The bakery

di Ireth_Mezzelfa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


The Bakery



Capitolo I


Salve a tutti lettori (se esistete)! Volevo proporvi questa nuova storia originale nata da…bo, dal nulla e che mi è venuta così, di getto. Spero proprio ci sia qualcuno disposto a leggerla e ad affezionarsi ai personaggi che la mia mente ha partorito.
Bèh, detto questo, spero lasciate un parere nelle recensioni per sapere se continuare o no il tutto! Buona lettura!





E’ una bella mattinata oggi, limpida e soleggiata come ogni mattina d’autunno dovrebbe essere, un po’ fresca ma croccante come le foglie rosse e gialle che calpesto mentre cammino di buon umore verso il panificio.
Ho scoperto il piccolo panificio appena fuori dal campus qualche mese fa, durante una delle mie corse mattutine, notando subito che era piuttosto affollato da studenti come me che ne uscivano soddisfatti con un sacchetto sottobraccio e un profumo delizioso che li accompagnava fino a lezione.
“Buongiorno!”  esclamo entrando mentre il campanellino appeso alla porta tintinna allegro.
“Buongiorno signorina Lucy!” mi saluta con la sua voce burbera Bob Jones, il sessantenne e baffuto proprietario che mi sorride rilassato dal bancone, oggi non c’è molta gente, anche perché è piuttosto presto, e il panettiere sembra in vena di chiacchierare.
“Ecco qui la sua focaccia!” dice porgendomi il solito sacchettino di carta con su scritto il mio nome.
“Grazie signor Jones! Giornata tranquilla oggi?”
“Per ora, cara. I veri affamati arrivano verso le nove. Ma quelli li lascio a Kite e me ne vado a dormire per un po’!” esclama l’uomo sfregandosi le mani con aria soddisfatta.
Kite Jones è suo figlio, l’ho visto più volte al bancone e all’Università, sembra un bravo ragazzo, ma ho come l’impressione che sia un tantino tiranneggiato da suo padre.
Guardo l’orologio appeso alla parete di legno chiaro sopra il bancone e mi accorgo di essere quasi in ritardo per la mia prima lezione della giornata.
“Devo salutarla, signor Jones! Arrivederci!” lo saluto mentre esco in fretta dalla porta che scampanella allegramente.
“A domani signorina Lucy!”
Cammino a passo svelto verso il college, è davvero un bel posto dove studiare, immerso in un grande parco con stradine lastricate che collegano tra loro i vari edifici di mattoni rossi.
Mi dirigo verso la principale costruzione in cui si trova la maggior parte delle aule tra cui quella in cui dovrò restare per tre ore di noiosissima storia dell’arte medievale.
Adoro l’arte, certo -o non avrei deciso di dedicarci i miei studi- ma quelle tre lunghe ore con il professor Turner che blatera di chiese paleocristiane, architravi e colonne non è proprio il massimo.
A me piace studiare l’arte dei sentimenti, cosa si nasconde dietro un’opera, quali ragioni hanno spinto l’artista a usare quel colore, quel mistero che mi fa rabbrividire ogni volta che noto un dettaglio che mi svela un piccolo segreto della mente di chi l’ha progettato. Non è difficile immaginare che le mie lezioni preferite siano quelle di arte moderna.

“Dovrebbero sopprimere le lezioni così presto.” Borbotta una voce alle mie spalle.
Mi volto e mi trovo davanti la faccia stropicciata dal sonno di Andrew, un mio compagno di corso, nonché la prima persona con cui ho fatto amicizia qui all’Università.
“Ma dai, sono solo le otto!” Gli scompiglio i già fin troppo arruffati riccioli biondo scuri mentre lui mi guarda imbronciato.
“Solo perché tu non sei umana e te ne vai a scorazzare di corsa alle sei di mattina, non vuole dire che dobbiamo essere tutti automi come te.”
“Hei, cosa vuoi che ti dica? Mi piace alzarmi presto e tenermi in forma. Dovresti farlo anche tu, sai? Guarda che gli uomini con la pancetta flaccida non piacciono a nessuno.”
Andrew abbassa lo sguardo sul suo addome coperto dal maglione grigio di lana intrecciata alla ricerca di una ciccia inesistente sul suo fisico piuttosto asciutto.
“Mostro.” Sibila poi socchiudendo gli occhi con aria minacciosa verso di me.
“Poing!” esclamo io puntandogli l’indice sullo stomaco e proseguo verso l’ingresso ridacchiando.
“Non sei divertente!”
Invece prendere in giro Andrew Sullivan è divertentissimo, nonostante il suo imponente fisico da giocatore di football che era al liceo, è buono come un pezzo di pane e non se la prende mai per davvero. Lo considero una specie di grosso orso pigro contento di essere sé stesso ; immagino sia buffo vederci girare vicini: il gigante di un metro e ottantaquattro e la bambina di un metro e sessanta.
Entriamo a lezione e prendiamo posto come sempre in penultima fila. Non appena il professor Turner inizia il suo monologo, Andrew si accascia sul banco e sonnecchia con la testa tra le braccia.
Sbuffo, come fa a prendere sempre il massimo agli esami se dorme tutto il tempo?
Non potendomi permettere di seguire il suo esempio estraggo dalla borsa penna e quaderno e mi preparo ad affrontare questa infinita mattinata.

“Vedo che siete sopravvissuti.”
“Sopravvissuti, Noa? Sopravvissuti? E’ stato orribile.”
Mando giù il boccone di focaccia che mi sto gustando  seduta sull’erba e mi sollevo per guardare Andrew con aria di rimprovero.
“Ma se hai dormito tutto il tempo!”
“Io non dormivo. Io riflettevo riposando gli occhi, ecco.”
Sbuffo facendo cenno a Noa, la mia compagna di stanza di sedersi con noi al sole. Noa è di origini hawaiane e soffre un sacco il clima autunnale di questo periodo; il suo fisico minuto, anche oggi che non fa poi così freddo, è avvolto in un pesante maglione bianco e una grossa sciarpa di lana verde da cui spunta il suo visino color caramello e i suoi tratti dolci che contrastano con il suo cipiglio deciso che la porterà ad essere un avvocato temibile, ne sono certa.
“Piantatela di lamentarvi voi due. Io ho appena avuto due ore di diritto romano, ho solo un quarto d’ora prima della prossima lezione e non ne sto facendo una tragedia, quindi dammi un pezzo di focaccia.”
“Tiranna.” Borbotto passandole il mio sacchetto del pranzo.
“Devo andare!” esclama poi finito di sgranocchiare la mia focaccia.”Torniamo a casa insieme? Ci vediamo alle sette?” mi chiede poi mentre si alza e si tira la sciarpa fino al naso.
“Agli ordini!” mi metto sull’attenti io guardandola mentre scappa verso i suoi impegni giornalieri.
“Come fa ad essere così attiva?” borbotta Andrew stiracchiandosi e sdraiandosi sull’erba placidamente.
“Comincia a farti delle domande. Forse sei tu quello con dei problemi, Teddy Bear.”
“E taci.”
Sorrido tra me e me mentre mi godo il via vai di studenti nel parco. Questa vita universitaria non è poi così male!

“Odio l’università.”
Noa  mi guarda dall’orlo della sua sciarpa mentre mi trascino per raggiungerla.
“Ci hanno dato da leggere tre saggi sulla pittura Olandese, tre saggi! E uno ha ben novecento pagine, ok? Io come posso farcela Noa?”
“Puoi brontolare camminando? Sto morendo di freddo qui ferma ad aspettarti.”
Continuando a sbuffare mi incammino insieme a lei verso la zona delle abitazioni, abitiamo in un piccolo alloggio in cui però ci troviamo benissimo, ognuna di noi ha la sua microscopica camera così il mio disordine rimane nascosto agli occhi della mia estremamente ordinata amica, e tanto basta a una convivenza pacifica.
Sta cominciando a fare buio e mi stringo nel mio maglioncino leggero, comincio ad aver un po’ freddo, ma è la fame ad avere la meglio nella classifica dei miei bisogni primari di stasera. Tutta colpa di Noa che si è sbaffata metà del mio pranzo.
“C’è qualcosa in frigo?” chiedo mentre passiamo davanti alla zona delle palestre, ma non faccio in tempo a ricevere risposta che all’improvviso uno scalpiccio e un tonfo di porte sbattute violentemente ci fa sobbalzare. Cosa cavolo sta succedendo?
A qualche metro da noi dalla porta sembrano spararsi fuori due persone-due ragazzi per la verità-in costume da bagno che…In costume da bagno?
Mentre cerco di capire cosa diamine stiano facendo due studenti mezzi nudi avvinghiati l’uno all’altro in costume da bagno alle sette di sera, si gettano fuori dalla porta un’altra decina di ragazzi –sempre in costume, cosa cavolo sta succedendo?!- che accerchiano i primi due e cominciano a strepitare e urlare.
“Si stanno picchiando!” esclama Noa, più perspicace di me davanti a quello spettacolo.
Senza pensarci ci mettiamo a correre verso il gruppo in fermento ed essendo decisamente più allenata della mia coinquilina, arrivo per prima e capisco subito che sta succedendo.
Un energumeno con due spalle che sembrano un armadio a sei ante sta spintonando un ragazzo un po’ meno grosso ma che, da come si lancia sul nuotatore, sembra deciso a rompergli qualche ossa, come minimo.
“Che succede qui?” urlo agli spettatori che riconosco essere gli atleti della squadra di pallanuoto del college, ma loro sembrano troppo impegnati a fare un entusiastico tifo per il loro compagno Mr. Energumeno per rispondermi.
Mi volto verso Noa che sta prendendo fiato con una mano su un fianco e mi guardo intorno per cercare aiuto. Possibile che non ci sia nessuno di grosso e muscoloso nei paraggi? Dov’è Andrew quando serve?
“Spaccagli il culo, Tommy!”sento sbraitare un nuotatore accanto a me.
L’Energumeno, incoraggiato dai suoi compagni, si lancia sul suo avversario mancandolo per un soffio e questi ne approfitta per assestargli un bel pugno sul petto. Mi porto le mani davanti alla bocca mentre il nuotatore reagisce con violenza… Cavolo, si faranno davvero male! Devo fare qualcosa.
Mi lancio all’improvviso in mezzo alla zuffa a braccia aperte-ma cosa credo di fare?- gridando “Basta ragazzi!” e ovviamente il tizio meno palestrato non mi vede. Ma io vedo benissimo il suo pugno. E il suo pugno vede benissimo la mia faccia.
Cado all’indietro sull’erba e fa un male cane. Fa un male cane al mio sedere, ai miei jeans che si sporcano di terra, ma soprattutto fa male alla mia guancia che mi sento pulsare dolorante.
“Ahio.” Pigolo portando una mano sulla botta mentre l’attenzione dei nuotatori si sposta sulla ragazza eroica che ha sacrificato la sua guancia per la pace tra studenti. Perché sono così idiota?
“Lucy, tutto ok?” Noa si fa largo tra i ragazzi e mi si inginocchia a fianco. “Hei tu idiota, vai a chiamare l’infermiera!”ordina poi a un’atleta che fila via intimorito dal suo tono autoritario.
“Ahio.”ripeto mentre il mio cuore rallenta il battito e comincio a calmarmi.
“Ma quella da dove saltava fuori?” sento esclamare qualcuno tra il gruppo che si è raggruppato intorno a me, che imbarazzo. Cosa pensavo di fare?
“Indietro ragazzi, indietro! Allora chi è che si è fatto male?” E’ arrivata l’infermiera che mi si piazza davanti e mi squadra attentamente.
“Riesci ad alzarti? Ti gira la testa?”
Mi gira la testa? Sbatto un paio di volte gli occhi e sembra tutto a posto. “No, sto bene.”
“Allora vieni con me che mettiamo qualcosa su quella botta. E voi tornate negli spogliatoi e piantatela di dare spettacolo!” Mi tende la mano e mi aiuta ad alzarmi poi indica il ragazzo che aveva ridotto la mia faccia molto simile a quella di un panda e gli fa cenno di seguirci verso l’infermeria delle palestre. “Vieni anche tu, devi disinfettarti quel taglio.”
Stringo i denti sperando che il tizio non abbia niente di grave -con il buio non riesco a vedere nemmeno che faccia abbia- il sangue non è proprio una delle mie visioni preferite.

“Mettici questa per un po’, quando stai meglio torna a casa e stenditi un po’.” Dice l’infermiera porgendomi una borsa del ghiaccio e scomparendo in corridoio.
Sono seduta sul lettino con le gambe a penzoloni e mentre poso il ghiaccio sulla botta, mi maledico per essermi intromessa.
“Non dovevi lanciarti in mezzo così!” mi rimprovera Noa in piedi di fronte a me, neanche mi leggesse nel pensiero.
“Per lo meno hanno smesso di picchiarsi.” Borbotto alzando le spalle. “Sono messa molto male?” chiedo mostrandole la guancia.
“Hai un bel livido, ma non è tanto gonfio, poteva andarti peggio!”
Sospiro. Ci voleva proprio un bell’occhio nero da vittima di stupro!
“Vado un secondo in bagno, poi torniamo a casa ok, paladina della giustizia?”
“Dovevi farlo tu, avvocata dei miei stivali.” Le dico mentre lei mi lascia sola.
Sbuffo, ho fame, ho freddo e ho perso pure tempo con questa storia. Maledetti ragazzi rissosi, non li sopporto proprio gli aggressivi, guarda te se dovevo anche difenderli dal loro cervello vuoto!
“Permesso?”
Una voce mi distrae dai miei pensieri, è il ragazzo che è venuto in infermeria e grazie al cielo ha un grosso cerotto sulla fronte che nasconde eventuali visioni che causerebbero certamente un mio semisvenimento.
Devo dire invece che lui non è un brutto spettacolo dato che è ancora in costume da bagno, è piuttosto alto e ha un bel fisico scattante e definito, non eccessivamente palestrato, ma abbastanza muscoloso per notare che non è certo un pigro orso come Andrew.
“Avanti.” Dico io scrutandolo entrare con aria sicura di sé mentre si passa una mano tra i capelli scuri, ancora bagnati, presumo dalla nuotata in piscina finita male.
“Ciao, penso di averti tirato un pugno in faccia.” Dice, poi ride tra sé e sé e noto che ha denti simmetrici e un sorriso perfetto che non sfigura sul bel viso completato da due occhi che sembrano essere verde scuro.
Ora che ci penso l’ho visto spesso in giro per il college, dev’ essere uno di quei ragazzi popolari a cui non ho mai dato troppa attenzione.
“Ciao, penso che la mia guancia ti stia odiando molto.” commento io indicando la borsa del ghiaccio.
“Volevo scusarmi, non ti ho proprio vista.”
“Non fa niente.” Invece fa malissimo, idiota.
Vedo che mi osserva inclinando la testa, sembra stia cercando di riconoscermi.
“Sei carina, non ti ho mai vista alle mie feste.” conclude dopo un po’ “Com’è che ti chiami?”
“Lucy Callaway.” rispondo io sulla difensiva. Non mi piace il suo tono presuntuoso, come si permette? “E tu?”
Sembra stupirsi della mia domanda per come mi guarda in modo strano. Mi spiace, bello mio, non sei popolare come pensi, forse?
“Oh, sono Daniel Baker, piacere.”
Sta davvero facendo un inchino in costume da bagno? Ma per favore.
“Come mai ti stavi picchiando con la squadra di pallanuoto al completo?” chiedo per farlo smettere di fissarmi con quello sguardo che non mi piace affatto.
Lui solleva le spalle e con noncuranza agita una mano.
“Volevo farmi una nuotata, ma a quanto pare devono occupare tutte le corsie per i loro allenamenti. Così ho dovuto dargli una lezione.”
Sbuffo disgustata di fronte alla sua arroganza.
“Ma se ti stava per distruggere quel tizio.”
“E allora per fortuna che sei arrivata tu: lo scudo umano! Cosa pensavi di fare?” Sogghigna lui, mentre incrocio le braccia scocciata.
“Cercavo di farvi smettere.” Bofonchio “Ma forse era meglio lasciarvi lì a darvele come dei veri uomini delle caverne.”
“Touchè!” esclama lui alzando le mani e sedendosi accanto a me sul lettino. Ma che diavolo fa?
“Bèh…” inizia mettendomi un braccio intorno alle spalle lasciandomi di stucco “…come minimo per aver danneggiato il tuo faccino, devo invitarti questo sabato a un party con i miei amici.” Daniel Baker ammicca in un modo che forse dovrei trovare affascinante, ma che me lo rende ancora più antipatico. Mi alzo di scatto allontanando lui e il suo braccio. Cos’è tutta questa confidenza?
“Come minimo per aver danneggiato il mio faccino, potresti farmi il favore di lasciarmi in pace?”
“Siamo un tantino acide, o sbaglio?”
Lo  guardo dal mio imponente metro e sessanta. Possibile che una persona ti stia così antipatica in pochi minuti? Se c’è una cosa che ho sempre odiato più dei violenti presuntuosi sono i cascamorti, e questo ragazzo è un mix di tutti e tre, fantastico!
“Dovresti evitare di insultare qualcuno a cui hai appena regalato un occhio nero, Daniel Baker. Quindi grazie e arrivederci, non mi serve altro.” Oh amo vincere le conversazioni, non mi capita spesso di riuscire ad avere l’ultima parola, ma questo tizio mi ha esasperato così tanto che questa mi è uscita bene!
Sono pronta ad andarmene sentendomi potentissima, quando sento lui che se la ride.
“Sei uno spasso, Lucy Callaway!” esclama. “Ci vediamo sabato allora?”
Mi volto irritata e lo vedo appoggiato al lettino, con il suo sorrisetto arrogante.
“Va a metterti una maglietta, non sarò lì quando la polmonite verrà a prenderti a pugni!”
Lo sento sghignazzare ancora mentre cerco i bagni per raggiungere Noa e tornare finalmente a casa, lontana da quello stupido stupido Daniel Baker.




Ecco fatto, spero abbiate apprezzato :)
Aspetto recensioni,
un bacio,
Ireth


ps. TUTTE le immagini che troverete nei vari capitoli non mi appartengono, le ho trovate su
http://weheartit.com/

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


The Bakery



Capitolo 2

 

Grazie a tutte coloro che hanno recensito e a coloro che hanno letto o mi stanno seguendo (se ci siete!), spero che anche i secondo capitolo vi piaccia. Vi avviso che questi primi capitoli forse sono un po' lenti e introduttivi, ma vi prometto che la storia si movimenterà già a partire dalla prossima puntata, per ora...Buona lettura!



Inspirare, espirare, tieni il ritmo, Lucy.
Svolto l’angolo e continuo a correre un po’ più lenta mentre mi avvio verso l’uscita del campus seguendo il percorso della mia solita corsetta mattutina.
Anche oggi c’è un bel sole, ma l’aria è più frizzante di ieri, mi punge il naso in modo piacevole e mi mette di buon umore, facendomi dimenticare la brutta avventura di ieri sera.
Dopo qualche minuto arrivo alla mia meta consueta, il panificio Jones, e mi fermo un momento per prendere fiato e non ansimare in faccia al mio panettiere di fiducia, rossa come un pomodoro.
Il solito dlin dlon! della porta e il delizioso aroma del pane appena sfornato mi accolgono tra le chiare pareti di legno del negozio.
“Buongiorno!” esclamo rivolta verso il ragazzo al bancone: a quanto pare il signor Jones ha deciso di piazzare suo figlio alla mattina presto per farsi una bella dormita dopo la nottata a impastare pagnotte. Uomo astuto.
“Ciao!” mi risponde Kite, incrociando le braccia sul grembiule e guardandosi intorno nervoso.
Non ha proprio niente dell'omone tarchiato che è suo padre: è molto alto e ha un viso delicato, dai lineamenti gentili spruzzati di lentiggini, i capelli color miele, sempre arruffati, e due grandi occhi azzurri che spesso abbassano lo sguardo intimiditi.
Gli sorrido cortese, quel timido ragazzo mi è simpatico, abbiamo la stessa età e, studiando architettura, qualche volta ha dei corsi in comune con me, quindi ho avuto modo di parlarci ogni tanto.
“Finisco di mettere a posto qui e ti servo subito! Scusa ma oggi sono da solo e…”
“Non c’è problema, figurati!”
Lo osservo appoggiata al bancone mentre sistema in vetrina dei dolcetti e qualche piccola torta, mentre avverto il suo sguardo che fissa di sbieco il mio livido, cercando di non farsi vedere.
Cerco di ignorarlo-non ho molta voglia di evocare ieri sera- guardandomi intorno e apprezzando come sempre quel luogo piccolo e caldo, con quattro tavolini di legno dipinto di bianco come le pareti; a uno di essi sta seduta tranquilla una signora intenta a mangiare una brioche leggendo un giornale che tiene sulle ginocchia.
Le numeroso foto della famiglia Jones che abbelliscono il panificio mi sorridono illuminate dal sole che entra dalle due finestrelle e dalla vetrina principale, ispirando ricordi di epoche passate, più semplici e genuine come il pane che continua a sfornare il negozio di generazione in generazione.
Sospiro contenta e mi volto verso Kite che è rimasto lì fermo a fissarmi con espressione indecifrabile e un muffin in mano.
“Scusa scusa!” sobbalza
non appena gli rivolgo lo sguardo, appoggiando il dolcetto sul tavolo e probabilmente spiaccicandolo. “Vado subito a prendere il tuo pacchetto!” esclama quasi correndo verso la porticina che da sul retro.
“Non c’è problema!” ripeto sorridendo. Oggi non ho fretta, ho lezione più tardi e farò addirittura in tempo a farmi una bella doccia passando da casa.
“Ecco qua!”
Kite mi porge il sacchettino con sopra il mio nome e gli sorrido mentre noto che non riesce più a trattenersi dal fissare spudoratamente il mio occhio di panda.
“Hem…che ti è successo lì?” si decide poi a chiedere.
“Oh, niente di grave! Sono solo andata a sbattere contro…” contro un idiota. “…una cosa.”
“Oh!” annuisce lui con aria dispiaciuta “Spero non sia niente!”
“Passerà, tranquillo! Bèh, ti lascio al lavoro ora, salutami tuo padre!”
“Oh sì, certo! Ci…ci vediamo a lezione allora…” mi saluta lui mentre mi avvio verso la porta .
“Ciao Kite!”
Esco e accenno a una corsetta sul posto per scaldarmi un po’, tenendo stretto il mio pranzo in una mano…stavolta Noa non azzannerà la mia focaccia! Le impedirò di lasciarmi morire di fame.
Sorrido ringraziando tra me e me il panificio per salvarmi quotidianamente dal cibo-probabilmente radioattivo- della mensa e lancio un ultima occhiata all’edificio alle mie spalle dove trovo Kite che mi osserva dalla vetrina. Quel ragazzo farà prendere un colpo a qualcuno se osserva tutti con quegli occhioni che sembrano due fanali come sta facendo ora! Lo saluto di nuovo agitando la mano e ottenendo la sua imbarazzata risposta, poi ricomincio a correre tornando a casa.

Il telefono sta squillando ed io devo riarrotolarmi nell’asciugamano per andare a rispondere, saltellando come un involtino primavera vivente.
“In caso non ci sono!” mi avvisa Noa strillando dal bagno, il che significa ‘Se è mia madre, ignora le sue richieste come al solito, inventati una scusa e riattacca.’
Già, Noa non ha un bel rapporto con la madre, dopotutto la sua non è una storia famigliare tranquilla e nella media come quella che per fortuna ho io.
I suoi si sono separati quando era ancora molto piccola ed ha abitato per i primi dieci anni della sua vita con sua madre e il suo adorabile zio con problemi di dipendenza da alcool. Proprio così.
Di lui non mi ha mai parlato nel dettaglio ma so che non era mai molto carino -ed è un eufemismo, ovviamente- con sua madre quando tornava a casa completamente sbronzo la sera. Lei, a quanto ho capito dai racconti della mia coinquilina, ha sempre difeso suo fratello e Noa non l’ha mai perdonata per questo così ha deciso di trasferirsi da suo padre e chiudere ogni contatto con la sua vecchia vita.
Per questo ogni volta che la signora Haimi chiama a casa nostra, sono costretta a ripeterle che Noa non è in casa e che la richiamerà più tardi e lei puntualmente mi ringrazia cortesemente in uno spettacolino di menzogne che entrambe sappiamo che andrà avanti forse all’infinito.

Ad ogni modo, al telefono non è la madre di Noa, bensì mio fratello minore che mi chiede se poteva rivendere dei miei vecchi libri di scuola. Certo Math, fa pure affari con la mia roba.
Sospiro riattaccando, mi vesto e asciugo i capelli con calma mentre Noa esce per andare a lezione bardata come un esquimese.
“Ci vediamo a pranzo, omino Micheline?”
“Sì, panda suicida.”
Le faccio una linguaccia mentre chiude la porta, poi torno in bagno a controllare allo specchio il mio livido. Non è più gonfio e non è conciato poi così male in fondo! Cerco di coprirlo un po’ con il fondotinta e mi ritengo abbastanza soddisfatta del risultato, nonostante l’evidente alone nero che rimane a ricordarmi le mie valorose imprese.
Terminato il restauro facciale afferro la mia fedele tracolla di pelle e ci metto dentro i due libri della giornata piuttosto leggera che mi aspetta, infine esco a passo svelto controllando l’orologio di tanto in tanto, anche se so già che Andrew sarà in ritardo come al solito.
E infatti appoggiato a una colonna, appena prima del portone d’ingresso, non è Andrew quello che mi fissa con aria compiaciuta e le mani nelle tasche dei jeans aderenti che indossa, ma è…
“Daniel Baker!” esclamo esasperata avvicinandomi mentre lo guardo male. Che diavolo ci fa lì?
“Lucy Callaway!” mi saluta lui continuando a sorridere e guardandomi soddisfatto. “Buongiorno.”
Ha un cerotto più discreto e piccolo rispetto a ieri sera…ovviamente non poteva rovinare la sua reputazione con una cerottone enorme e bianco sul faccino. Figuriamoci. Mi fermo a fissarlo sospettosa.
“Che ci fai qui?”
“Ti aspettavo.”risponde lui tranquillo confermando i miei dubbi. Quindi è pure uno stalker, perfetto.
Sbuffo incrociando le braccia sul petto e guardandolo di sbieco: ora che lo vedo con i vestiti addosso- cosa bizzarra da pensare la seconda volta che incontri qualcuno-sembra stranamente più alto e in forma di quanto non mi fosse sembrato ieri sera, forse perché non ha come confronto gli energumeni di pallanuoto. In effetti è parecchio più alto di me, anche se non ci vuole molto, e ha due spalle larghe che gli donano un aspetto virile, nonostante non sia un pompato che esplode di muscoli; noto che indossa un semplice maglione grigio girocollo con una sciarpa blu distrattamente elegante che gli ricade sulla spalla.
“Che vuoi?”chiedo acida.
 Dov’è Andrew quando serve? E quante volte dovrò farmi questa domanda in questi giorni?
“Convincerti ad accettare le mie scuse e venire ad una festa sabato.”dice semplicemente lui, mantenendo la sua aria rilassata e pacifica, come se non lo stessi fulminando con lo sguardo.
“Ascolta, sei perdonato.” Dico io lentamente, scandendolo come quando si parla a un bambino piccolo. ”Sul serio, ti prego, non servono altre proposte allettanti.” L’ultima parola la metto tra virgolette mimandolo con le dita, tanto per essere ben chiara.
Ma lui non se ne va, anzi si avvicina di un passo e accenna un’espressione fintamente esasperata.
“Non mi capita spesso di dover supplicare qualcuno per uscire a divertirsi.”
“Bèh, dadàn!” scimmiotto io allargando le braccia e facendolo ridacchiare.
“E dai, Lucy Callaway, non fare la preziosa!”
“Non sei il mio tipo, Daniel Baker. Va a fare un occhio nero a qualcun’altra, chissà che tu non riesca a trovare compagnia.”
Lo guardo mentre mi scruta indeciso tra un’altra risata e l’ammirato, poi si decide  per la prima opzione e scuote la testa.
“Sei proprio uno spasso!” ripete con lo stesso tono di ieri e dandomi sui nervi. Ci vorrebbe un miracolo per scrollarmi di dosso Mister Sicurezza di Sé, ma per fortuna le mie preghiere vengono esaudite quando il peso della grande mano di Andrew cala sulla mia spalla accompagnata dalla voce del mio salvatore.
“Eccomi qui, Lucy! Tutto a posto?”
Mi volto e lo vedo scrutare dall’alto in basso il mio parassita capendo al volo che non è una delle mia abituali e gradite compagnie.
“Sì, grazie Andrew.” Dico io, sentendomi potente con quel gigante alle spalle e lanciando un’occhiata vittoriosa verso Daniel Baker, che non accenna comunque a muoversi.
“Ma che ti è successo alla faccia?!” esclama Andrew accorgendosi della botta e voltandosi subito verso il responsabile.
“E’ stato lui?”
Quasi scoppio a ridere per come ha indovinato al primo colpo: Andrew Sullivan, veggente incompreso.
“Proprio così.” Annuisco io sorridendo malvagia.
Daniel Baker alza le mani in segno di resa mentre il mio gigante buono assume un’aria vagamente minacciosa.
“D’accordo, d’accordo! Prima che mi scateni dietro Hulk biondo me ne vado. Ci vediamo, Lucy Callaway!”
“Ma anche no!” gli urlo dietro mentre si allontana camminando all’indietro per non farmi mancare lo spettacolo del suo sorriso malizioso.
“Non sperarci!” grida lui ridendo e voltandosi finalmente per andare a fare qualcosa di probabilmente molto inutile come pedinare una povera ragazza innocente.

“Ma chi è quello lì?”
Sbuffo cominciando a raccontare gli avvenimenti della sera prima e ci incamminiamo insieme verso la nostra aula.
“Ma è proprio così antipatico?” bisbiglia Andrew mentre la professoressa Richards scrive alla lavagna le caratteristiche principali della pittura olandese.
“Pff, non mi piacciono quelli come lui, tutti tronfi e gongolanti, lo sai.”
“In effetti, non esattamente qualcuno con cui ti vedrei...Però magari lo puoi sfruttare per farci invitare a qualche festa privata…” Borbotta lui mangiucchiando una penna.  
“Hei laggiù, signor Sullivan! Silenzio!”
Andrew china la testa grugnendo uno “Scusi.” alla Richards.
“La odio.”mormora poi rivolto a me.
“Lo so.”
E torniamo attenti a scrivere sui nostri appunti mentre io spero che Daniel Baker non abbia in programma altre visite indesiderate alle mie lezioni.

Fortunatamente alla pausa pranzo non trovo nessun ragazzo incerottato ad aspettarmi e, sollevata, posso sedermi con Andrew sul muretto del chiostro che circonda l’edificio principale a godermi il contenuto del mio sacchettino preferito.
“Sai, credo dovresti parlare alla Richards.” Dico mentre scarto la mia focaccia. “Potreste appianare le vostre divergenze se chiedi un colloquio con lei…“
“E chi sono io, Ghandi? Quella mi odia! Da quando ho dato la risposta sbagliata a quell’esame mi ha preso di mira. Maledetta vecchiaccia!”
Sto per ribattere che la Richards non è poi così decrepita -insomma, avrà sì e no sessant’anni!- e che lui ha risposto in modo poco educato quella volta, quando  la mia mano incontra qualcosa di diverso, oltre alla focaccia nel sacchetto di carta.
“Oh, guarda!” esclamo osservando il biscottino di pastafrolla che ho tirato fuori. Mi sta giusto sul palmo della mano ed è a forma di cuore,  glassato con del cioccolato.
“Mh? Buono.”commenta il mio amico addentando il suo hot dog.
“Ma io non l’ho ordinato…”dico osservando il dolcetto e controllando la scritta sul mio sacchetto: Lucy Callaway, nessun errore.
“Si saranno sbagliati.” Bofonchia Andrew alzando le spalle e arraffando il biscotto ficcandoselo subito in bocca.“Bfuobo cobucue!”
Lo guardo schifata mentre torna dal cioccolato al panino e con una scrollatina di spalle inizio a mangiare anchi’io. Strano però, fino ad ora il signor Jones non aveva mai sbagliato ordinazioni...

Vengo distratta dai miei pensieri da qualcuno che si sta avvicinando alla nostra postazione.
“Buongiorno professor Fielding!” esclama a voce molto alta Andrew, con un sorrisetto, mentre il mio…hem, nostro professore di letteratura ci cammina incontro con la sua cartella piena di libri.
“Buongiorno ragazzi!” risponde lui con quella sua voce profonda e un sorriso amichevole sul volto gioviale facendomi arrossire come sempre.
Lo so, lo so, avere una cotta per il professore è una cosa piuttosto imbarazzante e patetica, inoltre il professor Robert Fielding non è esattamente il tipo di cui una ventenne va ad infatuarsi: è sui cinquanta ed è sposato –e già questo sarebbe più che sufficiente -, inoltre è un tipo alto e smilzo, nonostante le spalle ben piazzate, dal naso importante sui cui stanno gli occhiali da vista e i capelli ormai non sono proprio del tutto presenti…Insomma, nonostante sia tutto sommato un più che passabile quasi cinquantenne, non è il prototipo del professore maledetto e sciupa alunne.
Il fatto è che ha una voce pazzesca. E la sa usare per rendere gli argomenti più noiosi interessanti, quasi sensuali e beh, è normale che io – e gran parte delle ragazze del corso obbligatorio di letteratura inglese, in realtà – abbia un debole del tutto letterario e platonico per lui.
Ed è normale che Andrew mi prenda in giro spietatamente. Sempre e comunque.
“Professore, come sta?” chiede il mio amico mentre il professor Fielding si ferma di fronte a noi in tutto il suo metro e ottanta di giacca intellettuale con toppe ai gomiti, camicia azzurra e pantaloni cachi.
Nemmeno a dirlo, il docente ha un buon rapporto con quasi tutti i suoi alunni, in particolare con quelli che vanno molto bene ai suoi esami...quindi con me!
“Bene, signor Sullivan, sto andando a lezione da quelli del primo anno...Poveretti! Non mi sopporteranno già più!”esclama ridendo con la sua voce. Oh sì, con quella voce lì.
“E voi, ragazzi? Quand’è che ho l’onore di tartassarvi po’?”
“Giovedì, alle undici e mezza.” Rispondo io un po' troppo rapidamente.
“Già, Lucy non vede l’ora di essere tartassata un po’!”
Andrew, brutto cretino.
“Ne sono lieto, non la deluderò, signorina Callaway, sarò noiosissimo!” ride ignaro dei significati nascosti e ambigui, il mio caro prof. amorevole. “Tra l’altro Lucy, mi serviresti in ufficio uno di questi giorni, ho quel materiale che mi avevi richiesto.”
“Oh, grazie professore. Domani mattina verrò nel suo ufficio!” dico, pentendomi subito dopo della scelta di parole.
“Si assicuri che venga prof!” sogghigna Andrew guardandomi con aria furbetta e guadagnandosi un mio pizzicotto arrabbiato sotto il maglione, senza farmi vedere da Fielding.
“Non è mai stata in ritardo quindi confido nella puntualità della signorina Callaway! Piuttosto lei, signor Sullivan, cerchi di non tardare come sempre a lezione!”
Agita il dito verso Andrew che sorride innocente e annuisce, mentre il professore raccoglie la sua cartella da terra .
“Bèh, ragazzi, vi saluto, altrimenti sarò io quello in ritardo! Arrivederci a giovedì!” ci saluta allontanandosi con quelle sue gambe lunghe e dinoccolate.
“Andrew, brutto…”
Picchio Andrew come un’indemoniata finchè non lo costringo a fuggire via e me ne rimango seduta a gambe incrociate mentre il mio stupido compagno mi osserva da dietro una colonna continuando a ridacchiare.
Tanto lo sa che nel giro di cinque minuti lo perdonerò.
In realtà lui sa anche benissimo che la mia cotta per Fielding è del tutto intellettuale e che non sarà mai niente di serio, ma il fatto è che quello per me è un rapporto perfetto.
Lui insegna con la sua voce sexy e io imparo, ammiro e immagazzino. Semplice. Non ho bisogno che di questo, un rapporto alunna-insegnante basato sul rispetto e la professionalità, senza le complicazioni e le ferite di un rapporto sentimentale.
Dopo la mia ultima storia -un rapporto a distanza che mi ha sfracellato il cuore in un anno e mezzo di tira e molla-, ho deciso di averne abbastanza, almeno per un po’, e di concentrarmi sugli amici, lo studio e il divertimento dei miei anni di college. Ci sarà un momento per i ragazzi, ma non è questo.
Assolutamente no.
Quindi viva viva i rapporti platonici!
Mi alzo e controllo l’orologio: è il caso di incamminarsi. Passando di fianco alla colonna afferro Andrew per una manica della giacca e me lo trascino dietro.
“Con te non ho ancora finito comunque.” minaccio.
Ma lui ride, lo sa già che il gigante e la bambina non litigano mai per davvero.


