I'll Still Love You The Same

di Kristye Weasley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Un altro piano, esattamente come tutti gli altri, era andato. Come al solito, B-Man era arrivato a rovinare tutto, e chi era la persona che ne pagava le spese? Sempre lei! Mister J l'aveva usata come scudo, dandola direttamente in pasto ai poliziotti, creandosi una via di fuga: scontato, forse banale, ma guarda caso, funzionava sempre. E la cosa peggiore, per la povera Harley, era vedere tutte quelle facce all'interno dell'Asylum, che le dedicavano solo commiserazione e pietà. "Che vadano tutti al diavolo!" pensava, mentre scioglieva i lunghi capelli dorati, lasciandoli cadere dolcemente sulle spalle. Di sicuro il suo problema non concerneva cosa pensavano tutti i pazzi psicopatici di Gotham, aveva ben altro a cui dedicare il suo tempo. Era vero, questa volta non l'aveva lanciata attraverso la finestra di un grattacielo, ma forse il dolore era ancora peggiore, rispetto a quella volta. Non c'era niente di differente dalle altre volte, sapeva che Joker si comportava sempre così, ma... C'era un ma. Gliel'aveva promesso! Stavolta gliel'aveva promesso! Lunghe lacrime amare rigavano le sue guance, di fronte al tradimento bello e buono che le si era piantato davanti, una volta per tutte. Stavolta era decisa, non ci sarebbe stato nessun biglietto con una rosa a cancellare tutto; finalmente aveva realizzato di essere da sola, e lo sarebbe stata davvero! Harl sentì dei passi lungo il corridoio, e pochi istanti dopo, vide il vetro della sua cella spostarsi e un'infuocata chioma rossa entrare, con uno sguardo carico di dolcezza, e allo stesso tempo, di esasperazione.

< Pam, ti prego... Non ora > disse con tono angosciato la bionda, mentre vedeva l'amica di sempre terminare l'ampia distanza che le separava con le classiche ampie falcate, prima di sedersi accanto a lei. Pamela Isley era la sua migliore amica ormai da molti anni, e probabilmente l'ultima persona che voleva vedere, in situazioni del genere. Più di una volta aveva visto gli sguardi di odio che Ivy lanciava a Mister J, e più di una volta l'aveva pregata, minacciata, supplicata di lasciarlo perdere, e lei, testarda e innamorata alla follia, aveva sempre fatto di testa sua.

< Io, invece, credo sia il momento migliore... > disse la rossa posando una mano sulle guance bagnate di Harley. L'aveva vista troppe volte con quell'espressione sul viso, e non era mai riuscita a farla smettere. Pamela non aveva mai avuto questi problemi, non si sentiva dipendente da nessun uomo sulla faccia della terra, e forse anche per questo non riusciva a capire come Harl fosse così soggiogata da Joker.

< Per quanto hai intenzione di farti trattare ancora così? > chiese con tono il più tenue possibile, per non urtare ancora di più l'amica. Harley scosse il capo, mentre altre lacrime silenziose le velano gli occhi.
< Non lo so, Red... Proprio non lo so > rispose prendendosi il capo tra le mani, lasciando che tutto il dolore che covava all'interno emergesse, sostenendosi con la presenza di Ivy, che la prese tra le braccia in un abbraccio gentile, quasi materno.

< Avanti Harl, basta piangere... > le sussurrò con tono dolce, accarezzandole i capelli. Forse aveva ragione lei, non era il momento per fare discorsi, non l'avrebbe comunque ascoltata. Entrambe, dopo l'ennesimo tentativo di conquista di Gotham andato male, si ritrovavano ad Arkham per scontare la loro pena, e avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per temprarla. Joker era ancora fuori, a leccarsi le ferite, e non era detto che non le avrebbe raggiunte presto. Ma intanto, quel bastardo, se ne stava fuori a gongolare per il fallimento di Batman, mentre Harley moriva all'interno del penitenziario. In pochi odiavano Batman quanto Ivy, ma in quel momento sperava solo che beccasse quel clown schizzoide e lo prendesse a calci! Lo sfogo di Harley si stava pian piano consumando, lasciandola spossata contro la spalla di Pamela.

< Ora è meglio che ti riposi un po', Harleen... > sussurrò la rossa, adagiando la testa dell'amica lentamente sul cuscino, e osservandola per un istante. Ancora, quante volte l'aveva vista così? Le guance rigate, gli occhi gonfi, il naso rosso e lo sguardo vitreo, spento, di una persona che è morta dentro.

< Grazie, Red... > riuscì a pronunciare Harley con tono stanco, chiudendo appena gli occhi. Poison Ivy non potè non sorridere di fronte alla sua innocenza.

< Non ringraziarmi... Non ho nemmeno iniziato con te > rispose Pam, sorridendole, prima di lasciare la stanza, con la stessa velocità con la quale era entrata. Un sospiro profondo uscì dalle labbra rosee di Harl, che si rese conto solo in quel momento del peso che aveva all'altezza dello stomaco. Si sentiva pesante ed eccessivamente stanca, con un vuoto dentro che nemmeno il sonno poteva guarire, ma non aveva altre soluzioni. Gli occhi erano pesanti, la testa completamente vuota; si lasciò cullare dal sonno, mentre, nell'Asylum, le grida si propagavano sempre più alte. Nessuno si dedicava più a lei, nessuno la pensava più, e lei non pensava più a nessuno. Nessuno, escluso lui...


"...Con i giusti cambiamenti, diventa Harley Quinn." "Sì, come il nome della maschera. Lo so, l'ho già sentito" "E' un nome che fa nascere un sorriso sul mio viso..."
Tre mesi per avere una sessione con lui. I suoi racconti. La storia del padre che lo picchiava. Batman. Mani che si sfiorano. Baci rubati. La paura di essere visti. La voglia sconfinante di tornare da lui dopo essere scappata via. La sua fuga. Il ritorno. Ancora Batman. Passare da Harleen Quinzel ad Harley Quinn. Fuggire insieme. Cercare di conquistare Gotham. I fallimenti. Le botte. Il volo dalla finestra. Tornare da lui. Venire respinta. Umiliata. Usata.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Si svegliò, nel cuore della notte, in un bagno di sudore, con il battito accellerato e completamente circondata da una serie di medici e guardie dell'Asylum. Non riusciva a capire perchè fossero lì, riusciva solo a pensare a quanto odiasse la sua testa e la sua mente malata. Tra tutte le cose che poteva sognare, perchè doveva rivedere tutta la sua storia con lui? Si lasciò cadere nuovamente sul cuscino, mentre i medici le dicevano cose che non aveva nemmeno intenzione di ascoltare, cercando di riprendere sonno. La Dottoressa Leland prese il controllo della situazione, allontanando il resto dello staff medico, lasciando in pace Harleen, rendendosi conto che tutto il lavoro svolto in quel momento sarebbe stato inutile. Conosceva Harley da quando aveva messo piede ad Arkham, e per quanto poco professionale, si era affezionata a quella ragazza, tanto fragile quanto difficile da domare. Finalmente sola, la bionda cercò di riprendere sonno, ma la lotta con Morfeo durò particolarmente a lungo, e non fu lei a vincere. La mattina dopo, con estrema calma, si diresse verso l'ala pasti dell'Asylum, andando ad occupare l'unica sedia libera davanti a Pam, che la osservò attentamente mentre prendeva posto.
 
< Non hai dormito? > chiese la rossa con il classico tono pungente, mentre appoggiava le posate utilizzate per la colazione accanto al suo piatto
 
< Cosa te lo fa credere? > chiese Harley con un tono che voleva essere ironico, ma che per la stanchezza e la pochissima voglia di scherzare, perse la sua effervescenza in un lampo.
 
< Hai una faccia... >. La risposta non stupì particolarmente Harl che, una volta servitasi della sua porzione di pancake fumanti, iniziò a mangiare, senza soffermarsi troppo sulla discussione. Soltando dopo aver tagliato le frittelle e averne assaggiato un po' si rese conto di quanto fosse affamata: se pensava all'ultima volta in cui aveva mangiato qualcosa di reale, non riusciva a ricordarselo. Un po' del suo classico buonumore torno sul suo viso, insieme al colorito rossastro delle sue gance, da troppo tempo incavate e pallide. Ivy la stava guardando, con espressione truce e incredulo, che non riusciva a capire.
 
< Che cosa stai facendo? > le chiese l'amica con tono asciutto, prima ancora che fosse lei stessa a chiedere cosa c'era che non andava. Harley si guardò intorno, come se pensasse di scovare qualcuno alle sue spalle a cui era stata posta questa strana domanda, ma si rese conto di essere sola.
 
< Colazione? > chiese con tono innocente, senza capire a cosa l'amica si stesse riferendo. Red alzò un indice, puntandolo sopra le sue frittelle
 
< E questo cos'è? >
< Sciroppo d'ac... > rispose istintivamente la bionda, rendendosi conto solo dopo di quanto stava accadendo. La sua risata cristallina, e per molti, decisamente inquietante, si propagò all'interno della sala, tanto simile a quella dei tempi migliori. Poison Ivy non poté che sorridere di fronte a quello sfogo, nonostante “l’affronto” appena subito. La loro tranquillità, però, venne subito interrotta, proprio nel momento in cui sembrava essere tornata: la dottoressa Leland si avvicinò al loro tavolo con passo discreto, appoggiando una mano sulla spalla di Harley.
 
< Buongiorno Harleen. Ascolta, appena hai finito qui, vorrei vederti nel mio studio, se non ti dispiace… >
Harley annuì, senza rispondere a voce, con l’entusiasmo appena ritrovato smorzato da questa chiamata a sorpresa da parte della dottoressa. Probabilmente sapeva perché era stata convocata, l’episodio di quella notte non poteva essere lasciato impunito. Era stata dottoressa anche lei, ad Arkham, e sapeva che certe cose doveva essere sempre tabulate, per sapere come reagire, la volta dopo.
< Che cosa vuole? > chiese Ivy, stupita molto più dell’amica riguardo l’intervento. Il lieve sorriso di Harl era già svanito, e anche la sua loquacità; lo sguardo di Pam le entrava nella testa, nella pelle, e solo guardandola negli occhi, era in grado di capire che c’era qualcosa che non andava. Proprio per questo, lo sguardo della bionda era chino sui suoi pancakes, che trangugiava nel tentativo di terminarli il prima possibile. Pamela si costrinse a non aggiungere altro, capendo che la domanda appena posta richiedeva una risposta che ancora non poteva essere pronunciata. Solo dopo alcuni istanti, dopo aver vuotato il piatto, Harley decise di alzarsi, pulendosi distrattamente la bocca con un tovagliolo.
 
< Ad essere onesti, non ne ho la più pallida idea… > mentì la bionda, con un’espressione che avrebbe ingannato chiunque, tranne Poison Ivy < Ma dev’essere importante, quindi meglio che vada > concluse voltandosi in fretta, per raggiungere il prima possibile l’ufficio della Leland.
 
< Harl! > la chiamò ad un tratto Red, attirando non solo la sua attenzione, ma anche quella di gran parte dei detenuti dell’Asylum.
< Mi raccomando… Fai attenzione! > aggiunge Ivy con un occhiolino, prima di voltarle le spalle e raggiungere, probabilmente, le sue tanto amate piante. Harley si diresse dunque a passo svelto verso la sua meta, e quando raggiunse la porta, bussò delicatamente con la piccola mano. Joan si aspettava la sua visita, e subito le chiese di entrare e di accomodarsi, rendendo il tutto ancora più strano. Quel posto ad Harleen non piaceva, non le piaceva la condiscendenza della sua superiore, non le piaceva essere trattata come una marionetta, non le piaceva nemmeno il colore della pareti, a dirla tutta. “Ma ti sei comportata in questo modo tutta la vita, non è vero Harley? Non ti piaceva niente di quello che ti veniva fatto o detto, ma puntualmente ti ripetevi…” pensò con calcolata cattiveria la parte più schietta del suo cervello. Scosse la testa freneticamente, tentando di scacciare fisicamente quel ragionamento, catturando l’attenzione della dottoressa Leland, che la osservava come se fosse un criceto sulla ruota.
 
< Signorina Quinzel… Si ricorda quello che è successo stanotte? > chiese la donna con il tono più tenue che riuscì a usare.
“Sì, ma non ti aspettare che ti dica qualcosa…”
< Non so a che cosa si riferisce, dottoressa… > mentì Harley innocentemente, cercando di darla a bere alla sua interlocutrice.
< Questa notte degli uomini dello staff medico sono entrati nella sua stanza: non faceva altro che urlare durante il sonno… Urlare e piangere, per la precisione. Ha avuto qualche brutto sogno? Ha visto qualcosa di particolarmente spiacevole? >
Harley finse palesemente di pensare, posando l’indice sul proprio mento e picchiettandolo a ritmo
< Se devo essere sincera, non mi sembra di ricordare niente di tutto questo, dottoressa…>.
< Mi dispiace sentirglielo dire, perché, come ben saprà, questo è il tipo di comportamento che non possiamo lasciar perdere… Per questo motivo, sono costretta a ordinarle delle sessioni d’ascolto in più, per… >. Joan avrebbe voluto proseguire, ma gli occhi spalancati di Harleen la costrinsero a fermarsi; di fronte al silenzio, la ragazza si sentì in dovere di riempirlo…
< No… No! NO! > iniziò a strepitare, aggrappandosi ai braccioli della poltrona con forza, tirandoli verso di sé, rischiando di strappare il tessuto che la rivestiva. La dottoressa Leland cercò di calmarla in tutti i modi, ma gli strepiti della bionda erano troppo rumorosi, la sua reazione troppo aggressiva per essere gestita. Fu riportata nella sua cella di peso, legata e abbandonata sul suo letto, nella speranza che si calmasse da sola. Il passo successivo sarebbe stato un narcotizzante, che però non avevano la minima intenzione di usare. Sedute d’ascolto… Cosa potevano significare? Cosa racchiudevano di tanto brutto?
 

“Voi strizzacervelli siete tutti così… Pretendete di ascoltare, ma quando le domande sono poste a voi, vi nascondete”. Silenzio dall’altra parte. Rumore di passi. Avanti e indietro. Avanti e indietro. Avanti e indietro. La Sua risata che scoppia, strepitante. “Perché quella brutta faccia? Tu devi sorridere, bisognerebbe sempre sorridere… Vuoi sapere perché io sono stato costretto a sorridere per sempre?”

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Fu costretta a stare in isolamento, nella sua cella, per diversi giorni. Fino a quando non fu considerata “mentalmente innocua” per i restanti coinquilini dell’Arkham Asylum. Quel periodo lontana da Pam, lontana da chiunque altro che non fosse se stessa, le fece guardare in faccia la realtà in un modo che avrebbe preferito non conoscere. Le sembrava che la solitudine, forzata o volontaria che fosse, la facesse tornare sempre e comunque a lui; non sbagliava quando diceva che Joker era il suo baricentro, diceva solo un’inquietante realtà. Si rese conto, in egual misura, però, che qualcosa intorno a lei stava cambiando, una volta che le fu data la possibilità di uscire dalla sua cella. I detenuti la guardavano, impauriti, ed evitavano il suo sguardo ogni qualvolta questo si posava su di loro. Come spesso accadeva, non riusciva a comprendere il perché di questo atteggiamento, ma sapeva a chi doveva rivolgersi. Entrò nella sala della televisione, che stava trasmettendo il telegiornale di Canal 4, quando una voce alle sue spalle sovrastò quella del cronista:
 
< Spegnete subito quell’affare > disse con una calma innaturale la voce di Poison Ivy, prendendo Harley per un polso e tirandola verso di sé.
< Siete sordi, per caso? Vi ho detto di spegnere quella TV! > ripeté la rossa, ora con tono decisamente più alto e rabbioso, tanto da far eseguire subito l’ordine agli altri detenuti.
< Come stai, Harl? > chiese con un sorriso dolce, di fronte all’espressione sbigottita della bionda, ancora impressionata di fronte all’autorità che Red riusciva a dimostrare, anche per le ragioni più stupide.
< Sono “mentalmente innocua” > rispose lei come un automa, cercando un minimo di consolazione negli occhi dell’amica, che le stringeva un braccio intorno ai fianchi.
< Si può sapere cosa diavolo è successo? La scenata che hai fatto non ti ha messo in condizioni migliori, e dovresti saperlo… >.
< Lo so, è che… Gli strizzacervelli pretendono di saper ascoltare, ma quando le domande sono poste a loro si nascondono! > rispose Harley meccanicamente, domandandosi dove, nell’ultimo periodo, avesse già sentito questa frase.
< Sta di fatto che non puoi scappare, Harl… Sarai costretta a partecipare a quelle sedute, ed è meglio che tu trova qualcosa di succoso da dire, se non vuoi altri giorni d’isolamento >.
Lo sapeva… Lo sapeva bene, purtroppo! Ma, allo stesso tempo, non voleva raccontare a nessuno del sogno che aveva fatto, ormai giorni prima, come non voleva ammettere, nemmeno con Ivy, che Lui rimaneva il centro del suo mondo. Non poteva tradire la promessa che aveva fatto a Pamela, non come lui aveva fatto con lei. Stava per dare una risposta, quando la voce di un assistente dell’Asylum coprì la sua, chiedendo se le due signore fossero interessate al quotidiano. Harley protese la mano, afferrando le pagine fitte del giornale, quando Red andò d’impulso a strapparglielo dalle mani, prima di rimetterlo sul carrello, e allontanare con un’occhiata maligna il pover’uomo.
< Perché l’hai fatto? > chiese Harleen con espressione stupefatta, seguendo con lo sguardo il giornalaio allontanarsi in fretta e furia.
< Perché non è bene che tu legga niente, in questi giorni… > rispose la rossa con tono che voleva chiudere lì la discussione.
< Ma io voglio leggerlo…! >
< E io ti ho detto di no, questione chiusa Harl! > concluse Ivy, senza dare modo alla bionda di opporsi in alcun modo. Non riusciva a spiegarsi il comportamento di Pam, non riusciva a capire come mai appena si avvicinava a un giornale, o qualcuno accendeva il televisore in sua presenza, la rossa si mettesse sempre in mezzo, come una censura. Però lo sospettava. Infatti, negli unici momenti dai quali era libera da Red, riusciva a cogliere qualche notizia qua e là di quello che succedeva fuori da Arkham. Semplicemente l’amica voleva tenerla lontana da qualunque cosa riguardasse il Joker, che in quei giorni dominava tutti i notiziari e le prime pagine. Inizialmente erano tutte “belle notizie”, perché né Batman, né gli uomini del commissario Gordon erano capaci di trovarlo. I corpi aumentavano un giorno dopo l’altro, e Gotham era gettata in quello stato di caos che Mister J tanto amava.
 
“Sono un agente del Caos”
 
Dal poco che riusciva a trapelare dalla censura ben organizzata da Ivy, sembrava essersi reso molto più sottile e fugace, piccoli colpi caratterizzati da una spietata precisione, senza esaltare il suo ego più del necessario. C’era anche qualcuno che sosteneva il merito maggiore di Joker fu quello di liberarsi dei “pesi morti”, persone proprio come la stessa Harley. Fortunatamente, la bionda non venne mai a sapere di questo dettaglio. La sua testa era troppo combattuta: lottava per ciò che voleva, il problema era che tutti i suoi desideri erano direttamente opposti gli uni agli altri. Voleva che fosse punito e voleva che Batman non gli facesse del male. Voleva vederlo, più di qualunque cosa al mondo, e voleva che non fosse costretta ad avere a che fare con lui. Era immersa in questi pensieri, china a decorare una pagina bianca, quando un enorme trambusto interruppe le sue velleità artistiche. Si alzò dalla sua sedia, diretta verso l’origine di quel rumore, quando vide Ivy correrle incontro, con gli occhi spiritati e decisamente pallida in volto. Avrebbe voluto chiederle cosa c’era che non andava, domandarle cosa fosse tutto quel movimento, ma non ne ebbe il tempo: Pam la prese per la mano e se la trascinò dietro, correndo il più velocemente possibile. Non sapeva esattamente dove fossero dirette, ma seguiva l’amica senza farsi domande, e condividendo lo stesso timore che imperlava il volto di Ivy. Come se la stretta sempre più forte alla sua mano portasse le due ragazze a avere in comune le stesse emozioni, le stesse paure. Che cosa stava succedendo? Che cosa aveva visto Red di tanto brutto da portarla a scappare così? Lei, che non aveva mai paura di niente. Lei, che aveva sempre giocato con le sue regole, senza abbassarsi, senza scappare davanti a nessuno. Le venne il dubbio che Pamela non stesse scappando per se stessa, ed ora l’ansia che provava le bloccò il respiro, tanto da dover essere quasi trascinata dalla rossa, che la implorava con lo sguardo di seguirla. Le loro mani vennero separate da un colpo brusco, che nessuna delle due era stata in grado di veder arrivare. Poison Ivy si mise di fronte ad Harley, per coprirla di fronte a quell’attacco, e la bionda scoprì in seguito che non fu solo il suo corpo a voler coprire. Pam fu strattonata di lato da qualcuno che Harley non fu in grado di vedere, ma che riuscì a sentire perfettamente. Tutti la consideravano inquietante, portatrice di morte e di terrore: lei la considerava stupenda. Non mentì a se stessa, la considerava ancora così. Dal buio uscirono solo un paio di labbra rosse, allungate lungo le guance. Sapeva come si era procurato quelle cicatrici, gliel’aveva raccontato tante volte…
< Ciao bambolina >
 
“Hai paura di me, dottoressa Quinzel?”. Silenzio dall’altra parte. Un urlo. “Rispondimi! Hai paura di me?!”. Il coltello sfilava elegante lungo il suo collo, spingendo delicatamente contro la sua carne. Non abbastanza per ferirla. Abbastanza per segnarla. Un solo sussurro. “No”. “No? Molte persone più intelligenti di te mi temono… Cosa ti rende così speciale?”. La lama sale lungo la sua guancia. Arriva allo zigomo. Torna indietro. Disegna una mezzaluna sul profilo delle sue labbra. “Loro non ti capiscono. Io sì. Noi due siamo uguali”

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Come si faceva a cascare nel trucco più vecchio del mondo così? Classico attacco “all’americana”, superiorità numerica, accerchiare l’elemento più pericoloso dell’altro gruppo e lasciare da solo il debole di turno. Chissà perché, era sempre lei quella che veniva attaccata per prima: in un altro contesto, si sarebbe chiesta perché tutti la sottovalutavano così, ma questa volta non c’era bisogno di domandare. Il suo inquietante, pericoloso e bellissimo sorriso era piantato sul suo viso, mentre Joker le si avvicinava.
< Sorpresa, sorpresa piccola! Non vieni a salutarmi? > Harley non riusciva a rispondere, bloccata nel respiro e nei movimenti, mentre Ivy strattonava i suoi aguzzini nel tentativo di liberarsi. L’attenzione della bionda era tutta rivolta verso di lei, l’amica che aveva già capito tutto, e aveva cercato di portarla via. Joker, vedendosi ignorato così, abbastanza platealmente, prese per un braccio Harl, strattonandola verso di sé. Come se avessero acceso la luce all’improvviso, la ragazza si rese conto del tutto di chi aveva di fronte, iniziando a tremare vistosamente. Lui le sorrideva, con espressione tranquilla, nonostante sapesse che i medici e le guardie potevano scovarlo da un momento all’altro.
< Che diavolo vuoi? Non ne hai avuto abbastanza? Quando inizierai a lasciarla in pace? > strepitava Pam, nonostante la presa degli scagnozzi di Joker fosse perentoria.
< Anch'Io sono felice di vederti, piantina rossa > disse lui, senza degnare di uno sguardo Ivy, che in tutta risposta decise di non farsi scrupoli, cercando di colpire i suoi aguzzini. Joker non poteva vederla, ma sentiva i rumori alle sue spalle, e senza togliere gli occhi da Harl, la sua risposta arrivò come una sentenza.
< Più che edera velenosa avresti dovuto farti chiamare gramigna fastidiosa Ivy> e il tono della sua voce vibrava in quel sottile confine tra la spietatezza e l'ironia che solo in Joker lei aveva mai visto finora  < Estirpatela dalla mia vista, ora >
Quelle parole colpirono Harley con tutta la loro forza, tanto da ridarle l’energia di fare un passo verso di lei. Di fronte allo spostamento, il Clown prese con irruenza un polso della ragazza, trascinandola contro il muro. Posizionò entrambe le mani ai lati della sua testa, per impedirle di allontanarsi di nuovo. Sentiva il suo respiro rilassato accarezzarle distrattamente la pelle, mentre i suoi occhi scuri vagavano sul suo viso, alla ricerca di quella complicità che Harley non sentiva più. Le sue resistenze però iniziavano a vacillare, catturata nella solita rete che, abilmente, lui era capace di costruire intorno a lei.
< Perché così seria? >
Si avvicinò con il busto verso di lei, puntando il collo esposto della ragazza, che voltò istintivamente il viso dalla parte opposta. Lo sentì ridere, impercettibilmente, mentre inspirava l’odore della sua pelle. Una mano bianca si staccò dal muro, per portarsi sull’alta coda di cavallo in cui i capelli biondi di Harl erano legati; con un gesto deciso il laccio venne tirato via e lasciato cadere a terra, mentre la chioma dorata della ragazza si appoggiava placidamente sulle sue spalle. La sua testa era completamente fuori controllo, vorticava in quello stato di estasi che spesso e volentieri era l’unica compagna che aveva. Se avesse dovuto seguire il cuore, sarebbe già stata tra le sue braccia, cercando il suo perdono e la sua comprensione, ma c’era qualcosa che la teneva ferma contro quel muro. Lui sapeva che qualcosa non andava, era troppo più furbo di lei per non essersene accorto, e proprio per questo motivo si allontanò, sempre senza concedergli lo spazio sufficiente per andarsene.
< Ho capito. Mi stai ignorando perché sei ancora in collera con me, giusto?> e il suo volto seguì le sue parole, piegandosi lateralmente in modo alternato, quasi ipnotico, tanto che ad Harley parve stesse scrutando minuziosamente ogni angolo del suo corpo e delle sua mente.
< Non dovresti, mia cara. Non era così che doveva andare. Io avrei voluto intervenire, salvarti, ma non potevo permettere che prendessero anche me. Lo capisci, vero?>
Joker mentiva, e Harley lo sapeva bene. Ma nonostante tutto, pendeva dalle labbra di lui, come sempre. Aspettava una risposta, che però stentava ad arrivare, in quel momento. Il suo stato di estasi venne all’improvviso perforato da una serie di ricordi: perché si trovava ad Arkham? Che cos’era successo? Ah già… L’arrivo della polizia, le pistole puntate, gli spari che si susseguono, lei che cerca di trovare riparo, per entrambi. Lui ne trova uno. Non la cerca. Lui riesce a scappare. Non si volta indietro.
< Non dici nulla? Non mi vuoi parlare? Rispondi!!> la riportò alla realtà la voce ora infastidita del Joker. Gli occhi di Harley avevano subito un mutamento repentino, ma lui le era troppo vicino, e troppo concentrato sul suo corpo per notarlo. Staccò un’altra volta una mano dal muro, girando il dorso per accarezzarle una guancia, e fu quello il momento in cui accadde. Con una velocità impressionante, la mano piccola e candida di Harley andò a schiaffeggiare quella di Joker, con un gesto tanto folle quanto liberatorio, impedendogli di toccarla. L’arto che aveva sferrato quel colpo ora tremava, e si avvicinava alle labbra rosee della bionda, per nascondere l’espressione di stupore che vi era nata. Non era l’unica ad essere impressionata, forse più di lei era il suo amato Clown ad esserlo, tanto da non riuscire a parlare, né a rispondere con gesto alcuno. Furono le gambe della ragazza ad agire per prime, correndo nella direzione in cui Pam era sparita, qualche istante prima. Joker era talmente perplesso da non riuscire nemmeno a muoversi, lasciandole tutto lo spazio necessario per scappare. Chiunque l’avesse vista, probabilmente si sarebbe complimentato con lei. “Sarei l’orgoglio di Pam, se fosse qui” fu la prima cosa che riuscì a pensare, riprendendo il controllo della sua testa. Ma nella corsa disperata verso l’amica, non fu capace di impedirsi di sbagliare ancora. Non fu capace di impedirsi di voltarsi indietro.
 
