Let me tell you a story.

di composetomejustin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A complete stranger. ***
Capitolo 2: *** Two hot chocolates, please. ***
Capitolo 3: *** I stay here, good night baby. ***
Capitolo 4: *** You'll never be afraid. ***
Capitolo 5: *** I would kiss you. ***
Capitolo 6: *** No one is weak. ***
Capitolo 7: *** I'm sorry. ***
Capitolo 8: *** You're perfect to me. ***
Capitolo 9: *** A ray of light. ***
Capitolo 10: *** It isn't only a judgment. ***
Capitolo 11: *** Don't be scared. ***
Capitolo 12: *** Deeply in love with you. ***



Capitolo 1
*** A complete stranger. ***



Dieci e un quarto di sera. Devo sbrigarmi o mi toccherà subire le lamentele di Hailey che a quest'ora sarà sicuramente rientrata da una ventina di minuti. Forse se mi muovo a passo veloce riesco a prendere il taxy in tempo per la cena di famiglia e sorbirmi solo metà della ramanzina. 
Colpa di Josh, se non mi avesse trattenuta così a lungo sarei già a casa, con i vassoi pieni di cibo tra le mani, giusto in tempo per la serata che tanto i nostri familiari si sono impegnati ad organizzare. Ma adesso scaricare la colpa a vuoto è inutile, devo velocizzarmi ancora un po'. Uno, due, tre, quattro, i passi si susseguono velocissimi. Nonostante stia correndo il mio corpo non ha ancora il calore necessario per cominciare a sudare. Fa così freddo qui fuori ed il cielo è così buio ma la gente continua a sbucare da ogni dove. Dai negozi, dalle piccole stradine, dalle metropolitane, sembra una catena animata, un flusso infinito. Dovrei essere abituata a tutto questo caos, considerato che mi sono trasferita a New York esattamente quattro anni fa, invece arrivo puntualmente in casa con la solita emicrania ed il bisogno di tranquillità che offusca tutte le altre necessità. Chissà cosa staranno pensando i miei genitori. Nella loro mente staranno già affiorando decine e decine di possibilità. La prima è che mi hanno rapita e di questo ne sono più che sicura e sono altrettanto sicura che una di quelle strane e assurde ipotesi, quella che più mi da su i nervi, l'unica che forse, al sol pensiero, potrebbe conferirmi quel calore che sto ancora cercando di acquisire, sia che sto girovagando senza curarmi dei miei impegni. 
Cos'altro starà balenando nella loro mente adesso? Mh, si ci sono. 
«Quella ragazza, non ha il minimo buon senso. Non pensa a noi, che abbiamo sopportato un viaggio così lungo e stremante per venirla a trovare. Abbiamo organizzato questa serata con mesi di anticipo coinvolgento persino i genitori di Hailey e lei sta mandando tutto a monte. Non cambierà mai.» 
Ecco cosa starà formulando la loro mente in questo momento e devo aggiungere che mi fa rabbia. Ma sarà meglio svuotare la mente e pensare solo a raggiungere quel dannatissimo taxy. Dieci e venti. Posso farcela. Mi stringo al mio cappotto color fango mimetizzandomi tra la folla e col fiato corto continuo a farmi spazio tra le onde umane che minacciano di soffocarmi in qualunque momento. Una decina di metri e ci sono. L'aria comincia a farsi più fredda pizzicandomi le narici. Apro la borsa, e continuando ad avanzare, tiro fuori una foulard cromaticamente abbinato al cappotto e me lo annodo al collo. Così va molto meglio. Riesco a scorgere il marciapiede da qui ed è un sollievo. 
Tengo la testa bassa e mantengo la stessa velocità per almeno cinque o sei metri. Mi fermo a riprendere fiato. Ritorno alla mia posizione iniziale ansimando un po' dalla fatica, quando il mio sguardo cade sul cappotto puntellato di piccole macchioline più scure. Passo la mano sul tessuto. E' freddo ma riesco a percepire l'umidità che quelle piccole forme hanno rilasciato. Acqua. Il mio istinto mi suggerisce di alzare lo sguardo al cielo. Le gocce che prima erano così deboli da passare inosservate adesso si sono trasformate in una fitta parete che viene giù a rilento seminando scompiglio. Non è possibile, non adesso. Quelli che dapprima erano solo passi veloci si sono trasformati in una vera e propria corsa. Sono sul marciapiede e tengo alto il braccio per attirare l'attenzione di qualche tassista. Prego che qualcuno si fermi e mi dia uno strappo, chiunque a questo punto potrebbe essere la mia salvezza. Le auto sfrecciano a velocità elevatissime. Dubito che si accorgeranno di me. L'acqua sta trapassando gli abiti congelandomi le spalle. I capelli ormai inumiditi hanno perso la loro vivacità data dai ricci che fino a qualche secondo fa mi ricadevano sulla fronte. Tengo il braccio alzato rivolgendo uno sguardo alla gente che ho intorno. Hanno tutti un aria rilassata e calma. Mi domando come facciano. 
Sicuramente loro non staranno perdendo un importantissima cena di famiglia e queste per loro non rappresentano altro che due goccie d'acqua. Il suono di un clacson richiama improvvisamente la mia attenzione. Mi volto. Un taxy è appena accostato proprio di fronte a me. Un viso dall'aria simpatica, fa capolino dal finestrino e poggia lo sguardo su quella figura completamente fradicia che sono adesso.
«Buonasera signorina,ha bisogno di un passaggio?» Il suo è uno strano accento. Non penso sia di qui. E' un accento lavorato da anni e anni di servizio in strada. 
«Salve. Si, ne avrei un bisogno urgente.» Cerco di assumere un tono di voce più simpatico possibile.
«In realtà c'è già qualcuno che aveva prenotato la corsa prima di lei. Non vorrei lasciarla qui, al freddo e sotto la pioggia, perciò se ha la pazienza di attendere fino alla sua fermata, le do uno strappo.» Ho esattamente cinque secondi per prendere una decisione. Restare qui, sotto la pioggia e preda facile del freddo, nell'attesa di un taxy libero o entrare dentro quest'auto, al caldo e attendere qualche minuto prima di poter tornarmene a casa. La scelta è palese. 
«La ringrazio.» Dico in tono gentile. Mi avvicino alla portiera e velocemente entro nell'auto lasciandomi cadere sul sedile posteriore. E' così accogliente. Niente a che fare con il freddo e l'ostilità delle strade di New York, dove nessuno sembra interessarsi di quello che lo circonda. Poggio la borsa sul sedile di mezzo proprio accanto al mio, slaccio il foulard ormai fradicio e lo rimetto dentro. Mi scosto le ciocche di capelli bagnati dalla fronte e li trattengo un po' tra le mani per poi lasciarmele cadere sulle spalle. Tra un paio di minuti saranno già asciutte. Non sarò ancora arrivata a destinazione ma almeno mi consolo ricordandomi che sono al riparo. Mi volto verso il mio finestrino tenendomi stretta al cappotto. Sarò anche al riparo ma non smetto ancora di tremare. Fuori sembra tutto calmo e la pioggia non smette di cadere. Sono passati dieci minuti e a questo punto penso che non smetterà adesso. Rivolgo uno sguardo veloce all'orologio. Dieci e mezzo. Pensavo il tempo stesse passando più velocemente ma sono comunque in ritardo di un'ora e mezza. Non mi perdoneranno mai. Poggio la testa sullo schienale e chiudo gli occhi cercando di svuotare la mente e di prendermi quei cinque minuti che di solito mi bastano a riordinare i pensieri. Il mio momento di relax viene pero', subito spezzato da una melodia. Il tassista ha acceso la radio. Prendo un respiro e ritorno alla posizione iniziale. 
«Allora signore, siamo quasi arrivati a destinazione.» Lancio una frecciata al tassista. Signore? ma di che sta parlando? 
«Grandioso, la ringrazio.» Risponde una voce. 
Mi volto di scatto. Ma certo, è il tizio di cui mi parlava prima il tassista, quello che aveva prenotato la corsa. Certo che è stato proprio previdente. 
Indossa un paio di pantaloni neri ed un giacca grigia. Ai piedi ha delle scarpe col collo alto dello stesso colore del cappottino. Ha il capo poggiato sul finestrino e non scolla lo sguardo dall'esterno del taxy. Le goccie d'acqua, che lentamente scivolano sul finestrino, si riflettono sul suo viso apparentemente ben riposato. Un paio di occhi luminosi fissano le forme indistinte che ci sfrecciano davanti, senza fermarsi neppure per un secondo. Tiene le mani sulle ginocchia. I suoi capelli color grano, tirati su col gel, gli conferiscono un aria rilassata, tipica di qualcuno che sa sempre il fatto suo. 
«Allora signorina, si sente meglio?» La voce del tassista mi risuona nelle orecchie. 
«Si, molto meglio, la ringrazio.» L'uomo tira giù lo specchietto e mi inquadra. 
«Ne sei sicura? stai tremando.» Abbasso lo sguardo fissandomi le braccia. Ho la pelle d'oca. Sorrido scorgendo d'un tratto, gli occhi del ragazzo fissarsi sui miei. 
«Si, è vero. Sto morendo di freddo ma almeno sono al riparo e di questo devo ringraziarla.» 
«Si figuri signorina. E' il mio lavoro. Allora, come mai era così nel pallone?» E' bastata una domanda a mettermi completamente sottosopra. Non sono tenuta a rispondere ma sento di doverlo fare. Si, devo aprirmi ad un perfetto sconosciuto.
«Stasera ho una cena di famiglia. I miei sono venuti a trovarmi sopportando un viaggio di ore ed ore ed io li ripago arrivando in ritardo.» Dico in tono sommesso. Lo sguardo del tassista si fa più vuoto, cupo.
«Beh, signorina. Sono sicura che la sua famiglia potrà perdonarla. Nessun genitore ama portare avanti una guerra con i propri figli, mi creda.» Semplici parole. Parole coincise. Parole che solo un perfetto sconosciuto poteva tirar fuori. Parole che mi hanno risollevato il morale, o almeno in parte. Di certo ce l'avranno con me, ma non potranno odiarmi per sempre. Sono loro figlia. 
«Si, ha ragione. Quindi in una serata mi ha salvato dalla pioggia e dalla malinconia. E' un supereroe,vero?» Il mio tono stranamente serio suscita una risata generale da parte del tassista e del biondino che fino a qualche momento fa non aveva detto una parola. 
«Lei mi ha fatto saltare la copertura.» Dice l'uomo con la voce strozzata dalle risate. «Allora,come si chiama?» Riprende un tono serio.
«Sono Faith.» Rispondo.
«Fede.» Sussurra il mio compagno di viaggio. Mi volto. «Si,fede.» Annuisco. 
«Uh, che bel nome. E lei giovanotto?» continua il tassista. 
«Sono Justin, molto piacere.» Mi stringe la mano. Fisso la nostra stretta. Ha le mani grandi e così calde. Ho voglia di ficcarmici dentro e non uscirne più. Il freddo si sta impossessando di tutto il calore che mi rimane. «Piacere mio.» Rispondo sorridendo. Justin Torna a fissare il finestrino ed io mi appoggio di nuovo allo schienale. La mie palpebre pian piano cominciano a chiudersi ma l'assordante suono di un clacson mi fa sussultare. Apro gli occhi e mi affaccio al finestrino. Una fila infinita di automobili blocca il passaggio.
«Ragazzi, devo darvi una brutta notizia. Più brutta per Faith che per Justin. Siamo bloccati.» Sbarro gli occhi e rimango a fissare il vuoto per due secondi. Il telefono squilla. Rispondo. La voce di mamma mi risuona nelle orecchie. Parla troppo velocemente. Non riesco a capirla. Adesso singhiozza. C'è qualcosa che non va. D'un tratto non sento più nulla. Il telefono ha ceduto. E' spento. Lo getto in borsa e mi prendo la testa tra le mani. Cerco di trattenere le lacrime. Non posso piangere di fronte a due perfetti sconosciuti. Non posso. Non posso. Non devo. Sento una leggera pressione sul sedile accanto al mio. Alzo il capo. Justin è scivolato accanto a me. Seguo con gli occhi ogni suo movimento. Allarga le braccia. Le stende per bene. Scivola ancora verso di me. Mi blocca in una stretta fortissima. D'istinto poggio il capo sul suo petto. Mi avvolge col suo cappotto. Le sue labbra si poggiano sul mio capo. Sento il suo respiro caldo tra miei capelli.
«Tranquilla Faith. Andrà tutto bene.»