Finito anche questo capitolo con due new entry, Fielding e Kite...che ve ne pare di loro?
Intanto Daniel Baker non si smentisce e si rivela davvero una tarma per la nostra Lucy! Vedremo se riuscirà a spuntarla o se Andrew dovrà picchiarlo veramente...
E quel biscottino?
Vi lascio sperando che continuiate a seguirmi,
un bacio!
Al prossimo capitolo,

Ireth

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 

The Bakery




Capitolo III


Eccoci con il terzo capitolo :) Che dire? Grazie a chi legge e a chi recensisce, mi fa sempre stra piacere!
Se trovate qualche errore o correzione da fare è perchè non ho riletto molto bene tutto quindi...siate clementi!
Buona lettura!





“Buongiorno Lucy!”
“Buongiorno signor Jones!”
“Un minuto e sono da te…Kite muoviti, benedetto ragazzo!”
Oggi il panificio è davvero affollato, Kite e il signor Jones scorrazzano avanti e indietro per il bancone cercando di servire tutti in fretta e furia.
Ci sono molti studenti seduti ai tavolini a mangiare brioches con occhi assonnati o ad aspettare pigramente il proprio turno appoggiati al bancone come me.
“Lucy, ecco qua!” mi chiama Kite dopo qualche minuto porgendomi il pacchetto.
Lo prendo allungandomi oltre il bancone e mi viene improvvisamente in mente il biscotto di ieri.
“Ascolta Kite…” dico ad alta voce cercando di sovrastare il vociare intorno a me.
“Sì?” dice lui arrossendo come suo solito e scrutandomi incuriosito.
“Kite! Vuoi venire qui ad aiutarmi?!” sbraita il signor Jones che è impegnato a impacchettare tre baguette contemporaneamente.
“Arrivo papà!”
Ma sì, al diavolo! Non è il caso di disturbarli per un biscottino in più mentre sono così impegnati, e poi alla fine Andrew ha apprezzato l’extra.
“Non importa, ciao Kite, ci vediamo! Arrivederci signor Jones!”
Agito la mano nella loro direzione ed esco dal negozio affollato tenendo sollevato il mio trofeo per non far cadere il mio pranzo per terra.
“Ce l’hai fatta?”
Mostro vittoriosa il pacchetto a Noa che mi aspetta per andare insieme verso il campus, dato che i nostri orari mattutini oggi coincidono.
“Allora ci sarà anche oggi il tuo ammiratore?” mi chiede Noa mentre ci incamminiamo nel parco stringendo le spalle nel vento fresco che è salito stamattina insieme a dei nuvoloni neri che offuscano il cielo.
Arriccio il naso schifata.
“Non è un mio ammiratore, è un fastidioso tizio che si crede irresistibile e ha deciso di darmi fastidio per divertirsi.”
Noa ride mentre i lunghi capelli neri le svolazzano in faccia dispettosi.
“Non lo sopporti proprio eh?” chiede guardandomi di sottecchi.
“Esatto, sai quanto mi danno fastidio gli egocentrici e…oddio!”
“Che c’è?”
“Parli del diavolo…”
Eccolo lì, Daniel Baker con bicchiere di caffè da asporto tra le mani e la solita espressione rilassata sulla faccia mentre ci guarda arrivare e sì, sembra che stia proprio aspettando noi. Anzi me, purtroppo.
“Mio Dio, ma non hai qualcos’altro da fare? Non so, un corso di laurea da seguire, per esempio?” chiedo con voce disperata mentre ci avviciniamo fino a trovarci davanti a lui.
“In effetti sì, ma tu mi costringi a venire qui a ritrattare.” Alza le spalle e beve un lungo sorso di caffè mentre lancio un’occhiata eloquente a Noa che sta fissando Daniel Baker incuriosita.
“Non c’è nulla da ritrattare, mettitelo bene in testa e vai a studiare…cosa studi?”
“Economia.” Risponde lui con un sorriso.
Arriccio il naso, bleah, odio la matematica e tutto ciò che ne deriva. Un motivo in più per trovarlo insopportabile.
“Ecco, va a studiare economia.”
Lui guarda lancia un’occhiata all’orologio e poi torna a rivolgersi a noi.
“Effettivamente la mia lezione è già iniziata da un po’…Non ti senti in colpa a farmi perdere tempo così? Fammi contento, Lucy, così posso tornare a occuparmi della mia cultura.” Lo dice con un tono scherzoso, senza prendersi sul serio e torna a bere dal suo bicchiere tranquillamente senza staccare i suoi occhi verde scuro da noi.
“Missà che è meglio se torni a disturbare la cultura senza una mia risposta affermativa. E intendo tornarci per sempre.”
“E va bene.” Sospira lui e per un attimo penso davvero che si sia arreso. “Ci vediamo domani, Lucy Callaway!” dice poi rompendo ogni mia speranza.
“Hai visto?” esclamo esasperata verso Noa.
“Io lui l’ho già visto.” Afferma lei scrutandolo mentre si allontana.
“Ovvio che sì, studia qui, Noa!”
“No no, l’ho visto da qualche altra parte, sono sicura…ma dove non lo so...Hmm…”dice lei sovrappensiero socchiudendo gli occhi scuri per cercare quel ricordo che le sfugge.
“Bah!” La guardo mentre alza le spalle e smettendo di guardare il ragazzo che ormai è -grazie al cielo- lontano da noi. “Mi verrà in mente prima o poi.”
In quel momento si avvicinano a noi due ragazze che riconosco essere due compagne di corso di Noa, si chiamano Cassie e July, se non sbaglio, e qualche volta abbiamo preso un caffè insieme dopo che Noa me le aveva presentate.
“Ciao Noa, ciao Lucy!” esclamano fermandosi con noi.
“Conoscete Daniel Baker?! Era lui quello!” esclama Cassie sbarrando i grandi occhioni azzurri che completano l’aspetto da Barbie che i capelli biondi e l’altezza spropositata le conferiscono.
“E’ amico suo.” Spiega Noa indicandomi con un cenno del capo e proiettando la loro attenzione su di me che già scuoto la testa con espressione esasperata.
“Lasciamo perdere.”
“Quindi è tuo amico?” insiste Cassie fissandomi ammirata.
“No no, non so nemmeno chi sia e voglio continuare a non conoscerlo affatto!”
“Peccato!” si rattrista la bionda accennando un broncio ed io non posso essere più in disaccordo sul suo stato d’animo… Non sa cosa darei per togliermelo di torno!
“Bèh, ad ogni modo volevamo invitarvi alla nostra festa di Halloween a fine mese!” esclama Julie, una ragazza minuta con i capelli a caschetto e l’aria sveglia. “Ci vogliamo organizzare in tempo e raccogliere tutte le adesioni prima che comincino ad organizzarne altre…vogliamo l’esclusiva sulla festa migliore di Halloween!” conclude poi entusiasta.
“Ci sarete?” domanda Cassie speranzosa.
Io e Noa ci guardiamo ed io alzo le spalle, non è male avere un buon programma per Halloween già adesso.
“Per noi va bene!” dice Noa sorridendo alle ragazze.
“Può venire anche Andrew?” chiedo io.
“Il vostro amico? Sullivan?”
“Esatto.”
“Ma certo che può venire! Più siamo, meglio è!”
“Specialmente se sono ragazzi!” aggiunge Cassie strizzandomi un occhio.

Dopo averci dato qualche invito da distribuire in giro e dopo qualche altra chiacchiera su corsi e professori, le due ragazze si incamminano verso la loro aula insieme a Noa, lasciandomi sola a vagare verso la mia aula.
In corridoio, mentre sto cercando il cellulare nella borsa per chiamare Andrew, quasi vado a sbattere contro un tizio che sta camminando in direzione opposta alla mia.
“Kite?” esclamo sorpresa riconoscendolo un attimo dopo averlo evitato. “Non eri con tuo padre?”
“Oh hey! Ciao Lucy!” esclama lui fermandosi con una faccia sconvolta e arrossendo. “Ora ho lezione e quindi sono scappato dal panificio…ed eccomi qui!”
Accenna a una risatina imbarazzata e si passa una mano tra i capelli nervosamente.
“Hai lasciato da solo tuo padre in mezzo ai clienti affamati insomma!” scherzo io mollandogli una lieve pacca sulla spalla e strappandogli un sorriso.
“Eh già! Se non fosse per mia madre vivrei là dentro in mezzo alle baguette e, ora che stiamo aprendo un reparto di pasticceria, anche tra le torte!”
Sorrido di rimando e gli porgo uno dei biglietti per la festa di Halloween. In fondo è un bravo ragazzo ed è anche carino: Julie e Cassie lo approveranno.
“Alcune studentesse di Giurisprudenza organizzano una festa” spiego “se non lavori, sei ufficialmente invitato!”
Kite mi fissa sorpreso con le guance nuovamente tinte di rosso, ma non si decide a prendere l’invito.
“Oh, ma…ma grazie! Sei sicura che mi volete? Insomma…”
“Ma certo!” esclamo ficcandogli il foglietto in mano “Più siamo meglio è!” dico poi ripetendo le parole di Julie.
“Bèh, allora…allora grazie!” balbetta il ragazzo in imbarazzo. Santo cielo, quanto timido può essere?
“Invita anche i tuoi amici!”dico poi mettendogli in mano altri due biglietti e incamminandomi di nuovo verso la mia classe.
“Devo scappare ora! Buona giornata Kite!” lo saluto mentre e lo guardo mentre agita la mano con i biglietti stretti in pugno.
“Ci vediamo…e grazie ancora!”

Arrivo con qualche minuto di anticipo e noto che Andrew non è ancora arrivato, così decido di chiamarlo visto che probabilmente si sarà addormentato nella sua grotta per l’inverno.
Prondo?” mi risponde una voce cavernosa.
“Buongiorno, raggio di sole! Come mai non sei a lezione?”
Raffreddode.” Spiega laconico Andrew dall’altra parte della cornetta.
“Oh no, ti perderai la Richards, immagino tu stia piangendo.”
Sento una risatina accompagnata subito dopo da uno starnuto e da un lamentoso mugolio.
Bi brendi gli abbundi vero?”
Sbuffo, come sempre il lavoro sporco tocca a me.
“Sì sì, ma mi devi un favore, piccolo moribondo. Ora vado, o la Richards se la prenderà anche con me!”
“Grazie, salutami la strega!”
Riattacco sbuffando ed entro in classe preparandomi a tre lunghe ore senza il mio compagno di banco preferito.

Grazie a Dio le ore sono passate in fretta, ma la mia pancia inizia a proclamare il suo pranzo. Fuori dai grandi finestroni una pioggerellina fina sta cadendo coprendo di grigio il mio umore e i prati del campus, mestamente decido di andarmene in caffetteria a pranzare portandomi dietro gli appunti da sistemare per la prossima lezione.
Il locale è piuttosto affollato da molti studenti, ma ciò non impedisce di starsene tranquilli, i tavolini infatti sono disposti in modo da creare angoli appartati dove starsene indisturbati a leggere, chiacchierare davanti a un caffè o smangiucchiando un muffin; insomma è una specie di biblioteca, ma rumorosa e profumata di caffè.
Saluto un gruppetto di persone che conosco a un tavolo, ma declino l’offerta di sedermi con loro perché devo concentrarmi e finire di leggere una pila di fotocopie sull’arte moderna che mi hanno affibbiato, così mi siedo su una morbida poltroncina a un tavolino rotondo in un angolo in disparte, vicino a una piccola finestra...perfetto!
Mentre organizzo i miei quaderni sul tavolo, si avvicina Janis, l’affascinante cameriera che inevitabilmente cattura tutti gli sguardi dei ragazzi presenti. Signori e Signore, Janis tutta curve.
“Cosa ti porto?” chiede senza badare alla trasformazione di un tavolino in una scrivania di biblioteca, ma ormai è abituata agli studenti che sfruttano la pausa pranzo per ripassare.
“Un cappuccino grazie!”
“Arrivo subito.”
Mi appoggio allo schienale soddisfatta della mia postazione e del tepore accogliente della sala e inizio a sfogliare il plico di fotocopie, ma poi penso che forse è il caso di rileggermi gli ultimi appunti per capirci qualcosa in più.
All’improvviso un leggero colpetto sulla testa mi fa voltare, ma non faccio in tempo a farlo, che la poltroncina di fronte a me viene occupata da qualcuno.
Oh no, non posso crederci. E’ assurdo.
Resto lì con la bocca semiaperta dallo sconcerto mentre Daniel Baker mi guarda tutto sorridente appendendo alla sedia la sua tracolla e arrotolandosi le maniche del maglione fino ai gomiti.
“Hai già ordinato?” chiede come nulla fosse, osservandomi tranquillamente.
Non riesco a far altro che fissarlo con espressione oltraggiata ed esasperata… perché a me?
Appoggio la fronte sul tavolo accasciandomi sul quaderno e scuotendo la testa, mentre il mio parassita ignora bellamente la mia disperazione.
“Cosa ci fai qui?!” sibilo tirandomi su e fissandolo, sperando di sembrare abbastanza capace di commettere un omicidio.
“Prendo un caffè con te.” Risponde semplicemente prendendo il menù e sfogliandolo senza molta attenzione.
Ha i capelli scuri in disordine e bagnati dalla pioggia, ma ciò non sembra importare né a lui, né alle tre ragazze del tavolo accanto al nostro che hanno allungato il collo così tanto per guardarlo che stanno per evolversi in giraffe.
“No, ascolta, tu non hai capito niente. Io devo studiare ok? Lo scherzo è bello finché dura poco e…”
“Janis!” chiama lui abbassando il menù e rivolgendosi alla cameriera, senza degnare di uno sguardo la mia faccia scocciata.
“Dan! Dimmi tesoro, cosa ti porto?” cinguetta Janis scuotendo i riccioli biondi avvicinandosi di corsa al nostro -mio! MIO!- tavolo.
“Un caffè, grazie.” Dice lui mentre lei ammicca e fa addirittura un occhiolino prima di tornare al bancone sculettando. Santo cielo, potrebbe rendersi un po’ meno ridicola?
“Cosa studi?”
Torno a guardare Daniel Baker che sbircia i miei appunti sparpagliati sul tavolo e solleva uno dei fogli tentando di leggerlo.
“Non sono affari tuoi!” sbotto strappandoglielo di mano senza però riuscire a cancellare la sua espressione curiosa e divertita. Sembra di stare con un bambino di quattro anni che tocca tutto ciò che hai intorno, povera me!
Dov’è Andrew quando serve? A letto con l’influenza.
“Tu mi stai disturbando e io devo studiare, ti diverti proprio a rompere?”
“Abbastanza, sì.” Risponde lui inarcando le sopracciglia con aria sicura di sè e appoggiandosi il mento sulle mani restando poi in silenzio con il suo sorrisino canzonatorio.
“Quindi non riuscirò a liberarmi di te, giusto?” sospiro sconsolata ottenendo in risposta un cenno indefinito che conferma quello che ho detto.
Che problemi ha questo tizio?
Mi guardo intorno disperata, ma ormai tutti i tavolini sono occupati e noto che parecchia gente, soprattutto ragazze, sta guardando verso la nostra direzione incuriosita dalla presenza di Daniel Baker, che a quanto pare, non mi sbagliavo a definire popolare.
“Ok, beviti il tuo caffè e poi vattene, però lasciami studiare.” Gli dico, poi estraggo il mio pacchetto del pranzo e lo appoggio in disparte “E lasciami anche mangiare.”
“D’accordo!” esclama lui divertito beccandosi subito un mio ‘Shhht!’ che sembra farlo esaltare ancora di più.
Ma per lo meno sta zitto.
Inizio a sfogliare le pagine del quaderno sentendo il suo sguardo fisso su di me, ma decisa a non alzare lo sguardo neanche di un millimetro: forse è come i cagnolini che dopo un po’ se li ignori se ne vanno in cerca di qualcun altro che dia loro un croccantino.
“Ecco il caffè!” uggiola Janis a voce altissima porgendo la tazza al mio compagno di tavolo e costringendomi ad interrompere la mia lettura.
“Grazie Jan!” ringrazia lui prendendo il caffè e lanciandole un’occhiatina che definirei sexy se non fosse lui a farla.
Janis ridacchia sbattendo le ciglia ed inizia ad allontanarsi gongolando delle attenzioni di Baker.
“E il mio cappuccino?!” le grido dietro io accigliata.
“Arriva!” mi urla lei in modo sgarbato. Ok, la caffetteria forse non è più uno dei miei posti preferiti.

Per l’ennesima volta abbasso lo sguardo sui libri ma la presenza di quest’individuo più irritante di una zanzara riesce a infastidirmi parecchio e così ci rinuncio e alzo lo sguardo proprio mentre quel tesoro di cameriera mi sbatte davanti la mia tazza rischiando di rovesciare tutto sui miei preziosi appunti.
“Che professionalità…” borbotto io girando il cucchiaino e versando lo zucchero.
Sento che Daniel Baker sta ridacchiando e gli lancio un’occhiataccia irritata che mi permette di scrutarlo meglio: ha un accenno di barba non fatta, il solito discreto cerotto sulla fronte e, a quanto si direbbe dalle ombre scure che ha sotto gli occhi, non ha dormito molto stanotte.
“Sei un vampiro?” chiedo inclinando la testa diffidente e consapevole di avergli offerto un’occasione di parlare.
“Sei un’artista?” chiede lui imitando il mio tono di voce e indicando i fogli.
“Sì, studio arte.” Rispondo io sulla difensiva osservandolo a occhi socchiusi, pronta a picchiarlo in caso di battutine o sorrisetti insopportabili.
“Arte eh? Mi sono sempre chiesto come sia possibile studiare arte.” Ok, sto per partire all’attacco, sono armata di una tazza molto pesante piena di cappuccino bollente.
“E’ possibilissimo. E poi parla uno che studia Economia, puah! Come puoi trovarla interessante?”
Non ho bisogno di fingere il disgusto che la sola parola mi causa: matematica, grafici, calcoli…orrore!
Daniel Baker solleva le spalle e poi si appoggia allo schienale della poltrona fissando il caffè nella sua tazza sovrappensiero.
“Bèh, l’arte è così soggettiva e ambigua… La matematica no, la matematica è esatta, precisa, ha le sue leggi e si muove su binari sicuri. I numeri sono oggettivi, i numeri non ti deludono.” Conclude infine alzando lo sguardo su di me e mi sorprendo nel vedere che è quasi serio. Incredibile.
“E i numeri mi dicono che ora so qualcosa in più su di te, uno a zero per me!” esclama subito dopo tornando a sghignazzare. Incredibile, appunto.
Sbuffo lasciandolo gongolare e torno alle cose serie: il mio pranzo.
Metto da parte il cappuccino a raffreddarsi un po’ e mi lancio sul sacchetto del panificio, ma non riesco a trattenermi.
“L’arte non è ambigua! L’arte è arte perché è…”
Ma mi interrompo perché ho trovato subito l’intruso stavolta. Estraggo dal sacchetto un biscottino molto simile a quello di ieri, a forma di cuore, ma stavolta sulla glassa rosa è disegnata un’inconfondibile lettera elle in corsivo, proprio al centro.
Ommioddio.
Rimango lì a guardare il dolcetto mentre il mio compagno di tavolo mi guarda incuriosito.
“Heilà? Ti si sono scaricate le pile?”
Alzo lo sguardo su di lui e gli mostro il biscotto rendendomi conto che non ha molto senso quando lui inarca un sopracciglio, guardandomi senza capire.
“Ed ecco un raro caso di biscottofobia, i sintomi sono: mutismo, sguardo vacuo e terrore per i dolci!”
“Taci.”

"Riporta anche segni di acidità e rifiuto di uscire con il sottoscritto..."
Decido di ignorarlo bellamente e scruto la pastafrolla incriminata:
non capisco, chi infila biscotti nel mio sacchetto? Potrebbe essere un altro errore, una coincidenza. Insomma, probabilmente il mio ordine è stato scambiato.
Ma la elle? Possibile che sia la elle di Lucy?
Mi salta alla mente il viso rosso come un peperone di Kite, i grandi occhi azzurri che si abbassano ogni volta che gli rivolgo la parola e il suo essere così impacciato…ma no, non può e non deve essere Kite, non voglio! Ci dev’essere un errore. Punto.
Raccatto la mia roba e mi alzo, voglio tornare a casa da Noa e chiederle il suo parere su questa storia dei biscotti perché inizio a inquietarmi: uno stalker è già abbastanza, non mi serve anche un ammiratore segreto.
“Mi privi di già della tua compagnia?” piagnucola la piaga umana ancora seduto al tavolo.
“Sì, e con piacere! Goditi pure anche il mio cappuccino.” Dico io lasciando sul tavolo i soldi per Janis.
“Ci vediamo Callaway! Attendo con ansia il tuo comizio sull’arte.”
Gli rispondo con un’occhiataccia mentre apro la porta e me ne torno fuori alla pioggerellina fredda di questa stupida giornata.






Dadadan! Il mistero dei biscottini si fa sempre più inquietante! Hahaha, povera Lucy, tra ammiratori segreti e Daniel Baker alle calcagna, ormai non trova più pace e consolazione nemmeno nel cibo!
Cosa succederà nel prossimo capitolo? Chissà chissà chissà!
Fatemi sapere come vi sembra,
un bacio,

Ireth

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***




The Bakery






 

Capitolo IV


Dadan, ecco un nuovo capitolo! Non so cosa dire se non...buona lettura, spero vi piaccia e che mi perdoniate per aver pubblicato dopo un bel po' :)
Ci vediamo in fondo al capitolo!





“Insomma anche oggi hai trovato il biscottino incriminato.”
“Già!”
Sospiro mostrando a Noa il pasticcino a forma di cuore che anche oggi-per la quarta volta!- mi sono trovata nel sacchettino del pranzo, mentre Andrew lo fissa famelico ricordandomi un cane bavoso in attesa del cibo: potrebbe accucciarsi sotto il tavolo, porgermi la zampa uggiolando e sarebbe perfetto!
Ci siamo riuniti tutti e tre al calduccio nell’appartamento mio e di Noa per bere una tazza di tè, studiare un po’ e fare il punto della situazione sul mio nuovo ammiratore segreto; fortunatamente il riscaldamento lo paghiamo a quota fissa perché oggi fuori fa veramente freddo e Noa  ha deciso di alzarlo fino a creare un clima semitropicale. Mi arrotolo le maniche della maglia mentre guardo la mia coinquilina immersa in un pesante maglione che mi scruta a sua volta pensierosa.
“Wow, è già il quarto giorno di biscotti romantici! O quel tizio ha proprio perso la testa o…”
“Oppure ti vuole grassa come una balena!” esclama risoluto Andrew interrompendo la mia coinquilina e sgranocchiando un biscotto al cioccolato.
“Non preoccuparti Andrew, rimarrai sempre tu la balenottera più invidiata del campus.” Dico io pizzicandogli il fianco mentre lui smette all’improvviso di masticare lanciandomi un’occhiata ferita e scandalizzata.
“Comunque” riprende Noa senza badare a noi “sai benissimo qual è la mia opinione su questo personaggio losco dei biscotti, è palese! E’ ovvio che…oddio, manda giù quel biscotto ‘Drew!”
“Ma mi ha dato del ciccione!” bofonchia il mio amico facocero che, a bocca piena, mi continuava a guardare con aria truce.
Noa sospira mentre io scompiglio i capelli a Andrew che mi schiaffeggia la mano senza riuscire a trattenere un sorrisetto.
“Comunque Noa, io non so…non è detto che sia per forza Kite!” ragiono io bevendo poi un sorso del mio tè caldo.
Già, Noa ha subito pensato a lui quando le ho raccontato dei dolcetti a forma di cuore e sta tentando di convincere anche me, ma nonostante i suoi ragionamenti non facciano una piega, continuo a cercare un’alternativa: Kite è troppo timido, troppo imbranato, ci conosciamo troppo poco e poi potrebbe sempre essere un errore di consegna!
“Kite lavora lì, suo padre è il proprietario e quindi potrà fare un po’ quel che gli pare, in più diventa rosso come un peperone non appena gli rivolgi la parola! Le prove sono tutte a favore dell’accusa. Caso chiuso.”conclude assertiva la mia amica annuendo soddisfatta.
“Ma senti un po’ la nostra Perry Mason! Quanto si sente superiore a noi piccoli artisti!” esclama Andrew facendoci scoppiare a ridere.
“Hey Moby Dick, perché non prendi un po’ in giro anche la nostra mangia uomini qui?” scherza Noa facendo un cenno con la testa verso la mia direzione. “Tra messaggi d’amore culinari e stalkers, sembra proprio che si stia dando da fare!”
Sbuffo scuotendo la testa e accasciandomi sul tavolo: come dimenticare il mio scocciatore numero uno? Daniel Baker.
“Non lo sopporto più quello sbruffone!” sbotto inzuppando un biscotto nel tè con violenza e rovesciandolo un po’ ovunque “Ieri l’ho trovato in biblioteca e mi ha rotto finché non gli ho quasi troncato un dito chiudendoci sopra l’enciclopedia!”
“Bèh, dopotutto vuole solo invitarti ad uscire…mica ti mangia!” dice tranquillo Andrew beccandosi una mia occhiata omicida.
“Parla il mago degli appuntamenti! Hai rifiutato di uscire con Emily venerdì scorso!” lo zittisco io puntandogli il dito indice con aria minacciosa.
“Ma sembra un orco! Ha i baffi! E lei si che probabilmente poteva mangiarmi.”
“E comunque quel Baker non mi piace!” esclamo io ignorando il grido disgustato di Andrew “E’ così tronfio e sicuro di sé e sicuramente sarà un riccone capriccioso abituato ad avere tutto. Puah!”
“Beh, questo non lo so, però non puoi certo negare che sia un gran bel tipo.” Sento dire Noa che sorride con un’ insolita aria maliziosa e lo sguardo perso davanti a sè.
“Noa, per favore! Può anche essere…hmm, accettabile quanto vuole, ma con persone come lui non voglio averci a che fare.” Affermo decisa mentre Noa alza le mani in segno di resa.
“Va bene, va bene! E comunque io l’ho già visto, sono sicura. Devo averlo conosciuto in qualche posto in passato…ma dove?”
La guardo mentre sbatte pensierosa le lunghe ciglia dei grandi occhi scuri, ma Andrew, al solito, interrompe le sue riflessioni.
“Sarà stata la tua scimmietta da compagnia in una vita precedente, chi lo sa! Tanto Lucy non esce con quel tizio nemmeno se nella sua vita passata fosse stato Johnny Deppe! Sai, alla nostra piccina piacciono i letterati dall’aria attempata!”
“Oddio, il professor Fielding!” strillo saltando in piedi: ho un appuntamento con lui! Cioè, ok, non un appuntamento appuntamento, ovvio! Un appuntamento di lavoro, cioè di…insomma un colloquio, santo cielo!
“Guarda come il pensiero della sua pelata le scatena subito ardenti bollori!” esclama Andrew teatralmente usando la sua migliore voce suadente e facendo sghignazzare Noa.
“Ma no, stupido! Sono convocata nel suo ufficio tra dieci minuti e devo scappare!” spiego con voce alterata dall’agitazione mentre mi tolgo i calzettoni di lana che uso per stare in casa: hanno delle renne ricamate sopra e sono caldissimi, morbidi e…ok, lancia via questi bellissimi calzini e preparati a uscire, Lucy!
“Fai la brava con nonno Bobby Fielding!” mi saluta Andrew mentre schizzo fuori di casa e quasi mi becco una broncopolmonite multipla per il contrasto tra la sauna che c’è in casa e il Polo Nord che mi attende fuori.

Mi stringo nel cappotto e mi avvio verso gli uffici dei professori e, attraversando la zona delle abitazioni studentesche a passo svelto, noto distrattamente che qualcuno ha già messo fuori dalla finestra delle zucche illuminate che mi fissano con il loro sguardo di candela tremolante.
Dovremmo intagliarne una anche noi presto, a casa lo facevo sempre insieme alla mia famiglia, ma da due anni le mie feste le passo a undici ore da dove sono i miei genitori –Natale e Ringraziamento a parte ovviamente!-, ma non mi dispiace più di tanto: anche io e Noa abbiamo i nostri piccoli rituali e bei momenti nella nostra casetta.
Miracolosamente arrivo all’ufficio di Fielding in orario perfetto e riesco a bussare nonostante le mie mani completamente congelate dal freddo che ormai hanno perso ogni sensibilità.
“Avanti!”
Ah, salve voce sexy e profonda!
Entro nella stanza chiedendo educatamente permesso e mi trovo davanti il professore seduto alla scrivania che mi accoglie con un sorriso alzando gli occhi da un foglio che stava leggendo e togliendosi gli occhiali.
Non è certo la prima volta che entro in quest’ufficio dato che Fielding è il coordinatore del mio corso, nonché la persona a cui mi rivolgo per qualsiasi dubbio universitario, ma mette sempre un po’ soggezione quest’ambiente di strana intimità.
“Prego signorina Callaway, prego!” mi invita affabile indicandomi con un cenno la sedia di fronte a lui.
Mentre prendo posto lo sguardo mi sfugge sulla parete davanti a me dove, vicino alle due lauree appese al muro sta in bella vista una bella foto della famiglia Fielding al completo: il mio professore sorride felice abbracciando una delle sue tre bambine e sua moglie, una donna riccia bionda e fortunata, direi.
“Dunque” comincia il prof riportando la mia attenzione su di lui “visto che mi ha chiesto come ottenere crediti liberi extra, volevo proporle un po’ di cose.”
Annuisco interessata concentrandomi e sentendomi un po’ meno infreddolita, grazie al tepore della stanza e al potere magico delle corde vocali di Bobby…Oh Dio, Andrew mi sta danneggiando il cervello con le sue battute.
“Bèh stavo pensando a un progetto interessante: si tratterebbe di organizzare delle lezioni facoltative di approfondimento alle matricole del primo anno di un corso di studi completamente diverso. Per esempio lezioni di matematica per studenti di letteratura, o, nel Suo caso, di arte per studenti di medicina. Servirebbe per dare una cultura più ampia anche a coloro che hanno scelto un corso specifico, che ne pensa?”
“Mi piace come idea.” Annuisco convinta, non è male come progetto.
“Quindi posso contare su di Lei?” chiede lui intrecciando le dita delle mani e appoggiandosi allo schienale della poltroncina.
“Certo professore!” esclamo io consapevole che non avrei potuto rifiutargli nulla.
“Ottimo!”
“Ma come faccio a organizzare tutto da sola? Mi darà qualche materiale o…”comincio poi riflettendo sulla difficoltà della cosa.
“Oh no, non si preoccupi, non sarà sola! Ho deciso di dividervi in piccoli gruppetti in modo che possiate lavorare meglio e, dato che sapevo che avrebbe detto di sì…” mi sorride facendomi arrossire un tantino “…l’ho già inserita in gruppo con un altro studente del dipartimento di Arte, il signor…”
Lo guardo mentre digita qualcosa sul suo computer mentre scorre probabilmente una lista di nomi.
“…il signor Kite Jones!”
Oh no, aspetta cosa?! Se Fielding alzasse lo sguardo probabilmente vedrebbe la mia espressione incredula, fortunatamente non lo fa perché ho l’impressione di avere una faccia tutt’altro che entusiasta e questo sicuramente non mi varrebbe crediti extra…ma tra tutti perché proprio Kite? Devo essere proprio in coppia con il Sospettato Numero Uno?
“Studia Architettura, dovrebbe essere del secondo anno come Lei…” continua il mio docente preferito ignaro della notizia bomba che aveva appena sganciato su Lucytown.
“Sì, lo conosco.”
“Splendido!” esclama lui fregandosi le manone tutto contento mentre io sospiro rassegnata, dopotutto non dovrà essere per forza imbarazzante, non abbiamo ancora abbastanza prove per condannare Kite, e Noa dovrebbe smetterla di farmi sembrare la mia vita un enorme tribunale!

