Ghost of You

di Gageta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Ghost of You

Capitolo I

C

orreva.

I suoi passi rimbombavano cupamente sul terreno malfermo, lasciando profonde impronte.

Aveva il fiato corto. Ormai mancava poco.

Quella mattina gli era parso un giorno come tanti: era da mesi che scappavano, erano sempre e costantemente in viaggio. Era una tattica che aveva funzionato, almeno fino a quel momento.

E pensare che era stata tutta colpa sua. Ma chi avrebbe mai pensato che il Suo nome fosse diventato tabù? Non aveva mai avuto paura di pronunciarlo, ed era stato proprio questo l’errore.

La vista cominciò ad annebbiarsi.

Non doveva andare così. Dopo tutto quello che aveva fatto, dopo tutto il tempo che aveva dedicato all’Ordine, ora stava per morire, per mano di coloro che aveva combattuto per buona parte della sua vita.

Un lampo di luce verde illuminò per un attimo la foresta. Lo evitò per un pelo, girando dietro a un albero. Si appoggiò al tronco, respirando a fatica.

«Prendete gli altri, a lui ci penso io!».

Era finita.

Tastò velocemente la veste, alla ricerca della bacchetta magica. Ora avrebbe potuto contare solo su quella.

«Andiamo… vuoi giocare a nascondino?». La voce acuta e gracchiante dell’uomo lo raggiunse da qualche parte dietro di sé.

Strinse le labbra e si concentrò, cercando di riportare alla memoria gli incantesimi che gli servivano.

«Stupefictium!»

«Protego!»

Il raggio di luce rossa partito dalla sua bacchetta s’infranse in mille scintille contro l’incantesimo scudo del nemico. Con un ringhio di rabbia cominciò a duellare, cercando di disarmare l’uomo.

Ma era troppo lento. Ormai non era più giovane, i suoi movimenti non erano più veloci come una volta.

In quel momento si sentì vecchio.

Non aveva mai pensato a una cosa del genere. Era sempre stato un uomo attivo e l’idea della vecchiaia non lo aveva mai nemmeno sfiorato. Ma ora, davanti a quell’uomo molto più giovane di lui, stava cedendo. In quel momento la giovinezza dell’uomo aveva la meglio su di lui, su un vecchio.

«Crucio!». L’incantesimo oltrepassò il suo braccio alzato e lo colpì in pieno petto.

Cadde a terra.

L’odore umidiccio dell’erba lo colpì alle narici, mentre il dolore lo percorreva da capo a piedi. Sentì la bacchetta sfuggirgli di mano mentre si contorceva sul terreno umido.

L’uomo sopra di lui rise freddamente e lo colpì, ancora e ancora.

Mentre quelle lame invisibili gli penetravano nella carne, lasciò vagare la mente tra i ricordi.

Il suo primo pensiero fu per sua figlia, colei che portava il suo cognome e che di esso aveva fatto il suo nomignolo.

Non mi piace il nome Ninfadora! Voglio che mi chiamiate Tonks!

La sua voce gli tornò in mente. La voce di sua figlia. Ormai era diventata una donna, ma per lui sarebbe rimasta per sempre la sua bambina. Quella bambina dolce e spensierata, testarda ma molto coraggiosa, che ora combatteva a fianco di suo marito per la pace.

La tortura finì. L’uomo gli puntò la bacchetta alla gola, chinandosi fino a trovarsi col viso a pochi centimetri dal suo prigioniero.

L’immagine di sua figlia sembrò traballare, poi venne sostituita da quella di un’altra donna.

«Andromeda…» il suo nome gli sfuggì dalle labbra, mentre l’ombra di quel ricordo gli sorrideva, dolcemente.

L’uomo che lo sovrastava guardò il suo prigioniero con indifferenza e lo scosse per il bavero, certo che fosse impazzito.

Andromeda continuava a sorridergli, come nel giorno del loro matrimonio. Quello era stato forse l’evento più felice della sua vita, quando aveva detto di sì, quando aveva accettato di diventare suo marito.

