Fought for Love

di marwari_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** la filastrocca ***
Capitolo 2: *** la ragazza ***
Capitolo 3: *** Once Upon a Time ***
Capitolo 4: *** Armida ***
Capitolo 5: *** Still Little Voices ***
Capitolo 6: *** la Figlia della Regina ***
Capitolo 7: *** DownTown ***
Capitolo 8: *** il libro ***
Capitolo 9: *** I'll make a man out of you ***
Capitolo 10: *** Sacramentum Gladiatorum ***



Capitolo 1
*** la filastrocca ***


Capitolo 1 - la filastrocca
 


 


Non doveva accadere. Perché, perché? Era tutto perfetto prima che arrivasse lei.
Regina inspirò a fondo l'aria fredda di una sera senza stelle, la mano stretta su un mazzo di fiori bianchi, il passo pesante, sul terriccio umido.
Non doveva accadere, non ora che aveva trovato la sua felicità.
Dovevano morire tutti, quella stupida maestrina e quel dannato libro, quella forestiera che aveva fatto muovere l'orologio, che le stava scombinando tutti i piani di una vita e persino Henry, che aveva scoperto tutto. Come poteva pensare di tradire sua madre?
La regina cattiva, sì, era lei, ma perché mai Henry la rinnegava?
Non era tanto infuriata perché lui aveva svelato il sortilegio che imprigionava Storybrook, era infuriata perché suo figlio, il bambino che aveva cresciuto in casa sua, si batteva con tanta passione contro di lei.
Le aveva portato il nemico sotto il naso e lei non poteva fare nulla, stava rivoltando i cittadini contro il loro sindaco, le aveva tolto persino quella pallida ombra di relazione a cui poteva aspirare.
La figlia di Biancaneve le stava rovinando la vita, ancora. E questo non poteva permetterlo.
Regina esaminò gli alberi per potersi orientare verso il mausoleo.
Guardò in basso con disprezzo quando udì un timido ronzio.
Sollevò lo stivale e schiacciò il grillo con tutta la forza che aveva.
Chiuse gli occhi per proseguire. Perché, perché? Era tutto perfetto prima che arrivasse Emma.
Eppure le leggende e le storie, di cui loro stessi facevano parte, avevano sempre insegnato che la genetica non prevaleva sui legami parentali.. allora perché Henry si era alleato con il bene? Non avrebbe vinto. Il male lo avrebbe fatto; lei lo avrebbe fatto.
Così Regina Mills, la regina Cattiva, stava sconvolgendo tutte le teorie e le morali, inutili, che ogni libro di fiabe cercava di insegnare. Anche le sue convinzioni dovevano essere rivoluzionate.
Regina sospirò, rassegnata.
Henry aveva deciso di combattere per il bene. Avrebbe avuto una degna avversaria: infondo, era lei quella ad essere in vantaggio.

L'interno del mausoleo era avvolto nella penombra. Solo la luce argentea e pallida della luna schiariva i contorni delle nicchie e del sarcofago bianco, al centro.
Appoggiò il mazzo di fiori scostando quello vecchio. Erano già passate tre settimane, si rese conto, dunque. Rivide ogni istante di quelle ore piene di emozioni che lei ormai non sentiva quasi più, perdere lo sceriffo le aveva fatto venire solo un po' d'ansia per la scelta del successivo e, ovviamente, la bella Swan gliel'aveva fatta di nuovo sotto il naso, per la felicità di suo figlio.
Quella felicità che tanto apprezzava dopo il sortilegio, quell'effimera gioia da quando Henry era entrato nella sua vita, stava scomparendo e anche il maleficio, quindi, stava perdendo il suo scopo di esistere. Doveva fare qualcosa.
Il bene non poteva vincere, non dopo ventotto anni di oblio dove, lei sapeva, il male aveva troneggiato indisturbato.
Doveva tornare tutto come prima e se uno strizzacervelli non aveva saputo fare il suo lavoro, o non era stato abbastanza furbo, e se lo sceriffo Graham si era ribellato al suo regime facendo da primo sovversivo, e se Emma Swan si era sentita in dovere di portare aventi la ribellione e se il suo unico figlio, il piccolo Henry, rinnegata la madre che lo aveva cresciuto, era il principio di tutto e stava formando le schiere.. era il momento giusto per prepararsi alla battaglia.
Notò fin da subito che la luce della cripta non era la solita luce accecante. Lanciò una rapida occhiata sulle teche contenenti i cuori delle sue vittime immolate e sembravano a posto, intatte, come sempre.
La tenda. La tenda era fuori posto, forse. Non c'erano le pieghe perfette e maniacali che dovevano fare da cornice simmetrica ai suoi trofei.
«Chi c'è?» domandò con la sua solita voce autoritaria. Ricevette un eco sottomesso come risposta.
Regina tuffò la mano nella tasca e tirò fuori il mazzo di chiavi di casa, scelse il portachiavi che le aveva regalato Henry, una piccola torcia portatile, e la puntò verso la tenda.
«Chi c'è?» ripeté con più convinzione, ma ben presto anche la piccola fonte di luce la abbandonò; la colpì un paio di volte, ma non servì a niente.
Incominciò a provare un po' di timore quando sentì una risata folle. Quasi come quella di Tremotino, ma la voce era più delicata, era quella di una ragazza.
«Nella culla c'è una bambina, è la figlia della regina..» la voce cominciò a canticchiare, la donna trasalì quando il suono si diffuse attorno a lei, spietato «lei amarla non potrà, e nella foresta la lascerà. Male e Bene gareggeranno, di cui i figli paladini saranno. Chi infine vincerà? Questo davvero non si sa. Nella teca Emma sta, un futuro migliore della morte avrà, Senza Nome è ai piedi di un melo, e con speranza urla al cielo. Deve capirlo cattiva sarà, come Emma buona apparirà. Sono agli antipodi ed entrambe lo sanno, la felicità per qualcuno è un danno. Per amore Biancaneve agisce, anche la figlia questa dote acquisisce; tutti amano il suo reame, quindi lei deve troneggiare! Tuttavia c'è un'avversità, Senza Nome è qui per la sua di felicità. Senza cuore è la regina..»
«..è la madre della bambina.» concluse Regina, sovrapponendo la sua voce monocorde a quella fin troppo apostrofata della ragazza. La filastrocca riecheggiò ancora tra le pareti mentre entrambe, immobili, aspettavano il silenzio.
«Allora ti ricordi di me.» una figura esile sgusciò fuori dalla tenda sinistra, Regina si protese verso di lei, sospettosa
«Tremotino è sempre stato bravo ad inventare filastrocche che perseguitano la coscienza delle persone.» la donna fece due passi avanti, l'oscurità lambiva il viso della ragazza
«Per chi una coscienza ce l'ha.» ribatté prontamente con voce dura «E come ben saprai, la profezia dell'erede di Biancaneve non è mai stata completa senza la.. filastrocca.»
«Perché sei qui?»
«Lo sai meglio di me: la battaglia è imminente, la dolce Emma è giunta e anche Senza Nome farà la sua comparsa!» fece un profondo inchino, accompagnato da una squillante risata «Dobbiamo preparare il Contrattacco.» la ragazza le si fece contro, protendendosi all'altezza dei suoi occhi, le sorrise
«Ti ho cercata, dopo il Sortilegio Oscuro.»
«Ero dove mi avevi lasciata: nella foresta.» indurì lo sguardo «Per sedici anni.. e altri ventotto in cui il tempo si era fermato.» sollevò la mano e accarezzò i capelli immacolati di Regina mentre lei guardava negli occhi della ragazza, immobile «Ma ora finalmente è giunta l'ora della battaglia e noi vivremo per sempre felici e contente.»
«Sei sempre stata la mia arma segreta.» le disse sorridendo, in un sussurro
«È tempo di riprenderci ciò che è nostro: i figli sono stati allontanati ma ora hanno fatto ritorno a casa.»
«Siamo in vantaggio.»
«E lo saremo sempre se giochiamo bene le nostre carte.» la ragazza si allontanò passeggiando avanti e indietro davanti alle teche. Lisciò inutilmente i capelli neri e crespi, lanciando risatine acute di tanto in tanto «Ti ho osservata da sempre, so come agisci. Il tuo piccolo Henry non conosce tutta la verità, dobbiamo fare in modo che non sospetti nulla.»
«Come intendi procedere?» chiese curiosa la donna, senza osare avvicinarsi
«Ce lo diranno loro.» sfoderò un rotolo bianco sgualcito, sporcato dalla terra
«Cosa sono?»
«Pagine di un libro rilegato in cuoio.» mormorò come se non volesse farsi sentire da orecchie indesiderate «Herny ha il libro, lui sa come far agire il bene. Io ho le pagine che raccontano come lo farà il male.»
Regina allungò la mano con gli occhi che brillavano, ma non trovò nulla da stringere sul suo palmo
«No!» esclamò la ragazza «Sono io il tuo paladino, sono io quella che sa come agire. Tu hai bisogno di me come io di te.»
«Ho seguito la profezia di Tremotino perché sapevo che un giorno tu mi saresti tornata utile, loro si stanno mobilitando: dobbiamo farlo anche noi.»
«D'accordo, ecco come procederemo: tu devi far finta di proseguire con l'intento di metterti in buona luce e quindi.. salverai me!» rise «Mi troverai al ciglio del bosco e mi salverai la vita, dandomi un tetto sotto il quale vivere..» le puntò l'indice al petto «Per pura bontà del tuo cuoricino.»
Regina annuì, compiaciuta. Quando fece per andarsene venne fermata per un polso
«Assicurati che sia Henry a trovarmi, ti renderà estranea alla faccenda» disse con voce roca. Era pazza? Forse, ma del tipo diabolico «Ora colpiscimi!»
La donna rimase interdetta a quelle parole
«Dobbiamo rendere la situazione credibile, colpiscimi. Per quanto mi ami, colpiscimi!» ricevette un malrovescio che le spaccò il labbro.
La ragazza si asciugò la goccia di sangue che le colava lungo il mento
«Davvero deludente.» mormorò alzando appena gli occhi, scrollò le spalle «Sì, poco o niente: vero» disse arcigna «Non intendevo l'amore che credi tu, ma quello che provi per me, solo possessione, controllo, perché io sono una tua proprietà! Colpiscimi!» si ritrovò a terra dopo un pugno al viso e una ginocchiata allo stomaco. Regina cercava di eseguire un lavoro ottimale, colpendo in più punti, a volte a caso, altre per riempire spazi di pelle non ancora tumefatta.
Si accucciò di fianco a lei quando fu soddisfatta del suo operato. La ragazza tossì sangue un paio di volte prima di prendere a ridere.
La Regina Cattiva accarezzò i capelli della figlia, sorridendo
«Avremo il nostro lieto fine, Armida.» guardò dritta verso di sé, nel buio profondo di un angolo della cripta «A te la mossa.»


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Capitolo 2
*** la ragazza ***


Capitolo 2 - la ragazza
«Henry, ti prego.» lo riprese Regina. Non sopportava quando strisciava i piedi sull'asfalto.
Un brivido le percorse la schiena, forse non era stata una buona idea, non per quella notte: faceva maledettamente freddo.
«Non potevi prendere la macchina?» le domandò il bambino, con voce scocciata
«Avevo voglia di fare due passi.» rispose. Che assurdità.
«Alle nove di sera, con questo buio e con il dannato freddo che fa?»
«Henry, usa un altro linguaggio.» nascose le mani nelle tasche e svoltò a sinistra. Suo figlio stentò a starle dietro
«Perché vai da questa parte?» domandò, avvicinandosi. Era una notte strana, non si sentiva a suo agio. Per quel poco che valeva, lei era sempre una protezione in più. Regina lo guardò a lungo mentre si accostava a lei.
«Devo ritirare alcune scartoffie dal signor Gold.» disse non appena arrivarono di fronte alla porta «Aspettami qui.» gli intimò, scivolando all'interno del negozio, lasciandolo solo.
Henry diede le spalle all'edificio, prendendo a guardare la foresta. Non gli era mai sembrata così minacciosa.
Si strinse nelle spalle, era solo suggestione. Cercò di ingannare il tempo osservando le nuvole di fumo bianco che testimoniavano i suoi respiri in quell'aria gelida, la luna lo stava osservando impassibile.
Sentì un rumore, come un lamento sommesso. Dov'era finita sua madre?
Henry indietreggiò, sbattendo proprio contro di lei
«Henry, ma che stai facendo?» lo interpellò prontamente, sorpresa di quell'impatto «Va tutto bene?» gli domandò subito dopo, notando che era irrequieto
«Ho.. ho sentito qualcosa.» balbettò tremante.
Regina si guardò attorno prendendolo per un polso. Non vedeva niente. Non sentiva niente.
«Vieni, andiamo a casa.» lo costrinse a passi lunghi sulla via che costeggiava la foresta. I lampioni delle strade illuminavano a tratti il marciapiede, non c'era già nessuno in giro; e come biasimarli? Era un notte da incubo.
Nell'aria si sentivano solo il ticchettio dei passi di Regina e quelli svelti di Henry che annaspava nel seguirla, se una qualunque minaccia gravava su di loro, non avrebbe faticato a trovarli.
Quando Henry udì di nuovo quel lamento scattò indietro, allontanandosi dal buio della foresta, per poco Regina cadde. Adesso aveva bisogno di lei? Gli mise un braccio sulla schiena, tenendolo stretto a sé, dal momento che si era rifugiato dietro di lei, aggrappandosi alla giacca.
Tra il buio di due lampioni videro qualcosa che si muoveva, accanto ad un cespuglio. Ancora quel lamento.
«È una persona!» esclamò Henry appena realizzò. Regina lo trattenne
«Fermati, potrebbe farci del male. Adiamo a casa siamo quasi arrivati!»
«Ma non vedi che ha bisogno di aiuto?!» gridò lui, divincolandosi. Regina si decise ad avvicinarsi notando che era una ragazza, avvolta in una stoffa logora.
Sorrise, senza che Henry la vedesse.
Si schiarì la voce, cercò di mostrarsi estranea e spaventata. Consegnò ad Henry un mazzo di chiavi
«Henry sai arrivare a casa, da qui?» il bambino annuì con foga, impaziente di aiutare la ragazza «Chiama un'ambulanza, no la polizia..» chiese gli occhi, fingendo di raccogliere le idee «Prima l'ambulanza, chiedi che venga anche lo sceriffo. Cerca una coperta e torna qui.. sbrigati!» sentì i piedi di Henry correre veloci sull'asfalto umido e si alzò compiaciuta.
Il piano era perfetto ed aveva funzionato.
«Potevi anche lanciarmi nel lago, già che c'eri..» tossì la ragazza, evidentemente infreddolita
«Ho faticato anche per trovare una scusa valida per passare di qui.» Regina si levò il cappotto, pentendosi subito di quel gesto, e lo stese sulla ragazza, raggomitolata su sé stessa. Era fredda, anche troppo. Stavano rischiando
«Beh sei stata brava a fare la commedia.»
«Dovrai imparare anche tu.»
«Non preoccuparti, ho passato anni a far pratica.» sospirò, cercando di scaldarsi anche con quel singolo soffio d'aria tiepida «Posso essere ciò che voglio.»
«Allora cosa sarai?» domandò Regina accucciandosi sopra di lei
«Una ragazza sperduta e senza identità, vittima di un incubo che le ha cancellato la memoria. Una piccola innocente che il benevolo sindaco ha trovato e accolto sotto la sua ala protettrice.» la donna non fece in tempo a sorridere
«Fingiti svenuta. Henry sta tornando.» Regina le passò una mano tra i capelli, appena Henry fu in grado di scorgerla.
Subito dopo si sentì avvolta nella coperta. Henry l'aveva data a lei anziché alla ragazza, che voleva dire?
«Se la caverà, vero?» domandò concitato, accucciandosi vicino a sua madre
«Se quei buoni a nulla dei medici si danno una mossa!» commentò cinica, come sempre.
 
«Non potete entrare qui!» Henry e Regina furono spinti indietro, al di là delle porte in vetro. Videro la ragazza venire portata via sulla barella ed attaccata a macchinari medici.
Henry si sedette subito su una seggiola in plastica blu, nella grande sala d'aspetto e prese il suo grande libro, mettendolo sulle ginocchia.
Regina lo raggiunse dopo un breve su e giù davanti alle porte, osservando il lavoro dei medici
«Ti sembra il momento di leggere quel libro?» commentò, attanagliando lo sguardo su un particolare che, a lui, doveva essere sfuggito.
Eccola, la storia di Biancaneve. Eccola, lei, la regina Cattiva. Eccoli lì, i segni delle pagine mancanti: i punti scuciti a dovere che non rivelavano niente, se non si sapeva dove guardare.
«Perché quando succede qualcosa di spiacevole, c'è sempre lei di mezzo?» Regina si sollevò appoggiandosi alle ginocchia, il solo suono di quella voce la irritava
«Sceriffo Swan, si limiti a fare domande attinenti al suo lavoro, senza concedersi frecciatine del tutto inappropriate e, inoltre, il salvataggio di una ragazza, personalmente, lo trovo qualcosa di estremamente positivo, se permette.» la bionda le rivolse un sorrisetto tirato che non ricevette risposta se non totale indifferenza
«L'ho vista sulla strada di casa, era nell'erba e si lamentava.. è stata Henry a trovarla.» lanciò un'occhiata amorevole ed orgogliosa verso il figlio, il quale si limitò ad alzare lo sguardo dal suo libro.
Mentre Emma scriveva sul suo piccolo blocco, Regina continuava a guardare verso la porta a vetri. I medici le stavano sparando lucine negli occhi, le stavano attaccando flebo al braccio, le prelevavano il sangue. Era sveglia, perché non uscivano a dire qualcosa?
«Sa nient'altro?» domandò lo sceriffo, mentre ultimava di scrivere
«Gliel'avrei detto, sceriffo!» ribatté scontrosa, incrociando le braccia al petto.
«Potete entrare, sta bene.» una mielosa infermiera li venne a chiamare. Si precipitarono tutti dentro la stanza, come un fiume in piena. Il medico le stava parlando
«Non ti ricordi nulla?» la ragazza scosse la testa «Sai dove ti trovi?»
«No.» provò a mormorare. Il dottor Whale sospirò affranto, raddrizzando la schiena, non appena vide l'afflusso di gente che lo stava raggiungendo.
Aggrottò le sopracciglia quando notò la placchetta incisa che la ragazza portava al collo
«Ti ricordi come ti chiami?» domandò speranzoso. La ragazza lo guardò intensamente e dischiuse le labbra, indecisa sul suono da pronunciare
«A...A...»
«Armida.» disse il sindaco raggiungendola. La ragazza la osservò con due occhioni spalancati, dolcissimi. Gli anni di pratica erano serviti, se non altro «Me l'ha detto prima di svenire quando l'abbiamo trovata.»
«Lei.. lei..» mormorò con voce smorzata. Regina aspettava la frase geniale che avrebbe sfoderato, ma Emma Swan intervenne
«Sì beh, sta di fatto che nessuno la sta cercando.»
«E ha bisogno di un posto dove stare.» aggiunse il dottor Whale «È chiaro che è spaventata e necessita di un ambiente familiare.. l'ospedale non è di certo il luogo addetto per lei. Indubbiamente non è nel pieno delle forze, ma sono ferite di tipo superficiale, niente che necessiti di cure mediche, guariranno solo col tempo.» la guardò speranzosa. Regina gioì, poteva portarsela a casa senza problemi, ma si mostrò comunque riluttante
«Ma non sappiamo nemmeno chi è!» protestò mettendo un braccio attorno alle spalle di Henry, facendo intendere che aveva paura per lui
«Lei..» riprese la ragazza con occhi adulanti, si voltarono tutti verso quella figura così esile nel letto di ospedale «Lei mi ha salvata.. lei è la mia fata madrina!» Regina sollevò gli occhi al cielo
«Mi piace la ragazza!» esclamò subito Henry, sorridendole «Ti prego, portiamola a casa con noi: abbiamo tante stanze, starà benone!» supplicò il bambino, tirando la giacca di sua madre
«E no mio caro, due infatuati in casa non li voglio!» accennò una risata, come se fosse assolutamente contraria. Henry tirò così forte che fu costretta a chinarsi
«Ti prego, mamma.. non ha nessuno al mondo.» Regina lo guardò fisso, si decise a sorridergli
«Henry, non possiamo metterci in casa una sconosciuta.»
«Tanto sconosciuta non direi.» una voce fece trasalire tutti. Si voltarono verso un'infermiera che porgeva delle carte al dottore
«Hai già fatto il test?» biascicò immerso nella lettura «Sei stata velocissima..»
«Oh sì.» esclamò con voce atona, guardando arcigna il sindaco «Il riscontro del DNA che abbiamo trovato.. lo abbiamo trovato in fretta perché... beh, il risultato parla chiaro.»
«Il.. il sindaco?» balbettò con voce strozzata Whale, mentre l'infermiera spariva
«Sindaco? Il sindaco cosa?» chiedevano tutti, la Swan, le infermiere di passaggio, persino Henry e lo sguardo di Armida, indagatore
«Che ha fatto il sindaco?» domandò seccata Regina, zittendo tutti «Volete spiegare che c'entra il sindaco?»
«È lei la madre della ragazza.» le porse le carte anche se la donna era troppo impegnata a barcollare. Erano un'ottima squadra.
«Lei non.. io..» farfugliò scuotendo la testa «Non può essere lei!» si mise una mano tra i capelli «C'erano state complicazioni, mi avevano detto che era morta e che io non avrei più potuto avere figli mi.. mi avevano detto che era morta
«Evidentemente non lo è..» rispose Emma, con voce tagliente.
«Io.. penso sia il caso di.. uscire.» propose Whale, imbarazzato. Scortò tutti in sala d'aspetto.
Regina si sedette con calma sul letto e si mise di fronte a lei, in modo da dare le spalle agli spettatori indesiderati e coprire con il suo corpo anche la ragazza
«Sei brava a fare la commedia.» rise Armida, massaggiandosi il braccio bucato «Come ti sei inventata quella storia melodrammatica in così poco tempo? Io stessa non avrei saputo fare di meglio.»
«Io non mi sono inventata proprio niente. Ho raccontato solo ed esclusivamente.. la verità.»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
angolo autrice:
ringrazio tutti i visitatori silenziosi che passano di qui e anche di più chi mi lascia un commentino rendendomi molto felice...
grazie alle recensioni di LauraSwanA e di Dora93 e chi ha inserito questa fanfiction nelle seguite GiuggiolaPsicolabile93

 

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Capitolo 3
*** Once Upon a Time ***


Capitolo 3 - Once Upon a Time
egina si divincolò con forza per strapparsi dalle grinfie di quell'uomo.
Generoso? Buono? Onorevole? Rispettoso? Non era nulla di tutto ciò.
La trattava come una serva, non come sua moglie! Perché quella notizia che doveva essere tanto lieta lo aveva trasformato in una furia?
La prese per le spalle e la lanciò sul letto. Regina sprofondò tra le coperte e tra i cuscini, che la imprigionarono
«Perché me lo avete tenuto nascosto?» gridò con i denti stretti, camminando davanti a lei con passo pesante.
Perché temeva il peggio. Temeva che glielo avrebbero tolto. Temeva che sarebbe stato un problema. Temeva ciò che stava per accadere
«Marito adorato, pensavo di farvi cosa lieta.. In un giorno speciale!» mentì, con la prima scusa che le passò per la testa.. era il compleanno di Biancaneve, dopotutto. E lei, stupida, che aveva accettato di indossare un abito cucito per l'occasione!
«Cosa lieta?» le si precipitò addosso con occhi spiritati, Regina tremava «Cosa lieta, dici? Avreste dovuto parlarmene, vi avrei spiegato e ora..» le prese il viso in una mano, le faceva male, ma lei era troppo spaventata persino per lamentarsi «Ora è troppo tardi!»
La lasciò libera, allontanandosi con aria pensierosa.
«Siete stato lontano tre mesi e oggi è il compleanno di Biancaneve!» replicò lei, facendolo girare
«Sì è vero! Ed è questo il benvenuto che mi riserva la mia amata moglie?» sospirò turbato, sembrava cercare una soluzione impossibile, difficile. Ma perché? Cosa c'era di tanto sbagliato?
La porta si spalancò e fu un monito per entrambi a ridarsi un tono e a dipingersi un largo sorriso sul volto, come se andasse tutto per il meglio: il litigio a corte non era tollerato, soprattutto non davanti a lei.
La piccola Biancaneve saltò sul letto, accanto a Regina e l'abbracciò forte
«Siete stata voi a sceglierla, vero?» si voltò verso re Leopold «Oh padre, la mia cavallina è bellissima, vi ringrazio!»
Regina fece di tutto per riuscire a coprire ciò che suo marito era evidentemente intenzionato a celare, ma ogni suo tentativo sfumò quando la piccola le pose le mani sul ventre
«Voi.. voi... avrò un fratellino!» esclamò eccitata. Il re si ritrovò costretto a sorridere, Regina annuì appena, incapace di fare altro.
Biancaneve schizzò subito via, correndo per il corridoio. Non era riuscita a dormire quella notte, per pensare alla festa che si sarebbe svolta in suo onore in tutto il reame, in onore del suo ottavo compleanno; Regina ricordava con gioia quell'età, anche lei non vedeva l'ora che arrivasse il giorno dei grandi festeggiamenti.
La donna aspettò che le porte furono richiuse per potersi concedere di osservare la mantella bordata d'oro di suo marito, davanti al fuoco
«Se eravate preoccupato per Biancaneve.. è tutto a posto, anzi, mi sembra contenta!» gli disse, quasi sollevata.
I minuti di silenzio che passarono le fecero capire che la ragione era un'altra e, ancora una volta, legata alla posizione, ai doveri, alle belle apparenze
«Dovremo ricorrere alla magia.» mormorò infine, del tutto assente
«Cosa?» domandò incredula Regina «Io non capisco.. vorreste liberavi di vostro figlio?» si toccò appena il ventre, in un gesto protettivo
«È un problema. Non doveva accadere!» gridò infuriato, girandosi. Il mantello svolazzò impetuoso seguendo il moto sinuoso e impostato del suo padrone «Nostro figlio diventerebbe l'erede al trono e allora.. che ne sarebbe della mia Biancaneve?» strabuzzò gli occhi, quasi colpito dalle sue stesse parole «No, non posso permetterlo! Il problema va eliminato!» Regina non lo guardò in faccia mentre usciva dalla grande stanza.
Sentì i suoi passi indugiare presso la porta di legno finemente intagliata. Lo sentì prendere un profondo respiro
«Mi spiace, mia cara.» disse scivolando nel lungo corridoio «Lo faccio per il bene del regno.» sentenziò duramente prima di rinchiudere Regina nella sua prigione.