Sdraiati. Uno di fianco all’altra. Il respiro di lei ancora agitato. Quello di lui tranquillo, come la sua espressione. E’ già altrove. Come se niente fosse accaduto. Lei si gira su un fianco. Si avvicina. Con un movimento leggero si appoggia sul suo petto. Con una mano lui la spinge via. Lontano. Lei si risistema sul cuscino. Nessun rancore. Nessuna rabbia. Come se niente fosse accaduto.

NOTA DELL'AUTRICE: VOGLIO PRENDERMI UN PICCOLO SPAZIO, NEL TRAGUARDO DEI 5 CAPITOLI, PER RINGRAZIARE TUTTI COLORO CHE STANNO LEGGENDO LA MIA STORIA E, IN PARTICOLARE:
  • CHIHIRO, CHE L'HA RICORDATA;
  • JUSTMYIMMAGINATION CHE L'HA SEGUITA E RECENSITA
  • LALLA_98 E FLOURESCENT CHE L'HANNO RECENSITA.
GRAZIE A TUTTI DI CUORE!

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Era ormai la terza volta che Pammie le chiedeva di ripeterle (dettagliatamente, sia chiaro) come erano andate le cose. E per la terza volta, Harley raccontava sommariamente cosa era successo dopo che i due uomini l’avevano portata via. E per la terza volta, Ivy le aveva buttato le braccia al collo, stringendola tanto forte da farle male. Sebbene ricambiasse i suoi abbracci, Harl non era in grado di condividere l’entusiasmo dell’amica, perché in quell’angusto corridoio era stata costretta ad affrontare la realtà: la teneva sotto controllo più di quanto anche lei stessa non pensasse. La sua reazione era stata buona, vero, ma totalmente involontaria, senza che lei potesse decidere coscientemente cosa voleva. Resasi conto che le condizioni di Red erano buone, e che gli scagnozzi di Joker avevano lasciato Arkham insieme a lui, rapidi e silenziosi come vi erano arrivati, la bionda si era rinchiusa nella sua cella, negando a chiunque la possibilità di vederla. Aveva cercato di dormire, dominando a stento i ricordi di quel breve contatto con Joker, le sue labbra così vicine alla sua pelle, le sue mani strette intorno ai suoi polsi… Aveva dormito poco, anche perché le sue ore di sonno erano state sopraffatte da quei pochi minuti di adrenalina pura, che si ripetevano in continuazione nella sua testa. Appena sveglia, non aveva avuto modo di riprendersi, perché proprio allora l’interrogatorio di Poison Ivy aveva avuto inizio.
< Sono così orgogliosa di te, Harl… Finalmente ti sei resa conto con che razza di feccia ti fossi andata a cacciare. E’ proprio così che ti voglio! Quando usciremo di qui, saremo più forti di prima, e potremo tornare al nostro progetto, senza stupidi clown tra i piedi > commentava la rossa, che non stava più nulla pelle di fronte a questa prospettiva di conquista insieme all’amica di sempre. Fu anche per questo motivo che, quando il garzone dei giornali posò una copia del quotidiano del giorno sul tavolo, Ivy non si mosse per spostarlo. Gli occhi di Pamela si posarono distrattamente sulla prima pagina prima di bloccarsi, spalancati di fronte all’immagine terribile che le si era piantata davanti.
< Oh no… > gemette quando si rese conto di cosa stava accadendo, attirando nuovamente l’attenzione di Harley. La ragazza vide sul giornale i suoi occhi azzurri osservarla di rimando, mentre rideva. La sorpresa si delineò a grandi passi sul suo viso mentre osservava la Harl di carta: la stessa maschera, lo stesso costume e una scritta che troneggiava al centro della pagina.
 

“Why so serious?”

 
< No… No… > farfugliò la bionda, conscia di cosa quella prima pagina stesse a significare. Prima che quel tragico pensiero affiorasse nella sua mente, però, si rese conto che tutti i detenuti dell’Arkham Asylum la stavano fissando, e che anche loro avevano capito cosa stava succedendo. C’era qualcosa di assurdo nella psicologia dei criminali di Gotham City; lei era laureata in psicologia, e sapeva bene di cosa stesse parlando. Quasi come avessero una calamita che li legava indissolubilmente a Batman, il loro programma preferito era il telegiornale di Canal 4. Proprio per questo il televisore si accese quasi di sua spontanea volontà, sintonizzandosi su quel programma. La sigla stava per terminare, e Harley quasi non si rese conto di avere il battito accelerato, mentre sperava che un normalissimo cronista iniziasse a leggere i titoli del giorno. La sua speranza però durò solo qualche istante, giusto il tempo di inquadrare quello stesso viso che aveva avuto a pochissimi centimetri, il giorno prima.
< Signore e signori buongiorno,qui è il vostro Mister J che vi da il benvenuto alle news di questa mattina > esordì il Joker seduto nel posto di solito riservato al presentatore. Nella sua mano sinistra dei fogli di carta che simboleggiavano il suo ruolo, mentre in quella destra la sua amata pistola a rappresentare la sua vera natura.
< Partiamo subito con una notizia appena giunta in redazione:il pagliaccio principe del crimine, il nostro amatissimo Joker, sta portando il caos in tutta Gotham City, tanto da aver raggiunto persino la nostra sede > e il suo sorriso si dischiuse di nuovo, tanto da sembrare enorme prolungato dalle sue cicatrici.
< Ecco infatti un comunicato che Joker stesso ha "caldamente" consigliato di diramare a suo nome > disse lanciando un'occhiata al foglio, probabilmente bianco < Oh guarda! Sembra indirizzato a qualcuno in particolare! > commentò ironico portando lo sguardo verso lo schermo
< Perchè così seria mia cara? Eppure tu già lo sai. Sai che non puoi decidere da sola, sai che non mi fermerò, sai che Io faccio parte di te... Harley, lo sai che è solo l'inizio, vero? > concluse rimanendo con lo sguardo fisso per alcuni secondi, prima di gettare i fogli ed alzarsi.
< Per oggi è tutto gente. Vi lascio alle anticipazioni della serata, quando andrà in onda un produzione firmata Joker dal titolo "Gotham sotto le stelle!" Hihihi! > e il tonfo rumore di uno sparo fu ultimo segno prima di uno schermo totalmente nero.
Quelle parole bastarono a dare la conferma a Harl di quanto prima era solo riuscita a immaginare: non era finita. Era stata fin troppo ingenua a pensare che la sua reazione sarebbe bastata a Joker per lasciarla in pace, e solo ora si rendeva conto di quanto avesse sbagliato. Ivy le prese una mano, stringendola forte nelle proprie, cercando di confortarla di fronte all’ennesima grande impresa del Clown. Non poteva stare lì, non poteva sentirselo così vicino: stava per crollare, e lo sapeva bene. Pam colse il suo silenzioso messaggio d’aiuto, alzandosi e accompagnandola rapidamente alla sua cella, chiedendo agli uomini della sicurezza di muoversi ad aprire. La bionda si accomodò seduta sul letto, con il viso di chi non è in grado di trattenere ancora per molto il caos che sente dentro. Red si sedette accanto a lei, stringendola forte a sé: nemmeno lei, sempre così fredda e integerrima, era riuscita a trattenere lo shock di fronte a quello che Joker aveva in serbo per Harley.
< Andrà tutto bene Harl, te lo prometto > sussurrò la rossa con tono tenue, accarezzando i capelli biondi dell’amica con una mano. Lei annuì in risposta, senza la minima convinzione riguardo alle parole di Pamela, ma ringraziandola lo stesso per esse. Ivy si alzò dal letto, accendendo la radio posizionata sul comodino della Quinn, che si lasciò cadere sul cuscino, già esausta. La rossa la lasciò tranquilla, vedendola rilassarsi sul letto, chiudere gli occhi stancamente. Come un balsamo per la sua anima, lentamente la musica stava andando a scioglierle i nervi, cosa che non accadeva da molto tempo a questa parte. Ma la tranquillità non dominava Gotham quel giorno, bensì era il caos a farne da padrone, e per lei, non c’era modo di sfuggire. La musica finì presto,e al suo posto quella voce, ancora quella stridula e irritante voce
< Bentornati amici ascoltatori! Questa è Joker Radio 00 FM, e il prossimo brano è il nuovo successo di Mister J! Ecco a voi la hit del momento! "Why so serious?" dedicata alla nostra affezionata ascoltatrice Miss Harley Quinn!>
Un urlo di pura disperazione squarciò l’Arkham Asylum, e chiunque l’avesse sentito, si rese conto che ancora una volta, quella partita era in mano al Joker.
 
Il commissario James Gordon ne aveva viste tante, nella sua carriera, ma quello che stava succedendo in quelle ore aveva qualcosa di ridicolo. Il commissariato era pieno di gente, uomini e donne che chiedevano agli agenti di polizia un’unica cosa. Avrebbe voluto dare una mano per mettere un po’ di ordine, ma la loro unica possibilità era arginare il problema, e per farlo, Jim doveva dirigersi subito ad Arkham. Aveva sentito qualche frase, e non era stato in grado di non arrabbiarsi a morte. “E’ lei che vuole? Bene, lasciate che esca, e andrà tutto bene”. Come poteva la gente non capire che la situazione non era così facile? Harley Quinn non era la vittima del gioco perverso di Joker… Almeno, non solo! Tante volte lei aveva commesso crimini tanto cruenti quanto quelli del suo uomo, come poteva la gente averlo già dimenticato? Questi pensieri affollavano la sua testa, mentre attraversava l’interno dell’Asylum, mostrando il suo tesserino agli inservienti. Un uomo dai capelli scuri e l’aspetto giovane, che non aveva mai visto, gli chiese di seguirlo per un labirinto di corridoi, fino all’ufficio della dottoressa Joan Leland. I due si conoscevano da molti anni, in quanto lei lavorava come psicologa prima, e come direttrice del centro poi, praticamente da quando Jim aveva iniziato a lavorare nel dipartimento di Gotham. Nonostante i lavori poco tranquilli svolti da entrambi, tra i due si era creata una bella amicizia.
< Che cosa ti porta in questo luogo triste e solitario, Jim Gordon? > chiese la donna senza alzare lo sguardo dalle sue carte, con un leggero sorriso ad incresparle le labbra.
< E’ strano che tu me lo chieda, Joan… Pensavo che almeno le notizie più importanti vi arrivassero, qui ad Arkham > rispose il commissario con tono ironico, sistemandosi gli occhiali da vista sopra il naso. Lo sguardo della psicologa cambiò radicalmente, finendo di giocare a fare la finta tonta.
< So perché sei qui James, ma ti devo avvertire… Sarà molto difficile parlare con lei, se non impossibile. E’ da questa mattina che si è rinchiusa nella sua cella, che non fa avvicinare nessuno, e se posso essere sincera, credo che tu sia l’ultima persona che vuole vedere >.
Jim ascoltò la voce grave della psicologa, cercando di trovare un punto della situazione, ma sembrava non essercene traccia. Era ovvio che dovesse tentare ugualmente, e quando lo disse a Joan, lei sorrise incoraggiante, facendogli segno di seguire ancora una volta il ragazzo con il quale era arrivato. Attraversando i corridoi del penitenziario, si sentì come una specie di preda, passando sotto gli occhi di tutte quelle fiere che in tanti anni di carriera aveva fatto arrestare. La Quinzel però era diversa, e molti, che stessero da una parte o dall’altra della barricata, ne erano a conoscenza. Come poteva, un amore folle, rovinare la vita di una ragazza? Questa fu l’unica frase che Gordon fu in grado di farsi, vedendo attraverso il vetro l’immagine della bionda. Occhi gonfi e naso rosso risplendevano al centro del suo viso pallido, con i capelli spettinati e un silenzio di tomba nella cella. Gordon fece sollevare il vetro, ed entrò nella stanza con lentezza, convinto che Harley stesse dormendo, ma rendendosi conto della realtà troppo tardi.
< Che diavolo vuoi, commissario? > chiese con voce gracchiante, posando lo sguardo spento sul soffitto.
< Non ci girerò troppo intorno, Harleen… Lui ti vuole vedere, e per il bene di Gotham, è meglio che tu venga con me >
La risata della ragazza scoppiò forte e chiara nella stanza, ed era inquietante proprio perché non c’era nulla di felice in quello sfogo. Era amarezza pura, condita da una buona dose di disperazione.
< Non ci penso nemmeno >.
< Harleen, tu non capisci, è che… > Provò a insistere il commissario, venendo subito interrotto dallo strillo della ragazza.
< Ho detto di no, smettila!>.
Il suo tono era decisamente sofferente, e i singhiozzi presero possesso della sua voce, quasi dimenticandosi della presenza di Jim. Era da tanti anni in polizia, ma poche volte si era reso conto della sofferenza presente in persone che lui, riteneva prive di sentimenti. Rimase in silenzio per qualche istante, facendo poi segno al ragazzo di alzare il vetro della cella.
< Se non vuoi vedere Joker, Harley, devi almeno venire con me… >
La ragazza rimase a fissare la figura del commissario di polizia che l’attendeva sulla porta, e come mossa da uno strano e perverso istinto di autodistruzione, si alzò dal letto, seguendo Gordon all’esterno della stanza. L’uomo s’incamminò soddisfatto verso l’esterno della sezione dedicata ai detenuti, salendo per una scala che Harley non aveva mai percorso. Dietro una porta, dalla quale potevano passare solo gli addetti ai lavori, trovarono una scala, con un numero esorbitante di gradini. La salita per la bionda fu decisamente faticosa, priva di forze com’era, ma alla fine della scalata, si ritrovò di fronte un’altra porta, che il poliziotto le aveva lasciato aperta. Scoprì di essere arrivata sul tetto dell’edificio, e la prima cosa che notò, fu la strana oscurità che regnava su Gotham. Non che dall’Asylum ci fosse una splendida vista, ma una delle cose che balzava all’occhio di chi non era mai stato in città, erano le luci che dominavano il panorama. Con estrema attenzione si avvicinò al parapetto, invitata dallo stesso James, che osservava davanti a sé con una calma quasi innaturale. Quello che vide, la lasciò completamente senza fiato, impossibilitata a parlare di nuovo. Non si era sbagliata quando aveva visto meno luci del solito, perché Gotham City era davvero totalmente al buio. Non sapeva come aveva fatto, ma le uniche luci presenti si muovevano sulle facciate dei palazzi, con degli strani schemi e dimensioni, ma componevano due sole parole: Harley Quinn. Due lunghe lacrime calde fuoriuscirono dai suoi occhi, rigandole le guance senza pietà, soprattutto perché il suo cuore, aveva mancato un battito, alla vista. Come poteva aver smesso di amarla, se poi faceva cose di questo genere?
< Capisci che non possiamo lasciarlo fare? > la risvegliò la voce di Gordon, con tono tenero, dovuto alle lacrime di Harley. Lei annuì con forza: non poteva lasciarlo fare, non poteva lasciarlo andare.
 

“Chi è che ha dato le maggiori ragioni di divertimento alla polizia di Gotham, Harley?” “Tu, Mister J” “Allora sarà il caso che andiamo a ricordarlo al loro capo, cosa ne dici, bambolina?”. Lei annuisce. Lui si avvicina. La guarda. E scoppia a ridere. Quella risata. La sua risata











NOTA DELL'AUTORE: CAPITOLO PARECCHIO PIU' LUNGO DEL SOLITO. SPERO PIACCIA A TUTTI COLORO CHE CONTINUANO A SEGUIRE LA MIA STORIA, SPERANDO CHE AUMENTINO :)

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Il luogo dell'incontro era stato scelto non molto distante dall'Arkham Asylum, in modo tale da permettere una facile via di fuga ad Harley, che seguiva il commissario Gordon con lo sguardo basso. Chi le diceva che sarebbe stata in grado di essere forte come lo era stata solo il giorno prima? Non fu in grado di porsi altri interrogativi, perché il commissario stava facendo cenno ai suoi di posizionarsi, mentre aspettavano l'arrivo del Clown.
< Spero sappiate che non funzionerà... > sibilò la bionda, sistemandosi i codini ai lati della testa. Non aveva intenzione di mostrarsi con la maschera e il viso coperto dal cerone bianco. Voleva solo essere Harleen, o almeno, voleva dare quest'impressione. Jim la guardò storto, ma la sua opinione poteva essere fondata: era troppo tardi per creare un'altra manovra di cattura, quindi poté solo sperare di essere un passo avanti a Joker. Erano al centro di un parcheggio desolato, completamente deserto, e non solo perché era notte fonda. Quella zona della città era quasi sempre in mano alla criminalità, e la vicinanza del penitenziario non era certamente un caso. Perpetue folate di aria fredda percorrevano le braccia di Harley, che si passava le mani sopra la pelle d'oca, cercando una tranquillità mentale che non accennava a tornare. Lo sentiva nel vento che le lacerava la pelle, lo vedeva nell'oscurità della notte, lo percepiva tutto intorno a sé, per questo, quando arrivò, era già preparata ai tremiti che il suo corpo, implacabile, le impartiva. Il suo era il classico sorriso di chi sa di aver vinto, le aveva rivolto quella stessa espressione più e più volte, negli anni. Non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, ma a salvarla, per uno strano caso del destino, ci pensò il commissario Gordon, che intervenne per spiegare gli accordi.
< Che sia ben chiaro, Joker... Queste sono le condizioni: Harley non è stata liberata, ma ha concesso di avere un incontro con te. Quando avrete finito, lei tornerà ad Arkham, e tu sarai libero di andartene, a patto che Gotham venga lasciata in pace >.
< Avanti commissario! Non penserai veramente che Io creda alle tue parole dopo tutti questi anni passati insieme! So benissimo che non sei solo, come tu sai benissimo che lei non tornerà ad Arkham... > disse il Clown, senza togliere lo sguardo dalla ragazza, ignorando platealmente la presenza del commissario, a dir poco indispettito dalle sue parole.
< Però, se permetti Jim, ora vorremmo un po’ d'intimità... >
James non era troppo sicuro di questa scelta, ma fu costretto ad accettare quando Joker posò i suoi occhi furenti su di lui. Una volta che l'uomo lasciò i due da soli, lo sguardo di lui si ingentilì appena, lasciando però un sorriso sardonico sulle labbra incredibilmente allungate dalle cicatrici
< Tu guarda la coincidenza! Anche tu qui Harley? > chiese lui con tono ironico < O forse dovrei chiamarti Harleen? O dottoressa Quinzel? > aggiunse inclinando la testa da un lato e osservando con particolare attenzione il suo abbigliamento < Ma certo! Che sbadato che sono! Forse Halloween è semplicemente passato e non me ne sono accorto… Hihihihi >
< Che cosa vuoi da me? > chiese con un impeto di coraggio Harl, osservando in cagnesco l'ormai passato Partner In Cryme. Probabilmente lui si aspettava una risposta del genere, infatti la sua espressione non mutò di una virgola, avvicinandosi ancora di più alla ragazza.
< Che cosa voglio dici? Uhm... Fammi pensare... > rispose il Joker lisciandosi il mento con aria ingannevolmente pensante < Voglio solo ciò che mi appartiene > sentenziò alla fine, mostrando la sua innata capacità di sembrare una persona totalmente differente variando solo sguardo e tono di voce: da clown folle e colorato ad oscuro principe del crimine.
< Diciamocelo mia cara, questa farsa è durata fin troppo. Comprendo il tuo disappunto, avverto la tua rabbia e il tuo rancore > e ancora quell'espressione sul suo volto pallido, la stessa che Harley sentiva penetrare fin nella sua anima < Io provo lo stesso credimi! Noi siamo più simili di quello che gli altri pensano, e tu lo sai questo. Loro non possono capire la frustrazione di essere sempre così vicini alla meta, ma non arrivarci mai, per colpa di un gruppo di soldatini di plastica sempre perfettini nelle loro divise stirate e con i colletti inamidati, o di un uomo triste e solo che si veste da pipistrello per combattere i peccati altrui... E nascondere i propri > e il suo pugno si chiuse, stretto, fino a farsi del male. < Non è così che dovevano andare le cose Harley... Ma la colpa non è mia, è loro! > e con l'indice puntò il buio intorno a loro, dove ben sapeva era celata gran parte della polizia di Gotham < Chiudiamo questa storia e ripartiamo, mia cara, come abbiamo sempre fatto > concluse sfiorando il suo volto con la mano.
In un altro contesto, quelle parole sarebbero bastate a calmarla, a farle credere che tutti i problemi che si era fatta erano inesistenti, e che le sarebbe bastato tornare da lui per cancellare ogni forma di preoccupazione. Ma in quei giorni di fitti pensieri, qualcosa era spuntato nella mente di Harley, qualcosa che aveva spezzato il suo fragile ecosistema. Avrebbe voluto tornare da lui, avrebbe voluto gettarsi di nuovo tra le sue braccia, ma quell'ultima frase... Beh, quella le era impossibile da sopportare, tanto che, appena fu liberata dalle labbra rosse del Clown, Harl non riuscì a trattenersi.
< Me l'avevi promesso! > strepitò, e la sua voce fu ben udibile da tutti i poliziotti che, silenziosi, brulicavano nell'oscurità. Joker sembrò stupito da quelle parole, e per un'altra volta, non riuscì a porre obiezioni, sebbene non fosse del tutto convinto di aver mai promesso qualcosa a qualcuno.
< Ma ovvio, le tue promesse non sono mai da considerarsi tali, non è vero? > chiese la bionda con tono vinto, e la disperazione nei suoi occhi lampeggiava come le fiamme che lambiscono i tizzoni ardenti. Sentiva le ginocchia fragili, e temeva di non riuscire a portare la conversazione più a lungo. Lui ora la guardava con occhi diversi, con una rabbia che sembrava non riuscire a trattenere ancora per molto; non che Harley non se l'aspettasse, ovviamente. Quante volte aveva sfogato la sua frustrazione su di lei? Quante volte era proprio lei a permettergli tutto questo?
< Non sfidare la sorte rivolgendoti a me in quel modo ragazzina! > soffiò il Joker come un cobra dormiente svegliato bruscamente dallo stuzzicare di un bastone < Scherzare con il fuoco è meno pericoloso che scherzare con chi dello scherzo ne è l'incarnazione. Tu lo sai, molti hanno provato, pochi l'hanno potuto raccontare. E... Nemmeno tu ne sei esente... > sussurrò con un sibilo, e se le sue parole potevano sembrare una minaccia, l'ira ben visibile nei sui occhi lo era forse di più.
Una risata amara sgorgò dalla gola di Harley, che scuoteva il capo quasi divertita dalla situazione paradossale che le si trovava davanti.
< Non m'interessa... > disse con voce rotta, mentre il suo inconscio la malediceva per le parole che stava per pronunciare < Come a te non è mai interessato di me > concluse voltandosi, decisa a lasciare quel parcheggio e il Joker dietro di sé, per sempre.
< Ti conviene andartene, prima che Gordon e i suoi uomini riescano a prenderti > aggiunse, rallentando meccanicamente il passo. Joker lo vide come un ripensamento, e si avvicinò alla Quinzel a grandi passi, bloccandola tempestivamente per un polso. Gli occhi scuri di Joker erano fissi in quelli azzurri di lei, che respirava lentamente, sorpresa e segretamente rincuorata dal suo intervento. Con un'azione tanto energica quanto brutale, il Clown posò le labbra su quelle di lei, cercando di imprimere più rabbia possibile, in quel gesto. Subito dopo, silenzioso e misterioso come era venuto, scomparve nell'oscurità, lasciando i pochi progressi di Harley perduti e a pezzi, in quel parcheggio abbandonato.
 