“Finché morte non vi separi”

La triste realtà gli piovve addosso improvvisamente. Non avrebbe mai più rivisto il suo viso, non l’avrebbe mai più vista sorridere, né lei, né sua figlia.

La sua morte era vicina, quell’oscuro baratro lo avrebbe avvolto per sempre, lo avrebbe separato da sua moglie, dalla donna che aveva amato per anni.

Andromeda continuava a sorridergli, la sua felicità lo contagiò. Sarebbe morto, ma sapeva di aver lottato fino all’ultimo, sapeva di averlo fatto per lei.

Sorrise.

L’uomo guardò con stupore il mezzosangue, poi fece una smorfia di disgusto. Lo spinse a terra e si rialzò.

«L’hai preso?». Greyback gli si avvicinò e guardo l’uomo a terra con diffidenza.

«Non credo possa servire più a molto» ghignò l’altro, tirando un calcio al corpo sotto di lui.

Il volto dell’uomo si contrasse in una smorfia di dolore, ma tornò subito dopo a sorridere.

«È impazzito!» rise il lupo mannaro.

Andromeda continuava a sorridergli, lui non era impazzito.

Il mago più giovane alzò la bacchetta. Neanche il raggio di luce verde che ne scaturì fuori, riuscì a strappare dal volto di Ted Tonks il sorriso, la consapevolezza di aver fatto la cosa giusta.

 

Angolo autrice:

4 ottobre 2011.

Io Gageta98, scopro il sito EFP fanfiction ed eseguo la registrazione. Come avrei mai potuto sapere di essermi imbarcata in una meravigliosa avventura che mi avrebbe accompagnato per un anno intero?

Oggi, 4 ottobre 2012, festeggio il mio primo anno di presenza su questo magnifico sito e come non festeggiarlo al meglio senza pubblicare qualcosa?

Allora. Questa storia è stata scritta per il contest “Guardian Ghost” indetto da Lady_Bathory sul forum di EFP.

L’ho scritta molto di fretta e devo dire che non sono molto contenta del risultato. È una storia a tre capitoli, molto corti. Avrei potuto lasciarla come One-Shot, ma mi sembrava molto meglio dividerla.

Prima di avere il parere della “giudicia”, mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate voi.

Quindi… che ne dite di farmi un piccolo regalino? ;)

A molto presto,

Gageta98.

 

P.S. ricordo la mia pagina Facebook, qui: http://www.facebook.com/Gageta98?ref=hl

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Ghost of You

Capitolo II

A

ndromeda fissava la parete bianca di fronte a lei. Era da giorni che si chiudeva in lunghi silenzi, rifiutando la compagnia di chiunque, per rimanere da sola con i suoi pensieri.

Suo marito era morto da una settimana. Kingsley e alcuni membri dell’Ordine erano riusciti a recuperare il suo corpo. Lo avevano trovato ai piedi di un grosso albero, in una foresta a nord dell’Irlanda.

Avevano detto di aver trovato poco lontano dalla mano la sua bacchetta.

Andromeda sapeva che Ted aveva combattuto. Lui non si sarebbe mai arreso a quegli sporchi Ghermidori. Loro si che erano sporchi, suo marito no. A lei non era mai importato della purezza del suo sangue, lo aveva sempre considerato un suo pari. Almeno, quasi sempre. Inizialmente lo aveva considerato anche lei un Sanguesporco. Ma era stato molto tempo prima, sicuramente molto prima che decidesse di sposarlo.

Continuava a ricordare il suo volto, l’ultima volta che lo aveva visto. Erano ormai passati molti mesi da quando era stata costretta a lasciarlo partire per far si che il Ministero non lo portasse ad Azkaban, o peggio, lo uccidesse. L’aveva lasciata con la promessa che sarebbe tornato, a battaglia finita. E invece il destino aveva voluto diversamente. Lui era morto e non sarebbe mai più tornato.

Qualcuno salì le scale. «Mamma…». Il volto di sua figlia Ninfadora fece capolino da dietro la porta. «È pronta la cena».

