al.»

 

2.3:

Finirono i rimasugli del loro pranzo, dopo di che si diressero verso il bancone del Bar per pagare.

Simon frugò nelle sue tasche alla ricerca di qualcosa, ma Alvin gli poggiò una mano sulla spalla e lo fermò.

«Lascia stare, pago io.»

«No, dai. Non ce bisogno… »

«Invece sì, insisto!»

Simon si fece da parte e lasciò il posto ad Alvin. Questi estrasse dalla tasca destra dei suoi jeans taglia chipmunk un piccolo oggetto rettangolare di due centimetri di lunghezza per uno di spessore. Era la sua Idkey.

Le Idkey sono un particolare tipo di chiavi elettroniche inventate nel 2021 e divenute obbligatorie per legge in ogni angolo del mondo. Sono apparecchi simili alle vecchie USB che vengono rilasciati a tutti i cittadini al compimento del loro quattordicesimo anno di età e nel quale, come una carta d’identità, sono contenuti e registrati tutti i dati identificativi del proprietario. Ne esistono di varie forme e dimensione e dall’anno 2023, anno in cui il denaro virtuale era divenuto l’unica forma di valuta universale, svolgono anche la funzione di “portafoglio”.

L’invenzione delle Idkey e il successivo obbligo di renderle obbligatorie a ogni singolo cittadino finirono per spaccare in due parti ben distinte l’opinione pubblica dei cittadini. Da una parte ci fu chi sosteneva che il loro uso rappresentava una grave violazione della privacy dalla persona, dal momento che qualunque tipo di transazione eseguita con esse veniva prontamente registrata e salvata nei database statali per essere consultabile a piacimento da chiunque avesse potuto avere accesso a quegli archivi, ma dall’altra, era anche vero che esse rappresentavano la forma di denaro più sicura che sia mai apparsa sulla terra.

Tra le altre cose, oltre alla registrazione dei propri dati personali e del proprio denaro, nella memoria dell’Idkey venivano registrati anche l’impronta digitale e lo stesso DNA del loro proprietario, in questo modo, se si desiderava essere gli unici ad attingere dalle finanze archiviate al loro interno, grazie a questa funzione si poteva essere certi che in caso di furto o smarrimento nessun altro avrebbe potuto farne uso. Come se ciò non bastasse, in caso di perdita della Idkey, il suo possessore non doveva fare altro che rivolgersi a un servizio gratuito telefonico o on-line e richiedere la consegna di una nuova chiave. Dopo aver proceduto a una serie di rapidi controlli di autenticazione, la Idkey smarrita veniva prontamente disattivata dal servizio e tutti i dati contenuti in essa trasferiti in una seconda copia che sarebbe stata consegnata al richiedente nel giro di poche ore.

A parte questo, comunque, le Idkey sono state una vera rivoluzione non solo per gli esseri umani, ma anche per Alvin, Simon e le loro rispettive compagne, poiché con essi avevano finalmente la possibilità di trasportare con sé grosse somme di denaro senza temere furti o perdite di qualunque tipo, inoltre, data la possibilità di personalizzarne la forma e la dimensione, erano riusciti anche a farsene consegnare alcune abbastanza piccole da permettere loro di portarsele dovunque volessero.

Dunque Alvin, dopo aver consegnato la propria Idkey alla donna che stava alla cassa del Bar, aspettò che questa completasse la transizione della loro consumazione inserendola nell’apposito lettore, e quando gli fu riconsegnata saltò giù dal bancone con Simon e uscirono dal locale, salutando cameriere e baristi con dei cordiali arrivederci.

«Quindi adesso? Cosa facciamo?» Chiese Alvin.

Simon fece spallucce.

«Per oggi non ho più lezione, quindi farò un salto anch’io da Dave. Qui vicino c’è una stazione degli autobus, tra mezz’ora dovrebbe esserci una navetta che ci porterebbe praticamente davanti al suo giardino, quindi opto per quella.»

Alvin era restio.

«Non sono proprio un amante degli autobus, se devo essere sincero.»

«Sì, però i taxi costano… »

Alvin sbuffò.

«Uff… d’accordo. Andremo in autobus. Infondo sono io il turista, devo anche sapermi adattare un po’.»

Simon ridacchiò ancora. Non era proprio abituato a un Alvin che sottostava alle condizioni. Pensò che probabilmente tutto ciò fosse dovuto al fatto che stava per diventare anche lui papà, e che stesse finalmente capendo l’importanza di maturare e responsabilizzarsi. O forse no, forse erano stati solo gli anni a cambiarlo. Non ci aveva mai fatto caso nel corso delle loro video chat, quindi non seppe darsi una risposta.

I due fratelli si diressero a piedi alla stazione e una volta giunti fin lì, aspettando l’arrivo della navetta che li avrebbe portati da Dave, ad Alvin fu chiesto in almeno tre occasioni di firmare qualche autografo alla gente di passaggio. Lui accontentò tutti, seppur non con lo stesso entusiasmo di una volta.

La navetta arrivò alla fermata in orario e lì i due fratelli chipmunk salirono a bordo.

Durante il viaggio altre due persone chiesero l’autografo di Alvin Seville, e anch’esse furono accontentate con poco brio del talent scout.

Arrivati a destinazione, premettero il pulsante d’avviso di fermata per l’autista e quando il mezzo si fu arrestato, si diressero da questo per pagare il pedaggio con la Idkey. Questa volta si divisero le spese e ognuno pagò il proprio.

Quando scesero, come diceva Simon, si trovarono effettivamente a due passi dalla casa di Dave.

Alvin si avviò subito per il marciapiede, mentre Simon restò indietro, pensieroso per l’atteggiamento che aveva manifestato Alvin all’interno del mezzo pubblico.

«Sai, pensavo che tu non volessi viaggiare in autobus per un tuo capriccio… » cominciò a parlare. Alvin si fermò e si voltò verso il fratello.

«… ma in realtà lo fai per gli autografi che la gente ti chiede, non è così?»

Alvin lo guardò in silenzio e annuì senza proferir parola, con un’espressione triste sul volto.

«Non capisco, Al… »

Alvin Sospirò.

«Il fatto è che… mi fa tornare in mente i tempi in cui… insomma… quando eravamo i “Chipmunks”… “Alvin e i Chipmunks”… capisci?»

Già, Simon capiva eccome. Avevano cercato di dimenticare il passato. I Chipmunks e le Chipettes così come i loro fan, ma qualcuno ancora non si rassegnava, qualcuno voleva ancora l’autografo di un ex-membro di quella band dei primi anni 2000, oppure desiderava poter dire ai propri conoscenti di aver incontrato per strada il famoso talent scout Alvin Seville.

Anche a Simon e Jeanette capitava ancora di rilasciare qualche autografo, non con la stessa frequenza di Alvin, ma per lo meno non erano stati trascurati dal resto del mondo.

«Dai, andiamo.» Disse in conclusione Alvin.

Simon riprese la marcia al suo fianco.

Mentre percorrevano il giardino, il talent scout notava che nonostante i dieci anni trascorsi, la casa di Dave era rimasta esattamente come se l’era sempre ricordata, con quel prato perfettamente curato e quelle aiuole nelle quali crescevano fiori di ogni tipo. Qualcosa tutto sommato era rimasto uguale, pensò tra se e se.

Salirono i tre gradini che precedevano il portico della casa e bussarono alla porta.

Da dentro casa sentirono la voce di Dave rispondere e quando aprì la porta e li fece entrare, li accolse entrambi con un «Ben arrivati!» entusiasta.

Dopo i saluti, i tre si scambiarono qualche breve chiacchiera sul corridoio e a quel punto Alvin gli fece la fatidica domanda «Dave, lui dov’è?»

L’entusiasmo dell’uomo si spense d’improvviso e sul suo volto si stampò un’espressione seriosa.

«E’ di là, in sala da pranzo. Abbiamo appena finito di mangiare.»

Alvin guardò Simon negli occhi per una manciata di secondi, poi insieme, tutti e tre si diressero nella stanza.

Alvin avanzava davanti a tutti, andando di fretta, mentre alle sue spalle, con passi più lenti e incerti, si muovevano affiancati suo fratello e suo padre.

Quando entrarono, Alvin lo vide subito. Se ne stava seduto in angolo del tavolo da pranzo e fissava in silenzio la finestra.

Quando li vide entrare, si voltò lentamente verso di loro e iniziò a fissarli.

Alvin si schiarì la gola e ingoiò la saliva, prese una lunga boccata d’aria e lo salutò.

«Ehm, ciao…Theo.»

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Capitolo 3
*** 3: L’incidente ***


3.1:

14 FEBBRAIO 2013 (Los Angeles Liceo West Eastman)

La campanella suonò per annunciare la fine delle lezioni per quella giornata.

Erano all’ultimo anno del liceo, dopo il diploma ognuno avrebbe intrapreso una strada diversa. Simon e Jeanette avrebbero proseguito gli studi iscrivendosi all’U.C.L.A., Alvin si era fatto rimediare con l’aiuto di alcuni contatti di Ian Hawke un lavoro niente meno che negli studi di registrazione della Jet Records, mentre Brittany cominciava ad appassionarsi al ballo e desiderava cominciare dei corsi di preparazione per diventare insegnante di danza classica a tutti gli effetti.

Grandi ambizioni e grandi progetti, ai quali gli unici che sembravano non volerne prendere parte erano Theodore ed Eleanor. Non che non si preoccupassero del loro futuro, ma semplicemente si trovavano d’accordo nell’affermare che tutto sommato non aveva molto senso andar così di fretta, del resto era solo febbraio, come Alvin e Brittany nemmeno loro erano intenzionati a frequentare il college e prima del termine della scuola c’erano ancora gli esami di Maturità da superare.

Già, la Maturità, un problema che non sfiorava minimamente Simon e Jeanette, ma che Eleanor non tardava a ricordare di continuo ad Alvin e Brittany, i quali sembravano pensare a tutto fuorché allo studio.

Per quanto riguardava Theodore, non capiva perché i suoi fratelli desiderassero tanto distaccarsi dalla famiglia. Avevano già una lunga e promettente carriera da rock-star, perché voler a tutti i costi avviarsi su sentieri differenti?

Negli ultimi tempi finivano spesso per discuterne, e se la maggior parte delle volte erano solo chiacchiere innocue, non era raro che in taluni casi scoppiassero degli accesi litigi che coinvolgessero più parti. Theodore con Alvin, Brittany con Eleanor, oppure con lo stesso Dave, il quale pur condividendo l’opinione secondo qui Alvin e Brittany trascuravano troppo la scuola a favore dei loro progetti, non era invece a favore dell’indifferenza di Theo e Ellie per il loro futuro.

Ad ogni modo, era un San Valentino molto speciale quello che i Chipmunks e le Chipettes avevano deciso di godersi quell’anno, sarebbe infatti stato l’ultimo che i sei avrebbero potuto trascorrere veramente insieme, se i loro progetti sarebbero andati tutti in porto.

Quel giorno non sarebbero rientrati a casa subito dopo la fine delle lezioni, bensì, sarebbero usciti tutti e sei insieme per godersi, oltre alla festa degli innamorati con i loro rispettivi partner, anche una giornata all’insegna del divertimento e dell’amicizia.

Avrebbero iniziato con una passeggiata al parco, magari accompagnata da qualche gelato da dividersi tra di loro, e poi tra una chiacchiera e l’altra, si sarebbero diretti a piedi a casa per cambiarsi d’abito e uscire nuovamente per una cenetta al ristorante che si sarebbe conclusa con l’immancabile scambio dei regali di San Valentino.

Non sapeva quali regali i suoi fratelli avessero scelto per Jeanette e Brittany, ma sapeva senz’altro cosa avrebbe donato a Eleanor.

Il dono in questione era un anello in acciaio molto semplice e senza pietre preziose a decorarlo, ma sul quale l’orefice aveva inciso le iniziali dei loro nomi, “T&E”.

Ovviamente Eleanor non l’avrebbe portato al dito, ma a mo’ di braccialetto, però Theodore era convinto che ne sarebbe stata comunque entusiasta.

Subito dopo essere usciti ed essersi salutati con i compagni di scuola, i sei scoiattoli chiamarono al telefono pubblico Dave per avvertirlo della loro uscita e ridendo e scherzando tra di loro, si diressero verso il parco.

 

3.2:

Giunti a destinazione, presero la decisione di separarsi per un po’. Ognuno voleva godersi un po’ di privacy col proprio compagno.

Jeanette e Simon tornarono alla loro quercia, la quale era stata il luogo della consacrazione definitiva del loro amore e che per poco non fu la causa della loro prematura morte.

Dopo quel terribile incidente, dal quale i due ne erano usciti solo con qualche frattura di poco conto, Jeanette era convinta che avrebbe iniziato a provare odio per quell’albero, invece, benché si sforzasse di vederlo dal lato negativo, non poteva fare a meno di ricordarsi di Mark e delle sue parole: “Un giorno tornerò…dovrete aspettare ancora alcuni anni prima che ciò accada, ma quando tornerò resterò insieme a voi per sempre!”

Quante coppie potevano vantare la fortuna di scoprire che nel loro futuro sarebbero stati destinati a formare insieme una famiglia forte e stabile? E se ciò era possibile lo dovevano in parte anche a quell’albero.

Così, dopo averlo raggiunto ed essersi seduti ai suoi piedi, Jeanette appoggio la testa alla spalla di Simon, e lì, dopo essersi scambiati reciprocamente un «Ti amo» seguito da un «anch’io» restarono in silenzio e con occhi socchiusi per godersi il loro momento di pace.

 

3.3:

Alvin e Brittany passeggiarono un po’ per il sentiero del parco. Anche loro, come Simon e Jeanette, avevano vissuto un’esperienza tragica che li aveva uniti come mai avrebbero immaginato.

Tornati finalmente sani e salvi dall’isola e dopo il successo dell’esibizione agli International Music Awards, si misero subito insieme, e da quel giorno furono inseparabili. Non litigavano più come prima e anzi, il più delle volte se uno dei due combinava dei guai che provocavano le ire di Dave, l’altro correva subito in suo soccorso.

Mentre passeggiarono tenendosi per mano, Alvin lasciò la mano di Britt e la invitò ad aspettare. Lei gli domandò dove stesse andando, ma il chipmunk corse via di fretta.

Brittany fu tentata di seguirlo, scoprire dove stesse andando e cosa stesse facendo, ma scelse di obbedire.

Poco dopo Alvin tornò da lei sbucandole alle spalle e tenendo in mano un piccolo mazzetto di fiori di campo appena raccolti. Un gesto che commosse Brittany, la quale li raccolse, odorò il loro profumo e abbraccio il suo compagno per ringraziarlo del gesto.

 

3.4:

Theodore ed Eleanor erano l’unica coppia dei Chipmunks e delle Chipettes a essere rimasti ancora due semplici amici.

Benché festeggiassero il San Valentino come tutti gli altri e fossero ancora più inseparabili dei loro fratelli con i partner, non si vedevano ancora come due innamorati, ma con il regalo che avrebbe donato a Ellie durante la cena di quella sera, Theodore sperava di poter finalmente arrivare a una svolta nel loro rapporto.

Pensava ad Alvin e Simon e al legame che avevano con le sorelle di Eleanor, e provava una forte invidia per i due. Come avevano fatto ad arrivare a quel punto? Era stato davvero merito/colpa dei loro incidenti? O c’era qualcosa che gli sfuggiva? Forse centra col fatto che lui si era sempre comportato come il più infantile del gruppo? Anche se Eleanor non gli aveva mai dato l’impressione che questo fosse un problema, anzi, sembrava quasi che le piacesse quella specie di ruolo da “mamma” che a volte interpretava con Theodore.

«Hey, Theodore? Ma mi ascolti?»

La voce di Ellie spezzò il filo dei suoi pensieri.

«Oh, sì scusa… » Le rispose.

«Che succede?» Gli domandò curiosa e anche un po’ preoccupata.

«Niente, niente… eheh, dicevi?» Le rispose cercando di eludere la sua domanda.

Erano usciti fuori dal parco e ora si trovavano sul marciapiede a pochi passi dalla via d’accesso. Lei gli indicò con un cenno della testa la gelateria dall’altra parte della strada vicino all’incrocio.

«Che ne dici? Ci andiamo?»

Theodore fu colto alla sprovvista dalla domanda.

«Ma… e gli altri?»

«Gli altri mangeranno quando torneranno, no?»

Theodore non era molto d’accordo.

«Si però… dopo si arrabbieranno se… »

«Ma no, e poi non possono mica farcene una colpa! Se ne sono andati lasciandoci qui imbambolati ad aspettarli!».

Theodore era ancora restio ad assecondarla. Alternava gli sguardi tra la gelateria, la sua amica Eleanor e il parco.

«Dai su!» Insistette lei «Sono stanca di stare qui ad aspettarli senza far niente!»

«Ellie, io… »

«Fallo per me!»

Gli si avvicinò e gli fece gli occhi dolci, un gesto a cui lui non poteva mai resistere e col quale lei riusciva a convincerlo a fare qualunque cosa.

Lui la fissò in silenzio e ci rifletté per un po’.

Guardò ancora una volta in direzione del parco e poi verso lei.

Cosa c’era di male in fondo? Eleanor voleva solo mangiare in anticipo il gelato che si erano ripromessi. Sarebbe potuta essere una buona occasione per fare qualcosa insieme che non comprendesse aspettare gli altri membri del gruppo o fare chiacchiere inutili.

«Allora?» Insistette lei.

Ci pensò ancora un po’, cercando di valutare i pro e i contro che avrebbe portato la sua decisione, e alla fine prevalsero i primi.

«Va bene, andiamo.» Si lasciò convincere Theo.

«Yuhuu!» Esultò lei.

Eleanor lo prese subito per mano e insieme si diressero verso l’attraversamento pedonale. Intorno a loro altre persone camminavano indifferenti e non curanti dei due piccoli scoiattoli.

Si fermarono nell’attesa che la spia del semaforo dell’attraversamento diventasse verde e quando ebbero il via libera, procedettero sempre tenendosi per mano.

Alla luce di quanto stava succedendo, Theodore tornò a pensare all’anello che avrebbe regalato a Ellie. Le guardò il polso sinistro e si immaginò di vederglielo già indossare. Sicuramente l’avrebbe portato sopra la manica della maglietta, oppure avrebbe indossato capi d’abbigliamento che le avrebbero permesso di esporlo, perché Eleanor era fatta così, amava far vedere alla gente i doni che Theodore le faceva. Che si trattassero di fiori, cartoline, cioccolati o nastrini. Lei li mostrava alle amiche, offriva a tutti i dolcetti che riceveva e parlava a ruota libera di quanto Theo era stato tenero con lei durante questa o quell’uscita.

Con molta probabilità avrebbe cercato di tenere sempre l’incisione “T&E” del suo anello bene in vista, in modo che tutti potessero leggere le due lettere che Theo aveva fatto inciderci sopra.

«Sai» iniziò lei «non so te ma io ho proprio voglia di un bel gusto arancia!»

Sul volto di Theo si stampò un sorriso allegro e soddisfatto.

«Allora un gelato all’arancia per entrambi!» Propose lui.

Lei si voltò verso di lui di scatto.

«Ma a te non è mai piaciuta l’arancia… »

«E’ vero, però mi piaci te.» Sussurrò lui.

L’aveva detto davvero? Era una frase che avrebbe solo voluto pensare, eppure finì per pronunciarla ad alta voce.

Stavano ancora attraversando la strada quando lui lo disse. Eleanor restò stupefatta dalla confessione del suo migliore amico, lo guardò con sorpresa e gli sorrise. Lui ricambiò a sua volta con un altro sorrisino più timido.

In quel momento successe qualcosa. Nessuno dei due se ne accorse, se fosse stato così forse sarebbero riusciti a evitarlo, ma alla fine il destino aveva giocato il suo scherzo più crudele.

All’incrocio vicino al quale si trovava la loro gelateria, una macchina sopraggiunse a folle velocità, e non curante del rosso del semaforo sulla sua corsia che imponeva lo stop, attraversò la strada nel momento in cui i due chipmunk stavano percorrendo sulle strisce pedonali.

Se fossero rimasti ad aspettare i loro fratelli all’entrata del parco, se avessero attraversato le strisce due secondi prima o più tardi, se non si fossero distratti dalla frase di Theo, probabilmente si sarebbero accorti per tempo del mezzo e l’avrebbero evitato.

Solo il chipmunk con la felpa verde riuscì a notarla, anche se nel momento in cui la vide era ormai tardi per fare qualunque cosa. Stava sopraggiungendo sulla sinistra di Eleanor e lei in quel momento aveva ancora lo sguardo fisso su di lui.

Theodore stava per gridarle “Attenta” e fu sul punto di spingerla via, ma non ci riuscì. La macchina li investì e dopo di che, per i due chipmunk ci fu solo il buio. Niente dolore, nessuna sensazione, soltanto l’oscurità più totale.

 

3.5:

DATA IMPRECISA (Luogo Sconosciuto)

«Che succede? Dove mi trovo?» Provò a domandarsi.

Se glielo avessero chiesto, non sarebbe mai stato in grado di spiegare la strana esperienza che stava vivendo in quel momento.

La sensazione era come di svegliarsi da un lungo sonno senza sogni, solo per poi scoprire di essere finiti in un altro sogno.

Non vedeva nulla, era tutto buio, provò a guardarsi le mani, i piedi, ma non era sicuro di riuscirci. Non capiva se non era in grado di vederli a causa del buio o per qualcos’altro.

Provò a camminare, e seppur sentiva lo stimolo nei muscoli delle sue gambe, gli sembrò di essere immobile.

Anche le mani erano bloccate, e poco dopo essersene reso conto, realizzò di essere sdraiato a pancia in su, su qualcosa. Un materasso, forse.

«C’è nessuno? Che mi sta succedendo?!»

Avrebbe giurato di sentire la sua bocca pronunciare quelle parole, percepire il suono della sua voce, ma come per le braccia e le gambe, alla fine dovette ammettere a se stesso che quelli che per lui erano suoni concreti, in verità erano frutto della sua immaginazione, e che quelle domande in realtà le aveva solo pensate.

Perse molto del suo tempo a cercare di spostarsi, muovere un dito, dire ad alta voce almeno una singola parola, ma alla fine si arrese.

In lontananza sentiva dei suoni indistinti, quasi impercettibili, e non era in grado di capire cosa potessero essere.

Non ricordava nulla, tutto gli sembrava così strano.

Trascorse del tempo, forse delle ore, che potevano essere benissimo minuti o giorni, per quel che ne sapeva, e un nome cominciò ad affiorare nella sua testa. Theodore. Theodore, sì. Era questo il suo nome. E poi ci furono Simon e Alvin. Chi erano loro? I suoi fratelli, adesso ricordava. Erano tre chipmunk, e vivevano con un uomo di nome Dave.

Il tempo continuava a trascorrere, e finalmente quei suoni indistinti in lontananza diventarono echi di voce, ma non ne comprendeva ancora il significato.

Cominciarono a riaffiorare altri nomi, e con essi anche i ricordi. Aveva una vita. Era diversa da quella che stava vivendo ora, era fatta di luce, colori, emozioni, divertimento, avventure. Più le lancette dell’orologio scorrevano e più dettagli gli tornavano in mente.

Le voci che sentiva cominciavano ad avere una propria identità. Ogni volta era un timbro di voce diverso. Certe volte gli sembrava che fosse solo una di esse a sussurrargli, altre volte che invece fossero in gruppo.

Brittany, Eleanor e Jeanette erano i nuovi nomi che ricordò. I nomi delle loro amiche, che vivevano con loro e dalle quali erano inseparabili.

Quel continuo di nuovi ricordi ed esperienze che riviveva ogni volta, lo aiutarono a superare il tempo che scorreva, anche se ormai non si chiedeva più quanto ne fosse trascorso.

Gli sembrava di trovarsi in quello stato da tutta la vita, immerso in quel buio opprimente che non gli permetteva di muoversi.

Il nome di Eleanor era diventato presto un’ossessione per lui. Tutte le migliori esperienze, i ricordi più felici, le emozioni più intense le aveva vissute stando con lei. Si domandava dove fosse ora, dove fossero finiti tutti.

Forse erano proprio loro a sussurrargli in lontananza, forse Eleanor era tra loro e lo stava aspettando. Ma lui dov’era? Cosa gli stava succedendo?

Aveva smesso di porsi la domanda per lungo tempo, ma ora era arrivato il momento di trovare una risposta.

In quel momento non sentiva più le voci. Non ci badò. Si disse che non significava niente.

Voleva solo una risposta, aprire gli occhi e finalmente vedere tutto quello che il buio gli aveva precluso.

Non ci era mai riuscito, ma era solo perché non ci aveva mai provato. Ora era giunto il momento.

Apri gli occhi, ordinò a se stesso. Apri gli occhi. E alla fine li aprì.

Le palpebre si alzarono a fatica. Si richiusero e tentarono di rispedirlo nel luogo da cui era appena fuggito, nel buio. Si fece forza e li aprì ancora una volta.

Intorno a lui vedeva il bianco, la luce.

Non distingueva le forme, tutto sembrava avvolto dalla nebbia.

Un’ombra scura attraversò il suo campo visivo. Si soffermò su di lui, come a studiarlo, e si allontanò con la stessa rapidità con cui era arrivata.

Theodore non riusciva ancora a muoversi, avrebbe voluto, ma anche tenere gli occhi aperti gli sembrava una fatica indicibile.

Alla fine era troppo stanco per poterli lasciare ancora aperti. Si lasciò sopraffare dalla stanchezza e li richiuse.

Nel momento in cui il buio tornò a dominare il suo mondo, cadde in un sonno profondo.

 

3.6:

«Guardate! Si sta svegliando!» Disse una voce.

«Dici sul serio?» Rispose un’altra, più profonda.

«Sì, guarda!»

Theodore riaprì gli occhi. Questa volta non fu difficile come prima. Era stato un normalissimo risveglio. Ebbe solo un attimo di smarrimento dovuto al dubbio di non sapere dove si trovasse.

Si osservò intorno e gli sembrò di trovarsi nella stanza di un ospedale. Il perché ci fosse finito dentro, però, non lo ricordava.

Dopo aver riordinato le idee, si concentro sulle persone che si trovavano intorno a lui.

«Ragazzi, siete voi?» Domandò loro.

«Sì Theodore! Oh, sono così felice che sei tornato!» Gli rispose uno di loro.

«Alvin, sei… sei tu?» Farfugliò.

«Si Theo, e qui ci sono anche gli altri. E guarda, c’è anche Dave!» Rispose Alvin con un tono di voce misto tra commozione e felicità.

Mentre parlava, tutto il gruppo si avvicinava al suo letto. Chi era abbastanza piccolo da poterlo fare saltò sul materasso, mentre gli altri, un’infermiera e un uomo adulto, si limitarono ad avvicinarsi.

L’infermiera diede solo una rapida occhiata a Theodore per accertarsi delle sue condizioni.

«Ora vi lascio soli.» Disse poi.

Theodore riconobbe subito l’uomo che gli stava vicino, era Dave.

«D’accordo.» Rispose all’infermiera.

Riconobbe presto anche gli altri. Oltre ad Alvin, c’erano Simon, Jeanette e Brittany, che lo fissavano agitati e in trepidazione. Al contrario di Dave, però, loro avevano qualcosa di strano. Sembravano diversi. Jeanette in particolare aveva una folta chioma di capelli lisci che le scendevano sulle spalle. Ma anche gli altri non erano da meno. Benché avessero tutti più o meno l’aspetto che lui ricordava, sembravano tuttavia più vecchi. Cresciuti, era il termine esatto.

«Ben tornato, fratellino.» Gli disse Simon a bassa voce con un grande sorriso sulle labbra. In seguito gli si avvicinò e lo abbracciò. Anche gli altri, a turno, lo fecero. E mentre li abbracciava uno ad uno, non faceva che chiedersi dove fosse Eleanor e cosa stesse succedendo. Gli sembrava anche che ci fosse qualcosa nella sua testa che doveva ricordare. Qualcosa di importante, ma che in quel momento sembrava facesse di tutto per restare nascosto nel profondo della sua mente.

«Ti voglio bene, Theo. Mi sei mancato da morire.» Gli disse Dave abbracciandolo per ultimo. Commosso e con le lacrime che stavano cominciando a scendergli sul volto, bagnando le palpebre.

«Dave, che sta succedendo? Me lo puoi spiegare?»

Brittany si fece avanti.

«Non ricordi nulla?» Chiese non molto sorpresa.

«No, insomma… non… » Balbettò.

«Hai avuto un incidente, Theo.» Lo interruppe Simon. «Sei stato colpito di striscio da un pirata della strada… la ruota anteriore dell’auto ti ha sbalzato a terra e hai battuto la testa sull’asfalto, poi… poi sei entrato in coma.»

Theodore sgranò gli occhi incredulo.

«Un incidente? Io… io non ricordo niente… »

«Sei stato in coma per tre anni, Theo… oggi è il 26 aprile 2016» intervenne timidamente Jeanette, l’unica che fino ad ora non aveva ancora parlato «i medici dicevano che non ti saresti mai più svegliato, però noi, sai… » si fermò. Fu Alvin a prendere il suo posto per proseguire il discorso. «dicevano che non ti saresti più ripreso, ti avevano dichiarato morto, ma dopo Eleanor, ecco… non volevamo arrenderci, non con te!»

«Eleanor? Che centra Eleanor?! Dov’è? Perché non è qui con voi?» Chiese agitato Theodore, cercando di alzarsi dal suo letto. Simon e Alvin dovettero afferrarlo per le spalle per cercare di calmarlo.

«Theodore, stai calmo, ti scongiuro.» Lo supplicò Simon.

«Lei dov’è? Voglio vederla!!» Ordinò Theo urlando e cercando di ribellarsi alla presa dei suoi fratelli, ma era ancora debole. Dopo tre anni di coma i suoi muscoli erano completamente atrofizzati, e se non fosse stato per l’improvvisa esplosione di adrenalina non sarebbe stato nemmeno capace di mettersi in ginocchio.

Gli occhi di Jeanette divennero lucidi e cominciò a piangere.

«Lei, bhe… ecco… Ellie sta… è…». Tentò di farfugliare una risposta, ma non ci riuscì, le si avvicinò Brittany che le offrì la spalla e la abbracciò per consolarla.

«Theodore, calma. Lei non è qui.» Intervenne Dave.

Theodore non aveva altra scelta che obbedire, era stremato ed esausto e ogni più piccolo movimento che compiva gli sembrava uno sforzo immane.

Alvin e Simon lo lasciarono quando finalmente si tranquillizzò.  

«Dov’è Ellie, ragazzi. Io non riesco a ricordarlo. Rispondetemi, vi scongiuro!» Li supplicò cercando di contenere la paura e le lacrime.

Si guardarono tra di loro imbarazzati. Avrebbero voluto dirglielo, ma sia Alvin che Simon temevano il rischio di essere troppo freddi e diretti. Dopo alcuni sguardi tra loro due e Dave, con Theodore che attendeva con impazienza la risposta, alla fine toccò a loro padre parlare, mentre le Chipettes non avevano altra scelta che stare in disparte ad aspettare.

Dave tirò un profondo sospiro e cominciò a spiegare.

«Eravate insieme quel giorno… tu e lei… l’auto ha… » anche lui come gli altri temeva la reazione di Theo. Si augurava che capisse, che gli risparmiasse il dovere di dargli la notizia. Si sarebbe accontentato anche di dovergli dare solo la conferma, Theodore gli avrebbe chiesto “E’ successo quello?”, a quel punto Dave avrebbe solo dovuto dire “sì” o “no” ed era fatta. Invece Theodore restò in silenzio e continuò a fissarlo.

«L’auto vi ha investito entrambi e… lei è… morta sul colpo.»

Complimenti Dave, che sensibilità! Si rimproverò tra se e se.

Ora che gli avevano comunicato la notizia, attendevano solo di scoprire come avrebbe reagito.

Theodore sgranò gli occhi d’improvviso, incredulo dinanzi quanto aveva appena sentito.

«Dave, non scherzare, dimmi dov’è!» Cominciò ad agitarsi.

«Theo…» intervenne Alvin, senza sapere esattamente come continuare la frase.

«Mi state prendendo in giro, dov’è lei?!» Quest’ultima domanda la gridò tra le lacrime.

Alvin avrebbe voluto consolarlo, ma nessuna parola avrebbe potuto aiutarlo in quel momento. Lui meglio di tutti conosceva le sensazioni che si potevano provare alla consapevolezza di perdere la propria amata, e se quel giorno di cinque anni prima Brittany fosse annegata in mare, niente avrebbe potuto alleviare le sue pene.

Theodore stava attraversando la così detta “fase del rifiuto”, nessuno avrebbe potuto fare nulla per fargli accettare la realtà, era qualcosa a cui doveva arrivarci da solo. L’unica cosa che Alvin poteva fare era offrirgli l’amore di un fratello, così lo abbracciò e lo strinse forte a se.

Fu in questo momento che Theodore realizzò. No, non era uno scherzo. Eleanor non c’era più.

«No, non può essere vero, svegliatemi da quest’incubo! Lei non è morta, come può essere morta?!» Le urla strazianti di Theodore penetravano negli animi dei membri della sua famiglia. Il piccolo chipmunk piangeva, continuando a ripetere tra se e se che Eleanor non poteva essere veramente morta.

Simon si unì all’abbraccio fraterno, sotto gli occhi addolorati delle due Chipettes restanti e di Dave, che mai come ora si sentiva l’estraneo del gruppo.

 

3.7:

14 MAGGIO 2016

Theodore fu dimesso due settimane e mezzo dopo il suo risveglio.

Come già detto, dopo tre anni trascorsi in coma su un letto d’ospedale, durante il quale tutti e cinque i chipmunk avevano avuto il tempo di compiere ventidue anni di età, i muscoli di tutte le articolazioni di Theodore erano finiti per atrofizzarsi a causa di tutto il tempo trascorso sdraiato nella stessa posizione senza possibilità di movimento. Prima di essere dimesso, dovette superare un lungo periodo di riabilitazione per recuperare in pieno le funzioni motorie dovute all’atrofia muscolare della lunga degenza.

Secondo le previsioni mediche, grazie anche ai progressi della medicina e delle tecniche di riabilitazione, gli sarebbero stati sufficienti non più di quattro o cinque giorni per riprendersi del tutto e poter essere dimesso. I medici, tuttavia, non avevano considerato quanto poco sarebbe stato collaborativo il paziente.

Durante tutto il periodo non aveva quasi proferito parola con nessuno, mangiava poco e quasi sempre sotto costrizione e non si impegnava negli esercizi della riabilitazione. Aveva semplicemente perso il desiderio di vivere.

A tormentarlo ancora di più, il fatto di non aver alcun ricordo del giorno dell’incidente. Gli sembrava di aver lasciato qualcosa in sospeso, qualcosa che avrebbe voluto fare per Eleanor, e il fatto di non ricordarsene gli causava tormento come e più della stessa consapevolezza di non poterla più avere accanto a se.

Ci vollero otto giorni affinché iniziasse ad accettare la nuova dura realtà. Intorno a lui tutti si prodigavano per assisterlo e a far si che non si sentisse abbandonato. Quando finalmente si rese conto che l’unico modo per ritornare a vivere significava dar loro retta affinché potessero aiutarlo, si decise a collaborare con lo staff medico e la sua famiglia, e da quel momento, il programma di riabilitazione poté svolgersi regolarmente.

Quando i medici terminarono le analisi su di lui e capirono che si era completamente ripreso, decisero finalmente di dimetterlo.

Era il 14 Maggio del 2016, quel giorno vennero solo Dave e Simon a prenderlo per portarlo a casa. Lo accompagnarono fino alla macchina e partirono.

Durante tutto il viaggio, Theodore cercava di distrarsi osservando la Los Angeles di quel futuro non troppo lontano.

La maggior parte delle cose erano rimaste pressoché invariate, mentre alcuni negozi di cui Theodore aveva memoria erano stati chiusi e sostituiti con altre attività.

Il mondo non è andato molto avanti in mia assenza, pensò Theodore e subito si stupì del pensiero che aveva appena formulato, non era proprio da lui, si disse tra se e se.

L’unico che sembrava essere cambiato sul serio era proprio Theodore. Non si sentiva più allegro e spensierato come ai vecchi tempi, ma del resto non si poteva dargli torto. Erano passati diciotto giorni da quando si era risvegliato e gli era stata comunicata la notizia della tragedia di Eleanor. Dopo una lunga settimana di sofferenza aveva faticosamente imparato ad accettare le realtà e a convivere col tormento di quel ricordo che ancora non riusciva a rievocare, eppure restava pur sempre la consapevolezza che la sua migliore amica non c’era più.

Forse un giorno si sarebbe finalmente ripreso e avrebbe imparato ad andare avanti, ma non sarebbe più ritornato quello di prima, di questo ne era certo.

Quando finalmente arrivarono a casa di Dave, Theodore si rese conto di non ricordare la disposizione delle varie stanze o del loro arredamento. Ricordava il giardino e le aiuole perfettamente curati, ricordava gli esterni della casa, ma degli interni la sensazione che provò una volta varcata la soglia dell’entrata era di totale smarrimento. Si sentì come un ospite che viene invitato per la prima volta in una casa nella quale non era mai stato prima.

Simon notò questo suo senso di smarrimento.

«C’è qualcosa che non va, Theo?» Gli chiese appoggiandogli una mano sulla spalla, mentre lui si guardava intorno spaesato.

«Non so dove andare… non ricordo niente di questa casa.» Gli rispose con un tono di voce che gli parve apatico, privo di qualunque emozione positiva o negativa.

«Che vuoi dire?» Domandò Simon, che non era sicuro di aver capito bene.

Theodore restò in silenzio per alcuni istanti.

«Non lo so, mi sembra come di entrare in questa casa per la prima volta in vita mia.» Rispose con lo sguardo abbassato verso il pavimento.

Simon non fu molto sorpreso dal sentirglielo dire. I medici li avevano avvertiti che avrebbe potuto soffrire di amnesie selettive riguardo a specifici eventi, luoghi o persone, ma alla domanda “sarebbe mai riuscito a riacquistare la memoria perduta?” non seppero dar loro risposta. L’unica cosa che potevano fare consisteva nel provare a fargli rivivere quelle esperienze delle quali non rammentava.

Decise, quindi di accompagnarlo a fare un giro per tutta la casa, mostrandogli le varie stanze e raccontandogli qualche aneddoto divertente su Alvin e su loro due nel tentativo di sdrammatizzare un po’ la difficile situazione. E magari aiutarlo a risvegliare qualche tassello della sua memoria perduta.

Tentativi inutili, dal momento che non fu in grado di strappare neanche mezzo sorriso al fratello.

Finito il tour del piano terra, salirono insieme le scale per il piano superiore, dove erano situate le camere da letto.

Fu a metà dei gradini che Theodore provò una strana sensazione. Era il suo ricordo bloccato, quello che per giorni aveva cercato di rammentare senza mai riuscirci, e che ora, d’improvviso, sembrava stesse lottando per riaffiorare.

Salirono gli ultimi gradini e Simon stava per cominciare partendo dalla stanza di Dave, Theodore invece si avviò dalla parte opposta, verso la loro, e suo fratello lo lasciò andare senza ostacolarlo.

Fu tentato dal chiedergli dove stesse andando o se avesse in mente qualcosa, ma dopo tutta la confusione e lo smarrimento vistogli negli occhi, quel fare deciso e convinto doveva pur significare qualcosa, quindi si disse che era meglio non interferire.

Theo si mosse d’istinto, spinto da quella strana sensazione che lo guidava verso la loro camera da letto. Lì entrò e dopo essersi guardato un po’ intorno, analizzando i due letti a castello ai lati della stanza e identificò subito il suo e quello di Eleanor.

Saltò su quello della sua amica defunta, mentre Simon se ne stava in disparte a osservare le sue mosse.

Theodore guardò i peluche disposti ordinatamente sul copriletto e sopra il cuscino, e lì si lasciò sfuggire una lacrima che sarebbe scoppiata presto in un pianto copioso, se lui non l’avesse bloccato con un grande sforzo di volontà.

Scese giù con un salto e si arrampicò sul comodino vicino al letto a castello delle Chipettes.

C’erano diverse foto che raffiguravano i Chipmunks e le Chipettes. Una di queste era una foto di gruppo scattata durante l’estate del 2011 poco prima della loro partenza con la “Carnival Dreams”, che Theodore fissò a lungo, soffermandosi in particolare sul volto di Ellie.

C’era qualcosa che ancora gli sfuggiva. Sentiva di essere ad un passo dal rievocare quel ricordo, eppure la soluzione continuava a sfuggirgli nonostante l’istinto gli dicesse che ormai c’era molto vicino.

Saltò giù di nuovo e, dopo essersi guardato ancora un po’ intorno, raggiunse infine la loro scrivania.

«Stai cercando qualcosa?» Provò a domandargli Simon, ma senza ottenere risposta.

Theodore aprì il primo cassetto in alto, ci frugò dentro con attenzione finché l’istinto non gli fece capire che aveva finalmente trovato quello che cercava. Una piccola scatoletta rettangolare di tre centimetri per quattro. La prese e salì sopra la scrivania dopo aver richiuso il cassetto.

In quel momento Simon decise di raggiungerlo, incuriosito da quello strano piccolo oggetto che era stato sotto gli occhi di tutti per tre anni e di cui nessuno fino ad ora sembrava essersene mai accorto.

Theodore la aprì, trovandoci dentro un piccolo ma splendido anello che nonostante non sembrava essere particolarmente costoso, era molto bello da vedere, soprattutto se indossato dalla persona giusta.

Doveva essere il regalo che Theo aveva preparato per Ellie per il giorno di San Valentino, concluse Simon.

«Ti ricorda qualcosa?» Provò a domandargli.

Theo ci pensò per un paio di secondi.

«No.»

«Ma allora come facevi a sapere che l’avresti trovato lì?»

«Non lo so… » prese una pausa, cercava una risposta da dare a Simon «io… io non so perché l’ho cercato… » Balbettò.

Appoggiò la scatoletta sul banco delle scrivania e prese tra le sue mani il piccolo anello per studiarlo.

«Ci sono delle lettere qui, T&E… » disse parlando ad alta voce tra se e se, ma rivolgendosi, nel frattempo, anche a Simon «T&E… Theo e Ellie.»

Fu come una saetta che gli attraversò la testa. D’improvviso ricordava tutto, fin nei minimi dettagli. Come una proiezione su parete, rivide la scena degli ultimi istanti prima dell’incidente. Lui ed Eleanor che attraversavano la strada, lui che guardava il suo polso immaginandosi come sarebbe potuto essere con indosso il suo anello, lui che finalmente dichiarava i suoi sentimenti per lei, lei che lo guardava felice, la macchina che infine sopraggiungeva a folle velocità e li investiva.

Se solo fosse stato più attento, se non si fosse distratto, o se non l’avesse distratta, forse almeno uno dei due si sarebbe accorto in tempo del mezzo e tutto questo si sarebbe potuto evitare. Era questa la conclusione cui giunse Theo, era questa la verità che i suoi ricordi avevano cercato di nascondergli.

«Theo? Stai… stai bene?» Gli domandò Simon, preoccupato per lui.

«E’ colpa mia.» Farfugliò.

«Come?» Gli chiese Simon.

«E’ colpa mia, solamente colpa mia.»

Simon si sorprese di quella reazione improvvisa.

«Colpa tua? Perché stai dicendo questo, che ti prende?»

«Non capisci, è colpa mia, io… io l’ho distratta mentre attraversavamo le strisce pedonali… »

«No, Theo! Non devi dirlo neanche per scherzo! E’ stato un incidente, non è colpa tua… »

«E’ soltanto colpa mia.» Lo interruppe.

«Theo… »

«Lei è morta per colpa mia.»

Quell’idea s’insinuò nella sua mente come un tumore. Aveva appena cominciato a riassemblare i cocci della sua anima quando questa era andata nuovamente in frantumi, sfaldandosi in frammenti ancora più piccoli.

Quel poco di Theodore che era sopravvissuto all’incidente morì in quell’istante e da allora non si sarebbe mai più ripreso per oltre 10 anni.

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Capitolo 4
*** 4: La famiglia. ***


4.1:

8 FEBBRAIO 2029 (Casa Seville)

«Ehm… ciao Theo.» Farfugliò Alvin.

Quando Al era partito per New York, nonostante la lunga degenza in coma avesse fatto perdere a Theodore molta della sua massa corporea originale, restava tuttavia abbastanza in carne da non destare troppa preoccupazione nei confronti di chi lo guardava. Ora invece appariva estremamente emaciato, più di quanto Alvin avesse mai potuto credere. Indossava ancora la felpa verde che aveva fatto parte della sua infanzia, e nonostante fosse leggermente cresciuto di statura, gli stava persino larga ora che era così deperito. Come se c’ho non fosse già una visione turbante, quel Theo era anche estremamente pallido in volto, la pelliccia aveva perso molto del suo colore naturale e appariva arruffata o spelacchiata in diversi punti del corpo, lasciando intravvedere la pelle glabra.

Non era il Theodore a cui Alvin era abituato, e dovette ammettere con se stesso che purtroppo tutte le storie che Brittany gli aveva raccontato sul suo conto erano vere.

Theodore non rispose al saluto. Si limitò a fissarlo con gli occhi leggermente sgranati, quasi fosse incredulo di trovarsi veramente di fronte il fratello che non vedeva da così tanto tempo.

«Mi riconosci?» Gli chiese Alvin, poi saltò sul tavolo dove Theo stava seduto a contemplare il nulla e gli si avvicinò. «Sono io, Alvin.» Continuò indicando se stesso con entrambe le mani al petto.

Theodore lo guardò in volto. La sua espressione non comunicava alcuna emozione. L’unico indizio che indicasse il fatto che forse poteva essere sorpreso di quell’incontro era la bocca leggermente aperta che teneva spalancata da quando Alvin lo aveva salutato entrando nella stanza.

Alvin si inginocchiò a pochi centimetri da lui.

«Theo?». Insistette.

Le labbra di Theodore vibrarono leggermente.

«A-Alvin… ?» Farfugliò.

Alvin sorrise e dovette trattenersi dal non esplodere dalla gioia.

«Sì Theo, sono io! Sono Alvin!»

Lo abbracciò e si aspettò che da un momento all’altro anche lui facesse altrettanto, ma Theodore resto impassibile e silenzioso, senza emettere un solo gemito.

«Come stai, fratellino?» Gli chiese Alvin distaccandosi da lui di un paio di centimetri e fissandolo negli occhi.

Theo non gli rispose, e anzi, voltò la testa verso la finestra e ricominciò a fissare il vuoto.

«Ma… Theo?» Lo chiamò Alvin costernato.

Una voce femminile lo chiamò.

«Alvin… »

Era Brittany.

Si voltò in direzione della voce e lì vide la sua compagna vicino a Simon e all’anziano Dave che seguivano insieme il suo tentativo di dialogo con Theodore.

Alvin si voltò solo per un secondo verso Theodore, che continuava a far finta di nulla. Per un breve istante sembrava essersi ripreso, ma ora era tornato a dare l’impressione di non essere cosciente del mondo che gli stava intorno.

Ripensò alle parole “Senza anima” con le quali Theo era stato definito sia da Brittany, che da Dave e Simon, e ora finalmente aveva capiva cosa volessero dire.

 

4.2:

Alvin saltò giù dal tavolo e tornò dagli altri.

Ricordava il periodo in cui Theodore si convinse di essere in qualche modo il responsabile della morte di Eleanor. Dopo un breve periodo durante il quale sembrava stesse cominciando a riprendersi dal trauma, cadde nuovamente in una specie di profonda depressione che lo chiuse in se stesso, rendendolo associale e assente nei confronti di chiunque. Allora le sue condizioni erano già preoccupanti, ma quello che Alvin si era appena ritrovato di fronte agli occhi era molto peggio di quanto potesse mai immaginare! Theo era divenuto l’ombra di se stesso, un guscio di carne, ossa e pelo al cui interno non vi era più traccia di emozione, e anche quelle poche che ancora vi tentavano di accedere, probabilmente venivano scacciate da una mente che ormai si era perduta nella sua cieca disperazione.