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Capitolo 2
*** Two hot chocolates, please. ***


Undici di sera. I clacson continuano ad imprecare. Il frastuono è udibile da qualsiasi punto ed io vorrei tapparmi le orecchie ma sono consapevole che sarebbe inutile. La pioggia continua a cadere e credo proprio che non abbia intenzione di cessare. Ogni goccia si tuffa dalle nuvole più alte fino a schiantarsi sull'asfalto gelido. Tutti i rumori si uniscono, si mischiano, si legano fra di loro. Per un attimo cessano, come per garantirmi un minuto di tranquillità, per poi riprendere il loro corso. Un velo di nebbia ricopre tutti i finestrini impedendoci di guardare al di fuori. Una scia bianca squarcia il cielo illuminando l'interno dell'auto. Un tuono. Sobbalzo. Un urlo strozzato mi resta bloccato tra le labbra. Un sibilio riesce stranamente a calmarmi. Un paio di braccia robuste sono allacciate ai miei fianchi e mi tengono stretta, come per non lasciarmi fuggire, per tenermi per sempre legata qui. Vorrei andarmene, sfondare questa portiera e correre in strada, raggiungere i miei genitori, dir loro che mi dispiace, che non sono la figlia perfetta ma che non mi sarei mai presa la briga di sminuire una serata in programma da così tanto tempo. Vorrei vedere mamma e chiederle perché stava singhiozzando. Ho bisogno di sapere il significato di quelle parole spezzate dal pianto. Vorrei andarmene da qui. E invece sono raggomitolata in un cappotto nella speranza di non patire esageratamente il freddo. 
Sento qualcosa in gola. Un nodo forse. Mi schiarisco la voce. Il nodo è ancora qui. E' solo l'ansia. Una leggera brezza mi fa rabbrividire. E' uno spiffero di aria gelida che fuoriesce dal finestrino semichiuso. Intreccio le mani sfregandole fra di loro. Il corpo accanto al mio si sta muovendo. Alzo lo sguardo. I miei occhi incrociano un sorriso enorme, luminoso. Un sorriso caldo, familiare. Justin si sporge tendendo il braccio in direzione della portiera. Si piega ancora un po'. Ora il suo petto è contro il mio viso. E' caldo. Sento il suo cuore. Batte costante. Tu-tum - Tu-tum - Tu-tum. Afferra la leva e la fa ruotare. Uno, due, tre volte. Il finestrino è chiuso ermeticamente. Si muove di nuovo. Il battito adesso si sta facendo lontano. Justin si è messo seduto. Le sue braccia sono nuovamente allacciate ai miei fianchi. Quale sarà il suo colore preferito? avrà una sorella? possiede già un auto? e se la possiede perché viaggia in taxy? quanti anni ha? è già maggiorenne? è nativo di qui o si è trasferito tempo fa, come ho fatto io? perché si sta prendendo cura di una perfetta sconosciuta? Non so nulla di lui. E di certo non ho intenzione di mettermi a fare domande. O almeno non adesso. 
«Va meglio?» La sua voce spezza ogni mio pensiero. 
«Oh, si ti ringrazio.» Ho detto grazie tante volte nella mia vita. Molto spesso per dovere, altre perché sentivo di doverlo fare. Questo grazie, pero', viene dal cuore. 
«Hai ancora freddo?» Ha un tono premuroso. Come quello che di solito assume nonna quando mi domanda se necessito di un'altra coperta prima di mettermi a dormire. 
«Giusto un pochino.» Sorrido.
Il suo corpo si sta muovendo ancora. Le sue braccia adesso sono in vita, esattamente sulle mie. Le sue mani ne stanno stringendo altre due. Grigie e gelide come il ghiaccio. Stringono forte. Sempre più forte. Sento il calore guizzarmi dentro. La sensazione migliore che io abbia provato da quando sono entrata in questa scatoletta di metallo. Il suo capo si poggia sul mio. Rieccolo, quel respiro caldo. Mi abbandono a questa sensazione. I suoi abbracci sanno tanto di casa. Di sicurezza. Si,sicurezza. Ecco come mi sento, al sicuro. Al sicuro fra le braccia di un perfetto sconosciuto. Eppure quegli abbracci non mi sembrano sconosciuti. Calore, sicurezza. Sicurezza, calore. Protezione. Justin mi sta proteggendo. Non dal freddo. Non dagli spifferi gelidi. Dall'angoscia. 
Un tuono sta facendo tremare le pareti dell'auto. Eccone un altro. E' più forte di quello precedente. Mi piacciono i temporali ma quando sono così violenti mi viene voglia di rifugiarmi laddove questi suoni assordanti non siano così evidenti. La mano calda di Justin è sul mio viso adesso. Sta percorrendo con delicatezza la guancia. E' sul mio collo. Continua il suo percorso bloccandosi sulle spalle. Le sta massaggiando. Ha il tocco delicato. 
«Neppure a me piacciono i temporali, soprattutto se sono violenti» Sta sussurrando. «Pero' devi stare tranquilla,mh? Ci sono io qui.» 
La sua aria da duro ha decisamente preso il sopravvento. Un biondino dal fare strano e cupo che ha paura dei temporali. Conoscenze così non si fanno tutti i giorni. 
"Ci sono io qui" - "Ci sono io qui" questa frase mi riusuona in testa. E' strano come solo un paio di mani calde lungo i fianchi possano garantirti protezione.
«Ragazzi, siete così silenziosi, va tutto bene lì dietro?» Il tassista si volta. Ha l'aria preoccupata. Adesso ci sta fissando. Fissa due figure a stretto contatto l'una con l'altra. Sto provando vergogna. Sento la guance scaldarsi. Saranno così rosse adesso. 
«Si, è tutto okay, non si preoccupi. Piuttosto com'è la situazione lì fuori?» Adesso è Justin ad avere un'aria preoccupata. 
L'uomo esita un secondo. Come se stesse cercando di formulare una risposta abbastanza eloquente. 
«Dovremmo poter muoverci fra una quindicina di minuti.» Dice con aria quasi allegra. «C'è stato un incidente. Proprio sull'entrata in autostrada, così mi hanno riferito.» L'aria allegra è svanita.
«Un incidente?» La mia voce è rauca. Fastidiosa. Maledetto nodo. Emetto un colpo di tosse nella speranza che mi lasci in pace. 
«Si, una ragazza in scooter ed un uomo in auto sono gli artefici di tutto questo scompiglio.» Risponde il tassista.
«E stanno bene?» Continua Justin. 
«Non si sa nulla in merito. Ma lo scontro non dev'essere stato molto violento.» Tiriamo entrambi un sospiro di sollievo. L'uomo in divisa ancora ci fissa. Mi domando a cosa stia pensando. Ad un tratto ho voglia di staccarmi da Justin. Quella sensazione è scomparsa. Senza di lui, probabilmente gelerei. 
«Ragazzi, stavo pensando che abbiamo esattamente un quarto d'ora, potremmo fare qualcosa. Certo non mi riferisco ad una bella passeggiatina in strada, visto e considerato che qui fuori c'è il temporale. Pero' proprio all'angolo c'è una caffetteria. Potete tranquillamente fare una sosta.» 
Non è una brutta idea. Mi andrebbe qualcosa di caldo. Inoltre uscire da questa gabbia mi farebbe bene. 
«Che ne dici,Faith?» Justin sta cercando un mio sguardo. 
«Per me va bene.» Gliene lancio uno di approvazione. 
La nostra stretta che fino a qualche secondo fa sembrava indivisible ora si è sciolta lasciando una lieve scia di calore ed un enorme vuoto che molto presto verrà colmato da quest'aria gelida. Justin tira su la zip della giacca ed io abbottono per bene il cappotto. Scuoto i capelli, che ormai sono tornati ricci, e mi passo le mani sul viso, come per cancellare le preoccupazioni. Justin è scivolato verso l'altro sedile ed ha già aperto la portiera. Afferro la borsa e scivolo anche io nella sua direzione. Mi lancia un occhiata, come per avvertirmi di stare attenta perché piove a catinelle. Annuisco in segno di assenso. 
«Io vi aspetto qui, non posso lasciare l'auto incustodita. Avete un quarto d'ora. A dopo.» Ci raccomanda il tassista.
Sento di nuovo quello strano calore. Justin mi ha preso la mano e si sta muovendo in direzione della caffetteria. I nostri passi sono coordinati. All'avanzare del mio piede destro avanza anche il suo, così come con il sinistro. La caffetteria è molto luminosa. Luce. Finalmente luce, dentro quell'auto non c'è n'era granchè. Mi sento sollevata. 
«Perché non vai a sederti a quel tavolo mentre io ti porto qualcosa di caldo?» Offerta allettante, come rifiutare?
«Grazie Justin.» Gli lascio la mano con delicatezza, nel modo meno brusco possibile come per fargli capire che apprezzo quello che fa. Mi allontano. Lì in fondo c'è un tavolo libero. Prendo posto su una delle poltroncine color corallo sbiadito e mi metto ad aspettare. Sto guardando Justin. Sto osservando il modo in cui si atteggia. Il mondo in cui sorride. E' strano come riesca a sembrare sempre sereno. Vorrei riuscirci anche io. 
«Due cioccolate calde,per favore.» Sta giocherellando con le scarpe dondolandosi avanti e indietro. Si è voltato. Mi sta guardando. Sorrido e abbasso la sguardo. Maledetto cellulare. Avrei dovuto metterlo in carica stanotte. Maledetta io. Non ne combino una giusta. Forse i miei hanno ragione nel dire che.. Oh, ecco Justin. Sta avanzando verso di me con due tazze in mano. Ha una strana espressione. Ho capito, le tazze scottano. Com'è buffo con quell'espressione in viso. Mi faccio scappare una risatina.
«Quindi io mi scotto le mani e tu ridi di me?» Poggia due grandi tazze calde sul tavolo. Ed io ne tiro una verso di me. E' troppo calda per berla ma almeno mi ci posso scaldare le mani. 
«Avresti dovuto vederti, eri buffissimo.» Il nodo in gola non c'è più. L'ansia è svanita. Strano. 
«Lo prendo come un complimento.» Sta sorridendo ancora. Dannazione, come ci riesce? 
«Lo è infatti.» Justin mi sta guardando. Sembra pensieroso. Chissà a cosa starà pensando.
«Allora...Faith» Ho l'impressione di stare per scoprirlo. «Da quello che ho capito, conta molto l'opinione dei tuoi genitori per te. A tal punto di voler far di tutto per non deluderli.» Abbasso il capo. Sto fissando la tazza fumante di quel dolciastro preparato. Dei biscottini ci stanno annegando dentro, insieme ad un sottile velo di panna montata. 
«E' esattamente così. Tutto quello che ho fatto nel corso della mia vita, l'ho fatto per compiacerli, per renderli fieri di me e invece? Sto mandando a monte una serata importantissima.» Non distolgo lo sguardo dalla tazza. 
«Beh, pero' tutto questo non è colpa tua. Non potevi sapere che ci sarebbe stato un incidente, che ti saresti bagnata fradicia, che avresti incontrato un idiota come me.» Sta sorridendo. Non è il suo solito sorriso. E' uno di quei sorrisi un po' falsi. Lo so cosa si aspetta. Si aspetta un complimento da parte mia. Vuole che gli dica che in realtà non è affatto un idiota. 
«Si, hai pienamente ragione su tutto.» Beh, perché dagli questa soddisfazione? 
«Mi trovo di fronte ad una ragazza piuttosto difficile,mh. Ben venga.» Alzo gli occhi dalla tazza. Fisso i suoi. Sguardo di sfida. Scoppio a ridere di cuore. Adesso mi stanno fissando tutti. 
«Posso sapere perchè ti sei comportata in quel modo dopo la chiamata?» Adesso è lui ad evitare il mio sguardo. 
«Era mamma e stava singhiozzando. E' successo sicuramente qualcosa.» La mia voce è flebile, spezzata. «Io...Ho paura.» Justin allunga il braccio e mi prende la mano. 
«Stai tranquilla. Sono sicura che era solo preoccupata per te. Quando tornerai a casa e si renderà conto che stai bene, la situazione si ristabilizzerà.» Il suo tono è così calmo, rilassato. La sua voce è dolce. Quando parla è come se cantasse. Se intonasse tenere melodie che mi accarezzano l'udito. Mi piace sentir Justin parlare. 
«Grazie,davvero.» Comincio a mandar giù la cioccalata. Sorso dopo sorso. Il liquido mi scorre dentro. Mi sto scaldando. Lancio un occhiata all'orologio. Justin fa lo stesso. Entro due minuti dobbiamo essere in auto. Mandiamo giù tutto e poggiamo le tazze ormai vuote sul tavolo. Ci teniamo di nuovo per mano e stiamo correndo verso il taxy. Le auto che prima sembravano immobili cominciano a muoverci. Il tassista aveva ragione. La fila si è sbloccata. Justin apre la portiera e lascia entrare me per prima poi scivola sul sedile anche lui. Ci stiamo muovendo. La caffetteria si è fatta lontana, non la vedo più. Mi avvicino ancora un po' al finestrino. C'è un po' di scompiglio qui. Non capisco. Un auto accartocciata è irroconoscibile accanto a quel muro. Per terra ci sono pezzi di vetro sparsi ovunque. Proprio accanto all'auto giace uno scooter. E' italiano. Riesco a riconoscerli quelli. C'è ne sono pochi qui. E' azzurro. C'è ne sono pochi anche di quelli. E quella forma indistinta è decisamente un casco. C'è una scritta sopra. Una scritta in nero. E' molto chiara. Sconforto. Paura. Terrore.
«Hailey!» Apro con forza la portiera. Sono in ginocchio. Sto urlando. La pioggia continua a cadere. Molto meglio. Le mie lacrime possono confondersi almeno. Lacrime che si dilagano come fiumi in piena. Lacrime fredde come il gelo e amare come il sapore della paura.  

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Capitolo 3
*** I stay here, good night baby. ***


