Mutaforma

di Neese
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I: Nascita e Cambiamenti ***
Capitolo 2: *** La nuova vita ***
Capitolo 3: *** L'Agguato ***
Capitolo 4: *** Prigionia ***



Capitolo 1
*** Capitolo I: Nascita e Cambiamenti ***


La prima cosa che vidi appena aprii i miei occhi fu... Luce! Una luce forte e bianca che filtrava attraverso...
In quell'istante, proprio allora, mi resi conto di non sapere nulla. Dov’ero? Chi ero? Cos'ero? Tra me e il bagliore iniziò ad essermi chiara la presenza di uno strato sottile e leggero, che mi separava da tutto ciò che mi stava attorno. Provai a muovere le mie gambe (erano quello no?), le mie braccia e le mani. Portai le dita di fronte ai miei occhi e le osservai attentamente per la prima volta: mi parevano cosi... fragili! Ruotai le mani fino a toccare il tessuto che mi circondava: sembrava fatto d’infiniti filamenti trasparenti. Toccarli con i polpastrelli mi dava quello che pensavo fosse... il solletico! Quella sensazione piacevole generò in me un suono nuovo, non me ne rendevo conto, ma avevo appena riso per la prima volta. Ad un certo punto sentii altri suoni attorno a me e vidi volteggiare tra me e l'immensa luce, un esserino minuscolo. Era come se stesse controllando se ero sveglia o no: si avvicinò ai miei occhi a tale velocità che istintivamente li serrai. L'esserino rise divertito dalla mia reazione generando un rumore di foglie scroscianti. Lentamente, aprii gli occhi per controllare dove fosse finito e lo vidi fermo pochi centimetri sopra la mia testa. Sorrideva e mi faceva segno di seguirlo. Ma come potevo se ero imprigionata nel tessuto trasparente? Allungai le mani per allontanare quell'intreccio di fili e cercando di sollevarmi ruppi ciò che era stato il mio bozzolo. Da seduta riuscii a vedere tutto attorno a me. Era un posto magnifico. La sorpresa mi tolse il fiato: ero al centro di una radura illuminata dal sole e, tutto attorno a me, crescevano piccoli fiori di ogni colore. L'esserino notò il mio sguardo deliziato e veleggiando sul prato raccolse un piccolo mazzo di fiorellini. Quando tornò da me, allungai le mani per afferrare quel bouquet, ma rapidamente deviò direzione e sentii che stava passando gli steli dei fiori tra i miei capelli. Tornò di fronte a me, ridacchiando, e, sfiorandomi una mano, richiese di esser seguita. Da seduta che ero, provai lentamente a issarmi in piedi. Con molta fatica e perdendo di tanto in tanto l'equilibrio, la segui attraverso gli innumerevoli alberi e cespugli del bosco. Ogni aspetto del paesaggio era per me una cosa nuova, tant'è che ad ogni passo mi fermavo a sfiorare un elemento sconosciuto. Un tronco, una foglia, un masso, ognuno dava una sensazione diversa e nuova.