Erano tutti sfiancati da quella giornata. Biancaneve era la sola che riusciva ancora a correre felice, facendo volare fate e unicorni intagliati per la stanza, instancabile, per giocare spensierata. Regina e re Leopold non si erano scambiati che qualche occhiata per tutto il giorno e lei si era distratta benissimo con tutti i doni che erano giunti da ogni angolo del reame. Aveva conosciuto tanti nuovi amichetti e soprattutto principini inamidati, sicuri pretendendo alla sua mano, non appena lei avesse raggiunto l'età da marito.. e allora addio anche per lei, la ricerca del vero amore.
Regina abbandonò il capo alla poltrona imbottita sulla quale giaceva, accanto al fuoco. Sorrideva. Era così piccola, Biancaneve, mentre correva per chissà quali foreste in compagnia di unicorni e fatine, lei che le aveva rovinato la vita, lei che aveva tolto l'unica speranza di fuggire, lei che aveva fatto ammazzare Daniel.. lei era la causa se anche il figlio che portava in grembo doveva morire.
Ma aveva ancora un asso nella manica. Aveva fatto bene. Aveva fatto bene, sì.
Si accarezzò distrattamente la pancia, gustandosi il fatto di essere stata previdente e saggia, almeno una volta nella sua breve esistenza.
Passarono lunghi minuti e tantissimi giocattoli, bambole e pupazzi quando finalmente la bambina sbadigliò sedendosi sul tappeto, davanti al fuoco
«È stato il compleanno più bello della mia vita!» esclamò con l'ultimo tono di eccitazione che le era rimasta «E non solo per i regali ma per la buona notizia!» si rivolse a Regina «Siete la matrigna più buona del mondo e mi darete anche qualcuno con cui giocare!!» si vide arrivare addosso Biancaneve e poté solo ricambiare il suo impetuoso abbraccio con un lieve sorriso.
Il re però non si sarebbe dato per vinto. Che avrebbe architettato per eliminare il suo problema? Non poteva nasconderlo: era curiosa, ma non spaventata. Aveva preso le sue precauzioni.
Lo aveva fatto per bene, niente e nessuno poteva fermarla.
Re Leopold scattò impaziente quando notò che la porta fu spalancata da un servitore
«Il the.» annunciò sistemandosi sulla poltrona. Regina e Biancaneve si scambiarono un'occhiata
«A quest'ora, padre?» la piccola accennò uno sguardo alla finestra, constatando che era buio, notte fonda
«È stata una bella giornata. Lunga.. e abbiamo tutti mangiato molto. È per conciliare il sonno, mia dolce Biancaneve.» si giustificò con fare mellifluo, senza insospettire la figlia.
Regina si sporse sul tavolino che li divideva, allungò la mano per prendere la tazzina centrale, ma il servitore si accigliò per porgerle quella più vicina a lei. Dovette accertarla
«Grazie.» sussurrò appena. Ecco come si sarebbe sbarazzato del problema.
Fu l'ultima a sorseggiare il suo intruglio di spezie varie. Sentiva lo sguardo del re indugiare troppo su di lei, o su una sua reazione
«Che gusto particolare.» commentò dopo il secondo sorseggio, fingendosi serena e per niente prevenuta.
Fiduciosa di ciò che aveva compiuto, solo poco tempo prima, vuotò la tazza, incurante del liquido bollente che le bruciò la gola e lo stomaco.
La delicata tazza bianca e dipinta di candide rose sferzò l'aria poco dopo, lasciando le salde e morbide mani che poco prima la custodivano, e finì sul tappeto di broccato, rimbalzò tra le setole soffici, rotolò fino al bordo e, appena toccò la pietra, arrestò la sua corsa, scheggiandosi.
Non si rendeva bene conto di quello che le stava succedendo attorno. All'improvviso i suoi occhi vedevano ogni luce distorta, il suo corpo era stanco e molle; i suoni erano solo pallidi gridi e, a volte, il buio prendeva il sopravvento
«Regina!» le sue orecchie fischiarono. Biancaneve si protese verso di lei, ma qualcuno la portò via, costringendola a non guardare ponendole una mano sugli occhi che le coprì l'intero volto. Poi di nuovo quei rumori sommessi.
Era droga quella che c'era nel suo the? Aveva pensato a qualche filtro, a qualche pozione e invece quell'intruglio stava prendendo il sopravvento. Forse non era nulla di magico, eppure le aveva assicurato che sarebbero stati protetti, che non ci sarebbero stati pericoli. Le aveva promesso che sarebbero stati al sicuro.
E ora che stava in quello stato che avevano intenzione di farle? Ucciderla? Uccidere il bambino?
Riconobbe il volto di suo marito a pochi centimetri dal suo, le sue labbra pronunciavano il suo nome, le sue orecchie non lo sentivano. Il suo volto era preoccupato.
A Regina venne la voglia di ridere. Ora era preoccupato per lei? Solo poche ore prima voleva sbarazzarsi del problema e ora era preoccupato? Non si era informato sulle conseguenze del filtro che le aveva dato?
«Regina!» udì, chiaro e forte. La stava scrollando per le spalle. L'effetto stava svanendo, di già? E che avevano concluso?
«C'è qualcosa che non va!» aveva esclamato una serva. E quando era spuntata fuori? «La pozione sta svanendo!» esclamò sfiorandole la faccia. Voleva intimarle di non toccarla, ma Regina era ancora troppo confusa, si limitava ad ascoltare che stava succedendo attorno a lei, come se non fosse veramente lì
«Che facciamo?» il re sembrava disperato. Giusto, doveva soffrire per la sua crudeltà. Nella sua mente, sorrise
«Fate chiamare la levatrice, immediatamente!» il cuore di Regina si fermò. Levatrice? No, no era troppo presto per quello. Che avevano fatto? Che aveva fatto suo marito?
Lottò contro il suo intorpidimento per protestare, erano tutti impazziti. Forse era ancora sotto l'effetto di una strana droga, non poteva essere vero!
Si risvegliò dal suo mezzo sonno più duramente di quanto avesse mai voluto, con un urlo di dolore.

Il giorno era stato un andirivieni di persone da tutto il reame e la notte non era da meno. C'era un trambusto di servi accigliati e spaventati al tempo stesso. Nelle camere reali facevano spola pentoloni pieni d'acqua e lenzuola di ogni tipo.
La sua testa era una confusione totale di urla, ordini, dolore e domande.
«Quel filtro doveva preservarvi dal dolore, Regina.» la sua mano lasciò la presa sulle lenzuola e si aggrappò con forza al palmo del marito «Non so cosa sia andato storto.» forse lei lo sapeva. Forse ciò che doveva tenere al sicuro lei e il suo bambino stava facendo effetto
«Perché?» chiese di nuovo, con voce strozzata «Se non fosse un maschio?» chiese con occhi lucidi di speranza. Re Leopold la guardò intensamente e deglutì
«Non posso rischiare.» fece per andarsene ma la donna lo trattenne
«Se fosse una bambina.. me la lascerete tenere?»
«Certo.» rispose atono. Bugiardo. Non l'avrebbe mai permesso, glielo si leggeva in faccia. La ragione poi era più che oscura.
Le lasciò la mano e con passo svelto si dileguò oltre le porte della stanza.
Regina rimase sola ad affrontare il dolore.
Era una vera tortura, forse era per quello che sua madre la odiava tanto. Dopo quelle ore era quasi naturale pretendere che il favore di aver donato la vita a qualcuno venga restituito. No! Non era il momento, quello, per pensare come sua madre. Non sarebbe mai diventata come lei.
«Starà bene?» si concesse di chiedere alla levatrice in un momento di calma. Lei si limitò a guardarla
«Farò il possibile, vostra maestà.» disse solo dopo che Regina coprì la sua voce con un lamento. Bugiarda. Lavorava per il re, chissà cosa le aveva detto od ordinato di fare.
Eppure le era sembrato un uomo tanto gentile e tanto buono, ingenuo persino. Di sicuro incapace di architettare un'azione così crudele e nei confronti di sua moglie!
Non poté fare a meno di pensare che se fosse stato Daniel, al suo posto, non l'avrebbe mai lasciata sola, e il bambino sarebbe vissuto felice. Speranze infrante.
Sogni caduti, ovunque, da quando Daniel l'aveva lasciata. Con lui era morto tutto.
Un sibilo metallico e un dolore straziante, che le ruppe il fiato. Era come se fosse stata privata della sua stessa anima, non respirava più, non ragionava più, non sentiva più.
Era stato spezzato qualcosa.
La sua testa era talmente frastornata che non si accorse quasi del gridolino che ruppe timido l'aria e subito soffocato
«Femmina.» sentenziò la levatrice. Regina sollevò stancamente le braccia, ma non trovò che il nulla da stringere al petto «Morta.» disse poi, andando via con un fagotto tenuto in malo modo.
La sua mente si era svuotata in un sol colpo, non sapeva far altro che respirare.
Non parlò. Non pensò, nemmeno quando il re le pose un delicato bacio in fronte e accompagnò la piccola Biancaneve, in lacrime, nelle sue stanze e lì rimase.
La servitù si presentò a gruppi, in silenzio, la lavarono, rimisero a posto la stanza, la riposero nel letto e la ricoprirono come fosse una bambina.
Regina guardò il soffitto per tutta la notte.
Non aveva funzionato niente. Non valeva niente.
Tutto quel tempo passato a studiare, a lavorare, a sperare.. non era servito a nulla. Era tutta una bugia, un'enorme bugia. Era morto tutto. Era morta la speranza. Era morto il futuro.
La grande porta si socchiuse, ma Regina non ci fece caso. Rimaneva immobile, il tempo non doveva passare.
«La bambina sta bene.» la donna girò di poco la testa sul cuscino «Il re mi ha chiesto di mentirvi e di sbarazzarmi della piccola, vostra maestà. Non ce l'ho fatta.» la levatrice le stava porgendo un mantello e le sorrideva, cercando di farsi perdonare.
Allora non era una buona a nulla. Qualcosa era riuscita a fare. Aveva salvato sua figlia, a dispetto di tutto e di tutti.
«Ma la piccola non può vivere nel castello.» disse dopo, mortificata «Deve essere portata al sicuro.» la aiutò a mettersi seduta «La bambina è nelle scuderie, a noi servitori non è permesso uscire dal castello ma voi.. potete eludere le guardie, loro non sanno niente di tutta la faccenda. Avete solo un paio d'ore prima che il re venga a farvi visita con Biancaneve.» non era stata una buona figlia, non era stata una buona moglie e non sarebbe stata una madre, ma in qualcosa era riuscita ad avere successo, almeno in una. Lei sarebbe diventata una strega, una strega con poteri oscuri, l'unica cosa in cui era riuscita veramente da quando era nata.
Regina le prese le mani, dopo che le sapienti dita le avevano allacciato il mantello al collo
«Vi ringrazio.» sussurrò.

3 mesi prima...
Il respiro del suo destriero era l'unica compagnia che le era concessa in quella fredda serata d'inverno. Regina cercò il calore del cavallo per trovare un po' di sollievo dalle stilettate del gelo.
Era lì da parecchi minuti e nessuno, ancora, si era mostrato alla sua presenza. Doveva gridare il suo nome? Dire una formula per chiamarlo? A volte dischiudeva le labbra e, troppo timida per lanciare il suo grido fra gli alberi, le richiudeva procedendo in un altro passo tra le foglie secche e la prima neve.
Si girò spaventata quando udì un risolino folle provenire dalle sue spalle mentre i suoi occhi non le mostravano nulla
«Fatti vedere!» intimò al vento, mentre il cavallo scalpitava, messo in allarme dal suo rigido tocco
«Quanto astio, vostra maestà!» esclamò una voce allegra, sopra di lei.
Regina alzò gli occhi e, incredula, dovette fare i conti con ciò che le mostravano: un essere mezzo uomo e mezzo stregone, era soggiogato dalla magia, si vedeva.
«Siete stata voi a cercarmi, dopotutto!» proseguì, lanciandosi nel vuoto. La donna fece un balzo all'indietro per paura che le precipitasse addosso, invece l'uomo planò leggero davanti a lei e fece un profondo inchino «Il mio nome, prego.»
«Tremotino.» mormorò lei, facendosi rigida quando lui le si avvicinò.
«Cosa vuole sua maestà da un essere losco come me?» Regina lo fissò, sapeva che lui conosceva ogni più intima ambizione di chiunque incontrasse
«Sei già al corrente del mio desiderio.» disse alzando di poco il mento
«Certo che sì.» fece una smorfia «Ma vedete, ogni magia ha un prezzo e questa, in particolare, ha un prezzo che pagherete voi, io.. e anche la creaturina che portate dentro.»
«Ci dev'essere un modo!» Regina gli si avvicinò prontamente
«Ovviamente sì!»
«Qual è il vostro prezzo?» i loro visi erano a pochi centimetri. Tremotino la guardò divertito negli occhi: era così potente, ricca, e si poteva credere che fosse la donna più felice del mondo e, invece, persino la regina aveva bisogno del suo aiuto. Doveva essere proprio alle strette.
«Un castello.» esclamò gongolante, battendo le mani. Lei lo osservava stranita
«Accordato.» sentenziò in un soffio «Dammi la pozione.» Tremotino rise
«Mia cara, per ottenere ciò che volete voi, avrete bisogno molto più di una pozione! Io non posso fare altro che dare indicazioni!» scrollò la mano destra e, in una nuvola porpora, comparve una pergamena.
Regina la guardò titubante ed afferrò con le sottili dita la piuma che le veniva porta, avvicinò la punta imbevuta di inchiostro sempre di più, era pronta a firmare quando si bloccò, il terrore sul suo volto
«Quale sarà il mio prezzo?» Tremotino fece una smorfia prima di parlare
«Diventerete come vostra madre..» mormorò. Il cuore di Regina perse un battito. Lo guardò con gli occhi lucidi, non poteva essere, lei non era così, non sarebbe mai diventata come sua madre!
«Il bambino si salverà?» chiese in un sussurro
«Ovviamente. Che accordo sarebbe?» esibì nuovamente la pergamena accompagnata da un largo sorriso. Una personalità eccentrica, che rasentava la follia.. sarebbe diventata pazza come lui, un giorno?
Regina si protese sulla pergamena e, con decisione, scrisse il suo nome a chiare lettere
«Ottimo.» esultò Tremotino arrotolando il contratto con aria soddisfatta «Ecco ciò che potrà salvare la bambina..» vide Regina sorridere e alzò gli occhi al cielo sbuffando «non ho ancora finito di parlare, vostra altezza, e quando avrò terminato non ci sarà nulla per cui sorridere.. per nessuno.»
«Che devo fare?» chiese tra i denti, non sopportava le sue divagazioni
«Magia Nera.» le mormorò all'orecchio «Un soffio di vita» sollevò l'indice «una lacrima di rugiada» sollevò l'altro indice «e qualcosa che la leghi a voi» puntò entrambe le dita verso Regina, che sobbalzò. Sarebbe diventata davvero come sua madre, era sempre stato il suo peggiore incubo.
«Quale sarà il suo prezzo?» chiese poi, non lasciandosi ingannare dalla brutta notizia: sapeva che non arrivavano mai da sole
«Qui arriva la parte spiacevole..» si lasciò sfuggire una smorfia divertita «Il vostro problema è Biancaneve.. lo è sempre stato e sempre lo sarà.»
«Questo lo so già.. ma a momento debito che riuscirò ad eliminarla.» sorrise, pregustando le emozioni che un piano rimuginato ogni notte ed ogni notte perfezionato, le avrebbe concesso
«Ma quel momento non è ancora giunto..» allungò una mano verso di lei, ma Regina scartò all'indietro «E il tempo scorre per voi e per vostra figlia.» le mostrò i dorsi delle mani e le agitò «Via, via! Vi suggerisco di affrettarvi!» la donna fece un paio di passi all'indietro, senza staccare lo sguardo da Tremotino: averlo sott'occhio le dava una certa sicurezza.
Quando fu sicura di essere a distanza sufficiente per non essere un bersaglio, si girò, affrettandosi per risalire in sella. Aveva appena messo lo stivale nella staffa quando udì la voce squillante di Tremotino canticchiare una filastrocca e fu costretta a bloccarsi, le orecchie tese all'ascolto
«Nella culla c'è una bambina, è la figlia della regina. Lei amarla non potrà e nella foresta la lascerà!» la donna si voltò appena per vedere Tremotino pizzicare i rami di un albero con espressione divertita «Male e Bene gareggeranno, di cui i figli paladini saranno.»
«Figli?» quanto avrebbe dovuto attendere per la battaglia finale che tanto bramava? Tremotino non l'ascoltava
«Chi infine vincerà? Questo davvero non si sa!» una filastrocca che nemmeno serviva a comprendere l'esito della battaglia. Perché la stava pronunciando? Per tormentarla? Come si poteva essere tanto crudeli da abbandonare la propria figlia? In una foresta poi? Non l'avrebbe mai fatto. «Nella teca Emma sta, un futuro migliore della morte avrà.»
«Chi è Emma?» chiese aggrottando le sopracciglia, perché non le dava ascolto?
«Senza Nome è ai piedi di un melo, e con speranza urla al cielo.» la voce roca dell'uomo le rimbombò nella testa. Non era una filastrocca, era una maledizione. «Deve capirlo cattiva sarà, come Emma buona apparirà.» Tremotino riprese il tono allegro e poi, di nuovo, quella voce bassa e spietato «Sono agli antipodi ed entrambe lo sanno, la felicità per qualcuno è un danno.» felicità. Era sempre stato il problema di tutti, almeno, nella loro famiglia. Quando qualcuno trovava la gioia di vivere qualcun altro la perdeva ed erano destinati a scambiarsi il favore una volta dopo l'altra; quel maleficio non avrebbe fatto eccezione. Si trattava della felicità di sua figlia non ancora nata, il prezzo doveva pagarlo lei, dopotutto era sua madre, era lei la responsabile
«Per amore Biancaneve agisce, anche la figlia questa dote acquisisce..» Regina si sentì mancare. Tutto quel tempo? Anche Biancaneve avrebbe dovuto avere una figlia? Per quanto sarebbero state separate, quanti anni sarebbero trascorsi? «tutti amano il suo reame, quindi lei deve troneggiare!» gli rivolse un'occhiata arcigna. Non l'avrebbe permesso. Anche se la dolce Biancaneve era la discendente al trono non avrebbe mai ereditato il reame, non fin quando lei fosse rimasta in vita
«Scordatelo. Dovrai cambiare i tuoi stupidi versi.» il suo aspro commento non avrebbe ottenuto risposta, ma lo pronunciò ugualmente. Tremotino doveva sapere che lei non si sarebbe data per vinta, quel destino che lui stava profetizzando con così tanta passione non si sarebbe verificato
«Tuttavia c'è un'avversità, Senza Nome è qui per la sua di felicità.» meglio. Questo le dava speranza: sua figlia avrebbe fatto ritorno. Sarebbe tornata da lei, un giorno.
Regina si lasciò sfuggire un sorriso. Montò in sella sistemandosi il mantello.
Avrebbe creato l'incantesimo. Sarebbe diventata una strega oscura. Avrebbe salvato sua figlia.
Ma non si sarebbe trasformata in sua madre, mai, lei non era così.
Si accertò che Tremotino avesse terminato con la sua filastrocca e, girato il cavallo, si preparò a fare ritorno al castello, speranzosa di poter cambiare il futuro che la realtà riservava a lei e a sua figlia e anche di costringere Tremotino a cambiare la sua perdizione stornellata
«Senza cuore è la regina..» l'ultimo verso si diffuse nell'aria, soffice e spietato. La donna non ebbe il coraggio di fermarsi di nuovo. Voleva scappare da quelle parole «..è la madre della bambina.»

Salì di corsa le scale e attraversò il lungo corridoio. Tirò dritto davanti a tutti quelli che incontrava e che cercavano di salutarla con riverenza
«Andate via.» ordinò con voce atona alle guardie che presiedevano una grande porta in legno dalle sfumature violacee. I due uomini si guardarono sorpresi allentando la stretta attorno alle loro lance. Regina lanciò un'occhiata severa ad entrambi, i quali furono costretti ad abbandonare il posto.
Era il suo luogo segreto. L'unico concessole da re Leopold; sapeva che lei era solo una ragazzina e, anche se era diventata sua moglie, comprendeva il fatto che non era felice. Nel disperato tentativo di alleviare la sua tristezza le aveva concesso una stanza tutta sua, in cui nessuno poteva accedere e di cui nessuno era in possesso della chiave che spalancava le porte. Regina ci si rifugiava sempre più spesso, negli ultimi tempi.
Sigillò per bene l'accesso alle sue spalle. Osservò attentamente il camino spento, la finestra con vetri decorati e il divano lussuoso con cui aveva deciso di arredarla, i tappeti di broccato, il cavallo in bronzo e quello specchio, tanto singolare da averla incantata, che troneggiava su una parete.
Si avvicinò al tavolo sottostante, pieno di stoffe, aghi e fili per il ricamo.
Sua madre diceva sempre che una vera signora doveva dilettarsi con quel genere di cose e, dal momento che non aveva trovato altro con cui distrarsi, si era accontentata di cucire in tutti i momenti in cui riusciva a staccarsi da quel mondo che lei non aveva mai voluto, per non dover passare il tempo a compatire sé stessa.
Non aveva trovato altro diletto. Non fino ad allora. Si sarebbe dedicata alla magia nera, le avrebbe occupato ogni secondo della vita, l'avrebbe rapita completamente, giorno dopo giorno.
Si avvicinò al tavolo con aria solenne, anche se non c'era nessuno a vederla. Alzò il braccio destro e lo passò veloce sul ripiano, facendo finire tutto sul pavimento in pietra.
Quel tavolo avrebbe conosciuto ospiti ben più particolari, quello specchio sarebbe stato testimone di tanti sortilegi, quelle mura sarebbero stati le custodi di tanti segreti che dovevano rimanere celati.
Così, nell'ombra e nel silenzio, la Regina Cattiva stava nascendo.
Prese un'ampolla dal suolo, le perline che conteneva erano sparse un po' ovunque. Stando attenta a non scivolare si diresse verso la finestra, vicino alla pianta di orchidee bianche che coltivava; scandagliò ogni minimo centimetro prima di trovarla, una piccola, fragile e preziosa goccia che stillava da un petalo.
Regina si affrettò a catturarla.
Era acqua, la sostanza più preziosa di tutte, più dell'oro, più delle pietre. Era l'acqua il principio di tutto, era l'acqua il principio di ogni vita.
E poi aveva bisogno di qualcosa di suo, che la legasse a sua figlia. Non possedeva nulla, nulla che non fosse stato prima scelto accuratamente da sua madre. Aveva soltanto Daniel, aveva avuto solo e soltanto Daniel e lui era perduto, perduto per sempre.
Regina possedeva soltanto sé stessa e, anche di quello, non era più certa.
Si strappò un capello, l'unica cosa che le venne in mente, e lo mise nell'ampolla.
Quel filo nero, sottilissimo, cominciò a vorticare sinuosamente nel lucido vetro, assorbì la piccola goccia che era con lui e proseguì la sua danza.
Regina sorrise e, rinfrancata, avvicinò lentamente l'ampolla alle labbra e ci soffiò dentro.
Aria, ciò che serve ad ogni essere umano, un alito di respiro, anche quello era vita.
Fu come se il suo capello si fosse sciolto all'istante in un denso liquido nero.
Lo osservò a lungo.
C'era riuscita? Era diventata una strega?
Avvicinò ancora di più l'ampolla alle labbra, la inclinò, facendo scendere la sua pozione giù per la gola. Non era sicura se dovesse berla. Non era sicura di nulla.
Era una pozione come le altre, perché non poteva crearla direttamente Tremotino?
Regina aggrottò le sopracciglia, strinse l'ampolla svuotata nel palmo della mano.
Lui voleva che diventasse una strega, era il suo prezzo, doveva avere sicuramente qualche assurdo vantaggio anche per Tremotino. Ma questo significava solo una cosa: lei era una strega, quindi doveva aver avuto per forza successo.
Ci era riuscita?
Si piegò in due. Un crampo al ventre la prese di sorpresa, costringendola a lasciarsi cadere a terra.
C'era riuscita. Qualcosa stava succedendo. Solo, non credeva potesse essere così doloroso.
Doveva essere tutto una sofferenza nella sua vita?
Si rannicchiò su sé stessa, nel tentativo di alleviare il dolore. Osservò le perline sparse al suolo, il disordine di stoffe, aghi, fili aggrovigliati che cozzavano con la delicata orchidea alla finestra e al tavolo vuoto, in attesa di qualcosa da sostenere.
Si alzò con fatica, dirigendosi allo specchio.
Si guardò concentrata, qualcosa in lei era mutato. Era diventata come sua madre, non c'era più luce nei suoi occhi.
La sua prima pozione. Chissà se sua madre sarebbe stata fiera di lei? Chissà se lo avesse mai saputo?
Era ancora agli inizi. Il flebile soffio di magia che scorreva in lei era ancora insufficiente per tutto quello che era destinata a fare.
Osservò la fialetta, le poche gocce di pozione magica che lottavano per rimanere ancora attaccate ai bordi. La depose al centro del tavolo e se ne andò.

Era a piedi scalzi, vestita di una candida camicia da notte e un mantello che le copriva parzialmente gli occhi. Si sentiva una fuggiasca in casa propria.
Il sole era già alto e la sorprendeva sempre quando sbucava dalle finestre poste nelle mura, troppo luminoso per i suoi gusti; non c'erano guardie nei corridoi, non c'era servitù che vagava per le stanze. Era sola, Regina.
Il profumo del fieno la faceva sempre star male, sempre da quando era morto Daniel, in mezzo ai cavalli, in mezzo a fili di paglia, solo per colpa sua.
Tanti occhi curiosi facevano capolino dalle scuderie, c'erano destrieri bianchi, neri, ma lei si diresse verso l'ultima postazione, verso un cavallo sauro, il suo cavallo.
A differenza di tutti gli altri, era attratto da qualcosa che stava ai suoi piedi, e non alzava il muso verso Regina, per chiedere attenzioni o un semplice spuntino
«Hey..Ronzinante.» lo salutò lei sussurrando. Da quanto tempo non era più scesa a trovarlo? Da quanto tempo non lo montava più? Da quanto tempo non si era più sentita libera, amata, felice?
Il cavallo sollevò prontamente il capo, sbuffandole sul palmo, quando lei entrò.
In un angolo, su un mucchio di fieno, vide un fagotto che si muoveva e, senza indugio, si affrettò a raccoglierlo.
Piccolo, soffice e quasi senza peso. Non immaginava che una bambina potesse essere tanto leggera e aver anche più paura di farla cadere.
Prese un lungo respiro prima di cercare di capire da che parte era possibile scogliere quel fagotto... soprattutto se lo voleva sciogliere.
La bambina era immobile, era ancora più piccola di quello che pensava in mezzo a quel cumolo di stoffa.
Perché aveva gli occhi chiusi? Voleva vederli. Aveva un groppo alla gola da quando l'aveva tirata su dal fieno, e ora quella piccola non faceva altro che dormirle in braccio, nemmeno lontanamente preoccupata del mondo che la circondava, tantomeno del futuro che l'attendeva, varcate le porte del castello.
Ripose un lembo di stoffa sul capo della bambina e si avvicinò al cavallo
«Devi portarci fuori di qui.» sussurrò con calma, accarezzando il manto del destriero. Forse avrebbe dovuto usare la sella, ma non aveva tempo né la forza di sollevarla; optò per delle semplici redini e decise di cavalcare a pelo.
Si guardò attorno mentre cercava un aiuto per poter salire in groppa a Ronzinante, lo fece avvicinare all'uscita della scuderia e, messo un piede sul secchio rovesciato del mangime, riuscì a salire in groppa al cavallo.
Sentì la bambina muoversi nella sua stretta, nemmeno un gridolino proruppe dalle stoffe.
Ebbe di nuovo paura di farla cadere.
Spronò il destriero al passo e nascose il fagotto sotto il mantello.
Non doveva avere esattamente un aspetto regale, così conciata: una camicia da notte ricamata, un mantello verde scuro appoggiato alle spalle, gli occhi coperti e nemmeno una sella tra lei ed il cavallo.
Cercando di non mostrarsi nel completo terrore ma una persona consapevole di quello che stava andando a compiere, Regina attraversò il cortile interno, costeggiò le guardie, non pensava ce ne fossero già tante, di mattina presto; non temeva tanto quelle che si appropinquavano a prendere le loro postazioni sulle mura, puramente a scopo difensivo, né quelle che si stavano organizzando per discutere piani militari che non sarebbero mai stati messi in atto, temeva due guardie, quelle che stavano con le picche e le spade e chissà quanti pugnali davanti al portone, corazzati, con gli elmi, e sempre pronti a fermare chi usciva e chi entrava in quel palazzo.
Si diresse verso di loro tenendo dritta la schiena, per quanto il dolore della notte passata le concedeva, il mantello le copriva gli occhi, ma lei comunque assunse il solito sguardo fiero che utilizzava quando sua madre le impartiva lezioni di postura. Aveva appena varcato la soglia, fu sicura di essere in salvo, quando uno dei due la chiamò; Regina arrestò il cavallo senza voltarsi
«Vostra maestà..?»
«Sto andando.. al villaggio.» disse schiarendosi la voce «Vorrei fare una sorpresa al re, portandogli un dono e.. non vorrei farmi riconoscere.» era la regina, non doveva fornire spiegazioni se desiderava uscire. Forse quel mettersi in inferiorità rispetto alle guardie l'aveva tradita, forse era stata la mossa giusta dato il modo in cui era vestita e dal momento che girava senza scorta.
Le due guardie fecero scontrare i tacchi degli stivali, assumendo una posizione rigida e composta
«Fate attenzione!» le raccomandò una di loro. Regina spronò il cavallo
«Vostra maestà!» l'altra guarda la costrinse ad arrestarsi di nuovo «Abbiamo sentito delle urla, la sera passata.. è tutto a posto?»
«Certo.» rispose prontamente «Una traditrice è stata scoperta e punita. Vogliate perdonarmi.» Regina diede un deciso colpo ai fianchi del cavallo e si diresse, galoppando, verso la foresta.
Non sapeva esattamente dove il suo cavallo la stesse conducendo. Si preoccupava soltanto di abbassarsi quando i rami minacciavano di colpirla, oppure di proteggere, come meglio poteva, il fagotto dalle foglie che incontravano.
La foresta era un luogo angusto e umido, gli alberi impedivano a gran parte della luce di passate tra le fronde e l'aria era densa di umidità.
Sua figlia dormiva, e più volte Regina si domandava come potesse farlo, in groppa ad un cavallo e tra le sue braccia malferme, inesperte, che avevano paura di farla scivolare. Evidentemente di sentiva al sicuro, perché non aveva aperto nemmeno un occhio, e neanche un flebile suono era uscito dalle sue piccole labbra. Dormiva, semplicemente.
Regina doveva salvarla. Ma non poteva scappare con lei.
Nonostante tutti i soli che erano tramontati e tutti quelli che erano sorti, da quando aveva parlato con quello strano uomo che aveva salvato sua figlia, Regina ricordava bene la filastrocca che aveva pronunciato.
Il suo crudele suono rimbombava nelle sue orecchie ogni notte, come fatale monito riguardo al futuro che avrebbe dovuto affrontare.
Una lacrima rigò il suo volto.
Sapeva quello che doveva fare.
Al centro di una piccola radura, nel cuore della foresta, fece fermare il destriero e, scesa barcollante dal suo dorso, si diresse lentamente verso il centro del breve spiazzo. Là si ergeva un albero di mele, le radici saldamente immerse nel terreno piatto, le sue fronde folte e ricche di frutti cremisi, come l'albero che coltivava al castello.
Regina lo odiò, per un attimo.
Si abbassò, con delicatezza posò il fagotto tra due radici. La bambina si mosse, fino a far sciogliere le stoffe, che rivelarono il suo faccino imbronciato; per la prima volta, pianse.
Regina, impacciata, si affrettò a porle una mano sul capo e lei subito spalancò gli occhi, marroni, come i suoi, e smise si piangere.
«Lei amarla non potrà e nella foresta la lascerà.» sussurrò amaramente.
Gli occhi della donna si fecero lucidi e, istintivamente, si portò una mano al collo. Strinse la placchetta d'argento che portava legata ad una fine catenella, portava inciso, da un lato, lo stemma reale, il retro era vuoto.
Sfilò la placchetta e la pose tra i due palmi, ne uscì un sottile fumo violaceo che si disperse nell'aria. Quando Regina dischiuse le mani, notò, con un sorriso, che nel lato prima vuoto si era formata la lettera "A", maiuscola, in delicati caratteri. Lo mise al collo di sua figlia.
Non ebbe il tempo di fare altro, perché sentì dei rumori avvicinarsi sempre di più.
Corse via, Regina, per paura di essere scoperta, lasciando la bambina piangere disperata.
La donna afferrò le redini del cavallo e si nascose dietro agli alberi più vicini. Doveva sapere, doveva vedere, doveva sincerarsi che qualcuno di affidabile si sarebbe preso cura di lei.
Serrò gli occhi tristi, versando altre lacrime. Non le aveva nemmeno dato un nome.
«Senza Nome è ai piedi di un melo, e con speranza urla al cielo.» sussurrò di nuovo.
Si costrinse ad aprire gli occhi. Osservò due viandanti e il loro mulo fermarsi poco distanti dall'albero, si guardavano attorno curiosi e confusi, cercando di capire da dove provenisse quello strano grido. Fu l'uomo a vedere il fagotto e a chiamare subito la sua donna
«È lo stemma reale!» esclamò lei sollevando la piccola che, ancora, strillava
«Se l'hanno abbandonata, ci sarà un motivo.» commentò l'uomo, guardando la moglie arcigno
«Il motivo è che non la vogliono.» rispose secca lei.
Una fitta al cuore prese alla sprovvista Regina, lei la voleva, ma non aveva altra scelta.
«Che vuoi fare?» domandò l'uomo, facendo una smorfia che fece calmare lentamente la bambina
«La portiamo a casa, ovviamente!» esclamò ancora la donna, aveva un'espressione felice
«Come è possibile abbandonare una tale piccola creatura?» borbottò lui, seguendo la moglie e incitando il mulo.
Regina si voltò dall'altro lato, scivolò fino a terra, la schiena appoggiata ad un tronco d'albero. Affondò il viso tra le mani e pianse tutte le lacrime che aveva
«Senza cuore è la regina, è la madre della bambina.»






angolo autrice:
grazie ancora a tutti i lettori di questa fanfiction! Voglio ringraziare in particolar modo coloro che hanno recensito Dora93, LauraSwanA e GiuggiolaPsicolabile93, chi ha inserito nelle seguite come GiuggiolaPsicolabile93 e LauraSwanA, e chi, come Chihiro, l'ha inserita tra le ricordate. Che onore avere tra le preferite di dama greenleaf la mia ff. GRAZIE di cuore a tutti!