Andromeda annuì, continuando a fissare la parete.

La ragazza sulla porta si morse il labbro inferiore, pensierosa, poi si guardò intorno. Dopo qualche attimo d’indecisione entrò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle. Si avvicinò al letto dove sedeva la madre e si accomodò di fianco a lei.

«Mamma…» ripeté.

Una lacrima solcò il volto della donna, scivolò lungo la guancia e si fermò sul mento, pendendo pericolosamente nel vuoto.

Ninfadora esitò un attimo, poi passò un braccio intorno alle spalle della madre, poggiando il capo sulla sua spalla.

Rimasero in quella posizione per un po’, in silenzio, rimuginando sugli eventi più recenti.

Il funerale di Ted Tonks si era svolto pochi giorni prima. Andromeda era riuscita a parteciparvi a fatica: la consapevolezza che non avrebbe più rivisto suo marito le pesava sempre di più nel petto e in quasi tutti i momenti della giornata si ritrovava a pensare a lui. Chissà come aveva vissuto in quei mesi, chissà come aveva vissuto i suoi ultimi attimi di vita. Sperava che non si fosse arreso subito, che avesse combattuto con tutte le sue forze prima di arrendersi alla cruda verità. Una parte di lei sperava ancora che l’uomo sbucasse da qualche parte nella casa, che corresse verso di lei e che le dicesse che andava tutto bene, che lui era ancora vivo e che era stato tutto un brutto sogno.

Ma non era così, e Andromeda lo sapeva bene, anche se non voleva accettarlo.

Ninfadora pensava in parte alle stesse cose. Voleva molto bene a suo padre. Quando aveva ricevuto la notizia della sua morte, le era sembrato di aver perso una parte del suo cuore. Ogni tanto si guardava allo specchio, concentrandosi sul gonfiore nei pressi del ventre, e pensava che suo padre non avrebbe mai conosciuto suo nipote. Da quando aveva saputo di essere incinta, aveva cominciato a fantasticare sulla vita del suo futuro figlio. Aveva immaginato i suoi genitori giocare con il bambino, aveva visto suo padre e sua madre, nonni. Sapeva che suo padre avrebbe tanto voluto conoscere suo nipote. E invece non sarebbe andata così. Lui era morto e non avrebbe mai visto il piccolo crescere. Senza che se ne accorgesse, le lacrime avevano ripreso a rigarle il volto, come ormai succedeva troppe volte in quei giorni. Ogni volta che pensava a suo padre, le era naturale correre a rifugiarsi tra le braccia di Remus. Lui sapeva sempre come consolarla. Però in alcuni momenti come quello, si univa a sua madre e insieme lottavano contro il dolore per la perdita dell’uomo.

Andromeda passò una mano tra i capelli della figlia: quella settimana erano lunghi fino alle spalle e neri, in segno di lutto. Anche lei vestiva di nero. Non le era mai piaciuto quel colore, le ricordava troppo i Black, la sua famiglia di origine. Ma aveva voluto portare rispetto a suo marito e lo aveva accettato, almeno per un po’. Non le si addiceva e se lo ripeteva ogni volta davanti allo specchio.

Sapeva che Ted non avrebbe mai voluto vederla soffrire così, ma non poteva farci niente. Anche se tentava di non darlo troppo a vedere soffriva molto la sua mancanza.

Andromeda sospirò e si alzò con fatica. «Non lasciamo che la cena raffreddi» sorrise debolmente a Ninfadora.

La ragazza annuì e si alzò anche lei. Poco prima di uscire dalla stanza, però, la fermò. «Voglio chiamare il bambino con il suo nome…» mormorò.

Andromeda la guardò stupita. «Re-Remus è d’accordo?»

«È stato lui a suggerirmelo…» ribatté, Ninfadora.

Andromeda sorrise e prese per mano la figlia. «A me va benissimo. Tu sai quanto amavo tuo padre».

«Anche lui ti amava, mamma». Sospirò nuovamente, poi condusse la madre fuori dalla stanza.

