La regina dei briganti

di Tury
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***



Capitolo 1
*** I ***


Delle urla destarono gli uomini che riposavano in quel villaggio abbandonato. Un uomo subito corse ad avvisare la ragazza dell'imminente pericolo ma si fermò sulla soglia. Lei era già lì, a guardare lo spettacolo fuori dalla finestra.
“Guarda, sembra un enorme serpente di fuoco.” gli disse, alludendo alla folla che si avvicinava reggendo in una mano il fucile e nell'altra una lampada ad olio, per illuminare la strada.
L'uomo sospirò.
“Hanno svegliato anche te.”
“No, non hanno svegliato nessuno. Ero già sveglia.”

L'uomo si avvicinò alla giovane donna, fermandosi alle sue spalle. Avrebbe voluto abbracciarla, consolarla. Farle sentire che non era sola in quella lotta contro il mondo. Ma l'unica cosa che riuscì a fare fu chiederle se stesse bene.
La ragazza, vedendo il riflesso di lui nel vetro della finestra, si voltò, sorridendogli.
“Ti preoccupi troppo, Orel. E senza motivo.”
“Sappiamo entrambi cosa vogliono quegli uomini, Levinja.”
Il sorriso sul volto della ragazza si allargò ancora di più.
“Davvero Orel? E dimmi cosa vogliono?”
Visibilmente irritato da quella domanda, Orel attese qualche secondo prima di rispondere, lottando contro se stesso per sputare quelle tre parole che avevano il potere di infliggere ferite più dolorose e profonde di quelle che infliggeva il suo pugnale.
“La tua testa. Ecco cosa vogliono.”
La risata di Levinja riempì la stanza, con l'unico effetto di far irritare ancora di più l'uomo che le stava di fronte.
“La mia testa. Peccato che questa testa sia così affezionata a questo collo che non ha alcuna intenzione di barattarlo con un palo. Nemmeno se questo fosse rivestito di diamanti.”

Levinja superò Orel, dirigendosi verso la porta. Prima di uscire si voltò per chiamare a sé quel suo amico dall'aspetto burbero e il cuore tenero. Orel sospirò ancora una volta. Il pensiero che fosse stato lui a trascinarla in quella situazione lo tormentava ogni giorno.

Fuori, gli uomini della brigata erano già nelle loro posizioni, in attesa dell'attacco nemico. Levinja uscì da quello che era stato ribattezzato il quartier generale, ovvero l'unico edificio che ancora potesse esser definito casa in quel cumulo di macerie. Indossava abiti larghi, rigorosamente neri, in modo che si sposassero meglio con le tenebre che la circondavano. L'unica sfumatura di colore era data da una sciarpa rossa, che le copriva metà volto, lasciando scoperti solo gli occhi. Un vivo ricordo di una vita passata. Dopo poco giunse anche Orel, con il pugnale sul fianco sinistro, che rifletteva la luce della Luna, attirando l'attenzione della ragazza, facendola sorridere. Orel era famoso nella brigata non solo per il suo sangue freddo ma anche per quel pugnale che portava sempre con sé e a cui dedicava tutte le sue cure. Si diceva che se la sarebbe portata nella tomba, quella lama.
-Sempre che ci sarà concesso l'onore di poterla avere una tomba.- pensò Levinja, sempre col solito sorriso sulle labbra.
“Nemmeno le leggende su questo posto sono riuscite a tenere lontani quegli uomini.” disse Orel.
“Che ti aspettavi? Hai presente la taglia che pende sulla mia testa, caro fratellone? Ben 250.000.000 abbasi. Ho superato anche te.”
“Tutte parole. Aspetta che uccida questi pupazzi armati, poi ti farò vedere quanto salirà la mia.”
“Sempre che non te lo impedisca.”
Orel sbuffò.
“Dimenticavo che a sua altezza non piace il sangue. Ma in certi casi, tipo questo, è inevitabile.”
“Troveremo una soluzione, anche senza spargere sangue.”
Orel si voltò a guardarla.
“Io ancora mi chiedo come sia possibile che la tua taglia sia più alta della mia.”
“Ferito nell'orgoglio, eh?”
“Esattamente. È qualcosa di inconcepibile.”
La risata di Levinja giunge alle orecchie dell'uomo ovattata, a causa della sciarpa.
“Ah, fratellone, quando capirai che a volte un nome vale più della persona. Sarebbe inutile spiegare a quegli uomini che non mi sono mai macchiata le mani di sangue, perché non ci crederebbero. Troppo impegnati a rivendicare una testa mai caduta. Sono solo poveri naufraghi in un mare di sangue che non è stato mai versato. Perché poco importa della persona, è stato il nome a morire. E tanto basta per aizzare degli uomini contro degli innocui viandanti.”
“Bella faccia tosta a definirci innocui viandanti. Siamo belve assetate di sangue, noi.”
“Non di sangue, ma di fama! E di soldi.”