Altro piano andato a monte. Lei lo scopre, non era presente. Lui torna, furioso. E ferito. Lei gli corre incontro. Preoccupatissima. Lui la allontana. Seccato. Lei indietreggia. Vuole lasciarlo tranquillo. Va a rimettersi a letto. Torna indietro. Le mette una mano tra i capelli. La porta a sè. Un bacio. La sua rabbia che diminuisce. Si fonde. E diventa la rabbia di lei.















NOTA DELL'AUTRICE: NUOVO CAPITOLO, SPERO CHE PIACCIA ESATTAMENTE COME E' PIACIUTO IL PRECEDENTE. UN GRAZIE E UN GROSSO BACIO A TUTTI :)

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Le ultime ore erano state pesanti, lunghe da morire, e incredibilmente stancanti. Chi l'avrebbe mai detto che il Principe del crimine si sarebbe ritrovato in una situazione del genere? La notte scura e silenziosa era caduta come un drappo su Gotham, lasciando il resto della popolazione in sonni tranquilli, ma per lui la tranquillità era una mera illusione. L'ennesimo rifugio improvvisato era spartano esattamente come gli altri, con un fitto strato di polvere sulle pareti e i mobili, che veniva spostata solo da un movimento incessante: il suo. Camminava da un lato all'altro della stanza, senza darsi pace, con i pensieri riguardanti quell'incontro, avvenuto poche ore prima, che continuavano a tormentargli la mente.
< Stupida! Stupida ragazzina! > tuonò il Joker, sfogando la sua frustrazione su alcuni malcapitati oggetti ammassati sulla scrivania.
< Come ha osato? Chi pensa di essere? Respinto, e per ben due volte! E la seconda sotto gli occhi di Gordon e i suoi soldatini! Dov'è la mia credibilità ora? > e il suo sguardo carico d'ira cadde su alcuni fogli impilati disordinatamente al centro della sua scrivania, unici superstiti alla sua collera. Il Joker li fece passare velocemente tra le mani. Ecco la risposta. La sua credibilità era in quegli schizzi. Decine di piani orditi con machiavellica precisione, senza apparenti punti deboli, ma tutti falliti.
< Non è colpa mia, maledizione! > e i fogli volarono via, finendo nell'oscurità che avvolgeva il pavimento < Harley non deve avercela con me! Non può avercela con me! > tentò di giustificarsi < Se non fosse per Batman e i suoi amichetti tutori della legge, Io regnerei su tutta Gotham! E Harley... > s'interruppe. Già... E Harley?
L'aveva sempre trattata con sufficienza, come una cosa scontata, un ripiego, una valvola di sfogo. Lui lo sapeva. Faceva così con tutti. Usare le persone a suo piacimento era nella sua natura, eppure...
Si ritrovò a sorridere. Quando quel qualcuno era Harley Quinn le cose cambiavano. Lui la usava, la maltrattava, la lasciava sempre sola ma, alla fine, tornava sempre a cercarla. Si costrinse a spegnere il suo sorriso.
< Io non ho bisogno di lei > disse raggiungendo l'unica finestra presente. Una finestra doppia apertura, enorme rispetto alle dimensioni del resto della stanza, che forniva un'ampia panoramica sull'intera città.
< Io ero il pagliaccio principe del crimine anche senza di lei. Posso farne a meno. Se vuole restare ad Arkham a marcire faccia pure > si autoconvinse. Era la verità, certo. Eppure...
Il suo sguardo vuoto si spinse ad osservare il manicomio criminale, laggiù in lontananza.
< Chissà se mi sta pensando... > si chiese senza accorgersene. E quasi fosse una risposta, il viso della ragazza gli apparve nel cielo sopra Gotham, sorridente, con i suoi grandi occhi celesti che brillavano come due topazi, creando un affascinante contrasto con il bianco del trucco sul suo volto e il rosso-nero della sua maschera.
"Con i giusti cambiamenti, diventa Harley Quinn! Sì, come il nome della maschera..." quelle vecchie parole gli tornarono nella mente, rubandogli un altro lieve sorriso.
< Basta! > si ordinò chiudendo gli occhi, ribellandosi a quelle strane sensazioni che iniziava a percepire.
< Me l'avevi promesso! > la voce di Harley risuonò nella sua testa, così reale che il Joker si voltò, pensando, o forse sperando, lei fosse lì.
Nessuno. Solo lui e l'oscurità.
< Che succede clown? Ti manca qualcosa? O forse qualcuno? > chiese all'improvviso una voce ironica. Ma da dove veniva? Era solo nella sua testa oppure...? Il Joker si guardò intorno in cerca di risposte, ma fu grazie alla pallida luce della luna che trovò quella che cercava. Uno specchio. E, all'interno di esso, lui. I due si fissarono per alcuni istanti, identici nell'aspetto, ma così diversi nell'animo, finché fu Joker il primo a cedere, distogliendo lo sguardo e riportandolo su Gotham, allarmato per una volta da quel suo vecchio ed oscuro compagno.
< Io non ho bisogno di lei > ripeté cercando di riassumere il controllo
< Ho sempre avuto la compagnia di cui avevo bisogno, i partner che volevo... > aggiunse per rafforzare la sua posizione dominante.
< Ma tu vuoi lei > replicò l'altro < Ho visto come la guardavi, prima... >
Aveva ragione. E a peggiorare la posizione del clown comparve nel buio davanti a sé l'immagine di Harley in quel maledetto parcheggio, mentre di spalle si allontanava da lui. < Ti ricorda niente? > chiese il suo riflesso, infliggendogli un altro colpo ben assestato. Il Joker annuì. Gli ricordava molto, in realtà.
Le sinuose forme di Harley non erano messe in risalto dal suo consueto costume attillato, ma lui le distingueva perfettamente anche sotto abiti civili. Perché lui le conosceva fin troppo bene. Le aveva ammirate con i suoi occhi, percorse con le sue mani, respirate come fossero il suo ossigeno, gustate come fossero il suo nutrimento. Un brivido percorse il suo corpo.
< Lei mi appartiene. La rivoglio > ammise alla fine, voltandosi di nuovo verso lo specchio.
< Lo so > rispose lui sorridendo < Ma un semplice “mi dispiace” non basterà stavolta. Hai qualche idea migliore, genio del crimine? > Joker lo fissò assorto, in cerca di una risposta.
< Sì... Penso di sapere cosa fare... > rispose ricambiando il sorriso, prima di voltarsi e dirigersi velocemente verso la porta.
< Lo sai? > chiese un'ultima volta la sua immagine, ma il Joker era ormai lontano, e lei svanì nel buio.
 
Ormai era decisa: se dei Clown psicopatici con lunghe cicatrici sulle guance erano intenzionati a rovinare le sue notti con quella costanza, lei li avrebbe combattuti nell’unico modo che conosceva. La dottoressa Leland era stata sorpresissima di trovarsi Harleen davanti così spesso, negli ultimi giorni: credeva che la ragazza rifiutasse qualsiasi tipo di seduta, e invece, da quando il Commissario Gordon l’aveva portata all’incontro con il Joker, tutti i pomeriggi si presentava nel suo ufficio, pronta e determinata a rispondere a tutte le sue domande. Non bisognava essere dei luminari in psicologia per sapere che l’ultima visita del suo ex boss l’aveva segnata parecchio, più di quanto volesse ammettere.
< Allora Harleen… Ieri mi stavi accennando a dei sogni… > iniziò la donna, cercando nel suo taccuino l’ultima annotazione legata a quella storia. Harley annuì, sistemandosi un po’ meglio sul lettino e volgendo lo sguardo verso l’alto.
< E’ da quando sono tornata qui ad Arkham, dottoressa, che tutte le notti faccio più o meno lo stesso sogno. Magari con componenti diverse, ma il soggetto è quasi sempre lo stesso: io e Mister J stiamo litigando, e siamo sulla cima di un grattacielo. Ad un tratto, lui si arrabbia e cammina verso di me, facendomi indietreggiare. Io comincio a piangere, fino a che lui mi butta di sotto. A questo punto, tutte le volte non so come vada a finire il sogno perché mi sveglio… >
< Parlavi anche di altre componenti… >
< Sì, ma non me le ricordo tutte… Ad esempio, l’altra notte ho sognato che, prima di gettarmi giù, stavolta non da un palazzo, ma in un burrone, Mister J mi abbracciava… >
Joan Leland prendeva appunti velocemente, capendo già senza soffermarsi troppo che il quadro non era propriamente idilliaco. E se i suoi sospetti erano fondati, anche Harley già sapeva cosa volevano dire tutte quelle componenti.
 

Grattacielo: Ricerca nei territori del pensiero.
Litigare: Rivalità, astio, risentimento.
Piangere: Necessità di sfogarsi.
Precipitare: Ansie molto forti
Abbraccio: in questo caso, liti e infedeltà
Burrone: Nemico interiore da affrontare

 
Che l’unico antagonista di Harley fosse il Joker, era un’ipotesi che ormai avevano scartato da diverso tempo: la nemesi più pericolosa per la ragazza era lei stessa, e solo il fatto che stesse cercando in tutti i modi di allontanarsi da quell’uomo, era per le orecchie della psicologa una grande conquista. Harley conosceva tutti quei dettagli, in passato aveva frequentato la facoltà di psicologia, riuscendo ad ottenere un lavoro proprio nel penitenziario. Il suo sguardo, infatti, era indice di profonda preoccupazione.
< Sai che l’interpretazione dei sogni non è una scienza esatta, vero Harleen? >. La bionda annuì, segno che aveva capito, ma che, al tempo stesso, ci credeva molto poco.
< Non sono un’amante dei metodi farmacologici, Harleen, ma ti prescriverò qualcosa per aiutarti a dormire >
Non era una domanda, quindi Harl non si prese nemmeno la briga di rispondere. Voleva davvero prendere quelle pillole? Non lo sapeva. Voleva smettere di vederlo, almeno per via onirica? Non sapeva nemmeno questo, perché non sapeva quanto era successo nel loro ultimo incontro. Era un addio? Lui si sarebbe fermato? Ne dubitava fortemente, ma non poteva esserne certa. Non si sentiva sufficientemente forte da decidere di non vederlo più. Quindi che male poteva farle sognarlo così, una volta ogni tanto? Dentro di sé sperava che quel ruvido bacio che le aveva concesso prima di sparire nel suo elemento, potesse darle una speranza, un eventuale sequel alla loro storia insieme.
“Oh, che diavolo ti prende, Harley? Un po’ di carattere, maledizione! Non avevi detto di averne abbastanza di lui?”

< Harley… >

< Sì? >
La dottoressa Leland alzò gli occhi dal suo taccuino, guardando la bionda con espressione smarrita, che era lo specchio della sua.
< Mi ha chiamato, dottoressa… > spiegò Harleen con tono che le morì in gola, vedendo la donna fare segno di no con la testa. La ragazza era perplessa, e il sorriso tenero di Joan non ebbe il potere di calmarla.
< Non ti preoccupare, hai solo bisogno di dormire un po’ > le disse porgendole una scatolina da medicinali < Prendi queste prima di andare a dormire, e assicurati di aver mangiato, ok? >.
Harley si alzò ringraziando, ma ancora stordita. Era una situazione molto strana, perché aveva sentito quella voce distintamente. Camminando, però, sentì il nervosismo abbandonarle i muscoli, così come la brutta sensazione che l’aveva avuta negli istanti precedenti. Ad un tratto, un brivido freddo le percorse nuovamente la schiena, mozzandole il respiro.

< Harley… >
 
“Io voglio solo capire!” “Capire, Harley? Non cercare di capirmi... Impazzirestinel preciso istante in cui tentassi di farlo” “Ma… Mister J…” Lui sbotta “Harley!” Le si avvicina. Il suo sguardo è gentile, tutto sommato. “Tu non potrai mai capire i demoni che affronto ogni giorno. Non farti più male di quanto non te ne faccia io…”













NOTA DELL'AUTRICE: LE PERSONE DA RINGRAZIARE, IN QUELLO CHE IO CONSIDERO IL CAPITOLO PIU' BELLO SINORA, SONO VERAMENTE TANTE. VI SONO VERAMENTE GRATA DELL'AFFETTO CHE AVETE DEDICATO A QUESTO RACCONTO, UN BACIONE ENORME A TUTTI, E IN PARTICOLARE A:

kiaki98
queenofoto
Harley Sparrow
JustMyImmagination
lalla_98
lamour
Chihiro
Aleca92
ary_cocca88
Cam Dragonis22
Fluorescent

NB: L'ordine è totalmente casuale :). Grazie ancora a tutti

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Aveva deciso di non prendere le pillole che le aveva prescritto la dottoressa Leland, maledicendosi ogni secondo per non averlo fatto. Quella notte era stata peggio delle precedenti, non tanto per i contenuti del sogno, ai quali stava imparando ad abituarsi, quanto per il livello di nitidezza che stavano assumendo, notte dopo notte. Si svegliò quella mattina sempre nel momento in cui precipitava, e la luce del giorno lambiva il suo cuscino. Al suo fianco, un giovane dottore dai capelli scuri. Le sembrava di averlo già visto, e facendo uno sforzo di memoria si ricordò che era lo stesso medico che aveva accompagnato Gordon alla sua cella quando… Ma com’era possibile che Joker prendesse possesso di tutti i suoi ricordi? Tornò con la mente a quel parcheggio, e ricordò gli occhi ridenti di lui, che seguivano il taglio morbido delle cicatrici. E solo qualche istante dopo, l’ira prendeva possesso dei suoi lineamenti, e il suo sguardo era come un pugno allo stomaco. La sua minaccia le risuonò in testa:  “E... Nemmeno tu ne sei esente...”. E poi, quel bacio… Il suo cuore si strinse in una morsa al ricordo di quelle labbra esigenti che plasmavano le sue, con una rabbia ridondante. Al pensiero, un sospiro si liberò dalle sue labbra, attirando l’attenzione dell’uomo al suo fianco.
< Buongiorno signorina Quinzel > disse con tono raggiante, e un grande sorriso. Harl lo guardava senza parole, ammaliata da un’espressione così solare e… Umana. Lo sguardo di lei cadde quasi suo malgrado sulla sua targhetta.

Dottor C. Madison

 
< Non ha preso le sue pastiglie, signorina Quinzel > la ammonì lui con finto tono severo, mentre lei contemplava i suoi lineamenti gentili.
< Hai uno strano accento… > bisbigliò lei prima di rendersene conto.
< Dicono che l’Inghilterra ti rimanga nel cuore… A me è rimasta nell’accento, Miss Quinzel >
< Chiamami Harley… Lo fanno tutti > rispose ancora una volta meccanicamente la bionda, ricordando la presentazione fatta la prima volta ad Arkham, e tornando al suo primo e unico pensiero. Lo sguardo del dottor Madison si posò sulle pareti della cella che, storicamente, era sempre appartenuta alla ragazza. Cuori con le lettere J e H ricoprivano i muri, insieme a disegni di clown sorridenti dai capelli verdi. Harl abbassò lo sguardo, sentendosi stranamente in colpa per quegli sfoghi da adolescente.

< Harley… Non farlo, Harley >

 
< Chiamami Charles > rispose il dottore riempiendo quell’imbarazzante silenzio < E se vuoi un consiglio, prendi quelle pillole… Almeno riuscirai a dormire >
 
Nel pomeriggio non riusciva ad allontanare i suoi pensieri dall’avvenente Charles Madison, mentre Ivy le chiedeva per l’ennesima volta dell’incontro col Joker, domanda che Harley nemmeno riusciva a sentire.
< Harl, si può sapere che ti prende? >
< Eh? Cosa? > chiese tornando sulla terra la bionda.
< Si può sapere che ti prende? Sei sicura di essere sveglia? > chiese Pam, senza il minimo dispetto nella voce.
< Tu per caso sai chi è Charles Madison? > chiese Harley, mentre un intenso color porpora le copriva le guance.
< E’ il nuovo medico del penitenziario, perché? > rispose Red, prima di notare la colorazione presa dal volto dell’amica, e sbottare sonoramente.
< Oh, si può sapere che c’è di sbagliato in te, Harley? Prima un mostro psicopatico, ed ora ti infatui del diretto opposto? >.
< Ma no! Non mi sono infatuata di nessuno Ivy, è solo che è stato… Gentile > rispose lei, facendosi piccola piccola sotto lo sguardo incredulo della rossa.
< Qualcuno dovrà spiegarmi, un giorno o l’altro, la tua ridicola ossessione per gli uomini. Avanti, finisci di raccontarmi del Clown > si arrese Pamela, sputando quel termine con tutto l’odio che riuscì ad imporvi. La Quinzel sfogò con l’amica tutti (o quasi) i pensieri che la tormentavano, e il tono ironico ormai caratteristica peculiare di Ivy si dissolse. Per certi versi che non era in grado di confessare, Harley riteneva il Joker e Red molto simili, nella collera e nell’affetto che sapevano darle. Non raccontò all’amica di essere stata baciata, e soprattutto di essersi sentita rincuorata dall’intervento del Joker.

< Diglielo Harley… Diglielo >

Lei non avrebbe capito, e avrebbe visto la sua soddisfazione come l’ennesimo passo indietro. Adorava Poison Ivy, ma non avrebbe mai condiviso la sua posizione femminista all’ennesima potenza. Pam l’avrebbe chiamata debolezza, ma lei non sarebbe stata in grado di rinunciare al suo Mister J. Un rumore di passi deciso, e al tempo stesso elegante, si affacciò alla sala, richiamando l’attenzione dei detenuti, annunciando l’obbligo di tornare nelle proprie celle. Le due amiche si alzarono, ma quando passò accanto al giovane medico, Harley venne fermata.
< Forse non dovrei dirtelo, ma c’è una sorpresa per te, nella tua stanza > disse Charles strizzandole l’occhio. Il cuore della bionda mancò un battito, e affrettò il passo in quella direzione. Una volta aperto il vetro, solo un elemento colpì la sua attenzione: sul suo comodino troneggiava un mazzo di rose, con gambi lunghissimi e boccioli enormi. Accanto, un piccolissimo bigliettino faceva capolino da sotto il vaso, e con mano tremante, la bionda si decise a prenderlo in mano.
 

“Otto sono le rose gialle, che ricordano il color oro dei tuoi capelli.
Due sono le rose blu, che illuminano come i tuoi occhi anche il buio più profondo.
Una è la rosa rossa, come il fuoco che accende la nostra passione.
Undici è il totale, come le lettere che compongono il tuo nome... Harley Quinn.
 
il tuo Puddin',
 
Mr. J”
 
“Ti dispiacerebbe dirmi come ha fatto questo ad arrivare nel mio ufficio?” “Ce l’ho messo io” “Penso che le guardie sarebbe interessate riguardo come hai fatto ad uscire dalla tua cella…” “Se davvero avessi voluto dirglielo, l’avresti già fatto”

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Lo odiava. Odiava il fatto che pensasse di riconquistarla. Odiava l'arroganza con la quale aveva fatto arrivare quei fiori. E ora odiava anche il suo stramaledetto romanticismo. Da dove spuntava quel lato del suo carattere? Lo conosceva da anni ormai, eppure non l'aveva mai visto.

< E' ancora innamorato di te, Harley >

Sicuramente era tutta una manovra programmata, volta a fregarla di nuovo, ma stavolta non sarebbe successo! Riprese il biglietto, leggendolo per l'ennesima volta, mentre un brivido saliva lungo la sua nuca. A meno che...

< Sì, è così Harley >

"Oh, ma tu fatti gli affari tuoi!". Prese i fiori e li nascose nell'anta di un armadio: nessuno avrebbe saputo che erano arrivati, sarebbe stato il suo piccolo segreto. O meglio. Il segreto suo e di Charles Madison! Il suo stomaco si contrasse al pensiero del medico, e nemmeno a farlo apposta, dopo pochissimi istanti lui entrò nella sua cella.
< Dove sono i fiori? > chiese guardandosi intorno con sguardo curioso.
< Li ho nascosti. Non voglio che altri li vedano >. "Li avrei lasciati fuori, ma sai com'è... Ivy potrebbe trovare una pianta a chilometri di distanza".
< Un fiore come te non dovrebbe stare al chiuso, Harley > commentò il giovane, lasciando il viso della Quinzel totalmente arrossato.

< Non fidarti di lui, Harl >

"La smetti? Da quando hai voce in capitolo, tu?" Charles era il genere d'uomo di cui aveva bisogno, qualcuno che la trattasse coi guanti, per una volta. Lui si sedette al suo fianco, con un sorriso benevolo in viso.
< Potrei sbagliarmi... Ma io credo che non dovresti stare a pensare a lui. Sei una ragazza speciale, Harley, e uno così non ti merita>.
Il cuore della bionda mancò l’ennesimo battito di fronte a quella dichiarazione. Come a farlo apposta, pensò a quand’era stata l’ultima volta che Mister J le aveva detto una frase del genere. Come si faceva ad essere così stupidi e contraddittori? Sentiva di volere un Charles Madison, ma allo stesso tempo sapeva di non aver bisogno di nessun altro che non fosse il Joker.

< Tu sai che cosa vuoi... >

< Non lo so Charles > rispose all'implicita domanda dell'uomo, passandosi una mano tra i capelli dorati < Proprio non lo so>.
Lui appoggiò una mano sulla sua spalla, e la bionda percepì una scossa d'elettricità nuova e totalmente inaspettata. I loro occhi s'incontrarono, mentre il vetro della cella si alzò crepitando, e una chioma purpurea passava al di sotto.
< Scusate... Interrompo qualcosa? > chiese Pam con tono zuccheroso, che però nascondeva bene una malvagità che, forse, solo Harley conosceva.
< No, signorina Isley, me ne stavo giusto andando > rispose Charles con calma, alzandosi e dirigendosi verso l'uscita, non prima di aver ammiccato nuovamente ad Harl. Ivy non gli tolse gli occhi di dosso fino a che non se ne fu andato.
< Mi devi dire qualcosa? > domandò la rossa con espressione inquisitoria.
< No, Pam > rispose Harley alzando gli occhi al cielo.

< Non riuscirai a mentirle...>

< Oh, la vuoi smettere? > sbottò, prima di rendersi conto di aver parlato ad alta voce. Ivy le rispose con un'occhiataccia, convinta che l'amica ce l'avesse con lei.
< No! No, Red... Parlavo con... > lasciò per qualche interminabile secondo la frase in sospeso, prima di decidersi. Le raccontò delle voci, che da qualche giorno erano diventate molto più insistenti. L'espressione di Ivy er molto preoccupata, mentre una piccola luce d'ira le brillava nelle pupille, e diventava sempre più grande e vivida.
< E' lui, ne sono convinta > imprecò Pamela, alzandosi dal letto dell'amica. Harl non era sicura di sapere cosa pensasse, ma aveva paura di immaginarselo.
< Ha visto che l’hai rifiutato, ha capito che non vuoi tornare indietro, ed ora inizia a tormentarti! >.
“Ferma, ferma… Non voglio tornare indietro?”. La cosa aveva senso, ma Harley era sicura fosse così? Non lo sapeva. Aveva ancora il biglietto, arrivato per accompagnare i fiori, tra le mani, e scottava come fosse un carbone ardente. Undici rose, tutte per lei, e spedite dall’uomo che lei aveva accusato di non importargli più nulla di loro.
< Harl, so che rigetti questa idea con ogni fibra del tuo corpo, ma devi parlarne con la Leland: forse non avrà nessuna soluzione, cosa altamente probabile, ma se c’è una sola possibilità di mandarlo via a calci dalla tua testa, dobbiamo sfruttarla >.
Un rumore insistente di passi interruppe il monologo preoccupato di Red, che fu costretta a tornare nella sua cella. I medici chiudevano un occhio sulle scorribande dei detenuti, ma le guardie erano un altro paio di maniche. Finalmente sola, Harley rilesse il biglietto, accarezzando con gli occhi la calligrafia enigmatica di Mister J. Non sapeva quanto la follia facesse parte del suo amore per lui: quello che sapeva era che il filo che li legava era più forte della sua auto-imposta resistenza. Il suo sguardo cadde sulle pillole sul comodino, che le promettevano lunghi sonni di pace e tranquillità: con un gesto impaziente prese due compresse e le mandò giù con un lungo sorso d’acqua, sperando facessero effetto.
 
Dormire non era certo una prerogativa per il Joker. Non lo era mai stata.
Nonostante l'ora tarda, il pagliaccio principe del crimine sedeva ancora alla sua scrivania, intento nell'attuare il suo folle progetto. Riprendersi Harley Quinn.
< Uhm no... Questa non può funzionare > commentò rileggendo la frase appena scritta, prima di cestinare il foglio con la stessa rapidità con cui se ne procurò un altro.
< Devo concentrarmi e studiare attentamente i miei obbiettivi > disse alzando lo sguardo su di essi. Una scatola di cioccolatini a forma di cuore e un pupazzo con il suo aspetto. Il Joker sorrise < Harley andrà matta per questi nuovi regali. Beh, a dire il vero, un po' già lo è, se è rinchiusa in un manicomio criminale! Hihihihi! > ma la sua risata venne ben presto interrotta.
< Ma è quello che ti piace di lei, non è vero? > gli chiese una voce ben nota. Il clown si guardò intorno. Sapeva chi gli stava parlando. Era solo curioso di sapere quale forma aveva assunto questa volta.
< Ovviamente! Harley può uccidere un uomo o gustarsi un lollipop con la stessa insana e adorabile allegria! Hihihi! > rispose ridendo, con l'immagine della ragazza sorridente ben incisa nella sua mente.
< Oh... Molto romantica come descrizione! > ironizzò la voce permettendo al clown di capire la sua origine. Era il Joker di peluche davanti a lui che gli stava parlando < Perché non usi quella per il tuo bigliettino? >
Il principe del crimine ignorò le sue provocazioni, tornando con lo sguardo sull'altro regalo per Harley, i cioccolatini.
< Che succede genio? Costruisci sofisticate armi che sterminano eserciti e non riesci a scrivere due righe ad una ragazza? > lo incalzò ancora il giocattolo. Il Joker stava per ribattere quando finalmente ebbe l'idea che cercava. Guardò di nuovo la scatola a forma di cuore, nella sua mente materializzò l'immagine di Harley mentre ne assaggiava uno, sdraiata sul letto al suo fianco. E le parole fluirono sulla carta come un fiume in piena.
 