Non ho mai provato così tanta paura. Non mi sentivo così da quella volta in cui rischiai di far fuggire il mio canarino dalla gabbia. Terrore di perdere qualcuno di estremamente importante. Non si tratta del mio canarino. Si tratta della mia migliore amica. Non è solo questo. Lei è mia sorella. Sono quattordici anni di amicizia. Quattordici lunghissimi anni. Come passa in fretta il tempo. A volte vorrei imbottigliare ogni attimo piacevole. Intrappolarlo per sempre. Poi sfilare il tappo e assaporare ogni bella sensazione. Lasciare che esse invadano l'ambiente circostante, che mi pervadano. Osservare gli avvenimenti più lieti volteggiare delicatamente e quelli più eccitanti rimbalzare contro le pareti. Avrei dovuto intrappolare Hailey in una gabbia. Non sarebbe riuscita a fuggire. Sarebbe ancora lì dentro a cinguettare di gioia. Nella mia mente affiora un'immagine. Sta lentamente prendendo forma. Si dirama. E' lei. Ha un straccio a pois in una mano ed un contenitore allungato nell'altra. Si muove con sicurezza tra le stanze afferrando tutti gli oggetti che ritrova nel suo raggio visivo. Li spolvera e li rimette al loro posto. Si avvicina alle finestre e le spalanca, una per una. Dice che ama l'aria pura del mattino. Afferra un vaso di rose. Il suo sguardo si perde in uno spumeggiante tappeto color sangue. Chiude gli occhi. Affina l'olfatto e si riempe il polmoni. Quasi riesco a sentire quel profumo anche io. Profumo di rose. Profumo di casa. Profumo di sicurezza. Profumo di Hailey. Adesso ha tra le mani un contenitore viola. E' pieno d'acqua. Abilmente annaffia ogni fiore senza tralasciare neppure un petalo. Distende le labbra. Si schiarisce la voce. Ora sta cantando. La sua voce, mi sembra di sentire la sua voce. Una voce rauca e allo stesso tempo calda e accogliente. Hailey ama intonare le note dell'ultimo singolo messo in commercio. Dice che una volta ascoltate, canzoni del genere restano impresse, soprattutto se sono orecchiabili. Allora continua. Accarezza gli steli e le foglie senza smettere di giocherellare con la voce. Adesso il mio canarino non canta più. 
«Si alzi signorina, si alzi per piacere!» Scuoto la testa in dissenso senza neppure prendermi il disturbo di guardare negli occhi il mittente di quel rimprovero. Stringo tra le mani il casco di Hailey. E' pieno zeppo d'acqua. La pioggia non smette di piompare con violenza sul terreno. Il mio cappotto è zuppo, così come i miei capelli ed il resto dei miei abiti. Avrò lasciato la borsa in auto. Meglio così, almeno non rischio di bagnare i miei documenti. L'aria è così gelida. Ad ogni mio respiro segue una nuvoletta di vapore che si dissolve in meno di un secondo. 
«Coraggio Faith, alzati.» Un paio di mani sono sulle mia braccia. Cercano di tirarmi su. Sono così calde e morbide. Mani familiari. Justin. 
«No, non voglio! lasciami marcire qui, sotto la pioggia. Hailey, dii loro di lasciarmi in pace! Hailey dove sei? Hailey!» Sono in piedi adesso, quelle mani familiari sono sulle mie spalle. Mi stringono. Il casco mi scivola dalle mani. Tento di afferrarlo. Non riesco e lascio perdere. Mi sto allontanando a passo lento. Vedo un uomo in allontananza. Si sta dirigendo verso di me. Ha l'aria stanca e stremata ed un espressione angosciata dipinta in viso. Ho di nuovo paura. 
«Lei è la signorina Faith?» Ha un tono cordiale perlomeno. 
«S-si... sono io.» Le parole sono bloccate in gola e spezzate tra le labbra. 
«Dovrei parlarle in privato.» La paura sta aumentando così come la tensione. Non è più paura. E' terrore. 
L'uomo in divisa mi scorta all'interno di un autogrill a pochi passi da dov'è avvenuto l'incidente. Mi fa segno di sedermi così dopo avergli dato retta, lui e Justin prendono posto rispettivamente di fronte e accanto a me. Un paio mani calde stanno stringendo le mie. So cosa vuol significare questa stretta. 
«Sii forte Faith, andrà tutto bene.» Forse non andrà tutto bene ma a me toccherà comunque essere forte. 
Gli occhi grigi e spenti dell'uomo sono puntati sui miei. Mi domando ancora cosa diamine stia succedendo. La sensazione di terrore non mi abbandona.
«Arriviamo al dunque, signorina.» Sembra avere un'aria decisa. «La sua amica Hailey ha avuto un incidente, andava ad ottanta all'ora mentre il limite è di cinquanta e non solo, stava anche girando l'angolo mantenendo tale velocità. Pare che nello stesso momento un auto stesse risalendo proprio quella strada e... Può dedurre il resto.» 
Questa è un pugnalata. E' un male tremendo. Un dolore incontenibile. No, è solo il sapore della realtà. 
Non ho la forza di fare domande, di chiedere spiegazioni. Riesco solo a piangere. Justin sembra averlo capito perché mi stringe le mani più forte. Adesso ha preso parola.
«E la ragazza come sta?» Sembra avere paura anche lui. La sua voce trema ed il suo sguardo è cupo. 
L'uomo in divisa esita un attimo, poi finalmente ci da una risposta. «La ragazza è in ospedale. Non si è fatta nulla di grave. E' stato un vero e proprio miracolo.» 
Adesso sto piangendo più forte. Mi fissano tutti. Chissà se si sono resi conto che non sto più provando tutto quel dolore. Piango di sollievo. Non riesco a crederci. Per un attimo ho temuto che il mio canarino fosse fuggito, invece adesso ho la certezza di poterlo di nuovo sentire cantare. 
«Justin, dobbiamo andare a trovarla.» E' la frase più lunga che io abbia formulato negli ultimi minuti. Nei miei occhi è ancora evidente la scia che ha lasciato l'angoscia prima di andar via. Non può dirmi di no.
«Si, Faith, Andiamo.» Ecco, ne ero certa. «La ringraziamo per le informazioni, signore. Arrivederci.» Conlude. 
Usciamo dalla porta principale e proprio sull'uscio troviamo parcheggiato il nostro taxy. Io e Justin ci lanciamo un occhiata. Lui sta inarcando le sopracciglie. Il finestrino si abbassa. E lo stesso viso simpatico di qualche ora fa, fa capolino. 
«Forza ragazzi, saltate su e in fretta, piove a dirotto!» Non deve neppure finire la frase che siamo già sui sedili posteriori. 
L'uomo poggia le mani sullo sterzo. Abbassa il capo e prende un respiro, poi mi inquadra con lo specchietto.
«Stai bene, Faith?» Sembra un po' preoccupato. Mi dispiace avergli arrecato qualche danno. 
«Non esattamente, adesso ho solo bisogno di andare da Hailey.» «In ospedale.» Continua Justin. 
Lo specchietto è tornato al suo posto. Ci stiamo già muovendo. Il luogo dell'incidente si fa lontano. Ho deciso che è lì che lascio tutto il mio dolore. Justin ha ragione. Andrà tutto bene. 
In men che non si dica siamo nel parcheggio dell'ospedale. Justin apre la portiera e scivola fuori. Io lo seguo ed immediatamente mi accorgo che non ha smesso di piovere. 
«Beh Justin, grazie mille di tutto. Spero di rivederti presto.» Accenno un sorriso. Non è un sorriso vero ed ho paura se ne renda conto. Non capisco che cosa mi prenda. 
Non voglio lasciarlo andare? Non mi va che le cose tornino normali? Non vorrei soltanto chiudere quella portiera e scordarmi di ogni cosa? 
La risposta è la stessa per tutte le domande. Solo che ancora non so qual è. 
«Mi rivedrai prestissimo allora perché io non ho intenzione di andare da nessuna parte.» Justin mi sta guardando fisso negli occhi. I suoi occhi. Così luminosi, così chiari, così veri. Il suo sguardo. Così sincero, così ben intenzionato. Mi sta trafiggendo l'anima. Forse anche lui si sta ponendo tutte quelle domande. Forse neppure lui ha ancora trovato una risposta.
Mi limito ad evitare il suo sguardo. Mi sento in debito adesso e questa sensazione non mi piace. 
«Ragazzi, fate con comodo. Io vi aspetto qui. Ah, a proposito, sono George.» Sta accennando un piccolo sorrisetto. E' il primo sorriso che vedo da ore. 
«Ma no, lei vada, non vogliamo arrecarle disturbo.» Justin si sta frugando nelle tasche. Tira fuori il portafogli. Ma quando è sul punto di sfilare qualche dollaro nota il finestrino ermeticamente chiuso. 
«Mi sa che non ha intenzione di accettare nulla da noi.» La mia voce è spezzata da una leggera risatina. Justin mette al posto il denaro. D'istinto gli prendo la mano e lo trascino di corsa verso l'entrata. Ci rivolgiamo ad una dipendente e lei ci da le giuste indicazioni per trovare Hailey. Siamo dentro l'ascensore. Sembra metterci un'eternità invece sono solo io che sono nervosa. Finalmente le porte si aprono ed io mi catapulto fuori. In fondo, seduta su di una panca, c'è Loreine. La madre di Hailey. 
Guardo Justin. Non ho il coraggio di avvicinarmi. Adesso vorrei tanto andar via. Ma lui mi da una leggera spinta ed io provoco un fastidioso rumore con le scarpe, così fastidioso da attirare l'attenzione di Loreine che alla mia vista salta in piedi. 
Sta correndo verso di me. Mi abbraccia e mi stampa un bacio sulla testa. La guardo negli occhi. 
«Loreine io...» Cerco di assimilare le parole. 
«Non dir nulla piccola. Sappiamo che sei rimasta bloccata nel traffico. Lo abbiamo visto al telegiornale. E' tutto ok.» Ed un altro peso mi è scivolato addosso sbriciolandosi sul terreno. 
«Hailey? Come sta? Posso vederla?» Domando impaziente. 
«No, nessuno può vederla. Le stanno facendo vari controlli e stanotte subirà un operazione alla gamba. Devono estrarre delle scheggie di vetro. Ma stai tranquilla, il dottore ha detto che è estramamente semplice eseguire questo procedimento. Domattina sarà già fuori.» 
«E' meraviglioso. Grazie a Dio. E i miei genitori?» 
«Loro sono già in albergo. Hanno ritardato il volo e sposato la cena.» 
«Sono arrabbiati, Loreine?»
«Certo che no, piccola. Non è colpa tua che la fila si sia bloccata e neppure che Hailey sia uscita per venirti a cercare.» Rieccolo, il peso che prima si era sbriciolato sul terreno si sta ricomponendo e mi sta di nuovo percorrendo le spalle.
«E' uscita per cercare me? Ed è per questo che è rimasta coinvolta nell'incidente? Io non riesco a crederci! E' tutta colpa mia.» Le lacrime sono tornate a scendere. 
«Non lo è tesoro, okay? Come potevi sapere che sarebbe uscita a cercarti e oltretutto con quel tempaccio? Abbiamo cercato di trattenerla ma quando si tratta di te, non da retta a nessuno.» Abbasso il capo. Non so più che pesci pigliare. Che pensare. Ho voglia di dormire. Di abbandonarmi al calore del mio letto e al mio risveglio trovare Hailey e le sue canzoni commerciali, le sue rose, il suo straccio a pois.
«Tornatene a casa, Faith.» Loreine mi sta accarezzando il braccio come per darmi conforto. Adesso sta spostando indietro i ricci lasciando libera la fronte poi mi stampa un bacio anche lì. Si è voltata sorridendo, si sta allontanando. Il rumore dei suoi passi mi risuona in testa. Mi volto anche io. Justin mi sta fissando. Mi prende per mano e mi scorta in ascensore senza dire una parola. Sa che non servirebbe a nulla. Siamo fuori, ci muoviamo a passo veloce lasciandoci l'ospedale alle spalle. Justin apre la portiera ed io scivolo dentro l'auto, incrocio le braccia ed attendo che le sue mani stringano di nuovo le mie. Penso di averci fatto l'abitudine e non è una gran bella cosa, visto e considerato che molto spesso le abitudini diventano necessità. 
Eccolo, ecco il suo calore trasferito nelle mie mani.
Nemmeno George dice una parola. Si limita ad inquadrarci con lo specchietto. Poi ad un tratto la sua voce rompe il silenzio. 
«Dove vi porto?» Domanda. 
«Il 90 di Camellias Street» Rispondo. 
L'auto si muove velocemente. Magari George crede che abbiamo fretta, che sia ora di riposare e dopo tutto ha ragione. Eccolo, riesco a vedere l'uscio di casa. L'auto si ferma e George scende. Justin lo segue e lo stesso faccio io. Rimaniamo in silenzio per qualche minuto guardandoci negli occhi. Nessuno dice una parola, neppure una strozzata. Decido di rompere il silenzio.
«Non so come ringraziarvi. George, lei è stato così gentile e disponibile, non fa solo il suo lavoro e se mi sbaglio allora, lo fa meglio di chiunque altro. Le sono davvero grata.» L'uomo sta sorridendo mettendo in mostra le sue rughe d'espressione. Mi volto verso di Justin. I suoi occhi color nocciola incontrano i miei, scuri e cupi in questo momento. 
«Justin... Tu non sai chi sono, non sai praticamente nulla di me ma mi sei stato accanto tutto il tempo. Mi hai offerto il tuo calore. Hai riempito il silenzio con i tuoi sorrisi. Sei stato così premuroso e io dav..»
Rieccolo quel calore piacevole. Le braccia di Justin sono intrecciate ai miei fianchi. Mi stringe. Mi stringe forte come se volesse legarmi a lui per sempre. Mi sento al sicuro. Una sensazione di paura mi percorre la schiena. Non voglio che questi abbracci diventino un esigenza. Un bisogno. Perché quando non potrò più riceverli, beh allora passerò le giornate desiderando di provare ancora questo calore.
Poggio le mani sulle sue braccia e delicatamente mi stacco. Assaporo la quella luce immensa che madre natura ha intrappolato dentro i suoi occhi. Come se dovessi vederla per l'ultima volta. 
«Faith» Mi ha preso la mano. 
«Faith.. Questo è un addio?» 
Gli addii mi hanno sempre spaventata. Non ho mai detto addio a nessuno. Non ho mai lasciato che le persone a cui voglio bene se ne andassero. Sì, perchè le porto con me dovunque io vada. La vita spesso, è una sequenza di addii. Alcuni detti alle persone care, all'infanzia, alla giovinezza, persino all’amore. Ogni volta che c'è un addio, qualcosa dentro muore. E' per questo che preferisco gli arrivederci. 
Un lampo ha appena squarciato il cielo. La pioggia scende più fitta di prima. George si è catapultato in auto.
«Coraggio Justin, andiamo! mi dispiace ma non c'è più tempo per le chiacchiere.» 
Mi ha lasciato le mani. A passo lento si avvicina alla portiera. Prego che non si volti. Non riuscirei a sopportare ancora una volta quel buco all'anima. Un tuono. Sobbalzo emettendo un grido. Justin si è voltato. Ha l'aria preoccupata. Le sue mani tremano. Non ha neppure cercato la maniglia della portiera. Justin non ha intenzione di andar via. Io non posso lasciarglielo fare.
«Faith?» Leggo le sue labbra. La sua mente. So cosa mi sta chiedendo e questa volta so cosa rispondere.
«No, non è un addio.» 
-
«C'è la stanza degli ospiti infondo. Puoi dormire lì stanotte.» 
«Oh, fantastico. E' molto lontana dalla tua camera?» 
«No, Justin. Perché me lo chiedi?» 
«Non vorrei starti troppo lontano.» 
«Ah,no?»
«No... insomma. Ti mancherei troppo.»
«Ma sta zitto e pensa a sistemarti di là. C'è un bagno in camera, fa come fossi a casa tua.»
Mi allontano ridendo. Entro in camera, faccio una doccia e mi infilo sotto le coperte. Lascio la porta della camera spalancata e mi rendo conto che Justin ha fatto lo stesso. Spengo la luce. I tuoni risuonano fortissimo dandomi quasi fastidio. Mi volto e sprofondo sul cuscino. Riesco ancora a sentirli. Un lampo filtra dalle tapparelle illuminando la stanza intera. Un altro tuono, stavolta più forte. Sento le pareti tremare. Stringo le coperte tra le mani portandomele fin sulla testa. 
«Faith?» Una voce rimbomba dalla camera degli ospiti.
«Si, Justin?»
«Stai bene?»
«Sto bene.»
«Sicura?»
«Sicura.»
«Buona notte allora.»
«Notte.» Dico sottovoce. Sto cominciando a realizzare che non sarà una buona notte. Questa considerazione non mi piace affatto. Sprofondo di nuovo sul cuscino e cerco di liberare la mente. Ci sono appena stati un paio di scricchiolì. Li ho sentiti chiaramente. Eccone altre due. Non ho paura. E' solo il vento. Si, il vento. Avverto una pressione sul letto. Si fa sempre più presente. Allontano la coperta dal viso e mi metto seduta. Il cuore batte velocissimo.
«Hey tranquilla, sono solo io. Rilassati e poggia la testa sul cuscino. Va tutto bene.» 
Justin sta parlando sottovoce. Come se non volesse svegliare gli spiriti della notte. Mi piace. 
Decido di dargli retta. Non dico una parola. Mi distendo e basta. Lui mi ha appena rimboccato le coperte. Tende la mano. Mi scosta i capelli. Sta giocherellando con i ricci. Se li annoda alle dita e poi lascia che si snodino da soli. Sta sorridendo. Mi passa una mano sul viso, come ad evidenziarne i lineamenti. Il chiarore della luna fa risaltare il suo profilo. Semplice. Candido. Fuori il temporale non cessa. L'acqua scorre sui vetri delle finestre. Justin si volta per un attimo ad osservare le tapparelle. Si alza e le chiude ermeticamente. Torna accanto a me. Sta sorridendo. Mi prende il viso tra le mani. Si china. Mi stampa un bacio sulla fronte. Uno sul naso. Un altro su entrambe le guance. 
«Resto qui finché non ti addormenti. Notte, piccola.»

