Ghost of You
Capitolo II
ndromeda fissava la parete bianca di fronte a lei. Era da
giorni che si chiudeva in lunghi silenzi, rifiutando la compagnia di chiunque,
per rimanere da sola con i suoi pensieri.
Suo marito era morto da una settimana. Kingsley e alcuni
membri dell’Ordine erano riusciti a recuperare il suo corpo. Lo avevano trovato
ai piedi di un grosso albero, in una foresta a nord dell’Irlanda.
Avevano detto di aver trovato poco lontano dalla mano la sua
bacchetta.
Andromeda sapeva che Ted aveva combattuto. Lui non si
sarebbe mai arreso a quegli sporchi Ghermidori. Loro si che erano sporchi, suo
marito no. A lei non era mai importato della purezza del suo sangue, lo aveva
sempre considerato un suo pari. Almeno, quasi sempre. Inizialmente lo aveva
considerato anche lei un Sanguesporco. Ma era stato molto tempo prima,
sicuramente molto prima che decidesse di sposarlo.
Continuava a ricordare il suo volto, l’ultima volta che lo
aveva visto. Erano ormai passati molti mesi da quando era stata costretta a
lasciarlo partire per far si che il Ministero non lo portasse ad Azkaban, o
peggio, lo uccidesse. L’aveva lasciata con la promessa che sarebbe tornato, a
battaglia finita. E invece il destino aveva voluto diversamente. Lui era morto
e non sarebbe mai più tornato.
Qualcuno salì le scale. «Mamma…». Il volto di sua figlia
Ninfadora fece capolino da dietro la porta. «È pronta la cena».
Andromeda annuì, continuando a fissare la parete.
La ragazza sulla porta si morse il labbro inferiore,
pensierosa, poi si guardò intorno. Dopo qualche attimo d’indecisione entrò
nella stanza e si chiuse la porta alle spalle. Si avvicinò al letto dove sedeva
la madre e si accomodò di fianco a lei.
«Mamma…» ripeté.
Una lacrima solcò il volto della donna, scivolò lungo la
guancia e si fermò sul mento, pendendo pericolosamente nel vuoto.
Ninfadora esitò un attimo, poi passò un braccio intorno alle
spalle della madre, poggiando il capo sulla sua spalla.
Rimasero in quella posizione per un po’, in silenzio,
rimuginando sugli eventi più recenti.
Il funerale di Ted Tonks si era svolto pochi giorni prima.
Andromeda era riuscita a parteciparvi a fatica: la consapevolezza che non
avrebbe più rivisto suo marito le pesava sempre di più nel petto e in quasi
tutti i momenti della giornata si ritrovava a pensare a lui. Chissà come aveva
vissuto in quei mesi, chissà come aveva vissuto i suoi ultimi attimi di vita.
Sperava che non si fosse arreso subito, che avesse combattuto con tutte le sue
forze prima di arrendersi alla cruda verità. Una parte di lei sperava ancora
che l’uomo sbucasse da qualche parte nella casa, che corresse verso di lei e
che le dicesse che andava tutto bene, che lui era ancora vivo e che era stato
tutto un brutto sogno.
Ma non era così, e Andromeda lo sapeva bene, anche se non voleva
accettarlo.
Ninfadora pensava in parte alle stesse cose. Voleva molto
bene a suo padre. Quando aveva ricevuto la notizia della sua morte, le era
sembrato di aver perso una parte del suo cuore. Ogni tanto si guardava allo
specchio, concentrandosi sul gonfiore nei pressi del ventre, e pensava che suo
padre non avrebbe mai conosciuto suo nipote. Da quando aveva saputo di essere
incinta, aveva cominciato a fantasticare sulla vita del suo futuro figlio.
Aveva immaginato i suoi genitori giocare con il bambino, aveva visto suo padre
e sua madre, nonni. Sapeva che suo padre avrebbe tanto voluto conoscere suo
nipote. E invece non sarebbe andata così. Lui era morto e non avrebbe mai visto
il piccolo crescere. Senza che se ne accorgesse, le lacrime avevano ripreso a
rigarle il volto, come ormai succedeva troppe volte in quei giorni. Ogni volta
che pensava a suo padre, le era naturale correre a rifugiarsi tra le braccia di
Remus. Lui sapeva sempre come consolarla. Però in alcuni momenti come quello,
si univa a sua madre e insieme lottavano contro il dolore per la perdita
dell’uomo.
Andromeda passò una mano tra i capelli della figlia: quella
settimana erano lunghi fino alle spalle e neri, in segno di lutto. Anche lei
vestiva di nero. Non le era mai piaciuto quel colore, le ricordava troppo i
Black, la sua famiglia di origine. Ma aveva voluto portare rispetto a suo
marito e lo aveva accettato, almeno per un po’. Non le si addiceva e se lo
ripeteva ogni volta davanti allo specchio.
