Miel Di Luna

di Stella Di Mezzanotte
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo Due ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


                                           






Prologo

 

 

<< Non sai quello che mi stai chiedendo >>
<< Lo so bene >>
<< Non puoi dire sul serio >>
<< Perché no? >>
Davanti al mio silenzio, sorrise appena. Si tolse lentamente la mano dalla tasca del pantalone elegante blu e cominciò a togliersi i gemelli d’oro dal polso della camicia bianca che indossava. Si arrotolò il tessuto fin sui gomiti e ripetè lo stesso procedimento con l’altro braccio. Invece di prendere tempo e pensare alla sua richiesta, la mia mente si annullò completamente. I miei occhi erano impegnati ad osservare i suoi lenti movimenti, come quelli di un gatto appena sveglio che si stiracchia. Sembrava che non avesse fretta o che fosse nervoso, al contrario, si comportava come se avesse tutto il tempo del mondo. Io sapevo che non ne aveva più a disposizione. All’improvviso, come se si fosse ricordato che c’ero anch’io in quella stanza d’albergo, alzò gli occhi di un verde cristallino su di me. Rimise la mano in tasca e con l’altra afferrò il bicchiere contenente il liquido ambrato che si era versato qualche minuto prima. Si avvicinò a me e io sentii un ondata di brividi freddi su per la spina dorsale. L’attrazione che provavo per quell’uomo era inspiegabile. Mi trafisse con i suoi occhi così espressivi e abbassò il viso sul mio, fin quando non sentì il suo respiro infrangersi sulle mie labbra. Socchiusi gli occhi e assaporai la solita elettricità che c’era tra noi, quando eravamo così vicini.
<< Isabella, ti ho fatto una domanda ma forse non l’hai sentita. >>
S’interruppe per bere un sorso di quel liquido, contenuto nel bicchiere, e io mi chiesi oziosamente di cosa si trattasse. Avvicinò ancora il suo viso al mio, fin quando con la punta del naso sfiorò il mio zigomo.
<< Perché no? >> domandò nuovamente.
<< Non posso >>
<< Cos’hai da perdere? >>
<< Tutto >>
Mi allontanai di qualche centimetro e feci per girarmi, quando una presa ferrea mi riportò al mio posto.
<< Non mi piacciono i discorsi in sospeso, Chèrie >>
Odiavo quel soprannome.
<< Non è un discorso in sospeso e piantala con quel soprannome. Non sono un cioccolatino. >>
<< Sì che lo sei >>
I suoi occhi ora sembrano divertiti e maliziosi.
<< Ti do tre giorni. >>
Adesso fu lui a voltarmi le spalle e riempire di nuovo il bicchiere, stavolta fin all’orlo di quello che  finalmente capii essere brandy. Mio padre lo beveva sempre quando c’era qualcosa da festeggiare.
<< Non ho bisogno di tre giorni >>
<< Lo so, ma io te li do lo stesso. >> disse, ignorando il senso della mia affermazione.
<< Sai bene… >>
<< Stop. Sta attenta Chèrie, guarda bene la tua vita e fra tre giorni dammi la risposta che voglio. >>
Ci guardammo a lungo, fin quando non mi decisi ad andarmene. Infilai la porta e la richiusi lentamente alle mie spalle.
<< Buonanotte Isabella >>
Lo sentii da dietro la porta e mi ritrovai stupidamente a rispondere. Mi diressi agli ascensori e nell’attesa passai le mani tra i lunghi capelli castani. Mi erano allungati nel giro di quell’anno. Quando arrivai ai sotterranei dell’Hotel e salii sulla mia mini, mi resi conto di quanto volessi allontanare dalla mia mente le parole indelebili del mio amante. Non credevo che un giorno ne avrei avuto uno. Beh, a conti fatti ero io la sua amante e non il contrario. Lei non ci sarebbe stata più però e lui adesso se ne usciva con questa “ proposta “ come amava chiamarla lui. Era impossibile accettare. Cominciai a pensare alla mia vita, come lui mi aveva suggerito e scoprì che la cosa più triste tra tutte le cose che la componevano, era che non c’era nessuno ad attendermi a casa. Ero sola e avevo la possibilità di non esserlo più. Per tutta la vita.
Questo era già qualcosa su cui ragionare per i tre giorni successivi, ammesso che io dovessi aspettarli tutti, prima di tornare in quella stanza d’albergo.

 

*****************

Sono sempre io, ma ho cambiato nick, invece di Stella Del Sud, adesso ho questo. La storia è stata per sbaglio cancellata, quindi riposto il prologo, i primi capitoli sono già scritti quindi aggiornerò presto. Che dire della storia? Sarà diversa. Molto diversa. E’ un po strana in effetti e spero che in qualche modo verrà “capita” da voi lettori. In realtà non volevo scrivere un prologo, ma partire direttamente dal primo capitolo, ma questa scena si è scritta praticamente da sola e ho pensato, che invece di lasciarla da parte, di inserirla come prologo. Incredibile a dirsi, ma questa storia mi è venuta in mente, per filo e per segno, mentre stavo parlando al telefono con un amica. Mentre lei parlava io pensavo a tutt’altro ( che bell’amica eh? -.-) e così… mentre lei discuteva di una cosa sentita in tv io prendevo appunti per questa strana trama che mi è balenata in mente. In effetti quello di cui stavamo parlando in qualche modo è contenuto in questa storia, quindi se qualcosa non vi piace prendetevela con lei xD Ok… meglio finirla qui. Il prologo in qualche modo vi incuriosisce? Credetemi, non immaginate neppure quale sia la proposta, eheh, ( o forse sì? O.O) bene, fatemi sapere!  

A presto!