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Capitolo 4
*** Armida ***


Capitolo 4 - Armida
Regina guidava con la mente altrove. Era leggermente preoccupata del suo stato, in quel momento; una svista e sarebbero andati fuori strada, non era in vena di essere al volante, soprattutto in una macchina che non le apparteneva: Whale gliel'aveva prestata dicendo che non sarebbe stato prudente viaggiare a piedi.
Era notte fonda, erano tutti stanchi e lei aveva voglia di tornare a casa al più presto, senza contare i due passeggeri che stavano seduti, in silenzio tombale, nei sedili posteriori. Come biasimarli?
Regina stava più tempo a fissare lo specchietto retrovisore che la strada. Ogni tanto vedeva Henry accalappiare gli occhi ad Armida e, quando si accorgeva di essere stato scoperto, scattava come una molla a guardare fuori dal finestrino, rapito e concentrato a fissare il nulla.
Armida, dal canto suo, era alle prese con la cintura di sicurezza, la tastava, la premeva, la tirava, forse per sincerarsi che quella stretta, prima o poi, si sarebbe allentata.
Era piuttosto buffa, incassata in quella vestaglia verde da ospedale e avvolta nel cappotto di lana di Regina, più grande di almeno due taglie, mentre si guardava attorno con occhi affamati di tutto ciò che le stava attorno.
«Hai uno strano nome.» la voce di Henry spaccò il silenzio. Armida distolse il suo interesse dal portacenere «Cosa vuol dire?»
«Non saprei.» la ragazza scrollò le spalle, osservando con la coda dell'occhio il volto di Regina riflesso nello specchietto «Henry cosa vuol dire?»
«Non saprei.» rispose il bambino, facendo una smorfia «Che vuol dire Henry?» domandò, con voce squillante, a Regina
«Significa potente.» rispose atona, alternando velocemente lo specchietto e la strada
«E Armida?» chiese la ragazza, senza pensarci troppo
«Non saprei.» le lanciò un'occhiata di rimprovero «Non te l'ho mica dato io quel nome.» si guardano a lungo.
L'aveva chiamata lei così, qualche significato ci doveva pur essere e, qualunque fosse stato, non doveva arrivare alle orecchie di Henry, evidentemente
«Sai una cosa?» la ragazza cominciò a parlare con voce apostrofata «Non so nemmeno come ti chiami..» la donna la fissò ancora nello specchietto. Vide che aveva ripreso la sua disinteressata ricerca del motivo perché determinati strani oggetti si trovassero attorno a lei.
«Regina.» disse «Ma puoi chiamarmi..» mamma? La donna si arrestò di colpo, cercando di pensare alla strada
«Regina va bene.» concluse atona Armida, premendo il pulsante che apriva il finestrino. Henry la guardò incuriosito.

Lasciarono la macchina nel vialetto, Whale sarebbe andato a recuperarla l'indomani, prima di andare al lavoro. Anche le siepi curate e l'erba ordinata erano, per Armida, oggetto di curiosità. Particolare interesse suscitarono le due piccole lanterne che illuminavano la porta d'ingresso.
Si sforzò di rimanere il più disinteressata possibile, ma non poté trattenersi dal girare su sé stessa ammirando, nella semiombra della notte, quell'enorme casa di marmi bianchi e neri, quella trionfale scalinata e quei tanti suppellettili che adornavano le stanze a cui il suo occhio poteva accedere
«Henry, preparati e vai a letto.. di corsa, che domani c'è scuola!» esclamò Regina con un largo sorriso
«Non vorrai mandarmi a scuola!» protestò lui, mentre si toglieva il giubbotto
«Perché no? Domani è giovedì.» Henry sbuffò e, anche se controvoglia, salì le scale per prepararsi.
Regina rimase con Armida vicino alle scale. Entrambe erano mute, non sapevano come comportarsi. Avevano pensato al piano, avevano rimuginato sul modo migliore per sconfiggere i loro nemici, eppure non si erano nemmeno concesse un secondo per pensare a come comportarsi con gli amici, tantomeno fra di loro.
«Dammi la giacca.» esordì Regina, in un tono alquanto formale. La aiutò a spogliarsi, ripose con cura la giacca nell'armadio, per poi tornare a concentrarsi su Armida. Tremava, nella sua leggera veste da ospedale «Vieni, ti mostro la stanza degli ospiti.» d'un tratto, la spietata ragazza che parlava di vendetta si era trasformata nella timida trovatella impaurita. Regina non poteva fare a meno di pensare a lei come una bambina indifesa, anche se era tutt'altro.
La accompagnò fino alla stanza vicino alla sua, videro schizzare Henry dal bagno in camera sua, in pigiama, ed infilarsi sotto le coperte.
Regina condusse Armida nella stanza degli ospiti, le porse un pigiama di seta grigia che a lei non stava più e sparì per un paio di minuti, per augurare al figlio la buonanotte; stranamente, l'arrivo di Armida, aveva ammorbidito il bambino nei suoi confronti.
La ragazza si concesse tempo ad osservare, attratta, tutto ciò che era presente in quella strana casa. Non aveva mai visto un letto così grande ed ordinato, tappeti con setole così spesse, non aveva mai avuto uno specchio tutto suo e tantomeno un mobile in cui riporre i vestiti.
Le coperte erano talmente morbide e calde che non resistette all'impulso di rintanarcisi dentro. Le persiane semichiuse lasciavano entrare pacata luce notturna anche nella stanza, Armida non si doveva nemmeno preoccupare dell'assenza della foresta, che l'aveva protetta per tutti quegl'anni.
Finalmente, era giunto il momento di scappare da quell'intrico di alberi impenetrabili, tutti uguali, era giunto il momento in cui le caverne venivano sostituite con una casa vera, in cui il sole non era monito del buongiorno e la luna non era la paura di una nuova notte gelida, solitaria.
Finalmente, era giunto il momento in cui aveva ritrovato sua madre e, il loro piano di vendetta, poteva prendere forma.
Finalmente, tutte quelle sere che aveva trascorso nascosta in qualche buco legnoso, con la mente impegnata a non pensare alle tenebre che sopraggiungevano, venivano ripagate con il dolce pensiero di un imminente battaglia, quella per cui lei era nata.
Aveva pensato a lungo al motivo della sua esistenza, di tutte le leggende e le storie che si dicevano sul suo conto, senza dimenticarsi dell'incontro con quell'uomo misterioso che le aveva fatto visita il giorno del suo quattordicesimo compleanno; il giorno in cui la sua vita precipitò nelle tenebre più oscure. Il giorno in cui aveva dovuto imparare a crescere in fretta.
Armida si distese nel letto, rilassandosi. Guardò il soffitto bianco, immacolato.
Da quanto tempo c'erano solo stelle sopra la sua testa?
Lanciò un'occhiata nel corridoio, Regina non sembrava essere intenzionata ad andare da lei, non ancora almeno.
Sospirò. Doveva dire la sua filastrocca, come ogni notte da quel giorno funesto in cui l'uomo senza nome gliela pronunciò, facendola cadere nel baratro della consapevolezza.
Quel giorno era cresciuta.
Quel giorno era cambiata.
Quel giorno aveva compreso il suo scopo.
Nel silenzio della stanza, la sua flebile voce, cominciò a canticchiare
«Nella culla c'è una bambina, è la figlia della regina. Tante sono le avversità, che con ella spartirà. Due le facce della stessa magia, che una volta riunite diranno "battaglia sia!". Ruoli invertiti tra madre e figlia, ecco lo strano di questa famiglia. Prima divise, poi ritrovate, alla salvezza entrambe aspirate. Nel giorno finale in cui lotta sarà, per proteggere lei, la figlia cadrà.»
Era la sua maledizione. Conoscere il suo obiettivo ed anche le conseguenze che esso comportava.
Ma per proteggerla, avrebbe fatto quello ed altro; era sua madre, era giusto restituirle il favore. Per tutto quello di cui Armida era a conoscenza, la loro non era una storia comune, e anche lo svolgersi del piano non doveva essere da meno, come rivelato dalla profezia di quel mago orribile.
Non sapeva come sarebbe andata a finire, sapeva solo che il suo arrivo - assieme a quello di Emma - aveva dato inizio alla battaglia finale, in cui le due fazioni si sarebbero fronteggiate.
Nella sua mente prendevano forma, sempre, ogni tipo di battaglia, dalle più pacifiche a quelle più pericolose, tutte combattute a colpi di lama o di magia. Il Male e il Bene si sarebbero affrontati, un giorno, e sapeva che per proteggere sua madre, lei stessa sarebbe caduta sul campo. Non aveva paura di morire, in un certo senso, era nata per quello.
Armida era a conoscenza di entrambe le filastrocche di Tremotino, ce ne erano altre?
La filastrocca intera non era mai completa. Un pezzo l'aveva Biancaneve e parlava di Emma, un altro squarcio ce l'aveva Regina e parlava di una figlia perduta e della battaglia finale, l'ultimo frammento lo custodiva lei, segretamente, nella sua testa. Ma era davvero il conclusivo?
La sua mente interruppe di colpo il corso dei pensieri quando, Regina entrò nella stanza e si sedette sul ciglio del letto
«Domani staremo da sole tutto il giorno..» sussurrò la donna con lo sguardo basso, non c'era altro se non sincerità, nella sua voce «Andremo a prenderti dei vestiti e cercherò di insegnarti alcune cose di questa città.. immagino che nella foresta non abbia avuto modo di relazionarti con.. il nuovo mondo, non interamente, almeno.»
«No, infatti.» rispose lei, a mezza voce
«E.. potremo» aggrottò per un secondo le sopracciglia «sai..» sollevò titubante una mano e con essa lo sguardo «..parlare.» le spostò una ciocca di capelli crespi dietro l'orecchio. Armida rimase immobile, da quanto tempo qualcuno non la toccava?
«Non sono molto brava a farlo.» fu la replica monocorde che ottenne, mentre ritirava la mano
«Impareremo.» sorrise, alzandosi «Insieme.»
Armida la osservò mentre scivolava fuori dalla porta, socchiudendola
«Perché?» la fece girare di scatto «Perché hai creato la maledizione?»
«Qual è la vera domanda?»
«Perché non sei venuta a cercarmi?»
Regina appoggiò il capo alla porta, guardandola con occhi lucidi. Li chiuse, per un attimo, fece cadere qualche lacrima sul pavimento.
Prese lieve un respiro, strinse la maniglia
«Significa guerriera, l'armata, colei che è pronta alla battaglia.. Armida, significa guerriera.» la guardò per un attimo nel buio, cercando il debole scintillio dei suoi occhi bruni «La mia guerriera.» sussurrò, poi, sgusciando fuori dalla porta.
La ragazza sorrise amaramente, nel buio: aveva ottenuto la sua risposta.








McHardcore: Armida - gif
graziegraziegrazie per tutto il supporto! ♥




 


angolo autrice:
lo so, è un capitoletto insignificante.. di passaggio, perdonatemi.. mi redimerò con il prossimo, promesso!
Ora passiamo a...
D'accordo, volete farmi morire?! Cinque recensioni! Cinque!! E quanti apprezzamenti per le mie sclerate.. non pensavo la ff fosse davvero così gradita, insomma, lo speravo.. e grazie a tutti voi, beh, il mio desiderio si è avverato!
Grazie alle recensioni di Valine - benvenuta nel "mio" mondo, LauraSwanA e Dora93 - le loro recensioni sono sempre graditissime, emily silente - che odia tanto Leo xD, e McHardcore - con cui condivido l'amore spassionato per Regina e a cui, anche, do il benvenuto nel mio mondo.
Grazie a chi ha inserito la ff tra le seguite: emily silente, evilqueen98, GiuggiolaPsicolabile93, LauraSwanA, sosia e Valine.
Grazie tantissimo a chi ha inserito tra le ricordate: Chihiro
E grazie mille a chi ha inserito, addirittura, tra le preferite: dama greenleaf e McHardcore... è un onore, davvero.
Grazie anche a tutti voi, lettori silenziosi.. alla prossima!

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Capitolo 5
*** Still Little Voices ***


Capitolo 5 - Still Little Voices
Armida era in uno stato di semicoscienza quando Regina irruppe in camera, chiamandola. La ragazza mugolò, non pensando neanche lontanamente di voler lasciare quel letto caldo e morbido, dal momento che, nel vecchio mondo, non ne aveva mai sperimentato uno, figurarsi un letto così comodo.
«Henry è andato a scuola, si è portato il pranzo e, fino alle quattro, possiamo fare quel che ci pare.» esclamò con voce allegra, sedendosi sul letto.
Armida la guardò con occhi assonnati, da sotto la coperta
«Sì.. ecco, a proposito.. perché Henry deve andare a scuola? Insomma, a che serve la scuola?» domandò, risorgendo poco alla volta dalla sua nuova idea di paradiso
«Non ti preoccupare.» Regina scrollò le spalle «Lo scoprirai presto, perché ci andrai pure tu.» Armida la guardò male. Non sapeva di cosa si trattasse, ma già il fatto di doversi alzare presto e tornare a casa in pomeriggio inoltrato per fare.. chissà cosa, non la attirava affatto
«Stai scherzando, vero?» Regina le afferrò un polso, trascinandola fuori dal letto
«Io non scherzo mai, Armida.»
«Devi stare simpatica ad un sacco di gente..» commentò la ragazza, ottenendo come risposta una bella stritolata al polso. Non protestò, se lo aspettava.
«Andiamo, simpaticona, ho preparato la vasca.» la costrinse a seguirla fino all'altra stanza.
Era un po' sconcertata da quell'ambiente immacolato, bianco, con tanti oggetti e mobilia che non aveva mai visto prima.
Regina entrò per prima, lasciando la figlia ammirare a bocca aperta quel luogo tanto strano. Osservò il piccolo accappatoio azzurro che doveva, per forza, appartenere ad Henry, e la vestaglia rossa.. che non aveva bisogno di ipotesi; a parte i flaconi colorati, non sembrava affatto un luogo frequentato da un bambino, il predomino, in quella casa, era sicuramente in mano sua.
Regina si sedette elegantemente sul bordo della vasca, sfiorando l'acqua con le dita
«Fammi capire..» Armida incrociò le braccia al petto, sollevando un sopracciglio «Vuoi farmi il bagnetto?»
«Sei sporca da fare schifo!» esclamò lei, senza mezze misure
«Non è facile farsi belle in mezzo ad una foresta!» le rispose a tono, seccata. Regina sospirò, massaggiandosi la fronte
«Entri da sola o devo fare come quando Henry era piccolo?»
«Posso anche cavarmela..» disse poco convinta, guardando la vasca colma d'acqua
«Non credo proprio.» Regina scosse la testa, girando le manopole per fare uscire altra acqua. Armida si avvicinò estasiata
«Pensavo che la magia fosse scomparsa..» la donna si lasciò scappare una risata
«Sì, la magia idraulica.» Armida la guardò con aria di sfida
«Essia.» disse prima di levarsi il pigiama di seta e, con decisione, si immerse completamente. Regina non fece nemmeno in tempo ad avvisarla di fare piano, almeno per evitare che il liquido rovente le provocasse dolore, che lei era già dentro con gli occhi sbarrati
«Sì.. avrei dovuto avvertire.»
«Ma sei pazza? Sei una sadica, perché mi hai fatto entrare in questa trappola bollente?!» protestò, cercando di liberarsi dalle mani di Regina - divenute improvvisamente congelate - che la costringevano a rimanere seduta
«Non posso andare in giro per la città con una selvaggia sporca di fango! Sono pur sempre il sindaco! ..E vedrai che un giorno sarà rilassante.» Armida urlò contrariata quando prese a strofinarla con una spugna, tanto forte da farle male
«È una tortura! Pensavo che ci avessi spediti in una civiltà evoluta!» esclamò di nuovo, mentre stringeva gli occhi, rossi per il sapone.
«Ma non ti sei mai lavata?» protestò seccata Regina, quando la ragazza cercò di combattere contro l'acqua insaponata che le colava giù dalla testa
«Sì!» tossicchiò «Ma nell'altro mondo non è che sguazzavamo nell'oro, dovevamo accontentarci di un panno umido, quando andava bene.. e qui, beh, il fiume sotto Toll Bridge.. Troll Bridge.. insomma, sotto il ponte, non è molto accogliente.» Regina abbassò lo sguardo, si era sentita improvvisamente assalire da un nodo allo stomaco, si sentiva in colpa
«Mi dispiace non essere riuscita a darti la vita che merita una principessa.» Armida la guardò, per un attimo, non aveva mai veramente realizzato di essere una principessa; si mostrò distaccata, scrollando le spalle
«Beh, almeno sono viva.» si rivolsero, a vicenda, un sorriso tirato.
Regina le porse un asciugamano, mentre tirava via il tappo e l'acqua defluiva.
Si scambiarono un'occhiata, quando il campanello suonò
«Vado a vedere chi è.» disse con fare circospetto, la donna. Armida la osservò uscire dalla stanza.
Chi poteva farle visita di mattina? Non stava aspettando nessuno! E per i pettegolezzi su di lei e su Armida, contava sarebbero scoppiati solo dopo mezzogiorno, quando l'avrebbe portata da Granny's per il pranzo. La mente di Regina correva su ogni possibile ipotesi mentre trottava giù dalle scale, le dita che accarezzavano delicate il corrimano; si sistemò i capelli, quando arrivò all'ultimo gradino. Intravide una figura sfocata dai vetri opachi che circondavano la porta.
«Signor sindaco!» si sentì chiamare, prima di girare la maniglia.
Quellavoce, quel bastone, quel taglio di capelli così piatto e anonimo, quegli occhietti furbi e taglienti.. a Regina si bloccò il respiro. Che ci faceva lui davanti alla sua porta? E proprio il giorno dopo il ritrovamento di sua figlia.. si stava chiedendo se fosse realmente una coincidenza.
«Signor Gold.» provò a sfoggiare un sorriso amichevole «Bu-buongiorno...?» non aveva mai balbettato davanti a lui, non aveva mai balbettato davanti a nessuno! Che le stava prendendo? Quell'aria interrogativa nel titubante buongiorno che gli aveva rivolto la faceva sentire colpevole di qualcosa che non aveva fatto. Non aveva nulla da nascondere, dopotutto!
«Buongiorno anche a lei.» sorrise l'uomo, facendole un cenno col capo. Non sembrava molto sorpreso dall'atteggiamento della donna.
«Serve qualcosa, Gold?» la sua voce si era fatta scontrosa tutto d'un colpo, e l'uomo fu costretto a rimettersi dritto, facendo finta di non aver osato sbirciare dentro casa del sindaco
«Io ero venuto.. per darle questo.» solo allora lo sguardo di Regina notò che, con il braccio piegato, l'uomo reggeva una stoffa dai colori sgargianti. Gold glielo porse con un largo sorriso «Ne ho tanti al banco dei pegni e.. ho immaginato che alla piccola non entusiasmasse l'idea di indossare vestiti smessi e dai colori cupi.» arricciò il naso e Regina lo guardò dall'alto in basso.
Come diavolo faceva a saperlo? E con che coraggio chiamava Armida "piccola"? ..Giusto, lui non era consapevole del resto.
«La ringrazio..» si schiarì la voce «Ma non ho bisogno di..» si sentì spostare. Armida era corsa giù per le scale, grondante, e si era affacciata alla porta con aria curiosa, sbirciando da dietro il corpo di sua madre.
Regina fu disgustata dal modo in cui lo sguardo di Gold cadde sul corpo seminudo della figlia e desiderò avere il potere di scagliarlo lontano da lei, ma lì non poteva.
«Armida!» la riprese sconvolta, cercando di ricacciarla in casa
«Che grazioso bocciolo.» la voce dell'uomo fece bloccare entrambe.
La ragazza sembrava attratta dal volto di Gold. Corrugava le sopracciglia, nel tentativo di capire, di ricordare, dove l'avesse visto.. o chi fosse.
Regina si sincerò che l'asciugamano con cui si era coperta non fosse in procinto di lasciarla nuda davanti a lui, poi, rassegnata, tornò a guardare verso il mattiniero visitatore
«Le presento Armida.» disse con voce atona
«Incantato.»
Tremotino!
Armida spalancò la bocca, sbandando all'indietro. Il Signor Gold venne ritenuto alquanto inopportuno, da Regina, quando cercò di preservare la ragazza da una caduta.
«Armida, vai di sopra.» la donna le raccomandò con garbo di non fare passi falsi così ingenuamente
«Mi permetta soltanto di darle il mio dono..» insistette Gold «Per favore.» Regina s'irrigidì schiarendosi la voce
«Il Signor Gold ha un regalo per te, cara.» le rivolse un sorriso mellifluo, al quale Armida decise di reagire ridandosi un tono «Ringrazia e vai di sopra.»
Armida ubbidì, prendendo l'abito corto che l'uomo le porgeva e scattando su per le scale, volendosi solamente allontanare da lui.
Regina lo congedò con un cenno composto del capo, chiudendogli praticamente la porta in faccia
«Che ti è saltato in mente?» la donna aggredì la ragazza appena la porta si richiuse
«Avevo sentito una voce familiare.» provò a giustificarsi lei, lo sguardo basso
«Intendevo dire come ti è saltato in mente di venire alla porta mezza nuda!»
«Non è per me che dovresti preoccuparti.» mormorò lei, puntando i suoi occhi in quelli di Regina «Lui sa.» disse tagliente. Confermando le teorie che Regina, a cui da un po' di tempo, aveva pensato: Tremotino ricordava tutto.
«Non essere sciocca.» rispose mettendo le mani ai fianchi
«Allora perché sei così nervosa?»
«Non lo sono!» esclamò adirata «È solo che.. potresti avere ragione.» sospirò «E se così fosse..»
«Cosa?» la interpellò «Lui è senza magia tanto quando noi. Con la differenza che noi siamo in due.. non è da Gold che dobbiamo tenerci alla larga.»

«Non potevamo evitare?» mugugnò per l'ennesima volta la ragazza, mentre cercava di abbassarsi la gonna, troppo corta per i suoi gusti
«Se incontriamo Gold non sarà sospetto.» rispose Regina con tono indifferente, alzandole l'abito dalla scollatura
«Insomma, tutto per uno stupido abito?» sbottò lei, fermandosi in mezzo al marciapiede
«Daresti più nell'occhio vestita da selvaggia, credimi.» le passò una mano sui capelli, cercando di pettinarli, dal momento che non aveva passato più di due minuti sotto le torture della spazzola.
Armida inciampava più del dovuto nelle scarpette che la madre le aveva infilato ai piedi. Aveva le caviglie troppo magre e le calzature si abbandonavano alla gravità ogni due passi; la macchina era stata scartata a priori, optando per un mezzo di locomozione più tradizionale e più.. evidente. Dovevano mettersi in mostra.
Regina doveva far sfilare la figlia davanti ai cittadini curiosi.
Avevano un paio d'ore prima dell'ora di pranzo, a mezzogiorno, ora in cui la maggior parte degli abitanti si sarebbe rintanata da Granny's per un buon pasto in previsione del lavoro pomeridiano. Era un appuntamento fisso: quando qualcuno doveva far sapere qualcosa, a più gente possibile, nello stesso momento, quello era il luogo giusto.
Ruby e la sua cara nonnina avevano la meritata reputazione di pettegole e, essendo il loro locale l'unico punto di ristoro in tutta StoryBrooke, la città sarebbe venuta a conoscenza della novella in poche ore.
Regina guardò l'orologio, avevano tempo per una sosta in boutique.