Passo dopo passo raggiungemmo un fiumiciattolo, poco profondo. L'acqua faceva uno strano suono, era come... un gorgoglio rilassante. Vedevo all'interno altri esseri in movimento, più piccoli di quello che mi stava guidando, ma dalla forma assai bizzarra. Chinandomi a terra, vicino alla sponda del fiume, allungai la mano per arrivare a sfiorare la superficie del fiume. Che gelida era l'acqua! E quanto erano veloci gli abitanti del fiume a sfuggire dal mio tocco. L'immagine della mia mano al di sotto dell'acqua corrente mi appariva distorta e sporgendomi vidi per la prima volta il riflesso del mio volto.
I miei capelli erano di un rosso brillante, gli occhi mi apparivano di un intenso Verde-Acqua e molto grandi. La pelle del viso, come quella delle mie mani appariva candida, sulle guance avevo delle piccole macchioline sperse, il mio naso appariva piccino e teso in modo lieve all'insù. La linea sottile delle mie sopracciglia seguiva il contorno dei miei occhi e tutto il mio viso appariva come un grazioso ovale, contenente una bocca piccina, ma dalle labbra rosate. Sfiorai con le dita ogni lineamento del mio volto, come per rendermi conto che quella che vedevo ero realmente io. Nel mentre, alcuni dei fiori, dai capelli, scivolarono in acqua e mi ritrovai ad osservarli sparire tra le onde del fiume, chiedendomi che fine avrebbero fatto. All'improvviso sentii provenire dall'altra parte del fiume dei nuovi suoni. La mia accompagnatrice parve allarmarsi e insistentemente mi fece segno di allontanarmi dalla sponda per raggiungere l'interno del bosco. Mi scoprii restia ad andarmene da quel fiume dalle acque accoglienti, ma la paura di ciò che stava dall'altra parte ebbe la meglio e, rapidamente e con una maggior stabilità sulle gambe, raggiunsi la mia guida.
Passarono parecchie ore prima che lei decidesse di fermarsi. Non eravamo andate di fretta, tuttavia ero esausta. Con un ultimo sforzo mi fece segno di entrare nella quercia vicino alla grotta davanti alla quale avevamo sostato. Feci per sedermi quando tutto intorno a me sparì e non vidi altro che oscurità. Un attimo dopo, la scatola in cui ero stata rinchiusa, iniziò a muoversi sballottandomi a destra e sinistra. La sentivo chiaramente precipitare. Dove esattamente non so. Passarono pochi secondi, che a me parvero un'eternità, senza che smettessi un attimo di gridare, e alla fine atterrai con un tonfo attutito da qualcosa sotto di me. Il mio trasportino si spalancò permettendomi di vedere dove ero stata catapultata. Era come un'enorme grotta, ma col soffitto crollato da cui entravano i tenui raggi di sole. Le pareti erano tappezzate di rampicanti fioriti e di minuscole casette per la moltitudine di esserini che, come la mia guida, abitavano li. Un fiumicello attraversava per il lungo quell'anfratto naturale, ma, a differenza di quello che avevo visto in precedenza, era privo di vita al suo interno. Assorta nel contemplare quello spettacolo, la mia accompagnatrice comparve di fronte ai miei occhi, entusiasta. Non stava più nella pelle dalla gioia, ma ero indecisa su cosa fare e rimasi seduta nel mio abitacolo a osservare quello che accadeva tutto attorno a me. Dagli anfratti, dai fiori, dagli alberi e da ogni dove iniziarono ad apparire centinaia e centinaia di esserini di ogni colore e aspetto, tutti decisi a raggiungere me e la loro compagna. Molti portavano, tra le loro leggerissime braccia, delicati fiori e piccole bacche, i primi mi furono posti in capo, le seconde mi furono adagiate tra le mani. 
Raggruppatisi tutti attorno a me in un arcobaleno di colori e forme, permisero, a colui che pareva il più anziano di tutti, di raggiungermi e osservarmi. Il suo viso, come quello di tutti i presenti, era teso in un ampio sorriso e, librandosi attorno a me, studiò il mio aspetto da ogni angolazione.
“Finalmente eccoti qui! Benvenuta, mia cara, nel nostro umile anfratto, che noi chiamiamo Casa!” esclamò una volta tornato di fronte al mio volto, ma a debita distanza. “Sai dirmi da dove vieni o cosa ci facessi in quel bozzolo nel mezzo del nostro amato bosco? Ti abbiamo osservata crescere per mesi al suo interno, da una creaturina minuscola come noi, a ciò che sei ora!” 
Probabilmente, osservando le mie esterrefatte espressioni facciali, intuì che non fossi in grado di esprimermi in alcun modo, non disponendo di alcuna conoscenza.
“Fogliolina... ma da quando si è destata, ha mai proferito parola?”
“No, Nonno. Nessunissima” gli rispose la mia guida, che scoprii portare lo stesso nome del suono della sua risata.
“Direi che è il caso di rimediare allora... non vi pare?” chiese il Nonno alla sua famiglia che rispose subito affermativamente con gioia. “Seguici, ti mostriamo il nostro Mondo!”
Con un sorrisone stampato sul volto rugoso, mi tese la minuscola mano e, una volta afferratomi il mignolino, mi condusse al di fuori del mio abitacolo verso il loro Mondo Incantato.