La ragazza scappò via, facendo terminare quella discussione. Orel, non aspettandosi una reazione simile, riuscì solo a chiederle dove stesse andando.
“Ad impedire che la tua taglia continui a salire! Voialtri non osate muovere un passo! Ci penso io a loro. Anzi, occupatevi di quel colosso che mi insegue!” urlò la ragazza, senza smettere di correre e notando che intanto Orel si era lanciato al suo inseguimento. Gli uomini, prontamente, obbedirono ai suoi ordini, ostacolando, per poi bloccare definitivamente, la corsa di Orel.
Mentre seminava i suoi uomini, Levinja sentì il fratello urlarle contro che gliel'avrebbe pagata e non potè trattenere un sorriso, l'ennesimo. In realtà i due non erano accomunati da nessun legame di sangue, ma questo non aveva alcuna importanza.

Superato il ponte che permetteva di attraversare il fiume quando questo era nella fase di piena, la ragazza si guardò intorno, studiando il territorio per vedere come poterne usufruire a suo vantaggio. Non intendeva far del male a quelle persone, assolutamente. Erano solo poveri contadini spinti dalla disperazione e dalla fame, ma era anche vero che erano in troppi perché potesse sperare di salvarsi la pelle. E aveva anche ordinato ai suoi uomini di non seguirla. La situazione non si metteva per nulla bene. Il respiro del vento tra le foglie la distolse dai suoi pensieri e la portò ad alzare lo sguardo verso la Luna. Fu in quel momento che le sagome degli alberi illuminati dalla flebile luce lunare le fecero trovare la strategia vincente per allontanare quegli uomini dai suoi territori. Il giorno prima, passeggiando nel mercato del paese, aveva chiesto a dei bambini di raccontarle la storia delle rovine, dove poi aveva trovato rifugio con i suoi uomini, in cambio di qualche abbaso. Aveva così saputo che intorno a quel villaggio abbandonato giravano voci su fantasmi e figli del male. Ringraziò mentalmente quei ragazzi e si mise subito all'opera. Si trattava di una vera corsa contro il tempo.

La folla era finalmente giunta al ponte, con gli animi spenti, non più sicuri di ciò che stavano facendo. La foresta che erano stati costretti ad attraversare aveva distrutto con un lieve colpo quelle maschere che tanto faticosamente si erano costruiti per illudere prima loro stessi di non provare paura. Ma ora erano lì, ad un passo dal villaggio abbandonato. Pronti alla battaglia. Uno degli uomini, preso tutto quel poco coraggio rimastogli, fece il primo passo verso il ponte ma subito un brivido gli percorse la schiena. Qualcuno aveva urlato.
“Allora! Chi è lo sciocco che ha tanta voglia di scherzare? Tornatevene pure in paese se non volete obbedire agli ordini!” disse rivolto alla folla, con la viva speranza che l'urlo fosse davvero stato uno stupido scherzo di qualche ragazzo che li aveva seguiti. Ma subito le sue speranze crollarono.
“Non prendertela con i tuoi uomini. Non sono stati loro ad urlare ma io.”
L'uomo iniziò a voltarsi in tutte le direzioni, brandendo il fucile con mani tremanti. Esattamente come la folla.
“Chi va là! Mostrati vigliacco!”
“Ah, se ancora potessi mostrare il mio volto. Ma purtroppo mi è impossibile. Solo i miei abiti mi sono rimasti.”
E come per avvallare ciò che era stato appena detto, ecco fluttuare una maglietta nera nell'aria.
“Vi prego, non scappate!”
Troppo tardi. Quei validi uomini erano corsi via,cercando ti tornare il più in fretta possibile alle loro abitazioni sicure. Una risata leggera riempì l'aria notturna. Levinja recuperò la maglia e la indossò, guardando quegli uomini con il suo solito sorriso sulle labbra. Mentre tornava al villaggio abbandonato si soffermò a guardare la Luna riflettersi nelle acque del fiume. Era passato poco più di un anno da quando aveva visto quello stesso spettacolo, affacciata al balcone di quel lussuoso palazzo. Eppure le sembrava un'eternità. Erano cambiate tante cose. Aveva imparato a sopravvivere vivendo dei soli frutti della terra, a credere in se stessa, a farsi male e saper sopportare il dolore.
“Levinja.”
Si voltò a quel richiamo incontrando gli occhi di Orel.
“Me la pagherai, ragazzina!”
L'aria si riempì di nuovo della sua risata.
Sì, erano cambiate tante cose. Aveva finalmente trovato una famiglia.



