Accuse dal passato

di yllel
(/viewuser.php?uid=176795)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Epilogo: Frammenti ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


Una nuova storia!!
finalmente fa parte di una serie e spero che questo aiuti chi mi legge per la prima volta a orientarsi un po’, quindi anche se sara’ una fanfic incentrata su John e Sherlock , sappiate che c’e’ un rapporto consolidato tra quest’ultimo e Molly.
Ambientata dopo la seconda serie.
Nessuno dei personaggi mi appartiene naturalmente, ma li utilizzo con tanto divertimento!
Buona lettura.
 

ACCUSE DAL PASSATO
CAPITOLO 1
 

“Italia?”
“Mmm… sarebbe bello, si. Ho visto Venezia, ma ci ritornerei volentieri  e naturalmente, ci sono un sacco di altre belle citta’ da visitare.”
“Non lo so... sono cosi indecisa. Mi piacerebbe anche andare in qualche posto caldo”
John sorrise a Mary.
“Voto per quello, se significa che tu indosserai solo un bikini. O se facciamo bene le nostre scelte, neanche quello...”
“Dottor Watson!” esclamo’ lei, cominciando a ridere.
“E’ la nostra luna di miele!” ribatte’ lui, chinandosi per baciarla.
In quel momento, la porta del loro appartamento si apri’ e Shelock Holmes entro’, un fazzoletto premuto sulla fronte.
“Non fate caso a me. Conosco la strada” esclamo’, dirigendosi verso il bagno.
Mary e John rimasero in silenzio per un attimo, poi lei sospiro’.
“John?”
“Lo so, amore... lo so.”
“Quando torna Molly da quel congresso?”
“Tra cinque giorni. Considerando che e’ via solo da due, le cose rischiano di essere davvero difficili.”
“John, so che e’ il tuo migliore amico e che lui funziona in modo diverso ma...”
John sospiro’ e si alzo’ a malincuore.
“Gli parlero’. Di nuovo
Si diresse verso il bagno e trovo’ Sherlock che cercava di aprire una bottiglietta di disinfettante con una sola mano.
“Non puoi entrare nel mio appartamento come ti pare e piace.” Gli prese il medicinale e lo apri’ facilmente.
“Ho una chiave, perche’ dovrei bussare?”
John strinse le labbra.
“Io non ti ho dato nessuna chiave, Sherlock” puntualizzo’, accendendo la luce dello specchio.
Lo fece sedere sul bordo della vasca e gli scosto’ il fazzoletto dalla fronte, scoprendo un taglio abbastanza profondo.
“Spero che l’altro sia conciato peggio”
Sherlock fece una smorfia.
“Naturalmente”
John scosse la testa.
“Avrai bisogno di punti, stai fermo”
Da sotto il lavandino, estrasse la cassetta del pronto soccorso, che era in generale molto piu’ fornita di quanto ci si aspetterebbe da un  normale kit domestico.
Uno, perche’ comunque John era un medico.
Due, perche’ conoscere Sherlock Holmes comportava rischi non indifferenti. Meglio essere pronti.
“Mi stupisco che tu non abbia provato a medicarti da solo”
“L’avrei fatto, ma Molly ha di nuovo riordinato  casa e  spostato il necessario. Non riuscivo a trovarlo ed ero abbastanza di fretta. Hai intenzione di  usare quella misura di filo per sutura?”
 “Sta zitto, Sherlock, sono io il medico.” Rispose John, applicandogli un po’ di anestetico localizzato “quindi, non l’hai chiamata per farti dire dove cercare per non allarmarla”
“No. Non l’ho chiamata perche’ non mi avrebbe risposto, oggi pomeriggio sta partecipando a un incontro sulle ferite da taglio post mortem. Finira’ verso le 18.00. Poi avranno un break e dopo cena, assisteranno alla proiezione di un filmato sul congelamento”
John comincio’ a suturare piano.
“Hai imparato a  memoria tutto il programma del convegno?”
“Assolutamente. Non voglio disturbarla se non e’ strettamente necessario”
John infilo’ con cura il terzo punto di sutura.
“Sciocchezze. In questo modo la stai monitorando, e’ il tuo modo per sapere esattamente cosa sta facendo e per avere il pieno controllo della situazione, anche se tu sei a Londra e lei e’ a Edinburgo.”
Aspetto’ che Sherlock protestasse, invece lui si zitti’.
John fini’ di mettere l’ultimo punto e puli’ bene la ferita.
“Non puoi controllarla all’infinito, lo sai vero?”
Sherlock rimase seduto sul bordo della vasca, mentre lui cominciava a riordinare.
“Ho bisogno di sapere che lei sta bene” disse infine il suo amico, il tono della voce troppo tranquillo.
John si volto’ a osservarlo e per un attimo, il ricordo dell’espressione distrutta di Sherlock all’ospedale lo colpi’ forte. Gli sorrise comprensivo, ma poi scosse la testa.
“Lei sta bene! Si e’ ripresa del tutto e se tu le stai addosso non otterrai altro che irritazione, da parte sua...”
“Non capisco perche’ sia dovuta andare a quel congresso, si stanchera’ molto e invece ha ancora bisogno di riposare, sono passati solo cinque mesi”
John sorrise di nuovo.
“Sherlock, e’ una delle relatrici principali. Non credi che sia naturale, che voglia affermarsi nel suo lavoro? Quando restera’ incinta, dovra’ necessariamente concentrarsi su altro”
Il suo amico assunse un’aria confusa.
John scosse la testa divertito.
“Sai, la maternita’ non si risolve solo nella gravidanza e il parto... c’e’ l’allattamento... la cura del bambino”
Sherlock raddrizzo’ la schiena.
“Ne sono assolutamente consapevole! Noi abbiamo avuto delle tate, per questo.”
John gli lancio’ uno sguardo di traverso.
“E guarda come siete usciti tu e Mycroft. Sul serio, non credo che Molly sia il tipo di mamma che delega la cura del suo neonato. Ma dico, non ne avete parlato?”
“Non proprio. Siamo ancora nella fase entusiasta del concepimento” Sherlock fece per un attimo un sorriso soddisfatto.
John alzo’ la mano.
“Stop! Non mi interessa sapere altro. E per favore, smetti di irrompere in casa mia, a Mary sei simpatico ma potrebbe diventare violenta.”
Sherlock assenti’ in modo vago, evidentemente di nuovo concentrato su altro.
Stare dietro ai suoi pensieri era come una corsa sulle montagne russe, il piu’ delle volte.
John sospiro’.
“Dai vieni, ti offro una tazza di the”
“La farai tu o la preparera’ la tua fidanzata? Perche’ sul serio, John, quella donna non ha proprio idea di come mi piace il the.”
“Non fare il rompiscatole, Sherlock”

***

Dodici ore dopo

“Sei sempre il solito, Holmes” borbotto’ John Watson cercando di aprire gli occhi, ma la luce che entrava dalla finestra lo costrinse ad una smorfia e a richiuderli.
Appoggio’ la fronte al pavimento e fece un respiro.
Nausea.
La testa pulsava forte e John rimase immobile ancora per qualche attimo.
Alla fine trovo’ la forza di rialzare lo sguardo: la luce che entrava dalla finestra era quella di un’insegna al neon che si accendeva e spegneva ritmicamente.
Perche’ diavolo si trovava in un motel?
Emise un gemito, realizzando come la sua bocca fosse impastata.
Impossibile.
Era sdraiato sul pavimento di una camera d’albergo e aveva tutti i sintomi di un colossale doposbornia, ma non ricordava assolutamente come ci fosse arrivato.
Mary me la fara’ pagare, sta sorgendo il sole e significa che ho passato fuori tutta la notte.
Con movimenti molto lenti si mise carponi e diede un’occhiata in giro.
Stanza piccola, disadorna e sporca, a giudicare dalla polvere sotto il letto.
Avrebbe ucciso Sherlock, questa volta... non sapeva che cosa fosse successo, ma non aveva dubbi che lui e i suoi maledetti casi c’entrassero qualcosa.
Poi vide la mano.
La mano inerte dall’altra parte del letto che apparteneva a un corpo, sdraiato a faccia in giu e immobile.
John si diede definitivamente una scossa e si alzo’, avvicinandosi all’uomo  che si trovava nella stanza con lui: una larga chiazza di sangue stava inondando la scadente moquette e gli si inginocchio’ a fianco, portando due dita alla carotide per verificare il battito.
Era morto.
Merda. Merda. Merda.
Sapeva di non dover muovere il cadavere, si tasto’ quindi le tasche della giacca alla ricerca del cellulare per chiamare la polizia. Non si era accorto che nell’inginocchiarsi le sue mani si erano posate sulla chiazza di sangue, per cui si rese conto in ritardo che si stava sporcando.
Niente cellulare.
Si guardo’ freneticamente intorno e lo individuo’ sotto uno dei comodini, ma prima che potesse muoversi per raggiungerlo, la porta si apri’ con un tonfo.
“Scotland Yard! Mani in alto!”
John Watson sbarro’ gli occhi alla vista delle persone armate di pistola che stavano entrando, facendo subito come gli era stato chiesto.
“Sentite, non so cosa stia succedendo, ma quest’uomo e’ morto. Sono il Dottor John Watson e”
“Zitto! Faccia a terra!”
Lui scosse piano la testa ma fece come gli era stato detto. Fece una smorfia di dolore, tutto il suo corpo era indolenzito.
“Davvero, so cosa potete pensare ma ve lo ripeto, io sono il Dottor John Watson e non ho assolutamente idea di cosa sia accaduto qui, mi sono svegliato e c’era il cadavere accanto a me”
“Sappiamo esattamente chi e’ lei, il portiere dell’albergo l’ha riconosciuta ieri sera, quando e’ arrivato con l’uomo che ha preso questa stanza. Ha telefonato dopo che ha sentito lo sparo.”
Uno degli agenti si chino’ e raccolse il cellulare.
“Quello e’ mio!” protesto’ John.
“Anche questa?”
Un altro agente aveva in mano una pistola.
La sua pistola.
John comincio’ ad avvertire un forte senso di panico.
“Io non ho sparato!”
“Quindi non nega il possesso dell’arma. Lei e’ in arresto per omicidio”
John scosse la testa.
“No, senta, c’e’ un errore... io non mi ricordo neanche perche’ sono qui!”
L’agente lo ammanetto’ e lo fece rialzare con un movimento brusco.
Nel frattempo, dalla giacca del cadavere era stato estratto un portafoglio.
“Il corpo appartiene a Mark Dollman”
“COSA?” John si volto’ verso la figura stesa sul pavimento.
Un flashback lo assali’ all’improvviso.
“Dai, ci facciamo l’ultima birra! Sali un attimo e poi torni dalla tua stupenda fidanzata... devi essere veramente cotto, da come le parli!”
“No Mark, e’ tardi... senti, mi ha fatto davvero piacere rivederti ma ora devo andare!”
“John Watson, non accetto un no come risposta!”
E John era salito in camera.
Con il suo vecchio commilitone Mark Dollman.
Che ora giaceva morto sul pavimento di una camera di motel.
E lui non ricordava assolutamente che cosa lo avesse portato in quell’assurda situazione.
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


SvaneH, miserere, bored94, LadyMisteria, EbeSposaDiErcole, e Jessie_JCL, grazie delle vostre belle recensioni. A voi e a tutti gli altri che hanno letto... spero che questo capitolo vi piaccia!

NOTA: i luoghi citati sono immaginari.
 

ACCUSE DAL PASSATO

CAPITOLO 2

 
“Io non lo so!”
John si era imposto di rispondere alle domande con calma, ma dopo quattro ore di interrogatorio sentiva di non poter reggere ancora a lungo la situazione.
Quattro ore.
Scosse la testa al pensiero di quello che era successo: era stato ammanettato e portato a Scotland Yard, dove un ispettore che non conosceva, un certo Stillwook, lo stava martellando di domande senza dargli respiro.
Non ricordava nulla di cio’ che era successo, ma quell’uomo lo stava incalzando senza tregua.
“Mi racconti tutto di nuovo. Dove ha incontrato Dollman?”
John gemette.
“Gliel’ho gia’ detto, eravamo in Afghanistan insieme, io sono stato rimpatriato quando sono stato ferito e l’ho rivisto ieri per la prima volta. Mi ha mandato una mail dicendo che era in citta’ e chiedendomi di incontrarci,  mi ha offerto una birra al pub, poi l’ho riaccompagnato al suo albergo che era li vicino e lui mi ha chiesto di salire a bere ancora qualcosa.
Ho accettato e poi non ricordo piu’ nulla, mi sono svegliato e lui era morto!”
“E’ stato ucciso con la sua pistola” commento’ in tono neutro l’ispettore.
“Non l’avevo neanche con me! Senta, lo chieda alla mia fidanzata, lei era fuori a cena con delle amiche e  le ho mandato un messaggio per dirle che sarei rientrato un po’ piu’ tardi anche io, controlli il mio telefono!”
Stillwook annui’.
“L’abbiamo gia’ fatto, abbiamo trovato il suo messaggio e poi le chiamate perse della signorina Morstan che la cercava... ma questo non spiega nulla”
John strinse gli occhi al pensiero di Mary.
Doveva essere stata molto preoccupata e naturalmente, ora doveva essere molto spaventata.
Ma era tutto un equivoco, presto le cose si sarebbero chiarite e lui sarebbe potuto tornare a casa.
Si chiese per l’ennesima volta dove fosse Sherlock. Gli sembrava davvero impossibile che non avesse ancora fatto irruzione nella stanza per spiegare che lui era innocente.
Qualcuno busso’ alla porta e un agente entro’, tendendo un foglio all’ispettore.
John lo osservo’ leggere cio’ che era scritto nel documento e fare un sorriso soddisfatto.
“Il guanto di paraffina e’ positivo. Lei ha sparato con la sua pistola. Vuole rivedere la sua dichiarazione?”
John spalanco’ gli occhi.
Non era possibile.
“No, deve esserci un errore.” mormoro’ “Non ho sparato a Mark”
L’altro gli si avvicino’.
“Ha detto di non ricordare nulla, come puo’ esserne sicuro?”
“Che motivo avrei dovuto avere?”
Stillwook alzo’ le spalle.
“Vecchi rancori di quando eravate in guerra, una discussione finita male... eravate entrambi molto ubriachi e forse vi siete messi a ricordare i bei tempi, magari da cosa nasce cosa e avete litigato”
John scosse di nuovo la testa.
“No, no davvero io... io non ho sparato”
“Le prove dicono il contrario, Dottor Watson e non speri che la sua amicizia con l’ispettore Lestrade o con il grande Sherlock Holmes possano aiutarla. Io non sono il tipo che si fa intimidire. Forse e’ il momento che chiami un avvocato”
Un avvocato.
Un processo.
Una possibile condanna.
No.
“Io non ho fatto niente” riaffermo’ John con tutta la sicurezza di cui fu capace.
Stillwook lo guardo’ ancora per un attimo e poi apri’ il fascicolo appoggiato sul tavolo.
“Lei ha sofferto di un disturbo post traumatico da stress dopo che e’ rientrato dall’Afghanistan. Spesso i sintomi possono ripresentarsi dopo mesi o anni, addirittura”
John sussulto’ sulla sedia. Come aveva fatto quell’uomo ad avere il suo fascicolo?
“Lei non ha il diritto...”
“Amnesie, attacchi d’ansia, improvvisi scatti di rabbia, pensieri ossessivi... un minimo evento insignificante puo’ far riaffiorare tutte queste cose. Sicuramente, l’incontro con un ex commilitone puo’ essere stato decisivo. La rievocazione di vecchie esperienze e l’alcool combinati hanno fatto il resto”
Stillwook richiuse il fascicolo con un gesto soddisfatto.
John strinse i pugni. Quell’uomo non sapeva di cosa stesse parlando, non aveva idea di quello che lui aveva passato al suo rientro dalla guerra e di come ogni giorno, anche dopo anni, combattesse ancora con le sensazioni che quell’esperienza gli aveva lasciato. Non sapeva nulla degli incubi che ogni tanto tornavano a tormentarlo. Delle immagini tremende che improvvisamente gli si paravano davanti agli occhi.
Si impose di stare calmo e rallento’ il suo respiro.
Non gli sarebbe servito a niente, aggredire l’idiota che aveva davanti... doveva resistere e presto tutta la situazione si sarebbe chiarita.
Sherlock sarebbe arrivato e avrebbe spiegato tutto.
Era assolutamente necessario, perche’ davvero, lui in quel momento non aveva la minima idea di cosa fare.
“Adesso basta”
L’ispettore Greg Lestrade entro’ nella stanza senza bussare, sfidando con lo sguardo Stillwook a dire qualsiasi cosa che gli desse la scusa per cacciarlo dal suo dipartimento.
Quel pivello aveva preso in mano il caso e pensava di poterlo gestire come voleva, ma era appena stato trasferito e non aveva idea, di come andassero le cose li dentro.
Greg era gia’ stato fin troppo paziente ed era rimasto ad osservare l’interrogatorio da dietro il vetro, continuando a ripetersi che la situazione era troppo assurda per essere vera.
Tese un caffe’ a John e si sedette di fronte a lui.
“Grazie” mormoro’ il dottore, accogliendo il liquido caldo con sollievo.
“Ispettore Lestrade, non credo sia il caso...” Stillwook comincio’ a protestare.
“Fuori”
L’altro si zitti’.
“Cosa?”
“Ho detto fuori.” Greg non lo guardo’ neanche in faccia, continuando ad osservare John.
L’ispettore piu’ giovane sembro’ esitare un attimo e poi si diresse verso la porta.
“Avvisero’ chi di dovere di questo comportamento!” esclamo’ prima di uscire.
“Si, si...” Lestrade scosse la testa e poi torno’ a guardare John.
“In che casino ti sei cacciato?” gli domando’ subito dopo.
“Dove diavolo e’ Sherlock?” rispose invece lui.
Greg alzo’ le spalle.
“Non lo so, te lo giuro. Quando ho saputo quello che era successo, l’ho chiamato, poi gli ho inviato una serie di sms, ma lui non ha risposto. Allora sono andato a cercarlo a casa, ma non c’e’ nessuno.”
“Molly e’ a un congresso e la signora Hudson a trovare un’amica a Liverpool... ma tu devi continuare a cercarlo, e’ l’unico che puo’ aiutarmi. Senza offesa, naturalmente”
Lestrade fece un mezzo sorriso.
“No, hai ragione... le prove sono tutte contro di te e devo dirti, amico, che sei in una situazione davvero brutta. Vedrai che prima o poi Sherlock apparira’ dal nulla e in cinque minuti smontera’ tutte le accuse... trovera il modo di far fare a Stillwook una pessima figura, il che non mi dispiace. Adesso pero’ qui ci sono io, John... e voglio aiutarti. Fai uno sforzo e cerca di ricordare qualcosa. Qualsiasi cosa che ci possa essere utile a fare luce su questa faccenda.”
John chiuse gli occhi alla ricerca di concentrazione, poi gemette frustrato.
“Non ricordo nulla! E’ possibile che sia stato drogato?’
L’altro fece segno di no con la testa.
“No... le tue analisi indicano solo un alto tasso alcolico nel sangue, nessun segno di droghe o sonniferi. Questo Dollman... che tipo era? Lo conoscevi bene?”
“Siamo stati in missione insieme, era nel mio plotone. Un tipo un po’ vivace, ma mai sopra le righe... ti potevi fidare ad uscire in missione con lui, era attento e concentrato, sul campo.”
“Il suo fascicolo dice che ha avuto qualche problema con la legge, quando era un ragazzino. Poi e’ entrato nell’esercito, ha partecipato a diverse missioni all’estero, una delle quali insieme con te, anche se e’ rientrato dopo che tu... si insomma...”
“Sono stato ferito” completo’ John per lui con tono neutro.
Quasi inconsciamente, si porto’ una mano alla gamba che aveva accompagnato al bastone per un po’ di tempo.
“Come erano i vostri rapporti quando eravate insieme in Afghanistan?”
Lestrade osservo’ lo sguardo di John farsi piu’ distante.
“John?”
L’altro si riscosse.
“Scusa?”
L’ispettore sospiro’.
“I tuoi rapporti con Dollman. Andavate d’accordo? Avete mai litigato? Qualche discussione?”
John scosse la testa.
“No. Non c’era tempo, per queste cose. Io mi occupavo spesso dell’ospedale da campo, a volte uscivo sul territorio per accompagnare qualche missione o visitare qualche villaggio, oppure intervenivo in situazioni di emergenza, ma quasi sempre in elicottero per il recupero feriti... non ci sono state molte occasioni per lavorare insieme. Ma era ok, a volte faceva lo sbruffone ma era il suo modo di reagire alla situazione, ognuno aveva il suo... l’ultima volta che l’ho visto stavo raggiungendo un villaggio dove avevamo appena distrutto una rete di attentatori ma poi” si blocco’, riconoscendo i primi sintomi di un malessere che non avvertiva da tempo.
Un peso forte sul petto, un caldo improvviso.
Il ronzio nelle orecchie.
Il sorriso di quel ragazzino davanti agli occhi.
Il ragazzino che faceva ciao con la mano.
“... movente”
Senti’ la voce di Lestrade arrivare da lontano e cerco’ di sembrare il piu’ tranquillo possibile.
“Cosa hai detto, scusa?”
Greg lo guardo’ un po’ sorpreso.
“Ho detto che non c’e’ un movente chiaro, questo e’ un punto a tuo favore. Chiunque puo’ testimoniare che in questi anni hai reso un grande servizio alla comunita’ e non hai dato segni di squilibrio... la tesi che tu l’abbia ucciso per un improvviso momento di rabbia non tiene molto. Insomma... tu non sei pazzo, il fatto che abbia vissuto con Sherlock per tutto quel tempo senza ammazzarlo gioca a tuo favore!”
John cerco’ di stamparsi sul viso il piu’ convincente dei sorrisi.
Lestrade non capiva, non sapeva quanto la sua fosse ancora una battaglia quotidiana, nonostante Sherlock e nonostante Mary.
Il ronzio nelle orecchie si calmo’ e lui riusci’ a respirare di nuovo in modo regolare.
‘’Questa storia e’ una follia” commento’ piano.
Poi la porta della stanza si apri’ con un tonfo e sulla soglia apparve un colonnello dell’esercito, riportandolo indietro di quattro anni.
“Signore!” scatto’ sull’attenti in modo automatico.
Greg Lestrade osservo’ stupito il nuovo arrivato, un militare dallo sguardo di ghiaccio con un’uniforme piena di decorazioni.
“Capitano Watson” con un cenno del capo fece segno a John di mettersi a riposo.
Quest’ultimo lo fisso’ per un istante, prima di scuotere la testa.
“Colonnello Sullivan... non sono piu’ capitano da molto tempo”
L’altro lo squadro’.
“E’ scattato sull’attenti quando mi ha visto, come e’ giusto che sia. Lei puo’ non avere piu’ la sua divisa, ma fara’ sempre parte dell’esercito”
John serro’ le labbra.
Non gli mancava, la sua vita di prima... era stato solo un riflesso condizionato. Aveva rivisto il suo vecchio superiore ed era scattato qualcosa in lui, che l’aveva portato a fargli il saluto.
Poi il colonnello Sullivan pronuncio’ delle parole incredibili.
“Sono qui per prenderla in consegna e farla trasferire alla base militare di St. Andrew’s”
“Che cosa?”
“L’accusa e’ di alto tradimento nei confronti di sua Maesta’ compiuto nello svolgimento del suo dovere di soldato.”
“Ma cosa sta dicendo?” Lestrade si era finalmente ripreso dallo stupore per l’entrata in scena del militare.
Sullivan si giro’ verso di lui.
“Il capitano Watson e’ accusato di aver trafugato reperti storici di rilevante importanza durante la sua missione in Afghanistan, di averli contrabbandati all’interno del Regno Unito con l’intento di rivenderli, esponendo al pericolo di ritorsioni da parte dei cittadini locali tutti i soldati delle forze armate che servono lealmente la loro patria in quel territorio, disonorando la sua divisa e cio’ che essa rappresenta.”
Lestrade non poteva credere alle sue orecchie.
“Sta scherzando, vero?”
Lo sguardo del colonnello si fece ancora piu’ freddo.
“Abbiamo recentemente acquisito prove di come durante la sue ultime missioni, il capitano Dollman abbia contrabbandato oggetti d’arte locali. Stavamo per incriminarlo, ma poi abbiamo scoperto che stava cercando di piazzare sul mercato un nuovo manufatto, un pugnale appartenuto a un capo tribale. Tale manufatto rappresentava un vero e proprio simbolo per la popolazione locale e aveva un valore economico molto alto, essendo d’oro e ricoperto di pietre preziose. E’ scomparso quattro anni fa, all’epoca dell’ultima missione del capitano Watson.”
Lestrade fece una smorfia.
“Oh, andiamo... e questo basta a far si che John sia incriminato?”
Sullivan raddrizzo’ ancora di piu’ le spalle.
“Il pugnale era custodito nel villaggio di Hamrat, sia il capitano Watson che il capitano Dollman vi si sono recati in ricognizione e sono gli unici due ad aver avuto accesso all’edificio principale”
Greg si volto’ verso John, aspettando che smentisse le accuse in men che non si dica.
Ma il dottor Watson si limito’ a fissare il muro.
Si era recato nell’edificio perche’ stavano valutando di convertirlo in un ospedale improvvisato. Nella battaglia diversi civili erano stati usati come scudi umani ed erano feriti, in quel momento erano isolati e in attesa dei rinforzi, avevano bisogno di un posto sicuro.
L’edificio non andava bene, troppo esposto a possibili nuovi attacchi.
Poi John aveva visto il ragazzino.
E poi...
“All’epoca non avevamo motivo di sospettare nulla” la voce del colonnello lo riporto’ bruscamente alla realta’ “ i movimenti del capitano Dollman sono stati notati solo alla missione successiva e sono stati tenuti sotto costante osservazione alla ricerca di prove concrete, fino a che la settimana scorsa non ha tentato di piazzare il pugnale su internet attraverso un sito di commercio di beni antichi e preziosi. Ha aspettato qualche anno per lasciare tranquillizzare le acque, poi si e’ rivolto a un vero esperto, il suo complice” fisso’ con ostentazione John.
Lui finalmente si riscosse.
“E sarei io, l’esperto?”
“Capitano Watson, nega di avere avuto accesso in passato a una rete di contrabbando di oggetti antichi e preziosi per collezionisti privati?”
Per un attimo, nella stanza regno’ solo silenzio.
“Un momento...” John affermo’ stupito “e’ stato per un caso, uno dei primi casi di cui mi sono occupato con Sherlock Holmes... si trattava di contrabbando di manufatti cinesi, io non...”
“Nega di essere entrato in quell’edificio con il capitano Dollman?”
John scosse la testa.
“Sa benissimo che l’ho fatto, e’ nel mio rapporto... siamo entrati, abbiamo perquisito le stanze al pian terreno e non ho giudicato il posto come idoneo. Poi siamo usciti” fece un respiro profondo.
Siamo usciti e si e’ scatenato l’inferno.
“Nega di aver incontrato il capitano ieri sera? Avete litigato su come dividervi il ricavato della vendita?” il colonnello continuo’ imperterrito.
“Mi ha scritto una mail dopo anni che non lo sentivo! Abbiamo solo bevuto qualcosa insieme!” replico’ John.
“Si, abbiamo letto la mail. Volutamente vaga e senza accenni particolari al motivo dell’incontro”
“Perche’ non c’era nessun motivo speciale per l’incontro!’ ribatte’ John esasperato. Poi si blocco’.
Un momento.
I militari avevano letto la sua posta, guardato nel suo computer.
Con che diritto...?
 “Capitano Watson, lei e’ reintegrato nel suo grado per poter subire un processo sotto corte marziale ed essere giudicato per furto e contrabbando internazionale, perpetrati mentre serviva nell’esercito di sua maesta’ e per l’omicidio di un membro delle forze armate. Verra’ posto sotto scorta e condotto alla base militare di St. Andrew’s dove sara’ trattenuto fino al procedimento a suo carico”
“Lei non puo’ farlo!” Lestrade tento’ di protestare, ma fu interrotto dall’ingresso di due guardie militari.
Il colonnello Sullivan gli tese un foglio.
“Qui c’e’ l’ordine in cui sono incaricato di prendere in custodia il capitano Watson”
John era troppo stupito per poter ribattere.
Le guardie gli si misero ai lati per scortarlo fuori.
Lungo il corridoio, vide Mary seduta su una sedia: quando anche lei lo scorse, fece per andargli incontro e poi realizzo’ con chi fosse.
“John!” il suo viso esprimeva tutta la sua preoccupazione e lo stupore per le divise militari.
“Mary, tesoro... sta tranquilla! Si risolvera’ tutto, vedrai...” cerco’ di fermarsi per poterla rassicurare almeno con lo sguardo, ma fu trascinato via.
La sua fidanzata resto’ a guardare disperata la porta e poi estrasse il telefono dalla borsa, componendo di nuovo il numero di Sherlock Holmes.
Il telefono squillo’ a vuoto fino a che non cadde la linea.

