Lluvia y Viento

di Chaosreborn_the_Sad
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Irriverente ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Postumi ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Empire ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Maschere ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Parenti ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Elfi/Iena, Sfregiato e Terminator ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 – Tempesta/Have You Ever Seen the Rain ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Candele ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Strada ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - Pneuma ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - Stecca ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 - Rottami ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - Verità ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 - Vino ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 - Vecchio ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Irriverente ***


Due parole da un'amica.

Salve a tutti!
Innanzitutto grazie a Chaos di avermi permesso di presentare questa storia personalmente. Ti ringrazierò di aver iniziato a scriverla tra qualche riga, quando avrò spiegato il perché.
"Lluvia y Viento" è la storia raccontata in “Alagos, Rain’s Rioters”, ma narrata dal punto di vista di Rain, piuttosto che di Claudia, come la scrissi otto anni fa. L’idea è nata tutta dal semplice desiderio: ehi, Chaos, scriviamo una storia a quattro mani? Pensa e ripensa, plot su plot e ore di brainstorming on-line per arrivare a trame che non ci convincevano fino in fondo. Finché una sera – mentre mangiavo un mascarpone ai frutti di bosco e ascoltavo un concerto blues, uno dei pochi di quest’estate – mi arriva un messaggio: e se a quattro mani riscriviamo Alagos, dal punto di vista di Rain?
Figo, bellissimo. Non tanto per l’idea in sé, quanto per il fatto di scriverla con un autore che forse ha compreso Rain più di me, e soprattutto con un amico. Aveva molto significato. Il primo esperimento è uscito così: un paragrafo ciascuno, ma a parlare erano due Rain diversi, non soltanto stilisticamente parlando, ma anche di spirito. Ci ho riflettuto a lungo, mentre avevamo sospeso la scrittura. Ne siamo venuti a capo solo qualche giorno fa: essendo Alagos scritta in prima persona dal punto di vista di Claudia, ogni lettore ha solo potuto immaginare i pensieri di Rain, per cui ogni lettore ha di lui una immagine diversa. Io stessa. Limitare l’uno il “Rain” dell’altro non sarebbe stato giusto. Perciò, altro messaggio: perché non la scrivi solo tu, Chaos? Voglio vedere il tuo Rain, senza intromettermi. Io ho fatto parlare Claudia, e ora tu fai parlare Rain, la tua voce e la tua interpretazione senza interferenze, e io ti ascolto come tu, al tempo, hai ascoltato me.
Quindi il “grazie” è per quello che scriverai e che comunicherai, e per aver deciso di continuare a far vivere questa storia. Perciò, amico mio, buona scrittura! A tutti voi e a me stessa, buona lettura!
Hareth





Capitolo 1 - Irriverente

Alzai gli occhi sul pubblico, lasciando che la luce dei riflettori mi inondasse.
Quello che mi stavo domandando, mentre centomila persone alzavano le braccia e gli indici verso di me, non era cosa provassero, né quanto apprezzassero la nostra musica, nemmeno perché cazzo fossero tutti lì, solo per noi, anziché farsene qualcosa di meglio delle loro vite. No. Quello che mi stavo chiedendo, con il plettro sulla prima nota dell’ennesimo divorante assolo, il petto gonfio della bruciante euforia scatenata dalla cocaina, era se quei centomila fottuti esseri umani sarebbero stati ancora lì, con le loro grida e i loro occhi esaltati, se avessero saputo chi eravamo. Noi tutti. Io, Dan, Blaine e Rom. Se non sarebbero scappati via urlando, nel capire che non eravamo umani.
Quando glissai dalla prima alla seconda nota, facendola fischiare, mi diedi una risposta. No, era la risposta. No, non sarebbero fuggiti, avrebbero ascoltato lo stesso, avrebbero urlato il mio nome, accesi, paonazzi, eccitati dalla mia chitarra. Frega un cazzo se sei un mago, avrebbero detto. Ne ero sicuro, come ero sicuro che respiravo, come ero dannatamente sicuro di dove mettere le dita, dopo quella seconda nota.
Le luci del palco mi accecavano. Lo struggimento interiore che provavo, amplificato all’ennesima potenza dalla droga, raggiunse il culmine quando le dita presero velocità. Ero stramaledettamente sicuro che, con quella chitarra in mano, non avrei più dovuto nascondermi. Ne ero così sicuro che, solo per un istante, vinto da una tale perfetta completezza, mi lasciai andare. Completamente. Il suono distorto e graffiato dell’amplificatore si mescolò al fluire del potere magico.
Intenso.
Intenso, incredibile e sublime, come non lo avevo mai percepito.
Voltai il capo all’indietro, puntando gli occhi sui riflettori, e avvertii una goccia di sudore scendere dalla tempia all’orecchio, nitidamente, distintamente. Quando s’alzò il vento, a spazzare le teste del pubblico in correnti impetuose, capii di non averne il controllo e mi spaventai. Le folate si inseguivano moltiplicandosi, attingendo e succhiando il potere dal mio corpo. Presto sarebbero diventate letali.
Bloccai le corde con il palmo, mollando a terra il plettro, e feci un passo indietro. Dan mi rivolse un’occhiata preoccupata. Cercò di portare avanti lo show con naturalezza. Impugnò il microfono e cacciò qualche urlo.
Mi guardavo i piedi e inspiravo, ed espiravo, usando tutta la concentrazione di cui disponevo per riacquistare il controllo del vento che avevo alzato, prima che distruggesse l’intero stadio. Rabbrividii, spalancando gli occhi verso il pubblico, le dita ancora ferme sulla pentatonica del la, nel rendermi conto che c’era davvero mancato un pelo.
“Che ti è preso, prima?” mi domandò Dan, fermandomi nel retropalco, appena terminato il concerto. Mi tenne stretta la spalla con una mano, mentre con l’altra continuava a raccogliersi il sudore dalla fronte.
“Io… non lo so”.
“Quanta ne hai presa, di quella roba?” Era inquisitorio.
“Falla finita, Dan. La coca non c’entra, ne prendo molta meno di una volta”.
“Sei stato tu ad alzare quel vento, vero?”.
Sospirai. Sentivo la chitarra pesante sulle spalle, e la schiena curva per la stanchezza. Ci speravo ogni volta, che la neve non se ne andasse così in fretta dal mio sangue, ma rimanevo puntualmente deluso. Deluso, spossato e senza energie, ed avevo pure la faccia tosta di rimanerci male, come un pivello.
“Sì, sono stato io”.
“Perché l’hai fatto?”.
“Non lo volevo fare, io non so cosa… sia successo… ma ne ho perso il controllo, Dan. Non avevo più controllo sui miei poteri, e il vento generato era dieci, venti, trenta volte più potente di quanto abbia mai potuto creare! Ti rendi conto che…?”.
“Stai delirando, Rain” mi ammonì, duro, spezzando in un attimo il mio entusiasmo, “Quella roba ti ha davvero fuso il cervello” concluse. Guardò con gelida preoccupazione i miei occhi sgranati, prima di voltarmi le spalle scrollando la testa.
Cominciò con quell’assolo diventato improvvisamente incontrollabile, la mia storia. Oh, sì, ci sono state molte cose interessanti anche prima, da poter raccontare. Storie di popoli, di guerre, di discriminazione. Di una evoluzione che forse, per la Terra di Mezzo, è stata nient’altro che una malattia. Come siamo arrivati agli amplificatori valvolari, al rock, alle cazzate mediatiche? Alle automobili, alle reti internet, alla cocaina e all’eroina? A ripudiare maghi ed elfi come la peggior piaga mandata dal Cielo? Ce n’è troppa, da spiegare. Troppi maledetti virus da inseguire. Preferisco partire da ora. Da quando un picco di adrenalina svegliò in me un potere sopito. Da quando iniziai a domandarmi quale fosse, davvero, il mio ruolo.
E da quando conobbi Claudia.

Erano passati un paio di giorni, dal concerto, privi di grandi avvenimenti o ulteriori picchi di magia.
“Romeo, passa una birra” dissi, dopo aver tentato inutilmente di allungarmi verso il frigo nell'angolo. Il batterista mi porse la bottiglia, mentre con la destra tentavo di liberare dalla tasca il pacchetto di sigarette. Rinunciai, afferrando la birra, rassegnato alla conclusione che le quattro o cinque sigarette rimaste nel pacchetto in quel momento venivano probabilmente sfracellate dal dolce peso di Lucy, seduta sulle mie gambe.
Bevvi un paio di sorsi, ascoltando Dan che si lamentava di un cavo dell'ampli andato perso durante il concerto.
“Per quanto ne so io, può averlo preso uno qualunque dei nostri roadie. Sai quanto può valere una cosa del genere su internet? È un vero pezzo da collezionisti” gli rispose Rom, con un ghigno.
Ridacchiai, poco convinto, mentre Lucy sbuffava. Povera ragazza, di certo l'ultima cosa che si aspettava, come fidanzata di una rockstar, era sentire il cantante della band che si lamentava dell'attrezzatura mancante.
I due continuarono a discutere per qualche minuto, continuando a lanciarsi frecciate.
“Ehi Lucy” fece Dan, a un certo punto, “non è che puoi presentare una tua amica al nostro Romeo? È troppo tempo che lo vedo senza una donna e, a quanto pare, ha cominciato a sprecare troppo tempo su internet”. Lucy sbuffò di nuovo, avvinghiandosi ancora di più a me. Romeo, dal canto suo, tentò di sviare la conversazione dalla sua vita sessuale.
“Dov'è Blaine?”.
“Ha detto che arriva tra un po'. Probabilmente si porterà dietro la sua nuova fiamma, quella che ha rimorchiato al concerto” gli rispose Dan, mantenendo la conversazione sull'argomento donne.
Il cantante cominciò a girarsi una sigaretta, continuando a parlare della nuova donna di Blaine. Dan, porca puttana, sai bene che questi discorsi non puoi farmeli quando ho Lucy seduta in braccio.
“Voi l'avete vista?”.
Appunto. Daniel, sinceramente, vaffanculo. Negai con la testa, mentre tentavo di districarmi dall'abbraccio di Lucy, nel modo più gentile possibile.
“Beh, io sì” continuò il cantante.
“E com'è?” incalzò Romeo. Rom, anche tu, vaffanculo.
“Diciamo che tenterò di rubargliela il prima possibile” rispose Dan, con un sorriso malizioso. Ovviamente la risposta non era soddisfacente, per il nostro sciagurato batterista.
“Interessante... dettagli? Parti fondamentali? Forza, descrivi! Tette, culo, volto?”. Bello avere degli amici. Ancora meglio quando il loro gioco preferito si chiama Facciamo girare le palle alla ragazza di Rain con discorsi maschilisti. Non a caso Lucy sbuffò di nuovo, tentando di infilare il volto nell'incavo del mio collo, ricatturandomi nel suo abbraccio.
Daniel stava ancora pensando a come descrivere la misteriosa donna quando fu anticipato dall'arrivo di Blaine.
“Ciao ragazzi” esordì, facendo due passi verso il frigo, “lei è Claudia” disse poi, indicando con la mano la ragazza che lo seguiva.
Un coro di ciao accolse la donna. Guardai divertito Dan che tentava di assumere un'espressione da Non stavo per cantare la grazia del tuo culo ai miei amici, per poi voltarmi ad osservare la ragazza.
Minuta, sul metro e sessantacinque, massimo settanta. Jeans scoloriti, t-shirt bianca decorata da scritta irriverente e un cappellino di tela coprire una lunga chioma di capelli neri. Probabilmente non vedevano un taglio radicale da una decina d'anni.
Fu però la sua pelle a colpirmi: diafana, di un bianco latteo umanamente impossibile. Non il pallore malaticcio di chi non vede mai la luce del sole, no, era un candore inumanamente sano, e i lineamenti del viso sembravano disegnati con perfezione millimetrica.
Claudia notò il mio sguardo e, se possibile, sembrò impallidire ancora di più.
Quella non era una donna. Così perfetta, era la versione sexy di Terminator. Era una statua portata in vita, era uscita da un dipinto, era la personificazione della bellezza immortale... immortale?
Oh, cazzo. Questa non me l'aspettavo proprio. Scansai Lucy con poco garbo, appropriandomi poi del tabacco di Dan, lasciato sul tavolino. Dan nel mentre -non posso crederci- aveva ricominciato il discorso del cavo, stavolta con Blaine.
Mi girai una sigaretta, pensando all'approccio giusto. Di certo nulla di plateale, non con Lucy nella stessa stanza. La povera ragazza era cresciuta a pane e propaganda di Nuova Gondor, non sapeva dei miei poteri, non sapeva della Ribellione, non sapeva nulla. Probabilmente si sarebbe messa ad urlare, correndo nella hall dell'albergo, al grido di “Elfo!”. Eliminiamo l'opzione Claudia, non è che puoi mostrarci le orecchie?.
Cazzo, però. Non è un caso che Blaine si scopi un'elfa. Non può essere. Gli elfi sono fuggiti, sono nascosti. Gli elfi non vanno ai concerti dell'arena sud di Umbar. Sentii le ondate di panico salire dal ventre. Non ora, Rain, cazzo, non ora, non mostrarti nervoso. Mantieni la calma. Non vorrai mica scatenare un tornado nel salottino di quest'albergo a quattro stelle. Non vorrai mica sputtanare gli ultimi... quanti? Nove anni di lavoro, di giri dentro e fuori la Federazione, a organizzare e unire il tuo popolo? Calma Rain, calma. Quell'elfa sa. Lo sa, non c'è altra spiegazione. Adesso devi solo trovare un modo discreto per farle capire che anche tu sai, che lei sa. Poi basta, fine. Ti assenti per dieci minuti, ne prendi un po' e torni giù, come nuovo. E Blaine, porca puttana, potevi guardarle le orecchie, oltre che il culo, in queste ultime due notti, no?
Sospirai, il più discretamente possibile. Lucy s'era abbandonata sulla poltrona, un'espressione imbronciata sul volto, i ragazzi continuavano a parlare del concerto, di come Blaine ancora non riuscisse a imbroccare le note sui pezzi un po' più impegnativi, Claudia sembrava essersi appena ripresa dal mancamento avuto poco prima. La promessa di andare a farmi poco dopo mi aveva calmato quel minimo necessario. Dovevo solo rivelare a Claudia la mia epifania, pareggiare il gioco. Tu sai, ma anche io so. Presi un altro respiro e mi decisi.
Due passi, le ero di fronte. I miei indici scivolarono veloci sotto il suo cappello a toccare le punte delle orecchie, mentre mormorai: “Suilannon, sìlol mellon nin”. Ti saluto, mia splendente amica. Sperai solo di non aver sbagliato qualcosa in Sindarin, insultandola invece di salutarla. A quanto pare no, perché mi sorrise, stupita.
Mae govannen, Sultha” mi rispose. Ben incontrato, Soffio di Vento.
Cazzo, due a uno per Claudia. Non solo sapeva chi eravamo, sapeva anche il mio Elemento. Ci parlo domani. Ci parlo domani che stasera proprio non è il caso.
Mi assentai con una scusa dal salottino, con la promessa di tornare subito.

La mattina dopo bussai alla porta di Blaine, per poi entrare. Avevo parlato con il bassista, la sera prima.
“Hai notato che la tua donna è un elfo?”.
“Un cosa?! Rain, che cosa hai preso per vedere degli elfi?”.
Ero rimasto impassibile e Blaine aveva capito che ero serio.
“Domattina devo parlarle. Fa' in modo che siate vestiti, non voglio perdere tempo utile” avevo continuato.
“Va bene, capo”.
Li trovai ancora a letto, semi-addormentati. Sospirai, avvicinandomi e trascinando Claudia fuori dal letto.
“Che modi!” mi disse, lanciandomi un'occhiata velenosa. Andò a raccogliere i suoi vestiti, senza accennare a coprirsi. Potevo capire perché Blaine non volesse che gli venisse portata via dal letto. Concentrati Rain, concentrati. Basta e avanza che il resto degli Squall sia stregato dalla vista di quel corpo, te devi restare serio.
Usciti dall'albergo c'incamminammo verso la statale. Lei non fece domande ma mi seguì tranquilla. Due a uno per lei, Rain, ricordatelo. Abbandonammo la statale, continuando a camminare sulla sabbia, nel deserto che circondava Umbar, un tempo Città dei Corsari, che ormai aveva preso il nome della regione di cui era capitale.
Mi fermai, accendendomi una sigaretta e sedendomi su una duna. Attorno a noi solo sabbia, la statale una striscia in lontananza, alle nostre spalle il sole che sorgeva.
Fu lei a rompere il silenzio.
“Ehi Rain... non è che hai una sigaretta anche per me?”. Un sorriso beffardo, i suoi occhi bruni puntati su di me. Le rivolsi uno sguardo gelido, lanciandole il pacchetto. Fottuta elfa irriverente. L'ultima volta che avevo controllato, la tua razza era eterea e malinconica. Nulla a che vedere con le ragazzine umane che riempivano parte delle nostre casse comprando album, poster, magliette e DVD. Ma, dopotutto, che razza di elfo si chiama Claudia?
“Perché sei venuta tra noi, immortale?” le domandai, soffiando una boccata di fumo fuori.
“Perché me lo chiedi, mago?” rispose. Sostenne il mio sguardo, ogni traccia di ironia scomparsa. Finalmente, aveva preso la situazione sul serio.
“Elfi e maghi non collaborano da secoli. Non ci sono simpatie tra le nostre razze. Chi ti manda?” continuai.
“Non mi manda nessuno. Agisco da sola”. Complimenti, Claudia, battuta da premio Oscar. Avrei dovuto immaginare una risposta del genere. Chi ti manda... neanche stessimo giocando agli agenti segreti del peggior film di serie B.
“Decido io chi rientra tra le mie simpatie. Da tempo vi osservo, so della Ribellione” disse.
Ovviamente sai della Ribellione. Altrimenti non saresti venuta da noi.
“Come?” chiesi.
“Non sono nata ieri, ti basti questo. Voglio aiutarvi”.
Allora, vediamo di fare il punto. Vieni qui, ti porti a letto uno dei miei migliori amici nonché secondi in comando, mi rincoglionisci l'altro con la tua semplice presenza, mi fai venire ulteriori paranoie -fidati, ne ho già abbastanza di mio- e te ne esci fuori dicendo che vuoi aiutarci? Molto divertente, Claudia, molto divertente. Hai già fatto abbastanza, secondo me.
“In che modo vuoi aiutarci?” chiesi, tentando di mantenermi calmo. Avrà pure perso l'espressione sardonica, ma continua ad essere infuriante.
“Mettendovi in contatto con gli elfi del Nord. I tempi sono maturi. Credo sia il momento buono per un'alleanza”.
Lasciai trasparire il mio scetticismo:
“Non so se fidarmi di te, elfa”.
“Fa' un po' come ti pare, Rain”.
Sospirai, spegnendo il mozzicone nella sabbia.
“Qual è il tuo vero nome?” le domandai, poi. Mi sorrise, di nuovo beffarda.
“Non ha importanza”.
“Dimmelo”. Non mi fido affatto di te, Claudia. Sappilo. Non rispose.
“Io e te non andremo d'accordo” dissi, laconico.
Mi accesi un'altra sigaretta. Cazzo, non avevo ancora fatto colazione e già avevo perso il conto.
Fottuta elfa. Se il resto della tua razza è come te, per quale motivo dovrei volere un'alleanza? Nel Nord dove, poi? Troppe domande mi si accavallarono nella mente e c'era solo un modo per trovare risposta a tutte: fidarsi di quella stramaledetta elfa con i jeans scoloriti e la maglietta di Blaine.
Espirai del fumo. Nove anni. Nove anni da quella maledetta sera in cui le Milizie di Gondor avevano effettuato una retata in tutti i locali che sapevano esser frequentati da maghi. Nove anni da quando mi sono ritrovato addosso la responsabilità ed il peso di una Ribellione, di un’Organizzazione clandestina che contava sempre più elementi, di un popolo.
Nove anni dal nostro primo concerto. Sorrisi amaramente, guardando i due plettri che pendevano da un bracciale sul mio polso.
Fottuta elfa. Tre a uno.
“Partiamo tra due giorni. Devo sistemare le cose, qui a Umbar, prima. E dobbiamo anche far sparire quelle punte” dissi, indicandole le orecchie con la sigaretta. Credeva che scherzassi, perché non diede peso alla mia ultima battuta. Ma non stavo affatto scherzando.

“Aspetta un secondo, Capo, faccio un giro di telefonate” fece Carlos, sparendo nel cucinotto del suo appartamento. Quando facevamo tappa a Umbar, per i concerti, era da Carlos che ci ritrovavamo. I membri del mio popolo erano sparsi ovunque tra Harad, Federazione di Nuova Gondor e i pochi stati liberi ancora rimasti, ed ogni città aveva un luogotenente che mi facesse rapporto e che tenesse monitorata la situazione.
Mi mordicchiai un’unghia, ripensando al pessimo incipit della mia presunta nuova alleanza con gli elfi. Io e te non andremo d’accordo. E cosa potevo sperare allora? L’incontro successivo non era stato meglio. Anzi.
“Come ci metterai in contatto con questi elfi del Nord?”.
C’era chi diceva che non fossero rimasti che pochi vagabondi ed eremiti, della razza immortale, e invece quella ne parlava come se avessero un fottutissimo regno con tanto di cappello. Le persecuzioni razziali da parte dei gondoriani avevano costretto il popolo dei maghi elementali haradrim a nascondersi, ma non era nulla confronto al genocidio attuato sulla razza elfica. Sufficiente da pensare che ormai, non ne fosse rimasto nessuno.
“Andremo io e te, Rain. Fino a N.G. e poi più a nord”.
”Vuoi entrare a N.G.?!”.
“Non è possibile fare diversamente”. La sua freddezza iniziava a darmi ai nervi. Tanto che avrei quasi voluto mandarla a fanculo. Ma feci di peggio, e m’impegnai per essere ancora più glaciale di lei.
“In tal caso provvederemo a tagliarti le orecchie il prima possibile, come ti ho già detto”.
Claudia aveva allargato le narici, soffiando come un cane irritato. L’avevo guardata con un ghigno soddisfatto.
“Va bene, Rain” aveva risposto poi, tranquilla. “Ma voglio che sia tu a farlo”.
Era riuscita ancora a spiazzarmi. Era stata sprezzante, con me, più che con chiunque altro in quei giorni, ma delle volte mi fissava con occhi così intensi che non potevo far a meno di sentirmi a disagio. Cosa c’era dietro quello sguardo?
“Rain, sei sicuro di quello che stai facendo?”. Era Dan. Accomodato a gambe accavallate sul sofà di Carlos, mi stava rivolgendo occhiate inquisitorie.
“No, che non sono sicuro. E come potrei?”.
“Ottima risposta, come Capo” mi ammonì.
Dan era l’unico, tra tutti, a non trattarmi come un superiore d’alto grado. Mi sentivo più libero di parlare, con lui.
“È solo la verità. Mi trovo a dover prendere decisioni da solo e non ho un mentore a cui appoggiarmi”.
“Vorresti tuo padre, al tuo fianco?”.
“Perché mi ricordi ogni singolo schifoso giorno della mia vita quanto l’ho deluso? Sta meglio sotto terra”.
Dan si accigliò. “Smetti di essere così duro. Lo sappiamo tutti e due che non è quello che pensi”.
Gli rivolsi un mezzo sorriso stupito. “Che hai oggi, Eric? Sei ancora più rompicazzo del solito”. Lo chiamavo col suo vecchio nome, il nome che portava prima della Ribellione, quando volevo che mi prendesse davvero sul serio. E lo volevo davvero. Non avevo bisogno che mi mettesse ancora più confusione in testa.
“Ti rompo il cazzo perché hai deciso così, su due piedi, di lasciare il tour mettendoci nei casini, e ti ricordo che se non ci pagano per i concerti, non sono solo le nostre tasche a piangere, Zèfiro, ma anche quelle della Ribellione”.
Touchè. Odiavo, quando mi chiamava così. “E stai facendo tutto questo per andare a fare passeggiate nei boschi del Nord, alla ricerca di un fantomatico regno elfico nascosto di cui nessuno ha mai sentito parlare”. Prese un respiro. “Quella ci sta fottendo, Rain. Non c’è nessun reame elfico. Come fai a crederle?”.
Mi strinsi nelle spalle. “Ha accettato di farsi tagliare le orecchie. Tanto mi basta”.
Dan sbuffò, scrollando la testa di capelli neri. “Almeno portatela a letto, dannazione” borbottò, rassegnato.
Gli sorrisi. Era l’unico modo che conoscevo per ringraziarlo della sua premura nei miei confronti.
“Tutto a posto, Capo” disse Carlos, tornando in soggiorno. “Ho trovato una maga di Elemento Vita che è disposta a fare l’operazione".
“Le hai chiesto se rimarranno cicatrici?”.
“Dice che con i suoi poteri, la guarigione sarà perfetta e senza segni. Si chiama Marta. Vi aspetta oggi pomeriggio a casa sua".
“Va bene, Carlos, ottimo lavoro”.
Gracias, Rain”.

“Come sarebbe a dire che te ne vai?!” strillò ancora Lucinda, poi puntò l’indice chissà dove. “E con quella là!”.
Dannata la volta che ho deciso di pranzare con lei. Cazzo, Lucy, non siamo sposati!
“Te l’ho detto, è un’occasione da non perdere…”.
“Lascerai il tour a metà! E mi lascerai qui da sola!”.
“Senti, tesoro, mi dispiace ma non…”.
“Portami con te”.
“Non posso, il viaggio è pagato per una persona sola”. Sospirai. Diventava ogni giorno più difficile, nasconderle la verità, e non mi piaceva mentirle. Non eravamo assieme da molto e all’inizio mi piaceva, il fatto che mi trattasse come un normale ragazzo di ventisei anni, ma ora iniziava a pesarmi. “Quella donna vuole finanziarmi un disco da solista, ed è il sogno della mia vita” su questo non dovetti mentire, “non capita tutti i giorni che una produttrice miliardaria ti offra una occasione come questa”.
Lucy si rasserenò solo un po’ e mise il broncio. La adoravo, quando metteva il broncio. “Quella là non sembra proprio una produttrice miliardaria. S’è scopata Blaine tutte le notti da quando l’ha conosciuto. A me sembra solo una baldracca navigata” sentenziò.
Scoppiai a ridere. “Sta sul cazzo anche a me” la informai. “Mi piacciono solo i suoi soldi”.
Lucinda mi sorrise e venne a sedersi su di me. “Sicuro che non ti piaccia altro, di lei? Non sono scema. È molto più bella di me”.
Mi veniva da annuire vigorosamente, ma mi trattenni. Strinsi Lucy tra le braccia e la baciai. Senza troppa passione, a dire il vero. Stavo bene, con lei, ma la verità era che nei giorni a venire, di Lucinda non mi sarebbe mancato nulla. Forse solo quel broncio delizioso. Del resto, ci avrebbe pensato la cocaina, a farmi provare amore. Amore al cubo.
“Non mi piace nulla di lei. Non è il mio tipo” confessai, pronunciando la peggior bugia della giornata.

Ay ay ay ay,
canta y no llores!
Porqué cantando se alegran,
cielito lindo, los corazones
”.
Sul marciapiede di fronte a me un suonatore di strada stava massacrando la sua povera chitarra, sperando che i passanti gettassero qualche spicciolo nella custodia aperta ai suoi piedi.
Sospirai, guardando di nuovo l'orologio appeso alla fermata dell'autobus.
Dove diamine era finita quell'elfa?
Le avevo telefonato dopo pranzo, dandole l'indirizzo e le indicazioni su come arrivarci dall'albergo. Avrei dovuto aggiungere le indicazioni dal letto di Blaine alla hall, cazzo.
Calmati Rain. Arriverà. Cinque minuti di ritardo sono accettabili per tutti e probabilmente si starà districando dalle lenzuola di quel letto. Altri cinque minuti e poi chiami Blaine.
Non fu necessario, poco dopo -giusto in tempo per sentire l'ultima nota dell'agonizzante chitarra del musicista- vidi Claudia farsi strada oltre un gruppo di studenti diretti alla fermata.
“Alla buon ora!” sbottai quando si fermò davanti a me. Vestita di jeans e di una maglia a maniche lunghe aderente mi resi conto di quanto grande fosse la bugia detta a Lucy, giusto due ore prima.
“Fottiti. Mi hai fatto girare mezza Umbar!”.
Cominciamo bene...
“Al capolinea della 70. Un quarto d'ora alla destra dell'albergo. Mi chiedo come tu possa esserti persa. Comunque muoviti, che siamo in ritardo”.
Mi avviai lungo la strada senza attendere la sua risposta, controllando i numeri civici, mentre Claudia mi seguiva, borbottando insulti nei miei confronti, finché non mi bloccai, guadagnandomi un altro epiteto dall'elfa che mi sbatté contro.
Non le diedi attenzione ma estrassi il foglietto dove mi ero segnato l'indirizzo di Marta.
“Che ti succede Rain, ti sei perso anche tu?”. Di nuovo irriverente. Ti preferivo quando m'insultavi.
Marta Hernandez, carrer Elisabets 42.
M'aspettavo il portone di un palazzo, non la vetrina di un negozio di piercing e tatuaggi.
Mi riscossi velocemente, notando che Claudia non aveva battuto ciglio ma anzi, osservava con espressione annoiata i disegni esposti nella vetrina.
Le feci un fischio e le indicai di seguirmi dentro. Mi accolse una voce annoiata:
“Siamo ancora chiusi”.
La prima cosa che notai furono gli anfibi, poggiati sul bancone accanto al registratore di cassa. A calzarli era una ragazza sui venticinque anni dai corti capelli biondi acconciati da una quantità esorbitante di gel e il volto affondato in una rivista.
“Stiamo cercando Marta, abbiamo un appuntamento e ci hanno detto di venire qui” le risposi.
Jefe?!”. Oh cazzo, è lei Marta?! Di certo non quello che mi aspettavo, ma ne ebbi la conferma quando alzò due occhi di un verde opalino per osservarmi meglio. Mi aspettavo una ragazza eterea di quelle che si vede lontano un miglio che non hanno mai consumato nulla di più tossico di un succo di mango durante la loro esistenza, non una con un ammasso di metallo sul volto e litri d'inchiostro sulla pelle.
“Scusami, vi stavo aspettando”. Si voltò verso Claudia: “Piacere, Marta. Non ti preoccupare, non sentirai nulla e non ci sono rischi d'infiammazioni o infezioni, anche se è la prima volta che mi trovo a fare questo tipo di operazione. Accomodati di là, io arrivo subito”.
La vidi chiudere la porta a chiave e avviarsi verso il retrobottega, seguita da Claudia, che sembrava essersi resa conto solo adesso della serietà della situazione.
Non più tanto strafottente, eh?
Mi dispiacque subito aver fatto quel pensiero quando incrociai il suo sguardo, una volta raggiunte le due. “Ehi Rain... sei sicuro che sia necessario?” mi domandò. Sospirai, abbassando gli occhi.
“Se è vero quello che dici allora è impossibile fare altrimenti. Non possiamo passare la dogana e men che meno andare a Minas se ti tieni quelle punte” le dissi.
“E sia” mi rispose. La durezza del suo tono mi fece quasi desistere: non era rivolta a me né a Marta, che nel frattempo stava armeggiando in uno stipetto alle nostre spalle e che, povera, non c'entrava molto. Quella durezza era per lei, a soffocare l'impulso di abbandonare la strada scelta. Mi guardò fisso negli occhi e annuì.
“Marta, devo chiederti una sola cosa: il taglio deve farlo Rain. Deve essere così”. La ragazza riemerse dall'armadietto mezzo minuto dopo, porgendo a me dei guanti e un bisturi e uno specchio a Claudia.
“Dunque, come le vogliamo queste orecchie?”. Elfa e maga discussero qualche minuto e Marta estrasse un pennarello, segnando un orlo arrotondato sotto le punte. Feci un passo avanti ma la maga m'intimò di attendere con un gesto.
Avvolse le dita piene d'anelli attorno alle punte e si concentrò per una decina di secondi, prima di stringerle con forza. Vidi Claudia stringere i denti ma restare impassibile mentre l'incantesimo le toglieva sensibilità alle orecchie.
“Capo, tocca a te”.
“Fai un lavoro preciso, per favore, non voglio dover passare il resto dell'eternità con le orecchie storpie” asserì Claudia, abbozzando un sorrisetto e tentando di tornare al tono cinico di prima.
Con molta cautela incisi l'orecchio seguendo la linea, per poi passare il bisturi più forte e recidere la punta del tutto. La maga di Vita mise subito la destra sulla ferita, facendola rimarginare e adattando il nuovo bordo del padiglione auricolare al resto. Ripetemmo velocemente l'operazione sull'orecchio sinistro.
In meno di cinque minuti avevamo dato a Claudia un apparenza un po' più umana.

Poggiai la mia sacca nel bagagliaio e lo chiusi, per poi accendermi una sigaretta. Una gatta nera si strusciò contro le mie gambe, facendomi le fusa.
“Già perdonato per averti cacciato dalla macchina?” le domandai. In risposta quella emise un miagolio soddisfatto per poi sparire dietro l'angolo.
Espirai del fumo, riflettendo sulle parole che Daniel mi aveva detto poco prima.
Sì, stavo correndo un grosso rischio, portandola all'Empire. La base di Minas era da sempre la più importante e la più rischiosa, ma non potevo fare altrimenti: dovevo assolutamente esporre la situazione alla divisione della capitale in modo che se ci avessero beccato a gironzolare per la Federazione gli altri avrebbero avuto il culo parato.
E Dan si fidava di me.
Aveva ragione, da un certo punto di vista: mi mancava un mentore. Mio padre, un altro mago di Aria, non avrebbe avuto importanza chi, ma qualcuno a cui chiedere consiglio e che ne sapesse più di me.
E invece eccoci qua, tutti nella stessa merda a tentare di sopravvivere. E se gli altri ci son dentro fino al collo io ci sono dentro fino alle punte dei capelli.
Spensi la sigaretta sotto il tallone e alzai lo sguardo dietro le lenti degli occhiali da sole, notando l'elfa che aveva dato una scossa alla mia vita venirmi incontro con il suo solito sorriso beffardo.
“Pronta?”.
“Pronta”.
E partimmo lungo la Statale numero 5, la grande strada asfaltata che collega Nuova Gondor all'Haradwaith.





Note dall'autore
Sorpresa!
Dopo anni dalla sua pubblicazione questa storia ritorna, ma stavolta da un altro punto di vista.
Sono io a dover ringraziare Hareth per avermi permesso di entrare nel suo universo e di scrivere qualcosa appartenente ad esso. Alagos - Rain's Rioters è stata la prima fiction che ho seguito e recensito in questo sito e poter dare parola ai pensieri di Rain è un onore grandissimo.
Spero che questa storia piacerà a chi già la conosce e che entusiasmerà nuovi lettori come, ormai otto anni fa, prese me.
Ci sentiamo presto per il prossimo capitolo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Postumi ***


Nota dall'autore
E' presente nel capitolo un linguaggio scurrile e forte che potrebbe offendere i lettori, oltre ad essere implicato utilizzo di sostanze stupefacenti. Non intendo in nessun modo incoraggiare o supportare l'utilizzo di tali sostanze, la scena è totalmente frutto di fantasia.


Capitolo 2 - Postumi

Rallentai e scalai la marcia, mentre ci avvicinavamo al confine.
Presi un gran respiro e scoccai un'occhiata a Claudia, immersa nel sedile con i piedi poggiati sul cruscotto. Lei incrociò il mio sguardo con un'espressione seccata ed infilò una cassetta nell'autoradio, un tacito modo di dirmi che non aveva affatto voglia di chiacchierare. Riaffondò nel sedile, masticando volgarmente la gomma. Il trucco pesante che le avevo chiesto di portare accentuava la volgarità, ma almeno la faceva sembrare meno eterea, meno elfica. Meno bella.
Lucy, ti sbaglierai su molte cose ma su questo avevi ragione: così conciata sembra proprio una zoccola.
Scacciai quei pensieri, notando il cartello che indicava il confine a mezzo miglio di distanza e spensi la radio, tagliando l'assolo di Morello e guadagnandomi un'altra occhiataccia da Claudia. E certo, perché noi che siamo geniali ci presentiamo al confine con della musica di rivolta ad alto volume. Dispiace anche a me, elfa dei miei sacrosanti stivali, interrompere un po' di sano rock, ma sappiamo bene che c'è tempo e luogo per ogni cosa. Tempo e luogo. E noi eravamo decisamente nel luogo sbagliato in uno dei momenti peggiori. Cazzo.
“Claudia, passami un documento, ci siamo”.
Uno dei miliziani si avvicinò al finestrino mentre Claudia mi passava una carta d'identità, ovviamente falsa ma indistinguibile da una vera. L'altro miliziano restò in allerta dietro la sbarra, guardandoci con tutta l'autorità che poteva, nonostante la sua giovane età.
Senza una parola passai i documenti al soldato alla mia sinistra, che li osservò brevemente per poi restituirmeli.
“Dobbiamo effettuare una perquisizione. Accostate nella piazzola” disse, indicando un punto alla destra della sbarra.
Parcheggiai ed uscimmo dalla macchina. Il ragazzo perquisì Claudia -per sua fortuna molto rapidamente- per poi passare a me. Rilassati, Rain, non c'è alcun motivo di essere nervosi. Evita di far come Claudia, che per poco non ha ringhiato al miliziano quando le ha passato le mani sul culo. Trattenni un sorriso pensando ai mille modi in cui lei avrebbe potuto spaccargli l'osso del collo, ma questo pensiero fu interrotto quando il soldato volle accertarsi troppo a fondo che io non fossi un eunuco. Stronzo, per poco non mi castravi tu, con quella stretta.
Nel mentre l'altro miliziano stava frugando tra i nostri bagagli e nella macchina. Due stecche di sigarette della marca Haradrim più economica, vestiti, qualche cianfrusaglia non compromettente e una chitarra elettrica. Vacci piano con quella, coglione in divisa, che è costata più di quella schifo d'istruzione che v'hanno dato in questo paese a pezzi.
“Siete musicisti?”.
Trattenni un lamento, vedendolo tenere lo strumento per il manico e agitarlo come fosse un bastone trovato per strada. Annuii.
I due miliziani ci lasciarono andare poco dopo, tornando a controllare la sbarra, mentre noi ci apprestavamo a rifare i bagagli.
Valar se mi facevano pena, i due. Avranno avuto sì e no vent'anni, già sembravano automi. Indottrinati, dogmatici, con la stessa uniforme color sabbia, gli stessi capelli rasati, gli stessi sguardi duri di facciata. Non erano loro, il nemico che avremmo dovuto combattere. Loro erano come noi, dopotutto. Dei fottuti esseri viventi che volevano solo starsene in pace. Mago, elfo, umano... cosa cambia? Questa è la domanda. Porca puttana, cosa cambia?
Lanciai un ultimo sguardo alle mie spalle, rimettendo in moto. Claudia si accese due sigarette e me ne passò una, senza dire una parola, e riprese la sua posizione con gli stivali poggiati sul cruscotto. Espirai una boccata di fumo: non riuscivo a crederci. Non riuscivo a crederci, seriamente, che fosse andata così liscia, fin ora.
Eppure la Statale numero 5 era finita. Eravamo ufficialmente entrati nella Federazione di Nuova Gondor.