 

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Capitolo 2
*** 2 ***


“Si può sapere come ti è saltato in mente di andare contro quegli uomini da sola? E se ti avessero uccisa?”
Levinja alzò gli occhi al cielo, esasperata. Era tutta la mattina che la seguiva, ripetendole le stesse cose. Si abbandonò senza alcun garbo sulla sua poltrona, guardando negli occhi Orel.
“Ma così non è stato. Ti preoccupi troppo.”
Orel poggiò le mani sui braccioli della poltrona, riducendo la distanza tra di loro.
“Ricordati l'importanza che riveste colui che siede su questo trono. Tu non puoi permetterti il lusso di morire.”
“È solo una poltrona.”
“Ma sai il significato che ha per quegli uomini. Chi siede su questa poltrona è considerato il capo della brigata. Vedi di ricordartelo la prossima volta.”
“Orel...”
“E cercati un'arma! Non sarai sempre così fortunata come ieri sera.”
La ragazza scoppiò a ridere.
“Vedi la differenza tra un uomo e una donna? Per voi l'unica soluzione ad ogni problema è la violenza, mentre noi cerchiamo di utilizzare questo.” disse, battendosi due dita sulla fronte.
“Fai poco la spiritosa, ragazzina. Ricordati che quegli uomini vogliono la tua testa.”
“Ti ho già detto che non l'avranno. E poi ci sei sempre tu, il mio adorato fratellone.”
Orel rimase in silenzio, colpito dalle parole di Levinja. Non disse nulla, semplicemente uscì dalla stanza, avvolto da quel silenzio che sempre lo contraddistingueva. La ragazza lo guardò allontanarsi, con un peso sullo stomaco. Non voleva mentirgli, ma sapeva che se gli avesse detto la verità lo avrebbe perso per sempre.
Soffiava un vento leggero quella mattina. Orel era appoggiato sul ponte dove la sera prima aveva trovato Levinja. Guardava l'acqua scorrere sotto di lui, immerso nei suoi pensieri.
“A cosa pensi?”
L'uomo si voltò subito, incrociando lo sguardo della ragazza.
“A nulla di importante.”
“Nulla di importante. Orel, ti pregherei di non darmi della stupida.”
“Non lo sto facendo.”
“Sì invece, comportandoti in questo modo.”
L'uomo sbuffò.
“Pensavo a quale regalo farti. Tra poco è il tuo compleanno no? Dimmi, cosa ti piacerebbe? Un pugnale, un arco, una spada?”
Sul volto di Levinja comparve uno dei suoi famosi sorrisi e subito si mise in posizione di guardia. Orel la guardò perplesso.
“Prova a colpirmi.”
“Ti sei bevuta il cervello, ragazzina?”
“Voglio solo mostrarti che la taglia che pende sulla mia testa me la merito tutta. Avanti, colpiscimi!”
Orel, sbuffando, afferrò la lama, ma non ebbe il tempo nemmeno di fare un affondo che Levinja lo disarmò con un calcio, per poi afferrare il pugnale a mezz'aria e scappare via.
“Bastarda...Ridammi il pugnale!”
“Troppo tardi fratellone!”
L'uomo afferrò una pietra e la lanciò nel fiume, con tutta la forza che aveva. I comportamenti di quella ragazza cominciavano ad esasperarlo. Era una vera e propria mina vivente.
“Non si può dire che non meriti il titolo di regina.”
Orel si voltò e vide uno degli uomini della brigata venire verso di lui.
“Guardala, nemmeno il vento riesce a starle dietro. Incredibile come quella ragazzina sia riuscita ad abituarsi a questo tenore di vita, proprio lei che...”
“Lei niente.” ringhiò Orel.
“Andiamo Orel, vuoi mentirle per tutta la vita? Prima o poi dovrà tornare a casa, non è questo il suo destino.”
“Che ne sai tu del destino.”
Detto questo si allontanò, lasciando da solo il suo compagno.

