Nothing but the eyes - Niente di vero oltre gli occhi

di brightclaude
(/viewuser.php?uid=237763)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Mi ha sempre eccitata l’idea di leggere nella mente delle persone.

Conoscere il loro passato, le loro intenzioni, il loro futuro.

Ma credevo che tutto ciò non fosse possibile, che fosse surreale e irrealizzabile un sogno di questo tipo.

Ebbene, ora mi ritrovavo a vivere nella menzogna, ma la cosa non mi spaventava.

Coprire la mia vera natura era ormai quotidianità.

Le ragazze della mia età pensavano a crearsi a una nuova vita sulla Colonia di Goah, la famiglia, le relazioni, i bei vestiti.

Io pensavo a come poter riuscire nel mio intento, segreto e pericoloso che fosse.
 

- Apriti a me, Carol…

Carol Lockwood cadde in uno stato di trans, i suoi occhi erano bianchi e le sue labbra carnose erano socchiuse. Il suo corpo era rigido, la sua mano calda appoggiata alla mia.

sangue, caduti, devasto, orrori. E poi eccolo lì. Stefan.
 

- Allora era vero… mi aveva scritto,  come aveva promesso…

Pensai ad alta voce. Non potevo permettermi di farlo.
 

- Ah, bugiarda Carol… perché non mi hai mostrato le lettere?

Carol chiuse le labbra che ripresero colore e allora parlò.
 

- Io…non potevo… non potevano sapere delle navette di posta… sono riservate…

L’ira del momento si stava impadronendo di me. D’impatto spostai la mano destra attorno a suo collo, la spinsi contro il muro e la feci rinvenire quasi completamente.
 

- Non dovevi farlo, Carol… Non dovevi.

La guardai intensamente negli occhi e le ripetei sotto voce le seguenti parole, mentre i miei occhi color ghiaccio passarono ad un rosso sangue.
 

 - Dimenticherai la nostra conversazione. Da ora in poi mi consegnerai segretamente ogni lettera che riceverai, rendendomi partecipe di ogni novità dal fronte della Federazione. Intese?

- S-sì…

Staccai con ferocia la mano dal suo collo pulito, facendo cadere il collier di perle e mi allontanai.
 

- Gli occhi…

Posi le dita sulle mie tempie e mi concentrai per qualche secondo.
 

- Sono sempre gli occhi a tradirmi.

Ero tornata quella di sempre.
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Iniziò tutto con un addio.

Correva l’anno 2210, i Maya avevano annunciato la loro premonizione che si avverò ormai quasi un secolo fa. Il mondo è cambiato.

Gli uomini non sono più la specie regnante sul pianeta Terra, sono diventati emigranti, fuggitivi, quasi pellegrini; in cerca di un posto sicuro in cui vivere senza dover fuggire dal passato, dai ricordi di un secolo vissuto nella miseria, nella morte, nell’orrore.

La natura ha ripreso il suo posto di madre, sovrana e tiranna.

Tutto ciò che gli esseri umani avevano costruito è andato perduto.

Le connessioni, le grandi città, le metropoli, le cittadine. I grandi paesi, le vecchie frontiere.

Ora ci sono solo due grandi “Patrie” che si dividono le terre emerse. La Federazione Unita e l’Honoko, il Regno dell’Est. Ovviamente, a causa della mancanza di materie prime, petrolio, fonti di energia e materiali per la costruzione di nuove tecnologie ultra-avanzate, le due Patrie entrarono in guerra, una guerra che portò noi, gente comune, a fuggire dalla nostra amata Terra verso frontiere inesplorate, che sarebbero poi diventate le nuove Colonie.

Insomma, il Nuovo Mondo. Ma nulla sembrò semplice così come veniva raccontato alla radio…

Bisognava “meritarsi” il posto sulle tre nuove navi spaziali. Ognuna di esse aveva mille posti, e sulla Terra noi, nonostante le tante carestie e la guerra, eravamo tanti.