Il sole stava tramontando quando ci fermammo nel parcheggio di una piccola trattoria al lato della strada, una delle tante presenti nelle campagne del sud dell'Ithilien.
Claudia era stata estremamente taciturna durante tutto il viaggio, forse a causa del microfono che le milizie avevano infilato sotto il pomolo del cambio alla dogana, ma è più probabile che ce l'avesse ancora con me per le orecchie.
Diamine elfa, come credevi saremmo potuti passare per la Federazione, altrimenti? Lasciarti le orecchie con le loro belle punte sarebbe stato come tatuarsi Mago e Immortale sulle rispettive fronti. Anzi, ancora meglio, avremmo potuto passare la dogana a cavallo di un tornado, magari facendomi anche suonare un assolo in piedi sul tetto della macchina, giusto per fregare anche il resto degli Squall. Sospirai, osservando l'elfa in questione scendere alla macchina e guardarmi con espressione truce.
“Perché ci siamo fermati?”.
Splendido. Le prime parole che mi rivolgi dopo ore di viaggio, le prime da quando hai pescato da sotto un sasso quelle semiautomatiche e mi hai acidamente assicurato un proiettile in fronte e due nel petto se avessi provato a protestare, e sei ancora più acida, se possibile. Splendido.
“Siamo ancora nel nulla più totale e ci sono ancora uno strafottìo di chilometri prima di Osgiliath. Non so te, che forse ti sei imbottita di quel vostro bizzarro pan di via quando non guardavo, ma io sto crepando di fame”.
E in più non mi faccio da ieri pomeriggio e so che non avrò occasione di trovarne prima di Minas o di Osgiliath, ma questo è meglio se non te lo dico.
Claudia sbuffò. Calmati Rain, ne basta una di persona con la luna storta, almeno uno dei due deve restare tranquillo. O, per lo meno, sano di mente.
Entrammo nella trattoria, sedendoci a un tavolino vicino l'entrata ma abbastanza imbucato da essere ignorato dal resto della clientela.
Due birre, due piatti, un caffè per tenermi su almeno fino ad Emyn Arnen ed eravamo di nuovo in strada. Non una parola di troppo, se non per declinare la grappa offertaci dall'oste. Dovetti reprimere un altro sorriso, ripensando alla faccia di Claudia per aver accalappiato una così bella signorina. Chissà cosa le aveva dato fastidio, se i complimenti di un panciuto sessantenne con il grembiule sporco di sugo -sarebbe ipocrita da parte tua, mia cara, che hai alle spalle almeno un paio di millenni, nonostante il visetto da ventenne sprovveduta- o l'essere associata a me -altrettanto ipocrita, visto che fino a qualche giorno fa ti rotolavi nelle lenzuola con uno dei miei migliori amici-.
La guardai di sottecchi, sentendola muoversi sul sedile, e vidi che stava frugando nel portadocumenti.
“Hai un accendino?” mi chiese, notando il mio sguardo e mostrandomi una sigaretta spenta. Glielo passai in silenzio, per poi tornare a concentrarmi sulla strada. Claudia si accese la sigaretta e poggiò l'accendino sul cruscotto, affondando di nuovo nel sedile dopo aver cambiato cassetta.
“Sai” disse, “fermarsi a mangiare non è stata una cattiva idea, sto molto meglio”.
Ho sentito bene? Oh sì, ha proprio detto qualcosa di simpatico.
“Sono contento per te” le risposi, poggiando distrattamente la mano sulla leva del cambio. Ricorda che ci stanno probabilmente ascoltando, i Neogondoriani non si fidano affatto di noi sporchi e meschini Sudroni. L'elfa seguì la mia mano con gli occhi e mi scoccò uno sguardo d'intesa.
“Spero solo di riuscire ad essere nello studio di registrazione domani” mi disse, scegliendo con cura le parole.
“Dovremmo arrivare domani nel tardo pomeriggio. Vuoi utilizzare gli strumenti e le strutture che ho io a disposizione o preferisci scegliere tu che studio sfruttare?” le domandai, continuando sulla linea della nostra copertura. Ti devo portare dai miei a Minas o ci sono elfi nella Capitale?
“Credo sia meglio se usiamo le tue strumentazioni, mi serve che tu dia il meglio di te”.
Insomma, vuoi conoscere i maghi dell'Empire e vedere effettivamente come me la cavo a fare il leader. Mi feci l'appunto mentale di fare un'altra telefonata a Felipe non appena saremmo arrivati ad Osgiliath. Avrebbe saputo esattamente che cosa bolliva in pentola conoscendo Claudia di persona, purtroppo per lui, ma potevo almeno assicurarmi che sarebbe stato tutto sotto controllo quando saremmo arrivati.
“Ottimo” le dissi, “vedrò di chiamare i miei amici e mettermi d'accordo con loro”.
L'elfa mi lanciò un'ultima occhiata, annuendo, e mi lasciò spiazzato sorridendomi per la prima volta in maniera sincera.
Chissà perché avevo il presentimento che stessimo entrambi cercando di essere la persona ragionevole dei due.

Fanculo.
Fanculo Claudia, fanculo gli elfi, fanculo i maghi, fanculo la Federazione, gli Squall e la Ribellione, le leggi, questi dieci anni, mio padre, Dan e Blaine e Romeo, Georgia, Lucinda e compagnia bella. Fanculo tutti.
E fanculo a te, Zèfiro.
Strafottutissimo nome, persona, leader responsabile e tutta la caterva di stronzate che ci hanno costruito sopra. Fanculo a te soprattutto.
“Hai una sigaretta?”. La voce della bionda al mio fianco mi fece uscire dal mio groviglio di pensieri e di fanculo, graffiandomi i timpani come un gessetto spezzato.
Joder que te calles!” le sibilai, scostandomi dal suo abbraccio.
L'avevo rimorchiata fuori del piccolo motel dove c'eravamo fermati, lungo la statale che tagliava Osgiliath da nord a sud.
“Una camera per due”, “Abbiamo una matrimoniale”, “Andrà bene”, tempo di parcheggiare Claudia al bar -probabilmente sarà di nuovo acida come non mai, oltre ad essere piena di whisky- ed ero fuori, con la scusa di una sigaretta. E poi via, di nuovo, un copione imparato a memoria a forza di pratica. Ormai le riconosci a vista, sai che probabilmente ne hanno poca ma sono più che disposte a dividerla con un chitarrista che sembra abbastanza famoso. Le prendi per vanità.
Sai trovarne di stupide, Rain, incredibilmente stupide.
Talmente stupide che ci cascano sempre. La inviti in camera, parlate di un paio di stronzate, magari t'inventi che le dedicherai la tua prossima canzone e così via. Poi vi fate e in men che non si dica ti trovi la sua lingua in bocca e le sue tette tra le mani.
E in quel momento tutto va bene. Il cuore a mille, la mente attiva e l'uccello giù. Ma che ti frega dell'ultima?
Per il resto stai bene.
La tua libido è totalmente a puttane, ma non è un problema. Ti sei fatto la tua riga e stai bene. Decisamente meglio di prima. Neanche ti dispiace per la povera ragazza che, invece, vorrebbe anche scoparti. Come questa adesso, che era a cavalcioni sul tuo inguine fino a due minuti fa. Neanche ti ricordi il suo nome, neanche ti ricordi con che nome ti sei presentato, stavolta. Ma chi cazzo se ne frega.
Fanculo a tutti, tu stai bene, ora.
La notai con la coda dell'occhio mentre si alzava e si rivestiva, uscendo poco dopo dalla stanza dicendomi:
Adios, cabròn!”.
Cazzo, questa comprendeva l'Haradrim. Poco male e fanculo anche a lei. Era anche una delle peggiori, quelle compassionevoli che ti dicono che non c'è problema e provano a tirartelo su in tutti i modi, quando tu vorresti solo spaccare il mondo e goderti la tua dose senza tirare in ballo il tuo amico là sotto. E poi aveva una voce fastidiosa.
Fanculo anche a lei, e ancora a te, Zéf. Soprattutto a te.
Sei uno stronzo, Zèfiro.
Sei uno stronzo perché sei stato tu a infilarti in questo casino. Leader dei miei coglioni pieni. Sei uno stronzo a circuire delle ingenue in questo modo. Sei uno stronzo per ogni volta che sputi sulla memoria di tuo padre, altra emerita testa di cazzo ma mai quanto te. Sei uno stronzo a scordarti che il tuo nome è Rain. Fanculo anche a te, Rain.
Alzati da quel letto e vai a sbronzarti, prima che quell'elfa arrivi e ti rompa i coglioni perché ti sei fatto.
Fanculo.

La mattina giunse senza troppe cerimonie, con Claudia che mi sbraitava di alzarmi dal letto e un pesante mal di testa per entrambi. Presto eravamo di nuovo per strada, rock'n'roll dall'autoradio e due paia di occhiali da sole a coprire le occhiaie di entrambi. Se non fosse stato per l'espressione inacidita di Claudia e il fatto che si stesse stiracchiando continuamente con quel suo fare da gatta solo per ricordarmi che le era toccato dormire sul pavimento saremmo potuti quasi passare per degli amanti. O almeno degli amici.
Dan, dovresti vederci. Altro che Quella ti sta fottendo. Questa è messa peggio di me, nel campo dell'avere le idee chiare. Un po' mi dispiace per lei, avrebbe bisogno di qualcuno con cui stendersi in un prato e parlare, senza problemi e senza remore. Certo, tirarle fuori qualcosa adesso sarebbe come cercare di fare una manicure a un troll con una limetta, aspettandosi che questo se ne stia tranquillo. Lascia perdere, Rain, non le caverai una parola più del necessario, per come è messa adesso. E anzi, la situazione può solo che peggiorare.
Questi pensieri mi accompagnarono lungo tutto il viaggio verso Nord, finché non decidemmo di fermarci in una di quelle cittadine-buco-di-culo che erano spuntate come funghi a Sud di Osgiliath, con la scusa che l'aria dell'Ithilien faceva bene agli animi. Guardai oltre il finestrino, cercando di immaginarmi i boschi che un tempo ricoprivano i campi coltivati e le occasionali fabbriche. Bel lavoro avete fatto, i miei complimenti.
Mentre entravamo nel centro abitato dissi a Claudia di tenere gli occhi aperti e cercare un motel non troppo squallido dove passare la notte e un posto dove mettere qualcosa sotto i denti. Mi rispose con un verso indifferente che decisi di prendere come un no. Poco dopo le indicai una pensione dall'insegna di legno e dei vasi di gerani sulle finestre. Sembrava essere ricavata da una vecchia torre di guardia, uno di quei luoghi prettamente turistici che vogliono far respirare quel feeling da Terza Era, fallendo clamorosamente infilandoti la TV nella stanza da letto.
Parcheggiai fuori ed estrassi il telefonino dalla tasca, zittendo ulteriori commenti di Claudia riguardo la facilità nel tracciare questi arnesi e la trasmittente nella macchina.
Hola! Filo, sono Rain! Sì, tutto bene, sto viaggiando in ottima compagnia, dovremmo arrivare domani. Ottimo, ottimo, sono felice che tutto stia andando come definito. Senti, riuscite a darci un alloggio voi, vero? Grazie, non vorrei succedessero ulteriori casini con la nostra ospite speciale. In ogni caso, chiama tutti, che la produttrice qui vuole sentire come me la cavo con diversi tipi di sound e supporto tecnico ad accompagnarmi, prima di lasciarmi incidere una singola nota. Vale, ci vediamo domani pomeriggio, allora. Statemi bene”.
Terminai la telefonata e mi dedicai a raccogliere i nostri bagagli, mentre l'elfa si avviava dentro la pensione.

“Sei sicuro che non ci siano rischi ad usare quel telefonino?” mi domandò, una volta in camera. Era stesa sul letto, fumandosi la prima sigaretta della giornata. Sembrava quasi dolce, in quel momento.
Rain? Stai pensando che l'elfa distesa sul letto sia attraente?
Beh, è un'elfa, bella è bella e soprattutto non mi sta più guardando come se le avessi tagliato via le orecchie o qualcosa del genere.
Ti devo ricordare che è ciò che hai fatto, giusto un paio di giorni fa?
Valar, devo aver seriamente bevuto troppo ieri.
“Rain? Ti sei incantato?” disse Claudia, riportandomi alla realtà.
“Scusami, sono un po' stanco”.
“Ci credo, puzzavi di distilleria quando sono salita in camera”.
“Da che pulpito... se ben ricordo non sono l'unico che ha passato la serata a tracannare. Scommetto che hai ancora la testa che pulsa”.
“Fortunatamente no. E tu? Oltre al mal di testa dovresti avere un bel pacco di sensi di colpa da affrontare, dopo quella biondina”. Di nuovo quel sorrisetto sardonico, era un po' che non lo vedevo. Cominciava a mancarmi.
“Che cosa intendi?”.
Ti amo, tesoro” esclamò, ricordandomi come avevo salutato Lucy al telefono, qualche giorno prima. Colpito e affondato. Sospirai.
“Nessun senso di colpa” le dissi. Non intendo darti questa soddisfazione. Poi, non possono esserci sensi di colpa se non ci ho combinato praticamente nulla.
“Immagino che non ci possano essere sensi di colpa quando hai quel piccolo problemino” disse, incurvando l'indice nella mia direzione. Joder. Pure questo sai. Fottuta elfa onnisciente.
Mi stesi sul letto rimasto, deciso a tentare di riposare un minimo. Inutile continuare a discutere con lei, non avremmo raggiunto niente né avremmo potuto parlare di qualcosa d'importante. Non ancora, non qui.
Presto sentii Claudia muoversi e uscire dalla stanza. Forse stava andando ad ubriacarsi di nuovo. Poco male. Almeno aveva deciso di lasciarmi in pace per un po'.

Mi svegliai un paio d'ore dopo, affamato e senza accenni di emicrania. Fuori era già buio.
Notai la luce accesa in bagno e mi avvicinai, trovando Claudia in piedi davanti lo specchio, un paio di forbici in mano. La vidi giocherellare con i suoi capelli, arrotolando un paio di ciocche tra le dita della sinistra, per poi sospirare e portare le forbici dietro la nuca. Restai immobile, non volendo disturbarla, ma poco dopo la vidi sospirare e abbandonare le braccia lungo i fianchi.
Senza una parola mi avvicinai e le presi le forbici dalle mani. Passai le dita tra quei lunghi capelli corvini, inebriandomi del loro odore. Dispiace anche a me, dolcezza, ma hai ragione. Dei capelli del genere sono comunque capaci di destare sospetti, specialmente vista la tua perfezione.
Avvicinai le forbici alla nuca, facendo attenzione a quali ciocche catturare fra le due lame. Non guardarla, Rain, dovete riuscirci. Concentrai il mio sguardo sulle lame, chiudendole lentamente, millimetro dopo millimetro.
Tagliai.
Le ciocche nere caddero senza tanti complimenti in terra, mentre continuavo a tagliare, cercando di non causare troppi danni alla sua chioma. Lei non fece nulla, resto ferma, fissando il lavandino. Forse singhiozzò, ma non mi fermai. Dovevo.
Quando ebbi finito poggiai le forbici sul lavandino e le poggiai la mano sotto il mento.
“Guardati” le chiesi, con tutta la decisione che riuscii a trovare. Mi dispiace, Claudia. Spero tu sappia anche questo. Mi dispiace.
Sembrò inorridire, vedendo la sua immagine riflessa nello specchio. I suoi capelli, che prima scendevano fieri in mezzo alle sue scapole fino alla vita, le arrivavano a malapena alle spalle. Si voltò verso di me, senza nascondere il suo dolore.
“Claudia...” cominciai. Mi zittì scuotendo il capo.
Nessuna scusa. Nessuna battuta sarcastica. Nessuna parola. In questo momento c'erano solo lei e il suo dolore. Io non c'entravo, nella vignetta.
Le diedi una lieve stretta sulla spalla, sperando che capisse, che sentisse che c'ero, ma poi la lasciai in quel piccolo bagno, come mi aveva silenziosamente chiesto di fare.

La mattina dopo avevamo abbandonato la macchina alla stazione di Trascol, il paese dove ci eravamo fermati, pronti a prendere il primo treno per Minas Tirith.
Reprimetti uno sbadiglio. Avevo passato gran parte della notte nell'unico pub di Trascol, davanti la stessa pinta. Da una parte volevo evitare di ripetere l'esperienza di quella mattina, dall'altra non volevo disturbare Claudia. O forse non volevo che cambiasse idea, decidesse che i suoi capelli stavano bene prima e mi sparasse nel sonno. In ogni caso, era bene che la ragazza avesse un po' di spazio. Elfa, Rain, elfa.
Mi accesi una sigaretta, alzando gli occhi.
“C'è qualcosa che non va?” le domandai, notando che l'elfa in questione mi stava osservando. Sembrava comunque più allegra, quella mattina.
“Nulla, Rain, sto bene” mi rispose, guardandomi negli occhi. Sorrise.
“Comunque ti stanno bene i capelli corti, sai?” le dissi.
“Grazie della bugia, tesoro”.
Le accennai un mezzo sorriso a mia volta.
C'era il sole, quella mattina, gente attorno a noi che aspettava il treno per andare a lavoro o a scuola senza sospettare minimamente chi potessimo essere veramente, solo una delle innumerevoli coppiette in attesa sul binario due, e Claudia sembrava finalmente di buon umore. E allora perché avevo il presentimento che non sarebbe durata?
Scacciai quei pensieri mentre il treno, in ritardo di una decina di minuti, rallentava per poi fermarsi davanti a noi.
Feci un gesto alla mia compagna di viaggio, invitandola a salire, e la seguii con i bagagli.
Ci sedemmo in uno scompartimento vuoto, di quelli vecchio stile con tre sedili per lato, che odorava di tabacco nonostante le recenti leggi antifumo, mentre il treno si rimetteva in movimento verso la Capitale. Un mago e un'elfa, dritti verso la tana del lupo. Ridacchiai al pensiero: nonostante tutto, le cose stavano andando bene. Nessun casino alla dogana, nessun casino per strada e presto Minas Tirith e i miei, dove saremmo stati finalmente al sicuro, almeno per un po'. Mi rilassai contro lo schienale della sedia, osservando il profilo del Mindolluin in lontananza. Stava andando bene.
Fu in quel momento che udimmo gli spari.








Note dall'autore
E siamo a due.
Tra Santiago e giostrarmi nel pessimo mondo dell'UniTS ce l'abbiamo fatta. Veramente, grazie fanciulle per le recensioni al capitolo scorso, sono contendo vi piaccia come sta venendo fuori questa versione dal punto di vista di Rain.
Insomma, siamo sul treno, tra un po' Minas e di nuovo un po' di gente a distogliere Rain dai suoi flussi di pensieri, vista la poca loquacità di Claudia a questo punto del loro viaggio. Statemi bene e vi prego di scusarmi per il linguaggio di Rain nel Monologo del Fanculo, che potrebbe offendere qualcuno.
Ci si sente per il prossimo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Empire ***




Capitolo 3 - Empire

Vidi Claudia alzarsi dal sedile ed aprire la porta dello scompartimento con un gesto secco. L'elfa s'irrigidì, per poi guardare da entrambe le parti. Sembrava cercare qualcosa.
“Claudia?”. Mi ignorò, voltandosi alla sua sinistra.
Sentimmo il rumore delle porte dei vagoni, delle voci, altri spari, passi di corsa. Il fuggiasco notò Claudia e si bloccò. Un ragazzo, non avrà avuto più di una ventina d'anni. Il volto affilato e pallido, incorniciato da una lunga chioma di capelli castani quasi biondi e gli occhi di un verde profondo contrastavano con la tuta militare grigia che indossava. Il ragazzo si guardò alle spalle e poi avanti, voltandosi infine verso Claudia, di fronte a lui. Fu solo allora che vidi le punte sulle sue orecchie, comprendendo il perché stesse fuggendo.
L'elfo mosse la destra, lanciando un microscopico pezzo di metallo verso Claudia.
“Fermo! Sparategli!” la voce del miliziano fu l'ultima cosa che udì, purtroppo per lui. Vidi lo sconosciuto contorcersi sotto il fuoco di almeno due caricatori mentre mi lanciavo a bloccare Claudia, prima che facesse qualcosa di irrimediabilmente stupido come avventarsi sui soldati e azzannargli la giugulare per vendicare il compagno ucciso. Cazzo, cazzo! Devi essere quello ragionevole, Rain, ricordatene. Non nego che, per un infinitesimale momento, avrei generato un tornado su quello stesso treno, uccidendo probabilmente tutti i presenti. Invece mi trovai a stringere un'elfa che rischiava di fregarci entrambi e continuava a lanciarmi insulti, intimandomi di lasciarla andare. Lo capisci, ora? Non ti avrei mai costretta a tagliarti orecchie e capelli se non fosse stato assolutamente necessario.
Rifilai ai miliziani un paio di scuse, assicurandoli della nostra piena salute -proprio mentre l'immortale mi mordeva il collo per farmi lasciare la presa su di lei- e trascinando Claudia di nuovo dentro lo scomparto. Chiusi la porta alle mie spalle, dopo averla praticamente lanciata sui sedili.
“Calmati, Claudia. Diamine, manca poco che fai saltare la copertura a tutti e due!” le sibilai. Mi guardò torva e cercò di nuovo di uscire dallo scompartimento.
“Lasciami, fottutissimo mortale, lasciami andare!”.
“Ti ho detto che devi calmarti. Non possiamo fare nulla”. La trascinai a sedere con me, guardandola negli occhi e tappandole la bocca prima che urlasse qualcosa d'incriminante.
Non possiamo fare nulla, Claudia, ti prego. Ci faresti ammazzare. Non possiamo ancora fare nulla. Vidi la tristezza nel suo sguardo prendere il posto del freddo odio di poco prima.
“Sei calma?”. Domanda stupida, Rain. Domanda stupida. L'elfa annuì impercettibilmente. La lasciai sedere e lei si abbandonò sul sedile, guardando fisso fuori del finestrino. Ci stavamo avvicinando a Minas.
Estrassi il telefono, pensieroso, per poi rimetterlo in tasca. Fanculo la Ribellione, devo fare in modo che quest'elfa si ripigli prima di poter cominciare a lavorare. Li avrei raggiunti la sera.
E fortuna che sembrava andare tutto bene.

Sul far della sera Claudia ricominciò a parlare. Fino a quel momento si era espressa a versi, occhiate torve e due cazzotti: uno quando le avevo fatto un complimento per i vestiti puliti che le avevo comprato e uno per quando l'avevo strattonata via da in mezzo alla strada. Capisco che fossi legata a quell'elfo, ma non è facendoti buttar sotto da una macchina che risolveremo questa situazione.
Invece in questo momento, seduti su una panchina in un parco, aveva cominciato a canticchiare una vecchia canzone, di quelle che parlano di amori perduti e di grandi rimpianti, ma con una dolcezza fuori dal comune. Al terzo sguardo fugace dell'elfa estrassi la chitarra ed improvvisai un accompagnamento, notando come continuasse a guardare malinconica verso i miei occhi.
Chissà a che cosa pensava. Che le fosse successo, una volta, di aprirsi e lasciare il suo cuore così indifeso e alla portata dell'altro per vederlo mentre lo pugnalava ripetutamente? Beh, Rain, nei millenni che ha passato avrà trovato un elfo che le sia piaciuto, non credi? Non può esser stata sempre l'arpia bisbetica che hai conosciuto tu. Probabilmente c'è stato un tempo in cui era felice.
Continuai a strimpellare qualche nota mentre Claudia finiva la canzone, cercando di assimilare l'idea di una Claudia allegra e spensierata.
“Sai” cominciò, accendendosi una sigaretta, “In effetti comincio ad aver fame”. La tristezza della sua espressione e la piattezza del suo tono furono come un terzo pugno. La rabbia era scemata, ora restava solo l'impotenza.
“Andiamo a mangiare qualcosa, allora, che farebbe bene anche a me” le risposi.
“E poi? Finalmente in sala d'incisione?”.
“Nah. Dopo ti porto a ballare” dissi, accennando un mezzo sorriso.
Il terzo cazzotto non tardò ad arrivare.

La mascella ancora mi doleva per l'ultimo cazzotto quando arrivammo all'Empire, già gremito di persone. Valar, quell'elfa aveva un sinistro portentoso.
Nonostante conoscessi il luogo fin troppo bene rimasi comunque stordito dalla scena che ci si parò davanti, quando entrammo.
I bassi aggredivano le orecchie e facevano vibrare ogni cosa nella sala, al centro della pista ballava una mischia selvaggia di corpi sudati che si strusciavano tra di loro, ognuno seguendo un ritmo proprio, come fosse una gigantesca palpitante bestia, priva di qualunque armonia. Le luci abbagliarono i nostri occhi, lampeggiando ripetutamente e dando ancor di più l'impressione che il mondo si muovesse a scatti. Questo era l'intrattenimento approvato e consigliato dal regime, che professava la distrazione di massa, l'indifferenza, il tranquillizzare la gente dandogli un posto dove sfogare qualunque energia repressa potesse avere in maniera inoffensiva.
Dopo le droghe e i cibi erano riusciti a creare anche una musica sintetica, priva d'anima, per sedare a colpi di cassa la propria popolazione. Ti verrà il mal di testa a restare qua dentro, Rain, muoviti. Non è per questo che sei qui.
Mi avviai verso una porta al lato della sala, trascinandomi dietro Claudia e facendola sedere su un divanetto poco lontano.
“Resta qui!” le gridai, tentando di sovrastare la musica “Io torno subito!”.
Avrei fatto meglio a portarla con me, ma di certo in quel momento era ancora troppo scossa dalla morte del suo amico per poterci parlare lucidamente. Forse il rumore e l'eventuale mal di testa l'avrebbero calmata un po'.
Salutai con un cenno i due maghi di Forza che facevano da addetti alla sicurezza per poi oltrepassare le doppie porte, lasciandomi lo stridio della sala dietro le pareti insonorizzate. Una rampa di scale, prima porta a destra e mi trovai davanti Felipe, il mago di Dolore che gestiva l'Empire e la cellula di Minas.
“Hola boss!” fece, alzandosi e stringendomi la mano, “decisamente troppo tempo che non ti si vede nella Capitale!”.
“È sempre un piacere” mentii. Odiavo Minas, con il suo stile di vita frettoloso e lampeggiante, come un neon di quelli montati nella sala sottostante, con la sua gente che neanche si fermava se la urtavi per strada, con le sue pretese da megalopoli viva, quando in realtà era morta dentro. Spesso mi chiedevo come il mago che mi stava davanti avesse potuto crescere in un luogo del genere.
Originario di Umbar ma trasferitosi nella Capitale fin da piccolo, Felipe era uno dei più vecchi tra i ribelli. Aveva trent'anni, una stempiatura precoce e un modo di fare affari senza scrupoli, cosa alquanto insolita e bizzarra, visto il suo gemello elementale. Era come se l'empatia, una delle caratteristiche maggiori dei maghi di Dolore, si fosse conformata all'ambiente ostile in cui si era trovato: se Filo ti stava sul cazzo, tu gli stavi sul cazzo di più, se tentavi di fregarlo, lui ti aveva già fregato in quattro modi diversi prima che tu te ne potessi rendere conto, se ti dimostravi pericoloso per i suoi affari beh... fu Filo stesso a insegnarmi che un colpo in testa e due nel petto sono il metodo più rapido per disfarsi di qualcuno. La sua risolutezza e inusuale freddezza lo rendevano la persona perfetta per gestire la cellula più a rischio e il locale di successo che faceva da facciata al nostro porto franco.
“Insomma rockstar dei miei stivali, che cosa ci porti di così scottante? Sai bene che mi occupo personalmente del reparto anti-intercettazioni, avresti potuto parlarmene anche al telefono” mi disse, facendomi cenno di sedermi.
“Oh, non è della nostra tecnologia che non mi fido, ma di quella Neogondoriana”.
“Immaginavo, i controlli alla frontiera stanno diventando sempre più scrupolosi. Tra un po' quegli scassacazzo cominceranno a metterci le cimici nei capelli”.
“Beh, quando lo faranno non correrai questo rischio” risposi. Filo rise.
“Comunque” continuai “è arrivato il giro di boa. Ho con me un'elfa”.
“Come?! Non è possibile”.
“Oh sì. Ha deciso che i tempi sono maturi ed è venuta a proporci un'alleanza: noi maghi dell'Harad con gli elfi del fantamagibosco da cui è uscita” gli dissi, cercando di suonare il meno caustico possibile.
“Non le credi?” mi domandò, percependo la mia incertezza.
“non le credevo. Ma le ho tagliato io stesso le punte alle orecchie, mi sembra abbastanza. Certo, non sarei stato così cinico se fosse venuta direttamente da me, anziché passare un paio di giorni a scoparsi Blaine prima di arrivare al sodo. Anzi, ho dovuto trascinarla fuori dal letto io stesso, prima che mi dicesse che cosa cazzo era venuta a fare tra di noi”.
“Volevi scopartela tu?”.
“No, io ho Lucinda” risposi.
“Nuovo nome, stesso tono di tutte le altre. Ma non è di questo che dobbiamo parlare. Lei dov'è?”.
“L'ho lasciata in sala, aveva bisogno di... distrarsi, almeno un po'”.
“L'elfo del treno?”.
“Aye, a quanto pare si conoscevano”.
“Sei sicuro sia saggio lasciarla in mezzo alla folla? Forse sarebbe stato meglio se le avessi dato un'occhiata subito” m'incalzò Felipe.
“Forse, sì, ma in questo preciso istante meno le sto attorno meglio stiamo entrambi” risposi, toccandomi ancora una volta lo zigomo, “Piuttosto, situazione?”
“Capitate giusto bene. Marco ha degli ottimi sviluppi riguardo gli armamenti e Giò mi dice di ringraziarti, che c'è mancato tanto così che pignorassero il videonoleggio. Nessuna nuova ancora da parte di Jorge e i suoi, dovrebbero contattarmi entro due ore”.
“Jorge... il gruppo sui monti Bianchi, Acqua e Terra, giusto?”.
“Esatto, arriveranno stanotte o domattina” mi rispose.
“Vita?”.
“Elena e il suo gruppo hanno isolato una delle questioni biologiche, ovvero non hanno trovato alcuna differenza tra il DNA umano “classico” e quello di un mago. Invece abbiamo complicazioni con i maghi di Luce: a quanto pare molti apparati elettronici si sputtanano del tutto se uno di loro usa i suoi poteri a meno di due metri. L'abbiamo scoperto perdendo due o tre dozzine di trasmittenti, quattro dei nostri cellulari e friggendo una macchina”.
“L'ultima l'avete testata per divertirvi, ammettilo”.
“Volevamo solo vedere se sarebbe esplosa o no. Ma penso che se Lena avesse diretto i suoi poteri direttamente sulla macchina avrebbe fatto un bel botto”.
“Dev'essere un contrasto tra le lunghezze d'onda, non vedo altra spiegazione. Riguardo gli altri Elementi? Dolore?” chiesi, arrivando nella sua area d'interesse.
“Mi stai chiedendo se son diventato ancor di più una testa di cazzo a forza di stare in questa città? No, per vostra fortuna. Comunque gli addestramenti vanno bene, siamo riusciti ad usare la loro indifferenza a nostro vantaggio. La gente qui ha la mente fin troppo malleabile” rispose, sorridendomi.
“Ottimo. Premonizioni da Malachi?” continuai, riferendomi all'unico mago di Morte di stanza a Minas.
“Molto vaghe, temo abbia bisogno di meno caos e di contatto fisico con le persone interessate per essere più chiaro. E poi, sai come sono i maghi di Morte: Malachi non ci direbbe nulla neanche se i Neogondoriani decidessero di bombardare a tappeto la Capitale. Siamo al limite delle minacce per tirargli fuori mezza parola” disse, vagamente acido.
Nonostante la vicinanza tra i due Valar patroni dei loro Elementi, Filo e Malachi non si erano mai sopportati.
“Speriamo non arrivino mai a tanto. Ti prometto in ogni caso che sarai il primo a prenderlo a calci nelle palle, se continua a non dirci niente e per qualche strano caso sopravviviamo”.
“Non aspetto altro” fece, con un sorriso meschino.
Filo si alzò, dirigendosi verso un mobiletto nell'angolo.
“Ah, ultima cosa, abbiamo dovuto espatriare Jaco. C'erano dei coglioni sul retro e il ragazzo non ha saputo controllare la sua forza, l'altro ieri. Ha spedito un tipo a tre metri d'altezza” disse, versando due bicchieri di scotch e passandomene uno.
“Testimoni?” chiesi, accettando il bicchiere che mi stava porgendo.
“Due, oltre al nostro aspirante astronauta. Gli abbiamo curato la mascella e abbiamo condizionato tutti e tre, adesso credono di essersi fatti una pasticca di troppo e di essersi lanciati dal muretto”.
Feci un mezzo sorriso, sorseggiando il liquore.
“Bene. Direi che possiamo chiamare gli altri e cominciare questa riunione” gli dissi poi. Il mago annuì, poggiando il suo bicchiere vuoto sulla scrivania e premendo il tasto dell'interfono. Mi alzai dalla poltrona, avviandomi verso la porta.
“Io vado a recuperare la nostra amica, ci si vede tra poco”.

Trovai Claudia in mezzo alla pista, abbracciata a un tipo con le pupille dilatate e un misero tentativo di barba sul volto. La cosa strana è che stava effettivamente sorridendo. Quella maledetta elfa è psicopatica, passa la giornata a tentare di ucciderci entrambi e adesso è là, a ballare con il primo che passa.
Senza troppi complimenti la afferrai per la vita, tra le proteste del ragazzo, trascinandola verso le porte. Questa non si regge in piedi. Fottuta elfa. Vieni tra noi, ci tiri fuori la favola dell'alleanza e poi ti trovo strafatta e sorridente come una qualunque ragazzina di N.G., altro che elfa immortale. Continuo a domandarmi se non ci abbiano preso per il culo, con tutte quelle storie eroiche di elfi stoici e melancolici.
“Che cosa hai preso?!” le gridai, voltandola e cercando di sovrastare l'onnipresente musica. Fu solo in quel momento che effettivamente mi notò. Mi sorrise, appoggiandosi a me e palpandomi il culo.
“Ciao tesoro!” mi rispose, ridendo ancor di più.
Va' te a capire questa. Le presi il mento, costringendola a guardarmi negli occhi.
“Che cosa hai preso?” ripetei.
Non rispose, se possibile si strusciò ancor di più su di me. Ah, basta perder tempo, Rain. La presi per i polsi e la trascinai con me verso la sala riunioni.
Entrammo poco dopo nella stanza dove una trentina di persone si erano riunite. Nell'angolo c'era una postazione radio, lungo i muri c'erano vari divanetti, un tavolino e numerose sedie. Guidai Claudia verso un divano, sperando che il suo silenzio degli ultimi minuti fosse dovuto alle facoltà mentali che tornavano a funzionare.
“Ciao piccoli e giovani maghi!”.
Mi sbagliavo.

I ragazzi superarono presto lo stupore iniziale di trovarsi in compagnia di un'elfa strafatta -che presto si addormentò sul divano- e la riunione poté cominciare senza troppi problemi. I vari gruppi fecero rapporto, comunicando per la maggior parte ciò che Filo mi aveva già accennato nel suo studio.
È un peccato che stia dormendo, ci teneva così tanto a vedermi fare il leader e quando ne ha occasione invece russa sul divano con la bocca aperta.
“Rain?” una voce seria mi distolse dai miei pensieri maligni. Mi voltai verso un ragazzo dai capelli neri tagliati sopra le spalle, che mi stava fissando dietro gli occhiali da vista.
“L'elfa. Quando partite per il Nord?” disse, spiazzando tutti. Forse era per questo che molti non andavano d'accordo con Malachi. Sempre così maledettamente criptico, ma al corrente di qualcosa che non gli avevi ancora svelato.
“Non lo so” risposi “Dipende da quando la nostra principessina deciderà di svegliarsi e darci qualche indicazione in più sul da farsi. Oppure potresti dirmelo tu”. Forse dovrei limitare l'acidità per quando siamo lei ed io. Fortunatamente molti ridacchiarono al mio commento, non sapendo come fosse stato il nostro rapporto fino ad adesso.
“Non ho molto da dirti, in verità. Purtroppo questa città non permette una visione abbastanza chiara delle cose e il futuro è sempre in cambiamento. L'unica cosa che so dirti è che spaccherai uno specchio” disse lui, senza cambiare tono o espressione. Sempre così insopportabilmente serio.
“Fottutissimi urrà per me, allora, e a sette anni di sfiga”.
Filo prese la parola, forse per interrompere il diverbio nascente tra me e il mago di Morte, forse per mandare avanti la riunione:
“La principessina si sta svegliando. Direi sia ora ci dicesse qualcosa di più su ciò che è accaduto stamane, è tutto il giorno che le milizie ne parlano”.
Mossi lo sguardo verso il divano dove avevo lasciato Claudia e la vidi muoversi. Uno dei nostri, un mago di Terra di nome Alan, le stava porgendo un bicchiere. Lasciai che si riprendesse un po' prima di avvicinarmi, seguito da Felipe.
“Sei tra noi?” le domandò gentilmente.
“Purtroppo” sbadigliò lei.
“Sai dirci chi era l'elfo che i miliziani hanno ucciso, stamane?”.
“Intendi l'elfo che quella testa di cazzo ancora più grande del tuo capo mi ha impedito di vendicare?” domandò a sua volta l'elfa. Feci mezzo passo avanti con l'intenzione di controbattere ma Filo mi fece cenno di fare silenzio.
“Sì, lui” continuò, senza perdere la calma. Complimenti, amico mio, sei riuscito a mantenere l'indifferenza di Minas anche a un metro da un'elfa che minaccia di spaccarti il naso, se le fai ancora una domanda.
Claudia sospirò, prima di rispondere:
“Si chiamava Galad. Era il figlio minore di Legolas Verdefoglia”.
Okay. Quando è troppo è troppo. Capisco gli insulti, capisco il tuo essere intrattabile, posso anche accettare il tuo comportamento dell'ultima settimana, ma una stronzata così grande no. Comincio seriamente a credere che tu ci stia prendendo per il culo.
“Non dire stronzate” sbottai “Legolas ha lasciato la Terra di Mezzo quasi un secolo fa”.
“Questo è quello che ha voluto farvi credere” rispose.
“Sei sempre così fottutamente ostile?!” le domandai.
Nello stupore generale Claudia si alzò e mi tirò uno schiaffo. Rimasi allibito.
Cazzo Claudia, riprenditi. La vidi alzare la mano per colpirmi di nuovo e rimasi a guardarla, aspettando il secondo schiaffo. Notò il mio sguardo e si bloccò. Restammo a guardarci, impietriti come due idioti, per dei secondi interminabili.
L'elfa abbassò la mano, sospirando di nuovo.
“Riunione aggiornata. È meglio se continuiamo domani sera”. La voce di Felipe fu seguita da un mormorio d'assenso da parte del resto della sala, che non mosse i propri occhi da noi, punto focale della scena, come noi ancora non avevamo smesso di guardarci.
“Claudia, puoi dormire nella stanza in fondo a sinistra” continuò il mago.
Claudia annuì lentamente e distolse lo sguardo dal mio, uscendo dalla stanza.
Sospirai anch'io, una volta che l'elfa fu fuori della porta, per poi seguire i suoi passi. Solo Eru sa quanto avessi bisogno di qualcosa di forte.
No, Rain, hai voglia di farti, ammettilo. Va bene. sì. Ho stramaledettamente voglia di una striscia, ma dovrà aspettare. Non è il momento migliore.
Forse non era la voglia di cocaina a parlare, ma il voler posticipare l'ulteriore confronto che invece mi sarebbe toccato quella sera. Perché nonostante tutto, nessuno aveva ancora tentato di dare un momento di conforto a Claudia e sarebbe toccato a me. Joder, sarà intrattabile e insopportabilmente meschina, ma ha comunque perso qualcuno di caro.
Sconfitto e convinto, mi avviai verso il bar dell'Empire. Un bicchiere, una sigaretta e poi via, a bussare alla sua porta. Mi tirerà dietro qualcosa di pesante, lo so già, ma un tentativo va fatto.
Ah Rain... in che casino ti sei infilato?

“Claudia?” chiamai leggermente, bussando. Era la terza volta che bussavo. Erano dieci minuti che fumavo la stessa sigaretta davanti quella porta.
Entrai, cercando di fare il meno rumore possibile, dopo aver gettato la cicca sulla moquette, spegnendola sotto il tallone. Claudia era avvolta in un accappatoio e accasciata sulla poltrona di pelle accanto al letto, sembrava essersi appena destata. Forse stava dormicchiando, forse stava meditando.
Mi avvicinai e mi accovacciai vicino a lei.
“Un po' d'acqua” dissi, porgendole il bicchiere che le avevo portato.
La osservai bere, incerto su come continuare. L'elfa svuotò il bicchiere, per poi voltarsi a guardare nella mia direzione.
“Mi dispiace. Per il tuo amico, intendo. Non te lo avevo ancora detto”.
La vidi annuire e tornare a rilassarsi contro lo schienale della poltrona.
Vai, Rain. Hai fatto la tua parte, non c'è altro da dire.
Feci per alzarmi, ma lei mi fermò con una mano.
“Non è che potrei avere un altro po' di quella roba?” domandò. Ovviamente si stava riferendo alla droga che le avevano dato in sala.
“No. Quella roba ti farà più male che bene, dà dipendenza, Claudia” risposi, dando un'insolita enfasi al suo nome. Ha un bel suono, dopotutto. Sì, Rain, è ufficiale. Quest'elfa ti sta attraendo come un'ape è attratta dal miele.
Claudia aveva preso a mordicchiarsi il labbro, fissandomi per qualche secondo per poi dedicare la sua attenzione al soffitto. Sembrava una gatta, tanto che quando mormorò qualcosa a sé stessa mi parve stesse facendo le fusa. Riprenditi, Rain.
Troppo tardi. La mia mano stava già carezzandole la coscia, scostando le falde dell'accappatoio. Poggiai la guancia contro le sue ginocchia, dando un leggero bacio, mentre continuavo ad accarezzarla dolcemente. Lentamente, come se stessimo ballando, mi mossi di fronte a lei, continuando ad accarezzarla e scostando le ginocchia. La sentii muoversi, sistemarsi meglio sulla poltrona, assecondando i miei gesti e silenziosamente incoraggiandomi a continuare.
Ormai non importava più nulla, solo il suo aroma, la sua pelle liscia e pallida, le mie labbra ruvide che le percorrevano delicatamente le cosce. Notai una rosa, tatuata sul suo inguine, e mi soffermai a baciarla, provocandole un leggero brivido. Esitai per un momento, con le labbra ancora poggiate sulla sua pelle, per poi continuare.
Scesi a baciare la sua vera rosa, inebriandomi del suo profumo, del suo impercettibile respirare che si faceva più profondo, del suo invitarmi a continuare, di lei.
Non era umana, per niente umana, solo ora lo notavo appieno. Quel suo essere felina esercitava un'attrattiva viscerale, su di me. Mi stavo effettivamente ubriacando di lei, in quel momento, inginocchiato fra le sue cosce, con l'obbiettivo di regalarle qualche minuto di appagamento. Le sue mani giocavano con i miei capelli, domandandomi di non smettere, di continuare.
Non avrei smesso per nulla al mondo.
Perché lo stessi facendo? Non lo so. Magnetismo, attrazione. Ce ne sono tante di scusanti. Ma nessuna era valida. L'unica cosa importante era farla stare bene, nel modo più dolce possibile. Non servivano scuse, per dare piacere a una donna del genere. Elfa, Rain, elfa. Ricordatene.
Mi ritrovai a chiedermi come sarebbe stato affondare le dita fra i suoi lunghi capelli baciandola, mentre le sue mani mi premevano sulla nuca e Claudia veniva, scossa da leggeri tremiti.
Mi rialzai e mi chinai a baciarla, poggiandomi ai braccioli della poltrona.
E con quel bacio il momento finì. Ripresi il bicchiere dal comodino e uscii dalla stanza, con ancora il suo gusto sulle labbra.