***

Inspira.
Espira.
Inspira.
Espira.
John Watson cerco’ di controllare la sua respirazione per calmare il senso di oppressione che l’aveva travolto, dopo essere arrivato alla base ed essere stato rinchiuso in cella. Con la mente, ricordo’ tutti gli esercizi di rilassamento che la sua terapeuta gli aveva insegnato durante le loro prime sedute.
Nonostante l’avesse lasciata prima di finire il suo percorso (una decisione che non aveva mai rimpianto), doveva ammettere che quella donna aveva costituito per il primo periodo dopo il suo rientro, il suo unico legame stabile, il suo unico contatto sicuro con la realta’. Quando erano cominciati gli incubi e gli improvvisi attacchi d’ansia, gli era sembrato di impazzire... era un medico, eppure faticava ad accettare di avere un serio disturbo da stress post traumatico. Si sentiva vulnerabile, incapace di andare avanti.
La terapia non l’aveva salvato, ma per lo meno lo aveva tenuto a galla fino a che non aveva trovato la forza di reagire e qualcosa che lo aiutasse davvero.
Sherlock.
“Dove diavolo sei?” chiese ad alta voce, sedendo sulla brandina.
“Qui”
John alzo’ gli occhi di scatto, si alzo’ in piedi e si ritrovo’ a fissare l’unico consulente investigativo al mondo.
Al di la delle sbarre. Vestito con la divisa dell’esercito.
“Dove sei stato?” lo aggredi’.
Sherlock inclino’ la testa, registrando l’elevato stato di stress di John.
“Ho avuto da fare”
John spalanco’ gli occhi.
“Da fare? HAI AVUTO DA FARE?? Nel caso ti sia sfuggito, mi hanno accusato di omicidio e mi hanno messo in prigione!”
Sherlock continuo’ a squadrarlo.
“Non mi e’ sfuggito. Infatti sono qui”
“Dopo quasi dodici ore!”
“Stavo pensando, John”
“Per dodici ore??”
“Avevo molto a cui pensare. Poi ho realizzato quello che stava succedendo, e’ stato un po’ impossibile ignorare le telefonate di Lestrade e Mary a un certo punto... ma poi la situazione doveva per lo meno evolversi. Gran brutta situazione, a proposito” concluse Sherlock.
John lo guardo’ stupito.
“Stai scherzando, vero? Dimmi che hai gia’ trovato il modo di scagionarmi”
L’altro scosse la testa.
“Non ora. Non ancora.”
John emise un gemito e si sedette di nuovo sulla branda.
“Magnifico, se neanche tu mi puoi aiutare sono davvero fregato...”
“Ho detto non ancora, non che non posso farlo”
John alzo’ la testa sconsolato.
“Non ancora... bene. E quando sarebbe il momento giusto? Quando avrai finito di pensare?”
Sherlock gli rivolse uno sguardo sostenuto.
“Il sarcasmo non ti aiutera’, John.”
“Oh, scusami tanto!! Hai ragione, sicuramente le cose a cui dovevi pensare erano molto, molto importanti!”
Per un attimo, i due rimasero a guardarsi, finche’ Sherlock non fece un sospiro.
"John, ti devo dire una cosa."
“Fantastico. Sono in prigione, accusato di un omicidio che non ho commesso, ma per il quale mi  condanneranno ugualmente e tu vuoi parlare... ok.
Tanto ho tutto il tempo di questo mondo, a quanto pare. Dunque?”
"Credo di non essere sicuro di volere un figlio. Non ho considerato tutte le variabili"
John Watson scosse la testa.
"Sei un idiota, Sherlock"
"Sapevo che l'avresti detto. Adesso possiamo scappare"
“Che cosa?”
“Perche’ credi che mi sia messo questa divisa? Non posso aiutarti se rimani qui, ho bisogno di informazioni e faro’ piu’ presto, se me le darai tu. Naturalmente non mi permetterebbero di parlarti, ed e’ inutile affidarsi a un avvocato. Sei stato evidentemente  incastrato, il che presuppone un piano molto preparato e una situazione studiata a tavolino, anche se l’omicidio di Dollman e’ stato probabilmente anticipato rispetto  a quanto stabilito. Quindi, scappiamo”
Sherlock estrasse una chiave e apri’ la porta della cella.
John esito’.
“Sarebbe diserzione”
Il suo amico fece un gesto spazientito.
“Diserzione? Ti hanno costretto a rientrare nell’esercito per poterti processare, non credo proprio che tu gli debba i tuoi scrupoli, John. Sbrigati, su... la guardia potrebbe essersi svegliata”
“Quale guardia?”
Dal fondo del corridoio arrivarono delle grida e dei passi affrettati.
Questa guardia. Corri, John”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


Dunque... terzo capitolo in arrivo. Grazie alle belle recensioni di EbeSposaDiErcole, miserere, Bored94 e LadyMisteria!
 

ACCUSE DAL PASSATO
CAPITOLO 3

 

“Questi sono morti”
Per un attimo, il capitano John Watson osserva con pieta’ i cadaveri di una donna e di un anziano, uccisi durante lo scontro a fuoco con i ribelli qualche ora prima. La donna ha dei bellissimi lineamenti, non avra’ piu’ di vent’anni, ma e’ difficile stabilirlo.
Quello che e’ chiaro, invece, e’ la causa della morte.
Non vuole neanche cominciare a interrogarsi se siano stati i proiettili del nemico o quelli di Sua Maesta’, a colpirli... non vuole neanche pensare che c’e’ stato un tempo, in cui davvero pensava di venire a portare la pace in questo paese.
“Capitano? Quattro dei nostri non possono camminare e ci sono ancora diversi feriti tra i civili” la voce del tenente Bross, l’infermiere che lo accompagna, lo riscuote.
John si alza e scruta le rovine fumanti del villaggio.
“Dobbiamo trovare un riparo e allestire un punto di ricovero, fino a che non verranno a recuperarci... chiama il capitano Dollman, mi accompagnera’ a verificare la posizione e la sicurezza degli edifici piu’ grandi. Intanto, continua a raccogliere i feriti e assegna un codice di emergenza.”
“Sissignore!” Bross scatta sull’attenti e fa il saluto, per poi tornare verso la piazza.
John getta un’ultimo sguardo alla ragazza e al vecchio, poi si volta e per poco non inciampa in un ragazzino.
“Oh, scusa...”
Il ragazzino non da’ segno di accorgersi di lui, fissa con occhi spalancati i due cadaveri.
John sente una forte pena nel cuore. Gli capita spesso, ultimamente.
In un altro paese, in un’altra vita, questo ragazzo sarebbe a giocare a calcio con i suoi amici, andrebbe a scuola e avrebbe tanto per cui sorridere.
Non sa cosa fare, non parla abbastanza bene la lingua per potergli dire di non guardare, di andare via. Ma d’altronde, se anche potesse, riuscirebbe a dirgli che un giorno le cose saranno migliori? Riuscirebbe a mentirgli?
Gli appoggia piano una mano sulla spalla, in un gesto che spera sia rassicurante e gli sorride.
Il ragazzino sembra riscuotersi e sposta lo sguardo su di lui. Risponde al suo sorriso in modo impacciato e poi scappa via.
John si sveglio’ di scatto in un bagno di sudore.
Realizzo’ di non sapere dove si trovasse e il panico si impadroni’ di lui, cominciando a farlo respirare affannosamente.
Si guardo’ intorno freneticamente e scalcio’ le coperte, il senso di claustrofobia sempre piu’ forte.
Ovunque fosse, doveva uscire di li, subito. C’era troppa luce che illuminava la stanza, era un perfetto bersaglio per un attacco. Doveva recuperare le sue cose e cercare un riparo.
Doveva muoversi, riunirsi al suo plotone, uscire e...
I suoi occhi colsero alcuni particolari di cio’ che lo circondava e il suo cervello, riusci’ a mandare semplici comandi istantanei.
Fermo.
Respira.
Guarda.
Una giacca su una sedia.
Le sue cose appoggiate su un tavolino.
Una vera stanza con un vero letto, non una brandina o una tenda da campo.
Si porto’ le mani fra i capelli e cerco’ di respirare con calma.
Sherlock.
Sherlock l’aveva portato li, si stavano nascondendo dopo essere scappati.
Un piccolo bed and breakfast in un bosco, la signora aveva sorriso con malizia quando avevano chiesto una stanza pagando in contanti.
John era crollato per la stanchezza, senza neanche avere la forza di chiedere al consulente investigativo quale fosse il suo piano, se mai ne avesse uno.
La realta’ delle ultime ore gli calo’ addosso di colpo, cancellando l’impressione che il suo sogno gli aveva dato di essere ancora in Afghanistan.
Era in fuga perche’ era stato accusato di furto e omicidio.
Mark era morto.
Mary.
Emise un gemito. Chissa’ come stava, che cosa stava provando in quel momento... avverti’ il disperato desiderio di averla vicina e abbracciarla forte.
“Ah, ti sei svegliato”
Sherlock entro’ dalla porta e rimase ad osservarlo.
John tento’ di dissimulare la forte angoscia che stava pian piano lasciando il suo corpo. Poteva quasi avvertire la mente del suo amico analizzare il suo stato e concludere che fino a pochi  minuti prima, lui era stato nel panico totale.
“Si...quanto ho dormito?” spero’ che la sua voce fosse abbastanza ferma.
“Cinque ore. Tra poco dovremo muoverci, nella borsa che ho portato ci sono alcuni vestiti per te e i tuoi oggetti personali... hai tempo per una doccia veloce.”
John fece una smorfia, tentando di alleggerire l’atmosfera.
“Per essere uno che stava pensando intensamente, hai avuto tempo di preparare la nostra fuga, a quanto pare”
Sherlock annui’, tuttavia continuo’ a fissarlo.
John si mosse a disagio. Si accorse con orrore che la sua mano stava leggermente tremando. La chiuse in un pugno, ficcandosi forte le unghie nel palmo.
Doveva darsi una mossa.
“Va bene... saro’ veloce.” Si alzo’ e recupero’ vestiti e il necessario per lavarsi.
“John?”
Lui si blocco’ con la mano sulla maniglia della porta del bagno, sicuro che Sherlock gli avrebbe sbattuto in faccia il fatto che era reduce da un incubo.
“Quindici minuti” gli disse invece.
Lui emise un piccolo sospiro di sollievo e spari’ nell’altra stanza.
***
Tredici minuti dopo, John usci’ dal bagno e si stupi’ di trovare una tazza di caffe’ ad aspettarlo.
“Grazie” mormoro’, cominciando a sorseggiare piano.
Sherlock Holmes si limito’ ad un cenno del capo, per poi tornare a guardare fuori dalla finestra.
John stava male.
Stava cercando di dissimularlo e non dubitava, che se gliel’avesse fatto notare, si sarebbe sentito rispondere che chiunque, in una situazione del genere, si sarebbe sentito male.
Oh, sapeva che tutto quell’essere accusato ingiustamente e la lontananza da Mary lo stavano mettendo a dura prova, ma c’era qualcosa d’altro.
Era chiaramente reduce da un incubo, quando lui era entrato nella stanza poco prima. Un incubo legato alla guerra, senza dubbio... e stava facendo di tutto per mascherarne gli effetti. Gia’ quando l’aveva raggiunto in prigione, aveva notato i segni dello stress, gli stessi che aveva quando si erano incontrarti per la prima volta.
Era davvero messo male, allora, eppure Sherlock aveva subito capito che la loro convivenza avrebbe potuto funzionare, che John poteva reagire.
Quando era venuto a vivere a Baker Street, aveva passato notti intere a vegliarlo per valutare quando potenti e dolorosi fossero i suoi incubi: lo osservava contorcersi tra le lenzuola e quando riteneva che fosse troppo, andava in salotto e suonava forte il violino, con l’intento di svegliarlo e riportarlo alla realta’.
Sorrise lievemente pensando a quante volte John era entrato infuriato dicendogli di smetterla, il brutto sogno allontanato.
“Allora, abbiamo un piano?”
Sherlock si volto’.
Sembrava che la sua voce avesse recuperato un tono piu’ fermo e la mano non stava piu’ tremando. E naturalmente, ora il lato razionale stava prendendo il sopravvento e si stava chiedendo come affrontare la loro attuale situazione.
“Ovviamente. Dobbiamo scoprire dov’e’ il pugnale e chi ha ucciso Dollman, non necessariamente in quest’ordine, anche se le due cose sono evidentemente correlate.”
John si rabbuio’.
“Mark aveva davvero trafugato quell’oggetto, vero?”
Sherlock sbuffo’.
“Per favore, non dirmi che hai ancora dei dubbi!”
“Beh, scusa tanto se io non ho la tua straordinaria capacita’ di decidere in due secondi se uno e’ colpevole o no!”
John richiuse subito la bocca dopo la sua risposta, maledicendosi internamente per il tono furioso che aveva usato.
Attento Watson, calma... non hai nessun bisogno che Sherlock ti faccia notare che sei aggressivo in modo esagerato.
Ma il suo amico si limito’ di nuovo a guardare fuori dalla finestra.
Dopo qualche secondo, riprese la parola.
“Ho fatto qualche ricerca, Dollman viveva un po’ al di fuori delle sue possibilita’, visto lo stipendio dell’esercito, ma niente di eccezionale... evidentemente aveva ricavato una somma non troppo ingente, dalla vendita degli altri manufatti. Credeva che finalmente fosse arrivato il momento di disfarsi del pugnale, l’affare evidentemente doveva concludersi a Londra, visto che doveva partire di nuovo la prossima settimana. Era stato trasferito in Germania. Se ti puo’ consolare, sono convinto che il fatto di averti voluto incontrare sia stata solo una spiacevole coincidenza. Voleva davvero solo rivederti...” si volto’ verso di lui “ti ha offerto da bere, poi ti ha invitato a salire. Voleva chiarire qualcosa, vero? Qualcosa riguardo alla vostra ultima missione insieme.”
John serro’ le labbra.
Il ricordo lo colpi’ all’improvviso.
“Amico, mi dispiace...”
“Lascia stare, Mark, non e’ stata colpa tua, non avresti potuto fare nulla per evitare quello che e’ successo”
“Non so di cosa tu stia parlando, ti ho detto che non ricordo nulla di cio’ che e’ successo” riusci’ a dire.
Sherlock trasali’ solo leggermente alla bugia di John, anche se il suo stupore fu grande.
Gli stava deliberatamente mentendo, lo capiva dalla sua reazione... aveva ricordato qualcosa, ma stava negando.
Non era abituato a questa cosa. Di solito, dei due era lui stesso quello che nascondeva le cose e mentiva, quando necessario; John era sempre stato quello aperto, desideroso di condividere e di parlare, anche solo per fargli notare tutte le sue  mancanze.
Questa chiusura era sintomo della sua attuale difficolta’, invece era assolutamente necessario che John condividesse quante piu’ informazioni possibili e non sapeva come potergli essere d’aiuto, ora: quando l’aveva conosciuto, quello che aveva potuto fare era stato offrirgli un modo per canalizzare il suo stress, per assaporare della sana adrenalina inseguendo i cattivi e buttandosi a capofitto in un caso.
Ma ora era lui stesso, il caso... e c’erano una miriade di ricordi e sensazioni che lo stavano sopraffacendo.
Decise di ignorare la questione, per il momento, cercando di deviare la sua attenzione su qualcosa di positivo che lo rassicurasse.
“Mary ti saluta, a proposito”
Gli occhi del suo amico si riempirono di speranza.
“L’hai sentita? Come sta?”
“Certo che no. Ho disattivato il GPS del mio telefono, ma se dovessi fare una telefonata, saremmo rintracciati nel giro di poco. L’ho incontrata brevemente prima della nostra fuga, quando ti hanno trasferito alla base. Avevo bisogno di qualche informazione sui tuoi ultimi movimenti. Dal tuo guardaroba, naturalmente. Devo ammettere, che nonostante tutto, sta affrontando bene la situazione... nessuna crisi isterica, anche se non ha mancato di farmi notare che la mia presenza era stata ripetutamente richiesta molto prima” fece una smorfia “Sono arrivato nel momento in cui dovevo arrivare, non capisco perche’ nessuno se ne renda conto. L’esercito aveva gia’ deciso di trasferirti, non sarei riuscito a impedirlo ed era piu’ facile farti fuggire una volta che fossi stato nella cella, piuttosto che durante il viaggio verso St. Andrew’s”
John scosse la testa.
“Non mi interessa, ora. Dimmi di lei, cosa ti ha detto? Crede alla mia innocenza, vero?”
“Si... ti crede. Ma non e’ comunque importante, ora!” Sherlock liquido’ l’argomento con un cenno della mano, convinto di aver dato informazioni a sufficienza e si mise a consultare il suo telefonino.  “Vediamo un po’ come muoverci, adesso”
“Sherlock?”
“Credo che  ci convenga prendere un taxi. Poi dovremo muoverci in treno.”
“Sherlock?”
“L’autobus di linea sarebbe piu’ anonimo, ma probabilmente affollato... pericoloso, oltre che noioso e scomodo”
“SHERLOCK!”
L’urlo di John interruppe i suoi ragionamenti. Alzo’ il viso per guardarlo perplesso.
“Non sono sordo” commento’.
“La mia fidanzata, Sherlock. Voglio sapere cosa ti ha detto. Tutto. E come sta”
Lo osservo’ roteare gli occhi, ma continuo’ a riservargli uno sguardo deciso.
Voleva disperatamente sapere di Mary. Aveva bisogno di attaccarsi ad ogni minima cosa che la riguardasse, in questo momento. Lei era l’unica cosa bella e positiva che avesse.
“John e’ l’uomo che io amo.” Comincio’ Sherlock in tono neutro recitando a memoria, dopo aver sbuffato e alzato gli occhi al cielo: all’ultimo momento, aveva deciso di non eliminare le parole di Mary, nel caso fossero servite a tranquillizzare John. “sto per sposarlo e non posso assolutamente pensare che abbia commesso un omicidio. Ho fiducia in lui e so che e’ innocente, nessuno riuscira’ a convincermi del contrario, neanche l’esercito. E nonostante tu, Sherlock Holmes, sia arrivato in ritardo per non so quale dannato motivo, adesso lo aiuterai e lo tirerai fuori dai guai o te la faro’ pagare cara” a questo punto del discorso fece una smorfia, ricordando la minaccia della signorina Morstan “e se stai per andare in quella base militare a fare quello che penso farai, allora digli che lo aspettero’ e che non smettero’ di credere in lui”
Sherlock fini’ il suo resoconto e osservo’ il sorriso di John allargarsi sul suo volto. Come aveva previsto, l’avergli riportato le parole della sua fidanzata lo aveva aiutato a rasserenarsi, anche se aveva dovuto entrare troppo nello specifico, per i suoi gusti.
“Grazie” mormoro’ infine il suo amico.
Sherlock decise che a quel punto, tanto valeva dirgli tutto.
“Poi ha aggiunto qualcosa a proposito del fatto di aver scelto il mare ma non il bikini... suppongo si riferisse alla vostra ridicola luna di miele”
Il sorriso di John si allargo’ ancora di piu’.
“Solo perche’ tu non hai voluto farlo fare a tua moglie, non significa che io non desideri offrire a Mary un meraviglioso viaggio di nozze. Oh cielo, a proposito... Molly cosa pensera’ della nostra fuga?”
“Le ho comunicato le  mie intenzioni prima di venire da te alla base di St. Andrew’s, naturalmente... siamo sposati, persino io so che e’ il genere di cose che si deve condividere tra marito e moglie. Lei comunque ha detto che stavo facendo la cosa giusta, nell’aiutarti” rispose Sherlock con un sorriso, salvo poi irrigidirsi al pensiero di cio’ che John aveva appena detto.
“Un momento...” aggiunse poco dopo “non e’ stato perche’ io non ho voluto... neanche a Molly interessava la luna di miele!”
“Sicuro?”
“Che vorresti dire?”
John scosse la testa: anche in quella situazione assurda, non poteva esimersi dall’esercitare il suo ruolo di consigliere.
“Sherlock” comincio’ piano “cosa ti ho piu’ volte detto a proposito del fatto che ci sono delle sostanziali differenze tra quello che le donne dicono e quello che pensano?”
Lui mosse impercettibilmente la testa e strinse le labbra in modo irritato, poi prese il cellulare dalla tasca e premette un tasto.
“Pronto?”
“Volevi andare in luna di miele?” sbotto’ lui nel microfono.
Molly Hooper Holmes rimase in silenzio per un nanosecondo.
“Sherlock, vuoi usare i quarantacinque secondi che impiegheranno per rintracciare questa telefonata, per discutere della nostra mancata luna di miele?’ chiese con voce stupita.
“Quaranta” la corresse suo marito.
“Che cosa?”
“Quaranta, i secondi che impiegheranno per rintracciare la telefonata sono quaranta. Allora?”
“Io... non lo so. Si, probabilmente sarebbe stato carino”
Carino? E perche’ diavolo non me l’hai detto?”
“Non lo so! Non era cosi importante e sapevo che per te sarebbe stato solo una cosa inutile e noiosa... e non volevo sfidare la sorte”
“Che significa sfidare la sorte?”
“Significa che e’ gia’ stata un’immensa fortuna essere riusciti a sposarci! Sai bene che ho vissuto fino all’ultimo attimo prima del matrimonio pensando che sarebbe successo qualcosa!”
Sherlock si zitti’.
Senti’ Molly fare un respiro profondo.
“Non era importante, sul serio.”
“Io dovevo capirlo” mormoro’ Sherlock. Odiava ammettere di aver sbagliato in quel modo la sua valutazione.
“No. E non dare retta a John... non su questa cosa, comunque. Da allora sei migliorato molto, davvero.”
“Davvero?” chiese lui speranzoso.
“Davvero. E tesoro... ritiro io il tuo cappotto in lavanderia.”
Lui sorrise.
“Grazie”
“Fate attenzione. E di’ a John che lo abbraccio forte” concluse lei.
“Non ci penso proprio” rispose Sherlock, guadagnandosi una risatina.
Rimise il telefono in tasca e torno’ a guardare il suo amico, che lo stava fissando interdetto.
“Un momento” comincio’ infatti “non l’hai chiamata facendoci rintracciare solo per chiarire questa storia della luna di miele, vero?”
Sherlock comincio’ a raccogliere le poche cose in giro per la stanza.
“No. Andiamo, arriveranno presto e noi abbiamo un treno da prendere”
Anche John si attivo’. Una volta in piedi, cerco’ di ignorare il malessere alla gamba.
Non ora, ti prego.
“Un treno? E dove andiamo? Come facciamo con i soldi e i documenti?”
Sherlock apri’ la porta e usci’ sul piazzale.
Un taxi stava gia’ aspettandoli ed entrambi si fiondarono all’interno.
“Alla stazione dei treni, per favore” comunico’ all’autista, che parti’ subito.
“Allora?”
Il tono di John si era fatto impaziente.
“Andiamo a Monaco, Germania. Sara’ necessario prendere un giro un po’ piu’ largo ma dovremmo arrivare entro due giorni. Dobbiamo incontrare l’unica persona che puo’ avere notizie certe sul pugnale. La telefonata a Molly e’ servita per comunicarmi con un codice sicuro dove recuperare documenti e carte di credito falsi, necessari per coprire la nostra fuga.”
John spalanco’ gli occhi.
“Stai scherzando, vero? Hai coinvolto Molly in tutta questa storia? Era a un congresso medico a Edinburgo!”
“Dove e’ ancora, anche se suppongo che presto sara’ raggiunta dall’esercito, dopo questa telefonata... sicuramente il suo telefono era sotto controllo. Non preoccuparti, Mycroft si occupera’ anche di Mary e le mettera’ al sicuro, non permettera’ che siano interrogate piu’ del dovuto, ne’ che siano in qualche modo in pericolo”
John scosse la testa.
“Non capisco, se hanno ascoltato la telefonata capiranno che lei ti ha fornito il necessario per continuare la fuga, potrebbero incriminarla!”
Sherlock sorrise.
“Abbiamo usato un codice particolare, se anche sospettano qualcosa, non potranno provare nulla”
“Un codice particolare?”
L’altro annui’.
“Si, ne abbiamo stabilito qualcuno quando abbiamo cambiato i termini del nostro rapporto... nel caso io avessi avuto bisogno di un supporto come in questo caso. In situazioni di emergenza, lei sa come attivarsi e fornirmi il necessario in diversi punti del paese e attraverso vari canali. Specificatamente, il fatto che mi abbia detto che passera’ a ritirare il mio cappotto significa che ha attivato una cassetta di sicurezza alla stazione dei treni, servendosi della mia personale rete di supporto tra i senzatetto.”
“Stai scherzando, vero?”
Sherlock lo osservo’ stupito.
“No, perche’ dovrei?”
John rimase per un attimo in silenzio. Si, concluse tra se’, questo poteva senz’altro rientrare nella strana gestione del matrimonio fra Molly Hooper e Sherlock Holmes. Tuttavia lo colse un dubbio.
“E io e te non abbiamo nessun codice perche’....”
“... sarebbe inutile. In tutte le mie situazioni di emergenza, tu sei sempre con me. Non ti sarebbe di nessuna utilita’. E Molly ha collaborato molto attivamente nell’elaborazione dei diversi scenari, dando prova di grande acutezza. E’ stato molto produttivo e divertente.”
Il dottor Watson abbasso’ la testa rassegnato.
“Giusto. Quale moglie non sarebbe ansiosa di avere dei codici segreti con suo marito nel caso lui si trovi in fuga dalla giustizia? E’ cosi romantico” concluse infine.
Sherlock fece un altro sorriso.
“Tu trovi?” gli domando’ con orgoglio.
“No”
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


I commenti sono piu’ che graditi, per cui grazie a miserere, Ladymisteria, Bored94 e IrregolarediBakerStreet per le loro recensioni.
 