Dopo qualche altro chiarimento sul progetto e convenevoli vari, saluto Fielding e lascio a malincuore il tepore del suo ufficio per gettarmi nuovamente nel freddo frizzante della sera che mi punzecchia il naso e le guance.
Mentre mi incammino, imbacuccandomi più che posso nella sciarpa, un gruppetto di persone in mezzo alla strada che sto percorrendo mi costringe a spiaccicarmi contro uno di loro per riuscire a passare-maledizione spostati! -, ma proprio in quel momento il genio che mi ostacola il passaggio decide di accennare un passo all’indietro riuscendo contemporaneamente a: pestarmi un piede, tirarmi una gomitata sulla spalla, farmi sbilanciare e farmi aggrappare alla giacca di uno dei suoi compari per non schiantarmi per terra. Grazie.
“Hei, sta attenta!” esclama il responsabile voltandosi di scatto verso di me e rivelando alla luce dei lampioni un viso dai contorni aguzzi con penetranti occhi azzurri e capelli a spazzola biondo chiaro che purtroppo riconosco: Zackary Nicholas Van Cordtlandt, rampollo della ricca famiglia altolocata che da generazioni infesta il mio povero college di ragazzini viziati, con la puzza sotto il naso promossi sempre con ottimi voti grazie a fior fior di quattrini che Van Cortlandt Senior gentilmente eroga all’università, meritandosi un’ala della biblioteca a suo nome.
Zackary ovviamente non è da meno ai suoi predecessori: è ricco da far schifo, arrogante come pochi, iperpopolare e pieno di ragazze pronte a lanciarsi tra le sue braccia coperte da giacche Armani.
Potrei dire che è una specie di Daniel Baker potenziato negativamente, ma visto che per lo meno lui non mi stressa l’anima stalkerizzandomi come una zecca, lo posizionerò un gradino sopra Baker nella classifica di sopportabilità.
La mia presenza e la voce stizzita dell'ereditiere attirano lo sguardo delle altre quattro persone su di me, che sono ancora appesa alla giacca dello sfortunato tizio a cui mi sono ancorata.
“Scusami, è che…”  inizio ritrovando l’equilibrio, ma venendo subito interrotta da qualcun altro.
“Ma guarda un po’ chi mi cade addosso: Callaway!”
Ok, voglio morire.
Alzo lo sguardo sul mio appiglio umano e mi trovo davanti il sorrisetto più insopportabile degli ultimi giorni.
“Oh Gesù!” riesco ad sospirare mollando la presa dalla giacca di Daniel Baker e alzando gli occhi al cielo.
Non avevo dubbi. Doveva per forza essere amico di gente del genere.
“Zack, perdona la mia amica, è un’artista, sai? Sempre con la testa tra le nuvole” spiega il mio aguzzino con tono canzonatorio mentre sorride mellifluo a Van Cortlandt che mi squadra da capo a piedi senza particolare interesse insieme al resto del gruppetto: una ragazza dai lunghi capelli rossi perfettamente tenuti in ordine da un cerchietto dorato e un’espressione di sufficienza dipinta sul volto pallido, un tizio bruno ed estremamente magro dall’aria annoiata ed un ragazzo piuttosto alto dai capelli imbrillantinati che mi fissa incuriosito.
Non mi serve nemmeno chiedere i loro nomi perché sono già sicura che mi troverei davanti una sfilza di “duca”, “viscontessa” e “figlio di…”.
“Ah, la conosci?” chiede Zackary indicandomi e trovando conferma nel cenno di assenso dell’amico. “Bèh, allora invita anche lei.”
Alzo lo sguardo confusa su Daniel che mi sta guardando con gli occhi dal colore trasfigurato dalla luce aranciata dei lampioni che illuminano la strada: sembrano gialli, non più verdi, come quelli di un gatto.
“Stavo giusto pensando di farlo.” Dice lentamente ammiccando nella mia direzione e passandomi un braccio attorno alle spalle, che mi attira nel calore del suo cappotto blu.
Che diamine fa? Devo scappare da questo manipolo di lord esaltati.
Mi scrollo di dosso Baker e lui non cerca di trattenere né me, né la sua espressione divertita dalla mia faccia indignata. Maledizione a lui.
“Devo andare.” Sbotto sgarbata senza curarmi della rossa che scuote i suoi bei boccoli borbottando qualcosa nell’orecchio del tizio alto.
Sì sì, bisbiglia quanto vuoi! Spero che il cerchietto ti atrofizzi la testa.
“Ci privi già della tua compagnia, Callaway?” domanda Daniel Baker in tono falsamente dispiaciuto.
“Sì, è stato proprio un vero piacere.” Li congedo io con il tono più sarcastico che riesco a trovare e voltando le spalle ai Club Giacca Firmata.
Il mio passo svelto tradisce il fatto che non vedo l’ora di tornare a casa e scappare più lontano possibile da lì, ma evidentemente il mio parassita non coglie il messaggio subliminale che la mia andatura suggerisce, dato che mi ritrovo la sua mano sulla spalla dopo qualche passo.
“Non vuoi sapere nemmeno di cosa si tratta?” mi chiede non appena mi volto con espressione omicida “Magari è una proposta allettante stavolta.” Continua poi facendomi un occhiolino.
“Allettante è una parola difficile da abbinare alle tue proposte.” Rispondo io incrociando le braccia e guardandolo infilarsi le mani nelle tasche del cappotto.
“Zack organizza una festa di Halloween e Lei, Miss Callaway, è ufficialmente invitata da me a parteciparvi. Si ritenga fortunata, perché sarà un evento esclusivo.”
Accenna un piccolo inchino piegandosi un po’ sulle ginocchia e offrendomi poi il braccio, come se dovesse portarmi a un ballo in quel momento esatto.
Potrei ridere della sua espressione esilarante se non fossi esasperata, così opto per una scrollata di spalle.
“Tu hai dei seri problemi e io non ci vengo.” non mi resta che dire ignorando la sua posa da damerino e riprendendo a camminare, ma anche stavolta non riesco a fare più di qualche passo.
Non capisco nemmeno bene cosa stia succedendo: una presa alle spalle e una mezza piroetta involontaria mi fanno trovare a pochi centimetri dal viso di Daniel Baker che mi tiene stretta.
Per un attimo non riesco a far altro che deglutire: mi ha colta di sorpresa e mi sento a disagio così vicina e intrappolata addosso a qualcuno che vorrei vedere a chilometri di distanza da me normalmente.
Mi sento improvvisamente strana e quasi spaventata, non mi aspettavo quest’improvviso contatto fisico forzato, arrossirei se non ci avesse già pensato il freddo a imporporarmi le guance per bene.

“E dai Lucy, accetta stavolta.” Dice a bassa voce riempiendo i pochi centimetri di lontananza tra le nostre della sua voce che improvvisamente mi sembra calda e seducente, quasi quanto quella del professor Fielding.
Siamo talmente appiccicati che la mia mente non può far a meno di registrare ed elencare in pochi secondi  tutto quello che la scarsa luce evidenzia nel volto di Daniel Baker:  la bocca perfetta schiusa in un sorriso altrettanto privo di difetti che va a incidere una fossetta sulla guancia sinistra, le piccolissime lentiggini sul naso bello e dritto, e poi ci sono i grandi occhi splendenti incorniciati da ciglia scure e lunghissime, che farebbero invidia a qualsiasi ragazza, offuscati però da un’ ombra scura, che avevo già notato più volte.
Ha sempre quest’aria stanca, probabilmente passa le notti a pensare a come pedinarmi.
Ci guardiamo e io resto zitta per un po’, riprendendomi dalla  sorpresa.
Chissà se il gruppetto dei rampolli ci sta guardando, probabilmente avrebbero la strana sensazione di vedere me e Daniel Baker in una sorta di posa che sembra preannunciare un balletto: una mano del ragazzo, infatti, tiene la mia per il polso e l’altra è posata sulla mia schiena.
“Hai intenzione di improvvisare un Walzer, o puoi lasciarmi andare? Credimi, non sono una grande ballerina.” Dico infine io combattendo la sua voce sexy -sì, gli concedo di avere una bella voce, per stavolta!- con il sarcasmo.
“Bèh, se mi prometti di ballare con me alla festa di Zack, ti eviterò il ballo all’aperto stasera.” Risponde lui senza fare una piega, ma lasciandomi andare finalmente.
“Bèh, mi spiace ma io alla festa non verrò. Sono già impegnata e comunque non accetterei lo stesso.” Preciso affrettandomi ad allontanarmi un po’ da Daniel.
“E non provare mai più a prendermi alle spalle! Non si fa!” esclamo subito dopo, improvvisamente scandalizzata-vi rendete conto? Mi ha quasi aggredita! Potrei denunciarlo!- puntandogli un dito in faccia come facevo sempre con il mio cane quando era un cucciolo combina guai.
Ma il cucciolo combina guai in questione non se ne va in cuccia con la coda tra le zampe, ma resta imperturbabile a fissarmi.
“Mi costringi a insistere.”
“Mi costringi a tirarti un pugno.”
E mentre mi incammino finalmente verso casa, non mi pare una cattivissima idea.

“Allora, com’è andata?” chiede Noa mentre mi chiudo la porta di casa alle spalle.
“Bobby Fielding ti ha fatta divertire?” la segue a ruota Andrew, seduto sbracato sul divano e incantato davanti alla tv.
“No.” borbotto io appendendo giacca e sciarpa all’attaccapanni.
“Non te la prendere, probabilmente aveva finito le pillole della felicità, sai, alla sua età…”
“Andrew!”
Fingendomi sconvolta corro in salotto e mi lancio sul mio amico spiaccicandogli la faccia sul cuscino con tutta la forza che ho mentre lui nemmeno tenta di difendersi e ride allegramente del mio peso piuma.
“Allora, che ha detto Fielding?” domanda Noa con aria seria e annoiata appoggiata allo stipite della porta a braccia incrociate.
Faccio per risponderle ma vengo catapultata dall’altra parte del divano dalla potenza delle braccia di Andrew che si vendica sdraiandosi sulle mie gambe e tenendomi bloccata.
“Mollami, maledetto ciccione, obeso, flaccido…” strillo io invano mentre Noa sbuffa insofferente e se ne torna in cucina.
“Ma che ha Noa?” chiedo confusa al mio molestatore.
“Ha chiamato sua madre prima…” mi risponde Andrew a voce bassa rendendomi più comprensibile il cattivo umore della mia coinquilina “…ha lasciato tre messaggi in segreteria.”
Annuisco e lancio un’occhiata alla cucina, dove Noa sta pulendo il tavolo con una spugnetta così energicamente che probabilmente prenderà fuoco.
“Non vuole proprio darle una chance eh?”
Andrew scuote il capo e mi lascia libera.
“Non credo, magari è questione di tempo, ma per sedimentare certi ricordi e riappacificarsi ce ne vuole molto.” Dice mettendosi seduto e tornando a guardare il televisore.
Per qualche minuto restiamo in silenzio lasciando che la sigla d’apertura di uno show e il raschiare della spugnetta in cucina siano gli unici rumori della casa.
Mi piacerebbe davvero aiutare Noa a ristabilire un rapporto con sua madre perché vedo che soffre molto, ma non so come fare, è sempre difficile capire le dinamiche di certi rapporti, sono cose delicate.
“Ma seriamente, come mai ci hai messo tanto da Fielding? Se stata via quasi due ore!” mi chiede Andrew dopo un po’ mentre anche Noa ci raggiunge sul divano con aria cupa.
Mi volto verso i miei due amici e sorrido con aria stanca.
“E’ stata una serata particolarmente…interessante.”
E mentre lo show inizia, Kite inforna il pane e Daniel Baker probabilmente progetta piani per torturarmi facendosi venire le occhiaie, io comincio a raccontare delle mie disavventure protetta dal tepore dei miei migliori amici.





Ed ecco che le cose si complicano sempre di più!
Un gruppo di studio con il sospetto ammiratore e due feste di Halloween lo stesso giorno. Per non parlare di Baker e i suoi amichetti esclusivi!
Povera Lucy! Le sto facendo passare un brutto periodo :)
Bè, alla prossima, fatemi sapere cosa ne pensate e grazie a tutte coloro che hanno recensito! Un grazie anche a chi ha inserito la storia tra le seguite, grazie davvero :) Se avete qualche consiglio, una recensione è sempre ben accetta <3


Bacione,
Ireth

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


The Bakery



Capitolo V



Ecco qui il quinto capitolo! (wow, di già?)E' un po' più lungo degli altri, ma non spero non vi annoierete troppo a leggerlo, perchè è uno dei miei preferiti :)
Un grazie a tutte le lettrici che mi sostengono, è grazie a voi se continuo a scrivere!




C’è freddo anche oggi, nonostante questo bel sole pulito l’aria è ancora inumidita della pioggia che ha continuato a tamburellare sul tetto per tutta la notte accompagnando i miei sogni con il suo ritmo tranquillizzante: mi piace la pioggia notturna, è come se lavasse via tutto ed è per questo che oggi mi sento così di buon umore.
Mi strofino il naso con le dita per scongelarmelo mentre accelero il passo correndo un po’ più veloce per le strade deserte delle sei e mezza di mattina intorno al campus. Intanto il buon vecchio Freddy nelle orecchie mi da la carica dal mio i-pod.
La giornata sta iniziando bene!
Giunta alla fine del viale supero un anziano signore con dei buffi occhiali da sole e svolto l’angolo mentre con la coda dell’occhio percepisco qualcuno che mi si affianca procedendo nella mia stessa direzione.
E’ forse il nonnetto con occhiali alternativi? Hm, quasi.
“Baker.” Lo accolgo con tono annoiato e per nulla sorpreso senza nemmeno voltarmi a guardarlo.
La mia reazione
indifferente è dovuta al fatto che in quest’ultima settimana ho imparato a sopportare la compagnia indesiderata del mio scocciatore personale che ogni giorno sbuca da qualche angolo per assillarmi con le sue proposte, le sue battutine e provocazioni, puntualmente ignorate, smontate e demolite dal mio ‘cuore di pietra’, come lo definisce Andrew prendendomi in giro.
“Buongiorno Callaway!” esclama lui, e scommetto che ha sulla faccia il suo solito sorrisino da prendere a pugni.
“Sai, stavi per investire un vecchietto mentre svoltavi l’angolo, sei pericolosa e…”
Mi volto a fissarlo con espressione neutrale e per tutta risposta alzo al massimo il volume della musica mentre lui continua la sua conversazione sicuramente interessantissima.
Ah così sì che va bene, Daniel Baker! Muto come un pesciolino rosso che sproloquia nella sua boccia silenziosa …potrebbe essere anche un pesce abbastanza carino così, senza l’audio attaccato, con gli occhi verdi puntati avanti, l’espressione soddisfatta e le guance un po’ arrossate dalla corsa.
Continuo a correre e lui continua a parlare al vuoto: mi viene un po’ da ridere perché probabilmente sta dando il meglio di sé nel suo dialogo inutile. Poverino.
Devo ammettere che ho scoperto con mia grande sorpresa che Daniel Baker, quando non ha il chiodo fisso di stressarmi -cioè raramente-, è capace di conversazioni quasi piacevoli, forse perché ha sempre quella nota provocatoria che mi stimola a lambiccarmi il cervello per avere la meglio su di lui, o forse perché ogni tanto ha delle uscite talmente spiazzanti che non posso far altro che ridere delle sue trovate.
Un attimo, non sto dicendo che sia simpatico o divertente, proprio no! Si chiama ancora Daniel Baker, ha ancora quel sorriso fastidioso e il suo atteggiamento da viziato arrogantello che mi fa venire tanta voglia di tirargli un bel calcio negli zebedei, dico solo che se proprio devo sopportare la sua presenza, tanto vale trovarne il lato positivo, no?
Rallento un po’ il passo, così intenta a ignorare Baker da non accorgermi che lui se n’è reso conto e sta allungando una mano verso il mio orecchio destro.
Under Pressure dei Queen.” Dice lui tranquillo togliendomi una cuffietta con mio disappunto e continuando a corricchiare al mi fianco “Se non altro non mi hai ascoltato per una buona ragione.”
Sostengo lo sguardo con la sua stessa aria di sfida mentre il suo ghigno ‘sto per dire qualcosa che esaspererà Lucy Callaway, ma credo di essere irresistibile’ appare sul suo viso, pronto a infastidirmi.
“E poi” dice “ho deciso di seguire il proverbio che recita: chi tace acconsente, e tu hai appena acconsentito ad accettare l’invito per Halloween, se non erro.”
“Erri.”
Scatto in avanti gustandomi il mio momento di gloria, lasciando indietro il mio inseguitore per qualche metro che però viene recuperato in pochi secondi: purtroppo le gambe di Daniel Baker, nonostante non sia poi uno spilungone, sono circa il doppio delle mie: sono una specie di gnomo da giardino a confronto.
“Vuoi dire che mi sono alzato così presto per sentirmi rifiutato un’altra volta?” domanda aprendo le braccia con fare esasperato, ma senza nemmeno una traccia di delusione nella voce scherzosa di chi non sta parlando sul serio.
“Perché non sei rimasto a letto infatti? Sai Daniel, ti farebbe bene una dormita in più, hai certe occhiaie da malato in convalescenza…”
“Alle ragazze piacciono i tenebrosi.” Commenta lui, facendo spallucce, per niente scalfito dalle mie parole e continuando a seguirmi imperterrito.
“Si, come no.”
“Vedrai che mi darai ragione anche tu prima o poi…perché ti sei fermata?”
Sì, mi sono fermata e lo sto guardando con le braccia incrociate e un tantino di fiatone e una domanda che mi frulla nella mente da un bel pezzo: perché?
“Perché ci tieni così tanto a uscire con me, Daniel? Perché me?” comincio con enfasi, ma un po’ ansante “Voglio dire, ieri hai speso quasi sette dollari per offrirmi un caffè e…”
“Un cappuccino extra, aromatizzato alla vaniglia!” mi corregge il mio interlocutore, puntiglioso e irritante più che mai.
“Sì sì, quello che era…il fatto è che…”
“Era buono però!”
Lo guardo a metà tra l’incredulo e lo scocciato: mi sta sconcentrando con il suo sorrisone soddisfatto e le sue osservazioni inutili.
“Sì Daniel, era buono, ma non è questo il punto!”
“Allora sono stati soldi ben spesi.” Esclama lui contento, ignorando i miei tentativi di conversazione sensata e chiarificatrice.
La tentazione di rimettermi le cuffiette e alzare il volume.
Perché questo tizio deve sempre spiazzarmi così?E perché tutti cercano di corrompermi con il cibo? Non è che se sono alta un tappo e mezzo il mio cuore è così vicino allo stomaco che basta conquistarne uno per arrivare all’altro. Non funziona così, belli miei.
“Ora devo andare a lezione, Lucy. Ci vediamo alla festa di Halloween!”
Occhiolino irritante, pizzicotto su una guancia-pizzicotto su una guancia?!Giù le mani dalla mia faccia, Baker!-e non faccio in tempo a controbattere che se n’è già andato trotterellando.
Scuoto la testa e torno alla mia corsa, pensando che non mi ha nemmeno dato una risposta.
Mannaggia a te, Baker.


“Giuro Lucy, non posso affrontare l’esame con lei. Non posso!”
Ecco a voi un Andrew disperato alle undici della mattina, mentre cammina insieme a me per i corridoi dopo aver appena finito una lezione in cui ci sono state annunciate alcune date per gli esami.
“La Richards mi odia, mi minaccerà con le sue braccia flaccide e mi stritolerà!” piagnucola nuovamente il mio gigante buono facendomi alzare gli occhi al cielo.
“Eddai, ha solo anticipato l’esame di qualche settimana, l’avresti dovuto fare comunque più avanti.” Sbuffo io guardando l’orologio: devo passare da casa prima della prossima lezione, ho dimenticato un paio di libri.
“Magari faceva in tempo a schiattare! …O andare in pensione.” Si corregge Andrew dopo una mia occhiataccia scandalizzata.
“Secondo me ci devi solamente parlare, avete avuto una piccola divergenza, parlale e chiarirete.” Ripeto io per l’ennesima volta, come se Andrew non sappia già cosa ne penso sul suo rapporto con la professoressa Richards: entrambi si sono convinti che uno odi l’altra e così non si sopportano.
“Sei impazzita? Io con la vecchia non ci parlo!”
A un tratto mi rendo conto che stiamo passando vicino gli uffici dei professori ed ecco, all’improvviso, che mi viene l’ideona.
La targhetta d’ottone con su scritto elegantemente
'Miss Johanna Richards' è lì appiccicata alla porta socchiusa e non posso resistere: con una mossa repentina, mi ci butto dentro senza preavviso trascinandomi dietro un ignaro Andrew, che non fa in tempo a reagire.
“Non si usa più bussare?” chiede acida la nostra professoressa dalla scrivania esibendo una smorfia di disgusto in risposta a quella sconvolta di Andrew.
La signorina Richards è piuttosto bruttina: sui sessant'anni, piccoli occhietti neri nascosti da grandi occhiali rettangolari, capelli grigio topo e una vocetta irritante. Un amoruccio.
“Scusi professoressa, è stata colpa mia” spiego io cortesemente “Ma il signor Sullivan ha un urgente bisogno di parlarLe.”
Lancio un’occhiata malefica a Andrew che mi fissa in stato di shock totale.
Probabilmente mi sta odiando, ma so un giorno mi ringrazierà.
Speriamo!
“Devo andare! Arrivederci Miss Richards!” mi congedo io volteggiando fuori con una mezza piroetta e chiudendo la porta e sperando per il meglio.
O si picchieranno, Andrew verrà espulso, arrestato e diventerà un detenuto molto grosso e molto tatuato, o sistemeranno le cose e tutto andrà bene.
Soddisfatta proseguo per la mia strada, ma non faccio in tempo a godermi la mia solitudine appena conquistata, che appare dal nulla Kite Jones, che mi si avvicina timidamente.
“Hey Lucy, allora oggi ci troviamo in biblioteca per il progetto?”
Oh cavoli, l’avevo dimenticato.
Io e Kite stiamo lavorando al progetto per i crediti extra di Fielding già da un po’ e non sta andando tanto male, ho evitato di pensare alla faccenda dei pasticcini, ho cercato di non creare momenti imbarazzanti –ardua impresa con Kite!- ed è filato tutto liscio, nonostante Noa mi suggerisca ogni volta di approfittarne e organizzare un interrogatorio, ma non credo gioverebbe al bene dello studio.
“Oh sì, giusto, ma devo passare da casa a prendere tutti i miei fogli dell’altra volta, quindi facciamo un po’ più tardi del solito? Va bene per le quattro?”
“Benissimo!” sorride lui passandosi una mano tra i capelli chiari e ricordandomi che anche stamattina ho mangiato un delizioso muffin dedicato a me direttamente dal panificio Jones. Ok, non pensarci!
“Allora a dopo!” lo saluto io galoppando via prima che mi venga voglia di fare qualche domanda scomoda che creerebbe scompiglio nel povero cuore del mio compagno di studio che si crede il top degli ammiratori segreti e impossibili da sgamare.
“A dopo!” esclama entusiasta lui salutandomi da lontano mentre il pensiero di dover rimandare tutti i miei programmi di ripasso del pomeriggio a un’altra volta mi abbatte un tantino.

Il mio umore però migliora verso le tre.
Sono a casa da sola, appisolata sul divano, in attesa di dover uscire per recarmi in biblioteca da Kite, quando squilla il mio cellulare: è Andrew, spero non mi stia chiamando dal carcere.
“Com’è andata?”
“Credo di averti odiata più di Emily il troll” risponde la voce del mio amico facendomi subito pensare al peggio “ma ora sono pronto a sposarti!”
Tiro un sospiro di sollievo mentre Andrew si esibisce in strani gridolini di gioia non ben definiti.
“Ci siamo parlati, chiariti e spiegati ed ora siamo come pane e burro!”
“Mmm metafore volanti oggi…hai preso una botta in testa, o sei solo felice?” ridacchio io tutta contenta.
“No bè, ho solo fame. La vecchia mi ha tenuto dentro un sacco di tempo, ha detto che devo essere meno sfacciato, ma che lei ha esagerato con me prendendomi di mira così e ha apprezzato il mio gesto di parlarle con sincerità! Lucy, sei un genio e ti amo!”
“Vedi che ho sempre ragione?”
“E’ vero, ti eleggo ufficialmente ‘Aggiusta-Relazioni dell’Anno!’” esclama il mio amico baldanzoso.
“Sono onorata!”
Finalmente non dovrò più subirmi le lamentele di Andrew sulla Richards e i richiami ingiusti della professoressa ogni dieci minuti.
“E fai bene! Ora vado a prendermi un panino perché sto morendo di fame, a dopo, mia salvatrice!”
Riattacco vittoriosa con l’unico rimpianto che non avrò un minaccioso amico galeotto da vantare tra le mie conoscenze e torno al divano, ma i telefoni hanno deciso di togliermi la misera pausa dai libri che mi sto prendendo oggi.
“Pronto?” rispondo al cordless di casa con tono un po’ scocciato.
“Pronto, sei Lucy? C’è Noa?” pigola una voce tremolante che ho imparato a conoscere molto bene.
“Salve signora Haimi, Noa non è in casa, mi dispiace.” Recito io a memoria, sicura che la madre di Noa non si aspettasse altra risposta.
“Oh capisco.” Mormora e sono quasi sicura di percepire un singhiozzo soffocato.
Ha una vocina sottile e, per come la immagino, dev’essere una donna minuta dall’aria triste, forse con gli stessi occhi allungati della mia amica.
“La farò richiamare, d’accordo?”
La mia interlocutrice rimane in silenzio per parecchio tempo e mi chiedo se non sia il caso di riattaccare, quando la vocina torna, spezzata da un pianto disperato.
“Dille che…che mi dispiace! I-io voglio solo vedere la mia bambina…e non so nemmeno dove sia…ho solo qu-questo numero e non…io vorrei vederla per Natale, ecco…è passato tanto tempo…”
Torna il silenzio, intervallato dal rantolio del respiro della signora Haimi che cerca di darsi un contegno e che mi intenerisce a tal punto da sentirmi quasi arrabbiata con Noa, che ha voluto tagliare i ponti così.
Dopotutto è sua madre e sta soffrendo molto, forse una chance andrebbe data, forse basterebbe che parlassero e chiarissero, come Andrew e la Richards. E poi ha detto che le dispiace.
Indugio qualche secondo poi mormoro l’indirizzo del college, provocando un attacco di pianto isterico misto a ringraziamenti da parte della mamma della mia coinquilina.
Quando riattacco, dopo essermi fatta promettere di aspettare una chiamata di Noa, non so se sentirmi in colpa o fiera del mio gesto, non avrei dovuto impicciarmi, ma Andrew non mi ha appena eletta ‘Aggiusta-Relazioni dell’Anno’? Funzionerà, ne sono sicura. Devono solo incontrarsi e risolvere i loro problemi.
Appena Noa tornerà a casa stasera, le spiegherò com’è andata e sono certa che riuscirò a convincerla che è la cosa giusta.
 

“Scusa il ritardo, Kite!” dico a bassa voce accomodandomi sulla sedia di un tavolo già occupato dal mio compagno di studi nella biblioteca dell’Università.
Kite mi sorride scrollando le spalle per tranquillizzarmi.
“Sono appena arrivato anch’io, non preoccuparti!”
Comincio a tirare fuori dalla borsa libri e fogli vari, mentre sento lo sguardo del ragazzo seguire ogni mio movimento da dietro a un foglio che finge di leggere.
“Bèh, come sta il signor Jones?Come va in panificio?” domando io per interrompere il silenzio e il suo impegno nel nascondersi dietro una fotocopia.
“Bene, c’è molto lavoro da fare, ma per fortuna durante il ponte di Halloween chiudiamo…”
Giusto, ad Halloween si sospenderanno le lezioni per cinque giorni e ci si potrà rilassare un po’.
“E come va il reparto pasticceria?” insinuo poi fissandolo dritto negli occhi per individuare un qualsiasi segnale che mi riveli la sua colpevolezza.
E’ vero, non dovrei farlo e, come ho già detto, non voglio confessioni da parte di Kite proprio quando dobbiamo impegnarci per studiare insieme e far contento Fielding, ma è più forte di me e la voce di Noa dentro la mia testa che mi sta incitando ad afferrare una bajour e puntargliela in faccia, non aiuta.
“Bè va…hem bene!” balbetta Kite arrossendo improvvisamente e passandosi una mano nel ciuffo biondo “Dobbiamo ancora perfezionare un po’ la cosa e organizzare bene tutto, eh…”
“Hmmhmm…”  Annuisco io socchiudendo gli occhi e sentendomi una specie di detective.
Prove a favore dell’accusa: rossore sulle guance e sguardo che piroetta di qua e di là nervosamente.
Non faccio in tempo ad indagare maggiormente, che la porta della biblioteca –un pesante portone che cigola in modo indecente- si apre facendo voltare lo sguardo di tutti verso i nuovi arrivati.
E’ una cosa che succede sempre: qualcuno entra in biblioteca cercando di non disturbare e quei cardini cigolanti, attirano sul malcapitato l’attenzione di tutti i presenti.
Anch’io mi volto distrattamente per lanciare un’occhiata veloce, ma purtroppo i miei occhi si impigliano nella visione peggiore che in quel momento poteva capitare: Daniel Baker, sta entrando e lanciando saluti a destra e a sinistra accompagnato dalla ragazza rossa e boccolosa che avevo già visto la sera in cui ero inciampata nel gruppo degli snob che gli cammina di fianco annoiata.
Purtroppo non riesco a lanciarmi tra i miei fogli in tempo e devo subire anch’io il cenno di saluto di Daniel accompagnato da un sorrisetto semi-malizioso che non promette nulla di buono.
Rispondo bruscamente al saluto e torno a voltarmi verso Kite, che però quasi mi spaventa: ha gli occhi socchiusi, le guance arrossate e un’espressione piuttosto minacciosa che non gli ho mai visto prima, scruta un punto oltre la mia spalla con un odio mal celato che si riversa proprio su Daniel Baker e la sua bella accompagnatrice, ora seduti a un tavolo vicino all’ingresso.
“Tutto…tutto ok?” domando saltellando con lo sguardo dalla faccia torva di Kite a quella ignara di Daniel.
“Sì, sì. Tutto a posto.” Borbotta lui staccando a fatica gli occhi da quel punto e tornando piano piano di un colorito normale. “Iniziamo?”

Lavoriamo assiduamente per ore e, anche se il mio compagno di studi è ormai tornato il solito Kite imbranato e pronto ad arrossire a ogni mio sguardo, non oso chiedergli più nulla sulla pasticceria, né tanto meno sul perché di quegli istinti omicidi contro Daniel Baker.
Lo osservo di sottecchi mentre scrive qualcosa tutto concentrato: sembra pacifico e innocuo con quegli occhioni blu circondati da lunghe ciglia bionde e quel colorito rosato che gli sfuma la pelle chiara nella zona guance.
Dopo qualche secondo Kite si riscuote dal suo lavoro per guardare nervosamente l’orologio che ha cominciato a emettere un beep fastidioso che blocca subito premendo un tasto.
“Lucy, mi spiace ma devo scappare in panificio…Hem, continuiamo la prossima volta?” mi chiede titubante e dispiaciuto.
“Ma certo Kite, non preoccuparti! Vai pure, continuo io qui.”
Mi sorride grato e, dopo aver messo via i libri ed aver indossato la giacca, mi saluta e se ne esce dalla biblioteca a passo svelto.

Mi abbandono sullo schienale della sedia stiracchiandomi e guardandomi intorno: la biblioteca è piena di bisbiglii e fruscii di pagine, odore di carte e del legno che ricopre le pareti e il pavimento di parquet, indugio sui libri ben ordinati negli scaffali che separano in vari spazi la sala e poi ne approfitto per lanciare uno sguardo alla coppia Baker-Boccoli Rossi che sembra non troppo impegnata nello studio: i due stanno parlottando tra loro sottovoce e osservo come la smorfiosa ridacchia civettuola a qualcosa che Daniel ha detto.
Sbuffo disgustata e comincio a scribacchiare uno schema della mia parte del lavoro, ma la mancanza di caffeina nel mio sangue-anche perché ormai sta cominciando a essere tardi!- mi impedisce di concentrarmi sul progetto e mi costringe ad alzarmi per andare alla macchinetta del caffè che, malauguratamente è vicina al tavolo del duo matematico.
Mentre mi avvicino Daniel mi lancia uno sguardo incuriosito e un sorriso di approvazione che mi infastidisce: non sono qui per te, stupido, ma per il mio grande e vero amore aromatico e caldo.
Accenno nuovamente a un saluto rude e scontroso per poi dare loro le spalle e digitare il codice per il caffè.
“Hey Callaway, io e Alice stavamo parlando della festa di sabato…”
Mi volto e scopro Daniel Baker dondolare con la sedia per sporgersi nella mia direzione appoggiato allo schienale con un braccio. Non ha più nessun cerotto sulla fronte, noto, ma solo una minuscola cicatrice quasi invisibile.
“Ti ho già detto che sarò a un’altra festa quel giorno.”ripeto per l’ennesima volta a voce bassa, mentre la rossa Alice estrae uno specchietto e si controlla i capelli, già perfetti. Io sono piuttosto fiera dei miei lunghi e luminosi capelli castani, sono una delle poche cose di cui sono soddisfatta nel mio aspetto, ma devo ammettere che i boccoli di questa ragazza sono favolosi: morbidi e splendenti, effetto di chissà quante maschere di bellezza e sedute dal parrucchiere alla settimana.
Ma in realtà, chi se ne importa.
Mentre la osservo, lei improvvisamente prende parola, senza nemmeno staccare gli occhi dal suo riflesso.
“Non troverai mai una festa migliore di questa, cara.” Dice con tono annoiato e monotono per poi alzarsi e guardare prima me, ancora sconvolta dal ‘cara’ –ha davvero detto ‘cara’?! La strozzo.- e poi Daniel.
“Io me ne vado, ho l’estetista.” Spiega, senza cambiare voce o l’espressione piatta che le si tatuata perennemente sulla faccia. Comincio a pensare sia un robot.
“Ci vediamo dopo!” conclude, chinandosi su Daniel per scoccargli un bacio sulla guancia senza molto entusiasmo. La cosa mi irrita, potrebbe per lo meno dimostrare un po’ più di affetto verso un suo amico, diamine! Oppure evita di baciarlo e vattene semplicemente.
Daniel sorride e la saluta a sua volta mentre il biip della macchinetta mi avvisa che il caffè è pronto.
“Allora, che ne dici? Alice ha ragione, sarà una festa pazzesca. E poi…ci sono io!”
Si esibisce in un sorrisone a trentadue denti spostando la sedia accanto alla sua e indicandomela con la testa.
Accetto il suo invito prendendo posto con il mio caffè, se c’è una cosa che ho imparato su di lui è che arrendersi alla sua compagnia è l’unica opzione possibile se non voglio che mi assilli ancora di più.
“Che state facendo qui?” domando dando un’occhiata ai fogli sparpagliati sul tavolino e cambiando argomento.
“Una magnifica lezione di economia per i pivelli di Letteratura.” Spiega Daniel senza scomporsi alla mia smorfia di disgusto.
“Poveretti!”esclamo, seriamente dispiaciuta per quegli sfortunati studenti che dovranno subire una lezione noiosissima, piena di termini incomprensibili e soprattutto tenuta dal Prof. Baker in persona.
“Ragazzi, la biblioteca chiude tra un quarto d’ora.”
Quasi rovescio il caffè sui quaderni per colpa della voce del bibliotecario che mi è appena comparso alle spalle bisbigliando in modo inquietante al mio orecchio.
“Ok grazie, tra poco ce ne andiamo.” Risponde cortesemente Daniel Baker mentre io sono ancora atterrita dalla presenza silenziosa di quell’uomo barbuto dal passo felpato.
“Credi davvero che la matematica sia così orribile?” chiede poi, tornando a rivolgersi a me, come se non avessi appena rischiato un infarto.
“Eccome se lo credo! L’economia poi, è ancora peggio.”
“E perché mai?”
Mi volto a guardarlo inarcando un sopracciglio, preparati a perdere Daniel Baker, perché non mi convincerai mai della bellezza dell’Economia.
“Perché è una scienza fredda e inutile, i numeri sono senza cuore, senza fascino e senza un briciolo di umanità. Io sono più per il romanticismo. L’arte è romantica, l’arte è bella.”
Ding ding ding! Lucy Callaway ha vinto la conversazione!
Bevo un sorso di caffè per celebrare la mia vittoria –Dissimula l’ustione di terzo grado con indifferenza, Lucy!- e guardo il mio interlocutore tacere con lo sguardo perso in una riflessione che non rivela alcuna emozione sul suo volto.
“Prendi la tua roba e vieni con me.” Dice dopo qualche secondo, portando la sua attenzione nuovamente su di me e alzandosi.
“Cosa?”
“Raccogli le tue cose e seguimi. Ti dimostrerò che hai torto sulla matematica.”