"Cosa c'è di meglio di un cuore di cioccolata per reggere il paragone con la tua dolce follia?
Spero che questi dolci allietino le tue giornate in quel triste posto, e che ti diano lo zucchero che Io vorrei ma non posso darti.
 
Il tuo Puddin',
 
Mr.J"

 
Il Joker sorrise soddisfatto, prima di spostare lo sguardo in direzione del pupazzo < E ora tocca a te... >
< Vuoi scriverle un biglietto su di me? > chiese divertito < Non parlavo di te > rispose secco il clown prima di tornare a scrivere. Gli tornò alla mente il giorno in cui Harley gli fece trovare quel piccolo Joker sul suo letto, a fianco ad un altro pupazzo con le sue arlecchinesche sembianze. Lui era appena evaso da Arkham e portava ancora i segni dell'ultimo scontro con Batman, così non diede troppa importanza ai suoi regali di bentornato. Eppure, dopo tanto tempo, quel piccolo Joker era ancora lì. Sfruttando i suoi ricordi completò il secondo bigliettino velocemente, sotto lo sguardo curioso del suo oscuro compagno che, senza il bisogno di leggere, già ne conosceva il contenuto.
< Dimmi novello Romeo... Non hai mai pensato che, se ti fossi comportato così con lei sin dall'inizio, ora tutto questo non sarebbe necessario? > chiese provocatorio.
< Io non sono così > replicò il Joker rispondendo solo parzialmente alla domanda del pupazzo < Ma se questo è il prezzo per riavere Harley con me, sono disposto a pagarlo > concluse applicando i due bigliettini ai rispettivi regali.
< E tu sei davvero convinto sia questo il metodo giusto? Ma soprattutto... Tu sei sicuro che lei tornerà? >
Troppe domande. E nessuna certezza su cui basare risposte credibili.
Il Joker non era mai stato un uomo con troppi dubbi, ma negli ultimi giorni l'idea che le cose stavolta non sarebbero andate nel verso giusto iniziava a far breccia nelle sue granitiche convinzioni. La ricacciò indietro un'altra volta.
< Lei tornerà > rispose cercando di apparire totalmente convinto delle sue parole < Ma se ciò non dovesse accadere, sappi che ti riterrò la causa principale > e l'ultima frase suonò chiaramente come un avvertimento.
< Fallo pure se pensi che ti farà stare in pace con te stesso > disse lui per nulla turbato dalle minacce del clown <  Ma ricorda... Harley non è come le altre... lei si è innamorata di quello che tu sei diventato grazie a me. Senza di me non ci sarebbe nessun Joker... E senza di lui, non ci sarebbe nessuna Harley Quinn > concluse prima di andarsene, lasciandolo con il pupazzo inanimato, a riflettere sulle sue parole.
 

“Chi c’era prima?” “Prima di chi?” “Prima di me” “Altre donne, Harley” Un pugno nello stomaco. Lo stesso dolore. “E com’erano?” Lui le sorride. “Ti posso dire come non erano. Non erano Harley, che ora è tutto ciò che voglio”


















NOTA DELL'AUTRICE: SO CHE VI ASPETTAVATE FORSE UN PO' PIU' D'ANTICIPO, MA SPERO APPREZIATE LA STORIA ANCHE SE UN PO' LENTA. PERDONATEMI MOLTISSIMO! GRAZIE ANCORA A TUTTI QUELLI CHE SEGUONO, RECENSISCONO, PREFERISCONO E RICORDANO.
BACI A TUTTI

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Era sdraiata sul letto, in un bagno di sudore e con le pulsazioni a mille. Da qualche ora, quella voce non le dava tregua, continuando a proporgli momenti passati insieme a Mister J e a parlarle, intimandole di andare da lui. Che il fautore di quelle voci fosse proprio il Joker, ormai era appurato. Era talmente vanesio da parlare di sé addirittura in terza persona!

< Vai da lui, Harley >

“Smettila, ti prego, smettila”

< Non mentire a te stessa Harl… Tu hai bisogno di lui, e lo sai >

Aveva ragione, e più passava il tempo, più se ne rendeva conto.

< Guarda cosa ha fatto per te >

La sua attenzione tornò alla mattina precedente, quando un’infermiera le aveva consegnato un pacco. Al suo interno, una scatola di cioccolatini e l’ennesimo biglietto del Joker. La bionda aveva sorriso quasi senza volerlo, mentre le voci iniziavano a tormentarla.

< Lui ti ama… Torna da lui >

L’infermiera, una bella donna dai capelli castani legati in uno chignon, la guardava attentamente, come se cercasse di capire la sua reazione a riguardo. Harley rispose allo sguardo, quando intervenne.
< Non per farmi gli affari suoi… Ma un uomo così romantico, merita una seconda opportunità >. Da quando qualcuno cercava di convincerla della bontà di Mister J? La cosa peggiore era che, tutto sommato, era convinta lei avesse ragione, a dispetto di quello che la parte ragionevole del suo cervello le impartiva.

< Tu lo vuoi, Harley >

Le immagini della donna scomparvero lentamente, lasciandole la figura possente di un uomo nei suoi occhi interiori. Nelle mani di lui, l’ennesimo regalo, e l’ennesimo, dolcissimo, biglietto.
 

"Te lo ricordi? Lo chiamavi Jokerino, vero? Proprio come chiamavi me...
 
So che non merito nulla per quello che ti ho fatto, ma nel caso la notte ti sentissi sola, non negare un abbraccio a lui e a te stessa solo per colpa mia.
 
Voi non meritate di restare soli.
 
Il tuo Puddin'
 
Mr.J"

 
Quella scena era avvenuta la mattina stessa, e lei ora stringeva con tutte le sue forze Jokerino tra le braccia. Era uguale in tutto e per tutto alla persona che raffigurava, e che riempiva tutte le sue giornate. Che le aveva detto l’uomo, consegnandole il pacco?
< Io conosco quell’uomo più di quanto tu non pensi, Miss Quinzel: credimi quando ti dico che è meglio dargli retta >.
Sembrava in tutto e per tutto una minaccia, ma tanto dolce e sublime da farla tremare al ricordo.

< Tu lo vuoi, Harley >

“No, non è vero!”

< Perché continui a mentirti? >

“Fatti gli affari tuoi”

< Io voglio che tu sia felice. E la tua felicità dipende da lui >

Tremendamente ragione. Era questo il guaio. Aveva tremendamente ragione, e si odiava per questo.
 

< Non farlo, Harley. Non è colpa tua… Lui ti ha stregata con il suo fascino, ti ha resa vulnerabile e appagata solo al suo fianco. È per questo che devi tornare da lui. Quante volte te lo sei detta? Hai cominciato a vivere solo entrata ad Arkham, e ricomincerai a farlo solo quando sarai uscita da qui >

Harl guardò il pupazzo appoggiato al suo petto sorriderle: si girò sul fianco in posizione fetale, appoggiando il viso ai capelli verdi del suo tenero amante di pezza.
 
L'energico bussare alla sua porta destò il Joker dai suoi torvi pensieri.
Chi lo conosceva era abituato ai suoi lunghi periodi di solitudine, perché di solito coincidevano con la realizzazione di complessi piani criminali.
Ma questa volta era diverso. Batman era stato spodestato dalla vetta dei suoi pensieri, dove ora troneggiava il fastidioso senso di impotenza che l'assenza di Harley Quinn gli aveva gradualmente ma inesorabilmente creato.
< Avanti! > ordinò, cercando di recuperare la sua leadership sia nella voce che nell'aspetto. Un uomo enorme, dal fisico tozzo e lo sguardo non certo brillante, fece il suo ingresso nella stanza. Lo chiamavano Jim il gorilla e, guardandolo, era facile intuirne il motivo.
< Mi dispiace disturbarla capo... > esord,ì quasi in soggezione davanti ai penetranti occhi del suo leader < Ma... C'è un altro problema... Ecco... > continuò farfugliando, finché fu il Joker stesso a fermarlo alzando la sua mano sinistra.
< Chi? > chiese semplicemente, sapendo già quello che il suo scagnozzo era venuto a comunicargli. < Johnny e Chris > rispose Jim abbassando lo sguardo < Da quel che si dice, si sono uniti agli uomini del Pinguino >
Il Joker annuì voltando lo sguardo. Era quello che si aspettava. Negli ultimi giorni molti dei suoi uomini lo avevano abbandonato per farsi reclutare dagli altri criminali di Gotham. Lui era talmente orgoglioso da negarlo anche a se stesso ma, in fondo, non poteva certo biasimarli.
Niente rapine, niente crimini, niente scontri con i nemici. Un clown burattino che rincorre invano la sua bella e capricciosa Arlecchina. Ecco cosa pensavano ora di lui.
< Maledetti... > sibilò sentendo la rabbia crescere in sé. < Mi vendicherò di tutti loro... Uno alla volta... > promise a se stesso < Mi basta solo il tempo di... > e s'interruppe. Ancora una volta il suo pensiero andò ad Harley e ai suoi vani tentativi di farla tornare. Fu Jim a salvarlo richiamando la sua attenzione.
< C'è un'altra cosa capo... Hai una visita... > disse lasciando entrare l'ospite nella stanza e andandosene, chiudendo la porta dietro di sé.
Joker osservò quella misteriosa figura avvolta in un lungo impermeabile nero e con il viso celato da un cappuccio. Probabilmente nessuno aveva compreso chi si nascondesse dietro quel travestimento. Nessuno, tranne lui.
< Che ci fai qui? > tuonò alzandosi di scatto.
< Avevo bisogno di parlare con te > rispose una voce sintetizzata. Il Joker si sorprese nel sentirla, ipotizzando che la sua provenienza fosse un microfono nascosto sotto il cappuccio.
< Tu dovresti essere ad Arkham, ora. Qualcuno potrebbe notare la tua assenza ed Io non voglio che qualcuno sospetti del nostro accordo > gli ricordò avvicinandosi.
< Non succederà... E quando verranno a controllare, Io sarò già lì > rispose la voce robotica, da cui comunque traspariva l'arroganza della persona che si celava dietro di essa. Il Joker s'irritò maggiormente notandola, ma si costrinse a reprimere l'istinto di afferrare il suo coltello ed usarlo.
< Tu non mi piaci. Lo sai vero? > chiese retoricamente, passando la lingua da una parte all'altra della propria bocca, come una lama pronta a colpire.
< Lo so. Esattamente come tu non piaci a me. Ma abbiamo un affare in corso, vantaggioso per entrambi, ed è di questo che sono qui a discutere >
Il Joker si fermò a riflettere. Non gli piaceva questa situazione, non gli piaceva la persona che aveva davanti e non gli piaceva dover stare a patti con lei. Ma se voleva riavere, Harley doveva fare buon viso a cattivo gioco.
< Avanti... Parla... Cos'hai da riferirmi? > chiese dirigendosi verso la finestra, evitando così almeno il contatto visivo.
< Dovrai inventarti qualcos'altro, Principe del Crimine. Harley sembra colpita dal tuo finto romanticismo, ma non pare intenzionata a mollare > rispose riuscendo a far sembrare sarcastica anche l'atonalità della voce camuffata. Il Joker guardò le buie vie di Gotham annuendo. Era ovvio in fondo. L'unico motivo che avrebbe spinto la sua insospettabile spia fuori dalle mura di Arkham era anche il peggiore che poteva aspettarsi. Il suo piano non aveva funzionato.
< Harley ha i tuoi regali. Li ho visti recapitare personalmente e, nonostante lei tenda a nasconderli a tutti, so che li conserva ancora > spiegò il misterioso ospite. Cosa la frenava allora dal tornare da lui? Perché era tutto così dannatamente difficile, questa volta? Mister J non riusciva a darsi una risposta e, soprattutto, iniziava a non avere più risorse da utilizzare per provare a riprendersela.
< Forse è il caso che Io ti aiuti... Posso provare a parlarle, cercare di convincerla delle tue buone intenzioni e... > ma il Joker non fece finire la frase < No! > esclamò secco < Tu devi rimanere al tuo posto ad osservarla e controllarla. Se tu prendessi le mie parti con lei ci esporremmo troppo al rischio di essere scoperti > rispose con tono talmente deciso che stavolta non ci fu nessuna ironia nella risposta.
< Come preferisci > si limitò infatti a rispondergli. Galvanizzato da quella flebile vittoria, il Principe del Crimine tornò ad esibire il suo famoso ghigno. 
< Diciamocelo... Tu che prendi le mie parti sarebbe una cosa poco credibile, non trovi? > chiese sorridendo beffardo, riapparendo per un attimo il folle giullare che tutti avevano imparato a conoscere.
< Penso tu abbia ragione... Aspetterò le tue nuove direttive su come agire, allora... > disse la misteriosa spia dirigendosi verso l'uscita.
< Un'ultima cosa... > disse il Joker richiamando la sua attenzione < Tieni d'occhio chiunque arrivi a contatto con lei. Nessuno lì dentro deve osare anche solo sfiorare Harley. Sono stato chiaro? > chiese tornando serio.
< A parte alcuni medici, qualche infermiere e le guardie a protezione di Arkham sono poche le persone che si avvicinano a lei > rispose prontamente, quasi si aspettasse quella domanda.
< Sinceramente penso che l'unica persona tu debba temere l'hai davanti a te in questo momento... Sai com'è... Una mia parola ed Harley potrebbe finire in braccia altrui... > disse con ritrovata arroganza, tanto che al Joker sembrò di vedere il suo sorriso sotto il cappuccio, mentre silenziosamente scivolava fuori dalla stanza.
< Molto presto scolpirò quel sorriso sul tuo volto per sempre... > gli promise appena fu solo, prima di incamerare tutta la rabbia nella lama del suo coltello che, librando nell'aria, finì conficcato nel legno della porta.
 

L’uomo pipistrello davanti. Loro dall’altro lato. Lei tra le sue braccia. Protetta. Non potrebbe volere niente di più. Il suo petto, le sue mani su di lei. Il suo profumo tutto intorno. Non vuole altro.  “Perdonami piccola…Non posso giocare con te, ora. Papà è impegnato”

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Prima di uscire dalla sua cella per l’ora d’aria del pomeriggio, Harley osservò con circospezione il suo armadio, con un’anta aperta. Al suo interno c’erano fiori, dolciumi, giocattoli, addirittura gioielli, sistemati con precisione maniacale. Tutti i feticci del Joker erano custoditi dietro quella debole protezione di legno. Ormai aspettava l’arrivo della dottoressa Martinez e di Mister Emminger come una bambina la notte di Natale. Detestava ammetterlo, ma sebbene continuasse ad odiarlo…

< Così ti voglio >

Scosse il capo contrariata, per cercare di abbandonare quell’idea, e uscì nei corridoi. Camminava tranquilla mentre la sua testa le raccontava di come, la prima volta che era scappata dall’Asylum, quegli stessi passi erano stati molto meno tranquilli. Quanto meno, era una situazione diversa da quella che la stava tormentando da giorni: non ricordi di Mister J, ma qualcosa che riguardasse anche lei, una buona volta! Una figura familiare spuntò da una delle traverse del corridoio, con il classico sorriso radioso che la mandava in estasi. Charles si fermò, aspettando che fosse la bionda a colmare la distanza tra loro, salutandola con un occhiolino. Harley sentì il suo stomaco stringersi in una morsa dolorosamente deliziosa, mentre gli passava accanto, abbassando lo sguardo come una ragazzina intimidita. Il dottor Madison se la vide passare davanti agli occhi, fermando la sua breve fuga prendendola per un polso. La bionda chiuse gli occhi, impercettibilmente. Quante volte aveva subito quello stesso gesto, in vita sua? La mano del medico era delicata sul suo braccio, a differenza della presa di qualcun altro, che anche nella sua ultima visita l’aveva afferrata perentorio, rischiando seriamente di forzare troppo.

“Ma tu lo preferisci, non è vero Harley?”

“Stai zitto!” pensò lei irritata, mentre si girava lentamente verso Madison, con un sorriso conciliante in volto. Non sapeva ancora bene come trattare quella persona che l’aveva così tanto confortata in quei giorni, e di cui voleva fidarsi sempre di più.

“No, Harley… Non fidarti”

< Come stai? > chiese l’uomo con espressione dolce, spostandole una ciocca di capelli color del miele dietro l’orecchio.
< Un po’ meglio > rispose la Quinn sinceramente < Sto cominciando a dormire con regolarità >. Charles la tirò a sé, rispondendo all’espressione stranita della ragazza con un cenno della testa, prima di metterle una mano tra i capelli e posare un bacio gentile sulla sua fronte. Harl avvampò, come non succedeva da un sacco di tempo, mentre lui se ne andava, lasciandola sul posto, con la stessa semplicità con cui l’aveva baciata.

< Harley… Che stai facendo? >

Proseguì nella sua camminata verso Pamela bloccata sul sorriso di Charles, che la stava sempre più entrando sotto la pelle, con una velocità incredibile. La rossa la vide avvicinarsi con passo tranquillo, l’espressione totalmente tra le nuvole, e scosse il capo nel vedere le sue gote tendenti al vermiglio.
< Che cosa succede Harl? > chiese appena l’amica si posizionò accanto a lei, ormai rassegnata ai continuo sbalzi ormonali della bionda.
< Niente! > rispose subito l’altra, andando sulla difensiva alla velocità della luce.
< Lasciamo perdere… Ma sappi che non permetterò a quell’uomo di toccarti nemmeno con un dito > commentò Pam alzando gli occhi al cielo < Come vanno le voci? > domandò con espressione preoccupata, prendendo le mani candide di Harleen nelle proprie.
< Non bene… Ci sono sempre > rispose stringendo le labbra e alzando le spalle, come a dire alla rossa di abituarsi all’idea.
< Ne hai parlato con la dottoressa Leland? >
< Sì, ma non ha saputo darmi un parere in particolare. Mi ha solo detto di continuare a prendere le pillole, che non mi stanno dando altro che lunghe dormite > rispose Harl con tono sprezzante, come a dubitare delle abilità della donna.
< E continua a parlarti di lui? >.
< Sempre >
Pamela sospirò, stringendo più forte la presa sulle dita della bionda, che rispose con lo stesso gesto. < Non devi preoccuparti, Pam > cercò di rincuorarla lei, con un sorriso dolce < Al massimo, mi distrarrò dal suo continuo parlare di se stesso, giocando con Jokerino >.
La frase rimase sospesa nell’aria per pochissimi secondi, come per dare il tempo ad Harley di rendersi conto dell’errore appena commesso. I suoi occhi si aprirono a dismisura, osservando Ivy che la osservava perplessa, prima che i due smeraldi al centro del suo viso si chiudessero in due fessure, mollandole le mani e alzandosi di scatto. Il solito passo agguerrito di Red la distanziò di parecchi metri rispetto alla bionda, che le correva dietro terrorizzata. La vide ripercorrere la strada che aveva fatto lei solo pochi minuti prima, dritta verso la sua cella. Harl pregò in tutte le lingue del mondo che, per uno strano scherzo del destino, il vetro fosse già stato abbassato, ma vedere la figura slanciata di Pamela che scompariva alla sua destra le fece capire che le sue speranze erano vane a dir poco. La rossa si guardava intorno, alla ricerca di qualche indizio che confermasse il suo terribile presentimento, e come se fosse guidata da una mano invisibile, si diresse verso l’armadio.
< No Pam, aspetta…! > provò a fermarla Harley, ma il rumore di oggetti che cadono la interruppe all’istante. Tutti i feticci che la bionda si era imposta di nascondere troneggiavano ora sul pavimento della cella, con una Poison Ivy che li osservava con disgusto, senza emettere un suono.
< Ivy… Ti prego… >
< Quando avevi intenzione di dirmelo? > sbottò la rossa alzando il suo sguardo astioso nella direzione della Quinn, che trovò impossibile vedere quell’espressione sul volto dell’amica, ma soprattutto dedicarlo a lei.
< Quante cazzate mi hai raccontato in questi giorni? Tu che volevi lasciar perdere, tu che volevi tagliare i ponti, tu che l’avevi dimenticato, e io l’idiota che ti credevo anche! >. La voce della Isley si alzava di più ad ogni parola, mentre la bionda accusava il colpo abbassando lo sguardo, senza riuscire a trovare una risposta coerente da dare.
< Quel mostro continua ad usarti come vuole, e tu continui a non far niente per impedirglielo! Com’è che ti ha comprata, stavolta? Cosa ti ha detto? > chiese guardandola con occhi di fuoco, che facevano una concorrenza spietata ai suoi capelli, che sembravano elettrici tanto fuori controllo.
< Pam… Lui non mi ha comprata… E’ che… > provo a rispondere la ragazza, venendo però nuovamente subito interrotta dall’altra, che stavolta inizio a sbraitare violentemente, attirando l’attenzione di guardie e medici.
< Ma la sai una cosa? Te lo sei solo meritata! Quando lui ti lascerà di nuovo da sola, non ti verrò mai più a salvare, sono stata chiara? > disse, gesticolando in maniera energica, prima di chinarsi e prendere tra le mani alcuni dei regali del Joker.
< E’ questo che vuoi? E’ questo? E allora prenditeli! > sentenziò, iniziando a lanciarle contro tutto il contenuto dell’armadio, con una rabbia che Ivy pensava di non conoscere. Gli addetti alla sicurezza irruppero nella cella, andando a bloccare la rossa e a portarla via di forza, mentre continuava a urlare contro l’amica, immobile al centro della stanza. Vide poco distintamente Charles che le correva incontro, mentre lei arretrava di qualche passo, lasciandosi cadere seduta contro il muro.
< Harley, stai bene? > chiese l’uomo inginocchiandosi accanto a lei, con espressione tremendamente preoccupata sul volto. La bionda non rispose, limitandosi ad annuire e a spostare la mano di lui, appoggiata alla sua spalla.
< Per favore Charles… Ho bisogno di stare da sola > gli intimò la bionda, alzandosi da terra e dirigendosi verso il proprio letto. Lui la guardò, insicuro sul da farsi, ma quando la vide appoggiare la testa sul cuscino, decise di lasciarla in pace, azionando il meccanismo per far scendere il vetro di chiusura. Una volta sola, Harl si sentì crollare addosso tutto il significato di quanto era appena successo, e un pianto a dirotto la spezzò con forza. Il cuscino si stava riempiendo di lacrime, e con un gesto tanto istintivo quanto infantile, la bionda andò a cercare con lo sguardo il pavimento. Jokerino le sorrideva, con quell’espressione che amava, quegli occhi scuri e quegli adorabili capelli verdi, strappandole un gemito di dolore. Lo sollevò e se lo strinse tra le braccia, con tutta la forza di cui disponeva. Cosa aveva detto Mister J? Non negare un abbraccio a lui e a te stessa… Le voci erano sparite, e nonostante il caos che quei regali e che Joker avevano creato, sentiva di non averlo mai voluto così tanto come in quel momento.
 

Un bagno. Un asciugamano posato sul braccio. Tantissimo sangue. Era stata colpita, e cercava di fermare l’emorragia. Non voleva farsi vedere così. Da lui. La porta che si apre di colpo. Lui che la guarda. Un’espressione da bambino. Da bambino che non capisce che sta succedendo. Vede il sangue. I suoi occhi, gelidi. Le strappa l’asciugamano dalle mani. Si mette alle sue spalle. Il suo petto contro la schiena di lei. Un braccio intorno alla sua vita. “Non osare… Mai più… Tenermi nascosto qualcosa. Comando io, non tu. Tu non disponi della tua vita”. Preme con forza sulla ferita. Le fa malissimo. Toglie l’asciugamano. Lo riappoggia alla sua spalla. Dolcemente. “Me ne occupo io, bimba”











 

NOTA DELL'AUTRICE: SUPERATI I DIECI CAPITOLI, COSA PER ME ASSOLUTAMENTE INCREDIBILE, QUANDO HO INIZIATO A SCRIVERE LE PRIME RIGHE, VOGLIO TORNARE A RINGRAZIARE TUTTI COLORO CHE LEGGONO, RECENSISCONO, SEGUONO, PREFERISCONO O RICORDANO LA MIA FF. SAPPIATE CHE NON SAREI MAI ARRIVATA A QUESTO PUNTO, SENZA DI VOI.

  • JustMyImmagination
  • kiaky98
  • Cam Dragonis22
  • Harley Sparrow
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  • lamour
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  • Pink360
GRAZIE ANCORA A TUTTI!