ACCUSE DAL PASSATO
CAPITOLO 4
 

“Il cappotto, eh?”
Il colonnello Sullivan alzo’ un sopracciglio e dedico’ a Molly la sua migliore occhiata glaciale, quella riservata ai suoi subalterni quando si trovavano in guai seri, per aver disatteso in qualsiasi modo i suoi ordini.
Tuttavia, la donna sostenne il suo sguardo con tranquillita’. Era la moglie di Sherlock Holmes, in tutto il tempo della loro relazione aveva dovuto imparare per lo meno un po’ a tenere testa ad un carattere forte.
E sicuramente, non intendeva dare a quell’uomo neanche un’informazione utile per catturare John e suo marito.
“Si” rispose quindi nel suo miglior tono distaccato “non capisco perche’ lei sia tanto interessato alla conversazione che ho avuto con Sherlock... che tra l’altro era un fatto privato.”
Il colonnello Sullivan strinse gli occhi.
“Siamo a luglio”
Molly annui’, aspettando che lui elaborasse la sua successiva domanda.
Regola fondamentale: non dare mai piu’ informazioni del dovuto, se non ti e’ richiesto di farlo.
“Signora Holmes” comincio’ di nuovo il militare “suo marito ha aiutato un capitano dell’esercito, accusato di vari crimini, a fuggire. Poi le ha telefonato, piu’ che altro...” consulto’ un foglio che aveva in mano “per discutere della vostra mancata luna di miele! Ora, mi creda quando le dico che eravamo totalmente autorizzati ad ascoltare la vostra conversazione... Lei aveva appena saputo che suo marito era diventato un fuggiasco, ma non sembrava affatto spaventata o incuriosita... la sua battuta finale sul cappotto, cosi come l’argomento generale di discussione, sono alquanto sospetti, non crede?”
Molly si limito’ a scrollare le spalle.
“Non se conosce bene mio marito, colonnello. Il suo cappotto e’ una delle cose piu’ preziose che ha. Lo ha smesso a fine giugno e lo rimettera’ a settembre, forse addirittura a fine agosto, se avremo un anticipo di autunno... mi e’ sembrato normale rassicurarlo sul fatto che ne avro’ cura fino a che lui e John non saranno tornati”
Lo sguardo di Sullivan si fece ancora piu’ penetrante.
“Non sono partiti per un viaggio di piacere, hanno organizzato un’evasione” commento’ seccamente.
Molly ebbe uno scatto di orgoglio.
“John e’ accusato ingiustamente, lui e mio marito riusciranno a provare la sua innocenza!”
Il militare attese un attimo e poi, con un movimento fulmineo, le fu vicino fino ad arrivare a sussurrarle  in un orecchio.
“Non le credo, nossignora. Lei gli ha comunicato qualcosa e sa per lo meno come si stanno muovendo... pensa che sia tanto divertente coprire un marito e un amico fuorilegge, ma io ho davvero il potere di farla parlare, con le buone o con le cattive. Le assicuro che non le conviene proprio provocarmi. E si ricordi” il suo tono si fece piu’ basso e minaccioso “io non ho nessun interesse a prendere suo marito vivo, lui non  mi serve”
Molly trattenne il fiato e fu presa da un terrore improvviso, la sicurezza di poco prima evaporata in un colpo. Quell’uomo sembrava disposto a tutto, se avesse trovato Sherlock...
“Colonnello” la voce di Mycroft Holmes arrivo’ nella stanza piena di tensione.
Sullivan si rialzo’ e squadro’ il nuovo arrivato.
“Lei sarebbe? Ho dato ordine di non far entrare nessuno”
Mycroft fece un sorrisetto.
“Sfortunatamente per lei, io sono qualcosa di piu’, di nessuno. Molly cara, tutto bene?” il suo sguardo si poso’ su sua cognata e strinse le labbra, realizzando la sua paura.
Lei riusci’ ad annuire.
Mycroft le fece un cenno con la testa.
“Bene, qui hai finito. Andiamo”
Lei fece un sospiro di sollievo e stava per alzarsi, quando il colonnello la blocco’ mettendole una mano sulla spalla.
“Lei non va da nessuna parte. Non ho ancora finito, ha capito?”
“Lei togliera’ subito le mani di dosso a mia cognata, invece... e poi io e Molly usciremo da qui e non avremo piu’ la sfortuna di incontrarla, spero. Se questo fosse purtroppo necessario, le assicuro che faro’ in modo che sia l’ultima volta che lei vede le mostrine delle sua divisa. Ha capito?” il tono di Mycroft, tranquillo ma glaciale, fece esitare Sullivan, che alla fine ritiro’ la mano.
“Lei sa qualcosa e in questo modo, ostacolate un’indagine dell’esercito” minaccio’ comunque.
Mycroft gli rivolse un’ultima occhiata.
“Non avete prove, solo la registrazione di un’insulsa telefonata tra marito e moglie, in cui mio fratello da’ nuovamente spettacolo della sua inadeguatezza come consorte. Molly?”
Molly si affretto’ a lasciare la sedia e a raggiungere suo cognato, il quale le fece un cenno e la indico’ di uscire dalla porta.
Una volta fuori, lei si appoggio’ un attimo al muro.
“Grazie, quell’uomo e’ veramente una persona orribile. Fa venire i brividi”
Mycroft rinforzo’ la presa sul suo ombrello.
“Quell’uomo fa il suo lavoro, Molly cara. E naturalmente ha ragione nell’affermare che tu sai qualcosa, anche se dubito che sarai cosi gentile da aggiornarmi sui piani di Sherlock. Per lo meno dimmi... in che grosso guaio si e’ cacciato  questa volta?”

***

Il movimento del treno era costante e quasi ipnotico, tuttavia John era risoluto a non addormentarsi, per paura di avere un nuovo incubo. La stanchezza stava davvero per prendere il sopravvento, erano in viaggio da quasi venti ore, prima un aereo verso Marsiglia, poi il treno verso Parigi e ora, dritti verso Monaco.
Appoggio’ stancamente la testa al sedile e chiuse gli occhi, sforzandosi di pensare a qualcosa di positivo che lo tenesse sveglio.
Sforzandosi di non guardare in grembo, dove aveva appoggiato la sua mano che stava tremando.
I sintomi erano tornati, non poteva piu’ negarlo: la gamba pulsava alla ricerca di sollievo e i tremori, erano minimi ma presenti.
Ma quello che piu’ lo stava spaventando, erano i flashback. Qualche ora prima si era recato alla toilette, cercando di non zoppicare e una volta dentro, si era sciacquato il viso alla ricerca di un po’ di sollievo.
Mentre scrutava allo specchio la sua faccia stanca, per un attimo gli era davvero parso di sentire odore di fumo e il sapore acre del sangue in bocca.
Aveva chiuso forte gli occhi, cercando di scacciare tutte quelle sensazioni, continuando a ripetersi che non erano altro che ricordi, che niente di quello che stava avvertendo era reale.
Aveva ripetuto i suoi esercizi di respirazione profonda e finalmente, aveva trovato la forza di uscire dal bagno.
Quando si era seduto di nuovo al suo posto, Sherlock si era limitato a fissarlo a lungo ma lui aveva evitato di incontrare il suo sguardo, tenendo caparbiamente gli occhi chiusi.
Doveva combattere le brutte sensazioni con qualcosa di bello.
Con un sorriso, ricordo’ che era esattamente su un treno che aveva incontrato Mary la prima volta.
 
Nove mesi prima
“Non vedo l’ora di essere a casa”
John stiracchia le gambe oltre il sedile del treno e pensa contento, che tra due ore circa saranno di nuovo a Baker Street. Il caso fuori citta’ li ha impegnati piu’ di quanto Sherlock stesso aveva previsto soprattutto, a quanto dice lui, a causa dell’inefficienza delle locali forze di polizia. Cosa che naturalmente non ha mancato di far notare prima di partire. A voce alta.
John scuote la testa e osserva il suo compagno di viaggio, intento a digitare sulla tastiera del telefonino: vede le sue labbra incurvarsi in un lieve sorriso, e fare una smorfia divertita nel leggere un messaggio in arrivo. Evidentemente sta comunicando con Molly. Lui non se ne rende davvero conto, ma ha un’espressione tutta particolare, quando le manda o riceve sms da lei. Ha persino personalizzato la sua suoneria per le sue chiamate, con la canzone che hanno ballato al loro matrimonio.
Si, Sherlock Holmes e’ davvero cambiato.
“Non capisco tutta questa frenesia di tornare a casa. Attualmente, non hai nessuna prospettiva di rapporto di coppia che ti possa condurre a una serata piacevole” gli risponde lui, non alzando gli occhi dal telefonino.
Ecco, forse cambiato e’ una parola eccessiva.
“Grazie mille per avermi ricordato che la mia vita affettiva ha subito uno stop di recente” gli ribatte, non troppo offeso, per la verita’.
E’ uscito con Mary la damigella per due settimane, dopo il matrimonio, ma poi lei ha deciso di non trasferirsi a Londra e si e’ rimessa con il professore di inglese.
Sherlock gliel’ha detto prima ancora che lo facesse lei.
Non e’ stata una gran perdita, troppo poco tempo per affezionarsi sul serio.
Nonostante sia un romantico, John non crede ai colpi di fulmine. Per lo meno, non crede che possano capitare a lui.
Torna a concentrarsi su Sherlock, che ha rimesso il cellulare in tasca.
“Sono solo contento di tornare a casa e godermi una serata tranquilla. Aggiornero’ il blog domani. Ordiniamo cinese?”
Sherlock fa una smorfia.
“Molly vuole uscire, dice che vuole fare qualcosa di nuovo, una sorpresa...suppongo che per una volta nella vita io possa anche provare a salire sul London Eye, giusto per accontentarla.”
John realizza che giorno e’ oggi.
“Oh certo, e’ naturale” commenta.
Sherlock gli lancia uno sguardo perplesso, ma prima che lui possa ricordargli che oggi e’ un mese che e’ sposato con Molly, il treno ha un sobbalzo lungo una curva e sente un forte rumore dietro di lui.
Seguito da un’imprecazione.
Si volta lungo il corridoio in tempo per cogliere una figura femminile china per terra, nel tentativo di recuperare il contenuto di una borsa, che a quanto pare era davvero stracolma.
Ci sono oggetti sparsi dappertutto.
John si alza.
“Lasci che l’aiuti” dice alla donna inginocchiata, chinandosi nel frattempo per recuperare una spazzola da sotto un sedile.
Contemporaneamente, lei si volta e finiscono per darsi una zuccata.
“Oh, mi scusi...” mormora la ragazza, portandosi una mano alla fronte.
John sorride.
“Non si preoccupi, ho subito di peggio”
Lei toglie la mano dal viso e lo guarda sorridendo.
E improvvisamente, John trattiene il fiato e si ritrova a fissare un magnifico paio di occhi verdi.
Si rende conto che si e’ soffermato un po’ troppo, perche’ lei fa una risatina imbarazzata, anche se non smette di fissarlo a sua volta.
Poi si sistema una ciocca dei capelli biondi dietro l’orecchio.
“Ehm... ecco io dovrei raccogliere le mie cose”
John si riscuote.
“Le sue cose... Ah, si certo! Le sue cose, giusto. Ok, dividiamoci gli spazi, cosi eviteremo altre collisioni. Io cerco sotto questi sedili, lei verso gli altri”
Lei annuisce con un sorriso e per qualche minuto recuperano tutto il contenuto della sua borsa.
“Beh, non pensavo che qualcuno potesse avere cosi tante cose in un’unica borsa” commenta John, quando hanno finito.
Dentro di se’, si da’ dello stupido per questa battuta inutile, ma vuole disperatamente continuare a parlare con questa donna, anche se ora probabilmente lei si offendera’ per la sua osservazione e si rimettera’ a sedere. Forse cambiera’ addirittura vagone.
Lei invece gli sorride di nuovo.
Ed e’ il sorriso piu’ bello che lui abbia mai visto.
“Si, e’ vero... e le confidero’ un segreto. Meta’ delle cose non mi servono proprio!” gli strizza l’occhio e lui si mette a ridere.
“John Watson” le tende la mano e lei gliela stringe.
“Mary Morstan, tanto piacere. E grazie dell’aiuto. Vuole sedersi? A meno che...” e il suo tono si fa piu’ indeciso “ecco... non preferisca tornare dal suo amico. Vi ho visto salire insieme”
John le sta ancora tenendo la mano.
“Il mio amico? Oh si, il mio amico... cioe’ no, lui non e’ il mio amico, e’ il mio compagno. No, non il mio compagno nel senso di compagno... lavoriamo e viviamo insieme. Con sua moglie” si affretta ad aggiungere John, rendendosi conto che detta cosi sembra un po’ una cosa strana. Fa un respiro profondo. “E’ un po’ complicato.” conclude infine.
Mary lo sta guardando con curiosita’ e un’espressione divertita.
Cielo, era una vita che non era cosi impacciato con una ragazza, probabilmente dalle scuole medie.
Adesso lei si voltera’ e lo congedera’, con gentilezza ma in modo fermo.
“Sembra interessante” gli dice invece “quindi allora ti siedi?”
John sorride sollevato.
“Ma certo”.


“Arriveremo a Monaco tra due ore”
La voce di Sherlock lo riporto’ bruscamente alla realta’.
Non era con Mary, adesso. Era su un treno in fuga per cercare di riabilitare il suo nome ed evitare la corte marziale.
Aveva disertato.
Sul suo viso calo’ un’ombra di preoccupazione che Sherlock colse subito, ma decise di non commentare.
Cosi come prima, aveva scelto di non commentare l’evidente protrarsi dei sintomi da stress di John.
Era il momento di concentrarsi sui fatti e su cio’ che dovevano scoprire, non sarebbe stato di nessun aiuto indugiare nelle recriminazioni e nelle preoccupazioni.
Per questo, stava anche evitando accuratamente di pensare a come Molly se la stesse cavando.
A quanto fosse preoccupata e forse nei guai a causa sua.
Assunse un’espressione distaccata.
“A Monaco, incontreremo una persona che ci aiutera’ ad avere qualche dettaglio in piu’ rispetto all’offerta del pugnale”
John sembro’ cogliere con sollievo l’idea di parlare di qualcosa di concreto.
“Chi e’ questa persona?”
“Un tizio che ho conosciuto qualche anno fa... diciamo che gli sono stato utile e mi deve qualche favore. E’ come dire... un esperto del settore”
John fece una smorfia, ricordando che il colonnello Sullivan l’aveva definito esattamente cosi.
“Vuoi dire che e’ un ricettatore?” chiese con voce sospettosa. Perfetto, un altro piccolo tassello di criminalita’ nella sua vita.
Sherlock alzo’ le spalle.
“Lui ama definirsi un intenditore di opere d’arte e simili, per la verita’”
John annui’ rassegnato.
“Ma certo.”
I due rimasero in silenzio ancora per un po’, poi John decise che tanto valeva affrontare anche un altro discorso. Magari, in questo modo, avrebbe evitato che Sherlock lo tirasse in ballo in un momento meno opportuno.
E poi, era anche un po’ preoccupato fin da quando ne avevano parlato alla prigione.
“Sherlock?”
“Che c’e’?”
John fece un respiro profondo.
“Che intendevi dire quando mi hai detto che non sei sicuro di volere un bambino?”
L’altro alzo’ un sopracciglio.
“Sul serio, John. Dobbiamo parlarne ora?”
“Devo ricordarti, che me l’hai detto quando stavi per farmi fuggire di galera? Che e’ il motivo per cui non arrivavi piu’ a togliermi dai guai?” ribatte’ lui.
Per un attimo, penso’ che Sherlock non avrebbe dato seguito al discorso, poi invece parlo’.
“Ci ho pensato un po’, ultimamente”
Un bel po’, a quanto pare penso’ John annuendo.
“Soprattutto da quando Molly e’ andata a quel congresso e tu ti sei sentito solo” gli disse, guadagnandosi un’altra alzata di sopracciglio.
“Suvvia, Sherlock... non penserai che io abbia creduto veramente a quella storia che non trovavi la cassetta del pronto soccorso a casa tua, vero? Volevi solo venire a fare due chiacchiere. E’ normale, sentirsi soli quando la persona con cui viviamo abitualmente e’ via”
L’altro si limito’ a squadrarlo.
“Ok, va bene... non solo. Diciamo, disorientato? Ormai ti sei abituato alla sua presenza a casa, avete i vostri ritmi e sono sicuro che ti mancava... cosi hai avuto piu’ tempo per pensare. E avevi bisogno di parlare.”
Sherlock scosse la testa.
“Avevo bisogno di punti di sutura”
“Come se non te li fossi mai messo da solo, in passato... senti, so che credi che il bambino cambiera’ molte dinamiche e fai bene a pensarlo, perche’ e’ la verita’. Hai paura di perdere tutte quelle sicurezze che ci sono nel rapporto tra te e Molly...”
“Non e’ questo” rispose Sherlock evitando il suo sguardo.
John ebbe un dubbio improvviso e senti’ montare dentro di se’ una grossa irritazione.
Stupido egoista.
 “Ti prego... dimmi che la tua paura piu’ grande non e’ quella di non avere accesso al laboratorio mentre lei sara’ in maternita’!”
Sherlock si giro’ di scatto a guardarlo, ma prima che potesse rispondergli, il treno emise un forte stridio di freni e si fermo’.
John dovette aggrapparsi con forza al sedile per non cadere.
“Che succede?”
“Qualcuno ha tirato il freno di emergenza, credo che ci convenga scendere velocemente, presto arriveranno a perquisire i vagoni”
“Che cosa?”
“I documenti falsi non potevano durare all’infinito. Ce ne procureremo altri a Monaco, ora andiamo”
Si fiondarono entrambi verso l’uscita.

***

“Questo posto e’ bellissimo” Mary Morstan commento’ stupita la stanza d’albergo in cui lei e Molly erano state condotte.
“Si” concordo’ la sua compagna, appoggiando la borsa su uno dei due letti “anche se avrei preferito tornare a Baker Street”
Mary fece un sospiro.
“Mi spiace... per tutto il viaggio non ho fatto che lamentarmi di quanto io sia preoccupata per John e non ho tenuto conto, che questa storia e’ difficile anche per te”
Molly scosse la testa e le sorrise.
“Smettila! Sono fiera che Sherlock stia aiutando John, sono sicura che non vorrebbe essere da nessun’altra parte, in questo momento”
L’altra le sorrise di rimando.
“Sai, penso proprio che sia vero”.
Si sedette sul letto e lo accarezzo’ distrattamente.
“Mycroft e’ stato molto gentile a portarci qui... anche se devo ammettere che tuo cognato e’ alquanto particolare”
Molly scoppio’ a ridere.
“Particolare... lo aggiungero’ alle definizioni date a Mycroft. Di solito Sherlock usa aggettivi piu’ coloriti”
Mary fu presa dalla curiosita’.
“Non ho ben capito in che rapporti sono... John mi ha riferito di alcune conversazioni epocali con insulti e scontri feroci, eppure lui si e’ preoccupato di metterci al sicuro e ti ha tolto dalle grinfie di quell’odioso colonnello!”
Molly si sdraio’ sul letto, le mani dietro la nuca.
“Sono molto diversi, eppure molto simili, anche se a loro non piace ammetterlo.
Mycroft si sente responsabile per Sherlock, anche se non lascia che questa cosa interferisca con il suo lavoro. Per questo ha aiutato noi ma non fara’ nulla per aiutare lui, per ora. Lascera’ che se la cavino da soli.”
Mary aggrotto’ la fronte.
“Anche se dovessero essere catturati e finire in prigione?”
Molly rimase in silenzio per un attimo.
“Non lo so” disse infine “mi piace pensare che, in casi estremi, lui lo aiuterebbe, ma non sono sicura... non si puo’ mai dire, con la famiglia Holmes. Sicuramente, i loro rapporti sono un po’ piu’ civili, dopo la sparatoria... questo non significa che vadano d’amore e d’accordo, ma e’ pur sempre un inizio” concluse con un sorriso.
“Non desideri mai qualcosa di piu’... normale?” la voce di Mary usci’ un po’ esitante, non voleva che l’altra interpretasse male le sue parole ma quando si erano conosciute, era rimasta davvero stupita che una donna solare e semplice come Molly, potesse essere sposata a un uomo come Sherlock Holmes.
O che un uomo come Sherlock Holmes potesse in effetti essere sposato.
“No” rispose subito lei “ho fatto tanta fatica per avere cio’ che ho oggi e non vorrei che Sherlock fosse diverso in niente... si e’ vero, a volte e’ davvero impossibile e alcuni suoi atteggiamenti mi fanno impazzire, ma lui e’ cosi. E non avrebbe voluto cio’ che abbiamo, se non pensasse che ne vale veramente la pena. La sua sicurezza rispetto al nostro rapporto e’ confortante e lui... e’ diverso quando siamo soli. Un pochino, non del tutto, ma e’ abbastanza.”
“Ma la vita che fa...” Era vero, John era con lui la maggior parte delle volte, ma Mary sapeva che aveva ben presente quali fossero le sue priorita’.
Molly scosse la testa.
“E’ cio’ che ama fare, cio’ che lo rende quello che e’. E so che non  mi dice tutto... lui e’ convinto che tacendomi alcune cose io non mi preoccupero’. Oppure che proteggera’ i miei sentimenti... ma io so.
So che il suo lavoro e’ pericoloso e a volte si ficca davvero nei guai.
So che odia fare la spesa e di certo, farmi compagnia mentre mangio e’ poco utile ai suoi processi mentali.
So che tentare di tenere in ordine i suoi esperimenti lo mette a dura prova.
So che l’ultimo film che mi ha portato a vedere lo ha profondamente annoiato, eppure non ha quasi proferito parola durante la proiezione.
So che adattarsi a vivere insieme e’ stato difficile e che a volte fa fatica a capire le mie richieste, o quello che mi fa piacere.
Eppure si impegna, per farmi stare bene.”
Mary ridacchio’.
“E un po’ come quando gli faccio il the e a lui non piace, ma non me lo dice”
Anche Molly ridacchio’.
“Stai pur sicura che a John l’ha fatto notare, ma ti assicuro che non ha mai avuto questo tatto con nessun’altra!”
Mary storse il naso.
“Oh si... le infinite conquiste del Dottor Watson! Bhe, quelle possiamo ritenerle assolutamente concluse, non credi? Io e Sherlock siamo i grandi amori della sua vita... non necessariamente sempre in quest’ordine, ma posso adattarmi”
“Sono sicura di si”

***

“Sono sicuro di no”
John Watson si appoggio’ pesantemente al muro di un edificio e cerco’ di recuperare fiato. Non aveva piu’ senso nascondere che la gamba gli stava rendendo la vita difficile.
Erano riusciti ad arrivare a Monaco dopo un viaggio allucinante su un autobus carico di turisti. Sherlock stava insistendo nel dire che era la cosa piu’ patetica che avessero mai fatto insieme.
Il suo compagno aveva almeno altre cinque idee di loro pregresse esperienze che giudicava senz’altro piu’ orribili, strane o disdicevoli.
“Per esempio, c’e’ stata quella volta che”
Sherlock lo interruppe alzando la mano.
“Non importa, e’ chiaro che io e te abbiamo un diverso metro di giudizio. Siamo arrivati, comunque”
John rivolse lo sguardo verso l’edificio che gli veniva indicato.
“Una birreria?”
E che altro, a Monaco?
“Esatto. Andiamo”
Si avvio’ con passo deciso verso una porta, che evidentemente dava accesso agli appartamenti sopra il locale e busso’.
John si affretto’ a raggiungerlo.
Un tizio grande e grosso apri’, scrutando i due con attenzione.
“Guten Abend! Dica a Klaus che Sherlock Holmes desidera parlargli. Subito”
Un secondo dopo, aveva una pistola puntata dritta in fronte.
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


Ehm... sono qui! E’ passato un po’, mi sono persa in tutt’altro ma poi e’ bastato rimettermi al computer e il capitolo e’ arrivato.
Grazie a Bored94, EbeSposaDiErcole, IrregolarediBakerStreet, Ladymisteria e miserere (rigorosamente in ordine alfabetico!) per le loro recensioni, che sono una vera iniezione di fiducia e soddisfazione. Spero che il capitolo vi piaccia!
 

ACCUSE DAL PASSATO
CAPITOLO 5
 

 
Il colonnello Sullivan punta la pistola dritta in fronte a Sherlock.
“Lo sapevo che vi avrei trovati” mormora con tono cattivo, un ghigno soddisfatto sul viso.
John osserva a occhi spalancati la scena, poi si accorge che qualcuno lo ha raggiunto e gli sta mettendo le manette ai polsi.
“No...”
Sullivan continua a sorridere in modo inquietante.
“Il capitano Watson torna con me... lei signor Holmes, invece, non mi serve affatto”
Improvvisamente i suoi occhi si riducono a due fessure e preme il grilletto.

“NOOOO!”
Molly si rizzo’ a sedere sul letto, tentando di contenere l’urlo in gola, i pugni chiusi sulle labbra. Le ci vollero parecchi minuti per calmare il respiro e smettere di tremare.
Era stato un incubo bruttissimo e molto realistico, continuava a passarle davanti agli occhi la scena in cui il militare sparava a Sherlock.
Si rimise sdraiata e rannicchio’ le ginocchia al petto.
Aveva mentito a Mary.
A volte, lei davvero desiderava una vita piu’ normale, senza la costante preoccupazione di perdere suo marito, anche se sapeva benissimo che lui non poteva essere diverso da cio’ che era.
Amava terribilmente la sua intelligenza, le sua abilita’ e quanto faceva per rendere il mondo un posto migliore, anche se lui avrebbe sempre sottolineato di non fare il suo lavoro per motivi umanitari... ma c’erano volte, in cui si trovava a domandarsi come sarebbe stato averlo in modo diverso, in modo sicuro.
Scosse piano la testa, cercando di ricacciare indietro le lacrime.
Era una sciocca, non esisteva altro modo e lei aveva accettato questa verita’ molto tempo prima, aveva accettato di legare la sua vita a quella di lui e non voleva neanche prendere in considerazione l’idea di tornare indietro.
Non poteva.
Oh, Sherlock...
 