Scappata dalla furia del fratello, Levinja si era rifugiata in una grotta, per non essere scoperta. Voleva fare un regalo a Orel, ovvero pulirgli quel pugnale che tanto amava.
“Se continui a sfregarlo in quel modo l'unico effetto che avrai sarà tagliarti le mani.”
La ragazza, presa di sorpresa, per poco non si feriva con la lama.
“Dì un po', hai deciso di uccidermi?”
“L'idea non sarebbe male, tornerei ad essere il re della brigata.”
“Sai che quel titolo spetta solo a chi ha la taglia più alta.”
“Grazie per avermi ricordato che la tua morte mi farebbe anche diventare ricco.”
Levinja gli sorrise e tornò a pulire la lama.
“Lascia fare a me, potresti tagliarti.”
La ragazza lo guardò.
“Posso farti una domanda?”
“Dimmi.”
“Perché ti preoccupi sempre per me?”
Orel la guardò, senza rispondere. Nemmeno lui sapeva bene il motivo per cui si era legato a quella strana ragazza.
“Sempre in silenzio, eh?”
Orel rise.
“Anche a mio padre dava fastidio il mio silenzio. Litigavamo spesso.”
Poi, comprendendo subito l'enorme sbaglio commesso, si corresse.
“Non preoccuparti, dopotutto è morto quando io ero troppo piccola per ricordarlo, quindi è come se fosse solo tuo padre.”
Per non far sorgere dubbi, Levinja gli regalò uno dei suoi sorrisi più belli e questo sembrò calmare leggermente l'uomo. Ogni volta che si toccava quel tasto, Orel si richiudeva sempre in se stesso, divenendo incredibilmente distante. La ragazza lo guardò, non sapendo bene cosa fare per poter distruggere quella distanza che li aveva improvvisamente divisi.
“Voglio un arco.”
Orel la guardò sorpreso, non aspettandosi una simile richiesta.
“Mi prendi in giro?”
“Assolutamente no. Dopodomani è il mio compleanno e io voglio che mi regali un arco.”
“Perché proprio un arco?”
La ragazza si alzò ed uscì dalla caverna, in silenzio. Orel la seguì, incuriosito dal suo comportamento.
"Lo senti questo vento, Orel? Per dei briganti come noi, l'unione con la natura è indispensabile per la nostra sopravvivenza."
"Lo so."
"E conoscerai anche la legge dell'equilibrio primordiale."
"La legge secondo la quale ognuno di noi è legato dalla nascita ad un elemento."
"Esattamente, fratellone. Il tuo pugnale è così efficace perché la tua mano è guidata dall'ardore del fuoco.”
“Levinja, cosa stai cercando di dirmi?”
La ragazza si impadronì nuovamente della lama di Orel e la lanciò contro un albero, facendo conficcare il pugnale nella corteccia fino all’elsa.
“Che la mia freccia verrà guidata dall’impetuosità del vento.”

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Capitolo 3
*** 3 ***


Era tutto il pomeriggio che Orel lavorava ininterrottamente. Il sole era quasi tramontato alle sue spalle e la festa di iniziazione era ormai vicina. Posò con cura l’arco al suo fianco e si rilassò, guardando il sole tuffarsi nella distesa azzurra del mare. Ripensò a quello che era successo quella mattina, a quella ragazza che definiva sorella, alla legge dell’equilibrio primordiale. Nonostante lui fosse nato da una famiglia di briganti e fosse stato educato secondo i dogmi del culto degli elementi, aveva sempre ritenuto che quella legge fosse solo una leggenda, contrariamente a quanto dimostrava il marchio a fuoco che portava sulla spalla sinistra. Eppure, quella ragazza sembrava la dimostrazione vivente di tutto ciò che il suo culto professava. Come se, in fondo, non fossero solo voci di popolo quelle che avevano dato vita alle antiche leggende. Prese tra le mani l’arco, soffermandosi sui caratteri che aveva inciso nel legno di quercia con il suo pugnale. Una scintilla di celata soddisfazione guizzò nei suoi occhi chiari, nell’ammirare il frutto del suo meticoloso lavoro, finché lo sguardo non si posò sul simbolo che era al centro dell’arco. Il simbolo del vento. Si domandò come mai, tra tutti gli elementi della natura, a quella ragazza fosse capitato il vento. Nelle vene di Levinja non scorreva il suo stesso sangue, anzi, non scorreva proprio sangue di brigante. Eppure, il vento aveva scelto il suo esile corpo come dimora. Il vento, l’elemento più indomabile della natura. Orel sorrise pensando quanto quello stesso aggettivo si sposasse così perfettamente con il carattere della sua regina. Forse, la natura era capace di tessere trame più intricate ed elaborate di quanto la mente umana fosse in grado di comprendere. Il suono di un corno risuonò nell’aria. Orel si alzò, volgendo per un’ultima volta lo sguardo al sole. Era giunto il momento.
 