Resto a guardarlo scettica, mentre lui ricambia con sguardo fermo e tranquillo e le sopracciglia inarcate in una convincente esortazione.
Per un attimo penso che dovrei tornare a casa e andare avanti con il progetto, ma devo ammettere che sono curiosa di sapere cos’ha in mente per dimostrare l’impossibile: io odio la matematica dalla seconda elementare, non cambierò mai idea, Baker.
“D’accordo.” Mi trovo a dire, accettando la sfida e provocando un sorrisetto vittorioso con fossetta sulla guancia annessa sul suo viso.
Torno al mio tavolo e afferro cappotto e tracolla per poi tornare da Daniel che mi aspetta tutto contento con la sua borsa in spalla, pronto ad andare…dove?
“Vieni.” Mi invita poi incamminandosi verso una porta che conduce alle altre zone della biblioteca e alla videoteca.
I corridoi sono bui, dato che probabilmente il bibliotecario Passo Felpato ha già spento la maggior parte delle luci in preparazione alla chiusura, in più dalle finestre trapela solamente un bagliore bluastro proveniente dal giardino fuori.
Daniel cammina sicuro e mi guida attraverso varie stanze e scale che non ho mai percorso, non essendo una frequentatrice assidua di questo posto, io lo seguo senza chiedergli dove stiamo andando per non dargli la soddisfazione della mia curiosità.
Arriviamo davanti a una porta che sembra ben chiusa a chiave su cui hanno apposto un grosso cartello con su scritto ‘divieto d’accesso per lavori in corso’ in rosso.
Fantastico, mi ha portato in un cantiere!
Lancio un’occhiata interrogativa alla mia guida che mi rassicura con un ghigno furbo e si fruga nella tasca per estrarne una chiave che inserisce senza esitazioni nella serratura.
“Come fai ad avere la chiave?” sussurro io, senza sapere perché stia tenendo la voce bassa, forse perché sembra tutto così losco e proibito.
“Zackary.” Dice semplicemente, senza lasciarmi tempo per altre domande e girando la maniglia per farmi entrare in una stanza completamente buia e silenziosa.
Non vedo assolutamente nulla, l’unica cosa che riesco a sentire è quell’odore di cemento e plastica che si sente nelle case appena costruite e un forte eco non appena la porta viene richiusa dal mio accompagnatore con un tonfo rimbombante.
Alle mie spalle il cappotto di Daniel Baker fruscia al contatto con la stoffa del mio.
“Oh eccoti, sei qui.” Lo sento dire mentre la luce del cellulare gli illumina improvvisamente la faccia di una luce azzurrina e un poco inquietante.
Sembra una testa fluttuante dentro un acquario.
Per un attimo realizzo di essere chiusa in una stanza al buio con un tizio che ora ha la faccia blu e che mi stalkerizza da settimane: non male come inizio di un crimine a base di stupro, cadavere nascosto in biblioteca e indagini della scientifica.
“Hem Daniel, dove siamo?” chiedo con voce leggermente tremolante dopo aver deglutito un paio di volte.
“Aspetta, siediti qui…”
Lo sento tirarmi per un braccio e posizionarmi da qualche parte, mentre io rischio di incespicare senza sapere dove sto mettendo i piedi.
Mi abbasso per cercare il pavimento e sedermi come ha chiesto Daniel, non so nemmeno perché lo stia facendo, ma decido di fidarmi e appoggiarmi sulla superficie di cemento ruvido e polveroso che sento tastando con le mani.
Nel frattempo sento Daniel muoversi in un punto indefinito alle mie spalle: sembra che stia armeggiando con qualcosa, ma non riesco a vedere nient’altro che la lucina azzurrognola del cellulare che illumina un muro grigio e grezzo quanto il pavimento su cui mi sto congelando le chiappe.
“Oh ecco! Ci siamo!” sento esclamare, ma non riesco nemmeno ad aprir bocca per chiedere delucidazioni che sulla mia testa si illumina l’universo.
No, non mi ha tirato una mazza in testa, sono morta e sto vivendo un’esperienza ultraterrena.
Sono davvero apparsi pianeti, stelle e costellazioni proprio sul tetto, in un esplosione di luce blu trapuntata di minuscoli brillanti luccicanti, piccoli, grandi, colorati che sembrano fluttuare su di me come in una notte incredibilmente limpida nello spazio.
“Ti piace?” mi domanda la voce di Daniel direttamente all’altezza della mia spalla: è lì seduto anche lui e mi guarda raggiante in attesa di una mia reazione.
“Non sapevo ci fosse un planetarium qui…” mormoro io guardandomi intorno: la stanza illuminata mi rivela uno spazio vuoto e cementato cosparso di attrezzi da lavoro, tubi e secchi di vernice sparsi qua e là. Un vero cantiere sotto le stelle.
“Il padre di Zackary l’ha donato all’università.” Spiega, rendendomi tutto un po’ più chiaro.
“Gentile il signor Van Cortlandt. Ma poteva pensare a un pavimento un po’ più confortevole.”
Il mio sedere si sta praticamente bucherellando con tutti quei rilievi spigolosi del cemento grezzo.
“Tra un mese sarà completato: devi immaginarti un bel parquet, delle poltroncine e dei faretti che ti permettono di non capottarti per terra come stavi per fare tu.”
Lo guardo indispettita mentre lui sghignazza.
“E come mai avevi le chiavi?”
“Bèh, Zack me le ha lasciate nel caso volessi intrattenere qualche ragazza, sai com’è!”
Lo guardo scandalizzata e pronta a prendere a ceffoni la smorfia maliziosa: ma allora è davvero uno stupratore seriale!
“Ovviamente – e purtroppo- non è il tuo caso, Callaway!” aggiunge mentre il sorriso gli si allarga ancora di più “Ma ti ho portata qui per farti capire che la matematica non è solo quello che credi tu. La matematica è anche questo, guarda: se non ci fosse un ordine, un equilibrio, una misura, non ci sarebbe nulla di tutto ciò. Un atomo in più e non ci saremmo nemmeno noi, un numero fuori posto e tutto precipiterebbe nel nulla. E poi, sai, gli antichi associavano ad ogni pianeta un’armonia ed il loro equilibrio era considerato musica. Senza la matematica non ci sarebbe nemmeno quella!”
Certo che lo so, era Pitagora e non era esattamente così, ma non mi va di controbattere: stavolta ha vinto lui.
Resto  per qualche minuto in silenzio, osservando il palpitare silenzioso dei pianeti, senza badare troppo al fatto che Daniel Baker mi ha decisamente battuto in questo round.
Ma non importa, le stelle sono tanto belle lassù, nonostante siano tanti piccoli neon.
“E poi non dire che tutto ciò non è decisamente romantico. Forse non quanto l’arte, ma…”
Sbuffo ruotando gli occhi sul mio interlocutore, che mi guarda a sua volta divertito.
“Perché non hai studiato astronomia?” chiedo appoggiandomi al pavimento con le mani e distendendo le gambe.
“Perché l’economia è sinonimo di lavoro sicuro e soldi.” Dice lui lo sguardo fisso sul soffitto.
“Non credo tu abbia poi così tanto bisogno di soldi.” Commento io ricordando tutti i capi firmati che gli ho visto addosso: non uno senza uno stemma famoso di qualche marca costosa.
Daniel alza le spalle con un’espressione strana e si sdraia sul pavimento con le braccia sotto la testa e le lunghe gambe un po’ piegate.
Lo imito anch’io rabbrividendo al contatto con quel pavimento scomodo, ma devo dire che ne vale la pena: la vista di quell’universo finto e bellissimo è stupenda.
A me è sempre piaciuto sdraiarmi sotto il cielo di notte, mi placa, mi rilassa: durante le sessioni d’esame più stressanti, mi apposto spesso in balcone con la testa in su a perdermi tra quei puntini bianchi e infiniti.
Anche da piccola aspettavo con ansia San Lorenzo per contare le stelle cadenti cercando di non perdere di vista nemmeno un angolino di cielo.
Restiamo lì zitti –ebbene sì, anche la piattola assillante sta rimanendo in silenzio superando ogni suo record in mia presenza!- per non so quanto e comincio a pensare che potrei addormentarmi e la situazione sarebbe tragica.
“Forse è meglio andare.” Dico alzandomi a sedere, seguita a ruota da Daniel. “Sarà tardi.”
Lui mi guarda, il viso percorso da costellazioni e nebulose sembra strano: più sfuggente e impalpabile del solito, sembra uno spettro blu.
“Stamattina” dice improvvisamente lui avvicinando il suo viso al mio senza preavviso e lasciandomi sconcertata:siamo di nuovo troppo vicini, come quella sera buia e fredda.
 “Stamattina mi chiedevi perché.” Riprende lui parlando lentamente e afferrando una ciocca dei miei capelli per arrotolarsela intorno a un dito. Che sta facendo?! E perché non riesco a muovermi? Perché la vicinanza inaspettata mi provoca mutismo e pietrificazione istantanea?
“Perché ci tenga tanto a uscire con te, perché te, perché sette dollari per un cappuccino extra aromatizzato alla vaniglia” Sorride tra sé e sé, gli occhi verdi trasfigurati dalle lune di Giove e dagli anelli di Saturno sopra di noi, il respiro lento che mi sfiora il mento.
“Bèh, perché mi piaci, Lucy Callaway, non lo avevi ancora capito? Mi sei piaciuta mentre ti lanciavi nella folla per fare l’eroina e mi sei piaciuta mentre volevi farmi un occhio nero nonostante ne avessi appena ottenuto uno tu, mi sei piaciuta tutta accigliata e contrariata.”
Daniel è sempre più vicino e il mio cuore più veloce: non so cosa pensare, ho la testa vuota, la mascella contratta, lo stomaco bollente e un brivido sul collo.
So cosa sta per succedere, non sono stupida -il suo naso ha appena sfiorato il mio naso, diamine!-, ma non riesco a trovare il pulsante giusto, nascosto in qualche angolo irraggiungibile del mio cervello bloccato, per muovermi ed evitare la cosa.
Ma la cosa si evita da sola.
Daniel se ne accorge un secondo prima di me, il suo sguardo si mette a fuoco e si volta di scatto mentre anch’io sento quello che ha sentito lui: un inequivocabile tentativo di aprire la porta e il tintinnio di un mazzo di chiavi.
In una frazione di secondo mi trovo in piedi, trascinata per un polso dalla presa salda di Daniel che comincia a correre verso la parete.
“Dai Lucy, corri!” mi intima spegnendo le luci e tirandomi verso la luce della porta d’emergenza, al lato opposto di quella che sta per essere aperta dal custode tra qualche istante.
L’adrenalina mi sta facendo esplodere il cuore e comincio a correre come una disperata incrociando le dita mentalmente. Non vederci, non vederci, non vederci!
Daniel si lancia sulla porta ad apertura anti panico e ci catapulta nell’aria gelida della sera, tra gli alberi del piccolo boschetto che si trova dietro la biblioteca.

Continuiamo a correre e correre fino al limite dello spazio alberato, finché non ci fermiamo vicino a una delle vie principali del campus, con il fiatone e il cuore a mille.
“Pensavo fossi più in forma, Callaway! Corri all’alba ogni giorno!” esclama lui con una mano sul fianco e la faccia tutta arrossata.
“Sì, ma di solito non lo faccio per sfuggire a custodi arrabbiati e probabilmente armati!” ansimo io cercando di prendere fiato e alzando lo sguardo su Daniel Baker che scoppia a ridere contagiandomi subito, sarà l’agitazione, ma non riesco proprio a contenere questa risata liberatoria e un tantino isterica.
“Pensi che ci abbia visto?” chiedo non appena mi torna un po’ di fiato nei polmoni.
“Nah, non credo. Siamo stati troppo veloci.”
“Bene.”
Me ne rimango un po’ zitta e controllo l’orologio…sono già le otto e io dovrei preparare la cena per me e Noa, lo avevo promesso.
“Bèh, io è meglio che vada!” dico infilandomi le mani nelle calde tasche del cappotto tenendo lo sguardo basso sulle mie scarpe.
“Sì, forse è meglio.” Sorride Baker tranquillo, osservandomi mentre mi incammino verso casa.
“E comunque ho ragione io sulla matematica, Callaway!” mi urla mentre sono già lontana, assicurandosi un mio bel dito medio che spero veda alla luce del lampione.
Sento che ride e io sorrido tra me e me mentre trotterello verso casa, sudata e intirizzita, pensando che ho davvero bisogno di una seduta tra amiche con la mia avvocatessa.
Perché quella quasi cosa che stava per succedere potrebbe essermi quasi piaciuta e questo non è proprio normale. Non è possibile e basta. Devo parlarne e liberarmi da questo assurdo pensiero.
Ho bisogno di Noa.

Ma, aprendo poco dopo la porta del mio appartamento, mi rendo conto che forse Noa non è molto d’accordo con me: è in salotto ed è furente. Mi guarda paonazza con le braccia incrociate e l'aria di chi sta per uccidere qualcuno. E quel qualcuno sono io, immagino,
Ops.



E dadan, finito anche questo capitolo! Spero vi sia piaciuto e che sarete pronte a darmi pareri, consigli, previsioni, insulti, biscotti, banane, cacciavite, eccetera... :)
Alla prossima,

Ireth


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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


The Bakery



Capitolo VI


Scusate l'attesa, ma ho avuto un po' di cose da fare e non riuscivo a pubblicare (: Spero questo capitolo vi piaccia, è un po' corto perchè ho spezzato un capitolo in due parti per riuscire a pubblicare prima.
Bè un bacione e buona lettura a tutte!





Ed eccoci qui, una di fronte all’altra: io con il mio bel sorriso paralizzato, aggrappata al cappotto che stavo per stendere e Noa furiosa, con in mano il cordless e livida in volto.
“Come ti sei permessa?” sibila dopo qualche minuto di silenziosa tensione, con una rabbia talmente forte che quasi mi sento colpita fisicamente.
Accenno un passo indietro e appoggio la giacca tentando di prendere tempo per trovare le parole giuste per scusarmi, ma soprattutto per maledire la signora Haimi che, a quanto pare, non ha affatto aspettato a chiamare Noa, come le avevo chiesto più volte.
“Che succede?” domando stupidamente, mentre mi accorgo che gli occhi color carbone della mia amica stanno pericolosamente lampeggiando infuocati.
“Lo sai benissimo.” Ringhia lei indicandomi bruscamente il telefono senza scollarmi lo sguardo incandescente di dosso. “Ha lasciato un messaggio in segreteria.”
Oh cavolo. Non so davvero da dove iniziare a spiegarmi e sono quasi tentata dal dire che non è poi niente di grave e che sta decisamente esagerando: ho semplicemente detto a sua madre -sua madre! Non uno stalker assassino!- dove abitiamo per cercare di farle riappacificare, ma non credo sia una buona mossa, non ho mai visto Noa così fuori di sé, meglio stare calme.
“Bèh...” inizio avanzando titubante di un passo verso una furibonda ragazza hawaiana che probabilmente cercherà di farmi a pezzi con un telefono in un futuro molto prossimo. “Mi è sembrata davvero triste e dispiaciuta, piangeva e così ho pensato che…”
“Hai pensato? Non credo proprio tu lo abbia fatto! Perché una stronzata del genere non puoi averla davvero pensata!”
Sobbalzo improvvisamente investita dall’urlo stridulo di Noa che comincia a farmi davvero paura: lei sempre così pacata, impettita e tranquilla, ora sembra come trasfigurata dal furore, stringe convulsamente le dita in un pugno e ha le guance accese di un rosso scarlatto.
Per un attimo ho una buffa visione splatter della mia coinquilina che esplode, con tanto di budella spiaccicate sulla tappezzeria, ma ricaccio indietro il pensiero per non essere io quella a finire sbudellata per la casa. Perché le cose ridicole mi vengono in mente nei momenti meno opportuni? Riprenditi, Lucy.
“Noa, ascolta, io volevo solamente…”
“Ha detto che verrà qui a Natale!” strilla forte lei senza lasciarmi finire le mie pietose scuse “Ti rendi conto? Ti rendi conto di quanto abbia fatto fatica a dimenticarmi addirittura la sua faccia? E ora per colpa tua lei verrà qui! Per colpa tua, stupida egoista! Tua e della tua incapacità di farti gli affari tuoi!”
La guardo prendere fiato mentre si toglie i capelli che le sono caduti disordinatamente sul viso arrossato e mi sento come se mi avesse tirato un calcio dritto in pancia: stupida egoista? L’ha detto davvero?
“Pensavo di fare una cosa giusta.” Riesco a dire sentendo la mia voce tremolare lievemente.
“Giusta? Da quando in qua tu fai cose giuste? Combini sempre stronzate e io sono stufa!”
Un pizzicorio fastidioso mi sale agli angoli degli occhi e all’improvviso mi ritrovo arrabbiata anch’io: non mi merito di essere trattata così per aver cercato di fare qualcosa di buono.
“L’egoista sei tu, Noa! E’ tua madre! Se tu fossi una persona adulta e matura, io non dovrei preoccuparmi di inventare una balla ogni volta che squilla il telefono! Sono io quella stufa di dover essere quella che bada ai tuoi rapporti, sono stufa di far finta di niente ogni volta che sento una donna piangere al telefono solo perché sua figlia è troppo stupida e orgogliosa per guardare in faccia la realtà!”
Mi rendo conto di aver alzato la voce anch’io quando Noa mi guarda stralunata boccheggiando, come se l’avessi appena picchiata.
Per qualche secondo il tempo resta in attesa che succeda qualcosa, ma noi restiamo ferme a fissarci cariche di odio e adrenalina in una stanza che sembra rimpicciolirsi su di noi per farci soffocare dai nostri stessi respiri arrabbiati.
Io non oso muovermi, la testa mi pulsa e ho il cervello sgombro da qualsiasi pensiero, sembra imbottito di ovatta e non riesco a fare nulla nemmeno quando Noa sbatte sul tavolo il telefono e mi supera in un turbine di capelli neri per uscire e sbattere la porta alle mie spalle.

Me ne resto paralizzata nello stesso punto per ancora qualche minuto, lo sguardo incantato su una venatura del parquet che mi ricorda vagamente la figura di un cavallo, senza riuscire a mettere insieme una calma accettabile per muovermi senza accanirmi su oggetti innocenti. Respira, Lucy, respira.
Il cavallo sul parquet diventa sempre più sfocato, finchè non mi trovo costretta a sbattere le palpebre e tornare alla realtà.
Mi dirigo a passo incerto verso la mia stanza e mi butto di peso sul letto, nascondendo la testa sotto il cuscino: sono stata un’idiota, è vero. Lo so, non dovevo dirle certe -nemmeno le penso!- cose e soprattutto non dovevo impicciarmi con sua madre, ma nemmeno lei doveva arrabbiarsi così, ferirmi così.
Sospiro abbracciando il piumone e accoccolandomi meglio sul materasso: aspetterò sveglia che torni e le dirò che mi dispiace. Ho sbagliato, lo ammetto.
Ma le coperte sono così soffici e io sono stanca, dopotutto sono anche dovuta scappare da un custode-bibliotecario inferocito dopo aver seguito Daniel Baker nei meandri della biblioteca e...no, non posso dormire.

Quando apro gli occhi ed è ancora tutto buio.
Credo sia stato un fruscio in fondo al letto a farmi svegliare: mi alzo a sedere e cerco di distinguere la figura che si profila nella penombra della mia stanza.
“Noa?” chiamo, sentendo la mia voce rimbombare nella mia testa mentre, ancora intontita socchiudo gli occhi per mettere a fuoco.
“Buonasera, signorina Callaway.”
La voce maschile mi fa sobbalzare: non è possibile.
“Daniel, oddio, cosa ci fai qui?” esclamo traumatizzata, osservandolo mentre il suo volto mi appare sempre più chiaramente nell’oscurità.
“Shht, sveglierai tutti!” mormora lui, improvvisamente al mio fianco, talmente vicino da farmi paura: sono pietrificata e non riesco a staccare lo sguardo dal sorriso imperturbabile sul volto di Daniel Baker.
“Chi ti ha fatto entrare? Sei impazzito?!”
Non riesco a capire se il mio cuore sta impazzendo di paura o di non so che altra strana sensazione vertiginosa.
Dovrei essere terrorizzata, il mio stalker si è intrufolato in camera mia di notte e io non sono sicura che mi dispiaccia. Non è normale.
Lui non risponde ma ride sommessamente e, senza che me ne renda conto, mi scavalca con una gamba per trovarsi esattamente sopra di me, che lo guardo shockata senza riuscire a muovere un dito, mentre lui avvicina la sua faccia alla mia.
Deglutisco sorprendendomi a sporgermi verso di lui e il suo respiro irrealmente freddo. Che diamine sto facendo? Perché sto tentando di baciarlo?
Ma lui si allontana un po’, guardandomi con un’aria strana e inquietante e allunga una mano verso la mia testa,accarezzandomi i capelli.
Io lo guardo spaventata e per un attimo non mi sembra nemmeno lui, ha gli occhi troppo chiari e i suoi lineamenti decisi ora sembrano confusi e nebbiosi. Ora sì che sono spaventata.
“Tranquilla, signorina Callaway, non fare la stupida egoista…” bisbiglia vicino al mio orecchio, facendomi rabbrividire e lasciandomi confusa: stupida egoista? E da quando mi chiama signorina Callaway?
Mi sento la testa pesante e incapace di fare alcunché, uno strattone ai capelli mi fa strillare: Daniel mi ha afferrato una ciocca e sta tirando e tirando…
“Mi fai male, idiota!”
Ma lui ride e continua a farmi male, e più lo guardo più mi sembra un altro, più vorrei scollarmelo di dosso, ma lui tira e tira e tira…

Apro gli occhi svegliandomi all’improvviso ansante e tremante. La sveglia segna le quattro e trentacinque.
Non c’è nessuno in camera e fa freddo: ho lasciato la finestra socchiusa e unno spiffero gelido mi colpisce direttamente in faccia. Era un sogno, solo un sogno, per fortuna.
Sono rintronata e confusa, cerco di rotolare su me stessa per alzarmi ma un dolore alla nuca mi impedisce di voltarmi facendomi rabbrividire dallo spavento: mi porto una mano alla testa e scopro che i miei capelli si sono impigliati in una vite un po’ sporgente sulla testiera del letto.
Tiro un sospiro di sollievo, districando il ciuffo incastrato e, finalmente libera, mi alzo per chiudere la finestra e per assicurarmi di essere davvero sveglia e non in uno strano sogno a cui non voglio nemmeno ripensare. Cavoli, cos’ho mangiato a pranzo per fare un sogno del genere?
Esco da camera mia per bere un po’ d’acqua in cucina e mi accorgo che Noa è di nuovo in casa: ci sono le sue chiavi sul bancone della cucina e la sua giacca su una sedia.
Ha chiuso la porta di camera sua a chiave, di solito non lo fa mai, a quanto pare non vuole rischiare che io le parli.
Sospiro e appoggio il bicchiere sul tavolo, poi torno in camera e punto la sveglia alle sei: voglio svegliarmi presto e preparare una bella colazione per la mia coinquilina, sperando che serva a qualcosa.
Ritorno a letto e fatico a riaddormentarmi, sono troppo preoccupata a cacciare dalla mente il maledetto sogno di poco fa per riuscire a rilassarmi.

Verso il tè nella tazza preferita di Noa e mi siedo a tavola guardandomi in giro soddisfatta: ho pulito tutto, riordinato il salotto, apparecchiato impeccabilmente la tavola riempiendola di tutti i biscotti che ho trovato in casa e preparato caffè, latte e tè caldo.
Sono in piedi da due ore e ho avuto anche il tempo di vestirmi, lavarmi e sistemare il bagno -cosa che fa sempre la mia coinquilina di solito- e ora non mi resta che aspettare che si svegli e mettere insieme tutto il mio impegno per farmi perdonare.
Non devo aspettare molto, sono passati solo cinque minuti da quando ho completato la mia opera, che Noa esce dalla sua stanza, vestita di tutto punto e già pronta a scappare a lezione.
Scatto in piedi senza sapere bene cosa fare, o cosa dire.
“Ciao.” Esclamo con voce un po’ troppo acuta mentre osservo di sottecchi la mia (ex?)amica sedersi a tavola senza nemmeno degnarmi di uno sguardo.
La osservo mettere un cucchiaino di zucchero nel tè e girarlo lentamente, il suo volto è impassibile, negli occhi scuri non c’è nessuna traccia della rabbia di ieri sera, ma se possibile, mi inquieta ancora di più quest’assenza di emozione.
Indugio ancora un po’ in piedi, poi opto per sedermi anch’io al lato opposto del tavolo, attendendo una sua qualche reazione, che però non arriva.
“Ho preparato la colazione.” Improvviso stupidamente io dopo qualche secondo di silenzio imbarazzante interrotto solo dal tintinnio del cucchiaio di Noa.
“Vedo.” Borbotta lei, rassicurandomi almeno sul fatto che non è improvvisamente diventata muta.
“Già.”
Prendo un bel respiro e mi schiarisco la voce, è ora di fare pace.
“Ascolta Noa, mi dispiace, non avrei dovuto…”
“No, non avresti dovuto.” Mi interrompe lei alzando gli occhi in uno sguardo penetrante che mi rivela nuovamente tutto l’odio che pensavo esaurito.
“Lo so, ho sbagliato, so come ti senti, ma…”
“Tu non hai idea di come mi senta! Tu non hai idea di quello che ho passato a causa sua!”
Ok, ha ricominciato a gridare. La guardo preoccupata mentre si alza dal tavolo bruscamente, rischiando di rovesciare la caffettiera.
“Tu sapevi benissimo che non dovevi farlo!Mi ero confidata con te, ma tu hai voluto immischiarti in cose che non ti riguardano!”
“Pensavo solo di fare la cosa giusta! Mi dispiace!” protesto io, alzandomi a mia volta e cercando di mantenere un tono di voce tranquillo, nonostante stia cominciando ad agitarmi anch’io.
“No invece, a te non dispiace affatto! A te importa solo di te stessa e, ora come ora, mi fai solo venire la nausea. Sei ancora peggio di lei.”
Le ultime parole tremanti di rabbia mi arrivano addosso pungenti come aghi di ghiaccio, stringo i denti e distolgo lo sguardo dalla ragazza furibonda che freme furiosa davanti a me e non riesco nemmeno a risponderle: ho un peso immenso sullo stomaco e voglio solo andarmene.
Sbatto la porta uscendo di casa, sono così infuriata e ferita, che mi sembra di andare a una velocità tripla rispetto al normale: ecco cosa si guadagna a mettere il naso nei rapporti delle altre persone: una velocità extra e tanta voglia di uccidere qualcuno.
Fuori sta piovigginando e mi infilo troppo bruscamente in testa il berretto di lana che tanto mi piace –quello obeso e caldo che uso d’inverno- e finisco con l’accecarmi per qualche secondo con il copricapo che mi è scivolato fino sopra gli occhi, destando probabilmente le risate degli studenti che mi stanno passando a fianco.
Me lo strappo via per poi rimettermelo senza sembrare una che si è persa giocando a mosca cieca e proseguo per la mia strada senz’arrestare la mia marcia furibonda. Non cercher mai più di fare qualcosa di buono. Mai più!
Mi accorgo di essere arrivata di fronte al panificio Jones e decido di entrarci in un impeto di furia contro il mondo, i campanellini sulla porta impazziscono annunciando il mio irruento arrivo che attira l’attenzione dei cinque clienti ai tavolini e di Kite al bancone.
“Heilà Lucy!” mi saluta il ragazzo sorridendo timidamente, come sempre. Dannazione anche a lui che ha deciso di complicarmi la vita con la sua mancanza di coraggio e i suoi pasticcini del cavolo!
Lo guardo per un attimo e devo avere un’espressione davvero spaventosa dato il suo sguardo che cambia dall’imbarazzato al preoccupato.
“Tu!” quasi urlo io raggiungendolo davanti al bancone e facendo voltare parecchie persone.
Non sto pensando a nulla, mi sento accecata dalla rabbia e so che mi pentirò di quello che sto per fare, ma il nervosismo che ho accumulato mi impedisce di essere ragionevole come al solito.
“Tu dovresti piantarla con i tuoi sotterfugi da bambino delle medie e tirare fuori gli attributi ok? Non ce la faccio più a stare dietro a tutti voi bambini! Per una volta, santo cielo, sii uomo e dimmelo in faccia quello che provi!” strillo guardandolo dritto negli occhi con furia omicida, mentre il suo sorriso si smorza fino a diventare una smorfia di panico.
Ok, forse ho esagerato un pochino, ma non mi importa. Mi volto ed esco senza aver preso nulla, lasciando Kite pallido e terrorizzato al bancone e il locale immerso in un silenzio impietrito.
Continuo a camminare a passo di marcia mentre il cuore quasi mi esplode, so che non avrei dovuto prendermela con quel poveretto, ma sono troppo su di giri per sentirmi in colpa, sono stufa. Stufa.
Tengo gli occhi bassi sui miei piedi che scattano veloci sulle stradine del campus, ma anche così riesco a percepire il mio consueto accompagnatore che si affianca a me all’entrata.
“Lucy!” Mi saluta allegro lui e io mi accorgo con piacere che deve faticare un minimo per starmi dietro.
“Daniel.” Rispondo io con voce piatta senza alzare lo sguardo e continuando per la mia strada. Non voglio guardarlo, né ripensare a ieri sera, né tantomeno al sogno di stanotte. Brr.
“Hey, cos’è? Hanno premuto il tuo tasto ‘avanti veloce’?”
“Mi va così.”borbotto seccamente. Non è giornata per fare battute, Daniel Baker. Non rispondo delle mie azioni, attento.
“D’accordo, d’accordo!” esclama lui e percepisco i suoi occhi verdi indagare sul mio volto alla ricerca di qualche risposta sul mio comportamento più scontroso del solito.
“Allora…” prosegue insolitamente cauto “…allora domani ti aspetto per questa benedetta festa di Halloween?”chiede scherzoso, consapevole anche lui che è ormai diventata una formula di rito, come un saluto personalizzato tra amici di cui si conosce già la risposta.
Mi fermo di scatto e lui quasi scivola sull’erba bagnata per bloccarsi accanto a me.
Incrocio le braccia sul petto e lo fisso dritto negli occhi, mentre lui inarca un sopracciglio incuriosito dalla mia spavalderia.
Ok, Daniel Baker, oggi non sono in me. Lucy Callaway oggi è stanca di fare quello che ci si aspetta.
“Sì, ci vengo.”dice la mia voce con enfasi, quasi ferocemente.
La mia mente è avvolta nella stessa nebbiolina di euforia e rabbia in cui si trovava poco fa mentre strillavo in faccia a Kite e prova un certo piacere nel vedere che è riuscita nel suo intento: Daniel Baker abbandona finalmente la sua solita espressione  rilassata e sicura di sé. L’ho spiazzato e non ne potrei essere più fiera.
La soddisfazione però dura poco, perché il suo perfetto sorriso torna subito a splendere sul suo bel viso.
“Ma bene.”dice senza scomporsi, come se non fosse la milionesima volta che mi invita a uscire.”Ti passo a prendere per le nove.”
“Bene!” esclamo con un tono più alto del solito: sembro un po’ un’invasata, ma che importa ormai? Il mio comportamento è completamente sciroccato stamattina.
“Allora ci vediamo venerdì, Lucy.” Conclude lui sorridendo, e quasi mi sembra di vedere un’ombra di sincera emozione nei suoi occhi, ma probabilmente mi sbaglio. “Ti conviene essere puntuale.”
“Daniel, non costringermi a pentirmene già adesso e lasciami in pace.”
Lo guardo ridacchiare mentre fa finta di chiudersi le labbra mimando con un’invisibile zip con le mani e alzando poi le braccia in segno di resa.
Lo guardo minacciosa mentre mi allontano da lui e vado verso le aule ancora carica di adrenalina, ma so che non durerà ancora molto: prima o poi mi pentirò di ogni cosa.


“Hai accettato di andare alla festa di Halloween di Baker? Ma non lo odiavi?”
Mi predo la testa tra le mani, sentendo lo sguardo sconcertato di Andrew su di me. Stiamo aspettando che la lezioni inizi e gli ho appena raccontato le mie mirabolanti gesta della mattina e la litigata con Noa.
Mi sento una cacca. Eccoti qui rimorso, è un piacere conoscerti!
“Sì, lo so, sono impazzita. Ma dopotutto che importa? Tanto Noa non mi vorrebbe nemmeno vedere alla festa delle sue amiche.”
“Dai, figurati, stai esagerando!” cerca di confortarmi il mio gigante buono con una pacca sulla spalla.
“Noa è fatta così, è un po’ testarda, ma vedrai che le passerà… certo, se fossi stato io al suo posto avrei ceduto al primo sguardo della colazione, ma, che ci vuoi fare? Non tutti sono sensibili alle scuse come me!”
Ridacchio mio malgrado e rivolgo uno sguardo grato a Andrew che mi sorride incoraggiante.
“Però alla festa con i ricconi riuniti ci dovrò andare!” sospiro dopo un secondo, sentendomi crollare il mondo addosso: come ho potuto cedere a Baker? Come?
“Puoi sempre dirgli di no…”
Arriccio il naso dubbiosa, probabilmente farei una figura ancora più da stupida. Sembrerei debole e codarda: sarebbe come darla vinta a Daniel Baker e io non sopporto quel suo sorrisetto vittorioso.
“No, ci devo andare. Alla fine, la scelta è tra una festa di sconosciuti odiosi che mi danno il voltastomaco accompagnata dal mio stalker, o una festa con la mia ex migliore amica che vuole picchiarmi e il ragazzo segretamente innamorato di me che ho trattato malissimo. Forse rischierei meno la vita con gli sconosciuti snob!”
“Ricorda che in una delle due festa ci sono anch’io, e questo cambia tutto!”
Osservo Andrew farmi l’occhiolino e ammiccare, mentre nel frattempo il professor Fielding entra in aula.
“No, è meglio se stai con Noa e cerchi di farla ragionare senza di me nei paraggi.” Dico estraendo il quaderno dalla borsa e osservando il mio insegnante prendere posto alla cattedra.
“Bèh come vuoi! In caso cambiassi idea, sappi che puoi contare su di me per una guardia del corpo…in entrambe le feste, direi!”
“Ragazzi, silenzio per favore!” ci ammansisce bonariamente Fielding, facendo azzittire l’aula. “Questa è l’ultima lezione prima del ponte di Halloween, quindi state molto attenti…”
Oh, non ho mai desiderato essere attenta a una lezione quanto oggi, professore.
Ricaccio in un angolino tutte le mie preoccupazioni, pronta a farmi incantare dalla affascinante voce del mio professore, in un mondo in cui non esistono feste di Halloween, litigate e sogni conturbanti.



Eccoci alla fine! Lo so, non è un capitolo particolarmente allegro, ma vi aspetto tutte per la festa di halloween al prossimo capitolo...vedrete che accadranno parecchie cose interessanti...muahahaha :)
Un bacione e grazie a tutti coloro che leggono,

Ireth

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***




The Bakery


 

        


Capitolo VII

Eccomi!
Sono viva! Sono viva e sto per pubblicare! Cioè ho pubblicato, se state leggendo queste parole! Bèh, dato che sono in ritardo e ci ho messo tanto, mi faccio perdonare con un capitolo lunghissimo. Sì, lo è davvero, e spero che arriviate in fondo senza crepare di noia.
Ne approfitto per ringraziare tutte coloro che hanno letto e recensito :) Ci vediamo in fondo.
Buona lettura, forza e coraggio!