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Capitolo 2
*** Capitolo Uno ***


                                           






 

 

Capitolo Uno

 

 

 

Generalmente la gente era indecisa se scegliere la torta alla melassa o quella al lampone. Inutile dire che erano le uniche mangiabili in quella pasticceria. Sbuffai, guardando svogliatamente le due vecchiette al di là del bancone e facendomi vento con uno strofinaccio. Non che ci fosse caldo fuori, al contrario la neve continuava a scendere lenta fin dalle prime ore della mattina, ma dentro quel piccolo locale, con dietro la cucina, l’aria era asfissiante.
<< Signore, avete deciso? >>
Pronunciai scocciata, piegandomi con il busto sul bancone e appoggiando il viso su entrambe le mani.
<< Oh Signorina! E’ meglio che ci dia una mano lei! >>
<< Siamo sempre indecise su queste due! >> strillarono divertite.
Inarcai un sopracciglio e afferrai la torta al lampone. Quella alla melassa, che di solito era mangiabile, ora aveva un aspetto poco appetitoso.
<< Questa qui. Fidatevi. >>
Perlomeno non avrebbero rischiato un intossico. Com’è che quella pasticceria fosse ancora aperta io non ne avevo idea. Sarà forse che l’antipatica proprietaria era la figlia del vicesceriffo della città? Poteva darsi.
<< Ha fatto un ottima scelta, vero? >>
<< Sì! Era quella che ti dicevo anch’io! >>
Incartai la torta con il sottofondo dei loro borbottii eccitati, che alla fine mi strapparono un sorriso. Chissà se anch’io avrei raggiunto la loro età e mi sarei fatta ipnotizzare da una semplice torta. Era buffo, ma vero, una volta anziani era come tornare bambini e le cose semplici riprendevano la loro incredibile importanza.
<< Ecco a voi >> dissi più cordiale e schiacciai l’occhio a entrambe.
Dopo aver contato i loro innumerevoli spiccioli, che avevano riempito la cassa, se ne andarono ondeggiando. Sospirai e guardai l’orologio alle mie spalle a forma di gufo. Un orribile gufo. Per fortuna mancava meno di mezzora alla fine del mio turno.
<< Belletta? >>
Mi irrigidii immediatamente e incontrai gli sguardi divertiti di un signore di mezza età che stava osservando le torte esposte nel bancone. Cercai di fare finta di nulla e darmi un contegno ma fu tutto inutile. La voce di quella megera mi arrivò di nuovo alle orecchie. Non solo alle mie.
<< Belletta, cara, sei sorda? >>
Chiusi gli occhi per un attimo e misi a posto un ciuffo di capelli castani, sfuggiti dalla lunga coda. Mi diressi a passo svelto nella cucina e fulminai Mary con lo sguardo.
<< Non mi chiamo Belletta. >>
<< E’ molto carino, comunque dai sbrigati, devi andare da Mike. Mi servono subito altri ingredienti. >>
Guardai la sua figura coperta quasi interamente da farina, cioccolato in polvere e qualche liquido sconosciuto.
<< Stiamo per chiudere e ci sono ancora quasi tutte le torte che hai preparato stamattina sul… >>
<< Non fare storie, Belletta, altrimenti sei licenziata. >>
Avrei voluto scaraventarle addosso la ciotola con lo zucchero che avevo davanti e poi scappare da quella terribile pasticceria, ma non potevo permettermelo. Ero indietro di quasi due mesi con l’affitto e se non avessi pagato entro la settimana, la proprietaria mi avrebbe buttato fuori. Come avevano fatto tutti gli altri in questi anni.
<< Vado subito >>
<< Ecco brava, Belletta. >>
Mi prendeva in giro, lo sapevo benissimo e odiavo la mia situazione, per dovermi adattare a una cosa simile. Mi strappai di dosso il grembiule e chiamai Jordan, che stava nel retro.
<< Sostituiscimi per qualche minuto. La megera vuole altri ingredienti. >>
Jordan mi diede una comprensiva pacca sulla spalla e prese il mio posto dietro il bancone. Uscii di fretta e raggiunsi il rifornitore della pasticceria, in fondo alla strada. Presi tutto e tornai indietro.
<< Eccomi, puoi andare Jordan. >>
<< Agli ordini! >>
Gli sorrisi appena e lasciai il sacchetto sul piano di lavoro di Mary, con il risultato di alzare di colpo la farina su cui stava lavorando che gli finì in faccia.
<< Oh, scusami tanto. >> dissi candidamente, per poi uscire di nuovo.
Servì altri due clienti e poi mi tolsi, definitivamente, il grembiule.
<< Mary io me ne vado. >>
Nessuna risposta. Ero abituata, per cui presi la mia vecchia borsa in tela, che in realtà apparteneva a mia sorella e uscì nell’aria gelida della sera. Aveva smesso di nevicare e vidi dei bambini che facevano un pupazzo di neve. Anch’io e mia sorella lo facevamo con nostro padre, quando eravamo bambine. Il vicesceriffo era un uomo tutto d’un pezzo, ma riusciva a sciogliersi di fronte alle sue due piccole pesti. Sorrisi di quei ricordi ormai lontani. Misi le cuffie del mio vecchio e scassato mp3 alle orecchie e mi alzai il cappuccio della felpa. Il giaccone che mi aveva comprato la mamma mi sarebbe venuto ancora, ma lo avevo dovuto vendere a un barbone di strada, in cambio di quei pochi spiccioli che mi servivano per far mangiare me e Birba, la mia unica amica. Arrivai dinnanzi al piccolo portoncino della palazzina della signora Brenny, che in quel momento era affacciata al balcone del primo piano a parlare con la signora Green, della casa di fronte, la stessa che mi aveva cacciato di casa quando non le avevo dato i soldi dell’affitto. In quel periodo non lavoravo e quelle poche ore che passavo in qualche pub non bastavano. Feci in modo di non farmi vedere e mi fiondai dentro. Salii le due rampe di scale e feci fatica per aprire la vecchia porta di legno del mio mini appartamento. Una volta dentro, mi accolse la ormai anziana Birba, la mia gatta.
<< Ciao piccola. >>
Stavo morendo di freddo così accessi il piccolo fornello che avevo a disposizione e ci misi davanti le mani. Cercai di arginare le lacrime che impietose cominciarono a rigarmi il viso, fin quando Birba non si strusciò tra le mie gambe. Spensi il fornello e accessi il televisore in bianco e nero che il marito della sinora Brenny mi aveva gentilmente concesso. Si prendevano solo due canali e dovevo armeggiare con le due antenne dietro all’apparecchio per riuscire a vederli. Non che me ne importasse, ma mi faceva compagnia. Ero abituata a vivere in una famiglia rumorosa e quel silenzio opprimente, che conosce solo chi sa cosa vuol dire essere soli, rischiava di farmi impazzire.
Presi la scatoletta di Birba dal frigo e con un cucchiaio raccolsi il fondo e raschiai la lattina per racimolare i pochi rimasugli sparsi qua e la.
<< Mi dispiace Birba, è rimasto solo questo. Domani ti farò mangiare la mia pasta col brodo. Se ne parla dopodomani per comprarti di nuovo la scatoletta. >>
Speravo ardentemente che Mary non mi facesse scherzi, altrimenti non solo non potevo comprare nulla al supermercato ma potevo anche lasciare la casa. Rinunciai quindi alla cena, amareggiata da quella triste previsione, e sprofondai nella poltrona. Poco tempo dopo Birba si raggomitolò sulle mie ginocchia e rassicurata in qualche modo dalla sua presenza, crollai in un sonno senza sogni.