Simon sperava che il ritorno di Alvin potesse finalmente sbloccarlo, del resto era proprio dal giorno della sua partenza che le cose iniziarono a peggiorare col loro fratello, e quando Theodore, guardando negli occhi Alvin, aveva tentato con fatica di pronunciare il suo nome, una piccola speranza cominciò ad albergare per breve tempo nel cuore di Simon. Dovette però ricredersi. Theodore era tornato subito a essere il fragile e vuoto guscio che era stato per tutti quegli anni.

«Almeno c’ho provato.» Ammise Alvin scambiando una serie di sguardi imbarazzati con Dave e il resto del gruppo.

«Non fa niente Al… ora, se volete andare un po’ a riposarvi per il viaggio, ho già portato in camera vostra i bagagli.» Gli spiegò Dave, senza sforzarsi di contenere la tristezza che anche lui, come gli altri, provava per tutta la faccenda.

Alvin annuì.

Simon guardò il display dell’orologio digitale appeso sopra la parete di fianco al tavolo della sala da pranzo.

«Ragazzi, io devo tornare a casa. Tra non molto Mark tornerà da scuola e lui non sa che sono qui, non vorrei che si preoccupasse non trovandomi.»

«Vuoi che ti ci porti io? Devo fare un salto alla banca, quindi se vuoi approfittarne… » Gli propose Dave.

«Per me va bene… » rispose, poi si rivolse ad Alvin e Brittany «ah, Jeanette mi ha detto di dirvi che sta sera siete invitati da noi, sempre se non avete altri programmi.»

«Sì, sì, lo so. Ci ho parlato al telefono poco fa, mi ha chiamato da lavoro perché voleva sapere se eravamo arrivati, e ha approfittato per chiedermelo! Se Alvin è d’accordo verremo senz’altro… Alvin?» Britt si rivolse al suo compagno.

«Hmm… bhe, è anche vero che siamo appena arrivati…» gli altri lo guardarono con un espressione sbigottita, come se volessero chiedergli “E quindi?”.

«Quindi di impegni non ne abbiamo! Come dice Brittany, ci verremo senz’altro, Simon!» Concluse facendo l’occhiolino al fratello.

Cercava di alleviare un po’ la tensione del gruppo, ma la cosa non parve funzionare, e anzi, portò un’ulteriore ondata di tristezza tra tutti i presenti. Primo fra tutti, lo stesso Alvin, che in quel momento si rese conto che forse con quell’atteggiamento era stato un po’ inopportuno.

«Molto bene, allora… ehm, Dave, noi andiamo?» Gli chiese Simon, il quale aveva un tono di voce malinconico e sembrava non vedesse l’ora di congedarsi dagli altri due chipmunk.

«Sì, fammi mettere le scarpe, prendere le chiavi e andiamo.» Gli rispose uscendo dalla stanza.

«Ok, ehm… Alvin, Britt, ci vediamo sta sera allora. Ciao.» Li salutò, sempre con voce malinconica.

«Contateci!» Risposero in coro mentre Simon usciva anch’egli dalla stanza.

Poco dopo Dave si affacciò di fretta all’entrata della sala da pranzo.

«Ragazzi, noi andiamo. Tornerò tra meno di un’ora, a dopo!».

«A dopo, Dave!»

«Ciao!»

Sia Alvin che Brittany lo salutarono, solo Theodore era rimasto in silenzio nel suo angolino del tavolo.

L’uomo uscì rapidamente di casa, preceduto da Simon.

Alvin restò piacevolmente sorpreso nel notare che nonostante l’età, Dave conserva ancora la vitalità dei tempi che furono. Pure lui, come tutti gli altri, aveva subito le conseguenze della tragedia dell’incidente, del coma di Theodore e della scomparsa di Eleanor, ma tra tutti era stato quello che aveva saputo affrontare meglio il dolore. Non era il tipo di uomo che si lasciava sopraffare facilmente. Quando erano finiti nell’isola, sia la prima volta, tutti insieme, che la seconda solo Alvin e Brittany, aveva affrontato l’oceano e le intemperie del vulcano per riportarli a casa sani e salvi, ed era stato con loro vicino anche dopo i due incidenti di Simon e Jeanette e di Theo e Ellie.

Dovevano tutto a lui, e Alvin non faceva che rimpiangere ogni minuto di ogni giorno la sua decisione di partire per New York. La sua carriera gli aveva garantito il continuum della fama e del successo, ma gli aveva anche fatto sprecare molti, troppi anni di rapporti con la famiglia con cui è cresciuto e che ora desiderava solo recuperare.

Forse il merito di questa consapevolezza era dovuto ai suoi trentacinque anni di età che finalmente lo stavano facendo maturare, oppure era dovuto fatto che presto sarebbe diventato lui stesso un padre. Si chiedeva quale di queste due eventualità fosse quella corretta. La prima? La seconda? Oppure entrambe? Un giorno l’avrebbe capito.

 

4.3:

Alvin e Brittany erano rimasti solo in casa insieme a Theodore.

Alvin lanciò un altro sguardo malinconico al fratello. Stava valutando se fare un altro tentativo provando a parlarci o se invece fosse meglio lasciarlo perdere per ora.

Brittany gli appoggiò una mano sulla spalla.

«Andiamo, Alvin.» Gli disse.

«Uh…sì.»

Uscirono dalla stanza e andarono verso le scale che li avrebbero condotti al piano superiore della casa. Non si accorsero che nel frattempo Theodore si era leggermente voltato per guardarli.

Per salire le scale, a causa del suo pancione Brittany doveva aiutarsi afferrando la base del corrimano e aiutarsi con le braccia a compiere i gradini, ma dopo averne completati solo un paio fu afferrata d’improvviso da Alvin che se la caricò in braccio.

«Uh, Alvin? Ma… che stai facendo?»

«Non crederai mica che ti lascerò salire le scale da sola? Ricordi cosa ti ha detto il medico? Niente sforzi inutili.»

Brittany ridacchiò imbarazzata.

«Ma… peso troppo per te, come farai a fare tutti i gradini con me in… » fu azzittita da un piccolo e delicato bacio sulle labbra dal suo compagno.

«Stai tranquilla e goditi il viaggio.» La rassicurò sorridendole.

Alvin salì i gradini a lunghi passi con in braccio Brittany senza mostrare quasi segno di stanchezza, fino a che non si trovarono finalmente al piano superiore della casa.

«L’ “Alvin’s transport” le comunica che siamo giunti a destinazione, Mylady.» Annunciò Alvin, facendo ridere Brittany per la battuta.

«Eheh, quanto le devo?»

«Per lei, Mylady, oggi: “sconto fedeltà”, un bacio sulla guancia e siamo a posto.»

Brittany rise ancora, e invece del bacio sulla guancia, gli diede un lungo e profondo bacio sulle labbra.

«Il resto è la mancia.» Concluse Britt.

Si avviarono subito per il corridoio e Alvin parti in quarta diretto verso quella che una volta era la loro camera da letto.

«No, non lì, Alvin.» Lo avvertì Brittany. Ma Alvin ormai aveva già raggiunto la stanza, e quando varcò la soglia provò una sensazione di smarrimento nel notare che molte delle loro cose erano state tolte. I poster, le locandine, i loro giocattoli, tutto era stato rimosso. Persino i letti a castello nei quali un tempo i Chipmunks e le Chipettes dormivano insieme.

Restava solo un letto a una piazza simile a quello che avevano Alvin e Brittany nel loro attico a New York, con un copriletto monocromatico di colore verde. A guardarla ora, la stanza sembrava incredibilmente spoglia. Dei tempi passati restavano solo un piccolo armadio a due ante e un comodino vicino a quell’unico letto sopra il quale vi erano diverse foto, alcune dei Chipmunks e delle Chipettes in gruppo, e molte altre solo di Eleanor da sola o con Theodore.

«Questa ora è la camera di Theo.» Spiegò Brittany dopo averlo raggiunto.

«A quanto pare…» le rispose mentre la sua attenzione era tutta focalizzata sulle foto del comodino. «Quindi… dove si va?» Domandò poi.

«Dave ci ha preparato la stanza per gli ospiti, dormiremo lì.»

L’espressione di Alvin cambiò in una smorfia di sorpresa.

«Da quando Dave ha una stanza per gli ospiti?»

«Sono passati 10 anni, le cose cambiano!»

«Sì, bhe, è vero. E’ solo che non mi aspettavo di vedere questa stanza così spoglia.»

Brittany sospirò.

«Lo so, non sembra neanche più la stessa. Dave dice che è stato costretto a farlo perché ogni cosa che c’era qui dentro ricordava a Theo mia sorella… gli causavano angoscia… quindi ha dato via tutto eccetto le foto, che non se la sentiva di portargli via. Theodore ha diritto ad avere un ricordo di Ellie e… »

«Andiamo nella nostra stanza, ok?» Le frasi di Brittany stavano diventando sempre più confuse e disordinate, e ad ogni parola pronunciata la sua voce si tramutava sempre di più in un pianto. Alvin decise quindi di stopparla.

«Sì, va bene… seguimi.» Brittany si asciugò una lacrima con il palmo della mano e lo accompagnò alla stanza degli ospiti.

«Un momento… ma questo è lo studio di Dave!» Commentò Alvin stupefatto.

La stanza degli ospiti era arredata svuotando dal suo contenuto tutto quello che fino a qualche anno prima era lo studio nel quale Dave lavorava ai testi delle sue canzoni.

Quando dovettero sciogliere la band dei Chipmunks e delle Chipettes, da quel momento in poi tutti i guadagni che Dave percepiva provenivano principalmente dai diritti d’autore e dalla vendita degli ultimi cd del gruppo. Per un po’ aveva tentato di comporre e registrare nuove canzoni per conto proprio, le quali però non ottennero lo stesso successo come ai tempi d’oro dei sei chipmunk, perciò decise di rinunciarvi. Questa parte della storia Alvin la conosceva, quello che però ignorava era che alcuni anni prima , sotto suggerimento di Simon, Dave aveva deciso di mettere in vendita all’asta tutta la sua attrezzatura da compositore, che ormai risiedeva abbandonata in uno studio che non aveva più motivo di esistere, ed era riuscito a piazzarla ad un ottimo prezzo a diversi collezionisti bramosi di avere per sé un pezzo della storia di una delle più grandi band musicali di tutti i tempi.

Le due valige che Alvin e Brittany si erano portanti dietro erano state già svuotate del loro contenuto e riposte con l’aiuto di Dave in uno degli scaffali della stanza.

«Io mi metto un po’ a dormire Alvin, sono stanca morta.» Disse Brittany.

«Oh, sì. Aspetta. Ti aiuto a salire.»

Dave aveva già preparato una piccola scaletta sul bordo destro del letto per consentire alla Chipette di salire, e così lei e compagno ripeterono lo stesso rituale a cui già erano abituati nel loro attico a New York.

Brittany si accoccolò sul letto e aspettò che anche Alvin si sdraiasse insieme a lei, ma il chipmunk saltò subito giù per dirigersi all’uscita.

«Non vuoi dormire un po’?» Gli chiese Britt.

Alvin si voltò verso di lei e scosse la testa.

«No, voglio andare giù e provare a parlare ancora con Theo.»

Lei gemette.

«Credi che sta volta funzionerà?»

Alvin sospirò.

«Non lo so… lo spero. Ma non mi va di dormire sapendo che mio fratello che non vedo da dieci anni è al piano di sotto tutto solo e abbandonato a se stesso. Riposati, Britt. Io ti raggiungerò tra poco.»

Alvin si congedò da Brittany, che rimasta sola nella stanza, non poté fare altro che ascoltare le parole del suo compagno e dormire, lui invece percorse il corridoio fino alle scale e scese al piano inferiore.

Si diresse verso la sala da pranzo, dove prima avevano lasciato Theodore, ma prima di raggiungerla, alcuni rumori attirarono la sua attenzione nel soggiorno. Sembravano provenire da una tv, e in effetti fu così. Theo stava seduto sul divano, con il telecomando di fianco a se e con lo sguardo fisso sul monitor ultrapiatto del televisore di fronte.

«Hey, Theo!» Si annunciò Alvin saltando sul divano insieme al fratello e sedendosi vicino a lui. Theodore non gli rivolse nemmeno uno sguardo.

Ci furono alcuni secondi d’imbarazzante silenzio, durante i quali Alvin cercò di pensare a un modo per spezzare la tensione. Tra tutte quelle che avrebbe potuto dire, gli venne in mente solo la domanda più stupida e inutile in assoluto.

«Che stai guardando?» Gli domandò cercando di attirare l’attenzione. Lo sapeva che non avrebbe dovuto aspettarsi una risposta, ma non sapeva davvero come approcciarsi.

Faresti meglio a stare zitto, Alvin! Si disse tra se e se.

Alla fine si limitò a seguire la Tv insieme a Theodore senza aprir bocca. Sul monitor scorrevano le pubblicità dei prodotti più disparati, dagli snack agli spot delle compagnie aeree, dai prodotti per la casa agli ultimi ritrovati hi-tech della robotica domestica. Niente che potesse stuzzicare in alcun modo l’interesse di Alvin, che infatti si stava annoiando sempre di più man mano che il tempo trascorreva.

«Non trattarmi come un bambino.»

La frase penetrò in Alvin come una scossa elettrica e lo fece sobbalzare dal suo posto. A parlare era stato Theodore, il quale lo disse con una voce calma e apparentemente apatica, Alvin però aveva capito a cosa si riferisse il fratello.

«Lo so… scusami.» Sospirò «Sento di dover dire qualcosa, ma non so… »

«Rispondi a questo, Alvin.» Theodore voltò il capo verso di lui «Perché solo ora?»

Alvin non capì.

«Che vuoi dire?»

«Perché ci hai messo così tanto a tornare?»

Alvin rimase allibito dalla domanda di Theodore. Già non si sarebbe aspettato di sentirlo veramente parlare, nonostante fosse tornato da lui proprio per questo, e ora si era ritrovato d’improvviso dall’altra parte della palizzata. Ora era lui a restare in silenzio mentre Theo attendeva la sua risposta.

Alvin inspirò una lunga boccata d’aria.

«Era per il mio lavoro Theo, come talent scout sono sempre in giro per il Paese… California, Florida, Texas, New York, Ohio, Missouri… insomma, non ho mai un attimo di tregua. Quest’anno, visto che Brittany aspetta un bambino, ho deciso di prendermi un anno sabatico, e così eccomi qui… »

Theodore non credeva a una sola parola di quanto gli diceva Alvin.

«Non mi risulta che i Talent Scout siano così pieni di impegni.» Commentò con fare sarcastico e cinico. «Quello che mi hai appena detto è la verità, oppure un’altra delle tue scuse?».

Alvin era rimasto basito. Le accuse di Theodore gli penetravano nella pelle e lo ferivano da dentro.

«Sei arrivato qui come se niente fosse, mi hai abbracciato come se tutto quello che è successo non fosse mai avvenuto, hai insistito per parlare con me dopo essere sparito per dieci anni. Eppure nonostante tutto questo, ancora non riesci a essere sincero.» Continuò.

Alvin strinse i pugni. La rabbia stava montando in lui. Cercò di trattenersi, di mordersi la lingua e ingoiare il rospo, ma proprio non se lo aspettava che dal silenzio, Theodore sarebbe passato ad accuse tanto pesanti in così poco tempo. Alla fine, nonostante gli sforzi per impedirlo, scoppiò.

«Io non sono sparito! E’ vero, forse ho avuto paura di tornare a casa, ma con gli altri ho riallacciato i contatti da anni! Sai quante volte avrei voluto parlarti, chiederti come stavi, ma ogni volta mi è sempre stato detto che non volevi parlare con nessuno, che te ne stavi sempre chiuso in te stesso! Come potevo parlare con te se tu per primo me l’hai sempre impedito?»

Theodore esitò prima di parlare.

«Sì, hai ragione… io l’ho uccisa… ma quando te ne sei andato, ogni cosa è andata in frantumi… » Farfugliò abbassando lo sguardo.

Theodore ora aveva improvvisamente cambiato atteggiamento. Dall’ostentata sicurezza che mostrava fino a un attimo prima, era passato all’imbarazzo. Sbalzi di umore come questi non erano proprio da Theodore, non il Theodore che conosceva Alvin.

«Si, ok è vero, ho sbagliato e sono tornato con l’intenzione di rifarmi con tutti, ma per quanto riguarda te, sbagli a darti delle colpe, non hai ucciso nessuno, è stato solo un incidente! Te lo abbiamo sempre detto…»

Theodore lo interruppe.

«Io l’ho distratta… avrebbe potuto scansarsi… »

«Oh, no! Senti, torna ad accusare me! Io me ne sono andato e non mi sono più sforzato di farmi vivo, punto! Tu in quell’incidente sei stato solo una vittima, proprio come lei!»

«Lei è morta per causa mia… » Insistette Theodore.

Alvin si dannava nel tentativo di farlo ragionare, fargli capire chi dei due meritasse di essere accusato e chi no, ma Theo non gli dava ascolto. Avevano avuto una conversazione quasi razionale fino a qualche secondo prima. Una conversazione dove un lucido Theodore accusava Alvin della sua lunga assenza. Ma ora era tutto tornato alla triste realtà, e mentre il fratello ripeteva ciclicamente le stesse frasi come un disco di vinile rovinato, Alvin saltò giù dal divano investito da un vortice di emozioni contrastanti. Senza aggiunger altro raggiunse le scale e salì tornando nella stanza degli ospiti, ora divenuta la loro, e dove Brittany stava già dormendo sotto le coperte.

Alvin chiuse la porta dietro di se in preda alla rabbia e alla frustrazione e senza badare a lei, si rintanò in un angolo della stanza e cominciò a piangere.

Brittany si era svegliata. Non fu molto sorpresa da quella reazione. Immaginò che qualcosa tra i due fratelli non fosse andato per il verso sperato.

Scese con estrema lentezza dal letto, appesantita dal suo pancione, e goffamente, andò a sedersi vicino a lui.

Nessuno dei due disse nulla. Lei gli offri una spalla su cui piangere e gli restò vicino aspettando che si calmasse.

Alvin non soffriva per i suoi sbagli, li aveva compresi nel momento in cui aveva rivisto suo fratello Simon dentro la locanda durante le ore del primo pomeriggio, e si era detto che avrebbe cercato di porre rimedio a tutto. A fargli quasi mancare il fiato dalla frustrazione era il fatto di non saper come aiutare Theodore.

Ora capiva il perché tutti si fossero rassegnati con lui a parte Simon, e finalmente giustificava anche la malinconia del suo fratello più dotto.

Si disse che doveva farsi forza. Era solo il primo giorno del suo ritorno, tanti altri ce ne sarebbero stati da lì in poi, e non poteva permettere che l’instabilità di Theodore prendesse il sopravvento anche su di lui, non così presto almeno.

Quel viaggio doveva portargli anche delle esperienze positive. Ad esempio, non vedeva l’ora di fare finalmente la conoscenza di suo nipote Mark.

 

4.4:

LO STESSO GIORNO-SERA (Los Angeles, un’altra località)

Il piccolo pomello della porta, posto a venti centimetri da terra per consentire agli occupanti di quella casa di impugnarlo e aprire la porta, girò su se stesso facendo scattare un piccolo click. La porta poi si spalancò e la persona che la aprì, Jeanette Seville, fece il suo ingresso in casa.

«Sono tornata!» Annunciò ad alta voce.

Simon se ne stava nella stanza adiacente al corridoio d’entrata, impegnato in alcune ricerche accademiche sul tavolo della loro sala da pranzo. Quando la vide entrare fece un piccolo sobbalzo di sorpresa.

«Oh. Ciao tesoro. Come mai così tardi?» Le chiese mentre si scambiarono un piccolo bacio di saluto sulle labbra.

Lei sbuffò.

«Lo so, lo so. A lavoro Morrison ha di nuovo combinato un casino col treppiede, abbiamo dovuto ripetere tutta la sessione fotografica sta volta! Guarda, lascia stare, non mi va di parlarne.»

Simon ridacchiò.

Jeanette si tolse di dosso la giacca e andò ad agganciarla all’appendiabiti in salotto.

«Mark, è arrivata la Mamma!» Chiamò ad alta voce Simon, mentre lei faceva ritorno nella sala da pranzo.

Simon e Jeanette si sposarono il 28 luglio 2018 e appena sette mesi dopo, il 10 febbraio 2019, venne al mondo il loro figlio Mark. A quel tempo la famiglia Seville si era già spezzata, dal momento che  Alvin e Brittany erano già partiti da diversi mesi per New York. In seguito al suo travagliato periodo di maternità, durante il quale Simon stava ancora frequentando gli studi di specializzazione di psicologia, per poter garantire un’infanzia benestante al loro bambino Jeanette prese la decisione di cercarsi un lavoro che le permettesse di far fronte alle numerose e gravose spese che i due Chipmunks avevano a carico.

Decise così di farsi assumere come aiutante in un piccolo studio fotografico di periferia, con il quale Jeanette riusciva nonostante tutto a ritagliarsi una piccola fetta di tempo libero da dedicare all’educazione del figlio.

Non fu facile per lei emergere in quel settore, dal momento che come assistente di fotografo non era in grado di adempiere alle numerose mansioni che la sua posizione avrebbe richiesto. Operazioni apparentemente semplici come montare o smontare i set, spostare l’attrezzatura o anche solo regolare le luci di scena risultavano impossibili da compiere per una Chipette di venti centimetri di altezza.

Per sua fortuna il fotografo per il quale lavorava era un uomo molto tollerante e generoso, che conoscendo la sua situazione familiare e anche tutto quello che aveva passato gli anni precedenti con l’incidente di sua sorella, e le risparmiava molti dei doveri che le erano richiesti concedendole di occuparsi solo di quello che lei era in grado di eseguire, come gestire l’archivio fotografico al pc o scattare le fotografia mentre l’uomo aggiustava la scenografia.

Col trascorrere dei mesi, Jeanette finì per imparare molte cose sul mondo dei fotografi professionisti e non passò molto tempo prima che lei cominciasse ad occuparsi dello studio fotografico al pari del suo datore di lavoro.

Nel corso degli anni l’attività finì per ingrandirsi, in parte anche grazie al passaparola della gente, attirata dalle voci secondo cui in quello studio lavorava uno degli ex-membri del gruppo delle Chipettes.

Dopo sette anni di collaborazione, l’uomo che fino ad allora si era occupato di stipendiare la Chipettes le comunicò una notizia molto importante: presto avrebbe dovuto trasferirsi in Europa. Per tanto, se Jeanette era disposta ad accettare l’offerta, le avrebbe ceduto l’attività.

Fu una grande sorpresa per la Chipette, che tuttavia accettò l’offerta, e ben presto fu lei stessa ad assumere degli assistenti umani che collaborassero con lei per la gestione dell’attività, sebbene in taluni casi, come con Morrison, dovette convenire con se stessa che non fu proprio la più saggia delle decisioni.

«Ho deciso! Domani gli do il benservito!» Annunciò Jeanette ripensando a quell’incompetente di Morrison.

Simon era vicino a lei, seduto al tavolo della sala da pranzo (di taglia ridotta per adattarsi alle loro dimensione, proprio come per Alvin e Brittany)

«Intendi licenziarlo?»

Jeanette sospirò amareggiata.

«Non ho scelta! Non è mai puntuale a lavoro, manca di rispetto ai clienti e come se non bastasse, non passa giorno che non ne combini una delle sue… »

«Ciao Mamma.»

Lo sfogo di Jeanette fu interrotto dal saluto di suo figlio Mark, che entrò nella stanza.

«Ciao Mark.» Ricambiò lei il saluto, poi suo figlio le si avvicinò per darle un affettuoso bacio sulla guancia che le fece tornare il sorriso.

«Allora, com’è andato il test a scuola?»

«E’ andato benissimo! La Prof mi ha dato A+!» Rispose Mark saltellando dalla felicità.

«Bravo, sono così fiera di te… » Jeanette si voltò verso Simon «E Alvin e Brittany?»

«Ci ho appena parlato al telefono, stanno arrivando in taxi.»

«Immagino che con Theodore… ?» Chiese lei, alludendo alla possibile reazione che Theo avrebbe potuto avere rivedendo il fratello di suo marito.

Simon scosse la testa in silenzio, comunicandole a gesti una risposta molto chiara: “Non ha funzionato”.

«Capisco.» Concluse rattristata.

Il campanello di casa trillò.

«Devono essere loro.» Ipotizzò Simon.

Jeanette andò ad aprire la porta e si ritrovò dinanzi ad Alvin e Brittany.

«Sorpresa!»

«Britt! Che piacere rivederti!» Le due sorelle si lanciarono l’una contro l’altra in un affettuoso abbraccio fraterno, poi Jeanette guardò verso Alvin «Alvin! Hey, come stai?»

Alvin fece per rispondere, ma fu azzittito da Jeanette.

«Ma… e quell’orecchino?»

Alvin si passò una mano tra i capelli e si fermò a stuzzicare l’orecchino con le dita ridacchiando.

«Oggi tutti che mi chiedono dell’orecchino, eheh… comunque, sto bene Jeanette, anch’io sono felice di rivederti.»

Anche Alvin e Jeanette si scambiarono un affettuoso abbraccio di saluti. Un gesto che non turbò in nessun modo né Brittany di fianco a loro né Simon all’entrata della sala da pranzo.

«Coraggio, entrate pure! Che state aspettando?» Li invitò Jeanette.

«Con permesso.» Alvin entrò affiancato da Brittany e cominciò a guardarsi intorno «Wow, la vostra casa è davvero bella, mi piace!»

«Già, niente in confronto al vostro enorme attico a New York!» Commentò sarcasticamente Jeanette.

Alvin si voltò di scatto verso di lei.

«Oh, no, no! Dico sul serio, è molto bella…» cercò di spiegare Alvin.

Si diressero nel soggiorno, dove Alvin vide un piccolo Chipmunk incredibilmente somigliante a Simon e Jeanette starsene fermo in piedi a guardarli.

«Hey! E tu devi essere Mark, forte! Finalmente ci conosciamo!»

Brittany si fece avanti e si avvicino al nipote, che al contrario di Alvin, aveva già visto in più di un’occasione.

«Lo riconosci? Sai chi è?» Gli domandò lei facendo un cenno con la testa verso Alvin.

«Ma certo! Sei lo zio Alvin, ti ho visto spesso in TV!».

Alvin rise, poi andò verso il nipote e gli porse la mano. Mark la strinse con sicurezza e decisione.

Alvin si inginocchiò di fronte al piccolo Chipmunk.

«E non solo alla TV immagino. Allora, Com’è il mondo dei Vivi?» Gli chiese  sussurrando.

Mark fece una smorfia di stupore.

«Come?»

«Ehm, Alvin… » Simon gli si parò di fronte «Vieni un secondo con me, ti devo parlare.» Gli disse agitato.

«Oh… sì.»

Alvin si Alzò e seguì Simon.

«Aspettateci qui, noi torniamo subito!»

«Dove state andando, Simon?» Gli domandò Jeanette.

«Qui fuori in terrazza, non ci metteremo molto, gli spiego solo “quel discorso”.» Le rispose facendo con le dita il segno delle virgolette.

 

4.5:

«Fico! C’è una vista magnifica da qui!» Commento Alvin dopo essere saltato sul parapetto della terrazza. L’appartamento di Simon e Jeanette si trovava all’ottavo piano di un grattacelo alto dodici, e da lì si poteva godere di una strabiliante vista sulla strada e dell’intero quartiere.

Simon lo raggiunse sul parapetto.

«Già, è vero. Era uno dei motivi per cui abbiamo preso questa casa, ma tu dovresti esserne abituato se non sbaglio.»

«Sì, è vero. Però Los Angeles è molto più bella di New York, l’ho sempre pensato… »

I due fratelli stettero per diversi secondi in silenzio contemplando il paesaggio cittadino sottostante, Simon poi si voltò verso Alvin.

«Mark non sa niente dei “Viaggiatori dei Sogni” e di tutto il resto.» Gli spiegò a bruciapelo.

Alvin strabuzzo gli occhi e spalancò la bocca dallo stupore.

«Come sarebbe? Ma… ma io… io credevo che… »

«Sì, lo so che vuoi dire, ma Jeanette è convinta che lui non ricordi niente di quella sua vita precedente.»

«E tu invece?» Gli chiese Alvin.

Simon sospirò.

«Io non ho vissuto le esperienze che ha vissuto lei con Mark nel Mondo dei Sogni, ma adesso io lo guardo e vedo solo un normalissimo ragazzino come tanti altri. L’ho visto crescere, e con tutta onesta non credo che stia mascherando tutto.» Si fermò per riordinare le idee, poi riprese «Jeanette ha ragione, Mark non ricorda nulla, e ti chiederei di non accennare più nulla a riguardo.»

Alvin annuì deciso.

«D’accordo Simon, non ne farò parola, promesso!» Si diede due colpetti al cuore per siglare la sua promessa.

«Per quello che hai detto prima… mi inventerò qualcosa io, che so… che era una tua battuta o cose del genere.»

«Sì, sì, ok. Comunque ti chiedo scusa, non ne sapevo nulla. Brittany non mi aveva avvertito…»

Simon lo interruppe.

«E tutto a posto… ora sarà meglio che torniamo in casa, o Jeanette se la prenderà con me.» Scherzò Simon.

«Sì, forse hai ragione. Mi sa che è meglio non scherzare con lei!»

«L’hai detto, fratello!»

I due rientrarono in casa ridendo e scambiandosi battute a vicenda.

Anche se non a parole ma solo mentalmente, si erano accordati che quella serata l’avrebbero trascorsa all’insegna del divertimento e della rimpatriata.

Passarono il resto del tempo nella più totale serenità, raccontandosi storie divertenti degli anni trascorsi, rievocando i piacevoli ricordi d’infanzia e facendo battute sugli argomenti più disparati.

Verso la fine della serata decisero di esibirsi in alcuni brevi siparietti canori con le loro hits musicali di maggior successo, che Mark ascoltava ammirato e affascinato, soprattutto quando a cantare erano i suoi genitori.

Ogni ricordo, ogni risata riesumava anche i ricordi più brutti, ma durante quella serata tutti li ignorarono, come se non ci fossero mai stati.

Dopo tanti anni, finalmente la famiglia si stava riunendo.

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Capitolo 5
*** 5: Una tragedia. ***


5.1:

NEL FRATTEMPO (Casa Seville).

Theodore era in camera sua, seduto sul suo letto. In mano teneva un piccolo oggetto che nel corso degli anni era diventato il suo feticcio, un simulacro del suo dolore e della sua perdita. L’anello con la scritta “T&E”, quello che avrebbe regalato a Eleanor per il loro San Valentino.

Nessuno oltre a lui stesso era a conoscenza di quel piccolo oggettino di bigiotteria e del valore simbolico che aveva assunto nel corso degli anni. L’ultimo ad averlo visto era stato Simon, il giorno in cui Theodore tornò a casa dall’ospedale. Mentre per quanto riguardava Dave e il resto della famiglia, Theo aveva sempre cercato di tenerlo nascosto a tutti, forse per timore di vederselo sottratto come il resto delle sue cose.

Dave credé di fargli un favore portandogli via molti dei ricordi che avevano fatto parte della sua infanzia, pensando che questo l’avrebbe aiutato a superare il passato. Peccato che nel suo silenzio, Theo non aveva mai detto a nessuno di quanto ci tenesse alle sue cose, e nella convinzione di sentirsi in qualche modo responsabile per ciò che successe a Eleanor, aveva cercato di non far notare a nessuno il disagio per tutta la nostalgia che provava ogni minuto di ogni giorno.

Dal corridoio del piano superiore un rumore sordo di passi cominciò a farsi udire sempre più forte ogni secondo che passava.

Theo si portò rapidamente l’anello alla bocca e ne baciò la superficie fredda, poi lo richiuse in fretta e lo nascose dentro la fodera del cuscino sul quale dormiva.

Qualcuno bussò delicatamente tre volte sulla porta, dopo di che, Theo vide Dave entrare in camera sua.

«Theo… è pronta la cena. Viene a mangiare.» Lo invitò cordialmente Dave.

 

5.2:

POCO DOPO.

«Sei di buona forchetta questa sera!» Commentò Dave.

Da diversi anni ormai Theodore era arrivato a mangiare poco o niente dei pasti che Dave gli preparava. In taluni casi era stato persino costretto a forzarlo per spingerlo a mettere qualcosa nello stomaco. Quella sera però le cose non andarono così, per fortuna. Theodore aveva mangiato in fretta e con decisione la sua porzione di cibo ed era arrivato a chiederne ancora a Dave, il quale si era dimostrato più che felice ad accontentarlo.

Al commento dell’uomo, il chipmunk smise di mangiare e rifletté sulle sue parole. Nemmeno lui si era reso conto di quanto stesse effettivamente mangiando quella sera.

«Credo di sì.» Rispose.

Nel volto di Dave si formò un piccolo e discreto sorriso di soddisfazione, che cercò di nascondere al chipmunk mentre finiva la sua parte della cena.

«E’ per via di Alvin, non è vero? Sei contento di rivederlo?» Gli chiese poi, anche se forse non era stato una buona idea, si disse tra se e se.

Theodore si fermò ancora, e proprio come poco prima, si mise nuovamente a riflettere.

«Non lo so, io… » ripensò a quel pomeriggio, alla prima discussione che aveva avuto con Alvin dopo tutti quegli anni, alla reazione che questi aveva avuto saltando giù dal divano e fuggendo via in quel modo «gli ho detto delle brutte cose oggi… gli ho detto che ero arrabbiato perché in tutti questi anni non ha mai chiesto di parlare con me, anche se sapevo che in realtà ero io a non voler parlare con nessuno… gli ho detto che… »

Theo si stava alterando. Non era la prima volta che Dave assisteva a questa situazione. Per anni il chipmunk era stato visitato e seguito dai più disparati psicologi e specialisti, eppure nessuno era mai stato in grado di fare qualcosa di concreto per aiutarlo. La colpa era in gran parte dovuta, appunto, a questi sbalzi d’umore improvvisi, che si manifestavano nei rari momenti in cui qualcuno riusciva a instaurare un dialogo con lui e con i quali passava in brevissimo tempo da uno stato d’umore neutro e apatico, a uno di rabbia e frustrazione incontrollata.

Col tempo, Dave aveva imparato a riconoscere questi sbalzi e a intervenire tempestivamente per prevederli.

Dopo aver compreso che in quel preciso momento Theo stava per subirne un altro, lo interruppe subito sperando di calmarlo.

«Theo, Theo. Aspetta! Qualsiasi cosa tu gli abbia detto…» mentre Dave tentava di parlargli, con le mani mimava il gesto di calmarsi.

«… e ora lui mi odia!» Lo interruppe a sua volta il chipmunk «Se n’è andato senza neanche rivolgermi la parola… »

Dave si alzò dal suo tavolo e si avvicinò con passi lenti ma ampi verso Theo, poi gli si inginocchiò di fianco e gli appoggiò alcune dita della mano destra sulla spalla, facendolo azzittire subito.

«Stammi a sentire… qualsiasi cosa tu gli abbia detto, lui non ti odia. Alvin e Simon sono i tuoi fratelli, ti vogliono bene. Non potrebbero mai odiarti.»

«E allora perché Alvin se n’è andato per tutti questi anni? Perché non è mai tornato?»

Dave temeva questa domanda. In cuor suo aveva sperato di non trovarsi mai nella situazione di dover spiegare il perché delle decisioni di suo figlio Al. La verità è che nemmeno lui conosceva la risposta, quindi l’unico tipo di soluzione che avrebbe potuto dare a Theodore erano le sue impressioni soggettive e le sue idee.

Sospirò.

«Perché era sconvolto per tutto quello che era successo a te e a Ellie… come tutti noi, del resto… e alla fine ha commesso degli errori. Ma questo non conta ora, Theo. Alvin finalmente è tornato, e questo significa che ha capito i suoi sbagli.» Prese una piccola pausa, durante la quale si alzò in piedi. «Vedrai che da oggi le cose cominceranno ad andar meglio per tutti.»

Theo lo guardò con la sua prima espressione ottimista da oltre un decennio.

«Nei sei sicuro?» Gli domandò speranzoso.

Dave annuì.

«Assolutamente!»

Dopo di che, finalmente Theodore accennò un sorriso, infondendo anche a Dave una nuova ventata di ottimismo.

Mentre sparecchiava la tavola, cominciò a sperare che forse il ritorno di Alvin, tutto sommato, stava facendo veramente la differenza.

«Lei… mi manca molto.» Esclamò malinconico, Theo.

Dave inserì i piatti e le posate nella lavastoviglie e si voltò verso il chipmunk con un’espressione seria.

«Manca a tutti noi, Theo. E sbagli a pensare che la colpa sia tua.»

«Se io non l’avessi distratta…»

Dave lo interruppe.

«Non potevi saperlo. Nessuno poteva… »

Theodore restò in silenzio, così come l’uomo.

Quella quiete improvvisa era quasi ipnotica per l’anziano Dave. Mentre si passava delicatamente la mano tra la sua barba bianca, d’improvviso cominciò a rievocare quella drammatica giornata di tredici anni prima.

 

5.3:

14 FEBBRAIO 2013 (Los Angeles, luogo dell’incidente)

Dave non poteva ancora credere a quanto stava succedendo.

Solo fino a un’ora prima aveva ricevuto una chiamata dai ragazzi nella quale lo avvertivano che erano usciti dalla scuola e che si stavano dirigendo al parco.

Era il giorno di San Valentino e con ogni probabilità avrebbero approfittato della passeggiata per stare un po’ per conto loro.

Quella sera sarebbero andati tutti insieme al ristorante, e lì avrebbero colto l’occasione per farsi lo scambio dei doni. Sempre ammesso che non avessero deciso di farlo già durante il pomeriggio.

Dave era nel suo studio quando squillò il telefono, intento a occuparsi della contabilità casalinga del mese.

Scese al piano di sotto con non curanza, quasi senza preoccuparsi del rischio che gli squilli potessero interrompersi. Raggiunse il telefono e afferrò la cornetta portandosela all’orecchio.

Dall’altro capo della linea una voce e lui molto familiari, quella di Simon, lo pregava di raggiungerli il più presto possibile al parco.

«Simon, che succede?» Gli aveva domandato. E tra i caotici rumori di sottofondo, uniti all’evidente agitazione del chipmunk, era riuscito a cogliere solo due parole: “incidente” e “grave”. Ma furono più che sufficienti per spingerlo ad uscire di fretta da casa senza nemmeno preoccuparsi di chiudere la porta a chiave.

Durante il breve tragitto, le parole di Simon gli martellavano in testa insistentemente, mentre lui non faceva che formulare tra sé e sé domande su domande per trovare una risposta a quello che fosse successo.

Tutto gli sembro inverosimile quando raggiunse la sua destinazione. Cinque volanti della polizia di Los Angeles erano parcheggiate ai bordi della strada, un paio di agenti si occupavano di far confluire il traffico mentre altri cercavano di tener lontani i curiosi.

Un’ambulanza partì a sirene attive allontanandosi dal luogo e un furgoncino con dentro una giornalista del Tg locale arrivò ben presto sul posto.

Una coppia di poliziotti andò verso di loro intimandoli di star lontano.

Dave seguiva tutta la scena stranito da quanto i suoi occhi stavano vedendo.

«Dave! Dave! Siamo qui!»

La voce di Alvin che lo chiamava con agitazione, seguita in coro da quella degli altri Chipmunks e Chipettes gli fece riacquistare contatto con la realtà.

Corse verso di loro.

Uno degli agenti gli si parò di fronte per bloccarlo, scambiandolo per un altro passante curioso o forse un giornalista, ma dopo averlo riconosciuto si fece da parte per permettergli di raggiungere il gruppo dei chipmunk.

«Ragazzi?! Che diavolo è successo qui, cos’è tutta questa gente? E la polizia?»

«Oddio Dave…è una cosa terribile!» Gli rispose Brittany. La guardò negli occhi e vide che aveva le lacrime.

«Che cosa vuoi dire? Che è successo?!» Insistette Dave, sempre più nel panico.

Qualcuno gli appoggiò una mano sulla spalla. Dave si voltò e si trovò di fronte uno degli agenti. Nel frattempo, un’altra ambulanza li raggiunse.

«Dave Seville? Lei è il Signor David Seville?»

Dave annuì.

«Sì, ma cosa…»

«Venga con me, la prego» Gli ordinò. In volto aveva un’espressione seria e il suo tono di voce non era rassicurante. Dave aveva capito che doveva prepararsi al peggio.

«S-sì…» si voltò verso i chipmunk «ragazzi, voi aspettatemi qui, ok?»

Simon e Alvin annuirono, Brittany e Jeanette invece si tenevano abbracciate e piangevano.

All’inizio non ci fece caso, forse perché lui stesso si rifiutava di concepire quell’idea, ma alla fine dovette per forza porsi quella domanda.

“Dove sono Theodore ed Eleanor?”

«Agente, mi dica che è successo.» Lo pregò Dave.

Questi si allontanò insieme a lui di altri tre metri e si avvicinarono a una delle volanti parcheggiate.

L’agente si voltò verso Dave e tirò un breve sospiro, forse per prepararsi a comunicare la notizia.

«C’è stato un incidente, Signor Seville. Due dei suoi ragazzi stavano attraversando la strada, quando un pirata alla guida di una Ford li ha… investiti». L’agente esitò prima di pronunciare l’ultima parola. Doveva essere professionale, non farsi sopraffare dalle emozione, eppure anche lui appariva turbato dalla notizia.

Dave non badò però al turbamento dell’agente. Pensò solo a quella parola, “investiti”. Allora era andata proprio così! Si disse. Non era solo un’altra delle paranoie da genitore iperprotettivo di Dave.

Si portò una mano alla bocca.

«O mio… Dio… e… e loro? Come stanno? Chi… chi è stato…»

L’agente lo interruppe.

«Signor Seville, la prego. Si calmi. So che per lei è una notizia non facile da accettare, ma deve ascoltarmi: uno dei due, Theodore, è stato portato con urgenza all’UCLA Medical Center per un grave trauma cerebrale. L’auto che li ha investiti l’ha urtato di striscio con la ruota anteriore sinistra. Quando l’hanno soccorso aveva perso molto sangue ed era privo di sensi.»

Ogni singola parola dell’agente appariva a Dave come una confusa allucinazione. Stava davvero parlando di Theodore? Il sangue, la frattura cerebrale? Poteva davvero trattarsi di lui?

«E-ed Eleanor?» Aveva paura a chiederglielo, ma il modo in cui l’agente l’aveva esclusa dalla conversazione non prometteva nulla di buono nemmeno per lei. Si augurava solo che almeno le condizioni di Ellie fossero meno disperate che non per Theo.

«Ecco, vede Signor Seville. Sembra che fossero molto vicini quando l’auto li ha investiti. Theodore è stato sfiorato dalla vettura ed è caduto a terra battendo la testa, lei invece… non ce l’ha fatta. Mi dispiace.»

Se fino ad ora l’impressione di Dave era di vivere una qualche specie di allucinazione, dopo aver udito quelle ultime terrificanti parole dell’agente, a Dave sembrò di vivere un incubo a occhi aperti.

«C-cosa?» Fu l’unica parola che riuscì a pronunciare.

L’agente gli lanciò un’ultima, compassionevole occhiata, poi abbassò lo sguardo e si allontanò. Non poteva fare altro per quell’uomo, e il suo lavoro gli imponeva di mantenere un atteggiamento quanto più distaccato possibile, anche se nemmeno per lui era facile, nonostante non avesse nulla a che fare con i Seville.

Del resto, due grandi star del firmamento musicale internazionale erano appena state vittima di uno degli incidenti stradali più sconvolgenti degli ultimi anni, e uno dei due, una “Lei” per giunta, era deceduta sul colpo in un modo orrendo. Si sarebbe parlato a lungo di quell’incidente e i giornali ne avrebbero tratto spunto di discussione per mesi, per non parlare dei Talk Show delle TV locali, che di queste notizie ci campano sempre in maniera vergognosa.

Mentre Dave restava ammutolito e immobile, cercando di convincersi che quello che stava succedendo fosse solo un terribile incubo, i paramedici usciti dalla seconda ambulanza si mossero velocemente con una piccola barella di un metro di lunghezza verso il centro del marciapiede. Nel punto dove i due chipmunk erano stati colpiti dal pirata della strada. Lì, in terra, un piccolo panno bianco era stato disteso sopra qualcosa che aveva bisogno di essere coperto.

Uno dei due uomini si chinò per raccoglierlo con calma e delicatezza, mentre intorno a loro la polizia cercava a fatica di contenere la folla di passanti e giornalisti che si stava rapidamente aggregando intorno al corpo.

Dopo averlo caricato sulla piccola barella, lo portarono dentro l’ambulanza e si avviarono per la loro strada, mentre i Chipmunks e le Chipettes, insieme a Dave ma privati di due membri del loro gruppo, rimasero lì, impotenti e in balia degli eventi.

 

5.4:

ALCUNE ORE DOPO (Los Angeles, UCLA Medial Center)

Erano passate diverse ore, almeno cinque da quando Theo era stato condotto alla centro medico.

Dave, insieme ad Alvin e Simon erano nella sala d’attesa, aspettando con ansia qualche notizia dalla sala operatoria.

Brittany e Jeanette avevano scelto di restare a casa, troppo scosse dalla perdita della sorella per poter sopportare di trovarsi lì con loro.

I tre erano distrutti per quello che era successo a Ellie, tuttavia in loro albergava ancora la speranza che almeno Theo riuscisse a cavarsela. Una speranza vana, ma alla quale si erano aggrappati con tutte le loro forze.

C’erano stati dei problemi per quanto concerneva chi si sarebbe dovuto occupare delle sue cure. Dato il suo retaggio e il fatto che si trattasse di un chipmunk parlante considerato praticamente alla stregua di un essere umano, la decisione di condurlo all’UCLA Medical Center era stata quasi immediata, ma arrivato a destinazione, i medici dovettero ammettere che si trattava pur sempre di un roditore. Fu così chiamato direttamente dal Campus un abile Veterinario specializzato in chirurgia al quale fu affidata la responsabilità di salvargli la vita.

Era sulla sua esperienza che albergavano tutte le speranze della famiglia Seville e dei fans della band.

Dave camminava avanti e indietro per la sala d’attesa, borbottando tra sé e sé parole a tratti incomprensibili.

«Non posso crederci… questo è un incubo! Non può essere successo davvero!!»

Alvin e Simon erano invece seduti sulle poltrone.

«Avrebbero dovuto aspettarci! Perché non ci hanno aspettato?!» Si chiese Alvin, come se si aspettasse che la risposta potesse riportarlo indietro nel tempo per cambiare le cose. «Se dovesse morire anche Theodore… » proseguì, ma Simon gli diede uno spintone sulla spalla.

«Alvin, stai zitto! Theodore ce la farà!»

«Come?! Come fai a esserne così sicuro? Sai anche fare i miracoli ora?!» Lo aggredì di tutta risposta Alvin.

Simon non seppe rispondere. Come tutti, anche a lui sembrava inverosimile la situazione. Durante quegli ultimi giorni al liceo, non vedeva l’ora di iniziare il suo periodo di College all’U.C.L.A.. Sarebbe dovuto sentirsi onorato di camminare in una delle proprietà del campus dei suoi sogni, ma ora le circostanze che l’avevano condotto al centro medico erano tutto fuorché piacevoli. Suo fratello stava lottando per la vita, assistito da uno staff medico impreparato ad affrontare una situazione come la sua. E anche se ce l’avrebbe fatta, restava poi il problema di come dirgli di Eleanor. Come l’avrebbe presa?  E loro, quali parole potevano usare per comunicarglielo?

Più ci pensava e più gli sembrava che non ci fosse risposta.