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Capitolo 2
*** La nuova vita ***


Intanto, non molto lontano dal bosco in cui la creatura si era risvegliata, un uomo stava correndo attraverso i cortili ed i portici di un'ampia villa, immersa nel verde. Trafelato, oltrepassò tutti i posti di blocco delle guardie fino a giungere alla porta dello studio del proprio Signore. Fermatosi a bussare, fu invitato rudemente ad entrare.
“Cosa diavolo vuoi a quest'ora Rasmussen? Non dovresti essere a controllare il bozzolo e prendertene cura più della tua stessa vita?” tuonò una voce alla vista dello stregone scomposto.
“Si, signore, ci sono stato, ma stamattina l'ho trovato vuoto!”
“Come è possibile?! Mi avevi assicurato di averlo protetto con le barriere che ti avevo fornito personalmente!”
“Lo so, signore, e così ho provveduto a fare, signore. Ogni giorno le ho rinnovate e potenziate, ma nessuna è stata infranta dall'esterno...”
“Se non sono state infrante dall'esterno, vuoi forse dire che la mia creatura si è svegliata da sola, ha rotto il bozzolo di accrescimento e se ne è andata a gironzolare per il bosco?! Com’è dannatamente possibile visto e considerato che mi avevi assicurato che ci sarebbe voluta ancora una settimana al suo completamento?!”
L'uomo, adirato per l'incompetenza dello stregone, stava per dare in escandescenza. Con tre grandi passi raggiunse l'omuncolo e, dall'impugnare i documenti posti sulla scrivania iniziò a stringere il collo del suo sottoposto, sollevandolo di qualche cm da terra.
“Te lo chiedo ancora una volta! Come è possibile che dal bozzolo sia uscita?”
“Dev... Deve aver completato la maturazi...one a causa della... Luna Piena... non lo avevo previsto... non...”
“Non lo avevi previsto? Era il tuo unico compito controllare la maturazione della creatura! E nemmeno questo sei stato in grado di compiere in modo adeguato!! Vedi di prevedere dove è andata a finire, o io prevedo che molto presto farai una fine molto peggiore di quella che subiresti ora!”
Lo lasciò andare lanciandolo a terra. Rasmussen indietreggiò strisciando a terra, senza allontanare gli occhi dal pavimento di fronte a sé, e raggiunta la porta sulle gambe traballanti strisciò fuori. Recuperata la stabilità, corse nuovamente fino alla caserma delle guardie a radunare uomini alla ricerca della creatura.
“Cosa stiamo cercando esattamente?” s'informò il capitano.
“Una creatura Mutaforma, ma che rimanga tra noi. Se siamo fortunati la troveremo nelle sembianze di una ragazza dai capelli rossi, occhi chiari e dalla pelle bianca. E' vestita di una semplice tunica. Basterà che sappiano questo. i suoi uomini. Prima la troviamo, meno sono le probabilità che mi ritrovi col cappio al collo.”