Sapeva che Ted non avrebbe mai voluto vederla soffrire così,
ma non poteva farci niente. Anche se tentava di non darlo troppo a vedere
soffriva molto la sua mancanza.
Andromeda sospirò e si alzò con fatica. «Non lasciamo che la
cena raffreddi» sorrise debolmente a Ninfadora.
La ragazza annuì e si alzò anche lei. Poco prima di uscire
dalla stanza, però, la fermò. «Voglio chiamare il bambino con il suo nome…»
mormorò.
Andromeda la guardò stupita. «Re-Remus
è d’accordo?»
«È stato lui a suggerirmelo…» ribatté, Ninfadora.
Andromeda sorrise e prese per mano la figlia. «A me va
benissimo. Tu sai quanto amavo tuo padre».
«Anche lui ti amava, mamma».
Sospirò nuovamente, poi condusse la madre fuori dalla stanza.
***
Una figura
incappucciata comparve all’ingresso del cimitero. Stringendosi nel mantello, come
a voler allontanare da se stessa il freddo invernale, la donna entrò, lasciando
profonde impronte nel terreno imbiancato.
Aveva nevicato quella notte. La spessa coltre bianca
ricopriva il selciato, rendendolo a tratti scivoloso, e il profilo delle lapidi,
dando al luogo un aspetto lugubre.
Andromeda rabbrividì e si strinse ancora di più nel
mantello. Per fortuna aveva scelto di tornare in quel luogo di giorno: se fosse
venuta al buio, molto probabilmente si sarebbe spaventata molto di più. Non
sapeva perché, ma sin da bambina aveva avuto paura dei cimiteri. Di certo
l’opinione comune non l’aiutava. Tutte quelle storie sui fantasmi… si ricordava
ancora la prima volta che ne aveva visto uno. Era stato il primo giorno di
scuola, a Hogwarts, mentre tornava dalla lezione di trasfigurazione. Neanche il
fantasma aveva evitato di spaventarla. Il Barone Sanguinario l’aveva trapassata
da parte a parte, dandole un senso di gelo improvviso. Le catene e le macchie
di sangue argenteo che lo ricoprivano avevano contribuito a spaventarla ancora
di più.
Scosse la testa, cercando di allontanare quei ricordi dalla
propria mente. Ora era cresciuta, non avrebbe dovuto avere ancora paura di cose
del genere.
Sospirò. Dopotutto, i fantasmi non infestavano i cimiteri.
Si avviò lungo la stradina lastricata, stando attenta a non
scivolare, verso un punto preciso del cimitero. Nonostante ci fosse stata solo
un paio di volte, conosceva il percorso a memoria, come se lo percorresse da
una vita. Oltrepassò le file di tombe, finché non individuò quella che la
interessava.
Girò, addentrandosi tra le tombe. Il terreno, lì, non era
mai stato calpestato e la neve era molto più alta. Affondò i piedi nella neve,
stringendo i denti quando il freddo le investì i piedi.
Cominciò ad avvicinarsi alla tomba di suo marito, ma a pochi
passi da essa si fermò. Cercò frettolosamente la bacchetta magica nella veste e
la estrasse. Con semplici e veloci movimenti fece comparire davanti a lei un
mazzetto di fiori colorati. A quel punto si avvicinò alla lapide e si chinò,
poggiando i fiori sulla tomba.
I suoi occhi non poterono fare a meno di leggere
l’iscrizione:
Ted Tonks, nato il 16 giugno 1951, morto il 15 marzo 1998
Wear your memory like a stain
Here to stay with me forever
Le lacrime ricominciarono a scendere, lente e inesorabili,
rigandole il volto. Non sarebbe stata più la stessa cosa senza suo marito, ne
era certa.
In quel momento un brivido la percorse da capo a piedi.
Pensò che fosse dovuto al freddo, così non vi badò più di tanto. Qualche
secondo dopo, però, si accorse che sì, il freddo c’era, ma era solo sulla sua
spalla. Alzò un braccio, incurante, e si toccò lì dove avvertiva l’aria così
pungente. Prima di toccarsi la spalla, però, un gelo improvviso le trapassò la
mano da parte a parte, sorpassando lo strato di pelle del guanto.
«Andromeda…»
La donna in questione sobbalzò e si girò di colpo.
Riconosceva la voce, l’avrebbe riconosciuta tra milioni.
Ciò che vide le mozzò il fiato. Non poteva essere,
semplicemente non poteva essere vero.