«Simon ha ragione, Alvin… Theo… lui deve farcela… lui non può… » farfugliò Dave, cercando di trattenere a stento le grida di frustrazione.

Subito dopo, uno dei chirurghi che si stavano occupando di Theodore uscì finalmente dalla sala operatoria.

«Signor Seville?» Lo chiamò. Era giovane. Forse uno studente dell’ultimo anno, ma sembrava sapesse il fatto suo.

Dave e i due chipmunk corsero subito verso di lui, ansiosi di ascoltare gli esiti.

«Allora? Ci siete riusciti? Come sta?» Gli chiese agitato Dave.

«Il veterinario è riuscito a curare tutte le fratture più gravi. Ora le sue condizioni sono stabili… » cominciò a spiegare.

«Ah bene! Grazie al cielo.» Esultò Dave, seguito da Alvin e Simon che tirarono un sospiro di sollievo.

«Non ho finito… le fratture sono state curate, ma purtroppo durante l’operazione è entrato in coma, e non sappiamo dirle per quanto ci resterà.»

«Cosa?!» Trasalì Dave. «Ma… com’è possibile? Non avete detto che le sue condizioni erano stabili?!»

«Non è più in pericolo di vita, ma le sue condizioni restano gravissime. Ha subito una lesione al lobo temporale causata da alcune schegge dell’osso cranico … »

«Oh, no!» Commentò Simon.

«Che significa, Simon? Fatemi capire qualcosa!» Si intromise Alvin, ancora più agitato di Dave.

«Il lobo temporale… è la regione che regola i ricordi delle persone.» Gli spiegò il fratello.

«Precisamente.» Gli confermò il giovane chirurgo.

«Quindi? Che succederà? Potrebbe soffrire di perdite di memoria?» Chiese Dave al chirurgo.

«Tutto dipende da quanto grave sia la lesione. Purtroppo il centro non ha esperienza con i chipmunk senzienti. Non sappiamo a quali conseguenze potrebbe portare. Potrebbe soffrire di leggeri vuoti di memoria… o non ricordarsi più nulla al suo risveglio…» il chirurgo si fermò per sospirare «… credo che dovrete prepararvi al peggio.»

Non c’è limite al peggio! si disse tra sé e sé Dave. Ma ad ogni modo c’era ancora qualcosa che non gli era chiaro.

«Ma ora come sta? Voglio dire… lei ha detto che è entrato in coma? Quanto ci vorrà perché si risvegli? Un giorno? Due?»

Altro sospiro del chirurgo. Significava “altra cattiva notizia in arrivo”.

«Non sappiamo nemmeno questo. Tutto dipenderà da quanto si protrarrà il coma. In genere i pazienti si risvegliano entro tre o quattro settimane, se tutto va bene. Ma oltre quel periodo le percentuali calano drasticamente. Dopo sei mesi, solo il 15% dei pazienti si riprende, e oltre quel lasso di tempo ci si può affidare solo ai capricci del fato. In genere dopo un anno o due, per statistica tendiamo a considerarli irrecuperabili.»

Dave non sapeva più cosa dire. Andò a sedersi su una delle poltrone e si portò le mani al volto, senza emettere alcun suono.

«Lei cosa ne pensa, dottore? Voglio dire, se dovesse riprendersi… come sarà?» Domandò, quindi, Simon.

Il giovane chirurgo fece spallucce, non sapendo nemmeno lui cosa pensare.

«Vostro fratello ha subito una lesione gravissima. Se si dovesse svegliare, forse potrebbe soffrire anche di altri problemi comportamentali. Il punto è che la lesione era estesa oltre l’immaginabile. E’ davvero un miracolo che sia ancora vivo. E se volete la mia opinione, in tutta onestà non credo che si sveglierà molto presto.»

Le sue parole suonarono come una sentenza di morte.

Si erano appena risollevati con la notizia che Theodore sarebbe sopravvissuto e immediatamente una nuova minaccia aveva iniziato a incombere su di loro.

Quanto avrebbero dovuto aspettare prima di poter avere una qualche certezza sul suo destino?

 

5.5:

I giorni seguenti erano stati un vero tormento per tutta la famiglia Seville.

Theodore giaceva nel suo letto d’ospedale senza dare segni di miglioramento, mentre fuori, nel mondo, la Stampa e il web impazzavano di notizie sull’incidente dei due chipmunk.

Ogni testata editoriale esigeva il suo pezzo di storia da raccontare nell’articolo di turno, i reporter facevano continue pressioni per ottenere interviste da parte di Dave e degli altri chipmunks, che venero quasi sempre rifiutate, salvo in un paio di casi, dopo i quali Dave decise che non avrebbe avuto più niente da dichiarare.

Tre giorni dopo l’incidente ci furono i funerali di Eleanor, seguiti in diretta da tutte le principali TV del mondo. Per i Seville l’evento era ancora più tragico, per la consapevolezza che Theo non era presente lì con loro per assistere la sua amica durante l’ultimo viaggio.

Dopo i funerali arrivò presto l’inevitabile decisione di sciogliere la band, che ormai non aveva più motivo di esistere. Questa fu presa unanimemente da tutti i chipmunk rimasti, insieme a Dave.

Le settimane passavano e Theodore non si riprendeva.

Il polverone mediatico scoppiato in seguito all’incidente e alla quasi immediata decisione di sciogliere il gruppo andò via via scemando col trascorrere dei giorni.

Ormai il mondo si stava cominciando ad abituare alla loro mancanza, e mentre gli ultimi cd andavano letteralmente a ruba, i fan più accaniti e addolorati continuavano a spedire mail e lettere di condoglianze e solidarietà alla famiglia.

Tutto stava cominciando ad assumere un tono assurdamente “normale”.

I Chipmunks e le Chipettes finirono la scuola e decisero di proseguire con le strade che si erano prefissati. Simon e Jeanette si iscrissero all’U.C.L.A. come da programma, avendo così la possibilità di fare visita a Theodore molto più spesso di quanto non lo facessero prima. Nel frattempo, Alvin ottenne il suo lavoro alla Jet Records, mentre Brittany si era iscritta al suo corso di studio per diventare istruttrice di ballo professionista.

Ognuno cercava di andare avanti come poteva.

 

5.6:

Trascorsero 2 anni.

Ormai si erano completamente abituati alla realtà. A intervalli di tempo regolari passavano a trovare Theodore all’ospedale, ci parlavano, gli raccontavano come avevano trascorso le giornate, scherzavano con lui, cercando di illudersi che li ascoltasse e rispondesse loro.

In effetti Theodore li sentiva. Nel mondo onirico e oscuro in cui la sua mente era precipitata, percepiva in lontananza le voci dei suoi famigliari che gli parlavano. Man mano che il tempo passava, riusciva a comprenderli sempre di più, anche se non poteva rispondere.

Alcuni dei medici che avevano in cura Theodore avanzarono la proposta sull’eventualità di staccare la spina. I macchinari a cui era attaccato da tutto quel tempo e che respiravano per lui erano l’unica cosa che lo tenesse in vita, e ormai le probabilità che si svegliasse erano davvero poche.

Nessuno dei Nostri volle però accettare il suggerimento. Non potevano sopportare la perdita di un altro membro della famiglia e speravano ancora in un miracolo che diventava via via più inverosimile man mano che le settimane seguenti trascorsero.

 

5.7:

Un altro anno era passato.

Erano le 2.30 di notte quando il cellulare di Dave squillo. Si svegliò di colpo e rispose, temendo che l’ospedale gli portasse qualche altra brutta notizia. Era preparato quasi a tutto, ma non a quanto gli fu comunicato quella notte del 26 aprile. La notizia gli era parsa inverosimile quanto quella ricevuta il giorno in cui Simon lo chiamò per avvertirlo dell’incidente. Ma questa volta all’altro capo del telefono a parlare fu il medico di Theodore, il quale comunicò loro la notizia che si era finalmente svegliato e aveva cominciato a respirare da solo.

Immediatamente Dave svegliò gli altri e senza dar loro troppi dettagli, salvo avvertirli del risveglio dal coma di Theo, disse loro di vestirsi e di venire con lui al centro medico.

Lo raggiunsero in fretta, e lì furono accolti dal medico curante di Theodore e dall’infermiera che aveva assistito al suo risveglio. Fu proprio questa infermiera, una donna dai capelli corti e neri, sulla quarantina d’età e con gli occhiali, ad accompagnarli alla stanza dove era stato trasferito il chipmunk e a restare con loro nell’attesa del suo risveglio.

Quel che avvenne poco dopo, già lo conoscete.

Theodore si risvegliò confuso e spaesato, con qualche vuoto di memoria come era stato previsto, ma per fortuna senza le gravi amnesie paventate da quel giovane chirurgo tre anni prima. Gli comunicarono la notizia di Ellie e gli restarono vicino mentre lui soffriva per la sua tragica perdita.

Quando tornò a casa, dopo il lungo periodo di riabilitazione, iniziò ben presto a manifestare un comportamento via via sempre più distaccato. Si convinse di essere in qualche modo responsabile dell’incidente di Eleanor e Dave pensò che anche questo, oltre che le leggere amnesie, fosse una conseguenza dei danni cerebrali che aveva subito. Non immaginava certo che la causa scatenante di tutto fosse quel piccolo anello di bigiotteria che sarebbe dovuto essere il regalo di San Valentino per Ellie.

 

5.8:

8 FEBBRAIO 2029 (Casa Seville)

Mentre Dave stava rievocando i ricordi di quei terribili tre anni, qualcuno suonò al campanello per farsi aprire. Era ormai tarda serata e c’erano solo due persone che potevano presentarsi in casa sua a quell’ora. Alvin e Brittany.

Li salutò dopo averli fatti entrare e cominciò a discutere con loro sul come avessero trascorso la serata da Simon e Jeanette. Discorso innocui ed evasivi per distrarsi dai ricordi che aveva appena rivissuto nella sua mente.

Lo avvertirono che il giorno dopo sarebbero usciti con Simon per acquistare il regalo per Mark. Alvin sapeva già cosa prendergli, aveva adocchiato il regalo quel primo pomeriggio, mentre stava raggiungendo a piedi la locanda nella quale aveva l’appuntamento con Simon.

Dave nel frattempo disse loro che aveva già provveduto a ordinare la torta con l’aiuto di Jeanette, e che a parte alcuni piccoli preparativi secondari, il grosso dell’organizzazione per il compleanno era ormai ultimato.

Chiacchierarono ancora un po’ in salotto, in particolare della conversazione che Dave aveva avuto a cena con Theodore, e a sentire cosa si erano detti, ad Alvin tornarono i sensi di colpa. In parte per la sua lunga lontananza per tutti quegli anni, e in parte per essere fuggito in quel modo dopo aver tentato di parlare con suo fratello.

Alla fine decisero di andare a dormire.

Dave prese in mano Brittany e la aiutò a raggiungere il piano di sopra, poi si salutarono e ognuno si diresse nella propria camera da letto.

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Capitolo 6
*** 6: Sogni. ***


6

6.1:

09 FEBBRAIO 2029 (Los Angeles)

Era venerdì, Alvin e Simon, approfittando della giornata libera di quest’ultimo, decisero di intraprendere insieme un giro turistico di Los Angeles, per rievocare i vecchi tempi e rivedere i luoghi che avevano fatto parte della loro infanzia.

Inizialmente anche Brittany avrebbe dovuto unirsi a loro, ma all’ultimo momento aveva scelto di restare a casa con Dave, lasciando i due fratelli liberi di girare per conto loro e tentare di riallacciare i rapporti. Mentre, per quanto riguardava Jeanette, lei era a lavoro, pertanto non aveva avuto la possibilità di partecipare.

Facendosi accompagnare in Taxi, si fecero lasciare nei pressi della sede della Jet Records, che nonostante si fosse rinnovata nell’aspetto, con un enorme schermo Ultrapiatto che ora proiettava sul display il suo nome, al posto del vecchio logo con la scritta, era rimasta tutt’ora quasi del tutto invariata. Con le sue fontane decorative e le aiuole variegate di fiori colorati e ben curati e con l’ampia vetrata dell’entrata principale, dalla quale entravano e uscivano in continuazione gente delle più disparate professioni e caste sociali.

Alvin si ricordò del breve periodo nel quale quell’enorme edificio era per lui sinonimo di “luogo di lavoro”, e dell’uomo che lo aveva aiutato a farsi assumere. Quell’Ian Hawke che da nemico giurato dei Chipmunks e delle Chipettes, era finito per diventare un caro amico della famiglia Seville, e di cui Alvin non aveva notizie da anni.

«Hai più saputo niente di Ian?» Domandò Alvin al fratello. Contando in una risposta che potesse placare la sua curiosità.

«Perché me lo chiedi?» Replicò Simon all’inaspettata domanda.

«Mah… niente. Sono solo curioso. Non lo sento più da quando mi aveva rimediato quel lavoro alla Jet. Mi chiedevo solo che fine avesse fatto.»

Simon ci pensò su un po’, cercando di delucidarsi la memoria.

«Non saprei… » sospirò «per quanto ne so, pare abbia chiesto il prepensionamento 3 o 4 anni fa e si sia trasferito da qualche parte nel Wisconsin.»

«Nel Wisconsin?! E che c’è andato a fare lì?» Chiese Alvin, stupito.

«Ehehe, non chiederlo a me. Non so altro.»

Dopo questo breve scambio di domande e risposte, i due fratelli ripresero la marcia, chiacchierando del più e del meno e raccontandosi aneddoti dei loro rispettivi trascorsi.

Tra le altre cose, non poterono fare a meno di accennare a Theodore e alla sua condizione. Alvin, in particolare, aveva riferito a Simon delle novità che gli erano state raccontate da Dave sulla conversazione che i due avevano avuto la sera precedente, e Simon ascoltò con interesse.

Quando finirono di parlarne, Simon si sentì quasi sollevato dalle novità. Dopo tanti anni di inutili tentativi, questo era il primo vero cenno di miglioramento accertato del loro fratello. Forse, in fondo, si poteva ancora sperare nel suo recupero.

La felicità che era improvvisamente montata in Simon andò bruscamente scemando insieme a quella di Alvin nel momento in cui, camminando, raggiunsero i pressi del L.A. National Cemetery, il cimitero nel quale riposava la loro povera amica Eleanor. Lì si arrestarono d’improvviso, come se di fronte a loro si fosse materializzato un muro invisibile che gli sbarrava la strada. Si guardarono negli occhi in silenzio, dicendosi con lo sguardo molto più di quanto le parole avessero mai potuto esprimere: il dispiacere per la perdita, i sensi di colpa per gli sbagli di entrambi, le scuse per le loro reazioni alle decisioni dell’altro e per i litigi che li portarono a restare separati per tanto tempo.

Non era stata una casualità essersi ritrovati nei pressi dello stesso cimitero nel quale avevano dato il loro ultimo addio alla loro amica: due giorni dopo avrebbero dovuto accompagnarci Theodore, e lì Alvin e Brittany avrebbero colto l’occasione per porgerle il loro triste saluto.

Non si soffermarono troppo sul posto. Alla fin fine decisero di riprendere a camminare, cercando di ritornare ai loro precedenti discorsi, ma già adesso le cose erano cambiate per entrambi. Quel breve momento in cui i due si arrestarono e si fissarono, era stato fondamentale per la loro rinascita interiore. Si perdonarono a vicenda, accettarono il passato e contemporaneamente decisero di lasciarselo alle spalle per lasciare spazio al futuro e ai suoi misteri.

 

6.2:

10 FEBBRAIO 2029 (Casa di Simon e Jeanette)

«Tanti auguri a teee! Tanti auguuuri a teee! Tanti auguri, caro Maark! Tanti auguuuriii a teee!!»

Tutta la famiglia Seville, finalmente riunita, stava cantando gli auguri per il piccolo Mark nella sala da pranzo per gli ospiti della casa di Simon e Jeanette.

Benché, come Brittany e Alvin, avessero un tavolo su misura per mangiare, una delle stanze della loro casa era stata anche arredata per poter ospitare esseri umani. Era lì che in quel momento si stava celebrando la festa per il decimo compleanno di Mark, e con loro c’erano anche Theodore e soprattutto Dave, che come ogni altro anno, non si era fatto sfuggire l’occasione di partecipare ai festeggiamenti di suo “nipote”.

L’uomo entrò portando con se la torta che aveva ordinato con l’aiuto di Jeanette, e mentre gli altri iniziavano a cantare la canzoncina degli auguri, lui la poggiò sul tavolo per poi unirsi con loro nel canto.

«Auguri, ragazzo mio!» Gli augurò quando tutti ebbero finito di cantare.

«Grazie, nonno!» Fu la risposta del piccolo chipmunk.

«Ora esprimi un desiderio e soffia sulle candeline!» Disse Brittany.

«Sì!» Rispose alla zia.

Mark guardò per alcuni brevi istanti le fiammelle delle candele che bruciavano di fronte a lui, riflettendo su quale desiderio chiedere ad esse, dopo di ché, chiuse gli occhi.

“Voglio che la nostra famiglia finalmente si riunisca, e voglio anche che lo zio Theodore torni finalmente a essere felice”.

Fu questo il suo desiderio. Quindi soffiò con foga e per spegnere le dieci candeline. Faticò un po’ per spegnerle tutte, ma quando finì, i suoi sforzi furono ripagati da un forte applauso da parte degli altri membri della sua famiglia.

Alvin si fece avanti e gli diede una amichevole gomitata sulla spalla.

«Allora? Cos’hai desiderato?»

«Non posso dirlo, altrimenti porta sfortuna!» Rispose riluttante Mark.

Brittany squadrò Alvin con uno sguardo di disapprovazione. Lui si passò la mano sinistra tra i capelli.

«Eheheh, si lo so. Stavo scherzando!»

Ci fu un breve istante di silenzio imbarazzante che fu interrotto da Dave.

«Allora, che ne dite. Passiamo all’apertura dei regali?» Propose.

«Sì. Certo!» Esultò Mark.

Sul tavolo dove la famiglia stava festeggiando, Dave appoggiò i tre regali che il piccolo chipmunk aveva ricevuto dal nonno, dagli zii Alvin e Brittany e dai suoi genitori.

«Da quale vuoi partire?» Gli chiese Jeanette.

Mark guardò i tre pacchi davanti a lui, tutti e tre di forma e dimensioni diverse le une dalle altre.

«Non lo so… sono così indeciso!»

Simon si alzò in piedi.

«Bhe, in questo caso, se posso intervenire. Suggerisco di partire da quello mio e della Mamma. Che ne dici, Mark?» Propose mentre camminava verso pacchi riposti sul tavolo e indicandone uno in particolare, che a prima vista appariva come un oggetto rettangolare e solido, forse una scatola.

«Ok!» Accettò il festeggiato.

Dave gli avvicinò il pacco e lui saltò sulla sua superficie, cominciando a strappare con foga la carta regalo con la quale era imballato. Simon arrivò in sua aiuto per assisterlo.

Quando Mark finì, si trovò subito di fronte al possibile candidato come “regalo preferito”. Quello che gli era stato regalato era, infatti, un libro. Ma non un libro qualsiasi, bensì il terzo capitolo di “Cronache dei giorni di quarzo”, una saga letteraria di fantascienza di cui Mark andava letteralmente pazzo.

Il piccolo chipmunk non credé ai suoi occhi quando lo vide. Il libro era infatti destinato ad uscire nelle librerie, virtuali e cartacee, due mesi dopo! E ciò significava che probabilmente Mark era uno dei pochissimi fortunati a poterlo leggere in anteprima, se non l’unico!

Simon era riuscito a farselo procurare da un suo conoscente della casa editrice che si occupava della distribuzione del libro.

In passato il chipmunk aveva collaborato con loro nella scrittura di una biografia dedicata all’ex-gruppo musicale dei Chipmunks e delle Chipettes. Biografia che era diventata subito un best seller e che aveva permesso al chipmunk di instaurare ottimi rapporti con gli editori. Tanto da farsi consegnare in anticipo la suddetta copia del libro preferito di suo figlio.

Mark saltò in braccio a suo padre dalla gioia e poco dopo, passato l’attimo di euforia, proseguì con l’apertura dei restanti regali.

Questa volta fu il turno del regalo degli zii Alvin e Brittany.

Il pacco era più piccolo rispetto a quello di Simon e Jeanette, ma il suo contenuto era di altrettanto gradimento.

Una volta scartato, si rivelò essere un piccolo contenitore di latta dentro il quale era riposta una piccola armonica placcata d’oro.

L’idea per il regalo era venuta due giorni prima ad Alvin, che l’aveva vista di sfuggita dalla vetrina di un negozio d’antiquariato. Non era sicuro che potesse essere un buon regalo, ma dopo aver visto con quanto entusiasmo Mark aveva seguito le loro esibizioni canore e dopo averne discusso attentamente con Brittany, alla fine decise che sarebbe stato il dono perfetto.

Zia Brittany gli spiegò che da giovane anche Alvin ne aveva avuto una, con la quale avevano anche registrato una delle loro canzoni di maggior successo di sempre, quell’ “Alvin’s Harmonica” che ultimamente si ripresentava nelle nuove edizioni delle Greatest Hits del gruppo.

Mark aveva accolto con grande entusiasmo anche questo dono, e quando Alvin si fece avanti per insegnargli come fare per suonarla, il piccolo chipmunk perse almeno dieci minuti nel tentativo di padroneggiare la tecnica al meglio. Aveva ancora delle difficoltà, ma Alvin era convinto che presto sarebbe stato in grado di suonarla come un piccolo maestro.

Restava un ultimo regalo, quello di Dave, che si presentava come il pacco più piccolo di tutti.

Mark lo scartò con la stessa energia con la quale aveva aperto gli altri e quello che ci trovò dentro lo lasciò senza fiato ancor più del libro che aveva avuto in regalo dai suoi genitori.

Dall’imballaggio, Jeanette lo aiutò a tirar fuori una piccola felpa della taglia da chipmunk, e quando la videro, tutti si girarono verso Simon. Quella felpa era, infatti, la Sua felpa. Quella che aveva indossato per tanti anni durante la giovinezza, e che dopo essere stata amorevolmente conservata da Dave per tutti quegli anni, adesso era finita, come un’eredità, nelle mani di Mark.

Il piccolo chipmunk la tenne stretta tra le sue mani e la fissò incredulo.

Aveva visto un sacco di volte i suoi genitori nelle varie copertine dei vecchi cd dei Chipmunks e delle Chipettes conservati nelle mensole di casa, e non poteva credere che ora stava tenendo tra le mani proprio quella felpa che, ai tempi, aveva contribuito a fare di suo padre una vera e propria icona della musica.

Tra tutti i regali che avrebbe mai potuto desiderare, quella felpa rappresentava una specie di obbiettivo irraggiungibile che ormai sembrava dato per disperso da anni. Se avesse saputo che era custodita in casa di suo nonno Dave, probabilmente non si sarebbe dato pace finché non sarebbe riuscito a trovarla.

Restò imbambolato a fissarla per alcuni secondi, dopo di che, corse subito ad abbracciare anche il nonno umano per il sorprendente regalo ricevuto. In seguito, dopo aver riposto da parte i tre regali di compleanno, si passò al taglio delle torta e alla sua consumazione.

Theodore era sempre lì con loro, ma per tutto il tempo non aveva dato alcun segno di reazione. Si limitava solo a fissarli in silenzio mentre gli altri continuavano a festeggiare indifferenti.

Dal loro punto di vista, sembrava che stesse mantenendo ancora una volta il suo tipico atteggiamento distaccato e apatico, ma in verità, quello che Theodore stava provando questa volta era un profondo senso di colpa nei confronti di suo nipote.

Durante quei due giorni, mentre gli altri organizzavano la festa di compleanno, lui aveva avuto molto tempo per riflettere sugli ultimi avvenimenti e sul discorso tenuto con Dave alcune sere prima.

Per troppo tempo aveva lasciato che le sue ossessioni prendessero il sopravvento sulla sua persona, e stava cominciando a rendersi finalmente conto che forse era il momento di cambiare. Pertanto, quando Dave gli porse un piatto con una piccola porzione della torta di compleanno, si disse che se avesse dovuto fare qualcosa, avrebbe dovuto cominciare da adesso.

 

6.3:

La festa proseguì regolarmente come previsto e ormai si stava avviando al termine.

La famiglia era ancora seduta a tavola a chiacchierare del più e del meno, mentre Mark, da almeno mezz’ora, aveva deciso di recarsi in salotto per guardare un po’ di Tv.

Con se teneva l’armonica regalatagli dagli zii Alvin e Brittany e tentava di esercitarsi a suonarla mentre in Tv scorreva un film action.

Nessuno badò molto a Theodore quando questi saltò giù dal tavolo e usci dalla sala da pranzo.

Si diresse verso il salotto e si fermò all’entrata, appoggiandosi allo stipite della porta e osservando di nascosto il nipote che con impegno e pazienza cercava di mettere in pratica i consigli di Alvin.

Mark cercava di far uscire qualche suono dallo strumento provando ad alternare il soffio dell’aria tra un foro e l’altro. Se fatto nel modo giusto questo gli avrebbe permesso di far risuonare tutta la scala delle note musicali, invece quelli che uscivano erano solo suoni appena percettibili o comunque non corretti.

Theodore era convinto di saperne il motivo.

«Rilassa la lingua e tirala il più in dentro che puoi.» Si fece avanti.

Mark sobbalzò nell’udire la sua voce.

«Zio T-Theodore?!» Balbettò.

«Sì.» Saltò sul divano. «Posso farti vedere come si fa?»

Mark, dopo un breve momento di confusione, si riprese.

«Oh? Sì, certo!»

Consegnò l’armonica d’oro a Theodore, il quale, subito dopo averla impugnata con entrambe le mani e aver soffiato un paio di volte per provarla, cominciò a intonare un motivetto musicale improvvisato molto gradevole. Alternando ritmicamente il soffio tra un foro e l’altro e tappando e aprendo quelli nella parte posteriore dello strumento a seconda delle note che doveva fare.

Era la prima volta che Mark vedeva suo zio fare una cosa del genere, e vederlo suonare con tanta concentrazione e abilità dopo averlo sempre visto immerso nel suo silenzio impenetrabile per tanti anni, era una vera gioia. Si disse tra sé e sé che forse il suo desiderio per il compleanno si stava già realizzando.

Mentre Theodore intonava il suo motivo musicale con l’armonica, tornò con la mente ai fasti della loro carriera musicale.

D’improvviso, il volto di Eleanor ricominciò a tormentarlo ancora una volta, e di conseguenza, le ultime note risuonarono rovinate e rumorose, facendolo arrestare immediatamente. Ma non aveva importanza, perché il nipote, nonostante questo, continuava ad osservarlo con ammirazione e felicità.

«Le armoniche sono fatte per gli esseri umani. Noi dobbiamo soffiare con molto più forza per poterle suonare, quindi devi cercare di tenere la lingua il più in dentro possibile, per permettere al tuo fiato di far passare più aria.» Gli spiegò Theodore nel tentativo di distrarsi dai ricordi su Ellie.

«Posso provare?» Chiese Mark, e Theodore gli passò lo strumento in silenzio.

Il piccolo Chipmunk ci soffiò dentro cercando di seguire i consigli dello zio. Questa volta il suono che ne uscì era molto più melodioso e gradevole.

«Hey! Ci sono riuscito!» Esultò.

«Già, e impara a usare anche le mani per alternare le note. Sono fondamentali tanto quanto il fiato» Aggiunse Theodore.

«Sì!» Rispose Mark, sorridendogli.

I due guardarono insieme qualche scena del film in Tv, ma mentre Mark sembrava trovarlo interessante, Theodore non riusciva ancora a trovare l’entusiasmo necessario per goderselo a pieno. Gli sembrava quasi strano trovarsi lì con suo nipote, si poteva quasi dire che era la prima volta in assoluto in cui i due si parlavano.

«Mark… » cominciò d’improvviso.

«Sì?» il piccolo chipmunk distolse l’attenzione dalla Tv e guardò suo zio.

«Scusami se non ti ho mai fatto un regalo…e che non ho mai voluto parlare con te… » Borbottò Theo.

Mark gli sorrise.

«Non fa niente. E poi… ora sei qui, no? E’ questo l’importante!»

«Sì, è vero… »

Theodore stava cominciando a rendersi conto solo ora di quanto fosse intelligente e maturo suo nipote, nonostante avesse appena compiuto solo dieci anni. Finalmente riuscì un po’ a rilassarsi. Cosa che non gli accadeva da troppo tempo, e tentò di seguire il resto del film insieme a lui.

 

6.4:

Passarono cinque minuti, o forse dieci. Theodore non aveva aperto bocca, solo Mark ogni tanto si era lasciato sfuggire qualche commento sul film o aveva tentato di spiegare allo zio qualche scena. D’improvviso però, accadde qualcosa di strano.

Mark si portò le mani alla testa e poco dopo iniziò a lamentarsi. Un lamento che divenne in brevi secondi un grido di dolore.

Theodore saltò in piedi sul divano.

«Mark? Mark! Che succede?»

«La… mia testa… mi fa male! Aiutami Zio Theodore. Aiutami!!»

Questa risposta colse Theodore completamente alla sprovvista. Doveva andare a chiedere aiuto agli altri.

«Oh… aspetta! Non ti muovere! Vado a chiamare tua madre e tuo padre!»

«Sbrigati per piacere!»

«Sì, sto andando. Resisti!»

Theodore saltò giù dal divano e cominciò a correre verso la porta, ma non fu necessario, perché anche il resto della famiglia aveva udito le grida di Mark e si erano precipitati subito in salotto.

«Theo? Che succede?!» Fu interpellato da Simon.

«Non… non lo so… è Mark! Non sta bene!» balbettò Theodore.

«Cooosa?!» Gridò Jeanette, e facendosi strada tra Simon e gli altri, passò oltre a tutti e si diresse di corsa verso il divano.

«Sì! Dice che gli fa male la testa… tanto male!» Continuò a spiegare agli altri Theodore.

Subito dopo anche Simon raggiunse il figlio.

Jeanette gli si era inginocchiata vicino e tentava di parlarci, mentre Mark continuava a premersi la fronte con le mani.

«Tesoro, tesoro?! Come stai? Che ti succede?» Domandò Jeanette in ansia.

Poco dopo, Mark smise di dimenarsi e tolse una delle mani dalla testa.

«Ho avuto un fortissimo mal di testa, ma non so… adesso non mi fa più tanto male…»

«Che è successo? Ti è passato così d’improvviso o e stato graduale?» Lo interrogò Simon.

Mark stette momentaneamente zitto, riflettendo sulla domanda.

«Non lo so… stavo guardando la Tv con lo zio e ha iniziato a farmi malissimo. E adesso non la sento più. Mi è passata… »

Jeanette e Simon si guardarono l’uno con l’altra, poi scambiarono un’occhiata anche con Theodore, che era lì di fianco a loro, e ad Alvin, Brittany e Dave, che invece si tenevano a un metro di distanza dal divano.

«Vuoi una pastiglia per il mal di testa? Nel caso dovesse ricominciare?» Chiese Jeanette a suo figlio.

«Sì, mamma..» Accettò lui dopo averci riflettuto.

Jeanette saltò quindi giù e si diresse in cucina, dove tenevano la cassetta dei medicinali.

In salotto, intanto, Alvin e Brittany si fecero avanti per parlare con Simon.

«Simon, forse è meglio che noi andiamo.» Suggerì Alvin.

«Non è necessario, Al. Adesso diamo la pastiglia a Mark e dopo se volete possiamo riprendere… »

«No, no. Va bene così. Ormai si è fatto tardi, e Brittany deve riposare… sai… » cercò di indicare con un cenno della testa il pancione di Brittany. Simon, che aveva vissuto un’esperienza simile, capì.

Guardò per un istante Dave, come a cercare una qualche approvazione da lui. L’uomo fece spallucce e disse «Io faccio quello che mi dicono loro. Ma per quel che mi riguarda, penso che abbiano ragione. Si è fatto un po’ tardi. Forse Mark è solo un po’ stanco per la serata. Lasciamolo riposare.»

Per quanto riguardava Theodore, lui era venuto con loro. Quindi, nonostante ora stesse diventando finalmente più loquace e socievole, non poteva far altro che assecondarli. Perciò tacque.

Mentre si preparavano a partire, con Dave che portava in mano Brittany per non costringerla a camminare troppo, Jeanette accompagnava in camera sua Mark, gli consegnava un minuscolo pezzo frammentato di pastiglia per l’emicrania e gliela fece ingerire con dell’acqua che gli aveva portato in un piccolo bicchierino da caffè in plastica.

Si scambiarono la buonanotte e lei gli diede un amorevole bacio materno sulla guancia, ripetendogli ancora una volta gli auguri di compleanno. Poi uscì dalla stanza e andò in fretta verso Simon, per salutare insieme a lui Dave, Brittany, Alvin e Theodore.

Simon avvertì Alvin che gli avrebbe telefonato la mattina seguente per decidere l’orario in cui avrebbero fatto visita a Eleanor, dopo di che si augurarono anche tra di loro la buona notte, prima di salutarsi definitivamente.

Restati soli, Simon e Jeanette si aiutarono a vicenda per mettere a posto le ultime cose in sala da pranzo. Dave li aveva aiutati a riporre posate e piatti sul lavandino, ma restavano ancora da ripulire le briciole della cena dal tavolo. Jeanette si destreggiava abilmente con una piccola scopetta, mentre Simon la aiutava avvicinandole e tenendo ben salda la paletta per la raccolta delle briciole.

A lavoro finito, saltò giù dal tavolo tenendo abilmente tra le mani la paletta e corse al piccolo bidone della spazzatura vicino al loro frigorifero per rovesciarci dentro la sporcizia raccolta.

Era un lavoro di collaborazione tra i due che a prima vista appariva terribilmente complicato, e in effetti lo era stato i primi giorni. Ma dopo oltre dieci anni di pratica, ormai faceva parte della loro routine quotidiana, proprio  come accadeva ad Alvin e Brittany nel loro attico a New York (sebbene questi ultimi erano comunque aiutati dalle loro personali assistenti umane).

Finite le pulizie, andarono a lavarsi e a dormire. Ma prima, Simon diede una rapida sbirciatina nella stanza di Mark, giusto per assicurarsi che stesse bene, e quando lo video dormire tranquillo e sereno, tirò un sospiro di sollievo e raggiunse sua moglie in camera da letto.

 

6.5:

DATA IMPRECISA (Luogo Sconosciuto)

Era un limpido pomeriggio d’estate. Il cielo era sereno e il sole splendeva luminoso, illuminando con i suoi raggi di luce una simpatica collinetta.

Sulla sua cima una grande quercia regnava sovrana, come l’imperatore di una foresta seduto sul suo trono.

Jeanette si trovava ai suoi piedi. Era dentro un sogno, e ne era pienamente consapevole.

Da quando il Viaggiatore dei Sogni dalle fattezze di suo figlio Mark aveva cominciato ad apparirle in sogno, lei aveva imparato a superare quella sottile linea che permetteva di distinguere il sogno dalla realtà. Dove per tutti gli altri sognare rappresentava uno stato di caos di cui spesso era difficile ricordarsi al risveglio, per lei era un’esperienza straordinaria e incredibilmente nitida, proprio grazie a questa maturata consapevolezza della distinzione tra realtà e sogno. Quando sognava, sapeva che in realtà niente di tutto quello che viveva era reale, che in realtà si trovava sotto le coperte del suo letto. Quindi lasciava sempre che ogni cosa seguisse il suo corso, permettendo ai suoi sogni di pilotarla automaticamente nei binari prestabiliti dal suo inconscio.

Per metterla in altri termini, lasciava se stessa libera di immergersi in pieno nel sogno.

La quercia sotto la quale si trovava in questo specifico sogno era la Loro quercia, quella sotto la quale, secondo la volontà del destino sarebbe  dovuta giungere la sua ora e quella di suo marito Simon, se il Viaggiatore dei Sogni non li avesse salvati.

Inginocchiandosi sull’erba, appoggiò per terra un piccolo cestino da pic-nic dal quale iniziò a tirare fuori una tovaglia da stendere, e in seguito cominciò ad allestire il tutto tirando fuori anche il resto del materiale contenuto al suo interno.

D’improvviso, la luce del sole che fino ad allora aveva illuminato il paesaggio, sparì, lasciando posto alle tenebre. Si era fatto tutto buio e Jeanette dovette arrestare la sua attività per guardarsi intorno.

Benché sapesse che era un sogno, il fatto che tutto fosse così nitido e realistico le incuteva comunque un certo timore.

Alcune saette cominciarono ad abbattersi nella foresta, distruggendo gli alberi che colpivano. Una di esse centrò in pieno anche la quercia di Jeanette, che fu troncata di netto come un foglio di carta e che precipitò proprio su di lei.

La Chipette non poteva fare altro che osservare inorridita l’enorme albero caderle addosso, ma poi, qualcuno comparso dal nulla urlò il suo nome e la spinse via.

L’albero cadde violentemente a terra e iniziò o rotolare giù dalla collina facendo tremare il mondo. Nel frattempo, Jeanette e la persona che l’aveva spinta via erano distesi a terra. Finalmente lo guardò, e vide che ad averla tratta in salvo era stato Simon. Ancora una volta.

I due si alzarono in pieni, aiutandosi a vicenda, poi, dopo un breve momento in cui si fissarono negli occhi, si scambiarono un profondo bacio da innamorati, che aprì letteralmente il cielo e fece tornare la luce sulla collina.

«Mamma? Papà?» La voce di Mark che li chiamava interruppe il loro bacio.

Jeanette guardò verso di lui, che era spuntato improvvisamente vicino a loro.

«Che ci fai qui Mark? Non dovresti essere a casa a studiare?» Gli chiese sua madre.

Era una domanda che non aveva alcun senso, ma era questo che il suo sogno voleva che dicesse.

«No,io… stavo cantando in un concerto. C’eravate anche voi e gli zii… anche lo Zio Theodore e la Zia Eleanor… poi mi sono ritrovato qua.»

Che strana risposta. Troppo strana anche per un sogno.

«Cosa?» Non poté fare a meno di chiedere stupita Jeanette.

«E’ successo anche a me…» cominciò Simon «ero tornato ragazzo… stavo giocando ai videogames con Alvin e Theodore. Poi, non so perché, sono corso fuori, ho aperto la porta e mi sono ritrovato su questa collina…»

Se prima era solo un vago sospetto, adesso ne era sempre più sicura. C’era qualcosa di strano nella piega che stava prendendo il sogno. Com’era possibile che Jeanette stesse sognando dei dettagli così precisi della personalità di suo marito e di suo figlio?

Mark e Simon stavano parlando tra di loro.

Probabilmente la Chipette non era la sola ad aver percepito la stranezza della situazione. Era come se una  qualche specie di sesto senso avesse voluto avvertirli che chi avevano di fronte non fosse solo una proiezione della loro mente, ma la persona in carne e ossa che faceva parte della loro vita nella realtà.

Il tronco della quercia che era stato abbattuto dalla saetta ed era rotolato giù dalla collina  era ancora lì, nel punto in cui si era fermato poco prima. Jeanette si allontanò di qualche passo dagli altri due chipmunk e provò a immaginare di sollevarlo in aria e di ricollocarlo al suo posto. In men che non si dica, accadde, mentre Mark e Simon non potevano fare altro che guardare la scena a bocca aperta.

Jeanette pensò poi di distruggerlo, e subito l’albero si dissolse in una nuvola di polvere luminosa che si propagò nell’aria.

«O mio dio! Ma quella è… »

«Sì, Simon. Materia dei sogni.»

Ormai Jeanette non ne avevano più dubbi: poteva rendersi conto dei suoi sogni e agire fino a un certo limite per modificarli, ma alterare in quel modo la materia stessa di cui erano fatti era una capacità possibile solo in presenza di un Viaggiatore dei Sogni, e forse Jeanette aveva capito chi poteva essere.

«Sei… sei davvero tu, Jean?» Balbettò Simon.

Lei tornò da loro.

«Sì, sono io.»

«Ma com’è possibile? Come ci sei riuscita?»

Jeanette guardò verso suo figlio Mark, l’unico che sembrava non capire nulla di quello che stava succedendo. Almeno, a giudicare dalla smorfia di confusione e disagio che aveva stampata in volto.

«Stiamo condividendo un sogno… e credo che sia Mark a consentirlo. E’ diventato un Viaggiatore dei Sogni!» Spiegò.

Anche Simon guardò verso il loro figlio, prima di tornare a rivolgere la sua attenzione a lei.

«Ne sei sicura? Credevo che ormai non ne fosse più in grado…»

«Papà… non capisco? Di cosa state parlando?» Li interruppe Mark chiedendogli spiegazioni in tono supplichevole e inquieto.

Suo padre non ebbe tempo di rispondergli, che una specie di scossa di terremoto fece sobbalzare tutti e tre.

«Cos’è stato?» Domandò Simon.

Subito dopo altre scosse sismiche cominciarono a percuotere la collina del loro sogno.

La paura cominciò a insinuarsi nella mente di tutti e tre.

Jeanette guardò Mark, che sembrava stesse per avere un attacco di panico. Camminava di qua è di la in maniera confusionaria e provocando ad ogni suo piccolo passo un’ulteriore scossa sismica che si sommava a quelle che già stavano sconvolgendo il mondo del loro sogno, come se non fosse un piccolo chipmunk di dieci anni, bensì un enorme titano che percuoteva la terra ad ogni passo.

Un’enorme voragine si aprì tra Simon e Jeanette, separandoli. Dentro l’enorme canyon non si vedeva nient’altro che il Vuoto più totale.

I sismi non si arrestavano e man mano che la voragine si allargava, grosse porzioni della collina si staccavano di netto precipitando nell’abisso, dove ad un certo punto si polverizzavano in Materia dei Sogni.

«E’ Mark!» Urlò Jeanette. «Sta facendo collassare il sogno!»

«Che cosa facciamo?!» Urlò di risposta Simon, dall’altra parte della voragine che diveniva via via sempre più larga.

Jeanette si voltò in direzione di suo figlio, che era rimasto con lei e che ora era paralizzato dalla paura.

«Devo riuscire a calmarlo… » Bisbigliò e si inginocchio di fronte a lui.

«Mark, piccolo… stammi a sentire… » cominciò a parlargli, ma lui aveva uno sguardo perso nel vuoto. Vederlo così le fece tornare in mente gli sguardi persi di Theodore.

«Mark? Mark!!» Lo chiamò più e più volte. Alla fine lui si riprese, sbatté un paio di volte le palpebre e si guardò intorno. Nel frattempo i sismi si fermarono.

«Mamma, che sta succedendo?»

«Non lo sai, vero?»

«No. Cosa?»

Jeanette sospirò.

«Ci troviamo dentro un sogno, tu, io e papà. Stiamo facendo tutti insieme un sogno condiviso. Ci sei fin qua?»

Mark guardò oltre la voragine dove suo padre stava in piedi sul bordo a osservarli.

«Credo di sì.» Annuì poi.

«Bene, bravo. Ora non agitarti, ok? Ti spiegheremo tutto quando ci risveglieremo, ma per ora devi sapere che è merito tuo se ci troviamo qui!»

«Mio? Ma… come… »

«Ti racconterò tutto dopo, ora l’importante è non agitarsi e restare calmo. Va bene?»

Mark attese un paio di secondi prima di rispondere.

«Sì mamma…ok.» Concluse poi.

«Bravo. Ora fai quello che ti dico, stammi dietro…» gli ordinò Jeanette, poi si rivolse verso Simon «Simon, allontanati dal bordo, e sta attento!»

«Oh… sì, ok!» Rispose lui dall’altra parte dell’enorme canyon.

Si allontanò di qualche passo, fino a che Jeanette non gli disse che poteva fermarsi. In seguito, la Chipette cercò di immaginare che d’improvviso dal canyon spuntasse un ponte che collegasse le due estremità della voragine, e immediatamente, comparse dal nulla della Materia dei Sogni che iniziò a compattarsi per formare ciò che lei aveva immaginato. Simon a quel punto capì le sue intenzioni e quando il ponte si era ormai completamente materializzato, lo attraversò con cautela, raggiungendo finalmente la sua famiglia.

«Ora che facciamo? Come usciamo da qui?» Chiese in seguito Simon.

«Non credo che Mark possa risvegliarci… non ricorda niente dei viaggi nei sogni.» Gli spiegò Jeanette, mentre loro figlio, preso in causa, non poteva far altro che ascoltare confuso.

«E allora? Aspettiamo che il sogno finisca da solo?»

Non appena Simon finì di porre la domanda, un’altra serie di scosse sismiche tornò a demolire il mondo del sogno.

«Non credo… il sogno sta continuando a collassare. Mark?!»

«Io sto facendo quello che mi hai detto te! Non mi sto agitando!» Obbiettò Mark.

«Forse il sogno sta semplicemente collassando da solo… e possibile?» Ipotizzò Simon.

«Non lo so, forse hai ragione tu.»

Jeanette doveva pensare in fretta, doveva trovare una soluzione prima che fosse troppo tardi.

«Ma che succede se il sogno collassa?»

«Non lo so, Mark… ma devi tirarci fuori in qualche modo!» Gli disse sua madre.

«Io? Ma… ma io non so come si fa!»

L’ambiente intorno a loro cominciò a disgregarsi nuovamente, e sta volta ad un ritmo molto più rapido di prima. Dopo appena un minuto da quando l’ondata sismica iniziò, solo una piccola porzione di collina restava ancora in piedi, quella dove si trovava la famiglia di Simon. Tutto il resto del sogno si era già quasi del tutto sgretolato. La domanda di Mark era più che lecita. Cosa sarebbe successo se il sogno fosse collassato? Una volta il Mark adulto che Jeanette aveva incontrato nei suoi sogni glielo aveva spiegato, ma ora, a distanza di così tanti anni, lei non lo ricordava più. Qualsiasi cosa fosse, non era nulla di buono. Come non era nulla di buono l’idea di restarsene lì con le mani in mano ad aspettare di scoprirlo. Doveva risvegliare la sua famiglia, in un modo o nell’altro.

Pensò intensamente all’idea di fermare il sisma che stava devastando la terra sotto i loro piedi, senza successo. Provò a insistere chiedendo a Mark di immaginare intensamente di svegliargli, ma per quanto il piccolo si sforzasse, nemmeno questo era possibile.

Non si sa cosa successe, ma d’improvviso lei e solo lei si svegliò.

Era distesa sul suo letto, di fianco a lei Simon che dormiva profondamente, emettendo di tanto in tanto qualche mugolio.

«Simon, Simon! Svegliati!!» Gli gridò scuotendolo, e lui aprì gli occhi.

Farfugliò qualcosa, ma lei non stette ferma ad ascoltarlo. Corse giù dal letto e in seguito fuori dalla stanza, diretta in camera da letto di Mark. Lo raggiunse e svegliò anche lui.

Il piccolo Mark aprì gli occhi urlando.

«Calma, calma. E’ tutto finito.» Lo rincuorò Jeanette abbracciandolo.

Mark iniziò a piangere.

«Mamma, è stato… è stato terribile… la terra mi era crollata sotto i piedi… io… io stavo cadendo…»

«Lo so, lo so. Ora calmati. E’ passato.»

Lo coccolò e lo tenne abbracciato a se. Nel frattempo, Simon fece la sua comparsa in camera raggiungendo moglie e figlio sul letto, e lì restò con i due, attendendo che Mark si tranquillizzasse.

 

6.6:

Aspettarono pazientemente che Mark smettesse di piangere, dopo di che, all’ennesima richiesta di spiegazioni gli raccontarono tutto partendo dal principio. Gli riassunsero la storia di come Jeanette aveva iniziato a sognarlo tanti anni prima, dei modi spesso assurdi che aveva adottato per cercare di impedire ai suoi genitori di organizzare il pic-nic che secondo il destino avrebbe segnato le loro vite e di tutti i poteri che lei aveva imparato a padroneggiare proprio grazie al Viaggiatore dei Sogni.