Organizzarono così la famosa “Selezione”, che avrebbe permesso a noi tutti di poter avere la fortuna di acquisire uno dei tremila posti sulle navette Colombo, Polo e Magellano. Si stabilirono dei test di sopravvivenza, di logica, di cultura, di elevazione mentale, attraverso cui ci avrebbero valutati.

Ma per le antiche famiglie “Lock” era un’altra storia.

Famiglie ricchissime e potentissime, i Lock erano coloro che avevano in possesso la maggior parte delle materie prime e dei beni necessari alla sopravvivenza. 

Dopo la grande Selezione che squarciò innumerevoli famiglie, fummo scelti.

Ed eccoci qua.

Arrivammo con le nostre tecnologie sulla Colonia di Goah dopo tante lacrime e tanti Anni Luce.

Eravamo pochi, con un futuro e una speranza di sopravvivere a dir poco incerti; avevamo solo le nostre famiglie, o meglio, solo chi era stato fortunato a non averla persa durante la Selezione, ce l’aveva.

Prima di salire sulla nave che ci avrebbe portati verso il Nuovo Mondo, verso le Colonie, vidi Stefan per l’ultima volta.

- Non dovresti preoccuparti per me. Arriverò… solo che con una nave diversa, tra qualche mese.

- Sai che potrebbe non essere così… Stefan, io…

- Non dire niente. Mi sono arruolato perché nonostante tutto credo ancora nella Patria. Sai come la penso. Preferisco rischiare tutto per il mio ideale, piuttosto che venire con voi come hanno fatto in molti…

- Quei “molti” pensano ai loro cari.

- Io ti penserò sempre. Ogni giorno. Ogni momento.

La sua mano era fredda, dura, ma il brivido che provocò sulla mia pelle non era fastidio. Non volevo piangere. Volevo mostrarmi forte. Si avvicinò lentamente al mio viso, fissandomi con quegli occhi così neri, così profondi, così tristi….

- Soldato Salvatore!

Si scostò velocemente tornando nella sua consueta formalità.

- È ora.

- N-no…

Mi baciò le dita, Stefan, mentre si voltava verso il Capitano Forbes, mentre si voltava verso la guerra. Era convinto che sarebbe tornato. Era convinto che mi avrebbe raggiunto verso la Colonia. Ma io avevo un presentimento. Sentii le mie gambe tremare, spalancai involontariamente gli occhi e persi conoscenza. Ed ecco il buio. Ed è proprio così che scoprii il mio dono.

- Ti scriverò!

Mi svegliai di colpo, ero su un lettino ed ero sudata. La luce spuntava indiscreta dagli squarci delle tendine bianche dell’infermeria.

- Un altro strano svenimento, Miss?

Ancora più fastidiosa della luce indiscreta era la voce di Kelly Donovan, capo infermiera.

- Esattamente, Kelly… Ma ora sto bene, ho solo un lieve giramento di testa.

- Puoi andare allora, cara!

Scesi dal lettino agilmente, mi spostai in bagno e osservai il mio riflesso nello specchio. Controllare che i miei occhi e il mio viso fossero in stato normale era d’obbligo, ogni volta che mi accadeva.

- L’occhio destro è ancora un po’…

Sussurrai fra me e me.

Allora sfiorai la mia tempia con la punta dell’indice sinistro e dopo che sentii l’unghia spigolosa scalfirmi la pelle ed essermi concentrata per qualche istante tornai ad essere la solita me.

Pettinai i capelli biondi lisci facendo scorrere le dita rapidamente, pensando che quel giorno erano più luminosi del solito e che erano in perfetta combinazione con il pallore candido della mia pelle, quasi albina.

Con un lieve sorriso soddisfatto tirai la catena, diedi un ultimo sguardo rapido ma notai solamente i miei occhi algidi, color ghiaccio.

Uscii dal bagno e salutai chi dovevo.

Come al solito, era tutto sotto controllo. 

 


 
Il mio nome è Scarlett Carson.

Sì, come la rosa.

Che fantasia che avevano i miei.

Questo è il mio diario, e questa… questa è la mia storia. 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


- Vorrei essere come te, Scarlett. 