Note dall'Autore
La notte resta decisamente il momento migliore per scrivere. Sì, t'impedisce di avere orari socialmente utili, sì, fai una fatica assurda per trovare qualcuno a cui chiedere consiglio nei momenti di blocco (si ringrazia Pierluca per la discussione sull'ingresso all'Empire), ma ha un che di fenomenale.
E siamo dunque giunti a Minas, finalmente conoscendo parte dei maghi del posto e mandando avanti il plot, oltre ad avere la prima infarinata sugli otto elementi.
Un grazie ai lettori e alle recensitrici dello scorso capitolo, spero che anche questo vi sia piaciuto. Mi dispiace solo non aver ancora introdotto Giò, che viene solo citata velocemente, ma arriverà anche lei.
E direi che sia ora di cominciare a buttare giù idee per un'eventuale soundtrack di Lluvia y Viento. Per ora c'è una lista provvisoria, per cui sentitevi liberi di suggerire qualche pezzo che secondo voi si presta bene in certe scene. La lista al momento comprende:

Cap 1 - Irriverente
Cielito Lindo - Chingon, non sarà una versione cantata da qualche mariachi ubriaco per le vie di Umbar, ma vale la pena. Tra l'altro uno dei chitarristi dei Chingon è Robert Rodriguez, regista di film come Dal Tramonto all'Alba e C'era una volta in Messico.

Cap 2 - Postumi
Guerrilla Radio - Rage Against the Machine, la canzone che il nostro Rain interrompe poco prima di arrivare al confine.

Cap 3 - Empire
Piece of my Heart - Janis Joplin, che prende il posto di Son of a Preacher Man, nella scena per le strade di Minas Tirith.

Rocks - Frederik Olufsen, non è affatto il mio genere, l'ho pescata per caso ed è qui provvisoriamente, solo perché è riuscita a mettermi nel mood per introdurvi l'Empire, oltre a darmi un vago mal di testa al secondo ascolto.
Si conclude, per la scena finale, con una doppietta di Carlos, che rende molto bene.
She's not There - Santana
Flor de Luna - Santana

Detto ciò, buona serata, ci si risente per il quarto.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Maschere ***


Capitolo 4 - Maschere

Spensi la sigaretta nel posacenere, ascoltando la voce irritata di Felipe.
“Adesso spiegami che cazzo sta succedendo. Un momento sembra che vogliate sbranarvi l'un l'altra, mezz'ora dopo ti vedono uscire dalla sua stanza. Che cosa sta succedendo?”.
“Filo, tranquillizzati” risposi, alzando gli occhi verso il mago di fronte a me.
“Col cazzo che mi tranquillizzo, ci mancava poco che vi pestaste in mezzo alla sala!”.
“Per fartela molto breve, diciamo che le cose tra me e Claudia non vanno nel migliore dei modi. Perché fossi passato da lei dopo la riunione non è rilevante, ma se proprio vuoi saperlo sono andato ad assicurarmi che stesse bene e che non avesse in mente idee pessime che potessero metterci a rischio”. Una mezza verità è meglio di niente, spero ti accontenti.
“Tsk... per il bene di tutti spero riusciate a non ammazzarvi a vicenda finché rimanete a Minas. Se proprio volevi scopartela non vedo come tu non abbia ancora provato a sedurla” replicò Filo, acido come non mai. Afferrò il mio pacchetto di sigarette dal tavolino e se ne accese una, mentre io reprimevo una risposta indignata. Continua ad esser quello razionale, Rain, temo sarà necessario per qualunque cosa riguardi quell'elfa.
Era la prima volta che vedevo Felipe così vicino al perdere le staffe. Ci trovavamo in un bar di fronte all'Empire, in attesa del primo caffè della giornata, e il mago di Dolore continuava a pretendere spiegazioni dopotutto dovute. Mi sembrava il minimo, dopo avergli affidato la responsabilità di questa cellula. Brevemente gli spiegai le ragioni a me conosciute dell'umore pessimo di Claudia e di come l'aveva accompagnata per tutto il nostro viaggio.
“Solo quando si è fatta di chissà cosa in sala, mentre parlavo con te, era... diversa”. Definirla calma in quel momento mi pareva fin troppo ossimorico. Continuai a glissare sul finale della sera, certe cose era meglio non sbandierarle.
Fortunatamente il mago tenne per sé qualunque domanda, distratto dall'arrivo di un altro paio di maghi. Seguii il suo sguardo e riconobbi Georgia e Marco, la coppietta-mascotte del gruppo di Minas.
I due entrarono tenendosi per mano, ma non appena mi videro lei corse al tavolo per stringermi in un abbraccio fratturacostole.
“Rain! Nessuno mi ha detto che ci fossi anche tu!” disse, mentre il suo ragazzo si avvicinava per salutarmi e Felipe si schiariva la voce.
“Io te l'ho detto ieri pomeriggio, ma nessuno dei due ha pensato di presentarsi alla riunione” fece Filo, riacquistando la sua solita flemma.
Georgia mi squadrò, immune al rimprovero di Filo che invece aveva fatto arrossire Marco.
“Sei dimagrito! Ma mangiate qualcosa o vi sfinite di concerti, alcol e groupie, quando siete in tour? Tra l'altro, come sta Dan?” domandò tutto d'un fiato.
Osservai la ragazza che mi stava di fronte togliersi dal volto una ciocca di capelli neri, ancora stupito che una persona tanto minuta potesse stritolarmi con tanta forza. Ricordatene Rain, smetti di pensare a Claudia per un momento e pensa che questa fanciulla dagli occhi scuri e gli zigomi pronunciati è l'unica maga di Forza al mondo. Non si direbbe, visto come s'è conciata, pensai notando come Georgia stesse quasi nuotando nelle tre maglie che aveva addosso, una delle quali una camicia del suo ragazzo. Valar, Rain, è praticamente tua sorella e ancora ti stupisci di certe cose, questa Claudia ti sta rincoglionendo parecchio. Non a caso la ragazza se ne accorse.
“Rain? Ti sei incantato?”.
“Eh? No, tranquilla, Daniel sta bene e mi dice di salutare la nostra sorellina” le risposi, desiderando ancora una volta che fosse venuto con noi. Cazzo Dan, tu sì che avresti saputo tenere a freno quella maledettissima elfa, come facevi con me e Giò ai tempi dell'appartamento, di Minas e del primo CD. Ridacchiai, ripensando alla nostra cazzonaggine. Avevamo sì e no vent'anni ed eravamo beatamente stupidi, con una sorellina di quindici da tirar su e mantenere sulla retta via. Con scarsi risultati.
Ci aveva ben pensato Marco a far da buon esempio, invece. Il batterista dal fisico asciutto e i riccioli scuri l'aveva presa e portata sotto la sua ala, al di fuori dell'influenza di un fratello di sangue iperprotettivo e un fratello acquisito coglione. Inoltre prima c'era anche il convivere con il vertice di un movimento sovversivo e clandestino, che di certo non poteva aiutare a crescere un'adolescente già ribelle di suo.
Il ragazzo stesso mi stava raccontando di come stessero cercando di trovare un uso prettamente bellico alla frittura di macchine di cui mi aveva accennato Filo il giorno prima, quando arrivò miss Simpatia, vestita dell'abito color vinaccia che le avevamo fatto trovare in camera da letto. Devo ammettere che faceva un bell'effetto, con la sua carnagione pallida e i suoi capelli neri, ma la sacca di cuoio logoro che aveva deciso di trascinarsi dietro stonava parecchio.
Sentiti, Rain. Stai facendo un'analisi estetica di quell'elfa che vi sta facendo dannare tutti. Svegliati, non sei più tra le sue gambe, non è più solo lei a importare.
Nonostante il mio augurio di buonanotte -e nonostante lei sostenesse il contrario- non sembrava aver dormito troppo bene, lo notammo tutti. Bevve il suo caffè in silenzio e con una velocità inaudita, ordinandone un altro subito dopo, scambiando qualche saluto di rito con i presenti. Notai lo sguardo interrogativo di Georgia ma la ignorai, passando il bricco del latte all'elfa che me lo stava chiedendo.
Non avrebbe potuto scegliere momento peggiore: la TV accesa nel bar, a cui nessuno di noi stava prestando grande attenzione, aveva avuto la splendida idea di trasmettere un notiziario. Questa è sfiga, cazzo, fottutissima sfiga.
Sfiga perché il servizio in questione riguardava ieri. Quel fottutissimo treno e quel dannatissimo elfo che aveva ben deciso di farsi ammazzare di fronte a noi, porca puttana.
Vidi la mia compagna di viaggio sbiancare -per quanto poco le fosse possibile- e il bricco cadere in terra, un'esplosione di latte e ceramica altrettanto bianca sulle mattonelle del pavimento. Mancava poco che esplodesse anche lei, cosa che infatti fece, ma non prima che l'avessi trascinata fuori del bar.
Stava cominciando a inveire contro la TV quando la interruppi.
“Vuoi darti una stracazzo di calmata?” le sibilai.
La risposta ovviamente fu no, ma l'elfa decise di esser molto più colorita nel linguaggio. In ogni caso, il succo era quello. Manwë aiutami, prima che rada al suolo il quartiere, ha ricominciato a blaterare sui fottuti mortali e la vecchiaia, qualcuno ci sentirà.
“Smettila! Non m'interessa una sega quanto tu sia vecchia, puoi anche aver visto la fottuta luce dei fottuti alberi, per quanto mi riguarda” continuai a dire, cercando di mantenere un tono di voce basso ma deciso.
“Ci dispiace, mi dispiace, ma non puoi venire qui e far rischiare la copertura a tutti!” le dissi, quasi in un sussurro, mentre lei mi guardava con odio. Le presi il volto tra le mani, guardandola in quegli occhi pieni di lacrime e rabbia.
“Ci sarà anche il tempo per la vendetta” le mormorai “ma adesso siamo sul filo del rasoio”. L'elfa annuì, restando in silenzio ma riconquistando una fredda calma. Sei tu quello razionale, non abbassare la guardia Rain, resta razionale.
“La riunione è stasera” dissi, lasciandole il viso e facendo un passo indietro, “Fino ad allora non t'impongo la mia compagnia, ma c'è qualcuno che potrebbe farti piacere conoscere”. Rientrai un momento nel bar e uscii seguito da Georgia.
“La qui presente Georgia ha un videonoleggio a pochi isolati da qui, secondo me potrebbe piacerti passare il pomeriggio a scegliere qualcosa d'interessante” dissi, accennandole un sorriso.
L'elfa mosse lo sguardo da me alla maga, senza capire.
“Fidati di me, zuccherino, non te ne pentirai”, fece Giò, guidando Claudia lungo la via. Rimasi ad osservare le due ragazze -la millenaria e la ventenne- avviarsi verso il videonoleggio di Georgia che aveva la doppia funzione di darle un modo di pagare le bollette e fungere da deposito armi per la Ribellione.
Questo dovrebbe tenerla occupata fino a stasera, mi dissi rientrando e cercando con lo sguardo Marco.
“I ragazzi non hanno da fare nel pomeriggio, giusto?” gli domandai.

Ripetei lo stesso giro di note, mentre il basso e la batteria si contendevano il finale della canzone, per poi mantenere l'ultimo accordo e lasciarlo sfumare.
Cazzo, se ci stava!
Marco mi sorrise, bizzarramente fuori posto dietro la batteria, snello com'era.
“Non saremo gli Squall, ma devi ammettere che ce la caviamo bene” mi disse. Gli sorrisi di rimando e mi voltai a guardare la sala dell'Empire che si riempiva. Per ogni faccia conosciuta ce n'erano tre che non avevo mai visto, ma una cosa li accomunava tutti. Mi feci l'appunto mentale di complimentarmi con Filo, quel ragazzo era riuscito a riunire un numero non indifferente di maghi sotto la sua responsabilità e continuava a lavorare per far sapere a quelli ancora nascosti che c'eravamo ancora.
“Ehi Rain!” mi voltai verso Rick, il cantante del gruppo con cui stavo suonando in quel momento. Commesso in un negozio di giocattoli di giorno, mago di Terra e tecnico delle comunicazioni di notte.
“Qualche idea per la prossima?” domandò.
“Un'idea ce l'avrei” risposi, senza nascondere un ghigno.
Cominciai a suonare, le note sferzanti distorte dagli amplificatori presero la sala mentre Marco prese a seguirmi con la batteria e Liam, il bassista, fece lo stesso, finché Rick non ebbe l'attacco e iniziò a cantare.

“Now you're a clone,
With heart of stone,
Synthetic soul,
Brainwashed and cold”.


I maghi s'affollarono sotto il palco, seguendo il ritmo della canzone.
Questa era la mia vita, questo era il mio posto. Sul palco con una chitarra, davanti a un pubblico interessato solo al suono della tua voce e dei tuoi strumenti.

“You fell from grace,
Leaving no trace,
You've been replaced,
Your name erased”


La voce di Rick rieccheggiava contro il pubblico, investendoli come un'onda, come pioggia, Marco attaccava la batteria senza pietà e Liam ed io sembravamo star duellando con le diverse sonorità delle corde.
E c'era un che di magico in tutto ciò.

“Shame, shame, shame, shame”.

La sala esplose, seguendoci in un coro per il ritornello.

“Shame, that everyone's the same
I thought you stood alone,
Different from the clones”.


Cloni. Ecco cosa stava facendo questo Regime, stava rendendo la sua popolazione dei cloni, un branco di persone prive di personalità vera e propria. Minas stava diventando una città priva di vita e noi eravamo qui per riprenderla e salvarla dalla morte.

“I thought you were the true
Exception to the rules.
But the truth is cruel”.


Rick mi fece segno di avvicinarmi, lasciandomi il centro del palco mentre mi dedicavo all'assolo. Non esisteva più nulla, in quel momento. Niente Regime, niente Empire, niente Claudia, niente Ribellione, niente Zèfiro.
Solo noi, la musica, la magia.
Il pubblico stava facendo da coro, incitato da Rick, riportandomi su quel palco. Terminammo la canzone e alzai per un momento la sinistra dalle corde, lanciando una folata di vento verso le teste del pubblico, scompigliando capelli e facendo volare cappelli, mentre i maghi sotto il palco applaudivano.
Presi un respiro profondo e mi voltai verso i tre maghi sul palco, con un sorriso che andava da un orecchio all'altro.
Questo era decisamente il mio posto.

“Ma questa dove l'hai trovata?!”.
Eravamo nella saletta della sera prima, che andava pian piano riempiendosi, e Claudia stava mostrandomi la calibro .44 che aveva pescato tra gli scatoloni del retrobottega di Giò. Era a dir poco raggiante, il che non so dire se fosse un buon segno o meno.
Sociopatica, sanguigna e irriverente. Ben messi, insomma. Di tutti gli strafottutissimi elfi proprio questa dovevo trovarmi, joder.
La mia linea di pensiero e imprecazioni fu interrotta dalla suoneria del mio cellulare. Oh Valar, proprio quando le cose non potevano mettersi peggio.
“Ciao amore!” risposi, finto come Sauron, gesticolando all'elfa e alla maga di lasciarmi un po' di privacy. Nessuna delle due si mosse, Claudia si limitò a roteare gli occhi mentre Georgia, se possibile, si avvicinò di più, sopprimendo una risata.
“Guarda” continuai “non è affatto un bel momento, devo tornare in cabina di registrazione al più presto. Sì, tranquilla, stiamo solo lavorando e io sto dormendo da amici. No, quella zoccola s'è presa una camera in un albergo a cinque stelle”. Claudia fece un sorriso, alzando le braccia ad indicare l'Empire.
“Cinque stelle?” mimò con la bocca.
“Stai buona!” le sussurrai di rimando. Si preoccupa che io menta sulla sua sistemazione e non batte ciglio all'esser chiamata zoccola. Ben messi.
Sospirai, ascoltando Lucinda ripetere come le avrebbe spaccato i denti se solo avesse provato ad allungare le mani su di me, provocando uno scoppio di risa inconsulte in Claudia.
Callate!” le sibilai.
“No, amore, è che ci sono i tecnici del suono che fremono per andare a casa, non sono abituati agli orari haradrim. Dai, ti richiamo io appena posso ma veramente devo scappare. Sì, tranquilla, sarà presto” roteai anch'io gli occhi, concludendo la chiamata e lanciando il telefono sul divano. Georgia mimava l'atto di ficcarsi due dita in gola e Claudia ancora ridacchiava.
Eccolo qua, il vostro fottutissimo leader ridotto come un coglione perché s'è trovato una ragazza cresciuta sotto il Regime e che lo chiamerebbe mostro, se sapesse della sua vera natura.
Filo spuntò al mio fianco, porgendomi un bicchiere d'acqua.
“Ah, l'amore...” declamò, mentre io buttavo giù in un sorso il contenuto del bicchiere per poi piegarmi in due, la gola in fiamme.
“Stronzo tu e la tua tequila!” boccheggiai. Tra un colpo di tosse e l'altro. Il mago di Dolore rise, poggiandomi una mano sulla spalla.
“Diverte tutti vedere che anche tu sei un semplice mago, pur restando il nostro leader. Tra una decina di minuti cominciamo, va a metterti la maschera del capo” mi disse.
La maschera di Zèfiro, intendi? La maschera del mago che voleva mio padre? La maschera del salvatore ammazzadraghi? Ah Rain, non ci pensare a quello stronzo. Smettila di farti perseguitare da un morto. Uscii sul retro dell'Empire per fumarmi una sigaretta, tra scatoloni e cassonetti della spazzatura.
Fui raggiunto poco dopo da Claudia. Le porsi una sigaretta e la osservai accendersela e poggiarsi al mio fianco contro il muro.
“Sai” cominciò “che se quell'oca della tua donna prova ad alzare le mani su di me si troverà la colonna vertebrale spezzata in tre punti diversi nel giro di pochi secondi, vero?”. Sbuffai. Forse quel zoccola aveva urtato il suo orgoglio, nonostante tutto.
“Poco male, eviterò che vi troviate nella stessa stanza. Tu, piuttosto, hai intenzione di partecipare oggi, o passerai anche questa riunione dormendo?”.
Questo era un colpo basso, Rain, ammettiamolo.
“Non provocarmi, mago” sibilò lei.
Espirai del fumo con deliberata lentezza, fissando un punto indefinito di fronte a me.
“Debbo ricordarti che dovremmo essere alleati?” le chiesi “Debbo ricordarti che sto puntando alla cieca fidandomi di te, e che sto mettendo a rischio il mio popolo allo stesso tempo?”.
L'elfa preferì non rispondermi.
“Forse dovresti esser tu a far attenzione a non provocarci” dissi, lanciando il mozzicone oltre il muretto.
“T'aspetto dentro per cominciare”.

“Cominciamo con le presentazioni” dissi, rivolto alla saletta piena di persone. Saremmo stati una quarantina, forse cinquanta. Tutti maghi, dal primo all'ultimo. Felipe mi scrutava, seduto su una poltrona alla mia destra, Georgia accennò un sorriso, ancora avvolta nelle camicie di Marco, Malachi fissava il soffitto da dietro le lenti degli occhiali da vista e un paio d'altri stavano passando birra e sigarette alla gente attorno. Potrebbe esser un normale ritrovo di amici, se non fossimo in cinquanta e non stessimo lavorando contro il governo.
“Lei è Claudia” continuai, indicando l'elfa stravaccata sul divano alla mia sinistra.
“È un elfa e dice di volerci mettere in contatto con un'enclave di suoi simili nascosti più a Nord. Mi fido abbastanza di lei – o almeno mi fido perché s'è lasciata tagliare le orecchie e i capelli”. I vari maghi mormorarono interessati. Per ora sembra andare bene.
“Io credo sia arrivato il momento di agire” dissi, cercando una forza che non sentivo di avere per far suonare decise le mie parole, “Nove anni fa il Regime ha dato un colpo al nostro popolo”. Mi accesi un'altra sigaretta. Tranquillo Rain, puoi farcela.
“Si sono presi la nostra libertà. Si sono presi le nostre famiglie. Si sono presi la nostra identità. Ci hanno sbattuti a terra e ci hanno presi a calci nei coglioni. Io dico che è ora di rialzarsi!”. Un'ovazione seguì la mia affermazione.
“Troppo a lungo il nostro popolo ha vissuto nell'ombra, troppo a lungo abbiamo dovuto nascondere la nostra natura per paura di essere chiamati mostri, troppo a lungo siamo rimasti in silenzio, cercando di sopravvivere!”. Un'altra ovazione.
Pendono dalle tue labbra, Rain, vedi di continuare così e presto sarà tutto finito. E poi t'aspetta quel sacchettino che Filo ti ha impedito di tirare prima.
“È giunto il momento di vivere!”. Mi fermai, aspettando che l'applauso scemasse. Joder, faccio la rivoluzione e poi entro in politica, c'è poco da fare.
“È giunto il momento di mostrarci, e di far capire ai Neogondoriani che siamo esseri umani come loro!”. Spensi la sigaretta, dopo aver fatto l'ultimo tiro.
“È per questo” ripresi, con un tono più sommesso “che ho deciso di fidarmi di Claudia. Gli elfi vivono una situazione simile alla nostra. Anche loro sono perseguitati, spauracchi immortali agli occhi della gente comune. Guardatela. Guardatemi. Guardatevi. Non siamo differenti, siamo tutti figli dello stesso Ilùvatar”. Felipe mi sorrise dal suo angolo, Elena mi guardava rapita con quei suoi occhi verdi, e così gli altri.
“Per questo io, Rain figlio di Raphael, che guidò il popolo prima di me, vi domando: siete d'accordo ad un'alleanza con gli elfi?”.
Un unanime risuonò per la sala. Guardai di sottecchi Claudia, che accennò mezzo sorriso.
Bene. Ci siamo decisamente e ufficialmente infilati in un grandissimo casino.
“Perfetto” dissi, riprendendo finalmente a respirare. Non distrarti, non è ancora del tutto finita.
“Felipe” feci, voltandomi verso il mago “siete riusciti ad analizzare quell'affare che l'elfo ci ha lanciato sul treno?”.
“Ancora nulla” rispose lui “è una tecnologia a noi sconosciuta”.
“Sono quasi sicura che sia un chip di memoria” interloquì Claudia. Sospirai. In effetti avremmo potuto chiederglielo fin dall'inizio. Discorso ottimo e poi facciamo cazzate sui piccoli dettagli importanti.
“Potevi dircelo subito, ma non importa”. Non provocarla, non infilarti in un'altra inutile discussione.
“Non avete chiesto. Comunque è inutile che proviate a decriptarlo, è tecnologia elfica e va riportata a Lasgalen” rispose lei.
“Lasgalen?” chiese Georgia. Notai che Malachi aveva smesso di fissare il soffitto e ascoltava interessato. Questo non promette nulla di buono.
“Sì, il reame nascosto di Legolas. Ve ne avevo cominciato a parlare ieri, prima che qualcuno m'interrompesse in malo modo” disse l'elfa, fulminandomi con lo sguardo. Vedo che il discorso sul non provocarci a vicenda non è servito a molto.
“Ci sono ancora elfi sulla Terra di Mezzo? A Est delle Montagne Nebbiose?” domandò Marco, incredulo.
“Ne hai una davanti” asserì il mago di Morte dal suo angolo, laconico come sempre.
“Lasgalen è un reame giovane” proseguì Claudia, ignorando l'interruzione “La sua costruzione risale a quasi un secolo fa. Legolas e i suoi, assieme ai nani delle Caverne Scintillanti, fondarono Lasgalen in una vallata nascosta, è impossibile arrivarci senza sapere come, un po' come Gondolin o Menegroth”. Annuii, cogliendo il riferimento storico, ma fui uno dei pochi. Reprimetti un sorriso notando gli sguardi vacui dei maghi attorno a me. Come vedi tesoro siamo per la maggior parte persone semplici unite da un fine comune, non tutti con lo stesso livello di cultura.
“Grazie per la lezione Claudia, ma come pensi di arrivare a questa Lasgalen?” le domandai.
“C'è un ingresso ben nascosto, sugli Emyn Muil. Dovremmo passare l'Anduin sopra Rauros”. Bene, sembra che mi toccherà un altro viaggio in tua compagnia.
“I ponti a Nord sono liberi?” chiesi, guardando verso il mago di Dolore alla mia destra.
“Dovrete risalire per una quindicina di miglia dagli Argonath, c'è un ponte di pietra nella zona di Sarn Gebir”.
Vale, ci servirà una macchina al più presto” feci, voltando lo sguardo verso i maghi oltre Felipe. Questi annuirono e mi assicurarono una macchina nel giro di un'ora, per poi uscire dalla sala.
“La riunione può dichiararsi conclusa, ma c'è un'ultima cosa che dobbiamo sapere” affermai, guardando Claudia negli occhi.
“Elfa, se vuoi che ci fidiamo del tutto di te devi dirci il tuo vero nome”.
L'immortale sembrò impallidire, per poi ritrovare la sua naturale durezza.
Rimanemmo a fissarci negli occhi per degli attimi che parvero ore, blu che fissa bruno, con un'intensità propria solo degli innamorati e degli acerrimi nemici. Ancora non hai deciso quali siete?
Poi la vidi sospirare e distogliere lo sguardo.
E tirarmi un metaforico quarto cazzotto, dritto nello stomaco.
“Il mio nome è Langrhibel”.
Boccheggiai, perdendo momentaneamente l'equilibrio. Sentii Filo fare un commento su un certo Laurevorn e Claudia rispondergli, ma non era importante.
“La riunione è finita” riuscii a dire. E via, quasi di corsa, fuori della sala.

Joder.
Joder
!
Mi appoggiai al muro, sperando che il mondo smettesse di girare.
Langrhibel. La fottutissima Spada Graffiante dei Noldor, una delle ultime Luminose a calcare la Terra di Mezzo nella Quarta Era.
La fottutissima Follademonios.
Come era risaputa, nella tradizione magica, la storia di Luinsul, quel testa di cazzo di Zèfiro, il mio antenato che tutti sembravano amare, también era conosciuta lei, Langrhibel Despertadragónes.
Di tutte le cazzo di elfe su tutta la cazzo di Arda, doveva esser proprio lei a farsi avanti. Joder!
Nella storia si era perso il nome della maga di Vita che liberò Zèfiro dalla possessione di Sauron l'Ingannatore. C'era chi diceva si chiamasse Kira, chi Rika, alcuni affermavano Rita, altri Kida. Ma il nome di Langrhibel era ben conosciuto, almeno nell'Harad, e non era associato ad una buona fama. Secondo la tradizione l'elfa era una seduttrice meschina e falsa, degna di nessuna fiducia. E ci credo, non si può risvegliare il demone del mago più potente della storia scopandotelo, né risvegliare un Drago Iperboreo della Prima Era e pensare di passarla liscia.
Dicevano che la statua di Nienna, nel tempio di Kalo, avesse il suo volto, nella speranza che potesse -almeno simbolicamente- pentirsi ed espiare le sue azioni. Inutile. Dopotutto era dello stesso scultore che aveva dato a Manwë le fattezze di Zèfiro. Una bestemmia, a mio avviso, una trovata geniale secondo molti. Ma non importa, Kalo era una rovina, il tempio del Vento e la sua campana dati alle fiamme settant'anni fa e le statue probabilmente infrante.
Quello che importa è la tua immensa fortuna, è che la maggior parte dei maghi di Minas siano dei ragazzi che non hanno mai provato a leggere i libri di storia del nostro popolo, altrimenti, cara la mia elfa, non saresti uscita viva da quella stanza.
Proprio mentre formulavo quest'ultimo pensiero, l'elfa in questione apparve al mio fianco.
“La mia identità ti disturba?” mi domandò. Disturba? Disturba è un fottuto eufemismo. Sentii un moto di revulsione salirmi nel petto, ma riuscii a domarlo. Sei quello razionale, Rain, quello fottutamente razionale. Rimetti la testa a posto.
Cazzo, quella misera riga che ho da parte in camera non basterà per il viaggio.
Cazzo, cazzo, cazzo! Mi feci l'appunto mentale di procurarmi dell'altra coca, altrimenti non avrei risposto delle mie azioni. Non con lei accanto.
“Voglio solo sapere che cos'altro mi hai tenuto nascosto, elfa” le dissi.
“Nulla, solo il mio nome”.
“Come devo chiamarti?”. Tra i due nomi che mi hai dato e la quantità di epiteti poco lusinghieri che mi vengono in mente ho un'ampia scelta, dopotutto.
“Come hai sempre fatto” rispose. È una mia impressione o stai evitando di guardarmi negli occhi?
Vale” dissi, poco convinto “Vai a raccogliere le tue cose, Claudia, partiamo tra un'ora”.








E finalmente abbiamo anche un quarto capitolo.
Perdonatemi l'orrendo ritardo, sono una pessima persona.
Quasi è stata un'odissea, dopo mesi senza ispirazione è venuto fuori quasi del tutto ai tavoli dei vari bar di Santiago de Compostela, tra Estrella Galicia e tapas.
Poi l'ulteriore odissea per il betareading, ma non importa, ciò che importa è che abbiamo un nuovo capitolo.
Abbiamo comunque un paio di aggiunte per la soundtrack, ovvero Mood for Trouble dei Soundgarden, la canzone di cui si sente solo l'ultima nota, e Clones, di un gruppo che si fa chiamare Ash e che secondo me lega molto bene con la scena.
Detto ciò vi saluto e vi aspetto per il prossimo, sperando arrivi in tempi degni (ovvero meno di due, massimo tre mesi). Odiando con tutto me stesso G.R.R.Martin e i suoi ritardi per darci qualcos'altro da leggere posso comprendere l'eventuale seccatura per i miei, non voglio far la sua fine.
A presto, che abbiamo qualche aggiunta al cast da fare. =)

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Parenti ***


Capitolo 5 - Parenti

Barcollai lungo il corridoio, mentre sentivo gli effetti dell'ultima dose scemare. I numeri sulle porte sembravano tutti uguali e la memoria era decisa a non volermi venire incontro. Mi fermai, appoggiandomi contro il muro e fissando le due porte di fronte a me. Duecentodieci. Duecentoundici. Dieci. Undici.
Eccolo qua, il vostro leader. Sbronzo, confuso e con gli effetti della coca che stanno pian piano andando via, lasciandolo ripiombare in una realtà orrenda.
Non bastava aver addosso il peso di un popolo e di un antenato che tutti amavano, no. Adesso ti toccava anche far pubbliche relazioni con gli elfi che, molto probabilmente, avrebbero avuto anche loro da ridire sulle tue capacità di comandante e guida, oltre che sul tuo stato psicofisico. Quegli stronzi hanno sempre da ridire e in più ti mandano come ambasciatrice la peggior candidata di tutto questo mondo.
Dieci. Undici. Dieci. Undici.
Imprecai a mezza voce quando rovesciai il pacchetto di sigarette in terra. Me ne bastava una. Raccolsi le cicche dal pavimento e le risistemai, accendendo l'ultima e tornando a guardare quelle due porte. Qualcosa suonava famigliare, ero certo che una di quelle due stanze fosse quella giusta.
Dieci. Undici.
Certo che sono geniali, questi elfi. Fottutamente geniali. Specialmente Claudia.
Dieci. Undici. Dieci. Undici?
Con che diritto ha pensato di poter venire in mezzo a noi e incasinarci la vita più di quanto già non lo fosse? Maledetta elfa.
Eppure non ti sembrava così male, no?
Lasciamo perdere. Il solo ricordare le mie azioni e i miei pensieri nei suoi confronti è uno dei motivi per cui ho passato le ultime quattro ore fatto come una banana. Ridacchiai da solo pensando al paragone appena fatto.
Rain, sei un coglione.
Dieci. No. Undici. Undici? Probabilmente.
Mi domando che cazzo hanno pensato quelli di Lasg... Lagsa... del fottuto fantamagibosco quando hanno mandato lei a riallacciare i contatti. O sono degli idioti, tutti, dal primo all'ultimo, oppure speravano che ce ne disfacessimo noi. Bel modo di passarci i vostri panni sporchi.
Gettai la sigaretta in terra e inspirai, fissando ancora le due porte.
Undici. Dieci. Undici.
E lo sentii. Porca puttana.
Duecentoundici. Fissai i tre numeri, inspirando a pieni polmoni. Era lo stramaledettissimo odore dei suoi capelli.
Dimmi te se devo anche ringraziarla per avermi fatto ritrovare la stanza.
Entrai, trovandola rannicchiata sotto le coperte. Tentai di muovermi verso il bagno al buio, urtando lo stinco contro un mobiletto.
Mentre reprimevo le imprecazioni l'elfa accese la luce. Sentii il suo sguardo osservarmi mentre mi toglievo la maglietta, per poi sentire la sua voce.
“Rain... di che cosa ti sei fatto?”. Sembrava preoccupata. Oltre al danno la beffa, cazzo. Mi voltai a guardarla, incrociando l'occhiataccia che mi stava rivolgendo. Preoccupata e incazzata.
Mormorò qualcosa sui comportamenti poco responsabili e mi fu impossibile evitare di sbuffare. Tornai sui miei passi, diretto verso il bagno.
“Ma guarda te... proprio tu mi fai la predica Claudia? Tu?” borbottai. Avevo decisamente bisogno di una doccia. E di un litro d'acqua giù per la gola, a giudicare da quanto impastata sentivo la mia bocca.
“Fa' che sia l'ultima volta. Drogati pure quanto vuoi, ma in un altro momento”. L'infame. C'è un motivo per cui mi sto drogando proprio in questo momento. Arrivai allo stipite della porta del bagno e mi ci appoggiai contro, cercando di calmare il mio respiro. Ero vagamente conscio della mia mano destra, che continuavo a contrarre e rilassare. Chiusi gli occhi un momento, cercando di focalizzarmi sul buio e di scacciare le forme colorate che mi danzavano davanti. Un respiro. Due.
“Ehi Cla” ripresi, guardandola fisso nelle iridi, “penso che ci sia un po' di differenza, sai” alzai la destra e allargai l'indice e il pollice di un centimetro “un pochino di differenza tra farsi una riga di coca e risvegliare un fottuto Drago Iperboreo. Giusto un po'”. Stirai le labbra in un orrendo sorrisetto beffardo, degno dei suoi.
L'elfa rimase a fissarmi per mezzo secondo per poi calciare via il lenzuolo e afferrare i suoi vestiti, dandomi un'altra visione del suo corpo nudo. Un corpo che, ammettiamolo, avrebbe fatto ammutolire qualsiasi uomo, pensai osservandole la curva della schiena e del sedere, ma non me. E la coca non c'entra.
Sbuffai un'ultima volta ed entrai nel bagno, sentendo la porta della camera sbattere alle mie spalle.
Fanculo Rain, fanculo te e l'essere razionale. In questa storia il raziocinio non c'è mai stato, lo avevi capito fin da subito. Bestemmiai, infilando la testa sotto il getto d'acqua gelida. Fin dall'inizio avresti dovuto mandarla a cagare.
Bevvi qualche sorsata d'acqua e m'infilai sotto la doccia, cercando di rilassarmi.
Forse Claudia aveva ragione e avrei dovuto evitare di farmi in una sera del genere, ma non ce l'avrei fatta. Saremmo finiti fuori strada, un bell'incidente sulla statale 8. Coppia si schianta sulla statale 8, dall'autopsia risulta che l'autista, R.G. le sue iniziali, era sotto l'effetto di cocaina ed è morto sul colpo. La ragazza, C. checcazzosoio, è stata rinvenuta in fin di vita ed è morta poco prima dell'arrivo delle ambulanze. E poi un altro paio di colonne sui rischi dell'uso di droghe e di statistiche sugli incidenti. E qualche altra cazzata.
Presi un altro respiro profondo.
“Dan, avevi fottutamente ragione” dissi, rivolto al vuoto.

Trovai Claudia seduta su una roccia, vicino un'ansa dell'Anduin. L'elfa era immersa in una profonda meditazione e, nonostante fossi certo che avesse percepito la mia presenza, non mi degnò di alcuna attenzione. Era la prima volta che la vedevo comportarsi effettivamente come un'elfa e non come quel concentrato di sarcasmo e insopportabilità degli ultimi giorni.
“Dove sei stata tutta la notte?” le domandai. Cominciava a pesarmi il silenzio e avevo addosso i postumi della nottata, sentivo il bisogno di un po' d'interazione.
“Qui” mi rispose. Ben messi. Ma almeno suona tranquilla.
Claudia inspirò profondamente, per poi espirare lentamente. Il mio respiro si armonizzò involontariamente con il suo, mentre la guardavo.
Aprì gli occhi e mi guardò, e per la prima volta vidi la sua Luce. Sarà tutto quello che vuoi, una traditrice, una persona meschina, Langrhibel la corrotta, ma in quel momento la sua presenza, il suo semplice sguardo, mi schiacciarono, non riuscii a sostenerlo. Abbassai gli occhi mentre lei si alzava. Potevo percepire quanto fosse compiaciuta, era la prima volta che distoglievo lo sguardo in una situazione del genere. La sentii alzarsi e notai che s'era messa a frugare nel suo zaino, tirando fuori le sue semiautomatiche e porgendomi la .44 presa il giorno prima e relativa fondina. Mi allacciai l'arma addosso e tornai ad osservarla. Continuava a guardarsi attorno, scrutando le rocce degli Emyn Muil poco lontane con un'aria più felina del solito.
“Ora? Sei tu che conosci la strada” le dissi.
In risposta mi porse un drappo nero.
“Bendati. Dovresti sapere come sono gli elfi riguardo i loro reami nascosti”.
Sbuffai ma accettai la benda senza una parola. Per quanto non lo dimostrasse, le parole della sera prima aleggiavano ancora pesanti nell'aria ed ero certo che mettermi a protestare non sarebbe stata la soluzione.
“Non era nei patti” feci, non riuscendo comunque a trattenermi del tutto.
“Lo so. Infatti puoi fare come vuoi, ma se non ti metti quella benda continuerò da sola” rispose, estraendo dalla tasca dei jeans il chip di memoria.
Come un coglione, forse per automatismo, misi le mani in tasca a cercare il medesimo chip, ovviamente senza trovarlo. Sbuffai e mi legai il pezzo di stoffa sugli occhi.

Persi la cognizione del tempo mentre camminavamo tra le colline rocciose, guidato dalla mano di Claudia e dai suoi eventuali avvertimenti su curve, sassi e buche.
All'improvviso mi fermò, levandomi la benda.
“Dunque?” domandai, vagamente stizzito.
Mi zittì con un gesto, osservando attentamente una fessura tra due pietre. La vidi infilare un dito nella fessura e qualcosa scattò. Uno dei sassi si aprì, mostrando un minuscolo schermo a cristalli liquidi, illuminato di blu.
Sono finito in un film di fantascienza, è l'unica spiegazione. Un film di fantascienza in cui ancora non s'è capito chi sia l'eroe. Di certo non io.
Claudia continuò a guardare lo schermo finché l'immagine blu non cambiò. Apparve un elfo dal volto affilato, i capelli castani spettinati, per quanto tagliati corti, e degli occhi verdi che emanavano una freddezza senza eguali. A coronare la durezza di quel volto s'aggiungeva una cicatrice sulla guancia destra. Freddo e stanco, quell'elfo.
Ciao Rhi” disse. Vidi l'elfa irrigidirsi.
“Ciao Legolas...” rispose.
Legolas? Questo era l'eroe mitologico della Compagnia? Questo era l'idolo delle ragazzine? Questo era il Re del fantomatico regno nascosto che avrebbe dovuto aiutarci nel sovvertire il Regime di Nuova Gondor?
Più che un Re e un eroe sembrava un rottame, era come se qualcuno l'avesse preso e strizzato, come se fosse uno straccio. Mi sovvenne in quel momento che in effetti l'elfo del treno -Galad? Mi pare fosse Galad. Valar, dovrò evitare tali gaffe se spero di uscirne vivo- altri non era che suo figlio. Forse non era il momento migliore per passare a fare un saluto.
Non è il momento migliore per visitare Lasgalen, per quanto mi faccia piacere saperti ancora viva”. Per l'appunto. Se quella era felicità nel vedere una vecchia amica, io sono Eru Ilùvatar.
“Immaginavo. Ho saputo” rispose Claudia.
Anche lei aveva assunto un tono molto sommesso. La vidi frugare nelle tasche e tirare fuori il minuscolo diamante di memoria.
“Ho una cosa per te” disse, mostrandoglielo.
Legolas spalancò gli occhi, incredulo.
Com'è possibile?”. Claudia sospirò e si voltò verso di me per un istante. Le feci segno di continuare a parlare. Comprendevo la sua difficoltà: non dev'essere facile raccontare a un padre di aver visto il figlio morire davanti ai propri occhi.
“Ero su quel treno, Las. L'ho visto... insomma. Mi ha affidato il chip perché arrivasse nelle vostre mani”.
Mando una talpa” disse. Il dolore della perdita cominciava di nuovo a prendere il sopravvento.
“Legolas aspetta” lo interruppe Claudia “Non sono sola”. Questa parte anche non doveva essere facile.
Chi?”. Il dolore era sparito, al suo posto era tornata la freddezza iniziale. Claudia mi fece un gesto con la mano, chiedendomi d'avvicinarmi.
“Un mago” rispose. La reazione dell'elfo fu pessima.
Chi è questo mago? E perché dovrebbe interessarsi a noi, o noi a lui? Che cosa vuoi ottenere?”. Era a dir poco furioso, e oltremodo seccato. Probabilmente non era la prima volta che qualcosa del genere succedeva. Pregai tutto il pantheon di Valar che per una volta non c'entrasse quel fottuto antenato.
“Calmati Legolas. Lui e i suoi sono qui per proporti un'alleanza”.
Lo sai bene che non c'è più alcuna alleanza tra le nostre razze. Rhi, perché sei sempre così testarda? Non hai imparato nulla, in tutti questi anni? Il tuo stupido amore per questi mortali sarà la tua rovina e non intendo permettere che sia anche la nostra. Non è più tempo per giocare con la magia”.
Hai capito la testa di cazzo? Mi passai una mano sul volto, sbuffando. Giuro che se non cambia atteggiamento gli creo un tornado nel bel mezzo del suo bosco.
Osservai Claudia mordersi il labbro mentre soppesava le sue prossime parole. Anche tu, mi dissi, sei un fottuto genio. Vieni da noi, ci convinci a rischiare tutto per un'alleanza e adesso si scopre che gli elfi in questione non solo non ne erano al corrente ma, anzi, non sono affatto inclini ad accettarci come compagni di avventure. Quando rado al suolo quel cazzo di bosco fatato farò in modo che tu ci finisca sepolta dentro, sia l'ultima cosa che faccio.
L'elfa, nel mentre, aveva deciso che piano d'azione attuare. Ovvero quello meno diplomatico possibile.
“Ascoltami bene, Legolas: entrerò a Lasgalen solo e unicamente in compagnia di Rain. Questa è la mia condizione. Altrimenti puoi dire addio al chip e alle informazioni per le quali tuo figlio ha dato la vita. Ti prometto che potrai battere Arda in lungo e in largo e non riuscirai mai a trovarmi. A te la scelta”.
Complimenti. Un'ambasciatrice nata. Joder, en que lìo me voy a meter.
L'elfo dall'altra parte dello schermo s'era preso il volto tra le mani, sospirando pesantemente. Non sono l'unico a volerla uccidere, insomma.
Entrate” fece laconico.

