There's no memory left

di overthinkgeo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***



Capitolo 1
*** I ***


Okay c'è ben poco da dire.
La Fanfiction è ispirata al film "Eternal Sunshine of the Spotless Mind" o tradotto brutalmente in italiano "Se mi lasci ti cancello".
Se l'avete visto, beh.. allora sapete già cosa aspettarvi. Se non l'avete visto,
Enjoy



Capitolo I




Tremolano le grigie nuvole sul mattino di Londra e una lieve pioggerella ha velato il cielo col suo silenzioso precipitare. Le persone odiano quella pioggerella, non puoi schivarla.. anche se hai l'ombrello. Lei arriva ovunque, come l'aria. Non ha una corrente precisa o un verso mentre cade; riempie e abbraccia tutto ciò che trova. Una pallida luce viene filtrata dalla foschia e si riflette dolcemente sul Tamigi che pare pitturato da un giallo smunto.
Le vite delle persone scorrono silenziosamente, gli occhi stanchi e pesanti dei lavoratori vengono stropicciati e il café si rovescia sulle camice appena lavate. E' molto presto ma la città sembra non smettere mai di pulsare e pullulare di respiri e affanni. Un soffio di felicità si attorciglia ai corpi delle giovani ragazze che, ben vestite, si preparano per una giornata di shopping e divertimento, mentre un tulle nero si aggancia con eleganza e serietà ai visi dei lavoratori.
Sembra la semplice mattina di un semplice giorno il quale appartiene a una settimana ordinaria. Tuttavia qualcosa di notevolmente importante sta per succedere in mezzo ai fiumi di gente che si insinuano nelle strade. Qualcosa di strano è già vivo nel paesaggio.. Sarà il vento? o forse il rosso sempre più pulsante delle cabine e degli autobus.. magari quel braccio di sole che ha deciso di protendersi sul Big Ben e illuminare il Tamigi, ma probabilmente ciò che la nostra attenzione sta cercando è il viso traboccante di ansietà e trepidazione che sta attraversando Baker Street. Quest'ultimo sorpassa le persone senza guardarle in faccia, ma solamente fissando un punto dritto innanzi a lui. Il mondo che lo circonda è muto in confronto al fragore che stanno producendo i suoi pensieri reattivi, lo dice la sua espressione tesa e turbata. Raggiunge la sua meta in pochi minuti, facendo lo slalom intorno ai turisti e imprecando silenziosamente quando qualcuno gli blocca la strada. E' ora fermo davanti a un portone nero, al cui fianco sinistro si può notare un bar affollato dalle tende rosse.
La cosa curiosa di questa vicenda è la rapidità con cui ha raggiunto la sua meta e la lentezza e indecisione che accompagna il suo passo finale. Fissa il portone e mostra segnali di imbarazzo, ma finalmente raccoglie un po' di coraggio e bussa rumorosamente.
Poco dopo un'anziana dall'aria cordiale e delicata appare dall'alta parte della porta, ma la sua espressione muta molto velocemente. Le lacrime cominciano a precipitare lungo le sue guance e si nascondono infine in mezzo alle rughe accentuate dall'età. Quest'ultime si contraggono e si rilassano confuse dalla felicità e dai singhiozzi che non vogliono finire. La donna sussurra con una piccola voce stridula mettendosi una mano davanti alla bocca. -Sherlock-
Stende le braccia in avanti per abbracciarlo e il ragazzo si lascia coccolare da questo antico amore.
-Sherlock, sei tornato. Non ho vissuto un giorno di questi 3 anni tranquillamente pensandoti dall'altra parte del mondo solo. Come sei stato? sei riuscito a risolvere tutto? Sei ancora in pericolo?- La signora Hudson continua a singhiozzare col più bel sorriso disegnato sul viso bombardando Sherlock di domande a causa dei 3 anni di assoluto silenzio.
-Ho risolto tutto. Sono tornato una settimana fa a Londra e mi sono assicurato di non aver più nessuno alle calcagna. E' finalmente finito l'incubo. Sono felice che sia tutto rimasto come sempre qui- Sherlock guarda a terra con uno sguardo stanco e pesante ma riprende vita pochi secondi dopo. -E John? come sta? è in casa?-
La signora Hudson perde lentamente la gratificazione che l'aveva accompagnata per gli ultimi minuti e magicamente il sorriso si cancella dal suo viso. -John, ehm.. John è al lavoro. Dal momento in cui te ne sei andato è rimasto qualche mese a casa, ma poi..- un breve ma spesso silenzio si infiltra tra le parole della signora Hudson -Ecco, lui ha deciso di ricominciare e ha cercato lavoro. Voleva rimanere qui, ma non poteva pagare l'intero affitto da solo.-
-Speravo John si comportasse in questo modo, ho detto a Molly di controllarlo mentre ero via. Fortunatamente è riuscito a rimanere con la testa sulle spalle. Dove lavora? dove lo posso trovare?-
-Emh, lavora per un Dottore, lo aiuta con i pazienti. Ha lo studio in casa sua, l'indirizzo è *******- Aggiunge la signora Hudson con uno sguardo più spaventato che sicuro di sé.
-La ringrazio, vado a cercarlo. Probabilmente stasera tornerò, è stato un piacere rivederla-
Si salutano con un altro caldo abbraccio e Sherlock esce dalla porta d'ingresso rapido e silenziosamente. La signora Hudson lo osserva, ora sembra passato solo qualche minuto da quando l'ha visto l'ultima volta. Non è cambiato minimamente, il suo modo di parlare frettoloso, il suo essere sintetico e schematico, il suo sorriso e l'agilità con cui si muove sinuosamente per la casa e quasi senza farsi sentire esce dalla porta senza dire una parola.