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Capitolo 4
*** You'll never be afraid. ***


La pioggia piomba velocemente sul terreno e il gocciolare dell'acqua produce un ticchettìo sul soffitto. Gli animali notturni cercano riparo sotto la chioma degli alberi mentre il vento ulula imponente. Dalla finestra non si riesce a scorgere le solite stelle luminose che tutte le sere compiono un girotondo di luci. Le nuvole oscurano ogni cosa. Justin è ancora accanto a me. Non riesco a vederlo ma sento il suo respiro. Mi domando se voglia una coperta da mettersi addosso. Immagino che sia infreddolito. E' da un po' ormai che è seduto qui. Tendo la mano. Non riesco a vedere nulla. Il suo petto è nudo. Ha la pelle fredda, gelida. La mia mano è sul collo adesso. Justin ha piegato la testa impedendomi di muoverla. Anche la sua guancia è fredda. Mi libero dalla stretta e proseguo. Sono sul suo viso. Accarezzo ogni lineamento. Sento i muscoli contrarsi. Sta certamente sorridendo. Salgo ancora. Il ciuffo biondo non è più tirato su col gel. E' morbido e fluente. La mia mano è tra i suoi capelli. Mi annodo alcune ciocche bionde tra le dita e poi lascio si sciolgano da sole. Justin si è lasciato scappare una risatina. Deve piacergli. Adesso torno giù. Percorro di nuovo il viso. Il collo. Il petto. Accarezzando come se stessi scoprendo ogni lineamento per la prima volta. La mia mano è tornata sotto le coperte. E' completamente ghiacciata. Adesso ne sono sicura. Justin sta gelando. 
«Hey.» Sto sussurrando. I miei occhi cadono nel buio più profondo. Cercano una risposta. 
«Che c'è, Faith?» 
«Hai freddo?»
«No, tranquilla. Sto bene.»
«Ma... Sei ghiacciato.»
«Non è nulla, davvero.»
Stringo la coperta tra le mani. Me la sollevo di dosso. Sposto il mio peso verso il bordo del letto. E' un letto a baldacchino. Non è molto grande ma due persone possono starci comodamente. 
«Entra su.» 
In un primo momento non ricevo nessuna risposta. Justin sta facendo pressione sul letto. Ha sollevato le coperte un altro po'. E' accanto a me adesso, col viso rivolto al soffitto. 
«Uh, è caldo qua sotto.»
«Lo so, Justin. E fortuna che non avevi freddo.» 
Sta ridendo di cuore. Anche il suono della sua risata sembra musica. Starei qui ad ascoltarlo ridere per ore ed ore. 
Adesso ha smesso. Sta riprendendo fiato. Il letto trema. E' lui che si sta avvicinando. 
«Parlami di te.» Non è una domanda. Neppure un ordine. E' solo una richiesta colma di curiosità. 
«Non c'è molto da dire. Sono originario del Canada ma ho deciso di continuare i miei studi qui. I miei genitori sono divorziati ed io vivo con mia madre, o meglio, vivevo con mia madre. Adesso abito ad una ventina di isolati da qui. Insieme al mio migliore amico che è partito insieme a me un paio di mesi fa. Si può dire che siamo nuovi di questo posto.»
«Capisco.»
«E tu?»
«Per me è più o meno la stessa cosa. Mi sono trasferita da qualche anno con la mia migliore amica ed anche io studio qui. Sono partita in cerca di indipendenza ma molto spesso mi mancano i pranzi cucinati da mamma o le passeggiate in auto con papà.»
«Si, posso capirti.»
«Certe volte vorrei tornare indietro. Poi mi rendo conto che anche se lo facessi, prenderei ancora la stessa decisione.»
Quando mi sfogo è un bene che nessun altro si intrometta o mi blocchi mentre parlo. E' una cosa che non sopporto. Mi piace il modo di fare di Justin. Lui è lì ma lascia spazio a me e alle mie parole. 
«Posso confidarti un segreto, Justin?»
«Certo, Faith.»
«Prometti di non ridere e di non rivelarlo a nessuno?»
Justin mi ha preso la mano. Solleva il mignolo e lo intreccia al mio.
«Te lo prometto.»
«Beh... Molto spesso ho paura. Ho paura di molte cose. Non di cose stupide come i temporali. Ho paura e basta.»
Non dice nulla. Mi domando a cosa stia pensando. 
«Adesso ti svelo un segreto anche io, pronta?»
«Pronta.»
Si avvicina a me. Le sue labbra sono a pochi centimetri dal mio orecchio. Mi stringe la mano. Prende un respiro.
«Anche io ho paura, proprio come te.» 
Mi volto verso di lui. I suoi occhi sono attraversati da una luce biancastra. E' il chiarore della luna che filtra attraverso le tapparelle. Justin non deve averle chiuse nel giusto modo. 
«Tu hai paura?»
«Esatto, Faith. Ed è normale averne, sai?» Stringe la mano più forte. «Paura di non essere abbastanza. Paura di aver preso la decisione sbagliata. Paura di non riuscire ad essere ciò che si vuole. Paura di essere abbandonati. Paura di restare da soli. Paura di fidarsi delle persone sbagliate. Paura di non essere considerati. Paura di essere poco apprezzati. Paura di mostrare quello che si prova. Paura di essere respinti. Paura di essere derisi. E poi c'è la paura più frequente. Paura di sbagliare. Paura di aver sbagliato. Paura delle conseguenze dei propri sbagli.»
E' così strano come un perfetto sconosciuto riesca a leggermi ciò che provo negli occhi, anche in una stanza completamente buia. 
«Come faccio a non aver paura, Justin?»
«Beh... Non c'è un modo sicuro. Pero' tutte volte che avrai paura, io sarò qui per te.»
«E cosa mi dirai per farmi stare meglio?»
«Ti dirò che sbagliare umano. Che non devi esitare nel buttarti per paura di commettere qualche errore.»
«E poi?»
«E poi ti dirò che sei stupenda. Che gli errori che commetti alla fin fine ti migliorano e non te ne rendi neppure conto.»
«Io non sono stupenda, Justin.»
«Sh.»
Si avvicina ancora di più. Non posso allontanarmi. Anche se volessi non potrei. Due motivi. Il primo. Sono proprio sul bordo del letto e rischierei di cadere se solo mi muovessi. Il secondo. Mi piace che mi stia così vicino. 
«Per me lo sei Faith, per me sei stupenda. Anche se hai paura, perché anche io ho paura. Ma potremo essere forti insieme.» 
Il suo petto nudo è contro il mio. Non è più freddo. E' caldo e accogliente adesso. Ed è nella lista dei posti in cui vorrei stare per sempre. Riesco a sentire il battito del suo cuore. Tengo le braccia tese. Come per creare una sorta di scudo fra di noi. Lui solleva la coperta e se la lascia cadere addosso. Poi comincia a stringermi. Poggio la testa sul suo petto. Lo scudo di prima è andato distrutto. Gli scudi servono a fornire protezione. Protezione da qualcosa che potrebbe ferire. Justin non è una di quelle. 
Ha le braccia annodate sulle mie spalle. Mi sta accarezzando la schiena. Anche le sue mani sono calde. La mia schiena è scoperta. Vorrei raggomitolarmi tra le lenzuola. Il gelo mi fa sentire vulnerabile. Il calore mi fa sentire protetta. 
«Hai la schiena gelata.» Fantastico. Anche lui se n'è reso conto. 
Uno spiffero di aria gelida mi pervade. Justin ha sollevato la felpa. Sta percorrendo la schiena lentamente. Sento che va già meglio. 
Mi stringo ancora a lui. Così forte che per un momento temo di fargli del male. 
«Da adesso non avrai mai più freddo Faith. Non avrai mai più paura.»

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Capitolo 5
*** I would kiss you. ***


La luce filtra dolcemente attraverso le flessure della finestra. Nell'aria, soave profumo di terra bagnata. Il cinguettìo degli uccelli segna l'inizio di nuovo giorno. Mi è capitato parecchie volte di esser triste di primo mattino senza sapere minimamente il perché. Anche se allo stesso tempo sono consapevole che un certo perché deve inevitabilmente esistere. Ma non oggi. 
Sento uno strano bruciore agli occhi. La luce mi infastidisce. Li sfrego più volte. Sbatto le palpebre. Va già meglio. La stanza è luminosa e fresca. Sulla parete è dipinto goffamente un arcobaleno di luci. Mi volto spostando il peso dalla parte opposta del letto. Qualcosa mi impedisce di spostarmi ancora. Una figura è rannicchiata proprio accanto a me. Ha le coperte fin sul capo. Si scorgono solo alcune ciocche bionde tutte arruffate. Tiro via le lenzuola dal viso, delicatamente. Justin sta ancora dormendo. 
Deve essersi assopito senza rendersene conto. Ha un espressione serena ricamata in volto. Il suo respiro è regolare. Mi avvicino ancora un po' a lui. Non posso fare a meno di ammirarlo. Penso sia normale avendolo ad una così breve distanza. 
Le sue labbra sembrano dipinte da un pittore. Sono carnose. Perfette. Ha le guance arrossate. Gliele sfioro con la mano. Sono bollenti. Dalla fronte scendono un paio di goccioline di sudore. Il suo petto è così caldo, fin troppo caldo. Mi metto seduta e chinandomi poggio le labbra sulla sua fronte. Scotta. 
Emette due o tre lamenti. Qualche volta fa come per voltarsi dal lato opposto ma cede non appena si rende conto di non avere le forze necessarie. Penso abbia l'influenza. Sarà meglio che prenda il termometro, così per esserne sicuri. Mi scosto le coperte di dosso. Poggio i piedi sul pavimento. Avanzo verso il bagno cercando di fare rumore il meno possibile. Apro l'anta dell'armadietto e tiro fuori la borsa delle medicine. Afferro una piccola custodia rosa sbiadito. Metto tutto a posto e torno in camera da letto. Justin è ancora nella stessa posizione. Non si è mosso neppure di un centimetro. Sollevo le coperte e mi seggo accanto a lui. Apro la custodia e tiro fuori il termometro. Glielo adagio sotto il bracio e attendo qualche minuto prima di estrarlo. Segna trentotto e mezzo. 
Lo sapevo. Si è inzuppato così tante volte a causa mia che era palese si prendesse l'influenza. 
Mi scalzo ancora una volta le coperte di dosso e mi direggo verso il bagno. Faccio una doccia veloce. Asciugo i ricci e mi vesto. Do una sistemata in giro e torno in camera da letto. Rimbocco per bene le coperte a Justin ed entro in cucina. Prima di dargli una pasticca voglio assicurarmi che faccia colazione così da poter riacquistare un po' di forze. Prendo le uova dal frigo e della farina. Unisco il tutto in un contenitore poi verso la pastella su di un tegame e lo metto sul fuoco. Preparo una mezza dozzina di fritelle e le ripongo su di un piatto, poi ci verso sopra un po' di sciroppo d'acero. Prendo un bicchiere di vetro dalla credenza e ci verso dentro del succo di arancia. Apro il cassetto. Afferro una forchetta ed un coltello, poi metto il tutto su di un vassoio. Mi capita spesso di preparare colazioni come queste al mattino. Lo faccio spesso per Hailey. Lei va matta per le mie fritelle e spero siano di gradimento anche per Justin. Stringo bene il vassoio tra le mani e mi faccio strada tra i divani. Esco dalla cucina e facendo attenzione a non inciampare sui tappeti entro in camera da letto. Lascio il vassoio sul comodino e mi dirigo verso il bagno. Cerco la pasticca per l'influenza. Ci sono davvero tanti medicinali qui. Dovrei fare un po' d'ordine. Mi sarebbe più facile trovare quello che cerco se mi decidessi a gettare un po' di materiale e lasciare lo stretto indispensabile. Questa è la pomata per le scottature. Le bende. L'acqua ossigenata. La bustina per il mal di testa. Quella per il mal di pancia. Lo sciroppo per la tosse. C'è un'intera farmacia qui dentro. Ciò nonostante non riesco a trovare quello che cerco. Dannazione. Ah, ecco l'astuccio delle pasticche. Finalmente. 
Lascio chiudersi la porta del bagno alle mie spalle e torno in camera. Il profumo delle fritelle ha invaso la stanza per intero. Ho l'acquolina in bocca. E' tutto esattamente come l'ho lasciato. Il vassoio sul comodino. Justin rannicchiato sotto le coperte. Le tapparelle abbassate. 
Mi avvicino alle finestre e le apro così da fare entrare un po' d'aria pulita ed un po' di luce. Mi siedo sul letto e mi avvicino a Justin. Non vorrei svegliarlo. Dorme così beato. Ma devo. E' per il suo bene. 
Lo fisso dormire ancora per una manciata di minuti. Mi scappa un sorriso. Gli accarezzo i capelli portandoglieli indietro. Justin mi ha appena preso la mano. La stringe e se l'avvicina alle labbra. La bacia e poi la tiene ancora stretta alla sua. 
Non pensavo fosse sveglio. Sento le guance scaldarsi. 
«Buongiorno Faith.» I suoi occhi color miele sono puntati sui miei. 
«Buongiorno Justin, come ti senti?» Gli scosto un po' le coperte dal viso. 
«Non molto bene. E' come se fossi appena uscito da un frullatore. Continuo a sudare ma allo stesso tempo ho freddo.»
«Immaginavo. Hai trentotto e mezzo di febbre.» 
«Come fai a saperlo?»
«Ti ho misurato la febbre mentre stavi dormendo.»
«Ti ringrazio.»
«Non è nulla. E poi ti ho anche preparato la colazione.»
Mi volto verso il comodino. Prendo il vassoio e lo poggio sul letto. Lo sguardo di Justin si perde tra succo e fritelle. 
«Ma non dovevi disturbarti.»
«Non mi sono affatto disturbata, infatti.» 
Justin si mette seduto e si sistema il cuscino. Le coperte gli sono scivolate addosso lasciandolo a torso nudo.
Mi inginocchio e gli poggio il vassoio sulle gambe. 
«Ascolta Faith. E' tutto fantastico ma non ho fame, scusami.»
«Mangia tutto.» Cerco di assumere un tono più serio possibile. 
«E' una minaccia?»
«E' un ordine. Devi prendere la medicina dopo, quindi mangia tutto.» 
«Se no?»
«Se no ti imbocco io.»
«Si, certo.» 
Justin poggia il vassoio sul letto allontanadolo. Mi avvicino e impugnando la forchetta comincio a tagliare le fritelle in piccoli pezzi infilzandone qualcuno, poi mi rivolgo a Justin con lo sguardo. 
Gli avvicino la forchetta alle labbra. Sta sorridendo. 
«Ma fai sul serio, allora.»
«Avevi qualche dubbio a riguardo? Coraggio, apri la bocca.»
Sembro averlo convinto. Riesco a rifilargli tre fritelle. Possono bastare per il momento. Gli passo il bicchiere di succo e lui lo beve tutto d'un fiato. Qualche goccia gli cola dalle labbra. Prendo un tovagliolo, quando mi rendo conto che ha già fatto di suo con un rapido movimento della lingua. 
«Erano buone?»
«Erano buonissime, grazie.»
Gli sorrido, poi tiro fuori una compressa dall'astuccio e gliela porgo. 
«Vuoi dell'acqua per mandarla giù?»
«Nono, riesco anche senza.» 
«Perfetto. Vai pure a fare un bagno caldo, adesso ti porto dei vestiti puliti. Dovrei avere dei jeans ed una felpa di Josh da qualche parte.» 
«D'accordo Faith.»
Justin entra in bagno, io rifaccio i letti e poi frugo nei casetti. Trovo una felpa blu pastello e dei jeans chiari. Anche dopo il lavaggio in lavatrice mantengono l'odore di Josh. 
Li stringo tra le mani e mi dirigo verso il bagno. Apro la porta lentamente e poggio gli abiti sul tappetto. La vasca è piena fino all'orlo e trabocca di schiuma. C'è un caldo pazzesco. I riscaldamenti sono accesi, è questo il motivo. Justin è accanto alla vasca con una tovaglia intorno al bacino. 
Okay Faith adesso voltati ed esci velocemente. Senza arrossire o dire frasi stupide. Gira i tacchi e tornatene di là.
«Faith, stai bene?» Mi prende il braccio. Mi volto verso di lui. Senza volerlo poggio una mano sul suo petto. 
«Si.» Sta sorridendo. Tende la mano e mi accarezza il viso. Le guance. Le labbra.
«Ti bacerei se non avessi paura di contagiarti.»