Il piccolo Mark, che era sempre stato curioso di natura, non poteva fare a meno di porre domande su domande inerenti all’argomento. Domande a cui Jeanette e talvolta anche Simon, quando ne era in grado, rispondevano pazientemente. Tutto pur di fargli comprendere e accettare una realtà che da quel giorno, probabilmente, avrebbe fatto parte della loro vita, se quel caso non fosse stato solo un evento occasionale e se Mark fosse veramente divenuto un piccolo Viaggiatore dei Sogni in carne e ossa.

Come se gli leggessero una fiaba, gli parlarono di tutte le cose che conoscevano, fino a che non si addormentò, e a quel punto tornarono in camera loro e si rimisero sotto le coperte.

«L’avresti mai detto? Il nostro Mark è un Viaggiatore dei Sogni!» Esclamò Simon.

«Già… » Rispose Jeanette con tono di voce turbato.

«Chi sa…forse quel suo mal di testa improvviso era dovuto a questo. Deve essergli successo qualcosa… ha appena compiuto il suo decimo anno di età e tutto d’un tratto… questo! Non la trovi una cosa straordinaria?»

Jeanette lo squadrò con un’occhiataccia che non prometteva niente di buono.

«Straordinario? Cosa ci trovi di così STRAORDINARIO?!?»

Simon non se la sarebbe aspettata una reazione del genere, così d’improvviso, e a sentirsi urlare contro da sua moglie, gli montò una strana inquietudine.

«C’è qualcosa che non va?»

Jeanette distolse lo sguardo da Simon e chinò la testa in basso.

«No… è solo che… niente.»

«Lo conosco quel tono di voce. Non è vero che non c’è niente.»

Lei sospirò.

«E’ solo che non doveva succedere!»

«Cosa? Che Mark diventasse un Viaggiatore dei Sogni? E che c’è di male, non ti fa piacere sapere che nostro figlio è speciale?»

Jeanette rispose alla domanda con un’altra occhiataccia.

«Quello non è “speciale”, è “pericoloso”! Cosa succederebbe se d’improvviso il sogno dovesse collassare di nuovo mentre noi non siamo lì con lui?!»

«Ma perché dovrebbe succedere?! Questa volta è andata così perché non ne sapeva nulla, non significa che dalla prossima andrà ancora male! E poi non è nemmeno detto che sia un fatto così grave, il sogno potrebbe collassare e lui potrebbe semplicemente risvegliarsi! Non possiamo saperlo!»

«Ti sbagli! Invece è proprio quello che succederebbe! E’ stato lui stesso a dirmelo, anni fa!»

«Bhe, forse non vale per i Viaggiatori dei Sogni… forse per lui… »

«Ma lui non è un Viaggiatore, è solo un bambino!!» Urlò Jeanette.

«E tu sei troppo iperprotettiva! Cosa pensi di fare? Tornare di la e tenerlo sveglio per sempre per impedire che sogni?!»

Jeanette non seppe come rispondere. Si sentì offesa dal marito.

«Se tu pensi questo di me, allora puoi dormire sul divano sta sera!»

«Cooosa? Stai scherzando spero!»

«Non sono mai stata così seria in tutta la mia vita!»

Ora era Simon a farfugliare alla ricerca di una risposta.

«Senti. Non voglio litigare. E’ solo che non capisco cosa ti è preso d’improvviso! A parte che è tutta la sera che hai un muso lungo come non so cosa, ma ora!»

Jeanette ci rifletté. Simon aveva ragione. Forse non su tutto, ma non poteva negare che durante tutta la sera era turbata da qualcosa.

«E’ solo che non sono più abituata a queste cose… voglio dire… Alvin  che d’improvviso ricompare dal nulla… Theodore che torna a parlare con la gente… e ora nostro figlio, che ha appena compiuto dieci anni ed ora salta fuori che è diventato un Viaggiatore dei Sogni… »

Dunque era questo. Non solo un problema isolato, ma tante piccole cose che, insieme, avevano turbato la quiete che Jeanette si era costruita nel suo animo. Simon si spostò sul materasso e le si avvicinò. La consolò con un delicato bacio sulla guancia, che poco dopo lei ricambiò con uno sulle labbra.

Si sdraiarono l’uno accanto all’altra e si abbracciarono.

Era come tornare ai vecchi tempi, quando il loro amore era appena sbocciato e non c’erano ancora brutti ricordi d’incidenti a tormentare i loro animi.

Jeanette dimenticò le sue ansie e, prima di addormentarsi tra le braccia del marito, pensò intensamente alle frasi che le disse pochi minuti prima:

«Lo so che stanno succedendo d’improvviso tante cose, ma io credo che sia il segnale che finalmente gli eventi stanno per prendere una nuova piega. Alvin è stato l’inizio, e ora tocca a Theodore e Mark. Prima, nel sogno gli avevi detto di non aver paura. Ricordi? Ebbene. Non avere paura, Jean.»

«Sei sicuro che si risolveranno le cose anche con Theodore?» Gli aveva chiesto poi lei.

«Sì.» si era limitato a rispondere lui, e a quel punto le augurò solo dolcemente la buona notte, chiudendo gli occhi e addormentandosi subito con lei.

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Capitolo 7
*** 7: Il medium. ***


7.1:

11 FEBBRAIO 2029

Durante il proseguire della notte, Simon sognò ancora.

Questa volta non aveva a che fare con la sua famiglia. Non c’era una Jeanette apprensiva che cercava di placare i poteri di suo figlio Viaggiatore dei Sogni.

No, in questo sogno Simon vide Eleanor.

Per la prima volta da sedici anni gli era apparsa in sogno.  Era difficile mettere a fuoco l’ambiente circostante che stava intorno o loro, solo la defunta Chipette gli appariva vivida e materiale, e avevo lo stesso aspetto che ebbe la vera Eleanor il giorno dell’incidente.

Ma poi cosa successe? Si parlarono? Si dissero qualcosa?

Quando la mattina, Simon si svegliò, non ricordava quasi nulla del sogno e dovette sforzarsi per preservare quel poco che ancora riusciva a ricordare.

Nella stanza entrò Jeanette, che saltò sul letto dove costatò che il marito era già sveglio.

Gli diede un bacio sulle labbra e gli disse «La colazione è pronta, tesoro.»

«Arrivo subito.»

Poi, mentre lei usciva dalla stanza, Simon si alzò e si mise a sedere sul bordo del letto.

Il sogno di Eleanor continuava insistentemente a martellargli nella testa, benché non ricordasse quasi nulla. Era convinto che a restargli impressa sarebbe stata l’esperienza avuta nel corso della notte con il sogno condiviso con la sua famiglia, di certo non questo.

C’era qualcosa di strano, si disse tra sé e sé, che però non riusciva a comprendere.

Andò nella cucina, dove c’era il tavolino taglia–Chipmunk dove erano soliti mangiare. Era stato apparecchiato con un bicchierino di plastica (dello stesso tipo usato da Jeanette la sera prima per dare l’acqua a Mark per la pastiglia) e riempito con del caffè fumante appena preparato, che Simon bevé amaro e tutto d’un fiato.

Jeanette era lì, e non poté non notare la stranezza di quel gesto.

«Da quand’è che bevi il caffè amaro?»

«Oh…sul serio? E’ vero… non… non me ne sono accorto… » Le rispose balbettando.

«C’è qualcosa che non va? E’ per quello che ho detto sta notte? Lo sai che non ti avrei mai mandato a dormire sul divano… »

«No, no, non è per questo… bhe, lascia stare… dov’è Mark?» Chiese tentando di sviare dal discorso.

«Sta ancora dormendo…»

Ma in quel momento il piccolo fece capolino nella stanza.

«Ciao Mamma, ciao Papà.»

I genitori ricambiarono il saluto.

«Come stai? Hai fatto altri sogni strani?»

«Non lo so, Mamma, ma credo di no.»

«E il mal di testa?» Aggiunse Simon.

«Mi è passato. Non mi fa più male.»

«Bene, allora vieni a fare colazione, il latte è pronto.» Concluse Jeanette.

Nel frattempo Simon si alzò dalla sedia.

«Io vado di là a telefonare ad Alvin, intanto.»

Uscì dalla stanza e si diresse sul comodino dove era riposto il loro telefono fisso (un apparecchio che nonostante il progresso, non era ancora stato rimpiazzato), compose il numero di casa di Dave e attese la risposta.

Fu una voce femminile, quella di Brittany, a pronunciare il “pronto” di risposta e dopo un breve saluto e un rapido scambio di parole, la linea fu passata ad Alvin.

Non persero tempo in convenevoli. Si dissero solo che si sarebbero incontrati ai cancelli dell’ L.A. National Cemetery per le 11.00 in punto, poi si salutarono con un “a dopo” reciproco.

Simon diede una rapida controllata al display elettronico dell’apparecchio telefonico, dove era indicato che in quel momento erano le 09.03.

Il loro incontro al cimitero era previsto tra due ore.

Costatato ciò. Tornò in cucina.

 

7.2

(L.A. National Cemetery)

La famiglia Seville al completo, eccetto il piccolo Mark, che era rimasto a casa, si era riuscita quella mattina per andare a far visita a Eleanor al National Cemetery di Los Angeles.

Ognuno si era presentato con indosso dei completi eleganti e neri in segno di lutto.

Benché in altre occasioni le avevano fatto visita in abiti quotidiani, questa era, se così si poteva definire, una situazione “speciale”, dal momento che era  la prima volta che andavano da lei tutti insieme.

Durante quella mattina non ci furono molti scambi di dialoghi tra i vari Seville. Dopo un discreto saluto, una volta incontratisi alle 11.00 come d’accordo, varcarono subito la soglia del cimitero e iniziarono a percorrere il sentiero ghiaioso che li avrebbe condotti alla tomba della loro amica e sorella.

Non dovettero percorrere molto, poiché il lotto in cui riposava non era molto distante.

Theodore non era mai riuscito ad affrontare con serenità quelle visite, che anzi, lo spingevano a distaccarsi sempre di più dalla realtà nel quale si rifiutava di vivere, ma questa volta, forte dei cambiamenti avvenuti in seguito al ritorno di Alvin, trovò la forza di fare una cosa che si era sempre rimpianto di non essere riuscito a fare.

Mentre il resto della famiglia restava in silenzio a osservare le sue azioni, Theodore si avvicinò alla sua lapide e vi ripose alla base un piccolo mazzo di tulipani rossi, alcuni tra i fiori preferiti in assoluto di Eleanor, dopo di che, si inginocchio di fianco al mazzo e restò in silenzio.

Se stesse pregando, o solo parlando in silenzio con la sua amica, gli altri non lo capirono.

Dopo un po’, furono Brittany e Jeanette a fare la prossima mossa avvicinandosi alla lastra sepolcrale della loro sorella.

Dissero ad alta voce che Ellie mancava loro moltissimo, ma per il resto, come per Theodore, la maggior parte delle emozioni che provavano restarono confinate ai loro pensieri.

Le facevano visita frequentemente. Jeanette almeno una volta al mese e Brittany ogni volta che aveva la possibilità di tornare a Los Angeles, e per loro trovarsi in quel luogo, così come per Dave e Simon, non creava più quel disagio e quella sensazione di malessere che ci fu i primi tempi. Si poteva dire che ormai erano abituate all’idea che Eleanor non era più con loro.

Per Alvin invece le cose furono diverse. Come ormai è stato detto più e più volte, era stato lontano da Los Angeles per 10 anni, e la visita alla tomba della Chipette era un’altra di quelle cose che si potevano aggiungere all’elenco dei doveri dai quali era sempre fuggito.

Mentre si avvicinava al suo giaciglio eterno, prendendo il posto di Brittany e Jeanette, con Theodore che continuava a rimanere inginocchiato sulla metà di destra della lapide, cercò di prepararsi mentalmente un discorso da fare.

Si chinò su di essa e guardò per un attimo la sua foto incisa sopra, appoggiò una mano sulla pietra tombale e prese una lunga e profonda boccata d’aria per prepararsi al discorso. Quindi iniziò.

«Ciao Ellie. E’… è passato tanto tempo… lo so. Io volevo, sai… volevo solo chiederti scusa per tutto. Per il modo in cui mi sono comportato, per il fatto di non essere mai venuto a trovarti… »

Brittany, di fianco agli altri, ascoltava attentamente le parole del suo compagno, e commossa del suo discorso, cominciarono a scendere le lacrime sul viso, bagnandole la pelliccia sulle guancie e facendole provare un brivido di freddo.

«… Ero convinto di essere cresciuto… credevo che lasciandomi tutto alle spalle e dimenticandomi del passato sarei potuto essere felice. Ma mi sbagliavo. Usavo il mio lavoro come scusa per non tornare più qui a casa… per non dover più affrontare le conseguenze della tua morte… » Dovette fermarsi. Le parole gli uscivano a sbiascichi.

Si sforzò di contenere le lacrime che anche a lui stavano iniziando a colare. Prese un’altra profonda boccata d’aria e riprese.

«Però ora sono qui… e… e spero che tu, da lassù, mi voglia perdonare. Mi manchi, manchi a tutti noi… e ti prometto che non sbaglierò più. Sono tornato, e voglio recuperare tutto il tempo perduto con i miei fratelli, con Dave e con Jeanette…» si alzò.

Poggiò le labbra sulla foto di Eleanor, più precisamente sulla guancia sinistra, e la baciò. Era un’azione insolita per lui, che però gli venne spontanea.

«Grazie, Alvin.»

Era Theodore, ancora inginocchiato e ancora a occhi chiusi, ma era lui ad averlo ringraziato. Alvin capì il perché. Lo stava ringraziando per le parole dette a Eleanor.

Mentre quella scena continuava a seguire il suo corso, Simon invece non riusciva a fare a meno di pensare al suo sogno. E il fatto di trovarsi proprio lì, di fronte alla tomba di Ellie non faceva che alimentare questa sua ossessione.

Doveva pur significare qualcosa.

«Non riesco ancora a credere che siano parole sue, quelle che ho appena sentito!» Intervenne Dave, rivolgendosi a Simon.

«Uh?» Emise lui.

«Parlo di Alvin, sai, ti ho visto pensieroso. Immagino sia per quello che ha appena detto nel suo discorso.»

«Oh, no… non è per quello, è… bhe, non ha importanza.»

«Che succede, Simon?»

«E’ solo che continuo a pensare a una cosa che mi sta ossessionando, ma non è niente, dico davvero.»

Potevano essere solo delle coincidenze?

Ieri era stato il compleanno di suo figlio, e poche ore dopo, ecco giungere la scoperta che anch’egli, come la sua versione adulta conosciuta molti anni prima, era divenuto un Viaggiatore dei sogni.

Anime destinate a non venir mai al mondo, confinate in una dimensione onirica dove l’unico scopo a cui possono adempiere è di introdursi nei sogni dei “Vivi” per alimentare le loro esistenze eterne. Ma un giorno una di esse decise di ribellarsi al destino, e di modificare gli eventi a suo favore per far sì che potesse nascere e condurre una vita normale tra i viventi. Una vita che però ora non poteva più essere definita tale, dato che quei poteri di cui godeva nella sua precedente esistenza lo hanno seguito anche in questa, rendendolo di fatto un essere unico  nel suo genere. Un essere che era anche suo figlio. Il figlio di Simon e Jeanette. Un piccolo chipmunk di appena dieci anni, divenuto improvvisamente possessore di un potere immenso.

Il sogno di Eleanor era un indizio per qualcosa di importante. La sua ipotesi Simon ce l’aveva, ma gli sembrava allo stesso tempo impossibile e fantastica. Troppo per poter essere vera.

Se un sogno condiviso la sera precedente bastava per confermare che Mark fosse divenuto davvero un Viaggiatore dei Sogni, questo significava che forse era anche in grado di collegarsi con il mondo dei Viaggiatori, e se poteva davvero collegarsi a un mondo di anime mai nate, era possibile che fosse in grado di contattare anche i defunti?

Impossibile da una parte, verosimile dall’altra.

Suo figlio potrebbe essere divenuto il primo autentico medium di tutti i tempi! L’idea entusiasmò Simon, ma poi il suo lato razionale da professore d’Università prese il sopravvento. Non hai alcuna prova per dimostrarlo. Sono solo farneticazioni fantasiose. I vivi sono i vivi, mentre i morti devono essere lasciati al loro riposo eterno, si disse tra sé e sé.

Mentre tornarono a casa con l’auto di Dave, Simon non emise una sola parola per tutto il viaggio, e dato il contesto, nessuno aveva fatto molto caso al suo silenzio. Quando, però, decise di tornare a parlare e di spiegare a tutti la sua idea, non solo ottenne finalmente l’attenzione di tutti, ma ricevette anche un inaspettato e violento schiaffo da sua moglie Jeanette, che ora lo guardava con un espressione furibonda e di sgomento.

 

7.3:

«Scordatelo!!» Urlò lei.

«Ma… Jean…»

«No! Mai e poi mai! Ti rendi conto di quello che stai dicendo?! Ti sei dimenticato che è di tuo figlio che stai parlando?!»

«Bhe, non credi che forse sarebbe meglio parlarne con lui prima di prendere decisioni affrettate!»

«Potrei dirti la stessa cosa!!»

«Io non ho deciso niente! La mia era solo un’idea! Credevo che vi avrebbe fatto piacere sapere che forse c’era una possibilità per…»

«Per cosa?! Fare una seduta spiritica!?! Vuoi metterti intorno a un tavolo e farci tenere tutti per mano a occhi chiusi recitando formule magiche e riti voodoo?»

«Adesso basta, fatela finita tutti e due!!» Intervenne Dave, nel tentativo di placare la discussione tra Simon e Jeanette. «Prima di tutto, cos’è questa storia? Perché dici che Mark sarebbe in grado di entrare in contatto con lo spirito di Eleanor? Insomma, fatemi capire!»

Simon restò sgomento. Guardò verso Jeanette.

«Credevo che gliel’avessi raccontato!»

«E perché avrei dovuto?»

Simon quasi si strozzò.

«Perché avresti dovuto? Ma…» si fermò, trasse un profondo respiro per calmarsi e decise di raccontare tutta la storia a Dave e agli altri, che a quanto pare erano tutti allo scuro dei fatti di quella notte, anche se non comprendeva il motivo del silenzio di Jeanette.

Si stava comportando in maniera ridicola, pensò tra sé e sé Simon, da perfetta madre iperprotettiva.

Raccontò quindi del sogno condiviso e di come era quasi collassato mentre loro erano al suo interno, aggiungendo che secondo lui era questo il motivo dell’emicrania fulminante che era venuta a Mark la sera prima, i suoi nuovi poteri. E man mano che approfondiva nei dettagli il racconto, i suoi ascoltatori sembravano cominciare a comprendere via via sempre di più la logica dietro alla proposta di Simon.

«E funzionerà secondo te?» Chiese con un entusiasmo rinato, Theodore.

«No! Non funzionerà, Theodore, e non ve lo permetterò mai!» Insistette Jeanette.

Simon non era d’accordo con lei, ma poteva capire le sue ansie. Si parlava pur sempre di loro figlio, e quello che era successo nel loro sogno tutto sommato era un motivo più che valido per essere in ansia.

«E poi comunque, lei ha ragione. Come pensi che ci riuscirà? Può entrare nei sogni della gente, ma non vi è alcuna certezza che sia in grado di contattare le anime dei morti!» Disse Brittany, prendendo le difese della sorella.

«E se invece ci riuscisse?» Domandò Alvin, ricevendo subito obbiezione dalla sua compagna.

Anche tra i due partì un dibattito, al quale però Simon non prese parte.

Si alzò dal sedile e camminò verso sua moglie, che si era chiusa in un angolo con le braccia conserte e un’espressione di collera in volto.

Lui cercò di voltarle delicatamente la testa per incontrare il suo sguardo, ma lei scostò via la mano.

Simon sbuffò.

«Ascolta, amore… so che Mark è nostro figlio, e so che correrà dei rischi enormi finché non imparerà a gestire questa cosa. Ma fino ad allora ci sarai tu pronta ad aiutarlo. Conosci quel mondo, sai come funzionano le sue regole e sei già riuscita una volta a salvarlo. Un giorno vedrai che sarà in grado di controllare i suoi poteri da solo. E non credo che tarpargli le ali sia la soluzione migliore.»

Un rapido movimento degli occhi di lei fece incrociare il loro sguardo, poi in qualche modo le sue parole riuscirono a fare breccia in Jeanette. Che sembrò farsi più disponibile al dialogo. Nonostante fosse sempre irritata.

«Simon, qui non stiamo parlando di tarpargli le ali. Tu vuoi che usi i poteri del Viaggiatore dei Sogni per contattare l’anima di sua zia defunta. E’ qualcosa di completamente diverso, che non ha nulla a che vedere con la Materia dei Sogni! E tu vuoi sottoporlo a uno stress simile senza neanche sapergli dire se può farcela! Insomma, io non ti capisco!»

«Sono sicuro che può farcela.» Le confermò lui, sicuro di se e della sua idea.

«Come? »

«Diciamo solo che è una mia intuizione. Fidati di me.»

Sembrò averla convinta, almeno a giudicare dall’espressione che la Chipette montò dopo averci riflettuto per alcuni secondi, ma non le spiegò i dettagli della sua intuizione. A conti fatti, lui era il primo ad ammettere che basare la sua teoria su un sogno all’apparenza casuale e su una debole sensazione non erano sufficienti per giustificarlo. Eppure, in un modo o nell’altro, l’istinto gli diceva che questa cosa poteva essere fatta. Ora restava soltanto di proporla anche a Mark, e sperare che fosse in grado di portarla a termine.

Simon e Jeanette avevano raggiunto l’accordo di cui avevano bisogno, e Alvin, Brittany e Dave dovettero solo adattarsi alla loro decisione. Brittany, così come Jeanette e Dave, continuavano ad avere dei dubbi sulla riuscita del piano, mentre Alvin era dalla parte del fratello.

Simon era sempre stato il più intelligente del gruppo, mai una volta si era sbagliato in qualcosa, e questo per lui gli era più che sufficiente per convincerlo a dargli ragione.

Per quanto riguarda Theodore, lui non aveva preso alcuna posizione. A dire il vero non era nemmeno sicuro di aver afferrato in pieno le intenzioni di Simon. Aveva solo capito che forse c’era un modo per poter rivedere ancora una volta Eleanor, e se ciò fosse stato possibile, qualunque fosse il mezzo per riuscirci, anche per lui questo era più che sufficiente per credere al fratello.

 

7.4:

(Casa di Simon e Jeanette)

Mark era pensieroso. Lo era da tutta la mattina.

Non poteva credere alle cose che gli erano state raccontate la notte prima dai suoi genitori. Non riusciva nemmeno a comprendere appieno cosa fosse un Viaggiatore dei Sogni.

Nella sua testa si era figurato l’immagine di una specie di fantasma che entrava nei sogni delle persone per parlare con loro e ordinargli di far delle cose, i fantasmi però sono morti, come la Zia Eleanor, lui invece era vivo e vegeto! Quindi, com’era possibile che lo fosse diventato anche lui? E perché proprio ora?

Aveva cercato di distrarsi ripassando alcune materie scolastiche e continuando a esercitarsi con l’armonica regalatagli dallo Zio Alvin.

In seguito, per ammazzare il tempo si era a messo a guardare uno dei suoi film action in Tv e a mezzogiorno aveva pranzato con alcuni degli avanzi della cena precedente.

Alle due di pomeriggio, i suoi genitori, accompagnati dal resto della famiglia Seville, tornarono a casa e lui fu subito chiamato da suo padre.

Simon era ansioso di scoprire se la sua idea avrebbe potuto funzionare e se Mark avrebbe mai tentato l’esperimento.

Non volle perdere molto tempo nelle spiegazioni. Evitò di riassumergli tutto il processo mentale che l’aveva condotto a quell’ipotesi. Si limitò solo a chiedergli se potesse essere in grado di farlo.

«Credi di poterlo fare, figliolo?»

Mark era allibito dall’insolita richiesta del padre. Guardo verso sua madre Jeanette, sulla sua destra, sperando di poter avere una risposta sul da farsi dal suo sguardo.

La mamma non sembrava d’accordo, costatò.

«Io… non lo so. Non so nemmeno come si fa a entrare nei sogni delle persone,  come faccio a fare questo?»

Già, come poteva farlo?

Simon si rese conto che stava correndo troppo, spinto da un entusiasmo inopportuno. Non poteva pretendere tanto da suo figlio, del resto era appena agli inizi.

Anche Simon guardò verso Jeanette, incrociando ancora una volta il suo sguardo di disappunto.

«Hai ragione… avete ragione. Ok, non fa niente… scusami Mark.»

Simon, deluso e amareggiato, si rassegnò.

«Mi stai prendendo in giro?! Getti la spugna così, su due piedi?»

«Come?»

Jeanette si avvicinò al marito. Negli occhi uno sguardo serio come non gliene aveva mai visti in tutta la sua vita.

La vide passarsi le mani tra la sua lunga e folta chioma di capelli.

«Mi avevi chiesto di fidarmi di te? Che eri certo che potesse funzionare! Che fine ha fatto tutta la tua sicurezza? E’ volata via d’improvviso?»

Come poteva rispondere a quelle accuse? La Jeanette che aveva di fronte era completamente diversa da quella che era un stata un tempo. Questa, quando doveva dire qualcosa, non si faceva scrupoli a parlare, anche a costo di ferire chi aveva di fronte.

«Credevo che Mark sapesse cosa fare. Pensavo…sì, insomma… hai capito.»

Abbassò lo sguardo, imbarazzato.

«Pensavi che ti sarebbe bastato chiederglielo e aspettare che lui ci mettesse in contatto con mia sorella, non è vero?»

Simon annuì.

«Bhe, ora sai uno dei motivi del perché non ero d’accordo.»

«Jeanette…» la chiamò Dave «Forse è meglio che leviamo il disturbo?»

«No. Restate.» Rispose, poi voltò lo sguardo verso suo figlio «Mark. Se ci mettessimo a dormire, pensi di riuscire a unirci in un unico sogno?»

Il piccolo chipmunk ci rifletté un po’.

«Penso di sì»

«Bene!» Esclamò lei.

«Aspetta, che intendi fare?» Le chiese Simon.

«Se vogliamo che Mark usi i suoi poteri, prima di tutto dobbiamo entrare in un sogno condiviso. Non ti pare?»

«Già, immagino di sì»

«E oltre a Theodore, vorrei che veniste anche voi.» Disse rivolgendosi a Alvin, Brittany e Dave «Così potrete vedere Eleanor anche voi. Certo, sempre se questa cosa funzionerà»

«Mi sembra giusto.» Commentò Alvin. Anche Brittany e Dave, seppur ancora scettici, avevano deciso di collaborare.

«Mamma… io però continuo a dirti che non so come fare…»

«Non ti preoccupare di questo. Qualcosa ci inventeremo.»

«Quindi, che facciamo?» Domandò Theodore.

«Bhe, credo che potrei sottoporre tutti a una seduta d’ipnosi. Farò in modo che ci addormenteremo tutti insieme. Dopo di che ci penserà Mark a collegarci al sogno.» Suggerì Simon.

«Sì. Può andare. Cerca di collegarci al mio sogno, Mark. Se potrò controllarlo direttamente sarà più facile evitare che collassi in caso di problemi. Ma l’importante è che resti calmo. Sii sicuro di te così come quando vieni interrogato a scuola in un argomento che conosci bene, vedrai che non sarà difficile!»

«D’accordo mamma!»

I due si scambiarono un occhiolino d’intesa.

«Ok Simon, tocca a te.»

 

7.5:

Facendosi aiutare da Dave, chiusero tutte le tende presenti nel salotto. Allestirono poi alcune candele sul tavolino di fronte alla poltrona e le accesero.

Secondo Simon, avrebbero creato l’atmosfera rilassante di cui avevano bisogno per la seduta d’ipnosi.

«Bene, signore e signori. Ora fate quello che vi dico. Chiudete gli occhi, rilassatevi e cercate di svuotare la mente… » cominciò a parlare Simon, con un timbro di voce basso e lento. Quasi sussurrando.

Gli altri, obbedendo ai suoi comandi, restarono seduti a occhi chiusi sulla poltrona, ascoltando soltanto il suono della sua voce.

«Non ce nulla che vi possa distrarre, siete soltanto Voi e nessun altro… le vostre mani e i vostri piedi non hanno peso… i vostri corpi sono leggeri. Vi sentite come se steste volando… »

Mentre recitava la formula dell’ipnosi collettiva a cui stava sottoponendo gli altri, sentì che stava facendo effetto anche su se stesso. Più il tempo passava e più le sue parole divenivano sempre più flebili.

«Ora le vostre membra si fanno stanche… sentite la vostra mente annebbiarsi… vorreste dormire… e quando io ve lo dirò, voi…dormirete… »

 

7.6:

(Località sconosciuta)

Qualsiasi cosa fosse successa. Mark ora stava sognando. Ne era certo.

Forse era per merito dei suoi poteri da Viaggiatore dei Sogni, ma sta di fatto che poteva chiaramente percepire La differenza tra entrambi i mondi, quello reale, dove si erano addormentati, e quello del sogno, dove ora lui si trovava.

La realtà era solida fatta di superfici inalterabili, il Mondo dei Sogni era come una gelatina. Avrebbe potuto alterarlo a suo piacimento in qualunque modo e in qualunque momento desiderasse.

Sua madre gli disse che una volta entrato, avrebbe dovuto allacciare se stesso e tutti gli altri al suo sogno. Perciò, per prima cosa, doveva trovare il modo di raggiungere il suo “spirito”.

Il mondo che aveva creato nel suo sogno gli ricordava in modo incredibile una pizzeria nella quale avevano cenato un mese prima, ma nel suo sogno le persone presenti avevano volti che lui non aveva mai visto. Ad ogni modo, non c’era tempo da perdere, doveva trovare i sogni dei suoi genitori e degli altri.

La notte prima era avvenuto tutto in modo assolutamente casuale, si era collegato ai loro sogni semplicemente per istinto, ma ora, dovendo compierlo volontariamente, non aveva idea di come fare.

Ci rifletté su un po’, e gli venne un’idea. Forse era come cercare di ascoltare la voce di qualcuno in una stanza affollata! Si disse fra se e se. E’ sufficiente cercare di concentrarsi e provare a captare il “segnale”.

Quindi ci provò, e con sua immensa sorpresa si rese conto che era davvero facile! Eccoli lì! Poteva chiaramente percepire sei differenti presenze muoversi nei propri Mondi dei Sogni!

Chi di loro era sua madre? Come avrebbe fatto a trovarla? Ma soprattutto, come fare per raggiungerli, ora che li poteva chiaramente sentire nella sua testa?

Decise di fare un fuori programma, e visto che credeva di sapere come fare, fece in modo di unire tutti a un unico sogno. Gli era stato sufficiente focalizzarsi su una in particolare delle sei presenze e immaginarsi che fossero tutte raggruppate lì con lei, e funzionò!

Ora doveva raggiungerli, e ciò significava aprire un portale tra il suo Mondo dei Sogni e il loro. Tentò di nuovo di immaginarsi di raggiungerli, e subito dopo si aprì un portale proprio di fronte a lui, nel bel mezzo della stanza del suo sogno.

Non vedeva cosa ci fosse dall’altra parte del portale, ma non poteva tirarsi indietro, doveva attraversarlo.

Lo attraversò, e subito dopo, d’improvviso si era ritrovato sott’acqua.

Come ci era finito lì dentro?

Non sapeva nuotare, e quindi si limitò a dibattersi nervosamente nel tentativo di non affogare, ma d’un tratto qualcosa di freddo e metallico, come dei tentacoli di un mostro marino, o forse delle catene, gli si avvinghiarono intorno al corpo e lo trascinarono giù, nell’abisso.

Era impossibile che stesse veramente succedendo. Aveva appena imparato a padroneggiare parte dei suoi poteri e stava già per morire annegato senza nemmeno sapere il perché.

Allungò il braccio, come se si aspettasse che dall’alto una mano venisse ad afferrarlo per tirarlo fuori e portarlo in salvo. Pensava a sua madre e sperava che venisse a portarlo via da quell’incubo.

Sarà forse stata una semplice coincidenza, ma alla fin fine una mano che lo afferrò ci fu sul serio. Era forte, possente, ma era la mano di un chipmunk. Lo prese e lo tirò su con decisione, e le catene che lo stavano facendo affondare non potevano nulla contro la forza di quella mano.

Quando riemerse vide che era lo Zio Alvin, insieme a suo padre, e notò anche che non erano più in mare, bensì su una spiaggia.

Mark tossì due volte e si guardò intorno, tutti gli altri erano lì con lui.

«Mark, piccolo! Stai bene? Oddio, ti prego, scusami… è colpa mia!» Gli disse la Zia Brittany.

«Ma… che è successo? Stiamo ancora sognando?» Domandò il piccolo chipmunk.

«Sì… » intervenne Jeanette «ma siamo nel sogno sbagliato. Questo è quello di Brittany. Ti avevo detto di unirci al mio.»

«Lo so Mamma, scusami… è che non sapevo come fare. Ho… ho provato a collegarci al tuo, ma non riuscivo a capire quale era, così ho improvvisato.» Si scusò mortificato.

Jeanette gli passò delicatamente una mano sulla guancia, accarezzandolo.

«Non fa niente. Sei stato bravo comunque.»

«Ok, e adesso che si fa?» Chiese Dave.

«Non lo so, Dave. Dovremo cercare di capire come fare a trovare Eleanor.»

«Quella di prima… non era lei? Intendo, quella che stava affogando in mare?»

«No, Theo. Quella era solo parte del mio sogno. Credimi, non è la prima volta che ho questo incubo, e tutte le volte, dopo che Alvin riesce a tirarmi fuori dall’acqua, vedo Eleanor affogare in lontananza.» Gli spiegò Brittany.

«Oh… sì, capisco… ma allora? Come facciamo?»

«Mark?» Simon si fece avanti.

«Sì Papà?»

«Come hai fatto a trovarci prima? Ti è venuto in automatico?»

«No, ho provato a concentrarmi e a cercarvi, e ha funzionato. Sono riuscito a sentire le vostre presenze…»

«E per collegarci?»

«Mi è bastato immaginarlo… e ho fatto così anche per arrivare da voi.»

Simon rifletté su qualcosa. Poi si rivolse a Jeanette.

«Credi che possa funzionare anche per questo?»

Lei sbuffò.

«Non lo so… insomma, come ti dicevo, entrare nei sogni è un conto. Ma qui si parla di qualcosa che probabilmente nessuno ha mai tentato prima, e che forse non è nemmeno possibile fare… »

«Sto pensando intensamente alla Zia Eleanor, ma non riesco a percepire niente oltre a noi.»

«Non fa niente Mark, lascia stare, non affaticarti.»

Questa volta fu Alvin a farsi avanti.

«Ma tu dicevi di essere certo che ci saremo riusciti! Che dobbiamo fare allora?»

Simon fu restio a rispondergli, ma data la situazione, che altro poteva fare. Ormai erano dentro un sogno condiviso. La sua parte del piano l’aveva portata a termine.

«L’ho sognata questa notte… »

«Cooosa?!? Chi?» Chiese sgomento, Alvin.

«Eleanor… »

Jeanette quasi si strozzò.

«Che?? Ma stai scherzando? Tutto questo solo perché hai visto mia sorella in sogno?!»

«Sì lo so, Jean! E’ stato stupido! Ma ero convinto che avrebbe funzionato. Insomma… dopo la storia del sogno condiviso che abbiamo avuto ho pensato che significasse qualcosa… che fosse, che no so… una specie di segno!»

«Un segno di cosa?! Tutti noi abbiamo avuto incubi su di lei! Non puoi averlo pensato sul serio! Hai una laurea in psicologia e sei un professore dell’U.C.L.A.!! Come ti è venuto in mente una cosa del genere!»

«Adesso basta, Jeanette.»

La Chipette smise subito di gridare contro il marito e la sua espressione si paralizzò in una smorfia di shock. Così come quella di tutti gli altri, Mark compreso, anche se, al contrario del resto del gruppo, non aveva riconosciuto la voce che aveva appena intimato a sua madre di calmarsi.

«Non… ci posso credere… l-l’avete sentita anche voi?» Balbettò Dave, con la testa rivolta al cielo, come se cercasse qualcosa proveniente dall’alto.

«Sì, Dave… io sì…» Commentò Alvin.

«Ma… chi è?» Chiese Mark.

«Jean… io… dimmi che abbiamo davvero sentito la sua voce… »

«Sì Simon… credo sia lei.»

«Britt… anche questo fa parte del tuo sogno?» Le domandò alvin.

«No… questo no… »

«MA CHI E ??» Insistette Mark.

Qualcuno gli appoggiò una mano sulla spalla. Era Theodore.

«E’ lei, Mark… è tua Zia!»

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Capitolo 8
*** 8: Tutti sbagliano. ***


 

8.1:

«Forse anche questo fa parte del sogno…» Suggerì Dave.

«No Dave, te l’ho detto! Non ho mai sognato la voce di Eleanor!» Obbiettò Brittany.

«Non intendevo dire questo! Ma che forse fa parte del sogno di qualcun altro! Di Theodore magari, o di Simon!»

«No Dave, non è così.» Gli rispose la voce di Eleanor.

«Eleanor… dove sei?» Provò a chiedere Simon, ma non ci fu risposta.

«Mark, Jeanette. Riuscite a sentire qualcosa?» Chiese rivolgendosi a sua moglie e a suo figlio

«Io non ne sono in grado, Simon. Solo Mark potrebbe… » Rispose Jeanette.

«Non ci riesco nemmeno io! E’ come se non ci fosse! Riesco a sentire solo le vostre presenze, ma di lei niente! Però…» si ammutolì.

«Però cosa?» Domando suo padre.

«Mark?» Lo chiamò invece sua madre.

«Sta… sta per accadere qualcosa… »

Ci fu un breve istante in cui tutto si azzittì, subito dopo, però, un’altra violenta scossa sismica, simile in modo inquietante a quella del sogno della notte precedente, si manifestò con tutta la sua furia facendo sobbalzare tutti. Dave compreso.

«E adesso che diavolo succede?!» Chiese nervosamente l’uomo.

«Non può essere! Non sta succedendo di nuovo! Mark, ma che… »

«Mamma! Io non ho fatto niente questa volta! Lo giuro!»

«Ma allora come… »

Un’altra scossa sismica spaccò letteralmente in due l’isola in cui era ambientato il loro sogno.

«Pensiamo dopo alle domande! Mark, svegliaci, presto!» Gli ordinò Simon.

Mark si stava sforzando di rispedirli nella realtà. Credeva di sapere come fare, eppure avvertiva una specie di sensazione opprimente, come di qualcosa che gli stava impedendo di usare i suoi poteri da Viaggiatore dei Sogni.

Digrignò i denti, chiuse gli occhi e cercò di usare tutto quello che aveva imparato in quelle poche ore per impedire che la sua famiglia venisse inghiottita dal Nulla che sarebbe venuto quando il sogno sarebbe collassato.

Anche Jeanette cercava di inventarsi qualcosa per salvare la situazione.

Ai tempi in cui aveva conosciuto il Mark adulto, nei suoi sogni, oltre ad aver imparato ad usare molti dei poteri del suo futuro figlio, le era anche stato spiegato che i Sognatori, essendo “Vivi” erano molto più potenti dei Viaggiatori, perciò detenevano un certo vantaggio su alcune capacità.

Allora lei era molto più forte del Mark adulto, pertanto poteva compiere con molta più facilità azioni che a lui risultavano difficili se non impossibili, come alterare in modo complesso la realtà stessa del sogno o altri trucchetti simili.

Col suo intervento, sperava quindi di riuscire in qualche modo ad impedire il collasso del sogno in cui si trovavano, o di trasferire tutti in un altro mondo, dove sarebbero stati al sicuro. Ma questa volta la situazione era diversa. Mark non era più un semplice Viaggiatore, era un Viaggiatore “Vivo”, con un potenziale superiore a quanto lei avrebbe mai potuto sviluppare! Di conseguenza, se nemmeno Mark era in grado di fermare il collasso del sogno, quante speranze poteva avere lei di farcela?

Ci era riuscita una volta, questo era vero. Ma qualcosa nella sua testa le diceva che ora non avrebbe più avuto la stessa fortuna.

Nel frattempo, il mondo del sogno intorno a loro stava collassando sempre di più, nonostante gli sforzi congiunti di madre e figlio per mantenere il controllo sulla Materia dei Sogni che lo componeva.

«Non abbiamo molto tempo, fate qualcosa!» urlò Simon.

«Ci stiamo provando!  Ma è inutile!!» gridò invece Jeanette.

«Fermatevi.»

Era ancora la voce di Eleanor, sempre così distante ed enigmatica.

«Cosa?»

«Fermatevi, Jeanette. Andrà tutto bene.»

«Ma… il sogno sta…»

«Non vi succederà niente. Fidatevi di me.»

Jeanette si fermò. Ammutolita dalla strana richiesta della voce di sua sorella.

«Mamma? Cosa devo fare?» Le chiese Mark, che nel frattempo stava ancora provando a riportarli tutti alla realtà, cercando di farli svegliare.

«Fermati anche tu, Mark.» Gli disse la voce di Eleanor.

Il piccolo chipmunk guardò verso sua madre.

«Mamma… ?»

«Fa come dice.» Gli disse lei.

«Ok…»

«Jeanette… sei sicura di fare la cosa giusta?» Intervenne Brittany.

«Non lo so, Britt. Lo spero.»

«Dannazione! In che situazione siamo finiti?!» Commentò Alvin.

I sei chipmunk e Dave attesero in ansia che succedette qualcosa, mentre intorno a loro, come in una scena già vista non molto tempo prima, le scosse sismiche facevano crollare progressivamente intere porzioni di sogno, che precipitavano in profondi baratri neri disgregandosi in Materia dei Sogni.

«Come facciamo a essere sicuri che quella sia davvero lei?» Domandò Dave, estremamente turbato.

«Sono io, Dave. Fidati di me… fidatevi tutti. Presto capirete.» rispose la voce.

Senza dare nell’occhio, Jeanette aveva cercato di sforzarsi di svegliare almeno se stessa, ma senza riuscirci.

Ormai non avevano comunque scelta. Era tardi per fare qualsiasi cosa.

Pochi minuti dopo, l’ultima porzione del sogno rimasta integra, quella in cui il gruppo si trovava, precipitò nel vuoto insieme a loro.

Dave, Alvin, Brittany e Theodore iniziarono a gridare mentre i loro corpi cadevano nel baratro sottostante. Mark gridò aiuto ai suoi genitori, anche se non potevano aiutarlo in nessun modo. Mentre, per quanto riguarda loro. L’unica cosa che fecero era di guardarsi l’un l’altra, prima di chiudere gli occhi e aspettare di scoprire cosa sarebbe successo alla fine di quel baratro.

 

 

 

 

 

8.2:

Fu una sensazione veramente strana.

Mentre precipitavano, ci fu uno strano bagliore bianco, seguito da un acuto stridio molto simile a quello di un vetro sul pannello di una lavagna.

In seguito, lei e il resto del gruppo si trovarono a levitare nel vuoto, in una realtà che le ricordava stranamente il Nulla del suo sogno di tanti anni prima, quando aveva fatto la conoscenza del Mark Viaggiatore dei Sogni. Anche se in questo caso non era proprio la stessa cosa.

Il Nulla del sogno di Jeanette era nient’altro che una riproduzione del cosmo, con la Via Lattea, le costellazioni e i pianeti, un Mondo dei Sogni che aveva sognato perché a quei tempi condivideva con suo marito la passione per l’astronomia. Quello in cui, invece, si trovavano ora era un vero e proprio Nulla. Una realtà vuota e apparentemente infinita, nella quale loro levitavano come se la gravità non esistesse più.

«Che sta succedendo, stiamo ancora cadendo?» Domandò Alvin, più perplesso che spaventato.

«No… non credo. Sembra quasi di stare in una stanza a zero G.» Rispose Simon.

«Non per essere sgarbato, ma che accidenti è una stanza a zero G. ?»

«A zero gravità, Alvin.»

«Ahh! Ok. Adesso mi è tutto più chiaro… quindi? Che succederà adesso?»

Theodore stava levitando di fianco a Brittany, Mark e Dave. Cercò di spingersi in avanti, superare il gruppo muovendosi nel vuoto come se nuotasse nella gelatina.

«Ellie… sei qui?» Chiese ruotando il capo in tutte le direzioni possibili e cercandola.

«Appoggiate i piedi a terra.» Disse la voce di Eleanor.

«Terrà? Ma dove? Io non la vedo… » Obbiettò Mark.

Jeanette aveva assistito a troppe cose strane nel corso della giornata, quindi si disse che avrebbe seguito le indicazioni della voce della sorella.

Si spinse all’indietro usando le braccia e non appena si trovò in posizione verticale allungò il piede destro fino ad appoggiarlo ad una superficie solida ma invisibile. Allungò anche il secondo piede e finalmente la gravità tornò a funzionare nel modo giusto.

Pavimento invisibile. Anche questo era un elemento in comune con il Nulla del suo vecchio sogno.

«Scendete pure, è sicuro.» Avvisò gli altri Jean, e anche lo, uno dopo l’altro, scesero al suo livello e si riunirono in gruppo.

«Ellie, dove sei?» Domandò , ansioso, Theodore.

Ma nessuno gli rispose.

«Ellie?»

Insistette ancora un paio di volte, ma ancora nessuna risposta.

«E’… è sparita… Mamma?»

«Non lo so, Mark. Eleanor, se sei qui… se ci senti. Hai detto che dovevamo fidarci. Che dobbiamo fare adesso?»

Il silenzio fu la sola cosa che si sentì.

«Fantastico… » commentò Alvin «Siamo arrivati fin qui per niente… haia!!» Brittany lo azzittì con una gomitata sul fianco. Poi gli indicò con un cenno della testa Theodore.

Il chipmunk aveva un’espressione di delusione e tristezza che sarebbe stata in grado di spezzare il cuore a chiunque. Esattamente come era spezzato il suo in quel momento.

Aveva così tanto sperato di poter rivedere la sua Eleanor ancora una volta, e quella voce che li aveva guidati fino a lì e che era stata come un faro che portava luce nella nebbia del suo animo affranto dal dolore, ora sembrava sparita nel nulla.

Teneva la testa rivolta verso il basso, con lo sguardo fisso verso quel pavimento invisibile sopra il quale stavano in piedi.

Dave, che si sentiva il gigante del gruppo, cercò di sfruttare la sua altezza per scrutare in lontananza, sperando di notare nell’orizzonte qualcosa che ai chipmunk era sfuggito.

«C’è un modo per svegliarci?» Chiese Simon rivolgendosi a Mark e Jeanette.

Lei sospirò.

«Non lo so, possiamo provarci.»

«Aspettate!» Esclamò Dave.

«Cosa? Che c’è?» Domandò Alvin.

«Lì in fondo! C’è qualcosa!»

Tutti guardarono verso la direzione che Dave stava puntando con l’indice destro, anche Theodore, e videro a una decina di metri di distanza da loro una specie di piccola luce che si stava avvicinando procedendo lentamente e con passo regolare.

Non sembrava levitare nel vuoto, era invece a terra e pareva fosse all’incirca delle dimensioni di Mark.

Non era facile riuscire a distinguere una forma, poiché l’oscurità del vuoto creava un contrasto con l’intensità della luce emessa da quel piccolo corpo, che li accecava col suo riverbero.

Dopo un breve momento di stupore, però, i Nostri non ebbe più bisogno di distinguere le sue forme per capire cosa fosse quell’entità che si stava avvicinando.

Forse era Eleanor. Ipotizzarono i Chipmunks e le Chipettes.

Sì, è lei! Costatò invece Dave, che dalla sua altezza riusciva a vederla meglio di tutti.

 

8.3:

Per Theodore fu l’attesa più snervante della sua vita.

La piccola luce accecante che si stava dirigendo verso di loro era troppo lenta perché lui potesse aspettarla.

Forse non era la scelta migliore che avrebbe potuto compiere, ma dimenticandosi degli altri, che come lui attendevano con trepidazione il suo arrivo, decise di farsi avanti e di raggiungerla per primo.