Un grande fuoco era stato acceso al centro del villaggio. Musiche tribali riempivano l’aria, unite a risate ed urla. Levinja sedeva sul suo trono, che per l’occasione era stato portato fuori dal quartier generale, sorridendo nel vedere il suo popolo circondato da quella sana allegria. Lei era l’unico componente di sesso femminile della brigata, l’unica donna che fosse stata accettata nel loro ordine. Tutto ciò aveva dell’incredibile, se poi si aggiungeva che quell’unica ragazza fosse anche riuscita a divenire la regina di quegli uomini senza regole e senza paura, allora si poteva anche parlare di trascendentale. Ed ora, in quella calda sera d’estate, Levinja era pronta ad accogliere dentro di sé il vento, rendendo indissolubile il legame che l’avrebbe legata al suo elemento. Orel uscì dalla macchia verde, silenzioso come un gatto, dirigendosi alle spalle della sua sovrana, prendendo il posto che spetta al secondo della brigata. L’arco era conservato in un panno di seta nera.
“Iniziavo a darti per disperso, fratellone.” disse Levinja senza voltarsi verso l’uomo.
“Il mio senso dell’orientamento non accenna a vacillare, sorellina.”
La risata della ragazza subito lo raggiunse, facendolo sorridere. Era incredibile come quell’innocente suono fosse capace di sciogliere il suo cuore.
“Sai, Orel, sono davvero felice.”
“Di cosa, Levinja?”
“Che tu sia qui con me.”
I due rimasero in silenzio, a guardare il loro popolo festeggiare.
“Sarà pericoloso.”
“Cosa, Orel?”
“Lasciarli senza una guida. Ma il culto parla chiaro. Solo un altro possessore degli elementi deve iniziare il nuovo prescelto.”
“E in questa brigata, l’unico possessore sei tu.”
Per la prima volta Levinja si voltò verso di lui, puntando i suoi occhi verdi in quelli color ghiaccio di Orel.
“È solo una stupida leggenda. Stiamo rischiando troppo.”
“Il culto parla chiaro, fratellone. E in ogni caso loro non ci lascerebbero restare. Non importa quanto noi crediamo negli elementi, la brigata ci crede e noi siamo tenuti a fare quello che la brigata chiede.”
“La brigata ci chiede il suo suicidio.”
Levinja gli regalò uno dei suoi innumerevoli sorrisi.
“Sii fiducioso, Orel. I tuoi uomini sono validi guerrieri.”
“I nostri uomini, Levinja.”
“Anche se sono la sovrana, Orel, i loro cuori sono fedeli a te.”
“La brigata ti ama. Non dubitare mai di questo.”
“La brigata ama il nome che porto, quel nome che mi unisce a te, al loro vero re. Io sono solo un’usurpatrice, ricopro questo ruolo solo perché una stupida regola ha deciso così.”
“Quella stessa regola che la brigata ha voluto. Cosa succede, Levinja? Perché questi pensieri?”
“Sarà la situazione.” Rispose, semplicemente. Orel decise di non indagare oltre e cercò di deviare il discorso verso altri pensieri.
“Hai già deciso chi nominare in tua vece?”
“Stavo pensando a Sansar. Cosa ne pensi, fratellone.”
“Non avrei potuto prendere scelta più saggia.” L’uomo fischiò, facendo subito girare il diretto interessato verso la sua fonte. Bastò un cenno di Orel e l’uomo si allontanò dalla festa.
“Andrò a parlare personalmente con lui. Tu continua a goderti la festa, sorellina.”


“Orel, si può sapere che sta succedendo?” Sansar era appena entrato nel quartier generale per discute i termini del suo governo provvisorio.
“È la legge, Sansar, e nessuno può tirarsi indietro. Nemmeno io.”
“Ma capisci in che guaio ti stai mettendo. Lei non è una di noi, lei non è una ladra, una fuorilegge. Lei non è nulla di tutto questo.”
“Lo so Sansar, ma che posso farci? È la natura che l’ha scelta.”
“Ma tu hai permesso che restasse qui! Orel, tu sai quanta stima mi lega a te, sei sempre stato il nostro re, il mio re.”
“E tu sei sempre stato il mio secondo.”
“E sempre con orgoglio ho portato quel titolo.”
“Ma ora il re non sono più io. Lei è la vostra nuova sovrana, è a lei che dovete giurare fedeltà.”
“Ed è ciò che ho sempre fatto. Orel, amico mio, non credere che queste parole siano mosse da astio o invidia, perché nulla di tutto ciò alberga nel mio cuore. Ma cerca di capire quanto io ti sto dicendo, lei non può restare qui. Capisci che sulla sua testa pesa una taglia immotivata. Lei è accusata di un omicidio che non avrebbe mai potuto commettere. Non servirà a nulla dirle che quel delitto non è stato mai consumato. Lei deve conoscere la verità. Orel, segui il consiglio che ti ho dato stamattina, liberala dalla tela della menzogna. Permettile di riprendere il suo posto nel mondo.”
“Lei è la nuova prescelta, Sansar.”
“Perché non mi ascolti, Orel? Si può sapere che ti succede? Cosa ti lega così tanto a quella ragazza?”
“Qui ci sono le licenze di cui necessiti per governare gli uomini.” Disse Orel, buttando una pergamena su un vecchio tavolo. Dopodiché prese l’arco ed uscì dall’edificio, troncando di netto la conversazione con il suo vecchio amico.