***

E così iniziò la mia vita nella comunità delle fate, che scelsero per me il nome Amelia, dove imparai a esprimermi, a lavorare assieme a loro, a giocare, a esser felice sia della pioggia sia del sole, a fare corone di fiori e a eseguire le loro danze. In quelle lunghe settimane non conobbi null'altro che gioia e felicità (a parte quando mi slogai la caviglia cercando di acchiappare Fogliolina saltando mentre volava in alto). L'affetto che provavo per loro aumentava sempre più e nonostante le differenze ormai ero parte integrante della loro Famiglia, aiutandoli in tutto ciò che risultava a loro difficile, date le loro dimensioni.
Sin dal primo giorno però avevo vissuto sempre e solo con la mia candida tunica, ridotta ormai a un grigio pezzo di stoffa. Se alle fate, attorno a me, bastavano una foglia o un fiore per coprire il loro corpicino, era necessario procurarmi qualche nuovo indumento, di cui nessuno di loro disponeva.
Per prima cosa tentarono unendo un gran numero di foglie, ma la scarsa resistenza dei fili d'erba e delle foglie faceva sì che l'intero abito durasse meno di mezza giornata addosso a me. Successivamente raccolsero una gran quantità di corteccia, ma ciò che ne ottenevano era una corazza rigida e fastidiosa. Apprezzavo i loro sforzi e mi dispiaceva affaticarli in quel modo.
Fu durante uno dei miei bagni dopo un temporale, durante il quale le fate danzavano attorno a me per evitare gli sguardi degli spioni, che vidi arrivare svolazzando degli abiti veri e propri portati da una piccola squadra di giovani.
Uscii dall'acqua e, asciugatami con del muschio, provai ad indossarli: erano piuttosto grandi per me, ma svolgevano la loro funzione e non c'era bisogno di lamentarsi. La camicia bianca lasciava gran parte del mio petto scoperto, nonostante avessi chiuso i due bottoncini, e i pantaloni, ampi e marroni, mi arrivavano fin sotto i piedi. Con una piccola cordicella me li legai in vita e ne arrotolai le gambe fino al ginocchio.
"Grazie mille" dissi alle dolci fate, commossa.
"Ti sono leggermente larghi" notò Fogliolina ridendo.
"Sì, effettivamente sì, ma sono più che sufficienti, non preoccupatevi!"
L'estate stava finendo e per tutta la giornata io e le fate ci occupavamo di ripulire la grotta dalle prime foglie cadenti degli alberi, in modo che non soffocassero i fiori nascenti. Tutto ciò che veniva raccolto, lo portavamo in un anfratto, dove io, la sera, potevo accendermi un piccolo fuocherello insieme ai rametti secchi.
Quando il sole fu alto in cielo e i suoi raggi entravano in tutto il loro splendore nella grotta, ci riunimmo a pranzare sulle sponde del fiume come ogni giorno. Le fate in realtà non avevano bisogno di chissà quali quantità di cibo, ero io a dover soddisfare i morsi della fame con ciò che le fate raccoglievano per me nel bosco. Ormai avevo imparato di quali bacche fidarmi e quali no, ma il Nonno mi aveva vietato di uscire dalla grotta, temendo m’imbattessi in altri umani dalle cattive intenzioni.
Quel giorno, con i nuovi abiti, più cadenti del solito, gran parte delle spalle restava scoperta. Come di consueto, prima di iniziare il pranzo, raccolsi i capelli cresciuti in una molle coda dietro al capo, così che non mi finissero in viso mentre gustavo la frutta.
“Nonno! Guardi la pelle di Amelia!” esclamò all'improvviso Bollicina.
Tutti quanti si voltarono ad osservare me ed un punto indefinito delle mie spalle. Nonno stesso abbandonò il proprio pasto per alzarsi in volo e vedere da vicino. Abbassai lo sguardo per controllare cosa avessi di strano, e, a parte i due consueti disegni sotto le clavicole, uno per parte, non vidi nulla di strano.
“Ti riferisci a questi Bollicina? Li ho sempre avuti da quando ricordo...” chiesi indicandoli.
“Sono due marchi, Amelia. Due marchi molto potenti. Indicano ciò che sei realmente, ciò che temevo. Ma ora sei qui con noi e non potrà accadere nulla di male né a te né a noi. Forza continuiamo a mangiare!!” incitò il Nonno.
“Hanno un significato, Nonno? Perché li ho da sempre?” domandai istintivamente curiosa.
“Non pensarci ora, cara. Quando sarà il momento ne parleremo.” e volteggiando tornò al suo posto, senza proferir parola.
Nessun altro osò fare ulteriori domande e dopo esserci riempiti la pancia, tornammo alle nostre mansioni della giornata.