La casa del Dottore per cui John lavora è molto grande. Sherlock bussa diverse volte prima che un uomo anziano lo senta dalla sala d'attesa e gli apra la porta. C'è un odore gradevole, anche se la presenza di molte persone in una stanza ha fatto sì che l'aria si appesantisse. Regna un silenzio pacifico, nessuno osserva Sherlock mentre si stringe nell'angolo della stanza più lontano dalla porta. Era quello che desiderava, zero attenzioni. Tutti guardano giornali o leggono libri, stanno chiaramente aspettando da molto tempo ma il loro comportamento li disegna come persone abituate a una situazione del genere. Saranno quasi tutti pazienti abituali. Solo una donna ha allacciato lo sguardo al cappotto nero di Sherlock, lo sta cercando di osservare attentamente da quando è entrato, ma è riuscita a camuffare il suo interesse abbassando la testa rapidamente. I suoi occhi sono sbarrati e comincia a grattarsi nervosamente il palmo della mano sinistra. Con un movimento brusco chiama il suo vicino, probabilmente suo marito, e sussurra ponendosi la mano davanti alla bocca "Quello è Sherlock Holmes, non è Sherlock Holmes? Il detective che si è suicidato. Com'è possibile?", l'uomo alza lo sguardo dal giornale e con occhi disinteressati e cadenti sbircia il soggetto del loro bisbigliare. "Hai ancora in mente quella storia Kelly? dopo 3 anni? Credo che tu sia l'unica che si ricorda il viso di quel ragazzo. No Kelly, no. Gli assomiglia soltanto probabilmente, è impossibile. Ti sbagli. " E china nuovamente la grossa testa sulle pagine impregnate d'inchiostro, immergendosi nella lettura e staccando i legami col mondo esterno. La porta dell'ambulatorio è spalancata, un paziente è uscito zoppicando e Sherlock ha avuto il tempo di vedere una sagoma famigliare passare velocemente lungo la stanza. Lo segue con lo sguardo rapidamente come un mastino scorterebbe la sua preda. Una luce ha preso fuoco sul suo viso, ogni suo lineamento sembra ora più rilassato e tranquillo. Vederlo lavorare e impegnato con la sua vita, senza pensieri e preoccupazioni riguardo la sua morte, con in mano una cartellina e in mente solo alcuni risultati lo rende l'uomo più confortato e rincuorato in tutta Londra. Tuttavia, nessun sorriso compare sul suo viso. Preso dall'esaltazione attraversa velocemente la stanzetta e si pianta davanti all'ambulatorio, nonostante delle persone fossero prima di lui di fila.
Timidamente e con dubbio apre la porta con il più silenzioso movimento. John sta controllando dei fogli e si sta appuntando delle cose su un quaderno. Il cuore di Sherlock pulsa impetuosamente, si potrebbe quasi udire il suo sussultare ininterrotto se il silenzio fosse assordante. Fa capolino con la testa e con voce grave e potente distrugge la quiete.
-John-
John alza lo sguardo velocemente e rimane inerte fissando il viso nervoso di colui che 3 anni fa si poteva definire il suo migliore amico.
Nonostante Sherlock non si possa descrivere come una persona sentimentale quello sguardo proietta nella sua mente tutto ciò che può ricordare la serenità. Ha passato 3 anni circondato da sguardi stranieri e spesso furiosi nei suoi riguardi. Ritrovare gli occhi che l'hanno accompagnato nei suoi casi più importanti e avvincenti è come ritrovare la sua vera vita. Aspetta ansiosamente una risposta o una reazione di John. Questo istante pare durare un'ora o più, lo aspettano entrambi da molto tempo questo momento e uno dei due non pensa nemmeno che sarebbe stato possibile avverare un desiderio così vivido.
Sherlock deglutisce e continua a fissare gli occhi grigi e tranquilli davanti a sé.
-Mi dica- accenna John con voce calma e professionale, accompagnata da uno sguardo incerto e quasi spazientito.
-E' per caso lei il signor Turner?- Aggiunge controllando l'agenda delle visite e facendosi scendere gli occhiali sul naso.