***

Una figura incappucciata comparve all’ingresso del cimitero. Stringendosi nel mantello, come a voler allontanare da se stessa il freddo invernale, la donna entrò, lasciando profonde impronte nel terreno imbiancato.

Aveva nevicato quella notte. La spessa coltre bianca ricopriva il selciato, rendendolo a tratti scivoloso, e il profilo delle lapidi, dando al luogo un aspetto lugubre.

Andromeda rabbrividì e si strinse ancora di più nel mantello. Per fortuna aveva scelto di tornare in quel luogo di giorno: se fosse venuta al buio, molto probabilmente si sarebbe spaventata molto di più. Non sapeva perché, ma sin da bambina aveva avuto paura dei cimiteri. Di certo l’opinione comune non l’aiutava. Tutte quelle storie sui fantasmi… si ricordava ancora la prima volta che ne aveva visto uno. Era stato il primo giorno di scuola, a Hogwarts, mentre tornava dalla lezione di trasfigurazione. Neanche il fantasma aveva evitato di spaventarla. Il Barone Sanguinario l’aveva trapassata da parte a parte, dandole un senso di gelo improvviso. Le catene e le macchie di sangue argenteo che lo ricoprivano avevano contribuito a spaventarla ancora di più.

Scosse la testa, cercando di allontanare quei ricordi dalla propria mente. Ora era cresciuta, non avrebbe dovuto avere ancora paura di cose del genere.

Sospirò. Dopotutto, i fantasmi non infestavano i cimiteri.

Si avviò lungo la stradina lastricata, stando attenta a non scivolare, verso un punto preciso del cimitero. Nonostante ci fosse stata solo un paio di volte, conosceva il percorso a memoria, come se lo percorresse da una vita. Oltrepassò le file di tombe, finché non individuò quella che la interessava.

Girò, addentrandosi tra le tombe. Il terreno, lì, non era mai stato calpestato e la neve era molto più alta. Affondò i piedi nella neve, stringendo i denti quando il freddo le investì i piedi.

Cominciò ad avvicinarsi alla tomba di suo marito, ma a pochi passi da essa si fermò. Cercò frettolosamente la bacchetta magica nella veste e la estrasse. Con semplici e veloci movimenti fece comparire davanti a lei un mazzetto di fiori colorati. A quel punto si avvicinò alla lapide e si chinò, poggiando i fiori sulla tomba.

I suoi occhi non poterono fare a meno di leggere l’iscrizione:

 

Ted Tonks, nato il 16 giugno 1951, morto il 15 marzo 1998

 

Wear your memory like a stain

Here to stay with me forever

 

Le lacrime ricominciarono a scendere, lente e inesorabili, rigandole il volto. Non sarebbe stata più la stessa cosa senza suo marito, ne era certa.

In quel momento un brivido la percorse da capo a piedi. Pensò che fosse dovuto al freddo, così non vi badò più di tanto. Qualche secondo dopo, però, si accorse che sì, il freddo c’era, ma era solo sulla sua spalla. Alzò un braccio, incurante, e si toccò lì dove avvertiva l’aria così pungente. Prima di toccarsi la spalla, però, un gelo improvviso le trapassò la mano da parte a parte, sorpassando lo strato di pelle del guanto.

«Andromeda…»

La donna in questione sobbalzò e si girò di colpo. Riconosceva la voce, l’avrebbe riconosciuta tra milioni.

Ciò che vide le mozzò il fiato. Non poteva essere, semplicemente non poteva essere vero.

Indietreggiò, inciampando nella tomba. Si ritrovò a terra, la schiena appoggiata alla lapida gelata a fissare…

«Andromeda, sono io…» parlò il fantasma.

La donna scosse velocemente il capo, inorridita.

Il fantasma sembrò rattristato da quel movimento, ma non si perse d’animo. Fluttuò nell’aria, avvicinandosi alla sua ex moglie.

«Andromeda, ti prego, devi credermi».

La donna si schiacciò contro il duro marmo. Si strofinò gli occhi con malagrazia: era solo un sogno, niente di più. Stava facendo un incubo. Presto si sarebbe svegliata, e di quello che stava succedendo ne sarebbe rimasto solo un ricordo sfuocato.