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Capitolo 4
*** 4 ***


La musica, che prima aveva riempito l’aria, cessò improvvisamente. Tutti si voltarono verso quella ragazzina dall’eterno sorriso. Levinja si alzò dal suo trono e, con passi lenti e leggeri, raggiunse il centro dello spiazzato presente dinanzi al quartier generale. Indossava sempre i suoi abiti neri e la sciarpa rossa, ma qualcosa in lei era diverso. Il suo portamento, fiero e orgoglioso, i suoi occhi, resi vivi da una nuova luce, e i lunghi capelli dorati, mossi dal vento, cancellarono in un attimo l’immagine che, fino a quel momento, gli uomini della brigata avevano avuto di lei. Levinja non era più la tenera adolescente che rallegrava le giornate con le sue risate e scaldava i cuori di quegli uomini abbandonati con i suoi sorrisi. Ora, dinanzi a loro, vi era la loro regina, in tutta la sua maestosità. Arrivata al centro si fermò, guardando ognuno dei suoi uomini, i quali abbassavano la testa, in segno di rispetto, ogni volta che il loro sguardo si incrociava con quello della ragazza. Orel, come sempre, si pose alle sue spalle. Levinja attese qualche secondo prima di parlare.
“Amici, fratelli, come ormai saprete, lo Spirito della Natura ha agito, muovendosi tra di noi, comuni mortali, manifestando la sua volontà. Ha deciso che io dovessi essere non semplicemente sua figlia ma sua amante, facendo della legge dell’equilibrio primordiale il mio unico credo, legandomi in maniera indissolubile al vento, suo figlio.”
Un boato si alzò dagli uomini, che avevano ascoltato in silenzio fino a quel momento. Applausi e fischi risuonarono per tutte le rovine. Levinja attese che la gioia del suo popolo si placasse prima di continuare.
“Questo significa che io non potrò più essere la vostra regina. Il processo di comunione e di fusione con un elemento della natura è lungo e tortuoso e il cammino che mi attende mi terrà lontana dalla brigata per qualche tempo. Come sapete, le sfide che lo Spirito della Natura pone sul cammino del prescelto, devono essere affrontate dalla persona designata in completa solitudine. Al prescelto, è concessa solo la compagnia di un altro possessore degli elementi, in veste di iniziatore. Ciò significa che anche Orel dovrà partire con me. In qualità di regina, devo, dunque, indicare il mio eletto, che farà le mie veci e guiderà la brigata in mia assenza.- Levinja guardò uno dei suoi uomini e sorrise- Sansar, vieni qui, di fronte a me.”
L’uomo obbedì alla sua regina e, staccatosi dal cerchio che gli uomini della brigata avevano formato intorno alla loro sovrana, si pose di fronte a Levinja, pronto a ricevere la benedizione della sua regina. Levinja lo guardò negli occhi e regalò uno dei suoi sorrisi più radiosi all’uomo che ora le stava di fronte. Sansar, guardando il volto innocente della ragazza, non poté non sorrise a sua volta.
“Fratelli, da oggi in poi, Sansar sarà il vostro re.” E come dimostrazione fisica delle sue parole, pose una mano sulla spalla dell’uomo.
Subito, il clamore che aveva animato prima i suoi uomini tornò a far vibrare l’aria. Nessuno si sentì offeso dalla scelta presa dalla ragazza, dato che nella brigata erano sconosciuti sentimenti quali l’invidia o l’astio generato dalla rivalità. I briganti iniziarono ad urlare il nome di Levinja, che rispose all’invocazione con una delle sue sonore risate. Sansar guardò negli occhi Orel, sorridendo. Levinja era felice, tra quegli uomini, in mezzo a quella gente. Non le importava nulla di essere l’unica donna della brigata, di dover condurre una vita da nomade, di dover scappare ogni volta che le guardie del re la riconoscevano. Levinja era felice, perché, per lei, quegli uomini erano la famiglia che aveva sempre desiderato. Sul volto di Orel comparve un sorriso, mentre pensava a ciò, un sorriso che non passò inosservato. Il silenzio calò improvvisamente, ma l’uomo non se ne curò, così preso nell’ammirare il volto radioso di sua sorella, la cui attenzione era completamente rivolta a lui.
“Ehi fratellone, stai sorridendo.”