 

 

 

**********************

In qualche modo lo sapevo, ma sentirle davvero pronunciare quelle parole mi fece gelare il sangue nelle vene.
<< Mary non puoi farlo davvero. >>
<< Non solo, ma ti dirò di più. Ho ben pochi soldi quindi non posso più permettermi di avere qualcuno nel negozio. Ce la sbrigheremo io e Jordan, in qualche modo. >>
<< Mary tu hai il dovere di pagarmi. Se vuoi licenziarmi, va bene, ma dammi almeno i miei soldi. Sono due mesi che aspetto. >>
<< Mi dispiace, Belletta. >>
Per la prima volta quel nome orribile non mi fece alcun effetto. In un attimo avevo perso sia i soldi che il lavoro.
<< Non posso permettertelo. >>
<< E cosa hai intenzione di fare? A tutti gli effetti tu non lavori neppure qui, hai forse un contratto? >> mi canzonò, derisoria. Avrei voluto ucciderla. Credevo che mi avrebbe almeno pagato, sapeva benissimo che ero in mezzo alla strada. Lacrime di disperazione, umiliazione e rabbia mi appannarono la vista, ma non le avrei mai dato una soddisfazione simile. Presi un respiro profondo e con attenzione prelevai la torta alla melassa del giorno prima, che avevo sconsigliato a quelle due vecchiette. Poi, sotto lo sguardo perplesso della megera, gliela lanciai in faccia. Le sue urla attirarono Jordan, che arrivò trafelato.
<< Che cosa succede? >>
<< Nulla. Ci vediamo Jordan. >>
Uscii da quella terribile pasticceria e camminai a lungo, non sapendo dove andare. Cominciò a mancarmi l’aria e finalmente le lacrime, fino ad allora trattenute, scesero sulle mie guancie. Mi fermai di colpo, attirandomi le lamentele di un elegante signore al telefono, che per poco non mi era venuto addosso. Mi passò accanto, regalandomi un occhiataccia. Fu un attimo, vidi una fede intorno al dito della mano, che reggeva il cellulare, una busta e la ventiquattrore nell’altra. Immaginai che avesse una moglie e dei figli a casa. Faceva di sicuro una vita tranquilla e non aveva il timore di essere gettato fuori di casa da un momento all’altro. Lo osservai, fin quando non svoltò l’angolo, un sorriso al posto dell’espressione contrita con cui mi aveva guardato. Strinsi la mano sulla bretella logora della borsa in tela di Rosalie e senza neppure rendermene conto arrivai al cimitero. Pescai dalla tasca del jeans un dollaro sgualcito e lo allungai al venditore di fiori, li vicino. L’uomo, avvolto da un enorme cappotto nero ebbe forse compassione della mia figura e mi allungò un piccolo mazzetto di fiori colorati, invece del misero tulipano a cui avevo diritto con un dollaro. Lo ringraziai con un sorriso triste e mi avviai alla lapide dov’erano stati seppelliti i miei genitori. Avrebbero dovuto essere separati ma io e Rosalie avevamo chiesto di metterli insieme. Non appena vidi le piccole fotografie, l’uno accanto all’altra, mi piegai a terra senza forze e dopo aver spazzato via la neve poggiai i fiori sulla lapide. Con una mano, cercai di pulire le loro fotografie e li guardai a lungo, chiedendogli silenziosamente cosa dovevo fare. Ero sola in tutti i sensi. A venticinque anni non sapevo cosa fare della mia vita. Passai ore interminabili, appollaiata in quella posizione, sfogandomi con i miei genitori, fin quando non sentii più le gambe. Un piccolo tocco sulla spalla mi riscosse.
<< Scusi Signorina, è arrivato l’orario di chiusura. >>
Silenziosamente, il responsabile del cimitero mi lasciò di nuovo sola e io mi alzai, malferma sulle gambe. Sconsolata raggiunsi l’appartamento e come mi aspettavo la signora Brenny, avvolta in uno scialle di lana, mi aspettava fuori dalla porta.
<< Si può sapere dove sei stata? Devi pagarmi oggi. >>
<< Non posso. >>
<< Che vuol dire non puoi? >>
<< Non ho i soldi. >>
<< Come sarebbe? Sono due mesi che aspetto! >>
Avrei voluto dirle che stavo aspettando anch’io, ma che colpa ne avevo se Mary Odeon mi aveva licenziata e lasciata senza soldi?
<< Sono stata licenziata senza alcun preavviso e non sono stata pagata per due mesi, signora Brenny. >>
La sua espressione arcigna diceva tutto, così entrai e raccolsi le mie poche cose nello zaino nero. Infilai Birba nella sua gabbietta e uscii di casa.
<< Le chiedo scusa signora Brenny. Troverò il modo di portarle i soldi che le spettano di diritto e ringrazi suo marito per il televisore. >>
<< Mi dispiace ragazza, ma io non so più come aiutarti. Ho anch’io bisogno di soldi, mio marito non lavora da anni e io faccio pulizie per quasi tutto il paese per riuscire a mantenermi. Ho bisogno dei soldi dell’affitto, non posso farti stare ancora. >>
<< Lo so. Le darò i soldi. Lo prometto. >>
Lei sospirò e scese le scale, infilandosi nel suo appartamento. Io la seguii e uscì dal portone. Il miagolio di Birba mi richiamò. Mi sedetti sul marciapiede e la liberai.
<< So che hai fame e freddo, tesoro. C’è l’ho anch’io. >> le sussurrai, affondando il viso sul suo pelo. La pioggia scelse proprio quel momento per venire giù, così rimisi Birba nella sua gabbietta e mi ritirai sotto un balcone. Alzai il cappuccio della felpa, desiderando di avere ancora almeno il giaccone e cercai di capire cosa fare. Non potevo rimanere fuori tutta la notte o sarei morta assiderata. All’improvviso il vecchio furgone della mamma mi tornò in mente. Era ancora posteggiato vicino alla mia vecchia casa, ormai abitata dal Signor Brenton, proprietario di una falegnameria. Cominciai a correre sotto la pioggia, cercando di non disturbare troppo la mia gatta. Non ci volle molto per arrivare e con un tuffo al cuore rividi il vecchio Pick Up rosso ruggine sul ciglio della strada. Nessuno l’aveva più spostato da lì, dopo la morte dei miei genitori. Aprii lo zaino e cercai una piccola scatola rossa dove trovai le chiavi. Lo aprii e m’infilai dentro con Birba, la liberai e subito lei si posizionò sul cruscotto. Solo allora ricordai che spesso andava in giro con la mamma, quindi aveva riconosciuto il posto. Naturalmente non c’era alcun riscaldamento, ma era sempre meglio che stare sotto la pioggia. Aprii il cruscotto, facendo drizzare le orecchie di Birba e con mia enorme sorpresa trovai una piccola coperta. La mamma era solita viaggiare con quella sulle gambe, nelle giornate d’inverno, perché non voleva che papà le comprasse una macchina nuova solo per quello. Mi poggiai addosso la coperta, che era pregna ancora del profumo della mamma. Birba ci si infilò sotto e entrambe rimanemmo in quella posizione, osservando la pioggia battere sul vetro.