Pochi minuti dopo scendemmo dalla talpa, una specie di suppostone semovente che correva a centoquaranta chilometri orari su delle monorotaie sotterranee. In effetti Claudia aveva accennato a dei nani, nel suo discorsetto dell'altra sera, ma quelli che avevano progettato questo mezzo dovevano essere pieni di grappa, dai talloni alla punta della barba.
Claudia mi guidò verso una scalinata quando un comitato d'accoglienza ci venne incontro. Erano quattro elfi, vestiti della stessa uniforme grigia che indossava Galad. A differenza di quest'ultimo, però, questi avevano sguardi torvi, due pistole sui fianchi e un'espressione inflessibile.
“Immagino che non siamo i benvenuti, verdad?”.
“No”.
“Sei un genio. Un fottutissimo genio”.
Due degli elfi si avvicinarono a noi e ci disarmarono, per poi puntarci le armi nelle scapole. Restai immobile, mentre aspettavo di vedere la reazione della mia compagna. A differenza del controllo doganale stavolta esplose.
“Che cazzo credete di fare?! Non siamo ostili!”.
Quello di grado più alto le si avvicinò con fare intimidatorio.
“Ordini del Re. Dovete seguirci”.
“Come?! Che cazzo succede?! Legolas! Non erano questi i patti! Che cazzo credi di fare?!” sbraitò Claudia. Il soldato la prese per il mento, piantandole la canna della pistola sulla tempia.
“Seguiteci senza resistenza e tutto andrà per il meglio. Una sola mossa falsa e sei finita. Cammina”. L'elfa si zittì, ma ero certo che stesse rivolgendo uno dei suoi migliori sguardi velenosi alla guardia.
Ci lasciammo condurre per varie gallerie, zitti e buoni, finché non raggiungemmo una fila di celle. Le guardie ci spinsero dentro la prima senza una parola e richiusero la porta dietro di loro. Non ci volle molto perché Claudia riprendesse a urlare.
“Legolas! Giuro che questa me la paghi!” gridò, prendendo a calci la porta.
Notai un materasso più pulito di quanto sperassi in un angolo della cella e mi ci stesi sopra, lasciandomi andare all'ennesimo sospiro. Infilai la mano in tasca ed estrassi il pacchetto di sigarette. Guardai di nuovo verso Claudia, che nel mentre continuava a inveire contro Legolas.
“Dovessi” calcio “spaccare” pugno “questa” altro pugno “fottutissima” calcio “porta!”. Nonostante la situazione non riuscii a trattenere un sorriso. Meschina, traditrice, pessima nell'ambito diplomatico, però aveva una perseveranza da ammirare.
La faccia del Re in questione apparve alla sua destra, su uno schermo simile a quello sull'ingresso.
È inutile Rhi. Quella porta è antisfondamento, resisterebbe anche al tuo destro”.
Claudia si voltò verso lo schermo e ricominciò ad imprecare e gridare.
“Che storia è questa? Che cazzo stai facendo?!”.
È mio dovere tutelare il mio popolo, specialmente in presenza di estranei pericolosi come il tuo amico” rispose l'elfo. Doveva starsi divertendo parecchio, dietro la facciata di Re responsabile.
“Il mio amico” fece Claudia, gesticolando verso l'angolo in cui ero steso “non ha mosso un dito quando ci avete arrestato, è venuto senza ribellarsi minimamente, e tu dovresti ricordare bene di cosa sono capaci i maghi della sua stirpe”. Merda. C'entrava quello stronzo di Zèfiro. Perché? Perché tutto doveva sempre ricondurmi a lui? Giuro che se mai me lo ritrovo di fronte, in questa vita o nell'aldilà, la prima cosa che faccio è spaccargli il naso.
Forse ha pensato che non gli conveniva reagire se voleva continuare a vivere” disse Legolas. In effetti non aveva tutti i torti.
“Ben detto” dissi dal mio angolo, buttando fuori una voluta di fumo. Seppure non la stessi guardando ero più che certo che Claudia avesse roteato gli occhi alla mia risposta.
Fissai il soffitto, continuando ad ascoltare i due elfi che discutevano. Dan, dovresti vederci, pensai, sorridendo al vuoto. Certo che stava cercando di fregarci, avevi ragione, ma i suoi simili hanno fregato lei. La situazione, per quanto pessima, mi sembrava tragicomica.
“Legolas... che cosa è successo? Eravamo amici, una volta”.
Amici? Forse. Ma non mi sono mai fidato di te. Sì, mi sono preso cura di te quando c'è stata la necessità e tu hai saputo ricambiare, in un certo senso, ma non c'è mai stata fiducia tra noi. Non mentirti” disse l'elfo sul televisore.
“E brava Claudia” interloquii a mezza voce “Anche lui ti sei portata a letto”. Nessuno dei due mi fece caso e Legolas riprese a parlare.
Sappiamo tutti chi sei, cosa sei. Mi stupisce che i maghi abbiano accettato semplicemente di ascoltarti, vista la fama che ti sei guadagnata tra di loro. E per il mio popolo non è diverso. Sei scaltra, imprevedibile, una ladra senza eguali ed egoista. Non posso prendermi la comodità di fidarmi di te, per il mio bene e per quello di Lasgalen. Rhi, non posso lasciarti libera in questo stato, specialmente perché non sei degna della fiducia di nessuno”.
Sospirai di nuovo, meditando se accendermi un'altra sigaretta. Se da una parte Legolas non aveva pienamente torto, dall'altra avrebbe potuto giovare anche lui di un po' più di tatto. Specialmente conoscendo l'elfa in questione. Joder, se la conosci da così tanto tempo dovresti sapere meglio di me come trattare con lei. Ma probabilmente nessuno sapeva veramente come trattare con lei, probabilmente neanche Zèfiro era mai riuscito a capirla. La osservai di sottecchi, impalata davanti allo schermo ad incassare la fila di insulti che, per quanto detti in tono educato, le erano appena stati rivolti. Non doveva essere facila, la vita di Langrhibel Follademonios. Rinnegata da tutti e testarda come una capra.
Almeno questa volta stava agendo per un bene più grande del proprio, ma l'ombra delle sue azioni passate era comunque troppo grande per molti.
Anche per te, Rain? Anche per te, Zèfiro?
Anche per me?
No.
Per quanto potessero starmi sul cazzo i suoi modi di fare, il suo arrivare all'improvviso e metterci sottosopra la vita come se ci servisse, fino all'altra sera non ero così severo nel rimproverarla, nel giudicarla.
Certo, ma fino a ieri sera era semplicemente Claudia, l'elfa che Blaine si è scopato e che ti ha proposto un'alleanza. Il suo nome e la sua storia hanno cambiato tutto.
Hanno cambiato tutto?
Claudia stava ancora urlando contro lo schermo e stavolta Legolas le urlò contro in risposta. Dopo qualche attimo sentii un rumore sordo di vetri infranti. L'elfa aveva tirato un cazzotto allo schermo, probabilmente non riuscendo più a reggere gli insulti.
Hanno cambiato tutto?
No.
Che sia Claudia o che sia Langrhibel, non importa. Strappai con pazienza un lembo di stoffa dal lenzuolo del materasso. Non importa perché le azioni del passato sono, ovviamente, passate. C'è ben poco che possiamo fare per cambiarle. Estrassi una sigaretta dal pacchetto e mi alzai dal materasso. Ho già affidato ciò che avevo di più importante nelle mani di quest'elfa, quindi c'è poco che possa fare. C'è la possibilità che ci tradisca, ma voglio credere di potermi fidare dell'elfa irriverente con addosso la maglietta di quattro taglie più grandi e un cappello a coprire le punte delle orecchie. Mi avvicinai a Claudia, accasciata a terra, e le porsi il lembo perché si fasciasse la mano e la sigarette perché si calmasse. Non dissi una parola, non servivano. Mi voltai e tornai sul materasso.
Ho vissuto per anni cercando di fuggire dall'ombra di Zèfiro, il mago più potente che Kalo abbia mai visto, il fottuto salvatore del mondo, e nonostante ciò mi ritrovo incastrato in una posizione simile. Chissà se lui ha mai voluto tutto ciò. Io no di certo. Ma solo perché io non posso fuggire dalla mia ombra, non vuol dire che Langrhibel debba avere lo stesso fato.
Quell'elfa, quella strafottutissima elfa sarcastica, aveva la mia fiducia.

Fui svegliato dal mio torpore qualche ora dopo, sentendo rumore di voci. Speriamo che Claudia non abbia cominciato a parlare da sola, altrimenti siamo veramente alla frutta. Socchiusi gli occhi, voltandomi verso l'elfa e la notai impalata di fronte a un elfo vestito di verde.
“Ciao cugina” fece lo sconosciuto. Claudia continuava a fissarlo, con un'espressione sempre più incredula. Vuoi vedere che questi elfi la stanno fregando molto più di quanto lei abbia tentato di fregare noi? Celle e riunioni di famiglia, di certo le ultime cose che mi aspettavo da questa storia. Poi accadde qualcosa di ancora più inaspettato.
“Non riesco a crederci! Zaal, sei qui! Sei veramente qui!” gridò Claudia, saltando in braccio all'elfo e rischiando di fargli perdere l'equilibrio. Era estatica. Era felice. Stava abbracciando qualcuno con tutto l'affetto di questo mondo.
“Credevo che non t'avrei più rivisto! Cazzo Zaal! Cazzo!”.
“Rhi, tranquilla, sono qui” rispose lui, sciogliendosi dall'abbraccio “E son felice di vederti. Che cosa stai combinando di questi tempi? Legolas è incazzato come una bestia, mancava poco che mi facesse ammazzare quando ho chiesto la tua scarcerazione” domandò poi, sorridendole.
“Ti spiegherò presto, ma prima voglio presentarti una persona” disse lei, sorridendo a sua volta.
Mi alzai dal letto, avvicinandomi ai due e studiando il nuovo arrivato. Dimostrava una trentina d'anni, il volto regolare era segnato da leggere rughe d'espressione. Si notava la parentela tra i due, aveva gli stessi capelli corvini, gli stessi occhi scuri, ma c'erano piccole differenze qua e là, nel taglio degli occhi o nel colore della carnagione, decisamente meno pallido.
“Zaal, ti presento Rain. Rain, lui è Zaal, mio cugino” disse Claudia, senza smettere di sorridere.
Zaal ed io ci scambiammo un cenno con il capo.
“Rain è il discendente diretto di Zèfiro Luinsul” continuò l'elfa. Ti pareva, un altro che ama il mio antenato come se emanasse luce dal culo.
Zaal spalancò gli occhi, guardando dritto nei miei, e impallidì. Zaal Laurevorn, eroe della guerra del Drago, stava impallidendo di fronte a me. Qualcosa non quadra. No. Per niente. O il mondo ha preso una piega stranissima oppure mi manca qualche pezzo. O semplicemente sono in overdose e tutta questa storia è semplicemente una mia allucinazione. Scartiamo l'ultima, se fossi in overdose non sarei così tranquillo. Sono certo che dovrei aver almeno qualche dolore.
“È un piacere, Laurevorn” dissi, cercando di rompere il silenzio che s'era creato. Claudia continuava a sorridere estatica, nel suo angolo.
“Ciao” riuscì a dire Zaal.
Ciao. Beh, meglio di niente. Speriamo che esca presto dal suo loop e diventi un po' più loquace.
“Zaal?”. La voce di Claudia sembrò rianimarlo un po'. L'elfo si scosse e si ci indicò la porta.
“Seguitemi fanciullini, si torna alla luce del sole”.
Zaal ci condusse per una sequela infinita di corridoi e stanze dalle piante più assurde, fino a trovare un ascensore. Nel mentre non la smetteva di chiacchierare amabilmente con Claudia di come lei non fosse minimamente cambiata e di come Legolas avrebbe accettato -forse- di vederci, se mai gli sarebbe passata l'incazzatura.
L'ascensore ci riportò in superficie in una decina di secondi, rischiando di farmi venire il mal di mare. Seriamente, quanto cazzo hanno bevuto gli architetti di questo luogo?
Quando raggiungemmo la superficie ebbi la mia risposta: parecchio.
Di fronte a me si stendevano prati immensi, costellati da strade lastricate, edifici slanciati, palazzi di vetro, casette di legno, di tutto. La città che non esisteva, mi aveva detto Claudia, ora capivo perché. Questa città non esisteva veramente, eravamo noi ad essere entrati nel sogno di qualcuno. Probabilmente di uno di quegli architetti alcolizzati.
Gli alberi torreggiavano da ogni lato, tanto che molte case erano costruite su vari flet, e le radure erano state convertite in piazze erbose, gremite di elfi che si bevevano qualcosa al bar, lavoravano, passeggiavano e quant'altro.
“Oi? Ragazzo? Va tutto bene?”. Notai che Zaal mi stava sventolando la mano davanti agli occhi, come se fossi rincoglionito. Proprio lui, quello del ciao. Probabilmente ero rimasto troppo tempo a guardarmi attorno, ma c'è da ammettere che una città del genere farebbe lo stesso effetto a chi non ci è abituato.
“Venite, si va a casa mia” disse poi, avviandosi lungo una stradina tortuosa al lato della piazza.
“Ma come mai sei tornato? A quale Vala hai rotto i coglioni perché ti rispedissero qua?” domandò Claudia.
Zaal rise, gettando il capo indietro.
“A dire il vero ho deciso di tornare qua per i cazzi miei, ma nessuno di loro mi sopportava tanto. Però se devo pensare a qualcuno in particolare penso che Aule non ci avrebbe pensato due volte a chiudermi in una cassa e rispedirmi nella Terra di Mezzo per posta prioritaria” rispose lui, sghignazzando.
È un dato di fatto, tutti gli elfi che conosco sono degli squilibrati, in un modo o nell'altro.
Continuammo a camminare lungo la strada, attirando parecchi sguardi torvi dagli elfi che ci notavano. Andiamo bene.
“La gente ce l'ha un po' con te Rhi o è solo una mia impressione?” fece Zaal, sempre con quel suo tono leggero e noncurante che cominciava a seccarmi.
“È Rain che guardano male” disse Claudia.
“Secondo me guardano male tutti e due” continuò lui. Eccolo qua, un altro elfo irriverente. Non bastava lei, adesso anche suo cugino doveva mettercisi. Spero di non incontrare altri parenti o qui le cose si mettono male.
Perché, per ora sta andando bene?
In effetti il comitato di benvenuto che ci mette in galera non si può considerare come un buon inizio, ma se mi trovo davanti un altro elfo imparentato con quei due è la volta buona che ammazzo qualcuno.
“Sorridete!”. Fui colto alla sprovvista mentre Zaal ci scattava una foto, all'improvviso. Sentii Claudia lamentarsi, probabilmente aveva un'espressione pessima anche lei.
Prima esco da Lasgalen meglio è.
“Ma... adesso mi viene in mente. Non è che disturbiamo a casa tua? Intendo... sei da solo?” chiese Claudia, qualche passo dopo. Zaal si fermò e ci pensò per un momento.
“Oggi non dovrebbe esserci nessuna, in effetti” disse poi.
“Come oggi?!”. L'ipocrita. Te puoi scoparti Re, bassisti e antenati ma lui non può fare lo sciupafemmine, eh Claudia?
“Sto scherzando Rhi. Sai bene che c'è stata solo una donna nella mia vita” rispose l'elfo, per una volta serio.
“Ricordo”. Vuoi vedere che...
“Stavolta tu non c'entri, vero Claudia?” le domandai, abbozzando un mezzo sorriso.
L'elfa mi fulminò con lo sguardo, mentre Zaal riprendeva a ridere.
“Come stavolta?” chiese.
“Rain, taci!” mi disse lei. Magari fosse così facile, tesoro, ma sono stufo della vostra continua ironia, ogni tanto tocca anche a me tirar fuori qualcosa.
Vale, vale, non dirò nulla su te e Sua Altezza lo Sfregiato”. Zaal prese a ridere ancora più forte.
“Tu e Legolas?! Veramente?” e riprese a ridere.
“Sì Zaal, ma era una volta, tanto tempo fa”.
“Quando?” la incalzò lui.
“Cinquant'anni fa. Durò un mese” rispose Claudia, abbassando lo sguardo. Zaal continuava a ridere, facendole i complimenti, e anch'io finalmente risi un po'. Irriverente e geneticamente stronzo, anche lui, ma forse meno rompicoglioni della cugina.
“Ah, Rain” mi disse poi “ti sconsiglio di utilizzare quello splendido nomignolo in presenza di Legolas, potrebbe prenderla male”. Non lo metto in dubbio, ma non me la sento di assicurare nulla. Da quando ho cominciato a conoscere voi elfi continuo ad aver voglia di radere al suolo qualcosa, come la vostra città per l'appunto. Magari tra le due cose un nomignolo è il male minore.
“Vedremo” gli risposi, concedendogli un sorriso.






Sorpresa!
Penso sia la prima volta che aggiorno così velocemente una storia, ma questo capitolo mi ha preso proprio bene, quasi s'è scritto da solo.
Poco da dire, se non che attendo le vostre reazioni all'introduzione di questi due fenomeni da baraccone nel cast, stavolta e unicamente per voi in Rain-o-vision.
Ci sarà da divertirsi, questo ve lo posso assicurare.
C'è inoltre un'altra aggiunta alla soundtrack, ovvero Rain Fall Down dei Led Zeppelin per la scena iniziale, che lega molto bene.
Infine una piccola nota seria, anche in questo capitolo come nel secondo vi do un piccolo avvertimento/consiglio/disclaimer: non drogatevi, seriamente. La coca fa male e non è assolutamente mia intenzione spronarne o incoraggiarne l'uso.
Buonanotte dunque, speriamo di ritornare a pubblicare presto.

Newsflash del 7-Aug, il sesto capitolo arriverà presto se tutto va bene, quindi restate connessi per passati svelati, profezie che si compiono, incontri con sovrani e la risposta a uno dei dubbi che da sempre ci attanaglia, ovvero: i gusti artistici degli elfi di Lasgalen, in particolare di uno.


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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Elfi/Iena, Sfregiato e Terminator ***



Capitolo 6 - Elfi/Iena, Sfregiato e Terminator

L'abbiocco postprandiale stava avendo effetto su tutti e tre, e noi lo stavamo accogliendo con molto piacere.
Zaal ci aveva accolto a casa sua, una villetta che sembrava costruita apposta per il suo inquilino, seppur cercando di mantenere un po' d'armonia con le case del vicinato. Il risultato era inquietante: quella che da fuori poteva sembrare l'ennesima casa prettamente elfica, dentro era un agglomerato di mobili mal assortiti e di architetture bizzarre. Durante il pranzo avevo provato a chiedere al padrone di casa il senso della colonna che divideva il corridoio senza un'apparente motivo, ma lui aveva semplicemente ridacchiato, mentre Claudia aveva cominciato una digressione sui simboli fallici, l'omosessualità latente del cugino e i suoi sentimenti verso Sua Maestà Legolas la Testa di Cazzo.
“Perché, secondo te cosa abbiamo fatto per metà della Guerra del Drago?” aveva chiesto Zaal, “Legolas ed io, a rubarci momenti di amore proibito nelle fredde notti in cui l'armata si accampava. Ricorderò sempre le sere in cui mi avvolgevo in un mantello e di nascosto raggiungevo la tenda del mio Re, pronto a donare tutto me stesso alla sua mercé”. E giù a ridere, mentre Claudia si mandava di traverso il boccone ed io reprimevo un sospiro. O un conato.
“Cosa c'è Rhi?” aveva detto poi, “L'idea di Las e me che ce lo diamo a vicenda ti sconvolge?”. E di nuovo a ridere.
Quest'elfo cominciava a starmi sul cazzo più della cugina.

Mi alzai dal divano accendendomi una sigaretta e avviandomi in cucina. Claudia, o meglio Rhi, s'era stravaccata felicemente ed aveva cominciato a gettare la cenere sui cuscini mentre Zaal protestava.
“Porca puttana Rhi, la tappezzeria era tornata ieri dalla tintoria!”.
“Se tu non hai avuto la lungimiranza di procurarmi un posacenere quando mi hai accolto in casa adesso ti becchi le conseguenze” rispose la cugina, scuotendo allegramente la sigaretta sopra i cuscini.
Ma vedi te in che situazione mi vado a mettere. Frugai in cucina finché non trovai una ciotola di plastica che poteva fungere da posacenere e salvare le fottute fodere verde mela di Zaal Laurevorn, eroe della Terra di Mezzo. Misi due dita d'acqua nella ciotola e tornai verso il salotto, andando a sbattere contro la colonna di cui prima e rovesciando l'acqua in terra.
“Dimmi te se di tutti gli elfi di questo cazzo di mondo dovevo trovarmi la scopademoni millenaria e quello che si tiene dei fottuti simboli fallici in corridoio” borbottai, raccogliendo la ciotola e ritornando sui miei passi per cercare uno straccio.
“Ehi zuccherino, guarda che non è un simbolo fallico, ma una pregiata riproduzione di arte Numenoreana” fece Zaal, dall'altra stanza.
Maledetto udito elfico. Giuro che ammazzo qualcuno.
“Zaal, è una fottuta colonna in mezzo al fottuto corridoio. Se vuoi decorare casa io mi limiterei ai nani da giardino” gli rispose Claudia. Zaal esplose in una risata che durò fino al mio ritorno nel salotto.
“Sai, avevo provato a convincere un paio di nani a restare nel mio giardino, ma mi hanno risposto che trovavano la mia proposta un oltraggio. Dunque ho parlato con un artigiano, che mi aveva fatto uno splendido nanetto in scala da tenere vicino alla cassetta delle lettere, ma Legolas mi ha detto che assomigliava un po' troppo a Re Orloch e che sarebbe potuto sembrare offensivo. Per evitare incidenti diplomatici l'ho dovuto relegare nello sgabuzzino del bagno, però mi tiene molta compagnia” disse Zaal, guardando le nostre espressioni aspettandosi qualche reazione.
“Compagnia?” gli domandai, rassegnato.
“Lo tiro fuori quando mi siedo sulla tazza alla mattina e ci faccio delle ottime chiacchierate. Ti dico che ha un dono per l'ascolto” finì l'elfo, soddisfatto della propria battuta. Claudia sghignazzò alle mie spalle mentre io sospiravo ancora una volta.
“Per un momento ho temuto che te lo portassi a letto, come se fosse un orsacchiotto” gli rispose Claudia, riprendendo il respiro. Studiai l'elfa, appoggiandomi alla finestra e finendo di fumare la mia sigaretta. Non era affatto calma, questo no, però pareva essere molto più a suo agio. Se da una parte avrei volentieri chiuso la bocca permanentemente a quel fenomeno da baraccone di Zaal, dall'altra dovevo ammettere che la sua presenza sembrava avere un ottimo effetto su Langhribel, che di certo ne aveva bisogno. I Valar solo sanno che cosa sia storto nelle menti di questi due.
Zaal nel mentre s'era ripreso dai suoi accessi di risa e s'era procurato tre bicchieri di succo di frutta. Dopo avermene porto uno si sedette accanto alla cugina, passandole l'altro bicchiere.
“Comunque Rhi... tu devi ancora raccontarmi che cosa è successo tra te e Legolas. Non me lo sarei mai aspettato” le disse poi. L'elfa si rabbuiò ma accettò la sconfitta.
“Correggimelo con un po' di alcol, che ce n'è bisogno, poi ti racconterò tutto” rispose, restituendogli il bicchiere. L'elfo sparì in cucina per poi riapparire con una bottiglia di acquavite e degli ombrellini da cocktail. Versò una buona dose nei due bicchieri che aveva vicino per poi allungare la bottiglia verso di me. Perché no? Tanto la situazione non può essere più bizzarra di così.
Dopo che tutti i bicchieri furono adeguatamente corretti e decorati con quei pacchiani ombrellini colorati Zaal si sedé di nuovo al fianco di Claudia.
“Sono tutto orecchi tesoro”. Claudia si schiarì la gola e cominciò a parlare.
“Come ti ho già detto successe cinquant'anni fa, forse un paio di più. Non ero presente durante la Guerra tra uomini ed elfi, quella che diede inizio al Regime, vagavo nell'Harad già durante la crisi diplomatica che la precedette”. Zaal annuì e la invitò a continuare mentre io sorseggiavo quell'orrendo miscuglio di liquore e succo d'arancia.
“Non sapevo quanto la situazione fosse degenerata e al mio ritorno mi ritrovai nell'Ithilien, braccata dalle milizie umane che stavano mettendo a ferro e fuoco il vecchio reame di Legolas. In uno di questi scontri riuscirono a colpirmi, un proiettile mi prese il braccio destro”. L'elfa sospirò e bevve un sorso del suo intruglio, cercando le parole per continuare.
“Fui salvata da alcuni elfi, fuggiaschi come me. Quando arrivammo a Lasgalen, la cui costruzione era già cominciata da qualche decennio, ormai non c'era più nulla da fare: la cancrena mi aveva divorato il braccio e c'era il rischio che si diffondesse oltre la spalla. Dovettero amputarlo”. Mi voltai a guardarla, incredulo.
“Le tecnologie mediche sviluppate dagli elfi di Lasgalen permisero ai medici di ricostruirlo” disse, alzando il braccio destro. Mi avvicinai ai due elfi, passando le dita sulla pelle dell'elfa. Non era possibile.
“È bionico, un misto di tecnologia e vita. La struttura e metallica, le terminazioni nervose sono fibre ottiche o qualche altra stronzata del genere, non lo so. La pelle invece è mia, quello sono riuscita a rigenerarla sopra i muscoli di fibre animali” continuò lei. Sia io che Zaal osservavamo quell'arto con un'espressione rapita, mentre l'elfa finiva il suo bicchiere in due sorsi.
“Rimasi a Lasgalen durante tutto il mese seguente, i medici volevano assicurarsi che non ci fossero complicazioni o rigetti da parte del mio corpo, e Legolas mi accudì durante quel periodo. Questo è quanto” concluse Claudia, sospirando di nuovo.
“Come mai solo un mese?” le domandai. C'era qualcosa che mancava in questa storia, glielo si poteva leggere in faccia.
“Sua moglie era morta da dieci anni e... beh, Las non si è mai ripreso del tutto dalla perdita. Sapevo di essere solo di passaggio e la cosa andava bene ad entrambi. Lui s'era preso cura di me ed io volevo prendermi cura di lui, ma quando non ce n'è stato più bisogno mi sono fatta indietro. D'altronde, non ho mai creduto che lui l'avesse potuta prendere sul serio”.
Ritornai alla finestra, frastornato.
Un braccio finto. Un braccio meccanico.
Cazzo.
Quante altre cose ci stava tenendo nascoste? Quanti dettagli avrebbe continuato a omettere?
Dan, se tu solo sapessi! Questa non è un'elfa. È veramente Terminator con le tette. Bevvi l'ultimo sorso del pessimo drink, cercando di mantenere la mente lucida. Con tutta l'acquavite che Zaal ci ha messo dentro sarà dura.
Seriamente, facciamo il punto della situazione Rain.
Quest'elfa si scopa il tuo antenato. Risveglia un Drago. Perde un braccio e se lo fa rimettere, con tanto di scopata omaggio con il Re degli elfi accanto. Poi dal nulla decide che vuole aiutarvi e non fa un cazzo per aiutarvi. Anzi, si scopa Blaine, rischia di far saltare la nostra copertura su un treno, si droga, se la fa... cazzo non voglio pensare a dove ho messo la lingua. Joder. Poi finalmente ti porta nel bosco incantato degli elfi e riesce a farsi mettere in cella come prima cosa. E come seconda cosa si sbronza sul divano di suo cugino.
Ed io ho deciso di fidarmi di lei?
Mi avviai verso il bagno. Devo fidarmi di lei. Ormai non posso far altro, ci sono troppe vite, troppe questioni in ballo per mandarla a quel paese adesso.
Rain, sei un coglione.
Uscii dal bagno poco dopo, con i capelli che ancora grondavano dalla sciacquata che m'ero dato per ritrovare un minimo di razionalità. Non posso fare altro che fidarmi di lei, ormai, specialmente perché gli unici elfi che non mi guardano male in questa fottutissima città sono lei e quello scassacazzi di suo cugino. Quello dei nani da giardino.
Sospirai rientrando in salotto giusto in tempo per vedere Zaal che riattaccava la cornetta del telefono.
“Ragazzi, pettinatevi un po' e lavatevi i denti, che il boss vuole vederci".

Legolas ci accolse nel suo studio nella maniera più gelida possibile. Un drappello di guardie ci condusse per vari corridoi del palazzo reale -un grattacielo di vetro da una ventina di piani- fino alla sala dove il sovrano ci attendeva. Ed eccolo lì, lo sfregiato, neanche si degna di guardarci in faccia. Dritto come se avesse una scopa infilata su per il culo, le mani dietro la schiena a guardare fuori della sua bella vetrata.
“Sedetevi”.
Claudia mi diede un colpetto, invitandomi a sedermi alla sua destra, mentre Zaal prendeva posto su un'altra sedia. Le guardie si avviarono verso la porta ma rimasero nella stanza, piantonando l'uscita.
Legolas si voltò, finalmente, e prese posto dietro la sua scrivania. Gli occhi verdi e il taglio militare, uniti alla cicatrice, mostravano un gelo senza pari che, ne ero sicuro, Claudia stava percependo appieno. Nonostante ciò si poteva notare come la facciata di fierezza e gelo stesse su per miracolo, si notava quanto fosse effettivamente stanco. Questo ha bisogno di farsi vedere da uno bravo, non c'è dubbio.
Claudia gli consegnò il chip di memoria che il Re intascò subito, per poi fissarla di nuovo.
“Parla”.
L'elfa cominciò a narrargli della morte di Galad, sforzandosi di restare oggettiva. Tra i due il gelo stava diventando palpabile, Legolas non tradiva alcuna emozione e Claudia pareva una macchina nel raccontargli i fatti. Quando l'elfa ebbe finito vidi il sovrano alzarsi e ritornare a guardare fuori dalla finestra. Non era cambiato nulla nella scena, se non forse per le spalle di Legolas vagamente incurvate.
Diedi un colpetto a Claudia, lanciandole un'occhiata eloquente. Aveva totalmente omesso la mia presenza dal racconto. Non sostenne il mio sguardo.
Legolas prese un respiro profondo, poi riprese a parlare dalla sua postazione.
“Sei esiliata da Lasgalen, Langrhibel. L'effetto della pena è immediato”.
Come? Cosa?
Le guardie cominciarono ad avvicinarsi a noi, mentre l'elfo continuava.
“Verrai accompagnata ai confini del Bosco e le tue generalità, i tuoi privilegi e i tuoi dati saranno cancellati dagli archivi. Se proverai a tornare ti spareremo a vista”.
Finalmente lo stronzo si voltò a guardarci. Sembrava triste, nonostante tutto.
“Questo è un addio, Langrhibel” concluse, mentre due guardie afferravano Claudia per le spalle. Cazzo, le cose stanno sfuggendo dalle mani di tutte per colpa di un fottutissimo sovrano rancoroso.
“Legolas aspetta! Non essere avventato!”. Zaal s'era alzato mentre Claudia tentava di divincolarsi dalla presa delle due guardie e sibilava a Zaal di stare zitto.
“Pensaci! Ti ha riportato il chip di memoria, ha tentato di aiutarci, ti ha portato un possibile alleato!” aveva continuato, sperando di far ragionare il Re. Legolas l'aveva congelato con uno sguardo.
“Non le è mai interessato nulla se non il suo guadagno. Non ha mai cercato un posto dove mettere radici e non sarà Lasgalen a permetterglielo” aveva risposto per poi finalmente guardare me.
“Quanto a questo mortale, è opportuno che anche lui torni da dov'è venuto. Accompagnatelo a una talpa. Non abbiamo più nulla da spartire con voi Haradrim malfidati” aveva detto.
No. Caro il mio sfregiato di merda, no. Non ho fatto chilometri su chilometri in compagnia di un'elfa irriverente, mettendo a rischio l'intera Ribellione e cercando di trovare il vostro aiuto per poi esser cacciato in questo modo. Caro il mio Re degli Stronzi, non hai proprio capito un cazzo.
Mi alzai dalla sedia e rivolsi un sorriso allo sfregiato in questione. Neanche ti rendi conto di cosa sta per succederti e pretendi ancora di guardarmi male? Spero che il resto di questi elfi non sia idiota come te, che altrimenti non resisteremmo un minuto in caso di guerra. Sia benedetta la monarchia, elimina il rischio che il resto del popolo di Lasgalen sia stato abbastanza coglione da eleggerti.
Con la coda dell'occhio notai che sia Zaal che Claudia sembravano pietrificati. Bene. Significa che hanno idea di quello che posso fare, dunque. Andiamo in scena.
Il vento riempì la stanza e Legolas si trovò piantato contro il muro del suo studio, mentre la forza dell'aria gli premeva sulla gola togliendogli il respiro. Avevo meditato per un momento se accompagnare la magia al gesto di star strangolando qualcuno ma sarebbe stato troppo un cliché. Sentii Claudia gridarmi qualcosa ma non le prestai attenzione. Feci un paio di passi verso Legolas, che nel mentre stava cercando di artigliare e togliersi il vento dalla gola, e lo guardai negli occhi.
“Adesso mi hai proprio stufato” gli dissi.
“Vuoi sapere come sono andate le cose? Bene. Se proprio vuoi saperlo quell'elfa stava per rischiarci la vita, su quel treno, per fare qualcosa di immensamente stupido come rivelarsi. Se io non l'avessi fermata sia alla morte di tuo figlio che dopo, quando avrebbe voluto correre a riesumare il suo cadavere, adesso non avresti né lei né il tuo prezioso chip di dati che, per quanto mi riguarda, avrei fatto meglio a lanciare giù per lo scarico del cesso. Il problema è che di questi tempi non ha senso perdere la propria vita per dar una degna sepoltura a un cadavere. Non tentare di darci colpe che non abbiamo, dunque”.
I due elfi che avevano afferrato Claudia avevano nel mentre spianato le armi e cominciato a sparare nella mia direzione. Deviai i proiettili con un gesto della sinistra per poi spingere entrambi i soldati contro il muro in fondo. Persero i sensi.
Rivolsi di nuovo l'attenzione verso il Re dei miei sacrosanti coglioni, che ormai aveva assunto un piacevole colorito prugna, per dirgli qualche parola di commiato quando fui placcato da Zaal. Legolas cadde a terra con un tonfo e così noi due, avvinghiati in un corpo a corpo inaspettato. Zaal riuscì a bloccarmi per un momento e si avvicinò al mio orecchio.
“Fuggite, vi ritroverò” mi sussurrò. Mi divincolai dalla sua presa e mi lasciò andare. Corsi verso Claudia, lanciando a Zaal una fugace occhiata di ringraziamento.
“Muoviamoci” le dissi, afferrandola per un polso.

Uscimmo di corsa nel corridoio, cercando a caso una via d'uscita.
Cazzo Rain! Che cosa è successo alla razionalità, alla diplomazia cazzo!
Senti, inutile che mi fai la predica. Quell'elfo è impossibile da far ragionare, a un certo punto ha oltrepassato la linea.
Svoltammo a destra, sperando che la nostra memoria non ci avesse tradito. Presto saremmo dovuti arrivare a degli ascensori.
Porca puttana Rain, tutto questo perché? Ti dispiace che abbiano esiliato la tua elfa?
Si sarebbe fatta esiliare comunque, conoscendola. Sta contento che Sua Altezza del Cazzo sia ancora vivo, piuttosto.
La voce di Legolas risuonò nei corridoi:
“Ammazzateli!”.
Contento?
S'è ripreso più in fretta di quanto pensassi, cazzo. Ma almeno sembrava un po' meno gelido di prima, magari rischiare la morte per causa mia gli ha fatto bene.
Meno gelido? È fottutamente furioso. Questa è la fine Zèf, non ne usciamo vivi da questa storia.
Girammo l'ennesimo angolo, sperando di trovarci davanti agli ascensori, per poi bloccarci. Gli ascensori c'erano, ma oltre a loro c'erano anche tre elfi armati fino ai denti che stavano spianando i fucili verso di noi.
Mi lanciai davanti Claudia e l'abbracciai proprio mentre i tre aprivano il fuoco verso di noi. L'elfa stava tremando ma riuscii a deviare le pallottole contro i muri attorno a noi. Sollevai l'elfa quasi di peso e tornai dietro l'angolo, infilandomi nella prima stanza che trovai. In fondo allo studio, molto simile a quello di Legolas, c'era una vetrata. Trascinai Claudia fino alla finestra, conscio che i soldati ci avrebbero presto raggiunti.
Poggiai la mano sul vetro e canalizzai una raffica di vento dal palmo della mano. Presto il vetro cedette, infrangendosi in una miriade di schegge mentre i tre elfi di prima ci raggiungevano.
“Stringiti a me!” gridai a Claudia. Ringraziai tutti i Valar che avesse deciso di fidarsi di me in quel momento, perché mi abbracciò senza un attimo di esitazione. Passai il braccio destro dietro le sue spalle e mi lanciai dalla finestra, evitando per la seconda volta la morte per pallottole.
E in quel momento tutto rallentò. Stavamo volando, precipitando di testa verso il marciapiede della strada sottostante. Dicono che in quei momenti vedi tutta la tua vita passare davanti, ma non era questo il nostro caso. Claudia non aveva la forza neanche di urlare, quando riuscii a incrociare il suo sguardo per un attimo sembrava essere completamente avulsa da sé stessa. L'unica certezza che non fosse svenuta era la forza con cui si stava avvinghiando a me.
Mossi la mano libera, creando una corrente che ci permettesse di girarci e spostando il mio peso in modo da poter cadere sui miei piedi.
Dieci piani.
Puntai la destra verso il basso, concentrando tutto me stesso sulla riuscita dell'incantesimo. O va o siamo morti.
Niente. Cazzo. Rhi, è stato un piacere, ma non ce la facciamo.
Ehi, almeno potrò presto tirare quel cazzotto in faccia al mio omonimo.
Cinque piani.
Cazzo Rain, cazzo! Sei o non sei il fottuto leader dell'enclave di maghi? Non riesci neanche a rallentare la tua caduta?
Tre piani. Una folata di aria verso il basso. Lavorala Rain.
Due piani. Stiamo rallentando, cazzo, ce la stiamo facendo.
Un piano. Ce la facciamo!
Toccammo terra con la leggerezza di un gatto.