Indietreggiò, inciampando nella tomba. Si ritrovò a terra,
la schiena appoggiata alla lapida gelata a fissare…
«Andromeda, sono io…» parlò il fantasma.
La donna scosse velocemente il capo, inorridita.
Il fantasma sembrò rattristato da quel movimento, ma non si
perse d’animo. Fluttuò nell’aria, avvicinandosi alla sua ex moglie.
«Andromeda, ti prego, devi credermi».
La donna si schiacciò contro il duro marmo. Si strofinò gli
occhi con malagrazia: era solo un sogno, niente di più. Stava facendo un
incubo. Presto si sarebbe svegliata, e di quello che stava succedendo ne
sarebbe rimasto solo un ricordo sfuocato.
«Mi dispiace, mi dispiace infinitamente. Non ho mantenuto la
mia promessa, sono morto». Il fantasma si chinò. Ormai era all’altezza della
donna, che lo guardava con gli occhi sbarrati.
Andromeda si prese la testa tra le mani e cominciò a
piangere. Perché non si svegliava?
«Non piangere… sono tornato per te» continuò il fantasma.
«Andromeda, guardami».
La donna scosse nuovamente la testa, tappandosi le orecchie
con forza. Non voleva sentire, non voleva ascoltare la sua voce. Faceva troppo
male.
Il fantasma di Ted Tonks allungò un braccio verso la donna e
poggiò la mano sulla sua palla, là dov’era stata poco prima.
Rimasero così per un po’.
Lentamente, Andromeda riuscì a calmarsi. Quando riaprì gli
occhi, sperò con tutto il cuore che fosse stata solo la sua immaginazione, ma
lui era ancora lì.
Si asciugò le lacrime con il dorso della mano e tirò su col
naso, fissando il fantasma con improvvisa curiosità.
Ted sorrise incoraggiante a sua moglie e allontanò la mano
da lei.
«Tutto a posto?» domandò titubante.
Andromeda non rispose subito. Si prese un po’ di tempo. Alla
fine rispose con una domanda. «Perché lo hai fatto?»
Il fantasma sembrò rattristarsi un attimo. Poi, come se non
volesse che la donna tornasse a piangere, si riscosse e continuò a sorridere.
«Perché avevo una promessa da mantenere…»
Andromeda si morse il labbro inferiore, pensierosa. «Io…
no-non avresti dovuto…» si strinse su se stessa, portando le ginocchia al
petto. Per un attimo le sembrò di essere tornata ragazza, quando nella stessa
posizione in cui si trovavano in quel momento, lui l’aveva consolata dopo una
brutta giornata.
«Ti amo. Amo te e la mia famiglia. Voglio conoscere mio
nipote. L’elenco delle cose che dovevo fare prima di morire è pressoché
infinito…». Allargò il sorriso e guardò la moglie nei suoi occhi neri e
profondi.
«Ted…». Andromeda scosse ancora la testa. Poi inarcò il
collo e appoggio la cute contro la fredda lastra di marmo. Respirò piano,
inalando più aria possibile.
«Sono tornato per stare con te. Non voglio morire, voglio
rimanere accanto alla mia famiglia. Avevo ancora una vita davanti. Per me è
stata una tortura, una scelta molto difficile, però ho deciso di rimanere. Ti
prego, perdonami».
«Perdonarti di cosa?» Andromeda tornò a guardarlo, questa
volta però le labbra erano aperte in un sorriso, un sorriso triste, ma pur
sempre un sorriso.
Allungò una mano verso quella del fantasma. Il calore
incontrò il freddo, la vita incontrò la morte. Quello che Andromeda avvertì nel
suo cuore però non era né morte né freddo, solo un forte calore al cuore, il
calore dell’amore.
Angolo autrice:
Le frasi
sulla tomba di Ted Tonks sono due versi della canzone di Selena Gomez, Ghost of You
(da cui poi la storia prende nome). La traduzione in italiano è questa:
“Porto
addosso il tuo ricordo come fosse una macchia
È qui per
restare insieme a me per sempre”
Non mi
piaceva in italiano, così l’ho lasciata in inglese.
Secondo e
penultimo capitolo. Lo messo oggi perché domani non ci sarò.
Allora? Che
cosa ne pensate? Mi dareste un piccolo (ma proprio piccolo piccolo)
parere?
Mi piacerebbe
veramente sapere leggere qualche vostro commentino prima di ricevere il parere
del giudice. Che ne dite? *incrocia le dita speranzosa*
A dopodomani,
Gageta98
P.S. a
quanto pare non sembra interessarvi, però io sono anche qui: http://www.facebook.com/Gageta98?ref=hl