Orel sembrò svegliarsi dall’estasi in cui era caduto. In quel momento, si accorse che tutti gli occhi erano puntati su di lui. Levinja, accorgendosi dell’imbarazzo in cui era caduto, gli si avvicinò e, prendendogli il viso tra le mani, fece in modo che i suoi occhi non fossero che per lei.
“È la prima volta che ti vedo sorridere. È proprio bello, il tuo sorriso.”
“Mai quanto il tuo, sorellina.” le disse, portando una mano ad accarezzarle il volto.
Sansar tossì, facendo sobbalzare i due.
“Scusate l’interruzione ma è giunta l’ora.” Disse, non guardando i due.
Levinja si staccò dal fratello, corse da Sansar e gli posò un bacio sulla guancia, per poi scappare all’interno del quartier generale.
Orel la guardò esterrefatto, chiedendole dove stesse andando.
“A prepararmi per i preparativi!” e subito scoppiò a ridere, per il gioco di parole appena usato.
Dopo qualche minuto, Levinja uscì dall’edificio. Indossava solo i suoi pantaloni neri, mentre il busto era completamente nudo, eccezion fatta per delle fasce che avevano lo scopo di coprire i seni, appena accennati, della ragazza. Gli uomini della brigati rimasero esterrefatti nel vedere la ragazza presentarsi in quelle condizioni, compreso Orel.
“Andiamo, non avete mai visto una donna?” disse la ragazza, ridendo, mentre si dirigeva al centro del piazzale, senza far caso agli sguardi che si posavano su di lei.
“Si può sapere che significa tutto questo, ragazzina?” chiese Orel, visibilmente imbarazzato.
La ragazza si stese esattamente al centro del piazzale.
“Il rito di unione con il proprio elemento inizia con il marchiarsi il corpo, o sbaglio, Orel? E a eseguire il marchio deve essere solo un altro possessore degli elementi.”
Orel si avvicinò alla ragazza e si inginocchiò, per guardarla negli occhi. Levinja incrociò le braccia sotto il mento e guardò il fratello negli occhi, con il solito sorriso sulle labbra.
“Prendere una coperta e stenderla a terra no, eh?”
“No! Io diventerò parte della natura ed è giusto che non ci siano barriere tra di noi.”
Orel sospirò, mentre andava a prendere il materiale per applicare il marchio. Tornò dopo qualche minuto, con una foglia di palma e un recipiente contenente del liquido che sembrava vernice. Tutti gli uomini gli fecero spazio, mentre l’uomo si inginocchiava vicino alla ragazza, pronto a svolgere il ruolo che era stato chiamato a ricoprire. Levinja arricciò il naso all’odore acre della sostanza.
“Oddio, è irrespirabile. Ma cos’è?”
“Un preparato speciale.”
“Ma puzza!”
Orel la fulminò con lo sguardo.
“Questo è un unguento speciale che deriva da delle piante molto rare. È il tesoro che la nostra famiglia si tramanda di generazione in generazione. Per quanto riguarda gli altri elementi, è facile creare un marchio, come è avvenuto con me. Infatti, io sono legato al fuoco e il mio marchio è stato riprodotto proprio grazie all’utilizzo del fuoco, ma con il vento è diverso. Il vento non lo si può maneggiare in modo che si venga a creare un marchio. Così, l’unico modo per instaurare il legame, è utilizzare quest’olio particolare, prodotto da fiori rari. Questi fiori, sin dalla loro nascita, non si nutrono che di vento. Quindi, in un certo senso, è come se in questo unguento ci sia l’essenza stessa del vento.”
“Ma questa puzza mica mi resterà addosso per sempre?” chiese la ragazza, visibilmente preoccupata.
“Sparirà non appena toccherà la tua pelle. Ora taci e lasciami lavorare.”
La creazione del marchio fu un’operazione che richiese quasi tre ore. Orel si dimostrò un lavoratore attento e minuzioso. La sua mano era precisa, sicura, mentre disegnava sulla candida pelle della ragazza segni mistici dal significato nascosto. Levinja lo guardava, mentre lavorava sulla sua pelle. Ammirava i suoi occhi, di un azzurro così chiaro da farli apparire quasi bianchi, concentrati in ciò che stava facendo. Levinja sorrise, senza distogliere lo sguardo. Le era sempre piaciuto osservare quel ragazzo dalle sembianze di uomo, soprattutto quando lui era troppo preso da altri impegni per accorgersene.