Poggiai Claudia, che nel mentre non mi aveva ancora lasciato. Tremava come mai avrei creduto potesse tremare.
“Sei ferita?” le domandai, prendendole il mento e guardandola negli occhi. Mi fece no con la testa.
“Bene. Ce la fai a camminare?”. L'elfa annuì.
Mi guardai attorno. Le guardie del palazzo sarebbero arrivate a breve, dovevamo toglierci da qui al più presto.
Dove? Dove andremo?
Via, fuori da Lasgalen.
Di certo non via talpa, non credo ce le lasceranno usare.
Ci serve una macchina.
“Claudia ci serve un mezzo!” le dissi. Mi guardò con un'espressione vacua, ancora palesemente sotto shock. La presi per le spalle e la scossi leggermente.
“Rhi! Devi riprenderti!”. L'elfa smise di tremare e si guardò attorno, finalmente lucida.
“Vieni” mi disse, indicandomi tre macchine argentate parcheggiate un centinaio di metri più avanti.
Girai attorno alla macchina, cercando di aprire lo sportello dalla parte del guidatore.
“Cazzo!” sbottai, tirando un cazzotto contro il vetro del finestrino, ottenendo solo di farmi un male cane alla mano. Claudia dal canto suo non perse tempo, caricò il destro e tirò un colpo che infranse il vetro come se fosse cartapesta.
Le feci un rapido cenno di ringraziamento con il capo per poi sedermi al posto di guida, trovandomi davanti una miriade di pulsanti degna di un'astronave.
“Che cazzo hanno bevuto quando hanno progettato questa macchina?!” gridai, cercando di capire dove fossero il volante, i pedali, il quadro d'accensione, qualunque fottuta cosa.
“Muoviti Rain, abbiamo compagnia!” mi gridò di rimando l'elfa seduta al mio fianco. Porca puttana, porca puttana, porca puttana!
“Come cazzo faccio? Come pretendi che guidi un'auto senza un fottuto pedale?! Perché cazzo di motivo non gli andava bene un volante?!”.
“Provaci, mago dei miei stivali, prima che ti tiro un calcio nel culo!” mi rispose Claudia, osservando febbrilmente i tasti. Non so quale premette, ma spuntarono finalmente due pedali ai miei piedi.
“Il volante, porca puttana!”.
“Dai gas e sta zitto, che la strada è dritta!”.
Pigiai il piede sul pedale a destra, facendo accelerare l'auto di colpo.
“Hanno cominciato a seguirci” m'informò Claudia, guardandosi indietro. Io d'altro canto non sapevo dove mettere le mani, rischiavamo di beccare in pieno un'aiuola quando l'auto sbandò.
“È questa levetta del cazzo!” mi disse Claudia, indicandomi quella che avevo scambiato per la leva del cambio. Doveva averla urtata. Notai in quel momento che aveva imbracciato un fucile e che mi stava sorridendo.
“E quello?”.
“Era sul sedile posteriore, abbiamo tre auto che c'inseguono, è il caso che li faccia desistere” mi rispose.
La notai con la coda dell'occhio mentre si aggrappava al soffitto della macchina con la destra e, seduta sul bordo del finestrino, cominciava a rispondere al fuoco dei nostri inseguitori.
“Fuori uno!” esultò poco dopo. Notai nello specchietto retrovisore l'auto degli elfi infilata dentro un fruttivendolo.
Nei minuti successivi Claudia si occupò delle altre due macchine mentre io continuavo a guidare lungo la strada che pian piano ci stava portando fuori città.
“Quanto manca alla frontiera?” le domandai, quando lei si fu di nuovo seduta al mio fianco.
“Non dovrebbe mancare molto e visto che stiamo andando verso Ovest non dovrebbero esserci troppi problemi. Il problema sono i fottutissimi specchi che tengono la città nascosta dall'esterno” mi rispose lei.
Specchi? Perché mi suona... cazzo. Malachi, giuro che ti strangolo.
“I vetri dell'auto sono antisfondamento, giusto?”.
“Sì, probabilmente è un'auto della scorta di Legolas, altrimenti non mi spiego il fucile”.
“Chiudi il finestrino allora” le gridai, sovrastando il fischio del vento. Stavamo correndo per la strada a centoventi chilometri all'ora, mi chiedevo perché non l'avesse già fatto.
“L'ho spaccato quel cazzo di finestrino, Rain!”.
Cazzo. Nel mentre gli specchi erano apparsi, cinquecento metri di fronte a noi.
“Rain che cosa cazzo credi di fare, rallenta!”.
“Non ci penso neanche tesoro. Infilati dietro il mio sedile, sbrigati!”.
Quattrocento metri.
“Cazzo Rain, se crepiamo giuro che farò in modo di vendicarmi su di te!”.
Trecento metri.
Gli alberi ormai erano un miscuglio di colori sfocati, ero concentrato totalmente sul gigantesco specchio che mi stava davanti.
Duecento metri.
“Ci siamo tesoro!”.
Sfrecciavamo a centosessanta, la macchina tremava come non mai.
Cento metri. Cinquanta. Quaranta.
Claudia stava mormorando imprecazioni e bestemmie con una velocità inaudita.
Venti metri. Dieci.
“Fanculo!”. Il mio grido fu coperto dal rumore dell'impatto. Passammo attraverso la vetrata come un coltello caldo nel burro, trovandoci in una radura.
“Siamo vivi?” domandò l'elfa alle mie spalle.
“Non so te ma io sono vivo e vegeto”.
Cominciai a rallentare, non avendo più la strada sotto le ruote e frugai in tasca cercando il pacchetto di sigarette. Ne estrassi due, porgendole una a Claudia dietro di me. Lei la accettò con mano tremante mentre io muovevo la levetta per girare a Sud.
“Hai da accendere?” mi chiese lei. Mi voltai velocemente a guardarla con la sigaretta spenta che penzolava dal labbro.
“Solo se riesci a trovare un accendisigari in mezzo a tutti questi pulsanti del cazzo, dolcezza”.













E si fugge da Lasgalen, dunque.
Dunque che ne pensate dei gusti artistici del nostro Zaal? Io li trovo pessimi, ma conoscendolo non c'è limite al pacchiano per lui.
In realtà devo dire che comincio a comprendere l'amore diffuso per quell'elfo, è decisamente divertente da scrivere anche quando fa il cazzone solo per il gusto di farlo.
In ogni caso, ci stiamo avvicinando ad un'altra bella svolta, speriamo arrivi presto. Ah, da aggiungere alla soundtrack per tutta la parte della fuga Whole Lotta Love, in versione Cornell-Santana, che lega benissimo con il tutto. Senza nulla togliere a Plant e agli Zeppelin, ma in questo caso la cover rende meglio.
Detto ciò si fa ancora un ringraziamento a Pandi per il suo lavoro di betareading e a tutti voi che leggete e recensite. Saluti, ci si risente presto.


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Capitolo 7
*** Capitolo 7 – Tempesta/Have You Ever Seen the Rain ***


Capitolo 7 – Tempesta/Have You Ever Seen the Rain

Someone told me long ago
There's a calm before the storm
I know,
It's been coming for some time


Esultai, vedendo il piccolo fuoco di paglia e sterpi accendersi.
Presi un pezzo di legno e attesi che prendesse fuoco, per poi portare il tizzone incandescente a contatto con la punta della sigaretta. Lo passai a Claudia, che accese la sua e buttò fuori una voluta di fumo.
“Finalmente” disse poi, regalandomi un sorriso. Le sorrisi di rimando, gustando a fondo il mio bastoncino di cancro. Era proprio quella cazzo di sigaretta che avevo estratto dopo aver spaccato a cento-e-che-cazzo chilometri orari lo specchio di Lasgalen.
“Possibile” dissi “che tra tutti quei cazzo di pulsanti non ce ne fosse uno per accendersi una maledetta sigaretta?”. Claudia rise.
“Fottuti elfi salutisti” mi rispose.
“Non so” continuai “Se proprio non vuoi metterci un accendisigari almeno fai in modo che abbiano in dotazione una scatola di fiammiferi”. L'elfa al mio fianco annuì.
Eravamo nascosti in una radura a Sud di Bosco Atro, sulle sponde dell'Anduin, dopo aver guidato per il resto della giornata e buona parte della notte. Avevamo deciso di lasciare l'auto elfica nel bosco e continuare a piedi fino all'antico Est Emnet, dove avrei contattato la cellula di maghi nascosta in quelle zone. Ci aspettava dunque una lunga camminata, ma la situazione non sembrava più tanto pessima. O, probabilmente, eravamo ancora così strafatti di adrenalina e felici di essere vivi che i battibecchi inutili non c'interessavano più, almeno per il momento. In più mi stavo appigliando alla promessa che mi ero fatto di fidarmi di Claudia. In questo caso era alquanto facile: chi meglio di un'elfa millenaria può far da guida nelle Terre Selvagge?
L'elfa finì la sua sigaretta e si voltò a guardarmi.
“Direi che la cosa migliore sia dormire un po' in macchina, stanotte, e partire all'alba. Non penso ci stiano cercando, ma è meglio lasciare questa zona al più presto”.
“Concordo” le risposi, alzandomi. Sorrisi, pensando all'ironia della situazione: il posto probabilmente più sicuro in quel momento era entro i confini della Federazione. Mi avviai verso l'auto, mentre Claudia spegneva sotto il tallone dello stivale i rimasugli del nostro fuocherello.
“Il sedile posteriore è tuo tesoro, vedi di non tagliarti con i pezzi di specchio infilati un po' ovunque”. Mi sistemai al posti di guida e chiusi gli occhi.
Valar, che giornata.

Passammo i giorni successivi marciando tra i boschi e le terre incolte a Nord dei confini. Ci muovevamo spediti, passando la maggior parte del giorno camminando, seguendo il corso dell'Anduin e fermandoci solo alla sera, ora in cui io accendevo fuochi di paglia per permetterci di fumare almeno una sigaretta mentre Claudia si occupava di trovare qualcosa di commestibile nei boschi circostanti. L'assenza di provviste cominciava a farsi sentire, assieme all'astinenza per quanto mi riguardava, infatti avevamo presto ricominciato a discutere per trivialità.
“Vuoi ascoltarmi una buona volta, fottuto mortale?!” stava sbraitando Claudia.
Era il quinto giorno, ed eravamo appena rientrati nella Federazione, poco più a Sud del Limterso.
“Porca puttana Claudia” le risposi, passandomi le mani sulla faccia “lo sai benissimo come sto. Se non posso neanche fumarmi una stracazzo di sigaretta per distendere un minimo i nervi oltrepasso il limite!”.
Nello specifico, stavamo litigando perché io mi ostinavo a voler accendere l'ennesimo fuoco e sedare almeno i crampi della fame con della nicotina -per la coca stavo sfruttando tutta la mia forza di volontà, e anche quella era al limite- mentre lei era della razionale opinione che un falò in una zona simile sarebbe stato troppo visibile, e di certo non volevamo attirare l'attenzione delle persone sbagliate. Ma non ero più in vena di ragionare.
“Cazzo Rain, ci farai ammazzare entrambi se non riesci a controllarti!”.
Oh no. Non l'hai appena detto. Io ci farò ammazzare? Io?! Da quando sei entrata nella mia vita non hai fatto altro che metterci a rischio entrambi, ed ora è colpa mia?!
“Sei impossibile” continuò l'elfa “Giuro che appena torniamo a Minas ti chiudo dentro un centro di disintossicazione!”.
“Non sono un tossico” le mormorai, cercando di suonare tranquillo.
“Ed io non sono un'elfa, allora!” mi rispose, acida come non mai.
Però ha ragione, Rain, tu hai bisogno di farti.
Sì, ho un fottutissimo bisogno di farmi, ma siamo in un cazzo di campo di merda senza l'ombra di una puta ciudad nell'arco di chilometri, non sto mangiando abbastanza da giorni ma continuiamo a marciare per otto, nove ore ogni fottuto giorno, quindi se non posso neanche fumare una sigaretta tanto vale finirla qui e mandare tutto a quel paese, perché non reggo più.
Tenni per me i miei pensieri, ma scoccai un'occhiata gelida all'elfa che ancora aspettava una mia risposta. Tornai a concentrarmi sul mucchietto di sterpaglie che avevo raccolto, sperando di riuscire ad accenderlo in qualche modo, ma mi fermai quando sentii il rumore di un fucile che veniva caricato.
Alzai gli occhi e vidi che Claudia mi stava puntando addosso il fucile che avevamo trovato nell'auto elfica e oculatamente conservato. Dalla sua espressione non traspariva alcuna pietà, era decisamente pronta a spararmi.
“Tesoro, da questa distanza non avrai il tempo di deviare il colpo” mi disse.
Lasciai cadere la pietra focaia in terra, sconfitto.
“Rhi” cominciai “lo sai che un colpo di quell'affare attirerà molta più attenzione del mio fuoco?” le risposi.
Sentivo l'adrenalina ricominciare a pompare nelle vene, mentre fissavo gli occhi inflessibili dell'elfa di fronte a me. Claudia rimase a guardarmi per un attimo eterno, per poi abbassare l'arma.
“Niente fuochi. Niente spari. Per favore Rain”. Mi alzai, facendo un passo verso di lei.
“Perdonami. Ho semplicemente i nervi a fior di pelle, come te. Vediamo di sopravvivere l'uno con l'altra, almeno finché non arriviamo in un luogo meno selvaggio” dissi, ritrovando la vena di ragionevolezza che mi aveva tenuto vivo in compagnia di Claudia. L'elfa annuì, poggiandosi il fucile sulla spalla. Raccolsi le nostre cose e le accennai un sorriso.
“Dovremmo avere ancora un paio d'ore di luce. Ci rimettiamo in marcia?”.
Claudia s'addolcì.
“È una buona idea” rispose “Seguimi”.
Continuammo verso Sud, nel silenzio del bosco che ci circondava.
“Lo sai” dissi un paio d'ore dopo “che sarei comunque riuscito a deviare il colpo?”.
La mia compagna di viaggio rise. Non la sua solita risata sardonica, ma la stessa risata allegra che aveva in compagnia di Zaal.
“Lo sai che non ti avrei sparato?” mi disse. Risi anch'io.
A notte inoltrata decidemmo di nasconderci in un fosso per dormire qualche ora. Mi stesi tra i sassi e l'erba, osservando l'elfa guardarsi attorno per assicurarsi che fossimo ben riparati. La voglia di farmi stava risalendo pesantemente, ma l'immagine di Claudia che mi puntava addosso l'arma bastava a sedarla il minimo necessario.
Senza dire una parola l'elfa si avvicinò e si stese affianco a me, stringendomi.
“Claudia?” le domandai, sorpreso.
“Sono notti che ti sento tremare. Magari un po' di calore può farti bene” mi rispose, senza alzare la testa.
Qualcosa non quadrava, ma non avevo assolutamente voglia di pensarci. Strinsi l'elfa a mia volta, respirando di nuovo l'odore dei suoi capelli.
“Grazie Rhi”. Forse la decisione di fidarmi di lei non era del tutto sbagliata.

Nel pomeriggio successivo raggiungemmo finalmente la Statale 11 dove chiamai Fernando, il luogotenente della zona di Rohan, che mandò una macchina a prenderci. Mezz'ora dopo un'auto si fermò davanti a noi e ne scese un ragazzo biondo sulla ventina.
“Piacere boss, io sono Thoralf” disse, stringendomi la mano.
Thoralf ci portò a Gillan, una cittadina di Rohan a circa trenta chilometri dal punto in cui ci trovavamo, dove viveva con sua nonna ed uno sparuto gruppetto di maghi.
Ci accolse nel casolare circondato da vigneti e ci fece sedere in cucina, offrendoci un caffè è qualcosa da mangiare. Mai come in quel momento mi trovai a voler baciare un uomo per della semplice ospitalità.
“Dunque qual è il tuo Elemento?” gli domandò Claudia, dopo aver trangugiato due fette di torta di mele.
“Io sono un mago di Terra, mentre mia nonna è maga d'Acqua” rispose lui, sorseggiando il suo caffè.
“Tu invece?” le chiese poi, con un sorriso da seduttore. Non sapevo se essere divertito, preoccupato o, perché no?, geloso di questo ragazzo che ci provava con Claudia. Lei dal canto suo sembrava divertita, ma alla domanda del mago mi lanciò uno sguardo fugace. Colsi lo sguardo e mi rivolsi a Thoralf:
“La ragazza non è una maga, ma è affidabile. La natura della sua presenza è ancora un'informazione riservata, ma sa già abbastanza di noi, come hai potuto intuire” gli dissi, evitando così un dilungarsi sulla natura degli otto Elementi e il legame con i Valar. Purtroppo per me Claudia sembrò leggermi nel pensiero e prese di nuovo la parola:
“In verità sono un po' arrugginita sulle varie complicazioni e i vostri poteri, ti sarei grata se potessi raccontarmi qualcosa di più” gli disse, sbattendo le ciglia.
Il ragazzo, che si era alzato per sparecchiare la tavola, mi guardò ed io gli feci un cenno d'assenso con il capo, nascondendo l'espressione rassegnata al dover sentire Claudia che flirtava facendosi raccontare lezioni di storia.
“Fammi finire di sparecchiare e ti dirò con piacere quello che vuoi sapere” le disse, avviandosi poi verso il lavandino. Mossi lo sguardo verso Claudia che colse l'occasione per farmi una linguaccia. Mi accesi un'altra sigaretta, esasperato, mentre l'elfa mi sorrideva divertita.
“Come forse già sai” cominciò il ragazzo, dopo essersi nuovamente seduto “ci sono otto diversi Elementi, ognuno collegato a uno degli otto Aratar. Io sono un mago di Terra e i miei poteri derivano da Aulë, il fabbro dei Valar. Questo mi permette di avere una spiccata manualità e capacità meccanica, oltre ad avere un limitato controllo sulla terra in sé. Non sono capace di creare terremoti, ma con il dovuto allenamento è uno dei poteri che posso ottenere”. Claudia gli sorrise, invitandolo ad andare avanti. Stiamo facendo la ventenne dolce e sprovveduta o sembra a me?
“Il qui presente Rain è un mago di Aria, invece. I maghi di Aria sono fedeli a Manwë, il signore dei venti, e quindi i loro poteri sono legati alla manipolazione dell'aria e delle correnti, ma sono certo che lui potrà spiegarti meglio di me in cosa consistono”.
“La fanciulla mi ha visto all'opera, non penso servano spieagazioni” interloquii. Claudia annuì.
“I maghi di Forza, invece?” domandò poi, lanciandomi un altro sguardo. Vuoi ricordarmi che ti sei portata a letto Blaine, prima di render la mia vita un casino?
“Loro hanno il dono di una forza sovrumana, per l'appunto, e la traggono da Oromë il cacciatore. È uno dei due Elementi limitato a un genere, infatti si riscontra solo negli uomini. L'altro, esclusivamente femmineo, è l'Elemento della Vita, che deriva da Yavanna. Le maghe di Vita hanno poteri che spaziano dalla guarigione al controllo di tutti gli esseri viventi. La difficoltà aumenta più l'essere è complesso, quindi molte si limitano alle piante”.
“Ma dunque” chiese l'elfa, continuando a fingere la sua ignoranza “esiste anche un Elemento legato alla Morte?”. Devo ammettere che come attrice te la cavi superbamente.
“Sì, certamente. I loro poteri si manifestano per lo più sotto forma di preveggenza, ma esistono incantesimi capaci di uccidere con un solo tocco, seppur molto difficili da apprendere. Ovviamente sono fedeli a Mandos, il custode delle anime”.
In quel momento ci raggiunse in cucina la nonna di Thoralf, una vecchina arzilla sui novant'anni dal viso abbronzato coperto di rughe e i capelli color del lino che rispondeva al nome di Ingrid. “Va tutto bene ragazzi? Thoralf, offri un bicchiere di vino ai nostri ospiti, che ne avranno voglia dopo aver viaggiato così a lungo”.
Il ragazzo si scusò e si diresse verso la cantina, mentre la signora si sedeva al tavolo con noi dopo aver preso quattro bicchieri.
“Suo nipote mi stava spiegando la natura dei vostri poteri. Lei è una maga d'Acqua, giusto?” domandò Claudia, determinata a continuare quell'esasperante lezione e a mantenere la facciata di ventenne ingenua. La maga le sorrise.
“Sì, il mio Elemento è l'Acqua, e ciò mi permette di controllarla in tutte le sue forme. Il tutto è molto utile, assieme ai poteri di mio nipote, per far crescere le viti. Decisamente una benedizione da parte di Ulmo” rispose. Notai Claudia fremere per un impercettibile momento alla menzione del Vala, ma riprese subito la sua interpretazione non appena Thoralf tornò in cucina con una bottiglia di vino bianco. Il ragazzo servì il vino e riprese posto di fronte a noi. “Ho sentito che mia nonna ti ha già spiegato del suo Elemento, quindi ce ne mancano due. Vedrò di esser breve, perché vedo che il nostro leader comincia a stufarsi” disse, alzando il calice verso di me. Gli sorrisi, alzando il mio e brindando.
“La nostra amica ha il diritto di togliersi queste curiosità, mi domandò però perché non abbia chiesto a me di darle spiegazioni” risposi, guardando Claudia. Lei mantenne la sua espressione serafica.
“Dunque, ci restano i maghi di Luce e di Dolore, che rispettivamente traggono i loro poteri da Varda e Nienna. I primi sono in grado di emettere luce e calore, oltre ad avere un minimo controllo sul fuoco, da quel che ho sentito, mentre i secondi sono caratterizzati da una grande empatia, ma inoltre sono capaci di influenzare gli stati d'animo di chi gli sta attorno. Sono forse tra i più bizzarri, i maghi di Dolore” concluse.
Claudia lo ringraziò per l'esauriente lezione, mentre Ingrid mi domandava per quanto tempo ci saremmo fermati.
“Non vogliamo essere un disturbo, signora, staremo qui per questa notte ma ho parlato con suo nipote ed è riuscito a procurarci una macchina. Domattina torneremo verso la capitale” le risposi. Seguii con lo sguardo Claudia uscire assieme a Thoralf, che l'aveva invitata a vedere le vigne circostanti. Sospirai. L'elfa millenaria e il ventenne, questa è fin troppo tragicomica.
Ingrid mi versò un altro bicchiere di vino, notando la mia espressione, per poi sorridermi nuovamente.
“La tua amica ha fatto colpo sul ragazzo” asserì.
Le accennai un sorriso, sorseggiando il bianco nel calice.
“C'era da aspettarselo, da quella lì. I ragazzi di oggi saranno pure per la metà degli asini ignoranti, ma io sono stata a Kalo prima della rovina, ho visto le statue. Da quando la Spada Graffiante dei Noldor è ben vista dai maghi, Greywings?” mi chiese, mandandomi di traverso il vino.
Joder.
“Forse sto compiendo un grave errore, ma ho deciso di fidarmi di lei” le risposi, dopo essermi ripreso dai colpi di tosse. Mi accesi l'ennesima sigaretta, per poi continuare:
“C'è la possibilità che ci si mobiliti presto, i tempi stanno diventando maturi. Non abbiamo ancora diffuso l'informazione per ovvi motivi, ma spero che presto potremmo dirvi di più”.
“Avevo cominciato a sospettare qualcosa quando Fernando ci ha telefonato, questo pomeriggio, ma mai mi sarei aspettata un'elfa in casa mia. Men che meno quell'elfa. I pregiudizi sono duri a morire ma se ti fidi di lei ci devono essere dei buoni motivi. Buona fortuna Rain” mi disse, alzandosi dal tavolo e avviandosi a sua volta verso le vigne, forse per assicurarsi che suo nipote non cadesse sotto l'incantesimo di una donna più vecchia di lei.
Buona fortuna, sì. Ne avremo decisamente bisogno.

La macchina che Thoralf ci aveva procurato non era nulla di tale, ma affidabile e soprattutto dotata di tre importantissime cose come un volante, una radio e un accendisigari. In più, tramite un suo amico, ero riuscito a procurarmi finalmente un po' di coca, riuscendo a calmare l'astinenza. Eravamo partiti subito dopo pranzo -Ingrid aveva insistito che rimanessimo a mangiare- e il viaggio era stato scorrevole. Claudia canticchiava una vecchia canzone sulla guerra nell'Harondor di una cinquantina d'anni fa, affondata nel suo sedile mentre io tenevo gli occhi fissi sulla strada. Eravamo anche riusciti a scherzare alle spese del povero Thoralf che Claudia aveva lasciato, dopo la sua recita da seduttrice, senza concludere nulla.
Arrivammo a Minas sul far della sera e ci dirigemmo stanchi verso l'Empire. Era ora di dare agli altri il resoconto della nostra gita fuori porta.
“Ciao ragazzi!” ci accolse una voce famigliare. Mi voltai e vidi Blaine venirci incontro, con un sorriso che andava da un orecchio all'altro. Felice di rivedere la tua elfa, eh?
Hola Blaine! Quando siete saliti?” gli dissi quando ebbe finito di baciare il collo di Claudia. Se li vedessi ora, Ingrid, capiresti perché Langrhibel dei Porti è ben accetta tra i maghi.
“Io son arrivato ieri, Dan e Romeo dovrebbero esser partiti adesso da Umbar, arriveranno stasera. E non ti preoccupare, ti ho portato anche Pan” mi disse.
Queste erano delle ottime notizie. Mi erano mancati Blaine, Romeo e soprattutto Daniel. Gli sorrisi e lo ringraziai, avviandomi verso il salottino. Mi era mancata anche quella gatta, aveva un potere rilassante non da poco e mi avrebbe fatto tanto bene sentirla far le fusa. L'avevo pescata qualche anno prima che girava nel vicolo dietro l'Empire, una gattina nera dai grandi occhi color dell'agata che ti sapevano leggere dentro, e subito adottata.
“Aspetta Rain” mi chiamò il bassista “C'è anche Lucy”.
Cazzo.
“Non c'è stato verso, come ha saputo che saremmo saliti a Minas anche noi ha insistito per venire” fece Blaine, con un sorriso amaro.
Questo avrebbe complicato molto di più le cose, soprattutto per la sua gelosia, decisamente fondata, nei confronti di Rhi, oltre al fatto che non aveva la più pallida idea che il suo ragazzo e tutto il personale dell'Empire fossero maghi.
Bestemmiando mi diressi verso il salottino, trovando sia Pan che Lucy, entrambe pronte a montarmi in braccio. Dico io, neanche la mia gatta la sopporta, che cazzo sto facendo?
Tu la sopporti, Rain. Non ne eri innamorato?
Innamorato è una parola grossa mi risposi. Forse prima c'era stato qualcosa di più di una semplice attrazione fisica, ma ormai temevo di stare assieme a lei pur di non star da solo. Cazzo, avevo anche considerato l'idea di sposarla, prima di quel concerto.
Ma continuerebbe ad esserci quel piccolo problema, sai? Hai presente, il fatto che lei sia un'umana che crede alla propaganda del Regime e che tu e i tuoi amici siate un gruppo di mostri disumani?
Le parlerei. Mi conosce, ci conosce, dovrebbe capire che non siamo ciò che la propaganda di Nuova Gondor dice.
Lanciai un'occhiata dispiaciuta a Pan quando Lucy si appropriò delle mie gambe per sedercisi sopra. Piccola, in questo momento vorrei solo te e un po' di blues, non una ragazza a cui devo mentire e una riunione che non si può fare.
Filo, Georgia, Blaine e un paio d'altri ci avevano raggiunti, intanto, e si stava chiacchierando del più e del meno nell'attesa che Lucy la smettesse di guardare male Claudia stringendosi a me per cominciare la riunione.
“Dunque come vi siete trovati in studio di registrazione?” stava domandando Blaine a Claudia, ritirando fuori la stronzata che avevamo detto a Lucy perché stesse buona.
“Non c'è male, anche se temo che alcuni pezzi abbiano ancora bisogno di qualche arrangiamento, o di essere risistemati. Il sound è ottimo, anche se talvolta troppo aggressivo. Non ci siamo invece per i quelli più antichi” rispose lei, scoccando un'occhiata a Felipe dietro di lei. Filo annuì, cogliendo il disastro diplomatico che era stata la nostra visita a Lasgalen e smise di fremere per mancanza d'informazioni.
“Rain, vieni a ballare?” mi domandò Lucy, con voce lamentosa. Era ovvio che si stava scocciando e noi stavamo facendo di tutto perché ci lasciasse una mezz'ora di pace. Joder, non si può andare avanti così. Georgia notò la mia espressione e decise di venirmi incontro.
“Lucy tesoro, andiamo a farci un drink, che qua il gran musicista deve continuare a parlare” disse, assumendo un'espressione annoiata. Lucy si alzò, lasciando finalmente il posto a Pan, e si avviò assieme a Georgia. Lanciai un'occhiata di ringraziamento a quest'ultima, che ricambio con uno sguardo truce. Potevo sentirla pensare Questa ti costerà parecchio mentre usciva dal salottino.
“Finalmente!” esclamò Blaine, non appena il rumore dei passi delle due fu inghiottito dal suono della musica. Alzai le mani, come per scusarmi e cominciai a raccontare i dettagli della nostra trasferta a Lasgalen.

“Rain” fece Felipe, quando ebbi finito “Giuro che la prossima volta che mi porti un elfo ti avveleno il pasto”.
“Molto gentile Filo”. Ascoltai tranquillamente mentre Marco e Blaine continuavano a parlar male di Lasgalen e di Legolas in particolare, senza nascondere la mia soddisfazione. Non ero l'unico, dunque, ad aver una pessima opinione su quel branco d'infami.
“Dunque ora che si fa, boss?” mi chiese Blaine, stringendo Claudia a sé. Sospirai, invidiandoli un po' e ricordandomi improvvisamente che la mia compagna di viaggio restava comunque la compagna di letto di Blaine. Beh, c'è sempre Lucy che ti aspetta in pista fece una vocina dentro di me, probabilmente localizzata all'altezza del cavallo dei pantaloni. Già, Lucy. Chissà che non fosse stato un errore, ma un segno, il farla venire nella Capitale.
“Direi che adesso la cosa migliore da fare è starsene zitti e buoni per un po'. Continuiamo con le operazioni di spionaggio, vediamo di sistemare i conti e guadagnare qualche soldo, insomma, zitti e buoni come al solito. Filo, domani voglio un resoconto con i rapporti sul Minhiriath, per il resto non c'è altro da dire. Torniamo alle nostre noiose vite, gente, se qualche elfo intende farsi vivo starà a lui trovarci” feci io, sciogliendo la riunione. Osservai i ragazzi salutarmi e uscire dalla stanza, Filo diretto verso il suo studio, Marco in pista a cercare Georgia e Claudia e Blaine dritti verso le camere da letto.
E ora Rain, siamo solo tu ed io.

Partiamo dalle cose semplici: cosa vuoi, Rain?
Chiamale semplici. Que coño puedo querer?
Dovresti saperlo, perché se non lo sai tu non può dirtelo nessuno.
Cosa posso volere, secondo te?! Una fottuta risoluzione pacifica per il mio popolo, un fottuto mondo dove non dobbiamo nasconderci!
E togliti la maschera del capo, gilipollas! Credi ti serva, qui?
Insultato dal mio stesso subconscio, joder.
Allora?
Non lo so, cazzo. Dan, dove sei quando serve?
Per certe cose tuo fratello non può aiutarti. Devi saperlo da solo.
Cosa voglio?
Non dev'essere così difficile. Cerca dentro di te. Cosa vuoi, Zèfiro?
Non chiamarmi così!
Cosa vuoi, Zèfiro?
Qualcosa si mosse dentro di me. Una folata di vento partì dalle mie dita, ribaltando una sedia dall'altra parte della stanza.
Cosa voglio?
Non combatterti, Zèf.
L'adrenalina aveva ripreso a fluire, assieme alla magia.
Avevo di nuovo diciassette anni, Georgia era avvolta in un cappotto troppo grande per i suoi dodici anni.
Stavo stringendo la mano ad un uomo untuoso, nell'ufficio di un casinò.
Ero di nuovo sul palco, nell'Arena di Umbar, nel salotto due giorni dopo con Claudia che impallidiva, a pranzo con Lucy, con il volto tra le gambe di Rhi, a Lasgalen con Legolas schiacciato contro il muro, con un fucile puntato in faccia e un'elfa adirata che lo imbracciava.
Ero in una casa sconosciuta, dalle assi di legno consumate, mentre suonavo un giro conosciuto sull'acustica. Una ragazza dai capelli neri cullava tra le braccia un neonato dagli occhi azzurri.
La visione svanì, ma tutto era più chiaro.
Una moglie. Un figlio. Una famiglia. E una pace che non avevo mai conosciuto.
Non sei un granello di sabbia, Zèfiro. Prendi in mano il tuo destino.
Ho bisogno di farmi, cazzo.
No, Eru maledetto, non nasconderti dietro un muro di polvere.
Fanculo.
Mi alzai dalla sedia ed uscii dal salottino.
Da una parte la coca, il continuare a nascondersi, a cercare lucidità in sostanze chimiche, a trascinarmi avanti in questo casino. Dall'altra la donna con cui costruire il mio destino.
Presi un respiro e m'incamminai verso la pista da ballo dell'Empire.

Trovai Lucy facilmente, in mezzo alla ressa di gente.
“Amore! Finalmente sei arrivato!” mi disse, sorridendomi.
La ragazza prese a strusciarsi contro di me a ritmo della canzone, incitandomi a ballare con lei.
Non distrarti, Rain, è necessario che tu le parli ora.
“E se andassimo in un luogo più appartato?” le domandai, abbozzando un sorriso. Lucy s'illuminò e mi lanciò un'occhiata maliziosa, prendendomi per mano. Tornammo nel corridoio, dove lei non perse tempo e si avvinghiò a me, baciandomi. Riuscii a trascinarla in camera, dove mi sfiorò di nuovo l'idea di farmi. C'era un sacchettino di polvere bianca che mi chiamava, dal cassetto del comodino.
No, cazzo, devo esser lucido.
Appunto, la coca ti rende lucido.
No, mi rende iperattivo, è diverso.
Iperattivo lo sei di tuo, la coca fa ordine nei tuoi pensieri.
Sì, ma a un prezzo troppo alto. Ho bisogno che mi prenda sul serio e non lo farà mai se prima mi faccio.
Almeno scopatela prima di parlarci, che hai bisogno anche di quello.
Lo sai bene che al momento non mi tira.
Joder.
Feci sedere Lucy sul matrimoniale al centro della stanza e mi accomodai sulla poltrona vicino al letto. Lei mi guardò, non capendo.
“Qualcosa non va?” mi chiese.
Sì, il fatto che ho preso questa decisione senza consultare nessuno. Mi sarebbe andata bene persino Claudia. Lei avrebbe fatto una battuta sul mio pensare con il cazzo e mi avrebbe detto che son un coglione. Blaine e Rom si sarebbero incazzati, probabilmente. Filo avrebbe cominciato a imprecare. E Dan... Daniel arriva presto. Potrei scoparmela adesso e parlarci dopo, dopo averne discusso con Daniel.
Non ritroverei questa determinazione, però. Presi coraggio e cominciai a parlare.
“C'è qualcosa che devo dirti”, cominciai. Lucy spalancò gli occhi.
“Te la sei scopata, vero? Ti sei portato a letto quella zoccola!” fece. La interruppi con un gesto della mano.
“No, niente di simile. Non l'ho mai sfiorata” mentii. Era su una poltrona uguale a questa, ora che ci penso. Scacciai il ricordo del suo profumo, concentrandomi sulla donna di fronte a me.
“Mi vuoi lasciare?” domandò lei.
“No, Lucy, no! Voglio continuare a costruire la mia vita con te, e per questo voglio essere del tutto onesto. Ci sono cose che non ho mai potuto dirti” risposi.
“Cosa c'è, Rain?”. Cominciava a preoccuparsi.
Sospirai e glielo dissi.
“Lucy, sono un mago”. Complimenti Rain, altra battuta da film di serie B. ti ricordi di Chi ti manda?
La ragazza scoppiò a ridere.
Joder.
Mantenni il mio cipiglio serio e attesi che Lucy si calmasse.
“Seriamente Rain?” mi fece, sorridendo. Stava per ricominciare a ridere. Annuii.
“Dai, mi stai prendendo in giro. Non puoi esser un mago, quelli non sono neanche umani” disse.
Sospirai di nuovo e allungai la destra. Un debole flusso di vento la investì, scompigliandole i capelli e muovendo il copriletto.
Vidi l'espressione della ragazza mutare in un istante: se prima era divertita adesso era a dir poco inorridita.
“Ma... tu...” cominciò, cercando non so quali parole.
“Sono un mago d'Aria, leader degli Elementali Haradrim, come mio padre prima di me” le dissi. Lucy era ammutolita e continuava a fissarmi con gli occhi pieni di paura.
Feci per avvicinarmi ma la ragazza arretrò verso il bordo del letto, allontanandosi da me.
Dunque è così che deve andare.
“Lucy? Lucy, sono sempre io. Il fatto che sia un mago non... non cambia nulla. Mi conosci, sai che non ti farei del male” dissi. La vidi scendere dal matrimoniale e arretrare fino al muro. Continuava a guardarmi come se fossi chissà quale mostro mitologico.
“Lucy per favore... per favore cerca di capire. Lo sai che non sono diverso da te”.
“Lasciami!” gridò. Le stavano spuntando le lacrime da quanto era terrorizzata. Abbassai lo sguardo a terra e alzai le mani.
“Volevo... volevo solo essere del tutto onesto. Volevo smettere di mentirti” dissi. Mi voltai ed uscii dalla stanza.

Avevo vagato per l'Empire non so per quanto, cercando di riordinare i miei pensieri. Un bicchiere di qualcosa di fortemente alcolico al bar e la speranza di non incrociare nessuno.
Ben messi Rain. Bel lavoro.
Mi trovavo nel vicolo dietro l'Empire, appoggiato al muro. Il bicchiere di carta vuoto ancora in mano e una gran voglia di distruggere tutto.
Che senso aveva? Una vita dedicata al mio popolo e non posso neanche pensare di avere una famiglia. Tentativi su tentativi di finanziarci, di andare avanti. Accordi pessimi, accordi che non vanno in porto, fottutissimi elfi che mi sparano contro. Dev'essere questa la mia vita? Sarebbe molto più facile scatenare un tornado adesso, qui, e radere al suolo Minas Tirith. Tanti saluti a tutti.
Una voce mi riscosse dai miei pensieri.
“Ehi biondo... non hai l'aria di chi si è fatto una scopata”.
Ciao Rhi. Proprio te servivi adesso, giusto in tempo per vedermi in questo stato. Dico ma non sei indolenzita dopo le ore che hai passato con Blaine? No? Devi proprio venire a rompere i coglioni a me.
“Infatti” le risposi.
Restammo in silenzio per un momento finché l'elfa non mi prese per il braccio, portandomi verso il muretto di fronte le porte. Mi ci sedetti sopra, accendendomi una sigaretta. Soffiai fuori una voluta di fumo e mi soffermai a fissarla. Senza spostare gli occhi parlai.
“Gliel'ho detto”.
“Detto... ah. E come l'ha presa?”.
“Come vuoi che l'abbia presa?” risposi. Stavo cominciando a sprofondare nell'apatia. Claudia sbuffò e fece per tornare dentro.
“Aspetta... l'ha presa male. Molto male, è sconvolta... anzi, è inorridita” le dissi. Sospirai, aspettando la sua risposta.
“Non credo sia stata una buona idea. Dopotutto è un'umana”.
“Lo so, cazzo. Ma non potevo andare avanti così, non potevo continuare a mentirle! Cazzo!”.
Claudia si appoggiò al mio fianco e mi rubò la sigaretta dalle labbra.
“Ne sei innamorato?” mi domandò. Ottima domanda, non credi?
Mi voltai a guardarla e ridacchiai, senza alcuna allegria.
“Innamorato? Tsk. Non so neanche che significhi” le risposi, riprendendomi la sigaretta. L'elfa mi fissò, aspettandosi ulteriori spiegazioni.
“Non posso permettermi di innamorarmi. Non con il lavoro che faccio, è... è troppo. L'amore ti prende, ti distrae, ti toglie la lucidità necessaria per tenere sulle spalle la responsabilità di un popolo e di un movimento clandestino” presi un altro tiro dalla sigaretta, che ormai si stava fumando da sola, per poi continuare.
“Non guardarmi così. Vorrei potermi innamorare liberamente, non è un sentimento negativo. Ma il fatto che ti prenda e ti trascini in un vortice d'irrazionalità... beh, è troppo. Troppo perché possa essere innamorato e continuare a garantire la sicurezza del mio popolo”.
“Le droghe hanno un effetto molto simile, Rain” mi rispose lei, caustica.
Repressi un moto di rabbia al sentirmi tale rimprovero.
“Le droghe di cui faccio uso mi aiutano. Riescono a darmi una lucidità che da solo non avrei, mi aiutano ad avere la forza per fare il capo. Da solo non ce la farei e la coca non mi porta distrazioni. L'amore invece... l'amore ti prende ventiquattro ore su ventiquattro, ogni minuto, ogni secondo, ed è difficile avere l'equilibrio necessario. Non reggerei le due cose assieme”.
Claudia mi regalò un mezzo sorriso, sedendosi al mio fianco.
“Non hai tutti i torti. Sei mai stato innamorato?”. Le sorrisi a mia volta.
“Penso di sì, una volta”.
“Chi?” chiese. Indicai con un gesto l'Empire.
“Giò. Era cinque anni fa, sei, quasi. Siamo stati assieme un anno o poco meno” le risposi.
“E...?”. Valar quanto sei curiosa oggi. Ci mancava l'elfa pettegola a coronare la giornata.
“Ed è finita. Io ero sempre che facevo avanti e indietro, su e giù per la Federazione e l'Haradwaith, tra Squall e Ribellione, lei era troppo giovane per seguirmi. Ad un certo punto ci siamo resi conto che non c'era più, che non aveva senso continuare a farla soffrire. La amo ancora, sì, ma è come mia sorella. Siamo cresciuti insieme, lei, Dan ed io. Tra l'altro, avresti dovuto vedere Dan, quando gli dissi che stavamo assieme” sorrisi sinceramente per la prima volta quella sera, indicando il fondo del vicolo.
“Eravamo proprio là. Ha dato di matto, seriamente, e ha cominciato a pestarmi” dissi. Claudia annuì, guardando il punto che le avevo indicato.
“E ora... sei felice?”domandò poi.
“Con Lucy, intendi? Vorrei esserlo. Vorrei poter avere qualcuno al mio fianco a cui non debbo mentire. Non sono felice, ma quel che mi dava mi bastava. Mi accontento e volevo poterle dare di più. Per questo ho voluto essere onesto con lei”. Mossi lo sguardo sul pavimento, notando un buco sul lato della mia scarpa.
“A quanto pare non mi è concesso neanche questo. Mi bastava così poco ed ero stufo di doverle mentire. Speravo che conoscendomi abbastanza potesse andare oltre il pregiudizio razziale e semplicemente accettarmi”.
Claudia mi mise una mano sulla spalla, un piccolo gesto di conforto.
“Sai... non siamo poi così diversi, tu ed io” asserì. Alzai la testa, prendendo un respiro.
“E tu? Ti sei mai innamorata?” le domandai, forse cogliendola alla sprovvista.
L'elfa fece un cenno affermativo con la testa, guardandomi negli occhi, per poi parlare dopo una lunga pausa.
“Sì. Solo una volta. Solo Zèfiro ha avuto il mio amore” disse. Arcuai un sopracciglio. Insomma non te lo sei solo scopato.
“Quello Zèfiro?” le domandai, continuando a fissarla negli occhi. Non li mosse.
“Sì, Rain, il tuo antenato. Ed è finita che mi ha scaricata, non c'è altro da dire” rispose. Era la prima volta che la vedevo a disagio e più mi fissava, più sembrava aumentare questo suo sentimento. Decisi di non insistere.
“Rain! Fortuna che ti ho trovato! Siamo nei casini!”.
Ci voltammo all'unisono, vedendo Marco che gesticolava dalla porta. Mi alzai e gli andai incontro.
“Che cosa succede?”.
“Vieni, presto. Le milizie, hanno beccato Dan e Romeo al confine”.
Da quel momento la notte divenne una fottuta tempesta.