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Dopo la scenata con Harley, Pamela Isley era stata costretta a passare quarantotto ore in isolamento. Per schiarirsi le idee, dicevano. Ma lei sapeva di non averne bisogno, sebbene si sentisse terribilmente in colpa per quanto successo. Aveva sicuramente sbagliato i modi, ma sentiva ancora la motivazione montargli dentro come lava bollente. Ce l’aveva con Harley, era vero, ma come sempre era successo, sentiva di non poter attribuire tutta la colpa alla bionda. Nella loro amicizia c’era sempre qualcuno che si metteva in mezzo, e ancora una volta era la causa del loro ultimo litigio. Erano questi i pensieri che affollavano la mente di Poison Ivy mentre gli addetti alla sicurezza le permettevano di uscire dal “Buco”. Era così che, all’interno dell’Arkham Asylum, chiamavano la stanza dell’isolamento, perché era come essere costretti a stare in un pertugio piccolissimo, senza luci e con il minimo indispensabile di ossigeno. Si sentiva uno straccio, con i capelli rossi completamente scompigliati, ma sapeva di essere uno schianto nonostante tutto. La forza di Pamela stava anche in questo, nel saper sedurre chiunque volesse, con una naturalezza impressionante. Ma per quello che doveva fare, la sua bellezza non sarebbe servita un granché, e lo sapeva bene. Doveva chiedere scusa ad Harl per la reazione spropositata che aveva avuto, e non era sicura che la bionda l’avrebbe perdonata. Le sue riflessioni vennero però bruscamente interrotte da una mano che, con forza, la tolse dalla via principale del manicomio criminale, per mettersi in un angolo lontano da sguardi indiscreti. Ivy tentò di allontanarlo, ma anche lei, come Harley, sapeva che il Principe del Crimine era uno che prendeva tutto quello che voleva, quando lo voleva.
< Sorpresa, Sorpresa! Hai pescato una carta dal mazzo dolcezza, ma per tua sfortuna è uscito il Joker! Hihihi! > esordì ridendosela.
< Che diavolo ci fai qui? > sputò la rossa con rabbia, guardando il sorriso divertito del Clown con odio.
< Mi è giunta notizia che un certa piantina ha messo radici in un giardino che non era il suo. E non mi sembra questo fosse previsto da me > disse l’uomo con espressione a dir poco canzonatoria, provocando nella rossa un profondo disgusto.
< E dimmi, cosa avrei fatto di tanto sbagliato? > chiese con lo stesso malcelato sarcasmo, cercando intanto di allontanarsi. Il Joker la prese subito per una spalla, sbattendola contro il muro con violenza. < Stai andando da qualche parte, mia cara? Perché non mi sembra che ti abbia dato il permesso di farlo... >. Lo sguardo del Clown era artico, con quei profondi occhi neri in cui Pamela non riusciva a vedere la luce.
< Ho saputo quello che hai combinato nella camera di Harley... Molto teatrale, ti faccio i miei complimenti... Ma sai che non gradisco interferenze nei miei piani... >
< Cosa ti aspettavi che facessi? Che la lasciassi di nuovo tra le tue mani, per farla prendere in giro ancora una volta? > chiese la rossa con voce più alta del dovuto, iniziando veramente ad infervorarsi.
< Esatto! Hihihihi! > se la rise di nuovo il Joker, innervosendo ancora di più Poison Ivy. < E' molto semplice mia cara Edera. Devi solo spegnere il tuo cervello ricoperto da muschi e licheni, chiudere la tua bocca intrisa di Belladonna e convincere Harley a tornare da me. E' tanto difficile? >
< Non ci penso neanche! Sono stata a seguire il tuo gioco perverso per troppo tempo, non ho intenzione di aiutarti un solo minuto di più! Harl non merita di essere perseguitata così da te > proruppe Ivy con astio. Era vero, lei e Joker avevano collaborato più di una volta, ma chi gli faceva credere che sarebbe andata così avanti, questa volta?
< Oh... E' molto nobile da parte tua. Sei l'amica che tutti vorrebbero, mia cara. Peccato solo tu non sia nella posizione di decidere... >. Il tono del Joker era carezzevole, quasi dolce nel guardare Pamela, che in tutta risposta, sentì un brivido gelido salirle lungo la schiena. Conosceva quell’uomo tanto bene da sapere che doveva temerlo ancora di più quando si comportava in maniera così… Conciliante.
< Tu mi conosci Pam... Il Joker non divide nulla con nessuno, e nessuno può portagli via ciò che gli appartiene. Per cui dimmi... Sei realmente disposta ad affrontare il rischio? Preferisci sapere che è con me, con tutto il bene o il male che questo comporta, oppure scegli di vivere con la consapevolezza che io non posso più farle del male, ma che è morta per colpa tua? > le chiese lui spiazzandola, poiché quelle parole lasciarono il segno desiderato.
< N… Non stai dicendo sul serio > commentò Pam, guardandolo con occhi sgranati, e sentendo quasi subito riecheggiare la sua risata malefica.
< E’ proprio quello che sto facendo, dolcezza… Perché così seria? Eppure, l’ultima volta che ci siamo visti, la tua tracotanza era palpabile > commentò ironico, nel tentativo di farla stare ancora peggio di quanto già non fosse. Ma Poison Ivy non era una donna come tutte le altre, ed infatti reagì al momento di debolezza immediatamente, scacciando le mani del clown dal suo corpo.
< E sai perché era palpabile? Perchè rispetto a me, tu non conti un bel niente! Ed ora mi minacci così? Oh, sto tremando come una foglia! >
< Non ti conviene mettermi alla prova, dolcezza. Lo sai di cosa sono capace... > rispose cambiando totalmente il modo di apparire. Ogni segno d'ironia era svanito, lasciando posto ad uno sguardo di glaciale follia. Ivy in quel momento, però, non era da meno, e la rabbia le zampillava negli occhi
< Non me ne potrebbe importare di meno! Io difenderò Harley da quel patetico pagliaccio con la faccia impiastricciata che non sei altro, costi anche rimetterci io stessa! >
Il Joker reagì istantaneamente alle sue parole, afferrandole il collo con una mano e spingendola bruscamente contro il muro. < Chi credi di essere, Red? Pensi che Poison Ivy possa avere il controllo su tutto? Ho delle brutte notizie per te allora... Nemmeno tu puoi controllare quello che domina la mia mente, perché non vi è logica in esso > sibilò con rabbia, stringendo la presa attorno al suo collo.
< Tu pensi Io non sappia quanto male ho causato ad Harley? Tu credi davvero Io non mi sia reso conto che vuoi solo aiutarla? Sono pazzo, ma non cieco Ivy. Mentre tu lo sei se ti ostini a metterti tra di noi > Attimo di pausa che a Pamela sembrò durare un'eternità < Lei mi appartiene. E se non potrà più essere mia allora non sarà di nessun altro > e mollò la presa lasciando il tempo alla rossa di respirare. < Ma ora ascoltami bene, perché questo è quello che succederà se tu decidi di non aiutarmi > e la guardò dritta negli occhi, con un'espressione che persino uno dei peggiori criminali di Gotham, come Ivy effettivamente era, faticò a sostenere. Se l'inferno avesse mai avuto un volto, sarebbe stato quello del Joker.
< Io tornerò qui e la ucciderò, usando il mio fedele coltello... Lo stesso con cui ho inciso le mie cicatrici. L'abbraccerò forte stringendola a me… E quando tutto sarà finito, porterò via il suo corpo, adagiandola su quello che è stato il nostro letto. Le farò indossare il suo vestito così buffo e così favoloso allo stesso tempo. La circonderò con tutti i nostri ricordi e guarderò un'ultima volta il suo splendido volto, prima di murare quella stanza per sempre, in modo che lei possa riposare in pace > e il suo folle delirio si fermò per un istante, mostrando un insano contrasto tra la rabbia nella sua voce e l'imperscrutabilità del suo sguardo.
< Non piangerò per lei, perché ormai Io posso solo ridere, ma trasformerò tutte le mie emozioni in rabbia e rancore. Le farò crescere in me giorno dopo giorno... E poi... Mi prenderò la mia vendetta. Stanerò personalmente tutte le persone che si sono frapposte tra me e lei... Te compresa Ivy... Le troverò e le ucciderò... Una ad una... E non m'importa se saranno medici, infermieri, poliziotti, criminali o supereroi... Moriranno tutti di morte lenta e dolorosa... > promise allontanandosi definitivamente da lei.
< Ora devo andare, mia cara... Decidi in fretta di quale veleno morire, perché ti assicuro che stavolta nemmeno tu ne sei immune... > concluse, prima di iniziare ad incamminarsi per il corridoio.
< Ah... Un'ultima cosa Ivy... > disse ad un tratto fermandosi < Sappi che condivido pienamente il tuo odio per me. Al tuo posto... Farei lo stesso... > e senza voltarsi si allontanò per il corridoio, scomparendo in un batter d’occhio.
Lo guardò allontanarsi finché il suo campo visivo glielo permise, prima di iniziare una lenta marcia, esattamente dove l'aveva interrotta. Ivy si sentiva stanca, sconfitta e abbattuta più di quanto pensasse, più di quando era uscita dal Buco. Più di un medico, nel tragitto verso la sua cella, le chiese se ci fosse qualcosa che non andava, ma lei non diede nemmeno una risposta. Le chiesero di fermarsi, ma continuò  a camminare, perché riusciva a muoversi solo per inerzia, e sapeva che non poteva lasciarsi andare in mezzo a un corridoio. Il Joker era sempre stato il Principe del Crimine, anche se trovava odiosa quella definizione, ma ormai le cose erano cambiate. Era sempre stato pazzo, ma non tanto da ridurla nello stato in cui era ora... Non tanto da sottometterla così... Non tanto da terrorizzarla. Raggiunse la sua cella, e chiese subito all’addetto di turno di chiuderla. Una volta stesa sul letto, dopo tantissimi anni, calde lacrime amare tornarono ad affollare il volto di Pamela Isley.
 

“E pensare che una volta eri così forte, Harleen. Come ci si sente ad essere così dipendenti da un uomo, per il quale daresti tutto, e non ricevendo niente in cambio?” “Non posso spiegarglielo… Non potrebbe capire, dottoressa”












 

Nota dell'autrice: con questo capitolo, che io ritengo spettacoloso, ringrazio ancora tutti i lettori. Recensite e fatemi sapere che ne pensate!!!

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Le mancava Ivy in maniera spaventosa. Allo stesso tempo, però, aveva rinunciato a disfarsi dei regali del Joker, anche sotto suggerimento della dottoressa Martinez. Ne avevano parlato molto, e sebbene l’interessamento della donna nei confronti di Mister J fosse sospetto, decise di darle retta. Dopotutto erano solo degli oggetti, non una richiesta di nozze. Anche se le sarebbe sempre piaciuto tantissimo… Stava per rispondere a se stessa per le rime, quando la sigla del telegiornale di Canal 4 la interruppe. La prima copertina era dedicata all’ultimo scontro tra il Principe del Crimine e il Cavaliere Oscuro. Il cronista parlava di uno scontro a fuoco durissimo, dal quale entrambi erano usciti piuttosto malconci, e che il Clown e i suoi uomini erano stati costretti alla fuga. Un sorrisino soddisfatto e totalmente involontario spuntò sulle labbra di Harley, quando sentì la sedia al suo fianco scostarsi. Al primo momento, stentò addirittura a riconoscere Ivy, con le profonde occhiaie che le segnavano gli occhi e i capelli che non cadevano morbidamente intorno al suo viso.
< Ciao… > disse Pamela con tono monocorde, mentre si sedeva. Come al solito, era sempre molto laconica rispetto ad Harley, che nel vederla avrebbe semplicemente voluto abbracciarla. Si limitò semplicemente a salutare anche lei, tornando con il viso sul televisore. Non era sicura che Pam avesse le sue stesse intenzioni, quindi non si sbilanciò troppo.
< Harl… Per l’altro giorno… > provò ad accennare la rossa, trovandosi di fronte il sorriso rincuorato della Quinzel.
< Va tutto bene Red > disse semplicemente < Mi sei mancata > aggiunse, portando le braccia intorno al suo collo. Poison Ivy la strinse a sé, appoggiando la testa alla sua spalla, facendo passare tutte le parole che voleva dire, ma che non era capace di pronunciare, tramite quella stretta energica. < Hai visto? > chiese la bionda una volta sciolto l’abbraccio < Sembra che Mister J, questa volta, abbia deciso di levare le tende… >.
A sentire il nome del Clown, Pamela rabbrividì vistosamente. Il loro colloquio continuava a tormentarla, ma se avesse saputo… Erano passati ormai diversi giorni, e quello che era successo nell’ultimo scontro con Batman…
< Harley… Dobbiamo parlare > disse la rossa alzandosi di scatto, e porgendo la mano all’amica, che la guardava piuttosto perplessa. “Ma perché devono essere tutti così strani, in questo posto?” si chiese la bionda, seguendo Pamela. La cella della rossa era piuttosto appartata, perché tutti sapevano l’effetto che poteva fare alle guardie e ai medici. Questo le garantiva la possibilità di parlare in tutta tranquillità, anche se non avrebbe mai voluto essere lei la “prescelta”.
< Harl… E’ successo qualcosa > iniziò, senza riuscire ad alzare lo sguardo sul volto della migliore amica. < Riguarda quello che dicevano prima alla TV >.
< Lo so, Pam. Ma non m’importa! Lo so, ho sbagliato a tenere i suoi regali, ma non m’interessa più niente di lui >
< Harley, aspetta… > provò a proseguire la rossa, venendo però interrotta per l’ennesima volta.
< Anzi, se proprio devo dirla tutta, sono contenta che abbia preso una bella ripassata da Batman! Non sono mai stata una sua fan, ma pensare che finalmente abbia dato una lezione seria a… >
< Non è tutto, Harley! > sbottò la rossa, senza cattiveria ma con decisione, interrompendo il monologo dell’amica. Ivy sospirò, mettendosi le mani tra i capelli per trovare una lucidità ormai persa.
< Canal 4 non sa tutto… E c’è molto di più. Sai che non vorrei essere io a dirtelo, ma… C’è il rischio che il Joker non ce la faccia, stavolta >.
Una decina di parole. Non dovevano essere difficili, ma Arlecchina non riusciva a capire che cosa volessero dire. Non ce la faccia a fare cosa? A tornare in pista? A sconfiggere Batman? Beh, quello ormai era chiaro, no? La parte razionale del suo cervello le diede della stupida, perché il messaggio di Pamela era molto chiaro. Era lei a non volerlo capire…
< Potrebbe non restargli molto, Harley > aggiunse Red con dolcezza, vedendola ammutolita e tremante. La prese tra le braccia, ma fu come stringere un pezzo di legno, completamente immobile. < T… Tu… Tu come lo sai? > chiese Harl ad un tratto, sciogliendo l’abbraccio con un gesto disperato. Sperava che avesse sentito una voce, che qualcuno di così geloso di Mister J avesse raccontato una bugia per prendersi gioco di lui. Sperava addirittura che Batman volesse darsi un tono, e così avesse raccontato a spie e doppiogiochisti di averlo ferito mortalmente… Non poteva essere vero!
< Hanno avuto una cattiva idea… Scontrarsi di fronte a degli alberi significa farlo di fronte a me. Me l’hanno detto loro. E’ stato portato via di peso… C’era… Molto sangue, Harl > rispose Red, tentando di essere più delicata possibile. La bionda abbassò lo sguardo, cercando di nascondere le lacrime disperate che i suoi occhi stavano per far uscire. Pamela gliel’aveva detto un sacco di volte, le piante non mentono. Per quello lei le amava così tanto, perché potevano comunicare con lei senza timore, e lei sapeva che dicevano il vero. Era quasi ironico: dopo tante bugie cui aveva creduto e che aveva disprezzato, ora rigettava la verità in qualsiasi modo. Non sentiva più voci da qualche ora, e iniziava solo in quel momento a spiegarsene la motivazione. Mister J stava morendo, e lei era rinchiusa ad Arkham, senza l’opportunità di vederlo di nuovo… Si asciugò gli occhi con un gesto deciso, secco, prima di alzare lo sguardo su Pamela.
< Devo uscire di qui… Devo andare da lui >.
Poison Ivy conosceva già la sua risposta, e le sorrise conciliante. La prese per le spalle, guardandola bene negli occhi.
< Devi solo trovare un modo per farlo… E io credo anche di sapere quale >.
 
< Charles, ti prego! > lo pregò Harley, mentre il medico si allontanava a grandi passi, incredulo di fronte a quella richiesta.
< Sei impazzita, per caso? > chiese girandosi verso di lei giusto con il capo < Non posso permetterti di andare da lui! Che cosa succederà se mi scoprono? >.
< Non ti scopriranno, ma ti prego, lasciami tentare! Ho solo bisogno di uscire dall’edificio, una volta sulla collina me la posso cavare > lo inseguì la bionda, cercando di farsi ascoltare da Charles. < Harley, io ti voglio bene, ma lo sai anche tu che è troppo pericoloso > rispose il ragazzo, però rallentando lentamente il passo.
< Potrai accusarmi di averti somministrato qualcosa, o di essere stato sedotto da Pam, mi ha già detto che non ci sono problemi per lei, ma ti prego, aiutami! >.
< Perché ti ostini a non capire? > sbottò Madison, girandosi verso di lei con espressione stanca, nascosta dietro la rabbia che tentava invano di simulare. Harley si bloccò all’improvviso, notando quella strana commistione di sentimenti sul suo viso, storicamente così calmo e posato. Si scostò il ciuffo di capelli castani da sopra la fronte, sospirando per cercare di trovare una tranquillità ormai persa.
< Io non voglio che tu possa tornare da lui, Harley… > disse con tono leggermente incrinato, tornando a posare i suoi occhi color nocciola su di lei. In un certo senso, la ragazza aspettava questa dichiarazione da diverse settimane, ma allo stesso tempo, non pensava che avrebbe mai trovato un momento meno appropriato di quello. Prese la sua mano nelle proprie, stringendola con forza.
< Mi dispiace, Charles… Ma se proprio vuoi vedermi felice, devi lasciarmi andare da lui > gli rispose, mentre lui non riusciva più a guardarla in viso. Il silenzio era tesissimo, e la bionda sapeva che, se non riusciva a convincere il medico, sarebbe dovuta uscire con la forza, e con un numero notevole di rischi in più.
< Ok… > sospirò il giovane alzando lo sguardo, ricevendo come risposta un abbraccio spontaneo e di slancio di Harley, con la quale per poco non finì a terra. Lui rispose alla stretta, affondando il naso nei capelli color miele di lei, e sospirando sconfitto, prima di prenderla per mano.
< Dobbiamo sbrigarci, non abbiamo troppo tempo da perdere… > disse iniziando a camminare piuttosto spedito, passando prima la zona delle celle e poi quella degli uffici. Non c’era in giro molta gente, quindi la prima parte del percorso fu piuttosto semplice, ma quando erano quasi alla meta, Charles scoprì la dottoressa Leland proprio davanti alla porta d’uscita.
< Non preoccuparti, ci penso io… > le disse, dirigendosi verso la dottoressa con passo deciso. Li osservò parlare per qualche istante, prima che un fruscio alle sue spalle la facesse trasalire; vide distintamente Mister Emminger sull’altro lato del corridoio, e i loro occhi si incrociarono per un brevissimo istante, prima che l’espressione glaciale e la mascella squadrata dell’uomo si allontanassero dalla sua vista. Come mai se ne stava andando, considerato che era una guardia, e che lei si trovava in una zona proibita? Era sicura l’avesse vista, non era possibile il contrario…
< Avanti Harley, andiamo > ricomparve Charles alle sue spalle, scuotendola per una spalla < Va tutto bene? > chiese, vedendola leggermente turbata. La bionda annuì, rimettendosi in marcia il più velocemente possibile. La libertà stava alla distanza di una porta, con un codice che il dottor Madison inserì con velocità, mentre le dita abili si muovevano sul tastierino. Con un sibilo il portellone si alzò, mostrando la luce arancione del sole che lambiva la collina: la sera stava per scendere, rendendo più facile la sua fuga. Stava per uscire, trasportata dalla frescura che filtrava dall’uscio, quando la mano di Charles la fermò di nuovo. Appoggiò le sue mani ai fianchi di lei, prima di avvicinarsi al suo viso con lentezza, e appoggiare l’ennesimo bacio delicatamente alla sua fronte.
< Io sarò qui ad aspettarti, Harleen Quinzel… >.
 

Gliela strappò via dalle mani, brandendo il suo amato coltello. Lei era scossa. Lui non la guardava neanche. “Non osare… Mai più… Toccarla! Nemmeno con un dito, sono stato chiaro?” L’altro uomo era terrorizzato, con il coltello dritto sotto la sua gola. “Lei è mia. Mi appartiene. E nessuno di voi… Può portarmela via”