«Ma dei normalissimi corsetti? Gonne che coprono tutte le gambe, stivali.. non esistono più?!» protestò la ragazza, alle prese con l'ennesima camicia che sua madre le aveva fatto provare
«No, se non fanno trenta gradi sotto zero ti devi accontentare di vestiti corti ed eleganti di scarsa utilità pratica.» rispose secca Regina, lanciandole nel camerino di prova altri due abiti colorati «Il cibo, da queste parti, non lo devi rincorrere con arco e freccia. E comunque è questione di abitudine.» la donna si sedette sul divanetto, attendendo che la ragazza uscisse per mostrarle il nuovo abito. Dopo pochi minuti la sentì urlare
«Armida? Che ti è successo?»
«Che disastro!» sentì la voce tremante di lei provenire come dall'oltretomba
«Ti sei impigliata i capelli nella zip?» chiese, ricordandosi della sua prima esperienza con quella roba.. l'esperienza che la obbligò - in un certo senso - a tagliare i suoi lunghi capelli bruni
«Peggio. Tu sei più pazza di quello che pensavo.»
«Ma si può sapere che hai?» sbottò la donna, raggiungendola nel camerino.
Armida spalancò la porticina, mostrandosi alla donna con uno sguardo tra il furente e il disperato
«È rosa! Rosa!» lisciò con nervosismo la corta gonna «Non vorrai davvero che me ne vada in giro conciata così!» Regina si lasciò sfuggire una risata
«Certo che no, sarebbe troppo crudele persino per me.» richiuse la porticina «Vado a pagare tutto il resto, indossa qualcosa, ti aspetto fuori.»
Armida raggiunse Regina poco dopo, indossando l'abito che le aveva dato Tremotino. La donna sollevò un sopracciglio
«Tutto questo... per ritrovarti con il vestito di Gold?» la ragazza sbuffò scocciata, passandole metà delle buste
«Una cosa alla volta, prima questo vestito, poi i tuoi. Mi devo abituare.»
Regina si diresse verso il Granny's, era dall'altra parte della città e una lunga passeggiata non sarebbe stata una cattiva idea, magari passando anche dal parco.
Quella graziosa cittadina era immersa nella monotonia del mondo in cui si trovava e ogni abitante era ignaro della sua vera identità. Armida era sconcertata nell'ammirare quanto quelle persone fossero tranquille, nel vivere una vita che non era la loro; ognuno sapeva ciò che doveva fare, i commessi aprivano i negozi, le maestre andavano ad insegnare.. era tutto normalissimo.
Regina ed Armida camminavano calme - anche loro - sul marciapiede di StoryBrooke, scivolando accanto a persone che le guardavano strano, altre le ignoravano.. ma tutti erano come immersi in un sogno che li teneva imprigionati.
La ragazza sentì come un ronzio, nella testa.
Si voltò, vide Archibald Hopper, altrimenti conosciuto come il grillo parlante. L'uomo incitò il cane dalmata che teneva al guinzaglio e si diresse al parco.
E poi ancora, un forte colpo, tanto potente da spaccare una pietra.
Si voltò ancora, vide Leroy, il quale rispondeva al nome di Brontolo, camminare imbronciato nella direzione opposta. Si avvicinò con passo pensante verso di loro, urtò Armida con la spalla e non si degnò nemmeno di chiedere scusa.
E tanti altri, che si manifestavano nelle sue orecchie con acuti suoni per quelli che erano, nel loro mondo.
"Inchinati alla Regina!" sentì urlare "Inchinati alla Regina!", ancora, e sbandò.
«Ci hai maledetti!» sbottò, tra i denti, quando la donna le offrì la mano per alzarsi da terra. Regina indietreggiò, sorpresa da quel brusco cambiamento.
Ebbe la sensazione che tutta la città la stesse osservando, invece, erano sole e tutti non lanciavano che qualche occhiata curiosa, continuando sulla loro strada.
Armida si alzò traballante, le mani strette in due pugni. Non era intenzione sua, dare spettacolo, eppure lo stava facendo. Perché? Perché il suo passato la stava tormentando di nuovo? Perché lì e perché il quel momento?
«C'è qualche problema, Signor Sindaco?» la macchina si fermò proprio davanti a loro ed Emma tirò giù il finestrino.
Emma, certo. Se c'era lei, nei paraggi, cominciava il suo incubo. Erano le rivali per eccellenza. Le figlie perdute che si dovevano affrontare; starle il più lontano possibile poteva essere un'ottima idea, soprattutto se voleva evitare spiacevoli ricordi.. ma sapeva che questo era impossibile. Doveva solo.. abituarcisi. A poco a poco le brutte sensazioni sarebbero scemate, forse.
«No, va tutto bene, Sceriffo.» rispose atona Regina, senza nemmeno guardarla. «Continui il suo giretto di pattuglia, faccia il suo lavoro.»
«Hey ragazzina, tutto bene?» insistette la donna, ignorandola. Armida non rispose
«Ho detto che va tutto bene, Sceriffo.» le si avvicinò con il suo solito sguardo truce «Ora ingrani la marcia, tiri su quel benedetto vetro e vada a fare il suo lavoro.» gli occhi di Emma presero a fissare le labbra di Regina che scandivano ogni singola parola.
«D'accordo, come vuole lei.» commentò sollevando le sopracciglia. «Me ne vado.. me ne vado.» borbottò sgommando via.
Regina prese un profondo respiro, facendo nascondere le sue mani nelle tasche della giaccia di lana nera. Armida le si affiancò con lo sguardo basso, incapace di rispondere.. e impaurita, dalle domande che Regina avrebbe potuto rivolgere
«Tutto bene?» chiese la donna poco dopo, il suo tono era ben più freddo di quanto avesse voluto
«Sì.» si limitò a ribattere la ragazza, non troppo convinta. I rumori e le voci e le urla e i ricordi stavano lentamente abbandonando la sua mente.
Era certa che la vera domanda non fosse quella, in realtà.. ma non era pronta a conoscere la sua storia, Regina, come lei non era pronta a raccontargliela.
Sbucarono nella strada principale, Armida osservò con occhi affamati il grande orologio sopra la biblioteca, trattenendosi dal chiedere se fosse proprio quell'orologio e se quelle lancette che correvano senza sosta fossero proprio quelle lancette e se quella biblioteca fosse proprio quella biblioteca che custodiva grandi segreti.. come la città intera.
La ragazza cercò di incrociare più sguardi possibili e così fece anche Regina, con mal celata indifferenza. Gruppetti di persone più o meno numerosi si dirigevano a gran passo verso il punto di ritrovo quotidiano: il Granny's.
Regina avanzò a passo deciso verso la porta del locale, che aprì disegnandosi un sorriso trionfante sul volto - come le era consono - e lasciò che Armida varcasse la porta per prima.
La ragazza entrò stringendosi nelle spalle, si sistemò una ciocca ribelle dietro l'orecchio mentre la campanellina attaccata alla porta testimoniava la loro presenza.
«Signor Sindaco.» la signora Lucas salutò la donna con sorpresa. Non era da lei presentarsi per pranzo.. "mischiarsi con la gentaglia di StoryBrooke", e con lei, tutti i presenti del locale si zittirono
«Possiamo pranzare?» un largo sorriso, dolce quanto spietato, si allargò sul suo viso mentre la mano sinistra stringeva la spalla della ragazza, visibilmente fuori posto.
La signora Lucas non fece nemmeno in tempo a darle un responso negativo che subito un tavolo si era liberato; sconsolata e affranta dall'autorità e dal terrore che disseminava quella donna, le mostrò il tavolino con il braccio
«Grazie, cara.»
Armida venne sospinta fino al suo posto. Si sistemò appoggiando i gomiti sul ripiano rosso pregando che le persone tornassero agli affari propri. Cosa avrebbe fato, Regina? Si sarebbe alzata, messa in piedi su una sedia, e avrebbe gridato che lei era sua figlia? Come?
L'ansia cominciò a prevederle lo stomaco.
«Henry prenderebbe patatine fritte.. e hamburger.» Regina sollevò per un attimo lo sguardo dal menù
«C..cosa?» la ragazza si sporse verso di lei, temendo di non aver sentito bene: cos'erano quelle cose? Cibo?
Regina non ebbe tempo né di ridere, né di piangere per la disperazione che la frizzante Ruby era già da loro con il blocchetto in mano
«Che vi porto?»
«Ehm..» Armida balbettò, rivolgendo velocemente lo sguardo verso Regina
«Roastbeef, per due.. e dell'acqua.»
«Ok!» squittì Ruby, mostrando il suo sorriso luminoso. Regina si era domandata più volte a cosa servisse il piccolo blocchetto per le ordinazioni, visto che la matita non passava mai sulle sue pagine, né comprendeva il motivo dell'esistenza di quei menù, dal momento che erano invariati da ventotto anni e che, sicuramente, nonostante la maledizione, tutti quanti avevano già imparato a memoria.
Armida rispose con un sorrisetto tirato a quello sincero che Regina le rivolse, e fu l'unica comunicazione che intrattennero. Di mangiare non ne avevano voglia, ma erano lì, avevano ordinato e, nonostante lo stomaco chiuso, dovevano reggere la recita.
Ruby arrivò tenendo due piatti in equilibrio sulla mano e sull'avambraccio destro, mentre con il palmo sinistro reggeva un vassoio contenente l'acqua e due bicchieri.
Armida si ritrovò costretta ad aiutare la stravagante cameriera, la quale si prese un rimprovero dalla signora Lucas: "un giorno o l'altro farai cadere tutto in terra!", le aveva gridato da dietro il bancone, e lei aveva sbuffato, roteando gli occhi al cielo.
«Non ti ho mai visto da queste parti.» Ruby si era appoggiata al tavolino con entrambe le mani. Il dottor Whale si diresse al bancone passando fra lei e il banco di profilo, senza dimenticare di dare una lunga occhiata ai cortissimi jeans di Ruby. La signora Lucas mimò con le labbra delle frasi, la testa rivolta al cielo.
«Come?» Armida distolse per un attimo lo sguardo dal suo piatto
«Sei nuova, di qui?»
«Ah!» la ragazza scattò sulla sedia. Un qualcosa di appuntito le aveva colpito il piede. Giusto. Ecco il perché Regina non l'aveva ancora scacciata in malo modo: l'occasione perfetta. Bisognava reggere il gioco.
«Sì..» rispose quasi titubante
«Io sono Ruby!» si presentò raggiante, porgendole la mano. Armida gliela fissò per qualche istante, per poi porgerle la sua «La signora Lucas è mia nonna.» indicò la donna dall'aria bonaria con un cenno del capo
«Io sono Armida.» disse con tono dolce, rivolgendole un sorriso. Ma Ruby non sembrava soddisfatta: attendeva qualcosa. Aveva alzato le sopracciglia ed abbassato il capo, come per invogliarla a dirle di più
«..Mills.» intervenne prontamente Regina. Ruby spalancò la bocca, ritraendo quasi d'istinto la mano
«Piacere mio, Ruby.» Armida le sorrise ancora, mentre la ragazza annuiva
«Così.. voi due.. insomma.. sei la figlia di Re... del sindaco.»
«Sì.. beh..» incrociò gli occhi con quelli della donna, intenta a tagliare un pezzo di carne con aria indifferente «È una lunga storia..»
«Potrai sempre raccontarmela.. ti va di uscire qualche volta?» Ruby fece spallucce.
Regina accennò una risata
«Non la lascio uscire con te, cara.»
«Oh, avanti signor sindaco!» quella supplica la trovò estremamente fuori luogo, tanto che l'espressione che le rivolse rasentava l'allibito «Non ci sono tante ragazze qui a StoryBrooke.. avanti, non sia noiosa!» la donna si portò alle labbra un pezzo di carne, masticò e ingoiò in tutta tranquillità. In effetti il mondo delle favole non pullulava di teenager.. e Ruby era della stessa età di Armida, anno più anno meno. Entrambe erano state sole a lungo e il tempo di attesa non andava certo diminuendo, secondo i suoi calcoli
«Vedremo.» concluse Regina. E Ruby comprese che era il momento di levarsi dai piedi dopo un allegro "buon appetito", magari andando verso il bancone a bisbigliare le ultime news ai presenti.

«Molto bene: il primo obiettivo è stato raggiunto.» Regina sorseggiò dal suo bicchiere, lasciando del rossetto sul bordo
«Siamo una squadra.» sorrise trionfante Armida, masticando energicamente la carne.
«..e comunque, devi ancora spiegarmi che è successo in strada.» la ragazza inghiottì a fatica il boccone
«Non sono sicura.. che tu sia pronta.» abbassò lo sguardo, depositando le posate sul lucido ripiano rosso «E nemmeno che sia il luogo adatto.»
Regina si guardò attorno: la folla si era stretta attorno al bancone, con la scusa di una torta appena sfornata.
«Sei qui, ora. Voglio aiutarti.»
«Si tratta della mia maledizione.» Armida respirò pesantemente, come se si stesse liberando da un peso opprimente «Si tratta.. di chi sono.» la donna inclinò la testa, non era sicura di comprendere a fondo il significato di quelle parole
«E chi sei?»
«Sono stata nessuno per molto tempo. Ho avuto anche un nome, per un periodo.. ho avuto una famiglia, una casa, finché non ho scoperto la verità. Non ero chi credevo di essere.. e le bugie che tutti mi avevano sempre detto non cambiavano un fatto: non importa dove mi trovavo, non importa come mi chiamavano, non importa chi io volevo essere. Rimanevo comunque la figlia della regina.»























angolo autrice:
Innanzitutto lasciatemi ringraziate tutti voi, che leggete, recensite, seguite, ricordate.. e preferite, addirittura!
Ma un immenso GRAZIE va a McHardcore che.. beh, che dire, ama questa storia almeno tanto quanto la amo io, e forse anche di più! xD Ha creato gif fenomenali (una di esse è il link che trovate nel capitolo precedente: 'Armida') quindi inutile dirti che ti ADORO <3
...nel prossimo capitolo rintroniamo nel mondo incantato di Once, vi aspetto numerosi!!
syriana94

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Capitolo 6
*** la Figlia della Regina ***


Capitolo 6 - la figlia della regina
C'era un insolito viavai in quella strada. Quasi tutti gli abitanti di StoryBrooke avevano deciso si passare davanti all'ufficio del sindaco.. solo per una passeggiata.
Regina si alzò infastidita dall'ennesima occhiata che un passante curioso aveva rivolto  verso il primo piano dell'edificio, si mise davanti alla finestra ostentando un largo sorriso e chiuse le persiana con un gesto secco.
Leroy bofonchiò tornando sui suoi passi.
La donna abbassò la schiena sulla scrivania, apponendo la sua firma elegante sull'ultimo pezzo di carta. Prese in mano il plico di fogli, pareggiandolo, e lo ripose accuratamente in una cartellina nera, poi nel cassetto.
«Perdonami, erano questioni urgenti.» disse avvicinandosi al divano su cui si era seduta Armida.
La stanza era solo illuminata dal fuoco del camino e il calore di diffondeva irregolare ovunque.
«Non fa nulla.» la ragazza era seduta da un lato, rigida, le mani posate in grembo
«Non.. vuoi proprio raccontarmi la tua storia?» Regina la raggiunse, sedendosi al centro. Non voleva mostrarsi troppo distante, anzi, era quello che stava cercando di evitare, ma nemmeno troppo vicina, per non forzarla
«Non credo tu sia pronta.» ribatté atona, guardandosi le proprie dita tormentarsi tra di loro
«Allora quando?» incalzò la voce dell'altra, mentre guardava il suo profilo illuminato dai colori danzanti del camino. Armida sospirò profondamente, chiudendo per un attimo gli occhi.
«Non eravamo reali, o nobili, o tantomeno ricchi. Ma eravamo felici.. prima che scoprissi la verità. Quando aprii gli occhi, quel giorno.. cambiò tutto.» accennò ad una risata, e nel silenzio, tra lo scoppiettio dei ciocchi, apparve amara «Ti ho odiata per ventinove anni.. qui, quando il tempo si fermò.. e là, da quando scoprii la verità. Ti ho odiata a lungo. Ma il vero odio l'ho provato solo per poche ore.. il resto.. era..» Armida prese un respiro, sbattendo le palpebre, cercando di trovare la parola giusta per concludere «..paura.» sussurrò, aggrottando leggermente le sopracciglia.
Regina distolse lo sguardo. Odio? Sì, l'aveva messo in conto. Paura? No, quella era una novità, mai avrebbe immaginato che provasse paura per lei.
«È un tuo diritto odiarmi.»
«L'ho fatto.» aggiunse subito la ragazza, quasi senza lasciarla terminare
«E poi cos'è successo?» la donna rivolse di nuovo lo sguardo verso lei. Armida prese a fissare il fuoco
«Ti ho vista.»
 
Si svegliò stropicciandosi gli occhi. Sentiva gli spifferi gelati entrare dalle imposte appannate, i fiocchi di neve che scivolavano contro il vetro grezzo.
Nonostante la spessa coperta di lana bianca, la ragazzina tremava nel suo letto, cercando di scaldarsi come poteva: il piccolo camino acceso, nell'altra parte della casetta, bastava a malapena per intiepidire il paiolo che conteneva la minestra annacquata.
Inspirò a lungo, prima di decidersi a tirarsi a sedere.
Si guardò attorno, mentre le immagini diventavano più lipide
«Buongiorno cara.» una donna si girò distogliendosi dalle sue faccende e le sorrise ampiamente «Buon compleanno.»
La ragazzina guizzò fuori dal letto e si tuffò tra le sue braccia «Non voglio andare.» singhiozzò. La donna le accarezzò la testa, sorpresa da quella reazione
«Andare dove?»
«A combattere gli orchi. Ho tredici anni, adesso.» la donna rise di gusto, lasciando cadere la testa all'indietro
«Non ci avrai creduto davvero, per tutto questo tempo!» due occhi marroni si spalancarono colmi di speranza «La guerra è finita da tempo, era solo una storia che utilizzava tuo padre per rabbonirti.» il viso della ragazza si imbronciò e la donna le accarezzò una guancia «Ora va' a vestirti. Sul tavolo c'è la colazione.»
«Papà?»
«È a caccia.» la donna la osservò mentre si infilava la maglia di lana, il corpetto di pelliccia rattoppato, le calze pesanti e la bloccò, prima che si potesse infilare gli stivali «Non ci pensare nemmeno!» la minacciò con un mestolo «Fa' troppo freddo, oggi.»
«Ma perché? È primavera, non dovrebbe nevicare.» sbuffò la ragazzina, sedendosi al tavolo per mangiare da una scodella piena di latte e pane raffermo
«È la regina.» sospirò la donna «Sempre più freddo. Sempre più desolato. È un regno triste, questo.»
«E cosa ci guadagna?» la ragazzina portò al lavello la tazza completamente ripulita.
«Nulla, Amy. Non ci guadagna nulla. Quella donna ha solo perso molto, nella vita.» le sorrise, prendendole il mento tra le dita
«Posso raggiungere papà a caccia? Ti prego.» sbatté le lunghe ciglia ricurve e la donna si sciolse.
«D'accordo. Ma fai attenzione.» la ragazzina si infilò gli stivali ed il mantello, tirandosi su il cappuccio. Socchiuse appena la porta, scivolando all'esterno «Amy!»
«Sì?» si bloccò sull'uscio, cercando di coprirsi le mani con le maniche della maglia
«Prima di tornare fai un salto al pozzo e vedi se l'acqua non è ghiacciata.»
«Sì, mamma.» Amy chiuse la porta, agguantando il secchio vuoto vicino al muro esterno della piccola casa in legno.
 