***

Dall'alto una coppia di uomini stavano osservando silenziosamente la scena.
“Eccoli li i miei maledetti vestiti! Cosa ci fa una splendida ragazza come quella in mezzo ai boschi e per di più in compagnia di quegli esseri infernali?” bisbigliò il primo.
“Non ne ho idea. Ma pare sia loro conoscente... ho sentito di una ragazza dispersa nei boschi, circa un mese e mezzo fa mi pare. La cercavano lo stregone Rasmussen, il capitano del Palazzo e i suoi uomini. Il primo è stato degradato dopo un mese di vane ricerche. Gli altri ogni settimana pattugliano il bosco. Dovremmo andare al Palazzo e comunicare la scoperta. Probabilmente ci sarà una ricompensa!”
"Sì, ma come li raggiungiamo là sotto?"
"Qui fuori ho visto una grotta. Potrebbe esserci un passaggio che porta a questa. Scendiamo!".
Stabilito il piano, la coppia scese lungo le pareti scoscese, pronta ad agire.
Quando trovarono la grotta ostruita, non restò loro che tornare indietro e raggiungere velocemente il Palazzo per vendere le loro informazioni e richiedere aiuto.

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Capitolo 3
*** L'Agguato ***


Grazie ai miei nuovi abiti, riuscii ad avere ogni giorno qualcosa di pulito da indossare per lavorare. Le nostre attività ormai vertevano per lo più sul disporre protezioni alle case delle fate per l'arrivo dell'inverno e a sistemare all'interno delle cavità abbastanza legna per riscaldarci in quella stagione dal clima rigido. In grandi ceste avevamo raccolto noci, nocciole e alcune zucche selvatiche. Ogni tanto, mi domandavo come sarei potuta sopravvivere solo con quei tre alimenti per tutto l'inverno considerando quanto mangiavo. Se poi le temperature si sarebbero abbassate tanto quanto mi avevano raccontato, come potevo non sentire freddo tutto il giorno con gli abiti leggeri di cui disponevo?
Una mattina discussi con il Nonno delle mie preoccupazioni, ma lui mi rispose tranquillamente che c'era ancora tempo prima che arrivasse il rigido inverno. In fondo era arrivato da poco l'autunno. E una soluzione si sarebbe certamente trovata. La Natura offriva mille risorse, bastava saperle utilizzare nel migliore dei modi.
Fu quella sera stessa, però, che avvenne ciò che avrebbe sconvolto la quiete della mia vita nel Mondo Fatato.
Seduti come sempre attorno al fuoco. Gli uni vicino agli altri, ad ascoltare il Nonno raccontare magiche storie, fummo interrotti da voci che ci arrivavano come echi sempre più forti. Un paio di fate furono mandate a controllare cosa stesse accadendo sulle pendici esterne della grotta. Il resoconto, di ciò che stava avvenendo attorno a noi, non fu dei migliori: decine e decine di uomini stavano raggiungendo la fenditura con fiaccole accese.
“Hanno intenzione di distruggere le nostre case e tutti noi, Nonno”
“Lo so, Figliolo. Preparatevi a scappare. L'unica via d'uscita sicura che ci resta è attraverso la quercia. Una volta tutti fuori, tu, Amelia, entrerai nella cabina di legno e ti tireremo fuori di qui. Speriamo di fare in tempo!”
Le fate immediatamente abbandonarono le loro dimore, dirigendosi a tutta velocità verso l'uscita. Io e Fogliolina, che aveva insistito per restarmi accanto durante la fuga, ci avvicinammo al mio abitacolo, pronte ad entrarvici. Un grande boato ci raggiunse dall'entrata ostruita dalla frana. Il Nonno imperturbabile regolava il flusso dei fuggitivi e incitava i ritardatari. Mentre fiaccole infuocate iniziavano a piovere dall'alto, insieme a un gran numero di massi, il Nonno permise all'ultima fata di uscire. Velocemente passò in rassegna lungo le pareti alla ricerca di eventuali dormiglioni.