“Finito!” esclamo esausta chiudendo con forza il libro su cui ho appena passato mezza giornata e rivolgendomi al mio fido compare Andrew, seduto comodamente sulla sedia di fronte a me e intento a sorseggiare la sua cioccolata calda.
Siamo nel suo appartamento per studiare un po’e aiutarci a vicenda, ma come al solito l’unica che sgobba sono io, perché il mio amicone ha passato tutto il tempo guardando la partita di football in tv –tenuta a volume bassissimo su mia richiesta-.
“E tu quando studierai tutto quanto?” domando inarcando le sopracciglia e mettendo in borsa le mie cose.
“Hum? Beh darò una letta a tutto quanto più avanti, non so…Ouh!” risponde lui distratto,con una smorfia sofferente dovuta allo sbaglio di un qualche giocatore della sua squadra del cuore.
Sbuffo scuotendo la testa e chiedendomi per l’ennesima volta come diamine fa quest’uomo a passare tutti gli esami brillantemente senza il minimo sforzo. Dev’essere tutto quel cibo che ingurgita.
“E poi” continua poi approfittando dello spot pubblicitario per degnarmi finalmente della sua attenzione “abbiamo tutto il tempo di ripassare durante il ponte di Halloween!”
Lo guardo mentre si stiracchia tutto contento pregustandosi i futuri cinque giorni di vacanza nei quali -ci posso scommettere- ci saranno molti pochi libri e moltissime colazioni a mezzogiorno per il mio amico.
“Ma tu non dovresti andare a prepararti, piccola debuttante nel mondo aristocratico?”
Gli lancio uno sguardo fulminante mentre lui sta ridacchiando tra sé e sé rischiando di rovesciare la tazza che tiene in mano e di macchiarsi il ridicolo maglione natalizio che usa per stare in casa, regalo di un coinquilino: è verde fosforescente con degli adorabili pupazzi di neve rossi ricamati qua e là.
“E tu non dovresti , non so, cambiarti e lavarti per lo meno? Puzzi. E sei inguardabile.”
“Mi travesto da cadavere fosforescente, vado benissimo così.”
Mentre Andrew torna al match in tv, io non riesco a non riportare il pensiero alla mia festa imminente.
In realtà è tutto il giorno che sono un tantino in ansia: insomma, presa da un raptus di follia mista a furia omicida ho accettato l’invito del mio stalker senza nemmeno pensarci un attimo, ma sto poco a poco iniziando a pentirmi del mio magico momento (di gloria) istintivo.
Insomma sarò in un posto dove non conosco nessuno! Certo, a parte il mio persecutore insopportabilmente contento di avermi strappato un sì, la robot dai boccoli rossi mono-espressiva e, per finire, il padrone di casa, Zachary Van Cortland III, principe di tutti i mondi riuniti nei secoli dei secoli amen e la sua corte di nobili con cui non ho niente in comune.
Si prospetta una serata grandiosa.
Sospiro sconsolata accasciandomi sul tavolo: spero vivamente che il mio piano ‘mimetizzati nella folla senza farti notare e senza fare danni’ funzioni, che Baker non faccia l’idiota -cosa alquanto improbabile- e non faccia fare a me la figura dell’idiota –cosa sempre meno probabile-.
Fortunatamente vengo distolta dai miei pensieri all’arrivo di uno dei due coinquilini di Andrew: Steve.
“Buonasera bellezze!” cinguetta il ragazzo mingherlino che entra come un turbine in casa lanciando sorrisi e trapelando da ogni poro la sua gaiezza. E quando dico gaiezza intendo proprio dire gaiezza gay.
Io ho sempre odiato gli stereotipi sugli omosessuali effemminati e un pochetto isterici, ma Steve è decisamente un gay da caricatura, più o meno:  è uno scriccioletto alto un metro e settanta, capelli a spazzola scuri e occhi nocciola sempre vivaci e scattanti, segue la moda, ma non si veste in modo appariscente o trasgressivo, anzi è piuttosto anonimo a vedersi, ma la sua vocetta acuta ed esuberante, il suo atteggiamento spumeggiante e sempre su di giri, lo fanno spiccare subito tra un gruppo di persone.
Io lo adoro, nonostante non lo conosca troppo bene, ma talvolta riesce a dare un po’ sui nervi con tutta quell’energia frenetica ventiquattr’ore su ventiquattro.
Oh, naturalmente il maglione fosforescente è opera sua, non dell’altro tranquillo inquilino, Jeoffrey, serioso ragazzo all’ultimo anno di informatica, che non è quasi mai in appartamento dato che praticamente vive dalla sua ragazza.
“Ciao Steve!” lo saluto io mentre Andrew agita la mano in sua direzione, di nuovo tutto preso dalle azioni in tv.
Andrew si trova bene con lui, si rispettano e si sopportano a vicenda e, strano ma vero, Steve non ha mai provato a sedurre quel gran fustacchione del suo coinquilino. “Tranquillo! Non mi piacciono i palestrati etero!” aveva spiegato tranquillamente a Andrew, il primo giorno di convivenza, rassicurando il mio amico rimasto un po’ sconcertato dopo l’incontro con lo stravagante compagno di stanza.
“Ma tu cosa ci fai qui?! Santo cielo, non devi prepararti?” grida il ragazzo notando la mia presenza e bloccandosi con il berretto che si stava togliendo a mezz’aria.
“Mancano ancora più di tre ore, Steve, non c’è fretta!”
“Mah, se lo dici tu! Che peccato che non vieni più con noi però!” si lamenta poi prendendo posto a fianco a me e mettendo su un broncetto dispiaciuto. “Andrew mi ha detto che hai litigato con la tua amica, mi dispiace!”
“Già…” sospiro io pensando che quando tornerò a casa non ci sarà Noa a consigliarmi cosa mettere per la festa, essendo andata a prepararsi a casa delle due organizzatrici, Cassie e July.
“Bèh, per lo meno vai a una festa di classe, piena di fauna maschile interessante!” prosegue Steve con aria sognante, la testa inclinata da un lato. “Io per avere una fauna maschile interessante dovrò aspettare il quarto drink, ma pazienza!”
Scoppio a ridere per la smorfia buffa del ragazzo, poi decido che forse è meglio se torno a casa: dovrei farmi una doccia, ora che ci penso, e rendermi presentabile, ma soprattutto per prepararmi psicologicamente alla lunga tortura di stanotte.
“Ragazzi, io vado, vi lascio ai vostri preparativi!”
“Ciao bellezza, se per caso quel Baker ha qualche bell’amico, tienimelo da parte!” cinguetta Steve mentre io saluto Andrew con un abbraccio.
“Se la situazione precipita puoi sempre raggiungerci, ok? A Noa ci penso io.” mi dice lui stringendomi il braccio rassicurante.
“D’accordo, grazie. ” sorrido io grata di avere una possibilità di rifugio in caso gli snob avessero il sopravvento sul mio autocontrollo.
Esco dall’appartamento lasciando quella strana coppia -Andrew mi ucciderebbe se sapesse che li ho appena definiti ‘coppia’- e mi incammino verso il mio appartamento, che trovo vuoto proprio come mi aspettavo.
Mi tolgo i miei numerosi strati di vestiti rabbrividendo, per poi buttarmi in doccia cercando di rilassarmi: sono solo le sei e mezza, Daniel mi passerà a prendere alle nove e mezza quindi ho tutto il tempo di vestirmi e…oddio, se fosse una festa in maschera? Daniel non ha accennato a nulla di tutto ciò e io non ho un travestimento! Cioè, l’unico costume che ho a disposizione è quello a forma di hot dog gigante, usato da Andrew per guadagnare qualche soldo facendo pubblicità a un fast food, ma non credo sia il caso.
Sto per saltare fuori dalla doccia in preda al panico con i capelli schiumanti di shampoo, ma un pensiero improvviso mi rassicura: stiamo parlando di quei damerini tutti eleganti con la puzza sotto il naso, è irreale che possano aver progettato una festa in maschera. Decisamente.
Torno a respirare normalmente pensando che il vestitino blu scuro che avevo già scelto per l’altra festa è abbastanza elegante anche per questa e sarà certamente meno appariscente di un hot dog gigante.
Bene Lucy, ora puoi tranquillizzarti, andrà tutto bene. Tutto benone.

“Sarà uno schifo, dannazione!”
Sono le nove e un quarto, i miei capelli devono ancora asciugarsi-maledizione, perché li ho lasciati crescere così tanto? Un bel taglio corto no?- e sto cominciando seriamente a pensare di fuggire a Caracas pur di evitare questa maledettissima festa.
Controllo l’orologio per l’ennesima volta mentre finalmente anche le punte della mia chioma infinita si asciugano definitivamente: ci siamo quasi, tra pochi minuti sentirò il campanello suonare e via, verso l’infinito e oltre!
Finita l’operazione capelli, infilo le chiavi nella borsetta e mi siedo sul divano, sistemandomi nervosamente le pieghe del vestito: odio quest’attesa.
Dlin dlon!
Odio questo campanello.
Prendo un bel sospiro e mi affaccio alla finestra, sperando che qualcuno abbia prenotato a mia insaputa un taxi per Caracas, ma ovviamente, in piedi a fianco all’auto sportiva nera parcheggiata sotto casa mia, c’è Daniel Baker con un sorrisone che riesco a vedere persino da quassù.
Oh Gesù, dammi la forza!
Indosso il cappotto e spengo la luce, sperando di tornare sana e salva alla mia casetta molto presto, e scendo all’ingresso trovandomi davanti al mio accompagnatore che mi saluta sorridente porgendomi una mano in modo galante.
Indossa un elegante completo grigio scuro che risalta la sua figura slanciata e le spalle larghe, camicia chiara e cravatta di seta: devo ammettere che il tutto non è male. Ok, d’accordo, sta davvero bene così. Per lo meno non è vestito da panino gigante.
 “Buonasera, signorina Callaway! Dove La porto?” esclama allegro prendendomi la mano e portandola alle labbra, senza staccare i suoi occhi verdi dai miei, con un’espressione maliziosa.
“Per favore, non farmene pentire prima ancora prima che inizi la festa, Baker.” Borbotto io alzando gli occhi al cielo e ritraendo la mano, cercando di non badare al piacevole calore che le sue labbra hanno lasciato sulla mia pelle.
“D’accordo, d’accordo! Dai, sali.” ridacchia lui accompagnandomi dall’altro lato dell’auto per aprirmi la portiera.
“E ora si parte!” esclama dopo qualche secondo, prendendo posto al volante e mettendo in moto.
“E’ molto lontano?” chiedo dopo qualche secondo, pensando che un lungo viaggio con Daniel Baker è l’ultima delle cose che desidero in questa magica notte.
“Tranquilla, solo un quarto d’ora e poi potrai ballare con me tutta la notte.”
Lo incenerisco con lo sguardo mentre lui stacca per un momento gli occhi dalla strada per ammiccare nella mia direzione, impassibile ai miei occhi incendiari.
“Non vedo l’ora.” Borbotto io osservando la strada fuori dal finestrino e decidendo di ignorare il mio impertinente autista.
Per la città si vedono zucche sghignazzanti alle finestre e bambini travestiti da fantasmi, streghe e mostriciattoli che gironzolano alla ricerca di dolcetti come facevo io non troppi anni fa: un po’ mi manca l’emozione di quando suonavo il campanello di una casa insieme ai miei amichetti, attendendo le caramelle di qualche buon vicino di casa, magari travestito anche lui in modo bizzarro.
Poco a poco ci allontaniamo dal centro per imboccare una strada secondaria, immersa tra campi e vigneti, che non ho mai percorso.
Mi volto a guardare Daniel che guida tranquillo con l’ombra di quel solito sorrisetto soddisfatto sul viso illuminato dai fanali dell’automobile: ha un bel profilo con quel naso dritto e regolare, e poi si è fatto la barba e sembra più riposato del solito, nonostante le ombre scure sotto gli occhi non siano sparite.
“Hem, Daniel, è la strada giusta?” chiedo dopo qualche minuto, non avendo visto altro che alberi per un bel po’. Non mi starà portando in qualche posto losco e sperduto, spero!
“Sicurissimo, Lucy. Appena dopo questa curva…”
Torno a guardare la strada e, svoltata la curva in questione, mi si profila davanti un’imponente cancello di ferro battuto illuminato interamente da piccole lucine aranciate che lo avvolgono; oltre le porte scorgo una strada sterrata bianca delimitata da quelle che sembrano candele, che porta fino ad un enorme costruzione che si staglia illuminata in lontananza.
“Benvenuta a casa Van Cortlandt!”esclama allegro Daniel sporgendosi dal finestrino per suonare il campanello e farci aprire le porte, mentre io me ne resto imbambolata a fissare la grande villa man mano che ci avviciniamo, senza parole.
Mi aspettavo qualcosa di enorme e lussuoso, ma non così enorme e lussuoso: sembra un castello, tanto è maestosa, con tutte quelle finestre e terrazze, torrette e colonne dall’aspetto antico, ma allo stesso tempo è elegante e moderna, con i muri chiari e le inferiate di ferro battuto che decorano le finestre.
 Percorriamo la stradina sollevando una nube di polvere bianca dietro di noi, finché non arriviamo a un parcheggio già affollato da una ventina di splendide auto.
“Cos’è questa puzza?” domando arricciando il naso mentre Daniel mi apre la portiera per farmi scendere.
“Dannazione! Ecco cos’ho dimenticato!La doccia!” esclama lui battendosi la mano sulla fronte e ridendo della sua stessa battuta un secondo dopo.
“Ma come siamo simpatici stasera, Baker!” commento io sarcastica.
 “Lo sono sempre, Callaway. E sono anche profumato, se vuoi saperlo, se c’è puzza è perché siamo vicini alla zona delle stalle.”
Oh, ma certo, le stalle, dovevo aspettarmelo! Come si può vivere senza qualche bel cavallo da milioni di dollari?
Vengo distratta dalle mie riflessioni sull’equitazione e i castelli dai fari di altre due macchine in lontananza, ferme al cancello e pronte ad essere accolte dalla stradina sterrata illuminata.
“Allora, entriamo o no, madame?”
Mi volto verso Daniel che mi sta porgendo il braccio guardandomi con la sua solita faccia indecifrabile: convivono sul suo viso l’ombra perenne di un sorriso sornione e lo sguardo penetrante che mi confonde sempre le idee e mi irrita perché non lascia mai scoprire ciò che gli passa in testa.
All’improvviso realizzo di essere davvero qui con lui, di aver ceduto a questo benedetto ragazzo-stalker responsabile del mi ex occhio nero, ma sorprendentemente, non ho ancora voglia di suicidarmi, non ancora.
Sostengo quello sguardo ambiguo e luccicante per qualche secondo, infine sospiro rassegnata appoggiandomi al suo braccio con la mano e lasciandomi accompagnare dal mio assillante cavaliere.
“Che la festa abbia inizio!”canticchia lui tutto contento, accompagnandomi lungo lo stesso sentiero da dove eravamo entrati per raggiungere la facciata principale della casa.
“Daniel” dico fermandomi a pochi passi dal primo gradino che porta all’enorme portone di legno dell’ingresso. “Ti prego, fai il bravo.”
Non so precisamente cosa intenda con ‘bravo’, e non so nemmeno perché lo stia dicendo adesso-forse perché l’ansia sta cominciando a ricomparire-, ma voglio che faccia il bravo, qualunque cosa voglia dire!
Daniel si ferma a guardarmi con espressione rassicurante, poi mi tira un po’ più vicino a sé sorridendo.
“Io sono sempre bravo. Vedrai che dopo stasera sarai tu a volermi inseguire!”
Oh sì, ora sì che mi sento tranquilla e rassicurata, Baker!
“Ommioddio…” sospiro sconsolata salendo gli scalini, mentre il mio accompagnatore suona il campanello.

Non passa nemmeno un secondo che il portone viene spalancato da….un pinguino! Ma allora è una festa in maschera? No, Lucy, quello è un maggiordomo.
Effettivamente il  cosiddetto pinguino è in realtà un uomo sulla settantina, dai capelli bianchi e l’aria distinta che indossa un magnifico frac con tanto di papillon coordinato.
“Buonasera signor Daniel, Zackary La sta aspettando nella Sala delle Veneri. Lasciate che prenda in custodia i vostri soprabiti.”
“Grazie, Xavier!” lo saluta Daniel trascinandomi dentro, mentre io non riesco a staccare gli occhi di dosso da quel tizio impettito che mi sta gentilmente sfilando il cappotto.
“Credevo che i maggiordomi esistessero solo negli alberghi di lusso e nei film di Batman!” bisbiglio piano al mio cavaliere mentre attraversiamo l’atrio sfarzoso della casa per salire un’imponente scalinata a chiocciola.
Il pavimento è coperto da tappeti che sembrano parecchio costosi e le pareti chiare sono adorne di quadri e tappezzerie dall’aspetto raffinato, il tutto illuminato dalla luce soffusa di lampadari di cristallo.
Le note di un pianoforte aleggiano per il corridoio mentre saliamo ed io comincio a sentirmi un po’ a disagio: non doveva esserci una festa? Qui l’atmosfera è tutt’altro che festosa, mi aspetto che da un momento all’altro spunti da una stanza qualche dama imparruccata con l’evve moscia e un drink tra le mani.
“Zack è stato proprio incastrato!” esclama Daniel ridacchiando mentre arriviamo in un lungo corridoio e cominciamo a percepire un chiacchiericcio accompagnarsi alle note del piano.
Non faccio in tempo a chiedergli che diamine stia dicendo che ci si presenta davanti una porta -più che una porta è una specie di enorme arco di marmo bianco - dalla quale scorgiamo un enorme salone pieno di gente, che però non riesco a osservare attentamente a causa di Zackary Van Cortlandt che ci si para davanti sorridendo compiaciuto.
Sembra proprio un piccolo lord moderno: ha un completo nero elegantissimo, con una classica camicia bianca e una cravatta rosso fuoco, ha tirato indietro i capelli biondo platino rendendo i suoi lineamenti ancora più spigolosi e intriganti, e i suoi occhi freddi ancora più penetranti.
“Daniel, finalmente! Lucy Callaway, incantato.” Ci accoglie ammiccando in mia direzione con quegli occhi color ghiaccio che mi fanno davvero rabbrividire, per poi esibirsi in un baciamano delicato che mi lascia ancora più raggelata. Ha le mani freddissime.
“Zack! Alla fine il vecchio ti ha fregato!” esclama Daniel tirando un pugno amichevole al padrone di casa che alza gli occhi al cielo allargando le braccia.
“Già, ho dovuto accontentarlo con musica di classe e Xavier alla porta, almeno finché non se ne va.”
Notando la mia espressione incuriosita Zackary mi concede finalmente una spiegazione: “Mio nonno è in casa e ha deciso che gli invitati debbano venire accolti con una certa classe. Ma non temere, quando uscirà verrà allestito il DJ set.”
Io rispondo con un insulso “Oh!” immaginando come anche un miliardario ruspante come Zackary debba sottostare alle regole del nonno, anche se, dopotutto, suo nonno è una specie di Dio degli imprenditori a cui probabilmente non è facile dire di no.
“Ma entrate, prego!”
Obbediamo al nostro anfitrione ed entriamo finalmente nella sala, che è più vasta e grandiosa di quanto mi aspettassi , con un soffitto altissimo e le pareti decorate con affreschi che sembrano parecchio antichi, tra i quali se ne nota in particolare uno raffigurante due donne sdraiate sinuosamente su una lettiga-immagino siano loro il motivo del nome della Sala-, il pavimento è di un parquet scuro e lucidissimo su cui si riflettono le luci soffici dei lampadari che ci accolgono in un atmosfera calda che sembra al lume di candela.
In fondo al salone c’è un piano bar molto ben fornito, pare, dietro il quale stanno cinque camerieri vestiti in modo impeccabile che servono gli ospiti al bancone o porgendo vassoi argentati carichi di drink alle persone sedute sulle poltroncine sparse qua e là.
“Ciao Dan!” esclama una voce familiare alle nostre spalle che scopro appartenere alla rossissima Alice, la robot, stretta nel suo lungo vestito dorato che si è lanciata su Daniel baciandolo sulla guancia. “Oh, ciao cara!” aggiunge poi risvegliando i miei istinti omicidi: odio essere chiamata ‘cara’.
“Ciao Allie, stai benissimo!” la saluta Baker allontanandola per ammirarla volteggiare su sé stessa. Ed è proprio vero, dannazione, sembra una diva di Holliwood!
“Grazie, anche tu.” Dice lei con quel suo tono languido e inespressivo da automa terminando la piroetta e portandosi di fianco a Zack che con un sorriso soddisfatto le posa una mano sulla spalla.
“Alice, che ne dici di presentare un po’ di persone a Lucy mentre noi andiamo a prendere da bere?”
“Ma certo, Zack. Vieni con me, cara!”
Guardo Alice che mi si avvicina lentamente senza accennare un minimo di entusiasmo sul viso pallido e imperscrutabile, poi lancio un’occhiata confusa a Daniel che con un alzata di spalle accenna a seguire Zackary.
“Trattami bene la piccola artista, mi raccomando! Torno subito, non temete!”esclama rivolgendosi a Alice prima di incamminarsi verso la zona bar insieme all’amico.
Sbuffo guardandoli mentre un gruppetto di persone li ferma pochi passi dopo dando grandi pacche sulle spalle a Daniel e salutandolo.
Bene, sono contenta che ti diverta, Baker, mentre io sono qui abbandonata a questa…creatura senza sentimenti che mi inquieta un tantino. Sono proprio contenta, maledizione!
Vengo distratta da questi amorevoli pensieri dalla mia nuova amicona, che mi appoggia delicatamente una mano sulla spalla per invitarmi a seguirla.
“Vieni con me, cara.” Dice con un sorriso meccanico che dovrebbe essere incoraggiante, credo.
Ci inoltriamo tra i vari invitati, che stanno diventando minuto dopo minuto sempre più numerosi, allontanandoci sempre di più da dove ci avevano lasciate Zackary e Daniel; io continuo a seguire il vestito scintillante di Alice, che sembra fluttuare tra la folla diretta verso delle poltroncine libere vicine a un’enorme finestra alta fino al soffitto, tuttavia non riusciamo a raggiungerle perché ci si parano davanti due ragazzi sorridenti che bloccano la nostra strada.
“Alice, che bello vederti, sei radiosa!” esordisce il più alto, che ha un viso da fotomodello incredibilmente bello, nonostante sembri un po’ il solito bamboccio biondo dagli occhi azzurri, in realtà.
“Oh, buonasera ragazzi! Vi state divertendo? Lasciate che vi presenti la mia amica, Lucy Callaway. Lucy, loro sono Oliver Hamilton e Bruce Spencer.”
“Piacere!” esclamo io accennando una specie di inchino involontario, imbarazzata da tutta quest’attenzione.
“Piacere mio, Lucy! Lascia che ti offra un drink…”comincia il viso d’angelo, chiamato Oliver, ammiccando in mia direzione maliziosamente.
Ommioddio, sono tutti tanti piccoli Baker? Sono spacciata, morta, finita!
“Stai attento, Ollie, l’ho vista arrivare con Baker!” lo ammonisce Bruce, moro e dai lineamenti meno eterei.
“Ah, Daniel ha sempre tutte le fortune!”
Sorrido imbarazzata e ne approfitto per lanciare un’occhiata nei dintorni: riesco a intercettare Daniel e Zackary che, a parecchi metri di distanza da noi, stanno ridendo spensieratamente con qualcuno che non riesco a vedere.
Ma non faccio in tempo a vedere altro che la mano di Alice mi guida lontana dai due bell’imbusti, veleggiando verso le poltroncine, ma una ragazza con un caschetto biondo cenere ci placca nuovamente e la tiritera ricomincia:
“Ciao Allie! Come stai?”
“Ciao Amanda, lei è Lucy Callaway! Lucy, Amanda Douglas.”
“Ah, sei l’amica di Daniel, piacere!”
“Piacere mio! Che bella serata, eh?”
“Splendida, ci vediamo più tardi!”
Ecco, questo è il dialogo che si ripresenta milioni di volte, con variazioni sul tema, per l’ora successiva e io continuo a vorticare tra Olivia Carter, Cedric O’ Connor, Bentley Foster e nomi del genere che dimentico un istante dopo che la presa di Alice mi conduce da qualche altro rampollo in abito da sera.
Comincio a essere un tantino frastornata e molto stufa, sembra di essere a un maledetto ricevimento pieno di gente sconosciuta troppo gentile per essere sincera, i piedi cominciano a farmi male e la testa a girarmi per quei tre drink che mi sono stati offerti da dei tizi e a cui non ho saputo dire di no.
E Daniel Baker dove diamine è?
Si è fatto in quattro per invitarmi qui per poi abbandonarmi appena arrivati? Non desideravo di certo la sua appiccicosa presenza per tutta la sera, ma comincio a sentirmi un po’ ignorata e poi sono sempre più convinta che Alice non si siederà mai nonostante i trampoli su cui volteggia: questa tizia è disumana.

Mentre stiamo parlando con l’ennesimo ospite – Michael o Mark, non ricordo- mi accorgo di essere vicina al bancone e di avere un’improvvisa sete: voglio acqua.
“Arrivo subito.” Liquido Alice prima che possa fermarmi e mi allontano rapida per arrivare davanti a un cameriere e ordinare un bicchiere d’acqua.
Mentre bevo, cercando di non farlo troppo velocemente per non sembrare una specie di beduina del deserto, avverto una presenza appena dietro di me e per poco non sobbalzo quando una voce bisbiglia sul mio collo facendomi quasi soffocare.
“Sei molto bella stasera, Lucy Callaway.”
Mi giro di scatto per trovarmi davanti proprio il mio accompagnatore disperso con un sorriso più smagliante che mai e i capelli castani un po’ scompigliati.
Oddio, già rimpiango la compagni di Alice, la donna di mondo.
“Quasi quanto me, direi. Ma si sa, è difficile eguagliarmi!” continua poi in una risata, mentre io mi allontano bruscamente incrociando le braccia sul petto, scocciata.
“Si può sapere dove ti eri cacciato?” sbotto io con il tono più acido che riesco a trovare.
Non so perché mi irriti così tanto il fatto che mi abbia scaricata, so solo che voglio farlo sentire in colpa e dimostrare che razza di idiota sia.
“Bè, io ero solo…”
“Daniel, hai visto Zackary?”
Entrambi ci voltiamo contemporaneamente verso il proprietario della voce che ci aveva appena interrotti e per poco non mi viene un colpo: davanti a me c’è niente popò di meno che Rufus Maximillian Van Cortlandt in persona.
Il nonno di Zackary, che ho visto parecchie volte sui giornali, dal vivo incute ancora più rispetto e intimidazione: è un uomo sui settantacinque anni, alto e longilineo, il viso dai lineamenti nobili è segnato da numerose rughe portate con onore, e i due folti baffi biondi nascondono la bocca sottile, ora incurvata in un sorriso cortese.
“Oh, buonasera signor Van Cortlandt! Zack è qui da qualche parte, ma perché non si unisce a noi? Ci scateniamo un po’!” esclama Daniel stringendo entusiasta la mano del milionario, mentre io osservavo sconvolta la spigliatezza e la familiarità che ha con lui.
“Oh no, Daniel, ho del lavoro da sbrigare e un aereo da prendere, ma soprattutto voglio evitare lo spettacolo della lenta distruzione della mia sala preferita.” Scherza lui e io non posso fare a meno di notare che la sua voce profonda è solenne anche quando non parla sul serio.
“Ah, lei è Lucy Callaway, una mia amica artista!” butta lì all’improvviso Daniel cogliendomi alla sprovvista.
“Un’artista? Interessante! Piacere di conoscerla, signorina Callaway. Di che genere di arte si occupa? Avrò mai l’onore di visitare una Sua qualche galleria?”
“Oh, hem no, io ecco…”
Daniel Baker, morirai dolorosamente.
Fortunatamente la mia brillante presentazione viene interrotta dall’arrivo di Zackary con due drink in mano e un aria sorpresa.
“Nonno, che ci fai qui?”
“Ti volevo salutare, Zackary.” Risponde semplicemente senza battere ciglio e senza curarsi che quasi tutti gli sguardi della sala sono calamitati su di lui.
“Potevi chiamarmi senza venire fino qui in mezzo alla confusione.”
“Bah, io amo la confusione di voi giovani. E poi dovevo avvisarti che ho dato i soliti ordini a Xavier, quindi non devi preoccuparti di nulla fino al mio ritorno.”
“Grazie nonno, fa buon viaggio.”
“Grazie Zackary, in effetti devo proprio scappare, Berlino mi aspetta. Daniel, signorina Callaway, è stato un piacere. Buona serata!”
E con una specie di inchino con la testa il signor Van Cortlandt ci lascia incamminandosi tutto impettito in mezzo alla folla di ragazzi intimoriti e ammirati che si apre per farlo passare.
Non faccio in tempo a riprendermi dalla sorpresa di aver parlato-sì, bèh, parlato è una parola grossa, diciamo boccheggiato come un pesce rosso stupido- con una specie di guru dei dollari, che una figura aggraziata ci raggiunge volteggiando sui suoi tacchi.
“Oh, eccovi qui.”
Ciao Alice, piccola macchina da guerra dell’alta società.
“Ho visto tuo nonno che se ne andava, non ho fatto in tempo a salutarlo!” dice quasi sovrappensiero rivolta verso Zackary, che però è già impegnato a digitare velocemente chissà cosa sui tasti del suo cellulare.
“Sì, lo so, ora possiamo andare nell’altra sala e partire con la musica. Il DJ è pronto, andiamo.”
Lancio uno sguardo incuriosito a Daniel che sorride semplicemente e mi fa cenno di seguire gli altri due, che ci portano dalla parte opposta della sala, dove un enorme arco, che non avevo proprio notato, si apre su un altro spazio che sembra essere molto più buio rispetto alla sala.
Mentre passiamo oltre l’arco, una voce amplificata di un qualche DJ rimbomba contro le pareti annunciando che la sala da ballo è pronta, e io non posso che confermare: questa sala da ballo è più che pronta, è perfetta: l’illuminazione è simile a quella di una vera e propria discoteca, con luci lampeggianti e psichedeliche, per non parlare del fatto che è grande probabilmente quanto la stanza che abbiamo appena lasciato, forse è addirittura speculare ad essa, ma libera da tavolini o qualsiasi cosa possa ingombrare il ballo.
La gente comincia ad affluire dalla porta proprio mentre il DJ alla console fa partire la musica e tutto intorno a me rimbomba e vibra.
Tump tump tump!
“Non è grandioso?” mi strilla Daniel dritto in un orecchio, ottenendo come risposta una mia alzatina di spalle: sono ancora arrabbiata con lui e non ho intenzione di dargli soddisfazione.
Senza preavviso Alice afferra per un polso sia me che Daniel e con un“Dai, venite!” ci trascina vicino alla postazione del DJ e comincia a esibirsi in una danza sfrenata al ritmo incalzante che proviene dalle casse.
Ommioddio, non ho nessuna voglia di ballare in questo momento. Tantomeno in mezzo a tutta questa gente che ci si sta appiccicando addosso sempre di più. Che sta succedendo? I damerini snob si sono improvvisamente trasformati in festaioli impazziti?!
Tump tump tump!
Guardo terrorizzata Daniel che però sembra divertirsi un mondo e scuote la testa avanti e indietro guardandosi intorno tutto contento.
Dannazione, c’è troppa gente! E c’è un tizio che mi è davvero troppo vicino e…ommioddio, che sta facendo con quella mano appoggiata alla mia spalla?
“Hey, ma tu sei Lucy! ”
Mi volto spaventata per scoprire che è il biondino dal viso da bambolotto che mi è stato presentato poco fa che mi sta tirando verso di lui.
“Sì, sono io!” gli grido in faccia guardandomi indietro per non essere trascinata troppo lontano dagli altri, ma ormai il danno è fatto: ci sono già tre persone tra me e la testa dondolante di Daniel.
“Ti posso rubare per un minuto a Baker?”
Guardo Oliver esibirsi in un sorriso speranzoso alla luce intermittente e bianca che mi sta causando un gran mal di testa.
Accenno a un sorriso gentile e imbarazzato senza sapere come fare per scollarmelo di dosso…dov’è Daniel quando serve?
Mi guardo alle spalle e lo vedo chinato ad ascoltare una ragazza dai capelli corti e scuri che gli sta appiccicata all’orecchio tenendo una mano sul suo collo. Lui si rialza, ride e dice qualcosa, mentre lei con aria soddisfatta sorride e comincia a ballargli vicino, praticamente addosso e ciò non sembra infastidirlo molto, anzi.
Mi sento contorcere le budella. Questa è la goccia che fa traboccare il vaso. Che si faccia pure usare come palo da lap dance, lasciandomi di nuovo da sola, io ne ho abbastanza!
Perché diamine sono qui? Dovrei essere alla festa con Andrew e Noa. Sarebbe meglio essere presa a pugni dalla mia migliore amica che essere palesemente ignorata dal mio stesso stalker che mi lascia in balia di questi Barbie e Ken dell’alta società.
“Scusa, devo prendere un po’ d’aria! Torno subito.”
Pianto lì Oliver e me ne fuggo via senza lasciargli il tempo di riacchiapparmi: devo raggiungere il grande finestrone in fondo alla sala e dare una rinfrescata al mio cervello fumante di rabbia. E magari trovare una via di fuga corrompendo Xavier, il maggiordomo demodè.
Finalmente raggiungo la maniglia e, senza che nessuno badi molto a me, riesco ad uscire su una delle grandi terrazze di casa Van Cortlandt riappoggiando subito le ante della porta-finestra alle mie spalle per non essere disturbata.
Ah, finalmente un po’ di pace!