Le era sempre piaciuta la neve, anche se il freddo che la accompagnava era un disastro, sempre, per tutti. I raccolti venivano rovinati, gli animali si rifugiavano nelle tane e l'acqua era difficile da recuperare; gli inverni erano sempre faticosi per il villaggio, e stavano diventando sempre più lunghi.
La neve era l'unica cosa che riusciva a rallegrarla: tutto diventava bianco, uniforme, irreale, come avvolto da un sogno. Si creavano sentieri dietro i suoi passi; nel silenzio più totale gli uccellini schizzavano fuori dai rami come frecce.. il cielo si sgretolava, per abbracciare tutti nei suoi delicati fiocchi d'acqua.
La ragazzina saltellò qua e là tra gli alberi, cercando di non schiacciare con passi goffi i rametti o le foglie secche. Il suo respiro, appena udibile, si manifestava in nuvole bianche, dense, davanti ai suoi occhi, mentre la punta del naso e le orecchie cominciavano a pizzicare. Freddo.
Passò il secchio vuoto da una mano all'altra, cercando di nascondere le dita rosse nella manica della blusa, e continuò a camminare, guardando gli alberi, osservando e ricordando le curve tracciate dai sentieri, anch'essi privati alla vista dalla coltre candida.
Amy guardò verso il cielo, tutto era bianco. L’orizzonte si confondeva con sé stesso, rendeva il paesaggio infinito, magico, bellissimo. I soli, silenziosi, abitati erano gli alberi scuri, i trochi sporchi di neve, le cortecce ruvide e graffiate, i rami spogli che di tanto in tanto, cedevano al peso dei fiocchi e lasciavano cadere pugni freddi al suolo. Uno di essi colpì la ragazzina sulla spalla, facendola sobbalzare.
Si girò, scrollandosi di dosso la neve. Era meglio non bagnarsi la testa, anche un banale raffreddore, di quei tempi, poteva essere fatale.
Doveva essere vicino ai terreni di caccia di suo padre. Gli uomini del villaggio erano soliti segnare i tronchi degli alberi in prossimità delle tane più frequentate o vicino a ruscelli in cui era possibile catturare dei pesci, se si era particolarmente fortunati.
Vento gelido scottò le guance della ragazza. Prese la direzione opposta dei graffi che indicavano la via per il ruscello e si diresse verso le tane dei conigli; forse avrebbe anche potuto vedere delle volpi.
O lupi.
Sentì dei passi felpati avvicinarsi. Sentì una rametto spezzarsi alle sue spalle.
Il fiato le si bloccò per un istante.
Che bel compleanno. Sbranata dai lupi.
Non le venne in mente altro. Non si voltò. Prese a correre. Senza meta.
Urtò alberi, strappò il mantello contro i rami, fece scappare gli uccelli dai rami quando il secchio vuoto colpì una roccia.
Corse a lungo, anche quando non udì più rumori alle sue spalle. Non pericolosi almeno.
Che sciocca era stata. Forse era stato solo un animaletto innocuo, anzi, certamente, perché a quel punto, se fossero stati lupi, sarebbe stata già morta da un pezzo.
Rallentò gradualmente, il fiatone che si condensava e le toglieva quasi la vista. Aveva le mani congelate, il viso freddo e, paradossalmente, il resto del corpo in fiamme, era sudata, e se non si fosse precipitata a casa per cambiarsi, probabilmente, si sarebbe beccata una polmonite.. e quello sarebbe stato il suo ultimo inverno, il suo ultimo compleanno, la sua ultima neve.
«Corri veloce, sai?» Amy sobbalzò all’indietro, le sue caviglie incontrarono un tronco e si ritrovò per terra, tra la neve, mentre i suoi occhi cercavano di identificare la figura umana che era sbucata, all’improvviso, davanti a lei
«Papà?» l’uomo si levò il cappuccio dalla testa, rivalendo un’aria bonaria e divertita
«Potresti competere con i lupi, lo sai?» la ragazzina boccheggiò
«Pensavo di essere inseguita dai lupi! Mi hai fatto morire di paura.» si aggrappò alla mano che l’uomo le tendeva e si rialzò, scrollandosi di dosso la neve.
«Guarda qui!» sollevò davanti ai suoi occhi tre conigli stecchiti, legati per le zampe posteriori
«Ma che schifo!» rise lei quando glieli sventolò sotto il naso con aria trionfante
«Non credo avrai la stessa reazione quando finiranno nel tuo pancino e le loro pelli ti faranno una nuova casacca per l’inverno!» Amy rise di nuovo, guardandosi attorno.
Non riconosceva quei luoghi, non riconosceva le valli, le colline innevate.. e si era spinta fin lì per sfuggire all’assalto inesistente di suo padre.
«Ma dove siamo finiti?» l’uomo si guardò attorno e sospirò aguzzando gli occhi
«Siamo.. ai confini della foresta. Sono i terreni della regina. Se ci trovano con questi in mano, ci rinchiudono a vita nelle galere… o verremo giustiziati.» le mani callose dell’uomo si depositarono sulle spalle della ragazza e la rivoltarono «Quindi, suggerirei di tornare a casa.. e in fretta.» la ragazzina annuì, tornando sui suoi passi sotto il braccio dell’uomo. Non doveva più avere timore della foresta né tantomeno dei lupi. Si sentiva protetta e al sicuro.. non stava vagando senza meta nella neve, non stava andando allo sbaraglio nel freddo. Suo padre l’aveva trovata e la stava riportando a casa.
«Shhht. Ferma.» ad un certo punto l’uomo si bloccò. Amy venne colta alla sprovvista, ma riuscì ad imitarlo quasi subito, senza fare domande. Lui faceva così solo in prossimità di una preda da catturare, e il loro bottino era già al sicuro nella borsa di cuoio che lui portava a tracolla. Cosa c’era lì davanti?
Entrambi si misero in ginocchio e gattonarono fino alla sporgenza della collinetta sulla quale si erano inerpicati, nonostante la neve.
Ai loro piedi c’era una piccola radura e, più in là, tra le nuvole basse e due montagne altissime, tutte bianche, spuntavano con prepotenza le appuntite torri del castello.
La ragazzina rimase a guardarlo estasiata, non l’aveva mai visto, l’aveva solo immaginato. Possibile si fosse spinta così lontano nella foresta?
Suo padre le indicò con l’indice la radura ai loro piedi. Una piccola armata a cavallo di cavalieri oscuri stavano scortando la carrozza attraverso i passi di montagna, sui sentieri più grandi.
Quando furono nella radura, si bloccarono. Amy rimase in silenzio, quasi senza respirare. Perché si erano arrestati? Avevano visto lei e suo padre? Li avrebbero presi?
«Dove stanno andando?» chiese con un filo di voce
«Suppongo.. al palazzo esitvo.» rispose l’uomo a tono.
Amy continuò ad osservare e, con suo stupore, vide la carrozza aprirsi.
Un cavaliere si affrettò a riparare la regina sotto un ombrello nero mentre lei, con fare altezzoso, si sistemava il prezioso vestito in velluto cremisi e si avvicinava ad un cavallo dal manto nero come la notte.
Non riuscì a vederla in viso, ma immaginò che la sua bellezza andasse di pari passo con la paura che suscitava in tutti. Anche se non era vicina, anche se la regina non sapeva nemmeno della sua esistenza, Amy si sentiva vuota, nuda, come se i suoi occhi, che non aveva visto, le stessero scrutando l’anima. Molti tra i suoi sudditi dicevano che fosse una strega, una potente ammaliatrice, una donna spietata che non si fermava di fronte a niente e a nessuno pur di raggiungere il suo agognato obiettivo: la vendetta di cui nessuno sapeva l’origine.
Non capiva. Non capiva davvero perché volesse rinunciare al tepore della carrozza che la stava ospitando, per immergersi in quell’oceano di gelo sul dorso di un destriero.
«Perché?» chiese la ragazzina «Ha una carrozza, perché non la usa?»
«È la regina.» la risposta arrivò tagliente, anche se poteva essere una motivazione poco sensata «Non teme il freddo. Passerà dal sentiero di montagna più frequentato, incontrerà contadini e allevatori, mercati.. tutte povere anime che si trascineranno tra il fango e la neve mentre lei li guarderà uno ad uno, dall’alto, inginocchiati ai lati del sentiero per farla passare.» l’uomo gattonò all’indietro, imitato poco dopo dalla ragazzina «Lei è la regina: ci possiede tutti.» Amy lo fissò a lungo, una volta rimessasi in piedi.
«La rivedremo?»
«Non penso.» saltarono un tronco a terra «Lei sarà costretta a seguire il sentiero mentre noi saremo a casa a goderci i nostri conigli.» l’uomo abbozzò un sorriso, ma la ragazzina capì che non era sincero. Era solo un sorriso tirato che aveva piegato le sue labbra per confonderla, per tenerla all’oscuro di qualcosa che, molto probabilmente, era meglio non sapere.
Ci vollero parecchi minuti per ritornare nella parte di foresta conosciuta. I vecchi alberi, i vecchi sentieri sommersi dai fiocchi, i soliti rami caduti che nessuno aveva la voglia né la forza di spostare
«Papà, devo andare al pozzo.» Amy si guardò attorno «Per di qua, giusto?» segnò la strada che voleva percorrere con il braccio teso e l’uomo annuì
«Ci vediamo tra poco, allora. Fai in fretta che si gela, qui fuori.» la ragazzina annuì. Lo osservò per qualche istante, finché la sua testa non scomparve oltre la collina.
Si girò e prese a saltellare allegramente sui passi di altri che, prima di lei, si erano diretti al pozzo per l’acqua. Forse sarebbe anche stato inutile, poiché, sicuramente, l’acqua sarebbe stata completamente gelata.
Il piccolo pozzo era stato costruito su di una graziosa collinetta con pietre squadrate, il tetto era fatto di legno scricchiolante che reggeva la corda e il secchio per miracolo. A breve, sarebbe stato necessario cambiarlo.
Amy legò il secchio all’estremità della corda e si sporse sul bordo per cercare di vedere fino infondo. Nulla.
Calò il suo secchio per alcuni secondi, finché non sentì una botta grave e la corda che si allentava. Attese un po’ e fece forza per tirare su il secchio, ma le sue braccia non dovettero sforzarsi più di tanto e, quando recuperò il cilindro di legno, capì che quel tonfo era stato il secchio che urtava il ghiaccio.
Così non andava bene. L’acqua serviva.
Si guardò attorno accigliata. Una sasso. Un sasso abbastanza grande.
Lo raccolse e si appoggiò al bordo del pozzo, lasciandolo cadere all’interno.
Silenzio.
Poi il tonfo. Il ghiaccio crepitò e lasciò passare il sasso. Sentì l’acqua smovesi, agitarsi.
Con entusiasmo calò di nuovo il secchio e lo tirò fuori, colmo d’acqua e qualche pezzo di ghiaccio che galleggiava in superficie.
«Ingegnosa!» Amy fece in tempo a sollevare gli occhi, prima di cadere all’indietro, di nuovo, nella neve. Non era stato suo padre, non era un lupo, era un essere strano, dalla pelle luccicante, che stava seduto sul bordo del pozzo con un singolare sorrisetto sulle labbra
«Co-cosa siete?»
«Cosa, cosa, cosa? Sei proprio uguale a tua madre.» l’essere scese a piedi uniti, rimanendo dritto davanti alla ragazzina «Io, sono un “chi”.» chiuse gli occhi in un gesto teatralmente offeso, ponendosi una mano sul petto
«Perdonatemi.» la ragazzina si rialzò, non riusciva a staccare gli occhi dalla sua pelle dorata
«Tremotino è il mio nome.» fece un profondo inchino, spalancando le braccia. Amy gli rivolse un piccolo ossequio
«Io mi chiamo Amy.» piegò leggermente le ginocchia, ma lo stregone le rivolse una smorfia poco convinta
«Non ne sarei tanto sicuro.»
«Che intendete dire?»
«Conosci il tuo nome come conosci tua madre.» quelle parole giunsero strane alle sue orecchie. Tremotino le si avvicinò cautamente e cominci a modulare la voce
«Era un giorno nevoso come questo. Faceva freddo… quando tua madre venne da me.» Amy rimase immobile mentre l’uomo le girava attorno «Voleva proteggerti.. e vi ha condannate entrambe. Io conosco il futuro, conosco i vostri destini ed è mio preciso compito.. farli avverare.» la ragazzina aggrottò le sopracciglia
«Ho sentito parlare di fate che esprimono desideri, non di maghi dalla pelle dorata che conducono le persone verso il loro destino.»
«Hai mai sentito parlare..» Tremotino si avvicinò all’orecchio della ragazza «..dell’Oscuro?»
«Voi siete l’Oscuro?» Amy inspirò profondamente, mentre i suo cuore accelerò. La sua mente le gridava di scappare, di fuggire lontano da quell’essere e le sue gambe erano pietrificate
«Quasi quattordici anni sono passati, da quando lei, proprio in quella radura al confine della foresta, si perse per cercarmi. Quasi quattordici anni sono passati da quando le sue orecchie hanno udito queste parole, guerriera.» non le diede il tempo di replicare, di domandare, nemmeno di ragionare, che cominciò a saltellarle attorno, canticchiando divertito la filastrocca. Quelle parole le si scolpirono in testa, lettera dopo lettera.
Battaglie. Amori. Paladini. Figlie perdute. Regine e principesse.
«Cosa dovrebbe dire?»
«Dillo tu a me, Senza Nome.» le arricciò una ciocca di capelli tra le dita, che lasciò dopo pochi istanti
«Non sono quella bambina. Non sono chi credi che io sia.»
«Ti sbagli, mia cara. Sei tu che non sai chi sei.»
«Nella culla c’è una bambina, è la figlia della regina.»
«Basta, hai già pronunciato queste menzogne!»
«Tante sono le avversità, che con ella spartirà. Due le facce della stessa magia, che una volta riunite diranno “battaglia sia!”» Amy si portò le mani alle orecchie, chiudendo gli occhi, ma a poco servì. La voce di Tremotino penetrava ancora la sua mente, forte, tagliente e decisa «Ruoli invertiti tra madre e figlia, ecco lo strano di questa famiglia. Prima divise, poi ritrovate, alla salvezza entrambe aspirate! Nel giorno finale, in cui lotta sarà, per proteggere lei.. la figlia cadrà.»
«Non sono la figlia della regina!» disse con voce ferma «E di sicuro non darò la vita per una strega che uccide i suoi sudditi nel gelo e nelle carestie.»
«Lo sei, cara, e lo farai. Perché è il tuo destino.»
«No.» i suoi occhi si velarono di lacrime. Se l’Oscuro diceva la verità, la sua vita dunque era costruite su effimere verità, su beffe, su bugie.
«Chiedi alle persone che ti hanno cresciuta. Chiedi di un ciondolo. Chiedi del luogo in cui ti hanno trovata.»
«Dimmi tu, chi sono.. cosa sono.»
«Scoprirai la tua natura, guerriera, quando… li ucciderai.»
«Cosa?» Amy sbandò all’indietro, la bocca spalancata. Ucciderli? Per quale assurdo motivo?
«Perché? Perché mi stai dicendo tutto questo? Cosa ci guadagni?» Tremotino le si avvicinò in un lampo, prendendole il viso in una mano mentre, con l’altra, le asciugava le lacrime
«Perché è il tuo destino. Ed io, un giorno, ci guadagnerò.»
«Chi sono?» gli urlò, quando la presa sul suo viso si sospese
«Sei una guerriera.»
«Io sono una guerriera.» ripeté con la mente vuota, incredula. Tremotino si portò dietro il pozzo, sorridendo.
«Ora sì che si ragiona.» piegò il busto in un altro, profondo inchino. «Incantato.»
Amy sbatté le palpebre e in quel minimo tempo l’Oscuro svanì.
Di lui non rimaneva nulla, nemmeno delle impronte tra la neve. Gli occhi sembravano gelare e le guance infiammarsi per il freddo che si attaccava alle lacrime che rigavano il suo volto.
Dove fuggire? Dove scappare?
Lasciò il secchio a bordo del pozzo, la vista annebbiata, e corse giù per la collinetta, scavalcando rami e girando per alberi senza nemmeno guardare. Era la sua foresta, aveva giocato tra quegli arbusti, era cresciuta tra quei tronchi. Sua, ma di chi, se non conosceva nemmeno la verità su sé stessa?
Suo padre le aveva rivelato che tutti i sudditi di quel reame erano possesso della regina, ma se tutta la storia dell’Oscuro era vera, lei, era una sua proprietà a tutti gli effetti.
Riconobbe i contorni sfumati della sua casa, attraversò il villaggio di corsa, l’odore dei minestroni di verdure messi sul fuoco impregnava l’aria. Con quel gelo si erano tutti rifugiati nelle abitazioni e lei era l’unica persona che sfrecciava tra le case illuminate dai deboli fuocherelli.
Bloccò la sua corsa sfrenata contro la porta di legno, i palmi spalancati contro le ruvide assi, una guancia appoggiata ad esse, gli occhi chiusi, le lacrime che si mischiavano con la neve.
Sentì l’appoggio svanire sotto di sé. Aprì gli occhi di corsa, quando la porta venne spalancata
«Amy?» no. Non era quello il suo nome. La ragazzina affondò tra le braccia della donna solo per pochi istanti
«No! Dimmi la verità, voglio sapere chi sono.» la donna rimase interdetta. Tredici anni erano passati, quella storia era stata quasi dimenticata, sostituita da altre, dal sapore tanto più dolce che menzognero
«Che verità?» il padre sopraggiunse. Affrettandosi a chiudere la porta alle sue spalle.
«Tr-Tremotino..» singhiozzò. «Lui mi ha detto..» la donna non le permise di continuare. Le mise un braccio sulle spalle, conducendola verso il letto matrimoniale. Aperse lo scrinino che giaceva accanto ad esso da tempo immemore e prese nel palmo una piccola piastrina luccicante
«Portevi al collo questa.. quando ti trovammo nel bosco.» Amy la prese tra le mani. Passò i polpastrelli sulla “A” incisa in corsivo da un lato e rimase a fissare con stupore e amara tristezza il simbolo della famiglia reale
«Quindi è tutto vero?» la donna sospirò, prendendo la fine catenella e mettendola al collo della ragazza
«Lo stemma regale è di solito dato alla regina per simboleggiare che ella appartiene al re e a lui soltanto. Donandolo a te..»
«Mi ha reso una sua proprietà.»
«È solo un simbolo. Non significa nulla… la regina ti ha lasciata, ha fatto la sua scelta.»
«Perché mentire?» le lacrime ripresero a bagnarle il viso
«Per non lasciarti condizionare! ..e per proteggerti!» sbottò l’uomo, cercando di levarle la placchetta, ma la ragazzina scartò all’indietro, stringendola nella mano «Quella donna è una strega. Se la gente venisse a sapere chi sei ti temerebbero, o peggio, ti ucciderebbero solo per il legame di sangue che condividi con lei!»
Seguì un silenzio che durò per minuti, che sembrarono ore.
L’intera sua vita era crollata sotto i suoi piedi. Non aveva più appoggi. Aveva solo menzogne e storielle, non sapeva dove iniziava la verità e dove la bugia.
Tredici anni. Era sempre stata un’età temuta da tutti. E lei pensava che, arrivato quel giorno, avrebbe dovuto affrontare battaglie, fuggire da spietati orchi, morire sacrificando la propria vita al cielo irrorato di sangue.
Non doveva fuggire dagli orchi. Non doveva nemmeno fuggire dalla regina.
Doveva fuggire da sé stessa.
«Voglio rivederla.» mormorò con lo sguardo fisso sulle assi sconnesse del pavimento «Voglio vederla in volto.»
«Fuori discussione.» l’uomo si interpose avvicinandosi «Quella donna è malvagia.. e anche se non vogliamo considerarla tale, ti ha lasciato nel bosco da sola. Un motivo ci dovrà pur essere.»
«Voglio vederla.» ripeté con più convinzione
«Amy..» la donna provò ad avvicinarsi
«Non è il mio nome!» aperse gli occhi sgomentata. Aveva appena afferrato il polso di sua madre e lei si era allontanata tenendosi stratta la mano. Le impronte delle dita della ragazzina erano state come marchiate a fuoco sulla pelle.
Si guardò la mano. Non c’era nulla di strano. Eppure aveva bruciato la pelle, come fossero state incandescenti.
Strega, disse a sé stessa, nella mente. Strega.
«Fuori!» la ragazzina si volse. Suo padre la stava tenendo a distanza con un forcone.
I suoi occhi presero a lacrimare incontrollati
«Non volevo..»
«Sei pericolosa. Sei una strega come lei.»
«Può imparare, non possiamo abbandonarla come ha fatto lei tredici anni fa!» la madre cercò di avvicinarsi, ma l’uomo la raggiunse, mettendo il forcone tra loro e la ragazzina
«Forse è il motivo per cui l’ha abbandonata!»
«Non essere sciocco, è Amy!»
«Papà..»
«Strega!» la testa della ragazzina sembrò scoppiarle per un istante. Non era una strega non voleva fare del male. Era magia? Magia nera? Le sue mani non erano addestrate per compiere simili malefici. No, cosa le stava succedendo.
Strega. Le parole di suo padre rimbombarono nella testa. Vide fiamme.
Quando riaperse gli occhi i vestiti che indossava l’uomo avevano preso fuoco.
No! Cosa stava facendo? Era davvero pericolosa, dunque?
Le fiamme lo avvolsero, lo consumarono, lo mangiarono. Finché non crollò a terra e le assi della casetta presero fuoco. Non riusciva a controllarsi, non riusciva a capire.
Era pietrificata e sua madre la guardava con il terrore negli occhi.
Il fumo si espandeva, accecava, soffocava.
«Non.. volvevo…» la donna le scivolò accanto lentamente, dirigendosi verso la porta, senza parole da rivolgerle. Non poteva lasciarla sola. Non poteva. «Non andare.» la supplicò. Ora che era lì, sola, chi poteva proteggerla e confortarla? Non era una strega, era solo una ragazzina.
La donna non si fermò. Sgusciò fuori. La ragazzina tese la mano per fermarla, e ci riuscì anche troppo bene.
L’aveva gelata completamente. La sua figura giaceva immobile, circondata da un alone azzurro di freddo ghiaccio.
Lei era ancora nella casetta, tra le fiamme, con la mano tesa, mentre sua madre era una statua appena fuori la porta.. e il villaggio stava accorrendo verso di loro, allarmato dal fumo e dal fuoco.
«Strega! Strega!» ripetevano tutti. Le donne le puntavano le dita contro, i bambini scappavano nelle case seguiti dagli uomini, che uscivano con i forconi stretti in pungo.
Era un incubo. Voleva solo svegliarsi.
Era la sua gente, come potevano avere paura di lei? Per tredici anni aveva vissuto con loro, fianco a fianco nei campi, sotto il sole, tra il gelo. Dopotutto avevano avuto paura i suoi genitori, come poteva biasimarli?
«Al rogo! Al rogo!» la ragazzina corse fuori dall’abitazione un secondo prima che collassasse. Senza rendersene conto, urtò la statua di ghiaccio che, ruzzolando a terra, finì in mille frammenti.
Scansò alcuni forconi lanciati, costeggiò le abitazioni più vicine e prese, ancora una volta, i sentieri dei boschi
«Via, via strega! Non tornare mai più!» furono gli ultimi saluti che il suo villaggio le rivolse.
Non era una strega. Era un mostro? Cos’era? Cos’era diventata?
Era davvero il suo destino oppure se non avesse conosciuto la verità, nulla di tutto quello sarebbe accaduto?
Ma di chi era la colpa? Non sua, non dei poveri sciagurati caduti sotto la sua magia, non della regina, non di Tremotino. Di chi? E a cosa servava incolpare qualcuno?
Non aveva nemmeno più lacrime da piangere.
Era la figlia della regina, di una strega, lo era anche lei. Perché? Chi doveva decidere della sua vita? E quella foresta, che l’aveva sempre custodita, dal giorno della sua nascita, perché non la lasciava andare? Perché la stava imprigionando tra i suoi alberi?
Corse ancora, lungo i sentieri scivolosi. Tra rami lunghi come dita che le afferravano il mantello e uccelli neri che schizzavano fuori dalle fronde per indicarle vie disgiunte e la neve, soffice e bianca, che la bloccava in sé stessa, facendola cadere più e più volte.
Era quella la guerriera che aveva nominato l’Oscuro?
Non voleva essere una strega, non voleva possedere magia, non voleva essere la guerriera della donna che l’aveva condannata.
Deviò dai sentieri, prendendo a correre senza meta attraverso gli alberi.
Aveva sempre avuto paura dei tredici anni, aveva sempre avuto paura della guerra degli orchi. Sarebbe stata una guerriera, avrebbe combattuto battaglie con la magia e.. dalla parte del male. Non era lei, non avrebbe mai immaginato un futuro simile.
Ma chi era infondo?
E se fosse stato veramente quello il suo dentino fin dal principio?
Sentì dei umori in lontananza, ma non ci fece tanto caso. Anzi, forse il suo orecchio non li percepì nemmeno. Voleva gridare, far levare tutti gli uccelli in cielo, coprirlo di nero, com’era la sua mente in quel momento.
Invece, attorno a lei, tutto era bianco, immobile, fermo, immacolato.
I suoi occhi annebbiati dalle lacrime scorsero la fine della collonetta sulla quale si era inconsapevolmente avventurata. C’era un burrone, il vuoto.
Non fermò nemmeno la sua corsa e continuò, verso quel baratro, senza pensare alle conseguenze. Saltò quando il suo piede si appoggiò nel vuoto.
Era un burrone non tanto alto e si ritrovò a rotolare nel fango di un sentiero abbastanza grande. C’erano persone ai lati della strada.
Erano tutte in fila, gli occhi puntati su di lei.
Fece forza sulle braccia, sollevandosi quel poco che le permise di voltare il viso.
Le guardie. I cavalieri neri della regina.
Uno di loro le afferrò il braccio, prendendola e portandola di peso ad uno dei due lati colmi di gente dagli occhi vuoti e dalle guance scavate
«Inchinati!» le urlò nelle orecchie «Inchinati alla regina!» e tutte le persone si chinarono con le ginocchia nel fango e lo sguardo basso.
La regina passò di fronte a loro guardandoli uno ad uno; solo due occhi sostennero i suoi e lei, dall’alto del suo destriero, dipinse un sorriso sulle labbra quando la guardia la colpì in viso.
«Non sei degna di guardare la regina.»
Il corteo passò, tutte le persone se ne andarono lentamente per le due parti del sentiero. La ragazzina rimase in ginocchio finché non fu di nuovo sola.
Perché non riusciva ad odiarla? Sarebbe stato tutto più semplice.
Forse perché era il loro destino.. ritrovarsi, un giorno. E lei, anche se non era degna di guardare nei suoi occhi, forse, un giorno, sarebbe stata degna di proteggere quella donna, quella.. strega, che possedeva lei e la sua vita, che non aveva paura di niente, che regnava ed era temuta.
Chiuse gli occhi, e le sue lacrime si cristallizzarono al suolo.
Non aveva, davvero, più lacrime da versare. Non aveva motivo per farlo.
Quando riaperse quegli oceani scuri e profondi che erano i suoi occhi, la neve cadeva ancora.
 
«Mi dispiace..»
«No, non è vero.» Armida la fissò in volto. Poteva essere cambiata, cresciuta, non essere più la Regina di quella terra. Adesso, ma prima lo era stata. «Non ti dispiaceva. Eri la regina, eri potente.. eri temuta e quindi rispettata. È da quel momento che ho smesso di odiarti.. perché capii che non sarebbe servito a nulla. Non potevo sconfiggerti e non avevo nemmeno un motivo valido per farlo.. ero comunque tua figlia, odiavo esserlo, ma non odiavo te.»
«Che hai fatto?» Regina ingoiò un boccone amaro
«Sono scappata, nella foresta. Mi trovarono. Mi addestrarono. Volevo diventare il tuo cavaliere oscuro.»
 
 
 
 

 
 
 
angolo autrice: scusate per il ritardo ma non ho avuto un secondo libero e.. questo capitolo doveva essere fatto bene (ecco perché l'ho scritto in due giorni xD) e non trovavo la giusta ispirazione. Poi la neve è scesa e BOOM, le parole si sono inserite una dopo l'altra!
Volevo ringraziare tutti i visitatori silenziosi, chi lascia una recensione, chi ricorda e chi mette tra le preferite questa mia sclerata (siete in 5 *^*) vi amo tutti!!

Ancora una volta, vorrei ringraziare di cuore McHardcore, che ha creato questa magnifica immagine!!

http://i.imgur.com/Lb8C0.jpg



Grazie a tutti e alla prossima!! ...si prospetta una settimana faticosa, almeno per me, quindi.. faccio a tutti un 'in bocca a Ruby' ;D
 

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Capitolo 7
*** DownTown ***


Capitolo7 - DownTown
«Che ci fai sul divano?» Armida socchiuse gli occhi, trovandosi il viso di Henry a pochi centimetri dal suo
«…mh?» cercò d focalizzare i due occhietti furbi, che la scrutavano incuriositi
«Pensavo.. dormissi nella stanza degli ospiti.» Henry le tolse il plaid dalle fantasie scozzesi di dosso, tirandola per un braccio
«Ma che fai?» mugolò «Lasciami, voglio dormire!» protestò poi, trascinando la voce.
Aveva trascorso la notte tra ricordi della vita nel mondo incantato, il suo mondo, e memorie della foresta buia di Storybrooke, che l’aveva ospitata per anni senza che se ne fosse quasi accorta, come ogni notte precedente a quella; in un paio di occasioni si era destata con la bocca socchiusa, pronta a gridare per chissà quale minaccia e, per evitare di svegliarli –o semplicemente per paura di dover raccontare- si era decisa a scendere le scale della villa, acciambellarsi sul divano con quella copertina avvolta al corpo, cadendo nel suo consueto sonno tormentato.
«Eccoti!» Regina soggiunse con aria decisamente sollevata «Perché non sei in camera tua?» la donna prese un paio di respiri, cercando di calmarsi, e riprese ad armeggiare con un orecchino che non ne voleva sapere di adornarle elegantemente il lobo sinistro
«Io.. non..» Armida la osservava confusa, cercando di comandare al suo cervello di svegliare mente e corpo; strizzò gli occhi
«Dai, forza.. preparati.» Regina le si avvicinò, mostrandole un vestito blu scuro, corredato di una sottile cintura dorata in vita «Farete tardi a scuola!»
«Scuola?!» ripeté scandalizzata. Non era un luogo per lei: da come gliel’aveva descritta sua madre.. non era decisamente un luogo adatto a lei. Improvvisamente, dopo quella notizia, si accorse di essere sveglia ed attiva
«Henry, va’ a far colazione, da bravo.» la donna lo indirizzò verso la cucina piegando la testa di lato e, il bambino, dopo aver rivolto un largo sorriso ad entrambe, trotterellò verso l’altra stanza.
Armida si accorse che Henry era già pronto, la divisa, i capelli leggermente pettinati –ma non troppo-, la cartella in spalla.. e sua madre non era da meno: vestito elegante, trucco impeccabile e le chiavi della macchina in mano
«Hey, fermi tutti!» la ragazza si stropicciò gli occhi con una mano «Non voglio andare a scuola!»
«Ah no?» Regina ridacchiò. Nonostante i suoi anni, le sembrava di ascoltare Henry poco più che fanciullo alle prese con un capriccio «E cosa vorresti fare, sentiamo?» la trascinò in piedi, le tolse il pigiama di dosso e in pochi istanti le fece infilare il nuovo vestito, allacciandole la cintura in vita. La squadrò non del tutto convinta e le pettinò i capelli con le dita
«Io.. volevo restare con te.» sospirò, abbassando lo sguardo «..Lascia perdere.»
«Armida..» rimase per qualche istante con le labbra socchiuse. Era decisamente difficile capire quella ragazza: un momento era combattiva e portava onore al proprio nome, l’attimo dopo cercava la sua compagnia e quello dopo ancora si mostrava chiusa e inaccessibile.
«Non fa nulla, avrai da fare.. sei la regina, no?» Armida strinse le labbra in una smorfia
«Il sindaco ha molti compiti da sbrigare qui..»
«Così tanti da non potersi occupare dei proprio figli? Non è cambiato proprio nulla dal vecchio regno..» chiuse gli occhi, prese un respiro «Mi dispiace, non volevo.»
«Senti.. è un mondo nuovo e ci sono problemi.»
«Certo, lo so. Sono qui per aiutarti.» tirò le labbra in un sorriso incerto «Ci sono battaglie da superare ogni giorno.. ma insieme riusciremo anche a vincere quella per cui.. sono nata.»
Regina abbassò il capo, sorridendo a sua volta. In quel mondo cercava lieto fine, e negli ultimi tempi non era esattamente la felicità che le riempiva la giornata.. anzi. C’erano sempre problemi, problemi da superare.. ed era sempre stata da sola. Credeva di esserlo. Ma avere Armida.. riavere Armida, le dava una qualche sicurezza.. forse non era proprio destinata a soccombere sempre. Avevano una speranza.
«Cominciamo a superare questo giorno.» la donna aprì la borsetta, porgendo alla ragazza dieci dollari
«Questi cosa sono?» Armida storse la bocca
«Soldi.» rispose l’altra, come fosse la cosa più ovvia del mondo
«E che fine hanno fatto le monete?» la ragazza si rigirò quel pezzo di carta verde tra le dita
«Giusto, le monete.» ridacchiò la donna «Ci sono, ma valgono di meno. Fanne buon uso.»
«Cioè?» Armida era quasi perplessa
«Fatti un giro per la città, ma attenta a non perderti.» Regina si alzò dal divano, facendo cenno alla ragazza di seguirla «Ti voglio a casa per le cinque in punto, ceneremo e avremo tutta la serata per stare.. insieme.»
«Come desideri.» si inchinò in modo teatrale, chiudendo gli occhi e piagandosi molto più del dovuto. Regina sorrise, precedendola verso l'ingresso
«Ma.. è tardissimo!» esclamò subito dopo essersi guardata il polso
«Posso andare a scuola da solo, mamma!» Henry colse subito l'occasione, e chiese di provare a dirigersi all'edificio da solo, per una volta, per la prima, dato che era tardi e molti altri ottimi motivi -o solo scuse-, ai quali la donna cercava di dare poco peso
«Henry, non credo sia una buona idea..»
«Fai tardi in ufficio!» Regina rimase a bocca dischiusa: non aveva scuse, anzi, solo riunioni organizzate di cui le lancette decretavano l'imminente arrivo
«Lo accompagno io!» Armida si offrì subito, prendendo il ragazzino per mano, il quale senza troppe domande, intrecciò le dita con le sue, disegnandosi un sorriso soddisfatto in volto
«Ma non sai la strada!»
«La so io!» Henry esclamò eccitato, sollecitando Regina ad aprire la porta
«D'accordo.» sospirò una volta arresa «Avete vinto, ma solo per questa volta. E state attenti.»
«Sissignora!» Regina reagì con un sospiro divertito all'ennesima presa in giro; aprì la porta, guardò i due affrettare il passo verso il vialetto, il cancello, e via in strada. Regina si accomodò nella sua Mercedes, ingranò la marcia e partì in quarta.. la puntualissima Regina Mills era già in ritardo di dieci minuti abbondanti sulla tabella di marcia.

«Prima o poi ti costringerà a venire con me.» Henry trotterellava al suo fianco, il sorriso dipinto sul volto. Salutava con entusiasmo chiunque gli rivolgesse la parola, presentando subito dopo Armida come "sua sorella", il che la faceva, per un motivo sconosciuto, quasi inorgoglire di essere in qualche modo imparentata con quel piccolo uragano dall'aria furba ed intelligente. Le spiaceva solo che, un giorno, sarebbero stati in fazioni rivali.
«Beh.. ci faremo forza a vicenda.» borbottò lei, per niente entusiasta dell'idea
«Non credo ci metteranno nella stessa classe: sei più grande di me.» e ora cos'era quella storia delle classi? Li avrebbero suddivisi per età? Ma che sottospecie di prigione era mai stata inventata da quei omuncoli evoluti del Maine?
«A che ora esci da quella gabbia? Se vuoi passo a prenderti.»
«Ehm.. no, grazie.» il ragazzino puntò subito lo sguardo per terra. Nascondeva qualcosa e non era bravo a mentire. Armida stinse la mano e Henry protestò rumorosamente «Ci fanno uscire prima, la mamma non lo sa..»
«Vuoi farti un giro per conto tuo, eh?» la ragazza proseguì la sua camminata, guardandolo con un sopracciglio alzato
«Mi.. faccio un giro.. e poi passerò un po' di tempo con Emma..» Henry storse la bocca «Ti prego, non dirglielo.»
«Regina non lo deve sapere?» strinse la bocca «D'accordo piccoletto, tengo le labbra cucite.» dunque si stavano già organizzando. Il Bene stava giù pianificando le mosse, stavano leggendo il libro, stavano trovando i personaggi, stavano formando le schiere.. e lei doveva fingere di non sapere, doveva fingere che fosse tutto a posto. Henry si fidava di lei.. e.. questo le permetteva di lavorare dall'interno. Era perfetto.
«Tieni Henry.» Armida gli allungò la banconota
«Cosa sono?» domandò lui, prendendo i soldi con una certa titubanza
«Soldi!» esclamò l'altra, con la stessa naturalezza con la quale lo aveva fatto sua madre, pochi istanti prima
«Questo lo vedo!» ridacchiò divertito «Intendevo dire, che cosa dovrei farci.» Armida scrollò le spalle
«Non so, comprati qualcosa, uno di quei libretti sottili pieni di figure colorate che ti piacciono tanto. Io non me ne faccio nulla.»
«I fumetti dici? Beh, non sono nulla in confronto del libro..» Henry arrestò il passo e la ragazza fu costretta a fermarsi a sua volta «Potremmo leggerlo stasera.» la sola idea gli illuminava lo sguardo
«Certo.» balbettò «È un'ottima idea.» avrebbe tenuto di nuovo quel libro tra le braccia, avrebbe finalmente letto la storia, per intero. Già riusciva a sentire le pagine che frusciavano sotto le sue dita, l'odore del cuoio insinuarsi nelle narici.
«Però potrebbero servirti, non si sa mai.» il ragazzino si voltò poco prima dell'ingresso
«Non preoccuparti, me la cavo.» Armida lo salutò con la mano ed un caloroso sorriso; si augurarono una buona giornata e si congedarono.
Avevano entrambi progetti, grandi progetti, ognuno per le sue fazioni non ancora formate.