I colpi dall'esterno si fecero sempre più forti ed insistenti. Il fuoco aveva iniziato ad attecchire lungo le pareti. Un masso deviato colpì accidentalmente l'anziano mentre volava verso l'uscita, mandandolo ferito a terra.
“NOOOOOOOO” riuscii a gridare correndogli incontro per salvarlo “NOOOOO”
“Amelia, Scappa, non pensare a me! Scappa! Sono qui per te! Vattene”
“No, Nonno! Ti prendiamo e portiamo con noi, resisti” gli rispose Fogliolina.
"No, Fogliolina. Tu non puoi capire, ho la schiena a pezzi, le ali sono bloccate. Non posso muovermi! Amelia! E' ora che tu conosca ciò che ti ho tenuto nascosto. Tu sei una creatura creata con uno scopo Malvagio. Ma il solo fatto che siamo riusciti a portarti tra noi e tu abbia vissuto tutto ciò, ha posto il seme per la tua guarigione e rinascita. I due simboli che hai sul corpo, hanno un preciso significato, rispecchiano ciò che puoi diventare. La Luna rappresenta l’oscurità, l'intuizione e, soprattutto nel tuo caso, la mutabilità delle forme. Ma, ricorda sempre, dove c'è buio ci può sempre essere la luce, e non tutti i cambiamenti vengono per nuocere. L'altro simbolo è quello dell'Acqua. L'Acqua può essere amica e nemica, portatrice di vita come di morte, creatrice e distruttrice. Assomiglia all’anima dell’essere vivente: è irrequieta e non ha posa, non ha principio, non ha fine. E’ fiume e mare, è dolce e salata, è nemica ed amica, è confine e infinito, è principio e fine. Nella sua imprevedibilità possiede tanto la calma, la gravità e la profondità, quanto l'inquietudine e la mobilità. Se la Luna indica ciò che sei, L'Acqua indica dove sei stata creata e con quale scopo. E sta a te decidere quale strada seguire."
Tra le fiamme sempre più alte, anche gli ultimi massi che proteggevano la grotta crollarono, permettendo agli invasori di entrare. Incuranti delle fiamme, iniziarono ad attraversare la grotta, alla ricerca dei suoi abitanti. Io e Fogliolina, nascoste da fiamme e fumo, cercavamo di raggiungere l'abitacolo assieme a Nonno.
"Presto Amelia, sei ancora in tempo per salvarti... "
"Ti portiamo con noi... " insistette Fogliolina.
Tenendo stretto al petto il corpicino della fata, non mi accorsi dei suoi gesti fino a quando, con le sue piccole mani sporche del proprio sangue, non riuscì a entrare in contatto con entrambi i miei simboli. In quell'attimo, un dolore lancinante mi percorse il corpo costringendolo a contorcersi, contro la mia volontà. Il Nonno e Fogliolina furono lanciati via dalle mie stesse mani, un nuovo piccolo marchio mi s’impresse nella pelle attorno a quello della Luna. Le mie grida di sofferenza portarono a me quegli uomini, che, senza esitazione, mi afferrarono gambe e braccia per trascinarmi fuori di lì.  Il mio corpo si agitava come una furia. Attorno a me vidi quattro uomini, che mi trattenevano gli arti, più altri due: uno per la mia testa e l'altro per il mio busto. Man mano che le mie convulsioni, iniziai a perdere le forze, fino a quando, usciti dalla grotta, fui buttata come un sacco morto all'interno di un carro coperto.