***

“Sherlock! Sherlock Holmes!”
John osservo’ il suo amico fare un mezzo sorriso fra le mani alzate sulla testa, lo sguardo diretto oltre la soglia dove incombeva l’uomo che gli stava ancora puntando addosso un’arma.
“Klaus!”
Un gigante biondo alto quasi due metri fece la sua apparizione, un’espressione divertita sul volto.
“Heinrich, idiota che non sei altro, abbassa quella pistola. Il signore e’ un amico... scusalo, Sherlock, e’ nuovo. E’ cosi difficile trovare del personale intelligente, al giorno d’oggi”
Il tizio, Heinrich a quanto pareva, borbotto’ qualcosa di incomprensibile in tedesco e si fece da parte.
John emise un sospiro di sollievo.
Non erano in pericolo imminente, per lo meno. Per un attimo, si rese conto con orrore che alla vista della pistola era rimasto bloccato, incapace di reagire.
Se le cose fossero andate in  modo diverso, se Sherlock avesse avuto bisogno di lui, non ce l’avrebbe fatta, sarebbe rimasto semplicemente a guardarlo morire.
Il pensiero lo paralizzo’. Strinse i pugni con forza e cerco’ di riguadagnare la calma.
No, non e’ vero. Avrei reagito, sono in grado di farlo.
“Possiamo entrare, Klaus? La mia situazione attuale non e’ delle migliori, preferirei non rimanere troppo sulla strada” commento’ Sherlock abbassando le braccia e osservando brevemente John, al quale non sfuggi’ lo sguardo.
Si stava ponendo i suoi stessi dubbi sulla sua capacita’ di essergli d’aiuto e pronto all’azione?
John ritorno’ a stringere i pugni, questa volta in un moto di rabbia, mentre il gigante, facendo un sorriso, li invitava ad entrare.
 “Ma certo! Venite pure... ho una nuova marca di birra che e’ la fine del mondo”

***

“Questo edificio non va bene, troppe finestre e troppo esposto, che ne dici Mark?”
Il capitano John Watson scuote la testa dopo aver pronunciato questa frase e torna a fissare le stanze in cui si trova, cercando di individuare comunque qualcosa di positivo che gli permetta di allestire l’improvvisato ospedale da campo. Hanno un disperato bisogno di riunire i feriti e curarli al meglio in attesa dei rinforzi, ma questo posto non va bene, non puo’ rischiare la vita dei suoi commilitoni e dei civili. Dovranno cercare qualcosa d’altro, in fretta.
Non riceve nessuna risposta.
“Mark?”
Si volta per cercare il capitano Dollman, per avere conferma della sua impressione sul luogo. E’ per questo che stanno perlustrando l’edificio insieme.
Non lo trova.
Improvvisamente, sente una rumore soffocato provenire dalla stanza vicina  e imbraccia il fucile, avvicinandosi alla porta rasentando il  muro. Si affaccia di scatto puntando l’arma e si blocca  alla vista di una bambina, che lo guarda a sua volta con gli occhi spaventati per la paura. Stringe al petto una bambola sporca e malconcia.
Prima che John possa muoversi ulteriormente, la piccola scappa via e gli ci vuole qualche attimo per riprendersi dallo shock.
Avrebbe potuto spararle.
Fuori, rimbalza piano il volume di una radio che trasmette musica locale.

“Yossuf, abbassa quella musica!”
John si riscosse dal ricordo che l’aveva appena colpito: a scatenarlo era stata la musica trasmessa nella birreria di Klaus, che ora stava  urlando a uno dei suoi camerieri, facendolo affrettare ad abbassare il volume. Il locale era ancora chiuso e il ragazzo stava facendo le pulizie, evidentemente non si aspettava che il suo capo venisse a bere con degli amici e stava ascoltando musica del suo paese, dello stesso tipo che John ricordava di aver sentito piu’ volte in Afghanistan.
Strinse con forza le mani sul suo boccale di birra e poi ne bevve un sorso generoso.
Non avrebbe dovuto, l’ultima volta che aveva toccato dell’alcol era finito in guai grossi, ma per ora cio’ che lo spaventava di piu’ non era rappresentato da quello che era successo, ma da quello che stava provando e bere lo avrebbe aiutato ad affrontarlo.
Osservo’ Sherlock, intento a giocherellare con la sua fede nuziale.
Non aveva toccato un goccio del grosso boccale che Klaus aveva insistito per dargli. E non l’aveva piu’ guardato.
Klaus  invece era alla fine del suo secondo giro e aveva bevuto birra come se fosse acqua.
“Ah... buona, buonissima. E’ un nuovo produttore locale che ho scoperto per caso... il ragazzo ci sa fare, date retta a me!”
Il tedesco appoggio’ il suo boccale e si asciugo’ la bocca con la manica, aspettando che i suoi ospiti rispondessero al suo commento.
“Non siamo venuti a provare la birra e penso tu lo sappia bene” commento’ piano Sherlock, alzando finalmente gli occhi.
Klaus non disse nulla per qualche secondo, poi fece il suo gigantesco sorriso.
“Si... ho sentito qualche cosa a proposito. Le notizie viaggiano in fretta, soprattutto quando riguardano te, Sherlock, anche se devo dire, che sembra essere il tuo amico qui, quello che piu’ nei guai!” sposto’ lo sguardo su John, che si mosse a disagio.
“Ecco, io... non so cosa le abbiano detto o raccontato, ma sappia che”
Klaus sbatte’ una mano sul tavolo.
“Non ha importanza!” tuono’ “se il signor Holmes ritiene che sia giusto aiutarla, io la aiuto... non ha davvero idea di quale grosso pasticcio mi abbia risolto in passato quest’uomo!”
Per un attimo, John considero’ davvero l’idea di insistere nel proclamare la sua innocenza, ma il roteare di occhi di Sherlock lo dissuase, non avevano tempo da perdere.
“Grazie” mormoro’ quindi, prendendo un altro sorso di birra.
“Dunque?” gli occhi di Klaus brillavano per la curiosita’.
“Stiamo cercando un pugnale tribale, afghano, sottratto dal paese circa quattro anni fa e recentemente messo sul mercato. Dobbiamo scoprire  chi e’ interessato all’acquisto e da chi e’ stato contattato negli ultimi due giorni. Ci aiutera’ a ritrovarlo e a scoprire un assassino. E’ abbastanza presumibile che fosse stato piazzato per essere venduto esclusivamente sul mercato tedesco” disse Sherlock.
John alzo’ gli occhi di scatto dal suo boccale.
“E questo quando l’hai scoperto?”
Sherlock alzo’ le spalle.
“Dollman non poteva rischiare di venderlo in Gran Bretagna, chiunque lo abbia ucciso gli stava addosso e lui doveva essere trasferito in Germania tra poco, e’ chiaro che avrebbe preferito concludere l’affare qui, dopo aver recuperato il pugnale”
“Recuperato? Che intendi dire, con recuperato?”
“Non l’aveva con se’, altrimenti non ti avrebbe invitato nella sua stanza, dopotutto eravate amici e lui voleva solo parlarti, anche se tu non te lo ricordi” a John non sfuggi’ il suo tono ironico, Sherlock sapeva bene che gli aveva  mentitoma naturalmente il manufatto e’ ancora oltre Manica. L’avrebbe preso poco prima di partire, tenuto nascosto fino all’ultimo momento.”
“Io non...”
Sherlock ingnoro’ il tentativo di John di spiegare il suo punto di vista.
“E se chi l’ha ucciso avesse trovato il pugnale, a quest’ora l’avrebbe gia’ venduto e Klaus ne avrebbe notizia, dico bene? Tuttavia puo’ darsi che abbia ricontattato il possibile acquirente, promettendogli di farglielo avere entro breve non appena ne sara’ venuto in possesso”
Klaus annui’.
“Faro’ un giro dei miei contatti, vedo cosa posso scoprire... non e’ il genere di merce che tratto ma hai fatto bene a venire da me, sai che se c’e’ qualcuno che puo’ scoprire qualcosa quello sono io. Ho solo bisogno di qualche ora, nel frattempo vi do una stanza, avete l’aria esausta e sospetto, che il vostro viaggio non sia stato affatto tranquillo. Saro’ di ritorno entro breve con le informazioni che cercate”
John vide Sherlock fare un gesto di impazienza, ma poi trattenersi dall’esternare il suo disappunto. Sapeva benissimo che non avrebbe dormito, ma lui aveva davvero bisogno di qualche ora di sonno e la prospettiva di un vero letto era piacevole. Era cosi stanco che era praticamente sicuro non avrebbe sognato.
Tuttavia, prima doveva chiarire una cosa.
“Perche’ non hai condiviso con me le tue idee?” chiese aggressivo a Sherlock, incapace di nascondere il suo fastidio per non essere stato messo al corrente dei ragionamenti del consulente investigativo.
“Perche’ in questo momento non riesci a pensare lucidamente, non mi saresti stato di nessun aiuto” gli rispose lui con tono freddo, voltandosi per seguire Klaus.
Tutto quello a cui John riusci’ a pensare, era che Sherlock aveva davvero ragione.
 
***

“Novita’?”
Il militare seduto davanti al computer si tese al suono della voce dietro di lui.
“No signore. Dopo averli quasi intercettati sul treno, abbiamo di nuovo perso le tracce. Potrebbero essere ovunque” rispose, tenendo gli occhi fissi sullo schermo.
Il colonnello Sullivan trattenne un’imprecazione, Holmes e Watson gli erano sfuggiti, ma non sarebbero riusciti a farlo per sempre. Era solo questione di pazienza, e prima o poi avrebbero fatto un passo falso e li avrebbero catturati.
Ad ogni costo.

***

Come aveva previsto, e con suo grande sollievo, John non sogno’: crollo’ sul letto ancora vestito e dopo qualche secondo stava gia’ dormendo, il fisico troppo provato da tutte le emozioni e gli sforzi di quei giorni.
Non appena si risveglio’, incontro’ lo sguardo di Sherlock seduto in poltrona, gli occhi fissi su di lui.
Si mosse a disagio.
“Sai Sherlock, ancora mi meraviglio a volte di quanto tu metta alla prova il tuo fisico... dovevi per lo meno cercare di riposare” gli disse, cercando di assumere il suo miglior tono professionale e di alleggerire l’atmosfera.
Non era ancora pronto per discutere, ma a quanto pareva il suo compagno si.
“Di cosa avete parlato tu e Dollman quella sera?” la domanda arrivo’ diretta e comunque non troppo improvvisa, in fondo erano giorni che John aspettava quella conversazione.
Chiuse per un attimo gli occhi, poi li riapri’ e guardo’ direttamente il suo amico.
“Te l’ho detto, non ricordo”
“Balle” esclamo’ Sherlock, alzandosi in piedi e raggiungendo la finestra.
Nonostante tutto, John fece un mezzo sorriso. Ci aveva provato, ma gia’ sapeva che lui non gli avrebbe creduto... se la situazione fosse stata diversa, sarebbe stato solo uno dei loro tanti scontri/confronti sul loro modo di vedere le cose e analizzare i fatti. Ma questa volta non era possibile. Questa volta, era una questione troppo personale.
“Che cosa vuoi da me, Sherlock? Cosa vuoi che ti dica?”
La miglior difesa e’ l’attacco.
L’altro si volto’, sul volto un’espressione indecifrabile.
“La verita’, John. Non ricordi come Dollman e’ morto ne’ perche’ la tua pistola abbia sparato, ma sai di cosa stavate parlando, te lo sei ricordato e non provare di nuovo a mentirmi, per favore” pronuncio’ le ultime parole in tono ironico.
Il dottor Watson rimase a guardarlo per un lungo istante, prima di fare un sospiro.
“Non ricordo” gli disse di nuovo, uno sguardo di sfida negli occhi.
Non e’ importante... non per questo caso, per lo meno.
Sherlock serro’ le labbra, poi con un movimento improvviso gli fu vicino.
“Non mi interessa sapere cio’ che e’ successo, John... fa parte del tuo assurdo passato e non mi riguarda, ma se vogliamo tirarti fuori da questa situazione ho bisogno di avere tutto quello che riesci a darmi, tutto quello che ricordi Dollman abbia detto o abbia fatto, anche se questo significa rivelare qualche sporco segreto della vostra misera guerra. Io non ti devo giudicare, ti devo salvare!”
John rimase a fissarlo stupito per qualche secondo, sentendo crescere la rabbia momento dopo momento.
Misera guerra? E’ questo che pensi sia stata? E’ questo che pensi io abbia fatto laggiu’?” strinse i pugni con forza, con la voglia improvvisa di colpirlo, di colpire qualsiasi cosa pur di sfogarsi.
Incredibilmente, fu Sherlock quello che distolse lo sguardo per primo.
“Ti vedo, John... mentre la tua mano trema, ti trascini la gamba e sbatti gli occhi tentando di scacciare ricordi dolorosi... ti ho sentito in questi anni mormorare nel sonno e lamentarti”
“Perche’ e’ stata dura, piu’ di quanto tu riesca ad immaginare...” mormoro’ John, passandosi una mano tra i capelli.
“E’ finita. Non ti serve a nulla lasciarti di nuovo trascinare nei tuoi incubi e nei tuoi malesseri” sentenzio’ Sherlock, riprendendo il suo abituale tono neutro “ora dobbiamo concentrarci sul tuo caso”
John scosse il capo.
Non capisci... non sara’ mai finita. Io non saro’ mai in grado di eliminare dalla mia mente le cose solo perche’ lo voglio, come fai tu.
Il flashback lo colpi’ all’improvviso e fu piu’ potente di tutte le altre volte.
Il ragazzino sta li e lo saluta alzando piano la mano.
Da qualche parte, la radio sta ancora suonando un pezzo allegro e ritmato.
Il sangue sulle sue mani, mentre cerca di fermare l’emorraggia.
La bambola per terra.
“John?”
Sherlock lo afferro’ per le spalle e lo scosse, facendolo tornare di botto alla realta’.
“Io... io non posso” mormoro’ piano “non voglio parlarne, non ha importanza”
“Tutto ha importanza! Non capisci, Dollman ha sicuramente avuto un complice, dobbiamo capire in che momento ha preso il pugnale, come ha fatto e chi lo ha aiutato e poi lo ha ucciso!”
John non replico’ e questo fece aumentare la sua frustrazione, lui doveva reagire... doveva combattere per la sua innocenza. Doveva aiutarlo ad aiutarlo.
“Maledizione John!” il tono della voce di Sherlock tradi’ tutto la sua rabbia.
Si passo’ frustrato una mano nei capelli e si diresse di nuovo verso la finestra. Avevano bisogno di un approccio piu’ razionale, ma John non riusciva ad andare oltre il suo stato d’animo.
“Pensi che sia stato io?”
La domanda arrivo’ come una doccia fredda.
Si volto’ di scatto verso il dottore.
“Che cosa?”
John si strinse le spalle, uno sguardo duro sul volto. Improvvisamente, aveva solo voglia di litigare e provocarlo.
“L’hai detto prima, hai detto che non devi giudicarmi ma solo aiutarmi... lo farai anche se pensi che io sia colpevole? Anche se non ti fidi piu’ di me?
“Che diavolo stai dicendo?”
“Non mi dici le cose, mi trascini qua e la senza spiegarmi nulla... hai visto quanto sto male, l’hai detto tu stesso che non ti sono utile. Sono solo un altro caso che devi risolvere, ora. Forse lo sono, forse sono davvero colpevole.”
Sherlock sussulto’.
“Smettila. Tu non hai preso quel pugnale. Tu non hai ucciso Dollman” replico’ infine con tono convinto. Sapeva cosa stava cercando di fare John, voleva arrivare allo scontro ma ora non potevano permetterselo, era necessario analizzare i fatti.
“Come lo sai?” John interruppe i suoi pensieri con un tono ancora piu’ aggressivo “hai detto che non hai abbastanza elementi, che hai bisogno che io ti racconti... come sai che che non ho fatto nulla di cio’ di cui sono accusato?” fece una risata amara e si alzo’ dal letto, cominciando a camminare nervosamente per la stanza.
 “Il grande Sherlock Holmes... che deduce tutto, che risolve tutto, cosi sicuro dell’innocenza del suo amico. Tu non sai niente, niente... non sai cosa significa avere la responsabilita’ della vita di tante persone e fallire, fallire miseramente... lasciare che muoiano perche’ hai sbagliato, perche’ hai valutato male una situazione. TU NON SAI NULLA!”
“Tu non hai preso il pugnale, non hai ucciso Dollman” ripete’ Sherlock “io lo so e posso aiutarti, ma ti devi fidare.”
“Fidarmi? Del tuo giudizio e delle tue capacita’? Di un uomo che non riesce neanche a trovare il coraggio di dire a sua moglie che non vuole un figlio, perche’ stravolgerebbe troppo la sua preziosa esistenza e il suo egoistico modo di vivere?”
Sherlock si impose di non reagire, capendo che in quel momento John si sarebbe attaccato a tutto, pur di litigare.
“Lascia stare questa storia, non e’ il momento di parlarne, ora”
“Oh si, invece... credo che questo sia il momento adatto, Sherlock!” grido’ John, ormai incapace di darsi un freno “e’ sempre bello trovare un momento per parlare tra amici, no? Io ti racconto dei miei traumi di guerra e tu delle tue ridicole paure!”
A quell’accusa, anche Sherlock si senti’ di nuovo invadere dall’irritazione: John non aveva davvero idea di cosa stesse parlando.
“Sto solo cercando di avere cura di  Molly e di far si che sia felice di essere mia moglie!”
“LE HANNO SPARATO, PERCHE’ E’ TUA MOGLIE!”
John si blocco’ inorridito, rendendosi subito conto dell’enormita’ di cio’ che era appena uscito dalla sua bocca.
Vide Sherlock ritrarsi improvvisamente e non ebbe bisogno di altro, per capire di essere andato troppo oltre.
“Non posso credere di averlo detto sul serio” comincio’ piano, svuotato da tutta la rabbia che fino a qualche secondo prima l’aveva dominato “mi dispiace, mi dispiace sul serio, non so cosa mi sia preso...”
Osservo’ la mascella di Sherlock contrarsi e ricordo’ in un attimo tutte le ore di angoscia al cappezzale di Molly, la disperazione e la paura che lui aveva provato.
Le sue lacrime quando era tornato dall’incontro con Moriarty.
Il senso di colpa che sapeva bene lo stava ancora divorando.
“Sherlock, ascolta...”
“Lascia stare. In fondo hai solo constatato un fatto” il tono freddo e distaccato lo colpi’ come un macigno.
Oh no, Sherlock, scusa...
Prima che John potesse cominciare a dar voce ai suoi pensieri, qualcuno busso’ alla porta e un attimo dopo Klaus fece capolino sulla soglia, uno sguardo perplesso sul volto.
“Tutto bene, qui?”
Sherlock raddrizzo’ le spalle.
“Naturalmente. Quando partiamo?”
Klaus assunse un’aria sorpresa e poi ridacchio’.
“Ah si, certo... tu sai sempre tutto. Vi ho organizzato un trasporto a Colonia, l’amico di un amico di un amico era stato contattato per l’acquisto del pugnale. Ho pensato che volessi parlarci di persona”
“Bene. Perfetto. Partiamo subito” Sherlock si diresse verso la porta, senza dare segno di aspettare John.
“Arrivo subito” mormoro’ stancamente il dottore, ora accanto a una finestra.
Tutta l’adrenalina dello scontro di poco prima era scomparsa, lasciando solo un grande vuoto. Non avrebbe dovuto dire quelle cose al suo amico, lo sapeva bene... non le pensava davvero eppure, non era riuscito a trattenersi, la rabbia aveva preso il sopravvento su tutto il resto.
Era ritornato a pieno nella spirale dello stress da disordine post traumatico? Non poteva pensare di affrontarlo di nuovo e Mary... lei ne avrebbe sofferto cosi tanto, come sarebbe riuscito a renderla felice stando cosi male? Sarebbe arrivato a gridare cose crudeli anche a lei?
E poi lo vide. Era dall’altra parte della strada e per un attimo, aveva guardato verso la finestra, verso di lui.
Fu un’apparizione fugace, ma abbastanza nitida da gelargli il sangue, perche’ se stava avendo un’allucinazione (ed era l’unica spiegazione possibile), la situazione era davvero grave.
Lui era davvero grave.
Il capitano John Watson aveva appena visto un fantasma.
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


Come sempre, grazie alle mie commentatrici ormai piu’ che ufficiali e sempre molto gentili: Bored94, EbeSposaDiErcole, IrregolarediBakerStreet, Ladymisteria e miserere.

Sara’ meglio che ogni tanto mi ricordi di ricordarmi che nessuno dei personaggi di questa storia mi appartiene, nossignore... tutti della BBC e prima ancora di Sir A. C. Doyle. Li uso solo per svagarmi un po’.

E mi scuso in anticipo per i temi trattati nella seconda parte del capitolo, un po’ piu’ crudi del solito ma funzionali alla storia.
Buona lettura!
 

ACCUSE DAL PASSATO
CAPITOLO 6   

 
John si precipito’ a razzo giu per le scale, incurante della gamba, della mano, degli incubi e persino del litigio con Sherlock, o di qualsiasi altra cosa che avesse occupato i suoi pensieri fino a quel momento.
Non e’ possibile. Non e’ possibile. Non e’ possibile.
Il ritornello risuono’ disperato nella sua testa, mentre con un ultimo balzo arrivava sulla soglia dell’edificio e si affacciava sulla strada, muovendo freneticamente la testa in tutte le direzioni.
Nessuno. Non c’era nessuno.
Appoggio’ le mani sulle ginocchia per riprendere fiato e improvvisamente, si rese conto dell’assurdita’ della situazione.
Scosse il capo respirando forte: era stato lo stress, sicuramente era quello... tutti gli avvenimenti degli ultimi giorni e il ritorno dei brutti sogni e dei flashback... solo quello.
Non era possibile che lui avesse visto il tenente Bross su quella strada meno di due minuti fa.
Il tenente era stato ucciso da un’esplosione quel giorno, lo stesso in cui lui era stato ferito...  Bross era morto.
“Morto” sussurro’ piano.
Ed e’ stata tutta colpa mia.
“John?” la voce di Sherlock arrivo’ alle sue spalle e si rimise in piedi, deciso a non far trapelare nulla di quanto gli era appena successo. Non poteva assolutamente confessargli di avere  avuto un’allucinazione eppure, una parte di lui si ritrovo’ a sperare che l’altro  semplicemente lo capisse e glielo facesse notare, dando una spiegazione estremamente razionale. O facendo un commento altamente sarcastico e fuori luogo.
Qualsiasi cosa, per essere sicuro che il loro rapporto non fosse definitivamente compromesso, pur di ritrovare subito un contatto con la realta’.
Ma questo avrebbe anche significato ammettere un’ulteriore debolezza.
Un accenno di disturbo mentale serio.
Non poteva permetterselo, doveva arrivare in fondo a questa storia e per farlo, Sherlock doveva per lo meno continuare a fidarsi di lui.
“Sono pronto a partire” mormoro’, evitando il suo sguardo e pronto a negare qualsiasi osservazione o commento.
Ma Sherlock Holmes si limito’ a fare un cenno del capo e a salire su una macchina.