Fuori fa davvero freddo senza cappotto, ma non importa, meglio congelarsi che stare in mezzo a quel delirio e poi devo calmarmi un po’, anche perché la testa un po’ mi gira a causa dell’alcool: non lo reggo molto bene.
La terrazza è piuttosto grande, di una forma strana, tondeggiante, ma non proprio regolare, muovo qualche passo per appoggiarmi al parapetto in pietra e osservare il paesaggio illuminato dalla luce delle stelle e della luna: una distesa di campi e piccoli boschetti bui mi ricordano ancora una volta la fortuna della famiglia Van Cortlandt, più lontano invece intravedo una grande strada trafficata piena di piccole scie luminose di auto sparate a grande velocità.
Respiro un paio di volte a occhi chiusi, rabbrividendo per il contatto delle mie mani sulla superficie fredda e per il venticello gelido che mi accarezza le spalle nude e mi riporta un po’ di quella calma che ho disperso in quella sala maledetta.
Un rumore alle mie spalle interrompe la mia tranquilla rinfrescata di idee: la porta a vetri si apre lasciando irrompere nel mio posticino felice il ritmo prepotente delle casse, per poi richiudersi dopo pochi secondi.
Chi osa turbare la mia quiete?
Non mi volto nemmeno per guardare  perché so già di chi si tratta-sarebbe troppo sperare che sia una coppietta in cerca di un anfratto in cui darci dentro alla faccia del bon-ton- e me ne rimango ferma a fissare il cielo, sentendomi ribollire nuovamente di rabbia.
“Oh, finalmente ti ho scovata!” Bisbiglia Daniel Baker, che scopro pericolosamente vicino alla mia schiena dato che riesco a percepire lievemente il suo respiro sulle mie spalle.
Ok, Lucy, stai ferma, zitta e conta fino a dieci, non tirargli uno schiaffone senza prima esserti calmata un po’. Potresti rimpiangerlo un giorno, forse.
“Che ci fai qui al freddo?”
Sento la sua mano che mi scivola delicatamente sul braccio per accarezzare la pelle d’oca che il freddo –no, non Baker! Non lui, ok?- mi ha provocato, e la tentazione di lasciargli un bel tatuaggio delle mie dita sulla guancia è sempre più forte.
Respira e conta, Lucy: uno, due, tre,…
Ma Daniel Baker probabilmente interpreta il mio silenzio indispettito per tutt’altro visto che decide di cingermi i fianchi in modo piuttosto provocante, avvicinandosi ulteriormente.
Quattro, cinque…DIECI!
“Che diavolo stai cercando di fare?!” ringhio voltandomi di scatto e spingendolo via da me facendolo rimanere di stucco.
Lo guardo in cagnesco notando che ha i capelli parecchio in disordine, il viso lucido di sudore e un’aria un po’ stanca: avere una ragazza koala che ti balla addosso ha i suoi lati negativi, eh?
“Niente! Scusa, è che ti ho vista uscire e così ti sono venuto a fare compagnia.” Si schermisce lui alzando le mani per cercare di calmarmi, ma senza abbandonare un sorrisetto appena accennato.
“Ah, ma certo! Farmi compagnia! Dopo che mi hai ignorata per tutta la sera, vuole farmi compagnia, il signore!” strillo io senza rendermi conto di aver usato un tono da pazza isterica.
Lui non fa altro che guardarmi con la sua solita espressione che sembra sempre deridere chiunque, per poi esclamare con un sorrisone: “Non pensavo ci tenessi così tanto. Ti sono mancato quindi!”
Dannazione, vorrei strangolarlo! Non posso credere che possa essere così maledettamente sfacciato in un momento come questo!
“No, non è così!” grido improvvisamente sulla difensiva “E’ che…”
Che cosa? Non starò per ammettere che mi sono mancate le sue attenzioni? Eppure sembra proprio che io lo stia facendo. Dev’essere colpa dei drink.
Stringo la mascella e deglutisco osservando gli occhi verdi di Daniel scintillare beffardi al buio.
“E’ che è una questione di principio, Daniel. Io ti ho accontentato come una stupida, mentre potrei essere da qualsiasi altra parte! E tu mi abbandoni in mezzo a tutti questi figli di papà sparendo a divertirti!”
All’improvviso noto che Daniel si è come irrigidito alle mie parole e che il sorriso gli è scomparso dal volto: ottimo, finalmente non ride più.
“Ma che dici? Non è affatto vero, dai!”
Sbuffo e mi volto dandogli di nuovo le spalle: mi sento ancora furiosa con lui e anche con me, che non riesco a capire perché mi importi tanto avere ragione, perché mi senta tanto umiliata e infastidita.
“Senti, non mi importa. Ho sbagliato a venire qui, lo sapevo.” Dico rivolta al cielo “Dopotutto non potevo aspettarmi altro da uno come te. Probabilmente sei solo un figlio di papà come tutti loro, uno abituato ad avere tutto e che quando ottiene il suo giochino, si stufa. Ma tanto, che importa? Papi te ne ricomprerà un altro, vero?” 
Sputo fuori ogni parola senza pensare a come suoni davvero crudele quello che sto dicendo, l’unica cosa a cui riesco a pensare è la tizia di poco da abbarbicata a Daniel.
Per un po’ cade il silenzio e io penso di essere finalmente riuscita a zittire Daniel Baker, ma passa appena qualche secondo, quando comincio a sentire uno strano suono, come uno strano sibilo soffocato e tremolante che per un attimo scambio per un principio di risata soffocata.
“Ti sembra div…“
Le parole mi muoiono in bocca mentre, voltandomi, vedo Daniel accasciarsi lentamente addosso al muro vicino alla finestra fino a trovarsi seduto scompostamente sul pavimento di pietra. Anche al buio riesco a intuire che c’è qualcosa che non va: è improvvisamente pallidissimo, e sembra incapace di stare in piedi, ma la cosa peggiore è il suo respiro: un rantolio soffocato e boccheggiante che gli spalanca gli occhi in un’espressione di puro terrore.
“Ommioddio, Daniel, stai scherzando?”
La voce mi esce strozzata mentre corro a inginocchiarmi di fronte a lui incapace di fare qualsiasi cosa, ho il cuore a mille e i suoi occhi disperati puntati su di me mi spaventano da morire.
“Che ti succede? Cosa…Aiuto!” strillo rivolta verso la porta, ma la musica che rimbomba nella sala come il battito di un cuore impaziente e scatenato, copre ogni mio sforzo.
Devo chiamare qualcuno!
Faccio per alzarmi, ma la mano di Daniel mi artiglia il braccio facendomi scendere di nuovo al suo livello, lui emette uno strano suono strozzato mentre il torace si alza e si abbassa a velocità impressionante.
“Che cosa? Cosa devo fare?” chiedo io in preda al panico avvicinandomi al suo viso e cercando di capire cosa stia cercando di dire.
“Tas…tasca…”
“Ok, tasca. Tasca, tasca, tasca. Cosa c’è in tasca? Cosa devo fare? Stai tranquillo…ommioddio.”
Mi rendo conto di boccheggiare anch’io mentre frugo con mani tremanti nelle tasche della sua giacca senza trovare nient’altro che le chiavi dell’auto e quello che sembra un foglietto di carta marrone ripiegato più volte su sé stesso.
Un gemito di Daniel mi indica che è proprio quello che cerca, così lo srotolo il più velocemente possibile rendendomi conto di avere in mano un piccolo sacchettino, di quelli usati nei negozi di alimentari per metterci la frutta o il pane, e all’improvviso mi lampeggia nel cervello il ricordo di un corso di pronto soccorso fatto anni fa, in cui ci spiegavano come affrontare un attacco di panico.
In fretta e furia appoggio il sacchetto sulla bocca di Daniel, che con il suo respiro lo fa gonfiare e sgonfiare rapidamente.
Io aspetto tremante guardandolo dritto in quegli occhi che ora mi sembrano enormi , come due lune piene verdi, e lui continua a stringere il mio braccio così forte che quasi non me lo sento più.
Non so per quanto tempo me ne sono stata ferma e tremante, ma piano piano il suo respiro si è fatto più tranquillo, meno affannoso e veloce, fino a diventare regolare e tranquillo, forse anche troppo.
Lascio andare cautamente il sacchetto e Daniel non fa nulla per fermarmi, ora tiene gli occhi chiusi e mi verrebbe da pensare che stia dormendo se non continuasse a stringermi l’avambraccio.
Non riesco a fare a meno di staccargli gli occhi di dosso, paralizzata, sono terrorizzata dal suo colorito spento, dalle occhiaie ancora più evidenti e dalla linea morbida delle sue labbra che stanno riprendendo solo adesso il loro colore rosato.
Sono stata io a ridurlo così? Sono stata così cattiva da farlo entrare in un attacco di panico? Mio Dio, sono un mostro.
D’istinto gli porto una mano alla fronte, che è fredda e imperlata di sudore, e quasi mi spavento nel sentire un suo sospiro e la testa risollevarsi per guardarmi con occhi stanchi e lucidi.
“Non dirlo a nessuno.” Sussurra e io non posso fare a meno di annuire, sconvolta dall’assenza di ogni barlume di baldanza e sfrontatezza in quello sguardo.
“Ok.” rispondo sottovoce, per poi aiutarlo ad alzarsi a un suo cenno.
Lo vedo barcollare un po’ e portarsi le mani alle tempie: non sta bene, non sta bene affatto.
“Daniel dai, andiamo via da qui.”


“Ma…Lucy! Che ci fate qui?”
“C’è posto per noi?” chiedo un Andrew abbastanza sbronzo e parecchio stupito che ci apre la porta addobbata con due ridicoli scheletri e una zucca di carta.
“Sì sì, ma certo, entrate!”
La festa delle compagne di Noa si tiene in una sala affittata per l’occasione in un caseggiato in periferia, dentro la musica di sottofondo non è assordante, la gente vaga qua e là a gruppetti ridendo chiassosamente e bevendo ciò che offre un barman improvvisato a un lungo tavolone pieno di bottigli e bicchieri; le pareti sono addobbate con mostriciattoli, streghe e festoni in tema Halloween, che mi danno l’idea di una vera festa di universitari.
Non so perché ho deciso di venire qui, ma è quello che ho fatto d’istinto pensando che il campus era troppo lontano per rischiare di farmi beccare alla guida con un tasso alcolico sicuramente troppo alto e il posto più vicino che mi è venuto in mente è questo. Daniel non ha avuto nulla da ridire: siamo sgattaiolati via da casa Van Cortlandt senza dire niente a nessuno e ho semplicemente guidato io fino qui. Nessuno dei due ha detto una parola durante il viaggio.
“C’è un posto dove possiamo stare tranquilli un secondo?” chiedo guardandomi intorno e individuando subito Noa che mi sta fissando con lo sguardo di un cobra che punta la sua prossima vittima.
Magnifico.
“Hem, sì certo, potete stare qui, venite!”
Andrew ci porta in un angolo piuttosto buio e desolato della stanza dove ci sono quattro poltroncine sgualcite su cui ci sediamo senza fiatare.
“Hem, volete qualcosa da bere?” domanda il mio amico continuando a fissarci con aria piuttosto curiosa.
“No, grazie, ti dispiace se stiamo un po’ qui? ”
“No no, state qui quanto volete! Ma…hem Lucy, puoi venire un secondo?”
Sospiro e, dopo aver lanciato un’ occhiata di sbieco a Daniel per assicurarmi che stia lì seduto tranquillo, seguo Andrew a qualche passo di distanza.
“Cos’è successo? Sembrate usciti da un film di zombies!Non è una festa in maschera, lo sapevate?”  mi chiede subito a bassa voce guardandomi sospettoso.
“Ascolta, è una storia lunga, te lo spiegherò domani, d’accordo?”
Andrew mi guarda ancora un po’ preoccupato, ma poi si arrende.
“D’accordo, l’importante è che tu stia bene.”
“Non preoccuparti. Dov’è Kite?”
Non l’ho ancora notato tra la folla di volti piuttosto conosciuti che mi circondano.
“E’ tornato a casa ubriaco marcio mezz’ora fa.” Sghignazza il mio gigante buono battendosi una mano sulla fronte ricordando una qualche scena esilarante.
“Perfetto.”
Sono sollevata: altri momenti imbarazzanti con Kite non mi servono proprio adesso, anche se so che dovrò scusarmi con lui prima o poi.
“E…Noa?” domando poi esitante e sentendo un nodo nello stomaco ristringersi.
“Non credo verrà a darti fastidio…forse è ancora presto per…lo sai.”
Lo guardo sollevare le spalle e osservarmi con dolcezza, io gli sorrido di rimando appoggiandogli una mano sulla spalla, il che è piuttosto complicato per la mia misera altezza da gnomo, nonostante i tacchi alti.
“Lo so. Grazie Andrew.”
“Figurati! Bè vi lascio qui e se vi serve qualcosa chiama!”
Il mio amico se ne va e io me ne torno alle poltrone e mi siedo accanto a Daniel, che se ne sta lì fermo e zitto con un aria che sembrerebbe tranquilla, se non fosse per il colorito ancora troppo pallido per essere normale.
Me ne sto ancora zitta per un po’ lasciando dondolare il mio piede a tempo di musica e osservando Steve che si da alla pazza gioia ballando con un boa rosa intorno al collo e due tizi altrettanto scatenati accanto a lui.
Non so proprio che dire, mi sento così in colpa per quello che ho causato con le mie parole, che mi sento ripugnante e crudele. Perché non ho pensato prima di uscirmene con quel discorso cattivo?
“Daniel, mi dispiace, non dovevo.” Mormoro senza guardarlo e fissando un punto indefinito sul pavimento.
Lo sento muoversi sulla poltroncina affianco alla mia e sporgersi in avanti per posarmi una mano sul ginocchio.
“Hey, non è stata colpa tua, ok?”
Lo guardo incerta e sento un magone salirmi nel petto, ma lui mi sorride gentile, senza sguardi maliziosi o espressioni strafottenti.
“Mi capita spesso, davvero, ci sono abituato. Probabilmente è stato l’ambiente soffocante della sala, o…qualcos’altro a causarmi l’attacco. Insomma, non certo colpa tua, d’accordo?”
Annuisco poco sicura e ricaccio indietro quella strana voglia di piangere, poi torniamo di nuovo zitti, a fissare gli altri ragazzi divertirsi, senza che nessuno venga a disturbarci-a parte qualche ragazza invaghita di Daniel, placcata prontamente da Andrew- per parecchio tempo, finché non mi sento abbastanza sicura di poter guidare senza pericolo di essere arrestata per guida in stato d’ebbrezza.
Salutiamo Andrew e ci dirigiamo verso la macchina e Daniel insiste per poter guidare e io lo accontento dopo essermi fatta assicurare almeno tre volte che sia davvero in grado di non schiantarci contro qualche albero.
Non appena salgo in auto e mi appoggio allo schienale non posso fare a meno di accorgermi di quanto stanca sia, potrei addormentarmi da un momento all’altro e quasi mi appisolo mentre Daniel guida piano fino a casa mia.
“Eccoci qui, signorina Callaway.” Annuncia a voce bassa spegnendo il motore della macchina e facendomi uscire dal mio stato di dormiveglia.
Mi stiracchio un po’, mi slaccio la cintura e infine mi volto a guardarlo: tiene una mano ancora sul volante e mi sta guardando con la testa inclinata e il viso raddolcito da uno sguardo che non gli avevo mai visto, limpido, senza ambiguità.
“Grazie.” Dico senza sapere bene per cosa lo stia ringraziando. Per avermi portata a casa? Per aver accettato le mie scuse? Per avermi fatto passare una notte di Halloween sicuramente indimenticabile?
Daniel alza le spalle come a dire ‘Di niente!’, poi resta in silenzio ancora un po’ e io sto quasi per scendere dalla macchina quando ricomincia a parlare.
“Mi spiace di averti trascurata, Zackary mi ha portato a prendere i drink e tutta la gente ci ha fermati. Ti cercavo, ma non ti trovavo più. Mi dispiace di averti lasciata da sola.”
Dice proprio così, cavoli, e io mi sento quasi arrossire per la sincerità delle sue scuse. Mi sporgo verso il suo sedile con un sorriso per sfiorargli la guancia con una specie di carezza. Finalmente la sua pelle è tornata tiepida.
“Sei stato bravo, Daniel.”
“Lo sono sempre.”
Esibisce il suo sorriso più tipico e io, una volta tanto, non posso che ricambiarlo.
Per un assurdo e folle secondo mi balena nella testa il pensiero che si stia ricreando l’atmosfera della sera al planetarium e non riesco a fermare l’accellerazione improvvisa del mio battito cardiaco, ma poi Daniel si avvicina e mi bacia sulla guancia.
“Buonanotte, Lucy.” Bisbiglia allontanandosi.
“Buonanotte.”
Scivolo fuori dall’abitacolo e spingo la portiera lentamente, facendola chiudere, poi rimango lì a guardare l’auto filare via, non so nemmeno dove.




Eccoci alla fine :)
Ci ho messo talmente tanto a scrivere questo capitolo che non capisco più se mi piaccia o no...ormai lo odio :) Ma spero che a voi sia piaciuto e che abbiate ancora voglia di seguire Lucy nei prossimi capitoli.
Ah, non sono molto sicura del metodo del sacchetto per placare gli attacchi di panico, ma so che è usato e dovrebbe funzionare.

Bè, sto zitta e lascio a voi la parola!
Alla prossima,



Ireth

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


The Bakery






Capitolo VIII

E..miracolo, ho pubblicato! Scusate l'attesa, ma sono particolarmente incasinata in questo periodo!
Ma bando alle (mie) ciance! Ecco il capitolo numero otto che è qui solo grazie a tutti coloro che leggono, recensiscono, mi inseriscono nelle storie seguite o preferite...Vi ringrazio moltissimo!
Buona lettura!



La prima cosa che vedo non appena sollevo le palpebre -non senza una certa difficoltà- sono i tanti piccoli occhietti luminosi proiettati sul muro dal sole che filtra attraverso la tapparella.
Resto ferma tra le coperte in una sorta di dormiveglia, respirando piano e radiografandomi con la mente da capo a piedi: la testa sembra più pesante del solito, i piedi sono un po’ ammaccati e sbucano infreddoliti dal piumone che mi si è attorcigliato in modo strano attorno al corpo, ma per il resto è tutto a posto.
Dalla mia postazione riesco a intravedere nella penombra le uniche prove tangibili della festa di ieri sera: il vestito stropicciato gettato malamente sulla sedia e le scarpe abbandonate sul pavimento.
Sembra assurdo che solo qualche ora fa fossi in quella villa assurda.
Mi stiracchio pigramente alzandomi a sedere per guardare la radiosveglia sul comodino e, con un certo senso di colpa, mi rendo conto che è quasi mezzogiorno: non sono abituata a svegliarmi così tardi! Mi sento rintronata e ho la mente un tantino ovattata.
E poi c’è anche un’altra cosa: una strana sensazione che, come una nebbiolina fredda, si infiltra e comincia a invadere i miei pensieri fino a farmi entrare in un lieve stato d’ansia e preoccupazione.
Chissà come sta Daniel.
Insomma l’ho lasciato tornare a casa in auto da solo -e non era proprio in forma smagliante, diciamolo!- è del tutto normale che io sia in pensiero per lui! Sì, del tutto normale, dopotutto sono una persona gentile, mi preoccuperei per chiunque.
Mi guardo intorno istintivamente in cerca del cellulare ma, proprio mentre sto per allungare la mano e afferrarlo, mi rendo conto di non avere nemmeno il suo numero o un qualsiasi altro contatto a cui agganciarmi per comunicare con lui e assicurarmi che non sia precipitato in un fiume o...o…ma poi ci sono fiumi nel tragitto da qui a casa sua?
All’improvviso mi rendo conto di non avere la minima idea di dove abiti –e nemmeno la minima idea della geografia locale, ma questo già lo so, sono un disastro in queste cose- e quasi scoppio a ridere per l’assurdità della situazione: pare che i ruoli si siano capovolti e che sia io la stalker tra noi due ora!
Dai, tranquilla Lucy! Daniel Baker starà benone, non è il caso di angosciarsi troppo.

Sbuffo cercando di scrollarmi di dosso i miei istinti materni di protezione verso quello screanzato e decido di ciabattare verso la cucina per affogare in un bel caffè e organizzare la mia giornata in un modo sensato.
Sbirciando dalla porta socchiusa della camera di Noa, che si affaccia sulla cucina proprio come la mia, noto che la mia coinquilina non è ancora tornata, ma non me ne stupisco: probabilmente si sarà fermata fuori a dormire piuttosto che rischiare di incrociarmi.
Devo assolutamente rimettere a posto le cose con lei al più presto, ho bisogno della mia amica e soprattutto di qualcuno con cui parlare.
Mentre aspetto che il caffè sia pronto, un piccolo magone di malinconia mi assale: sono sola, fuori c’è un’orribile nebbiolina grigia, la mia migliore amica mi odia, ho una piega del lenzuolo tatuata sulla mia faccia sveglia più che mai e non posso nemmeno chiamare Andrew che starà dormendo come un facocero in tutta beatitudine…insomma, buongiorno mondo!
Decido di distrarmi un po’ allungando pigramente il braccio verso il mio portatile per controllare le mail e leggere un qualche giornale online, tanto per scollegare il cervello dalle mie misere condizioni attuali, ma mi accorgo subito che non è stata una fantastica idea.
Una gentilissima mail dell’Università mi avvisa che sta per scadere il termine per pagare la retta mensile. Grazie, è sempre una gioia telefonare a casa per chiedere soldi ai miei.
Questa giornata è sempre peggio.
Le altre mail sono di pubblicità inutili, tranne una, che finalmente riesce a strapparmi il primo sorriso di oggi ancora prima di aprirla: è del professor Fielding! Cosa mai vorrà il mio adorabile professore?
Clicco sul messaggio e comincio a leggere:


Cara signorina Callaway,
Innanzi tutto, spero che Lei stia passando lietamente le festività di Ognissanti.
Le scrivo per chiedere a Lei e al Sig. Kite Jones un colloquio nel mio ufficio al fine di verificare e tenermi aggiornato sul vostro progetto. Dovrete semplicemente esporre la vostra idea e mostrarmi a che punto siete, e magari potrei darvi qualche dritta.
Poiché sono molto impegnato, spero non sia un problema per Lei, avere appuntamento questo Martedì nel mio ufficio alle ore 18.
Il signor Jones è già stato avvisato e ha dato conferma, attendo speranzoso la Sua risposta.

Affettuosi saluti,

prof. Robert Fielding



Ok, bene, il mio primo sorriso della giornata non è durato più di trenta secondi, sostituito da una smorfia di sofferenza.
Perché oggi il mondo ce l’ha con me? Questa proprio non ci voleva!
Non ho nessuna voglia di trovarmi tra due giorni in una stanza da sola con Kite dopo quello che è successo.
Sono molto tentata di rimandare, di dire a Fielding che non posso, che sono malata, impossibilitata, bloccata nella neve, nel traffico, nelle sabbie mobili o che so io, ma come faccio a dire di no a quel “affettuosi saluti” del mio adorato mentore e beniamino? Non posso deludere anche lui.
Sospiro alzandomi per versare almeno un litro di caffè nella tazza e, dato che nemmeno l’aroma della mia bevanda preferita riesce a tirarmi su di morale, decido che è il momento di svegliare l’orso dal suo letargo, o almeno provarci.
Chiaramente sono costretta a lasciargli un messaggio in segreteria:
“Ciao Andrew, sono io. Immagino che sia pieno inverno là nella tua caverna, ma se non mi richiami quando senti questo messaggio, dichiaro aperta la stagione della caccia in anticipo. Svegliati ciccione, a dopo.”

Non faccio in tempo a riattaccare e allungare la mano verso la mia tazza fumante, che sento la chiave girare nella toppa e la porta aprirsi di colpo.
Mi volto di scatto appena in tempo per vedere Noa entrare decisa nella stanza senza degnarmi di uno sguardo: ha l’aria un po’ stanca, i capelli corvini raccolti in una coda di cavallo e l’aria impettita di chi è deciso a ignorare qualcuno…me.
“Hey, ciao! La notte è andata bene? C’è del caffè caldo se vuoi…”
La seguo con lo sguardo continuando a blaterare, ma lei, proseguendo in linea retta, quasi roboticamente, si infila in camera sua senza aprir bocca e chiudendosi la porta alle spalle.
“Oh sì, ok, fantastico! Anch’io sto bene, è bello chiacchierare con te!” borbotto appoggiando il mento sulle mani e accasciandomi sul tavolo e parlando da sola.
Grandioso.
Torno al computer mentre tendo le orecchie per accertarmi che Noa non mi colpisca alle spalle per farmi fuori definitivamente, e rispondo a malincuore a Fielding dicendo che sì, non c’è nessunissimo problema per martedì!Yuppi du! Si figuri professore, sto emettendo gioia da tutti i pori!
Torno al mio caffè spiando l’orologio appeso accanto al frigorifero: sono le una meno un quarto e non so proprio come qualcosa potrebbe dare una svolta a questa triste mattinata, ci vorrebbe una bella focaccia da Jones, ma il panificio è chiuso e comunque rischierei di incontrare Kite, l’innocente ammiratore segreto maltrattato senza pietà da una Lucy impazzita. Yay.

Nel bel mezzo della mia autocommiserazione, Noa esce dalla camera e faccio appena in tempo a notare che si è cambiata e imbraccia la sua solita borsa piena di libri, che è già sparita a passo di marcia, lasciandomi nuovamente sola.
“Sì, a dopo Noa! Buona giornata anche a te.” Dico senza nemmeno voltarmi e agitando inutilmente una mano verso la porta già chiusa.
Fortunatamente lo squillo del cellulare mi salva dai miei monologhi.
“Non scatenare i cani e posa il fucile, sono sveglio.”
“Buongiorno grizzly lardoso!”
“Sappi che è stato molto, molto difficile svegliarmi e costringere il mio cervello di essere abbastanza vigile per comporre il tuo numero, quindi sarà meglio che tu sia gentile.” Mugola Andrew con voce palesemente assonnata, mentre io sorrido, contenta di sentire finalmente un amico.
“Va bene, chiedo perdono. Come è andato il resto della nottata?” domando io giocherellando con il cucchiaino del caffè.
“Oh bè, direi che è andata bene, se non ci fossero due tizi che non ho mai visto che girano in mutande per l’appartamento e mi lanciano occhiatine ammiccanti mentre mangio i cereali.” Bisbiglia lui con una certa inquietudine.
“Cavoli, ti sei dato da fare!”
“E’ Steve quello che si da da fare! Ma lasciamo stare le avventure della nostra prima donna, tu devi darmi qualche spiegazione! Cos’è successo ieri con Baker?”
“Beh…” sospiro ritornando con la mente a ieri, a villa Van Cortlandt, alla sala da ballo e al balcone, pensando che, non so per quale motivo, non sarei in grado di spiegare proprio tutto a Andrew.
“…il posto era stupendo, ma un po’ troppo affollato da snob, così ho deciso di trascinare Baker in un ambiente più salutare. In più lui non si sentiva tanto bene, quindi era meglio un posto più tranquillo.” Concludo io sentendo tornare un po’ la preoccupazione per il mio stalker.
“Ah, capisco, non regge l’alcool il damerino!” sghignazza il mio amico dall’altra parte della cornetta.
“Più o meno…”
“Deboluccio l’amico. Però sembrava stesse bene quando siete andati via quindi avanti, racconta. Voglio sapere del dopo serata, non provare a divagare!”
Il tono di Andrew è più scherzoso che curioso, ma io non posso fare a meno che emettere una specie di suono scandalizzato.
“Andrew! Idiota, non è successo nulla, mi ha portata a casa e poi è andato via!” esclamo semi offesa.
“Stai tralasciando la parte in cui è salito in camera tua e ti ha fatto dimenticare Bob Fielding o…”
“Andrew!” strillo nuovamente interrompendolo e sentendolo ridere forte della mia indignazione.
“Quanto mi piace prenderti in giro!”
Sbuffo senza riuscire a tenere il broncio, ed Andrew lo sa benissimo, anche senza vedermi.
“No, sul serio” riprende dopo un po’ “va tutto bene?”
“Sì, tranquillo. E’ che Noa è ancora furiosa e io non so proprio che fare, per questo ti ho chiamato.” Spiego io con un tono decisamente meno allegro di qualche minuto fa.
“Sì, lo so. Ho provato a parlarle anch’io alla festa, ma ho temuto per la mia giovane vita dall’occhiata che mi ha lanciato e ho lasciato cadere l’argomento. Ma vedrai che le passerà, ne sono certo.”
“Speriamo bene!” borbotto io, senza troppa convinzione: sono sempre più sicura che sarà un’impresa difficile farmi perdonare, è già dura riuscire a parlarle, figuriamoci scusarsi per un errore che si è capito di aver commesso.
Resto al telefono ancora qualche minuto a parlare delle mie sfortune del giorno e dell’incontro di martedì con Kite e Fielding, poi Andrew mi saluta per andare a sistemare il ‘disastro che ha lasciato in cucina quella checca di Steve con i suoi amichetti’ e io torno a finire il mio caffè ormai freddo.
Sono solo le una e non ho fame, in più è troppo tardi per uscire a correre e comunque non mi sento per niente in forma per farlo, così decido senza troppo entusiasmo di dedicarmi allo studio e di rivedere un po’ il progetto…tanto vale far contento almeno Fielding.


E’ passata solo un’ora e sono già stufa.
Mi sento distratta da ogni cosa-mi sono ipnotizzata per almeno cinque minuti su una briciola di pane rimasta sulla tovaglia…affascinante-, non riesco proprio a concentrarmi.
Mi alzo stiracchiandomi e mi sbuccio un’arancia passeggiando senza meta in salotto e appoggiandomi alla parete accanto alla finestra con lo sguardo fisso nel vuoto.
Potrei guardare un po’ di tivù, oppure mettere su un po’ di musica, magari musica tranquilla, non come quella da discoteca di ieri sera…
Il pensiero di Daniel placcato da quella tizia dai capelli scuri ieri sera mi balena infido nella mente rendendomi improvvisamente nervosa senza motivo.
No, non sono gelosa! Esclamo mentalmente rivolgendomi a un Andrew immaginario nella mia testa.
E’ solo che mi è tornato addosso il fastidio di ieri sera quando quel tonto mi ha abbandonata e lasciata al mio destino, certo, poi si è scusato e sembrava sincero...in fondo,molto in fondo, è stato gentile.
Mi volto verso la finestra e non posso evitare di lanciare uno sguardo per strada, come se dovessi aspettarmi di trovare Daniel Baker lì a sbeffeggiarmi con il suo sorrisino soddisfatto, ma poi mi rendo improvvisamente conto che non avrebbe più alcun motivo di farlo: il suo appuntamento con me l’ha avuto, l’occhio nero è stato ripagato e perdonato definitivamente.
Cavoli, sarà strano non averlo più tra i piedi. 
Cioè dovrebbe essere una vera liberazione- e lo è!- ,ma allora perché non mi sento per niente più leggera, ma anzi quasi un po’ triste?
Forse mi sono abituata troppo alla sua presenza, oppure non so, ho carenze d’affetto da parte di Noa e mi sono ammattita finendo per affezionarmi-affezionarmi! Santo cielo!- al mio stalker.
Gesù, ho bisogno di un altro caffè.


Il pomeriggio passa lentissimo tra un tentativo di studio fallito e l’altro, e la sera, dato che non ho la minima idea di dove sia Noa, sono quasi costretta ad elemosinare la compagnia di Andrew che arriva prontamente da me con due pizze e due birre che ci facciamo fuori davanti alla tivù facendo zapping tra un programma spazzatura e l’altro. Nemmeno la tv mi da la soddisfazione di un qualche film decente oggi.

Mi accorgo di essermi addormentata sulla spalla di Andrew solo dopo qualche ora, quando apro gli occhi rintontita e accartocciata a causa della posizione scomodissima in cui mi sono ridotta durante il sonno per colpa del mio gigante biondo che si è praticamente preso tutto lo spazio ronfando pacificamente con la testa all’indietro.
Manca solo la bava che cola e siamo a posto.
E’ ancora buio e non ho idea di che ore siano, quello che so è che ho davvero molto sonno e non mi sento più il braccio destro, schiacciato amabilmente da un fianco del mio amico dormiente.
Mugolo infastidita spingendo Andrew per guadagnarmi un po’ di spazio, e lui bofonchia qualcosa grugnendo e cominciandosi finalmente a svegliare.
“Ahio, la mia schiena!” si lamenta alzandosi a sedere e guardandomi male con gli occhi cisposi dal sonno e i capelli arruffati più che mai.
“Non lamentarti tu, mi hai segregata in un angolino con i tuoi piedoni!” rispondo io massaggiandomi il braccio insensibile e cercando di scoprire che ore siano sbirciando l’orologio in cucina che però è immersa nel buio.
“Che ore sono?”
“Cos’è, devi andare a farti la tua corsetta all’alba?” ridacchia lui stiracchiandosi sonnacchioso e invadendo di nuovo il mio spazio senza curarsi della mia occhiataccia.
“Comunque sono le sei e mezza! Notte fonda, Lucy! Fammi dormire ancora un po’!” Piagnucola poi controllando l’orologio che tiene al polso e rituffando la testa nel cuscino sul quale aveva passato la notte.
Resto qualche secondo a fissare il vuoto intontita, poi decido di sdraiarmi accanto ad Andrew che si sposta di qualche centimetro per farmi spazio e mi avvolge distrattamente con una delle sue braccia possenti.
Guardo per un po’ il soffitto bianco ascoltando il respiro profondo e regolare di Andrew senza ben capire se voglio tornare a dormire o se svegliarmi del tutto e affrontare la nuova giornata e tutti i pensieri che potrebbero tornarmi in mente.
“Andrew, Noa è tornata?” domando senza neanche accorgermene dopo qualche secondo.
“Mh? Sì, l’ho sentita tornare in un momento indefinito tra il mio quinto e il sesto sogno…”
“Oh, ok.”
Restiamo in silenzio di nuovo per parecchio tempo, tanto che finisco per pensare che Andrew si sia nuovamente addormentato, ma all’improvviso è lui a parlare.
“Quando ti rivedi con quel Baker?”
All’improvviso mi sento sveglia come un grillo: Baker continua a saltare fuori da ogni angolo quando meno me l’aspetto, persino di notte e persino quando non c’è.
“Cosa? No no, io non penso che lo rivedrò. Era solo per farsi perdonare l’occhio nero, l’appuntamento l’ha avuto, quindi…”
“Ah, piantala!” mi interrompe subito il mio interlocutore dandomi uno schiaffetto sulla spalla “Non ti ha certo perseguitato tutto il tempo per una festicciola di Halloween, andiamo! E’ evidente che gli piaci, o che comunque nutre un certo interesse nei tuoi confronti.”
Per un secondo la mente mi vola al ricordo di quella sera stellata in biblioteca e alla voce di Daniel che, decisamente troppo vicina, sussurrava:“…mi piaci, Lucy Callaway, non lo avevi ancora capito?”
Da quella sera ho cercato di non ripensare più a quella specie di confessione e al successivo quasi bacio, liquidando l’accaduto come un momento chiuso in sé stesso, da accantonare nella mente e a cui non badare troppo; dopotutto neanche Daniel ne ha più parlato e quindi ho sempre dato per scontato che le sue parole fossero solo uno dei suoi piani per costringermi ad uscire.
Ma se fosse davvero così semplice? Se piacessi a Daniel in modo sincero, io cosa dovrei fare?
“Bah, è solo un ruffiano e poi non mi interessa!” esclamo dopo qualche secondo di riflessione mentre Andrew sogghigna per niente convinto.
“Sicura?”
“Certo, che domande!Non è proprio il mio tipo!”
Proprio così, Daniel non è esattamente il mio ragazzo ideale, così egocentrico e sfacciato, sempre attento ad uscire con la gente giusta e ad avere i vestiti più alla moda.
Ripensando al mio ex, Tony, me ne convinco ancora di più: era così creativo, dolce e sensibile, era un anima libera, dipingeva e mi chiamava addirittura la ‘sua musa’ quando mi usava da modella per le sue tele… insomma tutt’altro genere rispetto a Daniel.
E’ un microscopico dettaglio il fatto che mi abbia allegramente tradita più volte in tutto l’anno in cui siamo stati assieme e che l’avrebbe continuato a fare se non l’avessi scoperto a donarmi l’ennesimo paio di corna da daino con una sua compagna della Scuola d’Arte.
In ogni caso era l’opposto di Daniel e questo significa che Daniel non può piacermi.
 Insomma, dovrei aver cambiato personalità e gusti improvvisamente!
“Giusto, perchè a te piacciono i tipi intelligenti, maturi, pelati e padri di famiglia…”
Mi volto di scatto verso il mio interlocutore e lo pizzico forte sul petto provocandogli una risata mista alla supplica di mollarlo.
“Ti strappo via un capezzolo se continui con la storia di Fielding!” borbotto lasciandolo andare e tornando a rintanarmi nel mio angolino.
“Roar!” mi fa il verso Andrew divertito interrompendo le sue risate a causa di un sonoro sbadiglio che lo zittisce per un po’, finché non mi accorgo che si è definitivamente riaddormentato.
Lo imito, accoccolandomi sulla sua spalla e sperando che il sonno riesca a deviare i miei pensieri da due occhi verdi dallo sguardo canzonatorio che continuano a intrufolarsi nella mia testa da tutto il giorno.

Alle nove Andrew se n’è già andato  per andare ad accogliere Phil o Neil, non ricordo, uno dei numerosi cugini che, essendo in viaggio dalle nostre parti, è passato a trovarlo.
Dato che Noa non accenna ad uscire dalla sua camera-bunker, mi rendo conto che se resto ancora cinque minuti in questa casa potrei impazzire e deprimermi regredendo in posizione fetale in un angolino della cucina, così decido di prendere armi e bagagli e trasferirmi in biblioteca per ultimare il progetto da consegnare a Fielding domani, anche se preferirei di gran lunga una bella corsa liberatoria intorno al campus, piuttosto che pensare a quanto sarà imbarazzante presentare il lavoro insieme al povero e umiliato Kite.
La giornata in biblioteca passa con una lentezza estenuante, non riesco a concentrarmi su nulla e continuo ad alzare lo sguardo non appena sento la porta della sala lettura aprirsi.
Non capisco come l’assenza di Daniel Baker possa essere addirittura più assillante della sua costante presenza, mi irrita non sapere dove sia finito e mi irrita ancor di più continuare a domandarmelo: forse è tutto un piano per farmi definitivamente impazzire.
Maledetto Baker!
Nel pomeriggio mi si accolla una mia compagna di corso, Emma, che manda all’aria ogni mio tentativo di proseguire nel progetto,sedendosi al mio tavolo e raccontandomi tutti i problemi esistenziali della sua vita universitaria, qualsiasi pettegolezzo le sia giunto su alunni e professori vari, cosa mangerà a pranzo e quanto odi i ragazzi con i baffi.
All’orario di chiusura della biblioteca ho la testa che mi rimbomba della voce della persona probabilmente più logorroica de pianeta, fuggo a casa pensando che, pur non avendo ultimato del tutto il progetto, per lo meno sono riuscita a non pensare a Daniel per tutto il pomeriggio-a dire il vero non sono riuscita a pensare assolutamente a nulla, con quella macchinetta di parole che macinava monologhi seduta al mio fianco-; ora non desidero altro che mangiare qualcosa e dormire.
Sospiro scrutando la porta chiusa della stanza di Noa, sentendone acutamente la nostalgia e sperando che prima o poi sarà disposta per lo meno ad ascoltare le mie scuse.
Sgranocchio un toast seduta da sola in cucina e finalmente mi rintano nel mio letto, cadendo subito in un sonno vuoto e profondo.