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Per essere il manicomio criminale di una città pericolosa come Gotham, la sicurezza posta intorno all’edificio dava molto a desiderare. Probabilmente, erano troppo tronfi dei vari sistemi di controllo posti all’interno, e nessuno credeva possibile una fuga. Peccato che non fosse la prima volta che qualcuno se ne andava, e mai niente cambiava. Evidentemente erano sicuri che “la prossima volta” sarebbe andata meglio, sfilando su quel labile confine che esiste tra l’ottimismo e la stupidità. Harley, in compenso, doveva ringraziare l’aiuto di Charles per essere riuscita ad andarsene senza rischi, sebbene l’essere stata vista da una delle guardie avrebbe segnalato la sua assenza nel giro di poco. Per questo motivo doveva correre giù dalla collina il prima possibile, aiutandosi con le zone d’ombra che il tramonto le stava gentilmente offrendo. I tanti anni da ginnasta stavano finalmente tornando a dare i loro frutti, in quanto la corsa le veniva semplice, e persino saltare la guardiola dopo una breve spinta. L’uomo particolarmente tarchiato seduto in quella postazione notò un lieve movimento, ma non vi fece troppo caso, tanto era impegnato sulla partita di baseball in corso. Harleen sorrise di fronte a quella scena, ricominciando a correre. Non riusciva a pensare a nient’altro, e anche l’indicazione datale da Ivy sul luogo in cui si trovava il Joker non riusciva a entrarle in testa. Sapeva dove doveva andare, ma il suo corpo si muoveva per inerzia, perché il pensiero di perderlo era l’unico che riempisse i suoi pensieri. L’unico, insieme alle ultime frasi pronunciate da Charles. Un sorriso comparve sulle labbra rosse della ragazza, nonostante il terrore che continuava a provare. Cosa avrebbe potuto voler dire tornare ad Arkham con lui? Cosa avrebbero significato quelle parole, quando Harley sarebbe stata ancora una criminale e lui il medico che aveva il compito di curarla? Non lo sapeva, soprattutto perché quelle domande non avevano motivo di esistere, fino a che non fosse stata conscia delle condizioni di Mister J. Una dolorosissima stretta al petto le smorzò per un istante la respirazione: cosa poteva essere successo? Lui non correva mai rischi, lasciava che fossero gli altri a rimanere feriti. Era troppo astuto anche solo per farsi sfiorare… Una consapevolezza nuova e agghiacciante la catturò con veemenza, lasciando solo un pensiero nella sua testa.
E’ colpa mia…
Mister J non era più la stessa persona da quando l’aveva rifiutato. I regali, i messaggi romantici, la costanza con cui cercava di riportarla a sé. E se avesse riportato qualche cambiamento anche nel modo in cui conduceva i suoi rispettabili affari a Gotham? Non riusciva a pensarci… Iniziò a correre più in fretta, quasi senza rendersene conto, fino a un edificio che ricordava piuttosto bene. Gotham aveva complessi più o meno tutti simili, ma era in quello stesso posto che, la prima volta fuggiti da Arkham, lei e Mister J si erano nascosti, consumando la loro prima notte da partner. Avrebbe riconosciuto anche ad occhi chiusi quei muri e quei colori, nonostante fossero totalmente simili a mille altri. Si diresse verso il cancello, scavalcandolo con un salto in giravolta, trovandosi davanti un armadio d’uomo, non troppo intelligente, che conosceva molto bene. Jim il gorilla la guardò incredulo, come se non potesse credere di avercela davanti sul serio.
< Miss Quinn…? >
< Dov’è? > chiese subito lei, interrompendo il vocione dell’uomo, con un’autorità che si sentì montare in corpo dopo tanto tempo.
< E’ dentro… Faccia piano, però > rispose l’uomo chinando il capo, sottomesso addirittura alla figura esile di Harley. Si avviò con passo sicuro, ma estremamente di fretta, prima di essere interrotta nuovamente dalla guardia del Joker sull’uscio della porta.
< Siamo contenti che lei sia qui, Miss Quinn > disse con tono gentile e un sorriso che su quel viso trovò estremamente dissonanti. Lei ricambiò il sorriso, prima di proseguire la sua marcia all’interno dell’edificio. La stanza in cui entrò, corrispondente a una sorta di seminterrato, era coperta di polvere piuttosto fitta, escluse delle orme di scarpe che si aggiravano sul pavimento, illuminate soltanto dalla flebile luce della luna che aveva da poco dato il cambio ai raggi del sole. Non c’erano segni di trascinamento, e se era ancora cosciente, dubitava che si fosse fatto portare in braccio per non faticare. A meno che lui non stesse bene, e fosse peggiorato una volta lì. Ma la dimora era piccola, c’era forse una sola altra stanza in cui lui poteva essere. Si diresse in quella zona, quando sentì uno scricchiolio alle sue spalle. Si girò di scatto, e si trovò ad essere sormontata dal suo corpo, la sua presenza, il suo sorriso.
< Ciao bambolina… Sapevo saresti tornata > disse con tono stranamente pacato, senza il minimo accenno di sarcasmo nella voce.
Harley era distrutta, arrabbiata da morire, e si sarebbe messa a spaccare qualsiasi oggetto che le fosse stato a portata di mano, se non fosse stata già abbastanza disperata da sola. Lo vedeva sovrastarla con forza, era stabile sulle sue gambe e non mostrava nessun segno di cedimento.
< Mi fai schifo… > sputò Harley con tutta la furia che aveva dentro, dirigendosi verso la porta a grandi passi veloci. Lui rimase al centro della stanza a fissarla, leggermente perplesso, prima di colmare la distanza che li separava con delle ampie falcate che la bloccarono contro la porta chiusa.
< Che diavolo stai facendo Harley? Si può sapere che hai ora? > chiese mettendo la mano sulla maniglia, per impedirle di uscire dalla stanza. Lo sguardo furibondo della bionda si posò sul viso di lui, trovando un’espressione che fece debolmente vacillare le sue sicurezze. Sembrava davvero sorpreso, come se non si aspettasse una reazione del genere, e quegli occhi da bambino la irritarono ancora di più. Si scostò velocemente da lui, allontanando la sua presenza tentatrice anche dalla memoria, se dai sensi non fosse abbastanza.
< Come pensavi che mi sarei comportata, uhm? Che ti avrei trovato qui sorridente, e tutto sarebbe tornato come prima? > iniziò a sbraitare la bionda, che, se avesse potuto, lo avrebbe colpito con un pugno.
< Ma di cosa stai parlando Harley? Prima ti ripresenti qui e poi furente tenti di andartene?  > chiese lui con tono glaciale, impiantando i suoi occhi scuri in quelli cristallini della ragazza, che ovunque volevano posarsi tranne che nei suoi.
< E pensare che io, la solita idiota, sono corsa qui con il terrore di vederti per l’ultima volta… E invece guardati! Perfettamente sano ed immagino pienamente soddisfatto per avermi fregata di nuovo, non è vero? >.
Harley era troppo accecata dalla rabbia per notare lo sguardo, sempre più confuso, del Joker.
< Ti sei divertito a prendere in giro Ivy, non è così? Lei, che non ti sopporta, è dovuta venire a dirmi che eri stato ferito… Chissà come hai goduto nel vederla arrendersi al mio ritorno, non è vero? E smettila di dire di no, lo so che è così! > sbraitò la ragazza, ai limiti storici di pazienza, vedendo Mister J che scuoteva il capo con andamento altalenante, ma la sua velocità era costante e assidua.
< No... Ti sbagli tortina... Sei libera di non credermi e so che non mi crederai... Ma non è andata così... > rispose il Joker, con tono tanto serio da far rabbrividire la bionda che gli stava il più distante possibile.
< Ah no? > chiese Arlecchina traboccante sarcasmo < Allora non erano i tuoi uomini quelli che si sono fatti riprendere dai telegiornali? Strano, perché ricordavo che fossero loro ad andare in giro con il simbolo del clown… >.
< E' così... Ed infatti erano loro… Ma io non ero con i miei uomini. Ho lasciato loro liberi di divertirsi visto che, ultimamente, non ne hanno avuto occasione... > rispose l’uomo, avvicinandosi a passi lenti verso di lei, nel tentativo, forse ingenuo, di non farla spaventare dalla sua presenza. < Fidati di me, bimba… Lo sai che sto dicendo il vero... >.
< No... Stai mentendo… Di nuovo! > rispose lei, che però rimase ferma, vedendolo avvicinarsi di nuovo. < No, cupcake… > rispose lui, cercando prima il suo sguardo con le buone, per poi prenderle il mento tra le dita e sollevare i suoi occhi verso di sé, con la classica presa ferrea che lo caratterizzava.
< A quanto pare la nostra amica edera ha dato fondo alla sua rigogliosa fantasia... Dovevo aspettarmelo, dopotutto... Avrei dovuto prevedere che si sarebbe inventata di tutto per non rispettare i patti >.
< Quali patti? > chiese la bionda, attirata da quella parola come una falena dalla luce mortale di una lampada.
< Oh, non sai nulla del nostro breve ma intenso incontro, Harley? > chiese lui sarcastico < Strano che la nostra piantina non sia venuta correndo a dirti cosa ho cercato di fare… Sai... Sono venuto a sapere del suo trattamento nei riguardi dei miei regali per te. Così ho deciso di farle visita e le ho chiesto di collaborare nel tentativo di farti tornare da me. In maniera molto galante, ovviamente… >
I pensieri della ragazza divennero più confusi che mai, mentre una nebbia fitta iniziava a prendere possesso del suo cervello. Si sentiva in qualche modo lusingata dalle attenzioni datele, ma allo stesso tempo si rese conto che, se era riuscito a parlare con Ivy, o lui era entrato, oppure lei era riuscita ad uscire e ad andare da lui…
< Sai che Io sono un assiduo frequentatore di Arkham e che conosco bene quell'ambietino... > proseguì il Joker sempre con tono conciliante. < Non potevo permettere di lasciarti da sola là dentro in un momento del genere. Tu hai bisogno di me Harley, e io stavo cercando di aiutarti. A questo serviva Pamela, ad aiutarmi a farti capire la verità. E sarebbe andata così se avesse aspettato che il mio uomo le desse le mie istruzioni a riguardo, anziché agire come sempre di testa sua > disse senza lasciare la presa sul viso della ragazza, che iniziava a sentirsi leggermente frastornata da tutta quella serie di informazioni. Una parola, però, le era rimasta impressa, e senza riuscire a controllarsi, si sentì in dovere di chiedere.
< E’ Emminger, non è vero? >.
Joker la guardò, senza far trasparire nessuna reazione, soltanto scuotendo la testa. Non sapeva che voleva dire, ma quella reazione le fece solo venire voglia di andare a fondo riguardo quella questione.
< Dimmi chi è… Ti prego > aggiunse solo alla fine, rendendosi conto dello sguardo ora più duro utilizzato dal Principe del Crimine, che le lasciò il viso.
< Immagino tu conosca Charles Madison... > disse non facendo nulla per nascondere il suo disprezzo per quell'uomo, ben comprensibile dal tono usato per il suo nome < E' lui la mia spia >
Mancava solo il rumore, perché la sensazione che qualcosa si fosse appena spezzato la sentiva da dentro il petto. Non poteva essere vero… Non doveva essere vero… Lui doveva aver saputo della sua simpatia per Charles, e cercava in qualche modo di riversare le colpe commesse da lui su qualcun altro. Come aveva sempre fatto anche con lei… Quando commetteva un errore, o quando le cose non andavano come lui aveva deciso, se la prendeva sempre con lei. Il Clown Principe del Crimine non sbaglia mai… La colpa non era mai sua…
Harley scosse il capo, evitando di proposito, ancora una volta, lo sguardo dello splendido uomo che si ritrovava davanti. La sua voce era ferma, controllata, quando finalmente riuscì a riaprire bocca.
< Perché? >.
Lui sbuffò, come se tutta quella situazione fosse solo una perdita di tempo, appoggiando le sue mani sul muro lì vicino.
< Quello che ad Arkham è conosciuto come il dottor Madison, bambolina, altro non è che Charles Madison, un piccolo truffatore d'alto borgo. È stato uno dei miei uomini per anni, ma onestamente, non mi è mai andato a genio. Se n’era tornato in Inghilterra, circa un anno prima che arrivassi tu, per crearsi una carriera nei lussuosi circoli di Londra. La cosa ha funzionato per qualche anno, ma circa 6 mesi fa è tornato qui a Gotham, al verde e con una taglia sulla sua testa in tutto il vecchio Regno Unito. Ero stato informato del suo ritorno, così quando è iniziata questa storia, ho deciso di fare un patto con lui… Charles si sarebbe finto medico di Arkham e mi avrebbe aiutato a riportarti indietro, ed Io in cambio avrei provveduto a ridargli credibilità e un discreto gruzzolo di denaro. Non mi fidavo molto di lui... E sai perché? Prova a immaginare qual era il suo soprannome… > chiese Mister J, ignaro del dolore che la bionda stava provando all’interno della sua cassa toracica. A dirla tutta, non lo stava nemmeno più ascoltando: era troppo presa a pensare a quelle settimane, a tutti gli interventi fatti da Charles per difenderla, per regalarle un sorriso, di tanto in tanto. E il Joker, imperterrito, continuava a parlare.
< Già quando lavorava per me la cosa che era in grado di fare meglio era spillare soldi a donne miliardarie di mezza età, oppure derubare ragazzine che perdevano la testa per lui. Per quello gli altri ragazzi della banda lo chiamavano Playboy Charlie... Ecco perché non mi piaceva troppo l'idea di sapere lui vicino a te... Ma non avevo scelta... Anche se, ovviamente, l'ho gentilmente invitato a tenere i suoi luridi tentacoli lontano dalla mia tortina... >
Harley sospirò, rendendosi conto che sapeva troppe cose su quella questione, per essersele inventate al momento. Ed in più, sebbene Mister J fosse convinto del contrario, Playboy Charlie non era cambiato da quando lo conosceva lui, perché si era comportato nella stessa identica maniera. Quei baci sulla fronte, quei contatti gentili, quegli occhiolini non erano fatti per affetto, ma solo per compiacere l'ego di un uomo che sa di poter avere qualunque donna volesse.
< Perché non ti sei fatto bastare le voci? > chiese la bionda, passandosi una mano tra i capelli, per dissimulare la delusione che provava. Ancora una volta, però, l’espressione sorpresa del Clown le fece interrompere tutti i suoi pensieri, concentrandosi solo su di lui.
< Quali voci? > chiese lui osservandola, muovendo la testa da un lato all’altro, ma come se in realtà nemmeno la stesse ascoltando, concentrato solo sull’azione dei suoi occhi.
< Le voci che… > provò a cominciare lei, osservando poi l’espressione dell’uomo, e scuotendo il capo come chi ha solo voglia di lasciar perdere  < Niente di che… Pensavo fossi tu, invece significa che sto impazzendo… >.
Lui le sorrise, sfiorandole una guancia con il dorso della mano, nella stessa azione che, diverso tempo prima, Harley gli aveva impedito con un coraggio involontario che ora non sentiva più.
< Stai impazzendo anche tu come il tuo Puddin', cupcake? Non è così male come tutti pensano, credimi... Devi solo lasciarti andare e vedrai che sarai di nuovo nella Funhouse!  A spruzzare panna e a fracassare ossa con il tuo enorme martello! Hihihihi!  >.
La ragazza si ritrovò a sorridere, incrociando per la prima volta il suo sguardo con quello del Principe del Crimine. Non ricordava il tempo in cui le dedicava uno sguardo del genere, ma doveva ammetterlo… Era particolarmente confortante sapere che lui aveva fatto tutte quelle cose per lei…
< Devo tornare ad Arkham, Mister J… > disse con tono deciso, nonostante la voglia di farlo era decisamente al di fuori della sua testa.
< No che non devi Harley. Il tuo posto è qui con me, lo sai. Sono state dette tante cose, commessi tanti errori, ma è giunto il momento di mettersi tutto alle spalle e ripartire. Nessuno ti può aiutare là dentro, ti faranno stare solo peggio. Tu mi appartieni cupcake... Ed è solo con me che potrai essere felice > le disse prima di allontanarsi qualche metro, sorridendole < Vieni da paparino bambina mia... Abbracciami... > sussurrò conciliante, preparando il suo corpo a riceverla. Harley sospirò, arricciandosi una ciocca di capelli intorno alle dita, in un segno di nervosismo particolarmente evidente. Lui l’aspettava, con le braccia larghe pronte ad offrirle il caldo rifugio del suo corpo. Fu in quel momento che, senza pensarci due volte, Harl si gettò tra le braccia del suo Mister J. Il Clown sentì le braccia della ragazza intorno a sé, e sorrise amaro. La conosceva troppo bene ormai, conosceva ogni minimo dettaglio del linguaggio del suo corpo. Ricambiò l'abbraccio stringendola a sé, facendo in modo che durasse il più possibile. Perché lui l'aveva già capito... Lei non sarebbe rimasta…
 

Lei che cerca di farsi notare. Lui che la ignora. Lei che si siede sul tavolo. Lui che la spinge giù. “Ascoltami, tesoruccio… Papà ha un sacco di lavoro da fare, e tu non stai aiutando… Come non hai aiutato questa mattina!” Lui urla. La colpa non era sua. Ma lei si sentiva colpevole lo stesso










 

NOTA DELL'AUTRICE: CAPITOLO 14, MOLTI DEI NODI SONO FINALMENTE VENUTI AL PETTINE! FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE!

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Il Joker tornò nelle sue stanze a notte inoltrata, trovandola esattamente com'era da molto tempo ormai. Vuota. Niente che non si aspettasse, ovviamente, eppure non riuscì a trattenere un'espressione di disappunto sul volto. Sin dall'abbraccio con Harley aveva compreso che la ragazza se ne sarebbe andata di nuovo, troppo freddo e composto per appartenere alla sua Arlecchina, ma per una volta sperava di essersi sbagliato. Sperava che fosse solo stanchezza, disabitudine, soggezione...
Niente di tutto ciò. Il Joker si sentì improvvisamente stanco e sfiduciato.
Inseguire Harley Quinn lo aveva distratto dai suoi crimini e dalla sua eterna lotta contro il suo storico nemico Batman ma, proprio come nei confronti dell'uomo pipistrello, anche questa battaglia lo vedeva uscire ogni volta sconfitto. Si tolse la giacca e l'appoggiò su una poltrona, deciso a riposare per qualche ora, quando il suo sguardo cadde su una vecchia foto in una cornice appoggiata su un mobile lì vicino. La prese tra le mani. Erano lui ed Harley. Lei lo abbracciava felice alle sue spalle, con il suo radioso sorriso ad illuminarle il volto. Lui sorrideva come il suo solito, tenendole le mani nelle sue.
< Bei ricordi vero? Peccato siano solo quello ormai... > disse all'improvviso una voce. Il Joker sorrise. Si aspettava una sua visita e, conoscendo la propria stanza, intuì subito che lo specchio era ancora l'oggetto scelto per mostrarsi a lui.
< Stai diventando prevedibile... Io... > ma commise l'errore di voltarsi verso di esso. L'immagine che vide gli tolse la parola, impedendogli di completare la frase.
< Che succede Puddin'? Sei sorpreso di vedermi? >
Era Harley Quinn. La ragazza lo stava guardando seducente, vestita con una sottoveste rossa che lasciava poco spazio all'immaginazione.
< Perché maledizione! Perché lei? > chiese ringhiando verso lo specchio.
< Calmati clown... In fondo io sono l'unico modo che ti rimane ora per rivederla... > ironizzò sorridendo, passandosi una mano tra i biondi capelli, proprio come la vera Harley faceva spesso.
< Non è ancora finita. Io posso ancora... >
< Basta Puddin', basta! > lo interruppe di nuovo < E' finita, e lo sai bene. Guardati pagliaccio Principe del Crimine! Non sorridi più, non sei più un pericolo per nessuno, gli altri criminali di Gotham ti deridono, persino i tuoi uomini ti stanno abbandonando uno ad uno > disse l'immagine squarciando le difese del Clown come una lama di coltello nel burro.
< E per cosa poi? Per una donna? Harley non ti vuole più Puddin'. A quest'ora sarà già tornata ad Arkham, tra le braccia di Playboy Charlie, per la gioia e l'approvazione della sua amica Pamela >
< Lei non ama Charlie! Ama me! > provò a ribattere, con l'ultimo barlume d'orgoglio rimasto.
< Smettila di mentire a te stesso. Hai visto la sua espressione prima, quando l'hai nominato? E ti ricordi le parole di Charles l'ultima volta che è stato qui? Ti ha fregato, ammettilo! E sai qual è la beffa maggiore? Sei stato tu a gettarla tra le sue braccia! Ahahahahah! > e la sua risata echeggiò nell'aria, perfettamente simile a quella dell'Harley originale. Il Joker sentì la rabbia crescere dentro di sé. Strinse il pugno così forte da farsi male. Voleva uccidere. Avrebbe voluto uccidere Madison, Ivy, Harley e, forse, anche se stesso.
< Avanti Puddin'... E’ora di lasciarsi questa storia alle spalle per sempre e ricominciare da dove eravamo rimasti... Tu ed io... Credimi... Io sono tutto quello che ti serve. Non hai bisogno di nessun altro > disse conciliante, abbassando maliziosamente una spallina della sottoveste.
< Smettila... Vattene... > rispose lui con tono controllato, ma con l'ira ben visibile nei suoi occhi.
< Vuoi perdere anche me Puddin'? Lo sai che non puoi... Io sono te... >
Il Joker guardò lo specchio e sorrise. Un sorriso folle e senza senso, di chi non ha più nulla da perdere.
< Non chiamarmi Puddin'... > esclamò prima di lanciare con tutta la sua forza la cornice che teneva tra le mani contro lo specchio, mandandolo in frantumi.
 
Con il solito passo sicuro e irresistibile, percorreva il corridoio d’uscita dell’Arkham Asylum, salutando con gesti ammiccanti tutti coloro che si frapponevano al suo cammino. Charles Madison sapeva di essere tremendamente affascinante, e si compiaceva un sacco dei sospiri che sentiva emanare dalle ragazze del penitenziario, una volta uscito dal loro campo visivo. Esclusa la Leland, troppo innamorata del suo lavoro per curarsi di qualsiasi altra cosa, tutte le assistenti, infermiere e dottoresse che lavoravano nel centro erano passate dal suo letto, e tutte erano convinte di contare qualcosa, per lui. Non era mai vero… Lui poteva avere tutte le donne che voleva, compresa una definita pericolosa tanto quanto il suo compagno, o, grazie a lui, ex compagno.
Harleen Quinzel…
Non che gli interessasse più di tanto della ragazza, sia chiaro… Era una bionda come tante altre, tanto stupida ed ingenua da cadere nelle braccia del primo che le facesse due moine. Decisamente, non era il suo ideale di donna. Quella rossa, invece… Ivy era quel genere di donna da fargli bollire il sangue nelle vene, una femmina fatta e finita, non come Harley. Si ricordava di come ogni singolo occhiolino le facesse avvampare le guance, di come era rimasta incantata a guardarlo, la prima volta che si erano visti da soli. Si passò una mano nel ciuffo di capelli castani sopra alla fronte, mentre inseriva la  sua tessera nel lettore digitale e componeva il suo codice di sicurezza, per uscire dal manicomio criminale. La ragazza in guardiola lo salutò con la mano, e arrossì veemente quando lui, con la mano, le fece il gesto di chiamarlo, appena poteva. Ogni volta era la stessa storia, era come se fosse la sua fama di seduttore, a precederlo… Charles Madison si considerava un dono della natura, con il compito di soddisfare le proprie voglie con tutto quello che riusciva ad ottenere dall’universo femminile. E il soddisfacimento che voleva trovare in Harley non era di tipo fisico, non lo faceva perché la considerasse una buona preda… Voleva solo farla pagare a quel bastardo di un Clown, voleva vederlo in ginocchio dopo avergli dimostrato che lui poteva tenere stretta a sé colei che lui continuava invano ad inseguire. Se la sarebbe portata a letto, e avrebbe mostrato a colui che si definiva il Principe del Crimine di essere semplicemente migliore. Erano questi i pensieri di Playboy Charlie mentre si avvicinava alla propria macchina. Era rimasta solo la sua vettura nel parcheggio, e nessuno l’avrebbe disturbato oltre, almeno per quella sera. Un rumore di passi alle sue spalle colpì la sua attenzione, e nell’ombra che si disegnò sul muro, riuscì a distinguere due lembi di un copricapo e il movimento di campanellini. Si girò di scatto, trovandosi davanti Harley con il suo classico costume rosso e nero, e il trucco bianco che faceva risaltare in maniera abbagliante gli occhi azzurri, con un’espressione che lui non aveva mai visto sul suo volto. < Harley… Sei tornata… > disse l’uomo sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi, sentendo, quasi senza motivo, un brivido gelido salirgli lungo la schiena.
< Già… Sono tornata, e ho scoperto un sacco di cose, Charles… O preferisci Charlie? > chiese la bionda avvicinandosi al medico a passo lento, mentre gli occhi di lui iniziavano a sgranarsi, nel sentire il nome con cui gli uomini del Joker lo chiamavano.
< Sono andata da Mister J, e l’ho trovato piuttosto in forma, per essere stato quasi in fin di vita, fino a qualche ora fa… > aggiunse, quando finalmente Madison andò ad impattare con la schiena contro la carrozzeria della propria auto.
< Harley… Non so di cosa tu… > cercò di dire, prima che un intenso dolore lo facesse cadere per terra. Con una velocità che Charles non si aspettava, Harley aveva tirato fuori da dietro la schiena un martello enorme, e abbassando lo sguardo, riuscì a vedere la sua gamba destra, dal ginocchio in giù, piegata in un angolo decisamente innaturale. Aveva il capo appoggiato alla portiera della macchina, che aveva subito, come la sua rotula, un’ammaccatura considerevole.
< Sai qual è la differenza tra un truffatore inutile come te, e una criminale come me, Charles? Io non fingo per entrare ad Arkham, io ci entro per davvero… E per i crimini che commetto, non per difendermi da un mondo troppo duro che rischierebbe di mangiarmi. E sai perché io sono uno di quei soggetti di cui questa città ha bisogno? Perché mi prendo le mie responsabilità, perché non scappo di fronte ai problemi… Ed è quello che voglio insegnarti oggi, Charles. Non puoi scappare per sempre… E da oggi, non lo farai più > disse la bionda, in quello strano delirio d’onnipotenza che l’immagine di Charles steso ai suoi piedi le dava.
< Vedi, Charlie… Una donna come me… >
< Donna? Tu sei una pazza furiosa! > la interruppe l’uomo, iniziando a strepitare, sebbene fosse consapevole che nessuno l’avrebbe sentito.
< Dicevo… Una donna come me… Si è sempre sentita in dovere di cercare qualcuno che dovesse accompagnarla, perché non si è mai considerata sufficientemente abile, per poter tenere questa città in pugno. Ma, in un certo senso, io devo ringraziare te, per avermi liberata dal giogo cui il mio uomo mi aveva obbligata. Non solo lui, anche tutto il resto della città. Perché tu non sei uno di loro, Charles Madison? Perché non hai pensato di tornare e conquistare con la forza quella poco di buono che è Gotham City? Torniamo indietro di qualche anno… Insieme agli altri uomini del Principe del Crimine, ti sentivi imbattibile, ti sentivi il padrone di tutto ciò su cui mettevi le mani. Ma allora… Cosa è successo? Ti sono cadute le palle? >.
Sebbene la bionda sembrasse retorica, aspettava che Madison le rispondesse, guardandolo con il capo leggermente inclinato di lato. L’uomo stava per rispondere, ma venne quasi subito interrotto.
< Io so perché te ne sei tornato nella tua amata Inghilterra… Non è che ti sentissi inferiore, è che Mister J ha mostrato a tutti la tua vera natura, purtroppo… Lui ti ha ridicolizzato in mezzo a tutti i criminali della città, e questo a te non piace neanche un pochetto… Così te ne sei andato, perché non sei in grado di affrontarlo a viso aperto… Te ne sei andato, covando vendetta per tutti questi anni, organizzando in modo maniacale il piccolo piano di un opportunista senza spina dorsale. Ma poi, Charles? Che cosa è successo? >.
< Ho avuto problemi di soldi… Debiti di gioco… > disse l’uomo, sull’orlo delle lacrime nel vedere Harleen camminare con tranquillità davanti a lui, come se non stesse accadendo niente di speciale. < Avevo gli strozzini che mi soffiavano sul collo… Non potevo stare lì! >.
< Hai deciso di scappare di nuovo! E sei finito tra le braccia della persona alla quale avevi giurato di fargliela pagare… Credendo di poterlo fregare comunque, giusto? La storia dell’attacco, l’idea di usare la sua donna come emblema… Ma, evidentemente, hai fatto male i tuoi calcoli, e qualcuno è stato in grado di prendere il tuo bel piano e l’ha ribaltato contro di te. Non te l’aspettavi, dico bene? Non pensavi che la piccola Harley potesse riuscire a fregarvi tutti… Il tuo problema, Charlie, è che non hai capito uno dei lati negativi della commedia, o della vita, in un certo senso… Non si torna indietro. Una volta che si scappa, tutto cambia… E non solo per un momento, per sempre… >
La ragazza si immobilizzò un istante, con lo sguardo perso nel vuoto, prima di lasciarlo, carico d’odio, sul viso di Charlie.
< Harley, ti prego… Perdonami… Io sono una persona buona… > cercò di pregarla lui, venendo nuovamente interrotto dalla risata sguaiata della bionda, in quella combinazione di allegria e crudeltà che da sempre era suo marchio peculiare.
< Tu e il resto dell’umanità siete uguali, Charlie… Siete “bravi” soltanto quanto il mondo vi permette di esserlo. Ma io ho intenzione di separarti dal resto del mondo stasera… Per sempre >.
Charles iniziò a tremare vistosamente, sentendo i campanellini della bionda che tintinnavano, mentre gli si avvicinava. Chiuse gli occhi nel vederla inginocchiarsi accanto a lui, e sentì distintamente le sue labbra posarsi sulla sua fronte, con un bacio tanto dolce quanto inaspettato. Aprì gli occhi, stupito, senza capire che la figura della bocca di Harl sulla sua testa non era un segno di affetto, ma un mirino. Con la stessa velocità con la quale aveva distrutto il suo ginocchio, Arlecchina librò il suo martello nell’aria, mandandolo a schiantarsi contro la portiera dell’auto, mentre il bel viso di Charles Madison si lacerava su di essa, con vari frammenti che si sparpagliarono nel parcheggio. La risata della Quinzel esplose di nuovo, senza una particolare ragione, solo per la felicità di averla finalmente fatta finita. C’era solo un ulteriore passo da fare, l’ultimo. Liberarsi delle sue voci.

 
Lei gli salta in braccio. Lui l’afferra al volo. La stringe a sé. Fa partire il countdown di una bomba nucleare. Le accarezza la schiena, mentre lo fa. “Andiamo, mia cara… Troviamoci un posto sicuro, e andiamo a goderci i fuochi d’artificio”

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Aveva lasciato il parcheggio con tutta la calma possibile, per gustarsi l’allegria che il cadavere di Charles Madison le suscitava, e anche in quel momento, non riusciva a togliersi il sorriso dalla faccia. Era seduta sul ciglio della strada, maledicendo quelle dannate voci perché non accennavano a ritornare. Una volta riempivano le sue giornate, e ora non avevano nemmeno fatto sentire la loro presenza, nemmeno una volta. Iniziava quasi a pensare di essere veramente impazzita, e che le voci fossero solo il frutto malato del suo cervello. Ma se così fosse stato, avrebbero dovuto dirle ciò che voleva lei, e non contraddirla su tutto… O forse no? Non ricordava una sola frase, ma sapeva che gli aveva detto di non fidarsi di Charles, gli aveva detto di raccontare ad Ivy dei regali e della corte che il medico le faceva. Tutte cose che lei non pensava minimamente, e che per quanto psicopatica, così la definivano, non poteva aver elaborato da sola. Quei concetti dovevano per forza provenire da una mente estranea al suo corpo, ma chi, se non era Mister J? Certo, lui avrebbe potuto mentire, cosa gli impediva di farlo, ancora una volta? Scosse il capo, afflitta senza un preciso motivo. Il Joker non aveva niente da perdere quando si erano incontrati, quindi, avrebbe potuto confessare senza rischi. Invece era realmente sorpreso quando aveva accennato all’altra persona che le parlava in testa. Sorrise al pensiero che c’era qualcosa che il Principe del Crimine non aveva calcolato, qualcosa che la rendeva speciale, rispetto a lui. Non sapeva chi era stato a impiantare quella strana coscienza nel suo cervello, ma per la prima volta nella sua vita da criminale, si sentiva un passo davanti al suo compagno.