***

Il viaggio verso Colonia era stato estremamente silenzioso e John aveva rinunciato fin da subito a qualsiasi desiderio di parlare, troppo preso dai mille pensieri che gli si agitavano in testa.
Da un lato, tutta quella storia era semplicemente troppo e lo stava sopraffacendo... dall’altro, la discussione con Sherlock continuava a tornargli alla mente, altalenando in lui sentimenti di rabbia ad altri di vergogna, al ricordo di cio’ che era arrivato a gridargli.
Capiva che con il suo atteggiamento, l’amico aveva solo cercato di smuoverlo e costringerlo a rianalizzare la situazione alla ricerca di nuovi elementi, ma non poteva evitare di arrabbiarsi al pensiero di quanto fosse stato incurante nel liquidare i suoi vissuti, di quanto avesse cercato di far prevalere la razionalita’ su tutto, fino a che John non si era talmente arrabbiato da scoppiare, per colpirlo esattamente nel suo punto piu’ debole.
Non era stata una scelta ponderata: se ci avesse riflettuto anche solo un attimo, John non avrebbe mai pronunciato quelle parole, proprio perche’ sapeva che erano vere e stavano tormentando Sherlock, proprio perche’ gli era stato accanto in ospedale ed era stato l’unico che l’aveva visto cedere, in un raro momento di estrema debolezza.
Proprio perche’ sapeva quanto male avrebbero fatto, rievocando il suo senso di colpa nei confronti di Molly.
Ma tutto era successo in fretta, e la rabbia e la paura erano state le uniche sensazioni che l’avevano guidato.
John scosse piano la testa, mentre la macchina si fermava davanti a una villa immensa, dopo aver attraversato un vasto viale alberato.
Dovevano chiarirsi, ma ora era piu’ importante raccogliere ulteriori informazioni sul pugnale.
Il suo compagno doveva pensarla esattamente allo stesso modo, perche’ scese dalla macchina prima ancora che si fosse fermata del tutto, dirigendosi a passi veloci verso la scalinata che portava all’entrata.
John si affretto’ a raggiungerlo ed entrambi furono accolti da un domestico, che si limito’ a fare un cenno del capo per invitarli a seguirlo.
Non avevano ricevuto informazioni sulla persona che stavano per incontrare: Klaus aveva detto che aveva dovuto riscuotere parecchi favori, per organizzare l’incontro, e che l’anonimato era una delle condizioni principali poste perche’ avesse luogo.
John si ritrovo’ a pensare di doversi ritenere fortunato a non essere stato bendato.
La casa era arredata in modo molto lussuoso e diversi oggetti dall’aria preziosa e antica facevano bella mostra su mensole e mobili, riempiendo gli spazi in modo quasi claustrofobico, anche perche’ le finestre erano tutte ornate da pesanti tende che non facevano praticamente filtrare luce.
Il domestico arrivo’ di fronte a una porta e busso’ per tre volte. Una voce giunse dalla stanza e lui apri’ la porta, facendo loro segno di entrare.
John segui’ Sherlock oltre la soglia, e si ritrovo’ in uno studio in penombra, con spessi tappeti sul pavimento e una larga scrivania sotto la finestra, alla quale era seduto un uomo i cui lineamenti erano difficili da decifrare.
Una voce profonda esclamo’ qualcosa in tedesco.
“Il mio amico non parla la sua lingua, le sarei grato se potesse proseguire la conversazione in inglese. E no, grazie, non prenderemo nulla da bere.” Replico’ Sherlock e John si giro’ verso di lui, colpito dalla sua richiesta di considerazione nei suoi confronti.
L’uomo seduto alla scrivania ridacchio’ piano.
“Va bene, signor Holmes... veniamo quindi subito al sodo. Spero si renda conto che questo incontro e’ davvero un avvenimento straordinario, non mi avrebbe mai trovato se non fosse stato per Klaus, glielo assicuro”
“Non mi interessa carpirle segreti o rovinare la sua immagine pubblica, quella per cui non e’ un trafficante di merci rubate... stiamo solo cercando di capire chi l’ha contattata per venderle il pugnale”
L’uomo rimase per un attimo in silenzio, mentre John tratteneva il fiato in attesa di una risposta che avrebbe potuto scagionarlo da tutte le accuse, facendo rintracciare l’assassino e restituendogli la sua liberta’.
“Che peccato” esclamo’ infine l’uomo “una parte di me sperava davvero che il Dottor Watson fosse venuto per fare la sua offerta. E’ sicuro, di non sapere dove si trovi il manufatto?”
John strinse i pugni e stava per rispondere e riaffermare la sua innocenza, ma Sherlock fu piu’ veloce.
“Lei non davvero idea di chi si trova di fronte, Mein Herr... il Dottor Watson non e’ assolutamente implicato in questa storia, se non per sfortunate coincidenze che ovviamente, sono alla base della nostra fuga, cosa che naturalmente lei sa bene.
Non siamo venuti per commerciare il pugnale e abbiamo bisogno di informazioni. Alla svelta, aggiungerei”
L’uomo alzo’ una mano.
“Non mi puo’ biasimare per averci provato, signor Holmes. Quel pugnale e’ un pezzo unico, farei carte false per averlo nella mia collezione... la tentazione di credere che il Dottor Watson dopotutto fosse a conoscenza della sua ubicazione e’ stata troppo forte. Mi scuso se sono stato offensivo” concluse, rivolgendo il capo verso John.
Lui si ritrovo’ a rispondere con un breve cenno della testa.
“Ora” riprese l’uomo “non so quanto aiuto posso darvi. Sono stato contattato solo tramite telefono e solo due volte. La prima, dal signor Dollman, due settimane fa... mi ha detto di avere il pugnale e di essere pronto a vendermelo. La cifra che mi ha richiesto era altissima ma ve l’ho gia’ detto, farei di tutto per avere il manufatto. Naturalmente, gli ho chiesto se potesse dimostrare di esserne davvero in possesso e lui, mi ha fatto avere una fotografia scattata il giorno in cui e’ stato trafugato, o almeno cosi mi ha detto”
“Vorrei vederla, per favore”
Il loro interlocutore misterioroso indico’ una sedia con la mano, sulla quale giaceva un oggetto.
In questo modo, prevedendo di dover fornire le prove, aveva evitato di rivelare il suo volto sotto la luce.
Sherlock si avvicino’ e prese in mano una busta, estraendovi una fotografia.
John si avvicino’ per guardare meglio e si senti’ mancare.
L’immagine ritraeva il capitano Dollman con in mano un’arma antica, ricoperta da gioielli e finemente decorata.
Ma non era questo che John stava disperatamente guardando: Mark aveva la divisa sporca e del sangue sulla fronte... non era in quelle condizioni quando lui l’aveva visto l’ultima volta prima dell’attacco e prima di essere lui stesso ferito, il che poteva significare solo una cosa.
Mark Dollman aveva posato per quella fotografia dopo.
Mentre i suoi compagni morivano e i soccorsi stentavano ad arrivare, mentre John giaceva incosciente per la ferita alla spalla e tutto intorno a loro si era trasformato in inferno. E qualcuno l’aveva immortalato con in mano il suo trofeo.
“Schifoso bastardo” mormoro’ piano.
Sherlock si limito’ a gettargli un’occhiata, poi torno’ a concentrarsi sulla figura nell’ombra.
“Ha detto di essere stato contattato due volte.”
“Si” rispose l’uomo “la seconda telefonata e’ arrivata meno di due giorni fa. Era una voce diversa, ma non ha fornito nessuna generalita’... era un uomo, questo posso affermarlo con sicurezza. Ha detto che c’era stato un cambio di programma e che se ero ancora interessato, dovevo trattare con lui per l’acquisto del pugnale. Gli ho detto di si, naturalmente, anche se ha quasi raddoppiato la cifra.”
“Di quanti soldi stiamo parlando?”
“Dieci milioni di euro”
John spalanco’ gli occhi.
“E li vale tutti, credetemi” il collezionista misterioso non pote’ impedirsi di pronunciare la frase con un moto di orgoglio.
“E’ solo un oggetto” si ritrovo’ a dire John, la mascella serrata per la rabbia “nulla puo’ valere cosi tanto... e io sto rischiando tutta la mia vita a causa sua!”
“Lei non puo’ capire, Dottor Watson. La magnificienza e la bellezza del pugnale in se’ non sono nulla, a confronto della sua storia e dell’incredibile potere che ha rappresentato durante i secoli per la popolazione a cui e’ appartenuto, del simbolo che e’ diventato per chi lo possedeva!”
Prima che John potesse replicare o scagliarsi contro l’uomo di fronte a loro, Sherlock gli appoggio’ una mano sulla spalla e gliela strinse piano ma con fermezza, comunicandogli silenziosamente di non andare oltre. Avevano ancora bisogno di informazioni.
Fece un respiro profondo e si calmo’, mentre il suo compagno continuava con le sue domande.
“Non ha ancora comprato il pugnale perche’ non e’ ancora tra le mani del nuovo venditore, giusto?”
L’altro fece un gesto stizzito.
“Ha detto che devo ancora aspettare e quando gli ho chiesto una scadenza, mi ha detto che mi ricontattera’ il 18, fra tre giorni”
L’espressione di Sherlock si fece piu’ attenta.
“Le ha dato una precisa scadenza?”
“Ho abbastanza insistito, signor Holmes... per lo meno me lo doveva. Sono l’unico in grado di pagargli quella cifra e mi creda, faro’ in modo che nessun altro possa portarmi via quell’oggetto”
“Suppongo si renda conto, che se lo troviamo prima noi sara’ un po’ impossibile che lei ne entri in possesso”  
John pote’ quasi immaginare il sorrisetto di scherno che arrivo’ a solcare il volto del loro interlocutore.
“Lei non sa chi sono io... e di quali poteri mi posso servire. Avro’ quel pugnale, ad ogni costo.”
“La ringrazio”
Sherlock si volto’ per andarsene, evidentemente soddisfatto delle risposte che aveva avuto.
Tuttavia, con la mano sulla maniglia della porta si fermo’ e si giro’ di nuovo verso la scrivania.
“Oh... e per quanto riguarda il non sapere chi e’ lei, credo si sbagli. Ha chiaramente affittatto questa villa per questo incontro, allo scopo di sviarci... le parti piu’ preziose dei mobili e soprammobili sono lucide, mentre altre sono ricoperte di polvere perche’ non erano al riparo con lenzuola, tolte direi un’ora prima del nostro arrivo. Il signore che ci ha aperto la porta e’ chiaramente un attore ingaggiato per l’accoglienza, il resto della casa e’ vuoto. La scrivania e’ predisposta per un mancino, lei e’ destro... signor ministro. E mi creda, non avra’ quel pugnale. Ad ogni costo.”

***

“Grazie”
Sherlock distolse gli occhi dal paesaggio che stava osservando fuori dal finestrino della macchina e rivolse lo sguardo verso John.
“Per cosa?”
John fece un sospiro.
“Per aver dichiarato di credere nella mia innocenza davanti a quel tizio, per avermi fermato mentre stavo per scoppiare, per avergli ricordato che non avra' il pugnale... non lo so, per non avermi preso a pugni dopo quello che ti ho detto a Monaco. Perche’ mi stai ancora aiutando, nonostante tutto” il discorso gli usci’ tutto d’un fiato, era ansioso di chiarire le cose.
Sherlock scosse piano il capo.
“Non ho mai dubitato della tua innocenza, non vedo perche’ non dovrei aiutarti e per quello che mi hai detto... so che il mio atteggiamento dismissivo nei confronti del tuo stato d’animo e’ irritante, ma sai che io lavoro cosi, non mi faccio coinvolgere nei miei casi, anche se si tratta di te. Mi permette di avere un approccio razionale e metodico, per analizzare i fatti al meglio.”
“Non avrei mai comunque dovuto dirti quelle cose, lo so che per te e’ stata dura. Lo so meglio di chiunque altro, anche di Molly, probabilmente.”
Sherlock serro’ le labbra e torno’ a guardare fuori dal finestrino, come a voler chiudere la conversazione.
John si rilasso’ contro il sedile della macchina con la quale stavano tornando a Monaco. Per lo meno, avevano ricominciato a parlare.
“Non voglio perderla” le parole improvvise di Sherlock lo fecero raddrizzare immediatamente “Non e’ per il laboratorio del Bart’s o per i pezzi di cadavere, o gli esperimenti...
Se avremo un bambino... lei lo amera’ con tutta se’ stessa e se dovesse capitargli qualcosa... se dovesse farsi male o peggio a causa mia, a causa del mio lavoro, lei ne soffrirebbe. Non mi biasima per quello che e’ successo con Moran, ma con il bambino sarebbe diverso. Non me lo perdonerebbe mai.
Io, non me lo perdonerei mai, se non riuscissi a proteggerli...” fini’ in un soffio.
John si ritrovo’ a corto di parole, rendendosi conto di quanto quel pensiero stesse logorando Sherlock e di quanto avesse mal interpretato il suo stato d’animo, pensando che fosse mosso dall’egoismo nel non volere piu’ il bambino, per mantenere la sua vita in un certo modo.
“Eppure sei stato tu a chiederglielo...” commento’, deciso a fargli notare che doveva pur aver avuto la convinzione di poter gestire la cosa.
Sherlock fece una smorfia.
“Molly disse che stavo agendo sull’onda dell’emozione e io negai, perche’ lei si riferiva al fatto che tu avevi appena deciso di sposarti e invece, io sapevo che era stato vederla in quel letto d’ospedale, temere di perderla e realizzare quanto fortunato fossi, ad averla con me... in quel momento, volevo tutto. Ero convinto di poter avere tutto.”
Il mio lavoro. La mia famiglia.
La straordinarieta’ e la quotidianita’.
“Sherlock ascolta...” le parole di John furono interrotte da un’esclamazione improvvisa del loro autista, che sterzo’ bruscamente prima di accasciarsi sul volante.
“Che cosa...”
John fece appena in tempo ad accorgersi che la macchina stava sbandando pericolosamente, poi fu il buio.
***
Il capitano Watson ha individuato un edificio piu’ riparato e ha cominciato a trasferire i feriti. I soccorsi stanno tardando e spera tanto di non dover trascorrere li la notte, sarebbero ancora piu’ esposti che  al momento.
Fortunatamente, nessuno dei suoi compagni e’ rimasto ferito gravemente durante lo scontro del mattino, riuscira’ a far rientrare vivi al comando tutti gli uomini e sente un moto di orgoglio, per questo. L’esercito e’ la sua famiglia e vuole prendersi cura di tutti quelli che gli sono stati affidati: lui e’ un medico, prima di essere un soldato e a volte tende a dimenticarlo, a essere soverchiato dagli avvenimenti intorno a lui in questa terra cosi lontana da casa. Ma non oggi. Oggi sono tutti vivi e il suo periodo di missione in Afghanistan sta per terminare... pensa proprio che non lo rinnovera’ e continuera’ invece a praticare la medicina.
Potrebbe passare piu’ tempo con Harry, magari... l’ultima volta che si sono sentiti tramite Skype gli e’ sembrata giu, nonostante facesse di tutto per sembrare allegra con il suo fratellino in guerra. Probabilmente ha problemi con sua moglie, non ha parlato di lei per tutta la loro conversazione. John spera tanto che non si tratti di una nuova ricaduta, l’alcol ha rovinato sua sorella  in tanti modi, uno piu’ brutto dell’altro. Si sente in colpa per non esserle stato piu’ vicino, in questo periodo: appena rientrato andra’ a trovarla e, moglie o no, le proporra’ di andare in vacanza insieme, magari in quel posto dove i loro genitori li portavano sempre da bambini e si divertivano a fare lunghe passaggiate.
Sara’ bello.
“Capitano?”
Il tenente Bross lo guarda con attenzione, in attesa di nuovi ordini.
John gli sorride: e’ un giovane in gamba e conserva integro tutto l’entusiasmo che invece lui ha perso.
“I feriti sono sistemati?”
“Sissignore”
“I civili?”
“La donna anziana e’ morta, ma i due uomini e la ragazza sono stabili”
John annuisce soddisfatto.
“Bene, Dollman dovrebbe aver organizzato i turni e le postazioni di guardia e se siamo fortunati, verranno a recuperarci entro breve”
Osserva lo sguardo di Bross farsi incerto.
“Che c’e’?”
“Ecco, signore... non riesco a trovare il capitano Dollman e non credo che le postazioni di guardia siano gia’ state organizzate”
John soffoca un’imprecazione. Passi che Dollman non l’abbia aiutato a trovare un edificio per allestire il ricovero per i feriti, ma la logistica della difesa e’ una sua responsabilita’. Dove diavolo e’ finito?
“Va bene, ci penso io” commenta secco, ancora irritato.
“Lo cerco io e gli riferiro’ che lo sta aspettando, capitano” si offre Bross e John annuisce distrattamente, gia’ concentrato sulla disposizione dei punti di difesa.
Si dirige verso il perimetro esterno del villaggio e sulla soglia di una casa misera, vede la bambina alla quale ha quasi sparato. Stringe ancora la sua bambola al petto e si succhia un pollice.
John sta ben attento a tenere il fucile lontano dalla mano e le fa un cenno di saluto, nel disperato tentativo di comunicarle che lui non e’ un cattivo e non le fara’ del male, nonostante durante il  loro primo incontro sia sembrato proprio cosi.
La bimba lo guarda per un attimo con occhi incerti, poi si toglie il pollice di bocca e gli sorride, facendo alcuni passi verso di lui, per poi cominciare a seguirlo mentre si dirige verso gli altri soldati.
John fa un piccolo sorriso e un paio di volte si gira a guardarla, strizzandole l’occhio.
Sente la bambina ridere piano.
Da qualche parte, una radio sta ancora trasmettendo musica.
Poi improvvisamente scoppia l’inferno.
Piovono proiettili da piu’ direzioni e John si ritrova a terra con il fucile imbracciato, cercando di rispondere ai colpi dell’improvviso attacco.
Coglie i movimenti dei suoi compagni, che si stanno organizzando per coprire piu’ punti.
Vede il tenente Bross e Mark Dollman arrivare dalla stessa direzione, le armi gia’ spianate.
E poi, scorge la bambina stesa accanto a lui, il sangue che esce a fiotti dal suo fianco e sul viso, un’espressione sorpresa, come se non capisse come mai le stia capitando una cosa simile, visto che e’ solo una bambina con la sua bambola, che giace accanto a lei nella polvere.
“NO!” John le si avvicina e comincia a tamponare l’emorraggia, ma ben presto lascia perdere perche’ lei e’ morta.
Le pallottole continuano a fischiare sopra la sua testa e con un movimento veloce, John si riunisce al suo plotone e continua a sparare, mentre dall’altra parte Bross e Dollman combattono con altri uomini verso un’altra direzione.
E’ un attacco molto pesante, ma forse possono riuscire a resistere fino all’arrivo dei soccorsi.
Poi, improvvisamente lo vede.
Il ragazzino che ha incontrato quella mattina, quello che osservava i cadaveri e al quale John ha sorriso, lo sta guardando.
Sta guardando proprio John, con uno sguardo di sfida negli occhi e poi, sorride.
Alza la mano e gli fa un cenno di saluto, mentre avvicina l’altro braccio al torace e schiaccia un bottone, facendosi esplodere vicino ai soldati che stanno ancora sparando.
Uccidendoli tutti.
John viene sbalzato dall’onda d’urto dell’esplosione e si rialza a fatica in piedi, cercando il suo fucile per continuare a sparare, la furia mescolata alla paura e allo shock.
Poi un dolore lancinante alla spalla lo costringe a cadere.
Il suo ultimo pensiero coerente e’ che non riuscira’ a portare Harry in vacanza, perche’ sta morendo.
 
“Colpa mia...”
John mosse piano la testa, cercando di combattere la nausea.
Apri’ piano gli occhi, guardandosi intorno.
“Bentornato, John. Credo proprio sia il momento di fare due chiacchiere sull’Afghanistan” gli disse Sherlock Holmes.
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** capitolo 7 ***


I commenti di Bored94, EbeSposaDiErcole, IrregolarediBakerStreet, Ladymisteria e miserere sono stati come al solito graditissimi e bellissimi. Grazie infinite ancora una volta. A loro si e’ aggiunta Patta97, che ringrazio ancora anche per l’idea della fanart.

Ora, di solito non sono una che si dilunga nelle premesse, ma vorrei chiarire una cosa prima che leggiate questo capitolo. Gli avvenimenti raccontati a un certo punto, non costituiscono minimamente un giudizio sull’operato dei soldati impiegati nelle missioni all’estero. Ne ho conosciuto qualcuno, e nonostante io possa avere idee diverse, fanno il loro lavoro con passione.
 
E’ solo una fanfic, opera di fantasia... e questo ve lo diranno anche Sherlock e John, a modo loro.
Basta. Buona lettura!
 

CAPITOLO 7
ACCUSE DAL PASSATO

 
Mentre gli occhi chiari di Sherlock erano ancora fissi su di lui, John Watson comincio’ a connettere.
Erano di nuovo a Monaco, nella stessa stanza in cui avevano litigato.
Ma avevano avuto un incidente in macchina tornando da Colonia...
La vettura aveva sbandato e poi si era ribaltata sul bordo della strada.
Fortunatamente, Sherlock sembrava stare bene.
John fece una smorfia: a giudicare dai dolori che sentiva, anche lui stava bene.
“Cosa e’ successo?” mormoro’, mentre gli ultimi frammenti dei ricordi che aveva rivissuto se ne andavano.
“Hanno sparato al nostro autista, che provvidenzialmente era stato abbastanza furbo da riferire a Klaus di avere l’impressione di essere seguito... siamo finiti fuori strada, direi che siamo stati fortunati. Klaus era gia’ in viaggio coi suoi uomini, cosi ci ha trovati prima che potessero ucciderci definitivamente.”
“Dottor Watson!” la vociona di Klaus arrivo’ dalla soglia della stanza.
“Ah si e’ svegliato! L’ho detto a Sherlock, aveva tutto l’aspetto di uno che doveva riposare un bel po’.... d’altronde, considerato tutto quello che le e’ successo in questi giorni, la capisco. Birra per tutti?”
John scossa la testa, ancora intontito. Una parte di lui sorrise alla proposta di Klaus: la birra non poteva proprio essere d’aiuto, in quel momento, proprio no. E inoltre, era davvero arrivato al punto in cui era pronto a parlare... ripensandoci, farlo da ubriaco forse l’avrebbe aiutato.
“Non ora. Io e John dobbiamo parlare di una cosa importante, ma grazie lo stesso. Il tuo autista?” Sherlock parlo’ continuando a tenere fissi gli occhi sul Dottore.
Klaus scosse la testa.
“Andato. Un colpo ben piazzato, non c’e’ che dire... il che fa diventare la questione un po’ piu’ personale, ora. Quindi parlate pure, ma poi vedremo insieme che cosa fare per trovare il responsabile di tutto questo”
Sherlock annui’ piano, mentre il tedesco lasciava la stanza.
“Stai bene?” si decise a chiedergli John.
L’altro alzo’ le spalle.
“Niente di grave, ma tu hai perso conoscenza. Klaus ti ha fatto visitare dal suo dottore personale, ha detto di lasciarti riposare”
Nella stanza calo’ il silenzio.
“Ti ho mentito” disse infine John.
“Lo so” rispose tranquillamente Sherlock, sedendosi su una poltrona e congiungendo le mani sotto il mento.
Il suo amico sorrise amaramente.
“Lo so che lo sai. Ma e’ ugualmente difficile dirtelo, credo sia stata la prima volta da quando ci conosciamo”
“Io ti ho mentito spesso. Ma sempre per ottime ragioni”
“O per lo meno ne eri convinto” si intromise John.
Sherlock fece un mezzo sorriso.
“Te lo concedo, a volte hai faticato a cogliere l’assoluta necessita’ delle mie bugie il che, devo dire, e’ una sensazione che al momento mi e’ familiare. Non riesco a capire perche’ tu abbia sentito il bisogno di tacermi alcune cose... dopotutto, stai rischiando la tua liberta’ e a quanto pare, anche la tua vita. Chi ci ha sparato voleva toglierci definitivamente di mezzo”
“Beh, il ministro, chiunque tu abbia capito che sia, vuole il pugnale tutto per se’” commento’ John.
“Mi meraviglio di te. Non e’ stato lui”
“Oh”
“Eravamo seguiti anche all’andata e lui non ci aveva ancora incontrati. Era sicuro che non avremmo capito chi fosse, ed ha ancora tutta la convenienza a farci trovare il pugnale e fare il lavoro sporco per lui, nel caso il venditore si riveli una bufala. No. Chi ha sparato non vuole che il pugnale sia recuperato, in qualche modo e’ convinto che noi ci siamo vicini”
John scosse la testa.
“Il che non e’ molto vero, pero’”
Sherlock chiuse gli occhi e allungo’ le gambe sul pavimento.
“Questo dipendera’ da cio’ che deciderai di volermi raccontare”
“Senti... sono sicuro che non e’ importante, servira’ solo a farti capire il mio comportamento di questi giorni e a un certo punto, a farti pensare che sono un pazzo”
E forse a considerarmi un uomo peggiore, di quanto tu mi abbia creduto  finora.
Il consulente investigativo apri’ gli occhi di scatto e li punto’ di nuovo su di lui.
“Per favore, John... lascia che sia io a decidere che cosa e’ importante e cosa non lo e’. E non credo proprio che tu sia pazzo”
Questo perche’ non ti ho ancora parlato delle allucinazioni, amico mio.
John Watson fece un profondo respiro.
“La sera in cui  Mark e io ci siamo incontrati, quando poi lui mi ha invitato a salire per un’ultima birra insieme... lui si e’ scusato”
Sherlock chiuse di nuovo gli occhi e gli fece cenno di proseguire.
“Non ci siamo piu’ visti dopo lo scontro in cui sono stato ferito, io sono stato rimpatriato e lui invece ha finito la sua missione, non era rimasto coinvolto gravemente. L’hai visto da quella foto, quella in cui teneva il pugnale... e’ stata scattata dopo
“Dopo che cosa?”
“Dopo... dopo che gli altri erano morti e i ribelli si erano ritirati, mentre stavamo aspettando il recupero da parte dei rinforzi. Io ero incosciente.” John osservo’ impotente la sua mano tremare in grembo. Ammettere il tradimento di Mark a voce alta era ancora piu’ doloroso, che pensarlo nella propria testa.
“Chi gli ha fatto la fotografia?”
John alzo’ la testa di scatto.
“Non lo so. Presumo qualcuno del villaggio”
“Si sarebbe fatto fotografare con un antico manufatto trafugato, da qualcuno che poteva tranquillamente capire il suo furto e denunciarlo?”
“Io non... non ci ho veramente pensato.”
“Perche’ sei troppo concentrato su altro, non riesci ad analizzare i fatti in modo obiettivo. Ci torneremo in seguito, comunque. Ora dimmi delle scuse di Dollman” il tono di Sherlock era incalzante, quasi accusatorio. Per un attimo, John si senti’ di nuovo montare la rabbia dentro, ma poi capi’ che quello era l’unico modo per discutere della cosa. Strinse i pugni e si obbligo’ a continuare.
“Dollman era sparito, poco prima dell’attacco. Doveva organizzare i punti di difesa per essere coperti fino all’arrivo dei rinforzi, ma non l’aveva fatto. Nel momento in cui hanno cominciato a sparare, lui non era al suo posto, e’ arrivato dopo. Quando ho saputo del pugnale, ho capito il perche’ della sua assenza e delle sue scuse... quella sera gli ho detto che non importava, che non avrebbe fatto la differenza ma non era vero. Se lui fosse stato al suo posto, avremmo potuto reagire piu’ in fretta, isolare il perimetro e non permettere a nessuno di avvicinarsi. A nessuno”
Neanche al ragazzino con la bomba addosso.
“Perche’ non me l’hai detto? Questo avrebbe permesso di capire come Dollman si fosse mosso e chi eventualmente fosse con lui”
John scosse la testa, per un momento incapace di esprimere cio’ che aveva dentro. Strizzo’ gli occhi per ricacciare indietro le lacrime.
“Io lo sapevo”
Sherlock torno’ a guardarlo, questa volta un’espressione davvero stupita sul volto.
“Sapevi cosa?”
John si morse il labbro.
“Sapevo che Dollman non era al suo posto, che si era assentato senza nessuna giustificazione... non sono andato a cercarlo, quando e’ sparito la prima volta. Stavamo perlustrando insieme il palazzo principale per decidere se fosse adatto per allestire un punto di ricovero e improvvisamente, lui non c’era piu’. Evidentemente, aveva gia’ trovato il pugnale”
“Perche’ non l’hai cercato?”
“Non potevo sapere che fosse per questo e ho lasciato correre. Altre volte, avevo lasciato  correre...”
“Quali altre volte?”
Sherlock osservo’ il suo amico scuotere piano la testa e improvvisamente, capi’.
“John...”
“Molti di noi arrivavano in Afghanistan ed era la loro prima missione e semplicemente, era troppo... ma anche per i veterani era la stessa cosa. La devastazione, l’espressione negli sguardi della popolazione... e i bambini! I bambini erano la cosa peggiore, riuscivano a scrutarti nell’animo e far sembrare tutto cosi ingiusto!
E il senso di allerta ventiquattro ore su ventiquattro, senza mai rilassarsi un attimo e sempre nella paura di dover combattere, di morire! Chiunque dica di non aver paura sta mentendo, Sherlock! La paura era sempre li, a farci compagnia, dietro le nostre spalle o proprio davanti a noi e ognuno imparava a gestirla a suo modo!”
“Dollman usava droghe” constato’ freddamente Sherlock.
John abbasso’ di nuovo la testa in un gesto di sconfitta.
“Non era l’unico. C’era una specie di soglia di tolleranza, un codice non scritto che permetteva queste cose”
“E tu seguivi questo codice”
Seguirono diversi istanti di silenzio, poi John ricomincio’.
“Se fossi andato a cercarlo, le cose sarebbero andate diversamente. Al momento dell’attacco saremmo stati pronti. Io non avevo idea che fosse assente da cosi tanto tempo e so che cosi sembra ancora piu’ sbagliato, perche’ non ho diritto di biasimare Dollman piu’ di me stesso... non era giusto che prendesse droghe, cosi come non era giusto che stesse trafugando quel pugnale, ma io ho permesso tutto questo”
“Quanti uomini sono morti, quel giorno?”
“Dieci, sei solo nell’esplosione di un kamikaze in contemporanea all’attacco armato”
“Un kamikaze?”
John annui’ lentamente.
“Si... un ragazzino. Non avra’ avuto piu’ di tredici anni e la sua espressione prima di farsi saltare in aria era... stava guardando direttamente me e aveva uno sguardo fiero e convinto”
Chiuse gli occhi mentre il ricordo tornava violento ad assalirlo.
“Non vedo davvero come tu possa prenderti la colpa di tutto cio’ che e’ accaduto, non potevi prevedere l’attacco, ne’ tantomeno il comportamento negligente di Dollman”
John fece una smorfia.
“Ti sbagli. Questa faccenda mi perseguitera’  per sempre... non importa quanta ammenda cerchi di fare, quanto mi impegni per essere migliore. E’ colpa mia, era mia la responsabilita’, non mi meraviglio che i fantasmi vengano a perseguitarmi”
Abbasso’ di nuovo la testa, svuotato da ogni emozione. Neanche con la sua psicologa, era riuscito a rielaborare gli avvenimenti in quel modo cosi potente.
“Quali fantasmi, John? Che cosa non mi stai dicendo?”
L’altro non rispose e si alzo’ in piedi, dirigendosi verso la finestra, la stessa dove aveva avuto l’allucinazione solo il giorno prima.
Improvvisamente, si senti’ molto stanco, incapace di continuare a mentire e a giustificarsi.
“Ieri ho visto il tenente Bross, da questa identica posizione. Era giu’ in strada e mi stava guardando... e’ stata un’apparizione fugace, ma io sono sicuro che fosse lui e non e’ possibile, perche’ vedi... lui e’ morto. E’ morto nell’attacco kamikaze”
Con un movimento veloce, Sherlock gli si avvicino’ e guardo’ in strada.
“In che punto era?”
Sul volto di John si disegno’ un’espressione stupita: si era aspettato tante cose, perfino una risata o uno sguardo preoccupato che invitava al ricovero psichiatrico, certamente non quella domanda diretta e interessata. Come se vedere un fantasma fosse una cosa perfettamente normale.
“Che cosa?”
“Il punto in cui era, John. Vicino al vicolo o piu’ spostato sul marciapiede? E’ stato quando tu sei corso giu’ dalle scale, vero? Ma certo, ho pensato che mi avessi rincorso per tentare di chiarire la nostra discussione, invece avevi visto lui, giusto? Avrebbe avuto tutto il tempo di nascondersi in quella rientranza e guardarci partire senza essere notato...” elaboro’ il consulente detective con tono pensieroso.
John scosse la testa.
“Sherlock! Mi stai ascoltando? Il tenente Bross e’ morto! Io ho avuto un’allucinazione!”
L’altro si limito’ a continuare ad osservare la strada, poi con uno scatto usci’ di corsa dalla stanza.
John rimase per un attimo interdetto, poi si precipito’ a seguirlo a precipizio, cercando di ignorare i muscoli ancora doloranti che si lamentavano per lo sforzo.
Giunto in strada, vide Sherlock fermo esattamente nella stessa posizione in cui aveva visto Bross.
Lo raggiunse in un attimo.
“Si puo’ sapere che diavolo ti prende? Mi aspettavo che mi dicessi che sto andando fuori di testa, ma lasciati dire che tu non sembri essere da meno!”
Sherlock si guardo’ velocemente intorno.
“Si, puo’ senz’altro essersi nascosto qui” borbotto’, per poi mettersi all’ombra di un portone.
“Ma di chi stai parlando?” esclamo’ esasperato John.
L’altro usci’ di nuovo alla luce del sole e lo guardo’ stupito.
“Ma di Bross, naturalmente”
Il Dottor Watson rimase a bocca aperta, incapace di commentare oltre.
Poi comincio’ a scuotere la testa, passandosi frustrato una mano fra i capelli.
“Sherlock, te lo ripetero’ un’altra volta. Quel kamikaze si e’ fatto esplodere e Bross era nel gruppo vicino a lui. E’ morto.”
“Dove era Dollman al momento dell’esplosione?”
John richiuse la bocca con la quale stava per continuare a proclamare l’assurdita’ delle domande di Sherlock.
“Era... anche lui vicino al gruppo” disse infine.
“Ma si e’ salvato. Bross potrebbe aver fatto lo stesso” commento’ secco il suo amico e alla sua espressione incredula, dopo aver sbuffato sonoramente continuo’ “suppongo sia stato abbastanza difficile riconoscere i resti. Non ho mai fatto esperimenti diretti, ma direi che un’esplosione del genere non deve aver lasciato molto per ricomporre i corpi”
Era troppo. John si senti’ cedere le gambe e si sedette sul marciapiede, le braccia appoggiate sulle ginocchia.
“C’erano le piastrine di riconoscimento” sussurro’ piano.
“Questo non dimostra nulla” rispose Sherlock.
“No, no... non e’ possibile. E’ un’assurdita’. Vorrebbe dire che ha finto la sua morte, per quale motivo avrebbe dovuto farlo?”
“Dove era prima dell’attacco?”
Lo cerco io e gli riferiro’ che la sta aspettando, capitano.
Bross era andato a cercare Dollman. E poi, quando l’attacco era cominciato, erano arrivati insieme.
Dalla stessa direzione.
“Con Mark” ammise stancamente.
Sherlock annui’.
“E’ probabile che l’abbia trovato con il pugnale e abbiano concordato di dividersi il ricavato dalla vendita. Forse erano gia’ complici in qualche furto precedente, difficile dirlo. Ma quello era un manufatto importante, era piu’ difficile farlo uscire dal paese... l’attacco, paradossalmente, e’ arrivato in tempo per dargli l’occasione giusta. Bross si e’ finto morto e in questo modo, hanno fatto entrare il manufatto nel paese”
John ci mise un attimo a capire le implicazioni di quella frase.
“L’hanno fatto arrivare con le salme” mormoro’ chiudendo gli occhi.
“L’hanno sepolto, con le salme... piu’ precisamente con quelli che erano ritenuti i resti di Bross. Sapevano che ci sarebbe voluto del tempo, prima di poterlo piazzare sul mercato” concluse Sherlock.
Il sapore acido della bile arrivo’ di colpo e John si giro’ in tempo per non vomitarsi sulle scarpe. Rimase per un attimo a quattro zampe sul marcipiede, prima di riuscire a rialzarsi.
Si senti’ appoggiare una mano sulla spalla.
“Non hai visto un fantasma” gli disse piano Sherlock “Bross ci ha seguiti e ha tentato di ucciderci, esattamente come e’ riuscito a fare con Dollman quella sera. Voleva tutto il ricavato della vendita per se’, probilmente l’ha sempre voluto, ecco perche’ si e’ finto morto. Avrebbe potuto godersi tutti i soldi senza problemi. Tu sei stato una sfortunata coincidenza, ma probabilmente quando vi ha visti insieme, ha pensato che fosse comodo farti incolpare del delitto. Per questo ha recuperato la tua pistola e ha sparato con quella... tu eri gia’ ubriaco, perche’ parlare con Dollman aveva fatto riemergere tutti i tuoi brutti ricordi e i sensi di colpa.”
“Perche’ non rammento nulla?”chiese John sconfortato.
“Ho una teoria, ma per ora puo’ aspettare. Dobbiamo tornare a Londra entro il 18”
“E’ la scadenza data al nostro misterioso acquirente... che succede quel giorno?”
“Ho controllato su Internet, mentre tu eri in stato di incoscienza. Ci sara’ una cerimonia e le salme dei caduti verranno traslate in un monumento”
John ricordo’ improvvisamente di aver ricevuto l’invito per la commemorazione e di aver pensato, che sarebbe stato doloroso ma necessario recarvisi.
“Bross dovra’ recuperare il pugnale in quel momento, o poi diventera’ molto piu’ difficile” disse Sherlock.
Il Dottor Watson strinse forte i pugni, uno sguardo risoluto sul volto.
“Torniamo a Londra e fermiamolo”