Armida aveva più di otto ore di "libertà", da passare in completo vagabondaggio in una città a lei completamente sconosciuta, o quasi. Scartò l'idea di andare all'ospedale o di tornare nella foresta, probabilmente se l'avesse fatto non sarebbe più tornata indietro; il Granny's! Forse il Granny's poteva essere il luogo perfetto, ma non per otto ore di fila.
La ragazza sospirò gravemente, ritornando sui propri passi, cercando la strada per ritornare in vie a lei familiari. Magari sarebbe rimasta nei dintorni della vecchia libreria, vicino all'orologio, così avrebbe anche osservato quel fantomatico oggetto, che aveva tenuto tutti congelati per ventotto anni, riprendere a far correre le lancette sui dodici simboli.
Passò per il parco, vide da lontano l'oceano, le barche e il porto, attraversò diversi quartieri molto pochi interessanti e, proprio quando pensava di essersi persa, si ritrovò nella strada principale, superò a passo svelto il negozio che portava l'insegna con scritto "Gold" a caratteri cubitali, non era ancora pronta ad incontrare quell'uomo a faccia a faccia, dato che ne era certa: lui ricordava tutto; ogni passante sembrava guardarla come fosse un'aliena.
Henry le aveva parlato di quel fatto dei forestieri e, anche se lei non era tecnicamente una forestiera, tutti la consideravano come tale, dato che non era mai stata vista da nessuno di loro, prima di allora. E se erano in coppia o in gruppo, le dava fastidio vederli borbottare fra di loro, come se lei non potesse vederli, e ancora più rabbia le faceva, sentire che la chiamavano "la figlia perduta del sindaco" e tutte le calunnie e pettegolezzi che ne scaturivano, dei quali però -o fortunatamente per loro- riusciva a carpire solo poche parole qua e là.
Erano al centro dei gossip di StoryBrooke.
C'era da aspettarselo.. infondo, era quello che volevano.
Era ormai passata da tempo, l'ora di pranzo quando si decise, finalmente, di entrare dal Granny's. Non voleva tutta la massa di gente attorno che sparlava di sua madre, ed entrò nel locale solo una volta che constatò che ci fossero poche persone, poche tranquille persone che si facevano gli affari propri, o leggevano il loro giornale sorseggiando indifferenti del caffè scuro.
«Hey chi si vede! Mimì!» Ruby si affacciò dal bancone e la salutò calorosamente
«...M-Mimì?» la ragazza rimase spiazzata e non mosse che un paio di passi incerti oltre la porta, facendo tintinnare le campanelline attaccate ad essa «Io mi chiamo..»
«Mida? Era la mia seconda scelta.» esclamò la cameriera con entusiasmo
«Mida?» come il re? Ma cos'era uno scherzo? «Il mio nome è Armida!» asserì convinta la ragazza, era particolarmente orgogliosa del suo nome, perché quella eccentrica Cappuccetto Rosso stava cercando di cambiarlo?
«Il tuo soprannome, naturalmente!» Ruby le si portò davanti, squadrandola con la testa piegata «Sai.. "Armida" è così.. così..» piegò la teta dall'altro lato «E tu invece sei così.. così..»
«Ruby..?»
«Dida! Sì! Ecco, è perfetto!» la ragazza si emozionò, davanti alla bocca semichiusa dell'altra «Bisogna festeggiare!» Ruby volò al di là del bancone, dopo aver sistemato Armida su uno degli sgabelli vuoti
«Non ti spiace se io continuo a chiamarti Ruby, vero?»
«Oh no! Ma sai.. tu sei così dolce e carina.. quel nome non ti rende giustizia!» esclamò convinta, versando della cioccolata in una tazza grande
«Oh, non sai quanto.» commentò enigmatica l'altra, prendendo a fissare il contenuto fumante che aveva davanti agli occhi «..Io.. però non posso pagarti..»
«E chi paga? Sei mia amica.. questa la offre la casa. Goditi la cioccolata.» la ragazza spolverò il bancone, sorridendo alla nonna che, al sol sentire la parola "offre", le aveva rivolto un'occhiataccia assassina «Io stacco fra poco, ci facciamo un giro?»
«Volentieri.. Ehm. Che ore sono?» Ruby si voltò per guardare l'orologio a led che troneggiava alle sue spalle
«Le quattro.» rispose con naturalezza. Armida prese a guardare quello strano oggetto a sua volta
«Bene.. ho mezz'ora prima che il sergente richiami a rapporto le sue truppe.» ridacchiò
«Poveracci.» sospirò Ruby
«Perché mai?» Armida storse la bocca
«Avere.. lei, come madre.» rabbrividì teatralmente, sgranando gli occhi
«Regina? È molto dolce.»
«Dolce??» Ruby era scandalizzata. La ragazza si riprese dopo alcuni istanti e, dopo essersi slanciata con grazia sul bancone, allungò il dorso della mano destra sulla fronte di Armida. Lei prese a ridere
«Sì, lo è!» confermò con un largo sorriso
«Non è quello che dice il piccolo Henry.»
«Henry è solo un bambino, non può capire tutto.. e, se voi proprio saperlo, mi sembrano molto legati.»
«Ah, questa me la devi raccontare!» Ruby appoggiò i gomiti alla superficie lucida e si prese il viso tra le mani, piegandosi in due, in una posa molto provocante che fece alzare gli occhi al cielo alla signora Lucas
«Hey! Se Regina vuole mantenere la sua reputazione, non sarò certo io a demolirgliela!» la ragazza ridacchiò, svuotando ad abbondanti sorsi la tazza che le stava davanti
«Come vuoi, figlia devota.» la schernì Ruby con le mani alzate, dirigendosi ad uno dei tavolini per prendere nuove ordinazioni «Una di queste sere ti porterò fuori, ti farò ubriacare e vedrai se non ti metti a cantare, mia cara!» Armida ascoltava i progetti di quella stramba ragazza, immaginando la reazione di sua madre alla notizia che “una di quelle sere” sarebbe uscita in cerca di divertimento –chissà di quale tipo- con la provocante cameriera del Granny’s
«Aspetta e spera, cara Rubs.» la ragazza girò sullo sgabello per poter seguire gli spostamenti dell’altra
«Rubs?» alzò un sopracciglio «Mi piace.» si compiacque Cappuccetto «Ma che la stregaccia non s’illuda di poterti tenere rinchiusa per sempre nella torre.»
«Vedremo.» ridacchiò Armida. Se solo fosse stata a conoscenza di quali occupazioni avesse riservato a quella sera, come a tutte quelle a venire, di sicuro non c’era posto per svaghi frivoli o per sparlare dell’inflessibilità del sindaco o dei suoi rapporti con i figli sciagurati. Per di più, per sparlare con uno degli alleati del nemico per eccellenza.
«Armida, cara!» la voce della signora Lucas fece voltare entrambe «Tua madre vuole che tu la raggiunga al municipio.» la donna aveva un’aria confusa, ma riferiva il messaggio come fosse sotto ordine di un ufficiale dell’esercito, con la mano premuta sul ricevitore del telefono fisso
«Ma.. come fa a sapere che sono qui..?» la ragazza guardò Ruby in cerca di chiarimenti; l’altra scollò le spalle, del tutto indifferente
«La tua mammina ha spie ovunque, credevo lo sapessi. Tiene Henry sotto costante sorveglianza.. evidentemente o sta facendo anche con te.»
«Inquietante..» commentò la ragazza a mezza voce
«Assolutamente inquietante.» confermò Ruby, prendendo a spolverare le tazze
«Armida, ti conviene sbrigarti.» la signora Lucas attaccò il telefono.

Le ci vollero parecchi minuti prima di riuscire ad imbroccare la strada giusta per il municipio. Il grande stabile bianco si ergeva alla fine di una piazza come l’ennesimo castello governato da sua madre.. predominava la città e i cittadini.. sì, non era cambiato nulla dal vecchio mondo.
«Regina?» la donna si sentiva a disagio quando la chiamava così, ma si rifiutava, ogni volta, di domandare qualsiasi cosa a riguardo
«Entra.» disse con voce ferma, al di là delle porte a vetri opachi
«Che succede?» la sua domanda voleva essere “che ho combinato?” ma preferì rimanere sul vago
«Abbiamo l’occasione di sbarazzarci della Salvatrice.» dichiarò orgogliosa, indicando alla ragazza di accomodarsi ad una delle due sedie libere, di fronte alla scrivania
«E quale sarebbe?» Armida non era del tutto convinta e la sua voce non nascondeva la sua perplessità. Regina strinse le mani su una cartella, colma di fogli, e la lanciò di fronte alla ragazza, che fermò la sua scivolata sulla scrivania con il palmo della mano
«Hansel e Gretel.» spiegò la donna, mentre Armida faceva scorrere l’occhio su quelle carte «O meglio, Ava e Nicholas. Sono senza genitori e, per legge, siamo costretti a spedirli il qualche casa-famiglia.. non avendone nemmeno uno, di genitore che se li voglia prendere a carico.»
«E in che modo toglierebbe di mezzo la bionda?»
«Qui non ci sono case-famiglia.. non nella città. In quanto sceriffo è tenuta a scortarli personalmente.. fuori da StoryBrooke.» mentre pronunciava quelle parole, scandendo ogni sillaba, faceva crescere un sorriso trionfante sulle labbra
«In quanto Salvatrice lei può andare e venire quando le pare, lo sai questo, vero?» Armida richiuse la cartella con un gesto secco
«Lo so. Ma suppongo che con quei due come passeggeri sia difficile lasciare la città senza incidenti.» la ragazza cominciava a fantasticare su una possibile dipartita di Emma
«Fai una cosa: la sua vita qui è un inferno.. e se avesse l’opportunità di dimenticare tutto questo? Di tornare alla sua vecchia vita?» un sorriso diabolico si disegnò sulle labbra di Armida
«Va’ avanti..» Regina appoggiò un gomito sulla scrivania, prendendo ad ascoltarla con interesse
«Dille che deve portare i due fratelli nella città da cui è venuta. In questo modo, se sta progettando qualcosa, o se ha dubbi nel compiere i tuoi ordini, ossia i suoi doveri, magari non ci rimuginerà troppo sopra.» Armida unì le mani, facendo incrociare le dita, e si disegnò un’espressione soddisfatta in volto
«Potrebbe anche funzionare, sai?» Regina assaporava già la vittoria, facendosi forse troppe illusioni. Ma non le importava: il sapore della vittoria, anche se non certo o sicuro, le inebriava la mente e il condividerlo con sua figlia era ancora più sensazionale.
Stavano collaborando, pianificando, organizzando la loro piccola schiera.. lavorando dall’interno, in silenzio, avrebbero conosciuto tuti i piani avversari, e anche dalle piccole sconfitte che avrebbero subito, avrebbero imparato molto, e non avrebbero ricommessogli stessi errori, in futuro.
«Sei diabolica.» commentò Regina, compiacendosi
«Quasi come te.» Armida sorrise «Sei mia madre, dopotutto. Da qualcuno devo aver preso.»






angolo autrice:
Innanzitutto.. perdonate lo scandaloso ritardo. Troppi impegni, troppi impegni, mi sembra di essere il bianconiglio! Btw, ho diviso il capitolo il due parti ossia 'day' e 'night', per rendere le cose più interessanti e soprattutto.. non rendere questo aggiornamento chilometrico!! Dunque, il famigerato librone in cuoio, lo incontreremo nel prossimo capitolo.
Ringrazio di cuore tutti quanti, chi segue, chi ricorda, chi preferisce, chi legge silenziosamente e soprattutto chi recensisce, GRAZIE!!
Con la speranza che vi sia piaciuto, alla prossima!

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Capitolo 8
*** il libro ***


Capitolo8 - il libro
«Mamma ti prego!» Henry saltellò sul posto davanti alla madre, sfoggiando i suoi migliori occhi da cucciolotto abbandonato
«Henry!» ridacchiò l'altra, bloccata sulla soglia del salotto
«Ti prego!» il bambino si trascinò la voce
«Cosa?» Armida, seduta tranquillamente sul divano a fissare il fuoco, sollevò lo sguardo verso l'insolita scenetta
«Ti prego, ti prego, ti prego, ti preg-»
«E va bene!» si arrese Regina, spalancando gli occhi «Però poi vai a letto che è tardi.»
«Abbiamo un accordo!» Henry si atteggiò come fosse Tremotino, inchinandosi. Le altre due si guardarono rabbrividendo
«Sei inquietante, Henry.» commentò Armida, tornando a fissare dritta davanti a sé
«Inquietante? Conosci il libro?» il bambino zompettò fino a divano e si lanciò accanto a lei; Regina si voltò di scatto. Perché? Perché non teneva la bocca chiusa? Lui non doveva sapere!
«Cosa?»
«Cosa?» le fece eco la ragazza, visibilmente nervosa
«Mmh.» riprese Henry, non del tutto convinto.
Regina rimase ancora qualche istante sulla porta, sincerandosi che fosse tutto a posto e si diresse in cucina, cercando di far meno rumore possibile per tentare di sentire eventuali discorsi pericolosi.
Henry guardò con attenzione il viso di quella che, ormai, considerava sua sorella. Infondo era stato un bene per tutti, il suo arrivo: sua madre aveva qualcuno da spupazzare e lui aveva un diversivo - e qualcuno che gli copriva le spalle - per gli incontri con Emma.
Sua madre Regina sapeva del libro, così come tutti in quella città.. lo credevano pazzo, anche se non lo era.. o forse sì, in un certo senso pensava di esserlo diventato.
Ma forse, per parlare con un matto bisogna avere un altro matto.
«Ti mostro una cosa!» esclamò entusiasta il bambino, abbandonando il salone e correndo su per le scale. Armida non era ancora abituata ai suoi scatti di idea, sembravano balzargli in tesa all'improvviso e non poteva rifiutarsi di obbedire.. una un'esplosione di vita, non c'era dubbio su quello.
La ragazza aguzzò la vista nell'ombra, attendendo che il ragazzino tornasse da lei; in mano aveva un grosso libro, il libro. Da quanto tempo non lo vedeva? Da quanto tempo desiderava tenerlo fra le braccia, leggerlo, conoscere.. tutto?
Deglutì lentamente, facendo finta di essere estranea alla faccenda
«Sai una cosa? Non riesco a trovarti.» Henry le si mise accanto, le gambe incrociate e il libro in grembo. Sfogliò le pagine casualmente, facendo apparire le immagini del cacciatore, della giovane Snow ed eccola, la Regina Cattiva. Impossibile che ci fossero illustrazioni o riferimenti alla storia della figlia della regina: le pagine in questione erano in suo possesso
«Trovarmi?» domandò
«Sì certo.. ci siete tutti. Dovete esserci.» a quel punto Regina entrò nel salone con un vassoio in mano. Per poco non inciampò sul tappeto vedendo Henry con il librone di cuoio sulle gambe, o forse per il fatto che lo stesse sfogliando accanto ad Armida
«Henry mettilo via.» disse con tono severo, ma calmo «Non c'è tempo per le favole. Bevi la cioccolata e poi si va a letto.» guardò entrambi dalla poltrona su cui si sedette «Tutti.»
«È una vita che non ti vedo ricamare..» mormorò Henry, osservando le mani della madre che cucivano velocemente un pezzo di stoffa bianco; lei scrollò le spalle con indifferenza, continuando il suo lavoro
«Hey!» Armida mise la mano tra le pagine che riportavano l'illustrazione della Regina Cattiva che irrompeva al matrimonio di Biancaneve e del principe «Questa ti somiglia!»
«Armida!» Regina si portò l'indice alle labbra
«Che c'è? È vero!» si difese l'altra, cercando di sopprimere le risate
«Non ti ci mettere anche tu!» la donna depose il suo lavoro di ricamo sul tavolino; doveva essere un'attività rilassante, invece si prospettava un'attività che le avrebbe reso le dita dei colabrodo
«Scusa!» Armida fece la finta tonta, sporgendosi anch'ella sul tavolino e bevendo dalla sua tazza
«Henry, mettilo via, da bravo.» supplicò ancora Regina
«No! Io sta volta non ho fato niente!» si difese il bambino, continuando a sfogliare freneticamente le pagine. Finalmente, si fermò su una pagina che riportava l'inizio di un nuovo capitolo, si trovava circa a metà libro «Ecco!» picchiettò sulla pagina con aria assorta
«Ecco cosa?» fantastico, ora era davvero curiosa. Si sporse verso Henry, guardando le pagine da sopra la sua spalla
«Tuo padre non po’ essere lo stalliere, non c'è stato abbastanza tempo.» Regina si ustionò la lingua con la cioccolata. Sbuffò. Ripose la tazza sul tavolino e riportò la schiena appiccicata alla poltrona: qualsiasi attività poteva esserle fatale, quella sera
«Henry piantala con queste sciocchezze!» lo riprese la donna, lo sguardo spiritato. Dannazione no, non era il momento per Armida. Non doveva sapere. Non poteva. Avevano altre missioni da compiere nel presente.. il passato non doveva tornare a tormentale
«Di che state parlando?» chiese la ragazza. Per metà fingeva di ignorare l'argomento, per l'altra voleva davvero sapere di più
«Siete tutti personaggi di questo libro!» Henry si rivolse direttamente ad Armida, in tono inequivocabilmente provocatorio «E sto cercando di capire chi sia tuo padre.»
«Henry, basta!» Regina sembrava esasperata
«Sembra un gioco divertente.» commentò calma la ragazza, placando le ire della donna. Henry non sembrava del tutto soddisfatto, chiaramente non era un gioco, ma era un inizio.. e in quel modo avrebbe potuto scoprire qualcosina in più
«La mamma è la Strega Cattiva.» cominciò con il broncio
«Ti pareva che non fossi il cattivo della situazione!» Regina sbuffò sul palmo della mano, dietro il quale aveva nascosto il volto
«Tu?» lo incoraggiò Armida
«Io? Io non ci sono! Sono nato a Phoenix, non nella foresta incantata!» ridacchiò il bambino
«Ma avevi detto che..»
«Lo so cosa ho detto, ma io faccio eccezione.»
«Ah.»
«E anche tu.»
«Come?»
«Non ti ho mai vista, nel libro.» Henry sfogliò pagine che aveva letto mille e una volte «Qui non si parla di una figlia. Non c'è mai stata.»
«Quindi la tua teoria su questa cittadella è sbagliata.» commentò indifferente
«No! È giusta!» ribatté il bambino «Magari non è scritto, ma possiamo capirlo.»
«Può essere un buon allenamento..»
«Dicevo.. Daniel non può essere tuo padre.»
«Chi è Daniel?»
«Lo stalliere!»
«..chi è lo stalliere?»
«Nessuno.» intervenne Regina, senza muoversi dalla sua posizione alquanto disperata. Armida si appuntò mentalmente di chiedere di questo Daniel, più tardi.
«Quindi ci rimane un'unica possibilità.» Henry sfogliò le pagine ed indicò un'illustrazione
«Chi è quel vecchio?» domandò l'altra con la faccia sdegnata
«Tuo padre!» concluse allegramente lui
«Ma che schifo!» esclamò guardando sua madre, tra le risate del bambino
«Beh almeno è un re.» proseguì Henry «Il che ti rende una principessa.»
«Beh..» balbettò l'altra, cercando disperatamente di scacciare immagini del tutto vomitevoli dalla mente «Buono a sapersi.»
«Hey!» Henry si illuminò «Ti rende la mia prozia!!»
«Cosa?!» Armida sobbalzò sul divano
«Sei la sorella di Biancaneve e quindi la zia di mia madre!»
«Regina è la figlia di Biancaneve?»
«No, l'altra madre!»
«Emma?» Henry annuì con foga
«Rallenta ragazzino, non ci sto capendo più niente.» Henry scoppiò in una risata
«È solo un po' complicato.. tieni, leggi il libro.» il bambino lo richiuse e glielo poggiò in grembo. Armida rimase a guardare la copertina di cuoio con sguardo assorto e le labbra leggermente dischiuse.. era davvero lì. Lo stava toccando, ancora. Poteva leggerlo, finalmente. Avrebbe saputo, tutto. Si sarebbe condannata, era il so destino. Avrebbe soddisfatto la sua curiosità e la sua sete inappagabile, sarebbe stata la sua rovina.
«No, no. Sentite..» Regina interruppe il flusso dei suoi pensieri. Si alzò con decisione e prese il libro fra le mani, ripassandolo ad Henry «Non ti proibisco di leggerlo come l'ultima volta.. ma per favore, non traviare tua sorella.. due infatuati per casa non li voglio.» Henry abbracciò il libro sbuffando
«Uffa. Volevo solo rendermi utile.» il bambino sorseggiò tutta la sua cioccolata dalla tazza
«Armida non si ricorda niente dal momento in cui l'abbiamo trovata, quella sera.. non metterle in testa strane fantasie. Le parcelle del Dottor Hopper non sono di certo a buon mercato.»
«Se non è Leopold suo padre, allora chi è?» Armida guardò i due fuochi nemici scrutarsi negli occhi. Osservò la subdola Regina Cattiva in azione: come si sarebbe sbrogliata da quella domanda?
«Non ora.» rispose severa «A letto, avanti.» niente male, ma si poteva decisamente fare di meglio.
 
Regina attese che Henry avesse posizionato il librone sotto il cuscino. Scomodo, a parer suo, ed era quasi sicura che avrebbe passato gran parte della nottata a cercare qualche indizio fra quelle pagine ingiallite.. ma non aveva intenzione di vegliarlo finché non si fosse addormentato: domani sarebbe stata una giornata impegnativa, doveva dormire.
Gli rimboccò le coperte, gli baciò la fronte cogliendo al volo quell'occasione - era da tempo che non si lasciava toccare, figurarsi permetterle di dargli un bacio - e si allontanò dalla stanza spegnendo la luce. Si trascinò dietro la porta fino a socchiuderla
«Buonanotte Henry.» mormorò scivolando dalla fessura
«Buonanotte mamma.» rispose lui in un soffio. Armida salutò di sfuggita quei due occhietti vispi che brillavano nel buio.
«Dovrai inventarti qualcosa, sai?» Armida giocava con le cuciture a trapezio della sua coperta mentre Regina, alle sue spalle, le pettinava assorta i lunghi capelli neri
«Che intendi?»
«Su mio padre.» sospirò «Va bene perdere la memoria.. però tu non sei stata trovata sul ciglio di una strada.. tu dovresti saperlo. Dobbiamo inventarci qualcosa sulla nostra vita qui.»
«Come sei nata, dove sei finita e come sei tornata?»
«Sì, una cosa del genere..» sarebbe stato complicato. E una persona normale di quel mondo cosa avrebbe fatto?
«Per logica, dovremmo affidarti al dottor Hopper.» Armida storse la bocca «Mi dispiace, cara, ma dobbiamo almeno far finta di essere persone normali.»
«Sì d'accordo.» sbuffò evidentemente non entusiasta
«Dunque.. pensavo.. tuo padre potrebbe essere... vediamo..»
«Aspetta aspetta.. dobbiamo farlo morire.. anche perché effettivamente è morto. E poi.. chessò una storia..»
«..Straziante?» Regina la interruppe, la ragazza annuì «Si ci avevo pensato. Infondo devo aver un motivo valido per trattare tutti come pezze da piedi, in questa città, senza contare che mi considerano una bisbetica e una sociopatica con un bambino a carico.»
«Perché la tua vita con il re non è stata sufficiente..»
«Ma loro non lo sanno! ..o meglio, non ricordano.»
«Fammi capire. Mio padre ti ha inguaiata, probabilmente mi ha rapita e portata via, il che spiegherebbe molte cose..»
«Vorrebbe dire che mi sono innamorata di un delinquente con problemi mentali?!»
«Hey, vuoi una storia? Io ti sto creando una storia! ..e poi non saresti la prima.» borbottò «Dunque, dicevamo.. ti ha fatto soffrire, ora è morto e io sono tornata senza memoria da chissà quale violenza subita.. questo spiegherebbe il perché ti comporti come se avessi un paletto ficcato nel-»
«Armida!» l'unica cosa che poteva fare, da quella posizione, era tirarle i capelli e, senza pensarci, le tappò la bocca facendola sobbalzare
«Che vuoi?!» ridacchiò l'altra massaggiandosi la testa
«Non usare questo linguaggio!» esclamò stizzita
«Però ho colpito nel segno?»
«Comportarmi da bisbetica mi viene naturale con questi tizi.. però avere una motivazione non sarebbe male.» Regina riprese a spazzolarle i capelli «Sì, hai colpito nel segno.»
 
La mattina seguente erano tutti e tre ad un tavolo del Granny's, mangiavano pumcakes con lo sciroppo d'acero sorseggiando cioccolata calda. Le due si lanciavano occhiate stanche sopprimendo sbadigli, di tanto in tanto: avevano passato la notte a progettare e non avevano dormito che un paio d'ore. Addio all'agognato riposo.
Dal di fuori, potevano anche sembrare una famigliola normale che faceva colazione nel bar della città
«Hey Henry!»
«Maestra Blachard!» il bambino la salutò bofonchiando, cercando di deglutire un boccone di pumcakes. La donna ridacchiò
«Piano, non ti strozzare!» si allontanò qualche istante per recuperare il caffè che Ruby le porgeva e ritornò al tavolo con un sorriso raggiante «Allora, ti sei preparato sulla lezione?»
«Umh sì.»
«Henry!» Regina lo chiamò, facendolo sobbalzare. Lo conosceva, lo conosceva fin troppo bene. Quasi sicuramente non aveva nemmeno aperto un libro, che non fosse quello delle favole o uno dei suoi nuovi fumetti
«Oh, non si preoccupi signor Sindaco!» si affrettò la maestrina, cercando di coprire il suo alunno preferito - anche se di preferenze non avrebbe dovuto averne «Henry è esonerato.»
«Perché mai?» chiese curiosa la donna
«Sua figlia, naturalmente.» rispose la donna con naturalezza, sorseggiando il suo caffè. Armida si sentì chiamata in causa ed alzò lo sguardo
«Io cosa?»
«Stiamo considerando di farti entrare nella stessa classe di Henry, tesoro.» "tesoro", no, decisamente Biancaneve era troppo zuccherosa per i suoi gusti. E poi cos'era quella storia? Lei a scuola non ci voleva andare, era una cosa inutile!
«Lei e chi, miss Blanchard?»
«Gli altri insegnanti.» la maestrina si rivolse alla ragazza, la quale la guardava ancora stranita «Tesoro, sappiamo dei tuoi problemi con la memoria.. Emma ha detto che il Dottor Whale parla di amnesia.»
«Perché in questa città tutti sanno i fatti miei?!» Armida sbottò, fingendosi sorpresa; in realtà, era quello che Regina voleva fin dall'inizio
«StoryBrooke è piccola, ti ci abituerai, cara.» commentò atona Regina, riportando la sua attenzione sulla colazione
«Immagino che tu non sappia cosa sia la guerra di indipendenza..» la ragazza le rivolgeva sguardi come se stesse vaneggiando e, dati gli argomenti a lei del tutto sconosciuti, non doveva sforzarsi molto «O quali siano le ossa del corpo..»
«Perché hanno un nome?!» domandò sorpresa
«Immaginavo.» sorrise malinconicamente Mary Margaret, poggiandole una mano sulla spalla «Non ti preoccupare, da domani potrai venire a scuola con Henry.»
«Perché non oggi, signorina Blanchard?»
«Ma non ha la seduta con Ar.. voglio dire, con il dottor Hopper?» Regina chiuse gli occhi, sospirando
«Me n'ero completamente scordata.»
«Meno male che qui sappiamo tutto di tutti.» sorrise la maestrina, dirigendosi all'uscita
«Già.» commentò Armida a mezza voce, mentre la signorina Blanchard ed Henry si salutavano temporaneamente, dal momento che entro pochi minuti si sarebbero incontranti di nuovo, in aula.
La ragazza non sopportava per niente il fatto che la sua vita fosse praticamente programmata, ma non poteva fare assolutamente nulla
«L'ufficio del dottor Hopper è proprio qui davanti, credi di potercela fare?» la donna guardò l'orologio fluorescente attaccato alla parete della tavola calda «Devo accompagnare Henry allo scuolabus.» Armida annuì, finendo la sua cioccolata.
Henry voleva andarci da solo, sostenendo di essere abbastanza grande da arrivarci da solo, ma alla fine desistette
«Divertiti a scuola.» Armida gli scompigliò i capelli
«Ah-ha, molto spiritosa.» il bambino si sistemò lo zainetto in spalla
«Buon lavoro.» sorrise a sua madre, guardandola negli occhi. Come avrebbero dovuto salutarsi, in pubblico? Come lo avrebbero fatto due persone normali, nella loro situazione? Cosa si aspettavano da loro gli abitanti di StoryBrooke?
«Buona giornata.» Regina le spostò una ciocca dietro l'orecchio, rivolgendole un sorriso fugace.
Armida sentì gli sguardi di tutti puntati addosso.
Non resse molto. Prese un rapido respiro, uscendo dal locale in gran furia, senza preoccuparsi di allacciare la giacca.. che diamine le era preso?
 