- Perché?

- Perché i tuoi occhi non tradiscono mai le emozioni che nascondono. 

Quella frase suscitò in me un brivido in fondo alla schiena, feci un rapido movimento rotatorio con il collo e continuai a fissare il volto rassegnato di Caroline.

La pelle luminosa, olivastra, liscia, le labbra carnose con il loro immancabile rossetto rosa perla, gli occhi verdi smeraldo un po’ tristi – cosa che mi stupii, essendo lei sempre, perennemente, allegra – e il suo profumo di ciliegia mi ricordavano i campi sterminati dell’Oregon, specialmente di Salem, dove i nostri coltivavano ciliegie e dove noi passavamo le nostre giornate di primavera, sognando il cielo.

Ora c’eravamo, in cielo. Ma non era così che ce lo immaginavamo.

- Cos’hai in programma per stasera?

I suoi occhi cambiarono espressione, tornò la Caroline di sempre.
 

- Non lo so ancora, tu che fai?

- Devo vedermi con Vicky e Matt al pub nella zona est della Madre… vieni con me?

- Sì, tanto non ho niente da fare. Dobbiamo comprare qualcosa? La doccia non funziona bene, dovremmo mandare una richiesta ai tecnici della base centrale, anche se prevedo una lunga attesa...

- Ci ho già pensato io! Come faresti senza di me in questa casa?

Sorrise dolcemente e continuò a spazzolarsi i lisci capelli castano chiaro.

E in effetti non sapevo come avrei fatto senza di lei, in quella casa.

Da quando eravamo arrivate su Goah e da quando ci avevano passato la nostra piccola abitazione nell’ala cinque, era stata sempre lei ad occuparsi di tutto. Io non c’ero mai, ero sempre indaffarata e lei sapeva il motivo.
A volte avevo l’impressione che mi stessi approfittando della sua gentilezza e infinita disponibilità, ma il pensiero spariva appena mi ricordavo di dover portare a termine qualche mio lavoretto.

La mia famiglia… Loro erano bloccati sulla Terra, confinati in una campana di vetro circondata da lotte civili interne, la guerra contro l’Honoko e la disgrazia più totale.

E poi c’era Stefan. Chissà se stesse bene. Chissà se fosse ancora vivo.

Questi pensieri comprimevano qualsiasi altro e io dovevo sentirmi utile. Volevo solo che quello: compiere la mia missione. E questo avrebbe comportato la distruzione delle famiglie Lock, in specie quella dei Lockwood.

I Lockwood… Perché a loro erano stati regalati i posti per la navetta Magellano? Potere, soldi, materie prime e beni necessari al Governo della Federazione… No. Non era giusto, così.

Vendetta, quella volevo. Era il terzo pensiero che comprimeva la mia mente.

- Ehi?

Caroline mi risvegliò dal mio temporaneo stato di trans.

- Ehm, ci sono, ecco.

- Allora? Vieni?


 
Matt e Vicky erano i classici fratelli che si adoravano infinitamente e i classici ragazzi della porta accanto.

Contrassegnati dalla loro identificativa chioma rossiccia e dalla loro genetica cordialità, erano identici.

Beh, erano gemelli, mi avrebbe stupito se fosse stato il contrario. Erano entrambi carissimi amici di Caroline dai tempi di Salem – anche miei, ma il mio carattere cinico e un po’ burbero non ha mai fatto avvicinare più di tanto nessuno – e la fortuna aveva voluto che anche loro venissero scelti durante la Selezione.

Loro abitavano nell’ala tre, i genitori, imprenditori e proprietari della più grande industria di esportazione di ciliegie di Salem, erano più che benestanti e ciò aveva comportato loro l’assegnazione di un’abitazione posta in un’ala migliore della nostra.

Ma a loro della ricchezza di famiglia importava poco e, nonostante non ne avessero bisogno, continuavano a guadagnarsi da vivere svolgendo qualche lavoretto qua e là, Vicky come cameriera in un pub nel centro della nave Madre e Matt come tecnico nella base centrale – posta al di sotto della zona comunale della nave Madre –.