***

“Non mi sarei perso questo viaggetto per nulla al mondo. E’ un bel po’ che non vengo nella vostra citta’”
“Forse perche’ c’e’ un mandato di cattura nei tuoi confronti, Klaus” commento’ Sherlock Holmes, continuando a restare appoggiato ad occhi chiusi al sedile dell’aereo privato, che il suo amico aveva messo a disposizione.
“Ah, si... quello. Sciocchezze, avete bisogno di tutto l’aiuto possibile e inoltre, quel tizio si e’ permesso di uccidere uno dei miei.  Cose come queste mi fanno un po’ arrabbiare, ecco tutto. E inoltre, ho proprio voglia di conoscere tua moglie, Sherlock!”
John fece una smorfia pensando al gigante biondo che abbracciava stretta Molly, rischiando di soffocarla.
“Non vedo perche’ dovrei presentarti mia moglie” commento’ infine Sherlock, aprendo un occhio.
Klaus si diede una manata sulla gamba.
“Stai scherzando, vero? La donna che e’ riuscita a sposarti... ho per lo meno mille domande da farle! Per adesso, pero’, mi accontento di farmi un goccetto” si alzo’ dal sedile e si diresse verso il minibar.
“Non gliela farai conoscere, vero?” chiese John, osservando il suo amico.
“Non ci penso proprio” rispose Sherlock, gli occhi sempre chiusi.
John si ritrovo’ suo malgrado a sorridere. E nonostante la situazione fosse ancora brutta e gli ultimi eventi orribili, si scopri’ piu’ leggero e un po’ piu’ in pace con se’ stesso.
“Sherlock?”
“Mmm?”
“Promettimi che il giorno del mio matrimonio sara’ normale”
“Che intendi dire? Mi sembra una richiesta alquanto assurda”
“Niente affatto. Considera quello che ci e’ successo negli ultimi mesi... come quasi abbiamo rischiato di non arrivare in tempo per le tue nozze e poi il ritorno di Moriarty, con tutto quello che ne e’ seguito. E questa storia... insomma, io vorrei davvero sposare Mary con la piu’ noiosa delle cerimonie”
Sherlock si volto’ finalmente a guardarlo.
“La noia e’... noiosa” dichiaro’, una smorfia di disgusto sul volto.
John scosse la testa.
“La noia va bene, anzi... la noia andra’ benissimo, se significhera’ sposare in tranquillita’ la donna che amo per cominciare la mia vita insieme a lei. Se non fossimo davvero noi, direi che qualcuno si diverte a metterci nei guai scrivendo assurde storie”
“Uno scrittore poco fantasioso, direi quindi... e’ gia’ il secondo risorto dall’oltretomba con cui abbiamo a che fare, negli ultimi mesi” commento’ Sherlock.
I due rimasero in silenzio per un po’.
“Hai detto che alcuni soldati usavano la droga per sfuggire in qualche modo alla guerra” disse Sherlock dopo un po’.
John strinse con forza i braccioli, indovinando dove il discorso volesse andare a parare.
“Quale era il tuo modo?” lo stupi’ invece Sherlock e lui gli fu riconoscente, per non aver dubitato che anche lui facesse uso di sostanze.
“Pensavo a casa” rispose con sincerita’ “a mio padre e a tutti i sacrifici che ha fatto per farci studiare, a quanto fosse fiero della mia divisa, ma ancora di piu’ del fatto che fossi un medico, che potessi salvare delle vite”
“Il che fa di te un uomo estremamente migliore. Non potevi controllare ogni cosa, questo lo sai, vero?”
John non replico’, ancora non del tutto convinto a lasciarsi il senso di colpa alle spalle. Poteva non essere stato tutto da imputare a lui, ma avrebbe dovuto continuare a conviverci per il resto della sua vita. E probabilmente era giusto cosi.
Era davvero grato all’amico che gli stava accanto per averlo costretto a rielaborare la cosa e naturalmente, lui aveva avuto ragione fin dall’inizio a chiedergli di parlarne. Sarebbero arrivati ad ottenere le informazioni necessarie molto prima, ma John si era fatto bloccare dal senso di colpa e vergogna, non tenendo conto di quello che Sherlock gli aveva detto all’inizio di quella storia.
Lui non voleva giudicarlo, voleva aiutarlo.
Era suo amico.
“Sai Sherlock... se si trattasse di te, sarebbe diverso. Se anche solo avessi il sospetto che usi ancora droghe, ti prenderei a calci nel sedere”
L’altro fece un sorrisetto.
“Dovresti metterti in fila... con Mycroft, mamma, Lestrade, la signora Hudson e naturalmente, Molly”
“Ne sono convinto. E trovo che sia una cosa meravigliosa, avere delle persone che pensano a noi”
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** capitolo 8 ***


Sono molto contenta, perche’ la storia continua a piacervi e quindi grazie a tutti quelli che leggono e soprattutto a Bored94, EbeSposaDiErcole, IrregolarediBakerStreet, Ladymisteria, miserere,  Patta97 e Lauur per i loro commenti.
 

ACCUSE DAL PASSATO
CAPITOLO 8

 
“E’ bello essere a casa”
Sherlock si giro’ al commento di John.
“Vediamo un po’... siamo ancora ricercati. Non possiamo tornare alle nostre rispettive residenze. Dobbiamo trovare un manufatto rubato e un assassino morto, che morto pero’ non e’.”
John fece un mezzo sorriso.
“Appunto. E’ bello essere a casa” dichiaro’.
Sherlock noto’ come sembrasse un po’ piu’ rilassato, dopo il loro ultimo confronto. Gli era servito rivivere i momenti in Afghanistan ed esternare i suoi sensi di colpa. Naturalmente, il fatto piu’ importante era che finalmente sapevano chi cercare, dopo aver ricostruito il tutto... ma la ritrovata serenita’ di John era ugualmente importante.
Klaus interruppe i suoi pensieri.
“Io pero’ non capisco perche’ siamo qui”
Sherlock fece un sorrisetto, calandosi il berretto in testa.
“Dobbiamo acquisire un’importante informazione”
John si mise la giacca.
“Ed e’ per questo che sei sparito per quasi due ore, prima?”
Entrambi furono distratti da un’imprecazione in tedesco del loro accompagnatore.
“Non e’ della mia taglia!”
Cerco’ di far rientrare la pancia per poter allacciare i pantaloni, mentre gli altri due lo guardavano con ironia.
“Troppe birre e salsicce, Klaus?” gli chiese Sherlock, finendo di allacciarsi le scarpe.
“Piantala, inglese! Voi avete ancora molto da imparare in fatto di birra e cibo, da noi tedeschi... ma tu guarda!” si calco’ anche lui il berretto in testa.
John si passo’ nervoso una mano sui pantaloni.
“Possiamo andare?” la domanda di Sherlock non lo colse del tutto di sorpresa... capiva bene che si interrogasse su cosa significasse per lui quello che stavano per fare.
“Direi di si” gli rispose con aria convinta, finendo di allacciare l’ultimo bottone della sua divisa militare.
Uscirono dal magazzino e si accodarono ad un camion, facendo il loro ingresso alla base di St. Andrew’s.

***

“Sei sicura di stare bene?”
Mary Morstan si appoggio’ piano alla porta del bagno, cercando di cogliere qualche segnale o rumore dall’interno.
Per tutta risposta, senti’ il suono inequivocabile di Molly che stava male e poi, quello dello sciacquone che veniva tirato.
La porta si apri’, rivelando una Molly pallida e dall’aria stanca.
“Scusa, il cibo al congresso era veramente pessimo... probabilmente un’intossicazione”
Mary la scruto’ per un attimo, poi scosse la testa.
“Se lo dici tu. Mi spiace solo che tu sia ko!”
Molly fece una smorfia.
“Gia’. Non solo dobbiamo starcene rinchiuse qui perche’ Mycroft insiste che siamo piu’ al sicuro, ma io sono una compagna di stanza terribile!”
“Ma smettila! Non lo dire neanche per scherzo... non c’e’ nessun altra con cui vorrei ritrovarmi rinchiusa, al momento! Solo tu riesci a capire che cosa provo...” Mary strinse con forza gli occhi, sperando di ricacciare indietro le lacrime. Non avrebbe ceduto, no. Aveva fiducia in John e sapeva, sapeva che lui sarebbe tornato. Presto.
Molly la abbraccio’ piano.
“Sta tranquilla, sono sicura che li riavremo presto a casa. E poi, dopo qualche giorno, ci telefoneremo per lamentarci di quanto si caccino nei guai!”
Scoppiarono entrambe a ridere, l’atmosfera un po’ piu’ leggera, poi Mary torno’ a guardare l’amica con preoccupazione.
“Scusa se te lo dico, ma non hai davvero una bella cera. Perche’ non ti stendi un po’?”
Molly scosse la testa.
“Sono stanca di riposare... che ne dici se invece sfruttiamo l’angolo cottura di questa stanza lussuosissima e prepariamo dei biscotti?”
“Biscotti?”
“Si, mi va di cucinare... poi magari ne facciamo avere qualcuno a Mycroft e vediamo se riusciamo a corromperlo per farci uscire di qui. Adora i dolci, l’ho scoperto a Natale”
Molly le strizzo’ l’occhio e si avvio’ verso la dispensa, trovandola fornita di ogni ingrediente che le serviva.
“Ok” disse Mary, un po’ sorpresa dal cambio di atteggiamento dell’altra: sembrava di nuovo piena di energie “e inoltre, mi ricordo ancora quelli che avevi fatto la prima volta che ci siamo incontrate, quando sono venuta a conoscere te e Sherlock. Erano buonissimi!”
Molly si fermo’ con il sacchetto della farina a mezz’aria, sul viso un’espressione improvvisamente pensierosa.
“Oh, me ne ero dimenticata. E’ vero, quella sera avevo preparato anche il dolce...”
 
Sherlock rientra a Baker Street e rimane inchiodato sulla porta, troppo stupito per poter anche solo formulare un qualsiasi commento. In generale, apprezza molto che sua moglie riesca ancora a sorprenderlo dopo quasi due mesi di matrimonio, ma in questo preciso momento sente solo una sottile irritazione.
“Stai cucinando” le dice quindi, con un tono di voce che suona quasi accusatorio.
Molly si volta verso di lui e gli fa un sorriso, evidentemente troppo impegnata a mescolare qualcosa per poter in qualche modo cogliere subito il suo fastidio.
Il che, inspiegabilmente, lo irrita ancora di piu’.
“Ciao” lo saluta lei  e poi fa una smorfia, realizzando finalmente cio’ che lui le ha appena detto “ma certo che sto cucinando” gli dice, tornando a concentrarsi sulla ciotola e il cucchiaio che ha tra le mani.
Sherlock entra finalmente nell’appartamento e, con una rapida occhiata, realizza la portata degli sforzi di sua moglie.
Sta preparando una vera cena: semplici stuzzichini freddi, un arrosto con patate e insalata e dei dolci. Biscotti al cioccolato.
I preferiti di John.
“Dovrebbero arrivare tra due ore, hai tutto il tempo di farti una doccia e cambiarti. Oh... spero di non aver fatto un disastro, con l’arrosto. La signora Hudson mi ha assicurato che se avessi seguito alla lettera le istruzioni, non ci sarebbero stati problemi. Mi auguro che non ci si debba rivolgere al take away” conclude con un mezzo sorriso, anche se una parte di lei  teme davvero di non riuscire a portare a termine la preparazione del pasto a cui ha tanto lavorato.
Sherlock continua ad osservarla, le mani nelle tasche del cappotto, sul viso un’espressione tesa.
Finalmente, Molly sembra accorgersi dello strano silenzio che la circonda e alza di nuovo lo sguardo su di lui.
“Sherlock?” lo interroga, ora un po’ preoccupata.
“Non capisco davvero la necessita’ di tutto questo” commenta lui.
Molly lo guarda per un attimo sorpresa, poi lascia ciotola e cucchiaio e si gira a guardarlo.
“John porta qui Mary, ricordi? Stasera ce la presentera’. Ho solo pensato che sarebbe stato carino fare una vera cena, una volta ogni tanto...”
“Per quale motivo? Tanto si lasceranno presto” le parolo di suo marito fuoriescono secche e lapidarie.
“Cosa? Perche’ dici cosi? Non l’hai ancora conosciuta per bene, l’hai solo intravista su quel treno tre settimane fa!”
Sherlock si toglie finalmente il cappotto e si mette a sedere sulla sua poltrona, gettandole un’occhiata di scherno.
“Oh per favore, sara’ esattamente come tutte le altre volte... John pensa sempre di aver trovato il grande amore della sua vita e dopo un po’, semplicemente come e’ iniziata, finisce. Questi suoi tentativi di interazione romantica sono semplicemente uno spreco di tempo e di energie... lo distraggono dal suo lavoro e lo rendono meno efficace!”
Molly si asciuga piano le mani in uno strofinaccio, poi gli si avvicina e lo guarda dritto in faccia.
“Non puoi dirlo con sicurezza, nemmeno tu. E forse questa sara’ la volta buona, John se lo merita”
Sherlock scuote il capo, come a voler sottolineare l’inconstistenza delle parole di sua moglie.
“Molly...”
“Lui sembra molto innamorato!”
“Innamorato! Di una scialba biondina con una borsa troppo piena che ha conosciuto meno di un mese fa? Ridicolo!”
L’espressione sul viso di Molly cambia, ma lui non se ne accorge, perche’ si e’ alzato di nuovo in piedi e sta camminando su e giu per la stanza.
“Innamorato... che pensiero sciocco. L’altra settimana ho dovuto praticamente costringerlo ad accompagnarmi in quel sopralluogo del caso Minton, perche’ insisteva che aveva un appuntamento con Mary e non voleva... com’e’ che ha detto? Ah si, darle buca. E due giorni fa, si e’ rifiutato di passare la notte al laboratorio mentre analizzavo quei campioni, evidentemente per stare con lei. Che idiozia!”
“Ci sono rimasta io, in laboratorio con te” mormora Molly.
E’ come se Sherlock non l’abbia sentita, lui continua a camminare avanti e indietro, borbottando qualcosa a proposito di sciocchi sentimentalismi. E’ arrabbiato e profondamente infastidito da questa donna, che sembra avere cosi tanto ascendente sul suo amico.
“Vuole solo stare con lei, non significa che ti abbandonera’” le parole di Molly lo fermano a due passi dalla finestra. Lei ha centrato il problema, naturalmente, ma lui non e’ ancora pronto ad ammetterlo.
“Non essere sciocca, e’ chiaro che non se ne andra’. Perche’ non durera’” le risponde convinto con tono scortese, anche se non e’ totalmente sicuro di questa cosa. In verita’, ha notato anche lui che John, questa volta, si comporta in modo diverso e sembra... felice.
Al punto, forse, da voler cambiare vita.
“Tu lo hai fatto” continua Molly “ti sei sposato, ma non l’hai lasciato indietro”
“La situazione e’ totalmente diversa, naturalmente. Sposarti non ha cambiato sostanzialmente nulla”
Sherlock continua a camminare, pensando con estremo fastidio che la signorina Morstan potrebbe mettere John di fronte a delle scelte difficili.
Poi pero’ realizza che non ha piu’ nessuna risposta e alza la testa di scatto, scoprendo che Molly e’ ancora nella stanza, e lo sta fissando con uno sguardo infuriato e prossimo alle lacrime per il nervosismo.
“Che ti succede?” le domanda stupito.
Lei fa un respiro profondo.
“Va a quel paese, Sherlock”
“Ma che cosa” si interrompe, vedendola stringere i pugni e voltarsi per tornare verso la cucina. Ricomincia a mescolare il contenuto della ciotola con estremo vigore, senza piu’ guardarlo o rivolgergli la parola.
“Molly?”
Lei si ferma e stringe con forza il cucchiaio. Per un attimo, Sherlock pensa che glielo tirera’ addosso.
“Non e’ cambiato nulla?” gli domanda infine, alzando su di lui gli occhi rossi “e’ questo quello che pensi del nostro matrimonio? Una necessita’ che per fortuna, non ha richiesto  troppi fastidiosi cambiamenti?”
Lui la guarda a bocca spalancata, troppo stupito per ribattere.
E’ cosi che lei ha interpretato le sue parole?
Si da’ mentalmente dello stupido per non aver riflettuto a pieno su quello che stava dicendo, ma il nervosismo per il rapporto di John con Mary ha preso il sopravvento.
“Molly, ascolta...”
“No!” lei alza una mano per interromperlo “sta zitto. Pensa bene a quello che dirai quando aprirai di nuovo la bocca, Sherlock Holmes, perche’ io ho davvero bisogno che sia qualcosa di bello e non sono sicura che tu possa farcela, ora come ora. Adesso  finiro’ di infornare i biscotti mentre tu andrai a farti una doccia e ti cambierai... e comincerai a prepararti al fatto che sara’ una serata piacevole e ti comporterai bene. Non dirai nulla di disdicevole a Mary che possa metterla in imbarazzo, o farle pensare di rivedere il suo rapporto con John a causa tua.”
Lo sguardo negli occhi di sua moglie e’ deciso e davvero molto, molto arrabbiato e ferito.
Sherlock vorrebbe protestare, ma poi opta per  una ritirata strategica in bagno, per analizzare bene quella conversazione e capire dove e quanto ha sbagliato.
Mentre il getto caldo dell’acqua gli cade addosso, ripete nella sua mente tutte le parole del dialogo  e improvvisamente, realizza la portata di quello che ha detto.
Non e’ davvero possibile che Molly pensi che il loro matrimonio per lui non sia stato importante.
O forse si, visto che le ha detto che non e’ cambiato sostanzialmente nulla.
Chiude il rubinetto con un gesto rabbioso: quello che voleva dire, e’ che lui ha potuto tranquillamente continuare il suo lavoro perche’ Molly non gli ha chiesto di fare una scelta, di decidere fra lei e il suo modo di vivere e lavorare. Perche’ e’ stata talmente comprensiva (e un po’ spaventata, lo ammette) da chiedere a John di rimanere, quando nessuno di loro era veramente pronto a un altro cambiamento.
Perche’ ha continuato a supportarlo con la sua presenza, con il suo aiuto nel laboratorio e nei suoi casi, dandogli piena  fiducia fino ad accettare di essere la sua compagna in tutto, di legarsi per sempre a lui.
Chiude gli occhi e fa un sospiro... era naturale che Molly non avrebbe capito il suo commento, avrebbe dovuto invece verbalizzare le sue convinzioni, e non dare per scontato che lei capisse al volo le implicazioni della sua frase.
Anche se dimostra di seguirlo e capirlo nella maggior parte delle cose che fa, pensa o gli servono, questo non significa che ci riesca sempre.
E nonostante il fatto che lui trovi inutile che a volte lei abbia ancora bisogno di sentirsi rassicurata, dovrebbe comunque impegnarsi a farlo di piu’. E’ una di quelle cose che John non esiterebbe a fargli notare, se fosse qui... ma non c’e’. E’ con Mary. E se non fosse per quella donna, tutta questa assurda conversazione con litigio annesso non avrebbe proprio avuto luogo.
In fondo, pero’ sa che l’unico da biasimare e’ lui stesso. In un raro momento di sincerita’ assoluta, ammette che una grossa parte di lui teme che John restera’ con questa donna, scelta che potrebbe davvero cambiare le loro vite in modo massiccio.
Si chiede per un attimo se John ha provato le stesse cose quando lui ha deciso di sposare Molly. Probabilmente si, ma gli ha dato comunque il suo appoggio.
Esce dalla camera ed entra in cucina.
Molly si sta togliendo il grembiule ed evita di guardarlo. Dal forno comincia a uscire un piacevole  profumo di biscotti.
Aspetta che Mycroft realizzi che sua cognata sa fare buoni dolci, e le sue visite raddoppieranno, per lo meno.
Sherlock abbandona il pensiero del fratello e va a piazzarsi di fronte a lei.
“Tre settimane fa...” comincia “ sul London Eye io ti ho detto che il mio bilancio del nostro matrimonio era positivo, su tutta la linea. E ne sono ancora convinto. E non perche’ non sono stato costretto a cambiare, ma perche’ tu hai reso tutto cosi facile e significativo, che non rimpiango nulla di quello che era prima. Hai permesso che io potessi continuare a fare quello che mi piace e in cui sono bravo. Mi stai accanto mentre lo faccio. Mi sopporti, mentre lo faccio. Ti sono grato di venirmi incontro in cosi tante cose e sono piu’ che lieto, di cercare di modificare il mio comportamente per farti felice. Ricordi cosa ha detto John al nostro matrimonio? Tu ne vali davvero la pena.”
Molly alza il viso.
“Non credi che anche John possa pensare di avere la stessa fortuna?”
Sherlock le fa un mezzo sorriso.
“Non quanta ne ho avuta io. Impossibile” fa un sospiro “ma suppongo di poter dare a questa Mary Morstan il beneficio del dubbio.”
Anche Molly gli sorride.
“Abbastanza bello?” le domanda Sherlock, con una punta d’ansia nella voce.
Lei sta per dirgli qualcosa, quando si porta una mano alla bocca.
“I biscotti!”
 