Quando il disegno fu ultimato, Orel le disse che poteva muoversi. Levinja non attendeva altro che quelle parole e, con uno scatto, si alzò e cominciò a far stendere tutti i muscoli, dopodiché corse al ponte per potersi specchiare nelle acque del fiume. Un disegno etnico, quasi tribale, le ricopriva tutto il braccio e la spalla sinistra, compresi il dito medio e il pollice della mano. Orel si appoggiò al ponte e la guardò.
“Allora? Ti piace?”
La ragazza gli sorrise per poi annuire.
“Lo so che il tuo compleanno è dopodomani, ma gli eventi mi costringono a darti il tuo regalo in anticipo. Ecco, questo è per te.”
Orel porse a Levinja il tessuto di seta nera, contenete il suo dono. La ragazza lo raccolse subito, già cosciente di ciò che conteneva, ma nemmeno la sua fervida immaginazione aveva concepito una bellezza simile. L’arco che si trovava a stringere tra le mani era di puro legno di    quercia, tinto di nero con disegni dorati. Studiandolo meglio, si accorse che i simboli dorati che erano stati incisi sopra erano uguali a quelli che erano stati dipinti sulla sua pelle. Al centro dell’arco, esattamente dove va a trovarsi la punta della freccia quando la corda è tesa al massimo, c’era il suo simbolo, il simbolo del vento.
“Orel, è bellissimo.”
L’uomo non rispose ma si limitò a guardare quella ragazza che non faceva altro che fissare il frutto del suo meticoloso lavoro.
“Levinja- la ragazza alzò lo sguardo dall’arco e vide che Orel stringeva tra le dita una freccia- è giunto il momento.”
La ragazza prese la freccia e, seguita dal fratello, tornò dai suoi uomini.
Per l’occasione, era stata costruito un bersaglio da tiro, molto simile a quelli usati nelle gare tra arcieri, indette per allietare i ricchi signori. Il bersaglio era stato posto all’altra estremità del ponte, nascosto tra gli alberi della foresta, posto davanti ad una roccia, utilizzata come appoggio. Nel punto in cui si trovava la brigata, il bersaglio era invisibile. La sfida che ora Levinja si trovava a dover affrontare era centrare quel bersaglio, guidata dal vento. La ragazza posizionò con cura la freccia sull’arco e, con il braccio marchiato, tese l’arco, l’occhio perso in quella macchia verde dove nulla era distinguibile. Con un movimento appena percepibile lasciò andare la freccia, che sparì subito all’orizzonte.
Orel ordinò che nessuno si muovesse e andò a controllare di persona. Dopo qualche minuto, tornò portando con sé il bersaglio, ma della freccia non c’era traccia.
Gli uomini, a quella vista, iniziarono a parlare tra di loro, mentre Levinja rimaneva immobile, con il suo solito sorriso sulle labbra. Quando Orel finalmente la raggiunse, posò con forza il bersaglio a terra, attirando così l’attenzione degli uomini. La ragazza lo guardava, senza batter ciglio, con un’espressione sorniona sul viso.
“Non ho potuto recuperare la freccia- iniziò Orel. A quel punto, la brigata iniziò ad accorgersi di un foro piccolo, appena percepibile, al centro del bersaglio- Ti rendi conto che hai conficcato quella freccia all’interno della roccia che stava dietro il bersaglio?”
A quelle parole, i presenti iniziarono a guardarsi tra di loro, non potendo credere a ciò che avevano appena ascoltato. Com’era possibile che una freccia, fatta di semplice pietra, legno e piume, fosse stata capace di forare una roccia?
Orel chiuse gli occhi, portandosi una mano davanti agli occhi e sospirando. Quando tornò a guardare quella ragazzina dallo sguardo innocente, una luce di celato orgoglio brillava nei suoi occhi.
“Complimenti, Levinja, da adesso in poi, sei ufficialmente una portatrice degli elementi.”
Gli uomini, a quelle parole, ripresero a urlare la loro gioia e a festeggiare. Levinja, vedendosi circondata da quella sana allegria, non poteva non sorridere e non partecipare all’atmosfera gaia che la circondava. Quella ragazzina era riuscita a superare tutte le prove che le erano state messe davanti, dimostrandosi all’altezza delle aspettative.
Ora che il rito di iniziazione era concluso, il viaggio poteva iniziare.

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