«Theodore, fermo. Che fai?» Gli chiese Dave.

Il chipmunk lo ignorò e cominciò a camminare verso la luce, da prima con piccoli titubanti passetti, che divennero ben presto una marcia spedita.

Completò gli ultimi metri che lo separarono dal piccolo corpo luminoso, e finalmente la vide. Eleanor. Proprio lì, di fronte a lui.

La luce che avvolgeva il suo corpo ora si era fatta meno intensa e lui poté osservarla senza rimanere abbagliato dalla sua intensità.

Era giovane. Aveva ancora l’aspetto che aveva il giorno dell’incidente, persino lo stesso vestito, quel maglioncino verde che era diventato parte della sua persona al pari dei suoi due codini nei capelli. E sorrideva, serena come se non fosse successo mai niente.

«Ciao Theo.»

La mente di Theodore era percossa da mille domande.

Era davvero lei? Gli aveva davvero parlato? Perché era così serena? Perché li ha condotti fin lì? Ed era stata davvero lei a farlo? La voce che li ha guidati era davvero la sua?

Domande a cui sperava che Eleanor potesse rispondergli.

«Si. Sono proprio io.» Gli rispose come se gli avesse letto nel pensiero, poi si protrasse in avanti e lo abbracciò. Quando lo fece, Theodore poteva sentire la solidità delle sue braccia stringersi intorno a lui. Qualunque cosa fosse quella Eleanor, non era di sicuro un fantasma, non del tipo che lui conosceva.

Per anni aveva desiderato di poterla rivedere ancora una volta. Stringerla a se. Ma ora che si trovava faccia a faccia con lei, in un contesto talmente strano e di fronte a una persone che ormai non dovrebbe esserci più. Non riusciva a manifestare altro sentimento al di fuori dell’incredulità.

«Ellie?» Era Brittany ad averla chiamata.

Lei e il resto del gruppo avevano deciso di raggiungerla poco dopo Theo.

«Britt! Jean! E’ bello avervi qui, sorelline!» Esultò prima di correre ad abbracciare anche loro.

Di tutto il gruppo, Eleanor sembrava l’unica a non sentirsi in alcun modo stranita da tutta la situazione.

«Ellie… come mai sei qui? Pensavamo che fossi… morta… » Iniziò a parlare Jeanette.

Il volto di Eleanor si fece serio.

«Già, è così infatti… »

Andò verso Alvin e Simon.

«Ragazzi...»

Alvin ebbe un istante di esitazione, poi aprì le braccia e si fece abbracciare come gli altri.

Dopo aver ripetuto il rito anche con Simon, Eleanor si scostò da lui.

«Vedo che ce l’hai fatta.» Disse rivolgendosi a Simon, e andando poi da Dave.

Mentre l’anziano prese in mano la piccola Chipette. Il chipmunk con gli occhiali scambiò alcuni sguardi interrogativi con gli altri.

Eleanor fece alcuni commenti sul conto della folta barba di Dave, dicendogli che stava bene con essa, poi, quando l’uomo la appoggiò a terra, lei si diresse anche verso Mark.

«E tu devi essere il mio nipotino!»

«S-sì… sono Mark… »

«Sì, lo so.» Gli disse sorridendogli.

«Ellie… cosa volevi dire prima?» Si fece avanti Simon d’improvviso.

Eleanor si voltò verso di lui.

«Quando ti ho detto che ce l’avevi fatta, vuoi dire?»

«Sì… »

Eleanor sospirò e si allontanò di pochi passi.

«Ragazzi. Lo so che la situazione in cui vi trovate ora vi sembra strana. Ma la verità è che avevo bisogno di rivedervi ancora una volta.»

«Rivederci?»

«Si Dave… soprattutto te, Theo.» Tornò da lui e gli mise una mano su una guancia, non potendo fare a meno di distogliere lo sguardo dal pessimo stato in cui si trovava quello che una volta era il suo migliore amico. Con il corpo così deperito, i ciuffi di pelo mancanti, l’evidente espressione di malinconia che negli anni aveva scavato il suo viso, anche ora che la felicità di averla ancora vicino a se gli aveva momentaneamente fatto dimenticare tutto il periodo nero trascorso fino ad ora.

«Che cosa ti è successo? Perché ti sei ridotti così, Theodore?»

I Seville si guardano tra di loro con sguardi imbarazzati, ben consapevoli di ciò che Eleanor voleva dire.

Alvin si passò la mano tra i capelli.

«Già, non ce la siamo passata molto bene da quando non ci sei più… » cominciò «però ora siamo qui, no?»

«Sì, Alvin. Siete qui. Ma fino ad ora? E non mi rivolgo solo a te, che te ne sei andato, o a Brittany che ti ha seguito… mi rivolgo a tutti voi, ragazzi. Come avete potuto comportarvi in questo modo? Come avete potuto permettere che il mio Theo si riducesse così?» Chiese indicandolo con entrambe le braccia.

Nessuno di loro era in grado di darle una risposta, ma tutti unanimemente erano costretti ad ammettere che aveva ragione. Poi, però, il raziocinio prese il sopravvento sui sensi di colpa di Simon, e un dubbio cominciò a insinuarsi nella sua mente.

«Come… come fai a sapere queste cose?»

Eleanor lo fulminò con lo sguardo, come se si sentisse offesa dalla domanda del chipmunk.

«Vi ho osservati, Simon. Vi osservo da tanto tempo… »

Eleanor cominciò a dar loro spiegazioni sul perché si trovassero lì.

Mentre parlava, Dave, Mark e i Chipmunks ascoltavano con attenzione ciò che la Chipette aveva loro da dire. Brittany e Jeanette, invece, stavano comunicavano tra loro con lo sguardo. Non c’era bisogno delle parole per quello che dovevano dirsi, perché entrambe sapevano a cosa l’altra stava pensando. Le parole di Eleanor risvegliarono ancora una volta, anche nelle due sorelle, il ricordo delle vicende che avevano condotto la loro famiglia al distacco, già, perché non era solo Alvin il responsabile di tutto. Anche Brittany aveva le sue colpe, e insieme a lei, anche Jeanette, che forse a ben pensarci, potrebbe essere stata la vera responsabile di tutto.

 

8.4:

10 ANNI PRIMA (Los Angeles)

Si dice che il tempo ha il potere di guarire tutte le ferite, ma con regole precise.

Come i graffi più profondi, che guarendo non scompaiono mai del tutto, ma lasciano comunque traccia del loro passaggio con le cicatrici, anche le tragedie peggiori guariscono, lasciando però nella mente di chi le ha subite il ricordo di quei drammatici momenti.

Ed era così che avevano trascorso la loro vita, quelli della famiglia Seville, nel corso dei sei anni seguenti alla morte della loro Eleanor.

La Band non esisteva più. I concerti, le interviste, i CD  e i tour facevano parte del passato.

Ognuno aveva cercato di andare avanti come poteva.

E così, mentre Theodore era caduto in uno stato di catalessi quasi perenne dovuta alla convinzione di essere in qualche modo responsabile della sua morte, Simon insieme a Jeanette, e Alvin insieme a Brittany avevano proseguito con le strade che si erano prefissati fin dall’inizio.

Jeanette ormai era all’ultimo anno del suo periodo di college e passava le giornate a dedicarsi allo studio per affrontate l’esame finale e conseguire la laurea, mentre Simon era intenzionato a inseguire un sogno che all’apparenza poteva sembrare irrealizzabile, voleva cioè diventare egli stesso un docente dell’ U.C.L.A., e per farlo avrebbe dovuto affrontare delle imprese immani. Non solo per la difficoltà in se che raggiungere un tale ambizioso posto di lavoro comportava, ma anche per il fatto di dover convincere il mondo intero che uno scoiattolo parlante che da giovane era stato anche una rock star di successo aveva le carte in regola per essere degno di insegnare in una delle università più prestigiose d’America!

Nel frattempo, mentre Alvin proseguiva alla Jet Records il lavoro che gli era stato rimediato qualche tempo prima da Ian Hawke, Brittany stava dedicando tutta se stessa all’avvio della sua attività da insegnante di ballerina.

Ogni cosa stava seguendo il suo regolare corso degli eventi, finché un giorno, il 17 Maggio 2018, l’allora ventiquattrenne Jeanette scoprì qualcosa che rischiava di compromettere per sempre tutti i suoi sforzi per conquistare la laurea tanto desiderata.

Era accaduto tutto troppo in fretta. Le emozioni avevano preso il sopravvento e la natura alla fine aveva deciso per lei, ma se solo si fosse fermata un attimo a riflettere alle conseguenze, sicuramente si sarebbe potuta evitare ogni cosa.

Era tarda serata. Una serata che Simon e Jeanette avevano deciso di dedicare solo ed esclusivamente ai loro studi.

Nel campus universitario erano riusciti a farsi assegnare la stessa stanza, che dividevano con altri due compagni di corso di Simon, che però quella sera non c’erano.

Erano l’1.00 o forse l’1.30 di notte quando Simon decise di chiudere i suoi testi e di andare a letto dopo aver augurato alla sua ragazza la buona notte con un bacio.

Jeanette restò a studiare ancora per un po’, finché la sua testa riusciva ancora ad assimilare qualche nozione da quel che leggeva, dopo di che, trascorsi quaranta minuti, anche lei decise di chiudere.

Salì sul letto nel quale dormiva Simon, che dividevano in due, ed entrò sotto le coperte cercando di non svegliarlo. Un senso di inquietudine però  le impedì di addormentarsi. Non era per gli esami che avrebbe dovuto sostenere, no. Era per Eleanor. Le mancava il suo dolce sorriso e la sua solare allegria, ripensò a lei, agli anni dell’infanzia trascorsi insieme, ai concerti, alle avventure con i Chipmunks, e ora, niente, non c’era più. Volata via come una foglia trasportata dal vento, per non fare più ritorno al suo albero.

Una lacrima le scese sulla guancia mentre portava le mani al viso per evitare che il pianto e i singhiozzi svegliassero il suo amato Simon.

Mentre piangeva in silenzio, la mano del suo ragazzo le si poggiò sul braccio.

«Hey, hey… che succede?» Le domandò.

«Oh… scusami…» cercò di asciugarsi le lacrime e di tirar su col naso del muco con il quale il pianto le aveva riempito le narici «non volevo svegliarti… torna a dormire.»

Con un’espressione compassionevole sul volto, Simon le accarezzò il viso con una mano.

«Lo sai che a me puoi dire tutto. Coraggio.»

«E’… è Eleanor… mi manca mia sorella, Simon, mi manca tantissimo!»

«Lo so, amore. Manca moltissimo anche a me, ma se fosse qui in questo momento credo che l’ultima cosa che vorrebbe per noi è vederci soffrire così tanto per lei.»

«Sì. Hai ragione… è solo che qualche volta mi chiedo se fosse stato possibile fare qualcosa per impedirlo, come è successo a noi… credi che sia una pazza a pensarlo?»

Simon ci rimuginò su per alcuni secondi, alla ricerca di una buona risposta da darle.

«Io credo che se Mark avesse potuto fare qualcosa per salvare anche lei, l’avrebbe fatto.»

«Ne sei sicuro?»

«Certo che lo sono… non saremo nemmeno qui altrimenti.»

Seguì una breve pausa di riflessione, durante la quale, mentre Jeanette rifletteva sulle parole di Simon, lui restava lì ad aspettare che lei reagisse in qualche modo.

Poco dopo. Pensando di dover essere lui a giungere per primo alla conclusione, le chiese «Va un po’ meglio?»

«Sì… » anche se non ne sembrava convinta.

«Allora che ne dici se andiamo a dormire adesso, sai come si dice: “La notte porta buoni consigli”»

«Già… » rispose accennando un timido e indeciso sorriso.

Simon le diede un altro piccolo bacio sulle labbra prima di rimettersi a letto.

Jeanette chiuse gli occhi. Ma i mille pensieri che le frullavano nella testa le impedivano ancora di prendere sonno.

Simon aveva ragione, si disse tra sé e sé, Mark avrebbe salvato anche Eleanor se solo ne avesse avuto la possibilità.

Certo è triste, quando credi di crescere col libero arbitrio, scopri poi che tutte le tue scelte, in realtà sono già scritte. Dove vai, chi conosci, come vivi. Tutto fa parte di uno schema prestabilito.

Forse anche il fatto di essere sfuggiti alla morte faceva parte di un qualche piano.

Era assurdo pensare che in un mondo dove tutto era stato già deciso da un potere più alto, loro due ora erano gli unici a poter beneficiare di quel grande privilegio che era la libertà di scegliere.

No. Simon e Jeanette erano vivi per una ragione. Doveva per forza essere così.

Trovandosi dieci anni dopo di fronte al fantasma di Eleanor, a rievocare il ricordo di quella notte, si chiese cosa l’avesse spinta a fare quello che di li a poco avrebbe fatto, ma in quel momento, nel passato, non pensò a nulla. Sentiva solo il bisogno di farlo, guidata forse da un istinto che credeva assopito da anni.

Strisciò verso Simon e prima ancora che lui, svegliandosi, avesse il tempo di chiederle cosa stesse facendo, lei era già sopra di lui intenta a baciarlo con una passione irrefrenabile.

Qualsiasi cosa avesse spinto Jeanette a comportarsi in quel modo, Simon non volle scoprirlo, e lasciò che gli istinti prendessero il controllo del suo corpo così come accadde a Jeanette.

Quella sera si concluse in un modo che nessuno dei due avrebbe potuto prevedere e ci vollero appena due giorni perché Jeanette si rendesse conto di quanto grave fosse stato il suo errore.

Quella notte era il 15 Maggio 2018, e la mattina del 17 Maggio dello stesso anno, dopo essersi sentita strana per diverse ore, scoprì con spaventoso stupore di essere incinta.

 

8.5:

Non era facile poter dare una descrizione ben precisa di come avessero accolto la notizia i restanti membri della famiglia Seville.

Da una parte, tutti sapevano che prima o poi sarebbe accaduto per forza, dato che a confermarglielo era stato il Viaggiatore dei Sogni Mark, dall’altra invece ci fu l’ovvia sensazione di incredulità dello scoprire che si stava realmente concretizzando la sua previsione. Ma a rendere le cose più difficile e inopportune era il periodo in cui tutto avvenne.

Ormai l’esame finale per la laurea era alle porte e Jeanette si trovò nella situazione di dover affrontare una gravidanza nel periodo più stressante e difficile della sua vita.

Simon faceva il possibile per sostenerla, anche a costo di sacrificare il suo sogno di diventare professore all’ U.C.L.A. e nei giorni seguenti alla scoperta di Jeanette, anche Dave e Brittany cercavano di fare il possibile per sostenerla.

Per quanto riguarda Alvin, aveva deciso di starne fuori. Anche lui come Theodore, non era stato in grado di reggersi nell’oblio nel quale era stato trascinato dopo l’incidente. Si era visto costretto a dare l’addio a un’amica e quasi a un fratello, mentre tutto quello che il suo nome rappresentava andava completamente allo sfascio con la decisione di sciogliere per sempre la band.

Amava Brittany, ma non provava più alcun interesse per le vicende della famiglia. Quando la sua compagna gli comunicò la notizia, decise che avrebbe mostrato un minimo di interessamento solo ed esclusivamente per rispetto nei confronti del fratello Simon, per il resto invece, non pensava ad altro che non al suo lavoro.

 

8.6:

13 GIUGNO 2018 (Casa Seville)

Era una serata particolare.

A causa degli impegni che un po’ tutta la famiglia doveva sostenere quotidianamente da alcuni mesi, Dave non aveva più la possibilità di trascorrere del tempo con i suoi ragazzi.

L’unico che gli restava era Theodore, che purtroppo continuava a restare chiuso nel suo silenzio. Alvin e Brittany avevano il loro lavoro e Simon e Jeanette per la maggior parte del tempo passavano le giornate a studiare e a trascorrere le notti nella camera del loro dormitorio. Solo di recente lo stato interessante di Jeanette li aveva riavvicinati un po’, ma erano ancora lontani dall’unione che avevano avuto prima dell’incidente.

Per rimediare, Dave decise di organizzare una piccola cena di famiglia con la quale si augurava sul serio di poter trascorrere una piacevole serata in compagnia dei suoi ragazzi, ormai divenuti grandi.

Si assicurò che fosse tutto pronto e attese il loro arrivo con trepidazione.

Simon, Brittany e Jeanette arrivarono insieme in taxi e si accomodarono a tavola chiacchierando e scherzando nell’attesa del rientro dal lavoro di Alvin.

Ci fu uno scambio di domande e risposte di Simon e Dave riguardo alle condizioni di Theodore, che come già detto, non sembrava migliorare in nessun modo, benché Dave l’avesse già fatto sottoporre e diverse sedute psichiatriche.

Mentre parlavano, se ne stava seduto da solo in un angolo della poltrona in salotto, e anche se si fosse accorto che si stava parlando di lui, non avrebbe comunque fatto niente per reagire.

Alvin arrivò venti minuti dopo gli altri, e dopo aver salutato tutti e posto un paio di domande riguardo la gravidanza di Jeanette, che era già a quasi un mese, si accomodò a tavola insieme agli altri.

Dave portò un piccolo vassoio con la cena per Theodore, che a quell’epoca, nonostante il suo stato, mangiava ancora senza problemi il cibo che gli veniva offerto, e ritornò dagli altri per dare il via alla serata.

 

8.7:

Nel bel mezzo della cena, tra una battuta ironica, il racconto di qualche aneddoto universitario e diverse domande riguardo il futuro da genitori di Simon e Jeanette, Alvin, di punto in bianco diede un paio di colpetti al suo bicchiere di vetro, nel quale era contenuta della Cola, per richiamare l’attenzione degli altri.

«Devo fare un piccolo annuncio, ragazzi!»

Calò improvvisamente il silenzio e tutti guardarono con curiosità Alvin, per sentire ciò che aveva da dire.

«Vi ricordate di quella proposta del contratto da solista di cui vi avevo parlato tempo fa?» Chiese rivolgendo lo sguardo a Dave e Brittany, che sapevano di cosa stesse parlando.

«Se ce ne ricordiamo? E’ da giorni che non parli d’altro!» Commentò Dave.

«Ehehehe, già! Bhe, dovete sapere che…»

«Aspetta Al… contratto da solista?! Di cosa state parlando?»

«Ah, è vero Simon. Voi due non sapete niente. Bhe è successo la settimana scorsa. Ero a lavoro quando si è presentato questo tizio… un pezzo grosso della Jet Records credo, che mi ha fatto questa proposta di tornare a cantare per un paio di anni (tre forse) come solista per alcune canzoni su cui stavamo lavorando in studio. Voleva sapere se ero interessato e aveva detto che avrebbe dovuto scegliere tra me è un altro paio di nomi che erano nella sua lista. Per il momento avrei solo dovuto dare la mia disponibilità o meno.»

«Gli ho detto di accettare… » continuò Brittany al posto suo «i fan non hanno mai preso molto bene la notizia dello scioglimento della band dei Chipmunks e delle Chipettes, così abbiamo pensato che magari sarebbe potuta essere una buona occasione per un breve ritorno… ma quindi, che hanno detto? Ti hanno scelto?»

«Ehehe, certo!»

«Dici sul serio?! Ma è fantastico!!»

«E non hai ancora sentito la parte più bella! Ho chiesto loro se c’era posto anche per te, se c’era la possibilità di farti fare alcuni duetti con me, cose del genere, e lo sai? Hanno accettato!»

«Mi prendi in giro?!»

«No, sono serio!!»

Brittany saltò in piedi e andò ad abbracciare Alvin, per poi iniziare a ringraziarlo e baciarlo felice come non lo era stata da anni.

«E’ una notizia fantastica, Alvin! Allora, quando inizierete?» Domandò Dave.

«Presto! Tra un paio di giorni dovremo partire per New York, e a settembre inizieremo a registrare nella sede di Manhattan!»

«Come?!?»

Brittany fece un passo indietro.

Anche gli altri ebbero la stessa reazione di stupore.

«Che c’è, Britt?»

«Non mi avevi detto che saremo dovuti andare a New York!»

«Come sarebbe a dire? Sì che te l’ho detto!»

«No! Non l’hai mai fatto!»

«Alvin, ti rendi conto che è dall’altra parte degli Stati Uniti?!» Gli chiese con aria sbigottita Simon.

«Credi che non lo sappia, genio? E comunque, si può sapere che vi è preso a tutti d’improvviso? Britt, che c’è? Pensavo che ne saresti stata felice!»

«Alvin, non possiamo andare a New York!»

«Cheee?? E perché, scusa?!»

«Come sarebbe a dire “perché”?? Non pensi a Simon e a mia sorella? Hanno bisogno di me… di noi! E ora più che mai! Non possiamo partire così di punto in bianco piantandoli in asso! E poi, come la mettiamo con il mio corso per insegnare ballo, ci hai pensato?»

«Ma Britt, ci sono ottime scuole anche lì, lo sai!»

«Brittany ha ragione! Alvin, questo è il momento meno opportuno per fare viaggi di quel genere.» Si intromise Dave.

Ad Alvin montò improvvisamente dentro una rabbia indescrivibile.

«Ohh, ma pensa per te, Dave! Non hai il diritto di intrometterti nella faccenda!!»

«Ma, Alvin… »

L’uomo restò ammutolito. Incapace di concepire che a rispondergli in modo tanto sgarbato era stato proprio suo figlio Alvin.

«Alvin, è con Dave che stai parlando, adesso finiscila, ti stai comportando come un dannato egoista!!» Lo intimò Simon dopo essersi alzato dal suo posto.

«Cooosa?!? Chi è l’egoista qui?!? Tu e Jeanette vi divertite tutta la notte con le vostre cose e dopo venite qui a pretendere che io mi giochi la mia carriera per colpa vost… »

Non finì la frase. Brittany lo aveva colpito con un potente schiaffo che  rimbombò per la stanza.

«Non parlare in questo modo di mia sorella, chiaro?!»

La guancia di Alvin cominciò a bruciargli, ma riuscì a fermare la sua furia.

Ora al posto della rabbia, provava solo frustrazione.

Sperava, anzi, era convinto che con quell’annuncio avrebbe dato una notizia con la quale avrebbe allietato ulteriormente la serata. Invece quello che ottenne era solo uno schiaffo da parte di Brittany.

«Sì.» Disse per risponderle. «Credevo che ne saresti stata felice, l’ho fatto per te.»

Detto questo, saltò giù dal tavolo e uscì fuori dalla stanza.

«Alvin, dove stai andando?» Gli domandò Dave, che aveva deciso di chiudere un occhio per l’aggressione che aveva appena subito dal chipmunk.

Il chipmunk non volle rispondergli.

Percorrendo il corridoio, all’entrata del salotto trovò Theodore intento a seguirlo con lo sguardo. Probabilmente aveva sentito la discussione e aveva deciso di uscire temporaneamente dal suo stato associale per capire cosa stesse succedendo. Lo sguardo dei due fratelli si incrociò per un istante, prima che Alvin cominciasse a salire le scale per raggiungere la stanza di lui e di Brittany (che un tempo apparteneva alle Chipettes).

Era arrabbiato. Cercava di controllare il respiro e di mantenere il controllo, ma le mani gli formicolavano, e lui desiderava solo sfogarsi con qualcosa.

Guardò la parete sulla sua sinistra e decise di farne il suo bersaglio. La colpì con violenza cinque volte, tanto da ferirsi leggermente le nocche di entrambe le mani, ma quel dolore lo aiutò a ristabilire il controllo.

Andò verso l’armadio, dove sapeva che Dave teneva alcune delle loro valige.

Trovò la sua e quella di Theodore e Jeanette, ma non sapeva dove fossero le altre tre. Ad ogni modo, afferrò la sua per la maniglia e la tirò fuori.

La apri e ci guardò dentro.

Voleva partite per New York, accettare l’offerta. Anche dopo quella ridicola discussione che si era appena tenuta nella sala da pranzo.

Restò a fissare per alcuni secondi l’interno vuoto della valigia, finché qualcuno non lo raggiunse.

«Alvin…» Era Brittany.

Lui sospirò.

«Che c’è?»

«Che stai facendo?»

Già, bella domanda Alvin, “Che stai facendo?”, si chiese fra sé e sé. Ripetendo a mente le parole della Chipette.

«Non lo so nemmeno io.» si voltò verso di lei a la fisso dritta negli occhi. «Ti chiedo scusa per prima, davvero. Ma io partirò comunque.»

Brittany sbuffò.

«Alvin, dai su, smettila…»

«Non sto scherzando, Britt. Io partirò…» si diresse verso di lei e quando le fu vicino le prese la mano «… e vorrei che tu venissi con me.»

«Lo sai che non possiamo farlo… io vorrei venire, credimi… ma devo stare con mia sorella, cerca di capire, ti prego. Ha sofferto tantissimo per Eleanor, non possiamo abbandonare lei e Simon… e poi, non ci pensi a Dave e a Theodore?»

«Britt… anch’io ho sofferto per Ellie, e tu lo sai. Ma qui non reggo più! Devo andarmene da questa casa, ho bisogno di ricominciare, e… non posso farlo senza di te… ».

Brittany restò in silenzio, dubbiosa e incapace di rispondere.

«Sono anni che loro sono lontani da casa. Stanno in quei loro dormitori del campus e non pensano ad altro che studiare. Noi siamo sempre rimasti qui! Ssono loro che se ne sono andati per primi, e adesso vorrebbero farci credere che noi gli siamo indispensabili?!» Continuò allora Alvin.

«Alvin, quello è un altro discorso… Simon e Jeanette vanno al college. Lì devono per forza studiare tutto il giorno se vogliono andare avanti e costruirsi un futuro…»

«Anche lì dove dovremo andare noi ci aspetta il futuro… il Nostro!»

«Questo l’ho capito, ma no ti sembra di correre un po’ troppo? Insomma, dove vivremo, cosa mangeremo?»

«Prima avevo cercato di dirtelo, ma non me ne hai dato il tempo. Se firmiamo il contratto ci offriranno vitto e alloggio fino a che non inizieremo a registrate, poi coi soldi che faremo potremo pagarci l’affitto di un appartamento tutto nostro, ci pensi! Potremo vivere come esseri umani! Potremo tornare a fare quello per cui siamo nati! Cantare e ballare, non è quello che hai sempre voluto?»

L’entusiasmo nelle parole di Alvin era palpabile nell’aria, ma Brittany, benché più disponibile di prima a rivalutare la proposta, aveva ancora dei forti dubbi.

«Alvin… noi… noi siamo solo dei chipmunk… come faremo a gestire una casa per umani? Non… non essere ridicolo…»

Alvin avvicinò il suo viso a quello della sua ragazza, e quando era a pochi millimetri da lei, le diede un lungo e tenero bacio, diverso dai soliti abitudinari che si scambiavano quotidianamente. Quello era un vero bacio, lento, delicato e suadente.

«Qualsiasi cosa dovremo affrontare, potremo farcela, se lo faremo insieme.»

Le sue parole riuscirono a fare breccia nel cuore di Brittany. Mentre lo guardava negli occhi da così vicino, riusciva a leggere in essi tutta la felicità che sprizzava. Era felice, e Brittany finì per essere totalmente ammaliata dalla sua gioia.

Era riuscito a convincerla. Alvin non aveva bisogno di una conferma a parole per capirlo.

«Lo sai che gli altri non la prenderanno bene?» Lo avvertì lei.

Alvin abbassò lo sguardo.

«Sì… ma sai, di loro non mi importa niente!»

Brittany gli sorrise. Non seppe spiegarsi nemmeno lei perché lo fece, ma c’era una cosa che ormai aveva capito. Voleva andare con lui! Ormai era decisa.

 

8.8:

Brittany aveva ragione. Non la presero per niente bene.

Era salita con l’intento di far ragionare Alvin e convincerlo a desistere, ma scendendo con lui era solo riuscita a convincere se stessa a seguirlo in quell’assurdo viaggio a New York.

Simon andò su tutte le furie quando gli comunicarono la notizia, e la discussione fra lui e Alvin finì per essere molto simile a quella avuta con Brittany: tirarono in ballo l’università, lo stato di Jeanette, le domande su dove avrebbero vissuto durante i primi mesi a New York. La sola differenza è che sta volta le cose non si risolsero a favore di Alvin, come nella precedente discussione.

Simon, fuori di se, uscì dalla stanza e chiamò un taxi, dicendo che se ne sarebbe andato e che per lui la serata era finita lì.

Brittany e Jeanette non si dissero nulla per tutto il tempo. Il loro litigio si basò su sguardi di odio e rabbia e anche se non lo disse apertamente, lei odiò Brittany per la sua decisione esattamente come Simon odiò Alvin.

Per quanto riguarda Dave, aveva tentato di prendere posizione, ma le sue parole finirono per essere vuote e insignificanti, e non poté fare altro che osservare le ultime fondamenta della loro famiglia crollare miseramente di fronte ai suoi occhi.

Il giorno seguente Brittany e Alvin andarono insieme in taxi alla Jet Records per firmare il contratto che li avrebbe vincolati definitivamente al viaggio per New York, poi lei andò alla sua scuola di Ballo per comunicare il suo ritiro improvviso dall’istituto. Un po’ le dispiaceva farlo, ma come aveva detto Alvin, a New York avrebbe potuto riprendere le sue lezioni non appena la situazione si sarebbe stabilizzata.

A casa, preparano le loro cose con l’aiuto di Dave, che benché non approvasse la loro decisione, non poté fare a meno di adempiere al suo ruolo di buon genitore.

E il 15 giugno 2018, senza che vi fosse niente che li potesse fermare, Alvin e Brittany presero l’ultimo taxi, quello che li avrebbe ricondotti ancora una volta alla Jet Records, dove un’auto li attendeva per accompagnarli all’aeroporto.

Jeanette era lì quando partirono, e nonostante la rabbia che ancora provava per la decisione della sorella, la salutò con un abbraccio prima che salisse sul veicolo insieme ad Alvin. Simon invece aveva deciso di restare al campus. Si sentiva tradito nell’animo e non aveva intenzione di essere lì ad assecondare il loro egoismo.

Theodore era rimasto fuori da tutta la faccenda e non aveva bene in chiaro il perché stesse succedendo tutto ciò. Alvin e Brittany erano passati a salutarlo prima di andare. Scoprì solo che i due se ne stavano andando a New York, e presto avrebbe anche scoperto che sarebbero stati via per molto tempo, forse per sempre.

Con la loro partenza, l’ultimo legame della famiglia si spezzò, e mentre Simon e Jeanette non potevano fare altro che proseguire i loro studi, Dave restò da solo, con un Theodore estraniato da tutto e chiuso ogni giorno nel suo impenetrabile silenzio.

Qualche giorno dopo la loro partenza, nel tentativo disperato di recuperare un po’ dell’equilibro di cui aveva bisogno. Simon propose a Jeanette di sposarlo, e lei shockata e incredula, ma felice ed estasiata, accettò.

A New York, Brittany e Alvin si erano già ambientati nell’appartamento che gli era stato dato dalla sede di Manhattan della Jet Records e così lei poté già tornare per qualche giorno in California per partecipare al matrimonio di sua sorella.

Alvin provava rancore per la volta in cui Simon non era venuto a salutarli, pertanto, decise a sua volta di non venire al matrimonio. Ne seguì una breve discussione con Brittany che però non durò molto.

Così partì la prima di una lunga serie di viaggi in solitaria che lei avrebbe dovuto sostenere da sola negli anni a venire.

Il matrimonio di Simon e Jeanette avvenne il 28 luglio dello stesso anno, in una cerimonia più tosto discreta, formata prettamente da parenti e amici.

Sette mesi dopo, il 10 febbraio 2019, venne al mondo il loro primo figlio. Un maschietto che senza esitazione decisero di chiamare Mark, in onore al Viaggiatore dei Sogni che lì aveva salvati molti anni prima.

Quello che successe negli anni a venire è una storia già raccontata. Le carriere di ognuno prendevano le strade che il destino decideva per loro, fino a che, dieci anni dopo, eccoli lì, ancora una volta tutti uniti, in una dimensione onirica, a parlare con quello che aveva l’apparenza di essere il fantasma della loro defunta amica Eleanor.

 

8.9:

11 FEBBRAIO 2029 (Luogo Sconosciuto)

«Vi ho osservati, ragazzi. Vi osservo da tanto tempo… »

Era giunto il momento che Eleanor desse loro delle risposte.

Era grazie a lei se erano riusciti ad arrivare fin lì, e lei era anche il motivo del perché si erano imbarcati in quell’assurdo viaggio.

«… conoscete le storie sulla luce alla fine del tunnel, l’ultimo viaggio prima dell’aldilà?»

Alvin, Dave e Simon annuirono alla domanda della Chipette, mentre le sue sorelle si lanciavano sguardi a vicenda e cenni come se parlassero tra di loro in silenzio.

«Bhe… » riprese Eleanor «… quel giorno ho scoperto che non era solo una leggenda. Quando ero morta qualcosa mi aveva condotta qui, proprio nel posto in cui ci troviamo ora.»

«Questo posto è… l’aldilà?» Chiese Brittany che d’improvviso era tornata a seguire insieme a Jeanette e agli altri il discorso di Eleanor.

«No, non proprio. L’aldilà è quello che c’è dopo la luce. Non so che forma abbia, né cosa sia la vita oltre quella soglia. Ma quel giorno io avevo la possibilità di varcarla. Ero appena arrivata qui, che il varco mi si aprì proprio di fronte agli occhi. Sapevo dell’incidente e di cosa mi fosse successo, quindi sapevo che avrei dovuto attraversarlo, ma… » si fermò di colpo.

«Ma? Che successe poi?» La spronò Simon a continuare.

«… sapete, è strano. Quando ti trovi in questo posto, impari delle cose… non so cosa lo rende possibile, ma ti ritrovi di punto in bianco a conoscere dei segreti che mai avresti immaginato in vita… quando mi portarono qui, mi resi conto che potevo continuare a vedervi. Potevo vedere tutto quello che facevate come se fossi la spettatrice di un film. Avrei dovuto varcare la soglia e andare al di là della luce, ma in cuor mio mi dissi che se potevo osservare le vostre vite, allora dovevo restare qui. Non volevo abbandonarvi… »

«Perciò sei rimasta?» Intervenne Jeanette.

Eleanor annui.

«Vi osservai durante l’arrivo di Dave nel luogo dell’incidente, e d’improvviso la luce dietro di me chiuse. Non immaginavo che sarebbe successo, credevo che sarebbe rimasta lì per sempre ad aspettarmi, ma quando si chiuse non mi importò comunque.»

«Quindi, se questo posto non è l’aldilà, che cos’è?»

«Credo che tu lo sappia meglio di tutti, Jeanette. Lo chiamano il Limbo. E’ una specie di dimensione vuota, dove vengono confinate tutte le anime destinate all’oblio, quelle che non hanno più uno scopo. Anche lo spirito di Mark, quando era Viaggiatore dei Sogni, finì qui prima della sua reincarnazione.»

Jeanette sussultò. Quasi senza neanche volerlo, aveva ottenuto risposta a uno dei più grandi dubbi che si era mai posta in tutta la sua vita.

Quando il Viaggiatore dei Sogni scomparve di fronte a loro, dopo avergli salvato la vita, disse che sarebbe rimasto confinato in un luogo sconosciuto dove non sapeva cosa gli sarebbe successo, e ora finalmente quel luogo aveva un’identità: il Limbo.

Jeanette si era sempre chiesta cosa potesse essere questo posto e a giudicare dalle parole di Eleanor, non solo lo aveva finalmente scoperto, ma ci stava pure camminando dentro.

Osservò suo figlio, come se si aspettasse che da quei suoi piccoli occhietti giungesse uno sguardo d’intesa che le confermasse tutto. Ma il suo Mark, benché condividesse gli stessi poteri del Viaggiatore, non aveva i suoi ricordi. Pertanto era inutile cercare risposte in lui.

«E poi? Che è successo dopo?» Chiese questa volta Dave.

«Bhe, Dave… ormai avevo fatto la mia scelta. Avevo deciso di restare qui a osservarvi, ma non avrei mai immaginato che la mia morte vi avrebbe sconvolto fino a questo punto… » si fermò  e guardò ancora una volta Theodore.

Come darle torto? Si disse tra sé e sé Alvin.

«… vi ho osservati mentre,tra una discussione e l’altra, la nostra famiglia si sfaldava come tanti tasselli di un puzzle, e io non potevo fare nulla per impedirlo. Voi non sapete quante volte avrei voluto potervi contattare per dirvi di farvi forza e di andare avanti. Insomma, voi soffrivate per me, e io ero qui che cercavo in tutti i modi di dirvi che in fin dei conti stavo bene. Che ero solo da un'altra parte, ma sempre con voi!» Quest’ultima frase, Eleanor la disse rivolgendosi a Theodore, che più di tutti aveva bisogno di sentire quelle parole.

Simon rivolse lo sguardo a Mark e fu lì che finalmente comprese ciò a cui Eleanor stava mirando.

La Chipette si accorse di questo e glielo confermò.

«Sì, Simon. Per anni avevo cercato di contattarvi tramite i vostri sogni, ma non ero in grado di raggiungervi. Voi spesso mi sognavate, ma in realtà – immagino ve ne siete già accorti – quella non ero io… »

Brittany annuì. In quella parte del racconto Ellie aveva alluso ai suoi incubi ricorrenti.

«… sapevo che lo spirito del Viaggiatore si era reincarnato nel corpo di vostro figlio, ma non sapevo che avesse i suoi stessi poteri. Ma quando ieri sera, vi aveva condotto tutti e tre in quel sogno condiviso, avevo cercato subito di condurvi qui… »

«Il terremoto… oddio… non era il sogno che stava collassando… eri tu che… ?»

«Sì, Jean.» Le confermò Eleanor.

Jeanette si portò le una mano alla bocca. Sconvolta da quella rivelazione.

«Pensavi che fosse colpa dell’inesperienza di Mark coi suoi poteri, invece ero io che tentavo di condurvi nel Limbo per potervi parlare.»

Jeanette rivolse lo sguardo a Simon e Mark e si scusò con loro.

«Oh, non sentirti in colpa. Se proprio deve esserci una responsabile, quella sono io. Avrei dovuto parlarvi fin da subito come ho fatto sta volta, è solo che temevo che non mi avreste dato retta, che avreste pensato che la mia voce facesse parte del sogno.»

«Sei stata tu quindi? Sei entrata in uno dei miei sogni e mi hai detto che avremo dovuto chiedere aiuto a Mark e sognare insieme affinché tu potessi riprovarci?»

«Non è proprio corretto, Simon. Se fossi riuscita a entrare in un tuo sogno sarebbe stato più facile. Ho solo cercato di fare ciò che potevo per trasmetterti il messaggio. Ecco perché sta mattina credevi di avermi sognato benché non ne comprendessi la ragione. Io non sono una Viaggiatrice. Non è tra i miei poteri comunicare coi Vivi attraverso i loro sogni. Ma sono felice che le circostanze mi abbiano permesso ugualmente di portarvi qui. La verità, ragazzi, è che volevo solo dirvi di non soffrire più per me. Io sono sempre stata qui con voi, anche se non potevate vedermi.»

La Chipette li lasciò un attimo riflettere in silenzio sulle sue parole, quando Theodore poggiò la sua mano su una spalla.

«Ellie… io volevo solo... chiedere scusa per…»

«Theo. Non devi scusarti di nulla! L’incidente è stato solo uno stupido scherzo del fato. So che in questi sedici anni ti sei sentito responsabile di tutto, ma non è così…»

«No! Non è per quello… ecco, volevo solo scusarmi per come mi sono comportato in questi anni… tutti gli altri hanno cercato di andare avanti, di rifarsi una vita, mentre io sono stato solo capace di stare seduto in un angolo della casa a incolparmi per l’incidente e per tutto quello che stava accadendo intorno a me… quindi, chiedo scusa a tutti, ma soprattutto…chiedo scusa a te.»

Theodore si sentì improvvisamente più leggero. Come se si fosse levato dalla schiena un macigno di una tonnellata.

La sua amica fu molto felice di sentirglielo dire, e anche se non lo disse a voce, si sentì fiera di se per essere riuscita finalmente a sbloccarlo. Gli sorrise e lo baciò delicatamente sulla guancia. Per un breve istante i loro occhi si incrociarono, dopo di che, lei lo abbracciò ancora, e sta volta, fu ricambiata.

Si tennero stretti l’un l’altra per qualche secondo, mentre gli altri se ne stavano in disparte osservandoli.

Alvin e Simon tirarono finalmente un sospiro di sollievo. Theodore si era finalmente ripreso.

Simon attese che i due finissero, per intervenire.

«Bhe, anch’io credo di dovervi delle scuse… » si rivolse a tutti «Non dovevo prendermela in quel modo quando Alvin e Brittany avevano deciso di partire per New York. Sono stato egoista.»

«Vuoi scherzare?! No, Simon! Avevamo già chiarito questo discorso, sono stato io a voler partire a tutti i costi portandomi con me Brittany quando Jeanette aspettava Mark!» Obbiettò Alvin.

A quel punto Dave decise di intervenire e dire la sua. Aveva taciuto per troppo tempo nel corso degli anni, ora era arrivato il momento di prendere posizione, così come aveva sempre fatto prima del giorno dell’incidente.

«Ragazzi. Dobbiamo guardare in faccia la realtà. Eleanor ha ragione. Non esiste un solo colpevole. Nessuno di noi e responsabile più degli altri. E’ vero, Alvin è stato egoista a voler partire abbandonando tutti, così come Simon ha esagerato a reagire in quel modo. Ma poi ci sono state Jeanette e Brittany, che si sono fatte trascinare da loro due invece di tentare di trovare una soluzione. Theodore, che ha trascorso gli anni chiuso in se stesso e dandosi colpe che non aveva per la morte di Eleanor e io, che avrei dovuto fare qualcosa per salvare la stabilità della nostra famiglia,ma che invece non ho fatto altro che stare in disparte lasciando che le cose accadessero e basta. Ognuno ha fatto la sua parte commettendo i suoi sbagli.»

Eleanor sorrise alle parole di Dave.

«Non avrei potuto dirlo con parole migliori! Dave, gli anni sono passati, ma tu non hai perso il tuo smalto!»

L’anziano le fece l’occhiolino e passo una mani tra la folta barba bianca.

«Ora è arrivato il momento di andare, ragazzi. Il Limbo non è un posto per i Vivi, e voi dovete tornare nel vostro mondo e continuare a viverlo al meglio.»

«E tu che farai?» chiese Theodore. Nel suo tono di voce, una vena di apprensione per la consapevolezza che quel magico momento con Eleanor al suo fianco stava finendo.

«Io dovrò restare qui. Le mie scelte le ho fatte e ora il mio posto è nel Limbo…» si fermò e gli prese le mani tenendole tra le sue «ma continuerò a osservarvi. Voi non potrete vedermi, ma ci sarò sempre. Se vorrete parlarmi, se vorrete mostrarmi qualcosa, io sarò lì con voi…»

Le parole di Eleanor avevano un che di familiare a Jeanette, come una sensazione di déjà vu. Le sembrava di sentir parlare il Viaggiatore dei Sogni Mark. La stessa saggezza, le stesse consapevolezze sulle sue capacità. Forse era una caratteristica comune a tutte le anime che facevano parte di quella realtà, del Limbo, dei Mondi dei Sogni, dell’aldilà.

Eleanor si diresse a passi lenti verso il giovane Mark.

«Tocca a te adesso, piccolo. Devi portarli fuori da qui.»

«Oh, sì… ma, non so come fare, Zia. Questi miei poteri… non ho ancora imparato a usarli bene… » La avvertì imbarazzato.

Eleanor lasciò intravvedere un altro piccolo sorrisetto appena appena accennato.

«Non ti preoccupare. Te lo spiegherò io, ma tu continua a esercitarti. Hai un potere unico. Non sprecarlo!»

«Non lo farò, promesso! Mi eserciterò e diventerò un grandissimo Viaggiatore dei Sogni!» Annunciò entusiasta Mark e facendo sentire i suoi genitori fieri di lui.

«Molto bene… » Ellie parlò rivolgendosi a tutto il gruppo «ora dobbiamo salutarci. Aiuterò Mark a farvi uscire dal Limbo mentre lui cercherà di farvi svegliare. Jeanette, tu conosci alcune delle capacità dei Viaggiatori, devi aiutarci.»

Jeanette annuì decisa.

«Addio ragazzi, è stato bello poter parlare con voi ancora una volta.»

I Chipmunks e le Chipettes si unirono in un abbraccio di gruppo che li fece tornare per un istante dei ragazzi e rivivere le emozioni dei vecchi tempi, poi si salutarono con la loro amica Eleanor. Quindi si separarono e si fecero in disparte per permettere anche a Dave di darle l’addio.

Theodore avrebbe voluto restare lì con lei. Gli spezzava il cuore doverla lasciare proprio ora che finalmente l’aveva ritrovata, ma era la sua volontà, e lui doveva accettarla.

Eleanor spiegò a Jeanette e a Mark quello che avrebbero dovuto fare col suo aiuto.

Mark avrebbe dovuto concentrare tutto il suo potere nella volontà di far uscire la famiglia dal sogno dal quale era partito il loro viaggio, mentre il compito di Jeanette sarebbe stato quello di dargli supporto affinché il compito del piccolo chipmunk fosse più facile.

Madre e figlio si presero per mano, in modo da unire le proprie forze, e insieme pensarono intensamente allo svegliare il resto del gruppo.

Nel frattempo Eleanor doveva fare la sua parte cercando di farli uscire dal Limbo. Sarebbe stato impossibile riuscirci senza l’aiuto dei poteri dei Viaggiatori dei Sogni, ma grazie agli sforzi congiunti della sorella e del nipote, poteva sentire la resistenza delle forze che regolavano quel mondo, farsi sempre più deboli.

Il resto del gruppo attese che succedesse qualcosa, non potevano fare molto altro. Erano in gioco forze che purtroppo andavano al di là della loro comprensione.

D’un tratto i loro occhi furono accecati dallo stesso bagliore bianco visto al loro arrivo nel Limbo, seguito dall’acuto stridio di vetro sulla lavagna che annunciava il trapasso dalla dimensione di Eleanor al loro mondo.

 

8.10:

(Casa di Simon e Jeanette)

Il trapasso dal Limbo alla realtà era riuscito con successo.

Dave e tutti i chipmunk presenti alla seduta di Simon si svegliarono con successo nel salotto dal quale era partito il loro viaggio.

Alvin aprì gli occhi e si mise in piedi. La testa gli girava e aveva la vista leggermente annebbiata.

Non distingueva ancora bene le immagini di cosa lo circondava, ma a giudicare dai brontolii e dalle lamentele degli altri, capii che non era l’unico a trovarsi in quella situazione.

Attese alcuni secondi sbattendo rapidamente le palpebre, fino a che non era tornato a vedere tutto chiaramente.

«State tutti bene?» Chiese quindi.

Alcuni risposero di sì, ma Jeanette si lamentò di un acuto mal di testa.

«E’ per l’effetto del viaggio, credo. Fa male anche me.» La informò Mark.

«Quindi che altro succederà ora?»

«Niente, credo che ormai sia finita.» Gli rispose Simon.

Theodore fu l’ultimo ad alzarsi, e in lui le parole del fratello rimbombarono in testa più che a qualunque altro.

Era davvero tutto finito?

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Capitolo 9
*** 9: Nostalgia ***


9.1:

14 FEBBRAIO 2029 (Casa di Dave)

Erano passati tre giorni dal viaggio intrapreso nel Limbo per incontrare Eleanor. Non solo. Era anche il sedicesimo anniversario dalla sua morte.

Benché sapesse che da un certo punto di vista Ellie in realtà era ancora viva e lo stava guardando, Theodore non era riuscito  a contenere la tristezza dell’averla perduta ancora una volta.

Prima di dirsi addio, gli aveva fatto promettere che non si sarebbe più tormentato per lei, e in effetti nei giorni seguenti aveva cercato di prestar fede alla sua parola.