“Molly?”
Lei si riscosse al suono della voce preoccupata di Mary che la chiamava.
“Scusa, stavo solo ricordando quella sera” le disse, sorridendole per tranquillizzarla.
“No, non farmici pensare... ero cosi nervosa all’idea di conoscervi! Quando John mi ha detto che Sherlock mi trovava accettabile, ho pianto per venti minuti!”
“Oh, ma...”
“Lo so, lo so! Poi mi ha spiegato che era un grosso complimento, ma all’inizio ho pensato di non esservi piaciuta ed ero disperata, perche’ lo sapevo bene che il mio rapporto con John doveva passare attraverso quello che ha con Sherlock!”
Molly scoppio’ a ridere e Mary la segui’ dopo poco.
Qualcuno busso’ alla porta.
Le due si guardarono perplesse e poi Molly ando’ ad aprire.
L’assistente di Mycroft era sulla porta, come al solito uno sguardo impassibile e un telefono in mano.
“Buongiorno Dottoressa Holmes.  Suo cognato le manda questo” Anthea le tese un pacco e subito dopo spari’ con un cenno del capo.
Molly rimase a fissare perplessa la borsa che le era stata consegnata. Mary nel frattempo si era avvicinata con curiosita’.
“Di che si tratta?”
“Non lo so, vediamo un po’...”
Estrasse il contenuto del pacchetto e rimase ad osservarlo a bocca aperta, mentre Mary batteva le mani eccitata.
“Oh, Molly!”

***

“Controllate tutti gli aereoporti e gli accessi al paese, voglio essere sicuro di prenderli, quando rientreranno!”
Il colonnello Sullivan riattacco’ il telefono con forza, facendo una smorfia di scontento.
Dannati Watson e Holmes, si stavano muovendo veramente bene. Ancora non capiva perche’ si fossero recati in Germania ma era sicuro, che sarebbero tornati presto. Dollman voleva piazzare la il pugnale, evidentemente, ma era morto in Gran Bretagna, quindi il manufatto era ancora qui e se Watson lo voleva, avrebbe dovuto venire a prenderselo, ovunque fosse.
E in quel momento, lui l’avrebbe stanato.
Era parecchio irritato per tutta questa situazione: non solo perche’ il capitano gli era sfuggito prima del processo, ma soprattutto perche’ doveva ammettere di averlo giudicato male.
In Afghanistan lo aveva etichettato come un elemento degno di fiducia, con la testa sulle spalle e bravo nel suo lavoro. Un dottore che pero’ sapeva combattere e questo, ai suoi occhi, era molto importante. Gli era spiaciuto quando era rimasto ferito e poi si era congedato, perche’ aveva sperato in una sua brillante carriera.
L’idea di aver sbagliato cosi tanto il suo giudizio lo innervosiva.
E quello Sherlock Holmes, che era riuscito a fregare le sue guardie e a farlo fuggire sotto il loro naso, lo innervosiva ancora di piu’.
Forse era ora di fare un’altra visita a sua moglie... che a quel tizio del governo, il cognato, piacesse o no.
“Non credo proprio che a mia moglie farebbe piacere rivederla, colonnello. Ho come l’impressione che nel vostro colloquio, lei non sia stato molto gentile”
“Ma che diavolo?”
Il colonnello alzo’ la testa di scatto e si ritrovo’ a fissare tre uomini sulla soglia del suo ufficio.
Watson, Holmes e un biondo gigantesco.
La sua mano corse subito al telefono per avvertire la sicurezza.
“Fossi in lei non lo farei” Sherlock gli punto’ una pistola addosso “dobbiamo parlare”
“Parlare? State scherzando, vero? Siete entrambi ricercati”
“Anche io, per la verita’... anche se per motivi diversi” Klaus gli strizzo’ l’occhio e poi usci’ per mettersi di guardia alla porta.
“Siete pazzi, se pensate di poter uscire di qua senza conseguenze” minaccio’ il colonnello.
“Dovevamo assolutamente incontrarla e questo era l’unico modo” John si avvicino’ con le mani bene in vista, per dimostrare le sue intenzioni pacifiche.
“Lei dovrebbe essere in prigione, capitano”
“No... perche’ sono innocente!”
“Oh certo, come no. Vediamo... Dollman e’ stato ucciso da qualcun altro e lei e’ stato incastrato. Non ha sparato con la sua pistola e non ha rubato quel manufatto in Afghanistan” Sullivan fece un sorrisetto ironico.
John scosse la testa.
“So che le sembra incredibile, ma e’ cosi... Signore”
“E ora mi verrete a dire che pero’ non sapete chi e’ stato” commento’ il colonnello.
“Al contrario” si intromise Sherlock, che fino a quel momento si era limitato ad osservare l’ufficio con sguardo attento “sappiamo esattamente chi e’ stato. Ma lei non ci crederebbe, quindi non perdiamo tempo. Faccia invece analizzare questa” estrasse una fialetta dalla tasca e la poso’ sul tavolo dell’ufficiale.
Anche John si ritrovo’ a fissare l’oggetto con curiosita’, non sapeva proprio di cosa si potesse trattare. Suppose che fosse legato alla sparizione di Sherlock di qualche ora prima.
“Che cos’e’?” chiese Sullivan con sospetto.
“Sangue. Di John Watson. Estratto dopo poche ore l’omicidio di Dollman e conservato in un frigorifero di un bed and breakfast non lontano da qui. Sono sicuro che avete dei laboratori abbastanza forniti, da poter trovare quello che le analisi di Scotland Yard non hanno potuto rilevare.”
“E sarebbe?”
“Un tipo di droga sperimentale, in uso solo all’esercito... quella che non gli ha permesso di ricordare gli avvenimenti di quella notte. Siamo tutti d’accordo, che sedarlo e mettergli in mano una pistola che sparasse a Dollman, a quel punto sarebbe stato molto semplice, non crede?”
John era rimasto a bocca aperta. Piu’ che altro, perche’ neanche si era accorto che Sherlock gli avesse prelevato del sangue.
“Non vi aspettate sul serio che io lo faccia, vero?” negli occhi di Sullivan, passo’ tuttavia un’ombra di dubbio. La teoria poteva anche essere vera.
“Se John e’ stato drogato, allora e’ stato incastrato. Da qualcuno che aveva accesso alla sostanza e poteva monitorare Dollman senza problemi”
“Mi sta accusando, signor Holmes?”
“Io mi fido di lei” intervenne John con tono deciso “ma a questo punto, qualcun altro potrebbe aver aiutato Bross a fare tutto” si accorse troppo tardi di aver compiuto un errore.
“Bross? Il tenente Bross morto in quell’attacco kamikaze? E’ questa la sua teoria per tirarsi fuori dai guai, capitano?” il tono di Sullivan era tornato ad essere glaciale.
Prima che John potesse provare a spiegare, Klaus fece capolino dalla porta.
“Ragazzi, gente in arrivo. Meglio andare”
“Faccia analizzare quel sangue, colonnello” gli disse Sherlock.
Il militare esito’ un attimo, poi si alzo’ in piedi.
“Sicurezza!”
 
 
Ok, volevo che l’ultimo flashback di questa storia fosse tra Sherlock e Molly, quindi la trama non e’ andata molto avanti. Ma era una scena che volevo proprio scrivere. Nel prossimo capitolo piu’ azione, promesso! 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** capitolo 9 ***


Ringraziero’ come al solito per le loro belle recensioni Bored94, EbeSposaDiErcole, IrregolarediBakerStreet, Ladymisteria, miserere e Patta97, ma lascero’ tutti gli ulteriori commenti e una nota finale al prossimo capitolo, che in verita’ sara’ l’epilogo di questa storia.
Eh si... nessuno dei personaggi mi appartiene, anche se io e Klaus ci siamo fatti qualche birra insieme, ogni tanto!
Per ora grazie e buona lettura (lunga, mi sa... non mi andava di dividerlo in due parti!)
 
 

ACCUSE DAL PASSATO
CAPITOLO 9

 
“Sono uno stupido”
John scosse la testa dopo la sua esternazione e si tolse la giacca militare con gesti nervosi, buttandola poi a terra.
Anche Sherlock si stava cambiando, tuttavia si fermo’ un attimo per guardarlo.
“Non dovresti proprio biasimarti” gli disse con tono tranquillo.
John fece finire anche il cappello sul pavimento del loro attuale rifugio, un appartamento vuoto.
“Come no, certo... ho detto a Sullivan che deve credere alla mia innocenza perche’ un uomo morto tenta di incastrarmi. Era davvero il modo migliore per convincerlo!”
“Se non l’avessi fatto tu, l’avrei fatto io” le parole di Sherlock lo lasciarono a bocca aperta.
“Che cosa? Ma perche’? Sono sicuro che con la faccenda del sangue gli avevamo per lo meno insinuato un dubbio, cosi pensera’ solo che sono disperato e colpevole, tanto da inventarmi la piu’ assurda delle storie!”
Il consulente investigativo scosse le spalle.
“Dovevamo davvero escluderlo dalla lista dei sospetti, forse aveva aiutato Bross e Dollman e non c’era modo migliore per scoprirlo, che valutare la sua reazione alla tua affermazione... direi che abbiamo avuto cio’ che cercavamo. Era chiaramente sorpreso e incredulo, non era affatto a conoscenza della situazione.”
“Non credo proprio che ci aiutera’, pero’... e’ stata una fortuna che siamo riusciti a scappare dalla base, nonostante avessimo la sicurezza alle calcagna. Ormai ci stiamo facendo l’abitudine!”
“E’ stato divertente!” sbotto’ Klaus, mentre litigava con gli stivali.
Gli altri due lo guardarono per un attimo sorpresi, poi John si passo’ una mano sul collo.
“Gli abbiamo anche lasciato il campione di sangue... era l’unica prova che poteva scagionarmi, oramai non ci saranno piu’ tracce di nessuna sostanza, nel mio corpo”
“Dovevamo instillargli il dubbio, ha le risorse necessarie per fare le giuste analisi e scoprire eventuali anomalie. Se avessimo cercato di farlo da soli, non avremmo avuto la strumentazione necessaria e il Bart’s e’ off-limits, ora come ora.”
Sherlock si concesse un breve sorriso al pensiero del laboratorio e di Molly.
Presto.
Presto sarebbe tornato da lei.
“E inoltre” concluse “il colonnello Sullivan ci e’ piu’ utile come alleato, piuttosto che come nemico”
John fece una smorfia.
“Questo, se decidera’ di cambiare idea e crederci”
“L’uomo stolto e’ colui che guarda al suo errore, e va avanti. L’uomo saggio, invece, guarda al suo errore e torna indietro per porvi rimedio” commento’ Klaus, guadagnandosi un’altra occhiata stupita.
“Che c’e’? Che avete da guardarmi cosi? Mi sento offeso! Non sono solo un’uomo d’affari, io ho un animo profondo!”
“Quando ti ho conosciuto, stavi litigando per un candelabro d’oro con un tizio ungherese. Ed eri in mutande.” disse Sherlock, cominciando a raccogliere le sue cose.
Klaus sorrise.
“Ah si, Berlino! Gran bel candelabro, mai avuto la forza di rivenderlo, e’ ancora a casa mia, sul camino... era appartenuto allo zar di Russia!”
“Dopo che  l’hai preso, l’hai usato per aprirti una bottiglia di birra” concluse il consulente investigativo, facendo sorridere John.
“Beh, era l’unico oggetto con cui fare leva che mi ritrovassi fra le mani” spiego’ Klaus con soddisfazione, prima di riprendere uno sguardo concentrato.
“Ora che si fa?” domando’.
“Tu puoi ripartire, davvero... ti sono grato dell’aiuto che ci stai dando, ma non voglio che rischi piu’ del dovuto a causa mia” si ritrovo’ a dire John.
“Stai scherzando, vero? Adesso che le cose si fanno interessanti? Non ci penso proprio! Allora, prossima mossa?”
“Aspettiamo” disse Sherlock, facendoli girare entrambi verso di lui.
“Che cosa aspettiamo?” chiese il Dottor Watson.
“La cerimonia di domani. La traslazione delle salme nel nuovo monumento fara’  venire allo scoperto Bross, e’ il momento che attende da piu’ di quattro anni”
“E’ questo che non capisco... perche’ aspettare tutto questo tempo?” ragiono’ John.
“Pensa, John... si e’ dovuto fingere morto e ha dovuto rientrare dall’Afghanistan in modo clandestino, probabilmente muovendosi lungo il paese con mezzi di fortuna. Dollman non puo’ averlo aiutato piu’ di tanto, per non attirare troppi sospetti, anche se non e’ riuscito a stare lontano dal contrabbando di manufatti rubati”
“Ma quattro anni sono tanti...”
“Il che ci riporta al tuo sangue”
“Che cosa?”
“Credi che sarebbe riuscito a procurarsi una droga sperimentale dell’esercito mentre viveva in clandestinita’?”
John scosse la testa.
“Non lo so, questa storia e’ cosi assurda, che non sono piu’ sicuro di niente”
“Qualcun altro lo ha aiutato. Qualcuno che evidentemente, e’ tornato nel paese solo ora, in tempo per pretendere la sua parte da Bross e Dollman.”
John sospiro’.
“Allora spero che Sullivan decida di agire per il meglio”
Klaus gli arrivo’ vicino e gli diede una manata sulla spalla.
“Non preoccuparti, Dottore. Domani risolviamo la faccenda, in un modo o nell’altro. Giusto, Sherlock?”
Ma quest’ultimo era immerso in profondi pensieri e non rispose.

***

L’inizio della cerimonia era previsto per le dieci del mattino: intorno all’area era stato allestito un blando cordone di sicurezza, giusto per evitare l’intervento di qualche facinoroso desideroso solo di creare scompiglio.
Non erano presenti molti addetti della stampa, occasioni del genere ormai non facevano piu’ molta notizia e la gente, non aveva voglia di ricordarsi di assurde morti in terre lontane.
Sul palco per le autorita’, un generale avrebbe tenuto un discorso e poi si sarebbe proceduto ad inaugurare il nuovo monumento nel cimitero militare, trasferendo i resti dei militari caduti.
John aveva letto il programma molte volte, dopo aver ricevuto l’invito... ne aveva anche parlato con Mary, che si era subito offerta di accompagnarlo. Nonostante lui non le avesse raccontato tutto della sua vita da soldato, la sua fidanzata aveva capito che era una parte dolorosa che potevano e dovevano affrontare e condividere, prima o poi, anche se a piccoli passi.
Quella mattina, John si ritrovo’ nella sua divisa da giardiniere a contemplare i preparativi e si disse amaramente, che non era affatto giusto che il tutto avvenisse in quell’atmosfera dimessa, come se ci fosse qualcosa di cui vergognarsi e si trattasse di una pratica da sbrigare senza sforzi eccessivi. Poi la rabbia prese il sopravvento, al pensiero che Bross era li, da qualche parte, pronto a violare la sacralita’ del luogo e delle persone li’ sepolte per un oggetto rubato.
E una montagna di soldi.
Un soldato gli passo’ vicino e gli getto’ uno sguardo fugace.
John si affretto’ ad abbassare il capo e ricominciare a piantare fiori: il travestimento che Sherlock aveva loro procurato stava funzionando molto bene, ma non voleva correre il rischio di essere riconosciuto; era evidente che alla fine il colonnello Sullivan aveva deciso di non credergli, altrimenti avrebbero avuto notizia di qualche sviluppo della faccenda. Potevano contare solo sulle loro forze, ormai.
Alcuni parenti stavano arrivando alla spicciolata, prendendo posto su alcune sedie poste dinanzi al palco.
“Mi chiedo da che parte arrivera’ Bross” la voce profonda di Klaus arrivo’ ad interrompere i pensieri di John.
“E’ gia’ qui, naturalmente” Sherlock si chino’ sul terreno, fingendo di esaminare delle piantine.
“Tu credi?” il tedesco gli getto’ un’occhiata scettica.
Sherlock strinse le labbra.
“Io non credo... io sono sicuro”
John roteo’ gli occhi.
“Suvvia, Sherlock. Non e’ il momento di puntualizzare la tua straordinaria intelligenza, ora. Sono sicuro che Klaus ne e’ ben consapevole, si tratta solo di” si interruppe sbarrando gli occhi, e gli altri due seguirono subito il suo sguardo.
“John?”
Lui scosse la testa. Per un attimo, aveva pensato di aver visto il tenente Bross, ma poi ad una seconda occhiata aveva capito che si trattava solo di qualcuno che gli assomigliava. Dovevano essere tutte le divise che lo circondavano.
Calmo. Respira. Non e’ il momento di farsi prendere dal panico o dalla fretta.
“Non sara’ cosi facile, temo” gli disse Sherlock, facendogli capire di aver compreso che cosa fosse successo “Bross non sara’ cosi temerario da mostrarsi per come e’, anche se sono passati tanti anni. Qualcuno potrebbe riconoscerlo, tu per primo. Sicuramente ha adottato anche lui un travestimento, dobbiamo solo capire chi gli faccia piu’ comodo essere in questo momento.”
“Mescolato tra i parenti?” azzardo’ Klaus.
Sherlock scosse la testa.
“Piu’ vicino... deve essere piu’ vicino e a contatto con le bare”
“La bara” corresse distrattamente John, ancora concentrato su se’ stesso e sul mantenere la calma.
“Che intendi dire?” il tono di Sherlock era improvvisamente interessato.
Il suo amico fece una smorfia.
“I resti dei soldati vittime dell’attentato kamikaze erano molto difficili da identificare, di comune accordo con i parenti si e’ deciso di seppellirli tutti in un’unica bara... ecco perche’ verranno messi nel monumento che ricorda tutti i caduti delle missioni all’estero.”
“Molto comodo...”
“Sherlock! Accidenti, un po’ di rispetto!” John lo guardo’ arrabbiato, ma l’altro scosse la testa.
“Non capisci? Il pugnale e’ li dentro, non ci sono possibilita’ di errore o confusione... in un unico contenitore. Su un unico trasporto.”
L’attenzione di tutti e tre si concentro’ sul camion che doveva effettuare il percorso dalla vecchia tomba al nuovo monumento.
Lentamente. Con il corteo a piedi dei parenti al seguito. Con tutto il tempo per aprire e recuperare l’oggetto, che da piu’ di quattro anni giaceva sepolto insieme alle vittime.
“Merda. E’ davvero qui” commento’ John, come se solo in quel momento si rendesse finalmente conto, di quanto tutta quell’assurda storia fosse vera.
Sherlock si limito’ a stringere gli occhi.
Klaus fu quello piu’ diretto.
“Andiamo a prenderlo”.

***

Il colonnello Sullivan si guardo’ intorno e poi torno’ a concentrarsi sull’inizio della cerimonia, calando sul viso la sua solita espressione glaciale.
La verita’ era che aveva conosciuto personalmente ognuno degli uomini caduti e parlato con ognuna delle loro famiglie... e mai, mai si sarebbe abituato a quella parte dolorosa del suo lavoro, anche se poi era costretto a definirla semplicemente come un rischio del mestiere. Non avrebbe cambiato la  carriera militare con nulla al mondo, ma a volte proprio la odiava.
E ancora di piu’, odiava chi cercava di infangarla.
Torno’ a scrutare la piccola folla presente.
Watson doveva essere per forza da qualche parte.

***

Sherlock, John e Klaus si avvicinarono furtivi al camion del trasporto e diedero un’occhiata all’interno.
Vuoto.
“Dove diavolo e’?” mormoro’ John, notando che la cerimonia era iniziata.
Sherlock fissava i presenti.
Un travestimento... qualcosa che gli permetta di avvicinarsi senza essere notato o riconosciuto.
Reduce. Vedova. Madre. Sorella. Amante. Padre. Fratellastro.
Passo’ in rassegna le persone vicine, inquadrandole e scartandole subito dopo. Nessuna di loro poteva essere Bross.
E allo stesso tempo, qualcuno lo era senz’altro.

***

Il discorso del generale non fu particolarmente lungo o prolisso, e il colonnello Sullivan ne fu lieto.
Certe occasioni potevano scatenare le smanie di protagonismo di qualcuno, ma evidentemente non era questo il caso.
La piccola folla applaudi’ educatamente e poi tutte le persone si alzarono per seguire il carro che avrebbe trasportato i resti al nuovo monumento.
John osservo’ il tutto battendo il piede a terra con impazienza, finche’ non ne pote’ piu’.
“Non e’ qui!” esclamo’.
“E’ qui” ribatte’ Sherlock, continuando ad osservare la scena.
“E allora dove” il dottor Watson si interruppe.
Mary e Molly erano tra la folla che partecipava alla cerimonia.
Lei e’ venuta. E’ venuta per me, per essermi in qualche modo vicina.
Per un attimo, il desiderio di correre dalla sua fidanzata fu piu’ forte di ogni altra cosa.
“Non ora” Sherlock interruppe i suoi pensieri, dopo aver dedicato un’occhiata fugace a sua moglie. Non poteva permettersi distrazioni, in quel momento.
Ma Molly era pallida.
E’ stata male. Il cibo dell’albergo e’ stato un disastro, davvero non capisco i benefici di essere andata a quell’insulso congresso.
Tuttavia
“Sempre ammirato chi ci sa fare con i blocchi di marmo. Una delle piu’ belle opere che ho mai, ehm... trattato e’ stata una scultura minore di Michelangelo”
John e Sherlock si voltarono verso Klaus, che continuo’ a parlare incurante del loro sguardo perplesso.
“Insomma... un conto e’ dipingere e per carita’, mi piacciono i  quadri ma uno scultore... vede qualcosa in un pezzo informe e lo trasforma.. e’ una specie di magia, non credete?”
Gli altri due si concentrarono su quello che lui stava osservando e quasi simultaneamente, capirono.
Lo scultore che aveva creato il monumento aspettava in un angolo che la cerimonia fosse finita per completarlo.
Richiuderlo definitivamente.
I due partirono di scatto. Klaus li segui’ a ruota, borbottando qualcosa a proposito delle cattive maniere degli inglesi.
“Fermo! Fermati!” John si mise a gridare non appena intravide la figura di spalle, ma quando questo si volto’, si blocco’ impietrito.
Lo cerco io e gli riferiro’ che lo sta aspettando, signore.
L’uomo davanti a lui aveva la barba lunga e un viso scavato.
Ma era senza dubbio il tenente Bross.
“Capitano” lo saluto’, puntandogli addosso una pistola.
I minuti successivi furono un vero caos.
Bross era cosi concentrato su John, ancora immobile, da non accorgersi del fatto che Klaus gli era arrivato alle spalle, finche’ non si senti’ colpire.
Dalla pistola parti’ un colpo che risuono’ nel silenzio della solennita’ della cerimonia, creando il panico fra i presenti.
Un gruppo di soldati si diresse verso il punto di provenienza dello sparo.
John si riscosse e raggiunse Bross a terra cominciando a colpirlo con una serie di pugni: quello era l’uomo che aveva tentato di rovinargli la vita, ma soprattutto, era l’uomo per il quale si era disperato e sentito in colpa per tutti quegli anni, quando invece lui aveva tradito tutto e tutti.
John continuo’ a colpire forte, preso da una rabbia incredibile, finche’ Sherlock non si decise a fermarlo trattenendolo a forza.
La voce di Sullivan arrivo’ a sovrastare l’intera situazione.
“Arrestate quegli uomini!”
I soldati si diressero velocemente verso John e Sherlock.
“Non loro, idioti! LORO!” il colonnello indico’ Bross ancora a terra e un capitano che stava cercando di svignarsela.