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Capitolo 6
*** No one is weak. ***


Ho caldo. Le guance stanno bruciando. So che non è affatto colpa dei riscaldamenti. I suoi occhi color miele sono fissati sui miei e ancora una volta evito il suo sguardo. Cerco di sottrarmi alla sua stretta. Non riesco, è troppo forte. Siamo ancora più vicini adesso. Il mio viso è in fiamme. Non mi piace provare tutto questo. Voglio allontanarmi. Vergogna, paura, desiderio. La formula esatta della distruzione. Eppure c'è qualcosa che mi trattiene. Un'oscura ma potente parte di me, a cui non importa quanto il mio viso possa bruciare, quanto veloce il mio cuore possa battere, ciò a cui aspira è che io resti qui. Pietrificata di fronte alla luminosità dei suoi occhi. In preda a quella famigerata vergogna, a quella stupida paura, a quel pericoloso desiderio. Un desiderio che cresce vorticosamente man mano che la distanza tra me e Justin diminuisce. Distanza e desiderio. Desiderio e distanza. Sono direttamente proporzionali. Meno distanza significa più desiderio. Desiderio di possedere. Desiderio di essere posseduti. Così adesso, l'unica cosa che voglio è che quell'incosciente parte di me, la pianti e mi lasci andare. 
Sembra che sperare non serva a nulla. Sono sempre pietrificata. Passano i secondi. I minuti. Mi rendo conto che è solo colpa mia. La verità è una sola. Io sono debole.  
«Justin, io...» Allontano la mano dal suo petto e cerco di sottrarmi ancora una volta. 
«No, ti prego. Non dire una parola.» Mi tremano le mani. La vergogna è appena stata sorpassata dalla paura. Il desiderio è rimasto indietro.
«Non rovinare questo momento usando stupide parole. Le parole sono inutili, Faith.» Ed ecco che il suo sguardo si accende. Come se i suoi occhi avessero trovato una via d'uscita dal buio. 
Le parole non sono inutili. Le parole sono la migliore arma che l'uomo abbia mai costruito. Nel bene e nel male. Le parole dipingono nei particolari ogni genere di stato d'animo. Le parole sollevano il morale. Le parole costruiscono speranze. Le parole possono suscitare amore. Le parole possono generare odio. Le parole, se usate nel modo sbagliato, possono persino distruggere. Se non ci fossero le parole, noi uomini saremmo semplici macchine. 
«Sono inutili... Se possiamo utilizzare i gesti.» Conclude. 
«Che tipo di gesti?» 
Justin sta sorridendo. Come se non avesse fatto altro che attendere questa domanda. 
Tende la mano. Mi prende il viso. I palmi sono così caldi. La compressa non deve aver fatto effetto, o almeno non ancora. Mi accarezza le guance. Le sue pupille guizzano in quell'immensa distesa color del miele. Le mie mani continuano a tremare. Lui invece, sembra così tranquillo. Così rilassato. Così sicuro. 
Adesso la vergogna è di nuovo in testa. 
Tende il capo in avanti. Gli poggio una mano sulla nuca accompagnando ogni suo movimento. Il suo respiro si sta facendo più vicino. Poggia la fronte sulla mia. Cerca un mio sguardo. Il mio cuore mi sta pregando di tranquillizzarmi. Lo sento urlare di darmi una calmata perché di questo passo rischio di farlo esplodere. 
Justin sfiora il mio naso col suo. Lo fa ripetutamente provocandomi quasi solletico. Continua ad avvicinarsi. Le sue labbra stanno appena sfiorando le mie. Riesco a percepire il calore che emanano. 
Il desiderio recupera e si piazza a primo posto, lasciando indietro la vergogna. 
Un suono fortissimo risuona nell'ambiente vuoto e silenzioso. Ecco che il cuore riprende il battito normale. La paura scompare. La vergogna si spegne. Il desiderio si dissolve. 
Le nostre labbra non sono riuscite ad assaggiarsi. Non si desiderano più. Mi sottraggo dalla sua presa. Justin mi lascia andare. Lascio che la porta mi si chiuda alle spalle e che la situazione creatasi in quel bagno, si sfaldi lentamente, non lasciando tracce. 
Mi catapulto in cucina. Stacco il cavo del caricabatterie inserito nell'iPhone e rispondo.
«P-pronto?»
«Faith, sono la mamma.»
«Hey, c-come stai?»
«Sto bene e tu?»
«Sto bene anche io. A-avevo pensato di chiamarti m-ma non ne ho avuto il tempo.»
«Tranquilla tesoro. Ma sei sicura di stare bene?»
Non ho intenzione di dirle di Justin. Mi riempirebbe di domande e non necessito di altra pressione al momento.
«No mamma, davvero. Sto bene.»
«Se lo dici tu.»
«Ascolta... Mi dispiace tanto.»
«Ancora con questa storia? Non è colpa tua. E' stato un incidente. Mettiamoci una pietra sopra.»
Non dico una parola. Non ne vedo il bisogno. 
«Ad ogni modo... Hailey sta bene. Ha la gamba fasciata ma nel giro di  pochi giorni tornerà come nuova.»
«E quando potrò riaverla a casa?»
«Avrebbero dovuto dimetterla stamattina ma c'è stato un cambio di programma. Tornerà questo pomeriggio.»
«E' meraviglioso. Andrò io stessa a prenderla.»
«Ci vediamo lì allora.»
«Si mamma. Grazie.»
«Per così poco?»
«Ti voglio bene.»
«Te ne voglio anche io.»
Attacco. Collego di nuovo il caricabatterie al telefono e torno di là. La porta del bagno è chiusa. Sento il rumore che l'acqua produce all'interno della vasca. Tiro indietro i capelli e approfitto della momentanea assenza di Justin per dare una ripulita. Sistemo la cucina. Passo l'aspirapolvere. Pulisco i vetri. Spalanco le finestre e innaffio i fiori. Concludo spruzzando intorno del deodorante per ambienti. La porta del bagno si apre. Justin indossa gli abiti di Josh. Devo dire che stanno meglio a lui. 
Nessuno dei due dice una parola. Ci limitiamo a tacere. Justin torna a letto e si copre fin sul capo. Penso voglia evitarmi. 
Mi avvicino al letto. Mi seggo accanto a lui. Prendo un respiro profondo e prego che le parole non mi restino bloccate in gola.
«Come ti senti?» Justin si è appena scostato la coperta dal viso. Mi sta guardando. 
Dove sono i suoi bellissimi occhi luminosi? Io... io non riesco più a vederli. Il suo sguardo sembra così spento. Mi si stringe il cuore. 
«La compressa non sembra fare molto effetto e in più mi gira la testa.»
«Mettiti seduto e respira profondamente.» 
Torno in cucina. Prendo un bicchiere e verso dentro dell'acqua aggiungendo dello zucchero. Entro in camera. Il letto è vuoto. Do uno sguardo veloce in giro. Non è in bagno, né nell'altra camera, né in cucina.
Dove diamine si è cacciato? Non è possibile che sia andato molto lontano. E' ridotto uno straccio. Un momento. Il salone. 
Mi muovo a passo veloce. Entro in una grande e luminosa stanza arredata con poltrone e divani color avorio. Proprio al centro, c'è un grande tavolo in vetro. Sul pavimento, enormi tappeti. Pezzi di antiquariato sugli scaffali. Quadri affissi alle pareti. Infondo, Justin è seduto su di un divano, proprio accanto all'enorme finestra in vetro. 
Immaginavo fosse qui. E' l'unica stanza in cui non avevo ancora cercato. 
Guarda fuori. Ammira gli enormi palazzi. Le folle che si muovono. I suoi occhi percorrono meccanicamente ogni movimento che si verifica all'esterno. Deve piacergli proprio starsene nel suo piccolo mondo ad osservare. 
«Mi piace come hai arredato qui.» La sua voce spezza il surreale silenzio.
«Mamma mi ha aiutata.» Mi seggo accanto a lui. 
I miei occhi cadono in una distesa color grigio fumo. Strade, palazzi, incroci. Gente che sbuca da ogni dove. Auto che sfrecciano ad altissime velocità. 
«Quest'acqua è per me?»
«Oh, si. Me n'ero quasi scordata.» Gli porgo il bicchiere. 
Justin lo stringe tra le mani ed esita qualche secondo prima di bere. Si avvicina. Poggia la testa sulla mia spalla. Lo stringo. Passa qualche minuto. Gli tocco le guance. Sembrano meno calde. La sua testa è scivolata sul mio petto. Si è già assopito. Sembra così vulnerabile. E' così strano ma è proprio adesso, nel silenzio più completo, che riesco a sentirlo mio. E' proprio adesso, su questo divano che mi rendo conto di non essere poi così debole, perché realmente nessuno lo è. Siamo soltanto condizionati da noi stessi. Tutti i giorni, c'è almeno un momento in cui ci fermiamo a realizzare che mai riusciremo ad ottenere i risultati che vorremmo. E' esattamente in quel momento che alimentiamo il nostro pessimismo. Ed è esattamente questo pessimismo che si riversa nei momenti meno opportuni, a farci sentire deboli. 
Poggio le labbra sul suo capo. I suoi capelli profumano di pesche. Ha il respiro un po' affannato. Piego il capo. Lo ammiro mentre dorme. 
«Non verrai mai a saperlo ma desidero le tue labbra, Justin.» Dico sottovoce.
Sta piegando gli angoli della bocca. I suoi occhi luminosi sono puntati sui miei. Mi domandavo di cosa sapessero le sue labbra. Non riesco a percepire alcun sapore. Solo calore. Un calore piacevole. Justin si blocca un secondo. Poi preme le labbra contro le mie. Sorride.  
«E' bello sentirtelo dire.» 