«Mi dispiace, mi dispiace infinitamente. Non ho mantenuto la mia promessa, sono morto». Il fantasma si chinò. Ormai era all’altezza della donna, che lo guardava con gli occhi sbarrati.

Andromeda si prese la testa tra le mani e cominciò a piangere. Perché non si svegliava?

«Non piangere… sono tornato per te» continuò il fantasma. «Andromeda, guardami».

La donna scosse nuovamente la testa, tappandosi le orecchie con forza. Non voleva sentire, non voleva ascoltare la sua voce. Faceva troppo male.

Il fantasma di Ted Tonks allungò un braccio verso la donna e poggiò la mano sulla sua palla, là dov’era stata poco prima.

Rimasero così per un po’.

Lentamente, Andromeda riuscì a calmarsi. Quando riaprì gli occhi, sperò con tutto il cuore che fosse stata solo la sua immaginazione, ma lui era ancora lì.

Si asciugò le lacrime con il dorso della mano e tirò su col naso, fissando il fantasma con improvvisa curiosità.

Ted sorrise incoraggiante a sua moglie e allontanò la mano da lei.

«Tutto a posto?» domandò titubante.

Andromeda non rispose subito. Si prese un po’ di tempo. Alla fine rispose con una domanda. «Perché lo hai fatto?»

Il fantasma sembrò rattristarsi un attimo. Poi, come se non volesse che la donna tornasse a piangere, si riscosse e continuò a sorridere. «Perché avevo una promessa da mantenere…»

Andromeda si morse il labbro inferiore, pensierosa. «Io… no-non avresti dovuto…» si strinse su se stessa, portando le ginocchia al petto. Per un attimo le sembrò di essere tornata ragazza, quando nella stessa posizione in cui si trovavano in quel momento, lui l’aveva consolata dopo una brutta giornata.

«Ti amo. Amo te e la mia famiglia. Voglio conoscere mio nipote. L’elenco delle cose che dovevo fare prima di morire è pressoché infinito…». Allargò il sorriso e guardò la moglie nei suoi occhi neri e profondi.

«Ted…». Andromeda scosse ancora la testa. Poi inarcò il collo e appoggio la cute contro la fredda lastra di marmo. Respirò piano, inalando più aria possibile.

«Sono tornato per stare con te. Non voglio morire, voglio rimanere accanto alla mia famiglia. Avevo ancora una vita davanti. Per me è stata una tortura, una scelta molto difficile, però ho deciso di rimanere. Ti prego, perdonami».

«Perdonarti di cosa?» Andromeda tornò a guardarlo, questa volta però le labbra erano aperte in un sorriso, un sorriso triste, ma pur sempre un sorriso.

Allungò una mano verso quella del fantasma. Il calore incontrò il freddo, la vita incontrò la morte. Quello che Andromeda avvertì nel suo cuore però non era né morte né freddo, solo un forte calore al cuore, il calore dell’amore.

 

Angolo autrice:

Le frasi sulla tomba di Ted Tonks sono due versi della canzone di Selena Gomez, Ghost of You (da cui poi la storia prende nome). La traduzione in italiano è questa:

“Porto addosso il tuo ricordo come fosse una macchia

È qui per restare insieme a me per sempre”

Non mi piaceva in italiano, così l’ho lasciata in inglese.

Secondo e penultimo capitolo. Lo messo oggi perché domani non ci sarò.

Allora? Che cosa ne pensate? Mi dareste un piccolo (ma proprio piccolo piccolo) parere?

Mi piacerebbe veramente sapere leggere qualche vostro commentino prima di ricevere il parere del giudice. Che ne dite? *incrocia le dita speranzosa*

A dopodomani,

Gageta98

 

P.S. a quanto pare non sembra interessarvi, però io sono anche qui: http://www.facebook.com/Gageta98?ref=hl

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


               Ghost of You

Capitolo III

T

eddy Lupin varcò la soglia di casa. «Nonna!» urlò al corridoio d’ingresso.