Ora però, nel giorno di San Valentino 2029, il peso dei ricordi era tornato a farsi imperturbabile e a tormentarlo.

Era in camera sua, seduto sul bordo del suo letto e con in mano la scatoletta con l’anello “T&E”.

Quante volte si era trovato in una situazione simile, a osservare con tanta intensità quel piccolo oggettino seduto sul suo letto e in completa solitudine? Ma non era mai stato solo, finalmente lo capì. Eleanor era sempre lì con lui, anche se non poteva saperlo.

Cominciò a ridacchiare, immaginandosi la reazione che potrebbe aver avuto Ellie nel Limbo, vedendolo comportarsi così.

«E’ divertente, sai! Per dieci anni non ho trascorso un solo giorno senza rammaricarmi per non avertelo mai potuto dare, e ora scopro che tu l’hai sempre saputo! E così, vero?»

Tutto tacque.

«Sì, lo so. Non puoi rispondermi. Ma so che mi hai sentito. Io… spero solo che ti piaccia… tanti auguri Ellie, ti voglio bene.»

Nel Limbo, avvolta nell’oscurità di quel mondo vuoto, la Chipette ricambiò l’augurio di Theodore, e come lui, anche a lei si dispiacque che non potesse sentire la sua voce.

Baciò la superficie dell’anello, fedele al suo rituale. Questa volta, però, non lo ripose in un angolo nascosto di qualche cassetto o sotto il cuscino del suo letto.

Lo estrasse dalla piccola scatoletta che fungeva da custodia e dopo aver riflettuto per un momento su quanto stava per fare, se lo infilò sul polso destro a mo’ di braccialetto. Esattamente come lo aveva immaginato indossato da Eleanor il giorno dell’incidente.

Lo ammirò un po’ e lo girò sulla parte sulla quale erano incise le loro due iniziali in modo che fossero ben visibili.

«Che ne dici se lo porterò io per te?»

Non udì risposta, ma dal Limbo lei poté udire lui.

«Sì, Theo… è bellissimo. Non merita di essere chiuso in un cassetto.»

Theodore saltò giù dal letto e baciò l’aria, immaginandosi di averla di fronte a se. Poco dopo anche Eleanor lo fece.

Per quanto fosse un gesto curioso, di fronte a una distanza così sconfinata la forza dell’immaginazione era la loro l’unica via.

Theodore uscì dalla stanza e si avviò lungo il corridoio, diretto verso le scale per il piano terra, quando uno squillo di suoneria, seguito da alcuni gemiti provenienti dalla camera di Alvin e Brittany, attirarono la sua attenzione.

Normalmente l’avrebbe ignorato, ma sta volta sentiva di dover fare qualcosa per far sentire maggiormente la sua presenza in casa.

Nella stanza trovò Brittany, che tentava di salire sul comodino sopra il quale era riposto il suo cellulare. Un modello di Nokia relativamente piccolo, ma comunque ingombrante per la ridotta taglia della Chipette.

Mentre l’apparecchio squillava, lei cercava di aprire uno dei cassetti per saltarci sopra come se fosse un gradino, ma il pancione della sua gravidanza le rendeva molto gravosa l’operazione, oltre che rischiosissima nel caso avesse perso l’equilibrio e fosse caduta.

«Lascia, ci penso io.» Si offrì Theodore.

«Oh, ciao Theo… »

Theodore saltò sul letto.

«… stavo facendo un po’ di ordine nelle valige e si è messo a squillare.» Spiegò lei.

Theodore prese il cellulare dal comodino e glielo portò, ma poco prima che rispondesse, smise di squillare.

«Oh… pazienza. Grazie lo stesso. Sei stato gentilissimo, Theo.» Lo ringraziò sorridendo.

«Sì, bhe… ti avevo visto in difficoltà e ho pensato che avrei potuto essere utile.»

«E lo sei stato! Se era importante richiameranno.»

«Già. Ora ti lascio… alle vostre valige… ah, a proposito. Alvin dov’è?»

«Ha detto che andava con Dave a fare delle spese. Poi credo che andranno a prendere Mark a scuola. Oggi deve venire da noi.»

«Capisco. Bhe, ora vado… se dovessi avere bisogno di aiuto… non esitare a chiamarmi.»

«Certo, e grazie ancora.»

Theodore si girò e si avviò verso l’uscita della stanza.

«Theo, aspetta…» lo chiamò Brittany.

«Sì?»

«Ho visto che hai messo l’anello di Ellie al polso… »

Theodore guardò l’anello, focalizzando la sua attenzione sull’incisione T&E, prima di tornare a rivolgere la sua attenzione a Britt.

«Come fai a sapere che è suo?»

«Dave me ne aveva parlato, due anni fa. Lo aveva trovato sotto il cuscino del tuo letto. Credeva che l’avessi buttato via, ma quando poi lo ha visto, aveva immaginato che tu volessi tenerglielo nascosto, e così è stato zitto.»

Il chipmunk lo guardò ancora una volta. Non poteva credere a quanto aveva appena sentito. Per anni aveva cercato di tenerlo nascosto a tutti, farne un proprio personale e segretissimo feticcio, e proprio ora che si era deciso a rivelarlo al mondo, ecco scoprire che in realtà non era poi quel grande segreto.

«Certo sarebbe bello se fosse possibile rivederla ancora una volta… » aggiunse la Chipette.

«Cosa?»

«Voglio dire, tornare nel Limbo… in questi giorni mi sono chiesta se fosse possibile farlo… pensa, ho perfino sperato di sognarla, solo per riuscire a convincerla a riportarmi lì con lei… a te è successo?»

Theodore ci rifletté su. Era una conversazione strana quella in cui Brittany lo aveva appena introdotto.

«Sì, è vero. Ho desiderato tante volte di poterla rivedere, e vorrei farlo ancora una volta… ma non credo sia più possibile…»

Il volto di Brittany assunse un’espressione rammaricata.

«Già… anche se riuscissimo a entrare in un sogno condiviso con l’aiuto di Mark, non credo che lei ci permetterebbe più di raggiungerla…»

Theodore sussultò, ma senza che Brittany se ne accorgesse.

Al piano terra la porta d’entrata si spalancò, e la voce di Dave annunciò che erano tornati.

«Hanno fatto presto!» Commentò Britt, poi superò Theodore e si avviò verso l’uscita della stanza, con l’intenzione di scendere al piano terra per raggiungerli.

«Tu non vieni, Theo?» Chiese al chipmunk che era rimasto nella stanza.

«Uh, sì, sì, scusa… mi ero distratto un attimo… » le mentì. In realtà si era messo a riflettere su una frase detta dalla Chipette. Gli venne anche un’idea, e per poterla portare a termine avrebbe avuto bisogno dell’aiuto di Mark.

Si augurò solo che suo nipote sarebbe stato disposto a dargli retta.

 

9.2:

«Hey, siete già tornati?!» Disse ad alta voce Brittany dal piano superiore.

Da basso, Mark si affacciò ai piedi della scala.

«Ciao Zia Britt! Oggi a scuola c’era uno sciopero degli insegnanti, ci hanno fatto uscire prima!» Spiegò Mark con una vena di allegria nella sua voce.

Brittany ricambiò il saluto prima di vedere Dave farsi avanti per chiederle se aveva bisogno di aiuto per scendere.

«In effetti sì, per favore.»

L’uomo salì e la prese in mano. Theodore era lì nel corridoio, e quando Dave vide sul suo polso sinistro l’anello di Eleanor, i due si scambiarono in silenzio alcuni sguardi.

«Hey, Dave. Mi vieni a dare una mano? Non ce la faccio da solo!» chiese Alvin dal piano terra, alludendo alle borse della spesa che a fatica tentava di trascinare in casa.

«Sì, eccoci. Arrivo subito!»

Dave scese le scale con Brittany in mano e Theodore al seguito. Quando la appoggiò a terra, lei e il suo compagno si scambiarono un amorevole bacio per salutarsi, poi Alvin fu colto dal desiderio di parlare al suo pancione. Mentre lo faceva, appoggiando testa e orecchio sul ventre di Brittany, Dave uscì per prendere il resto della spesa dall’auto e recuperare quella che Alvin era riuscito a trascinare fino all’entrata della casa.

«Zio Theo, come ti senti?» Chiese Mark.

«Meglio del solito, a dire il vero… » lo afferrò e lo porto in disparte in un’altra stanza, guardando, nel frattempo, verso gli altri per assicurarsi che nessuno li vedesse allontanarsi «io e te dopo dobbiamo parlare. Devo chiederti un grosso favore.»

«Oh… di che si tratta?» Domandò Mark ad alta voce, ma Theodore gli fece cenno di abbassare il tono.

«Scusa.» Bisbigliò il piccolo chipmunk

«Non fa niente, comunque dopo pranzo ti spiego. Ma per favore, evita di farne parola con gli altri, ok?»

Mark era confuso, ma aveva preso in simpatia lo Zio da quella sera in cui gli aveva dato lezioni su come suonare l’armonica, perciò acconsentì.

«Ok!»

«Bene, ora torniamo dagli altri prima che si insospettiscano.»

«Sì»

Raggiunsero il corridoio dell’atrio, dove trovarono Alvin e Brittany che si stavano dirigendo alla sala da pranzo.

«Dov’eravate finiti?» Chiese Brittany.

Troppo tardi, possiamo dire addio alla segretezza, si disse tra sé e sé Theodore.

Aprì la bocca cercando le parole per improvvisare una risposta, ma fu anticipato da Mark.

«Gliel’ho detto io di venire di là con me, volevo sapere delle cose sulla Zia Ellie.»

Theodore si stupì della rapidità e della naturalezza con la quale il piccolo chipmunk aveva inventato quella menzogna. Gli tornò in mente la volta in cui Alvin disse a qualcuno di loro, anni prima, che le migliori bugie sono quelle che hanno un piccolo fondo di verità nel loro contenuto. In questo caso, Eleanor era più che pertinente. Ma non capì come faceva a conoscerla anche Mark questa regola. Che gli si sia stata insegnata dallo stesso Alvin? Ad ogni modo, ora doveva aggiungere qualcosa anche lui per dare credibilità alla bugia.

«Già, è vero… » cominciò «ma come ti dicevo, non c’è bisogno di parlarne di nascosto, puoi chiedermi quello che vuoi anche di fronte agli altri.»

«Sì, sì. Ho capito!» Resse il gioco Mark.

«Oh, ok. Comunque noi andiamo di là in sala da pranzo. Dave sta già preparando da mangiare.» Lì avvertì Brittany.

«Va bene, arriviamo subito.» Concluse Theodore.

Mentre Alvin e Brittany si allontanavano, Theo guardò Mark con espressione sgomenta per la bugia appena raccontata, e di tutta risposta il piccolo chipmunk gli fece l’occhiolino per poi dirigersi dagli altri nell’altra stanza con un ghigno soddisfatto stampato in volto.

«Questo piccoletto è pieno di sorprese» bisbigliò Theodore, parlando da solo.

 

9.3:

Il pranzo era stato particolarmente anonimo.

Niente conversazioni interessanti o riguardanti Eleanor e il viaggio nel Limbo (si erano esaurite già dal giorno prima).

L’unica cosa che spezzò la routine fu una domanda azzardata da Theodore su quando sarebbero ripartiti Alvin e Britt per New York e come risposta gli fu detto che sarebbero rimasti un’altra settimana.

Al termine del pranzo, dopo aver atteso un po’ seduto al suo posto sopra il tavolo, il chipmunk si rivolse a Dave «Dave, per caso ce l’hai ancora la vecchia armonica di Alvin? O l’hai buttata via?»

L’uomo, che stava lavando i piatti nella parte della stanza adibita alla cucina, si fermò e d’istinto ripeté il suo gesto di passarsi la mano tra la barba, riflettendo alla domanda del chipmunk.

«No. Credo che sia ancora qui, da qualche parte. Hai provato a guardare nei cassetti vicino alla tv?»

«No, ma mi dovrai dare una mano ad aprirli… » lo avvertì Theodore.

«Non c’è problema. Vieni con me.»

Dave e Theodore si diressero in salotto, seguiti da Mark, che pensava che anche questo facesse parte del “discorso” nel quale lo Zio voleva coinvolgerlo.

L’uomo raggiunse il mobile con i cassetti in questione e lì aprì uno ad uno alla ricerca dell’armonica, dopo un paio di minuti di esplorazione, la trovò.

«Trovata!» Esultò. Poi la consegnò in mano a Theodore.

«Ecco, tieni.»

«Grazie.»

«A che ti serve, se posso sapere?»

«No, niente. Volevo solo far sentire dei motivi a Mark. Sai, visto che Alvin gliene ha regalata una per il suo compleanno…»

«Ah, capisco… bhe, Ok allora. Fate pure!» Concluse Dave senza, però, riuscire a trattenersi dal fare un ampio sorriso che non passò inosservato.

«Che c’è?» Gli domandò allora Theodore.

«E’ incredibile quanto tu sia cambiato in questi giorni… sono contento che anche tu sia finalmente tornato con noi.»

Già, il nonno ha ragione. E’ cambiato tantissimo! Si disse tra sé e sé Mark.

«Già… anch’io, credo… » sussurrò Theodore «dai, vieni con me, Mark.» Lo chiamò poi.

«Hey, aspetta! Dove andate? Non vi mettete qua in salotto?»

«No, Dave. Andiamo di sopra nella mia stanza.» Obbiettò Theodore.

«Ah… d’accordo.»

I due chipmunk, Zio e nipote, si avviarono sulle scale per il piano superiore.

«Vuoi farmi delle ripetizioni di armonica, Zio Theodore?» Domandò poco dopo Mark.

Theodore non rispose subito, ma aspettò di percorrere altri quattro gradini prima di cominciare a parlargli bisbigliando.

«No.» Gli rispose con una risposta secca, e per la seconda volta lo invitò a gesti di parlare a bassa voce.

«Ok… ma quindi? Perché hai chiesto al nonno Dave l’armonica?»

«Perché non volevo che si insospettissero.»

«Non capisco… insospettirsi per cosa?»

«Aspetta che arriviamo nella mia stanza e te lo dico.»

Percorsero quindi anche il corridoio del piano superiore, fino a giungere alla stanza di Theodore. Il chipmunk chiuse la porta e iniziò a parlare.

«Mark, dimmi una cosa… »

«Sì, Zio Theo?»

«Ecco, questa cosa del Viaggiatore dei Sogni, come funziona?»

Dalla sua espressione, Theodore si rese conto che Mark non aveva capito la domanda.

«Voglio dire, com’è controllare i sogni e poterli modificare a piacimento?» Aggiunse.

«Ah… bhe, è strano… delle volte è come con il… pongo… sì, come il pongo! Posso fare quello che voglio semplicemente pensandolo! Altre volte però… per esempio con la Zia Eleanor e la Mamma… non lo so… loro sanno fare delle cose che io proprio non capisco… la Zia per esempio, con quella cosa del Limbo. E’ strano. Devo ancora allenarmi molto.»

Theodore rimuginò sulle parole del nipote. Cominciò a chiedersi se Mark sarebbe riuscito a fare quello che lui avrebbe voluto, o per lo meno, se ci avrebbe mai provato.

«Perché me lo hai chiesto?» Lo anticipò il piccolo chipmunk.

Theodore cercò di eludere la domanda.

«Dimmi una cosa, se adesso mi mettessi a dormire, credi che potresti rifare la cosa che hai fatto l’altra volta?»

Mark era confuso.

«In che senso?»

«Voglio dire, entrare nel mio sogno, fare le cose che i tuoi poteri da Viaggiatore dei Sogni ti permettono?»

Il piccolo rimuginò sulle parole dello Zio per una manciata di secondi.

«Hmm, credo di sì, ma dovrei dormire anch’io, e la mamma non vuole che faccia sogni condivisi senza la sua presenza… »

«Ah sì? Eppure la Zia Eleanor aveva detto che non era stata colpa tua se i tuoi precedenti sogni si erano distrutti. Era lei che cercava di portarvi nel Limbo.»

«Sì, però la mamma vuole comunque che mi eserciti insieme a lei… sai, nel caso dovessi perdere il controllo del sogno e… ma, Zio… » Mark spalancò gli occhi dalla sorpresa, forse aveva capito a cosa Theodore puntasse «vuoi… vuoi chiedermi di riportarti nel Limbo?!»

Anche Theodore si stupì. Suo nipote era riuscito a coglierlo alla sprovvista ancora una volta. Era sicuro di non aver fatto parola sul fatto di voler tornare lì. Gli aveva solo chiesto se fosse stato possibile portarlo con se in un sogno condiviso, ma nonostante ciò, Mark era riuscito ad arrivare al punto prima ancora che Theodore trovasse le parole per chiederglielo. Forse era per effetto degli anni trascorsi in quasi totale silenzio e solitudine, che lo hanno fatto diventare meno furbo di quanto credeva di essere, oppure era solo suo nipote a essere più sveglio di quanto non avrebbe dovuto esserlo alla sua età.

«No Mark. So che non puoi farlo… » iniziò a spiegare.

«E allora perché?» Lo interruppe precipitosamente il ragazzino.

«Bhe… » rifletté sulle parole da usare per la risposta, consapevole che da qualche altra parte, in un altro mondo, Eleanor probabilmente lo stava già ascoltando «vorrei che tu mi portassi con te in un sogno condiviso… e io poi… » si fermò ancora una volta e prese una lunga boccata d’aria, strinse i pugni e si preparò a concludere la frase «chiederò alla Zia Ellie di riportarci lei nel Limbo… »

 

9.4:

Le carte erano al banco. La richiesta a suo nipote Theodore gliel’aveva fatta, e ora attendeva la sua reazione, sperando di non dover insistere troppo per doverlo convincere.

«Io… io non so… » farfugliò Mark.

Theodore sospirò.

«Mark, quello che ti sto chiedendo è difficile, è vero. Ma vorrei solo parlarle ancora una volta. L’altro giorno non ho avuto il tempo per farlo. Vorrei solo un’altra occasione… » mentre spiegava, oltre che a convincerlo, si augurava anche che dal Limbo Eleanor lo stesse ascoltando, e fosse disposta ad assecondare la sua volontà benché gli avesse espressamente detto di andare avanti e non cercare più di raggiungerla «una sola volta. Dopo non te lo chiederò più!»

«Zio Theodore, io… vorrei aiutarti, ma ho paura. E se poi ci dovessero essere problemi nel sogno? La mamma sa sempre cosa devo fare per uscire, ma non ho mai controllato un sogno condiviso senza di lei… e se qualcosa dovesse andare storto io non riuscirò a riportarci fuori?»

«E’ davvero così pericoloso?» Chiese Theodore, perplesso.

«Sì! La mamma me l’ha spiegato. Secondo lei, se un sogno dovesse collassare mentre noi stiamo ancora dormendo, potremo non riuscire più a svegliarci!»

Come in un coma, pensò Theodore. Improvvisamente gli tornarono a mente le sensazioni provate durante quei tre anni seguenti all’incidente, quando lui stesso era ridotto allo stato vegetativo. Allora era riuscito a uscirne, ma sta volta? E se fosse successo anche a Mark?

Dopo aver trascorso un terzo abbondante della sua vita con la convinzione di essere in qualche modo responsabile della scomparsa di Eleanor, non poteva permettere che un’altra tragedia colpisse la loro famiglia finalmente riunita, tanto meno se questa volta oltre a lui sarebbe stato coinvolto anche il piccolo Mark.

«Zio Theo… ?»

«Uh? Oh scusa, ero sovrappensiero… senti, hai ragione… è rischioso. Lasciamo perdere.» Decise.

«Sei sicuro?» Gli chiese il nipote.

Rifletté per alcuni secondi.

«Sì… torniamo dagli altri. E scusami, non avrei mai dovuto chiederti una cosa del genere.»

Si avviò per uscire dalla stanza, ma Mark lo fermò.

«Aspetta!»

Theodore si voltò.

«Sì?»

«Io vorrei… vorrei provare!» Annunciò.

Non c’è due senza tre. Ancora una volta, il piccolo chipmunk era riuscito a cogliere di sorpresa suo Zio.

«Mark, ora te lo chiedo io: sei sicuro?»

«S-sì!» Qualcosa nella sua voce fece capire che non ne era del tutto certo. Per un istante stava per fare marcia indietro, ma poi decise che avrebbero dovuto almeno tentare.

«Ok, quindi, se ne sei convinto… che dobbiamo fare? Ci mettiamo a dormire?» Domandò cercando di mantenere un atteggiamento calmo e controllato. Almeno esteriormente, perché dentro di se scoppiava di gioia come quando rivide Ellie per la prima volta nel Limbo.

«Sì, basta solo questo. Almeno per iniziare.»

«E per raggiungere il Limbo? Come abbiamo fatto l’altra volta?»

«Non lo so… forse dovremo provare a chiamare la Zia Eleanor e sperare che ci porti da lei… »

Il chipmunk adulto rimuginò sulle parole del giovane. Provò anche a pensare a un piano B, qualcosa che potessero fare in caso Eleanor non fosse riuscita a condurli nel suo mondo o avesse deciso di ignorarli, ma non gli venne in mente niente.

«Bhe, se vogliamo arrivare da lei non c’è molto altro che possiamo fare, giusto, Mark?»

«Già…»

«Ok… allora saltiamo sul mio letto e dormiamo. E buona fortuna, ragazzo.»

«Grazie, Zio. E buona anche a te, spero che riusciremo a raggiungere la Zia.»

«Lo spero anch’io… dai, su. Andiamo a dormire.»

 

9.5:

Theodore si addormentò subito, e in men che non si dica, era già in un sogno.

Era strano. Normalmente, sognando, c’era sempre una strana sensazione di realismo in quello che si viveva. Non ci si rendeva conto di essere dentro a un sogno fintanto che un qualche elemento insolito o ricorrente non facesse capire che in realtà si stava, appunto, sognando. Questa volta, però, Theodore era pienamente conscio della cosa.

Da quello che aveva capito dai discorsi di Jeanette e degli altri, questo era un effetto collaterale del vivere un sogno condiviso con un Viaggiatore dei Sogni. Era una sensazione simile al ricercare il volto di una persona in particolare in una foto di gruppo. Nel momento in cui si identifica la faccia cercata, ritrovarla tutte le successive volte non richiede alcuno sforzo. Allo stesso modo. Dopo la prima esperienza di condivisione del sogno, si imparava e distinguere chiaramente la realtà dal mondo immaginato nella propria fase rem.

Il Mondo del Sogno dentro il quale si trovò Theodore era ambientato all’interno di un luogo che lui identificava come la casa della famiglia di Simon, si chiese quindi se Mark non lo avesse già condotto da lui.

Lo chiamò ad alta voce un paio di volte, e non ricevendo risposta, cominciò ad esplorare le stanze. Entrò prima nella cucina, che però era più simile a quella di Dave che non a quella di suo fratello, poi andò nel salotto, e ricordandosi della porta che conduceva alla terrazza con vista sulla città, si diresse verso quella direzione.

Uscì fuori, e improvvisamente non era più nell’appartamento di Simon e Jeanette. Era sul tetto di un enorme grattacelo. Il pavimento di cemento bianco rifletteva i raggi di un sole intenso che allungava i suoi raggi di luce sulla città.

Camminò fino al margine del palazzo e guardò verso i grattaceli in lontananza.

Si sentì come se fosse sul tetto del mondo e l’abisso davanti a se gli infondeva una strana sensazione di sollievo.

Provò il desiderio irrefrenabile di fare un passo in avanti e di lasciarsi precipitare nel vuoto. Sì, lo voleva fare, lo doveva fare. Alzò la gamba destra e molto lentamente, la allungò in avanti.

«Zio Theo?»

Era Mark.

Sentire la sua voce lo fece tornare in se.

«Mark? Bene, ce l’hai fatta! Siamo nel tuo sogno.»

Il piccolo chipmunk si guardò intorno disorientato.

«Veramente… questo è il tuo, Zio.» Obbiettò.

Theodore spalancò gli occhi.

«Sei sicuro?»

«Sì. Al cento per cento. Non sono ancora bravo a portare gli altri nei miei. E’ molto più facile quando devo raggiungervi.»

Theo si voltò verso il baratro che si estendeva al bordo del grattacelo su cui si trovavano. Aveva davvero sognato lui quel luogo? Perché?

«Credi che riusciremo a contattare Eleanor da qui?» Domandò al nipote con voce malinconica.

«Non saprei… credo che non importi molto in che sogno ci troviamo.»

In questo caso, dovevano solo chiamarla. Chi sa se li avrebbe ascoltati? Si chiese Theodore.

«Ellie… » la chiamò ad alta voce «se veramente puoi vederci e sentirci… allora probabilmente sai perché siamo qui. Per favore, se puoi portarci ancora una volta da te, io… ti supplico… voglio poterti parlare solo un’altra volta… »

Dopo di ciò, entrambi restarono in silenzio, aspettando un’eventuale risposta, che non ci fu.

«Ellie, lo so che mi hai detto di andare avanti, ma… »

«Forse non può sentirti da qui…» si intromise Mark.

«… non chiedo altro che di rivederti per una sola volta. Una sola, poi te lo prometto, andrò avanti come tu vuoi!» Continuò Theodore, ignorando le parole del nipote.

Ancora una volta, nessuna risposta.

«Ellie… »

Era tutto inutile. Se Eleanor poteva sentirlo, Aveva deciso di non ascoltarlo.

Theodore abbassò lo sguardo, sconfitto. Tutte le sue speranze di rivederla morirono in quel preciso momento.

Mark se ne stette in disparte. Avrebbe voluto fare qualcosa per aiutare lo Zio, per condurlo nel Limbo da Eleanor, senza dover aspettare che fosse lei a farlo.

Quel giorno aveva chiesto a mamma e papà di poter andare dal nonno Dave e dagli Zii solo per poter passare un po’ di tempo con loro, in particolare, con lo Zio Theodore.

In effetti ora stavano passando del tempo insieme, ma trovarsi in un sogno condiviso, in cima al tetto di un colossale grattacelo partorito dalla mente di suo Zio, mentre questi cercava invano di contattare la Zia defunta, non era esattamente ciò che avrebbe voluto per la giornata.

Si diresse verso di lui e gli appoggiò una mano sul braccio sinistro, sfiorando con le dita il metallo di quello che aveva l’aspetto di un anello. Per un attimo, si lasciò distrarre dall’ornamento e si chiese se lo avesse avuto da sempre o se era una cosa recente, dato che era la prima volta che Mark lo vedeva.

«Zio Theo… ?» Lo chiamò.

La voce del nipotino, così innocente e premurosa, gli fece tornare in mente se stesso da giovane. Prima dell’inizio di tutta quell’assurda storia.

«Cosa c’è, Mark?»

«Va… va tutto bene?»

Una domanda che fece rivivere nella mente di Theodore tanti ricordi. Diavolo, quanto voleva che tutto finisse. Che si svegliasse e scoprisse che quei sedici anni erano tutti frutto di un orribile sogno.

«Non lo so, piccolo… non lo so.» Rispose con rammarico.

«Cosa facciamo ora?»

Già, cos’altro potevano fare? Il piano B non era riuscito a trovarlo.

Sospirò.

«Rinunciamo… facci risvegliare, è stato un bel tentativo…»

«Ok…»

Mark stava per cominciare a concentrarsi per farli uscire dal sogno, quando un’improvvisa scossa sismica a lui molto famigliare, fece tremare il pavimento sotto i loro piedi.

 

9.6:

Dopo quella primissima scossa. Talmente breve e fulminea che Theodore cominciò a pensare di essersela immaginata, ne seguì poco dopo un’altra serie.

«Zio, ci siamo! E’ lei!» Esultò Mark, mentre sotto di loro il tetto del grattacielo su cui si trovavano cominciò a disgregarsi rapidamente.

«Ne sei certo?» Chiese Theodore, cercando nel frattempo di mantenere l’equilibrio.

«Sì sì! Le riconosco queste scosse! La Zia Eleanor ci ha sentito, evvai!!»

Grazie, Ellie. Sussurrò Theodore. Con una voce talmente flebile da essere quasi un pensiero.

Alcune crepe cominciarono ad aprirsi circondandolo a 360°, formando tutto intorno a lui una ragnatela di fenditure, mentre frammenti sempre più grossi del pavimento cominciarono a staccarsi e cadere nel vuoto.

Lo stato d’animo di Mark passo tutto d’un tratto dall’entusiasmo alla confusione. Osservò le crepe che circondavano Theodore e le confrontò con l’ambiente circostante. Normalmente, quando le scosse iniziavano, tutto il mondo del sogno crollava in modo progressivo e uniforme, ma sta volta era diverso. I palazzi sullo sfondo erano perfettamente intatti, così come il grattacelo nel quale si trovavano. Solo il tetto sembrava accusare delle scosse sismiche, e solo nel punto in cui era fermo Theodore.

«C’è qualcosa che non va… » Costatò il piccolo Viaggiatore.

Suo Zio guardò d’improvviso verso di lui.

«Che vuoi dire?»

Non fece in tempo a sentire la risposta. Una voragine dal diametro leggermente più ampio del corpo di Theodore si aprì sotto i suoi piedi facendocelo precipitare dentro, come in un pozzo senza fondo. Mentre cadeva verso l’oscurità, guardando verso l’alto, riuscì a vedere solo il nipote sporgersi dal bordo e sentirsi chiamare da lui urlando, dopo di che la sua voce fu coperta dallo stridio di vetro su lavagna, seguito dal tipico lampo di luce bianca che preavvisava il passaggio dalla realtà del sogno al Limbo di Eleanor.

 

9.7:

Era sospeso nel vuoto, ma sta volta gli ci vollero pochi istanti per capire come tornare con i piedi per terra.

La prima cosa che fece in seguito era di cercare il nipote, senza però riuscire a trovarlo.

Dov’era finito? E cosa voleva dire con quella frase?

Alle sue spalle gli sembrò di vedere una piccola luce, e voltandosi si trovò di fronte Eleanor.

«Ciao, Theo.»

«Ellie… do-dov’è Mark?»

«Lui? E’ rimasto di sopra.» Gli indicò con l’indice un punto impreciso sopra le loro teste.

«Di sopra? Vuoi dire… nel Mondo del Sogno?»

«Sì. Era troppo pericoloso portarlo quaggiù con noi. Ho preferito lasciarlo nel sogno, da dove sarebbe potuto uscire con maggior facilità» Spiegò lei.

«E’ vero… anche lui lo diceva che sarebbe stato un viaggio pericoloso… però io… credevo che avessi bisogno della presenza di un Viaggiatore dei Sogni per farmi uscire dal Limbo?»

«Bhe, in effetti è così. Ma sai… » si allontanò da lui dandogli le spalle, e mentre parlava, osservava un punto vuoto nell’orizzonte di fronte a se «visto che sta volta sei da solo, forse non sarà necessario… »

Theodore si passò la mano tra i capelli e la pelliccia, e benché da alcuni giorni (da quando aveva rivisto Eleanor la prima volta) il pelo era ricominciato a crescergli nelle zone dove gli era caduto, solo ora si rese conto di quanto fosse glabro in certi punti.

«Mah… io continuo a non capire. Insomma, che centrano i sogni con l’aldilà?» La sua era una domanda retorica, e Eleanor l’aveva capito, tuttavia aveva deciso di rispondergli comunque.

«La morte e il sonno non sono poi così diverse, Theo. Alla fine ci sono sempre un risveglio e la consapevolezza di dover intraprendere un cammino. Sono due realtà molto simili, la sola differenza è quello che voi percepite come “Vita”.»

Stette in silenzio, aspettandosi una risposta che non ci fu. Si voltò in direzione di Theodore e vide che la stava guardando con un’espressione strana in volto.

«Cosa c’è?» Gli chiese.

«Sei così diversa… » camminò verso di lei «quasi non ci credo che sei la Eleanor che avevo conosciuto da giovane.»

Le afferrò delicatamente le braccia e, accarezzandola, face scendere lentamente le mani fino alle sue, per poi afferrargliele.

Era questo quello che avrebbe voluto l’altra volta. Un momento romantico insieme, solo loro due e nessun altro.

«Anche tu, Theo… » si abbracciarono e cominciarono a dondolare lentamente, seguendo il ritmo di una canzone immaginaria che solo i loro cuori sentivano «non sai quante volte ho pianto vedendo come ti eri ridotto. Quante volte ho desiderato di poterti parlare solo per supplicarti di tornare in te.»

«Non sapevo che i fantasmi potessero piangere.» Scherzò Theo.

«Eheh. Nemmeno io, finché non mi era successo la prima volta.»

Ne seguì un piccolo momento di silenzio, durante il quale i due continuarono la loro dolce danza.

«Scusami Ellie… scusami per tutto. Sono stato uno stupido.»

«Non fa niente, Theo. Ormai è passato. Pensa solo ad andare avanti quando uscirai da qui. E questa volta, promettimi che non mi cercherai più.»

Avrebbe voluto obbiettare, ma lei gli aveva dato una seconda occasione, accettando di riportarlo nel Limbo un’altra volta. Ora doveva darle retta.

«Sì. Te lo prometto.»

Eleanor sorrise. Era felice. Durante il loro primo incontro anche lei avrebbe voluto un momento come quello da trascorrere con Theodore.

Fisicamente, i loro corpi erano diversi. Lei era rimasta giovane, mentre lui era invecchiato nel corso di quei sedici anni. Ma le loro menti erano maturate insieme, e insieme avevano sofferto la distanza che li divideva.

Theodore si scostò un istante da lei e scoprì la manica sinistra della felpa, rivelando l’anello, che lo aveva seguito nel sogno e poi nel Limbo.

«Vorrei… vorrei farti vedere questo. Anche se forse sai già di che si tratta… »

Eleanor prese la mano di Theodore tra le sue e guardò con grande attenzione l’anello, Accarezzando anche la scritta T&E incisa sopra prima di lasciarlo andare.

«Sì. Lo avevo visto già dal primo giorno. Da quando lo avevi trovato dentro quel cassetto della scrivania. Anche oggi, quando avevi deciso di indossarlo per me. E’ bellissimo, Theo.»

Il chipmunk lo guardò ancora una volta. Lo portava con se da un solo giorno, e già gli sembrava di portarlo da tutta una vita.

Se lo sfilò dal polso e continuò a fissarlo ancora per un po’, tenendolo tra le mani.

«Theo?» Lo chiamò Eleanor.

Il chipmunk fissò negli occhi la sua amica e nel frattempo afferrò il suo braccio.

Mentre la Chipette lo lasciava fare in silenzio, lui faceva scorrere dentro l’anello, la sua mano fino all’avambraccio.

«Oggi è il giorno di San Valentino, Ellie… oggi come sedici anni fa. Tanti auguri… ti voglio bene.»

Gli occhi della Chipettes si inarcarono in uno sguardo gioioso e la sua bocca si allargò in un grande sorriso.

«Grazie, Theo… grazie.»

Si allungò verso di lui e lo baciò sulle labbra. Il loro primo bacio.

«Che strano dartelo proprio adesso.» Commentò Theodore poco dopo.

«Già.»

Il chipmunk sospirò.

«Quando vorrei poter tornare indietro nel tempo fino a quel giorno, e fare qualcosa per impedire l’incidente.»

«Sì, è vero. Anch’io ho pensato un sacco di volte di doverlo fare… »

Eleanor guardò l’anello per un’altra volta e poi allungò le braccia verso Theodore per abbracciarlo ancora, lui però la allontanò.

«Aspetta!»

Lei si arrestò.

«Che c’è?»

«Cosa volevi dire con “ho pensato un sacco di volte di doverlo fare” ?!»

Eleanor ebbe un tremito che si sforzò di rendere il più impercettibile possibile, ma non fu certa di esserci riuscita.

«N-nulla… solo che… anch’io vorrei poter fare qualcosa per tornare indietro nel tempo, tutto qui!» Cercò di essere il più convincente possibile.

Sul volto di Theodore si formò un ghigno.

«No. Tu non hai detto “ho pensato un sacco di volte di volerlo fare”! Hai detto “di DOVERLO fare”! Che intendi? E’ possibile tornare indietro nel tempo?»

«No, non ho mai detto questo!» Ma la voce di Eleanor era sempre più incerta e preoccupata, e Theodore se ne stava rendendo conto.

«Non mentirmi! Il tuo linguaggio del corpo dice già tutto!» Avanzava sicuro di se verso Eleanor, che al contrario di lui, indietreggiava spaventata.

«Theo… per favore, fermati! Ti… ti sto dicendo la verità, credimi!»

«E’ uno dei vostri poteri, confessa!»

«No! Non è così! Non c’è modo di tornare indietro nel tempo!!» Urlò la Chipette.

Theodore continuò ad avanzare verso di lei, voleva sapere la verità, che era certo, Eleanor gli stava nascondendo.

Era a pochi centimetri da lei quando la vide guardare improvvisamente verso l’alto, in un punto imprecisato dell’oscurità. Fu un’azione talmente strana che anche Theodore si fermò e guardò verso la stessa direzione.

In seguito entrambi tornarono a guardarsi negli occhi, e mentre Theodore continuava a chiedersi il perché di quello che avevano appena fatto, l’espressione di Eleanor era invece di rammaricata rassegnazione.

«Addio, Theodore.» Gli disse. E subito dopo ci furono lo stridio e il lampo bianco.

 

9.8:

Si risvegliò nella sua camera da letto, intorno a lui, le Chipettes e suo fratello Alvin, oltre a Mark e Dave.

Ebbe la vista annebbiata per alcuni secondi, come la precedente volta che era uscito dal Limbo, e gli altri aspettarono che si riprendesse.

«Ma… che sta succedendo?!» Domandò poi.

«Mark ci ha detto cosa gli hai fatto fare! Non riuscivamo più a svegliarti! Abbiamo dovuto far chiamare Jeanette a lavoro per venire a tirarti fuori dal sogno!» Gli spiegò Dave.

Quindi era questo. Eleanor aveva percepito la presenza di Jeanette in un sogno che tentava di risvegliarlo, e servendosi di lei per il potere dei Viaggiatori di Sogni, lo aveva fatto uscire dal Limbo prima che lui la costringesse a dirgli la verità sul ritorno nel passato.

«Eleanor… io… devo tornare subito da lei! Possiamo correggere tutto, possiamo cancellare ogni cosa… » tentò di spiegare.

«No, adesso basta con i viaggi nei sogni! Da questo momento, MAI PIU’!» Urlò Jeanette, furibonda.

I suoi occhi sembravano iniettati di sangue. Niente avrebbe potuto farle cambiare idea.

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Capitolo 10
*** 10: Il passato. ***


10.1:

Le era bastato urlarlo una sola volta. Un’unica risposta secca, esclamata con una rabbia che né Dave né nessuno degli altri potevano immaginare.

Quell’unico urlo era stato sufficiente a convincere Theodore a desistere.

Prese per mano bruscamente Mark e insieme uscirono dalla stanza. Il piccolo chipmunk tentò di voltarsi, ma Jeanette lo strattonò costringendolo a distogliere lo sguardo.

«Theodore, ma che ti è saltato in mente?! Hai idea di quanto ci hai fatto preoccupare?» Gli domandò Brittany.

Lui non le risposte, ma incrociò il suo sguardo con quello della Chipette.

In quel frangente, fissandolo negli occhi, le sembrò che fossero tornati vuoti e spenti come fino a una settimana prima.

«Theo?» Lo chiamò Alvin.

Theodore abbassò il capo, rimanendo ancora in silenzio.

La porta della stanza si spalancò di colpo, e dalla soglia fece capolino Jeanette.

Anche i suoi occhi comunicavano qualcosa. La rabbia con la quale sen’era andata era rimasta con lei anche ora che era tornata.

«Jeanette, aspetta… » tentò di fermarla Dave, invano.

Percorse la stanza, diretta verso Theodore, che nel frattempo era saltato giù dal letto, e quando gli fu vicina, lo colpì in volto con un forte schiaffo che fece trasalire tutti nella stanza. Non che non se lo aspettassero, ma nessuno (a parte Dave, forse), avrebbe immaginato che l’avrebbe fatto sul serio.

Theodore incasso il colpo senza battere ciglio.

«Jean, ma cosa… » Si fece avanti Brittany, Alvin però la fermò. Era una questione che riguardava loro due, Theodore e Jeanette, gli altri non avevano voce in capitolo.

«Questa è l’ultima volta che metti in pericola la vita di mio figlio per le ossessioni! Lui ieri mi aveva chiesto se poteva venire qui per passare del tempo con te, lo capisci questo?! Voleva stare con te!! E tu ricambi il suo affetto costringendolo a fare viaggi nei sogni quando dovresti sapere benissimo che è ancora inesperto!! Sai cosa sarebbe potuto succedere se foste rimasti bloccati entrambi?!?»

Theodore continuò imperterrito nel suo silenzio. Avrebbe avuto decine di modi diversi per giustificarsi. Poteva dirle che non aveva costretto Mark a fare nulla, che lo aveva deciso da solo di intraprendere con lui il viaggio nel sogno. Poteva dirle che non sarebbero mai rimasti bloccati se fossero finiti entrambi nel Limbo. O anche, poteva dirle che è stato costretto a farlo, perché sapeva che chiederle il permesso sarebbe stato inutile, dato che gliel’avrebbe negato comunque. Decise però di tenere la bocca chiusa, perché si disse che non valeva la pena di darle spiegazioni.

Di ben altro avviso era Jeanette, che invece era intenzionata a continuare.

«Sono passati sedici anni dal suo incidente, tredici dal tuo coma! Apri gli occhi e svegliati, una buona volta… »

«Jeanette, adesso basta, stai esagerando!» Si intromise Dave, convinto di poterla calmare. Inutile dire che invece fu un intervento inutile.

«… tutti noi ci siamo rifatti una vita e stiamo andando avanti, mentre tu corri ancora dietro al fantasma di mia sorella! Lei è morta, mettitelo in testa!! E’ morta e ti ha espressamente detto di dimenticarla… »

«Hai finito?» La interruppe d’improvviso Theodore.

Sta volta, l’interruzione riuscì ad azzittirla. Forse perché nemmeno Jeanette se lo aspettò.

«Tu mi accusi di inseguire i fantasmi, eh? Dici che sono vittima delle ossessioni? E quella volta che tu hai perso contatto con la realtà perché ti appariva in sogno Mark da adulto, quella non era ossessione?»

Jeanette restò basita.

«Quello… quello… NON E’ LA STESSA COSA!!» Urlò lei.

«Già, forse hai ragione… ma tu non sei stata lì quando tutto è successo. Non sei stata tu a vedere l’auto dirigersi contro te ed Eleanor, né sei stata tu a pensare di scostarla per salvarle la vita solo per poi risvegliarti in un letto di ospedale, dopo tre anni di coma, per scoprire che è morta senza che tu non abbia potuto nemmeno partecipare al suo funerale… »

Nella stanza calò il silenzio generale, anche con Jeanette.

Theodore la scostò e si avviò verso la porta, procedendo a passi lenti. Mentre avanzava, continuava a parlare.

«… voi avete perso una sorella e un amica, e con voi, anch’io. Ma io ho anche perso la persona che amavo. Se Brittany fosse affogata in mare cadendo da quell’elicottero, o se Simon fosse stato schiacciato dalla quercia nel tentativo di salvare Jeanette, anche voi, come me, oggi avreste delle ossessioni…» detto questo, abbandonò la stanza.

Percorrendo il corridoio, decise che non gli sarebbe importato niente degli altri e di cosa si sarebbero detti o avrebbero fatto nel momento in cui lui varcò la soglia della porta.

La sua testa vagava altrove. Doveva scoprire se le sue intuizioni su Eleanor e i viaggi nel passato fossero corrette.

 

10.2:

Trascorse così il resto della sua giornata. A chiedersi di continuo se fosse possibile tornare indietro nel tempo per correggerlo e alterare la realtà.

Il suo buon senso gli urlava di NO, ma i suoi occhi erano stati testimoni di fatti che chiunque avrebbe reputato impossibili.

Sapeva che era possibile leggere nel futuro di qualcuno per fare in modo di cambiare il suo destino. Sapeva che la morte, come generalmente viene interpretata, non rappresenta la fine, bensì il passaggio a una nuova vita in un’altra dimensione. E sapeva che i sogni non sono solo il frutto della nostra immaginazione come si potrebbe pensare, ma delle realtà concrete, che grazie all’ausilio di speciali poteri, possono essere alterate a piacimento da chiunque in loro possesso.

Date le premesse, era così sbagliato pensare che tornare indietro nel tempo fosse una cosa così irrealistica? No. Se esistono dei poteri che consentono di cambiare il futuro, sicuramente ne dovevano esistere alcuni che permettono di tornare nel passato per fare altrettanto, e il modo esageratamente sospetto in cui aveva reagito Eleanor, ne era una prova.

Certo, forse Theodore aveva calcato un po’ troppo la mano, ponendosi a lei con fare aggressivi e inopportuno, ma non vi erano dubbi che ci fosse qualcosa che lei gli voleva nascondere.

Ad ogni modo, era tornato a starsene in silenzio su un angolo del divano in salotto, quando gli venne in mente di guardarsi il polso sinistro. Per un attimo si aspettò di scoprire che l’anello era magicamente sparito dal suo braccio nel momento in cui lo aveva sfilato nel Limbo per donarlo a Eleanor, ma l’oggetto era ancora lì, al suo posto, e in fondo non c’era da stupirsene.

Si chiese se nel Limbo Eleanor lo stesse indossando ancora, o se si fosse smaterializzato d’improvviso quando Theodore si era risvegliato, giungendo alla conclusione che per trovare risposta a tutte le sue domande, c’era solo una cosa che avrebbe dovuto fare: tornare da lei! In un modo o nell’altro.

 

10.3:

16 FEBBRAIO 2029.

Passarono altri due giorni, che Theodore trascorse per la maggior parte del tempo dormendo, nella speranza che Eleanor l’avrebbe chiamato a se in qualche modo per dargli finalmente spiegazioni sul mistero dei viaggi nel passato.

Si rendeva perfettamente conto che un ritorno nel Limbo sarebbe stato impossibile senza i poteri dei Viaggiatori, che rendevano i mondi dei sogni malleabili e facilmente alterabili per il passaggio da una dimensione all’altra, ma dopo l’ultimo coinvolgimento di Mark e la successiva discussione con Jeanette, ne scaturì un’altra che sta volta coinvolse anche Simon.

I due fratelli discussero sull’accaduto, e Theodore in particolare, cercava di convincere Simon sulla sua teoria dei viaggi nel tempo. Simon ascoltò le sue parole, ma si rifiutava di credere che ciò fosse possibile. Secondo lui, era vero che il futuro, in determinate condizioni, poteva essere cambiato. Ma riprendendo l’esempio del caso di lui e Jeanette, in cui il destino aveva cercato fino all’ultimo di impedire la loro sopravvivenza, anche ammesso che fosse stato possibile ritornare nel passato per correggerlo in qualche modo, quante probabilità c’erano di poter cambiare qualcosa che era già successo, quando pure bloccare avvenimenti del futuro era così difficile?

Inutili furono gli ulteriori tentativi di Theodore di convincerlo a tentare comunque di far ritorno nel Limbo un’altra volta, e come se l’ostentato rifiuto non fosse stato sufficiente a lasciare l’amaro in bocca a Theodore, Simon gli disse anche che da quel momento a Mark era stato proibito di far uso dei suoi poteri per far tornare lui o qualcun altro nel Limbo.

Quindi, se veramente voleva portare a termine il suo obbiettivo, doveva trovare il modo di farcela con le sue forze.

A un certo punto aveva anche pensato di chiedere a Jeanette di farsi addestrare nell’arte della manipolazione dei sogni, dato che era appurato che i poteri dei Viaggiatori potevano essere appresi e applicati anche dagli stessi sognatori, ma era un’idea destinata a fallire in partenza. Lei non glieli avrebbe mai insegnati, non dopo quello che era successo due giorni prima.

Cosa fare dunque?

Se nessuno era più disposto ad aiutarlo e se la stessa Eleanor si era rifiutata di dargli spiegazioni al momento opportuno, forse a questo punto avrebbe dovuto dare retta alle loro parole e andare avanti. In fondo aveva trentacinque anni, e al di fuori di quella casa c’era ancora un’intera vita ad attenderlo.