 

 

 

************************** 

 

Un ticchettio continuo mi svegliò all’improvviso. Mi spaventai quando vidi il viso di Jordan dietro il finestrino. Lo aprii e lo guardai confusa.
<< Bella che ci fai qui? >>
Cosa avrei dovuto rispondergli, a questo punto? Mi stiracchiai leggermente e il muso di Birba spuntò da sotto la coperta.
<< Non sono riuscita a pagare l’affitto. >>
<< Perché non sei venuta da me? >>
Non ci avevo neppure pensato. Avevo conosciuto Jordan nella pasticceria, da subito eravamo andati d’accordo, ma oltre qualche birra, non eravamo mai usciti insieme.
<< Non voglio disturbare nessuno, troverò una soluzione. >>
<< E nel frattempo vuoi continuare a dormire in questo furgone? >>
Aprii la portiera e mi tirò fuori, per un braccio.
<< Jordan non… >>
<< Basta storie! Prendi il tuo gatto e andiamo >>
Avevo troppa fame e sentivo troppo freddo per oppormi ancora, così afferrai Birba e il mio zaino nero. Non sapevo dove abitasse Jordan, ma lo scoprii poco dopo. Era una villetta molto simile a quella dei miei genitori, con un piccolo giardino d’avanti.
<< Scusa il disordine, ma vivo solo da un bel po’ ormai. >> disse non appena entrammo.
In realtà era tutto piuttosto ordinato ma non dissi nulla e posai Birba su una poltrona.
<< Posso, vero? >> dissi indicando il gesto che avevo appena fatto.
<< Sì, sentiti pure a casa tua. Tra l’altro mi piacciono i gatti, ne avevo uno da piccolo. >>
Sorrise e si avviò in cucina. Mi guardai un po’ attorno e constatai che anche la disposizione interna delle camere somigliava a quella di casa mia. Si trovava nella stessa zona, quindi dovevano essere state progettate tutte nella stessa maniera. Questo in qualche modo mi fece sentire più a mio agio in quel nuovo ambiente.
<< Bella, parliamo dopo. Adesso perché non vai di sopra a farti un bagno caldo? Io preparo la colazione, nel frattempo. >>
Jordan non mi dette tempo di rispondere e rientrò velocemente in cucina. Mi morsi il labbro, pensando che era quello che desideravo. Timidamente salii le scale con il mio zaino ed entrai in bagno. Decisi di farmi solo una doccia, per non occupare troppo i suoi spazi. Non c’era acqua calda nell’appartamento della Signora Brenny, quindi rifare una doccia calda fu un immenso sollievo. Mi feci anche lo shampoo, perché i miei capelli erano diventati un groviglio di nodi, con la pioggia e la neve. Cercai di perdere meno tempo possibile nell’asciugarmeli e poi scesi di nuovo giù. Sentii i miagolii di Birba in cucina e sorrisi quando la vidi con il muso all’insù, mentre osservava Jordan cucinare.
<< Eccomi, grazie mille. Jordan non so davvero come ringraziarti. >>
<< Smettila! Saresti dovuta venire ieri. >>
Mi lanciò un occhiata di rimprovero e io solo in quel momento notai il suo buffo grembiule con le orecchie da coniglio.
<< Oh, non farci caso. Questo coso l’ha lasciato quel bastardo, prima di andare via. >>
Inarcai un sopracciglio e ripensai alla sua frase, mentre lui mi metteva davanti un piatto strapieno di uova, bacon e pane tostato.
<< Sì Bella, io sono gay se te lo stai chiedendo. >>
Arrossii e lo guardai colpita.
<< Non me lo stavo chiedendo. >>
Mi guardò divertito e poi si sedette di fronte a me.
<< Ah! Cosa do al tuo gatto? Ho del riso con il tonno in frigo, rimasto da ieri. >>
<< Andrà benissimo grazie, ma non voglio disturbarti. >>
Lui si alzò di nuovo e dopo aver servito Birba si sedette nuovamente.
<< Sei un tesoro, davvero >> dissi di nuovo mentre cominciavo a mangiare.
Erano mesi che non facevo una colazione del genere e cercai di trasmettere tutta la mia gratitudine a quel ragazzo con i miei continui sorrisi di ringraziamento.
<< Bella non posso nemmeno immaginare come è stata la tua vita. So dei tuoi genitori e ho sempre pensato che sei una ragazza incredibilmente forte. >> disse non appena finimmo di mangiare.
<< Grazie Jordan, ma purtroppo non è così. Come vedi non sono in grado di badare a me stessa. >>
<< Questo non è vero. Pochi avrebbero la tua forza. >>