***

“Cosi mi ha creduto”
John accetto’ di buon grado il bicchiere di caffe’ offerto dal colonnello Sullivan, il quale fece un mezzo sorriso.
“A lei? Che e’ fuggito dalla mia base militare ed ha accusato di omicidio un uomo morto?
No... non le ho creduto. Ho creduto ai fatti. Nel suo sangue c’era davvero una droga sperimentale. Il capitano Curtis, quello arrestato insieme a Bross, e’ il tecnico del nostro laboratorio... ed era in Afghanistan ai tempi dell’attentato. Fu lui ad essere incaricato di riconoscere i resti delle vittime. Ed era stato in accademia con Dollman. Li aveva aiutati a nascondere il pugnale e aveva coperto Bross, certificando  la sua finta morte.
Il suo amico Holmes non e’ l’unico in grado di analizzare e collegare i fatti”
John aspetto che Sherlock ribattesse in qualche modo, ma lui si limito’ a continuare a fissarli.
“Ma perche’ aspettare tutto questo tempo?” torno’ a chiedersi John.
“Curtis fu trasferito in Giappone subito dopo l’Afghanistan, e’ rientrato circa due mesi fa. Ha partecipato all’organizzazione della cerimonia di oggi, evidentemente era arrivato il momento giusto, ma Dollman deve aver cominciato a rappresentare un impiccio. Lui e Bross l’hanno ucciso”
“Facendo ricadere la colpa su di me” puntualizzo’ John.
“Facendo ricadere la colpa su di lei” concesse il colonnello con un cenno del capo.
Sherlock era stranamente silenzioso, per nulla ansioso di dimostrare teorie e fatti con la sua impressionante logica.
John gli rivolse una mezza occhiata preoccupata, prima di concentrarsi di nuovo sull’uomo di fronte a lui.
“Sembra davvero una storia assurda. Spero che quei due paghino per quello che hanno fatto.”
Sullivan annui’.
“Faremo in modo che il pugnale sia restituito al governo Afghano, al piu’ presto. Vuole parlare con il tenente Bross prima che lo portino via?”
John si senti’ improvvisamente molto stanco. Non era sicuro di volerlo sul serio: quella storia aveva riportato a galla tante cose, forse era davvero arrivato il momento di chiudere definitivamente quel capitolo della sua vita.
“No... credo proprio di no” rispose quindi.
Il colonnello annui’ e poi torno’ a squadrarlo con aria severa.
‘Quanto a lei... e’ fuggito mentre era in attesa di essere sottoposto a corte marziale”
John fece una smorfia incredula.
“Cosa? Oh, andiamo... ero innocente! Non vorra’ davvero perseguirmi per questa cosa?”
“Ci sono delle regole. E vanno rispettate, anche quando non ci piacciono”
“Io non faccio piu’ parte dell’esercito, mi avete reintegrato a forza per un crimine che non ho commesso!”
Il colonnello Sullivan lo osservo’ per un lungo attimo.
“Sara’ congedato e le verranno revocati i benefici pensionistici, capitano. Si consideri fortunato a non essere piu’ sotto il mio comando” il militare fece un cenno a Sherlock e se ne ando’.
“Ma tu guarda...” John scosse il capo e si volto’ verso il suo amico.
Un sorriso enorme gli comparve sul viso.
“E’ finita! Sono di nuovo un uomo libero! Ma dove e’ finito Klaus?”
Sherlock alzo’ le spalle
“Probabilmente da qualche parte non troppo in vista... ricorda che e’ ricercato. Forse e’ gia’ ripartito per la Germania”
“Peccato, avrei voluto ringraziarlo per il suo aiuto!” disse John poi, improvvisamente, si ricordo’ di una cosa.
“Mary e Molly erano alla cerimonia!”
Sherlock annui’.
“Si. Stanno arrivando, Sullivan  fara’ passare loro il cordone di sicurezza fra poco”
John gli si avvicino’ e gli si mise a fianco, osservando insieme a lui il punto da dove tra poco sarebbero spuntate le due donne.
“Sai, i bambini cadono” esclamo’ improvvisamente.
Sherlock si giro’ verso di lui, uno sguardo estremamente perplesso sul volto.
“Si, spesso. E hanno la spiacevole tendenza a toccare quello che non devono toccare e a mettersi in bocca di tutto... sono attratti dalle cose pericolose e fanno cose pericolose. Si arrampicano, corrono, sbattono...”
“Il punto sarebbe?” Sherlock torno’ a guardare davanti a se’.
“Sono esseri indifesi, Sherlock. Un bambino e’ un bambino, va protetto e basta. Va curato, non perche’ e’ figlio di qualcuno in particolare, ma perche’ e’ cosi che deve essere. E tu sai prenderti cura delle persone, Sherlock... sei morto, per prenderti cura di chi avevi a cuore, per tenerci al sicuro.
Ci hai salvati. Hai salvato me piu’ di una volta, anche oggi”
John lo guardo’ serio, tentando di trasmettergli tutta la sua fiducia e incoraggiamento.
E io ci saro’ sempre, se avrai bisogno di me.
Sherlock si lascio’ finalmente andare ad un sorriso, annuendo piano.
Mary e Molly si stavano avvicinando; la prima intravide John, fece un urlo di gioia e gli corse incontro, facendosi abbracciare forte e piangendo allo stesso tempo.
Sherlock Holmes osservo’ sua moglie avanzare piano, gli occhi incatenati ai suoi: stava sorridendo dolcemente ed era ormai a pochi metri di distanza.
Lui si ritrovo’ a contraccambiare il sorriso mentre cominciava ad andarle incontro, il cuore che improvvisamente gli batteva forte.
Allora e’ questo che si prova.
Ancora pochi passi...
“La deliziosa signora Holmes!”
Molly si ritrovo’ improvvisamente circondata dalle grandi braccia di Klaus.
“Ah, non ha idea di quanto io avessi voglia di incontrarti, cara! Certo che sei proprio piccola! Sai, mi sono detto: devo proprio conoscere la donna che ha incastrato il buon vecchio Sherlock. Senza offesa, naturalmente... mi sembra che se la passi bene da uomo sposato, anche se non sono ancora riuscito a convincerlo che la birra tedesca e’ meglio della vostra! Per la verita’, credo di non averlo mai visto bere birra, ma potrei raccontarti di quelle storie!”
Molly era troppo sbalordita per replicare a quel gigante biondo, che sembrava proprio contento di vederla.
“Klaus, lascia andare mia moglie... e il mio bambino, per favore.” La voce sicura e profonda di Sherlock risuono’ alle spalle del tedesco e lui mollo’ la presa di colpo.
“Che mi venga un accidente! Stai scherzando, vero?” sposto’ lo sguardo alternativamente dall’una all’altro, che tuttavia continuavano a guardarsi negli occhi, incuranti della sua presenza.
Molly ricomincio’ a sorridere.
“Sapevo che l’avresti capito”
Lui fece un altro passo verso di lei, arrivandole vicinissimo.
“Gia’ quando eri tra la folla alla cerimonia. Se ti avessi visto prima, avrei risparmiato a Mycroft l’incombenza di recapitarti i test di gravidanza”
Molly fece una piccola risata ricordando il suo stupore, quando aveva aperto il pacchetto che suo cognato le aveva fatto consegnare.
Gli mise le mani intorno al collo.
“Eri impegnato”
Lui la abbraccio’. Finalmente.
“Adesso sono qui. E sono pronto”
Sua moglie fece una smorfia.
“Schiocchezze. Sei spaventato a morte, come e’ giusto che sia... ma sai una cosa? Sarai bravo”
Sherlock annui’ piano e poi si chino’ a baciarla.
“Sapete che vi dico? Io me ne vado. Voi inglesi siete proprio strani. E’ stato un piacere, Holmes. Davvero divertente.
Ora pero’ e’ meglio che mi eclissi, troppe forze dell’ordine in giro. In fondo sono ancora ricercato... salutami il Dottore!” Klaus fece una risata e poi si allontano’.
 
 
Ok. A presto con l’epilogo!
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Epilogo: Frammenti ***


Ok. Ultimo capitolo della storia... e ultima storia della serie. Non credo si possa andare oltre, anche se io inizialmente avevo pensato di fermarmi dopo “La proposta di matrimonio”, quindi non si puo’ mai dire...
Non volevo tirarmi indietro dopo averla buttata li, c’e’ stato il matrimonio, perche’ non poteva esserci la gravidanza? Dopo di che, per non rischiare di andare troppo fuori contesto, ho deciso di fare un esperimento e fare un epilogo di “frammenti”, momenti che avrei voluto inserire se avessi scritto un’intera storia.
Mi piacerebbe non smettere, comunque... ho davvero avuto tante soddisfazioni entrando a far parte di EFP e mi sono parecchio divertita.
Il che mi porta a ringraziare ancora tanto tanto chi ha letto e chi ha recensito: e’ stato un vero piacere. GRAZIEEEE!
NOTA FINALE (e poi smetto): come sempre, nessun personaggio mi appartiene.
 

ACCUSE DAL PASSATO

EPILOGO: FRAMMENTI
 

FRAMMENTO N. 1

 
Sherlock Holmes non era diventato un marito ansioso, dopo aver saputo della gravidanza di sua moglie.
Se lui era fuori per un caso (e doveva valerne davvero la pena), un sms all’ora che gli assicurasse che tutto andava bene era piu’ che sufficiente.
Cambiare ginecologo era stato invece assolutamente necessario, visto che il precedente aveva particolari abitudini che lui aveva dedotto con una semplice occhiata, quando aveva accompagnato Molly alla prima visita. Non era davvero il caso di mettere la salute di sua moglie o del nascituro nelle mani di un uomo a cui piacevano gli sport estremi: le probabilita’ che si facesse male e non potesse seguirli adeguatamente erano piu’ alte della media.
E naturalmente, non era affatto strano o fuori luogo, ricordare a John che lui non esercitava piu’ una normale carriera medica da molto tempo, quando cercava di minimizzare i malesseri di Molly o di spiegargli i cambiamenti a cui il suo corpo sarebbe andato incontro.
Non era affatto rassicurante, sentirgli dire come certe cose fossero assolutamente normali.
Dopo un caso che lo aveva tenuto lontano da casa per 15 ore, Sherlock arrivo’ a Baker Street e trovo’ Molly in cucina, intenta a leggere una rivista di patologia che teneva appoggiata al tavolo. Le sue mani erano occupate a mangiare, naturalmente: sembrava che le piacesse proprio molto farlo, ultimamente, alle ore piu’ disparate del giorno e della notte.
Quando non era in bagno a vomitare.
Le si avvicino’ e le poso’ un bacio sulla nuca, gettando un’occhiata distratta all’articolo che lei stava leggendo: amputazioni post mortem. Sembrava promettente, piu’ tardi gli avrebbe dato un’occhiata.
Lei alzo’ il viso e gli sorrise.
“Ciao!”
Lui la ricambio’ e la scruto’ con attenzione.
“Vedo che non sei stata male da quando io sono uscito. La tisana della signora Hudson fa finalmente effetto?”
Lei scosse la testa.
“Puo’ darsi. Semplicemente sto meglio, oggi. Forse il periodo della nausea mattutina, pomeridiana, serale e notturna e’ finito! O forse ho trovato la combinazione perfetta di cibo che mi fa stare bene!”
Lui osservo’ il suo piatto quasi vuoto.
“Uova, formaggio e peperoni. Biscotti al cioccolato e cracker... marmellata su... una banana?” termino’ la sua analisi con un’alzata perplessa di sopracciglio.
Lei impallidi’.
“Mi sembravano davvero buoni, fino a cinque minuti fa ma adesso che tu li hai nominati...” si porto’ una mano alla bocca e corse verso il bagno.
Sherlock scosse la testa. Poi prese la rivista e si sedette al tavolo per leggere l’articolo. Davvero promettente.
Tuttavia, un minuto dopo si alzo’ sospirando e la raggiunse in bagno con un bicchiere d’acqua.
Contemporaneamente, compose il numero del ginecologo al telefono.
Ansioso, no.
Assolutamente no.

FRAMMENTO N. 2
 

Il monitor dell’ecografo emise uno strano ronzio.
“Signor Holmes, la prego... sarebbe meglio spegnere il cellulare. Puo’ disturbare il funzionamento di queste apparecchiature”
Molly si giro’ verso suo marito con un’espressione di biasimo, ma Sherlock assunse un’aria offesa.
“Che c’e’? Il mio telefono e’ spento!”
Il trillo di una suoneria con la canzone del ballo di gruppo del momento, irruppe nell’ambulatorio medico.
L’ecografista fece un sobbalzo.
“Oh cielo, scusate... e’ il mio!” si affretto’ a prenderlo dalla tasca e usci’ per rispondere.
“Dovremo cambiare medico” commento’ Sherlock.
Molly sbuffo’.
“O per favore, Sherlock... non di nuovo. Solo perche’ aveva il cellulare acceso, non significa che non sia bravo!”
“A parte il fatto che ha incolpato me, la telefonata che ha appena ricevuto gli comunicava che ha ottenuto un posto di prestigio a Liverpool. Si trasferira’ presto.”
“Oh”
L’uomo rientro’ in quel momento dalla porta, sul viso un’espressione davvero soddisfatta.
“Bene, signori... scusate davvero per l’interruzione. Avro’ bisogno di fornirvi il nome di un mio collega che possa continuare a seguirvi, ma per ora, vediamo un po’ come va. Dovremmo riuscire a sentire il battito entro poco.”
Sherlock senti’ la piccola mano di Molly che stringeva forte la sua e ricambio’. La solita inquietudine di quei giorni, mista a un nuovo senso di aspettativa, lo inondo’.
“Ma guarda... interessante” fu il primo commento del dottore.
 

FRAMMENTO N. 3
 

 “Ma certo che abbiamo casi di parti gemellari in famiglia, Sherlock! Tuo nonno paterno e il prozio Stewart, non ricordi?”
Sherlock strinse piu’ forte il telefono, evitando accuratamente di guardare Molly, seduta accanto a lui su una panchina fuori dall’ospedale.
“No mamma... evidentemente non ricordo” sibilo’, sapendo gia’ cosa sarebbe arrivato dopo.
“Certo, se tu avessi studiato meglio il nostro albero genealogico come ha fatto Mycroft, non mi faresti questa domanda... un momento significa forse?”
“Ciao mamma” riattacco’ e rimase a guardare fisso davanti a lui.
“Avevi detto di no” disse Molly dopo un lungo  momento di silenzio.
Sherlock inclino’ leggermente il capo.
“Se rammento bene, ho detto che non mi sembrava proprio
Finalmente si volto’ a guardarla, scoprendo che lei stava facendo esattamente lo stesso con lui e probabilmente, l’espressione stupefatta sul suo viso rifletteva quella del suo.
E poi, entrambi scoppiarono a ridere.
 

FRAMMENTO N. 4
 

 “Grazie di avermi accompagnata a fare shopping, ancora non ci credo che quei pantaloni non mi vadano piu’ bene! Dopo solo un mese! Forse esplodero’” Molly si lascio’ cadere sul divano di casa Watson e Mary le rivolse uno sguardo di simpatia.
“Smettila! Sei in gran forma. Vuoi una tazza di the?”
“Si grazie” Molly si guardo’ intorno “mi piace come avete sistemato il soggiorno, sembra piu’ grande, cosi”
“Grazie” le rispose Mary dalla cucina “ho solo dovuto costringere mio marito con la forza a spostare i mobili”
L’altra ridacchio’.
“E il candelabro sul camino sta proprio bene. E’ un oggetto molto bello”
Mary apparve sulla soglia della stanza.
“Si... e’ stato un regalo di nozze. Arrivato per posta. Quando John l’ha visto, e’ scoppiato a ridere e ha insistito per metterlo li. Devo dire che mi piace.”
“Sembra un oggetto prezioso”
“Gia’, l’ha detto anche mia cugina la settimana scorsa quando e’ venuta a trovarci e sai... lei commercia arte, quindi se ne intende. Non ho capito bene chi l’ha mandato, ma non indovinerai mai quale e’ la cosa piu’ strana!”
“Quale?”
“L’altra sera John l’ha usato per aprirsi una birra”
 

FRAMMENTO N.5
 

 “Decisamente api, non farfalle”
Molly si volto’ stupita verso suo marito.
“Anche le farfalle sono carine”
Sherlock roteo’ gli occhi.
“Molly... questi sono i carillon che andranno posizionati sulle teste dei nostri figli. Credi davvero che ci serva qualcosa di carino? Li osserveranno a lungo, e’ chiaro che devono rappresentare qualcosa di stimolante e interessante... e le api sono animali stimolanti e interessanti, benche’ questa rappresentazione sia alquanto imprecisa! Troppi colori e le ali non sono proporzionate al resto del corpo, ma penso possano andare bene, come primo approccio” guardo’ con disdegno le figure di stoffa appese sopra una culla del negozio. La commessa fece una smorfia e Molly sospiro’.
“Va bene... per me e’ solo importante che siano simpatici e colorati, con una bella musica che accompagni i loro sogni”
“Mozart, naturalmente.” commento’ Sherlock, mentre digitava velocemente sul suo telefono.
“Naturalmente” commento’ rassegnata la commessa.
 

FRAMMENTO N. 6
 

“Christine, come mia madre”
Sherlock bacio’ piano la tempia di Molly, abbracciata a lui sul divano.
“Mi piace.”
Lei si giro’ a guardarlo negli occhi, uno sguardo convinto.
“E Leonard, come tuo padre”
Lui non riusci’ a nascondere la sorpresa.
“Molly, non credo che”
“Si, invece” lo interruppe lei, poi aggiunse in tono piu’ gentile “per favore”
“Ma perche’?”
“Perche’ e’ una parte di te... e sara’ una parte di lui. Lo e’ gia’, se non altro a livello biologico. Sherlock, era tuo padre”
Lui strinse le labbra.
“E’ stato anche a causa sua se tu...” non riusci’ a finire la frase.
Molly gli mise un dito sulle labbra.
“Mi hai detto che te lo ricordi appena. Sara’ come darvi una seconda possibilita’, tu sarai per i nostri figli il padre che lui non ha voluto o potuto essere per te e Mycroft”
Sherlock chiuse gli occhi per un attimo.
Christine e Leonard Holmes.
I suoi figli.
Riapri’ gli occhi e sorrise a Molly.
“Si”
 

FRAMMENTO N. 7
 

“Segni di strangolamento”
Sherlock si inginocchio’ davanti al cadavere vicino a Lestrade.
Dalla tasca del suo cappotto usci’ uno strano suono.
“Che cosa e’ stato?” l’ispettore si guardo’ intorno stupito.
“Veniva dalla tasca del geniaccio” commento’ acida Donovan.
Senza staccare gli occhi dalla vittima, Sherlock si infilo’ una mano in tasca e ne estrasse un libricino di stoffa morbido e colorato.
Lestrade lo afferro’ e lo guardo’ esterefatto.
“Il pulcino Teo nella vecchia fattoria?”
Lo schiaccio’ e nella stanza si udi’ il verso di una paperella.
“Gli stimoli sonori e uditivi sono molto importanti, a qualsiasi eta’ e soprattutto nei primi mesi di vita. Sto comparando le diverse pubblicazioni, per stabilire quali siano le migliori da sottoporre ai gemelli” Sherlock estrasse la sua lente di ingrandimento e osservo’ da vicino la manica della giacca dell’uomo morto.
“Che non sono ancora nati” commento’ Lestrade.
“Sto solo cercando di essere preparato” Sherlock passo’ ad esaminare le scarpe del cadavere.
“Io preferisco ancora quello della pecora Nancy, comunque” commento’ John, chinandosi vicino a lui.
“Per favore, John... ne abbiamo gia’ parlato. Troppo semplice e non sono ancora del tutto  convinto, che dotare gli animali di dialoghi sia appropriato” ribatte’ Sherlock dal pavimento.
Lestrade rimase a bocca aperta.
“Tu lo stai aiutando in questa roba?”
John lo guardo’ stupito.
“Certo che si. Hai idea di quanti libri per bambini ci siano al giorno d’oggi?”
“Non e’ morto qui. Cercate al club che frequetava a Chelsea. C’e’ rimasto almeno fino alle 23, ha bevuto due martini con una donna bionda... non la moglie, naturalmente. Oh, e l’assassino ha delle scarpe rosse” Sherlock tese la mano verso l’ispettore “Il mio libro, Lestrade, grazie.  Devo ancora finirlo”
 

FRAMMENTO N. 8
 

“Dov’e’?”
Sherlock entro’ a precipizio all’obitorio del Bart’s e Mike Stamford gli rivolse uno sguardo contrito.
“Ancora di la... mi dispiace, Sherlock. Sembrava andasse tutto bene e poi all’improvviso...”
Lui contrasse la mascella.
“Va bene, ci penso io ora. Grazie di avermi chiamato”
Si diresse verso la sala autopsie e apri’ piano la porta.
“Molly?”
La individuo’ subito, era seduta alla scrivania e stava piangendo.
“P-per favore, n-non d-dirmi che me l’a-avevi detto” gli disse lei tra un singhiozzo e l’altro.
Sherlock le arrivo’ vicino e la fece alzare piano, abbracciandola con delicatezza e sentendo il suo ventre ormai arrotondato appoggiarsi a lui.
Sospiro’ piano al pensiero della testardaggine di sua moglie.
Lui glielo aveva detto, che sarebbe finita cosi.
“No, non lo faro’. Pero’ adesso ti accompagno a casa, va bene? Qui finira’ qualcun altro”
Lei scosse piano la testa.
“Ho gia’ f-finito... poi pero’ ho c-cominciato a piangere e non riesco piu’ a smettere. Devo s-solo firmare i documenti”
Molly si sciolse dal suo abbraccio e comincio’ a frugarsi nelle tasche.
Sherlock le tese un fazzoletto e lei si soffio’ rumorosamente il naso, scacciando le lacrime dagli occhi con le mani.
Poi ripesco’ un foglio dal tavolo, apponendo il suo nome sul fondo.
Neonato di tre mesi. Esito dell’autopsia: morte in culla.
Quasi inconsciamente, Sherlock torno’ a stringerla forte.
“Andiamo a casa” le sussurro’, desiderando disperatamente di poterla sempre tenere cosi, al sicuro da tutto.
Lei annui’ piano.
“Sono contenta che Mike ti abbia chiamato” era stata  cosi sicura di poter portare a termine l’autopsia senza problemi... ma poi non era riuscita a fare altro, che a pensare ai bimbi che stavano crescendo dentro di lei.
“Anche io” le rispose Sherlock.
 

FRAMMENTO N. 9
 

 
“Come sarebbe a dire, stanno per nascere?”
“Sarebbe a dire che la signora sta per partorire i gemelli... era previsto un taglio cesareo, ma a quanto pare non ci sara’ il tempo. Si prepari a entrare in sala parto, signor Holmes” l’infermiera rivolse all’uomo uno sguardo di simpatia.
Tutti cosi. Quando arriva il momento, vanno  tutti nel panico.
“Oh no”
“Signor Holmes... stia tranquillo. Non e’ insolito per i gemelli nascere in anticipo e non e’ troppo presto, non ci saranno complicazioni, vedra’. Su, ora venga con me!”
“No, lei non capisce! Io non sono Sherlock Holmes!” l’infermiera si blocco’ con la mano sul suo braccio.
“Senta giovanotto! E’ o non e’ il padre dei bambini?”
“Sta scherzando, vero? Mi chiamo Anderson, sono della polizia scientifica di Scotland Yard. Ieri ho combinato un casino e per punirmi il mio capo mi ha mandato a Baker Street a consegnare una cosa ad Holmes, cosi mi sarei preso la mia dose di insulti.  Ma lui non c’era e ho trovato la dottoressa che stava male, cosi l’ho accompagnata! Non... non ci penso proprio ad entrare li dentro!” il suo viso assunse un colorito molto pallido.
L’infermiera chiuse gli occhi e conto’ fino a cinque.
“Allora che sta aspettando? Trovi il padre e lo avverta!”
Anderson scosse il capo.
“Non puo’ farlo Molly? Voglio dire... la dottoressa Hooper... Holmes?”
“Ma dico, non vi fanno un test di intelligenza prima di entrare in polizia? La signora e’ in travaglio!”
Anderson alzo’ le mani.
“Ok, ok...” prese il cellulare dalla tasca “Capo? Abbiamo un’emergenza...”
 

FRAMMENTO N. 10
 

 
“Stupido, stupido cellulare che non aveva campo sotto quella fogna!”
John mise una mano sul braccio di Sherlock.
“Calmati, siamo vicini ormai. E nessuno, neanche tu, poteva immaginare che saremmo rimasti bloccati li sotto piu’ dei dieci minuti previsti. Andra’ tutto bene, vedrai”
Sherlock strinse la mascella e rimase a fissare fuori dal finestrino del taxi, che viaggiava scortato dalla macchina della polizia a sirene spiegate.
“Anderson, eh?” chiese dopo un po’ con una smorfia.
“Gia’” confermo’ John scuotendo il capo.
 

FRAMMENTO N. 11
 

“Un’altra spinta e ci siamo”
Sherlock lascio’ che Molly gli stritolasse la mano un’altra volta.
Poi un’altra ancora.
Poi ci fu un pianto.
E dopo due minuti e trentasette secondi, ce ne fu un altro.
E improvvisamente, Molly rideva e piangeva contemporaneamente e lui rimase ad osservarla affascinato.
Era sfinita, eppure non l’aveva mai vista cosi felice.
E poi... poi i suoi figli erano li, insieme a loro.
Tutti rossi, minuscoli e piangenti.
Ed erano la cosa piu’ straordinariamente complicata e meravigliosa che lui avesse mai visto.
E in vita sua, anche Sherlock Holmes non era mai stato cosi felice.
 

FRAMMENTO N. 12
 

“Caffe’?”
Sherlock tese la mano senza distogliere gli occhi dal vetro della nursery.
I gemelli erano prematuri, ma non avevano avuto bisogno dell’incubatrice.
John gli si affianco’.
“Sono bellissimi”
Sherlock sorrise.
Sono miei... miei e di Molly.
Sono perfetti.
“Io non sono davvero bravo nell’osservare queste cose, ma ti assomigliano molto... speriamo non troppo”
Sherlock si irrigidi’.
“Sono i miei figli, John. E’ naturale che mi assomiglino molto... pensavo fossimo d’accordo che non ci sarebbe stato niente di male, se avessero ereditato anche alcune mie caratteristiche”
“Solo se avranno il carattere di Molly, su questo abbiamo convenuto tutti” John si porto’ alle labbra il suo bicchiere di caffe’, per nascondere il sorriso che gli stava affiorando alle labbra.
“Credo si fosse parlato anche del fatto, che sarebbe stato auspicabile non prendessero il mio naso” la voce di Mycroft arrivo’ alle loro spalle.
Sherlock si volto’.
“Fratello. Era ora che venissi a conoscere i tuoi nipoti”
Mycroft si avvicino’ al vetro.
“Sono nati tre ore fa... avevo alcune faccende da sbrigare. Mamma sta arrivando” sul suo viso comparve un sorriso fugace alla vista dei due bimbi nelle loro culle.
“Davvero... notevoli.” Rimase ad osservarli per un attimo, poi commento’ “Naturalmente, mi sono assicurato personalmente che i necessari provvedimenti siano gia’ stati presi”
“Non metterai i miei figli sotto scorta” dichiaro’ Sherlock.
Mycroft  fece una smorfia.
“Certo che no. Almeno non fino a che non andranno all’asilo. Per ora avranno il livello di sorveglianza standard”
Mycroft lo sfido’ con lo sguardo a contraddirlo, ma Sherlock fece solo un cenno del capo.
Grazie.
“Lo sapevo” sbotto’ improvvisamente John, facendo voltare entrambi verso di lui.
“Che cosa?”
Il Dottor Watson guardo’ il suo migliore amico con un sorriso.
“E’ solo che... quando tu sei tornato, io l’ho pensato... ed era vero. E’ stato meglio di prima”
I due si guardarono per un attimo e poi, scoppiarono a ridere.
Mycroft si limito’ a scuotere il capo.
Come due ragazzini.
Certe cose invece non sarebbero mai cambiate.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1291503