Georgia e Blaine erano in un angolo, lei seduta su una sedia, lui continuava a passeggiare avanti e indietro nel poco spazio della saletta adibita alle comunicazioni. Rick stava battendo i tasti del computer il più velocemente possibile, cercando d'intercettare la frequenza radio delle milizie, mentre Filo bestemmiava contro il telefono e Marco prendeva a calci un altro computer alle nostre spalle.
“Non rispondono, vacca Varda, non rispondono!”.
Porca puttana.
Con la coda dell'occhio vidi Lucy entrare, doveva averci visto nel corridoio. La sua presenza fece bloccare Blaine.
“Che cazzo ci fa lei qui?!” sbottò.
“Lei sa tutto, Blaine, le ho parlato prima” gli dissi, lanciandogli un'occhiata veloce per poi rivolgere di nuovo la mia attenzione sullo schermo del computer di Rick.
“Cosa?!” fece. Vidi Claudia avvicinarsi a lui, solo per essere spinta di lato.
“Non è il momento, Blaine, abbiamo problemi più urgenti” feci, zittendolo con un'altra occhiata gelida.
“Rick, parlami, cosa è successo”.
“Non lo so Boss” rispose il cantante, continuando a smanettare sul computer “A quanto pare è arrivata una soffiata, un quarto d'ora fa, che avvertiva le milizie dell'arrivo di due maghi. Sto cercando di rintracciarne l'origine, ma per ora non trovo nulla”.
“Ce li ho!” gridò Filo, premendo il tasto del vivavoce sul telefono.
Filo!”.
“Dan! Romeo! Che succede?!”.
Ci stanno dando addosso!” fece Daniel, dall'altro capo della linea.
“Dan, fate tutto il casino possibile, usate la magia ma porca puttana vedete di fuggire!” gli dissi.
Ricevuto Rain! Romeo, lo hai sentito!”.
Sterza! Ho sentito, sì, ma cosa cazzo faccio?! Siamo nel deserto, porca puttana, non c'è acqua!”.
Cazzo ci stanno affiancando”.
Sentimmo il rumore di spari, vetri che s'infrangevano, un grido, il rumore di un colpo.
“Daniel! Cazzo, Dan, rispondimi!”.
Nessuna risposta.
Georgia era al mio fianco, in lacrime. Anche lei stava urlando al fratello di risponderle.
Ancora silenzio.
“Romeo! Cazzo rispondete, Dan! Daniel, porca puttana, Dan!”.
Niente.
“Cazzo!” sbraitai, battendo il palmo sul tavolo.
Rain” la voce di Romeo, debole come non mai.
Rain, Dan è andato... io sono ferito”.
Mi accasciai sul pavimento, Georgia accanto a me. Il silenzio era pesante, nella saletta, mentre dal telefono si sentivano ancora rumori di passi, inframmezzati da disturbi statici. Sentimmo delle voci estranee.
Quello è morto. Sedate questo”. Filo si avvicinò al telefono e chiuse la comunicazione.
Restò solo il silenzio.
Vidi qualcosa muoversi alle mie spalle. Mi voltai giusto in tempo per vedere Claudia afferrare Lucy per i capelli e sbatterla al suolo.
“Troia!” le gridò, piantandole lo stivale sulla gola e impedendole di alzarsi. Gli altri maghi la guardavano, senza capire. L'elfa incrociò il mio sguardo per un momento. Annuii.
“Rick” fece Claudia “controlla le telefonate dell'ultima ora fatte da questo edificio. Parti dalla camera di Rain”. Rick mi guardò, sperando che l'elfa stesse scherzando.
“Fallo” ordinai, alzandomi in piedi.
Il ragazzo trovò brevemente la schermata che cercava.
“Una telefonata al numero d'emergenza delle forze di sicurezza, mezz'ora fa. Mittente schermato, abbiamo tempo fino a domani per evacuare, dopodiché saranno in grado di risalire a qui. Viene... viene dalla tua camera, Rain” rispose.
Filo uscì dalla stanza, probabilmente per dare disposizioni al resto dello staff. Lucy ancora si lamentava, ormai cianotica, sotto lo stivale di Claudia. Blaine mi guardava, incredulo. Georgia, ancora accasciata sul pavimento.
Ci volle un momento perché il caos scoppiasse.
Georgia si lanciò contro di me, cercando di tirarmi un cazzotto in faccia. Blaine la bloccò in tempo, salvandomi dai suoi pugni ma non dalle sue urla.
“Sei uno stronzo! Tu che ti dici il nostro capo, tu lo hai fatto ammazzare! Era mio fratello, cazzo, io ti uccido!”.
Andò avanti per qualche minuto, finché non svenne. Blaine la sorresse e la sistemò su una sedia, lasciando che Marco si prendesse cura di lei, per poi voltarsi a guardarmi di nuovo.
“Ha ragione, Rain” mi disse, guardandomi con una fredda furia che non avevo mai visto “Devi considerarti responsabile della morte di Daniel. Dovremmo rivedere la tua nomina come capo”. Non urlò. Non mise veleno in quelle parole. Semplicemente le disse, piatto.
Cominciò ad urlare solo quando Claudia gli si avvicinò, cercando di intervenire in mio favore.
Non riuscii a fare nulla. Rimasi in piedi, mentre Blaine gridava contro Claudia e poi contro di me, accusandomi di essere un tossicodipendente, di non avere mai preso del tutto la responsabilità del mio compito, di aver buttato tutto all'aria per potermi scopare Lucy quando mi pareva e piaceva. Assorbii tutto, senza ribattere.
Non avevo più le forze di fare nulla e semplicemente mi presi la rabbia dei miei amici. Marco non mi guardava, semplicemente stringeva a sé Georgia svenuta. Rick aveva bloccato l'uscita a Lucy e adesso la teneva bloccata per i polsi, impedendole di gridare con l'altra mano. Blaine continuava ad accusarmi, a cercare di farmi reagire, sbattendomi in faccia verità sempre più pesanti. Mi prese per le spalle e mi scosse, a un certo punto, ma non riuscii a reagire neanche in quel momento.
Era finita.
Tutto era crollato.
Quando Blaine smise di sbraitare per riprendere fiato alzai le palme in segno di resa e uscii dalla stanza.
Non c'era più nulla da fare. La Ribellione, gli Squall, il sogno di poter sovvertire questo regime e di poter avere di nuovo pari diritti. Nulla.
Daniel se n'era andato, e con lui una parte di tutti noi. Una gran parte di me.
Cosa importava?
E nel fondo del cuore lo sapevo anch'io, che Georgia, Blaine, e chiunque altro, avevano ragione. Ero stato io ad ucciderlo, sperando egoisticamente di poter condividere la mia vita con una donna che mi faceva stare bene. Non era la mia mano sul grilletto, o la mia voce ad aver dato l'ordine, ma ero comunque stato io.
Mi ritrovai seduto nella sala principale dell'Empire, su un divanetto posto vicino al bar. Nel buio delle luci stroboscopiche tutto sembrava muoversi a scatti. Rimasi sul divano senza riuscire a provare più nulla. Non piansi, non dissi nulla, non pensai più nulla. Esistevo e basta.

Così mi trovò Claudia. Non ho idea di quanto tempo abbia passato, accasciato su quel divano con Pan in grembo. La gatta era spuntata dal nulla qualche minuto prima e semplicemente si era arrampicata su di me, cominciando a fare le fusa. Fu lei a notare Claudia, saltò via dalle mie gambe e si avvicinò all'elfa. Vidi Claudia -Langrhibel- chinarsi e mormorare qualcosa. Pan tornò da ma e si strusciò con la testa contro il mio petto, per poi leccarmi il naso e guardarmi negli occhi. Continuava felicemente a ronfare.
Presi dolcemente la gatta e mi alzai in piedi. Rivolsi uno sguardo all'elfa e le feci cenno con il capo di seguirmi, mentre mi avviavo verso la camera.
Entrai in camera e poggiai Pan sulla poltrona, per poi sedermi sul letto. Aprii il cassetto del comodino e ci frugai dentro, fino a trovare quello che cercavo.
La boccetta di sonniferi era piena, le rare volte che venivo a Minas tentavo comunque di evitare di prenderne. Bastava la coca, non volevo mescolare le due sostanze. Notai anche la bustina di cocaina, ma non era lucidità, quello che mi serviva. Volevo solo crollare anche fisicamente.
Presi un bicchier d'acqua e aprii la boccetta, ringraziando il ritardo di Claudia nel seguirmi.
Dan, perdonami.
Estrassi una pasticca, poggiandola sul palmo dell'altra mano.
Era finita, non volevo più pensare.
Due pasticche.
Anche con due mi toccherà svegliarmi domani, ma almeno avrò la certezza di riuscire a dormire a lungo.
Sentii dei passi in corridoio, probabilmente Rhi che si avvicinava.
Dormire a lungo.
Guardai la boccetta.
Tre pasticche.
E se non volessi più svegliarmi?
Svuotai il resto del flaconcino sulla mia mano. Una ventina di pasticche bianche, piccole e nella loro quantità probabilmente letali.
I passi erano più vicini.
Fanculo.
Mi infilai la manciata di pasticche in bocca e le buttai giù con un paio di sorsi d'acqua, mentre Rhi entrava in camera.
“Vieni” le dissi, porgendole la mano. La accettò e si sedé sul letto, di fianco a me.
“Hai sonno?” le domandai.
“Abbastanza”. Le sorrisi.
“Vieni, allora, dormiamo un po'” proposi, senza lasciarle la mano.
Mi stesi sul letto e lei al mio fianco, abbracciata a me. Aveva il volto nell'incavo del mio collo e sentivo sulla pelle il suo respiro rilassato. Con la destra le accarezzavo distrattamente la nuca, il collo, il lobo dell'orecchio, mentre respiravo l'odore dei suoi capelli.
Namarië” mormorai, prendendo un ultimo respiro profondo. Il braccio e il resto del mio corpo cominciarono a farsi pesanti mentre pensavo alla poesia di morire inebriandomi del suo profumo.
Solo buio, e il suo profumo.




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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Candele ***


Capitolo 8 – Candele

Capii subito che qualcosa non andava, quando mi svegliai la mattina dopo.
Ad esempio il fatto che mi svegliai.
Mi guardai attorno, confuso, riconoscendo l'arredamento della stanza che utilizzavo quando mi fermavo all'Empire. Lo stesso letto, la stessa poltrona, lo stesso comodino, la stessa porta bianca del bagno, la stessa carta da parati verdina e la stessa elfa nel mio letto.
L'elfa.
In effetti questo era un dettaglio inaspettato.
I ricordi stavano tornando. Qualche immagine confusa, riguardante la sera precedente.
No, aspetta. Le immagini e le parole erano chiarissime. Daniel era morto.
Morto.
La parola sembrò risuonare nella mia mente, per qualche istante.
Nell'ordine, avevo confessato a Lucy di essere un mago e quella stronza ci aveva traditi tutti. Dopodiché Daniel e Romeo avevano subito un agguato alla frontiera da parte delle milizie di N.G., e Blaine, fattosi portavoce degli altri, mi aveva imputato la responsabilità della morte di Dan.
Troppo facile prendersela con i miliziani, o con Lucy. No, non c'era spazio per capri espiatori, in questo caso.
La colpa era mia.
Ricordai come avevo passato le ore successive, sprofondato in un divanetto nella sala principale, mentre attorno a me la gente ballava, si godeva la serata, inconsci di cosa significasse la mia apatia.
Per quanto riguardava lo staff ero certo che Filo avesse fatto passare di bocca in bocca l'avvertimento di prepararsi ad evacuare il giorno dopo, ma di mantenere la più assoluta calma finché c'erano clienti. Per loro il mio stato poteva essere semplicemente dovuto alla troppa responsabilità di cui mi facevo carico. Divertente come avessero ragione, da un certo punto di vista.
Nel mentre i clienti non mi prestavano attenzione, ero solo l'ennesimo ragazzo magari troppo fatto per continuare a ballare. Beata ignoranza.
E dopo?
Dopo era arrivata lei.
Era stata lei a salvarmi.
Forse era quello che speravo, invitandola a seguirmi in camera da letto. Forse volevo solo chiudere un metaforico cerchio e addormentarmi per sempre tra le braccia di un'immortale. Forse... non so.
Quello che importa è che avevo trangugiato una boccetta intera di sonniferi ed era stata lei a piantarmi due dita in gola, facendomele vomitare prima che fosse troppo tardi. Mi aveva scosso, mi aveva schiaffeggiato, mi aveva costretto a svegliarmi, per qualche confuso minuto.
Non ricordo molto, di quei momenti, ma non scorderò mai i suoi occhi: Langrhibel, l'ultima Noldo su Arda ad aver visto la luce di Laurelin e Telperion, aveva paura.
Mossi lo sguardo verso di lei, che ancora dormiva al mio fianco, con la mano poggiata sul mio petto, quasi ad assicurarsi che non smettessi di respirare una seconda volta.
Dunque ero ancora vivo.
Ripensarci in questo modo fu un colpo ancora più pesante.
Ero vivo, sì. Ma Daniel era morto. Non l'avrei mai più rivisto. La Ribellione mi aveva sollevato dall'incarico di leader, Blaine e Georgia avrebbero dato chissà cosa per potermi fare a pezzi ed io non avevo avuto neanche la decenza di crepare.
Guardai di nuovo Rhi.
L'elfa più meschina ed egoista della storia mi aveva salvato la vita, impedendomi di suicidarmi, ed io pensavo alla durezza del dover andare avanti anziché esserle grato. Qualcosa non andava.
Ora?
Ora non so. Comunque prima o poi dovrai alzarti da questo letto.
Sospirai, abbandonandomi all'abbraccio combinato delle coperte e di Rhi. L'elfa continuava a dormire profondamente, ancora rannicchiata al mio fianco.
Svuotai la mente, concentrandomi sul suo respiro regolare.
Aveva ragione, dopotutto. Non eravamo così diversi.
Mi aspettavo comunque un rimprovero anche da parte sua, non tanto per Lucy quanto per il mio tentato suicidio. Ancora però non mi era chiaro perché avesse deciso di salvarmi, perché non avesse deciso di accusarmi anche lei. In ogni caso era l'ultima persona che mi sarei aspettato di avere al mio fianco.
Forse le avevo inconsciamente chiesto di salvarmi, forse semplicemente mi aveva salvato perché con me morto non restavano maghi d'Aria con cui litigare, forse...
Basta.
Troppi forse non fanno bene al mio cervello e questa città non fa affatto bene al mio animo.
Carezzai distrattamente i capelli e l'orecchio mutilato dell'elfa al mio fianco, pensando a cosa fare. Mi tornarono in mente le sue parole, le sue minacce a Legolas re dei coglioni che non si accendono le sigarette, riguardo lo sparire nel nulla. In quel momento avevo i coglioni troppo girati per farci troppo caso, ma conoscendola quel minimo avevo la certezza che non si riferisse ad Aman.
Sparire.
Di certo dovevo andarmene, da Minas in primis. Lontano dalla Ribellione, dalla Federazione, dai deserti dell'Haradwaith, dai maghi, dagli elfi. Da tutto.
A Ovest, nelle terre selvagge oltre i confini. Di certo c'era qualche angolo dove ancora era possibile vivere, magari ne avrei trovato uno adatto a me. Di certo avrei tentato, e di certo dubito che a qualcuno sarebbe mai venuto in mente di venirmi a cercare proprio là.
Rhi si mosse al mio fianco, per poi salutarmi sbadigliando. Mi voltai a guardarla, ascoltandola mentre mi chiedeva come stessi.
“Sto bene” le risposi, guardando nelle sue iridi d'ebano. Non mi credette e mi scostò i capelli dal viso, passando il pollice sul mio zigomo. Continuai a fissarla.
“Sei sveglio da tanto?” mi chiese, poggiando di nuovo la mano sul mio petto.
“Da un bel po'. Ma sto bene. Qui” dissi, facendo un cenno con il capo a indicare il letto.
Mi lanciò un sorrisetto dei suoi, affermando che comunque prima o poi sarei dovuto uscire dal letto, almeno per pisciare se non per affrontare gli altri.
“Lo so” le risposi, evitando di aggiungere maledettissima elfa irriverente di prima mattina. Sorrisi dentro di me e nascosi il volto nell'incavo del suo collo.
“Ancora cinque minuti” dissi, come un bambino che non vuole andare a scuola.
“Due” fece lei.
“Tre?”.
“Venduto” rispose, ridacchiando. Mi passò la mano tra i capelli, rilassandosi contro i cuscini.
Abbiamo tre minuti per entrare nell'ottica che c'è un mondo al di fuori di questa stanza Zèf, animo che possiamo farcela.
“Sai Rhi” le dissi, dopo un breve silenzio, “partirò. Oggi”.
“Come, partirai?” mi domandò.
“Semplicemente partirò. Ho commesso un errore troppo grave. Non sono un aiuto per la Ribellione, ancora meno in un momento come questo. Sai bene che la posizione di leader dei maghi è diventata ereditaria dopo la distruzione di Kalo. Ne parlammo ieri sera, della responsabilità che comporta, al peso che mi è stato posto sulle spalle da quasi dieci anni”.
L'elfa non mosse i suoi occhi dai miei, invitandomi a continuare.
“Il punto è che nonostante l'errore che ho commesso è una responsabilità che ancora sento mia. Non riuscirei a lasciarla del tutto nelle mani di qualcun altro”.
Sapevo che, per quanto il mio discorso potesse sembrare dettato da superbia, Rhi avrebbe compreso come non ci fosse traccia di orgoglio nelle mie motivazioni.
“Rain... lo sai bene che non intendevano ciò che hanno detto ieri sera... erano distrutti dalla notizia ma... hanno bisogno di te Rain, Blaine, Georgia, Felipe, Romeo, diamine, che ne sarà di lui?”. Le sorrisi.
“Non ti preoccupare per Romeo, saprà cavarsela. Sono le milizie a doversi preoccupare, i maghi d'Acqua sono sempre stati i più offensivi. Siamo composti per una buona percentuale da acqua, se ci pensi, e Rom è sempre stato ottimo nel usare i suoi poteri”.
“Dunque... dobbiamo salutarci?” mi chiese, dopo un respiro. Sembrava più dispiaciuta di quanto avessi previsto, all'idea di separarci. Comprensibile, nonostante l'abrasività che i nostri rapporti avevano in certi momenti, avevo sviluppato anch'io un certo affetto nei suoi confronti. Non faceva piacere neanche a me il fatto che le nostre strade, simili e diverse in vari modi, dovessero dividersi.
“Dipende... a meno che tu non voglia venire con me” le risposi. Le mie parole sembrarono spiazzarla. Non te l'aspettavi neanche un po'? Strano.
“Dove andrai?”.
“Non ne ho idea. Via. Lontano. Lontano da Minas Tirith, prima di tutto. In un posto abbastanza lontano per farmi una ragione di tutto ciò e potermi rialzare”.
Rhi si alzò dal letto, sottraendosi al mio abbraccio e al mio sguardo con un'elegante mossa.
“Verrai?” le chiesi. Si voltò di nuovo a guardarmi.
“Perché ci tieni così tanto?”.
Diedi voce ai miei pensieri quasi senza rendermi conto di star parlando.
“Non lo so Rhi. Perché sei l'unica che non mi ha accusato di niente. E perché mi hai salvato la vita, magari potresti salvarmela di nuovo se per sbaglio tentassi di nuovo di uccidermi”. Ecco, forse il sarcasmo che caratterizza metà dei tuoi pensieri avresti potuto tenerlo per te Rain. Scrollò le spalle, abbassando il capo, ma notai un mezzo sorriso inclinarle l'angolo della bocca per un attimo.
“Non sei affatto spiritoso” mi disse “Che poi, che cazzo ti è saltato in mente ieri sera? Volevi che ti salvassi, volevi morire tra le mie braccia, volevi... cosa? E perché me?”. Il mezzo sorriso era scomparso.
“Sei l'unica che non mi ha accusato Rhi” le ripetei.
Mi prese per i polsi, trascinandomi fuori dal letto.
“Vieni, che i tre minuti son più che passati e tu hai bisogno di una doccia per rischiararti la mente” affermò, spingendomi verso il bagno.
Sì, in effetti non hai tutti i torti. Mi appoggiai al lavandino un momento e bevvi qualche sorsata d'acqua, mentre l'elfa restava al mio fianco.
“Posso lasciarti tranquillo o c'è il rischio che tu tenti di annegarti nella doccia?” mi domandò, mentre mi toglievo la maglietta.
“Vai tranquilla, che non c'è rischio” dissi, cercando la forza per ridere. Più o meno ci riuscii, ma ciò non sembrò rincuorarla. Notai il suo sguardo restare fisso su di me mentre mi accingevo a slacciarmi i pantaloni.
“Comunque se vuoi assistere sei la benvenuta” feci, effettivamente divertito. La mia battuta la rassicurò un po', tanto che mi sorrise di nuovo prima di uscire dal bagno, chiudendo la porta dietro di sé.

Avevo quasi terminato di preparare il mio misero bagaglio quando sentii bussare allo stipite della porta aperta. Mi voltai velocemente, riconoscendo Malachi in piedi sulla soglia, e riportai la mia concentrazione sulla valigia un momento dopo, senza proferire parola.
Sapeva, ovviamente, tutta la storia, se non per preveggenza perché faceva parte di quella ristretta cerchia a cui era stata comunicata. Filo aveva avuto l'accortezza di non rivelare le motivazioni dell'abbandono del luogo o, almeno, non tutte. La notizia della morte di Dan era sicuramente trapelata, così come quella della prigionia di Romeo, ma il come fossero stati capaci di beccarli non era stato reso pubblico. Non ancora, perlomeno. In ogni caso l'Empire doveva sembrare un formicaio, in quel momento, seguendo i protocolli di evacuazione: i ragazzi stavano svuotando tutto, cancellando o trasferendo ogni dato utile o compromettente, ripulendo computer e stanze da oggetti personali, ed entro ora di pranzo sarebbe rimasto completamente vuoto, con solo la puzza di alcol a testimoniare la vita della notte precedente.
“Ehi Rain... mi dispiace per Daniel”. La voce di Malachi mi riportò alla realtà. Semplice e conciso, ma sapevo che non erano parole di circostanza.
Malachi aveva sempre cercato, a causa del suo Elemento, di mantenersi distaccato dalle persone che gli stavano attorno, ma a differenza di molti altri maghi di Morte, che facevano di quella freddezza il loro modo di vivere, comprendeva appieno il dolore, il cordoglio e il supporto che poteva dare. A soli ventidue anni era uno tra i più giovani di stanza a Minas -ma dopotutto lo eravamo tutti, giovani- e nonostante l'età eseguiva il suo lavoro alla perfezione e dimostrava spesso una ventina d'anni in più di quanti già ne avesse. Dopo la morte di suo fratello maggiore, la stessa notte di nove anni prima in cui il nostro popolo perse tutto in una retata delle milizie nei vari luoghi di ritrovo usati dai maghi, aveva capito come la freddezza dovesse essere solo uno strumento nelle sue mani e non qualcosa che lo dominasse.
Smisi di trafficare con i pochi vestiti che mi ero portato da Umbar, ma non riuscii a voltarmi né a ringraziarlo.
“Non tutto è perduto Rain, ricordalo. Avremmo voluto tutti far qualcosa per salvarlo” continuò lui, senza curarsi del mio silenzio.
Sentii i suoi passi allontanarsi e finii velocemente di sistemare la mia roba, per poi dirigermi verso la sala seguito da Pan.

Il mondo al di fuori della stanza era proprio come l'avevo lasciato: pessimo.
Presi un respiro profondo e mi avvicinai al tavolino nell'angolo vicino al bar, al quale stavano seduti Blaine, Georgia, Marco e un paio d'altri. Filo sembrava essere appena arrivato, era appoggiato al muro dietro il tavolino, sudato come non mai e visibilmente esausto. Probabilmente era tutta la mattina che sorvegliava le operazioni. Anche Langrhibel era là, in piedi e un po' in disparte rispetto agli altri.
“Chi si rivede. Dormito bene?” la voce di Blaine grondava sarcasmo. Perché quell'elfa non mi ha lasciato a letto?
“Come un sasso” risposi. Non curartene Rain, hai già preso la tua decisione.
Mi avvicinai a Georgia, che fissava le sue ginocchia senza parlare. Non sembrava avermi neanche notato. Marco mi guardava, seduto al suo fianco, ma non volli incrociare il suo sguardo.
Poggiai la chitarra elettrica accanto a Georgia e ripresi a parlare.
“Volevo lasciarla a te. Fanne quello che vuoi, tienila, spaccala contro un muro, vendila, non...”. Basta. Non ce la posso fare.
Hai deciso tu di fare quest'ultima tappa prima di andartene.
Non potevo sparire, non senza prima rivederla. E poi c'è un'elfa che ancora non mi ha dato risposte.
Come preferisci Rain, ma qua stiamo per crollare.
Senza una parola in più cominciai ad avviarmi verso l'uscita.
“Rain” fece Filo, che aveva seguito la scena in silenzio, “Lo sai che non ti stiamo cacciando, vero?”. Rosso in faccia, si stava asciugando la fronte con la manica arrotolata della camicia.
“Lo so, Filo. Ma non intendo restare. Sai quanto me che rimarrò qui solo in veste di capo” gli risposi. Filo aprì la bocca, come per voler dire qualcosa, ma la richiuse un attimo dopo, per poi annuire.
“Vedo che siete già a buon punto con l'evacuazione. Spero troviate presto un'altra base. Fate quel che volete con Lucy, a me non importa. È ora che vada”.
Ripresi a camminare, seguito da Pan che zampettava felicemente ai miei piedi. La gatta artigliò il mio polpaccio e decisi di fermarmi e prenderla in braccio. Mentre la raccoglievo da terra Rhi mi si avvicinò.
“Da che parte vai?” mi chiese.
“Ovest. Verso il mare” le risposi, con un veloce sorriso.
“Vado dalla stessa parte. Non è che mi daresti un passaggio?” domandò, ricambiando il mio sorriso.
“Vedi di essere in macchina tra cinque minuti tesoro” feci, ricominciando a muovermi.
“Dieci”.
“Sette”.
“Venduto”.
E con questa parola e ancora un sorriso agrodolce sulle labbra uscii dall'Empire, per l'ultima volta.

Sfrecciavamo sulla statale che attraversa l'Anorien, ai piedi delle cime innevate dei Monti Bianchi. Da un lato il paesaggio era costante, montagne su montagne, ma dall'altro non poteva essere più diversificato: una volta fuori la provincia di Minas Tirith era un continuo intervallarsi di boschi di conifere, campi, fattorie, colline costellate di vigne, ulteriori boschi. Una parte di questi ultimi erano compresi nella Riserva Naturale Federale dell'Halifirien, rimasta intoccata ancora oggi dall'industrializzazione selvaggia che caratterizzava gran parte di Nuova Gondor.
Langrhibel era seduta al mio fianco, i miei occhiali da sole calati sul naso, i piedi nudi sul cruscotto - gli stivali li aveva abbandonati da qualche parte sul sedile posteriore della macchina dopo dieci minuti di viaggio - e Pan in grembo, che faceva le fusa soddisfatta delle coccole dell'elfa.
Il sole stava tramontando di fronte a noi, dando una tinta d'arancio a tutto ciò che ci lasciavamo indietro.
Sembriamo di nuovo una coppietta pronta per una scampagnata, mi dissi, lanciando un'occhiata verso Langrhibel. Nonostante la pesantezza di questi ultimi giorni si facesse ancora sentire su di noi, questa repentina partenza stava facendo il suo effetto su entrambi. Non avevamo parlato molto, ma non era necessario, e ognuno dei due aveva i suoi pensieri da metabolizzare e riordinare.
L'elfa s'allungò e mosse la levetta dell'autoradio, in cerca di una stazione che non stesse mandando pubblicità di ristoranti e casinò, finché non ne trovò una che si sentisse chiaramente.
E si concludono anche per oggi le nostre due ore di programma” diceva la voce del DJ “dunque in quest'assolata ora del pomeriggio vi salutiamo con un bel pezzo d'atmosfera: una buona serata a tutti con Long as I can see the light”. Sorrisi, riconoscendo il titolo, e il mio sorriso si allargò quando notai che Rhi stava alzando il volume.

Put a candle in the window, but I feel I've got to move.
Though I'm going, going, I'll be coming home soon,
'Long as I can see the light.


“Ti piacciono i Creedence?” le domandai, tamburellando con il pollice sul volante. Langrhibel annuì, perdendosi tra le note della canzone.
“Anche a me” le dissi.

Pack my bag and let's get movin', 'cause I'm bound to drift a while.
Well I'm gone, gone, you don't have to worry no,
'Long as I can see the light.


Continuammo ad ascoltare la canzone in silenzio, finché l'elfa non mi fece la domanda più bizzarra da quando l'avevo conosciuta.
“Senti Rain...”.
“Dimmi”.
“Tu come lo definiresti questo sax?”. Come? Ho sentito bene?
“Che cosa intendi?” le domandai, aggrottando la fronte.
“Dai... un aggettivo, un qualcosa per definire questo sax” mi spiegò, mentre l'assolo continuava.
Sbuffai, divertito. Di tutte le cose che potevi domandarmi vai a soffermarti su un sax e in più me lo domandi con un entusiasmo che non ti ho mai visto avere.
“Che domanda assurda...” borbottai, tornando a guardare la strada vuota di fronte a noi.
“Eccolo, il Grande Ostacolo” fece Rhi con voce grave “la spiccata Indifferenza dei miei coglioni di Rain Greywings! Cazzo Rain, non ti costa nulla spendere un momento della tua vita a trovare un aggettivo per definire un sassofono. O è veramente così difficile per te?”. Sembrava aver preso la mia confusione per austerità, l'elfa. Mi soffermai ad ascoltare le note dell'assolo, per poi risponderle.
“Chiaro” le dissi.
“Bello” disse lei, “Ma io direi vero”.
Annuii, mentre la canzone continuava.

Guess I've got that old trav'lin' bone,
'cause this feelin' won't leave me alone.
But I won't, won't be losin' my way, no, no
'Long as I can see the light.


Continuavo ad avere in mente l'immagine di un sassofono che suonava da solo, ondeggiando nell'aria tra le dune dell'Harad. La luce del tramonto che ci accompagnava facevano brillare sia il sax che la sabbia, in un tripudio di sfumature d'oro.
“Giallo” esclamai. Langrhibel scoppiò a ridere.
“Diamine Rain, che fantasia!” disse, continuando a ridacchiare. Sbuffai.
“Però hai ragione, se il suono di questo sax dovesse avere un colore sarebbe di certo giallo” continuò, sorridendomi velocemente per poi concentrarsi di nuovo.
“Che ne dici di innamorato?” domandò poco dopo.
Fu il turno mio di sorridere, ripensando al nostro discorso della sera prima.
“No, non può essere innamorato” affermai, “perché è troppo sincero”.
Rhi sembrò illuminarsi.
“Bravo Rain!” esclamò “Hai trovato decisamente il termine giusto, sincero sincero sincero!”.
Quest'allegria mi stava disorientando, dov'era l'elfa sarcastica, cinica e irriverente con cui avevo passato le ultime settimane? Non ero ancora abituato a questo nuovo lato che Rhi aveva lentamente cominciato a mostrarmi negli ultimi giorni, ma avevo la certezza che mi piacesse, anche se non l'avrei ammesso neanche sotto tortura.

Put a candle in the window, 'cause I feel I've got to move.
Though I'm going, going, I'll be coming home soon,
Long as I can see the light.
Long as I can see the light...


“Sembri una bambina” le dissi. Lei colse la palla al balzo.
“È un complimento per gli anni che ho”. Ridacchiai, per poi indicarle il cruscotto mentre la canzone finiva.
“Fruga la dentro, dovresti trovare qualcosa d'interessante” le dissi.
Rhi cercò e trovò le musicassette che avevo riposto nel portaoggetti quella mattina, mentre aspettavo che arrivasse con i suoi bagagli.
“Quella verde” feci, notando che stava guardando una ad una le etichette sbiadite.
“Valar Rain, deve avere quindici anni!” disse, dopo aver trovato la cassetta dei Creedence in questione. Non perse tempo e la infilò nel mangianastri dell'autoradio.
“Ehi Rhi, posso farti una domanda?” le chiesi dopo che il nastro fu partito.
“Tu che fai una domanda a me? Tesoro, non me lo perderei per nulla al mondo!” rispose, ritirando fuori la vena sardonica. Però non ha tutti i torti, neanche io sono stato un'icona di espansività.
Decisi di accantonare i pensieri e le abbozzai un sorriso, porgendole la mia domanda:
“Dov'è la tua finestra, la tua candela?”.
L'elfa sospirò, abbassando lo sguardo. Sembrava amareggiata più che infastidita.
“Non c'è, Rain. È da molto che non c'è più una candela per me” mormorò.
“Non... scusa, non volevo” le risposi, allungando la mano per darle una leggera stretta sulla spalla.
“Non ti preoccupare Rain, non fa niente. Approfitterò per domandarti la stessa cosa, però” disse, alzando la testa e voltandosi verso di me. Sospirai anch'io.
“Daniel era la mia candela” risposi. Laconico. Conciso. Dentro di me il tumulto di emozioni e di sentimenti lottava per uscire, ma ancora lo tenevo bloccato. Non ora.
Rhi si accasciò di nuovo contro lo schienale del sedile, voltandosi a guardare i campi che scorrevano alla nostra sinistra.
“Dici che serva?” mormorò, “Serve proprio una candela?”.
“Non lo so” le risposi. O, meglio, le rispose quella parte di me che stava guidando e tenendo a bada il relitto che ero, che stava tenendo ancora incollati i vari pezzi.
“Magari a volte basta un accendino” fece lei, estraendone uno dalla mia tasca e accendendo due sigarette. Me ne porse una e ripose l'accendino nella tasca della mia camicia.
Inspirai una boccata e gettai fuori la voluta di fumo.
“Magari sì” dissi, più a me stesso che a lei.
Magari sì.

Quella sera ci fermammo in una pensione ai piedi dei Monti Bianchi che prendeva il nome dai fuochi di segnalazione sulle cime degli stessi.
Cenammo con una tranquillità che mi era sconosciuta e brindammo sommessamente alla memoria di Daniel con la grappa della casa, un liquore che, nonostante l'etichetta assicurasse che fosse un un distillato alle ciliegie, pareva fuoco liquido.
Accolsi il bruciore che m'infiammava la gola e il calore dell'alcol, mentre Rhi versava altri due bicchierini. Era stata lei a proporre il brindisi, senza aggiungere fronzoli alla cosa.
“A Daniel” aveva semplicemente detto.
Dopo il secondo bicchiere riuscii a ringraziarla, nonostante la voce rotta. Stavo cercando in tutti i modi di trattenere i pezzi assieme, dopo l'altra notte, ma cominciava ad essere sempre più difficile.
L'elfa sembrò notarlo e mi invitò a salire per andare nelle camere che avevamo affittato. Aveva deciso lei anche questo dettaglio, probabilmente per lasciarmi lo spazio per crollare in pace, ma inizialmente mi aveva stupito: dopo aver dormito stretti assieme nei fossi di Rohan pagare per due stanze mi era sembrato strano.
“Rhi” la chiamai, giunti di fronte alle porte, “vai subito a dormire?”.
Lei negò con la testa e mi seguì nella stanza, dove venne subito accolta dal miagolio di Pan che, molto pazientemente, aveva atteso il mio ritorno.
Mi sedetti sul letto e accarezzai la gatta, per poi frugare nel comodino in cerca di un posacenere che non trovai.
Trovai però una candela.
Sorrisi, pensando ai Creedence e al pomeriggio, e sistemai la candela nel supporto coperto di cera. L'accesi e mi accesi una sigaretta, benedicendo l'assenza di norme antincendio, per poi passare il pacchetto all'elfa e andare a prendere la chitarra.
Fumammo senza dire nulla, mentre pizzicavo distrattamente le corde in qualche accordo. Bastava la semplice presenza.
Gli accordi presero a formare un giro conosciuto e prima che me ne rendessi conto stavo cantando, per Rhi, per Pan, per me, per tutto ciò che ci eravamo lasciati dietro e per ciò a cui andavamo incontro. E per Dan, che sembrava essere anche lui in quella stanza, in quel momento.
Finii la canzone con una nota tremolante e la voce strozzata. Erano arrivate anche le lacrime, ma non me n'ero accorto finché non alzai lo sguardo verso Rhi e la vidi completamente sfocata. Mi asciugai gli occhi con il dorso della mano e notai la pelle d'oca sulle braccia dell'elfa.
“Hai freddo?” le chiesi, poggiando la chitarra di lato.
“Sono un'elfa Rain, non sento il freddo” mi ricordò lei, accennando un sorriso.
Annuii, per poi stendermi sul letto. Rhi rimase al mio fianco, seduta a gambe incrociate sul materasso.
“Eravate molto vicini” asserì.
“Te lo dissi, siamo cresciuti assieme” le risposi, accarezzando Pan che era venuta a strusciarsi contro il mio fianco.
“Siamo sempre stati come fratelli, Dan ed io. Dopo quella notte, poi, siamo andati a vivere assieme, lui, Gio ed io”.
Le raccontai di come dopo le retate ci fossimo trovati a condividere un appartamento a Minas, di come avessimo convinto Blaine a suonare con noi mettendogli un basso in mano e dicendogli che era il bassista e di come avessimo fatto lo stesso con Romeo e una batteria, le raccontai degli inizi della Ribellione e di come Daniel -di come Eric- fosse sempre stato al mio fianco, a darmi una mano con tutto, di come ci fossimo picchiati quando aveva saputo della mia relazione con Georgia -nonostante glielo avessi già detto Rhi non batté ciglio-, di come fosse convinto che la musica andava oltre qualunque razza e che un musicista è un musicista, non un mago, un elfo o un umano, le raccontai di tutto e di come Daniel fosse effettivamente la mia candela, finché non ce la feci più.
Rhi mi venne incontro, cambiando discorso.
“Sai... anche Zèfiro suonava la chitarra. Valar, chiamarla chitarra è un po' esagerato, ma era uno strumento a corde che ci assomigliava” mi disse.
Ridacchiai stupidamente all'immagine del mio antenato che saltellava con il figlio bastardo di uno liuto e di un mandolino tra le mani -rendendomi poi conto che gli avevo dato un volto abbastanza simile a quello di quella iena di Zaal- e mi poggiai sui gomiti, alzando la testa.
“Non mi hai mai parlato di lui” dissi.
Rhi deglutì e mi rispose, anticipando la mia domanda.
“Non stasera, Rain, che non ne ho voglia”.
“Non c'è problema” affermai. Ognuno è libero di tenere per sé i propri fantasmi, questo è un diritto che non voglio negarti.

Erano passate ore e la candela era da tempo spenta quando mi rialzai dal letto. Rhi era uscita poco dopo l'intermezzo su Zèfiro, dopo l'ultima-stavolta-per-davvero-sigaretta.
Parlare con lei era stato oltremodo liberatorio, ma il sonno non sembrava avere intenzione di arrivare. Erano passate ore, ed io le avevo passate girandomi e rigirandomi nel letto, senza riuscire a dormire o a pensare.
Sospirando mi alzai, dirigendomi verso il bagno. Bevvi dell'acqua e mi guardai allo specchio: ero ridotto alquanto male. Sospirai di nuovo e ritornai in camera.
Presi in braccio Pan ed uscii dalla stanza. Avevo pensato di scendere al bar, qualche ora prima, magari altri due bicchierini di quella grappa mi avrebbero steso e avrei dormito come un bambino, ma avevo deciso testardamente di non ubriacarmi. Invece mi diressi qualche metro oltre la porta della mia camera, trovandomi di fronte a quella di Rhi.
“In che casini mi vado a mettere...” mormorai.
Abbassai la maniglia, convinto di trovare la porta chiusa e di dover tornare nella solitudine della mia stanza, ma invece la porta si aprì.
Rhi era ancora sveglia, stesa sul letto a fissare il soffitto. Voltò la testa verso di me quando entrai.
“Ciao... anche tu insonne?” domandai. Lei annuì, per poi farmi spazio sul letto.
Chiusi la porta alle mie spalle e mi stesi al suo fianco, affondando il volto nei suoi capelli. Restammo a lungo in silenzio, ascoltando il respiro l'uno dell'altra, finché non parlai.
“Rhi?”.
“Sì?”.
“Perché hai deciso di venire con me?” le chiesi, dopo un po'.
“Perché sì” mi disse.
“Non è una risposta” le feci, infilando la mano tra le ciocche dei suoi capelli e accarezzandola.
“Perché vuoi una risposta?”.
“Perché sì” le feci eco. Ridacchiammo entrambi, per poi tornare a godere del silenzio e della presenza reciproca.
C'era qualcosa di quell'elfa che non avrei mai capito, ne ero certo, ma soprattutto ero certo che quello fosse decisamente il mio posto: su quel letto con Langrhibel la rinnegata tra le braccia.
Servivano poche parole, ce n'erano sempre servite poche. In quel preciso istante non ero più certo di chi stesse facendo le fusa, per quanto stranamente e bizzarramente bene stessimo, se lei, Pan o io.
“Io e te, Rhi, io e te un giorno faremo l'amore” mormorai, prima di addormentarmi. Anche quella era ormai una delle mie certezze, una delle poche che avevo.