Sorrisi debolmente e pensai a mia sorella Rosalie. Se l’avesse conosciuta si sarebbe reso conto che la più forte delle due era lei. Si era fatta coraggio ed era andata a Chicago per cercare lavoro, io non avevo voluto lasciare questa cittadina, perché non me la sentivo. Non volevo abbandonare i miei genitori anche se sapevo bene che non c’erano più. La cosa migliore sarebbe stata seguire mia sorella, che si era fatta ospitare da una vecchia compagna di scuola e aveva fatto diversi lavori. Dopo due anni aveva incontrato l’uomo della sua vita. A me non piaceva molto, certo era bello fisicamente, ma aveva sempre quell’espressione così severa che quasi mi metteva a disagio. In realtà non l’avevo mai visto di persona, ma solo in foto e una volta l’avevo sentito al telefono. Ricordavo ancora la sua voce profonda augurarmi buon natale. Era stato lui a telefonarmi, non mia sorella che sembrava essersi dimenticata di me. Strinsi la mano attorno al bicchiere, da cui stavo bevendo e lo posai sul tavolo. Era il primo anno che stavano insieme, lei e Edward. I primi anni Rose mi chiamava spesso e per qualche mese riuscì anche a mandarmi pochi soldi in busta. Dopo che aveva conosciuto l’avvocato Cullen non si era fatta quasi più sentire. Mi aveva mandato una foto che ritraeva lei e il suo ragazzo, seduti su una panchina. Lei sorridente, con i lunghi capelli biondi sulle spalle e gli occhi azzurri chiarissimi, lui con un sorriso lievemente accennato ma un espressione quasi del tutto seria. Quella telefonata mi aveva sorpreso, lui voleva farmi gli auguri da parte di entrambi. Ricordo ancora il suono della voce spensierata di mia sorella in sottofondo, rumori di bicchieri, posate, come se stessero apparecchiando una tavola. Io invece ero in un Motel in cui avevo vissuto i primi anni con i pochi risparmi dei miei genitori, lavoravo in un negozio di animali e stavo guardando un vecchio film alla tv, con una tazza di cioccolata tra le mani. Quella sarebbe stata la mia cena di Natale. L’avevo ringraziato debolmente e avevo chiuso la comunicazione. In fondo ero contenta per lei, ma avvertivo un dolore sordo al cuore. Mi sentivo dimenticata dall’unica persona importante della mia vita. Non ero stata invitata nella sua nuova famiglia, cosa che io avrei fatto per lei. Non che volessi infilarmi nella sua vita, questo mai, ma volevo ricordargli che aveva una sorella di ventidue anni da sola in Motel la notte di Natale. Dopo neppure un mese vendetti il telefonino per poter fare la spesa. Nessuna traccia di lei da allora. Alle volte dimenticavo persino la sua esistenza.
<< Bella? >>
<< Sì? Scusami, ero sovrappensiero. >>
<< Ho notato. Senti io ora vado a lavoro. >>
<< E io tolgo il disturbo! >>
<< No, aspetta! Tu non vai da nessuna parte. Prima ti stavo dicendo che ho intenzione di chiamare il mio ex. Lui è il proprietario di un Hotel e mesi fa cercava qualcuno che si occupasse di fare le pulizie nelle camere. Forse ha ancora bisogno di qualcuno. >>
<< Jordan sarebbe fantastico, ma non voglio metterti in difficoltà. >>
Lui venne da me e mi abbracciò.
<< Per te questo ed altro. Tu riposati, io sarò di ritorno per pranzo. >>
<< Jordan, davvero non posso rimanere qui senza far nulla. Cercherò lavoro in giro. >>
<< Non se ne parla! Ti sei vista allo specchio? Hai delle occhiaie terribili, devi assolutamente dormire. Ti do la camera degli ospiti che non è stata quasi mai usata. >>
<< Non so come sdebitarmi. >>
Lui mi schiacciò l’occhio e dopo avermi baciato la fronte andò via. Presi un respiro profondo e portai il mio zaino nella stanza che credetti fosse quella degli ospiti. L’armadio era vuoto, lo scrittoio pure e il letto era perfettamente sistemato. La voglia di distendermi subito era forte, ma decisi di sistemare almeno la cucina. Non era educato approfittarmi della gentilezza di quel ragazzo. Trovai Birba che ancora leccava il suo piatto. Povero tesoro!
Le allungai una fetta di bacon rimasta sulla padella e lei la divorò in un attimo.
<< Solo per questa volta. Sai che ti fa male. >>
Lei mi guardò, leccandosi il muso più volte. Una volta sistemato tutto, tornai di sopra e finalmente mi distesi sotto le coperte. Gli occhi divennero pesanti come piombo e riuscii ad avvertire tutta la stanchezza che fino ad allora mi ero sforzata di ignorare. Ripensai alle parole di Jordan. Se veramente quel posto era ancora disponibile potevo ritenermi fortunata, anche se il solo fatto di aver incontrato qualcuno di così gentile sulla mia strada era un enorme regalo. Uno spiraglio di luce in mezzo alle nubi grigie che popolavano ormai la mia esistenza.