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Capitolo 7
*** I'm sorry. ***


Intreccia le dita alle mie. Impazzisco per il suo tocco delicato. Stringe le mie mani più forte. Amo il modo in cui il calore mi guizza dentro dopo aver lasciato il suo corpo. Si avvicina ancora un po'. Mi fa sentire protetta. Continua a giocare con i miei capelli. Mi rilassa. Mi accarezza ancora la schiena con il palmo della mano. Mi piace sentire i brividi percorrermi le spalle. Morde ancora il mio labbro inferiore. Solletica il mio naso col suo. Non smette di sorridere, neppure mentre preme le labbra contro le mie.
Spero non mi lasci andare, per nessun motivo al mondo. Spero mi tenga qui, su questo divano per sempre. Ha il potere di farlo. Può trattenermi fra le tue braccia quanto desidera. Non opporrò resistenza. 
Profuma di buono. Di pesche miscelate ad un'essenza di vaniglia. Ha usato il mio bagnoschiuma preferito. Mi piacciono questi odori tenui. Anche le sue labbra sanno di buono. Sono dolci e carnose. Morbide e delicate. Ho quasi paura di morderle. Non vorrei rovinarle. 
Il suo cuore batte velocemente e le labbra si fanno più calde. La fronte scotta e sul petto nudo scivola qualche gocciolina di sudore. 
Gli prendo il viso fra le mani. Lo allontano un po' dal mio. Gli accarezzo le guance. Tendo il collo. Gli sforo la bocca con le dita. E' ruvida. Tendo il capo ancora un po'. Assaporo le sue labbra lentamente, come se dovessi farlo per l'ultima volta. 
Mi sottraggo dalla sua stretta e gli porgo la felpa che lui stesso si era sfilato una decina di minuti fa.
La sta indossando. Si passa una mano fra i capelli e fissa lo sguardo su di me. 
Porto indietro i ricci e mi metto in piedi.
«Devi riposare, vai di là e fatti una bella dormita.» 
Justin scrolla le spalle e abbassa il capo in segno di assenso. 
Barcolla un po'. Per un momento temo persino che cada. Finalmente arriva in camera e si infila sotto le coperte. Lo sento respirare affannosamente dall'altra stanza.
Accendo la tv e mi siedo sul divano. Non c'è mai niente di bello, se non i soliti stupidi show in cui la gente non fa altro che ridicolizzarsi.
Stranamente adesso non sento più il suo respiro affannato. Un senso di paura mi pervade. Un momento, questi sono degli scricchioli. Dei passi. Ah, ecco Justin sull'uscio.
«Riposo meglio se ci sei tu. Ti stendi accanto a me?» 
Stringe la coperta tra le mani. Tiene il labbruccio. Non ha neppure la forza di tenersi in piedi. Resta poggiato alla parete per qualche minuto. Ci guardiamo senza dir nulla. 
I suoi occhi, così grandi e luminosi, urlano e implorano di essere ascoltati. Non posso ignorarli. 
«Se mi stendo accanto a te... Prometti di dormire?»
 Justin scrolla le spalle e abbassa il capo in segno di assenso. Afferro il telecomando. Spengo il televisore e mi alzo dal divano. Vado verso di Justin. Gli prendo la mano. 
Sarà meglio che lo faccia addormentare. Ha davvero bisogno di riposare. 
Solo dopo averlo pensato mi rendo conto di quanto strano sia il senso di questa frase. E' come se Justin fosse il mio bambino ed io dovessi badare a lui. Gli occhi grandi, il labbruccio, il modo il cui strofina il naso contro il mio. Mi ricorda esattamente il modo di fare di un bambino. Si, Justin è esattamente questo. Un bambino. E da quando sono entrata in quel taxy il compito di prendersi cura di lui è passato a me. 
Si è di nuovo intrufolato sotto le coperte. Non lo vedo quasi più. Si è appena scostato le lenzuola dal viso. Mi guarda. Mi sta chiedendo di raggiungerlo. Mi sfilo le ciabatte lasciandole accanto al letto. Entrambi scompariamo sotto le coperte. Le sue braccia calde mi stringono. Poggio la testa sul suo petto. 
«Faith.»
«Justin, hai promesso di dormire.»
«Si, pero' prima ho voglia di parlare.»
«Di cosa vuoi parlare?»
«Di te. Di me. Di noi.» 
Emetto un colpo di tosse. Speravo di evitare l'argomento e in più sto odiando questa situazione. Odio dipendere dalle sue braccia. Odio impazzire per questo calore. Tutto ciò non mi ha mai portato nulla di buono.
«Sai... Io trovo tutto questo così strano.»
«Non capisco.»
«Ci siamo conosciuti per puro caso tra lacrime ed angoscia. Una pessima circostanza. Pero' quelle lacrime, quell'angoscia, devono averci in qualche modo uniti. Non so se riesci a capirmi, Faith.»
«Insomma.» 
E invece riesco a capire perfettamente. Ho afferrato in pieno il concetto. Senza quelle sue braccia forti, senza il suo sorriso, senza la luminosità dei suoi occhi, francamente non so dove sarei ora.
Gli sollevo la felpa e ci nascondo le mani nel tentativo di scaldarle. Justin si è appena spostato. Scende al mio livello fino a trovarsi proprio accanto a me. Fronte a fronte. Naso a naso. Percorro con gli occhi i contorni delle sue labbra. Tendo la mano e gli scosto i capelli dalla fronte. 
«Mi dispiace che tu non capisca.» Sta sussurrando. «Mi dispiace di non riuscire ad esprimermi come vorrei. Mi dispiace se pensi di star correndo troppo. Mi dispiace che tu non riesca ad accettare quello che ti offro. Ma la cosa che più mi dispiace è che tu non ti renda conto di quello che provo.»
Gli sorrido. Mi avvicino ancora un po'. Mi stringo forte a lui, stavolta non curandomi del male che potrei fargli. Gli bacio la fronte. Entrambe le guance. Il naso. Poi scendo sulle labbra. Le fisso qualche secondo, senza distogliere lo sguardo. 
Mi sembra così surreale pensare che queste labbra possano in qualche modo appartenermi. Che io possa averle quando più le desidero. Ma forse è esattamente qui che sbaglio. 
Forse dovrei smetterla di pensare e ripensare ad un qualcosa, così tante volte. Forse dovrei semplicemente buttarmi. Forse dovrei solo affidarmi al mio cuore e lasciare che lui prenda le giuste decisioni al posto mio. 
Prendo il suo viso tra le mani. Poggio la fronte sulla sua. Gli accarezzo le guance. 
«Anche a me dispiace, ma soltanto di una cosa. Sono dispiaciuta per non averti incontrato prima.» Gli sorrido. «Per non aver incontrato i tuoi occhi e le tue labbra. Il tuo sorriso ed i tuoi cenni di tristezza. Mi dispiace non aver trovato le tue braccia ed il tuo calore. I tuoi baci e le tue carezze. Mi dispiace da morire.» 

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Capitolo 8
*** You're perfect to me. ***


Percorro con l'indice i contorni delle sue labbra. Salgo sugli zigomi. Delineo le guance. Il naso. La fronte. I muscoli del suo viso si stanno contraendo. 
«Spero solo tu possa perdonarmi.» Distendo le labbra sfoderando un enorme sorriso. 
«Non vuoi più respingermi?»  Ritraggo la mano. Justin non mi degna più di uno sguardo. 
«Respingerti? Di che stai parlando?» Continua a non guardarmi. 
«Sei fuggita dal bagno quando stavo per baciarti.» Adesso il suo sguardo è poggiato su di me. 
«E poi ho notato che avresti volentieri evitato di parlare di quello che è successo in salotto.»
Gli concedo qualche secondo di totale silenzio. Forse per cortesia o forse perché non so come riscattarmi. 
«Non è successo nulla.» 
«Nulla?» 
«No, insomma...» 
Justin si è tolto la coperta di dosso.
«Cosa c'è che non va, Faith? Io non capisco.»
«Non c'è niente che non va.»
Adesso è in piedi con le braccia tese. Scuote il capo come per scacciar via un pensiero non gradito. Si avvicina e mi accarezza il viso. Mi prende le mani. Le stringe. 
«So che ci siamo appena conosciuti, che mi consideri un estraneo, che pensi io stia correndo troppo, che non riesci ancora a fidarti di me. Pero' Faith, devi sapere che non scorderò mai il momento in cui sei entrata in quel taxy, con i ricci tutti bagnati e lo sguardo perso. Non scorderò la sensazione che ho provato quando ti sei abbandonata alle mie braccia o quella in cui ti ho visto sconfitta in ginocchio, sull'asfalto bagnato. Sono qui perché ho sentito il bisogno di aiutarti.»
Mentre parla, seguo con lo sguardo l'alternarsi del suo labbro superiore e di quello inferiore. Quasi mi ipnotizza. 
«Faith, io ho sentito che eri mia.»
Osservo le sue pupille nuotare in una luminosa distesa color miele. Adesso sono completamente ipnotizzata. Poggio le mani sulle sue spalle e mi alzo in punta di piedi. Le mie pupille accompagnano guizzando le sue.  
«Mi fido di te, Justin. Mi fido anche se ti ho appena conosciuto. Mi fido perché mi dai validi motivi per farlo. Mi fido perché il mio cuore non vuole altro.»
Mi slancio ancora un po', fino ad arrivare al suo livello. Annodo le braccia dietro al suo collo e con la punta del naso solletico la sua. Mi avvicino ancora un po'. Le nostre labbra sono separate da qualche centimetro.  
«Mi fido perché anche io ti ho sentito mio.» 
Le braccia di Justin scendono sui mie fianchi. Mi stringe a lui. Con le labbra sfioro la sua fronte. Il naso. Le guance. Scendo sulla bocca. Delicatamente mordo il suo labbro inferiore trattenendolo per qualche secondo. 
Justin mi prende il viso tra le mani. Mi fa indietreggiare. Indietreggio. Indietreggio sino a che non mi ritrovo sul letto. Provo a tirarmi su. Il peso di Justin me lo impedisce. 
Trattengo il suo viso tra le mani. Assaporo le sue labbra come fosse la prima volta. Non percepisco alcun retrogusto. Solo calore. 
Qualche volta Justin si blocca. Smette di baciarmi per qualche secondo. Si limita a guardarmi e sorridere. Poi riprende con una serie di baci a ripetizione, che ho scoperto, mi piacciono tanto. 
Ecco, si è staccato ancora.
«Sei bellissima.» 
Abbasso lo sguardo. 
«Ti prego...» 
Justin inarca le sopracciglia. 
«Che c'è?» 
«Non sono bellissima, non mi sento tale e francamente penso che non accadrà mai.» 
«Perché no?»
«Perché ovunque io vada ci sarà sempre una ragazza migliore di me. Che avrà qualcosa in più di me. Più magra. Più alta. Più bella. Più intelligente. Più simpatica. Non sarò mai abbastanza.»
Le mani di Justin sono sulle mie guance. Piega il capo.
Mi stampa un bacio. «Io sono attratto dalle curve.»
Me ne stampa un altro. «Amo il modo in cui ti alzi in punta di piedi solo per baciarmi.»
Un altro ancora. «Ogni ragazza è bella. Ogni ragazza è stupenda a modo suo.»
Ecco un altro bacio. «Dubito che una come te, pecchi d'intelligenza.»
Mi regala un ultimo bacio. Grande. Dolce. «E l'ho capito dal modo in cui ridevi di me in quel bar che la simpatia non ti manca.»  
Distendo le labbra. Gli sorrido. Sento le guance scaldarsi.
«Non dire mai più nulla del genere,capito?» 
Lo stringo forte al mio petto. Sento gli occhi appannarsi e riempirsi di lacrime. 
«Per me sei perfetta,piccola.» 

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Capitolo 9
*** A ray of light. ***