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Capitolo 2
*** II ***


Premetto che questo capitolo non mi convince per niente. Non mi piace com'è scritto. Ma non ci posso fare niente perché dipende dai periodi e anche se lo cancello e lo rifaccio da capo viene sempre una cosa mediocre. E' che proprio non riesco a concentrarmi. E' stato un parto nonostante sia abbastanza corto. Ma non fa niente. Cioè spero di essere più in forma per i prossimi due/tre capitoli che saranno molto ma molto più impegnativi e spessi.



Capitolo II




- Tutto ciò che deve fare, signor Watson, è tornare a casa sua e svuotarla da tutto ciò che può ricordarle Sherlock Holmes. Si parla dunque di oggetti, vestiti, foto, documenti, disegni. Cerchi di ripulire ogni stanza alla perfezione, non si faccia addolcire da ciò che può trovarsi davanti, non può permettersi nessuna dimenticanza. Le cose che le porteranno più dolore o ricordi sono le prime che deve eliminare. Quando le avrà tutte riunite le porterà qui al mio studio e cominceremo con il trattamento. -

John risponde al dottore con un lieve cenno e abbassa lo sguardo per cancellare il silenzio imbarazzante. Con un veloce scatto aggancia le mani alle maniglie della sedia e si alza rumorosamente.
Nonostante abbia finalmente trovato la soluzione ad ogni suo dolore non riesce ad accennare un sorriso o un'espressione di sollievo. Saluta il suo curante con un movimento della testa esprimendo approvazione e ringraziamento, ma lascia alle sue spalle l'aria quasi tangente di un uomo graffiato dall'angoscia e il dolore.