E rieccoci. Veramente poche note, che questo capitolo non ne ha bisogno, solo un aggiornamento soundtrack per questo e il 7, ovvero l'entrata in scena dei Creedence con Long as I can see the light in parte riportata in questo e Have you ever seen the rain che da il titolo al precedente.
Spero che vi sia piaciuto e di non tardare troppo con la pubblicazione del prossimo, un grazie per le recensioni e alla carissima Elena per il suo continuo beta.




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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Strada ***


Capitolo 9 - Strada

La mattina seguente ci scivolò addosso senza che ce ne accorgemmo. Mi svegliai con i raggi del sole estivo che mi colpivano il volto, filtrando attraverso le finestre. Rhi ancora russava al mio fianco.
Pigramente guardai l'ora, rendendomi conto di quanto avessimo effettivamente dormito.
Stavo bene.
È strano a dirsi, ma in quel momento stavo bene, con una gatta nera che ronfava ai piedi, un'elfa che ronfava accanto a me, la strada di fronte e il sole alto nel cielo, terso come non mai.
L'immortale si stiracchiò e si voltò, regalandomi un pigro sorriso.
“Buongiorno biondo”.
“Ciao tesoro, dormito bene?” le domandai.
Per tutta risposta Rhi sbadigliò, mettendosi a sedere.
“Parecchio. Che dici, scendiamo a fare colazione?” propose, scivolando fuori dal letto. La seguii al piano terra dell'ostello. C'era una leggerezza in tutto quel momento che ancora non mi capacitavo.

Raggiungemmo Clivovalle nel tardo pomeriggio, seguendo le statali che il Regime aveva costruito tra le piane di Rohan. Avevamo pranzato ad Edoras, in una trattoria tipica ai margini della città vecchia, anch'essa patrimonio culturale e chiusa al pubblico la maggior parte del tempo. La Edoras di adesso si estendeva ai piedi del colle su cui troneggiava la reggia di Meduseld, bizzarramente immune all'ondata di modernizzazione delle varie città nel suo aver cercato un equilibrio tra le architetture di un tempo e le tecnologie moderne.
L'immagine era la stessa del giorno prima: Rhi a piedi nudi e ancora con i miei occhiali da sole -gliene avevo comprato un paio da un esterling che si era avvicinato a noi durante il pranzo, cercando di venderci mezzo mazzo di rose e una fornitura annuale di accendini, ma l'elfa aveva preferito tenersi addosso i miei, insistendo perché indossassi io quelli rosa acceso appena acquistati- e il sole che tramontava.
La radio crepitò e cominciò a mandare il notiziario. Alzai il volume, mentre l'elfa si risistemava sul sedile.
...è evaso stamane il presunto mago catturato in un controllo al confine con l'Haradwaith”. Come? Romeo? Rallentai e mi diressi verso una piazzola di sosta.
...l'evaso sarebbe riuscito a fuggire dal carcere di massima sicurezza Lord Boromir, avvolto in un turbine di acqua. Dalle prime dichiarazioni rese pubbliche le guardie che lo stavano scortando verso la sua cella sono state colte da un mancamento, causato probabilmente dai poteri nefasti del mago.
Il mago -le cui generalità non sono ancora state diffuse- è stato visto l'ultima volta nella zona delle foci dell'Entalluvio. Si avvisa la massima cautela e di avvisare le autorità se notate avvenimenti sospetti. Il ministro degli interni...
”.
Scesi dall'auto, lanciando un grido di giubilio.
“Forza gente, una standing ovation per Romeo!” gridai, rivolto alle poche macchine che passavano. Notai che anche Rhi era scesa dalla macchina e mi stava venendo incontro. Feci un passo verso di lei e le presi il volto tra le mani, baciandole la fronte, per poi abbracciarla in una bizzarra danza di felicità.
“Romeo è fuggito! Ce l'ha fatta!” esclamai. L'elfa mi sorrise, ma riassunse un'espressione seria subito dopo.
“Rain... hanno detto che presto identificheranno il corpo di Dan e che comunque hanno chiuso i confini con l'Harad...” mi disse. Mi rabbuiai, pensando a Blaine, Filo e gli altri. La chiusura dei confini gli avrebbe impedito di ritornare nell'Haradwaith, dove sarebbero stati più al sicuro. Sospirai.
“Spero che gli altri abbiano considerato anche questa possibilità e che abbiano seppellito Lucy sotto l'Empire. Non ti preoccupare per loro, Felipe ha sempre saputo quello che faceva, così come gli altri”.
“Spero tu abbia ragione, Rain. Comunque sono contenta per Romeo” mi disse, rilassandosi di nuovo.
Tornai verso l'auto quando l'elfa mi chiamò di nuovo.
“Ehi” fece, indicando la scalinata che partiva dalla piazzola di sosta “Hai voglia di fare due passi?”. Notai il cartello che indicava la presenza di un belvedere in cima alle scale e annuii.
Maledissi le mie poco salutari abitudini quando arrivai in cima senza fiato, ma la vista ne valeva la pena. Clivovalle si stendeva ai nostri piedi, incassata tra i fianchi montagnosi e, poco lontano verso Sud si poteva vedere l'antico villaggio di Dunclivo. C'era un vento che soffiava da nordovest in cima alla rupe, a rinfrescare gli animi scaldati dall'afa di giugno, un vento che riempiva e rapiva. Rhi stava guardando oltre l'orlo del precipizio, appoggiata alla balaustra, quando mi venne l'idea idiota della giornata.
Mi guardai attorno per accertarmi che nessuna delle famigliole che avevamo incrociato durante l'ascesa fosse nei paraggi e mi misi di fronte la balaustra, bloccando il vento nel raggio di due metri attorno a me. Mi slacciai la cintura e cominciai felicemente a liberare la vescica, che da due ore reclamava.
“Rain, ma che...”. Rhi si era accorta di me.
“Scusa tesoro, ma era da un po' che avevo lo stimolo e questo mi sembrava un posto adatto per farla” esclamai, strappandole una risata.
La sentii armeggiare alle mie spalle e poco dopo udii uno scatto. Mi voltai, dopo essermi risistemato i pantaloni, e vidi l'elfa agitare una fotografia nella destra. Nell'altra mano aveva una macchina fotografica a sviluppo istantaneo, con la quale aveva probabilmente scattato la foto in questione.
“E quella?” le domandai, incredulo.
“L'ho presa in prestito da Blaine” mi disse, sorridendo.
Scoppiai a ridere.
“In prestito? Quello non la rivedrà più”.
“Poco male, gli ho anche lasciato un autoscatto con dedica” fece lei, fiera.
“Ah sì? Non voglio immaginare cosa hai fotografato”.
“Il volto, idiota!” esclamò, senza però traccia di risentimento.
“Anzi” continuò “ho anche mentito sulla dedica. Gli ho detto che era il migliore sotto le coperte”.
“Ah sì?” dissi, avvicinandomi per vedere la foto, ormai sviluppatasi. Mi ritraeva di spalle, in un'inconfondibile posa-pisciata. L'erba attorno era piegata dal vento ma i miei capelli erano immobili.
“Chi sarebbe il migliore, dunque?” le domandai. Seppi la risposta prima che me la desse, notando come sembrò perdere il buonumore alla mia domanda.
“Zèfiro era il migliore”. Ovviamente. Il migliore in tutto, come al solito.
Mi pentii di averle posto la domanda. Oltre al non aver assolutamente pazienza nel sentire di nuovo come quel mio strafottuto antenato fosse il migliore in tutto non mi era affatto sfuggito come ogni volta che il discorso verteva su di lui la mia compagna di viaggio sembrava riempirsi di tristezza.
“Ti aspetto giù” le dissi, cominciando a scendere la scalinata. Era meglio se le lasciavo un momento per riflettere, se c'era qualcosa che avevo imparato riguardo Langrhibel -oltre al non tirare in ballo Zèfiro, se possibile- era il fatto che non sopportasse esser vista nei suoi momenti di vulnerabilità. Potevo comprenderla, dopotutto anch'io preferivo non toccare certi argomenti. Ad esempio la mia astinenza, mi dissi, continuando a scendere i gradini. Erano passati un paio di giorni dall'ultima e cominciavo a sentirne la mancanza. Poi, erano stati un paio di giorni alquanto pieni di eventi. Giunsi alla macchina poco dopo e mi accesi una sigaretta, aspettando che l'immortale mi raggiungesse.
Rhi non tardò a scendere. La seguii con lo sguardo mentre si sedeva in macchina e frugava nel cruscotto, cercando chissà cosa. Ripartii lungo la strada, riaccendendo la radio.
“Rain” mi chiamò, poco dopo. Lanciai un'occhiata verso di lei e la vidi sorridere, con la foto in una mano e un pennarello nell'altra. Mi porse la prima e si rilassò contro il sedile, mentre io notavo l'aggiunta che aveva fatto alla foto. Sotto la mia immagine ora campeggiava una scritta:
C'era il vento, uno stramaledettisimo vento ululante, ma Rain pisciava dritto comunque.
Ridacchiai, restituendo la foto all'elfa.

“Cazzo!”.
“Rain, calmati, ti prego”.
Sbattei la mano contro l'armadio, prima di rispondere.
“Col cazzo che mi calmo! Non ho assolutamente intenzione di calmarmi! Ho fottutamente bisogno di farmi, cazzo!”.
Erano passati un paio di giorni e l'astinenza aveva deciso di farsi sentire, molto pesantemente.
Rhi mi stava guardando, incerta sul da farsi.
“Io esco” dissi, afferrando lo zaino.
“No”.
No? Fanculo Rhi, col cazzo che m'impedisci di uscire.
Feci un passo verso la porta ma l'elfa si frappose tra me e la stessa. Imprecai, pensando che forse avremmo fatto meglio a prendere camere separate.
“Fammi passare” le intimai, giunto di fronte a lei. Non si mosse. Feci un altro passo mentre le mani riprendevano a tremarmi.
“Rhi, fammi passare, cazzo!”. Lei mi fissò, fredda come non mai.
“Rain, cazzo! Non esiste che io ti lasci uscire da questa stanza. Combatti la voglia di farti!” mi gridò. Misi la mano sulla maniglia ma lei mi afferrò il polso.
“Ti ho detto di farmi passare”.
Cazzo, non è possibile! Cocciuta immortale non lo vedi che succederà il finimondo se non esco da questa stanza?!
“No, Rain” mormorò lei. Imprecai di nuovo, voltandomi e tirando un calcio al comodino.
“Non lo vedi che ho bisogno di farmi?!” le domandai.
“Rain, resisti cazzo! Puoi farcela”. Tirai un altro calcio al comodino.
Resistere? Rhi, ho resistito abbastanza, non credi? Per tua informazione il mio migliore amico è morto! La mia ragazza ci ha traditi e condannati tutti quanti! I miei cazzo di amici hanno ben deciso di abbandonarmi! Non credi che io abbia resistito abbastanza?! Eh?! Ho tentato il suicidio, cazzo!” esclamai, assestando l'ennesimo calcio all'armadio. L'elfa non si mosse, restò in piedi ritta davanti alla porta. Così minuta si sarebbe detto che aveva parecchio fegato nel cercare di trattare con me in quello stato, ma sapevo bene che se avessi provato a spostarla mi avrebbe rotto qualche osso.
“Ho tentato di ammazzarmi perché ho il cazzo pieno di tutto... di tutto questo! E se ora non posso neanche cercare un po' di cocaina beh... Vaffanculo!” sbraitai.
Rhi si mosse dalla porta, cominciando a raccogliere le sue cose senza dire una parola.
“Che cazzo fai?” le domandai, incredulo.
“Che faccio? Me ne vado, Rain. Semplice. Se non riesci a stare senza coca allora le nostre strade si dividono. Ne ho avuto abbastanza di maghi indemoniati” mi rispose, piatta come non l'avevo mai sentita.
“Come... come te ne vai?!”. Nel mentre l'elfa aveva finito di fare i bagagli ed aveva aperto la porta.
“Me ne vado, Rain, comprendi la mia lingua? Namarië. Adiós, ci vediamo!” rispose, lanciandomi un'ultima occhiata di rimprovero e avviandosi per il corridoio. Uscii nel corridoio, continuando a imprecare.
“Vattene allora!”. Rientrai nella stanza sbattendo la porta alle mie spalle.
“Ma guarda tu questa... se ne va, così... ma dimmi te...”.
Mi sedetti sul letto e diedi un altro colpo al comodino, facendo cadere il telecomando.
Rain, pensa.
Non ho voglia di pensare, cazzo, ho voglia di una sola cosa.
Appunto, rockstar dei miei coglioni, pensa! Siamo in una pensione bucodiculo in un paesino altrettanto bucodiculo dell'Enedwaith, dove cazzo pensi di trovare della coca? Dall'alimentari?!
Joder.
Bestemmiai ad alta voce, sconfitto dal mio stesso senso pratico, e decisi di accendere la TV per distrarmi.
Non ci riuscii per niente: dopo pochi minuti di zapping mi trovai di fronte la faccia di Romeo. Seguirono Blaine, Rhi ed io, tutti sullo schermo con nome e cognome segnato in sovrimpressione.
“Merda...”. Rhi aveva ragione, avevano già identificato il corpo di Daniel e fatto uno più uno, rendendosi conto che anche il resto degli Squall fossero maghi e che probabilmente anche Rhi, vista la sua presenza assieme a me al passaggio del confine.
Mi alzai dal letto e ebbi un giramento di testa.
Cazzo, cazzo!
Mi fiondai verso il bagno, dove rigettai la cena nella tazza. Mi diedi una sciacquata al volto, cercando di calmarmi.
Pensa, Rain, pensa, usa quel fottuto buon senso che ti ritrovi. Il vecchio che vi ha dato le chiavi ha guardato tre cose, nell'ordine la TV della portineria, il culo di Rhi e i vostri documenti, indi è molto probabile che stia chiamando la polizia in questo momento. Scarta la porta principale per uscire.
Mi guardai attorno, dopo aver raccolto le mie borse, la chitarra e Pan, che protestò miagolando per essere stata svegliata in così malo modo.
Gatti. Leggeri come gatti.
Mi avvicinai alla finestra e guardai giù: tre piani. Ottimo, dovrei riuscire a ripetere la stessa mossa di Lasgalen.
Canalizzai la magia e saltai dalla finestra, sentendo le unghie di Pan piantarsi nel mio braccio. Atterrammo senza intoppi, anche se probabilmente qualcuno ci aveva sicuramente visto.
Ottimo, pensai, una volta salito in macchina, ora resta solo trovare quella fottutissima immortale irriverente.

Trovai Rhi a qualche chilometro di distanza. L'elfa stava camminando sul ciglio della strada, probabilmente decisa a raggiungere il mare a piedi.
Accostai al suo fianco e mi sporsi ad aprire la portiera dal suo lato.
“Sali”. Lei mi fulminò con lo sguardo e ricominciò a inveire contro di me.
Roteai gli occhi mentre un'altra sequela d'insulti mi investiva. Com'era Rain? Quello razionale?
Fanculo tu e la razionalità.
Interruppi l'elfa a metà bestemmia e le spiegai brevemente la situazione di merda in cui ci trovavamo, intimandole di nuovo di salire su quella stracazzo di macchina. Rhi sbuffò, ma si sedé sul posto del passeggero senza protestare.
Partii non appena lei richiuse la porta, deciso a mettere quanti più chilometri possibile tra noi e quella pensione.
Sfrecciavamo lungo la superstrada deserta, illuminata solo dai nostri fari e qualche sparuto lampione. Rhi aveva deciso di non rivolgermi la parola, se ne stava in silenzio a guardare fuori dal finestrino, fumando una sigaretta dietro l'altra. Si notava quanto fosse nervosa, ma in quel momento ero grato a tutto il pantheon dei Valar che avesse deciso di non discutere con me, non era affatto il momento adatto.
Passammo due ore in silenzio, mentre la strada continuava a scivolare sotto le ruote della macchina, che mantenevo fissa sui centoquaranta. La situazione cominciava ad essere alienante e mi resi conto del rischio immediato che stavamo correndo, ovvero la possibilità che mi prendesse il torpore e mancassi una curva. Rhi mi scosse dai miei pensieri, rompendo il silenzio.
“Accosta là!”.
“Dove? Non c'è niente!”.
“A destra Rain, cazzo. Ho visto delle luci”.
Inchiodai la macchina e spensi il motore.
“Delle cazzo di luci? Rhi, cosa succede?” le domandai, senza riuscire a trattenere il sarcasmo.
“C'è un accampamento di nomadi esterling. Possiamo fermarci da loro per la notte”.
“Che? Chi ti dice che non sia un rave? Si sente il casino fin da qua!” le feci. Rhi già non mi ascoltava e anzi, era già scesa dalla macchina.
La seguii, cercando di capire come trattare con lei.
“Rhi! Che cazzo stai facendo?”.
“Vuoi stare zitto e fare come ti dico per una buona volta, fottutissimo mortale?!” esclamò. Mi bloccai, guardandola fisso negli occhi, per poi avanzare verso di lei.
“Una buona volta?” sbraitai “Una buona volta, cazzo?! Devo ricordarti, stracazzo d'immortale dei miei coglioni, che l'ultima volta che ho fatto come volevi ci siamo ritrovati in una cella, dopo essere stati arrestati da degli esponenti della tua cazzo di razza?! Oppure se vuoi parliamo di quella testa di cazzo del tuo Re, che ha tentato di farci ammazzare! Sono un po' stufo di seguire i tuoi consigli!”. Tirai un calcio al guardrail, ottenendo solo di farmi un gran male al piede.
“Io vado da loro” fece lei. Sintetica, laconica e piatta.
Joder, quest'elfa sarà la mia morte.

Nonostante i miei dubbi le azioni di Rhi non ci fecero ammazzare, non quella sera. Certo, vedere una cinquantina di esterling danzanti bloccarsi all'improvviso al nostro arrivo mi aveva fatto temere, almeno per un momento, ma a quanto pare la mia compagna di viaggio sapeva abbastanza delle loro usanze per comunicare ufficialmente che non eravamo ostili. Il capo della... tribù? Non saprei che nome dare al loro gruppo, ma non importa, il loro capo -un ragazzo della mia età che rispondeva al nome di Alfred- ci portò dallo shanni, una sorta di sciamano o capo spirituale che, vista la veneranda età, aveva preferito passare la sera nella sua roulotte piuttosto che unirsi alle danze.
Lo shanni, un vecchio raggrinzito e rugoso che sembrava uscito da un film, non si presentò, ma ci riconobbe subito per il mago e l'elfa che eravamo, prendendoci anche un po' per il culo prima di ammettere di aver visto il notiziario sulla TV portatile abbandonata in un angolo della roulotte, tra bastoncini d'incenso, piume, pezzi di corteccia e varie altre cianfrusaglie mistiche. Dopo aver blaterato per qualche minuto su una fantomatica forza unificante che avvolgeva tutti i nostri destini, chiamata Simpatia, ci salutò, invitandoci ad unirci alla festa, ma quando stavamo per avviarci ci fermò.
“C'è vento di guerra, mago. Lo senti anche tu, come lo sento io nelle ossa. Noi esterling avevamo una patria, finché non ci fu tolta, assorbita dallo stesso Regime che perseguita il tuo popolo e quello della tua splendente compagna” disse. Sospirò, guardando fuori della finestra della roulotte, verso il falò e i giovani che avevano ripreso a ballare, in un tripudio variopinto di colori, gonne ampie che ruotavano, musica viscerale e giochi di luce.
“Quando arriverà il momento” continuò “non dimenticatevi di noi”.
Annuimmo entrambi, seri, prima di uscire dalla roulotte.
Rhi mi lasciò non appena fuori, trascinata da una ragazza nelle danze frenetiche della nottata. Feci qualche passo costeggiando il cerchio di luce, rimuginando sulle parole dello shanni e sull'inaspettata fortuna che avevamo avuto. Ripensai alle parole di Malachi, non tutto è perduto, Rain. Che intendesse questi alleati insperati?
Un ragazzo interruppe il filo dei miei pensieri, battendomi sulla spalla. Come tutti gli uomini quella sera era a torso nudo, con dei pantaloni di tela larghi e colorati come unico capo d'abbigliamento.
“Ma te sei veramente chi penso?” mi domandò. Avrà avuto sì e no vent'anni, la carnagione ambrata e gli occhi scuri coronati da sopracciglia già folte, i capelli neri intrecciati dietro la schiena.
“Non lo so, comunque mi chiamo Rain” risposi, porgendogli la mano.
Quello sorrise e la strinse, facendomi poi cenno di seguirlo.
“Andrej!” chiamò, dopo qualche passo “Avevo visto bene! È lui!”. Un altro paio di ragazzi si alzarono da terra. Erano alcuni dei tanti suonatori della serata a giudicare dagli strumenti che tenevano in mano.
“Cazzo Goran, avevi ragione!” esclamò uno di quelli, probabilmente Andrej. I ragazzi si presentarono uno per volta, chi facendomi i complimenti, chi dicendo che aveva sempre apprezzato la nostra musica, chi chiedendo di autografargli il cd. Rimasi di stucco, a dir poco: in men che non si dica mi ritrovai circondato da fan, come se fossi appena sceso dal palco, con un sorriso ebete sul volto e la mano perennemente stretta a qualcuno. Notai con la coda dell'occhio Rhi che ancora ballava freneticamente con la ragazza, finché la musica non s'interruppe.
“Dai Rain” disse Andrej, approfittando del momento di riposo “suona qualcosa con noi!”. In men che non si dica mi ritrovai in mano una vecchia acustica stranamente accordata. A nulla valsero le mie proteste, finii per sedermi a gambe incrociate e cominciare un giro di accordi, ripetendolo un paio di volte perché gli altri mi potessero seguire. C'era una ragazza dai grandi occhi verdi che risaltavano sulla pelle olivastra che prese a suonare il violino, scuotendo la chioma di capelli neri come la notte e incitandomi a velocizzare il ritmo della canzone, mentre attorno le danze ripresero, più frenetiche di prima. Prima che me ne accorgessi stavo sudando, facendo correre le dita della mano sinistra in accordi sempre più rapidi, la violinista continuava a guidarci nella canzone, un ragazzo sforzava i polmoni per starci dietro con la tromba, Rhi stava ballando con il capo tribù, le percussioni e il battito dei piedi sulla terra si confondevano in una bizzarra armonia, gli ottoni contornavano il tutto e qualche voce si levava in un canto in una lingua a me sconosciuta.
Dopotutto non avevo torto neanche io: sembrava effettivamente di essere a un rave, seppure con toni molto più ancestrali. Stavo ridendo e continuavo a suonare, cercando di non annodarmi le dita sul manico della chitarra, finché la canzone terminò, permettendomi di accasciarmi sul prato e respirare.
“La nostra musica è troppo per te?” mi domandò la violinista, ridendo. Le sorrisi, restando steso sull'erba. Non avevo la forza neanche di parlare, ma stavo quasi bene.
“Ehi Rain, se vuoi rilassarti abbiamo qualcosa che fa al caso tuo” fece Goran, apparendo al fianco della ragazza, anche lui estatico ed esausto dalle danze del suo popolo.
Vuoi vedere che alla fine riesco anche a farmi di qualcosa che mi calmi l'astinenza?
Seguii i ragazzi fin sulla porta di una delle roulotte, dalla quale uscì Andrej con un sacchetto in mano. Poco dopo eravamo di nuovo stesi sul prato un po' spostati rispetto al fuoco, attorno al quale le danze continuavano. Osservai i ragazzi spartirsi il contenuto del sacchetto con pigra curiosità, pensando a dove si potesse essere cacciata Rhi. Conoscendola si starà scopando il capo in un angolo boscoso, mi dissi, concedendomi un mezzo sorriso. A ognuno il proprio vizio.
La violinista -che finalmente si presentò come Mirna- mi prese la mano nella sua e lasciò cadere una manciata di quelli che mi sembravano porcini tagliuzzati.
“Allucinogeni?” domandai.
“Certo. Sono sempre stati sacri per il nostro popolo. Gli shanni li usavano per entrare in trance fin dall'alba dei tempi e dall'inganno di Morgoth. Si potrebbe dire che la fama di uomini malvagi che abbiamo noi esterling sia dovuta a un pessimo trip di un antico shanni, che vide la vittoria e la prosperità nell'allearsi con il nemico” disse, per poi scoppiare di nuovo a ridere e baciarmi con passione sulle labbra, facendomi respirare appieno l'odore di spezie e fuoco della sua pelle e assaporare il gusto dolce delle sue labbra.
“Spero che alla tua amica non dispiaccia” mi disse, per poi inghiottire in un boccone la sua manciata di funghi. Le sorrisi di nuovo e mangiai la mia parte, per poi tornare a stendermi sull'erba mentre Mirna mi accarezzava i capelli e canticchiava dolcemente, nell'attesa che arrivasse l'effetto dei funghi.
Chiusi gli occhi, svuotando la mente e mi addormentai.

Mi svegliai sentendo i raggi del sole ardere su di me. Aprii gli occhi e rimasi stupido di trovare sopra di me il cielo dell'Haradwaith. Mi guardai attorno: ero steso su una duna.
“Che cazzo...” mormorai, alzandomi in piedi. Vidi un'oasi in lontananza e decisi d'incamminarmi verso la stessa.
“C'è qualcosa che non va. Decisamente” mi dissi, mettendo un piede dopo l'altro nella sabbia ardente.
Ci credo Rain, stai parlando da solo in mezzo al deserto.
Giunsi all'oasi e mi bagnai il volto nell'acqua chiara della pozza, per poi bere qualche sorsata dalle mani unite.
“Bene. Ora vediamo di capire che cazzo ci faccio e come ci sono arrivato”.
Sentii il sottobosco frusciare e alzai lo sguardo. Dai cespugli accanto a me era spuntata una iena che aveva probabilmente deciso di abbeverarsi alla pozza in quel momento. L'animale non mi degnò di uno sguardo, ma si chinò a bere dalla pozza con gesti esageratamente lenti e bizzarramente eleganti per gli arti tozzi che si ritrovava.
Vale Rain. Non ricordi come ci sei arrivato. Pensiamo piuttosto a come trovare la strada verso la civiltà, che temo quest'oasi sia parecchio lontana da Umbar”.
Non so perché ma continuavo a parlare ad alta voce, nonostante ci fosse solo la iena ad ascoltarmi. O meglio, a ignorarmi. C'era però un qualcosa di rassicurante nell'esternare i miei dubbi in quel modo.
Feci qualche passo verso le dune da cui ero arrivato, notando una figura in lontananza. Riconobbi all'istante la pelle diafana e la cascata di capelli neri, quello che non mi spiegai era che cosa ci facesse Rhi di nuovo con i capelli di quella lunghezza e con indosso solo un paio di jeans in mezzo al deserto.
“Forse sono impazzito” dissi, mettendomi le mani in tasca. Trovai il pacchetto di sigarette e benedissi i Valar per avermi lasciato almeno questo dettaglio.
“La cosa migliore è aspettare che anche Rhi arrivi” asserii. Mi sedetti su una pietra e mi accesi una sigaretta.
Fu in quel momento che sentii ridacchiare alle mie spalle.
“Che cazzo?!”. Mi voltai, cercando di capire da dove fosse venuto quel suono, ma dietro di me c'era solo la iena di prima, ancora intenta a fissare il proprio riflesso nella pozza.
“Le iene ridono di me e Rhi gira mezza nuda nel deserto. Sono decisamente impazzito” dissi, espirando una voluta di fumo “Anche se in verità da quell'elfa mi aspetterei un comportamento del genere”.
Una voce famigliare mi rispose:
“Ben detto, ragazzo. Vedo che hai imparato a conoscerla almeno un minimo”.
Mi voltai di scatto, cercando il proprietario della voce. Nessuno. Solo la iena.
L'animale si voltò a guardarmi e fece due passi -zampettò, sarebbe meglio dire- verso di me.
“Che c'è? Non ti fa piacere rivedermi?” mi domandò. Riconobbi la voce e decisi che sì, avevo perso totalmente il senno.
“Zaal?”.
“Chi ti aspettavi, dama Galadriel? Mi dispiace, ma hai diritto a un'elfa per fantasia e hai già Rhi con le tette al vento che sta venendo verso di te” rispose quello, per poi rimettersi a ridere.
Dunque, facciamo il punto della situazione. Sono seduto su una pietra, e fin qua ci siamo. Sono in un'oasi sperduta in mezzo al deserto, e anche questo è plausibile. Quello che non mi spiego è perché Rhi stia attraversando le stesse dune così svestita. E soprattutto perché suo cugino è diventato una iena parlante.
Mi rivolsi di nuovo alla iena:
“Sei sicuro di essere Zaal? Sai, l'ultima volta che l'ho visto era un noldo, non una iena”.
“Sono certo al cento per cento di essere Zaal, così come sono certo al cento per cento che il mio pene si chiami Fëanor” disse la iena, riprendendo a ridere. Non avevo più dubbi che fosse Zaal: quella risata ormai la riconoscevo e l'umorismo era il suo.
“In quanto alla forma” continuò lui, stirando le zampe e lanciando un'altra occhiata verso il suo riflesso nella pozza “sono confuso quanto te. Perché una iena?”.
Zaal la iena. In effetti l'avevo definito come tale più di una volta. Gli spiegai la mia ipotesi e Zaal ringhiò.
“Simpatico, il ragazzo, nel tuo subconscio dunque sono una iena” protestò, indignandosi.
“Penso sia per la risata, sai, non era inteso con cattiveria” dissi, tentando di scusarmi.
“Sì, come no. Ragazzo, sta contento che tu non mi abbia fatto diventare un animale capace di sputare, che adesso un po' di saliva addosso te la meriteresti” rispose Zaal.
“Aspetta, avevi detto qualcosa di utile prima” dissi, cercando di distrarlo dall'offesa di essere una iena. Inutilmente, perché quello stava ancora blaterando sul fatto che nonostante non mi potesse sputare poteva sempre sbavarmi addosso.
“Zaal! Hai detto che siamo nel mio subconscio?” gli chiesi, alzando la voce per sovrastare le sue lamentele. La iena drizzò le orecchie, mettendosi a sedere più compostamente.
“Oh, sì, l'ho detto” disse, fiero.
Joder, la situazione è più contorta di quanto pensassi.
Guardai di nuovo verso le dune, cercando Rhi con lo sguardo.
“Secondo te che senso ha tutto questo?” domandai a Zaal, senza voltarmi.
“Ah, io che ne so. Sono una iena, dopotutto” rispose. Sbuffai. Ci mancava la iena offesa.
“Zaal, cerca di aiutarmi. Se siamo qui probabilmente c'è un senso. Ti prometto che la prossima volta ti lascio in forma di noldo. Oppure c'è un animale che vorresti essere?” gli chiesi, speranzoso.
“Non m'importa tanto, l'importante è che possa sputarti in faccia” mi rispose quello. Ancora con lo sputare?
“Va bene, va bene. Dici che ha senso andare incontro a Rhi?”.
“Mh... non credo sai. Oltre al fatto che la cara cugina è comunque una forza distruttrice, siamo nel deserto: abbandonare l'oasi mi sembra un'idea stupida”.
“Hai ragione. Dunque dobbiamo aspettarla qui” conclusi, accendendomi un'altra sigaretta.
Le ci volle giusto il tempo di una sigaretta per arrivare. L'elfa si sedé di fronte a me sorridendomi, con i capelli che le ricadevano sul petto a coprire i seni e la pelle che sembrava emanare una tenue luce.
“Ciao Rain. Hai una sigaretta anche per me?”.
“Vestiti, sciagurata! Non vedi che il ragazzo è rimasto folgorato dal tuo fascino?” fece Zaal, alle mie spalle.
“Oh, sta buono tu” rispose lei, per nulla confusa dal fatto che suo cugino fosse effettivamente una iena.
Porsi una sigaretta all'elfa di fronte a me, per poi riprendere parola:
“C'è qualcuno qui che sa cosa cazzo stia succedendo?”.
“No” mi risposero i due, per di più in coro.
Sospirai.
Mi trovavo in mezzo al nulla con i due elfi più rompicoglioni di Arda e nessuno dei tre sapeva il perché.
“Sicuri che non avete nulla da dirmi?” domandai “Perché penso ci sia un motivo per cui sono qui proprio con voi due”.
Elfa e iena si scambiarono un'occhiata.
“Sì, in realtà sì. Ma lo sapevi già, sotto sotto” fece Zaal, grattandosi l'orecchio.
“E sai anche” continuò Rhi “che non possiamo dirtelo ora. Dopotutto siamo solo frammenti della tua immaginazione, non sappiamo quali segreti non t'abbiano detto le nostre reali controparti”.
“Insomma, devo rischiare la pazzia per sapere che mi state entrambi nascondendo qualcosa? Vaya mundo de mierda”. Mi alzai dal mio sasso, avviandomi di nuovo verso la pozza.
“Ottima scelta, in effetti fa caldo”.
“Siamo nel deserto Zaal”.
“Arguta osservazione, cugina, infatti proprio per questo fa caldo”.
Lanciai un'ultima occhiata verso i due, che continuavano a bisticciare, per poi saltare nella pozza d'acqua.

Aprii gli occhi, inspirando pesantemente. Ero steso sul prato, sopra di me il cielo stellato dell'Enedwaith.
“Valar, che sogno assurdo” mormorai.
Attorno a me sentivo gli ultimi strascichi della festa, ma di certo non avevo le forze per unirmi di nuovo a loro. Rimasi a terra a guardare le stelle finché un odore noto e un rumore di passi mi distolsero dal mio torpore.
“Cosa t'hanno dato?” chiese Rhi, secca, dopo essersi sgraziatamente seduta al mio fianco. La guardai con gli occhi socchiusi: era furiosa, ferita e offesa.
“Nulla di tale” le risposi. Quella sbuffò.
“Insomma sei riuscito a drogarti. Sono contenta per te, Rain”.
Decisi che non era il caso di narrarle il mio sogno, non ancora. Magari vedere suo cugino come una iena l'avrebbe messa di buon umore, ma avevo il vago dubbio che in quel momento non le sarebbe importato un accidente.
“Che t'è successo?” le domandai, poggiandomi su un gomito e aprendo gli occhi.
“Nulla, Rain” mentì lei.
“Rhi, stai tremando” le dissi. L'elfa accettò di farsi avvolgere nella coperta e si accoccolò al mio fianco, sudata e tremante. Odorava di sesso come non mai, eppure era di pessimo umore, qualcosa qui non quadrava.
“Il tuo nomade ha fatto cilecca?” le domandai. Rhi scoppiò a ridere, stringendosi ancor di più al mio fianco.
“Ah Rain... meno male che ci sei tu”.
Le carezzai leggermente il fianco, scendendo e trovando la pelle della sua coscia dove la gonna era risalita.
Vuoi consolarla di nuovo con un orgasmo? Rain, un po' di fantasia.
Continuai a passare le dita sulla sua pelle calda, lentamente, quando l'elfa si strinse a me, mormorandomi all'orecchio qualcosa che non colsi.
La guardai negli occhi, sorridendole. Mi sarei fermato, se me l'avesse chiesto e mi avesse permesso di togliere la mano dal suo interno coscia, anziché stringermela tra le gambe, costringendola a risalire, ma a quanto pare non aveva intenzione di lasciarmi smettere.
Soffiai leggermente sul suo volto, mantenendo il contatto visivo, praticando un piccolo incantesimo molto utile.
Le mie dita sfiorarono il centro del suo piacere, mentre io inspiravo improvvisamente, togliendole il respiro. Rhi spalancò gli occhi, contraendo i muscoli e cercando l'aria che le mancava, finché non soffiai di nuovo verso la sua bocca, restituendole l'ossigeno. Mi sorrise, ma presto le tolsi l'aria di nuovo, mentre la mia mano continuava a disegnare cerchi sulla rosa che sapevo tatuata sul suo ventre e più sotto, per poi soffiare ancora. Continuai così per lunghi minuti, le mie dita a darle piacere, il mio respirare a darle respiro, le nostre labbra terribilmente vicine che mai si toccarono, i suoi occhi annebbiati fissi nei miei, finché non mi strinse un'ultima volta, poggiando la testa contro la mia spalla mentre raggiungeva l'apice del piacere.
Tolsi la mano e le permisi di respirare normalmente. Langrhibel si rilassò, senza però sciogliersi dal mio abbraccio. Sopra di noi il cielo stellato dell'Enedwaith e attorno a noi l'accampamento di esterling, ormai immerso nel silenzio. Mi strinsi all'elfa e richiusi gli occhi, addormentandomi poco dopo.

La mattina dopo fui svegliato da Rhi che brontolava, seduta al mio fianco, mentre strappava meticolosamente i petali da una rosa, facendoli a pezzettini uno a uno. Gli esterling se n'erano andati, lasciandoci soli in quel campo. Mi alzai, stiracchiandomi, mentre Rhi continuava a borbottare:
“Fortuna che se ne sono andati... stronzo, lo sa bene dove può mettersele le sue rose”. Ridacchiai, guardando l'elfa.
“Sembri un'arpia quando fai così, lo sai?” le dissi.
“È quello che sono, Rain, una stracazzo di arpia” rispose, alzandosi di scatto e guardandosi attorno.
“Questo malumore di prima mattina non fa affatto bene, tesoro”. Rhi si voltò e mi fulminò con uno sguardo.
“Andiamocene”. La seguii verso l'auto, osservandola divertito mentre marciava tra gli alberi.
“Ma” cominciai, una volta giunti alla macchina “si può sapere come si chiamava lo zingaro che t'ha ridotto in questo stato?”. Ero poggiato contro l'auto, dopo essermi acceso la prima sigaretta.
“Alfred” fece lei, laconica.
“Come?!” tossii, ridacchiando e mandandomi di traverso il fumo. Il gran capo della tribù non ci sapeva fare a letto.
“Sì, si chiamava Alfred. Va bene?!”. Valar quanto si sarebbe incazzata. Continuando a sghignazzare presi la chitarra dalla macchina e cominciai un giro di note.
Ho perso un’altra occasione buona stasera...” cantai. Rhi mi guardò incredula.
...è andata a casa con il negro, la troia...” continuai. L'elfa sbuffò, mostrandomi il medio. C'era qualcosa di totalmente assurdo, in quella situazione.
...colpa d'Alfredo, che con i suoi discorsi seri e inopportuni mi fa sciupare tutte le occasioni...”. La sentii ridere, mentre continuavo a cantare.
Non so dire cosa fosse più assurdo, se il trovarmi in una piazzola di sosta a cantare o la mia chiacchierata con la iena della sera precedente.
Ma in quel preciso istante nulla importava, se non le risate di Rhi e la strada che ancora avevamo davanti.