Fa così freddo. Vorrei tanto una coperta o una buona cioccolata calda. Ho uno strano fastidio alla schiena ed il collo intorpidito. Le mie dita sono affusolate e la mani ruvide. Il ventre nudo è ghiacciato. L'aria rigida mi punge le narici e mi pizzica gli occhi. Li sfrego ripetutamente. Percorro le guance con le dita. Seguo una scia ancora umida che, facendosi strada tra gli zigomi, si dissolve completamente una volta arrivata sul collo. Inarco le sopracciglia. Fatico nello schiarirmi la voce e nel respirare, proprio come mi accadeva da bambina. Ho il fiatone e le tempie non smettono di pulsare. A questo punto sono quasi del tutto certa di aver pianto. Sollevo la testa. La camera è vuota. Sul pavimento giacciono un paio pantofole azzurro pastello ed un lenzuolo stropicciato. Le tende sono appena scostate dalle finestre. Alcuni raggi di luce filtrano attraverso le tapparelle. Si rincorrono, saltano, volteggiano, fanno a gara per raggiungere il più velocemente possibile il traguardo. Le seguo con lo sguardo. Dipingono nell'aria una serie di lucenti linee seguendo sempre la stessa traiettoria. Non deviano neppure per una frazione di secondo. Non batto ciglio. Uno dei raggi si piazza al primo posto. Lascia indietro gli altri che si stanno facendo sempre più chiari. Schiariscono sino a diventare impercettibili. Scompaiono. Mi domando dove sia finito il raggio vincitore. Lo cerco con lo sguardo sulle pareti color avorio acceso. Ne ho perso ogni traccia. Avrei voluto vederlo trionfare. Avrei tanto voluto venir a conoscenza di quale fosse il suo traguardo, quello per il quale si è battuto con tanta audacia. Rivolgo lo sguardo verso le finestre. Eccolo il raggio vincitore. Ed ecco che lentamente si dirige verso il suo tanto amato traguardo. Sfila su di una tenue passerella issata nell'aria. Con delicatezza. Con maestrìa. Ecco che si prepara al suo trionfo. Con un abile movimento si tuffa nella sua stessa scia. Scivola. Scivola lentamente. Lo seguo con lo sguardo. Si immerge in una sfavillante distesa color miele facendone risaltare la lucentezza. Abbraccia dolci lineamenti. Accarezza ciocche di capelli color dell'oro. Sfiora un paio di labbra rosee. Scivola sul collo atterrando delicatamente su un petto nudo. Vezzeggia ogni muscolo. Si snoda all'interno di piccole goccioline di sudore. Le fa brillare. Slitta ancora verso il basso. Abbozza i lineamenti del basso ventre fermandosi sugli inguini. Si arrampica sul petto sino a risalire sulle labbra. Con un tocco leggiadro le delinea facendone come risaltare la morbidezza. Poi scompare dissolvendosi nell'aria come se non fosse mai esistito. 
Scuoto la testa nel tentativo di disincantarmi. Mi strofino le palpebre. Gli occhi color del miele. I lineamenti candidi. I capelli d'oro. Le labbra morbide. Il petto nudo. Justin è steso accanto a me col capo poggiato sul mio seno. Si strofina gli occhi. Mi sorride. 
«Ben svegliata, piccola.» Inarco le sopracciglia.
«Svegliata?»
«Si, dobbiamo esserci assopiti senza rendercene conto.» Ride. 
Ricambio il suo sorriso. Stendo le braccia e allungo la colonna vertebrale. Mi stiracchio contraendo i muscoli delle spalle. 
«Chissà che ore che sono... Hai un orologio,Faith?» 
«In realtà no. Aspetta vado di là a controllare.» 
Mi infilo le ciabatte azzurre e mi muovo a passo veloce verso la cucina. Rivolgo uno sguardo all'orologio affisso al muro e faccio come per andarmene per poi ritornare ancora una volta a fissarlo. Panico.
«Oh mamma, non è possibile!» Metto le mani sulle fronte tenendo stretta la testa. 
«Che succede?» Justin ha il tono preoccupato. 
Corro in camera cercando di non inciampare sui tappetti. Dovrei seriamente pensare di toglierli. Sono pericolosi. Mi piego sul pavimento. Raccolgo la felpa di Justin e gliela lancio in viso. 
«Vestiti e sii veloce!»
«Che?»
Gli lancio uno sguardo fulminante.
«Ho capito, mi rivesto.»
«Ottima scelta, Justin.»
Raccolgo il resto degli abiti. Corro in bagno e in men che non si dica sono pronta. Adesso mi serve una borsa. Frugo nell'armadio. Eccone una. Questa è spaziosa, andrà bene. Stacco l'Iphone dal caricabatterie e lo lascio scivolare in tasca. Porto indietro i capelli. Prendo le chiavi di casa e le getto in borsa. Mi infilo il capotto e Justin fa lo stesso. 
«Faith, si può sapere che succede?»
«Ti spiego mentre ci incamminiamo.» 
Lascio chiudermi la porta alle spalle. Passo il giardino e mi fermo sul marciapiede. 
«Allora?»
«Ho scordato di dirti che questo pomeriggio Hailey esce dall'ospedale e che tocca a me andare a prenderla.» 
«Stiamo tardando molto?»
«No, ma se non ci sbrighiamo non arriveremo in orario. Adesso chiamo un taxy.» Sfilo l'Iphone dalla tasca.
«No, ferma! Casa mia è a pochi isolati, aspettami qui, vado a prendere l'auto.»
«Ne sei sicuro?»
«Si, non muoverti!» 
Osservo Justin scomparire un paio di isolati più avanti. 
Passano una decina di minuti. E' tornato a prendermi. Con l'auto ci dirigiamo in ospedale. Parcheggiamo. Osservo l'agghiacciante edificio. Tremo. Justin mi prende la mano. Sorride.
«Stai tranquilla piccola, andrà tutto bene.» 
Gli annodo le braccia al collo. Lo stringo forte a me.
«Non so come ringraziarti.» Sussurro. 
«Oh sì, che lo sai.» Justin si morde le labbra e poi le stringe.  
Mi metto in punta di piedi e gli stampo un bacio. 
«Va bene così?» Rido.
«Perfetto.» Sta ridendo anche lui.
Passano pochi minuti e siamo già in ospedale. In ascensore. Al reparto di Hailey. Davanti la porta della sua stanza. 
«Pronta?» 
«Sono pronta.»
Justin mi stringe la mano più forte. Varchiamo la soglia della camera. Hailey è seduta sul letto. Loreine sistema la sua roba. Mamma e papà sono seduti su di una poltrona. Guardano verso di me. Non sorridono. Cerco di comprendere chi stiano focalizzando con i loro sguardi. Non sono io. E' Justin. 

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Capitolo 10
*** It isn't only a judgment. ***


E' uno di quei momenti in cui mi sento completamente nuda. Vulnerabile. Debole. Sola. Fragile. Indifesa. Inerme. Dannegiabile. Emotiva. Svestita di ogni possibile scudo. Esposta di fronta alla mia grande paura. Il giudizio dei miei genitori. 
Tengo basso il capo. Con lo sguardo delineo le piastrelle grigio fumo ormai rovinato del pavimento. Percorro ogni centimetro della stanza. Mi blocco sulle scarpe di Justin. Salgo le sue gambe. Il bacino. Il petto. Le spalle. Scivolo sulle braccia. Incontro la sua mano. Annodata alla mia. Balzo sui suoi occhi. Sono spenti. Cercano i miei. Nessuno dice una parola. Immersa nel mio stesso surreale silenzio non sento nient'altro eccetto il battito flemmatico del mio cuore. Avverto la tensione di Justin nei piccoli cenni che compie. Sta giocando con le sue labbra. Le stringe per poi distenderle alzando gli angoli della bocca. Comincia a mordere il labbro inferiore. Una, due, tre volte. Non smette. Avrei voglia di urlargli contro di finirla. Le sue labbra sono sin troppo delicate per giocarci così. Cerco di distrarmi gingillando con le punte delle mie scarpe. Non serve a nulla. L'angustia mi sta soffocando. Stringo più forte la mano di Justin. Prendo un respiro. Alzo il capo. 
«C-ciao mamma, papà, Hailey e ciao anche a te Loreine.» 
Avverto il loro sguardo abbandonare la figura di Justin e poggiarsi sulla mia.
«Mi siete mancati da morire.» Continuo. 
Lentamente mi avvicino al letto di Hailey. Compio un passo alla volta. Distendo le braccia. Sorrido. Lei non esita un attimo nel mettersi in piedi e corrermi incontro. Le bacio il capo.
«Ti prego non fare mai più nulla del genere, Hay. Non immagini come mi sono sentita.» 
«Sei tu che non concepisci l'angoscia che ho provato io.»
«Ero rimasta bloccata nel traffico, avresti potuto intuirlo. Siamo a NY. Succede.»
Hailey non dice nulla. Di solito non pronuncia più una parola quando si rende conto di avere torto. 
«Pero' adesso è tutto finito, ragazze.» 
Loreine si avvicina. Sorride. Fa lo stesso mamma con le braccia tese. Papà la segue. 
Ci uniamo tutti in un enorme abbraccio. Caldo. Benevolo. 
D'improvviso qualcosa mi richiama dal calore familiare. Mi riporta alla visione di Justin in piedi sull'uscio con lo sguardo fisso su di me ed un enorme sorriso dipinto in volto. 
«Faith, non vuoi presentarci il tuo amico?» Sghignazza Hailey. 
«Si, hai ragione.» Rispondo.
Sorridendo mi sottraggo dalla loro stretta e mi avvicino a lui. Gli metto un braccio intorno alla spalla. 
«Ehm... ragazzi, vi presento Justin. Justin, loro sono Hailey, Loreine, che già avevi avuto modo di conoscere, la mia mamma ed il mio papà.» 
Hailey è la prima ad avvicinarsi. Gli stringe la mano. Lo stesso fanno Loreine e dopo mamma. 
«Piacere di conoscervi.» Sorride.
«Piacere nostro Justin.» Dicono in coro. 
Mamma emette un colpo di tosse. Guarda papà immobile in un angolo. 
«Caro, che ne diresti di venire a presentarti?» 
Lo osservo mentre si riempie i polmoni d'aria ed allarga le narici. Lo conosco. E' infastidito. 
A piccoli passi si muove verso di noi. Non scolla lo sguardo da Justin. 
«Beh, piacere ragazzo.»
«Piacere mio, signore.» 
Papà non lo guarda nemmeno. Mi metto una mano sul viso per coprire il rossore della mia vergogna. Mamma ha appena preso parola. 
«Scusalo, di solito non è così rude. Preferisce conoscere bene le persone. A questo proposito... Ti andrebbe di cenare con noi stasera? Consideralo un invito per conoscerci meglio.» 
Cerco uno sguardo da parte di Justin. Non si volta neppure. Papà mi lancia un'occhiata. Mi tremano le mani.
«Accetto volentieri, signora.» 
«Perfetto. Facciamo alle otto?» 
«Si, per me va bene.»
Justin fa un passo indietro. Sorride. Mi mette un braccio intorno al collo e mi stringe a lui. 
«Ci divertiremo tanto.» Conclude Hailey. 
Loreine da uno sguardo all'orologio. 
«Penso si stia facendo tardi, sarà meglio andare.»
Aiuto Hailey ad arrivare in auto mentre Justin porta la sua roba. Mamma e papà si seggono sui sedili posteriori. Loreine si mette alla guida. 
«Ci vediamo nel mio appartamento alle otto. E questa volta sii puntuale, dolcezza.» Sorride. 
Mi fermo ad osservare l'auto mentre scompare tra i lunghi viali costeggiati da pini. 
«Andiamo. Ti riaccompagno a casa, piccola.» 
Non dico una parola durante tutto il viaggio. Quel ragazzo è stato avventato e incosciente. Avrebbe dovuto parlarne con me prima di accettare. Avrebbe dovuto almeno chiedermi un parere. Questa serata sarà un completo disastro. Ho visto perfettamente come papà lo guardava. O meglio come non lo guardava. Le narici allargate. Le guance infuocate. Non è stato amore a prima vista. Ho paura. Ho paura di quello che potrebbe succedere. Eppure non dovrei averne. Justin non è il mio ragazzo. Pertanto anche se mio padre dovesse odiarlo, questo non comporterà alcun danno nella mia vita. Non devo preoccuparmi. E' solo una cena. E Justin è solo un amico. 
«Siamo arrivati.» Justin accosta. 
Scendo dall'auto e chiudo la portiera. Non lo degno di uno sguardo. Nonostante sono sicura che andrà bene, quel ragazzo ha sbagliato. Mi avvicino all'uscio di casa. Introduco le chiavi nella serattura. Spalanco la porta. Entro in casa e getto in terra la borsa. Faccio come per chiudere il portone. Justin me lo impedisce. 
«Aspetta, ti prego. Dobbiamo parlare.» 
Picchietto con le dita sulla porta. Cerco di guardare oltre Justin. Oltre i suoi occhi luminosi e le sue labbra perfette. Oltre il suo ciuffo color del grano. Oltre il... Dannazione, non ci riesco.
«D'accordo. Entra.»  
Si è appena seduto sul divano. Si passa una mano tra i capelli. Resto in piedi con le braccia incrociate sul petto. 
«Per favore Faith, siediti.» 
Prendo un respiro. Con la lingua mi inumidisco le labbra. Sciolgo le braccia dal petto. Mi avvicino a lui. Slaccio i bottoni del cappotto e lo lascio cadere sulla poltrona. Mi siedo. 
«Ti ascolto.» 
Justin si schiarisce la voce. Mi prende la mano. 
«So perfettamente che avrei dovuto rifiutare l'invito di tua madre. E So anche di averti infastidito parecchio. Il fatto è... che mi sono accorto dell'antipatia che tuo padre nutre nei miei confronti, ed è esattamente per questo che ho accettato. Voglio farlo ricredere.»
«Cosa comporta per te il fatto che mio padre ti trovi amichevole o meno? Sono più che certa che un semplice giudizio non muti la vita.»
«Il giudizio dei tuoi genitori sta completamente mutando la tua, Faith.»
Non dico una parola. Ha ragione lui. Come posso interrogarmi sul perché un'opinione conti tanto, quando sono io stessa la riposta ad ognuna delle mie domande? 
La mano di Justin trema. I suoi occhi guizzano. 
«Okay. Vuoi sapere qual è il reale motivo per cui tutta questa faccenda mi importa così tanto? Vuoi saperlo, Faith?» E' in piedi. Il suo tono di voce è alto ed imponente. Ritraggo la mano. 
«Il motivo sei tu. Sono io. Il motivo siamo noi due.» Inarco le sopracciglia. 
Justin si rimette seduto. Prende un respiro. 
«Faith, devi sapere che...» Si avvicina. Mi prende la mano. 
«Mi piace il modo in cui sorridi e quello in cui piangi. Mi piace il tuo profumo ed il sapore delle tue labbra impregnate di rossetto. Mi piacciono i tuoi ricci e le piccole fossette che albergano proprio agli angoli della tua bocca quando sorridi. Mi piace il modo in cui ti copri il viso per nascondere la vergogna. Mi piace come prepari le fritelle. Mi piace come ti prendi cura di me. Mi piacciono i tuoi abbracci ed i tuoi baci. Tu faith, Mi piaci da morire.»
Si avvicina ancora. Mi scosta i capelli dal viso. Ci guardiamo negli occhi.
«Volevo dirtelo da un po' ma avevo paura.» La sua voce trema. 
«Cosa ti spaventava?»
«La tua reazione.»
Mi avvicino ancora a lui. Gli prendo la mano e la stringo. La porto sul mio petto. La posiziono sul cuore. Gli sorrido. Scorgo gli occhi di Justin illuminarsi per una frazione di secondo. 
Con la mano accarezzo il suo viso sino a fermarmi sul suo petto. Tendo il capo premendo le labbra sul suo collo. Lentamente salgo sul viso baciando entrambe le guance. La fronte. Il naso. Poggio la mia fronte sulla sua. Sta sorridendo. Trattengo delicatamente tra i denti il suo labbro inferiore. Justin osserva le nostre bocche giocare. Annodo le braccia dietro al suo collo. Premo le labbra contro le sue.
«E' di questa reazione che avevi paura?»