Alvin e Brittany tra non molto sarebbero tornati nel loro lussuoso attico a New York, e presto avrebbero avuto il loro primo figlio e un altro nipotino per lui, Simon e Jeanette avrebbero continuato la loro vita a Los Angeles, mentre Mark cresceva e imparava a padroneggiare sempre di più i suoi poteri, e Dave sarebbe rimasto lì, in quella casa, come un fedele padre di famiglia sempre disposto ad aiutare i suoi ragazzi ormai diventati adulti.

In fondo la vita non era poi tanto male, e più ci pensava e più se ne rendeva conto.

Era davvero troppo tardi per un nuovo inizio? Già. Un nuovo inizio.

Quelle tre parole echeggiarono insistentemente nella sua testa, quasi volessero comunicargli qualcosa.

Un nuovo inizio, un nuovo inizio, un nuovo inizio, un nuovo inizio, un nuovo inizio.

Sì. Aveva preso la sua decisione. Ora sapeva cosa doveva fare.

 

10.4:

Saltò giù dal divano, che in questi giorni era tornato a essere una specie di nido sopra il quale lui era tornato a trascorre il suo tempo, e iniziò a riflettere molto attentamente sul piano d’azione che avrebbe dovuto applicare.

Si rendeva conto che era una mossa azzardata, che probabilmente non avrebbe portato a nulla di buono. Anzi! Con molta probabilità avrebbe aggravato ulteriormente la sua posizione, ma ormai non aveva molta importanza.

Erano le 16.20 del pomeriggio, probabilmente Mark era già arrivato a casa da scuola, mentre i suoi genitori dovevano ancora essere a lavoro.

Dave non gli avrebbe mai dato un passaggio fino a casa di Simon e Jeanette, né tantomeno avrebbe accettato di andar a prendere il loro nipote per portarlo da loro, perché non appena Theodore gliel’avrebbe chiesto, l’uomo avrebbe capito subito le sue intenzioni.

Anche semplicemente uscire sarebbe stato sospetto, se lo avesse detto a Dave. Pertanto, l’unica soluzione era fare tutto di nascosto.

La casa di suo fratello Simon distava diversi chilometri dalla loro. Andarci a piedi avrebbe comportato una lunghissima perdita di tempo, col rischio di arriva a destinazione troppo tardi, quindi doveva farsi dare un passaggio da un mezzo pubblico, un taxi, o forse un autobus, ma servivano soldi che lui non aveva.

Dave aveva l’abitudine di tenere la sua Idkey su un bancone della cucina e non aveva blocchi di sicurezza di alcun tipo, almeno a quanto risultava a Theodore. Pertanto, se se ne fosse appropriato, avrebbe potuto sfruttare il credito monetario dell’anziano padre per pagarsi il viaggio. Ma se lo avessero scoperto? Pazienza. Era uno rischio che andava corso, ormai non poteva tirarsi indietro.

Si avviò furtivo verso la cucina, cercando di evitare di incrociare Alvin o Brittany, oppure lo stesso Dave. Se lo avessero visto, non solo avrebbe corso il rischio di essere colto sul fatto, ma avrebbe avuto anche meno tempo a disposizione per arrivare da Mark prima che gli altri si rendessero conto della sua scomparsa.

Non aveva avuto notizia dei due chipmunk per tutta la giornata, e forse questo voleva significare che erano usciti, ma Dave era senz’altro in casa, dato che lo aveva sentito camminare lungo il corridoio, una ventina di minuti prima.

Nei pressi delle scale per il piano superiore, si arrestò per scrutarsi intorno e cogliere eventuali rumori che indicassero la presenza di qualcuno nei paraggi.

Sentì dei rumori di passi di sopra e capì che per quanto riguardava Dave, per ora non correva rischio di essere scoperto, se avesse fatto di fretta.

Arrivato all’entrata della sala da pranzo, controllò che non ci fosse qualcun altro e costatò di avere la via libera.

Raggiunse di corsa il bancone sopra il quale sperava di poter trovare la Idkey e con un agile salto ci salì sopra.

Ispezionò il piccolo contenitore portaoggetti dentro il quale erano riposti anche lo smartphone di Dave e un suo orologio da polso e lì, finalmente, la trovò.

Era piccola e con la scocca di colore nero, Theodore avrebbe tranquillamente potuto infilarsela nella tasca della sua felpa senza essere costretto a portarsela dietro tenendola in mano.

Prima di prenderla, rifletté ancora un po’ sulla stupidità del suo piano e dovette azzittire la vocina della sua coscienza che gli diceva di rinunciare.

Nel momento in cui la prese, si ricordò anche di una presenza ben più concreta, che di sicuro in quel momento lo stava tenendo d’occhio dal suo mondo nel Limbo.

Alzò lo sguardo fissando la parete di fronte a se e immaginandosi di guardare negli occhi Eleanor.

«Scusami. Ma non ho scelta.» Disse, sicuro del fatto che lei avrebbe udito le sue parole.

Saltò giù e, usando la stessa discrezione di prima, si avviò verso l’uscita di casa.

Incontrò un altro ostacolo che, nella foga del momento, aveva dimenticato di tenere in considerazione: la porta.

In genere, quando qualcuno dei chipmunk doveva uscire, era sempre Dave a farsi avanti per aprirla, ma non era questo il caso di Theodore. Se lo avesse chiamato, il suo piano sarebbe andato in fumo, perciò si rese conto che avrebbe dovuto cavarsela da solo anche sta volta.

Tento di saltare fino alla maniglia della porta un paio di volte, ma in entrambi i casi non era stato in grado di raggiungerla. Al terzo tentativo fallito, si allarmò sentendo i rumori dei passi di Dave sul corridoio del piano di sopra e dovette momentaneamente rinunciare al suo tentativo di fuga per correre a nascondersi.

Tornò in salotto, sul suo divano. L’unico posto in cui essere visto da Dave, non avrebbe destato alcun tipo di sospetto.

Il suo intuito si rivelò corretto, perché l’anziano, dopo aver sceso le scale, si diresse proprio verso la stanza. Theodore si sdraiò e finse di dormire, in modo da evitare di dover incrociare i suoi occhi o fare qualcosa che potesse tradirlo, e nel frattempo estrasse dal tascone della felpa la Idkey per nasconderla sotto uno dei cuscini (Dave avrebbe potuto notarla nel caso si fosse soffermato un po’ di più su di lui).

A Theodore non importò di scoprire cosa stesse facendo l’uomo nella stanza, si limitò a restarsene immobile e a occhi rigorosamente serrati, aspettando che si allontanasse.

La vocina nella sua testa era tornata a insistere sulla stupidità di quello che stava cercando di fare. Era stato visto. Anche se fosse riuscito ad andarsene, bastava che Dave si accorgesse della sua assenza per cominciare a chiedersi dove fosse finito, e di lì a poco, scoprire che era sparito. Doveva fermarsi ora che ne aveva la possibilità.

Ovviamente, Theodore non aveva alcuna intenzione di darle retta. A maggior ragione perché Dave, dopo aver probabilmente preso qualcosa che stava cercando in qualche cassetto, uscì dalla stanza e risalì le scale.

Ora o mai più, si disse tra sé e sé Theodore. Doveva riuscire ad aprire la porta e andarsene.

Recuperò la Idkey da sotto il cuscino e tornò nel corridoio.

Si arrestò a un metro dalla porta e fissandola insistentemente, cerco di escogitare un modo per riuscire a raggiungere la maniglia. Non c’erano mobili lì intorno di cui avrebbe potuto servirsi per raggiungerla più facilmente, doveva per forza saltare da terra e riuscire ad afferrarla.

Guardò verso le scale, e pensò che forse c’era qualcosa che avrebbe potuto provare. Era la soluzione più ovvia, e si sentì stupido per non averci pensato prima.

In pratica, quello che avrebbe dovuto fare era… prendere una semplice rincorsa. Da fermo non era stato in grado di raggiungerla, ma era comunque riuscito ad arrivarci molto vicino, gli bastava saltare giusto giusto un paio di centimetri in più e fare affidamento alla forza delle sue mani per afferrarla e tirarla verso il basso, e a quel punto sarebbe finalmente stato libero di andarsene.

Si diresse verso le scale fino ad arrivare a poggiare la schiena al primo gradino, e da lì, in un primo momento, pensò di fare una serie di respiri profondi per concentrarsi e prepararsi al salto che avrebbe dovuto fare. Una buona idea sulla carta, che però Theodore non riuscì a mettere in pratica, dal momento che subito dopo la prima profonda boccata d’aria espirata, il rumore dei passi di Dave dal piano di sopra lo mise in allarme.

Un’ondata d’adrenalina gli entrò in circolo e lo investì come un fiume in piena, e senza quasi più riflettere sulle sue azioni, cominciò a correre in direzione della porta, per poi fare un incredibile salto che lo fece arrivare facilmente all’agognata maniglia. D’istinto la afferrò e il suo peso, per quanto ridotto, fece il resto.

Solo in quel momento si rese conto di cosa era riuscito a fare, giusto in tempo per accorgersi del fatto che Dave stava nuovamente per scendere le scale.

Si affrettò a lasciare la presa e cadere a terra, e ignorando l’intontimento dovuto alla caduta, aprì la porta quanto bastava per permettere al suo corpo di passare e finalmente fu fuori.

Ormai non aveva importanza se Dave l’avesse visto o no, o se avesse notato la porta aperta e si fosse insospettito. Si assicurò di avere ancora con se la Idkey dell’anziano e dopo averne accertato la presenza, si avviò di corsa sul vialetto, diretto in strada.

Conosceva l’indirizzo della casa di Simon e Jeanette, ora gli bastava solo procurarsi un mezzo di trasporto per arrivarci.

La vocina nella testa gli fece notare che era la prima volta da diversi anni che non prendeva un mezzo pubblico da solo, ma come nelle precedenti occasioni, anche sta volta il suo blando tentativo di farlo desistere fu completamente ignorato.

Dal Limbo, Eleanor cercava in tutti i modi di entrare in contatto con lui, ma dato che fino adesso le sue parole erano state inutili, stava cominciando a pensare che forse non c’era modo di entrare direttamente in contatto coi Vivi, e decise di rinunciare. Da quel momento, le voci nella testa di Theodore si azzittirono.

 

10.5:

POCHI MINUTI DOPO.

Dave sentì suonare il campanello della porta.

Un quarto d’ora prima, scendendo dalle scale, si era accorto che era rimasta leggermente aperta. All’inizio la cosa gli sembrò quanto mai strana, dato che fino ad allora era convinto che fosse chiusa, ma poi, pensando al fatto che l’aveva aperta ad Alvin e Brittany per farli uscire, archiviò la cosa come una semplice distrazione e non ci pensò più.

Andò ad aprire e, come aveva immaginato, si trovò di fronte la coppia, che aveva fatto ritorno dalla passeggiata pomeridiana.

«Ben tornati.» Li salutò, e loro lo ricambiarono.

«Dave, se vedessi! Sai quel nuovo negozio di articoli per bambini che hanno aperto a un paio d’isolati da qui? Abbiamo visto delle culle bellissime che sarebbero perfette per lui!» Annunciò la Chipette esaltata, alludendo al suo figlio in arrivo. «Chi sa se potranno farcene una su misura?» Si chiese rivolgendo lo sguardo ad Alvin, che dall’espressione sembrava condividere con lei lo stesso entusiasmo.

«Parlate del “Child Choice”, quello che hanno aperto tre mesi fa, giusto?» Domandò Dave.

«Sì, almeno… mi sembra che sia stato questo il suo nome, o no Britt?» Le chiese, invece, Alvin.

«Sì, esatto!» Confermò lei.

«Ottimo! Sapete, conosco il proprietario del negozio, posso parlarci io se volete.» Propose Dave.

«Dici davvero?! Ma è fantastico!»

Dopo quel piccolo dialogo tra i tre, Alvin e Brittany si diressero nella loro stanza, con il chipmunk che aiutò la sua compagna a salire portandola in braccio.

Dave nel frattempo aveva ripreso le sue solite attività, felice di potersi rendere per una volta utile alla coppia.

Alvin e Brittany erano molto ricchi, e la regola del capitalismo insegna che coi soldi si può fare tutto, ma all’anziano Seville faceva piacere il fatto di poter ricorrere alle sue conoscenze, e non solo al vile denaro, per ottenere qualcosa di cui la sua famiglia aveva bisogno.

Era in sala da pranzo, impegnato a leggere alcuni documenti giuntigli quella mattina per posta, quando l’arrivò di Alvin distolse la sua attenzione dai fogli di carta.

«Dave, sai dov’è Theodore?» Gli domandò a bruciapelo.

«Oh, lui? E’ di là in salotto, credo stia dormendo.»

«Veramente ho appena controllato lì… »

«E non c’è?»

«E non c’è.»

«Hmm, sarà andato in camera sua, ultimamente non fa che andare avanti e indietro da lì.»

Alvin ci rifletté su un po’.

«Sì, può darsi. Vado a dare un’occhiata.»

Mentre Alvin si allontanava, Dave non si preoccupò minimamente di dove potesse essere finito l’altro chipmunk, e riprese a dedicarsi ai suoi documenti come se nulla fosse.

Di sopra, Alvin entrò nella stanza di Theodore e lo chiamò un paio di volte, ma del fratello, nessuna traccia. Decise persino di controllare nella stanza da letto di Dave, ma neppure lì lo trovò. Tornato nel corridoio, vide la porta del bagno spalancarsi, e da lì, uscire Brittany.

«Che succede?» Gli chiese lei, accortasi dell’espressione perplessa che era montata sul volto del compagno.

Se lei era uscita giusto in quel momento dal bagno, significava che Theo non poteva trovarsi nemmeno lì dentro. Ma allora, dove si era cacciato?

Da basso, Dave, ignaro di tutto, si alzò dalla sedia su cui era seduto e fece per andare verso il frigo alla ricerca di qualcosa da bere, ma di nuovo, l’arrivo di Alvin, questa volta in evidente stato di agitazione, lo distrasse.

«Dave! Theodore è sparito!»

«Che significa “sparito”?!»

«Significa che ho guardato in tutte le stanze della casa e di lui neanche l’ombra!»

Dave, incredulo della strana piega degli eventi, tento di trovare una spiegazione rassicurante da dare ad Alvin.

«Bhe, forse è uscito qui fuori in giardino, hai provato a controllare dalla finestra?»

Guardarono insieme e, come volevasi dimostrare, non era neanche lì fuori.

A quel punto, Dave, ricordatosi anche del fatto che Theodore non poteva in alcun modo essere in giardino, dal momento che non si era fatto aprire la porta per uscire, cominciò a prendere sul serio le parole di Alvin. Lo cercarono insieme per tutta la casa, chiamandolo con toni di voce via via crescenti.

Non soddisfatto di quella misera occhiata lanciata dalla finestra della cucina, usci di casa e andò a verificare di persona se potesse essere lì fuori o no.

Non trovandolo, rientrò in casa, e solo allora gli tornò in mente la porta trovata aperta venti minuti prima. Poteva essere solo un caso?

«Allora, l’hai trovato?» Gli chiese Alvin apparendo dalla sala da pranzo, e con lui c’era anche Brittany.

«No, dannazione! Dove diavolo si è cacciato?! Adesso inizio a preoccuparmi sul serio!»

Rientrarono in cucina.

«Sapete… mi chiedo se… no, non può averlo fatto sul serio!» Esclamò Brittany.

«Cosa?!» Le domandò Alvin.

«Stavo pensando… e se fosse andato da lui? Cioè… da Mark?»

«No, non può essere stato così stupido, non dopo tutto quello che è successo! E poi… insomma, a piedi?! Sarebbe dovuto partire come minimo questa mattina!»

«E se invece fosse così?» Si intromise Dave, dando loro le spalle mentre parlava.

«Intendi dire…andare da Mark?!»

«Sì, Alvin… mezz’ora fa scendendo al piano terra ho trovato la porta leggermente aperta, ma non ci avevo badato molto, anche se ero convinto che fosse rimasta chiusa per tutto il giorno… »

«Ma… andare da Mark… hai idea di quanta strada sia per un chipmunk?!»

«Alvin, vuole chiedergli di riportarlo ancora da Eleanor, è evidente! L’atra volta sono stati interrotti da Jeanette, e ora lui vuole riprovarci!» Gli rispose Brittany, convinta di averla vista giusta con la sua teoria.

«E c’è dell’altro… » Dave indicò ai due chipmunk il piccolo contenitore dentro il quale era solito tenere le sue cose «la mia Idkey è sparita!»

«Oh no! Ormai è chiaro, l’ha presa Theodore! Probabilmente ha preso un taxi per arrivare più in fretta!»

Alvin si colpì la fronte col palmo della mano.

«Cavolo, Simon mi aveva anche detto che oggi sarebbe tornato a casa dall’università prima del solito!»

«Allora speriamo che ci arrivi prima di Theodore… faccio un salto da loro anch’io, per sicurezza.» Li avvisò Dave.

«Veniamo con te!»

«Bene, allora preparatevi e aspettatemi all’entrata, io chiamo dal lavoro Jeanette, se Brittany ha ragione, anche lei deve sapere!»

L’uomo uscì di fretta dalla cucina e andò a telefonare a Jeanette dall’altra stanza. Forse avrebbe dovuto fare un colpo di telefono a Simon, ma alla fine ritenette che sua moglie fosse più che sufficiente.

Dalla cucina.

«Che idiota. Questa volta ci penserà tua sorella ad ammazzarlo sul serio!» Scherzò sarcastico, Alvin.

«Non dirlo due volte, tu non la conosci come la conosco io. Sarebbe capace di farlo sul serio.»

Alvin ci restò di sasso sentendo la risposta della Chipette.

Dave, dal corridoio lì chiamò in gran fretta e disse loro che era il momento di andare.

«Hai chiamato Jeanette, Dave?»

«Sì, Britt. Smonta tra mezz’ora. Sarà lì qualche minuto dopo di noi.»

«Le hai detto di Theodore e di cosa vuole fare? Come ha reagito?» Domandò Alvin, preoccupato per la prospettiva di dover perdere un fratello per mano di una madre furiosa.

«Meglio che tu non lo sappia.» Si limitò a rispondere seccamente.

A quel punto salirono in macchina e partirono.

 

10.6:

(Casa di Simon e Jeanette)

Seduto comodamente sulla moquette del suo salotto, Mark stava trascorrendo il pomeriggio dedicandosi alla lettura di “Cronache dei giorni di quarzo”, il libro avuto in regalo dai suoi genitori per il compleanno.

Rispetto ai precedenti romanzi della saga, trovava questo terzo capitolo molto più lento e noioso del solito, privo della dirompente azione che caratterizzava gli altri episodi. Ma nonostante ciò, proseguiva nella lettura divorando minuto dopo minuto parole e pagine.

Non poteva saperlo, ma mentre lui era dedicato alla lettura del suo libro, suo zio Theodore era appena arrivato all’entrata del palazzo nel quale risiedevano.

Il chipmunk adulto, dopo aver pagato il pedaggio del taxi che lo aveva accompagnato fin lì, mise al sicuro la Idkey rubata a Dave nella tasca della sua felpa e entrò eludendo la vigilanza del portinaio grazie alle sue ridotte dimensioni (se Simon e Jeanette lo avessero messo in guardia sull’eventualità che Theodore potesse farsi vivo, essere visto da lui poteva compromettere tutta l’operazione).

Si diresse furtivamente verso gli ascensori, ma decise infine di non usarli (anche in questo caso avrebbe corso il rischio di essere visto), optando per le scale.

Salì lungo i gradini di ben sette piani, prima di arrivare all’ottavo, dove si trovava l’appartamento di suo fratello Simon.

Ispezionò il corridoio per verificare l’eventuale presenza di persone sospette e accertando di avere il via libera, non perse altro tempo e corse alla ricerca della porta di casa loro.

Non sarebbe stata una ricerca particolarmente ardua, doveva solo trovare l’unica porta ad avere due pomelli e due campanelli ad altezza e dimensioni diverse, per umani e chipmunk. Inoltre, era già stato da loro pochi giorni prima, quindi aveva le idee chiare sul dove dirigersi.

La trovò subito, anzi! Si può quasi dire che perse più tempo a raggiungerla che non a trovarla.

 

10.7:

Un trillo del campanello della porta distolse l’attenzione di Mark dalla lettura del suo romanzo. Era raro che in casa loro ricevessero delle visite improvvisate durante i giorni lavorativi, perciò in un primo momento credé di esserselo immaginato, e tornò alla sua attività, ma quando udì il secondo trillo, non ebbe più dubbi che qualcuno stava suonando proprio a casa loro.

Andò alla porta, ma non aprì subito.

«Chi è?» Domandò titubante.

«Sono io, apri per favore.»

La voce era inconfondibile, era suo Zio Theodore.

Il piccolo chipmunk aprì la porta.

«Zio Theo! Che ci fai qui?»

«C’è qualcuno in casa? Mamma e papà sono tornati dal lavoro?»

«Oh… no. Papà credo che rientrerà tra poco, ma per la mamma non so.»

«Hmm. Ok, abbiamo tempo.»

«T-tempo per cosa?»

«Fammi entrare, dopo ti spiego.» Gli disse nervosamente.

«No… aspetta. Vuoi tornare ancora da Zia Eleanor? Non posso farlo. Mamma e papà me l’hanno proibito… e anche a te.»

«Questo lo so, ma ne parliamo poi. Fammi entrare!» Insistette Theodore.

Mark non aveva altra scelta che accontentarlo. Suo zio sarebbe entrato comunque in un modo o nell’altro.

«Come ti dicevo, non posso farti tornare nel Limbo! La mamma era già molto arrabbiata l’altra volta, se ci scopre di nuovo, questa volta mi metterà in punizione per tutta la vita e farà passare a te un mare di guai…» Gli spiegò Mark dopo averlo fatto entrare e aver chiuso la porta.

«Mark, Mark… » lo interruppe Theodore «ascoltami bene, per favore. E’ vero, l’altra volta volevo solo rivedere la zia un’altra volta, ma adesso è tutto diverso, credimi! Papà ti ha detto qualcosa riguardo a viaggi nel tempo e cose del genere?»

Mark ci rifletté su un po’.

«L’ho… l’ho sentito parlarne con la mamma… ieri sera. Ma non avevo capito molto… »

«Bhe, è semplice! Se riuscissi a tornare nel Limbo, da Eleanor, credo che potrei… »

«Mark, sono a casa… » annunciò una voce «come mai la porta era aperta?» Era Simon, di rientro dal lavoro e ignaro di tutto.

Theodore cercò di pensare in fretta a un posto dove potersi nascondere, ma era inutile, suo fratello li raggiunse subito in salotto.

«Theodore?! Ma cosa… » il suo sguardo passo fulmineamente da Theodore a suo figlio «Mark, ma che sta succedendo qui? La mamma è già arrivata?»

«No, non c’è nessuno. Zio Theodore è venuto fin qui da solo.»

«Cooosa?!» Tornò a guardare negli occhi il fratello. Non gli fu difficile capire le probabili ragioni del perché avesse fatto tutta quella strada da solo.

«Oh, no! Non puoi averlo fatto davvero!»

«Rilassati, Simon. Sono appena arrivato… » lanciò un’occhiata a suo nipote «e comunque, Mark non ha voluto darmi retta sta volta.» Aggiunse. Non aveva senso coinvolgere anche suo nipote in quel folle piano che alla fine si era rivelato solo un buco nell’acqua.

Andò a sedersi sul divano, un’azione che aveva fatto un sacco di volte nel corso degli anni, e che ormai gli era entrata nel sangue.

Chinò la testa, chiuse gli occhi e appoggiò il volto sul palmo di una mano, e li restò in silenzio ad aspettare. Cosa, non lo so sapeva nemmeno lui, ma comunque si mise in attesa, amareggiato per un fallimento così miserabile dopo tutti gli sforzi fatti per compierlo al meglio.

«Per la miseria, Theodore… » Simon lo raggiunse sul sofà «la psicologia è il mio campo di lavoro, ma proprio non ti capisco… perché non riesci a mollare? Hai rivisto Eleanor, ci hai parlato. Lo sai meglio di tutti che è ancora con noi, anche se non possiamo vederla. Perché insisti con questa storia?» Non riusciva a provare rabbia per il fratello. Jeanette non poteva più soffrirlo dopo la volta che aveva coinvolto Mark nella sua fissazione, ma lui non era così, lo compativa, e comprendeva le sue ragioni, anche se a parole diceva di non capirlo.

«E tu perché fai domande, se poi non vuoi sentire le risposte?» Rispose Theodore.

Simon lo guardò confuso.

«Sai benissimo di che parlo.» Aggiunse Theodore.

Simon sbuffò.

«Perché è ridicolo. Te l’ho già detto. Non puoi pensare sul serio di farlo.»

«E se ti sbagliassi? Jeanette non diceva le stesse cose di te quando dicevi che avremo potuto trovare Eleanor attraverso i sogni condivisi di Mark?»

«Non è andata così. E comunque non è questo il punto. Qui non centrano niente viaggi nel tempo! La verità è che, semplicemente, non vuoi lasciarla andare. Non hai mai saputo accettare la sua morte, e ora che l’abbiamo rivista, dimostri ancora di più le tue ossessioni volendo tornare da lei a tutti i costi, fregandotene di chi ti sta intorno!»

Theodore stava perdendo la pazienza.

«E questo che pensi?»

«Se il mio lavoro vale qualcosa, ebbene sì!»

Si fissarono negli occhi, studiandosi in silenzio. Simon, in attesa della prossima risposta di Theodore, e Theodore in attesa di decidere se continuare una discussione che non li avrebbe portati da nessuna parte o chiudere qui la questione.

Qualcuno bussò nervosamente alla porta.

«Papà… » lo chiamò Mark.

«Vado io.» Gli rispose Simon, senza distogliere lo sguardo da quello di Theodore.

Quando il chipmunk con gli occhiali uscì dalla stanza, quello con la felpa verde ritornò alla sua posizione d’attesa seduto sul sofà.

Dall’altra stanza, udì le voci di Dave e degli altri.

«Ci sono il nonno e gli Zii, e c’è anche la Mamma!» Lo informò Mark.

«Già, mi chiedevo quanto ci avrebbero messo ad arrivare.» Gli rispose apaticamente Theodore, senza lasciar trasparire alcun tipo di emozione e fregandosene completamente degli altri, come avrebbe detto Simon.

Mark non sapeva come comportarsi di fronte all’atteggiamento dello Zio, e uscì quindi dalla stanza per raggiungere gli altri.

Jeanette parlò a suo figlio. Ci fu uno scambio di domande e risposte tra i presenti, che Theodore però non volle ascoltare.

L’unica cosa a cui la sua concentrazione sembrava volersi dedicare era la sua teoria sul ritorno al passato.

Simon, Dave e tutti gli altri potevano dirgli quello che volevano su quella che loro chiamavano “ossessione”, fare tutte le loro supposizioni per cercare una giustificazione che potesse spiegarla, suggerire soluzioni o seguire il modo di pensarla di Jeanette ed essere indifferenti nei suoi confronti, ma in ogni caso, non avrebbero mai potuto comprendere le vere ragioni di Theodore. Nessuno di loro aveva visto la reazione di Eleanor nel Limbo, altrimenti non si sarebbero opposti così testardamente.

A quel punto, mentre la sua mente vagava nel mare di pensieri in cui era sommerso, tutti i membri della famiglia Seville, al gran completo, fecero la loro apparizione in salotto, ponendosi di fronte a lui.

Gli unici due a cui dedicò attenzione erano Jeanette e Dave. Lei con uno sguardo di odio feroce, che sembrava non aspettasse altro che saltargli addosso per aggredirlo fisicamente, lui, invece, con un’espressione di profonda delusione sul volto, che a brave gli avrebbe anche dichiarato apertamente.

Theodore non aspettò che fosse Dave a chiederglielo. Estrasse dalla tasca la Idkey di suo padre e gliela porse.

Lui gliela strappò di mano bruscamente e se la mise in tasca.

«Sono molto deluso di te, Theodore. Questa non me la dovevi fare… »

Già, come volevasi dimostrare, si disse Theodore tra sé e sé.

«… voler rivedere Eleanor è una cosa, ma il furto non posso accettarlo. Con questa ti sei giocato tutta la fiducia che avevo in te… » continuò Dave, ma le sue parole suonarono vuote e prive di significato per Theodore. Non riusciva più a esercitare quell’autorità che lo rendeva il rispettabile capo famiglia di un tempo. Lui e Theodore avevano vissuto giorno dopo giorno dieci anni nella stessa casa, e nel tempo nessuno di loro, a parte il chipmunk, aveva capito che anche Dave era stato profondamente scosso dall’incidente, tanto da renderlo l’uomo che era ora. Theodore, quindi lo lasciò parlare senza batter ciglio e quasi senza ascoltarlo.

«Ahhh! Basta così!!» Urlò improvvisamente Jeanette, cogliendo tutti di sorpresa. «Non ne posso più di questa storia! Lo voglio fuori da casa mia, subito!!»

Simon, trovatosi completamente alla sprovvista, cercò di trattenere la moglie, la cui furia, però, l’aveva resa inarrestabile.

Jeanette non era più intenzionata a instaurare alcun dialogo né di restare in silenzio mentre gli altri parlavano. Voleva che Theodore se ne andasse e che non facesse più ritorno, e per quanto la sua reazione potesse sembrare esagerata, aveva deciso che da quel momento in poi con lui non avrebbe più voluto aver nulla a che fare. Quel chipmunk doveva uscire dalla sua vita, e doveva farlo ora.

«Scendi subito giù dal mio divano, e vattene da casa mia!!» Lo afferrò per la collottola della felpa e lo sollevo in piedi, per poi buttarlo giù dal sofà.

«Jeanette!!» Urlarono in coro gli altri, e poi Simon e Alvin andarono da Theodore per aiutarlo ad alzarsi.

«Jeanette, ma sei impazzita!! Che diavolo ti passa per la testa pure a te?!?» La rimproverò Dave.

«Non ne posso più di questa storia! Non potevo sopportarlo prima, e non lo sopporto neanche adesso, voglio che se ne vada e ci lasci in pace. Hai capito, Theodore? Ci hai rovinato la vita! Vattene e non tornare più!!»

«Jeanette, piantala adesso, stai andando fuori di testa, non ragioni più!» Le urlò contro Alvin.

«Ha parlato quello che è stato per i fatti suoi per dieci anni. Dov’eri quando tuo fratello aveva bisogno di, eh? A New York a fare i comodi tuoi! E adesso vieni qui a fare il maestrino con me… »

«STA ZITTA!» Questa volta a urlare era stato Simon. Un urlo autoritario, come non era stato in grado di farne da un sacco di tempo.

«Simon, tu… vieni a dire a me… »

«Sì, esatto! Hai capito bene! Ti credi superiore a tutti perché sei convinta di essere l’unica a non essere stata turbata dalla morte di tua sorella! Bhe, svegliati, perché ci sei dentro fino al collo anche tu… »

«… non lo credo prop… » tentò di parlare, ma fu subito interrotta.

«… quindi ora vatti a dare una rinfrescata in bagno e torna qui quando ti sarai data una calmata, è chiaro? E sappi che non lo ripeterò un’altra volta!»

Jeanette era indignata. Le sue labbra cominciarono a tremolare, l’agitazione era al massimo.

«Se le cose stanno così me ne vado io! Addio Simon, io ti lascio!» E se ne andò senza aggiungere una sola parola uscendo dalla porta del loro appartamento.

«Ma-Mamma… dove vai?» Balbettò il piccolo Mark, con alcune lacrime che già gli stavano scendendo sul viso.

«No, aspetta qui Mark. Simon, vado a parlarci io.» Disse Brittany.

«Lasciala perdere. Che vada pure al diavolo.» Le rispose Simon.

«No, non dirlo neanche per scherzo. Vado da lei adesso, e non cercate di fermarmi.»

Brittany corse dietro alla sorella, mentre nella stanza del salotto restarono Dave, Mark e i tre fratelli Chipmunks.

«S-Simon… mi… mi dispiace.» Disse Alvin.

«Non importa, pensiamo a lui adesso. Theodore, stai bene?»

Theodore era seduto sulla moquette con la schiena appoggiata al divano, e oltre a tenere lo sguardo fisso davanti a se, fino ad allora non aveva reagito in alcun modo. Alla domanda di Simon, però, parlò.

«Credi ancora che si possa andare avanti?»

«Come? Che vuoi dire?»

Theodore si alzò in piedi, aiutato da Alvin che lo prese per un braccio.

«Mi avete sempre detto che io devo lasciarmi il passato alle spalle e andare avanti con la mia vita. E’ questo che voi intendete per vita? Bhe, che belle prospettive»

«Theodore, adesso non metterti tu a fare il sacente… » cominciò Dave «tutto questo non sarebbe successo se tu non fossi venuto qui… »

«No Dave, aspetta… » lo interruppe Simon «Theodore ha ragione. Insomma, guardateci. Eravamo una famiglia perfetta fino a sedici anni fa. Il massimo che ci succedeva erano dei battibecchi tra me e Alvin o qualche piccola guaio in casa o a scuola, e adesso invece… guardate cosa siamo diventati.»

«No… io… non sono d’accordo!» Si oppose Dave. «Eravamo tornati a essere una famiglia riunita qualche giorno fa, e poi… stiamo dimenticando il motivo del perché siamo qui!»

«Già, Dave. Per cosa siete qui? Io ero venuto per tentare aggiustare ogni cosa, voi invece?» Domandò Theodore.

Simon ritornò nella conversazione.

«Ancora con questa storia, Theodore?»

«Non intendo rinunciarci, Simon. Non dopo tutto quello che ho dovuto passare.»

Simon sbuffò, ormai rassegnato.

«Pff… allora fai quello che ti pare, ma sono curioso di sapere come farai.»

«Io… io non voglio riportarlo nel Limbo!» Annunciò Mark, che era rimasto in disparte fino ad allora.

«Ecco, appunto. Mark ha detto tutto, quindi che farai ora?»

Sul volto di Theodore si stampò d’improvviso un ghigno preoccupante. Totalmente fuori luogo nel contesto.

«Non avevo intenzione di chiedere a Mark di riportarmi in un sogno condiviso. Ci avevo rinunciato nel momento in cui siete arrivati voi.»

Tutti gli sguardi dei presenti erano improvvisamente puntati su Theodore. Persino quello della stessa Eleanor, che aveva osservato dal Limbo tutto quello che era avvenuto fino a quel momento e che ora, come loro, si chiedeva cosa volesse dire.

Quando Jeanette, in preda alla furia, aveva buttato Theodore a terra in quel modo tanto violento, il chipmunk aveva finito per battere la testa ancora una volta. D’improvviso, gli si proietto nella mente lo strano sogno che aveva vissuto durante il secondo incontro con Eleanor, quando si era ritrovato in cima a quell’imponente grattacelo, e in quel momento si era reso conto che rimaneva ancora una cosa da fare. Il piano B che aveva cercato fin da subito di escogitare ma che non gli era mai venuto in mente.

Era necessario l’intervento diretto di Eleanor affinché lui potesse raggiungere il Limbo attraverso i sogni condivisi di Mark, e senza di lei, qualsiasi cosa avrebbe detto o fatto, non sarebbe servita a nulla, oppure no?

«Theodore… cos’ hai in mente?» Gli domandò Alvin.

Lui sorrise, soddisfatto e sicuro di se e si allontanò d’improvviso da loro, dirigendosi verso la vetrata che conduceva alla terrazza dell’appartamento.

Gli altri lo guardarono confusi e con mille domande in testa.

«Ma… che sta facendo?» Questa volta fu Dave a chiederlo.

Simon a quel punto capì.

«Oh, no! Dave, fermalo! Vuole saltare dal terrazzo!!»

«Cosa?!?»

L’uomo corse per cercare di raggiungerlo, ma Theodore aveva già varcato la vetrata ed era saltato sul bordo del parapetto.

«Non ti muovere da lì, Dave!» Gli ordino il chipmunk. Presto anche i suoi fratelli li raggiunsero, mentre Mark se ne restava in disparte, impietrito dalla paura.

«Theodore, ma che diavolo stai facendo?! Sei impazzito?!?» Urlò Simon.

«In questo modo Eleanor non potrà impedirmi di raggiungerla. Quando l’abbiamo vista la prima volta, ci ha spiegato cos’ha dovuto fare per restare nel Limbo, quindi, se non sarete voi ad aiutarmi a raggiungerla, vorrà dire che lo farò da solo.»

«Ma… ma… ti rendi conto di quello che stai dicendo?! Finirai per morire anche tu se ti butti di sotto!» Disse Alvin.

«Lo so, ed è proprio questo che voglio fare.»

«E non pensi a noi? Che dovremo fare?! Come lo spiegheremo alle ragazze!» Aggiunse Dave.

«Non ha più importanza. Quando io ed Eleanor cambieremo il passato, tutto questo si sistemerà, e non dovrete più preoccuparvi di niente»

«No, Theo! Non possiamo lasciartelo fare! Scendi giù di lì, ti prometto che poi io e Mark ti aiuteremo a tornare da lei!!» Lo supplicò ancora Simon.

«Simon, lo so cosa state pensando. Pensate che io sia pazzo, ma per favore, dovete credermi, so quello che faccio. Non so per quale motivo lo faccia, ma Eleanor ci nasconde qualcosa! Ha quasi avuto un attacco di panico quando ho iniziato a farle domande sui viaggi nel tempo, questo deve per forza significare qualcosa!»

«Ma non puoi saperlo! Non possiamo nemmeno essere certi che quella fosse davvero Eleanor, potrebbe essere qualunque cosa! Una proiezione del tuo subconscio, chi sa! Se ti sbagli avrai gettato la tua vita al vento per niente!»

«E cosa proponi che dovremo fare? Tua moglie se n’è appena andata gridando di volerti lasciare! Sto parlando di Jeanette, Simon… Jeanette! Credi davvero che le cose spariranno nel momento in cui io scenderò da qui? Se c’è una cosa che ho imparato in questi anni è che i traumi non guariscono mai del tutto. Noi li nascondiamo, cercando di far finta che non sia successo niente. Ci creiamo delle illusioni di successo e di stabilità familiare e ci rifugiamo in esse per sfuggire, ma quelli restano dentro di noi per sempre! Se ci fosse la possibilità di cancellare tutto, se tu fossi sicuro in cuor tuo che è possibile ripartire da zero per ricostruire la vita che ci è stata negata, non vorresti anche tu fare qualcosa per renderlo possibile?»

Era davvero Theodore ad aver parlato? Se lo chiedevano tutti in quella terrazza.

La risposta più ovvia era: no. Non era Theodore, o meglio, non era il LORO Theodore. Quello che un tempo era il più tenere e amichevole del gruppo, ma allo stesso tempo il più ingenuo. No, non lo era. Solo ora si resero veramente conto di cosa fosse veramente diventato in seguito all’incidente. I dieci anni di silenzio e apatia erano stati solo una fase del suo cambiamento. Un tasto di “pausa” tenuto semplicemente premuto per troppo tempo. Ma ora che il tasto era stata sbloccato, potevano finalmente vederlo chiaramente.

Era come se lui avesse sempre saputo di essere destinato a quello. Aveva aspettato a lungo, lasciandosi quasi morire di stenti nell’attesa di poter finalmente tornare da Eleanor, e ora che ne aveva la possibilità, qualunque fosse stata la motivazione del suo gesto, niente al mondo avrebbe potuto fermarlo.

Forse era proprio così che dovevano andare le cose. Forse era proprio questo il grande disegno che era sempre stato dietro ai drammi della loro famiglia. Forse Alvin doveva affogare nel disperato tentativo di salvare Brittany dal mare che la stava inghiottendo, forse Simon doveva essere schiacciato insieme a Jeanette da quella maledetta quercia, e forse Theodore avrebbe dovuto perdere la vita nell’incidente insieme a Eleanor, in questo modo, non ci sarebbero state partenze improvvise che avrebbero diviso la famiglia, né litigi che ne avrebbero minato l’equilibrio, e neppure disperate ossessioni che avrebbero fatto crollare tutto quello che fino ad ora era stato faticosamente ricostruito.

«Theodore… fratello, io… se potessi fare qualcosa per cancellare tutto questo, sarei il primo a provarci, ma non a discapito della mia vita o di quella di chi mi sta intorno. Ogni persona al mondo, ogni giorno, vive dei grandi o dei piccoli traumi, e se ci fosse una soluzione per impedirli è giusto sfruttarla, ma la vita è un bene prezioso, non si può sacrificarla in questo modo!»

«Bhe, Simon. Io sono morto quel 26 aprile 2016, quando mi sono risvegliato dal coma e mi è stato detto che Eleanor non ce l’aveva fatta. Quello che vedete qui è solo il suo corpo, e ora è arrivato il momento che si ricongiunga alla sua anima. Vi prometto solo una cosa: tornerò indietro e vi ridarò la vita che non avete mai potuto avere. E ora, addio.»

Non indugiò ulteriormente. Si lasciò semplicemente cadere dal parapetto, mentre gli altri urlavano il suo nome e gridavano “NOOO”, come se ciò potesse servire a riportarlo indietro.

Il piccolo Mark, fuori di se, quasi corse il rischio di cadere giù insieme a suo Zio, mentre si lanciò precipitosamente verso la ringhiera, e fu fermato all’ultimo secondo da Dave, che lo placò con entrambe le mani.

Tutti i maschi della famiglia Seville presenti in quel terrazzo, guardarono con il volto pallido e sotto shock il corpo di Theodore che diventava sempre più piccolo via via che precipitava dagli otto piani da cui si era lanciato.

Mentre aspettava il momento in cui si sarebbe schiantato al suolo, il chipmunk dalla felpa verde era sereno e per niente preoccupato, perché aveva già provato un’esperienza simile alla morte, e sapeva comunque che in ogni caso, quella non sarebbe stata la fine di tutto, ma solo un nuovo inizio. Doveva solo chiudere gli occhi e aspettare.

Preparati, Ellie. Sto venendo da te. Si disse tra sé e sé, e quello fu il suo ultimo pensiero da vivo.

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Capitolo 11
*** EPILOGO ***


1:

ORA SCONOSCIUTA (Luogo sconosciuto)

Strano. Era convinto che avrebbe sentito almeno qualcosa, un istante di dolore intenso che poi si sarebbe spento, invece non ci fu niente.

Aprì gli occhi come se si fosse risvegliato da un sogno e davanti a sé vide subito proiettarsi, come fosse un megaschermo, tutte le immagini facenti parte della sua vita, dalla nascita fino ad ora. Sicuramente faceva parte del rituale del trapasso, come se si trattasse di un riepilogo di tutto quello che era stato fatto fino ad allora, prima di proseguire. Ma cominciò a domandarsi che utilità avrebbe mai potuto avere e se veramente ce n’era una.

Quando il “film” della sua vita giunse al termine, al suo posto si aprì un’enorme sfera di luce che abbaiò tutto il suo corpo, e una specie di richiamo, silenzioso ma irresistibile, cominciò ad attrarlo verso di essa, invitandolo a entrarci.

Theodore provava dentro di sé il desiderio intenso di varcarla, per scoprire tutte le meraviglie che erano contenute al suo interno. Se fosse entrato, lì dentro sarebbe stato felice per l’eternità, ne era convinto.

A passi lenti ma sicuri, compì la breve strada che di lì a poco lo avrebbe condotto alla serenità eterna. Non avrebbe più dovuto preoccuparsi di niente. Mai più dolore, mai più conflitti, mai più solitudine.

Ma era la scelta giusta?

Ricordati perché sei qui, Theodore! Si disse tra sé e sé.

Giusto, non poteva permettersi di cedere al richiamo della luce, se era qui era solo perché doveva trovare il modo di aggiustare le cose nel mondo dei Vivi. Aveva costretto i suoi fratelli e il suo stesso nipote ad assistere al suo folle gesto, e ora doveva portare a termine la seconda parte della sua missione.

Distogliere lo sguardo dalla luce si rivelò più arduo di quanto non lo credeva possibile, e ancora più difficile era compiere i passi necessari per allontanarsi.

«Ma in fondo, perché resistere? Se è questo quello che aspetta a tutti, che senso ha dannarsi per cambiare le cose?» Si chiese a sé stesso ad alta voce, e per un attimo si fermò e valutò l’idea di entrare nella luce.

«No! Hai promesso loro che avresti cambiato le cose! Ora fallo!» Si spronò da solo, e ciò gli diede la carica necessaria per voltarsi dall’altra parte e allontanarsi il più possibile dal potente richiamo.

Fece cinque passi in avanti, uno più faticoso dell’altro, e giunto al sesto, ebbe l’impressione che la luce si stesse affievolendo. Che significava questo? Si stava finalmente allontanando dalla sua influenza? O era qualcos’altro? Avrebbe dovuto voltarsi e guardare, ma temeva che ciò avrebbe vanificato gli sforzi compiuti fino ad allora. Ne compì altri tre, durante i quali costatò che la luce non diminuì di intensità, ma lo fece nel momento in cui lui, terminato il terzo, si fermò. Si stava indebolendo in modo irregolare, indipendentemente da quanto Theodore si allontanasse.

La curiosità, o forse l’attrazione esercitata dalla luce, lo spinse a voltarsi verso la sua direzione e guardare. A quel punto capì cosa stava succedendo. La luce si stava rimpicciolendo!

Se inizialmente era grande il doppio di Theodore, ora si era rimpicciolita al punto da essere grande quanto metà del suo corpo, e pochi secondi dopo, si ridusse ancora di più.

D’un tratto, dopo essersi ristretta sempre di più, sparì davanti agli occhi di Theodore esattamente come era apparsa, facendolo sprofondare nel buio più totale.

Era accaduto esattamente quello che aveva descritto Eleanor. Il portale per l’aldilà si era chiuso di fronte a Theodore, e ora lui, come la Chipette, era destinato a restare intrappolato nel Limbo per l’eternità.

 

2:

Laggiù, avvolto nell’oscurità del Limbo, Theodore vagò alla ricerca di Eleanor, che sembrava sparita nel nulla.

Il suo corpo aveva iniziato a brillare, proprio come quello della Chipette, ed era l’unica fonte di luce visibile nel raggio di un orizzonte che sembrava infinito.

In quel luogo freddo e spoglio, dove non sentiva più né la stanchezza né la fame, ben presto finì per perdere completamente la cognizione del tempo. Più di una volta si domandò se avesse vagato nel nulla per giorni, per mesi o ancora peggio, per anni.

Si accorse ben presto, però, che quella condizione di degradante vita eterna aveva anche dei lati positivi. Man mano che il tempo passava, nella sua testa cominciavano a emergere conoscenze che non credeva di avere. Il significato della vita, l’importanza delle regole che governano l’equilibrio tra i vari mondi, la consapevolezza di essere in grado, come Eleanor, di stabilire un contatto con i sogni condivisi dei Viaggiatori, e molti altri segreti che il linguaggio umano non sarebbe stato in grado di descrivere a parole (nemmeno quello dei chipmunk). Volta per volta, nuove conoscenze si aggiungevano a quelle già apprese, come se ci fosse qualcuno col preciso compito di imprimerle nella mente di Theodore.

Alcune ore, o forse alcuni giorni dopo il suo arrivo nel Limbo, quando ormai stava per perdere le speranze di trovare Eleanor, in un punto imprecisato dell’orizzonte di fronte a sé, gli parve di scorgere un minuscolo puntino luminoso che si stava dirigendo verso la sua direzione.

Si strofinò gli occhi per schiarirseli e vedere meglio, ma si rese conto che, essendo divenuto uno spirito, non era più necessario che lo facesse. Allora decise che avrebbe atteso alcuni secondi, giusto per assicurarsi di non avere una specie di allucinazione, e se la luce sarebbe rimasta ancora lì o si sarebbe avvicinata, lui l’avrebbe raggiunta.