< Potrei offendermi, per esser stato paragonato a lui, sai? >

La bionda sobbalzò nel sentire che finalmente riceveva risposta, dopo aver pensato così a lungo. Aveva una sola opportunità, e non era disposta a lasciarsela sfuggire. Voleva risposte, e le avrebbe avute.
“Ho bisogno di sapere chi sei” pensò nella maniera più autoritaria che si costrinse ad usare.

< Non credo sia una buona idea, Harley >

Beh, almeno non ammetteva che era frutto della sua pazzia. Rispetto alle aspettative, era già un bel passo avanti.
“Hai cercato di salvarmi da Charles Madison, e hai cercato di rimandarmi dal Joker. Devo sapere chi ringraziare, o chi prendere a calci”

< Mi stai minacciando, Harleen Quinzel? >

“Sto cercando di convincerti a rendere la cosa il più breve possibile per tutti e due. Perché, in qualche modo, io ti troverò, e anche se dovessi metterci anni, ti tirerò fuori dal tuo buco”

< Buco è proprio un termine esatto, per me… >

Si stava facendo prendere in giro da una voce con scarsissimo senso dell’umorismo. Era veramente il colmo.
“Voglio solo sapere chi sei, e perché l’hai fatto. Non mi sembra di chiedere molto, visto che tu mi hai violentato il cervello, non credi?”

< Violentato è una parola grossa, Harley. E poi potrei dirti il motivo anche ora, senza svelare la mia identità >

“Sì, potresti…” Harley non sapeva come reagire, e non sapeva nemmeno giustificare in modo credibile perché volesse incontrare quella persona.

< Ci incontriamo tra trenta minuti all’incrocio della sesta e della quattordicesima. Non cercarmi, mi farò trovare io >

La Quinzel era incredula di fronte a questo cedimento del suo avversario mentale, e sorrise soddisfatta di fronte a quella flebile vittoria. Avrebbe avuto la possibilità di incontrare il suo aguzzino, porgergli tutte le domande che l’assillavano da tempo, e forse… Accarezzò l’impugnatura del suo martello con un gesto affettuoso, come se fosse l’unico amico che le era rimasto, e forse era proprio così. Si alzò con un salto, cercando di ricordarsi dove si trovava quel posto indicatole solo qualche secondo prima, e iniziò a correre a più non posso. C’era molta strada da fare, e lei non aveva tempo da perdere: se davvero voleva che le cose si sistemassero, doveva fare in fretta. Non sapeva cosa il futuro aveva in serbo per lei, ma se c’era un’unica cosa di cui era sicura, era che quella storia andava terminata. Stavolta per sempre.
 
L’incrocio tra la sesta e la quattordicesima Avenue di Gotham City aveva un unico particolare che lo rendeva riconoscibile: uno dei palazzi era circondato da impalcature ormai vuote, visto l’ora tarda. Stavano per costruire una serie di condomini, e in quel lato della città nessuno era ancora venuto ad abitare, e nessuno era così stupido da passare di lì, al calar del sole. Solo i criminali come lei non temevano di essere da soli lì dentro, ma chissà perché, Harley quella sera aveva paura. Non perché non fosse una criminale, i giornali la definivano come una delle peggiori, nonostante avesse sempre bisogno di una spalla. L’incontro con “la voce”, che avrebbe dimostrato di avere anche un corpo, le stava mettendo una certa ansia. Era in netto anticipo, nonostante si fosse attardata a controllare se ci fossero o meno controlli di sicurezza. Era sorpresa che nonostante l’evasione e l’omicidio di Charles, nessuno la stesse ancora cercando, ed era già pronta a scappare se il suo nemico mentale si fosse rivelato uno qualsiasi della polizia, oppure un mitomane deciso a consegnarla, prendendosi la bella taglia depositata con tanto amore sulla sua testa. Una leggera brezza le accarezzava le braccia, e faceva muovere le fronde degli alberi, che già sapeva, avrebbero comunicato alla sua migliore amica, Poison Ivy, la sua posizione. Si era distratta solo per un istante, senza accorgersi della presenza alle sue spalle, che le bloccò le braccia e la bocca con una presa decisa.
< Non urlare, o ti sbatto dentro prima che tu abbia il tempo di dire A > disse una voce robotica che temeva di conoscere fin troppo bene. Una voce che l’aveva sbattuta ad Arkham non troppo tempo prima. Il Cavaliere Oscuro l’aveva colta di sorpresa: era stata ingenua a non pensare che, se la polizia non era in giro per le strade, è perché di lei se ne sarebbe occupato qualcun altro. La ragazza annuì, girandosi poi verso l’uomo pipistrello, scrutando la sua maschera dall’espressione gelata.
< Siete stati bravi, però…Pensavo c’avreste messo più tempo > disse Harley con espressione sarcastica, andando a brandire il martello dietro la propria schiena. Se proprio Batman voleva catturarla, avrebbe dovuto sudare le proverbiali sette camicie.
< Tardi? > chiese l’uomo in una domanda particolarmente retorica < Avevamo detto mezzora, Harley >.
La bionda rimase per un istante impassibile, prima di capire a cosa si riferisse, e la sua mano intorno al martello iniziò a tremare. No… Non poteva essere vero… Non doveva essere vero…
< Tu stai bleffando… > provò a contraddirlo lei, mentre lui, con una calma quasi innaturale, posizionò una specie di auricolare sul proprio orecchio.
< No, Harleen… >
Disse l’uomo pipistrello, mentre la sua voce rimbombava, deviata e trasformata, all’interno del suo cervello. Per un attimo la bionda si sentì mancare di fronte a quella tremenda scoperta, che iniziava realmente a farle mancare il fiato. Non aveva senso… Perché Batman voleva farla ritornare dal Joker? Perché voleva difenderla da quello schifoso opportunista di Charles Madison?
< E’ molto semplice, Harleen… Un mio collaboratore e amico, ha fatto una scoperta molto interessante, di recente. Utilizzando il concetto di sonar, estendendolo a tutti gli apparecchi telefonici e delle parabole della città, abbiamo scoperto come tracciare una mappa di tutta Gotham. Avevo promesso di distruggere quella macchina, ma sono venuto a sapere di un fattore interessante… Sembrerebbe che soggetti deviati, o con problemi mentali più o meno importanti, creino con il loro cervello delle onde elettromagnetiche più intense delle persone sane. E’ bastato criptare le tue frequenze per fare tutto questo >.
Non si sarebbe dovuta sorprendere che avesse sentito le sue domande, e si mise ad osservare con odio l’auricolare, che si tolse prontamente dall’orecchio.
< Ho fatto tutto questo, Harley, perché il mio obiettivo non eri tu, ma Joker, ovviamente… Dopo i problemi che mi sta dando, in questo periodo, avevo bisogno di trovarlo e di metterlo con le spalle al muro, per questo cercavo di convincerti a tornare da lui, in modo che io potessi seguirti. Per quanto riguarda Charles… Pensavo anche io che lui fosse sincero con te, Harley, per quello ho sempre detto di non fidarti di lui, mai pensando che il suo intervento potesse tornarmi utile lo stesso… >.
Harley era impietrita, con lo sguardo rasoterra, tentando di capire perché fosse stata così tremendamente stupida da non farsi nessuna domanda.
< Che cosa vuoi da me? > chiese senza sollevare gli occhi dalla strada, arresa all’evidenza che non aveva modi per opporsi, o più semplicemente, che non aveva più la forza per farlo.
< Voglio solo che tu mi dica dov’è >.
La bionda rimase perplessa giusto per un secondo, non troppo sicura di aver capito bene.
< Scusami un attimo… Perché dovrei dirtelo, se già lo sai? >.
< Devi dirmelo, Harleen, perché io non so dove sia… Dopo che Ivy ti ha detto della sua condizione di salute, cosa a cui non credo assolutamente, quindi non cercare di fregarmi, c’è stata un’interruzione nelle frequenze, è come se tu… Avessi smesso di pensare, ecco. Per questo motivo, io non so dove si trovi, e tu me lo dirai. Ora >.
Sulle labbra della Quinzel crebbe un sorriso divertito, finalmente c’era una notizia non totalmente negativa, in quella storia.
< E io cosa ci guadagno? > chiese con tono canzonatorio, mentre l’uomo mascherato non faceva una piega.
< Per questo aiuto volontario che mi darai, io farò finta di non averti mai visto, e se non ti farai scovare dalla polizia, per me sarai libera di andare. Il tuo uomo è diventato molto più sfuggevole del solito, di recente, e solo tu puoi andare e venire come se niente fosse. Io lo so, tu lo sai… >.
La Quinn si prese il mento tra l’indice e il pollice, fingendo di star pensando a quanto appena detto da Batman. Lei sapeva già che cosa fare, ma voleva creare un po’ di pathos, e far pensare a B.Man che non avrebbe accettato. Lo avrebbe fatto, perché le parole dell’uomo pipistrello le avevano aperto gli occhi, e non credeva assolutamente alla bugia del “di recente”. Quello era il tassello del puzzle che le mancava per risolvere l’intricato problema che era sempre stata la sua esistenza. In molti le avevano sempre chiesto quale fosse il motivo che l’aveva spinta ad innamorarsi del Principe del Crimine così perdutamente, senza possibilità di opposizione da parte di nessuno. Non era mai stata in grado di dare una risposta, o di trovare una colpa… Ora ce l’aveva davanti.
Si spiegavano un numero incredibile di cose, con il fatto che lui l’avesse sempre tenuta sotto osservazione, che leggesse nella sua mente senza però mai parlare. Aveva avuto bisogno di parlare soltanto in quel periodo, perché voleva che facesse qualcosa per lui, perché Mister J era diventato stranamente invisibile e felpato nei movimenti. Il motivo per il quale Batman era sempre davanti a loro, però, era quello. Sventava tutti i loro piani perché sapeva già cosa sarebbero stati, ancor prima di darle il tempo di pensarli. E i suoi sentimenti per il Joker… In realtà non esistevano, ecco perché non sapeva spiegarli. Era stato ancora una volta l’uomo pipistrello a rovinare tutto, a modificare ciò che pensava e a farla innamorare dell’uomo più sbagliato per cui potesse cadere.
< Come funziona, quell’aggeggio? > chiese la bionda, indicando l’auricolare che ora giaceva innocuo nella mano del Cavaliere Oscuro.
< Tempo fa, c’era un macchinario enorme per svolgere questo lavoro, non molto maneggevole, in effetti… Con il passare del tempo, abbiamo fatto qualche modifica, e tutto quello che ci serve è questo > spiegò nuovamente l’uomo, aprendo la mano e mostrando il “violatore” della sua mente.
< Farò quello che mi hai chiesto, B.Man… Ma ad una condizione > sentenziò Harley, sporgendo la mano verso quella del giustiziere mascherato. Lui capì immediatamente, depositando l’auricolare in mano alla ragazza, che lo fece subito cadere per terra, come se temesse che scottasse.
< Se vuoi scusarmi un momento… > dice, prima di allontanarsi di qualche passo. Come solo qualche ora prima, librò il martello nell’aria, facendolo schiantare contro la strada, e distruggendo in piccolissimi pezzi la tecnologia che l’aveva costretta a subire tutto quello.
< Mi aiuterai? > chiese l’uomo pipistrello, senza posare lo sguardo sull’auricolare appena ridotto in mille pezzi.
< Non credo di avere alternative, B.Man >.
 

< Piccola stupida… Joker non ama nessuno, eccetto forse se stesso. Svegliati, Harleen! Ti ha usata sin dal primo momento in cui sei entrata ad Arkham >















NOTA DELL'AUTRICE: CON QUESTO CAPITOLO CHE "SCOPRE" L'ULTIMO ""MISTERO"" DELLA MIA STORIA, VI AUGURO UN BUON NATALE!

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Seduto sulla sua ormai impolverata poltrona, eletta a trono nei tempi di maggiore auge, il Joker osservava il deserto davanti a sé.
La funhouse, nome che lui stesso diede alla parte del suo nascondiglio dedicata a preparare crimini e progettare nuove armi mortali, era ormai disabitata.
Harley se n'era andata, i suoi uomini erano tutti o in carcere o traditori, ed ora persino il suo oscuro passeggero non parlava più.
Era ancora lì, lui lo sentiva, ma da quando l'aveva azzittito, frantumandolo insieme allo specchio, non era più tornato a farsi sentire.
Il clown si stava scervellando sul da farsi quando, improvvisamente, la porta si aprì ed una leggiadra figura femminile fece il suo ingresso.
Joker si alzò sorpreso. Era Harley.
La ragazza indossava abiti civili, ma teneva il suo costume da Arlecchina tra le mani.
< Harley... Sei tornata... > riuscì solo a dire il Joker, prima di scorgere l'inconfondibile sagoma del Cavaliere Oscuro dietro di lei.
Il suo sorriso divenne sarcastico. < Oh... Vedo che hai portato degli amici... > commentò ridendo < Quante volte ho già vissuto questa situazione? Mi sembra un eterno dejà-vu! >
< Chiudi la bocca ed arrenditi, buffone. Non hai scampo questa volta > rispose Batman con la sua solita distaccata freddezza.
< Com'è andata stavolta Batsy? Sei tu che hai preso lei o è Harley che mi ha venduto per vendicarsi? > chiese il Principe del Crimine, ignorando le sue parole < Non rispondere... Non è importante comunque... Qualche giorno insieme ad Arkham può farci solo bene... > sorrise < Ammesso che tu riesca a prenderci, ovvio... Hihihihi! >
< Stai sprecando solo fiato Joker. Harleen non verrà con te. > rispose Batman in perfetto controllo di se stesso e della situazione.
< Meglio! Con lei libera uscirò da quel triste luogo ancora prima! Hihihihi! > ma, in quel momento, il Principe del Crimine incrociò lo sguardo di Harley.
La sua risata s'interruppe bruscamente, e qualcosa dentro di lui si spezzò.
Harley chiuse gli occhi per un istante, consapevole del fatto che non sarebbe riuscita a guardarlo. Avevano vissuto troppe cose insieme per farle scomparire così, con la consapevolezza che tutto era nato da una menzogna inventata dal Cavaliere Oscuro. Quando sollevò le palpebre, si trovò davanti una scena che non si sarebbe mai aspettata di vedere. L’aveva immaginato arrabbiato, incredulo, pronto a lanciarsi addosso a lei, e invece se ne stava lì, nel centro della stanza, con espressione solo appena incredula, ma soprattutto arresa. Una resa che portò il petto della bionda a stringersi dolorosamente, nonostante sapesse di essere dalla parte giusta, stavolta, e soprattutto, sapeva che non poteva più tornare indietro. Batman era alle sue spalle, lei aveva il suo costume tra le mani, e Mister J la guardava come se si aspettasse qualcosa. Glielo doveva, ed era importante che fosse lei, la prima a parlare.
< Non ti è mai importato di sentire cosa succedeva dall’altra parte… E sinceramente, ancora non riesco a capire perché ti sei ostinato a voler tenere in piedi questa storia. Ho avuto modo di pensare molto, in queste settimane, e nonostante i tuoi regali siano stati la cosa più bella che ho avuto, non mi porterai di nuovo nell’inferno che ho passato, in questi anni… > cercò di cominciare la bionda, venendo prontamente interrotta dal Clown, incredulo di fronte alle sue parole, ma soprattutto allo sguardo della Quinzel, più deciso di quanto, a memoria, riuscisse a ricordare.
< Come puoi chiamarlo inferno Harley? Abbiamo avuto momenti bui, certo, ma tu sei stata felice con me! Tu lo sai che mi appartieni! Noi siamo fatti per stare insieme! >.
< E’ quello che pensavo anche io… > disse, con la tentazione di raccontare a Mister J del congegno inventato da Batman, ma riuscendo strenuamente a rimanere con la bocca chiusa.
< Non voglio limitare la cosa a chi abbia torto e ragione, a cosa sia giusto e sbagliato… Il punto è che il tempo non è in grado di curare le mie ferite, Mister J, e io sono troppo stanca per andare avanti… >.
< Non è colpa mia! Non è quello che volevo! Io avevo... Ho un ruolo, un compito! Ho sempre fatto ciò che andava fatto! > farfugliò il Joker, reso ormai delirante dagli ultimi lampi di orgoglio.
< Va bene, Mister J… Vai avanti a credere di aver ragione, se ti può aiutare. Questo non cambia quello che ti sto dicendo >.
Stava soffrendo almeno quanto lui, se non di più, ma quell’atteggiamento iniziava veramente ad irritarla. Non sapeva se fosse per la consapevolezza che i suoi sentimenti per lui non esistessero o per qualche altra ragione, ma da quando era entrata in quella stanza, non riusciva più a guardarlo con gli stessi occhi.
< E’ finita, Mister J… Sono stanca di essere quello che tu vuoi io sia. Ti sei sempre aspettato da me qualcosa che io non posso essere, tutto quello che facevo per te era un errore, chiunque sarebbe stato in grado di farlo meglio di me. Non ti sei mai reso conto che mi stavi soffocando, che stavi tirando troppo la corda, troppo preoccupato che potessi spezzare i fili con i quali mi muovevi… E io sono sempre stata troppo stupida per rendermi conto che crollavo ai tuoi piedi tutte le volte che serviva… >.
A quell’ultima frase, il Joker parve leggermente confuso, e anche Harley si rese conto, troppo tardi, di aver usato il verbo sbagliato. Se una cosa era rimasta del loro amore fuori dagli schemi, era che lei, anche costringendosi a farlo, non riusciva a mentirgli, nemmeno volendo.
< Che cosa significa, Harley? Dimmelo... > chiese il Joker guardando la sua Arlecchina con espressione confusa, quasi turbata di fronte a quelle dichiarazioni.
< Io non ti ho mai amato, Mister J… > disse con una forza che nemmeno pensava di avere < B-Man era in grado di controllarmi molto più di quanto tu non fossi in grado… Chiedilo a lui, se non ci credi. Ha controllato la mia testa sin dall’inizio, lui ha voluto che io mi innamorassi di te, esattamente come ho fatto, per poterti controllare come si deve. Ed ora che lo so, non posso più pensare di buttare la mia vita per una persona che non amo di proposito… >.
E quelle parole furono il colpo di grazia alle speranze del clown. Tutta una finzione. Tutto quello che aveva rappresentato la coppia Joker e Harley Quinn era solo un machiavellico piano del Cavaliere Oscuro. Il Principe del Crimine non parlò più, limitandosi a volgere il suo sguardo vuoto verso il nemico di sempre. Batman ebbe quell'unica possibilità di parlare, di rivelare loro la verità, ma la posta in gioco era la salvezza di tutta Gotham e la fine di una battaglia che per anni lo aveva svuotato fisicamente e mentalmente, oltre che costargli tante persone care. Così rimase in silenzio ad osservare, sperando in una rapida conclusione. Harley però era solo a metà, e si girò proprio verso di lui, con uno sguardo che ancora non gli aveva dedicato, dal momento in cui si erano visti, quella sera.
< E non pensare che non ne abbia anche per te, B-Man… Ho intenzione di andarmene da qui, il prima possibile, darmi il tempo di riprendermi, e lasciare tutta questa storia alle mie spalle. Ma se mai dovessi ritrovarti sulla mia strada, sappi che non esiterei un momento ad ucciderti… Tu hai rovinato la mia vita dal primo momento in cui ci sei entrato. Non pensare che stia scherzando, lo sai che ti dico la verità: tu vedi la pazzia che c’è nei miei occhi, la follia che sei stato tu ad impiantare dentro di me… E qualunque cosa succeda, qualunque cosa io venga a sapere di te, Batman… Mi sentirai ridere da qui, saprai che Harleen Quinzel sta ridendo di te, quando sarà caduto più in basso. Tu pensi di essere meglio di me soltanto perché sei dalla parte giusta, non è vero? Io non sono come te, tu non hai mai torto… Ma qualcuno mi ha spiegato la differenza molto tempo fa, e cercherò di spiegartela io, la lezione. Io uccido persone, rapino banche, torturo la gente, se questo mi porta solo un po’ di piacere represso… A differenza tua, però, i cittadini di Gotham mi definiscono un mostro, e non mi nascondo dietro ad una maschera per tentare di far loro credere che non sia così. Noi siamo onesti con loro, tu non fai altro che far loro credere di essere migliore di noi, quando invece non lo sei. Credevo che la colpa fosse loro, che tu semplicemente offrissi quello che meritano… E invece sei molto peggio di noi, B-Man. Tu non combatti per nessuno, ed io, francamente, non mi diverto più > disse in un’unica tirata la bionda, prima di abbandonare lo sguardo del Cavaliere Oscuro, che la osservava con la solita freddezza, ma che sembrava meno sicuro di sé del solito. Il Principe del Crimine, invece, era qualcuno che la bionda non aveva mai visto, e che non sarebbe mai riuscita a riconoscere, se non avesse saputo che, dentro la Funhouse, c’erano solo loro tre.
Si avvicinò a passi lenti a lui, porgendogli il costume da Arlecchino che aveva indossato fino a qualche ora prima. Lui non la guardava, limitandosi a spostare quegli occhi scuri che tanto l’avevano fatta palpitare in tutte le direzioni.
< Mi dispiace… > disse lei con un sussurro, trattenendo a stento le lacrime che iniziavano a colmarle gli occhi. Mister J alzò gli occhi su di lei, come se si fosse svegliato all’improvviso, e quello sguardo da bambino le fece stringere lo stomaco come tante altre volte era successo. Appoggiò una mano sui capelli dorati di lei, accarezzandola appena, in un modo tanto dolce e delicato da stupire persino se stesso.
< “Non devi piangere, bambina mia… “ > disse in un sussurro mesto, prima di lasciarla andare. Harley deglutì con forza, prima di chinarsi verso terra, e appoggiare il suo costume da Arlecchina ai piedi del Joker. Non si voltò, nel raggiungere la porta d’uscita, la stessa porta che aveva attraversato nemmeno 24 ore prima, quando credeva ancora che l’uomo che aveva definito per lei la parola Amore stesse per morire. Si girò solo un’ultima volta, incrociando gli occhi con lui, in quello strano silenzio che odorava di addio.
 