“Ciao Kite, sono Lucy.”
“Oh…sì, hem, ciao.”
Percepisco il rossore delle guance di Kite anche attraverso il telefono: poteva questa telefonata iniziare in modo peggiore?
“Ciao. Ti chiamo per il progetto di Fielding, io ho finito quasi tutta la prima parte e forse sarebbe il caso di trovarci magari dieci minuti prima del colloquio per sistemare le cose.”
Mi rendo conto di aver usato le parole sbagliate quando la voce strozzata del ragazzo mi giunge in un rantolio preoccupante.
“Sistemare le cose?”
“Sì, hem, ultimare il tutto, cioè unire il lavoro e decidere come presentarlo, ecco…Giusto?”
“Oh, sì! Ma certo, giusto. Facciamo il punto della situazione così…sì, ecco, va bene.”
“Allora ci vediamo alle sei meno un quarto davanti all’ufficio di Fielding?”
“Cero, va bene…hem, benissimo, sì.”
“Perfetto, a dopo Kite!”
Riattacco con un sospiro: per lo meno stasera gli chiederò scusa per il mio comportamento brutale e almeno un po’ d’imbarazzo sparirà, credo…spero!
Osservo l’orologio: sono le tre del pomeriggio e il silenzio in casa è sconfortante.
Noa è uscita dalla sua camera solo per pranzo e non sono ancora riuscita a fermarla e a parlarle con calma dato che dovevo finire questo stupido lavoro e il suo broncio costante mi ha del tutto scoraggiata dall’accennare a qualsiasi tentativo di scuse.
Ora se ne sta rinchiusa nella sua tana e non riesco a concentrami su nient’altro che sui rumori che arrivano da lì: sembra che sia sistemando la stanza, o qualcosa del genere, la sento rovistare in giro, sfogliare pagine e aprire cassetti, o almeno è questa la mia impressione.
Torno a digitare le ultime cose sul mio portatile e finalmente, dopo altri dieci minuti, mi stiracchio sulla sedia e salvo il documento: fine!
Ma non faccio in tempo a godermi la sensazione di soddisfazione che la porta della camera della mia coinquilina si apre bruscamente e, senza che io abbia il tempo di stupirmene, Noa mi si piazza davanti a braccia incrociate e fissandomi dritta in faccia.
Ommioddio, vuole parlarmi, abbracciarmi o uccidermi con quel foglietto che tiene in mano?
La sua espressione lascia aperta qualsiasi possibilità, così io accenno a una specie di sorrisetto stiracchiato e la scruto per qualche secondo per poi decidermi ad aprir bocca.
“Ascolta Noa, io volevo proprio scu…”
“No, per favore, non dire niente, non sono venuta qui per chiarire o cose del genere.” Mi interrompe lei bruscamente alzando meccanicamente una mano per farmi tacere e frenando tutto il mio entusiasmo.
Io mi zittisco a metà della mia frase, mentre lei si tormenta una ciocca di capelli scuri arrotolandosela su un dito.
“Allora, dato che mi hai costretta a ripensare a mia madre grazie alla tua mossa da idiota…”
Faccio per ribattere, ma lei mi incenerisce con uno sguardo perentorio che mi convince a restare muta ed ascoltare.
“…e che sono forzata a vederla tra pochi mesi, ho ripreso in mano tutte le cose che me la ricordano per…per cercare di entrare nell’ottica di doverla incontrare.”
Noa fa una piccola pausa in cui sembra lottare con sé stessa per proseguire con calma e io mi sento terribilmente in colpa per averla costretta a riaprire un brutto capitolo della sua vita: capisco sempre di più che sono stata un idiota impicciona, devo ammetterlo.
“Comunque, tra le cose che tenevo da parte ho trovato una cosa che bèh, credo ti possa interessare.”
La guardo incuriosita mentre appoggia sul tavolo di fronte a me il foglietto che si rivela essere una specie di depliant ripiegato su sé stesso: sul lato che mi si presenta agli occhi c’è quella che sembra una foto di gruppo di una trentina di ragazzini sistemati ordinatamente, come si fa a scuola per l’annuario.
In alto capeggia una scritta rossa a cui non faccio molto caso perchè, confusa, alzo subito lo guardo su Noa a e lei con aria seria, mi fa cenno di tornare a osservare la brochure.
“Guarda bene. L’avevo detto io di averlo già incontrato da qualche parte.”



Sì, so che non è un capitolo molto emozionante, ma serve anche lui poverino :)
Il prossimo sarà molto più interessante.
Cos'avrà scoperto Lucy? Dadadadan! Accetto scommesse su cosa troverà sul depliant!
E poi volevo fare un sondaggio per attirare l'attenzione su Daniel, il latitante di questo capitolo: come lo immaginate? Sono curiosa di sapere come ve lo siete figurato in testa, quindi se volete lasciate nella recensione una foto di qualche attore/cantante/modello che vedreste bene come prestavolto.
Bene, per oggi è tutto, gente!
Un bacio,

Ireth

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 

The Bakery


Capitolo IX


Ciao a tutti, cari lettori, sono tornata!
Scusate l'attesa, ma sono in un periodo catastrofico: non ho il tempo per scrivere due parole di fila!
Comunque alla fine ci sono riuscita e ho messo insieme il nono capitolo, spero riusciate ad arrivare in fondo perchè è un po' infinito :)
Se ce la fate, ci vediamo alla fine!




Osservo confusa il depliant e mi concentro sulla scritta rossa in alto: “Centro S. James: per le famiglie colpite dall’alcolismo.”
Guardo nuovamente Noa che mi osserva con espressione neutra.
“Cos’è?” chiedo sconcertata: mi sta proponendo di andare a farmi curare in una specie di centro di recupero? Non ero ubriaca quando ho parlato con sua madre, solo un po’ idiota, ma ubriaca no.
“Mi ci ha portato mio padre, era un centro per i famigliari di chi aveva avuto problemi con le dipendenze. E’ stato utile: c’erano molti giovani e... niente, ti consiglio di guardare la foto.”
Con una mossa brusca gira i tacchi e se ne torna in camera lasciandomi qui con questo coso in mano e un’espressione intontita.
Mentre la porta della stanza si chiude, torno immediatamente a concentrarmi sulla foto, come mi ha appena suggerito la mia coinquilina con quel tono misterioso: ci sono una trentina di adolescenti in posa, tutti sorridenti, scorro lo sguardo sui loro visi cercando di cogliere una qualche faccia familiare e, dopo qualche minuto, individuo in prima fila un’inequivocabile Noa di dieci anni più giovane, ma con gli stessi lineamenti eleganti, i capelli corvini già molto lunghi legati in una treccia e la carnagione scura che risalta in mezzo alle due bambine pallide che ha di fianco.
Sorrido intenerita, ma ancora non capisco il significato di questa foto, così continuo a scorrere i vari faccini finché, all’improvviso, lo vedo.

Non ci si può sbagliare, è assolutamente lui, lì in mezzo alla seconda fila di ragazzini c’è un giovanissimo Daniel Baker che mi fissa con i suoi occhioni verdi da una foto di dieci anni fa.
Resto a fissarlo stordita e senza parole: è proprio lui, non c’è alcun dubbio, anche se ha i capelli un po’ più lunghi, in un taglio a caschetto da bravo bambino e un maglioncino rosso stinto che dubito indosserebbe ora come ora.
Per un attimo mi viene da soffocare una risata per quanto è buffo e tenero-potrei ricattarlo tutte le volte che voglio con questa foto!-, ma l’impulso svanisce non appena ripenso al contesto in cui si trova: se è in questo depliant significa che qualcuno vicino a lui, forse un suo parente, ha avuto problemi di alcool e che questo l’ha colpito da vicino.
Oh merda.
All’improvviso mi ricade addosso il ricordo di quanto sia stata orribile con lui la sera della festa e mi sento ghiacciare dentro.
Gli ho urlato contro, l’ho chiamato ‘figlio di papà’ senza sapere nulla di lui e della sua famiglia.
Brava, Lucy! Complimenti, ti sei meritata il premio di persona più orribile di questo mondo!
Dio santo, cos’ho fatto?
Mi alzo di scatto dalla sedia sentendomi improvvisamente in preda a un febbricitante stato di iperattività: devo fare qualcosa, devo andare da Daniel Baker, devo vederlo ora. Assolutamente.
Mi fiondo in camera mia sempre più agitata, non so cosa mi stia succedendo, è come se il mio corpo si stesse muovendo da solo e nella mia testa rimbombasse un unico pensiero: devo trovare Daniel più in fretta possibile e…e poi?
Mi blocco al centro della stanza tornando improvvisamente in me e lasciandomi cadere seduta sul letto mentre un barlume di lucidità si accende nel mio cervello: cosa pensi di fare, Lucy? Cosa dovresti dirgli? Non sai nemmeno dove abiti…
Però potrei chiedere a Zackary…Zackary! Ma certo! Mi basta andare a casa sua, lui saprà sicuramente dove abita il suo amicone!
Mi sento il cuore in gola mentre apro l’armadio e comincio ad afferrare i primi vestiti che mi capitano sotto mano, mi infilo i jeans più rapidamente possibile per poi accorgermi di aver infilato la gamba sinistra al posto della destra.
“Dannazione, dannazione, dannazione!” esclamo sbuffando scocciata per poi bloccarmi nuovamente.
Non posso piombare in casa di Zackary così! Insomma, è da maleducati!
Rimango di nuovo paralizzata in piedi, al centro della stanza in mutande con i pantaloni in mano e un gran senso di confusione nella testa.
Andare da Zackary solo perché sto delirando in maniera preoccupante sulla salute del mio stalker non è normale, vero? Non lo farai, Lucy, sei una persona per bene, giusto?…Giusto?
“Oh, al diavolo!”



Dlin dlon!
Appena suono il campanello la sensazione di essere una completa idiota in preda a un raptus di follia mi piomba addosso implacabile.
Che diamine sto facendo qui alla porta di un milionario?
Nonostante il mio pessimo senso dell’orientamento sono riuscita a raggiungere casa Van Cortlandt senza sbagliare mai strada e, avendo trovato il cancello d’entrata già spalancato, sono riuscita a entrare indisturbata e a parcheggiarmi dove si era fermato Daniel la sera della festa, vicino alle stalle.
Di giorno la villa è ancora più maestosa, se possibile, e il grande parco tutto intorno mi si presenta in tutta la sua enormità nella luce delle tre del pomeriggio e mi fa sentire ancora più piccola e stupida di quanto non mi senta già in questo momento piuttosto irreale.
Perché non sono rimasta a casa? Perché ultimamente il mio istinto prevale decisamente troppo sul mio buonsenso? Rischio addirittura di arrivare in ritardo da Kite e Fielding, è un disastro!
Non faccio in tempo a rendermi conto che se corressi davvero veloce forse riuscirei a fuggirmene a gambe levate verso macchina, che la porta si apre all’improvviso presentandomi davanti  la figura nobile e impettita di Javier, il pingui…maggiordomo.
“Buongiorno Signorina Callaway, si accomodi, prego.”
Per qualche secondo resto interdetta e completamente shockata dalla memoria stupefacente di quest’uomo che ricorda il mio nome già dopo una sola presentazione, poi mi riscuoto e salgo esitante il gradino che mi manca per varcare la soglia.
“Salve signore, hem, io volevo solamente…” inizio io stringendomi nelle spalle intimidita dallo sfarzo che quella casa trasuda anche durante il giorno.
“Prego, mi dia il cappotto.” Mi interrompe Javier afferrando delicatamente la mia giacca e sfilandomela come in un gioco di prestigio, senza lasciarmi il tempo di oppormi o di accorgermi cosa stia succedendo.
“Sì, ecco io non mi volevo fermare per molto! Cercavo solamente Zack...cioè il signor Zackary, sa…” balbetto mentre l’uomo, con la grazia più convincente mai vista al mondo, mi spinge cortesemente verso la stanza attigua: un salottino con un parquet scuro e lucidato a dovere, un tappeto sui toni del rosso dall’aspetto sofisticato e delle poltroncine color crema che sembrano accoglienti e sofficissime.
“Si accomodi pure qui, il signorino Van Cortlandt la raggiungerà a breve. Il piano bar è a sua disposizione, naturalmente.” Aggiunge poi il maggiordomo indicandomi una specie di carrello pieno di bottiglie di vetro colorate, per poi scomparire dalla stanza lasciandomi sola.
“D’accordo! Ma veramente…”
Le parole mi muoiono in bocca perché il mio nobile amico pinguino dalla memoria d’elefante se n’è già andato ed io sto per morire dall’imbarazzo nel sapere che tra pochi minuti mi si presenterà davanti Zackary e io rimarrò lì come un tonno a boccheggiare frasi sconclusionate su Daniel Baker.
Hmm, quanti animali in una sola frase.
Oddio, devo tornare in me! Scappare dalla finestra è un opzione condannata dalla società? Dalla società Van Cortlandt di sicuro, credo.
Un rumore di passi attutiti dalla moquette che sta all’ingresso mi risveglia dai miei pensieri da fuggitiva e spezza ogni mia speranza di darmela a gambe.
“Lucy Callway, buonasera!”
Alzo lo sguardo su Zackary e noto subito il suo sorriso un po’ inquietante su quel viso dall’espressione gelida dovuta forse ai suoi occhi azzurro ghiaccio.
Porta un dolcevita blu e dei pantaloni beige che si intonano meravigliosamente con quella sua aria da giovanotto rampante che sta per andare a farsi due tiri a golf, non troppo ingessato, ma sempre elegante.
“Ciao Zackary! Hem, io…” lo saluto io alzandomi in piedi a disagio e sentendomi avvampare dalla vergogna…come glielo chiedo senza essere presa per una disperata?
“Sì, ecco io cercavo…”
Mi rendo conto di balbettare e per un momento vorrei tanto che non se ne stesse lì impalato a fissarmi con quell’aria di superiorità e dicesse qualcosa per interrompere i miei pietosi tentativi, perché di sicuro non mi sta rendendo le cose più facili!
E dai, Lucy, non farti intimidire da questo bamboccio dai capelli platinati, vai al punto!
Mi schiarisco la voce e metto su la mia faccia tosta migliore: “Volevo chiederti dove posso trovare Daniel Baker.”
Il sorriso del ragazzo si amplia ancor di più ricordandomi quello di uno squalo che pregusta già la sua preda: vittorioso e molto, molto soddisfatto.
Oh mamma, chissà cosa starà pensando?
“Vieni con me.” Dice all’improvviso dopo qualche secondo di silenzio e voltandosi di scatto verso l’ingresso.
Io lo guardo spiazzata e mi ritrovo a inseguirlo trotterellando per star dietro a quelle due pertiche che si ritrova al posto delle gambe senza capire cosa diamine abbia in mente.
“Zackary, hem, io me ne vado anche subito, avevo solo bisogno di un’informazione, ma se è un problema io…Ma dove stiamo andando?”
“Non preoccuparti, vieni.” Risponde semplicemente lui avviandosi verso il piano di sopra e salendo le scale che avevo percorso anch’io insieme a Daniel la sera della festa.
“Ma...Zackary!” gli corro dietro io cercando di non sembrare troppo stizzita dal suo comportamento da lord misterioso e sperando di non perdere troppo tempo con questa storia.
Per un attimo mi torna in mente il fatto che era stato Zackary a dare a Daniel le chiavi per il planetarium allo scopo di ‘intrattenere qualche ragazza’ e per un attimo mi sento un pochino in trappola…dopotutto io questo tizio non lo conosco granché bene.
“Zackary, dove stiamo andando?” domando nuovamente mentre, terminata una seconda rampa di scale, ci dirigiamo verso un corridoio sul lato opposto della villa rispetto alla Sala delle Veneri.
Forse stiamo andando nel suo studio a prendere, che ne so, il biglietto da visita di Baker - non mi stupirei ne avesse uno-, forse rispondere a queste domande a voce è fuori moda tra i nobili snob.
Zackary non apre bocca e continua a camminare svoltando un angolo e facendomi ritrovare in un altro corridoio dall’aspetto meno lussuoso: i muri sono tappezzati con una fantasia su dei toni chiari, i pavimenti di un parquet rossiccio dello stesso colore delle tre porte chiuse che mi fanno pensare alle stanze di un albergo.
Osservo il padrone di casa avvicinarsi a una delle porte e prepararsi a bussare, voltandosi prima nella mia direzione: devo avere un’aria stranita perché non capisco ancora cosa abbia intenzione di fare e sono piuttosto arrabbiata ora come ora.
“Cavoli, Zackary! Mi vuoi dire dove mi stai portando?!” sbotto riempiendo lo spazio che ci distanzia e parandomi davanti a lui cercando di apparire minacciosa pur arrivandogli a malapena al petto.
Lui mi sorride ancora e stavolta sembra essere leggermente meno spaventoso, un po’ meno gelido del solito, ma non riesce comunque a calmarmi.
Apri quella bocca e dì qualcosa, stupido riccone dei miei stivali!
Ma non faccio in tempo a scagliarmi di nuovo contro il mio biondo accompagnatore che, con un colpetto deciso delle nocche, lui bussa alla porta e, senza aspettare risposta dall’altra parte, la socchiude.
“Daniel? Hai visite.”

Credo di aver smesso di respirare.
E di muovermi,  e di parlare e di pensare.
Daniel? Qui? Adesso?  Questa coincidenza proprio non l’avevo prevista.
“Davvero? Chi è? Dai, entra!”
La voce di Daniel dall’altra parte della porta mi fa sobbalzare: oddio, è davvero lui. Cosa ci fa qui? E ora cosa gli dico? Con quale scusa posso…

Senza potermi opporre, Zackary apre con slancio la porta costringendomi con il suo corpo ad avanzare di un passo verso l’interno.
La prima cosa che noto è Daniel che mi guarda con un’aria piacevolmente stupida disteso comodamene su un letto, con la schiena appoggiata alla testiera e un computer portatile posato in equilibrio sulle gambe.
Non l’ho mai visto in tenuta casalinga e la cosa un po’ mi spiazza, nonostante l’abbia visto persino in costume, è come invadere un suo spazio che non mi appartiene: ha una maglietta grigia con uno scollo a V e dei pantaloni della tuta scuri, i capelli sono scompigliati e il viso un tantino assonnato.
Per distogliere lo sguardo dalla sua faccia fin troppo contenta, mi do rapidamente un’occhiata attorno: è una stanza piuttosto grande e spaziosa illuminata da una grande finestra, i mobili in legno chiaro sono semplici e comprendono una scrivania con qualche libro sparpagliato sopra, una libreria, e il comodino accanto al letto.
Sembrerebbe proprio la tipica camera da letto di un ragazzo, ma sarebbe assurdo, insomma, non può  certo abitare qui, probabilmente è la sua camera degli ospiti personale provvisoria, gentilmente prestata dal suo amichetto inseparabile.
“Vi lascio soli, a dopo!” Ci saluta l’amichetto in questione riportandomi alla realtà e chiudendo la porta alle sue spalle, lasciandomi in balia di Baker.
“Ciao Zack!” esclama Daniel senza smettere di sorridere in un modo che non promette per niente bene e chiudendo lentamente il suo pc per poi appoggiarlo sul comodino.
“Allora Lucy” inizia poi rivolgendo il suo sguardo verso di me inarcando le sopracciglia e trattenendo a stento la soddisfazione che gli luccica negli occhi “l’avevo detto che prima o poi saresti stata tu a seguirmi.”
Sbuffo infastidita al suo sorrisone malizioso e infilo le mani nelle tasche dei jeans stringendo tra le dita il depliant che mi ha portata fin qui: come posso affrontare questa faccenda così come niente fosse?
“Non ho intenzione di appiccicarmi come una sanguisuga come hai fatto tu, Daniel, non emozionarti troppo!” borbotto senza troppa convinzione mentre lui mi fa cenno di sedermi accanto a lui sul letto battendo una mano sul materasso.
“Dai, siediti!”
Sospiro rassegnata e seguo il suo consiglio accomodandomi sul bordo del letto, cercando di non sedermi troppo vicina al mio stalker esaltato.
E’ strano averlo così vicino in carne ed ossa, tranquillo e beato, dopo questi due giorni di preoccupazione per lui: sembra che non sia successo niente, sembra che la sera della festa e tutto il resto non sia mai avvenuto.
Lui infatti mi continua a fissare divertito dal mio imbarazzo e per niente infastidito.
“Dai, piantala di guardarmi così.” Mugolo io incrociando le braccia scocciata pur rendendomi conto che sono io quella che è piombata in camera sua senza preavviso…cavoli, non so proprio come gestire questa situazione!
“Bèh, sono sorpreso di essere riuscito a portarti a letto così facilmente, lasciami godere il mio momento!”
“Sì bèh, sono una ragazza facile, dovresti saperlo.”
“Vedo! Allora mi spoglio io o inizi tu?”
Mi volto per tirargli un piccolo schiaffetto sulla gamba mentre lui continua a ghignare impassibile alla mia reazione manesca.
“Bèh, come stai? Ti sei ripresa dalla festa?” domanda poi, soddisfatto di essere riuscito a rompere la barricata di silenzio che mi circondava tre secondi fa.
“Sì, sono sana e salva. E tu?” chiedo a mia volta cercando di non dare troppo peso alla mia domanda ed evitando di fissarlo negli occhi: non voglio ricordargli il momento più spiacevole della serata, quelle mie urla da pazza mi fanno ancora arrossire dalla vergogna.
“Sto benone, ci vuole più di una festa per abbattermi del tutto!”
Alla sua risposta torno a guardarlo: i suoi occhi verdi scuro ammiccano nella mia direzione, rassicuranti e privi di qualsiasi traccia di brutti pensieri.
Sorrido nervosamente anch’io tamburellando con le dita sulle ginocchia e riflettendo su come fare per affrontare l’argomento depliant…è davvero necessario? E’ davvero necessario rischiare di turbarlo per una mia curiosità? Perché voglio sapere così tanto cosa ci fa in quella foto? Non sono affari miei dopo tutto…
“Lucy, perché sei venuta?” domanda lui con voce all’improvviso più bassa e seria, posando la sua mano sul mio ginocchio e avvicinandosi un pochino per puntarmi addosso uno sguardo diretto e penetrante.
Probabilmente si aspetta che io sia venuta per ben altri motivi dato il suo improvviso cambio di tono che è diventato, come dire, un tantino più seducente.
Lo scruto mordicchiandomi preoccupata il labbro sapendo di doverlo contraddire prima che si illuda troppo: spara fuori la verità, Lucy. Mostra la tua vera natura di colossale impicciona.
“Hai presente la mia amica…la mia coinquilina Noa?” comincio io sentendo il mio cuore accelerare i battiti mentre lui annuisce “Bèh, lei ha vissuto per un certo periodo con sua madre e suo zio che aveva problemi d’alcolismo…”
Indago sul viso del mio interlocutore per cogliere una qualsiasi traccia di tensione, ma Daniel mi ascolta con aria concentrata, anche se sembra un tantino confuso dalle mie parole.
“Ecco, lui picchiava sua madre e sua madre non cercava mai di opporsi, anzi lo difendeva sempre e non era una bella situazione per Noa, come puoi immaginare.”
Daniel annuisce nuovamente con aria comprensiva, ma un ancora senza capire…ovviamente non sa perché diamine io stia parlando di Noa e della sua famiglia!
Arriviamo al punto, va!
“Comunque alla fine lei ha superato la cosa, è andata a vivere con suo padre e ora ha me come coinquilina quindi…”
“Dalla padella alla brace!” ride lui  accennando un sorriso che io ricambio con un’alzata di spalle.
“Sì bèh, insomma ora sta bene però è dovuta andare in una specie di centro di recupero e…insomma, prima mi ha dato questo.”
Estraggo piano piano dalla tasca dei pantaloni il depliant e trattenendo il respiro glielo allungo titubante studiando ogni sua espressione: ormai la frittata è fatta.
“Cos’è?” chiede Daniel rigirandosi il foglietto tra le mani e bloccandosi improvvisamente alla vista della scritta e della foto: preoccupata osservo il suo viso indurirsi, la mascella irrigidirsi e lo sguardo farsi vacuo e privo d’espressione.
Deglutisco impaurita dal suo silenzio e dal lieve tremore che ha preso le sue mani e che fa tremolare leggermente la brochure, la pelle delle sue guance è impallidita molto e il pensiero che possa avere un altro attacco di panico mi mette improvvisamente in allerta.
“Daniel?” Bisbiglio sporgendomi verso di lui e toccandogli un braccio senza ricevere alcun cenno in risposta se non sentire un tremito più forte attraversargli tutto il corpo e il respiro farsi più difficoltoso.
Oh mio Dio, no! Non di nuovo!
Senza ben sapere cosa sto facendo mi lancio addosso a lui stringendolo forte e spingendo la sua testa sulla mia spalla premendo una mano sui suoi capelli, come a proteggerlo dal mostro che lo sta attaccando dall’interno.
Lo sento tremare abbandonato contro il mio petto mentre percepisco il suo respiro caldo e intermittente contro il collo e non riesco a far altro che continuare a stritolarlo contro di me come un bambino, sperando che tutto finisca.
“Shht, shht…” riesco a biascicare cullandolo piano avanti e indietro e sperando che in qualche modo possa servire a qualcosa, a calmarlo, a farlo tornare sereno.
Forse dovrei chiamare qualcuno, ma ho l’irrazionale sensazione che se lo lasciassi anche solo un secondo, potrebbe peggiorare tutto ancora di più, o forse sono semplicemente spaventata e in balia del danno che ho combinato.
Che ti ho fatto, Daniel? Cosa devo fare per rimediare!?
“Va tutto bene, Daniel, shht…” continuo con il cuore in gola e la voce strozzata rendendomi conto di non essere per nulla rassicurante, ma notando che i respiri si fanno lentamente leggermente più regolari.
Passo cautamente su e giù una mano sulla schiena di Daniel e mi accorgo di quanto sia calda la sua pelle anche da sopra la maglietta, forse in occasioni del genere sale anche la febbre, o qualcosa di simile? Dovrei toccargli la fronte, ma non oso spostarmi per non disturbarlo, dato che ho l’impressione che stia tremando sempre meno…forse sta passando…
Appoggio piano la mia guancia sulla sua spalla e restiamo fermi così per un tempo che sembra interminabile, io senza smettere di dondolarmi avanti e indietro accarezzandogli la schiena e lui immobile, sempre meno scosso da quegli orribili brividi.

A un tratto lo sento sospirare profondamente e d’istinto alzo la testa, mentre avverto che lui fa lo stesso allontanando lentamente il viso dalla spalla su cui l’aveva appoggiato tutto quel tempo, facendoci trovare così l’uno di fronte all’altra.
“Stai bene?” domando sottovoce e cercando di studiare il volto stravolto che mi trovo davanti: ha gli occhi lucidi, la fronte imperlata di sudore ed è impallidito parecchio, ma sembra messo meglio della sera della festa.
“Sì.” Mormora lui senza far trasparire alcuna emozione se non un estrema stanchezza “Scusa.”
Lo sguardo di Daniel ha perso ogni traccia del suo spirito giocoso e questo mi fa stringere il cuore: è tutta colpa mia e lui mi chiede scusa?
“Figurati.” Pigolo, rendendomi conto di quanto possa essere stupida questa mia risposta “Non dovevo impicciarmi così…mi dispiace davvero tanto di averti ridotto così…ancora.” Aggiungo velocemente sentendomi peggio di una cacca fresca calpestata su un marciapiede.
“No, tranquilla, non è stata colpa tua, non potevi saperlo. Succede sempre quando vengo colto alla sprovvista con questo argomento.”
Il ragazzo accenna un sorriso rassicurante e sembra essere tornato un po’ in sé...per lo meno ha ripreso colore e non ha più la voce tremolante di qualche secondo fa.
“Scusami, non te ne parlerò più! Davvero, sono stata maleducata a venire qui a farti domande e cose del genere!” esclamo io gesticolando sconnessamente per sottolineare ogni mia frase e sciogliendo definitivamente lo strano abbraccio che ancora ci stava legando.
Mi accorgo con orrore che sono quasi sull’orlo di piangere e che la mia voce tremolante e improvvisamente più acuta del solito mi rende ancora più patetica dei miei tentativi di scuse.
Voglio andarmene da qui, lasciarlo solo e sotterrarmi dalla vergogna, ma a quanto pare Daniel non ha intenzione che io finisca sotto un cumulo di terra perché mi posa una mano sul braccio e con voce ferma e tranquilla mi trattiene:
“Te lo ripeto, Lucy: non è colpa tua, è l’effetto sorpresa che mi riduce così. Anzi, se ancora ti interessa, ti racconterò volentieri quello che vuoi sapere, non è un problema parlarne.”
Lo scruto accigliata e per niente convinta: non credo proprio sia la cosa migliore da fare, insomma, se il solo pensiero l’ha ridotto in questo stato, non oso pensare cosa possa succedere parlandone.
“Sicuro?”
“Te lo giuro. Parola di lupetto!” esclama lui alzando solennemente il braccio con due dita tese e ridacchiando.
“Non sei mai stato uno scout, scommetto.” Borbotto io socchiudendo gli occhi sospettosa, ma leggermente rincuorata dalla ricomparsa del vecchio Daniel insopportabilmente scherzoso.
“Può darsi. Ma prometto che non mi succederà niente, anche se potrebbe essere l’unico modo per ritrovarmi di nuovo tra le tue braccia, ma…”
Sbuffo contrariata al suo occhiolino, ma sotto sotto sono sento il magone che mi stringeva la gola allentarsi nel vedere il suo sforzo di alleggerire la tensione nonostante abbia ancora l’aria malconcia e stremata, così mi sistemo meglio sul materasso incrociando le gambe e mettendomi più comoda.
“Se sei proprio sicuro di volerlo fare…”
“Lo sono, sul serio.” Mi dice lui assumendo la mia stessa posizione a gambe incrociate e ponendosi di fronte a me.  “E poi lo so che muori dalla voglia di ascoltarmi.” Aggiunge subito con uno dei suoi soliti sorrisi, forse leggermente smorzato rispetto al solito, ma pur sempre uno dei suoi soliti, irritanti, familiari sorrisi.
“Allora, vuoi ascoltarmi? Ti va di sapere perché sono su quel volantino?”
Un’ultima occhiata verso l’espressione in attesa di risposta di Daniel mi convince a rilassarmi un po’ e ad annuire per incitarlo a proseguire.
“Ti ascolto.”
“D’accordo, cercherò di essere breve, anche se dovrò iniziare da lontano, ma so che ami ascoltare la mia voce, quindi…dai, scherzavo, ora inizio!
Dunque, mio nonno, Herbert Baker, era proprietario di un’impresa piuttosto importante nel ramo delle comunicazioni e tutto andava a gonfie vele, fino a quando non decise di passare la direzione nelle mani di mio padre. A quell’epoca  vivevo con i miei e avevo circa cinque anni, mentre mia sorella ne aveva tre…Sì, ho una sorella, si chiama Cèline…
 Bèh, comunque anche a casa andava tutto bene, per quello che mi ricordo: eravamo una famiglia come tante, vivevamo piuttosto bene in un gran bel quartiere, senza troppi problemi apparenti.
Con il passare del tempo mio padre si cominciò a trovare in difficoltà nella gestione degli affari e nel giro di tre anni bèh, per risparmiarti i dettagli da studente d’economia, finì nella merda totale.
L’impresa di mio nonno fallì piano piano e, sebbene mio padre cercasse di nasconderlo disperatamente, mia madre se ne accorse. A casa cambiò tutto.”
Daniel si interrompe per una frazione di secondo ed io intuisco il leggero rabbuiamento nella sua espressione.
“In quei tre anni mia madre cominciò a bere, forse per non pensare al fatto che eravamo ormai in bancarotta, forse perché mio padre la trascurava e reagiva male ai suoi tentativi di aiutarlo, forse solo perché le andava. Usciva, tornava ubriaca marcia -se non la fermava la polizia- e dormiva, semplicemente.
Mio padre faceva finta di niente: ormai disprezzava profondamente mia madre, non la guardava nemmeno e nemmeno cercava d’aiutarla…era troppo impegnato ad affondare nella sua stessa merda senza chiedere aiuto a nessuno, nemmeno a mio nonno.
Preferiva mandare tutto a quel paese piuttosto che ammettere di avere bisogno di qualcuno.”
Il volto di Daniel trasuda un’amarezza che non gli ho mai visto prima, nonostante il tono della voce sia rimasto lo stesso: pacato e piatto.
Osservo i suoi occhi vuoti puntati sul copriletto mentre si perdono in quei ricordi dolorosi e non oso muovermi o emettere un qualsiasi suono per non intromettermi in quel momento così strano e privato: sembra si sia dimenticato di me, sembra stia parlando tra sé e sé.