-Ehi, Vicky!

La chioma rossa si mosse all’improvviso dopo il risuono del suo nome e al suo posto apparirono due grandi occhi marroni espressivi e comunicativi, pieni di gioia.

- Caroline, finalmente sei uscita da quel buco! Devo raccontarti tante cose! Oggi ho visto Tyler… Dai, andiamo a farci una birretta.

Al suo seguito, si girò con molta più calma l’attenzione di Matt, che non appena si accorse di me, mi corse incontro gridando il mio nome, ogni volta così, come se non ci fossimo visti per anni.
Matt era sempre stato innamorato di me.

- Come stai, piccolo genio?

- Bene, ieri sei andata via troppo presto però, ci sono rimasto male…

- Non preoccuparti, oggi starò con te quanto vorrai.

Il sorriso che apparve sul suo volto era fresco, raggiante, puro. Sapevo di fargli quell’effetto e, benché il sentimento da lui provato non fosse da me corrisposto, mi piaceva sentirmi così importante, così essenziale per lui.

E a volte usavo questo fattore a mio piacimento.

- Andiamo al Black Lion?

- Oggi non sono di servizio, quindi spostiamoci di lì e andiamo alla Vecchia Birreria Irlandese!

Parlammo del più e del meno, della solita vita, della nuova vita e di ciò che comportava. Quando Vicky fece capire che voleva andarsene a dormire, Caroline si rese conto che sarebbe stata fuori posto se fosse rimasta con me e Matt, così decise di accompagnarla e di fare altre due chiacchiere.

- Che facciamo adesso?

Fissai lo sguardo innocente e speranzoso di Matt con uno completamente diverso, malizioso.

- Quello che vuoi.

Si alzò e spostò la sedia accanto alla mia, allungò la mano verso la mia guancia e la sfiorò dolcemente. Poi scese verso il collo e infine verso la spalla destra. E lì si fermò. Rimasi impassibile a quel tocco morbido, la mano di Matt era calda e familiare al mio corpo.

Dopo qualche momento di silenzio, mosse la mano e sollevò la spallina del mio vestito nero.

Il suo sguardo cadde per un secondo sulla mia profonda scollatura ma poi tornò ai miei occhi.

- Andiamo da me.

Appena Matt ebbe pagato il conto, ci spostammo verso l’ala cinque, aprii la porta di casa e ci buttammo sul letto, seduti con le gambe intrecciate l’uno con l’altra. Iniziò a toccarmi il ginocchio.

- Non sarà troppo corto, questo vestito?

- Non ti piace?

- Non ho detto che non mi piace, dico solo che dovresti mostrare di meno tutto questo alla gente che non ti conosce…

Gli toccai l’orecchio e avvicinai le mie labbra alla punta del suo naso e sussurrai ironicamente.

- Non sarai troppo protettivo?

- Lo sai come la penso. Io ci tengo veramente, a te

Continuando a guardarmi fisso negli occhi, mi spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e mi diede lentamente un bacio silenzioso sulla guancia, vicino alle labbra.

Appoggiò l’indice sinistro su di esse e facendolo scivolare fece una leggera pressione così da lasciarsi del rossetto sulla pelle.

- Cosa posso fare per renderti felice?

Espresse chiaramente queste parole con una convinzione unica e profonda.

Iniziai a baciarlo con forza e lo feci sdraiare sul mio letto, le lenzuola bianche si sporcarono di rossetto e dopo qualche minuto mi fermai e mi sedetti sopra di lui.

Appoggiò con sicurezza entrambe le mani sui miei fianchi e mi guardò con uno sguardo differente, più sicuro, più virile, sollevandosi per un momento, giusto in tempo per riuscire a sfilarmi il vestito aderente.

Agitai i capelli e sistemai il reggiseno di pizzo, mi bagnai le labbra con la punta della lingua e sospirai.

Infine lo guardai intensamente.

I miei occhi diventarono dello stesso colore del rossetto.

- In effetti, una cosetta ci sarebbe…

 
 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1282803