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Capitolo 11
*** Don't be scared. ***


Dal punto di vista di Justin.
Sento le guance avvampare e le spalle rabbrividire. Attraverso la mia mano, deposta sul suo petto, posso avvertire il suo cuore battere con un ritmo irregolare. Sfioro il suo braccio con le dita e delicatamente la accarezzo nell'attesa che si rilassi. Sento i suoi muscoli distendersi sotto il mio tocco. Le sue labbra si staccano lentamente dalle mie rilasciando una lieve scia di calore. Percorro con le dita la mia bocca. E' calda e morbida. Poi sfioro la sua. Nonostante si sia appena separata dalla mia è ruvida e ghiacciata, questo mi fa venir voglia di baciarla ancora. Baciarla e non smettere più. Mi mordo il labbro inferiore tenendo lo sguardo fisso su di lei. Sta arrossendo. La trovo dannatamente adorabile. Si è appena nascosta il viso sotto i suoi tanti ricci facendo il modo che io non possa vedere quanto è imbarazzata. Mi scappa una risatina. Tendo le braccia e le scosto i capelli dal viso giocandoci un po' prima di lasciarglieli ricadere sulle spalle. Le sue guance sono perennemente arrossate, non ricordo di una circostanza in cui non le abbia avute di questo colore roseo. Sorrido al pensiero del nostro primo incontro. Lei completamente fradicia sotto la pioggia, il mascara che le rigava le guance, il cappotto completamente puntellato di gocce d'acqua, lo sguardo perso e le labbra serrate. Mi salta in mente la telefonata della madre, il cellulare scarico, la sua testa stretta tra le mani in preda al panico, poi le mie braccia annodate intorno ai suoi fianchi, il suo capo sul mio petto; lei in ginocchio sull'asfalto mentre tento di rimetterla in piedi, le lacrime versate di fronte all'uomo in divisa, il primo incontro con Loreine, la gentilezza di George. Poi tutto prende una piega diversa. Un immagine di me e Faith distesi sullo stesso letto affiora tra i miei ricordi. Lei mi sussurra i suoi segreti, io le confesso i miei. Poi si assopisce ed io veglio su di lei tutta la notte, nella speranza che possa riposare. Un'altra immagine di me e Faith mi torna alla mente. Cerco di baciarla nella stanza da bagno ma lei corre via. Sento il cuore bruciare, spezzarsi in piccoli frammenti. Ecco un'altra immagine. Siamo sul sofà accanto ad una grande finestra in salotto. Cerco di evitarla ma mi è impossibile. Lei mi coccola ed io mi assopisco sul suo seno. 
«Justin?» Scuoto il capo non appena avverto il suono della sua voce accarezzare le mie orecchie. 
«Si?»
«Non hai ancora risposto alla mia domanda.» Aggrotto la fronte. 
«Che.. che domanda?» 
Scorgo un mezzo sorrisetto dipingersi sulle sue labbra. 
«Ti ho chiesto se era di questa reazione che avevi paura.» 
«Ah già.» 
Faith porta in avanti il capo. 
«Allora?» 
«Ero davvero..» Mi avvicino. «Terribilmente..» Sussurro sul suo viso. «Spaventato.» Premo le labbra contro le sue. Con i pollici accarezzo le sue guance ovviamente calde ed arrossate. La sento sorridere contro la mia bocca e d'istinto sorrido anch'io. Passa qualche minuto ed entrambi decidiamo di staccarci per riprendere fiato. 
«Penso che sarà meglio correre a prepararci per la cena di stasera.» Sorride.
Distolgo lo sguardo dalle sue labbra. 
«Non sei più arrabbiata con me perché ho accettato?» 
«Non potrei neppure se lo volessi.» 
La stringo forte tra le mie braccia lasciando un bacio sulla sua fronte. 
«Andiamo Justin, o tarderemo.» 
Entrambi ci mettiamo in piedi, lei si dirige verso il bagno, io mi stendo sul letto di camera sua.
«Justin?» La sua voce risuona dall'altra stanza. 
«Si, piccola?» 
«Tu non devi prepararti?»
«Tranquilla, non appena sei pronta passiamo da casa mia, ci metterò un secondo a cambiarmi.» 
«Su questo non ho dubbi. Sono i tuoi capelli che mi preoccupano.» Scoppia a ridere.
«Che? Che hai contro i miei capelli?» 
«Nulla, è solo che li hai sempre tirati su alla perfezione. Ci impiegherai secoli.»
«Mi velocizzerò per te, piccola.»
Nessuna risposta. Solo una risata. 
Mi metto comodo sul letto e attendo di vederla uscire dal bagno. L'attesa si prospetta più lunga di quanto mi aspettassi. Dopo minuti che sembravano secoli sento la porta del bagno aprirsi insieme al sonoro rumore dei suoi passi. E' sull'uscio della camera con soltanto un accappatoio addosso. I piedi nudi sono fissati sul pavimento. Il viso è quasi completamente roseo. 
Mi metto seduto sul letto. Le sorrido. Noto le sue braccia incrociate sul petto ed il piede destro picchiettare sul pavimento come se stesse aspettando qualcosa, solo dopo mi rendo conto di essere di troppo.
«Scusa dolcezza, tolgo il disturbo.» Mi metto in piedi ridendo. 
«Mi domandavo quando ti saresti deciso.» Ride anche lei.
«Beh, mi aspettavo che mi chiedessi aiuto con i vestiti.» Le faccio un occhiolino. 
«Sparisci, casanova!» Mi spinge delicatamente verso l'uscio per poi chiudersi la porta alle spalle. 
«Sono sempre qui, se cambi idea.» Le urlo allontanandomi. 
Passa qualche minuto e mi ritrovo a bussare alla sua porta. Entro in seguito al suo permesso. 
E' seduta di fronte allo specchio e passa un po' di cipria sulle sue guance rosate. Indossa un abito floreale stretto sino in vita che le ricade dolcemente sulle cosce. Le calze nere, delle ballerine ed una giacchetta in tinta unita. I suoi capelli, ancora bagnati, le ricadono sulle spalle. «Dammi ancora qualche altro minuto e sono pronta.»
«Ti do una mano io, mh?» Ricevo come risposta un enorme sorriso che decifro come un SI. 
Mi avvicino a lei e afferrando una spazzola dal comodino, raccolgo qualcuna delle ciocche dei suoi capelli tra le mani. Comincio a spazzolarle. Una per una. Il più delicatamente possibile. Faith si blocca per un attimo. La sorprendo osservare il mio riflesso nello specchio. Sorride alla vista della mia espressione visibilmente concentrata nello spazzolarle i capelli. 
Poggio il pettine da dove lo avevo preso. Afferro il phon e cliccando sul pulsante d'accensione comincio a massaggiarle la nuca. La sento sciogliersi sotto il mio tocco. Spostando l'asciugacapelli da destra verso sinistra e viceversa, rilascio dei piccoli grattini sul suo capo. Gioco con i suoi ricci. Massaggio il suo collo facendogli portare indietro la testa. Le sue palpebre sono chiuse. La sto rilassando. Continuo per un paio di minuti per poi spegnere il phon. 
«Piccola?»
«Mh?» 
«Ho finito.» Mi scappa un sorriso nel vederla completamente presa dal tocco delle mie dita. 
«Oh si, giusto.» Si mette in piedi tirando giù il vestito. Si passa una mano sul viso imbarazzata, poi continua. 
«Grazie.»
«Figurati tesoro. Andiamo?»
«Sisi, certo.»
Faith indossa il suo cappotto, si infila un basco colorato e prendendo la sua borsa si dirige fuori. Entriamo in auto e dopo una manciata di minuti arriviamo a casa mia. Accosto di fronte il giardino. 
«Aspettami qui, ci metterò un attimo.» Annuisce.
Di corsa mi dirigo in casa. Mi chiudo la porta alle spalle. Sul tavolo noto un biglietto. E' di Alfredo e mi avverte che tornerà tardi stasera. Bene, gli racconterò tutto dopo. Salgo velocemente le scale. Entro in camera, prendo i miei pantaloni e la mia maglia preferiti e li indosso. Sistemo i capelli, mi spruzzo dell'acqua di colonia e di corsa scendo le scale. Mi chiudo la porta alle spalle e rientro in auto. Ho il fiatone. 
«Ci siamo?» Mi domanda.
«Ci siamo.» Rispondo a corto di fiato. 
Faith mi da le indicazioni per arrivare all'appartamento di Loreine ed in men che non si dica ci troviamo di fronte l'uscio di casa sua. Abbasso il capo. 
«Che c'è, Justin?» Sento dentro di me una sorta di fastidio e ancora non so se è data dal fatto che Faith continui a chiamarmi per nome. 
«Niente..» Tengo basso lo sguardo. 
«Sappiamo entrambi che non è così. Hai paura?»
«No, io non ho paura.»
«Se lo dici tu.»
Faith tende il braccio per suonare il campanello. La blocco. 
«Faith io...»
«No, ascolta... Puoi anche tirarti indietro. Sarò la prima ad appoggiarti nel momento in cui decidessi di farlo perché sono consapevole di quanto importante sia il passo che stiamo per fare.» Mi ha preso la mano. Deglutisco guardandola negli occhi. «Ma non ti appoggerò allo stesso modo, nel caso volessi varcare questo uscio ed entrare lì dentro solo per compiacere tutti.» Aggrotto la fronte. 
«Che intendi dire?»
«Non voglio che tu entri lì dentro e ti finga qualcun altro solo per far piacere a mio padre. Ho bisogno che tu mostri a tutti il vero Justin. Quello che hai fatto vedere a me.» Mi stringe le mani.
«Il Justin che ti consola se piangi e ti stringe a se quando ti senti perso. Il Justin che veglia su di te quando dormi. Il Justin che ti fa sciogliere con un sorriso e morire con una carezza. Il Justin dalle labbra morbide e dolci che non esita a strapparti qualche bacio quando ne ha l'occasione. Mostra a tutti il Justin che ha delle paura infondate ma che ciò nonostante cerca di far sentire gli altri al sicuro. Mostraglielo perché è di quel Justin che sono perdutamente innamorata.»

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Capitolo 12
*** Deeply in love with you. ***


Dal punto di vista di Faith. 
Sento lo stomaco aggrovigliarsi e la gola diventare asciutta. Deglutisco nell'attesa che il cuore smetta di battere tanto velocemente. Mi manca il respiro. D'un tratto è come se la mia mente fosse affollata. Affollata come le strade di New York all'ora di punta. Come se, nella mia testa, un gruppo di persone stesse discutendo animatamente, le auto sfrecciando, i taxi continuando a fermarsi e ripartire senza un attimo di sosta, le metro aumentando la velocità cercando di non sforare l'orario di arrivo stabilito dai tabelloni. E' caotica New York, quasi quanto la mia mente in questo momento. 
Ho detto a Justin che sono innamorata di lui. E' questo che mi turba. Mi sento come se mi fossi denudata di fronte al mondo intero. Come se ogni essere umano sulla faccia della terra fosse venuto a conoscenza del mio segreto inconfessato. Non c'è più nulla che mi protegge. E' esattamente come se il mantello che da anni mi cucio addosso, sia andato in fiamme. Non c'è più nulla che mi trattiene. Ho perduto la copertura grazie al quale rimuginavo su qualcosa più e più volte. Grazie al quale riflettevo sulle conseguenze che un'azione, una volta compiuta, potesse procurare. Grazie al quale non mi buttavo mai a capofitto. Io non rifletto più. Agisco e basta. Agisco d'istinto. Questo biondino dagli occhi dolci mi ha portato via il mantello sostituendosi ad esso. Ed è così, che è riuscito a farmi realizzare che pungermi le dita con l'ago per cucire quella copertura, è stato invano per tutto questo tempo. Perché niente garantisce più protezione di uno scudo. 
E Justin è esattamente questo. Il mio scudo. 
Dal punto di vista di Justin. 
Non riesco a smettere di guardarla. Guardarla mentre è assorta nei suoi pensieri. E ad un tratto un senso di malinconia mi pervade. Vorrei essere io quel pensiero che la isola dal resto del mondo. Che le gela la mente ed il cuore facendola sua anche solo per una manciata di secondi. I suoi occhi sono puntati sui miei ma non mi stanno guardando. So che non lo stanno facendo. Lei è nel suo mondo adesso e non riesco a smettere di chiedermi se ne faccio parte anch'io. Pero' mi sento stranamente felice ed euforico al pensiero di contare qualcosa nel suo pianeta perché lei conta infinitamente, nel mio. 
Ho tanta voglia di chiederle a cosa sta pensando. Probabilmente perché sono curioso di sapere cosa le frulla nella mente. O magari solo per farla parlare. Mi piace da morire quando parla anche se gesticola tanto. Di solito la gente che gesticola mi infastidisce ma ogni cosa fatta da lei diventa adorabile. Mi fa sentire strano. Confuso. Non è da me. Ho sempre le idee chiare e so il fatto mio su ogni cosa. Ma con lei è diverso. Mi rende vulnerabile e ciò che mi spaventa è che questa sensazione alquanto sgradevole, mi piace. 
Continua a fissarmi senza dire una parola. Fermerei il tempo se potessi. Io, Faith ed il silenzio. Niente di più bello e puro. Ma non posso. 
Mi risuona in mente il suo: “E' di quel Justin che sono perdutamente innamorata”. Se solo riuscisse a sentire quanto forte batte il mio cuore adesso all'idea che posso essere quel pensiero che le gela l'anima, che la isola dal resto del mondo, che la rende permanentemente sua. Ed è per lei che suonerò questo campanello. Che non mi tirerò indietro. Che mostrerò a tutti chi è realmente Justin.
Dal punto di vista di Faith.
Scuoto la testa per liberarmi da tutti i pensieri. Mi passo una mano sul viso. Justin sta sorridendo. Non so se lo ha mai notato ma quando sorride si formano due piccole fossette agli angoli delle sue labbra. Gli occhioni miele si fanno più piccoli e le guance più rosee. Mi fa impazzire. 
Si avvicina ancora a me prendendomi entrambe le mani. Le porta alla bocca e le bacia. 
«Sei tornata sulla terra, piccola?» Alza il sopracciglio sfoderando un sorrisetto malizioso.
«Mai andata via, Justin.» Scoppio a ridere.
Ride anche lui per poi farsi serio qualche secondo dopo.
«Ascolta Faith, non avevo intenzione di tirarmi indietro. Io lotterò per te. Per noi. Non ho paura perché ci sei tu accanto a me. Mi rendi vulnerabile e sicuro allo stesso tempo. Sei pazzesca ed è esattamente questo il motivo per il quale anch'io sono perdutamente innamorato di te.»
Sorrido nel tentativo di trattenere le lacrime. Mi avvicino a lui e gli annodo le braccia al collo. Justin solletica il mio naso col suo e non esita a rubarmi un bacio. 
Amo averlo così vicino da riuscire a sentire quanto forte batte il suo cuore. Di cosa profumano i suoi capelli. Di cosa sanno le sue labbra. Siamo io e Justin adesso. Il mondo intero è scomparso. 
Le sue mani calde lentamente scendono sulla mia schiena accarezzandola. Con i palmi delle mani accarezzo il suo viso e gli lascio piccoli baci sul collo. Accarezzo i suoi capelli ed accompagno ogni suo movimento. Justin continua a stringermi e ad avvicinarsi. Indietreggio sino a sbattere con forza contro il grande portone in legno. Passa qualche secondo. Dei passi. La porta si apre e papà è in piedi sull'uscio. 

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