Un viso fece capolino dietro la porta della cucina.

«Teddy!» esclamò, mentre un sorriso si apriva sul suo volto.

Il ragazzo abbandonò il baule sull’ingresso e corse verso sua nonna. La donna si abbassò e strinse suo nipote tra le braccia con affetto. «E zio Harry? Dove ti ha lasciato?» chiese.

Il ragazzo fece una faccia strana, poi rispose. «Sapevo che volevi vederlo! Ha detto che doveva fare alcune cose urgenti… mi sa che adesso non aveva proprio voglia della tua torta al limone» sorrise.

Andromeda ricambiò il sorriso e gli scompigliò i capelli, in quel momento di un vivace color arancione. In fondo il piccolo Teddy aveva ragione, era da anni che ogni giorno che “lo zio Harry” veniva a trovare il suo figlioccio, gli offriva la solita torta al limone. Forse era giunta l’ora di cambiare ricetta. Magari una torta ai lamponi non sarebbe stata male.

Il ragazzo s’inumidì le labbra. «Però, a me piacerebbe molto una fetta di torta…» disse, spostando il peso da un piede all’altro. Andromeda sorrise e spalancò la porta di cucina, lasciando campo libero al nipote, il quale non perse tempo e si fiondò all’interno.

«Ricordati di portare il tuo baule di sopra dopo, capito?» disse ad alta voce, così che potesse sentirla dalla cucina.

Il borbottio di assenso del nipote le fece comprendere che sarebbe stata lei, come ogni anno, a dover riportare il suo baule di sopra. Scosse la testa, sbuffando, e si avvicinò alla porta d’ingresso, che, come al solito, il ragazzo aveva lasciato aperta.

«Come sta il mio nipotino preferito?» Ted Tonks entrò nella stanza, fluttuando attraverso una parete, e si avvicinò al tavolo dove Teddy stava mangiando.

Il ragazzo per poco non mandò di traverso un boccone di torta per la sorpresa.

Il fantasma ridacchiò e si lasciò scivolare al fianco del nipote.

«Ciao nonno!» lo salutò allegramente Teddy.

«Allora, com’è andato il tuo terzo anno a Hogwarts?» chiese curioso.

Il ragazzo si strinse nelle spalle, mentre i capelli diventavano di un rosso accecante.

Andromeda entrò in quell’istante. Vedendo il colore che avevano assunto i capelli del nipote, guardò storto il marito. «Che gli hai detto per farlo imbarazzare così?»

Ted scosse la testa, mentre Teddy si affrettava a cambiare il colore dei capelli, facendoli tornare del solito marroncino chiaro che usava quando usciva nel mondo Babbano. «Non sono imbarazzato!» disse indignato. Come a volerlo contrariare, le guance gli si tinsero leggermente di rosso.

«Andiamo… che cosa è successo?» lo incoraggiò il nonno.

«Niente» borbottò il ragazzo. Cominciò a spiluccare nervosamente l’ultimo pezzetto di torta.

Andromeda ridacchiò. «Vi lascio soli, tra uomini ci si intende». Scambiò un fugace sguardo con il marito, che le sorrise, poi uscì dalla stanza.

Si avvicinò al baule nell’ingresso. «Baule locomotor!». Con due colpi veloci di bacchetta lo fece levitare in aria e cominciò a salire le scale. Mentre passava di fianco alla cucina sentì suo nipote parlare attentamente con il marito. «…Victoire…», fu quello che riuscì a cogliere.

Sorrise e salì le scale.

Entrò nella stanza del ragazzo e depositò con cura il baule vicino al letto. Portarlo su era un conto, ma a disfarlo ci avrebbe pensato Teddy.

Stava per uscire dalla stanza quando una foto sul comodino la attirò. Vi si avvicinò, e quando vide i volti ritratti, sospirò.

Era una vecchia foto, che aveva dato al nipote quasi tre anni prima. Ritraeva Ninfadora Tonks, sua figlia, e Remus Lupin nel giorno del loro matrimonio. Sorridevano felici. Neanche il tempo sembrava aver intaccato quella felicità.