Che cosa stupida, pensò.
Raccontare i fatti miei ad una persona che nemmeno conosco quando domani mattina saranno di dominio pubblico.
Fissò a lungo la porta dello studio, prima di decidersi a bussare. Archibald Hopper aprì con un sorriso amichevole in volto, indicandole di entrare
«Armida, vero?»
«Sì.» rispose lei senza rendersene conto, lo sguardo che vagava sui mobili
«Sono il dottor Hopper.. ma puoi chiamarmi Archie. Ti prego, siedi.» Armida si guardò attorno, per poi lasciarsi cadere, compostamente, sul divano
«Cosa dovremmo fare?» chiese la ragazza con tono sperduto. L'uomo sorrise di nuovo
«Parlare.» disse semplicemente «Di quello che vuoi.. e cercheremmo di farti tornare la memoria.. è importante, per scoprire e ritrovare te stessa.»
«Sembra una cosa complicata.»
«Sembra.» Archie le fece segno di rilassarsi «Cominciamo.»
 
 
 
 
 


 
angolo autrice:
perdonateeee il ritardo, sono stata impegnata. Dunque, è un capitolo basato su dialoghi, spero di non avervi annoiato, il prossimo sarà un altro flashback.. avevo promesso? Sì, ma non resisto ^^'' btw ringrazio tutti quelli che seguono, recensiscono, preferiscono e ricordano ecc ecc, come sempre.. GRAZIE!
 

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Capitolo 9
*** I'll make a man out of you ***


Capitolo9 – I’ll make a man out of you
«Allora, qual è la prima cosa che ti ricordi?» Archibald Hopper rimase in attesa di una risposta. I gomiti sulle ginocchia, la schiena protesa in avanti e un blocchetto poggiato sul tavolino che sembrava non intenzionato ad usare
«Mi.. ricordo la foresta. E ..Regina, che mi copriva con la sua giacca. Mi ricordo che faceva freddo ed era notte.» Armida rispose con voce bassa, interrompendosi più volte. Per pensare, per cercare di dire qualcosa di sensato e provato anche da altre testimonianze – come quella di Henry – e soprattutto per attenersi al piano, che comprendeva il mostrarsi più sensibile, più smarrita e più bisognosa di aiuto di quanto non lo fosse. A detta di sua madre l’avrebbe resa praticamente innocua, o almeno, agli occhi dei cittadini, docile
«Non ti viene in mente niente di prima?»
«Prima.. prima è nebbia.» e la vide. Nella sua testa. Vide una nuvola inconsistente, bianca e fredda e umida che scendeva nella foresta, che la circondava; Armida chiuse gli occhi, li strizzò per scacciare dalla mente quelle immagini
«Tutto bene?»
«Sì.»
«Hai visto qualcosa?»
«No.» l’uomo sospirò, grattandosi il sopracciglio con fare indifferente. Si sporse, acchiappò blocchetto e matita per poi appoggiare la schiena alla poltrona e scrisse qualcosa; in quel modo la ragazza non poteva vedere cosa stesse scrivendo, rimase in silenzio.
Armida si sporse leggermente, curiosa di quello che stesse facendo il dottore; tutti quelli che aveva conosciuto lei, nel breve tempo che aveva potuto permettersi un dottore quando necessario, si limitavano ad ascoltare i battiti del cuore, guardare in bocca e somministrare varie ampolline amare che bisognava ingerire ogni tanto. Non aveva nemmeno mai immaginato che potessero esistere dei dottori che curavano.. quello che c’era dentro la testa di una persona e, a quanto pareva, sembrava una cosa del tutto normale.
«Armida.. io.. vorrei provare con te un altro metodo. Di norma non si usa durante le prime sedute, ma questo.. tu.. sei un caso particolare. Non hai memoria e potrebbe fartela tornare.»
«Va bene.» la ragazza scrollò le spalle
«Tuttavia è mio dovere avvisarti che i ricordi sono.. imprevedibili. Non posso assicurarti che siano positivi e.. potrebbero scuoterti.»
«E visto come sono messa non le va di rischiare le ire di mia madre, vero?» il dottore si sistemò meglio sulla sedia, lo sguardo basso ed imbarazzato
«Regina è.. una donna complicata. Vuole che i problemi si risolvano subito e come vuole lei. Per via di Henry ho un rapporto molto conflittuale con lei e con te.. le cose potrebbero solo andare peggio se per farti guarire di traumatizzo di più con i tuoi stessi ricordi.»
«Non posso darti torto, Archie.» convenne la ragazza, con un mezzo sorriso «Però Henry è piccolo, io penso di essere abbastanza grande e.. pronta.. per affrontare il mio passato. Anche se la mia mente ha preferito non ricordare.. io voglio farlo.» il dottor Hopper prese un profondo respiro
«Bene. Allora cominciamo.»
Le disse di stendersi sul divano, la testa appoggiata al bracciolo e le gambe distese, le mani incrociare sul ventre; le ripeteva continuamente di respirare il più lentamente possibile, di annullare tutti i suoi che c’erano attorno a lei, di chiudere gli occhi.
Fece una breve pausa che sembrò durare minuti ed abbassò radicalmente il tono della voce
«Ora ascoltami. Senti solo le mie parole.» un altro respiro «concentrati sul tuo corpo, sul tuo respiro. Immagina di essere nel luogo più sicuro che conosci.» un altro respiro «Ripensa a quando sei arrivata a casa di tua madre, scegli un momento in cui ti sei sentita protetta.» sentì come se una spazzola le passasse tra i capelli; un altro respiro «Vedi tutto buio, fa freddo.. sei sul ciglio della strada, la notte in cui ti hanno trovata a StoryBrooke.» un respiro, più veloce «Rilassati. Ora vai più indietro. Scava. Cerca di ricordare.»
Armida incurvò le sopracciglia. Stava funzionando, purtroppo. Lei ricordava, non voleva farlo.. ma ricordava. Non poteva farlo lì, davanti a quello sconosciuto.. non poteva permettersi di tradire il piano.
Archibald Hopper si prese ancora qualche istante, respirò piano un paio di volte con lei, poi sussurrò la parola.. che avrebbe dovuto darle spunto, l’inizio, per cominciare il suo viaggio «Nebbia.»
Fu come se un lampo di luce bianca la rapisse, le invase il corpo, la mente, era come sognare il suo passato, ma non poteva svegliarsi, non ci riusciva.. era come essere addormentati, semicoscienti delle proprie azioni ma impossibilitati a scegliere dove andare.
«Devo proteggere la regina.» furono le ultime parole, incerte e biascicate, che il dottor Hopper sentì provenire dalle labbra della ragazza, prima che ella cadesse in quel sonno della mente. Stava funzionando.. l’ipnosi stava funzionando davvero.
 
La neve si scioglieva contro il suo palmo, ogni fiocco che cadeva sulla strada diveniva acqua contro il fango.
Aveva appena visto passare sua madre e la guancia pulsava ancora per quello; era la regina, la guardia le aveva giustamente – e dolorosamente – ricordato che lei, non era all’altezza di vedere la regina. Lei non era nessuno.. non lo era mai stata.
Tutto quello che aveva saputo fino ad allora.. erano menzogne, bugie, una vita che non era sua.. ed era sua madre la causa. La stessa donna che l’aveva lasciata sotto quell’albero, in mezzo al bosco, la stessa donna che aveva voluto donarle una vita che non era la sua, la stessa donna che aveva permesso che il loro regno fosse invaso da morte e carestie.. dal freddo e dalla desolazione. La stessa donna che, un giorno, avrebbe dovuto proteggere, a costo della vita.
E ora.. dove poteva andare? A casa, a rischiare un altro linciaggio? No, quello era sicuramente fuori discussione. Poteva.. sempre vagare per il regno in cerca di qualche anima pia disposta ad accollarsi un’altra bocca da sfamare.. o cercare di far avverare la profezia dell’Oscuro; era poco, difficile, impossibile.. eppure era l’unica cosa che le rimaneva da fare.. l’unica cosa che aveva almeno la parvenza di essere sensata.
La regina aveva la magia dalla sua parte, e nessuno poteva essere così stupido da affrontarla, se non… lo stesso Tremotino.. ma non avrebbe avuto senso alcuno dire a lei del proprio destino. L’attacco – se di attacco si poteva parlare – alla vita della sovrana, doveva essere di tutt’altra natura.. doveva rendere onore al nome particolare con cui l’Oscuro l’aveva chiamata.. che più che un nome.. era un epiteto. Doveva diveltarlo a tutti i costi: la guerriera.
Entrare nell’esercito reale, diventare la guardia personale della regina.. non rivelare la sua identità, forse.. ma pregarla di insegnarle a padroneggiare la magia.. e in questo modo avere due armi letali a suo vantaggio: la magia e la spada.
Sì, avrebbe fatto così.
Si guardò attorno, lo sguardo deciso, prendendo a seguire la strada che, poco prima, aveva percorso la carrozza vuota della regina. Li avrebbe seguiti fino al palazzo estivo, si sarebbe aggiunta alle reclute del nuovo esercito – sapeva che ogni anno, in inverno, allenavano ragazzini della sua età circa – e avrebbe fatto strada, fino ad avere il permesso di entrare al palazzo, fare la guardia alle sale.. finchè un giorno, non molto lontano, sarebbe riuscita a stare al fianco della sovrana tutto il giorno, e fuori dalla sua porta la notte.
Il percorso era lungo e faticoso; anche se la neve gelata sulla pelle non le dava fastidio, il fango che si aggrappava ai suoi leggeri stivali, rallentavano il passo. Ma non poteva arrendersi: attraversare il regno in quelle condizioni era un più che buon allenamento, dopotutto.
Incontrò molte persone con sacchi sulle spalle, animali ossuti e magri che si trascinavano dietro ai loro padroni.. tutti andavano nella direzione opposta alla sua. Perché non si dirigevano verso il palazzo? Avverrebbero avuto un lavoro, anche se faticoso, avrebbero avuto una paga, anche se scarsa, avrebbero avuto una possibilità in più di sconfiggere la carestia. Possibile che la regina fosse così tanto spietata da incutere timore nella gente? Persino i ragazzi non scelti per le guerre degli orchi – come aveva sentito – pregavano le guardie di portarli al fronte, pur di non essere coinvolti dell’addestramento delle guardie reali della regina.. e questo lei, proprio non lo capiva.
Voleva dire che per la guardia personale della regina, i soldati facevano a pugni per non diventarlo, quindi il suo arrivo doveva essere gradito, giusto?
Invece si sbagliava, e stava per apprenderlo nel peggiore dei modi, per lei, in quel momento.
Le torri del palazzo si stagliavano quasi prepotenti nel cielo, davanti a lei; attorno ad esse svolazzavano tranquilli decine di uccelli neri, forse corvi, che tuttavia non producevano alcun suono.. o forse, era ancora troppo distante per sentirli.
Fortunatamente, il punto in cui si trovava era più in alto del palazzo – si trovava infatti in mezzo ad una valle, circondato da montagne altissime e dalla punta ben delineata – e poteva vedere benissimo le mura di cinta, i giardini curati, le guardie che trottavano su e giù in gruppetti più o meno forniti.. e poi, più in là, sulla sinistra, quello che stava cercando: le scuderie, i capannoni improvvisati, i carri, le armi ammucchiate di lato.. e i soldati, le reclute, i ragazzini che si guardavano attorno spaventati.
Per il tempo che si trovò lì, comprese di aver già saltato il pranzo che avevano ormai distribuito da tempo; era appena arrivata in quel piccolo campo di allenamento con fantocci, spade di legno, armature vecchie ed elmi trafitti quando due guardie dall’aspetto più importante la raggiunsero
«Che ci fai qui? Non è un posto per le bambine.» la squadrarono dall’alto in basso, soffermandosi sulle sue mani, i vestiti sporchi, il suo viso scavato e il corpo smilzo ed infreddolito
«Ho tredici anni, non sono una bambina.. ho la loro stessa età.» ribatté lei, accennando con il mento ai ragazzini distesi per terra, muti, lo sguardo basso e vuoto, ricoperti da armature molto più grandi di loro
«E con questo?» ridacchiò uno di loro
«Con questo voglio essere una recluta anche io.» rispose semplicemente. «Voglio diventare una guardia della regina.» i due soldati si guardarono con espressione perplessa, ci fu un minuto di silenzio prima che entrambi scoppiassero a ridere
«Sentitela! Questa bambina ha sicuramente il senso dell’ironia!» le pose una mano sulla spalla e la rivoltò senza troppa fatica «Gira i tacchi e torna da dove sei venuta.»
«Ma io..»
«Davvero pensavi che saresti potuta diventare una recluta? Sei una femmina, non puoi far parte dell’esercito!»
«Alla mia età c’era chi andava al fronte per la guerra degli Orchi! E di certo i soldati non si facevano scrupoli a prendere “bambine” come me!»
«Erano altri tempi e non c’erano altre soluzioni.. ora, se non ti dispiace, noi avremmo da fare.» le puntò contro la spada, l’espressione era seria.
La ragazza indietreggiò qualche passo, capendo che non sarebbe mai potuta entrare con quei ragazzini indifesi.. non così, almeno.
Non disse nulla, non promise loro che un giorno sarebbe tornata.. perché non lo avrebbe fatto, non come la vedevano oggi; purtroppo.. sapeva esattamente cosa fare e dove andare e, quando sarebbe stata pronta e avrebbe fatto ritorno nel medesimo luogo con il medesimo scopo, nessuno l’avrebbe mai più riconosciuta.. e l’avrebbero accettata nell’esercito, tra le guardie.. con le buone o le cattive.
Si girò, il mento alto e le spalle dritte, immergendosi di nuovo nella foresta, senza seguire il sentero battuto; li sentì sghignazzare ancora per un po’ finchè lei – o loro – non si allontanò a sufficienza. Doveva andare a Nord, sapeva quello, ma non era esattamente sicura da che parte fosse il Nord.. immaginò che il castello fosse rivolto a Nord.. tutti i castelli lo erano.. però.. quel palazzo in particolare era stato creato per la regina Eva.. doveva essere il suo palazzo estivo. Prediligeva l’inverno.. ma si ricordava che i costruttori avevano invertito le entrate, in modo che la sua stanza fosse rivolta ad Est, dove nasceva il sole e, se le sue stanze erano quelle più grandi, rivolte ad Est.. sapeva benissimo da che parte andare.
Si compiacque di se stessa, prendendo la direzione con rinnovato spirito: sapeva ancora ragionare, nonostante tutto quello che era successo.
Camminò ancora a lungo, ma ormai i suoi piedi viaggiavano da soli, non sentiva nemmeno più il freddo. Era fradicia, stanca,, ma motivata, incredibilmente motivata
«Hey!» gridò a pieni polmoni, non appena giunse al luogo stabilito. La sua voce fece eco per alcuni istanti, poi calò di nuovo il silenzio.
Il ponte diroccato davanti a lei era immobile, avvolto dalla nebbia, nessun segno di vita.. nessuno. Avanzò un altro po’, fermandosi appena in tempo prima di precipitare lungo la voragine a pochi centimetri dai suoi piedi: il piano del ponte era completamente sfondato da quella parte, solo le due sponde erano intatte.
Prese un respiro, arrampicandosi su una di esse – quella che sembrava più stabile – e strisciò cautamente nella nebbia fitta, fino ad arrivare al centro del ponte, dove scese a piedi pari, sulla pietra solida. «Loro lo sentono.» mormorò a se stessa, l’orecchio teso ad ogni rumore che si diffondeva in quel luogo sinistro.
Si tastò le vesti, in cerca di qualsiasi cosa che potesse andare bene.. non aveva niente.. eccetto..
Prese il ciondolo reale che aveva al collo, lo sfilò con lentezza, rigirandolo tra le dita arrossate dal freddo: da un lato un albero, dall’altra l’iniziale del suo nome.
Lo lanciò a terra.
Il metallo tintinnò un paio di volte, prima di fermare la sua corsa tra due pietre.
La ragazza trattenne il fiato, girando il capo più volte, chiedendosi da dove potessero arrivare, come potessero sentire, come potessero raggiungerla da ogni direzione, circondarla e tagliarle ogni via di fuga, come aveva sentito.
Fu istintivo: alzò le mani in vista, quando scorse il primo di quei loschi esseri che scalavano i lati del ponte ed atterravano pesantemente attorno a lei. Il più grosso di loro la squadrò, annusò l’aria, si chinò e prese il ciondolo, esaminandolo con occhi attenti
«Sei una reale?»
«Non proprio.» il ciondolo passò di mano in mano fino all’ultimo troll
«È autentico.» concluse l’ultimo, lanciandolo in aria per farlo arrivare a quello che doveva essere il capo, il primo che aveva parlato
«Certo che lo è! Sono morte delle persone per quello!» esclamò la ragazza
«Non vogliamo problemi con la regina.» borbottò diffidente uno di loro, facendo grugnire gli altri in assenso
«Hai a che fare con la regina?» domandò nuovamente il capo
«No. Per ora no.»
«Per ora no?»
«Voglio che mi alleniate.» li guardò uno ad uno «Otterrete il ciondolo reale.. vale molto. E l’indennità da ogni sentenza della regina..» i trolls si guardarono fra di loro, cominciarono a borbottii confusi, a gesti, poi il capo prese la parola
«Allenarti?»
«Voglio diventare la guardia personale della regina.»
«E perché mai.»
«Questi sono fatti che non vi riguardano.. sappiate solo che vi assicuro l’indennità da ogni possibile ira o vendetta senza senso della regina.» si guardarono ancora
«Accettiamo.» concluse il capo, infilandosi il ciondolo nella scarsella che portava alla cintura. Lo vide solo fare un cenno col capo e, prima che se ne potesse accorgere, il troll alle sue spalle l’aveva colpita e ad uno ad uno, tutti loro tranne il capo davano il proprio contributo.. non erano colpi forti, ma nemmeno troppo deboli
«Avremo molta strada da fare…» il troll le si avvicinò, tirandola su per un braccio e rimettendola in piedi come se nulla fosse «Non mi ricordo il tuo nome.»
«Non l’ho detto.» ribatté stizzita l’altra, toccandosi il viso che ancora pulsava
«Dovremo pur chiamarti in qualche modo.» la ragazza fece spallucce. Il capo dei troll le serrò le dita sulla mandibola, costringendola a guardarlo negli occhi «Guerriera.» grugnì poi «Lo sei.. lo sarai.» lasciò bruscamente la presa, tanto da farla barcollare.
Gli altri trolls si presentarono con nomi improbabili e sorprendentemente si rivelarono amichevoli.
 
Archibald Hopper andò tremando verso la porta. Guardò distrattamente Armida, per poi decidersi a rispondere a quell'incessante e deciso bussare, aprendo la porta.
Aveva già ignorato un paio di volte il cellulare ed in entrambi i casi il nome del sindaco era apparso sullo schermo... se fosse stata lei, non avrebbe esitato a far buttar già la porta dello studio pur di vedere la figlia. Avrebbe detto di non aver sentito il cellulare.. o altre scuse.. il problema però, non era quello, bensì i fatti.. e quelli erano piuttosto eloquenti.
«Archie!» sbuffò sollevata Ruby, abbassando la cerniera del suo giubbotto rosso fiammante
«Ruby.» sospirò sollevato il dottore, impedendole però di entrare
«Credevo ti fossi dimenticato! Senti dovevo parlarti di quel fatto di Billy, credo che mi piaccia seriamente e-» la ragazza cominciò a parlare concitatamente, ma l'uomo non si tolse dalla porta
«Io direi di andarci piano Ruby, sai come la penso. E poi.. questo non è il momento più adatto, davvero..» lei si alzò sulle punte, cercando di sbirciare palesemente oltre la spalla del dottore. I suoi occhi si spalancarono stupiti quando videro Armida stesa sul divano, gli occhi strizzati, che dimenava il volto a destra e sinistra, come in preda ad un incubo
«Dida??» Ruby si fece largo entro lo studio, spintonando l'uomo di lato che, dal canto su, non fece molto per opporsi
«È sotto ipnosi.» spiegò il dottore, lasciandosi cadere sulla poltrona - dopo aver serrato la porta a chiave
«Sicuro che stia bene?»
«Fisicamente.. sì.» sospirò gravemente «Ma non sembra star vivendo ricordi.. o sogni subconsci molto tranquilli..»
«Beh ma che aspetti? Svegliala!!» la cameriera del Granny's si sedette accanto all'amica, gli occhi fissi sul suo volto agitato
«Non posso!»
«Non puoi o non vuoi?»
«...Non ci riesco.» confessò infine, gli occhi spaventati in quelli di Ruby come in cerca di aiuto
«Non basta schioccare le dita o roba del genere?!»
«Armida è come.. intrappolata nei suoi ricordi, nessun intervento esterno sembra in grado di svegliarla. Non.. non so che fare.» Archie si passò una mano fra i capelli, abbassando lo sguardo «Ho sbagliato tutto con lei. E il Sindaco mi toglierà tutto.. o mi ucciderà.. no, mi toglierà tutto.. e.. sai cosa? Non me ne frega niente! So solo che una mia paziente è imprigionata nel limbo dei suoi ricordi, dei suoi incubi, e io non so come aiutarla.»
«Sono certa che tu volevi solo aiutarla..» la ragazza cercò di consolarlo, anche se sapeva che non sarebbe servito a molto.. i fatti erano evidenti. La soluzione - se così si poteva definire - una sola.
 
«Non ci riesco!»
«Sì che ci riesci!» Armida guardò ancora quell'albero che le chiedevano di scalare. A cosa le sarebbe servito poi, quello era un mistero. Non c'erano rami, la corteccia era liscia.. e ne era certa: le lezioni di fioretto erano molto più interessanti e costruttive di quelle di arrampicata. Certo, doveva salire e scendere per il ponte mezzo rotto per importunare ignari viaggiatori con i trolls, ma era temporaneo, non sarebbe rimasta lì per sempre.
«Usa la testa, guerriera!» il capo dei trolls l'aveva presa più in simpatia di quello che voleva e questo sembrava dargli l'autorizzazione di spintonarla quando gli pareva
«Piantala Ciril!» borbottò la ragazza, cercando l'equilibrio. Lo faceva per scherzo e anche per il suo bene, certo.. ma poteva lui capire che non stava parlando con uno dei suoi corpulenti ragazzi con le abilità di una scimmia - nonostante tutto quello che portavano addosso - e il corpo possente?
Il troll ridacchiò mentre la ragazza estraeva il pugnare che aveva legato al fianco
«Così si ragiona.» si compiacque lui, vedendola salire sul tronco con l'aiuto di quell'unico appiglio. Il suo corpo si stava scolpendo come quello di un ragazzo della sua età, i muscoli delle braccia erano forti come quelli delle gambe, ogni giorno era più veloce e più agile con la spada. Si impegnava a fondo e quasi i trolls erano dispiaciuti di star allenando qualcuno con quelle capacità, che sarebbe scomparso appena pronto.
«Contento?» urlò dalla cima la ragazza, con espressione scocciata, lanciando ai suoi piedi la freccia che lei avrebbe dovuto raggiungere alla fine dell'albero.
«Sì.» rispose lui atono, prendendo la freccia con indifferenza. La ragazza sbuffò, scese  dal tronco velocissima, scivolando su di esso ed atterrò in piedi.
«Ora che mi fai fare?» chiese la ragazza mettendo le mani ai fianchi.
Ciril si fermò ad osservarla. Le braccia e le gambe potevano essere quelle di un ragazzo, quel vitino stretto era inconfondibile.. forse perché aveva indosso delle pelli arrangiate, forse perché non aveva indosso un'armatura reale, ma come l'avrebbe camuffata? Forse aveva preso un accordo che non era in grado di soddisfare, tuttavia, doveva almeno provarci.. per la sua gente e anche per quella ragazzina così apparentemente fragile ed invece determinata.
«Beh?» lo incalzò lei
«Spada.»
«Finalmente qualcosa che mi piace.»
«E lezioni di trollese.» la ragazza lo guardò stranita, lui rise
«Come, prego?»
«Appunto, ti servono.» grugnì qualcosa e sopraggiunse un troll dall'aspetto decisamente burbero, avvicinandosi baldanzoso. Guardò la ragazza e sputò per terra, per poi rivolgerle un grugnito in segno di saluto; la ragazza storse la bocca
«Devi parlare come un ragazzo.. cambiare la voce, il modo di esprimerti. Un po' di tempo con lui non ti farà male. Saluta Jork.» ridacchiò divertito mentre guardava come la ragazza squadrava il troll
«Te la farò pagare.» borbottò lei, mentre si allenava con la spada e Jork la seguiva come fosse stata la sua ombra.
 
«Da quanto tempo è così?»
«Un paio d'ore.»
«Archie dobbiamo fare qualcosa!» Ruby si alzò dal divano e prese a camminare su e giù per lo studio
«Whale?»
«Per quanto la cosa non ti aggradi, bisogna chiamare il Sindaco, Archie!»
«Sì, hai ragione.» convenne il dottore, respirando pesantemente. Conoscendo il sindaco Mills, doveva essere al municipio a scribacchiare sulle sue scartoffie, nessuno osava mai disturbarla durante l'orario non attribuito al ricevimento dei cittadini e il telefono non veniva preso in considerazione se non era la scuola di Henry a chiamare.. e dopo aver controllato le tasche di Armida, si resero conto che non avevano cellulari per poterla contattare.
Ma Regina doveva pur sapere dove si trovava la figlia, con tutte le spie che aveva in città, giusto? E se non aveva notizie di lei da più di due ore.. doveva essere disponibile a ricevere chiunque, giusto?
«Vado a prenderla!» esclamò Ruby, richiudendosi il giaccone. Il dottor Hopper guardò la ragazza distesa sul divano: era decisamente stanca e quel viaggio la stava sfiancando ogni secondo di più. Era nel passato con la mente e sembrava essere là anche con il corpo.. mai un esperimento di ipnosi era riuscito tanto bene. Tanto bene da rischiare la vita di una paziente.
«Sbrigati.»
 