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Capitolo 4
*** Prigionia ***


Del tragitto non ricordai altro. Sogni della vita trascorsa ed incubi del disastro accaduto si alternarono nella mia mente fino a quando non mi risvegliai, completamente avvolta dall'oscurità. Sbattei più volte le palpebre per assicurarmi di esser desta e mi sedetti sul mio giaciglio scomodo, massaggiandomi il collo indolenzito. Appoggiai cautamente i piedi scalzi a terra. Quando fui sicura che sul pavimento non ci fosse nulla di pericoloso, mi alzai in piedi e, seguendo il profilo delle pareti con i polpastrelli, raggiunsi quella che doveva essere una porta di legno. Avvicinai il viso e il corpo al legno per sentire se dall'esterno provenissero dei rumori, ma c'era il silenzio più totale tutto attorno a me.
"Non sentirai nulla qua sotto, a parte la mia voce" mormorò una presenza all’interno della mia stessa stanza.
Il mio corpo s’irrigidì, appoggiato alla porta, in attesa di sentire nuovamente quel suono.
“Non avere paura.”
“Non ho… paura”
“Non puoi mentirmi, bambina. Sento il tuo cuore, come pulsa rapido il sangue nelle tue vene, e le contrazioni della tua gola in cerca d’aria. Per cui so che stai provando paura.” disse in tono neutrale, “Puoi respirare tranquillamente. Non è di me che devi aver terrore. Sono qui da quando sei arrivata. Aspettavo solo che ti risvegliassi per controllare lo stato della tua maturazione e se sei stata modificata dalle fate.”
Ascoltandolo mi accorsi che il suono delle sue parole proveniva da un unico punto, non molto lontano da dove mi trovavo. Lentamente, senza riuscire a sciogliere la tensione che mi premeva sulla gola, tornai a sedermi al fondo del mio giaciglio, in attesa del suo esame, sperando che non comportasse alcun contatto fisico.
“Che cosa ne è stato della grotta e delle fate?” domandai riprendendo fiato.
“Non penso che saperlo ti cambi qualcosa ed io non sono a conoscenza di certi ‘dettagli’ del tuo arrivo qui. Ora, se hai smesso di tormentare tutto ciò che hai a tiro, procederei con le domande per il controllo.”
Bloccai subito le mani in grembo. L’uomo, dal tono di voce, non appariva ammettere repliche. L’oscurità ancora invadeva la stanza e non poter vedere il mio interlocutore non faceva che aumentare la mia ansia. 
“Come ti chiami?” mi domandò.
La domanda mi lasciò sorpresa. “Amelia” risposi cautamente.
“Un nome appropriato, significa ‹‹vergine del bosco››, lo sapevi? Ha origini molto lontane” mi domandò retoricamente “Lo hai scelto tu o le fate?”
“Le fate me l’hanno proposto, a me piaceva e l’ho accettato”
“Capisco. E cosa facevi tra loro?”
“Da quando mi hanno trovata, li aiutavo nei lavori di ogni giorno, così come loro aiutavano me”
“Ti trattavano come se fossi una di loro?”
“Direi di sì…” replicai “l’unica cosa che non mi era concessa fare, era uscire per il bosco”
“Con quale motivazione?”
“Beh… non avendo le ali non potevo uscire dall’alto e l’entrata della grotta era ostruita dalla frana”
“Hanno mai visto i due marchi che porti sul corpo?”
Nuovamente mi domandai come poteva sapere di essi e tentennai sulla risposta da dargli. Era lui che mi aveva creata? Come avrebbe reagito una volta scoperto che ero a conoscenza dei loro significati e di ciò che ero? Tutte quelle domande servivano a provare che cosa? Che non ero il mostro che avevano deciso di creare? Che le fate mi avevano resa migliore? E poi cosa mi era successo quando il Nonno mi aveva toccato i marchi col suo sangue? Chissà che fine avevano fatto lui, Fogliolina e tutte le altre fate…
“Amelia?” mi richiamò l’uomo nel buio.
“Stavo… pensando. Non mi pare, nessuno mi osservava mentre facevo i bagni nel fiume” risposi cercando di rendere credibile la bugia.
“Va bene…” continuò “ e tu sai cosa significano?”
“No, non li ho nemmeno mai visti per bene…”
Alla mia risposta seguì un momento di silenzio, come se stesse valutando quanto di vero e quanto di falso gli avessi raccontato. Cercai di mantenermi calma, di non agitarmi e non muovermi nervosamente. Volevo sapere la verità su di me, ma domandarla a lui intuii non mi avrebbe portato ad alcun risultato.
“C’è altro che vuole sapere?” chiesi per rompere quella calma.
Un fruscio mi giunse alle orecchie e, un attimo dopo, mi ritrovai stesa sulla schiena. Il terrore mi paralizzava mentre le sue dita allontanavano la camicia e percorrevano il profilo dei marchi. Quando passò il polpastrello all’esterno della Luna, una nuova fitta di dolore mi percorse facendomi sobbalzare.
Senza proferir parola, si allontanò da me dirigendosi verso la porta.
“Ti consiglio di coprirti gli occhi” mi disse aprendola. In un attimo, una luce intensa a gialla entrò nella stanza accecandomi, per poi scomparire e lasciarmi di nuovo nelle tenebre. A me non restò che aspettare.