“A volte non tornava a casa per giorni: non si occupava più di noi, non gli importava che io e Cèline stessimo a casa da soli con una donna ubriaca che non sapeva nemmeno badare a sé stessa…ci considerava un peso, alla pari dei suoi debiti.
Una sera lei esagerò davvero: eravamo noi tre soltanto in casa e lei collassò sul pavimento della cucina. Io chiamai mio nonno e lui arrivò e scoprì tutto quando arrivammo in ospedale.”
All’improvviso la voce di Daniel si incrina pericolosamente ed io, d’istinto, non posso fare a meno di appoggiargli una mano sul braccio, distraendolo dal suo monologo: non voglio che torni a tremare come prima.
Lui però alza lo sguardo e mi sorride rassicurante per poi proseguire con tono più leggero:
“Quando mio nonno venne a sapere dei debiti di mio padre e dei problemi della nostra famiglia fu comunque troppo tardi: mia madre era consumata dai suoi vizi e, non appena si riprese, fu spedita nella prima delle numerose cliniche di riabilitazione in cui cercò inutilmente di salvarsi, mio padre dovette vendere l’azienda e la casa per saldare i debiti ed io e Cèline andammo a vivere con i nonni.”
Da allora ci hanno cresciuti loro perché mio padre, da vigliacco qual è, ha deciso di scappare da tutte le sue responsabilità. Ha una nuova famiglia ora, e sai come pensa di liberarsi dei suoi sensi di colpa verso di noi? Ci manda dei soldi ogni mese. A quanto pare ora guadagna bene!”
Una risata amara gli sfugge mentre scuote la testa, come a voler sottolineare la sua disapprovazione, poi torna a guardarmi intensamente, serissimo.
“Non è stato facile: i soldi erano e sono pochi, ma siamo riusciti ad avere una buona istruzione grazie ai sacrifici che i miei nonni hanno fatto per noi. Io sono qui grazie a loro e, bèh, anche grazie alla famiglia di Zackary che mi permette di stare qui.”
A questo punto mi sfugge una domanda sorpresa:
“Ma quindi tu abiti qui?”
“Proprio così! Fortunatamente mio nonno e il signor Van Cortlandt sono buoni amici dai tempi del college e lui ci ha sempre aiutato: mi ha dato la stanza e mi ha fatto sentire a casa, pretende di comprarmi addirittura tutto ciò che non posso permettermi: vestiti, libri, computer… Sono riuscito a oppormi solo sulle rate universitarie: quelle le pago io lavorando quando posso, cioè di notte.”
Ecco il perché di quelle occhiaie!
“Di notte? E che lavoro fai di notte?” chiedo sospettosa mentre una serie di mestieri poco rispettabili mi frullano in mente inevitabilmente.
“Bè ne ho fatti vari: il barista, il buttafuori, lo spazzino, il gigolò…”
Alla vista della mia faccia sconvolta scoppia in una sonora risata canzonatoria.
“Ok, forse l’ultimo potrei essermelo inventato per prenderti in giro, ma gli altri sono veri, anche se il barista l’ho fatto per poco: non voglio incontrare troppe persone quando lavoro, non voglio che si sappia come sono…”
Lo scruto attentamente per qualche secondo: possibile che questo ragazzo sia così orgoglioso da non voler mostrare a nessuno questo suo lato più debole?
“Perché?” chiedo fissandolo con aria seria e accorgendomi di come all’improvviso si sia messo sulla difensiva.
“Non voglio, Lucy. La gente è superficiale,vede quello che vuole,  giudica tutto quello che non capisce e io non ho intenzione di spiegare niente a nessuno.” Spiega con un tono all’improvviso duro che non ammette repliche. 
Resto per un po’ a guardarlo così corrucciato e impenetrabile, così barricato nelle sue convinzioni e nelle sue paure e quasi mi sento intimorita nel porgli la domanda che sto per fare.
“Ma se sei così convinto di non dover spiegare niente a nessuno…perché l’hai raccontato a me?”
Daniel solleva lo sguardo su di me con un sorriso così ampio e genuino che mi coglie alla sprovvista tanto quanto il pensiero repentino che mi attraversa improvvisamente la mente senza che me ne accorga: Daniel è veramente bello.
Non so perché questo mi sconvolga così tanto: ho sempre saputo che non è per niente brutto e ho sempre sentito molte ragazze sospirare alla sua vista, ma non l’avevo mai guardato così, seduto di fronte a me, a pochi centimetri dai suoi lineamenti regolari e dal suo sorriso spiazzante.
“Perché me l’hai chiesto.”dice semplicemente dopo una piccola pausa. “Perché ci tenevi a saperlo. E poi, non lo so, forse perché a te l’avrei raccontato comunque.”
Senza motivo mi sento arrossire un po’ così abbozzo un sorriso e sollevo le spalle senza saper bene cosa dire.
“Bèh…sono onorata!” borbotto infine risultando debolmente sarcastica a causa dello sguardo fisso di Daniel che mi sento addosso e mi distrae terribilmente dal trovare risposte un po’ più intelligenti.
Che mi prende?
“Sei stata l’unica a tenermi testa.” Conclude infine inclinando un po’ la testa per osservarmi meglio.
Per distogliere lo sguardo dai suoi occhi mi ritrovo a spostare l’ attenzione sulle sue labbra, solo per una frazione di secondo, solo per un attimo, che però non sfugge allo sguardo di Daniel che mi ritrovo a incrociare non appena rialzo il mio sentendomi incredibilmente colpevole.
“Non è stato facile…sei una vera zecca!” rispondo più velocemente possibile deglutendo nell’accorgermi che il mio interlocutore si è impercettibilmente avvicinato con una strana espressione.
“E tu sei una testa dura!” esclama lui a voce inspiegabilmente bassa sporgendosi ulteriormente verso di me: ormai le nostre facce sono a una spanna l’una dall’altra ed io, pur sentendo il cuore martellare sempre più forte, non sono in grado di muovermi, come al solito in situazioni di questo genere.
Oddio, non sarò come quegli opossum che nei momenti di pericolo si fingono morti immobilizzandosi sul posto? Forse non derivo dalle scimmie, ma dagli opossum…ma perché sto pensando agli opossum?

Daniel è sempre più vicino e mi accorgo che ora è lui a spostare impercettibilmente lo sguardo dalle mie labbra ai miei occhi: oddio, qui non c’è nessun custode che entra all’improvviso nella stanza, devo spostarmi prima che tutto succeda! Devo dire qualcosa!
“Il bodyguard? Tu facevi il bodyguard?” balbetto con una risatina isterica senza ben sapere dove sto andando a parare con il naso di Daniel ormai talmente vicino al mio da poterlo sfiorare.
“Perché?Non mi ci vedi?” ridacchia lui piano senza riuscire a contenere una nota emozionata nella sua voce: ormai è così vicino che riesco a sentire l’odore della sua pelle e il suo respiro tiepido.
“No, non ti ci vedo a tirare pugni e…cose così…” bisbiglio io cercando di temporeggiare in qualsiasi modo, ma senza ricevere collaborazione dal resto del mio corpo che non accenna a volersi spostare di un solo millimetro: solo il mio cuore sembra voler fuggirsene via sbatacchiando contro il mio petto.
I nostri nasi ormai si stanno toccando e quasi non riesco più a distinguere il verde degli occhi di Daniel, mi sento come sull’orlo di perdere l’equilibrio, so che dovrei aggrapparmi a quel minimo di autocontrollo che mi rimane per alzarmi e andare da Fielding e Kite, andare via da questa situazione che non riesco a controllare, ma non ci riesco.
“Bèh, ti ho già fatto un occhio nero: dovresti sapere che ne sono capace.” Sussurra lui accarezzandomi con una mano la tempia mandando del tutto in crisi la mia lucidità: non ho più niente da dire e sento la mia testa vuota come un palloncino.

E quando Daniel appoggia le sue labbra sulle mie è davvero finita:le sfiora piano, come in una specie di carezza, senza fretta, con un tocco così leggero che mi ritrovo a chiudere gli occhi per non perdermi un secondo di quel contatto impalpabile, del profumo di buono che mi circonda, della totale mancanza di pensieri nella mia testa svuotata.
A un tratto, avverto un tremito nel respiro di Daniel, che sposta la sua mano dalla mia guancia alla nuca spingendomi delicatamente verso di lui e baciandomi finalmente, lasciandosi sfuggire un sospiro e abbattendo definitivamente ogni mia razionalità.
Mi ritrovo ad accarezzargli i capelli senza neanche rendermene conto, totalmente stordita dal buon sapore di Daniel che mi ritrovo ad assaporare rimanendo senza fiato.
Davvero sta succedendo? Davvero io, Lucy Callaway, sto permettendo al quello che fino a poco fa consideravo l’insopportabile stalker, di lasciarmi perdere il controllo in questo modo?
L’unica risposta è sì e questa risposta mi sta facendo impazzire quasi quanto il ritmo del respiro di Daniel che accelera quello del mio cuore all’impazzata.
Proprio mentre sento le mani di Daniel scivolare lungo la mia schiena, un suono improvviso paralizza entrambi rompendo bruscamente l’atmosfera silenziosa: è solo la suoneria di un cellulare, ma sembra sia caduto un fulmine dritto in mezzo alla stanza per come mi risveglio all’improvviso sbarrando gli occhi e separandomi fulminea da Daniel che mi guarda con un’espressione altrettanto scombussolata.

Bzzz bzzz! Beeep beeep! Bzzz bzzz! Beep!

Restiamo immobili l’uno di fronte all’altra con il respiro corto e le facce stralunate: sono sconvolta e non riesco a far altro che fissare sbigottita Daniel che con voce roca spezza il silenzio:
“Scusa un secondo, devo rispondere, io…”
Mentre si allunga ad afferrare il cellulare per rispondere, mi nascondo per qualche secondo il viso tra le mani e cerco di fermare la sensazione di panico in cui mi sento caduta: che cavolo ho fatto? Che cavolo abbiamo fatto?
“Pronto? Oh, ciao Cèline…no, non disturbi, hem…”
Daniel si volta nuovamente verso di me e accenna a un espressione di scusa, ma io non riesco a far altro che abbassare lo sguardo in preda all’imbarazzo e all’istinto di fuggirmene via.
Deglutendo mi alzo dal letto sistemandomi i capelli e lisciandomi la maglia con movimenti meccanici, senza motivo: so di essere rossa come un pomodoro e mi sento colpevole in un modo assurdo.
Ho baciato Daniel Baker e mi è piaciuto.
Oh Dio, questo è sbagliato, molto sbagliato!
Indietreggio di qualche passo verso la porta e vedo Daniel osservarmi allarmato e accigliato.
“Scusa un secondo.” Sbotta al cellulare abbassandolo e rivolgendosi poi verso di me.
“Aspetta, Lucy…”
“Io devo andare.” Bisbiglio con una strana voce arrugginita e allontanandomi ancora.
“No,dai…No, Celinè, non stavo dicendo a te, aspetta un secondo!” esclama nuovamente rivolto al telefono, mentre io approfitto della sua attenzione per voltarmi verso la porta e abbassare la maniglia.
Ma prima che riesca a lanciarmi fuori, una stretta improvvisa al polso mi sorprende, bloccandomi e facendomi ritrovare di nuovo di fronte a Daniel e al suo sguardo deciso.
“Se non fossi venuta qui tu, sarei venuto a cercarti io di nuovo, lo sai, vero?” mi spiega a voce bassa, guardandomi dritto in faccia.
Resto ferma per una frazione di secondo e non posso fare a meno di pensare al bacio di poco fa, sentendomi avvampare.
“Devo andare.” Ripeto affannosamente dopo qualche secondo divincolandomi.
Lui mi lascia andare subito ed io mi avvio il più velocemente possibile nel corridoio senza voltarmi indietro, con la testa pulsante e uno strano senso di ansia nel petto: scendo le scale e non incontro nessuno fino nell’atrio dove Javier se ne sta impettito con il mio cappotto in mano.
Come diavolo faceva a sapere che io stavo arrivando?
“Grazie!” bofonchio debolmente strappandoglielo dalle mani e catapultandomi fuori dal portone della villa senza ascoltare ciò che il maggiordomo mi sta dicendo.
L’aria fresca mi porta ancora di più nel tremendo mondo reale e, oltre al panico per aver baciato Daniel –ommioddio, ditemi che non è successo!- si aggiunge anche la consapevolezza di essere in ritardo per l’appuntamento con Kite e Fielding.


Guido come una forsennata fino al college, cercando di mantenere la calma e soprattutto di non sbandare o investire nessuno.
Quando arrivo correndo nell’aula vuota di fronte all’ufficio di Fielding dove Kite mi sta aspettando, lo trovo in piedi con dei fogli in mano e un sorriso impacciato.
“Scusa il ritardo, Kite!” boccheggio estraendo  i miei fogli dalla borsa sbuffando e accorgendomi di essere sudata e accaldata: alla faccia della bella figura che volevo fare con Fielding!
“Non c’è problema!” cerca di tranquillizzarmi Kite sorridendo in modo gentile. “Abbiamo ancora un po’ di tempo per…hem,ultimare le ultime cose.”
“Oh, bene, perfetto: iniziamo…”

Passo i restanti minuti a cercare di concentrarmi su ciò che Kite mi sta esponendo e provando a mantenere i miei pensieri attenti sulla mia parte del progetto, ma è davvero difficile considerando la mia disavventura di poco fa.
Proprio mentre stiamo finendo, dalla porta  dell’aula fa capolino il mio amato professore, in giacca e cravatta come sempre.
“Ragazzi, in un minuto sono da voi!”esclama con la sua bella voce profonda che però, in questo momento, non riesce ad ammaliarmi e a rendermi tranquilla come al solito.
Quando se ne torna dallo studio, uno strano silenzio cade tra me e Kite e solo in questo momento mi rendo conto dell’imbarazzante situazione in cui ci troviamo dopo la mia sfuriata in panificio.
Mi volto a guardare il ragazzo e mi rendo conto di non averlo mai guardato davvero stasera: indossa un maglione turchese che si intona al colore cristallino del suoi occhi e noto solo ora che ha tagliato un po’ i capelli biondi che ora sono più corti ai lati e gli danno un’aria meno indifesa e debole del solito.
Ok, è il momento di sistemare almeno una questione.
“Ascolta, Kite…” inizio con un respiro profondo “mi dispiace per quella volta, insomma, non avrei dovuto aggredirti…”
“No, Lucy, tu hai ragione!” mi interrompe Kite spiazzandomi totalmente per la forza improvvisa del suo tono di voce.
“Hai ragione, io sono stato un codardo per tutto questo tempo!” continua guardandomi incredibilmente negli occhi e senza balbettare “Tu mi piaci e avrei dovuto dirtelo chiaramente! Volevo farmi avanti, davvero…è che mi piaci da tanto e avevo paura…e invece tu l’hai capito lo stesso. Sono un idiota!”
Osservo shockata Kite lanciare un pugno su uno dei banchi in preda a una strana rabbia euforica: che cosa sta succedendo al mondo?
“Ma, Kite” cerco di farlo ragionare io con voce pacata “potevi dirmelo subito! Insomma, senza quei dolcetti misteriosi…”
Alle mie parole il ragazzo si volta con un’aria strana e mi guarda inclinando la testa interdetto.
“Dolcetti? Quali dolcetti?”




Eccoci in fondo, grazie di aver letto a tutti i coraggiosi che sono arrivati fin qui!
Allora, un capitolo bello pieno eh?
Voglio assolutissimamente sapere cosa ne pensate su Daniel e il suo passato, sul bacio e su Kite...insomma, su tutto quanto!
Grazie a tutti per leggermi e recensire!
Vi lascio nuovamente in sospeso, non odiatemi...spero di ritrovarvi tutti al prossimo capitolo!
Alla prossima!


Ireth

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


The Bakery




Capitolo X


Ma chi riemerge dall'oltretomba? Io! Ebbene sì, sono tornata a pubblicare e mi sento terribilmnente in colpa per essere scomparsa e aver lasciato Daniel, Lucy e tutti gli altri in silenzio per così tanto :(
E soprattutto voi lettrici/lettori/...creature?

Beh, in ogni caso basta chiacchiere! Questo decimo capitolo (Già dieci? Wow!) era già pronto da un po' e spero vi piaccia, nonostante a me non convinca del tutto. :/
Ma a voi la parola, buona lettura!


 “Lucy? Lucy?! Ci sei? Terra chiama pianeta Lucy!”
Improvvisamente mi riscuoto con un sussulto e mi trovo a fissare Andrew che mi sta osserva accigliato poltroncina a fianco alla mia.
“Hm? Cosa? Scusa Andrew, non ti stavo proprio ascoltando! Hanno detto qualcosa di interessante?” borbotto sfregandomi gli occhi con una mano nel tentativo di tornare in me e guardandomi intorno: ci troviamo nella grande aula magna del College, impegnati ad ascoltare una delle lunghe riunioni annuali indette dall'università per esporre i vari avvisi importanti o spiegare nuovi progetti a tutti gli studenti, il che di solito mi interessa abbastanza, ma oggi non riesco proprio a seguire il filo del discorso entusiasta che il Rettore sta facendo rimbombare nelle nostre orecchie per colpa dei pensieri che continuano a insinuarsi subdolamente nella mia testa e che io cerco disperatamente di scacciare.
“Bèh niente di che! Le solite cose…ah, ha detto che venerdì si inaugurerà un nuovo planetarium.”
Non posso fare a meno di sussultare nuovamente all’ultima frase di Andrew, che inarca le sopracciglia con aria interrogativa e un tantino scocciata.
“Ma si può sapere che cos’hai? Sembri su un altro pianeta stamattina!”
“Niente, niente…” Sospiro in risposta scuotendo la testa e cercando di scacciare l'improvvisa agitazione, ma senza riuscire a evitare un’occhiata su una delle prime file, nelle gradinate più in basso rispetto alla mia, dove una testa di capelli castani un po’ spettinati, accanto a una biondo platino e a un’altra di stupendi capelli rossi e boccolosi, attira da tutta la mattina la mia attenzione.

Daniel Baker, è sempre lui il problema.
Tutti gli avvenimenti di ieri sera continuano a scorrermi nella mente ossessivamente: la camera di Daniel, il racconto della sua storia e…bèh, quel bacio su cui cerco di non soffermarmi con tutta me stessa.
Deglutisco percependo lo stomaco stringersi e un formicolio spiacevole assalirmi le guance ricordando quel momento che ancora mi sembra assurdo e totalmente contrario a qualsiasi logica.
Non posso ancora credere di essermi lasciata andare così, di aver baciato Daniel Baker senza nemmeno pensare a quanto tutto ciò sia contrario alla mia filosofia di vita da college: tanti amici, tanto studio, niente relazioni complicate!
Con quel bacio ho allegramente gettato al vento il mio amato mantra dando il via a una strana relazione insensata che non potrà che crearmi grattacapi, e per di più con un ragazzo che poco fa consideravo un insettino molto fastidioso!
Devo essere impazzita. E’ stato semplicemente un piccolo momento di debolezza, solo questo.

“Ah-ha! Ho capito tutto ora!”
Mi volto infastidita verso Andrew che mi guarda con la tipica faccetta saccente di chi la sa lunga e un sorrisino soddisfatto.
“Cosa? Hai capito come far scomparire quel rotolino in più sulla tua pancetta?”domando io sarcastica come al solito, senza badare troppo ai deliri del mio amico.
“No, bella mia! Per prima cosa, le tue battute sul mio fisico stupefacente, non mi toccano più. Io sono bellissimo e so di esserlo, caso chiuso. Seconda cosa: ho capito che cos’hai. E' da un quarto d’ora che ti vedo imbambolata sulla terza fila davanti al palco! E solo adesso ho capito chi ci è seduto: è il tuo bell’ammiratore tenebroso il problema! Baker!”Esclama infine alzando un po’ troppo la voce e attirando l’attenzione di qualche ragazzo seduto vicino a noi.
“Andrew, abbassa la voce!” bisbiglio stizzita e all’improvviso nervosa, incassando la testa nelle spalle e lanciando un’occhiata rapida alla fila interessata, nonostante sia materialmente impossibile che le chiacchiere inopportune di Andrew siano giunte fin laggiù.
“Allora ho ragione? Hai finalmente abbandonato Bobby Fielding per navigare verso lidi meno grinzosi?” sghignazza imperterrito lui beccandosi un gran pizzicotto che risulta però piuttosto inutile.
“Ti sbagli! Non navigo da nessuna parte io! Odio le navi, odio il…mal di mare e…Bè,lo stavo guardando perché…perchèlo sai, mi infastidisce! E non è successo nulla, né succederà mai nulla tra me e lui.”
Il mio tono decisamente isterico non convince nemmeno me stessa e mi rendo conto che potrei cominciare ad arrossire da un momento all’altro.
Vi prego guance, non traditemi!
“Che fosse successo qualcosa non l’ho mai detto, hai fatto tutto da sola.”continua spietato Andrew inarcando le sopracciglia “E comunque non capisco proprio perché lo odi così tanto: mi è sembrato un tipo a posto alla festa. Cioè, un po’ troppo principino all’apparenza, ma sono riuscito a scambiarci quattro chiacchiere quando è rimasto lì da solo mentre tu eri andata in bagno, e non è poi tanto male!”
“Ecco, io mi concentrerei sulla parte del principino. Ma poi cos’è tutta questa fretta di sistemarmi con qualcuno? Hai paura che rimanga una zitella piena di gatti che ricopre ogni mobile con centrini di pizzo e passa le giornate a cambiare sabbia alle lettiere?” sbuffo in risposta io alzando gli occhi al cielo ed evitando la domanda che Andrew ha appena iniettato nella mia testa e che ora riecheggia insistente: perché no? Perché non stare al gioco, Lucy? Perché no? Perché no.
“L’idea è quella, odio i centrini di pizzo.E poi perché in due anni di college non ti ho mai vista interessarti a qualcuno che non sia nonno Bobby!”
Scoppio a ridere davanti alla faccia di Andrew che assume un’aria ispirata e corrucciata che imita perfettamente l’espressione tipica del mio amato professore.
“Andrew, sai benissimo come la penso.” Riprendo dopo qualche secondo io sistemandomi meglio sulla sedia e lanciando un’occhiata sul palco dove ha preso parola una professoressa che non conosco “Sai che non voglio impegnarmi in una relazione mentre sono qui: sarebbe solo uno stress e porterebbe solo problemi e distrazioni dallo studio! Già è difficile gestire gli amici…”
Sospiro e lascio vagare lo sguardo sulla testa di capelli corvini qualche fila più in basso e noto che il mio interlocutore fa lo stesso automaticamente.
“…figuriamoci un ragazzo, con tutte le preoccupazioni, incomprensioni, impegni, litigate…” Proseguo poi cercando di distogliere l’attenzione di entrambi dal pensiero di Noah.
“Ma Lucy, così ti perdi anche i bei momenti: quando ci si conosce, ci si piace, le emozioni, gli abbracci e tutto il resto!”esclama Andrew sgranando gli occhioni azzurro mare e facendomi sorridere.
“Per quello ci sarà tempo, siamo giovani…dopo il College ognuno andrà per la sua strada e non sarà servito a niente complicarsi la vita.” Concludo agitando una mano per rendere chiaro il concetto.“E poi senti chi parla! Tu non ti stai certo impegnando per uscire con qualcuna!”
Scruto il mio amicone biondo mentre lui scuote la testa con fare noncurante e tentando di assumere un’aria rilassata.
“Ma io sono pigro, lo sai. Preferisco aspettare che la montagna venga a Maometto e per ora non ci sono montagne in vista, a differenza tua che ti ritrovi un paio di catene montuose che ti sbavano dietro.”
“Ma smettila!”
Andrew sghignazza sottovoce, poi torna finalmente a volgere la sua attenzione verso il palco, lasciandomi di nuovo a riflettere su ieri sera e sulla mia seconda ‘montagna’: Kite, un'altra imbarazzante dimostrazione di come la mia vita si stia leggermente complicando.

Ieri sera il colloquio con Fielding è andato piuttosto bene, nonostante fossi ancora traumatizzata dall’imbarazzante dichiarazione di Kite, ma il problema è che non sono più riuscita a riprendere il discorso che avevamo iniziato prima dell’interruzione del professore visto che alla fine sono dovuta restare nell’ufficio per ultimare dei dettagli della mia parte di progetto, mentre Kite se n’è andato subito, senza lasciarmi tempo di chiarire la faccenda dei pasticcini.
Quella sorpresa negli occhi di Kite quando avevo nominato i dolcetti, mi ha messo addosso un dubbio tremendo: sono loro la prova che mi ha spinto a sospettare che gli piacessi!
Come può non essere stato lui ad averli messi nel mio pranzo? Forse non ha capito bene. Forse ho capito male io.
Devo trovare Kite e chiarire la faccenda, definitivamente, anche se non so assolutamente come comportarmi con lui dopo il suo momento euforico di esternazione dei sentimenti.
Sospiro e mi prendo la testa tra le mani: non so assolutamente cosa dire o fare con lui, ma per fortuna non rischio di incontrarlo all’uscita di questa entusiasmante riunione, dato che probabilmente sta lavorando in panificio e non l’ho visto in giro.
Una persona in meno da evitare, yuppi.


Agli applausi finali mi alzo di scatto e trascino con me Andrew prendendolo per un braccio.
“Andiamo, dai, usciamo prima che ci sia il delirio totale.” Esclamo cercando di non inciampare nei piedi della ragazza seduta a fianco a me, che nemmeno conosco.
“Ehi, tranquilla, abbiamo due ore di pausa prima della prossima lezione…” borbotta Andrew alzandosi pigramente e cercando di allentare la mia presa.
“Sì, ma se aspettiamo ci sarà la ressa, ci imbottiglieremo qui e non mi va.”  Sbotto lasciando schizzare il mio sguardo a destra e a sinistra tenendo sottocontrollo tutte le persone che si stanno poco a poco alzando, ma soprattutto cercando di non perdere di vista la figura di Daniel Baker, ancora seduto al suo posto numerose file più in basso.
Devo riuscire a scendere le gradinate e fuggire fuori prima di lui.
“E va bene, e va bene!” sento Andrew, mentre spintono qualche studente per riuscire a passare e ad arrivare alle scale e alzo di nuovo lo sguardo per controllare la situazione.
Cavoli! Ormai quasi tutti si sono alzati e ho perso di vista il mio obiettivo numero uno.
Sbuffo innervosita e mi volto per vedere a che punto sia Andrew, ma non faccio in tempo a intimargli di muoversi che un ragazzo alto e corpulento placca il mio amico.
“Oh, ma guarda chi c’è! Andrew, da quanto tempo non ti vedo!”
“Lee! Dov’eri scomparso, amico?”
Osservo sconcertata le grandi pacche sulla spalla che i due si scambiano e capisco subito che non posso aspettare le infinite chiacchiere mascoline che sicuramente tratterranno Andrew per troppo tempo, così decido di agitare una mano verso di lui e mettere in atto la mia fuga da questa maledetta aula prima possibile.
Incasso la testa tra le spalle e comincio a scendere la scalinata il più in fretta possibile, sperando con tutta me stessa di non attirare l’attenzione e  soprattutto di non imbattermi in Daniel, o nel suo amichetto biondo platino.
Trotterello giù velocemente, chiedendo permesso e facendomi spazio tra tutti quegli studenti che stanno andando verso l’uscita chiacchierando tra loro.
Su, dai, fatemi passare!
Finalmente, dopo parecchie spinte e gomitate riesco ad uscire all’aria gelida del cortile, dove ci sono ancora solo pochi studenti …Ah, libertà!
Mi guardo indietro furtivamente per cercare la testona di Andrew svettare tra la gente, ma a quanto pare è ancora occupato con l’amico ritrovato, Lee: ho decisamente fatto bene a lasciare quei due omini, perché ora la ressa per arrivare all’uscita è davvero peggiorata e probabilmente il mio compare è rimasto imbottigliato là dentro, come probabilmente ci è rimasto Baker e compagnia bella…
“Hey, ho sentito che inaugureranno un planetarium, che te ne pare, Callaway?”
Oh no.
Oh no. No!
Chiudo gli occhi rimanendo immobile per qualche secondo: non voglio voltarmi, so già a chi appartiene quella voce.
“Non so, non vado pazza per l’astronomia.” Mi trovo a gracchiare meccanicamente, trovando non so dove la forza di affrontare il ragazzo alle mie spalle.
“Ah, davvero?”
Il sorriso sul volto di Daniel Baker splende divertito e canzonatorio come sempre a meno di un passo da me: come ho fatto a non accorgermi di lui e di Zack e Alice seduti proprio sulla panchina di fronte alla porta dalla quale sono appena uscita? Stupida Lucy, sei stata troppo concentrata a guardarti le spalle come un maledetto ninja fallito!
Saluto i due ragazzi seduti con un brusco cenno del capo ricevendo in cambio un enigmatico sorrisetto da parte di entrambi, poi torno a osservare Daniel cercando di non badare al cuore che ha cominciato a martellarmi come un tamburo impazzito e mi impedisce con il suo trambusto di guardarlo negli occhi.
“Già.” Borbotto osservandomi la punta delle scarpe cercando di non pensare al fatto che il cappotto grigio fumo che indossa lo fa sembrare più alto e…affascinante.
“Peccato, se no ti ci potevo portare…ancora.” Continua lui con nonchalance, ma abbassando tatticamente la voce, riducendola a un bisbiglio, sull’ultima parola.
Sento che sto per arrossire, non riesco a far altro che pensare al tocco leggero delle sue labbra sulle mie -ommioddio, è successo veramente?- e questo mi impedisce di comportarmi in modo disinvolto o di trovare una qualche risposta a tono: mi sento terribilmente a disagio e incredibilmente stupida con lui di fronte a me.
“Sì bèh, scusa, ma io devo andare.” Sbotto voltandomi di scatto, tenendo lo sguardo ostinatamente fisso sul selciato, come se mi trovassi davanti a un Basilisco, o qualcosa del genere.
Metto insieme qualche passetto veloce infilandomi tra due tizi, ma chiaramente il Basilisco in questione non vuole mollare la presa.
“Hey, hey aspetta, Lucy!” lo sento esclamare, mentre la sua mano sulla spalla mi trattiene dalla fuga. “Aspetta.” Ripete infine piazzandosi davanti a me e costringendomi a trovarmi faccia a faccia con i suoi occhi verdi.
Deglutisco sostenendo lo sguardo e cercando di rinchiudere ogni mia qualsiasi emozione dietro una faccia totalmente neutrale, impedendo al panico che mi sta invadendo di trapelare.
Alla luce biancastra di questa mattina riesco a intravedere ogni minimo particolare di Daniel: le ombre scure sotto gli occhi, la barba appena accennata, i minuscoli filamenti dorati delle iridi che brillano in modo particolare e una minuscola, invisibile, piccola cicatrice sulla fronte, ultima traccia del nostro primo incontro.
“Dovremmo parlare.”
“No, non credo proprio.” Sentenzio io, tornando con lo sguardo alla ricerca di Andrew, unica ancora di salvezza per trascinarmi via da questa conversazione.
“Quindi vuoi far finta che non sia successo niente?” Continua a voce bassa, incurante delle persone che ci superano lanciandoci qualche occhiatina incuriosita.
“Ecco! Esatto, vedo che mi capisci al volo! Ora, se vuoi scusarmi….”
 Cerco di fuggire ancora, ma vengo placcata subito, di nuovo.
“Ma io non voglio far finta che non sia successo, anzi gradirei volentieri una replica…”
Lo sguardo intenso e deciso di Daniel mi tiene bloccata sul posto: ha usato un tono di voce diverso, più basso e suadente, che mi turba leggermente, nonostante la lieve sfumatura di ironia e sfacciataggine di sempre.
“No, non esiste!” Mi riprendo subito dal mio stato di trance, agitando in modo categorico le mani “Nessuna replica, ok? Considera l’accaduto un…un’edizione limitata, d’accordo? Anzi un’edizione limitata e difettosa, venuta molto molto male e tolta subito dal mercato per evitare altri danni. E non ci sarà nessuna dannosissima replica, ok? Nessuna replica, per il bene del…mercato mondiale!”
“Mercato mondiale?”
Daniel mi guarda divertito inarcando le sopracciglia e trattenendo una risata.
“Bèh, hai capito!” Borbotto scocciata e sentendomi un’idiota per aver tirato in ballo l’economia mondiale o chissà cos’altro. “Adesso lasciami andare, ho lezione.”
“Le lezioni iniziano tra due ore, Lucy. Per favore, prendiamoci un caffè.”
Osservo attentamente il volto ormai familiare di Daniel che mi guarda a sua volta con espressione decisa e per un secondo mi tornano in mente le parole di Andrew sui bei momenti delle relazioni insieme una vocina finora sconosciuta pigola debolmente: “perché no?”.
Ma è proprio nel momento in cui sto per sospirare follemente una risposta affermativa, che in uno svolazzo di stoffa rossa, una figura incappottata si frappone tra me e Daniel aggrappandosi al suo braccio con una risatina.
“Allora, che hai deciso per stasera, Danny?”  cinguetta la voce della ragazza che ci ha appena interrotti, senza curarsi di me e sporgendo il suo viso ammiccante verso quello di Daniel, essendo di parecchi centimetri più bassa di lui.
Non l’ho mai vista prima: è leggermente più alta di me, ma, da quello che si può intuire dalle forme sotto il cappottino, sembra essere anche un po’ più in carne, ha un viso ovale con occhi scuri dalla forma allungata, nasino alla francese e labbra carnose che sorridono suadenti verso un Daniel Baker che sembra un po’ infastidito.
“Hem, te l’ho detto Sammi, ho da fare, non credo di potere…” borbotta lui, cercando di ritrarsi alla stretta della nuova arrivata, e non posso fare a meno di pensare che sembra terribilmente a disagio.
“E dai, me l’avevi promesso però! E’ da secoli che ho comprato il materasso nuovo e nessuno mi aiuta a trasportarlo fino in camera. Non ci metteremo molto…a meno che tu non voglia fermarti…” continua imperterrita lei,  in un tono inequivocabilmente provocante, arrotolandosi su un dito una ciocca dei lisci capelli corvini che le arrivano alle spalle e sbattendo le lunghe ciglia nere.
Li osservo con un crescente senso di fastidio e una sensazione che riconosco come un mix tra la vergogna e la rabbia: il fatto che Daniel sembri improvvisamente nervoso e sconvolto, mi fa sentire ancora peggio.
Che stupida sono stata!
“Samantha, te l’ho detto, non posso. Non hai qualche altro amico che ti possa aiutare?” quasi ringhia lui, liberandosi abilmente dall’abbraccio di Samantha, che però continua a sorridere.
“Non amici così speciali…” ribatte con una voce che sembra fare le fusa, mentre Daniel deglutisce, ancora più agitato lanciandomi un’occhiata sfuggente che mi colpisce come una mattonata e conferma ogni mio dubbio.
Non l’ho mai visto con un’aria così colpevole, è questo il peggio.
“Bèh, in ogni caso” sta continuando intanto la ragazza “se cambiassi idea, io sono sempre là. Sai, in ricordo dei vecchi tempi…”
E, dopo aver scoccato rapidamente un bacio sulla guancia di Daniel, con un occhiolino vivace, si volta e ci lascia nuovamente da soli, senza aver dato il minimo segno di avermi notata.
Io osservo Daniel a braccia incrociate, schiumante di rabbia, mentre lui sembra frastornato: fissa un punto indefinito oltre la mia spalla, toccandosi il punto dove Samantha l’aveva baciato con un espressione a metà tra l’arrabbiato e il confuso.
“Carina la tua amichetta.” Sbotto acidamente senza controllarmi, riguadagnando la sua attenzione.
Non riesco a capire perché sono così furiosa, in fondo non me ne importa un accidente se lui esce con quella tizia, o se ci è uscito, o se esce con mille altre persone. Però vorrei prenderlo a calci, lui e la sua Sammi.
“Oh, bèh sì, è solo una vecchia amica.” Risponde lui tornando a sfoggiare il suo tono di sempre, ma decisamente meno convincente del solito a causa dell’ombra di preoccupazione nel verde degli occhi stanchi.
“Sì, certo. Se mi credi davvero così idiota, hai sbagliato tutto, Baker.” Ribatto freddamente, cercando di non urlare “E comunque non me ne importa nulla delle tue ex o quello che è, perché non me ne importa nulla nemmeno di te o dei tuoi caffè.”
Faccio per andarmene, quando, per l’ennesima volta, vengo trattenuta e costretta a guardarlo di nuovo in faccia, arrabbiata più di prima.
Distolgo lo sguardo dal suo, concentrandomi su Alice che ci sta raggiungendo alle spalle di Daniel camminando lentamente.
“E va bene, una volta uscivamo insieme, ma non devi preoccuparti. E’ solo una mia ex, non devi…”
“Io non sono preoccupata!” lo interrompo infuriata “Non mi importa proprio un accidente di quella Samantha. Un accidenti di niente!”
“Samantha?” domanda all’improvviso la candida voce di Alice, che fa voltare di scatto Daniel, che non l’ha sentita arrivare.
“Lei e Daniel si sono mollati un sacco di tempo fa, ma finiscono sempre a letto insieme.” Continua lei, come sovrappensiero, senza parlare a qualcuno in particolare. “Praticamente ogni mese ci ricaschi, eh, Dan?”
Fisso Daniel disgustata, mentre lui sembra rimasto per un secondo senza parole.
“No, dai, Lucy, non è così! Non la vedo da…”
“Lascia stare. Anch’io ho qualcuno con cui uscire.” Dico gelida, riuscendo a individuare Andrew tra la folla e andandomene via con la sensazione di un enorme peso sul petto.





Ed eccoci in fondo!
E' un capitolo un po' (inconcludente? orrendo? inutile?) ...strano, credo. Un nuovo personaggio è entrato in scena e non so, fatemi sapere cosa ne pensate! :D
 
PS.Mi scuso infinitamente per non essere riuscita a rispondere alle recensioni, ma vi giuro su Andrew che lo farò! Nel frattempo ringrazio dal profondo del cuore chiunque abbia letto, recensito, inserito la storia tra le seguite o preferite. Grazie, davvero.

Alla prossima,



Ireth

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