“Sembrava che dovessimo vivere per sempre felici e contenti… Ma questo non sarà mai possibile se ci sarà un Batman a tormentare il mio Puddin’”









 

NOTA DELL'AUTRICE: E CON IL 17ESIMO CAPITOLO, VI AUGURO I MIGLIORI AUGURI PER UN ANNO FELICE E PIENO DI SODDISFAZIONI! :)

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Non appena Harleen chiuse la porta alle sue spalle, Batman concentrò tutte le sue attenzioni sul Joker, alzando immediatamente la propria guardia.
Le parole dell'ormai ex Arlecchina lo avevano toccato, ma in quel momento non poteva permettersi nessuna distrazione. Una volta spedito il Clown ad Arkham, si sarebbe concesso tutto il tempo necessario per riflettere, magari seduto nel chiaroscuro della batcaverna con l'ausilio dei saggi consigli di Alfred, ma ora aveva una missione da compiere.
Il Joker era un avversario temibile ed imprevedibile già di natura, ma dopo quello che era appena accaduto, Batman se lo aspettava furioso e, se possibile, ancora più folle. La sua mano scivolò sulla cintura, impugnando il bordo delle sue lame, mentre gli occhi fissavano attentamente il Clown, pronti ad individuarne ogni mossa. Nulla.
Era ancora immobile, come pietrificato dalle parole di Harleen.
Il suo sguardo era vuoto, fisso sul costume di lei, mentre il suo corpo sembrava un lenzuolo steso in balia del vento, senza nessun segno di tensione o di reazione.
< Arrenditi, Joker > provò a risvegliarlo Batman, anch'egli in soggezione davanti alla mancata reazione del pagliaccio. Non ricevette risposta.
< E' finita, arrenditi > riprovò il Cavaliere Oscuro. E il Joker finalmente si mosse, facendo due passi avanti.
< Non ti muovere! > gli intimò Batman, ma lui non lo ascoltò, limitandosi ad estrarre la sua pistola dalla cinta e gettandola via, prima di inginocchiarsi davanti al costume di Harley.
< Ti ho detto di non muoverti! > ripeté l'uomo pipistrello con tono meno convinto. Non capiva cosa il suo psicotico avversario stesse facendo, ma di certo non aveva intenzione di ascoltarlo. Rimase in posizione d'attacco ma, per il momento, decise di lasciarlo fare, cercando di comprendere le sue intenzioni. Il Joker prese il costume rosso-nero tra le mani, lo strinse a sé. Aveva ancora il suo profumo.
"Con i giusti cambiamenti, diventa Harley Quinn! Sì, come il nome della maschera!" ancora quella frase dal passato a perforargli la testa. E poi un'altra. E altre ancora. Nella sua mente malata passarono migliaia di parole ed immagini, testimoni di momenti felici e azioni orribili. Chiuse gli occhi, la testa sembrava stesse per scoppiargli. Avrebbe voluto piangere, ma non ne era più in grado, perciò sorrise. Un sorriso amaro, senza gioia né pazzia, di quelli che rappresentano chi un ghigno lo ha dipinto sul volto, ma ha la morte nel cuore. Cercò di provare rabbia, non ci riuscì. Cercò allora odio, rancore, risentimento, una qualsiasi forma di reazione. Niente. Nel panico più totale provò ad aggrapparsi alla sua ultima risorsa, il suo oscuro passeggero. E fu in quel momento che si rese conto che lui non c'era più, se n'era andato. E fu in quel preciso istante che il Joker capì. Era finita.
Si rialzò, con il vestito tra le mani, e lo appoggiò delicatamente sul tavolo davanti a sé, poi rivolse lo sguardo verso il suo nemico di sempre e sorrise.
< E così alla fine ce l'hai fatta Batsy. Dopo anni di lotta hai sconfitto la tua nemesi... E' finita, hai vinto... > disse allargando le braccia come segno di resa.
< E' un altro dei tuoi stupidi trucchetti? > chiese Batman non fidandosi.
< Nessuno trucco. Stavolta è finita sul serio > rispose lui convinto.
< Ti assicuro che se hai in mente uno dei tuoi scherzi io... > ma venne interrotto prontamente < E' finito il tempo degli scherzi, Batman. Ed è finito il tempo del Joker > e, con un gesto inaspettato, estrasse il suo fido coltello dalla giacca, piantandolo nel piano del tavolo davanti a sé.
Batman ebbe un sussulto involontario. Combatteva il Principe del Crimine da anni ormai, e mai prima di allora aveva visto il suo acerrimo nemico sbarazzarsi della sua fedele lama. Certo, molte volte l'aveva perso durante la lotta e molte altre lui stesso lo aveva tolto dalle sue mani con la forza, ma mai, prima d'ora, gettato volontariamente. Era vero dunque? Era davvero la fine?
< Ho solo un'ultima volontà prima di finire rinchiuso per sempre ad Arkham > disse il Joker ricacciando indietro i sogni di gloria del Cavaliere Oscuro.
< Lo sapevo... Come sempre c'era sotto qualcosa... > rispose ironico Batman quasi sollevato nel sentire quell'obbiezione.
< No Batsy, voglio solo un secchio di acqua calda... > lo smentì mister J conciliante, stupendo ancora una volta il rivale.
< Acqua calda? > chiese sorpreso.
< Acqua calda... Solo quello > confermò < E se non ti fidi puoi anche ammanettarmi, ma ti chiedo questo ultimo favore, in nome della nostra vecchia non amicizia >
Batman esitò. Un po’ d'acqua non poteva certo essere un pericolo, ma il Joker era famoso per la sua capacità di trasformare qualsiasi cosa in un'arma mortale. Eppure, guardandolo, qualcosa gli diceva che l'uomo davanti a sé non era più il suo rivale di sempre. Il coltello gettato, quel sorriso spezzato, la voce priva della sua consueta arrogante ironia.
< D'accordo > disse infine < Ma sarai ammanettato e, alla prima mossa avventata, ti spedisco direttamente nella zona ricoveri di Arkham, intesi? >
Il Joker annuì e protese le braccia in avanti. Batman estrasse le batmanette e gliele infilò, prima di guardarsi intorno in cerca di un recipiente per l'acqua. Non ci mise molto a trovarne uno, dato che buona parte della funhouse era dedicata agli esperimenti chimici, e perciò molto simile ad un laboratorio scientifico. Riempì velocemente il secchio con dell'acqua calda e lo portò al Principe del Crimine.
< Se ancora non credi alle mie parole, forse questo ti convincerà definitivamente > gli disse il Joker, prima di rovesciarsi sulla testa l'intero contenuto del secchio. Questa volta Batman non riuscì a nascondere il suo stupore. Vide il bianco trucco colare lentamente dal suo volto, i suoi capelli mutare dal verde verso un comune nero, le sue labbra impallidire. Non c'erano più dubbi. Questa volta era finita sul serio.
< Non è ironico Batsy? > chiese il Joker passandosi due dita sul volto, asportando il cerone ormai bagnato < L'eterna lotta tra il bene ed il male è finita solo quando le parti si sono invertite. Tu, il paladino della giustizia, costretto a ricorrere ad un subdolo trucco, costretto a giocare con i sentimenti di un'innocente per battermi. Io, il Principe del Crimine, colui che è resistito ad ogni tortura, veleno e che ha ucciso migliaia di persone come fossero insignificanti insetti, sconfitto dai sentimenti per una donna >
Bruce Wayne fece per obbiettare ma si fermò. Non era d'accordo, ovviamente, ma il traguardo tanto ambito era lì, a portata di mano, e far buon viso a cattivo gioco era, così come in precedenza con Harley, il male minore.
< Lo sai? Quando ero bambino anch'io volevo diventare un supereroe... Sognavo di volare sui cieli di Gotham e di proteggere i suoi cittadini dalle ingiustizie. E' incredibile come la vita a volte sia così ironicamente imprevedibile e beffarda, non trovi? > chiese il Joker non ottenendo risposta nemmeno stavolta.
< Sai come mi sono fatto queste cicatrici? > riprovò allora, cercando di attirare la sua attenzione.
< L'hai già raccontato centinaia di volte, e sempre in maniera differente > rispose il cavaliere oscuro, cercando di sembrare disinteressato.
< No... Io intendo come realmente mi sono fatto queste cicatrici > e le indicò. Batman ora le vedeva chiaramente, senza il trucco a coprirle. Erano spaventose. Persino lui rabbrividì al pensiero del dolore che doveva aver provato nel farsele.
< Come ti dicevo ero molto fantasioso da bambino. Sfortunatamente, però, ero anche molto timido e goffo, cosa che mi rese ben presto il bersaglio preferito di professori e compagni di classe. A casa le cose non andavano certo meglio. Mio padre mi odiava. Diceva che ero una femminuccia, uno smidollato, un buono a nulla. Ogni sera tornava dal lavoro ubriaco e mi picchiava. Picchiava me e mia madre > si fermò un istante a guardare le gocce di tinta verde cadere dai suoi capelli.
< Mia madre. Fortuna che c'era lei. Ogni sera veniva da me, a rimboccarmi le coperte. Io la vedevo... Vedevo i segni... Vedevo i lividi... Ma lei mi sorrideva dolce, sempre... "Continua sempre a sorridere tortina mia" mi diceva... "Vedrai che un giorno il mondo sorriderà a te" >
Batman era confuso. Gli stava davvero raccontando la sua vita? E perché? Non capiva, ma non disse nulla, lasciandolo proseguire.
< Crescendo le cose non migliorarono. Liceo e college furono forse ancora peggiori. Venivo puntualmente scherzato e picchiato da chiunque, e le ragazze facevano a gara tra loro per umiliarmi pubblicamente. Non avevo un solo amico al mondo, l'unica cosa che avevo erano i miei libri. Così occupavo il tempo studiando, da solo, divorando libri su libri, specialmente di fisica, chimica e scienze tecnologiche. Questo mi permise prima una borsa di studio, poi una laurea con il massimo dei voti ed infine un lavoro redditizio presso un centro ricerche di fama mondiale. La favola è finita bene starai pensando, vero? Ed invece no Batsy... E' vero, avevo un lavoro che mi piaceva e con uno stipendio gratificante, ma ben presto i miei limiti caratteriali mi resero ancora la marionetta degli altri. I colleghi mi usavano, il mio capo promuoveva chiunque al mio posto e mi derideva davanti a loro. "Dai segni di vita! Renditi utile ogni tanto!" mi diceva sempre... Ogni giorno un inferno... Poi la sera tornavo a casa e le cose peggioravano, se possibile. Mia madre morì di malattia durante il mio ultimo anno di college. "Continua a sorridere" fu ultima frase che mi disse, prima di chiudere gli occhi per sempre. Mio padre continuò ad odiarmi. Il funerale di mia madre fu l'ultima volta che lo vidi in vita mia. Dopo circa due anni di lavoro mi sposai con una ragazza di nome Jeannie. Lei non mi amava, anzi, probabilmente nemmeno mi sopportava, ma i suoi famigliari l'aveva buttata fuori di casa, stufi della sua inclinazione a spendere i soldi altrui senza la minima voglia di guadagnarne di propri, così quando trovò un pollo facile come me da spennare non perse l'occasione. Solo al mondo com'ero non fu difficile per lei sedurmi e convincermi a sposarla. E da quel giorno non si fece neppure più sfiorare da me. Spendeva i mie soldi, frequentava i suoi amanti, rientrava a casa di tanto in tanto solo per dormire o chiedere altro denaro. Sai, a pensarci adesso mi chiedo come facessi a sopportare tutto ciò... Eppure ho vissuto così per anni... Fino... > s'interruppe guardando Batman < Fino a che ebbi la mia brutta giornata... >
Il cavaliere oscuro annuì. Tante volte il Joker aveva nominato quel giorno, il giorno in cui tutto ebbe inizio.
< Sembrava una brutta giornata come tutte le altre > riprese < ed invece mi aspettava molto di peggio. Il mio capo si presentò da me sorridente quella mattina. Mi disse che gli era stato dato il compito di ridurre i costi e tagliare il personale non necessario. Hai qualche idea su chi fosse, Batsy? Esatto... Proprio io... Licenziato su due piedi, nonostante fossi uno dei più qualificati ed esperti. Ed in più mi obbligò a lasciare tutti i miei progetti nelle sue mani. "Questi appartengono all'azienda" mi disse. Arrivai a casa angosciato quella sera. Non sapevo come dire a Jeannie che ero senza lavoro. Non fu un problema. Qualcuno mi aveva preceduto, perché quando entrai la casa era mezza vuota. Jeannie se n'era andata per sempre, insieme a tutta la sua roba. Lasciò solo un misero biglietto dove diceva di aver finalmente trovato un uomo forte ed autoritario, che sapeva proteggerla e che la faceva sentire al sicuro. E poi lui sorrideva, la faceva ridere... > e il Joker si fermò un istante, per togliere un po’ di trucco che gli stava colando sulle labbra.
< Ridere... Sorridere... Tutto il mondo voleva solo quello da me! Era troppo. Era troppo persino per me. Sfogai la mia rabbia, distrussi tutto quello che mi capitò a tiro. Non era abbastanza. Il mondo mi aveva escluso dai giochi, non avevo più nessun motivo di esistere. Rovistai tra i vecchi scatoloni del ripostiglio finché non trovai quello che cercavo... Un vecchio coltello che mio nonno lasciò a mia madre > e il suo sguardo finì proprio sull'arma, ancora conficcata nel tavolo < Ero pronto a farla finita quando, per la prima volta, lei apparve... >
< Lei? > chiese Batman quasi senza volerlo, ormai coinvolto nel racconto.
< Lei... Lui... Dipende dal nome che vuoi dargli, o se semplicemente vuoi basarti sulla forma che assume > spiegò il Joker.
< Tu stai parlando di... > azzardò Bruce Wayne iniziando a capire
< Sto parlando della mia musa ispiratrice, la Dea di cui ero la voce e il braccio armato, il mio oscuro passeggero... Sto parlando di quella che tutti chiamano follia... >
Batman annuì. Le tessere del puzzle si stavano pian piano incastrando nel mosaico finale.
< Mi apparve come un fantasma, una figura sfuggevole ma allo stesso tempo percepibile, reale. Ero una preda facile in quel momento e lei ne approfittò subito, prendendo le sembianze di mia madre. "Non farlo tortina mia" mi disse "Tu hai una missione da compiere. Tu devi portare in questo mondo la giustizia che solo il caos può dare." Io non capivo, credevo semplicemente di essere impazzito, ma rivedere mia madre e sentire la sua soave voce mi spinse ad ascoltarla, a chiederle cosa dovessi fare. "Segui le mie parole" mi rispose "E continua a sorridere." Non obbiettai. Quella visione era l'unica cosa che mi restava, così decisi di seguirla. Il vecchio me morì in quel momento, un nuovo io stava per prendere il suo posto. Avevo bisogno di una nuova identità, qualcosa di grande impatto, che rimanesse scolpita nelle menti delle persone, così da permettermi di svolgere al meglio la mia missione. Fu ancora lei ad aiutarmi, indicandomi un mazzo di carte sparpagliato sul pavimento. E lì lo vidi, in risalto rispetto alle altre del mazzo. Il Joker. Mi tornarono in mente le parole della mia vera madre quand'ero bambino, e lei non perse occasione di ricordarmele. "Ti piacciono i clown tortina mia?" "Si mamma, mi fanno ridere." "Stima e prendi sempre esempio da clown e giullari figlio mio. Loro sono l'esempio vivente di chi sorride e porta felicità anche quando è triste dentro." Aveva ragione. Il mio destino era essere uno di loro. Il mio destino era il Joker. Mi procurai abiti sgargianti, trucco per il viso e tinta per capelli. Mi mancava solo una cosa. Il sorriso. Lo volevo eterno, volevo sorridere per sempre proprio come mi chiedeva lei, perciò presi il mio coltello e lo infilai nella mia bocca, facendomi queste. Passai giorni in preda alla febbre da infezione, cicatrizzando le ferite in modo che rimanessero perenni. Rischiai l'infarto per il dolore che provai, ma sapevo che era necessario, ero convinto che per far regnare il caos, la sofferenza era la base da cui partire. Diventare il pagliaccio principe del crimine fu più semplice di quanto pensassi. La gente crede che uccidere sia difficile... Finché non ci prova... Il primo fu il mio ex capo. Lo sgozzai in pochi istanti, senza che lui nemmeno si rendesse conto di chi fossi, o forse sì, visto che mentre moriva io mi riprendevo tutti i miei progetti... Poi fu il turno di Jeannie. Prima uccisi la sua nuova fiamma, con un semplice colpo di pistola alla testa, perché di lui non m'interessava. Lei invece si vendette come al solito, e per la prima volta si concesse a me con tutto il suo corpo. Io ne approfittai prontamente, sfogando tutti i miei istinti su di lei e, una volta terminato di usarla come se fosse una comune prostituta di strada, le aprii il ventre in due, rimanendo ad osservarla mentre moriva. Fu lì che scoprii un innato talento nell'uccidere ed un immenso piacere nel farlo, così continuai, e ben presto diventai il criminale Principe di Gotham, con un'intera banda di spietati criminali come gang e con addirittura un supereroe come Batman alle sue calcagna > concluse ormai quasi completamente struccato.
< Ma come dico sempre il bello del caos è che è sempre equo, persino con i suoi più fedeli servitori. Tutto quello che mi ha dato in questi anni me lo ha tolto oggi, e nel modo più ironico possibile, attraverso il sentimento per una donna > e lanciò un'ultima occhiata verso il costume di Harley.
< Ma forse non è così ironico pensandoci. Forse è solo così che poteva andare a finire... Perché in fondo anche l'amore fa parte del caos... > e rialzò lo sguardo, mostrandosi per la prima volta come se stesso. Batman quasi stentava a credere che l'uomo davanti a lui fosse il suo storico rivale. La pelle pallida e rovinata dal trucco, i capelli scuri e spenti, grosse occhiaie simbolo di una vita disagiata e labbra di un rosa anonimo, prive del fuoco che il rossetto dava loro. Un uomo come tanti, una persona comune, di quelle che ti passa accanto per la strada e nemmeno la noti... Questo sarebbe se non fosse per quelle due vistose ed orribili cicatrici.
< Mi dispiace Joker. Tante persone soffrono nella vita, ma non arrivano a compiere quello che tu hai fatto. Hai commesso troppi crimini e ucciso troppi innocenti per essere perdonato. Finirai il resto dei tuoi giorni ad Arkham, com'è giusto che sia > disse Batman cercando di nascondere quel poco di pietà che provava per lui.
< Io non voglio essere salvato. So benissimo quello che ho fatto e sono pronto a pagarne le conseguenze > rispose raggiungendolo e allungando le due braccia ammanettate verso di lui < Fa il tuo dovere, supereroe >
Il Cavaliere Oscuro annuì ed accompagnò il suo prigioniero fuori dall'edificio. Passarono diversi minuti al freddo di Gotham, in attesa dell'arrivo di Gordon ed i suoi uomini.
< E' strano. Dovrebbero essere già qui ormai > disse Batman cercando di nuovo il contatto radio. Ma non ci riuscì. Qualcosa dall'ombra lo colpì, stordendolo. L'ultima cosa che vide, prima di perdere i sensi, fu la sua radio scivolare lontano da lui.
 
 

« Tutto ciò che serve è una brutta giornata per ridurre l'uomo più sano di mente alla follia. Ecco tutto ciò che mi separa dal resto del mondo. Solo una brutta giornata. Tu hai avuto una brutta giornata, una volta. Ho ragione? So che è così. Voglio dire. Hai avuto una brutta giornata e tutto è cambiato. Perché altrimenti ti vesti come un topo volante? »

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Ebbe giusto il tempo di chiudersi la porta alle spalle, prima di crollare a terra, considerata la poca resistenza delle sue gambe. Si aspettava di sentire i colpi arrivare uno dietro l’altro, di assistere passivamente all’eterno scontro tra bene e male, sfida che conosceva bene, ma alla quale, questa volta, non avrebbe partecipato. Batman intimò al Joker di arrendersi, ma non ricevette risposta. Si immaginava Mister J con in mano il suo adorato coltello, pronto a scattare alla minima distrazione, che di solito era proprio lei. Aveva ancora negli occhi il suo sguardo mentre gli diceva che era finita, che non l’aveva mai amato. In teoria era vero, ma più passavano i secondi, più si domandava se tutta quella storia avesse significato. Cosa rendeva un amore vero o falso? Il fatto che nascesse da un corteggiamento, o dal proverbiale colpo di fulmine? Cosa poteva cambiare se i sentimenti che provi ti sconvolgono da dentro, anche se è stato qualcun altro a farli nascere? Stava arrivando alla soluzione di quel pensiero, a una risposta che, solo qualche giorno prima, non avrebbe mai pensato di voler sentire, quando un rumore sordo interruppe tragicamente i suoi pensieri. Aveva sentito quel suono tante volte in passato, e di solito capitava, con decisamente più violenza, quando un colpo non andava come doveva. Il coltello di Mister J rimaneva conficcato nel tavolo per tutta la notte, finché la bionda, la mattina dopo, non lo andava a mettere a posto, mentre il Clown dormiva. Non l’avrebbe mai ammesso, ma faceva così solo quando si rendeva conto di aver fallito, e se lo sentiva adesso… Un brivido gelido percorse la schiena di Harley, che si avvicinò di più alla porta, per sentire quello che Batman e il Joker stavano dicendo. Sentì il Principe del Crimine chiedere dell’acqua, e lei lo conosceva fin troppo bene per non sapere a che cosa gli servisse. Nonostante vivessero insieme da tanti anni, erano veramente poche le volte in cui l’aveva visto “al naturale”, e il fatto che lui si struccasse davanti al Cavaliere Oscuro era qualcosa di sconvolgente. Si sentiva quasi tentata ad entrare, quando Mister J iniziò a raccontare della sua storia, a raccontare tutti i dettagli della sua adolescenza, della vita prima di diventare il Joker. E la sua brutta giornata…
Tutte le volte che la sentiva, non riusciva a non pensare che il suo compagno altro non fosse che una pover’anima bisognosa di amore e di accettazione, e non il maniaco omicida che tante volte aveva sentito descrivere. Era vero, non si poteva considerare un santo, ma come tutti i criminali di Gotham, aveva un buonissimo motivo per essere quello che era… Esattamente come lei…
Come un’illuminazione improvvisa, trovò la risposta alle domande che si stava facendo solo qualche istante fa. Batman aveva creato tutti loro, aveva creato Poison Ivy, Harvey Due Facce, il Joker, e aveva creato lei. Tutto quello che ne derivava, poteva essere sbagliato, ma ormai era parte di lei.
“Hai iniziato a vivere quando sei entrata ad Arkham” le aveva detto una volta la voce mentale di Batman, e lei era sempre più sicura che fosse così. Lo sentì parlare di Jeannie, e l’odio per quella donna che nemmeno conosceva tornò a riempirle gli occhi, desiderando di essere stata lei, a darle il colpo di grazia.
Lo sentì raccontare del suo primo incontro con la follia, e come se stesse parlando con lei, Harl si girò verso la provenienza della sua voce, incredula di fronte a quella scoperta. Tra tutte le cose che era riuscita a farsi raccontare, questa il Principe del Crimine l’aveva tenuta ben nascosta, forse per paura di scoprirsi troppo, con lei. Ma ora, con l’uomo pipistrello, non era più un problema, perché l’aveva già detto e ripetuto più volte. Era finita, non era più il criminale più spietato e subdolo di tutta Gotham, era l’uomo di prima, una persona ormai morta e dimenticata da tutti, che faceva a pugni con l’altro suo io per venire fuori.
Come se una forza invisibile la facesse staccare dal muro, Harleen si allontanò, alla ricerca del suo martello con lo sguardo. Non era molto lontano, e con la forza che aveva imparato a sviluppare da quando stava col Joker, lo sollevò da terra, andando a nascondersi dal lato opposto dell’abitazione. Appoggiò la fronte alla parete, mentre la lotta eterna che riempiva la sua testa continuava a sferrarsi colpi a vicenda. Tornare col Joker, sapendo di che morte morire, oppure fare a meno di lui, soffrendo più di quanto lui fosse in grado di fare?
Le due pulsazioni iniziarono ad aumentare, di fronte alla descrizione delle cicatrici, qualcosa che sicuramente lui non le aveva mai detto. L’alone di mistero costruito intorno alla loro creazione lo affascinava, e non aveva mai raccontato la verità a nessuno, a riguardo. Riusciva quasi a sentire il suo dolore, la febbre che si alzava, la cicatrizzazione delle ferite che lui stesso aveva fatto, sentì il suo cuore fermarsi per qualche interminabile istante, per poi ripartire, battendo più forte. Solo una persona come lui, che aveva visto la morte in viso, poteva essere così innamorato della morte stessa.
< Ma forse non è così ironico pensandoci. Forse è solo così che poteva andare a finire... Perché in fondo anche l'amore fa parte del caos... > lo sentì dire dall’interno, e in reazione la Quinzel chiuse gli occhi. Non l’aveva mai sentito dire che l’amava così intensamente, ed era veramente ironico pensare che la prima volta, fosse quando lei non avrebbe nemmeno dovuto essere lì. Strinse con più forza il manico del martello, mentre calde lacrime amare iniziavano a rigarle le guance: non sapeva se fossero di gioia, di dolore o solamente di stanchezza. Sentì la porta che si apriva, e in un lampo la concentrazione tornò a farsi presente, dandole modo di osservare con precisione le due figure che uscivano. Una tronfia e enorme, l’altra con le spalle curve, come un condannato a morte, nonostante la mole. Si prese alcuni minuti per prepararsi, per riprendersi quel costume che era sempre stato suo e, una volta pronta, si nascose nell'ombra, caricò il colpo e con tutta la furia che provava, nei confronti di quel maledetto Uomo Pipistrello, lo centrò con il suo enorme martello…
 
Ansimava pesantemente, appoggiandosi all’arma che aveva appena stordito Batman, lasciandolo probabilmente svenuta a terra, sicuramente non morto. Si asciugò la fronte con una mano, sbuffando soddisfatta della sua azione a sorpresa. Si sentiva talmente entusiasta, che quasi si dimenticò della presenza del Joker. Solo quando i loro sguardi si incrociarono, Harleen Quinzel tornò alla realtà, guardando negli occhi il suo uomo. Per assurdo, lui fu il primo a levare lo sguardo, sintomo di quanto non si sentisse nei suoi panni. E non solo.
Il Joker provò una miriade di emozioni in quegli attimi, ma a prendere il sopravvento fu l'istinto di sopravvivenza, la voglia di nascondere alla sua Arlecchina l'essere che era diventato.
< Non mi guardare! > esclamò coprendosi il volto con le proprie mani. Ma quello che doveva sembrare un ordine autoritario, risultò come la disperata supplica di un uomo che si vergognava di se stesso.
Harley sorrise, chinandosi verso di lui. Lo guardò per qualche istante, inclinando la testa da un lato all’altro, prima di prendere le mani poste sul suo viso tra le sue, portandogliele via. Si avvicinò, lasciando che le proprie dita affusolate, circondate dai suoi strettissimi guanti neri, si posassero sulle guance del Joker, dritte sulle cicatrici, segno inconfondibile dell’uomo che amava.
< Non ti devi preoccupare… Capita a tutti di avere una brutta giornata, Puddin’ > disse Harley alzandosi, e portandolo in piedi con lei. Uno sguardo fugace, le sue mani che si allontanavano dalle proprie, sentirle afferrare i codini del copricapo da giullare. Il suo sguardo che arriva in profondità, quegli occhi scuri che la segnavano dentro. Tutte le volte. Vide l’accenno di un sorriso, e sentì le sue labbra sulle proprie, come se volesse entrare nella sua bocca, di forza. Non la baciava spesso… Quasi mai… Non era quel tipo d’uomo…
Chiamarlo peccatore, chiamarlo santo… Non aveva importanza. La loro storia sarebbe finita? Non aveva importanza… Avrebbe mai cambiato i suoi modi? Non aveva importanza.
 
L’avrebbe amato per sempre.









NOTA DELL'AUTRICE: Ho tergiversato molto prima di pubblicare questo capitolo, ma la storia meritava una conclusione, e quindi, stavolta, siamo proprio alla fine. Inizio con ringraziare tutti coloro che hanno anche solo aperto un capitolo a caso, chi ha letto qualcosina, chi ha letto la storia dall'inizio alla fine, e chi l'ha amata come l'ho amata io. Ringrazio in particolare:
lamour
Niniel Virgo
queenofoto
Chihiro
Aleca92
ary_cocca88
Cam Dragonis22
Harley Sparrow
kagura
LadyCissy
Margherita Dolcevita
Cam Dragonis22
kiaky98
ary_cocca88
Fluorescent

Un ringraziamento particolare va a lalla _JH per la costanza con la quale ha seguito e commentato la storia, senza mancare mai un capitolo. Grazie veramente di tutto!
In più, se vi va, vi consiglio di ascoltare le canzoni che hanno ispirato questa FanFiction:

  • Call Me degli Shinedown;
  • Numb dei Linkin Park
  • Just a Little Girl degi Trading Yesterday.
Grazie mille a tutti/tutte per l'affetto. Alla prossima!
Un ultima cosa: ringrazio personalmente il MIO Mister J per l'aiuto che mi ha dato con la storia. Grazie. Di tutto.

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