Chiuse gli occhi e contò ad alta voce fino a dieci. Non era più nemmeno sicuro di ricordarsi quanto fosse lungo l’intervallo di tempo tra un secondo e l’altro, ma non aveva importanza, alla fine l’importante era terminare quella conta.

Quando lì riaprì, con sua grande fortuna la luce c’era ancora, e come lui aveva sperato, si era ulteriormente avvicinata. Quindi le andò incontro.

D’improvviso però si arrestò. E se poi non fosse stata Eleanor, ma qualcun altro? Si chiese dubbioso. Non era detto che loro due fossero gli unici a girovagare in quel mondo per l’eternità. Così come loro avevano scelto di restare, anche altri potrebbero aver deciso di fare la stessa scelta.

Ma non dovette attendere molto per vedersi smentire di fronte a se la sua stessa ipotesi. Erano ancora molto distanti l’uno dall’altra, ma riuscì comunque a riconoscere la sua sagoma e i suoi lineamenti.

Sì, era Eleanor, l’aveva trovata!

 

3:

Le era molto vicino adesso. Non più di un metro.

Lei lo stava fissando con uno sguardo che lasciava trasparire tutta la sua incredulità e il suo disappunto.

Da quando si erano visti l’ultima volta, Eleanor non aveva mai distolto la sua attenzione da Theodore, pertanto, era al corrente del gesto che aveva appena compiuto.

«Ciao, Eleanor.» La salutò Theo, nel tentativo di rompere il ghiaccio.

L’espressione di lei si tramutò in rabbia sgomenta.

«Oddio, Theodore… che cosa hai fatto!» Esclamò scuotendo la testa.

Il chipmunk emise un sospiro amareggiato.

«Non ho avuto scelta. Era l’unico modo per tornare da te.»

Seguì un breve istante di imbarazzante silenzio, durante il quale la Chipette cercò di riordinare le idee.

«Non posso crederci… no, mi rifiuto! Non puoi averlo fatto sul serio.»

«Hai ragione. Nemmeno io immaginavo che l’avrei fatto, ma a questo punto ero pronto a tutto pur di sapere la verità… e poi, sapevo che non mi sarebbe successo niente se fossi morto. Mi sarei solo svegliato qui nel Limbo… » smise di parlare e la fissò, aspettando di scoprire se avrebbe obbiettato in qualche modo. Eleanor invece non parlò.

Ora la sua espressione, oltre alla rabbia e allo sgomento, comunicò anche timore per quanto sarebbe avvenuto poco dopo, perché Theodore si trovava lì per uno scopo, e questa volta, nel modo che aveva escogitato per raggiungerla di nuovo, lei non poteva fare nulla per allontanarlo.

«Sai perché sono qui. Ora, per favore, se ti è mai importato qualcosa di noi, parla.» Insistette lui.

«Theo… certo che mi importa di noi, ma… »

«Ma cosa? Ellie. Perché non me lo vuoi dire? Ormai non è più un tuo segreto, che senso ha continuare a far finta che non ci sia nulla?!»

«Non è per questo… è solo che… » E si ammutolì ancora.

Theodore stava cominciando a spazientirsi.

«Ok, senti. Tu hai detto che qui nel Limbo si finisce per apprendere delle cose che non conosceresti da nessun’altra parte, Giusto? Ebbene, da quando io sono qui ho imparato segreti che non mi sarei mai potuto immaginare, e sono pronto a scommettere che i viaggi nel tempo fanno parte di questi segreti. Prima o poi finirei comunque per scoprirlo da solo, quindi che senso ha continuare a tacere?! Eleanor, io voglio sapere… anzi no… DEVO sapere se sono veramente possibili e come!»

Sperava davvero, questa volta, di essere riuscito a convincerla a rispondergli, e mentre la attendeva, tornò a fissarla in silenzio, cercando di stabilire un contatto visivo con il suo sguardo. Un contatto che però lei non voleva, dato che continuava a evitarlo guardando sempre da tutt’altra parte.

La Chipette dovette rassegnarsi al fatto che Theodore aveva ragione. Era inutile cercare di nascondere una verità che in fondo non avrebbe tardato a scoprire da solo.

«Questo posto, Theodore… il Limbo… è una specie di corridoio… una via d’accesso attraverso la quale è possibile raggiungere le varie dimensioni. Esistono mondi, come quello che noi definiamo l’Aldilà, in cui è possibile accederci solo a determinate condizioni… in questo caso, entrando nella Luce prima che il varco si chiuda. Oppure nei sogni, coi quali però è possibile interagire solo in presenza di un Viaggiatore. In altri, invece, è possibile aprire una via d’accesso semplicemente sacrificando parte della proprio energia spirituale… quella di cui sono fatte le anime… »

«Hai detto… sacrificare?»

«Sì… cedendo una piccola parte della propria energia, puoi aprire portali per alcuni mondi per brevi periodi di tempo, e entrarci finché l’accesso resterà aperto.»

«E la conseguenza di questo sacrificio qual è?»

Eleanor sospirò.

«La perdita dei nostri poteri… la capacità di osservare i nostri cari nel mondo dei vivi e di comunicare con i loro sogni, o di aprire altri portali per altre dimensioni… »

Ora Theodore era perplesso.

«Tutto qui? Stai cercando di dirmi che tornare nel passato è possibile e che l’unica cosa che ti preoccupa è perdere i tuoi poteri?! Per quanto mi riguarda, è un sacrificio che sono disposto ad accettare più che volentieri… »

«No Theodore, aspetta. Il discorso non è così semplice, altrimenti avrei cercato anch’io di farlo da tempo… il fatto è che… bhe, mettiamola così: esistono tre dimensioni distinte che hanno a che vedere col mondo dei Vivi. E ognuna di esse segue un preciso binario temporale… » si fermò cercando di dare a Theodore il tempo di elaborare le informazioni che gli stava fornendo  «queste tre dimensioni sono quello che noi percepiamo come “passato” “presente” e “futuro”.»

«Quindi, stai dicendo che in questo momento, mentre io e te parliamo… ci sono tre dimensioni nelle quali succedono le stesse cose… ma in tempi diversi?? Scusa… e di quant’è la differenza di tempo trascorso tra una dimensione e l’altra?!»

«In realtà non funziona così. Però è un concetto difficile da realizzare. Io vivo nel Limbo da molti anni ormai, e ancora non sono certa di averlo compreso appieno. Il “presente”, la dimensione da dove veniamo noi, è collegata direttamente con il “passato” e il “futuro”. Tutto quello che accade nel “presente”, è conseguenza di quello che era previsto dal “futuro”, e tutto quello che è già successo, modifica per sempre il “passato”…»

«Ellie, aspetta! Io… non riesco a seguirti… voglio dire, ok… passato, presente e futuro, fin qui ci sono… ma cosa ha a che fare tutto questo con te? E’ possibile cambiare il passato sì o no?»

«Sto cercando di spiegartelo, Theodore! Te l’ho detto che non è facile nemmeno per me. Abbi un po’ di pazienza!» Lo rimproverò Eleanor, spazientita.

«Hai ragione… scusami.» Rispose Theodore, imbarazzato.

«Cerca solo di seguirmi, ok? Tutti noi, che veniamo dal mondo dei Vivi, viviamo nella dimensione appartenente al “presente”. Mentre le nostre copie del “passato” e del “futuro” sono solo delle proiezioni di quello che eravamo e di quello che saremo, e tutto ciò che accade nel presente, determina come saranno le cose nelle altre due dimensioni. Secondo le regole ufficiali, quindi, il “presente” è l’unica delle tre realtà che può essere modificata per influire sulle altre… è tutto chiaro fino a qui?»

Theodore ci rifletté un po’.

«Credo di sì.»

«Bene. Ora senti, come ti dicevo prima, esistono dimensioni in cui alle anime è concesso accedere senza che queste debbano rispettare per forze dei requisiti fondamentali, anche se è comunque sono tenute a un sacrificio di una parte della propria essenza, fondamentale per aprire un varco tra il Limbo e quel mondo e mantenerlo aperto. Una di queste dimensioni è quella del “passato”, così come lo è quella del “futuro”. Una volta al suo interno le regole sono molto simili a quelle del “presente”, quindi, c’è la possibilità di entrare direttamente in contatto telepatico con un Vivente.»

«Più o meno come hai fatto tu con Simon?»

«Sì… »

«Però, se ben ricordo quella volta non eri riuscita a stabilire un vero contatto con mio fratello. Eri solo riuscita a comunicare con lui durante il sonno.»

«Questo perché, secondo le regole, i defunti non possono comunicare con i Vivi. Ma è una regola che molti di coloro che scelgono di restare nel Limbo, alla fine finiscono per ignorare.»

Theodore analizzò molto attentamente le informazioni che gli giungevano all’orecchio dalla voce di Eleanor. Solo ora si rendeva conto di quanto fosse stato improvvisato e stupido il piano che l’aveva portato da lei. Alla fine era riuscito a tornare nel Limbo e a trovarla, ma alla luce di quanto gli era appena stato raccontato, forse potrebbe essere stato lo stesso, tutto inutile.

«Quindi, anche se riuscissimo a tornare nel passato, non è detto che riusciremo a cambiare il presente e il futuro… » si fermò a riflettere «ma Ellie… non credi che valga comunque la pena  di tentare?» Si rivolse a lei.

Eleanor ora aveva di nuovo quello sguardo. Come se avesse qualcos’altro da nascondere, e Theodore se ne accorse.

«C’è dell’altro, vero?»

Lei sospirò.

«Sì… » mormorò.

«Di che si tratta?»

«Ricordi cosa ti ho detto prima? Solo il “presente” può subire delle modifiche, e non appena avvengono dei cambiamenti, anche il suo “passato” e il suo “futuro” cambiano insieme a lui. Non è possibile cambiare il “passato” mantenendo intatto quello che è il suo “presente”. Quindi, se noi due lo cambiassimo, il “passato” diventerebbe il nuovo “presente”, e tutto quello che avverrebbe dopo, diventerebbe il nuovo “futuro”.»

«Quindi ci sarebbe un nuovo presente e un nuovo futuro, bhe… Ellie… non mi dici niente di nuovo! Ripartirebbe tutto da quel 14 febbraio e prenderebbe una strada completamente diversa. Nel caso non lo avessi ancora capito, è proprio quello che voglio fare!»

«No, Theodore. Sei tu che non hai capito! Qui non siamo in “Ritorno al Futuro” o in uno di quei film di fantascienza che parlano dei viaggi nel tempo, non ci può essere un secondo futuro che segue un binario differente da quello prestabilito! Ci può essere solo un “passato”, solo un “presente” e solo un “futuro”! Il presente di ora diverrebbe il nuovo futuro, e tutto quello che ne fa parte, scomparirebbe per far spazio al NUOVO presente!»

Theodore a questo punto aveva perso il filo del discorso.

«Eleanor… non riesco ancora a capire… cosa stai cercando di dirmi?»

«Sto dicendo, Theodore, che se adesso noi due cambiassimo il passato, Alvin, Brittany, Dave e tutti gli altri, non ricomincerebbero la loro vita a partire dal quel 14 febbraio 2013 come se niente fosse successo! Verrebbero cancellati per sempre insieme al loro presente… scomparirebbero nel nulla! E noi con loro!»

 

4:

Se Theodore fosse appartenuto ancora al mondo dei Vivi, probabilmente ora suderebbe freddo.

Era arrivato fin lì con un piano e una promessa, ma ora stava seriamente cominciando a pensare che fare qualcosa avrebbe potuto rivelarsi di gran lunga peggiore che non farlo.

«Lo capisci adesso? Capisci perché non ho voluto che sapessi niente? Quando mi sono tradita e tu hai cominciato a pensare alla possibilità di tornare indietro nel tempo, ho temuto che saresti finito nuovamente per ossessionarti! Che avresti tentato di coinvolgere ancora Mark nel obbiettivo di tornare nel passato! Non è una cosa che i Viaggiatori dei Sogni possono fare, e non pensavo che tacendo, ti saresti spinto a tanto pur di conoscere la verità… » Spiegò Eleanor.

«E comprensibile… nemmeno io lo immaginavo, e di certo, se l’avessi saputo prima, avrei dato retta a Simon… »

Entrambi i chipmunk si sentirono in colpa per quello che era appena uscito dalla bocca di Theodore, e in particolare, Eleanor si pentì per non aver detto fin da subito la verità.

«Quando dici che anche noi verremo cancellati, che intendi esattamente?» Chiese Theodore, per approfondire la questione.

Eleanor temeva la risposta più di ogni altra cosa e inizialmente valutò la possibilità di tacere anche su questo, magari raccontando una menzogna che potesse placare il bisogno di sapere di Theo, ma poi, riflettendoci meglio, si disse che forse la verità gli avrebbe dato una valida motivazione per rinunciare al suo folle piano.

«Esattamente questo, Theo. Le nostre copie del passato al momento sono solo una proiezione di noi, ma se il loro passato diventasse il nuovo presente, loro diverrebbero i nuovi “Noi”… »

«E non ci possono essere due copie della stessa persona nello  stesso presente… » Continuò Theodore.

«Esatto.» Concluse amareggiata la Chipette.

«Quindi… che ci succederebbe? Verremo cancellati, ma poi?»

«Ogni anima ha diritto a un posto dove stare, quando le regole vengono rispettate. Ma stravolgere l’equilibrio stesso del presente è un’azione gravissima. Se il presente viene riscritto, non ci sarà più nulla per le anime che ci vivono. Nessun Limbo, nessun aldilà, nessuna dimensione. Significherà condannare tutti alla desolazione più totale, senza ricordi, senza emozioni. La morte, nella sua definizione più terrificante.»

Quindi erano questi i timori di Eleanor. Erano comprensibili. Persino Theodore ora era combattuto. Il coraggio di buttarsi da quel terrazzo gli era stato reso possibile dalla consapevolezza che non sarebbe stata la fine, ma ora, a giudicare da quanto Eleanor gli diceva, se fossero andati fino in fondo, per la prima volta in vita loro avrebbero scoperto il vero significato della parola morte. O forse nemmeno quello, perché non avrebbero nemmeno avuto il tempo di scoprirlo.

Il chipmunk si sentì sulle sue spalle il fardello della decisione da prendere. Era a lui che sarebbe toccata la decisione finale, benché Eleanor sperasse di averlo convinto a desistere.

Cosa fare dunque? Lasciare che la vita di una famiglia distrutta continuasse per la strada intrapresa o premere il tasto reset per donare a dai nuovi Seville, di un nuovo universo, la possibilità di intraprendere una nuova strada?

«So già cosa mi risponderai, ma… tu che faresti?» Domandò a quel punto il chipmunk.

«Theodore, io… ho paura. Paura di quello che ci succederebbe se alterassimo il passato… non… non voglio farlo!» Farfugliò lei.

«Ma se lasciassimo tutto così, condanneremo anche a quelli del passato di subire il nostro stesso fato.»

«Ma loro non sono reali! Sono solo proiezioni! Quando arriverà anche per loro il momento della morte, non cambierà niente nell’aldilà o qui nel Limbo! E’ solo il presente che conta, nient’altro!»

«Eppure tu stessa hai detto che il passato potrebbe diventare il nuovo presente.»

«Sì! Ma per farlo noi dovremo smettere di esistere!»

«Questo l’ho capito, non è necessario che tu lo ripeta! Ma ora mettiamola così: siamo nel 14 febbraio 2013, stiamo uscendo dal parco e tu stai per convincermi ad andare a prendere quel gelato. Non possiamo saperlo, ma tra neanche 3 minuti tu morirai e la vita di tutti noi cambierà per sempre. Se in quel momento ci fosse qualcuno che ha in mano i mezzi per intervenire e salvarci, tu non vorresti che lo facesse?»

«Certo che lo vorrei, ma… »

Theodore non la lasciò parlare.

«Ellie, quelle saranno proiezioni fintanto che noi continueremo a esistere, ma quando loro prenderanno il nostro posto, diventeranno Viventi a tutti gli effetti! E loro hanno diritto ad avere una seconda possibilità!».

In cuor suo, Eleanor sapeva che Theodore aveva ragione, tuttavia la prospettiva di morire ancora una volta, e stavolta per davvero, la terrorizzava più di ogni altra cosa.

«Io… non lo so… »

«Si tratta di un sacrificio, Ellie. Io voglio farlo. Ho promesso loro che gli avrei restituito una vita. Ok… forse non saranno gli stessi Alvin, Simon e Dave a cui mi ero rivolto, ma sono sempre loro. Che facciano parte del passato o che facciano parte del presente. Se dovessi riuscire a cambiare il passato da solo, tu scompariresti lo stesso con me. Ma io non posso fare questa cosa da solo, perciò… Eleanor… mi aiuterai? »

Eleanor non ne era affatto convinta. Voleva dare retta a Theodore, accettare di aiutarlo nella sua missione, ma la paura era ancora pressante.

Theodore la osservava in ipnotico silenzio, aspettando una sua risposta.

«C’è una cosa che devi vedere.» Disse quindi lei.

Chiuse gli occhi come se si concentrasse su qualcosa, e subito dopo averli riaperti, tra i due chipmunk si manifestò nell’aria un specie di ologramma sfumato con una serie di immagini che inizialmente Theodore non riuscì a identificare.

Le chiese cosa fosse, ma senza ottenere risposta, quindi non gli restò che cercare di scoprirlo da solo. Guardò dentro quella specie di ologramma e lì finalmente capì. Stava guardando alcuni stralci della vita della famiglia Seville, tante piccole scene amalgamate tra di loro come un’enorme collage di riprese video. Probabilmente era così che Eleanor aveva seguito la loro vita nel corso di quei sedici anni. 

A seconda di dove puntasse la sua attenzione, la sequenza gli si ingrandiva di fronte agli occhi, e inoltre, benché l’ologramma non emettesse un vero suono, nella sua mente gli sembrava di sentire le parole dette da ciascuno di loro.

Simon e Jeanette, insieme a Mark, erano seduti intorno al loro tavolo in miniatura e pasteggiavano con qualcosa che Theodore non capì se potesse essere la cena o il pranzo. Il fatto che Jeanette fosse ancora con loro stava a significare che forse Brittany era riuscita a convincerla a tornare, tuttavia, nel volto di tutti e tre, il piccolo Mark compreso, c’era un velo di leggera malinconia. Un dettagli che sorprese Theodore, non per il fatto che fossero malinconici, ma perché pareva esserlo troppo poco. In fondo si era appena buttato dall’ottavo piano del loro appartamento perdendo la vita, era mai possibile che l’avessero presa così bene?

Guardò quindi la sequenza che mostrava la vita di Dave. L’uomo era seduto al suo PC, impegnato probabilmente a scrivere un documento con un’aria ancora più serena di quella della famiglia di Simon.

Infine, passò a Alvin e Brittany, che si trovavano in una lussuosa ed enorme stanza che Theodore non aveva mai visto prima di allora. Poteva trattarsi del loro famigerato attico a New York? Era questo quindi che Eleanor voleva che vedesse? Che erano già passati alcuni giorni da quando lui aveva compiuto il suo gesto? Certo, se n’era già accorto per conto suo che nel Limbo si finiva per perdere la cognizione del tempo, ma non riusciva a capire il punto a cui Eleanor voleva condurlo (sempre ammesso che ce ne fosse uno). Li osservò con maggiore attenzione e non poté credere quando vide cosa avesse tra le braccia suo fratello Alvin. Avvicinò persino lo sguardo all’ologramma, per essere sicuro di non sbagliarsi, ma non c’erano dubbi: un piccolo chipmunk!

Non sembrava nemmeno appena nato, anzi, considerando che l’ultima volta Brittany era ancora in dolce attesa, questo piccolo sembrava già abbastanza cresciuto.

D’istinto tornò alla sequenza di Simon, e osservando con maggiore attenzione Mark, si accorse che appariva cresciuto parecchio rispetto a come se lo ricordava.

«Quanto tempo è passato da quando… ?»

«Tre anni, Theo. Ho preferito non dirtelo per ora. Volevo aspettare che lo scoprissi da solo nel momento in cui avresti imparato a guardare nel mondo dei Vivi da solo, ma a questo punto è giusto che tu lo sappia. Simon e gli altri hanno superato anche questa difficoltà e hanno deciso di andare avanti. Jeanette è tornata con lui dopo due settimane dal tuo funerale. Da quel giorno, quando lei se n’è andata e tu sei morto, le cose si sono fatte più difficili per loro, ma nonostante tutto sono felici, e Mark sta diventando un bravissimo Viaggiatore dei Sogni. Dave vive la sua anzianità serenamente, viaggiando spesso per il mondo e andando spesso a trovare gli altri quando cerca un po’ compagnia… anche loro vengono spesso a trovare lui. Mentre Alvin e Brittany, bhe, la loro vita va avanti proprio come per gli altri. Sai, hanno persino deciso di chiamare loro figlio – un maschio – Theodore Jr., in tuo onore. Come vedi, sono stati capaci di rialzarsi di nuovo. Sono felici.»

«Mentono a se stessi.» obbiettò Theodore.

«C-come? No, loro… »

«Ellie, l’abbiamo già vista questa scena! E’ vero, forse ora sono più uniti rispetto a prima, ma nessuno di loro è veramente felice. E se ci pensi bene, ti accorgeresti che ho ragione.»

Già. Era stata sciocca a pensare che Theodore non se ne sarebbe accorto. Aveva ragione su tutto. Da quando anche lui era morto, ogni traccia di normalità dagli occhi della famiglia Seville si era spenta come un fiammifero nell’oscurità.

Doveva gettare la spugna. Forse un reset era l’unica cosa veramente sensata, a questo punto.

«Te lo chiedo ancora… » continuò il chipmunk «vuoi aiutarmi? »

Le porse anche la mano, invitandola ad unirsi alla sua missione. Nel suo volto aveva un sorriso sereno. I suoi occhi comunicavano a Eleanor tutto quello che lei aveva bisogno di sapere. Era la cosa giusta da fare. L’unico modo per salvare la loro amata famiglia.

Così come Alvin era stato pronto a morire per salvare Brittany, così come il Mark adulto aveva sacrificato la sua vita da Viaggiatore dei Sogni per donarla ai suoi genitori, ora era arrivato il momento che loro due dessero la loro per salvare tutti.

Eleanor afferrò la mano di Theodore e i due le unirono in una decisa stretta che consolidò la loro collaborazione.

Erano pronti per tornare nel passato e impedire a quel dannato incidente di distruggere le loro vite.

 

5:

«Allora. Che dobbiamo fare?» Chiese Theodore, impaziente di cominciare.

Eleanor non era certa di sapere la risposta. Grazie alle conoscenze che aveva appreso nel Limbo, credeva di avere un’idea su come procedere, ma si trattava solo di un’ipotesi fino ad ora mai comprovata.

Si voltò dall’altra parte, dando le spalle a Theodore e senza perdere tempo diede subito inizio all’esperimento, in fondo non era necessario andare alla ricerca di un punto specifico del Limbo per tentare di aprire il portale per il passato, dato che qualsiasi posto, dovunque loro si trovassero in quel momento, sarebbe andato bene allo scopo.

Theodore osservò quindi in silenzio la Chipette intenta, probabilmente, a concentrarsi, e si domandò se anche lui avesse dovuto fare altrettanto per prepararsi all’eventualità di doverla aiutare, aspettando nel frattempo, che lei facesse qualcosa.

«C’è qualcosa che non va… » annunciò qualche secondo dopo, Eleanor.

«Che vuoi dire?»

Qualsiasi cosa stesse facendo in quel momento, si fermò e tornò a guardarlo con un’espressione sorpresa, come se avesse appena scoperto qualcosa di inaspettato.

«Non credevo che sarebbe stato così difficile… » rispose vagamente lei.

«Ellie, aspetta. Non fare la misteriosa! Di che si tratta?»

«Pensavo che sarebbe stato sufficiente aprire il portale ed entrarci, invece…»

«Invece?»

«Theo… devi andarci da solo.»

Theodore non era sicuro di aver capito bene.

«Aspetta… cosa?! Perché??»

«Credo… credo che uno di noi debba restare qui per tenere aperto l’accesso. Non può rimanerlo da solo. Credo che sia una misura di sicurezza per impedire che qualcuno come noi possa mettersi in testa di cambiare il passato.»

Questa non ci voleva, pensò Theodore. Aveva bisogno dell’aiuto di Eleanor per impedire l’incidente nel passato. Come avrebbe fatto senza di lei?

«Che cosa facciamo allora? Te l’ho già detto, non possa farcela da solo!»

«Però è necessario! O non riusciresti a cambiare le cose!»

«E se tu aprissi il portale e poi ci entrassi con me prima che si chiuda?»

«Non è possibile questo, noi non facciamo parte di quel tempo. Se il portale si dovesse chiudere verremo rispediti immediatamente nel Limbo. E io non credo che avrò le forze per aprirne un altro. Devi dirmi in quale punto del tempo devo spedirti e poi devi farcela da solo!»

«Dannazione!!» Imprecò Theodore.

Le cose non potevano andare peggio di così. Non solo non avevano alcuna via di scampo una volta modificato il passato, ma dovevano persino fare i conti con assurdi sistemi di sicurezza che impedivano loro di iniziare.

Eleanor ormai era pronta a fare quel che era necessario per riuscire a portare a termine la missione di Theodore, ma a parte tener aperto l’accesso per lui, a quel punto poteva fare ben poco.

«Tu cosa consigli di fare?» Le chiese, ma Eleanor non capì la domanda. «Dicevi che abbiamo un solo tentativo, giusto? Bene, secondo te in quale punto del passato dovrei andare per impedire l’incidente, e come dovrei fare?»

«Oh… bhe, devi impedire che quel pirata della strada ci colpisca, giusto? Allora forse potresti provare a bloccare le nostre copie prima che attraversino la strada… loro non ti vedranno, ma tu potresti riuscire a stabilire un contatto con la loro mente e convincerli a non muoversi… »

«Sì… può funzionare… credo di sapere come fare. Quindi immagino di dover tornare a quel pomeriggio del 14 febbraio… »

«Già. Se si fosse trattato del presente, probabilmente il destino farebbe qualcosa per far sì che gli eventi seguano il suo corso, ma nel passato le cose già successe si possono solo cambiare. E per questo, anche la più piccola modifica è sufficiente a stravolgere tutto.»

«Vuoi dire che se sbagliassi qualcosa rischierei di cancellare tutto il nostro presente senza riuscire comunque a salvarci? Grandioso… le cose vanno di bene in meglio.»

«Io… credevo che l’avessi già capito… »

«No infatti… ma non fa niente Ellie, ormai andiamo avanti.»

Aspettò che Eleanor facesse la sua parte, dandole nel frattempo le spalle, ma non si accorse che la Chipette gli si era avvicinata. Quando se ne rese conto e si voltò per chiederle cose stesse facendo, lei lo baciò.

Erano solo spiriti, eppure quel gesto apparse a Theodore così reale che per un attimo percepì pure un brivido lungo tutto il corpo, prima di rendersi conto che anche questa era solo una sensazione, dato che non avevano più un corpo che potesse provare quelle emozioni.

«Quando cambierai il passato, sia io che te spariremo per sempre. Volevo solo darti un ultimo saluto.» Confessò lei.

Theodore le sorrise.

«Ci rivedremo in un’altra vita, te lo prometto.» Le disse dolcemente, per rassicurarla.

«Lo spero… ora… iniziamo?»

«Sì.» Annuì Theodore.

A quel punto il chipmunk era curioso più che mai di scoprire cosa sarebbe successo dopo.

Eleanor, ora con le idee più chiare su cosa avrebbe dovuto fare, tornò a concentrarsi nello stesso modo in cui aveva tentato prima, e se la regola per aprire un portale per il passato era la stessa che per portare un sognatore nel Limbo, allora l’unica cosa che avrebbe dovuto fare era desiderarlo intensamente. E così fece. Con tutta se stessa, pensò intensamente all’aprire un varco di fronte a sé.

Theodore la guardava in disparte, mantenendo le distanze e restando in assoluto silenzio per non distrarla, ma già da adesso poteva sentire una specie di presentimento nell’aria, come di qualcosa che stava per avvenire.

Eleanor sentì le sue energie iniziare a ridursi. Stava accadendo esattamente quelle che temeva, e a una velocità persino superiore di quanto immaginasse.

Di fronte a sé, una specie di fenditura nel Limbo cominciò ad aprirsi, ma ogni millimetro di cui la circonferenza si allargava, strappava allo spirito della Chipette un quantitativo spropositato di energia, e quel che è peggio, e che avrebbe dovuto mantenerlo aperto per Theodore, una volta che sarebbe passato.

Theodore avrebbe voluto fare qualcosa per esserle d’aiuto, ma se si fosse unito a lei, non ci sarebbe stato nessuno a entrare nel varco temporale al posto suo.

«Ok, Theo! Vai ora. Non posso tenerlo aperto a lungo!» Lo avvertì Eleanor.

«D’accordo!»

«Addio, Theodore… e buona fortuna!»

Quell’addio per un attimo lo trattenne dall’entrare nel portale, ma ora più che mai era arrivato il momento di attraversarlo e completare la missione.

La ringraziò e ricambiò il suo triste addio, dopo di che, entrò.

 

6:

Di punto in bianco si ritrovò lì, nel 14 febbraio del 2013.

Benché non se ne fosse reso conto, aveva trascorso tre interi anni a vagare nel Limbo alla ricerca di Eleanor, e passare da quell’ambiente buio e sconfinato, dove era solo il suo corpo spirituale a illuminare il suo cammino, a questa realtà fatta di luci e colori, lo faceva sentire spaesato. Era un mondo a cui ormai non faceva più parte.

Eleanor aveva fatto in modo di farlo tornare in quel marciapiede all’uscita del parco, proprio nel punto in cui avrebbero dovuto fare la loro comparsa le loro copie del passato. L’unico problema era capire quanto dovesse aspettare.

Valutò l’idea di avviarsi nel parco per intercettarli prima e tentare di anticipare in qualche modo i tempi, anche per non costringere Eleanor a tenere aperto il varco troppo a lungo. Si rese conto, però, di non ricordare le direzioni che avrebbero percorso prima di uscire nel marciapiede, quindi se fosse partito alla loro ricerca, avrebbe rischiato di lasciarseli sfuggire.

Restò lì, guardando in continuazione verso l’accesso del parco in attesa del loro arrivo.

Passarono alcuni minuti, che per Eleanor dovevano probabilmente rappresentare un vero supplizio, sicché poi finalmente li vide fare la loro comparsa proprio di fronte ai suoi occhi.

Theodore faticò a crederlo. Stava vedendo se stesso da giovane a pochi passi da lui, che parlava come se niente fosse con la copia di Eleanor, entrambi ignari di ciò che sarebbe successo se lui non avesse agito subito.

Non c’era un secondo da perdere, doveva riuscire a stabilire in qualche modo un contatto telepatico con il Theodore giovane, ed era rimasto abbastanza a lungo nel Limbo da sapere come fare.

Mentre percorrevano il marciapiede, i due si arrestarono d’improvviso. La copia di Eleanor continuava a parlare con il Theodore giovane, mentre questi pareva avere lo sguardo perso nel vuoto.

Il Theodore originale si convinse di essere riuscito a stabilire il contatto che voleva, pertanto si avvicinò ai due, che ovviamente non potevano vederlo, e cominciò a spigargli la situazione, sicuro che ciò sarebbe stato sufficiente a metterlo in guardia. Gli parlò telepaticamente, spiegandogli per filo e per segno chi fosse, da dove venisse e perché si trovava lì.

«Hey, Theodore? Ma mi ascolti?» Sentì la copia di Eleanor chiedere.

Il Theodore giovane la guardò.

«Oh, sì scusa… »

«Che succede?»

«Niente, niente… eheh, dicevi?»

A quel punto la copia di Eleanor iniziò a fargli pressione per convincerlo ad andare alla gelateria dall’altra parte della strada, mentre il Theodore originale aveva appena finito di metterlo in guardia.

Il Theodore giovane non sembrò d’accordo con la proposta della copia di Eleanor, ma nonostante ciò, lei continuò a insistere.

A quel punto, al vero Theo si raggelò il sangue, o comunque, qualsiasi altra cosa avesse ora al posto di esso.

Ricordava molto bene quella scena, benché fossero passati ben diciannove anni da quando l’aveva vissuta sulla sua pelle, e anche ora stava seguendo lo stesso identico copione: lui voleva aspettare gli altri, lei insisteva, lui si faceva convincere e insieme si dirigevano all’attraversamento pedonale.

C’era qualcosa che non andava. Non stava funzionando!

Il passato non era ancora stato alterato, altrimenti se così fosse stato, il Theodore adulto sarebbe già dovuto scomparire insieme all’Eleanor originale, invece, il fatto che lui fosse ancora lì voleva dire che aveva fallito.

Corse incontro ai due, cercò di parlare telepaticamente con entrambi, chiamò i loro nomi ad alta voce, provò persino a bloccarli con la forza, ma i loro corpi gli passavano attraverso come un fantasma.

Si picchiò la testa nel tentativo di farsi venire un’idea, qualunque cosa potesse cambiare anche di poco gli avvenimenti. Tutto però fu inutile.

«Ma a te non è mai piaciuta l’arancia… » Disse la copia di Eleanor alla copia di Theodore.

Non dirglielo, ti prego. Non dirlo!! Implorò il Theodore originale. Se avesse taciuto, forse almeno di poco il passato sarebbe potuto cambiare.

«E’ vero, però mi piaci te.» Disse il Theodore giovane

Le suppliche furono inutili. Alla fine l’aveva detto.

Si fermarono entrambi in mezzo al marciapiede, un breve sguardo reciproco, dopo il quale avrebbero ripreso la marcia, se non fosse che il Theodore originale sapeva cosa sarebbe avvenuto da lì a poco.

Il pirata della strada con la sua dannatissima auto entrò in scena, comportandosi esattamente secondo il copione, e sta volta davanti gli occhi impotenti del Theodore adulto.

 

7:

Gli sembro di rivivere un esperienza tremendamente familiare.

Subito dopo aver visto con i propri occhi l’auto pirata colpire le loro due copie, si ritrovò immerso nel buio più totale, esattamente come nel periodo in cui fu in coma. Questa volta però era diverso. Era tornato nel Limbo.

Eleanor, quella vera, era accasciata a terra, ansimante. La luce che irradiava il suo corpo ora era meno intensa, molto debole.

«Ellie! Come stai?» Le chiese preoccupato Theodore, inginocchiandosi di fronte a lei e sollevandola da terra.

«Non… non lo so » ansimò lei «non ci sei riuscito, vero?»

«Già! Ero convinto di sì, ma non so cosa sia successo! Ho provato a parlarci telepaticamente ma è come se avessi parlato al muro!»

«Forse non eri… abbastanza potente. Pensavo che sarebbe stato più facile parlare con delle proiezioni del passato… non credevo che ci sarebbero state delle difficoltà come per i Vivi.» Tentò di giustificarlo.

«O forse lo era sul serio ma io non l’ho fatto nel modo giusto! Ahh, dannazione!! Ellie… perdonami se puoi.»

«Perdonarti? Per…cosa?»

«Per cosa?! Per tutto! Credevo di venire qui e salvare tutti come un accidenti di supereroe, invece ci ritroviamo bloccati nel Limbo per sempre, con un nulla di fatto e con te indebolita. Ho sbagliato tutto!»

«No, no Theo. Non dire così, ci abbiamo provato… aiutami ad alzarmi, per favore.»

Theodore la aiutò a mettersi in piedi. Era terribile quanto Eleanor apparisse mal ridotta benché fosse solo uno spirito.

«Non posso credere di averti forzato a fare questo, se solo ti avessi ascoltata… »

Eleanor lo interruppe.

«Hai fatto del tuo meglio. E comunque, per lo meno… non abbiamo cambiato il passato in modo sbagliato.»

«Già, anche se comincio a credere che non avrebbe funzionato in nessun caso. Insomma… cambiare il passato! Cosa mi è venuto in mente quella volta?!?»

Stettero in silenzio per un po’, una appoggiata all’altro. Theodore non seppe determinare quanto restarono effettivamente muti e immobili. Per scoprirlo avrebbe dovuto chiederlo a Eleanor, che però era esausta.

Forse lo sarebbe rimasta per sempre, e tutto per colpa mia si disse tra sé e sé Theodore.

Ellie aveva gli occhi chiusi, e benché fosse in piedi, sembrava dormisse, appoggiata al chipmunk.

Theodore avrebbe voluto poter piangere, almeno per sfogarsi un po’, ma se lo avesse fatto, avrebbe solo finito per peggiorare la situazione, e Eleanor era già ridotta troppo male per potersi permettere quel lusso. Quindi, si ritrovò a dover combattere, oltre che per la frustrazione di aver fallito, anche con lo stress di non potersi sfogare.

«E se non l’avessimo fatto nel modo giusto?» Chiese Eleanor d’improvviso.

«Bhe, mi sembra ovvio, dato che non ha funzionato.» Disse lui, con una vena d’accidia nella voce.

«No, voglio dire… » non riusciva a stare in piedi, perciò si sedette a terra «e se avessimo… sbagliato qualcosa?»

«Non riesco a seguirti, Ellie… »

«Ho pensato a quella volta in cui avevo tentato… di contattare Simon nel sogno. Avevo… già provato a contattarvi durante questi anni, ma solo… dopo che ha fatto quel sogno condiviso con Mark, ero riuscita a… parlare con lui. Nei sogni, la mente è più suggestionabile che non da svegli, quindi è anche più facile… parlare con qualcuno mentre sta dormendo… » Parlare le riusciva difficile. Ogni tot di parole doveva fermarsi come se dovesse riprendere fiato.

«Stai dicendo che se avessimo provato a parlare con uno di loro nei sogni, saremo riusciti ad avvertirli dell’incidente? Bhe, sì. Se quello che dici è vero, è un peccato che non ci abbiamo pensato subito. Chi sa… magari a questo punto saremo riusciti a salvare almeno le nostre proiezioni del passato.»

«Il passato non è stato cambiato… quindi puoi ancora salvarli… »

Theodore spalancò gli occhi incredulo.

«Stai parlando di… tornare ancora una volta lì?»

Eleanor annuì.

«Sì. Devi tornare alla notte del 14 febbraio… entra nei sogni della tua proiezione e convincila a fare qualcosa per evitare… quell’incidente… »

Theodore sospirò.

«E come faccio a tornarci? Io non so ancora come fare ad aprire i portali da solo… e tu sei troppo debole per farlo un’altra volta.»

«No, lo farò io. Tu pensa solo… a cambiare una volta per tutte… il passato.»

Gli stava davvero offrendo la possibilità di una seconda chance? Non si reggeva nemmeno in piedi, eppure era disposta a subire ancora una volta quella tortura col rischio che nemmeno sta volta potesse funzionare.

«Non posso lasciartelo fare, Ellie. Sei troppo debole!» Rifiutò Theodore.

«E sarà sempre peggio, Theo. Abbiamo perso troppo… per arrenderci proprio ora. Non volevo farla… questa cosa, ma tu hai insistito e mi hai convinto… perciò ora voglio insistere io. Torna lì e fallo! Io me la caverò.»

Non c’era obiezione che potesse reggere. Ellie aveva tutte le ragioni dalla sua parte, e se era convinta di poter tenere aperto il varco temporale ancora per un po’, allora, tanto valeva provarle tutte.

«Ellie… e va bene. Riproviamoci!» Accettò alla fine Theodore.

 

8:

Questa volta non ci furono indugi come durante il primo tentativo.

Eleanor diede tutta se stessa nell’arduo compito di aprire per la seconda volta il portale.

Theodore sarebbe stato spedito in camera loro, durante la notte, e lì avrebbe contattato in sogno il Theodore giovane.

Eleanor non parlò né disse niente, e nemmeno Theodore ebbe il coraggio di guardarla. Attendeva solo che il portale si aprisse quanto bastava per permettergli di entrare, e quindi lo attraversò.

Si ritrovò esattamente lì dove avrebbe dovuto essere, in camera loro, mentre tutti dormivano.

Ora per davvero non poteva permettersi di perdere tempo, Eleanor aveva i  secondi contati.

Animato da una determinazione ferrea come non mai, raggiunse immediatamente il letto nel quale dormiva la sua copia, il Theodore giovane, e conscio di cosa fare per entrare nel suo sogno, non esitò un solo attimo ad entrarci.

Sapeva cosa avrebbe dovuto aspettarsi. Non era un Viaggiatore dei Sogni, pertanto non sarebbe riuscito ad entrare direttamente nel suo Mondo del Sogno, più tosto sarebbe stato come parlare a quattrocchi con una persone mentre si era avvolti da una fitta nebbia.

Si sedette di fianco alla sua copia che dormiva e lì chiuse gli occhi, come se anche lui dovesse sognare insieme all’altro.

«Theodore, riesci a sentirmi?» Provò a contattare la sua copia.

Come nel precedente tentativo, gli parlò telepaticamente, ma se l’ipotesi di Eleanor era giusta, questa volta avrebbe funzionato.

«Theodore, senti quello che ti dico?» Insistette e attese.

«Chi sei?»

Incredibile, ce l’aveva fatta!

Di punto in bianco il Theodore adulto e il Theodore giovane si ritrovano a parlarsi a quattrocchi, in una versione annebbiata e confusa del sogno di quest’ultimo.

Il Theodore adulto tirò un sospiro di sollievo.

«Grazie al cielo! Senti. So che tutto questo può sembrarti strano, ma ti prego, è veramente importante, ascoltami!»

Il Theodore giovane sembrò sbigottito dalla situazione, ma per fortuna, anche incline a collaborare.

«Oh… ok, va bene.»

Mentre stava per iniziare a parlare, il Theodore adulto si ritrovò improvvisamente nel Limbo.

«Ma… Ellie? Che sta succedendo ora?!»

Eleanor, la cui luce sembrava ormai sul punto di spegnersi per sempre, sembrava cercasse di tener aperto il portale del passato, che si stava lentamente richiudendo.

«Non… riesco a… tenerlo… aperto! S-sbrig… ati!» Balbettò lei.

Il Theodore adulto venne rimandato subito nel sogno della sua copia giovane. Presto, si disse tra sé e sé. Ormai Eleanor era allo stremo delle forze.

«Eccoti! Prima eri spar… » tentò di parlare la copia, prima di essere interrotta del Theodore adulto.

«Lo so, ma ora ascoltami. Domani, dopo la scuola tu e gli altri deciderete di andare a passare il pomeriggio nel parco… non chiedermi come faccio a saperlo né chi sono! Quello che è importante, è che tu dovrai portare con te questo… » si sfilò dal polso l’anello con la scritta T&E e lo mostrò al Theodore giovane.

«Questo è l’anello che ho comprato per il regalo a Eleanor! Ma… io volevo darglielo… »

«Lo so, lo so. Volevi darglielo durante la cena che farete domani sera, ma no, credimi! E di vitale importanza che tu glielo darai nel momento in cui uscirete dal parco e vi avvierete sul marciapiede. E visto che ci sei, preparati anche un buon discorso per dichiararti a lei. Chiedi a Simon, lui ti saprà aiutare!»

Bastava questo per impedire l’incidente e modificare il passato? Se avesse fallito anche questa volta non ci sarebbe stato più niente da fare per davvero. L’idea che Eleanor potesse avere le forze per un terzo tentativo era da escludere  a priori.

«Hai capito quello che devi fare, quindi?» Chiese alla sua giovane copia, per assicurarsi che l’avrebbe fatto.

«Perché mi stai dicendo questo? Io… non so se ne avrò il coraggio… non so nemmeno chi sei… »

Oh cavolo, questa non ci voleva, pensò il Theodore adulto.

«Theodore, ascolta, non ho più tempo. Se tu domani non farai questa cosa, succederanno delle cose terribili. Cose che tu non puoi neanche immaginare. Vorrei poterti spiegare tutto con calma, ma non posso! Devi fidarti di me!»

«Ma tu… chi sei? Sei un chipmunk? Sei uno di quei Viaggiatori dei Sogni di cui parlano Simon e Jeanette?»

«Niente di tutto questo. Sono qualcuno che non rivedrai mai più in tutta la tua vita, se alla fine mi darai ascolto. E io mi auguro che tu domani lo farai. Quando uscirete del parco e raggiungerete il marciapiede, dalle l’anello e dille tutto quello che provi per lei. Sei molto più forte di quanto credi, e io lo so bene. Puoi farcela!»

Se non altro, aveva avuto il tempo di convincerlo meglio. Ora però non poteva più permettere ad Eleanor di mantenere aperto il portale per niente. La sua missione era compiuta. Più di così non poteva fare. Era tutto nelle mani della sua giovane copia da quel momento.

«Basta così. Fammi uscire!» Urlò, e immediatamente fu di nuovo nel Limbo.

 

9:

«Ellie, Ellie! Come stai, tesoro?»

Eleanor era a terra. La sua luce ormai non c’era più. Il suo spirito si era consumato per permettere a Theodore di portare a termine il suo viaggio nel tempo.

Il chipmunk la prese tra le sue braccia e la guardò impotente.

La Chipette riuscì ad aprire gli occhi e a dire una sola frase.

«Ce… l’hai… fa… tta… »

Dopo di che, scomparve.

Theodore era di nuovo solo, ma non provò dispiacere per la cosa, perché sapeva cosa sarebbe successo tra pochi istanti.

Quel giorno accadde l’impensabile. Per la prima volta dalla notte dei tempi, qualcuno era riuscito a violare la più importante delle regole del Limbo. Un chipmunk che parlava la lingua degli umani era riuscito a cambiare il corso stesso degli eventi. Un intero presente fu spazzato via insieme alle sue anime e ai suoi Viventi. Un equilibrio che sembrava inviolabile era stato stravolto, e ora, come previsto da Theodore e Eleanor, doveva essere ripristinato.

Mentre il chipmunk restava in attesa della fine, insieme a tutto l’universo che aveva appena distrutto, un nuovo presente era giunto a prendere il posto di quello che non esisteva più.

Gli tornò in mente una metafora sentita da Eleanor la prima volta che la vide nel Limbo. Lei aveva parlato di tasselli di un puzzle, per spiegare lo stato in cui si era ridotta la famiglia Seville dopo la sua morte.

Anche ora si poteva parlare di un puzzle, i cui tasselli si stavano finalmente ricostruendo per dare vita al nuovo mondo.

Nella nuova versione del presente, i nuovi Theodore e Eleanor avrebbero passeggiato nel parco esattamente come avevano fatto i vecchi, e come loro, si sarebbero poi avviati verso il marciapiede.

Theodore era pensieroso, perché una voce nel suo sogno, di cui non ricordava quasi nulla, lo aveva convinto a dichiararsi apertamente a Eleanor, e per l’occasione, aveva portato con se anche la scatoletta con l’anello che avrebbe sancito il loro fidanzamento.

Eleanor gli propose di attraversare la strada e di andare a mangiarsi un gelato in attesa dell’arrivo degli altri, ma Theodore non era interessato al gelato.

La prese per mano e si inginocchiò proprio di fronte a lei. La guardò dolcemente e poi le diede la scatoletta con dentro l’anello.

Con l’aiuto di Simon si era preparato un discorso con il quale sperava di far colpo sulla Chipette, ma dopo che lei ebbe aperto la scatoletta e visto lo splendido dono contenuto al suo interno, si rese conto che non era più necessario.

Lei lo abbracciò pazza di gioia e lo tempestò di baci. Nessuno dei due, nel frattempo, fece caso all’automobile che passava a folle velocità col rosso proprio sulla strada in cui avrebbero dovuto attraversare.

Theodore era imbarazzato ma felice, e fiero di se per aver trovato il coraggio di dichiararsi apertamente alla sua Eleanor.

Quella sera durante la cena avrebbero avuto un motivo in più per festeggiare, perché al contrario degli altri, che avevano già formato coppie stabili, per loro l’avventura era appena iniziata.

 

 

 

Ora che finalmente i tasselli del puzzle erano stati ricomposti e il caos aveva lasciato il suo posto all’ordine, forse vi starete domandando se questa è veramente la fine di tutto?

Bhe, questa non è la fine, ma solo un nuovo inizio.

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