Era pronta. Il grande giorno. Un anno intero passato dai trolls, quella che alla fine era diventata la sua famiglia, quelli che l'avevano addestrata per tutto quel tempo.. per quel giorno.
Davanti al palazzo estivo della Regina, ancora una volta, ora con i capelli tagliati corti, il viso sporco di cenere, lo sguardo fiero e il suo corpo da ragazza nascosto sotto una blusa larga.
«Buona fortuna guerriera.» la ragazza salutò il capo e il piccolo gruppetto che li aveva accompagnati con un sorriso riconoscente, prima di vederli sparire nel bosco.
Prese un respiro, dirigendosi ancora verso il lato del castello, oltre alle mura di cinta, dedicato all'addestramento delle reclute; quella vola non storsero il naso, con il suo portamento abbastanza convincente, la fronte corrucciata e lo sguardo deciso le permisero di andare avanti, di passare tra le altre reclute fino alle guardie
«Carne fresca.» commentò la guardia seduta al tavolino. In mano aveva una penna ed una pergamena su cui erano scritti tantissimi nomi ed accanto ad essi il verdetto arruolato nell'esercito reale della regina oppure scartato. «Sei molto smilzo, ragazzo. Nome?»
«Lo deciderà la sovrana.» disse dopo una breve esitazione. Le guardie si scambiarono una rapida occhiata per poi scoppiare a ridere
«Senza nome non si entra nell'esercito.»
«Datemi una spada, sfiderò chiunque. Mi guadagnerò il mio posto.» l'uomo si alzò con espressione truce, estraendo la spada; con un cenno del capo convinse il suo compagno ad estrarre la propria e tenderla alla nuova recluta.
La ragazza saggiò il peso della spada, mettendosi poi in posizione. Attorno a loro si fece un cerchio di guardie, soldati, persino reclute.
La guardia attaccò per prima, la ragazza intercettò il fendente diretto al suo addome con il piatto della spada, per poi tornare in posizione difensiva. Quel soldato voleva solo finire presto quello scontro e rimandarla a casa ma lei promise a se stessa che ciò non sarebbe mai accaduto.
Spronato dagli altri, attaccò una, due volte ma l'agilità della ragazza rese nulli  tutti i suoi tentativi. Ben presto da un avversario divennero due e i fendenti che riceveva sempre più forti e mirati ma, anche a quello, non servì a molto: la spada della  nuova recluta, intercettava le loro, e certe volte aveva anche occasione di attaccare.
Più riusciva a sostenere l'attacco, più uomini si intromettevano, più lei dava cenni di stanchezza, più le guardie incitavano i loro ad attaccare, mentre i soldati e le altre reclute assistevano in silenzio. Ora non si trattava più di resistere all'attacco, si trattava di fermare la minaccia che incombeva su di lei e se questo significava voler ferire - come del resto sembravano fare loro - beh, allora li avrebbe accontentati. Non stavano più cercando di scacciare una recluta, volevano divertirsi, volevano sangue, volevano il sangue del ragazzino che li aveva sfidati e li stava umiliando.
Un affondo. Colpì il soldato alle sue spalle. Una ferita superficiale alla coscia, che però lo fece ritirare.
Un altro colpo. Il soldato alla sua sinistra perse la spada dalla mano.
La ragazza si girò per guardarlo nella confusione e, in quella frazione di secondo, il terzo soldato.. il primo che l'aveva attaccata, preparò il suo affondo.
La ragazza fece appena in tempo a schermare la spada avversaria e ferirlo al braccio, ma la punta la colpì comunque, tingendo in poco tempo la blusa di rosso. La ragazza deglutì, lasciò la spada e si inginocchiò al suolo, la mano sul fianco. Non pensava di esser stata ferita in modo così grave, ma in effetti.. non era mai stata ferita e sentiva le forze defluire con il sangue caldo che scorreva tra le sue stesse dita
«Scartato.» disse la guardia con affanno e soddisfazione, guardandosi distrattamente il graffio che la ragazza le aveva procurato.
«No.» lei conosceva quella voce.. come conosceva il silenzio che portava. La ragazza riuscì solo a sollevare di poco lo sguardo.. la vista divenne opaca ma la riconobbe: la regina.
Non era cambiata dall'ultima volta che l'aveva vista: bella e spaventosa, affascinante ed autoritaria.
«Questo sbruffoncello ci ha insultati.»
«Vi ha tenuto testa.» corresse la sovrana, squadrando la ragazza con indifferenza, per poi andarsene via com'era venuta «Fatelo curare e dategli un'armatura: il guerriero resta.»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
angolo autrice:
non mi ammazzate, chiedo clemenza. Spero che l'attesa non sia stata inutile e questo capitolo vi sia piaciuto!
Ora abbiamo due storie, proprio come nella prima stagione (il fatto della doppia storia mi piaceva tantissimo, cosa che si è mantenuta molto relativamente nella seconda), StoryBrooke e il Fairy Tale Land.. spero che la cosa non vi dispiaccia :'3
Detto ciò, alla prossima, grazie a tutti
syriana94

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Capitolo 10
*** Sacramentum Gladiatorum ***


Angolo Autrice:
Oh yes, I’m back bitches! Due anni? Due anni e otto mesi, arrotondiamo a tre anni così mi picchiate meglio (?). Inutile dire che sono stata impegnata.. no dai, non ci crede nessuno.. la verità è che sono stata piacevolmente assorbita dal mondo delle role e dai rewatch sfrenati di telefilm che conosco a memoria (who cares) e questo è il risultato.
Vorrei chiedere sinceramente perdono ai lettori appassionati che ho abbandonato, e spero troveranno la voglia e la clemenza di tornare a seguire la storia, anche dopo tutto il tempo che è passato. Già da ora dico che non aggiornerò regolarmente, ma solo quando ne avrò la possibilità {angolino confessione: l’ispirazione è altalenante, sono concentrata sua altre storie - ehm andate a controllare nel mio profilo se vi va di curiosare, perdono T^T} e non escludo l’eventualità di farvi aspettare altri anni just sayin’.
Ringrazio fin da subito le mie fedelissime, che ho ignobilmente trascurato... McHardcore, Valine, vi giuro che non vi ho dimenticato e continuerò a ringraziarvi sempre!
Buona lettura a tutti.
Con la speranza che continuerete a seguirmi,
syriana94

P.S.:

 

 

Capitolo10 - Sacramentum Gladiatorum

Ruby era indecisa se correre o camminare. Era sempre stata veloce a correre e quando lo faceva attirava l'attenzione di tutti - non era mai stata sicura se fosse per la velocità o per l'abbigliamento - e quello non era il suo obiettivo, non quel giorno, non a quell'ora.

StoryBrooke non le era mai apparsa tanto grande. Con rapide e lunghe falcate cercava di coprire più spazio possibile, calibrando i suoi passi ogni due mattonelle grigie.. erano un bello stacco anche per le sue gambe, ma non troppo da farla sembrare una pazza con disturbi mentali: aveva trovato l'andatura giusta.

Oltrepassò il Granny's pregando con tutte le sue forze che la nonna non la stesse aspettando. Contò i passi: uno, due..

«Ruby!!» sollevò gli occhi al cielo e fu costretta a fermarsi, ringhiando appena

«Ora non posso nonna, dammi un paio d'ore.. stasera farò gli straordinari, se vuoi.» la donna la seguì per un po' sul vialetto, minacciandola con lo sguardo. I fumi bianchi che uscivano dalle narici a causa del freddo la facevano sembrare un toto infuriato ma Ruby si impose di non ridere

«Cosa devo fare con te?! Hai orari da rispettare signorina, non puoi fare come ti pare solo perché sei mia nipote!»

«Nonna non posso, è una cosa importante!» l'anziana donna ringhiò anche più forte di Ruby e girò i tacchi, frustrata e sicura che la nipote non l'avesse seguita neppure se ci fosse stato un incendio al locale

«E' sempre una cosa importante, per te!» combatté strenuamente con sé stessa per non gridarle dietro "sei licenziata" e la lasciò andare, tornando dai suoi clienti.

Ruby sbuffò e riprese la sua camminata.

Raggiunse dopo una quindicina di minuti il municipio, le lanterne appese ai due lati dell'entrata creavano aloni gialli attorno al vialetto, il che, per uno strano motivo, metteva in agitazione Ruby. Come se fosse l'unica cosa di quella donna.. o correlata a quella donna che la mettesse in agitazione.. a parte Armida, naturalmente.

Si fece coraggio ed entrò con determinazione nel municipio. Salì le scale, guardandosi distrattamente in giro e tra le varie porte cercò quella vetrata con la scritta dorata "mayor" applicato in maiuscolo. Si accorse solo ora di non ave mai fatto visita al sindaco della città nel suo ufficio privato

«L'orario per le udienze è finito.» Ruby sobbalzò. Da quando Regina Mills aveva una segretaria? Non aveva mai visto quella faccia al Granny's.. eppure tutti avevano fatto sosta dal Granny's. Ruby le rivolse un'occhiata curiosa e perplessa e sentì distintamente la donna essere a disagio sotto quell'occhiata

«Lo so io.. ehm..» cercò di mostrarsi il più diplomatica possibile, ma non ci riusciva. Continuava a guardare quelle collant immacolate sotto la gonna nera e i tacchi alti, la camicia bianca che spuntava dalla piccola scrivania, la pettinatura perfetta.. e lei aveva indosso un giubbotto rosso, gonna corta - fin troppo - calze bianche di lana ed anfibi.. senza contare il trucco pesante «E' una cosa della massima importanza.» riprovò la ragazza e l'altra sbuffò, depositando su dei fogli gli occhialetti fini per portava sulla punta del naso. Ruby sorrise più cordialmente possibile, levandosi il cappellino di lana e stropicciandolo tra le mani sudate.

«Aspetti qui.» Ruby fu costretta ad aspettare fuori

«Le dica che è importante!» le urlò dietro, ma non fu sicura che l'avesse ascoltata. Sbuffò e fece un giro su sé stessa, poi si fermò e tese le orecchie.. anche se la stanza era chiusa, poteva sentire le dita del sindaco fermarsi e smettere di tamburellare frenetiche sulla tastiera di un pc, la segretaria fare una breve descrizione di lei - comprendeva il giubbotto rosso ed un tipo eccentrico - e poi la voce di Regina Mills, calda, autoritaria e temibile. Disse qualcosa su Armida, "la cameriera del Granny's" e si interrogò sul fatto che le due cose potevano essere correlate. Un attimo di stasi e sentì le rotelle della sua poltrona cigolare. Tacchi.. due.. quattro.. stava uscendo.

Ruby indietreggiò quando vide formarsi le due sagome nere sul vetro zigrinato e poi si sforzò di sorridere al sindaco.. un sorriso falso, da parte di entrambe. Regina congedò la segretaria e le diede il permesso di andare a casa; Ruby e Regina sostennero reciprocamente lo sguardo della donna che avevano di fronte finchè l'altra non sparì tra i corridoi

«Signor sindaco è importante..»

«Non saresti stata tanto sconsiderata da venire qui, altrimenti.. Cosa c'è? Lo so che tu e Armida siete amiche ma non mi importa finchè non la porti con te.. fuori dal locale di tua nonna.» la squadrò da capo a piedi e le rivolse un sorrisetto sghembo «Perciò se sei venuta qui per chiedermi il permesso di farla uscire con..»

«No! Mi stia ad ascoltare!» il sindaco non amava essere interrotta e specialmente non in quel tono. Il suo sorriso si spense, sostituito da uno sguardo adirato

«Come ti permetti..?»

«Non capisce.. si tratta di Armida!»

 

Il sangue cadeva a gocce, lentamente, depositandosi sulla neve candida. Armida stava osservando quasi incredula quelle piccole macchie in espansione, quasi provava sollievo quando scendevano, scaldando per pochi istanti le sue dita gelate dal freddo.

Respirava piano, concentrandosi su ogni sensazione che aveva preso possesso del suo corpo: il bruciore della ferita al fianco che l’aveva costretta a terra, il respiro spezzato dal dolore e dal freddo, la vista annebbiata dalla stanchezza, le risate divertite e forti che le riempivano le orecchie, frastornandola

«Lascia perdere, ragazzo. Non è il tuo posto.» aveva detto Lucas, il capo dell’esercito della regina. Non era una frase di scherno, però.. la sua voce tradiva delusione: in un certo qual modo, Armida sentiva che “il ragazzino spuntato dal nulla” gli stava simpatico, con la sua testardaggine, con la sua misteriosa brace della mattina che, prontamente, si spalmava in faccia. Aveva fatto credere a tutti che era il suo modo per rendersi più agguerrita, in realtà sapeva che la prendevano in giro proprio per quello.. e a lei non importava, finchè poteva celare la sua identità. Ma il punto era.. Lucas aveva ragione? Fare la guardia della regina era solo un capriccio? Un modo per vederla? Un modo per cercare il perdono o la vendetta? Non disse nulla quando la portarono di peso nel capanno adibito alle cure e l’unica cosa che fece fu storcere appena il naso quando le fasciarono la pelle strappata, poi, sorrise al curatore, il quale ricambiò. Oramai Armida era un visitatore fisso.

«Cos’è andato storto oggi?» chiede amichevolmente, arrotolando alcune bende appena lavate

«Il solito gioco inutile di “uno contro tutti”. Mi mettono sempre al centro.» si lamentò la ragazza, schiarendosi la voce e bevendo l’acqua che le era stata offerta

«Avrai il tuo momento, Am.» riprese l’uomo, passandosi l’indice sotto il naso. Armida lo guardò a lungo: anche dopo mesi non si era ancora abituata a quel nome. Come le era venuto in mente “Am”? Scosse la testa, ripetendo tra sé e sé che quello era un nome stupido. Per prima cosa, non aveva alcun senso e per seconda era nato solo perché lei, nel fornire il suo nome, aveva sbagliato e, accorgendosi del suo errore, si era fermata prima dell’ultima lettera che avrebbe svelato la sua natura femminile. Am, dunque, era diventato il suo nome. Un’altra cosa ridicola su cui i suoi compagni avrebbero potuto prenderla in giro, e lo facevano, infatti.

«E quando?» sospirò lei, anche fin troppo consapevole che quelle fossero solo parole di consolazione, nulla che presagisse qualcosa di buono in un futuro immediato «Sono solo false speranze. I giochi si svolgono la settimana prossima. Non ho possibilità di vittoria.»

«Non disperare.» continuò dolcemente l’uomo. Come poteva una persona come lui lavorare lì dentro, per la regina? «Vedrai che l’aiuto che ti serve arriverà.» Armida ne dubitava fortemente. Ma oramai era lì, ad un passo dal suo obiettivo e di certo non si sarebbe arresa, non fin quando la regina l’avrebbe proclamata sconfitta.

Alzò lo sguardo solamente quando il trambusto generale, fuori, si fermò di colpo. Cosa era successo di tanto eclatante per zittire quel branco di selvaggi senza educazione?

«I miei soldati sono pronti?» era una voce di donna, quella che aveva udito. Saltò giù dal lettino, piegandosi appena per il dolore e zittì con l’indice le proteste dell’uomo: voleva vedere, voleva sentire, ma per quanto potesse premere la guancia su quelle sbarre di ferro, non ci riusciva

«Sì, vostra maestà.» rispose il comandante. Armida sentì il sangue ribollirle nelle vene: come poteva essere lì, intrappolata in quel buco di pietra che puzzava di sangue e unguenti mentre la regina stava osservando i ragazzi che sarebbero presto entrati nel suo esercito?

«Bene.» rispose monocorde. Armida sospirò, sicura che quella sera le sarebbe stata preclusa la possibilità di combattere e, quindi, di far parte dell’esercito dei cavalieri neri.

«E il ragazzo?» un barlume di speranza si riaccese nel cuore della ragazza. «Ne conto uno in meno.» proseguì la donna, causando un silenzio imbarazzato

«E’ stato ferito.» rispose Lucas, il tono appena dispiaciuto «Non credo possa combattere stanotte.» poteva quasi vedere il volto irritato della regina, poteva sentire i suoi sospiri nervosi e i suoi occhi scintillare.. forse era solo una sua supposizione – infondo perché doveva tenerci tanto a lei – ma il solo pensiero di deluderla le era insopportabile. Forse era solo una sua congettura, una sua speranza, ma le dava forza.

«Combatterò!» urlò in fine, con tutto il fiato che aveva in corpo. L’uomo cercava di zittirla, di tirarla per un braccio via dalla finestra, ma a ragazza era irremovibile. «Combatterò!» gridò ancora, non sentendo provenire alcuna risposta e, tantomeno, potendo vedere cosa stava succedendo. Non ascoltava il vecchio appeso al suo braccio che le ripeteva “ti farai ammazzare”, non si lascava smuovere.. poteva anche aver ragione, ma lei era decisa ad andare fino in fondo.

Attese per pochi secondi, che però, a lei, parvero come infiniti. Poi la vide: lei, la regina, che camminava con il suo solito sguardo di sfida, celando un tocco di irritazione. Si faceva strada a fatica tra la neve accatastata al lato della piccola costruzione di pietra, il mantello di velluto appena alzato e i pantaloni di pelle appena imbiancati dai fiocchi di neve

«Combatterò.» disse ancora lei, in un mormorio appena udibile, gli occhi bassi e la mano serrata ad una delle due sbarre gelate che le bruciava il palmo.

«Non vedo l’ora.» poteva intuire da come aveva pronunciato quella frase che stava sorridendo, forse ghignando. Credeva veramente in lei oppure si divertiva a sapere per certo che qualcuno sarebbe caduto?

 

Archie temeva l’arrivo del sindaco, eppure sapeva che era l’unica cosa da fare. Si grattava la nuca nervosamente, lanciando occhiate preoccupate alla ragazza che si contorceva sotto la sua giacca. Aveva sbagliato tutto, lo sapeva, forse quelli erano i suoi ultimi minuti da psicologo, da abitante di Storybrooke o del Maine, forse addirittura dell’America.. aveva paura di morire di vergona o di continuare a vivere dilaniato dal senso di colpa di aver ucciso una ragazzina innocente.

 

Quando sentì la porta sbattere, era chiaro che il suo peggior incubo fosse arrivato. Si spostò in un angolo della stanza, la mano che grattava nervosamente la nuca e la mente in subbuglio: doveva dire qualcosa, scusarsi, giustificarsi o rimanere in silenzio? Ruby lo raggiunse, gli rivolse uno sguardo preoccupato e Archie si rincuorò: la sua presenza lo tranquillizzava, anche se solo in parte

«Siete solo un branco di incompetenti!» era furiosa, comprensibile e prevedibile «Vi farò rinchiudere in cella dallo sceriffo fosse l’ultima cosa che faccio!» sbraitò di nuovo. Archie si sentì morire.. Ma come poteva smentirla? Era tutto vero: non riusciva più a svegliare quella ragazza innocente, aveva tradito la sua fiducia e, cosa più grave, aveva tradito la fiducia del sindaco.. un errore che non sarebbe mai stato perdonato.
Era il primo, in un certo senso, a voler essere punito.. eppure sentirsi condannare ad un tale destino lo faceva tremare. Per quanto lo avrebbero tenuto sotto chiave? Sarebbe stato trasferito in quel mitico sotterraneo nelle fondamenta dell’ospedale dove Regina Mills tratteneva di nascosto chi non riusciva ad attenersi alla sua volontà? Esisteva davvero quel luogo? Sicuramente non gli sarebbe piaciuto scoprirlo sulla propria pelle.

«Signor sindaco.. io.. sono desolato..» prese a balbettare l’uomo, sinceramente mortificato, con un filo di voce appena udibile

«Non una parola, insettucolo!» ruggì la donna, perdendo in un battito di ciglia tutta l’eleganza e la fermezza che l’aveva sempre distinta. Come poteva sentirsi –ed essere- tanto impotente di fronte a sua figlia addormentata? Era come una antica maledizione del sonno? Non aveva la possibilità di sottrarla a quell’infausta sorte senza un aiuto di quel mondo.

Afferrò il cellulare senza pensarci due volte e chiamò l’unica persona che poteva gestire la situazione: il Dr. Whale.

 

Il battacchio di metallo che percuoteva violentemente il piatto di bronzo la fece trasalire

«Ultima sfida del giorno.» annunciò Lucas, facendo placare la folla pigiata attorno ad un piccolo palchetto improvvisato di tronchi legati fra loro: formavano una lunga e stretta palafitta ad un paio di metri di distanza dal terreno innevato.

Armida fece scorrere lo sguardo sulle numerose guardie della regina: alti, forti e robusti uomini dentro pesanti armature color della pece, con elmi calcati sulle teste e denti bianchissimi che donavano allo stesso tempo una sensazione di raffinatezza e inquietudine.
Si ritrovò ben presto a pensare come doveva essere indossare simili vesti ogni giorno, dalla sveglia fino al tramonto.

Poi sollevò lo sguardo e la vide. Vide la regina, sua madre, seduta sul trono al centro della platea, al posto d’onore riservato alle sue guardie più fidate, a suo padre, ai suoi consiglieri. Sfoggiava un lungo abito nero che quasi si confondeva con il buio che era presto calato e il suo viso, profondamente annoiato, era lievemente illuminato dal fuoco di una torcia poco distante da lei. Era bella. Bella e terrificante.

«Il campione di oggi.» i fragorosi applausi della folla la distrassero dai suoi pensieri. «E l’ultimo della batteria.» alcuni fischi proruppero dalle labbra dei veterani. Armida si arrampicò tremante sui pioli della scala che conducevano al palco. Sentiva gli occhi di tutti addosso a lei, sentiva la tensione, il disprezzo ce rivolgevano a quel ragazzo smilzo che non aveva nemmeno una possibilità di riuscire a sopravvivere.. in effetti il suo sfidante aveva battuto uno dopo l’altro tutti i suoi compagni, ferendone a morte un paio e gli altri, quelli più fortunati, anche se ammessi tra i soldati dei cavalieri oscuri, giacevano privi di sensi nell’infermeria. Deglutì nervosamente, cercando di ignorare il dolore al fianco che, improvvisamente le pungeva la pelle, come fosse un monito.
La ragione le diceva di scappare, voltarsi e nascondersi nella foresta senza guardarsi alle spalle.. il cuore l’attirava verso l’esercito.. l’orgoglio le manteneva i piedi fermi su quei tronchi scivolosi. Le piaceva immaginare che ora la regina la stesse guardando con ritrovato interesse, non le importava se la sua motivazione fosse stata quella di assistere meglio ad un’uccisione brutale, le importava solamente che quegli occhi dolci e spietati fossero su di lei, la seguissero e, perché no, tifassero per lei.

«Combattete!» le due spade affilate furono lanciare in mezzo al palco e i due, posti alle due stremità opposte, scattarono in avanti, le orecchie che fischiavano a causa del forte suono dell’improvvisato gong, cercando di aggiudicarsi una od entrambe le spade che giacevano incustodite al centro. Il cuore di Armida batteva veloce, facendole pulsare le tempie per lo sforzo e per la paura. Riuscì a strappare una delle due spade dalle mani dell’avversario e, lesta come una lepre, si chinò per evitare il veloce colpo che già le aveva assestato, diretto al collo; sgusciò vicino ad una delle sue gambe e, stando bene attenta a non scivolare di sotto, corse di nuovo, ritrovandosi all’estremità opposta della pira, là dove, all’inizio, si trovava lui. Lo osservava ansante mentre constatava che, con quell’agile mossa, aveva conquistato una piccola parte del pubblico.

Era sorda a tutti gli insulti che le rivolgeva l’avversario, che spaziavano da “piccoletto” a “nullità” fino a frasi più complete che riguardavano il suo futuro fallimento e figuraccia al cospetto della regina. Armida avrebbe potuto sopportare tutto, ma non quello.

Tentò allora lo scontro diretto: partì per prima, la spada saldamente impugnata. Fu il suo più grande errore.

Per quando udì i cori di dissenso della folla, era ormai troppo tardi per tirarsi indietro. Il suo nemico era rimasto fermo, i piedi ben piantati e non appena Armida si avvicinò a lui, gli fu sufficiente alzare le braccia sopra la testa per ribaltare l’esile corpo della ragazza e buttarlo alle sue spalle senza il minimo sforzo. Armida accusò il colpo, allargando le braccia per non ferirsi con la spada. Rimbalzò dolorosamente sul legno tanta fu la forza con la quale era stata scagliata. Era confusa, aveva battuto la testa, vedeva sfocato e il fianco sembrava dilaniarsi ad ogni respiro.. non fu difficile capire che la ferita si era riaperta, e il sangue sporcava di un liquido scuro i tronchi umidi. Si maledisse per quanto fosse stata stupida ad attaccare per prima.. eppure si approfittavano sempre di lei in quel modo, tutti i giorni, non aveva imparato nulla? Sarebbe stata lei a dover sfruttare la forza dei suoi avversari a suo vantaggio, non il contrario.

Puntò la mano libera sul legno e, a fatica, cercò di sollevarsi. Non ne ebbe il tempo: l’elsa della spada dell’altro la colpì allo zigomo e lei ricadde a terra ancora più indebolita di prima. Sentiva il lontano eco della folla che osannava il nome dell’avversario. Forse era davvero finita.. oramai era questione di dare spettacolo a suo discapito. Bella figura aveva fatto. Aveva illuso la regina di essere un degno soldato ed ora lo dimostrava in quel modo?

Alzò a fatica il capo, osservando come la folla stesse seguendo ogni mossa del nemico e ridesse della sua volubilità: avrebbe potuto ucciderla quando più gli sarebbe piaciuto e lei non aveva nemmeno la forza per sollevarsi in piedi

«La vittoria va a..» Lucas parlava a malincuore, ma veloce, come se volesse evitarle una morte disonorevole. Armida strinse i denti e, con uno sforzo che le parve disumano, puntò un gomito a terra e sollevò il busto dal legno

«Sine missione!» urlò la ragazza, la voce che tremava. Un silenzio tombale calò su tutti loro. Lucas la guardò supplicante, scosse la testa, ma lei era irremovibile «Sine missione.» ribadì decisa: sarebbe morta? Probabilmente. Ma lo avrebbe fatto in grande stile.

«Accetti?» domandò a malincuore, rivolto all’altro sfidante; per tutta risposta alzò le braccia verso la folla che rispose per lui con un fragoroso applauso

«Duelleranno finchè uno dei due non sarà morto.» spiegò Lucas «Nessuna regola, nessuna pietà.»

Lasciarono il tempo ad Aria di rimettersi in piedi e al suo sfidante di riposarsi e rifocillarsi di applausi e cori di ammirazione. Armida vedeva male dal lato sinistro, il fianco non le permetteva di rimanere in posizione completamente eretta, la mano destre tremava mentre si stringeva sull’elsa della spada. Si sentiva un relitto e rise perché lo era.

Il gong suonò un’ultima volta e gli incoraggiamenti riempirono l’aria.

«Combattete!» disse ancora Lucas e prima che potessero cominciare, se ne andò dalla piccola arena.

Armida parava a stento i colpi dell’avversario e davvero rare erano le volte in cui riusciva a sferrare un attacco; stanchezza, paura e rassegnazione ebbero la meglio su di lei dopo pochi minuti: crollò a terra dopo un pugno assestato allo stomaco.

Rotolò su un fianco e si perse per quelle che le parvero ore a fissare le cime degli alberi che offuscavano il cielo notturno, ricco di stelle colorate e luminose. Quando tornò in sé e rotolò sull’altro fianco per evitare il fendente, si accorse che la benda che le fasciava il fianco, si stava velocemente disfacendo. Approfittò del fatto che la spada si fosse incastrata tra i tronchi per gattonare via, dall’altro lato del costruzione, ma quando giunse a destinazione, lui era già sopra di lei, la spada sollevata sopra la testa, impugnata da entrambe le grosse mani callose, pronte a farla cadere e recidere il suo sottile collo come un ramoscello. Si trovava già in ginocchio.. quanto onore c’era in tutto quello?

Abbassò lo sguardo, pronta a ricevere il colpo e, per un lungo attimo, il tempo parve fermarsi. Poteva sentire il freddo che le pungeva le dita, il legno ruvido sotto la pelle, il suo sangue, tiepido, che anche se debolmente la riscaldava, il suo cuore che correva veloce, rimbombando nella sua gola.. C’era così tanta brutalità in tutto quello, così tanto terrore mistero.. eppure il significato della vita si racchiudeva in quel momento, un soffio e tutto sarebbe cambiato.. era talmente affascinante.

Sorrise.

E nel momento in cui socchiuse gli occhi, certa che di lì a poco avrebbe conosciuto la morte, notò che a sua benda era del tutto distesa sul legno, verso il suo nemico, si colorava di rosso in alcuni punti a causa delle pozze di sangue – suo e dei combattenti che l’avevano preceduta – e dopo articolate svolte si attorcigliava alla sua caviglia, sotto la suola.. e ritornava da lei. Tirò verso di lei con un portentoso strattone in cui aveva racchiuso tutte le sue ultime forze, la disperazione e quel barlume di speranza, l’ultimo prima della disfatta, il più forte, perché si accende subito come una scintilla in un campo di erba riarsa dal sole.

Perso l’equilibro, l’avversario cadde di schiena.

Armida si alzò, corse verso di lui mentre ancora l’adrenalina le scorreva nelle vene, alzò la spada sopra la testa e si lasciò cadere in ginocchio, trapassando il torace dell’avversario con un unico e preciso fendente.

«Svegliati!» Armida si sentì schiaffeggiare senza troppe cerimonie. Aprì le palpebre e si sentì tirare in piedi di peso. Faticò non poco per rimanere in piedi da sola, senza alcun aiuto, ma alla fine smise di oscillare. Non capiva nulla di quello che stava succedendo, ebbe la mente completamente annebbiata finchè non percepì un acuto dolore al polso.

Urlò, cadendo in ginocchio, le labbra dischiuse dal dolore e dalla sorpresa di ritrovarsi una bruciatura a forma di R sulla pelle «Alzati soldato. Da oggi si fa sul serio.» Armida osservò a lungo il cadavere del suo avversario riverso nella neve, accanto alla costruzione di legno, la sua spada che ancora gli spuntava dalla schiena. L’aveva ucciso e dopo.. probabilmente era svenuta. Ancora profondamente confusa, la ragazza non si rese conto che la regina, con passo leggero e sicuro, si era avvicinata a lei e quando quest’ultima non si era inchinata ai suoi piedi, le aveva sollevato il mento con l’indice, costringendola a guardarla dritta negli occhi. Armida non disse una parola e sostenne lo sguardo, anche se con l’unico occhi sano

«Lo voglio nel castello.» sentenziò infine ed Armida fu costretta a chinare il capo, per quanto le fosse concesso: ciò che le aveva offerto la regina era un grandissimo onore «Pulitelo, educatelo, addestratelo.. farà parte delle mie guardie personali.» Armida nascose un sorriso sghembo: era fatta.

 

«Svegliati!» Armida aprì gli occhi di scatto e Regina, per niente preparata a quel gesto, scartò all’indietro spaventata, rischiando di perdere l’equilibrio. La ragazza si guardò attorno confusa, spaventata e con il respiro ansante. Quando abbassò lo sguardo vide una strana siringa tozza ancora accostata alla sua coscia e il Dr. Whale che la impugnava con fermezza. Si dimenò finchè tutti non si furono allontanati, tutti tranne Regina

«Ricordo. Ricordo tutto

 

Note:
- Il combattimento descritto è stato ispirato all’omonimo episodio di “Spartacus: Blood and Sand”.

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