John apre la porta del suo appartamento strappando il velo di silenzio che si era attorcigliato attorno ad ogni mobile e oggetto. Le sue narici sono infastidite dall'odore tagliente del ferro che si è appiccicato alle dita premendole contro la chiave. E' da qualche mese che trova fastidioso entrare in casa sua. Non prova altro che terrore e insicurezza, siccome gli sembra di profanare la dimora di qualche inquieto spirito. La solitudine non era mai stata così pesante, il silenzio mai così spesso, e il buio in ogni stanza tanto deprimente.
Dalla morte del suo migliore amico non aveva dedicato molti pensieri a lui, era sempre riuscito a distrarsi grazie al suo forte animo da ex-militare. Ciò non toglie che in giorni comuni ai suoi ricordi e simili ai momenti passati l'angoscia lo divorasse e facesse scendere più di quante lacrime si aspettasse dai suoi occhi. Quegli attimi di avvilimento li rimuoveva dal cervello ogni volta che si asciugava il viso e usciva dal bagno, ma tornavano vividi non appena ci rientrava e i suoi ricordi si inumidivano quasi quanto le sue guance. Riusciva a ricordarsi tutte le volte in cui aveva pianto, e i motivi delle sue tristezze. Poteva vedere il suo viso rosso e vergognoso riflesso nello specchio di tutte le volte in cui gli era capitato di nascondersi in quella stanza capace di assorbire e nascondere i suoi lamenti. Ma solo durante quegli istanti di tenebra la sua coscienza poteva accettare tutte le sofferenze passate.
Il suo rigido essere era sempre riuscito a limitare i momenti di ruvida e tangibile tristezza in poche lacrime dietro le mura di un bagno, ma mai era stato capace, e mai lo sarà, di rende gli occhi di John ciechi alla visuale del suo appartamento inerte e muto.
Ma tra poco il suo alloggio porterà solo tracce di un uomo solo, che è sempre stato solo ed è sempre stato bene solo.
I ricordi svaniranno, gli spiriti si dissolveranno e il suo appartamento immobile non avrà nessuna sfumatura di mancanza.

John è partito dalla sala. La sua accortezza lo obbliga a passare per ogni angolo della stanza, dentro tutti i cassetti dei mobili, e in mezzo alla polvere del passato. Non pensava di aver ancora con se' così tanti frammenti di vita di Sherlock. La borsa che sta riempiendo di oggetti e fogli si gonfia e si dilata assomigliando ad una creatura ghiotta di memorie e pensieri.
Nonostante stia svolgendo il lavoro con estrema attenzione il suo cervello lo prega di compiere il tutto molto velocemente, senza lasciare troppi pensieri sparsi per la casa e troppi dolori attaccati a quelle cianfrusaglie. Chino e concentrato finisce il tutto dopo un'ora e 15 minuti.
Le gambe pulsano come se avesse appena corso per tutta Londra, si appoggia delicatamente alla poltrona tenendo al suo fianco la borsa deforme. Affonda le stanche dita negli occhi, con rabbia e foga le spinge in dentro compiendo un moto circolare e risvegliandosi la vista. Senza mai staccare l'altra mano dalla sporta rimane immobile con i polpastrelli affondati nelle palpebre. Ci sono momenti in cui John vorrebbe rendere cieche anche le sue ansie e inquietudini, momenti in cui vorrebbe il buio oltre che negli occhi anche nella mente.
La stanza accoglie dentro il suo ventre il sole del primo pomeriggio e ospita il tepore che solitamente appartiene al letto mattiniero appena svuotato. Si possono udire le canzoni della vita fuori dalle finestre e i canti delle auto. Il volare sbadato del vento e il cinguettio di qualche uccello in cerca della giusta corrente da cavalcare. Il suo respiro denso risuona come il pulsare di un cuore all'impazzata, vuole farsi sentire da ciò che lo circonda ma il silenzio continua a gridargli quanto solo e abbandonato sia rimasto.
La mano di John stringe improvvisamente il sacco creando un rumore di attrito fastidioso e deformandone la plastica. Le dita incastonate negli occhi si avvinghiano ancora di più alla pelle morbida delle palpebre facendo arrossire il viso di John. Bollenti lacrime iniziano a sgorgare senza nessun preavviso.
Lascia cadere il sacco delle memorie sperando di farle precipitare anche negli abissi più profondi della sua mente.






-Cominceremo con i suoi ricordi più recenti e da lì procederemo a ritroso. Alla base dei nostri ricordi c'è come un nucleo emotivo e quando si estirpa quel nucleo ecco che inizia il processo di degradazione. Perciò al suo risveglio mattutino i ricordi che abbiamo mirato saranno inariditi e dissolti.. come le ombre di un sogno che svanisce.-

-C'è qualche rischio di un danno celebrale?-

-Beh vede, tecnicamente parlando il procedimento è basato su un danno cerebrale.. ma è paragonabile più o meno a una grande bevuta, niente di importante.-





Nota: queste ultime tre battute sono uguali uguali al film. (Eternal Sunshine of the Spotless Mind)

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