 

 

 

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Ecco il primo capitolo. Ringrazio tutte le persone che hanno messo questa storia tra le seguite, preferite e le ricordate. Soprattutto mi scuso di nuovo e ringrazio ancora una volta le persone che mi avevano commentato precedentemente. Purtroppo per un errore la storia è stata cancellata, quindi credevo di aver perso i primi recensori. Per il resto… beh, spero che mi farete sapere qualcosa, capisco che spesso il prologo viene commentato poco, però insomma se non trovo riscontro nelle vostre opinioni mi sa che facevo meglio a non ripubblicarla questa storia. In ogni caso, per qualsiasi domanda o chiarimento io sono a disposizione!

P.S= Ho modificato la grandezza del font, perché alcuni di voi mi hanno detto che era troppo piccolo per poter leggere bene, quindi se ci sono ancora problemi mandatemi un messaggio, così posso risolvere. Purtroppo mi sa che ho un problema con il programma dell’HTML perché a me la fa vedere in una maniera e poi quando posto in un'altra, quindi non fatevi problemi a segnalarmelo!

A presto!

 


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Capitolo 3
*** Capitolo Due ***


                                           








Capitolo Due

 

 

 

La luce in camera era accesa e attraverso la tenda vedevo un ombra muoversi per la stanza. Dalle tendine bianche della cucina, mezze aperte, vedevo la signora Brandon affaccendarsi in cucina e i colori vivaci di un programma in tv. Sospirai e aprii l’ombrello, aveva ripreso a piovere. Non avendo nulla da fare ero andata a farmi una passeggiata, per cercare di schiarirmi le idee. Anche se avevo ben poco a cui pensare, la situazione sarebbe stata chiara pure a un cieco. Dovevo trovare un lavoro e subito. Guardai di nuovo la camera e la luce stavolta era spenta. Doveva essere una delle figlie del signor Brendon ad abitare la mia vecchia camera. Nei miei ricordi mi vedevo ancora bambina, con il naso schiacciato contro il vetro ad aspettare l’arrivo di mio padre. Avevo sempre avuto un debole per lui, era il mio preferito sebbene amassi mia madre sopra ogni cosa. Mi capiva, nonostante il suo apparente carattere burbero. Sapevo che ci sarebbe sempre stato, in qualche modo lo davo per scontato. Troppo.
Ripresi a camminare e tornai a casa di Jordan. Fortuna che c’era stato lui ad aiutarmi, anche se la cosa m’imbarazzava molto. Quella mattina ero disperata ma ora, a mente lucida, mi sentivo in qualche modo a disagio con lui. Anche se era gay ci conoscevamo poco e io ero sempre stata timida con il genere maschile. Per questo non avevo mai avuto un ragazzo. Sebbene gli ammiratori non mi fossero mancati fino a qualche anno prima, io m’intimidivo persino a ricambiare un solo sguardo. Mia madre ci rideva su e Rosalie si ostinava a ripetermi che dovevo darci un taglio con   questo atteggiamento da verginella, come lo chiamava lei, ma cosa potevo farci? L’unico vero uomo della mia vita era sempre stato mio padre, lui era il mio idolo e sapevo che un qualsiasi ragazzo poteva aspettare. Inutile dire che a diciotto anni ero un caso particolare, dato che non avevo mai dato neppure un bacio, ma a me non importava. Le mie giornate erano sempre piene d’impegni, andavo sempre in piscina perché l’acqua era il mio ambiente naturale e poi mi facevo qualche giro in moto, anche se mio padre non voleva. Lo studio e la mia famiglia riempivano il resto delle mie giornate. Ora però mi ritrovavo completamente sola, con una sorella che si era scordata della mia esistenza. Com’era possibile? D’accordo che i battibecchi non mancavano, ma eravamo pur sempre sorelle no? Tra l’altro i primi mesi dalla sua partenza mi mandava dei soldi e mi telefonava di tanto in tanto, ma ora era letteralmente sparita. Irritata, chiusi l’ombrello con un colpo secco ed entrai in casa con le chiavi che Jordan mi aveva dato. Probabilmente appartenevano al suo ex. Non avevo nessun genere di pregiudizio quindi non mi faceva ne caldo ne freddo sapere che Jordan era omosessuale.
<< Bella? Sei tu? >>
<< Sì, Jordan >>
Il malumore mi passò di colpo, sentendo la sua voce.
<< Che stai preparando? >> domandai, entrando in cucina.
<< Una cosa speciale per te! >>
Sorrisi e gli andai vicino.
<< E’ andata bene a lavoro? >>
Sapevo quanto fosse odiosa la megera e lo sguardo di Jordan me ne diede conferma.
<< Oggi però abbiamo avuto la nostra piccola vendetta, Bella. >>
<< Perché? >>
<< Beh, stamattina è venuto un signore a riportare la torta che aveva comprato un paio di giorni fa, c’eri tu ricordi? >>
Sì era il tizio che c’era in negozio, la sera prima che quella disgraziata mi buttasse fuori.
<< Sì. >>
<< Bene, ha detto di aver passato un intera giornata in ospedale per colpa di quella torta. >>
<< Ben gli sta. >> dissi sedendomi su una sedia.
<< Appunto! Ha detto che la vuole denunciare. >>
<< Chi? Il tizio della torta? >>
<< Esatto. >> disse con un sorriso entusiasta, mettendomi davanti un piatto di pasta fumante.
<< Finalmente ha avuto ciò che merita. Jordan che roba è questa? Ha un aspetto invitante. >>
<< E’ pasta alla carbonara. Sai, il mio ex aveva origini italiane e mi ha insegnato qualche ricetta. >>
Mangiammo quel piatto squisito e riordinammo la cucina. Una volta seduti sul divano del piccolo salotto, Jordan mi prese le mani tra le sue.
<< Bella, ricordi quel lavoro a cui ti avevo accennato? Quello all’Hotel? >>
<< Certo >>
<< Bene, è tuo. Cominci domattina alle nove. >>
<< Oddio Jordan, è fantastico! Grazie! >> dissi abbracciandolo di slancio.
<< Di nulla tesoro, sarà molto stancante però. Dovrai lavorare cinque ore di mattina e cinque di pomeriggio. Il sabato però solo mezza giornata. >>
Mi allontanai da lui e gli strinsi il braccio in modo affettuoso.
<< Non so come ringraziarti. >>
Della fatica non m’importava nulla, mi serviva un lavoro e lui era riuscito a trovarmelo.
<< Bella, vedrai che andrà tutto bene. >>
Mi vennero le lacrime agli occhi così lo abbracciai di nuovo.
<< Sei un angelo davvero, non so come avrei fatto senza di te. >>
Birba interruppe quel momento, balzando sulle mie ginocchia. Si stiracchiò per bene e poi cominciò a strofinarsi su di me, facendo le fusa.
<< Ehi ciao! >>
<< L’ho fatta mangiare quando sono arrivato, le ho comprato delle scatolette al supermercato. >>
<< Ti ripagherò di tutte queste spese, Jordan. >>
Lui si alzò, sbadigliando e mi diede una piccola spinta.
<< Smettila di dire queste cose, Bella! Piuttosto va a dormire. Domani non lavoro di mattina così ti faccio vedere dov’è l’Hotel. >>
Eh sì, pensai guardandolo allontanarsi, avevo trovato proprio un angelo.