 ***

Una volta chiusa la porta alle sue spalle, l’uomo s’incamminò lungo il corridoio della segreta, illuminato dalle fiaccole accese. Gli era stato detto di non avvicinarsi alla creatura, onde evitare di esserne assorbito. Ma la curiosità lo aveva sopraffatto, e, vedendo come il soggiorno tra le fate l’avesse resa docile e per nulla pericolosa, aveva deciso di controllarne i Marchi. Aveva così scoperto che non era del tutto immutata: aveva almeno assorbito l’essenza di un’altra creatura. E questo ne comprometteva la purezza. Non gli restava altro che farne rapporto al suo Signore, il prima possibile.
Tuttavia, il dolore che gli stringeva l'intestino gli impediva di camminare veloce ed eretto come sempre. I colpi, che diede alla porta, risultarono pertanto leggeri e supplicanti. Se non avesse toccato i marchi, sarebbe stato bene.
Quando fu invitato ad entrare, non riuscì ad evitare di portarsi una mano al ventre, prima di accasciarsi sulla sedia di fronte al suo Signore.
“Allora... Quanto è compromessa?” gli domandò studiando il volto contratto del cieco.
“Direi non molto, Signore. Mi è apparsa una creatura docile e mansueta. Nemmeno quando le ho ispezionato i Marchi, si è ribellata. E, per quanto ha detto, non è a conoscenza né di cosa sia lei né del significato dei simboli che porta sul corpo”
“Ottimo, vuol dire che le fate, per una volta, ci hanno reso un buon servigio. Tuttavia non era tuo dovere controllarle i Marchi, sai cosa comporta al tuo corpo.”
“Nessuno deve toccarla, a parte me, anche se dovessi morire per farlo! Almeno ora posso già dirvi che ha assorbito l'essenza di una qualche creatura, ha una stella attorno alla Luna, se fosse pura, non dovrebbe esserci giusto?” domandò il cieco continuando a sfregarsi la pancia.
“In quale posizione attorno al Marchio era?”
“Sotto alla Luna, mi pare fosse più a sinistra” rispose dubbioso, cercando di visualizzare mentalmente ciò che aveva sfiorato.
“Che è proprio la posizione della Stella delle Fate” rifletté Ditrich “probabilmente deve esser accaduto durante l'attacco... avrà cercato di salvare una fata ferita e, toccandone il sangue, ha iniziato ad assorbirne la vita. In effetti, il capitano mi ha riferito che quando l'avevano catturata pareva un demonio. Ed è ciò che accade se un Mutaforma procede all'Assorbimento senza un'adeguata preparazione. Speriamo almeno che quella fata sia morta. Puoi andare. Come sempre tutto ciò deve restare tra noi Gregor. Vatti a riposare, ma nel mentre mandami Fedora. Dobbiamo sistemare una nuova ospite”

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