Si ricordò il giorno in cui gliel’aveva fatta vedere per la prima volta.

«Perché loro sono morti?» le aveva chiesto Teddy. «Il nonno e tornato, lui ti voleva bene».

Lei aveva scosso la testa e lo aveva stretto a se con affetto. «Il nonno è tornato perché voleva ancora rimanere accanto a me e alla sua famiglia. Lui voleva vederti nascere…»

«E papà e mamma non volevano vedermi crescere?» aveva domandato con tristezza.

«I tuoi genitori ti hanno amato più di ogni altra cosa. Sono sicura che avrebbero voluto vederti crescere, ma una cosa è certa. Loro volevano vederti felice».

Teddy non era sembrato soddisfatto di quella risposta, così era stata costretta a rivelargli il segreto che cercava di ignorare da un sacco di anni.

«Vedi… non è così facile, né da spiegare, né da capire. Tornare in vita, rimanere attaccati alla vita come fantasmi, è una cosa molto dolorosa. Lo è sia per la persona che lo vuole sia per chi gli sta attorno. Lo sai benissimo anche tu. Lo sai che tuo nonno è molto triste a volte?»

Il bambino aveva annuito. Lo sapeva benissimo.

«A volte anch’io sono triste. Sono triste per lui. Vedere tutta la vita che c’è qui è molto difficile per lui. È morto, non può più vivere come noi».

«Avresti preferito che morisse?» aveva chiesto così Teddy.

Andromeda aveva scosso la testa. «Avrei preferito che non morisse. Ma se dovesse riscegliere, sono sicura che non lo rifarebbe».

Teddy aveva annuito.

«Avresti preferito vedere i tuoi genitori soffrire ogni giorno per te? Loro sono morti, ma per lo meno non soffrono più». Aveva stretto Teddy in un abbraccio. «Il loro ricordo sarà sempre con noi, Teddy. Non saranno mai morti finché noi li sentiremo ancora qui con noi».

Così era finito il discorso. Da quel momento Teddy le era sembrato più felice. Sembrava che avesse veramente capito la situazione.

Si sedette sul letto, rigirandosi la foto tra le mani. Una parte di lei aveva sperato che tornassero anche loro, era vero. Però si era arresa quasi subito. Non avrebbe mai voluto vedere qualcun altro soffrire come soffriva Ted. Aveva sempre cercato di far sì che il suo sacrificio non fosse stato vano, che anche il sacrificio di sua figlia non fosse stato vano.

Avevano cresciuto il piccolo Teddy come un figlio. La sua felicità era stata la loro.

Sapeva che una parte di Ted era contenta per essere rimasta. Un giorno le aveva detto che se se ne fosse andato non avrebbe mai potuto vedere suo nipote crescere, che il piccolo Teddy era una delle poche cose che riusciva a colorargli l’esistenza, insieme alla consapevolezza di essere ricambiato dall’amore di sua moglie.

Sorrise.

Non sarebbero mai potuti tornare indietro. La loro vita era così, piena di felicità e di tristezza, una vita equilibrata.

Il campanello nell’ingresso suonò. Dopo poco sentì Teddy urlare dall’ingresso il nome del padrino.

Sospirò e si alzò. Posò la foto sul comodino e sorrise all’espressione felice di Ninfadora.

Appoggiò una mano sulla maniglia e lo aprì, uscendo poi dalla stanza, tornando dalle persone che amava.

 

 

Angolo autrice:

E qui si conclude la storia.

Vi è piaciuta? No? Mi piacerebbe sapere quello che pensate così posso  migliorarmi :)

Un grazie a chi_lamed che ha recensito lo scorso capitolo, a Sectusempra che l'ha messa tra le storie seguite e un grazie anche a coloro che l’hanno letta in silenzio.

Alla prossima,

Gageta98

 

P.S. forse non interessa a nessuno ma questa è la mia pagina Facebook: http://www.facebook.com/Gageta98

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