 

 

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La fatica c’era e tanta anche. Scoprii che tutte le donne che facevano questo tipo di lavoro avevano un vero e proprio metodo per pulire bene e in fretta. Rispettare i tempi era basilare, ma questo non voleva dire trascurare il proprio operato. La teoria mi sembrava molto più semplice ma in realtà impiegai un po’ per capire il ritmo. Vedevo ragazze sfrecciare da una camera all’altra, o almeno così mi sembrava in confronto alla mia lentezza. Fortuna che Alex si era dimostrato paziente con me e mi trattava con gentilezza. Dalle parole di Jordan mi era sembrato un tipo con un carattere forte e prepotente, invece non era affatto così. Era una ragazzo molto dolce, anche se si notava che sapeva il fatto suo. Quando Jordan mi aveva accompagnato avevo notato i numerosi sguardi tra i due e la cosa mi faceva sorridere. Nonostante tutto si vedeva che ero innamorati. Dovevo fare due chiacchiere con Jordan, perché mi sembrava che fosse lui l’ orgoglioso della situazione. Dopo ciò che aveva fatto per me, mi sembrava il minimo dargli una mano. Sapevo di dovermi fare i fatti miei, ma ero convinta che la loro relazione era ancora salvabile e c’era qualcosa che mi spingeva a volermene occupare personalmente. Pensavo a questo mentre chiudevo la stanza appena riordinata e mi avviavo nel corridoio.
<< Isabella? >>
<< Alex! >>
Mi venne incontro, schiacciandomi l’occhio.
<< Come và oggi? Il tuo turno è quasi finito >>
Detti un occhiata all’orologio e notai che mancava un ora precisa alla fine del mio giorno di lavoro.
<< Già, ho ancora qualcosa da fare >>
Lui mi sorrise e mi dette una leggera pacca sulle spalle.
<< Sei una ragazza in gamba >>
<< Fortunata piuttosto, per aver incontrato te e Jordan. >>
A quelle parole il suo sorriso svanì e io sospirai, guardando i suoi incredibili occhi azzurri. Era davvero un bel ragazzo, così come Jordan.
<< Perché stasera non vieni da noi? >>
Alex sgranò gli occhi e fece un passo indietro.
<< Non credo sia il caso. Jordan ha fatto molta fatica a rivolgersi a me per il tuo lavoro, figuriamoci se dovesse trovarmi a casa quando torna. >>
Sorrisi lentamente e lui capì il mio intento.
<< Oh no, Isabella, non credo che funzionerà. >>
<< Tu lo ami ancora, vero? >>
<< Questo l’hai già capito, mi sembra >> disse sconsolato.
<< Fidati di me. >> proruppi entusiasta.
Beh, era meglio non dirgli però che ero una totale frana nelle relazioni, tanto che non ne avevo mai avuta una, ma avrei fatto del mio meglio. Avevo già qualche idea.
<< Dai, ti aspetto stasera >> insistetti nel vedere la sua espressione dubbiosa.
<< Alex ti sto invitando io. Jordan al massimo se la prenderà con me. >>
<< Ecco, appunto. Non voglio darti problemi Isa. >>
<< Tranquillo, tanto se non vieni tu, verrò io a prenderti >>
Stavolta sorrise apertamente.
<< E dimmi, come farà una piccoletta come te a impormi cosa devo fare? >>
Risi e gli detti una leggera spinta.
<< Non fare storie, vedrai che mi ringrazierai. >>
Almeno così speravo.
<< D’accordo, ci vediamo alle sette? >>
<< E mezza >> conclusi con un sorriso.
Prendemmo direzioni diverse e dopo essere passata a darmi una rinfrescata in bagno, raggiunsi la camera di cui dovevo ancora occuparmi. L’aprii e mi ritrovai davanti una bella signora, molto elegante china su una valigia rossa sul letto. Alzò lo sguardo e incrociai due occhi verdi divertiti.
<< Chiedo scusa. Ho sbagliato camera. >>
Stavo per girarmi e andarmene quando la sua voce mi raggiunse.
<< Non fa nulla, ho preso questa camera al volo, quindi penso che tu non sia stata ancora avvertita >>
<< No, infatti. Tolgo il disturbo. >>
<< Aspetta >>
Mi raggiunse e mi guardò con occhio critico. Era una situazione singolare, non capivo cosa volesse quella donna da me, ma sembrava studiarmi sempre con maggior attenzione.
<< Mi sembri conoscente. Ci siamo mai viste prima? >>
<< No signora, non credo. >>
Mi sorrise e si portò indietro una ciocca di capelli dietro l’orecchio, rivelandomi uno splendente orecchino, che aveva tutta l’aria di essere un diamante, dal modo in cui luccicava. Era senza dubbio molto ricca, a giudicare dai suoi abiti eleganti. Indossava un completo bianco, molto fine, composto da una gonna al ginocchio, una camicetta rossa e una giacca bianca dal taglio perfetto.
<< Scusami, devo esserti sembrata molto indiscreta. >>
<< Non si preoccupi. Adesso torno a lavoro. >>
Le sorrisi timidamente e uscii dalla camera. Quella donna era riuscita a mettermi quasi a disagio, senza un reale motivo. Mi resi conto che quella doveva essere la mia ultima stanza, quindi andai a cambiarmi per andare a casa a preparare la cena. Salutai Alex con un occhiolino, intimandogli di non fare tardi.
Trovai Jordan addormentato sul divano, insieme a Birba. Sorrisi e mi diressi subito in cucina. Preparai un paio di piatti italiani che Alex mi aveva insegnato a cucinare e poi mi feci una doccia veloce. Al mio ritorno trovai Jordan che curiosava tra le pentole.
<< Stai buono, tra poco mangiamo. >>
Colto in flagrante gli cadde di mano il coperchio del tegame, facendo ridere me e spaventare Birba che stava vicino a lui.
<< Cavolo Bella, sei silenziosa come un gatto. >>
Sorrisi mentre apparecchiavo il tavolo. Vidi gli occhi di Jordan saettare sul terzo piatto che avevo appena poggiato.
<< Oggi Birba mangia con noi al tavolo? >>
<< Oh no! Anche se scommetto che le piacerebbe. Abbiamo un ospite. >>
<< Ah. Va bene. Chi è? >>
In quel momento suonò il campanello e mandai proprio lui ad aprire. Sapevo che Alex non avrebbe approvato, infatti lo vidi arrivare con un espressione che la diceva luna.
<< Non credo sia stata una buona idea >> mi sussurrò all’orecchio.
Jordan stranamente non disse nulla, ma con lo sguardo basso si sedette a tavola.
Avevo ragione.
<< Alex è stato così gentile con me in questi primi due mesi di lavoro, così l’ho invitato. >>
Jordan borbottò qualcosa e cominciò a mangiare il pane che prima riduceva quasi in briciole.
<< Sai che non dovevi, tesoro >>
Mi disse eloquente Alex, ma io lo spinsi seduto, proprio di fronte al suo ex ragazzo.
<< Molto bene. E’ tutto pronto. >>
Durante la cena, Jordan sembrò sciogliersi a poco a poco e rise anche ad una battuta di Alex.
<< Complimenti Isa, vedo che impari in fretta >>
<< Già, la cucina italiana l’adoro! >>
<< Sì, anch’io >> si aggiunse Jordan.
Seguì qualche attimo di silenzio, così mi alzai.
<< Oh no, so cosa stai facendo. Ora con la scusa di sparecchiare ci lasci qui come due scemi. >>
Jordan mi guardò con rimprovero, mentre Alex rideva sotto i baffi.
<< Ti sbaglio caro. Stavo giusto per andarmi a distendere un po’ sul divano. >>
Afferrai Birba che si stava leccando il muso e la strinsi a me, sotto gli occhi esterrefatti di Jordan.
<< Se non ti spiace io ho cucinato e domattina devo alzarmi prestissimo, quindi tu e Alex fatemi il favore di sparecchiare, lavare i piatti e mettere tutto a posto. >>
Con un sorriso furbo mi voltai e feci esattamente quello che mi ero prefissata. Mi accomodai sul divano e accesi la televisione, mentre in cucina si avvertivano i rumori delle stoviglie. Solo dopo qualche minuto e il continuo aprire e chiudere del rubinetto dell’acqua sentii le loro voci. Sorrisi soddisfatta e cullata dal tepore di quella nuova serenità mi addormentai.

 

 

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<< Hai fatto proprio un bel lavoro, Isa. >>
<< Lo so! >>
<< Guarda che la mia frase era ironica. >>
<< Ahah, Alex guarda che è grazie a me se stasera hai un appuntamento con Jordan. >>
<< E’ vero >>
Mi abbracciò e mi lasciò andare quando la signora, che il giorno prima mi aveva messo a disagio, si presentò alla reception.
<< Oh, scusatemi! Desideravo sapere se mio marito ha chiamato in mia assenza. >>
<< Sì, un paio di volte. D’altronde con una donna così bella, bisogna pur tenerla d’occhio. >>
Lei proruppe in una risata genuina.
<< Sono passati quei tempi. >>
<< E’ sempre una donna bellissima >> dissi senza pensare.
<< Grazie, sei molto bella anche tu… >>
<< Isabella >>
<< Che nome splendido! >>
Arrossii leggermente e scusandomi con entrambi, mi avviai in corridoio per il mio solito giro.
<< Isabella, puoi scusarmi un momento? >>
Mi voltai e vidi che lei mi aveva seguito.
<< Perdona la mia maleducazione, non mi sono neppure presentata. Il mio nome è Esme Masen. >> disse allungandomi la mano.
<< Piacere di conoscerla, signora Masen. >>
<< Oh, sono solita dire il mio nome da nubile, cosa che da molto fastidio a mio marito a distanza di anni. >>
<< D’accordo, allora piacere di conoscerla signora… >>
<< Cullen. >>
Il sorriso mi sparì lentamente dal volto. Quel cognome era lo stesso del fidanzato di mia sorella. Che coincidenza.
<< Qualcosa non và? >>
<< No, solo il suo cognome mi sembra familiare. >>
<< Beh, come ti dicevo ieri anche tu mi sembri familiare. Posso sapere il tuo cognome? >>
<< Certo. E’ Swan. Isabella Swan. >>
I suoi occhi si accesero di sorpresa.
<< Non sarai mica la sorella di Rosalie. >>
Risentire quel nome, mi causò un vuoto allo stomaco.
<< Questo significa che lei è la madre di Edward, giusto? >>
Solo in quel momento riconobbi gli stessi occhi verdi del ragazzo della foto.
<< Esatto, Isabella. Non sai come sono felice di averti incontrata! >>
Mi prese entrambe le mani tra le sue, ma inaspettatamente io mi tirai indietro e m’irrigidii.
<< Già. Mi scusi signora Cullen, ma io ho molto da lavorare oggi. >>
<< No, per favore, ci possiamo vedere quando finisci il turno? >>
<< Credo sia impossibile. Ho degli impegni, dopo. >>
<< Isabella, non ti ruberò molto tempo. Non sai da quanto tempo ti sto cercando. >>
Quelle parole mi spaventarono. Perché mai la suocera di mia sorella mi stava cercando? Era successo qualcosa a Rosalie?
<< Mia sorella sta bene? >>
<< Penso di sì. >>
<< Che vuol dire “pensa” ? >> disse, facendomi agitare.
<< Non spaventarti. Dico così perché Rosalie è sparita da quasi un anno. >>
<< Sparita? >> ripetei in preda all’agitazione. Forse era questo il motivo per cui non si faceva più sentire? Le era successo qualcosa? Peccato che erano tre anni che non sapevo più nulla di lei e non uno solo. Presa dalla mia rabbia nei suoi confronti non avevo pensato al fatto che potesse esserle accaduto qualcosa.
<< Ha lasciato mio figlio a pochi mesi dalle nozze, dicendo che quella vita non faceva per lei. L’ultima volta che l’ho vista aveva due valigie al seguito, da allora non so più nulla. >>
<< Ah. E’ partita allora >> dissi con un sospiro. Forse non era successo nulla, era semplicemente andata in un altro posto. Perché allora non mi aveva detto nulla? Poteva anche venire a trovarmi.
<< Non so cosa dire. Non la vedo, ne la sento da tre anni. >>
<< Dici sul serio? >> chiese sgomenta.
<< Sì >> dissi incolore.
<< Tutto questo non ha senso >>
<< Senta, io… >>
Lei mi sorprese, ignorandomi e tornando alla reception. Parlò con Alex e poco dopo lui mi fece cenno di raggiungerlo.
<< Cosa succede? >> chiesi quasi irritata.
<< Colpa mia. Gli ho chiesto di darti qualche ora di permesso. >>
<< No, io voglio lavorare. >>
<< Ti prego, Isabella. >>
Qualcosa mi convinse in quegli occhi cristallini, così mi andai a cambiare e uscimmo dall’Hotel.
<< Isabella io e te abbiamo bisogno di parlare. >> mi disse con tono che non ammetteva repliche.

 

 

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Ebbene, cosa vorrà Esme da Isabella? Fatevi un paio di conti. Rosalie è sparita da quasi un anno dalla vita dei Cullen, da quella della sorella molto prima. Capirete tutto nel capitolo successivo. Ah! Siamo vicini a Edward, lui si che combinerà disastri nella sua vita!

Allora, ditemi se la storia è leggibile così, sennò rimedio subito! Soprattutto fatemi sapere cosa ne pensate J
Ringrazio Light Efp per il suo fantastico banner!

A presto!

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