Note d'autore
E inaspettatamente vi arriva questo capitolo nove, un po' a sorpresa anche per me che non mi aspettavo di finirlo così presto.
Avviso subito che manca un betareading fatto come si deve perché la voglia di pubblicare ha preso la meglio, quindi c'è la possibilità che ci sia ancora qualche svista. La versione betata arriverà comunque presto, sempre ringraziando la carissima Pandi.
Dunque passiamo alle aggiunte da soundtrack, che anche qui ne abbiamo qualcuna. Nonostante avessi già due proposte per le canzoni attorno al fuoco -Rain suona comunque gli Zeppelin, in un qualche momento- per la scena ha aiutato molto Goran Bregovic (infatti il personaggio omonimo si chiamava Ivan ma è stato cambiato a metà capitolo), quindi consiglio di far come me per scegliere una canzone precisa: scorrere la discografia finché non trovate quella che più lega bene con la scena secondo voi. Successivamente c'è I Put a Spell on You in versione Manfred Mann, per la scena di Rain, Rhi e il respiro mancante, un'aggiunta venuta un po' dal nulla ma Valar se rende bene con la scena. Infine torna Colpa d'Alfredo, di Vasco Rossi. Solitamente non mi piace affatto la sua musica, ma questa canzone non poteva mancare e penso sia l'unica sua che apprezzo veramente.
Concludiamo ringraziando per le sempre apprezzate recensioni e consigliando di nuovo di non drogarvi, che Zaal in versione iena non appare con le droghe, ma solo quando son le quattro, non avete cenato e avete una febbrile voglia di continuare a scrivere. Adiós, ci si risente per il decimo. =)

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - Pneuma ***



Capitolo 10 – Pneuma

“Cazzo Cla, è l'ultima volta che ti do ascolto!”.
“Cosa cazzo ne potevo sapere io che quello stronzo di un oste ci avrebbe riconosciuti?!”.
Le voci dei miliziani, le sirene e il rumore di passi si fecero più vicini dietro l'angolo del vicolo.
Stavamo correndo come non mai tra le stradine e i vicoli di una cittadina sulla costa dell'Enedwaith dal nome di Calengaer, o qualcosa di simile.
Pensa te, questi stronzi fanno tanto gli xenofobi e poi tengono i nomi elfici delle città.
“Muoviti a scavalcare, elfa dei miei stivali!” sbraitai, mentre Rhi s'arrampicava sul cancello che chiudeva il vicolo. Una pallottola colpì il muro alla mia destra, spronando l'immortale a sbrigarsi. Mi voltai e notai un giovane miliziano con la pistola puntata impalato sull'imboccatura della stradina. Mossi la sinistra, evocando una folata di vento che lo fece cadere all'indietro, mentre con la destra alzai la pistola e sparai due colpi nella sua direzione, mirando volutamente troppo in alto per colpire chiunque.
M'arrampicai oltre il cancello a mia volta e riprendemmo a correre, infilandoci nell'intricata rete di viuzze della città vecchia.
“Dobbiamo arrivare alla macchina” mi disse Rhi, senza fermarsi. Cazzo, con quello che fumi mi chiedo come tu faccia a non avere il fiatone.
“Lo so, ma dobbiamo prima seminarli, ci sono ancora addosso” boccheggiai, cercando di tenere il passo “in più sulla spiaggia saremo bersagli troppo facili” aggiunsi, ricordando alla mia compagna dove avevamo parcheggiato.
“Non è detto” fece lei “seguimi!”.
Dopo innumerevoli giravolte per strette stradine lastricate raggiungemmo la costa e capii cosa intendeva Rhi: almeno duecento persone ballavano, bevevano, scherzavano e occupavano in generale un largo tratto di spiaggia, illuminato da vari falò.
Rhi ed io ci infilammo nella massa di gente mentre le sirene continuavano a risuonare poco lontano.
“Cazzo, ci stanno ancora addosso Cla!” protestai, continuando ad usare il falso nome dell'elfa in caso qualcuno ci ascoltasse. Non che facesse molta differenza, visto che era ricercata come Claudia Thálassas, ma di certo era meno appariscente di Langrhibel.
Continuammo a farci strada tra la folla finché qualcuno non mi afferrò un braccio.
“Ma tu sei il chitarrista ricercato! Cazzo, Rain!”.
Fummo fulminei. L'elfa lo strinse alle spalle, portando l'incavo del gomito a stringergli il collo ed io gli puntai la pistola sulla fronte.
“Sta zitto se vuoi vivere!” sibilai. Il ragazzo impallidì, ma non perse la calma.
“Potete nascondervi tra noi, diremo alle milizie che siete fuggiti verso il centro” disse. Feci un cenno col capo a Rhi, che lasciò il ragazzo, mentre nascondevo la pistola. Il nostro insperato alleato ci diede una coperta e si diresse a intercettare i miliziani poco lontani.
Avvolsi me e Rhi nel telo e la strinsi a me. Lei pose il volto nell'incavo del mio collo ed io feci lo stesso su di lei. Eravamo ora una delle innumerevoli coppiette della festa, occupati in un'apparente intimità.
Sentimmo il ragazzo parlare con le milizie e assicurare loro di averci visti scendere verso Sud e il centro cittadino, lontano dalla festa. Poco dopo sentii battermi sulla spalla.
“Via libera ragazzi”.
Ci sciogliemmo dall'abbraccio e restituii la coperta al giovane.
“Perché ci hai aiutati?” chiesi poi.
“Non mi frega un cazzo se sei un mago Rain, a nessuno di noi frega. Per noi sei un chitarrista che suona strafottutamente bene, la propaganda di Nuova Gondor è solo un mucchio di stronzate!” disse lui. Sorrisi all'elfa, che roteò gli occhi.
“Restate con noi, stasera” ci propose poi, “qui nessuno si sognerebbe di denunciarvi”.

Rhi mi prese per un braccio, portandomi un paio di passi più in là.
“Non starai pensando di rimanere?! Dobbiamo lasciare la città al più presto possibile”.
“Lo so, ma tu non sai come sono i fan. Sarebbero capaci di rivoltare il mondo, piuttosto che denunciarci, li hai visti” risposi, accendendomi una sigaretta. Langrhibel sbuffò.
“Poi c'è da tenere a mente che le strade saranno sicuramente controllate, se non ci trovano le milizie ci beccherà la pattuglia del controllo alcolemico”.
L'elfa sembrò arrendersi momentaneamente, mi chiese una sigaretta e se l'accese, cercando di distendere i nervi dopo la corsa.
Buttai fuori una voluta di fumo e respirai profondamente a mia volta. Quest'ultimo incontro ravvicinato con la morte mi aveva messo addosso un'ossimorica euforia, decisamente fuori luogo. Prima di rendermene conto stavo ridacchiando. Afferrai le due birre che il ragazzo di prima mi stava offrendo e ne porsi una all'elfa.
“Che cazzo hai da ridere?” mi domandò questa, secca. Era giustamente ancora con i nervi a fior di pelle.
“Sai Cla, ho notato che da quando ti ho conosciuta rischio la vita un giorno sì e un giorno no. Sei dannosa per la mia salute” le risposi.
L'elfa non rise, ma continuò a guardarmi in cagnesco.
“Finisci quella sigaretta e andiamo a riprendere la macchina” ordinò.
Come? Rimasi immobile, senza distogliere lo sguardo dal suo.
“Rhi, ti ho già spiegato-”
“Stronzate! Vuoi ricominciare a litigare? Porca puttana Rain!” esplose.
“Sei tu quella che ha voglia di litigare e infilarsi in ulteriori casini” le risposi, cercando di mantenere un tono pacato.
“No, Rain, tu vuoi restare qui sperando di trovare qualcuno che ti offra qualcosa da tirare ed io non ho intenzione di permettertelo. Non intendo chiudere un occhio, stasera, non ti permetterò di farti anche oggi!”.
Già. C'era anche quello, di problema, e la mia compagna di viaggio aveva colto nel segno. Seppur stessi cercando in tutti i modi di nasconderlo l'astinenza cominciava a farsi sentire di nuovo, più forte di prima.
“Muoviti” mi intimò lei.
“No”.
Decisamente non era la risposta più sensata da dare, in realtà aveva ragione: era più la voglia di cocaina a volermi far restare, piuttosto che l'evitare rischi.
“Rain, cazzo! Guarda che è la volta buona che ti meno. Vogliamo continuare o vuoi muovere quel fottuto culo una volta per tutte?!” esclamò.
Inspirai, cercando di calmare il demone che voleva risponderle a tono. Non servì a nulla.
“Sei tu quella che vuole discutere! Solo tu qui vuoi complicare le cose più di quanto già lo siano!” le dissi.
“Io mi sto solo preoccupando della tua salute” fece lei. Sembrava ferita, nel dire ciò. La voce dentro di me che insisteva per restare mi ricordò causticamente quanti millenni avesse avuto quell'elfa per affinare le sue doti d'attrice. Risposi di conseguenza.
“Stronzate!” le feci eco, “Non venirmi a dire che vuoi farmi da infermierina, perché col cazzo che ci credo. Potrebbe venire a dirmelo il primo ministro, Elessar redivivo, il fottutissimo Eru Ilùvatar disceso in terra che non ci crederei!”.
Ripresi fiato, per poi tornare all'attacco, sovrastando la debole protesta della mia compagna.
“Quello che veramente t'interessa è rimetterti a posto la coscienza, non credere che non l'abbia capito! È da quando sei andata a letto con quello zingaro che hai una cera da far paura e hai tirato su questa facciata ipocrita. Cosa può averti detto che già non sapevi?”.
Risi, senza alcuna traccia di gioia.
“Cosa c'è? T'ha detto che sei una troia? Che in tutti questi secoli tra le tue gambe sono passati così tanti uomini che neanche hai idea di quanti siano?! E adesso hai il coraggio di venire a farmi la predica?!”.
Stavo sbraitando, ormai, continuando a inveire contro i secoli del passato di Langrhibel, dando sfogo a tutta la rabbia che avevo dentro e descrivendola come la stronza della tradizione Haradrim.
La gente attorno ci fissava, ammutolita, mentre la musica continuava a suonare in sottofondo, riecheggiando vuota tra le persone.
L'elfa aveva abbassato gli occhi, ma poco dopo caricò il sinistro e in un attimo mi colpì. Fu talmente veloce che non ebbi neanche il tempo di vederla, sentii solo le sue nocche colpire il mio naso e l'ondata di dolore propagarsi da quest'ultimo, scuotendomi il cranio come una badilata.
Il demone in me fu altrettanto fulmineo nel reagire, ruggendo con istinto animale.
La colpii con la destra sul volto, il dorso della mia mano cozzò contro il suo zigomo, facendola cadere sulla sabbia.
“T'incazzi come se non lo sapessi!” continuai a ruggire “Come se fosse la prima volta che qualcuno te lo fa notare!”.
Ripresi fiato e l'animale dentro di me diede l'ultimo colpo:
“Perché credi che quel coglione di Zèfiro ti abbia lasciato?! L'aveva capito anche lui che razza di persona tu fossi!”.
La guardai rimanere accasciata a terra, con gli occhi bassi, i pugni serrati e le labbra schiuse che cercavano d'inspirare, senza riuscirci.
Poi, quando il mio sguardo incrociò quello di Langrhibel, come se colpito da una ventata gelida, da una secchiata d'acqua, ripresi il controllo di me stesso, ricacciando il demone della coca in un angolo nascosto della mente. Il dispiacere, la vergogna e l'incredulità per le mie azioni e le mie parole mi crollarono addosso come una cascata e, guardando in quelle iridi scure, percepii appieno tutto il dolore che Rhi aveva provato negli anni, secoli di dolore concentrati in un effimero momento. Provai ad inspirare ma fui io a non riuscirci, stavolta.
Volevo avvicinarmi, porgerle la mano, scusarmi, proteggerla da tutto il dolore passato e futuro, ma non riuscii a muovermi. Non quando ero io una delle cause.
“Claudia...” mormorai.
“No” rispose lei. Secca, distaccata, stava usando tutte le sue energie rimaste per non crollare su sé stessa come un castello di carte. La osservai rialzarsi e lanciarmi un'ultima occhiata carica di veleno.
“Hai ragione sul mio conto. Nulla di nuovo. Nulla che già non si sappia” disse.
Distolse lo sguardo, avviandosi verso il mare, mentre io mi rendevo conto solo ora del gusto metallico del sangue che mi colava dal naso sulle labbra. Rhi si fermò un attimo e, senza voltarsi, parlò ancora.
“Ma non t'azzardare a pronunciare il suo nome un'altra volta. Non vali neanche la metà di quello che valeva Zèfiro”.
L'elfa riprese a camminare, facendosi strada tra la folla che, confusa, si spostava al suo passaggio. La seguii con lo sguardo finché non fu sparita dietro la massa di persone.
Joder.

“Sta fermo, che ho quasi finito”.
Il ragazzo biondo mosse la piccola torcia e si chinò a guardarmi nelle narici, puntandomi il fascio di luce negli occhi.
“Okay, l'emorragia s'è fermata. Respira” ordinò. Espirai, senza troppa difficoltà, nonostante le gocce d'acqua che scorrevano per tutta la lunghezza del naso cadendo dalla punta. Lo straccio in cui era stato avvolto del ghiaccio ormai era zuppo e non conteneva più nulla, ma continuavo a tenerlo premuto sulla botta per automatismo.
“Bene, non c'è altro che posso fare. Un paio di giorni senza darci colpi e dovrebbe guarire senza problemi. La tua ragazza ha un ottimo sinistro, c'è poco da dire” disse il ragazzo. Un paio di persone l'avevano chiamato poco dopo che Rhi se n'era andata e lui m'aveva fatto cenno di seguirmi alla sua macchina, dicendomi di essere un infermiere.
“Puoi anche togliere lo straccio ora” aggiunse, riponendo la torcia nel bagagliaio e dandomi un'amichevole pacca sulla spalla.
Gli porsi lo straccio slavato e mi frugai nelle tasche cercando una sigaretta, offrendone una al ragazzo che la accettò.
“Andiamo a cercare una birra” biascicai, dopo avergli restituito l'accendino. Tentai un sorriso tenendo la sigaretta tra le labbra ma ottenni solo un mezzo sogghigno e la paglia mi cadde in terra.
“Un passo per volta mago, hai ancora i muscoli della faccia mezzi congelati” rise quello.
Ci infilammo di nuovo tra la folla, che aveva ripreso a festeggiare.

Sentii i polmoni contrarsi, tutta la muscolatura del torace doleva.
Cercai di ricostruire gli avvenimenti che mi avevano portato fino a quel punto. Con grandi difficoltà.
Dopo che il ragazzo mi aveva risistemato il naso ci eravamo di nuovo immersi nella folla. Avevo bevuto, e parecchio. Di questo ero certo.
Provai ad inspirare, riuscendo solo ad inghiottire una discreta quantità di sabbia.
Sabbia? Che ci facevo per terra? Quando ero caduto?
L'aria continuava a mancare.
Dopo i vari bicchieri, bevuti tenendomi il più lontano possibile dall'angolo dove sapevo essersi rintanata Rhi, avevo cominciato a chiacchierare con dei ragazzi.
Ero sbronzo come una scimmia.
Molto maturo Rain. Litighi platealmente con la tua donna e dopo decidi di ubriacarti.
Fanculo, ho ventisei anni. Posso ancora farle queste stronzate. E poi non è la mia donna.
Forse no, ma di certo il resto della gente qui ne è convinta. E da come vi state comportando ultimamente stai cominciando a convincere anche me.
Socchiusi gli occhi e osservai con un distacco morboso la mia mano destra. Tremava. Tremava come non mai.
Provai di nuovo ad inspirare, invano.
Dopo aver incrociato quei ragazzi cos'era successo?
Non lo sai, Rain? Vi siete drogati, e tanto. Questi non mi sembrano affatto sintomi di coma etilico.
La parola risuonò nella mia mente, mentre cercavo di coglierne appieno il significato.
Overdose.
Cazzo Zèf, è la volta buona che crepiamo veramente. Niente Langrhibel a salvarti, stavolta.
Mi resi conto del velo nero che m'era sceso davanti agli occhi. Ero certo fossero aperti, eppure non vedevo nulla. Anche l'udito, in effetti, sembrava aver smesso di funzionare.
Dei brividi mi pervasero tutto il corpo, rincorrendosi lungo la spina dorsale, un delirio di sensazioni contrastanti troppo veloci perché la mia mente, seppur accelerata dalla coca, potesse starci dietro.
Le interiora erano in fiamme, il cervello protestava per la mancanza di ossigeno, il cuore mi stava scoppiando.
Fanculo Zèfiro, riuscii a pensare, senza avere alcuna certezza riguardo a chi mi stessi rivolgendo.
Persi conoscenza.

Seduto al tavolino del bar-café Las Guarras di Umbar Eric spense la sigaretta per accendersene un'altra subito dopo.
Vidi il suo sguardo seguire le mie mani, mentre versavo il contenuto della bustina di zucchero nella tazzina e mescolavo il caffè.
“Bel lavoro, Zèf” mi disse, dopo aver espirato una voluta di fumo colorato nella mia direzione.
Fissai insistentemente le pietre del viale lastricato, in attesa che Eric continuasse. Visto il suo tono ero certo avesse molto da dire.
“Non ti bastava minacciare il re degli elfi, o farmi ammazzare, spezzando il cuore e la testa della mia sorellina, no. Dovevi crepare anche tu, prima di capirci qualcosa, nevvero?”. La totale mancanza di accusa nel suo tono di voce, la tranquillità permeante con cui aveva detto quelle parole, furono come un colpo dritto allo stomaco. Alzai gli occhi e mi trovai a fissare le iridi brune di Eric Navarro, che negli ultimi quasi dieci anni avevo chiamato Daniel Zoehead.
“Sono morto, dunque?” gli domandai.
“Nah. Non direi. Anche se probabilmente ci sei vicino. Ma prima toglimi una curiosità: come scopa l'elfa?” mi rispose, mostrando un sorriso identico a quello della sorella. Notai con la coda dell'occhio uno degli altri clienti lanciare un'occhiata verso di noi per poi tornare a dedicare la sua attenzione al piatto d'uva che aveva davanti.
Joder Eric, ti sembra il momento?! E, comunque, ancora non me la sono portata a letto”.
“Però speri di farlo presto, verdad?”.
“Comincio a credere avrei preferito la iena” borbottai.
Bevvi il mio caffè, guardandomi attorno. Eravamo in una delle ramblas della Città dei Corsari, su questo non avevo dubbi, ma il tutto era pervaso dalla sensazione di un qualcosa che non andava. C'era qualcosa fuori posto in tutto ciò. Girandomi incrociai lo sguardo del moro con l'uva che mi notò e ghignò. Gli feci un cenno con il capo e tornai a rivolgermi verso Eric, dopo un sospiro.
“Dunque ci siamo” dissi “il giro di boa”.
“Direi di sì. Seriamente Zèf, pensa a quanto bene ti abbia fatto la cocaina in questi ultimi tempi”.
Riflettei, mentre un'altra nube di fumo dai colori cangianti mi avvolgeva. L'immagine di Rhi che mi puntava il fucile in faccia mi tornò in mente per l'ennesima volta.
“Sarà dura, lo sai” fece Eric, spegnendo la seconda sigaretta.
“Lo so. Ma è giunto il momento di scogliere il nodo, di lasciare la strada delle lucciole, il prima possibile, e riprendere il comando della mia vita per fare finalmente qualcosa di buono” dissi. La strada delle lucciole?! Non bastava far battute pompose da politico in campagna elettorale, mi perdevo anche in metafore bizzarre ora.
“Complimenti Zèf, il perfetto politico” mi disse Eric, notando la mia confusione. Rise quella sua risata cristallina e priva di preoccupazioni. Sentii il nodo alla gola stringersi.
Era anche il momento delle cose ancora non dette.
“Lo sai... lo sai che mi dispiace...” riuscii a dire, prima che la voce mi morisse in gola.
“Lo so Zèf. Non ti preoccupare. Prenditi cura di mia sorella se puoi, ma per il resto todo está bien, hermano”.
Chinai il capo, sentendo le mani di Eric poggiarsi sulle mie spalle.
“E ora, Zèfiro, respira”.

La prima cosa fu l'odore dei suoi capelli, seguito da un tocco gentile lungo il mio fianco destro. La mano esile s'infilò nella mia tasca, estraendo il pacchetto di sigarette. Sentii l'elfa muoversi e rimasi in ascolto.
“L'accendino è nel pacchetto” mormorai, con voce roca. La notte passata non mi aveva fatto bene.
Socchiusi gli occhi e rimasi a fissare il cielo violetto rischiarato dalle prime luci dell'alba. Il fumo della sigaretta di Rhi ondeggiava sopra di me.
Decisi di rischiare e mi tirai su in posizione seduto. Varie fitte di dolore mi attraversarono il petto.
Ero a pezzi.
Inspirai, a pieni polmoni, un misto di aria salmastra, umidità mattiniera, nicotina e capelli di Langrhibel mi colpì le narici.
“Credevo te ne fossi andata” provai a dire, dopo che il mondo ebbe smesso di girare.
L'elfa ridacchiò, tra i colpi di tosse. Non avevo ancora trovato il coraggio di guardarla.
“Ci ho provato. Ma sono svenuta in riva al mare” asserì lei, laconica.
“Svenuta?”.
“Sì”.
Tacqui. Sembrava non fosse stata una buona notte per nessuno dei due. L'elfa tossì, facendo un rumore pessimo. Mi voltai verso di lei.
Era pallida, più del solito, la pelle umida di sudore e due borse sotto gli occhi da far paura a un cadavere.
“Cos'hai?” le chiesi, finalmente incrociando i suoi occhi scuri. Subito distolse lo sguardo, concentrandosi sullo spegnere il mozzicone nella sabbia. Alzai la mano e le sfiorai leggermente la guancia e la fronte imperlata di sudore freddo.
“Scotti” riuscii a dire.
“Ho la febbre, Rain” mi disse, piatta.
“Gli elfi non si ammalano, Claudia”. Lei sbuffò.
Quest'elfa sì, a quanto pare. E non chiamarmi Claudia, non è quello il mio nome” ribatté, stizzita.
Rimasi in silenzio, riprendendo a fissare il mare. L'unico rumore l'infrangersi delle onde sul bagnasciuga e il nostro respiro irregolare. Mi stesi di nuovo sulla sabbia, osservando il lilla del cielo sfumare in un ceruleo sempre più intenso, come solo le giornate di sole sul mare possono avere.
Una nuova alba. Un nuovo giorno. Un nuovo respiro.
“Sono andato in overdose, Rhi” sussurrai, certo che l'udito fine della mia compagna le avrebbe permesso di sentirmi.
“Lo so Rain. Mi ha svegliato il ragazzo che ti ha salvato, l'infermiere. Mi ha detto che ha dovuto imbottirti di farmaci per contrastare la coca e l'arresto cardiaco”.
Inspirai un'altra volta, cercando di sistemare i pezzi nella mia mente. Eric aveva ragione. C'era mancato poco, veramente poco, che crepassi anch'io, e in maniera decisamente indegna, per lo più. Espirai, tornando a guardare Langrhibel.
“Basta. Devo smettere, con la droga. Giuro che appena ci riesco mi alzo e mi compro due stecche di sigarette, ma debbo assolutamente stare lontano dalla cocaina, d'ora in poi”.
L'elfa accennò un debole sorriso.
“Prendine una anche per me, Rain, non posso continuare a scroccartele per tutto il viaggio”.
Abbozzai un sorriso anch'io, troppo stanco per ridere. Poi mi resi conto di quello che mi aveva appena detto.
“Non... non vuoi più andartene?” le chiesi. Le parole di ieri sera stavano cominciando a ritornare a galla, assieme a tutto il rimorso del mattino seguente.
“E fidarmi dei tuoi buoni propositi? Ormai Rain ti conosco abbastanza” rispose lei, mostrandomi un altro dei suoi sorrisetti irriverenti. Avrei voluto poterla prendere con leggerezza, lasciare che questi dettagli continuassero ad essere indefiniti, ma non potevo.
“Perché t'interessi così tanto di quello che faccio, Rhi? Seriamente, stavolta” dissi, sperando di non suonare aggressivo.
Guardati Rain, nello stato in cui sei è più aggressivo un gattino.
“Mi... mi hanno chiesto di proteggerti. Beh, Zaal me lo ha chiesto” disse lei. La mia domanda l'aveva messa decisamente a disagio, lo si poteva percepire nell'aria, ma la risposta era sincera.
“E non puoi dirmi il perché, giusto?”.
Rhi annuì. Rimasi a guardarla, decidendo che per ora tanto mi bastava. Non eravamo nello stato per rischiare un'altra discussione. Ma c'era ancora un punto su cui volevo chiarezza.
“Solo questo? Se vuoi venire con me solo per dovere allora puoi scordartelo” le dissi.
“No Rain... cazzo! Voglio venire con te perché ci sto bene... ormai ci tengo a te. Riesci a credermi, se ti dico che mi sono affezionata a te? O preferiresti che mentissi?” mi rispose lei, inalberandosi leggermente. La mia supposizione l'aveva quasi ferita.
“No Rhi” ripresi, rilassandomi “Non voglio che tu mi menta. Vorrei che fosse solo questo il motivo, senza secondi fini, doveri o quant'altro”. Mi rimisi a sedere, muovendo gli occhi sulla spiaggia deserta. L'elfa al mio fianco tremava, avvolta nella coperta che le avevano dato, forse per il freddo, forse per il nodo che anche lei sembrava aver raggiunto.
“Lo sai cosa mi ha detto lo zingaro? Quello stronzo di Alfred?” mormorò poi. Riprese senza attendere la mia risposta:
“Che non sono più capace di amare. Fredda. Sterile”.
L'elfa chinò il capo, nascondendosi dietro alle ciocche di capelli corti.
Passai il braccio attorno alle sue spalle, senza dire nulla, e la strinsi lievemente a me. Rhi si lasciò abbracciare, appoggiandosi alla mia spalla, e rimanemmo fermi in quella posizione per lunghi minuti.
“Gli credi?” dissi poi. Non le lasciai il tempo di rispondere e ripresi la parola.
“Siamo arrivati al mare e al nodo. Te sei la prima elfa della storia a prendersi una febbre con i fiocchi ed io quasi quasi mi ammazzo a forza di tirar su merda con il naso. Penso sia giunto il momento di trarre qualche conclusione”.
Rhi si strinse nel mio abbraccio, attendendo che continuassi a parlare.
“Io la mia scelta l'ho fatta. Non riuscirò mai a servire la causa per la quale ho passato la mia vita a lottare se continuo a rischiare la morte drogandomi. Voglio fare del bene, invece. E tu anche hai raggiunto la boa. Devi decidere se girarci attorno e prendere la nuova direzione o restare sulla tua strada” le dissi.
La mia compagna rimase in silenzio per un attimo interminabile, per poi mugugnare un Non lo so poco convinto.
“Fortuna che sono qua allora, perché lo so io per te. Se decidi di continuare per questa strada non cambierà mai nulla. Ci marcirai in questo schifo, fino a diventare veramente l'essere freddo e sterile di cui parlava quell'infame di un esterling. Oppure puoi cambiare. Scegli, Rhi, vivere o morire?” le dissi. La sentii prendere un respiro profondo, e si voltò a guardarmi con gli occhi che rilucevano di Ere passate. Mi sorrise.
“Vivere, Rain, voglio vivere”.
Le sorrisi a mia volta, finalmente sentendo il peso della notte passata sollevarsi dalle mie spalle.
“E allora possiamo essere amici, Langrhibel. Prendiamo la strada della guarigione assieme, lontano dai cancri di Nuova Gondor almeno finché non ci saremo liberati dei nostri. Sii la mia compagna di viaggio ed io sarò il tuo. Hai la mia fiducia, Rhi, e so che anche tu vuoi ricominciare a respirare”.
La vidi perdersi per un momento nelle mie iridi, per poi girarsi, accoccolata contro il mio petto, a fissare le onde leggere rompersi sulla riva.
“Ti porto al Nord, Rain. Ai Porti Grigi” mi disse.
Le baciai leggermente la testa, immergendomi di nuovo nell'odore dei suoi capelli, della salsedine, della sabbia e della vita.
Infreddoliti, accartocciati, stretti assieme e tremanti, seduti su una spiaggia deserta, finalmente entrambi respirammo di nuovo.








Note d'Autore
E ce l'abbiamo finalmente fatta! Capitolo pesante, questo, che ha causato per le sue tematiche quest'orrendo ritardo nella scrittura. Non mi piace alzare la voce, figurarsi litigare, quindi non è stato facile far discutere i nostri protagonisti. Poi l'overdose, joder l'overdose. Tra l'altro, solito disclaimer: NON DROGATEVI. Fa male.
Insomma, poco da aggiungere, speriamo che il prossimo arrivi presto
Adiòs.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - Stecca ***



Capitolo 11 - Stecca

Quella sera avevo già finito metà della prima stecca di sigarette, pur avendo dormito per la maggior parte della giornata.
Joder se avevo ancora una grandissima voglia di farmi.


















Note d'autore
E speriamo di non metterci tre mesi anche per il numero dodici.


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Capitolo 12
*** Capitolo 12 - Rottami ***




Capitolo 12 - Rottami

Mi svegliai in preda ai sudori freddi, dimenandomi sotto le lenzuola zuppe, il respiro corto e il battito cardiaco frenetico.
Attesi qualche momento, mentre i miei occhi si abituavano al buio, finché guardandomi attorno non riconobbi la stanza dell'ostello dove ci eravamo fermati.
Calma Rain.
Eravamo ancora a Calengaer, in una pensione ai margini del centro storico gestita da una vecchia quasi cieca e completamente eclissata dal resto del mondo. Avevamo deciso di restare in città e prenderci un paio di giorni per rimetterci in sesto, aspettando che le milizie si allontanassero dai dintorni nella loro ricerca.
Eravamo entrambi a pezzi.
Mi rilassai di nuovo, ascoltando il leggero respirare di Rhi al mio fianco. Posai delicatamente la mano sulla sua fronte, sperando di non svegliarla. Come sospettavo scottava, ancora nel pieno della febbre. Tolsi la mano e mi voltai dall'altro lato, cercando di riaddormentarmi.
Mi svegliai qualche ora dopo, con i primi raggi del sole che filtravano dalle tende. La testa doleva, probabilmente per il poco sonno discontinuo e per il malessere generale degli ultimi giorni.
Oppure Rhi mi aveva passato la sua febbre.
Sbadigliando mi alzai e andai a chiudere le persiane, facendo ripiombare la stanza nell'oscurità. Era meglio che Rhi dormisse il più possibile. Mi diressi verso il bagno e dopo una breve doccia fredda mi ritrovai a fissare il mio riflesso nello specchio, senza quasi riconoscermi.
Gli occhi erano iniettati di sangue e cerchiati da occhiaie non indifferenti, il volto stesso sembrava più smunto e le guance erano ormai ricoperte da una barba che avevo cominciato a trascurare qualche settimana prima dicendomi fosse solo un'ombra. E le ragazzine appendono i poster della mia faccia nelle loro camere?
Sospirando presi il rasoio, pensando almeno di darmi un aspetto più sano, ma mi bloccai a metà gesto. Dopotutto il mio identikit era stato preso da foto promozionali e finché saremmo rimasti entro i confini di Nuova Gondor era meglio non assomigliarci troppo. Certo, un po' di barba e degli occhi da morto vivente non avevano fregato molta gente fino ad ora, ma forse finalmente avrebbero giocato a mio favore.
Uscii dal bagno cercando di non far rumore per poi dirigermi fuori dalla stanza.

Le strade di Calengaer erano vive anche nelle prime ore della giornata, specialmente nel centro storico.
C'era un mercato poco lontano dall'ostello, dove riuscii a bere un caffè e a comprare un po' di cibo, confondendomi tra la folla che riempiva le strade lastricate. Gente normale, che s'era presa la mattinata per girare tra le bancarelle o per vendere sbraitando i propri prodotti. Secoli di avanzamenti tecnologici non cambieranno mai certi aspetti dell'animo umano, mi dissi, sogghignando, mentre alla mia destra un tipo sulla cinquantina gridava frasi sconnesse sulla qualità della sua frutta.
Continuai a camminare per la strada, cercando di sembrare il più inconspicuo possibile ma mantenendo comunque una certa accortezza.
Guardandomi attorno notai in lontananza l'insegna che cercavo e allungai il passo, dirigendomi verso la farmacia.
A differenza delle strade questa era vuota se non per la ragazza dietro al bancone. Al suono della porta la commessa alzò gli occhi dalla rivista che stava leggendo.
“Posso aiutarla?” mi domandò.
“Sì, grazie. La mia ragazza s'è presa una brutta febbre, volevo sapere se avevate qualcosa per fargliela passare presto. Sa, è la nostra prima vacanza e le dispiace molto essere bloccata a letto” risposi, recitando la parte del fidanzato apprensivo. Tre minuti e qualche chiacchiera di rito dopo uscii con una scatola di pillole nel sacchetto della spesa, dirigendomi di nuovo verso l'ostello.
Una volta giunto in camera mi spogliai di nuovo e presi una penna ed un foglietto di carta.

Spero tu stia meglio, comunque ho preso un po' di frutta e delle pasticche per la tua febbre. Ti consiglio fortemente di provare almeno a prenderne una.
Fuori la situazione sembra starsi tranquillizzando, ma non rischierei la partenza oggi. Ci conviene aspettare ancora un po'. Forse domani.
Se sto ancora dormendo quando ti svegli ti prego di lasciarmi là, che ho passato una notte poco riposante.


Mi fermai, pensando ad una conclusione degna per il mio biglietto. Sospirando mi resi conto di quanto mi stessi complicando la mente per una cosa così semplice, dopotutto mi avrebbe trovato nello stesso letto, non ancora perso chissà dove nei vicoli di questa città. Fossi stato più furbo avrei dovuto lasciarle due righe prima di uscire.
Firmai il biglietto e, dopo averci poggiato sopra la scatola di medicinali, mi stesi di nuovo sul letto, crollando poco dopo.

Dormii bene, finalmente, per qualche ora di fila e senza sogni a disturbare la mia quiete. Mi svegliai decisamente più riposato di quanto lo fossi quella mattina, in un letto vuoto e con il rumore della doccia in sottofondo.
Notai con piacere che le pasticche non erano più sopra il comodino e che parte del cibo era stata mangiata.
Mangiai qualcosa a mia volta, facendo un pigro zapping tra i vari canali della piccola televisione della stanza, senza trovare nulla d'interessante. Sarà stata l'estate, l'ora, o entrambe, ma sembrava che tutti i canali si fossero messi d'accordo per mandare repliche di serie televisive di una ventina d'anni prima.
Nonostante ciò lasciai la televisione accesa, giusto per distrarre la mente dai pensieri attuali.
Presto l'episodio finì e cominciò un film di fantascienza di serie B, di quelli con le persone travestite da mostro squamoso che devastano città di polistirolo. Questo era particolarmente pessimo in quanto si notava palesemente che le macchine fossero giocattoli e spesso -forse avevano usato dei cartoncini troppo rigidi- i grattacieli rimanevano in piedi su una sola parete dopo gli attacchi del mostro.
Mi alzai e mi affacciai alla finestra. La città, nonostante la calura, non sembrava essersi minimamente stancata e le strade erano se possibile ancor più gremite di persone. Fumai una sigaretta, osservando la gente passare, per poi guardare l'ora. Non sapevo quando Rhi fosse entrata nella doccia ma era passata almeno un'ora da quando m'ero alzato.
Spensi il mozzicone e mi diressi verso il bagno.
“Rhi?” chiamai, bussando.
Nessuna risposta, solo il rumore dell'acqua che continuava a scorrere. Che si fosse addormentata? Impossibile, quel bagno è così piccolo che sfido chiunque a trovare il modo di stendersi per terra.
“Rhi, sei là dentro da un'ora. Presto la vecchia non avrà più acqua per lavare i piatti” le dissi.
Ancora silenzio, neanche una mezza risata beffarda. Forse s'era infilata in una sorta di meditazione zen elfica e non poteva sentirmi.
“Come vuoi, tanto l'acquedotto è di proprietà dello Stato”.
Tornai a letto, godendomi il finale del film in cui una sorta di guardiani spaziali arrestavano e mettevano in una gabbia troppo piccola il losco figuro incappucciato che, da quel che avevo capito, aveva spedito il mostro a distruggere la città.
Sospirando per la pessima qualità del film spensi la TV e mi stesi di nuovo a fissare il soffitto.

Passò un'altra ora quando finalmente cominciai a preoccuparmi seriamente.
“Rhi! Sono passate due ore, stai bene?” domandai, bussando di nuovo sulla porta del bagno.
Di nuovo nessuna risposta. Joder.
Spalancai la porta e trovai l'elfa accasciata in terra sul piatto della doccia, con l'acqua che continuava a scorrerle addosso.
Chiusi il rubinetto e mi accovacciai al suo fianco, tirandola su e poggiandola contro la mia spalla. Era cosciente, da quel che potevo vedere, ma non stava affatto bene.
La guardai negli occhi e lei mi fece capire, rantolando, di non riuscire a respirare.
Senza perdere un momento le tappai il naso e poggiai le labbra sulle sue, espirando dell'aria nei suoi polmoni con lo stesso incantesimo di qualche notte prima. Mi staccai da lei, lasciandole libero il naso. Rantolò di nuovo, anche se con più convinzione, senza interrompere il contatto visivo. Ripetei l'operazione un'altra volta e Rhi espirò, per poi inspirare a pieni polmoni senza il mio aiuto. Continuai a sorreggerla finché il suo respiro non si fu regolarizzato, per poi sollevarla e portarla in camera, facendola distendere sul letto. Tornai in bagno a prendere un asciugamano e cominciai ad asciugarle il corpo ancora zuppo d'acqua.
“Soffri d'asma?” le domandai, passandole l'asciugamano sulle gambe.
“Che? Non so neanche cosa sia, Rain” mi rispose. Il suo tono caustico mi tranquillizzò non poco: se poteva permettersi di sprecare energie nell'essere acida significava che il peggio era passato.
“Respiri bene, non hai problemi? In generale, dico” le chiesi di nuovo, passando all'inguine e allo stomaco.
“Sì”.
Continuai ad asciugarla, salendo verso il busto e le spalle.
“L'hai presa la medicina?” le chiesi, tornando a guardarla negli occhi.
Mi rivolse un sorrisetto colpevole che spazzò via gli ultimi stralci di preoccupazione. Le sorrisi di rimando, mio malgrado.
“Sei incorreggibile, lo sai?” dissi, facendola voltare per asciugarle la schiena.
“E soprattutto” continuai, cominciando a tamponarle delicatamente i capelli, “non sai minimamente badare a te stessa”. L'elfa sbuffò.
“Proprio tu mi fai la predica...” rispose. Ma a differenza delle altre volte non c'era alcuna accusa nelle sue parole. Anzi, poco dopo ridacchiò.
Cambiai le lenzuola umide del letto e la rimboccai sotto una coperta, nonostante le sue proteste. Rhi continuava a sorridermi, prendendomi bonariamente in giro per il mio zelo nell'occuparmi di lei.
“Ridi, ridi, elfa dei miei stivali” le sussurrai, poco dopo “ma di certo c'è che ora prendo una di quelle pasticche e te la faccio ingoiare a forza, se necessario”.
“Oh no” disse lei, schernendomi ancora.
“Oh sì” le feci di rimando. Mi avviai verso il bagno ma mi fermai dopo due passi, sentendola muoversi.
“Dove credi di andare?! Ferma lì, buona, non provare a muoverti” le dissi, agitando l'indice nella sua direzione. Rhi mi sorrise, sconfitta.
“Va bene”.

Fluttuavo.
Attorno a me c'era un totale e impenetrabile biancore.
Sembravo uscito da un fumetto, per quanto la mia pelle contrastava con il biancore dello sfondo.
Il totale vuoto.
E pian piano ci stavo affogando dentro.

“CAZZO!”.
L'imprecazione riecheggiò nella stanza buia dell'ostello.
Ero seduto, di nuovo... immerso sarebbe la parola più adatta, nel mio sudore, mentre i polmoni cercavano di prendere boccate dell'aria che il mio cervello gli aveva negato fino a poco prima.
Decisamente 'Cazzo!'.
Porca puttana.
Joder.
JODER!.
Calmati Rain, per amor dei Valar, calmati!
Col cazzo che mi calmo. Porca puttana, vorrei poter passare una notte di sonno decente.
È divertente avere due linee di pensiero contrastanti nella propria mente e notare quasi da un punto di vista esterno come entrambe suonino pericolosamente allarmate. Un pessimo segnale, molto pessimo, ma divertente.
“Rain?”.
La voce assonnata di Rhi mi distolse dal mondo contorto dentro la mia testa riportandomi sul piano fisico del mondo. Stavo ancora ansimando, tenendomi la faccia tra le mani e tremando. A breve avrei cominciato a singhiozzare, probabilmente.
“Rain stai bene?” domandò.
Mi ci vollero un altro paio di respiri profondi per riuscire a risponderle.
“Nulla. Un incubo. Un...”.
“Un incubo?”.
Sì Rain.
Solo un incubo. Un brutto sogno. Senza Dan, senza Zaal, senza Rhi con le tette al vento -ehi, era un movimento là sotto quello? Cos'è, la libido ha smesso di scioperare?- senza NIENTE.
Solo te.
Solo...
“Un...”.
“Rain? Un... cosa?”.
Cazzo. Non ce la faccio più. Ho bisogno. Ho fottuto bisogno.
“Ho bisogno...”.
Di?
“...bisogno di...”.
Joder, questa non è la mossa giusta Rain, sta' zitto, cazzo, sta' zitto!
Troppo tardi.
“Hai bisogno di...? Di cosa Rain? Avanti, dillo”. Rhi aveva smesso di preoccuparsi ed era subentrata la vena acida, probabilmente seccata dall'essere stata svegliata nel cuore della notte da un tossicomane in astinenza.
L'elfa accese la luce e mi voltai a guardarla con occhi vitrei. Rhi si coprì il seno con il lenzuolo e continuò a fissarmi.
Chiusi gli occhi e li riaprii, mettendo meglio a fuoco i suoi lineamenti.
“No”.
“No?”.
“No. Non ho bisogno di nulla”.
Mi stesi di nuovo, afferrando un lembo della coperta, per poi darle le spalle.
Non può andare avanti così, Rain.
È l'unica strada. O così o niente.
Sentii la mano dell'elfa posarsi delicatamente sulla mia spalla.
“Ce la fai?”.
“No”.
No Rhi. Mi dispiace. Non ce la faccio. E continuerò a svegliarti per parecchie notti, di questo passo.
Mi voltai sulla schiena, a fissare il soffitto. Con la coda dell'occhio notai che Rhi s'era sistemata su un fianco, appoggiata su un gomito. Era tornata la preoccupazione nel suo sguardo.
La guardai negli occhi, senza dire nulla. Non volevo parlare eppure c'era molto che volevo dirle.
“Posso fare qualcosa per te?” mi domandò.
Continuai a guardarla, in silenzio. Sembrava anche lei combattuta.
Non c'è nulla che tu possa fare tesoro mio, a meno che tu non sappia come disintossicarmi istantaneamente o come distrarmi abbastanza a lungo.
Puoi continuare a parlarmi, se vuoi, o a guardarmi, ma perché io stia veramente bene ci vorrà tempo.
Volevo dirglielo, volevo ringraziarla, volevo semplicemente poterle mostrare il subbuglio di emozioni contrastanti in cui si trovava il mio io in quel momento. Ma non dissi nulla.
Distolsi lo sguardo, facendolo scorrere sul suo collo e sul suo braccio, per poi fissare lo spazio vuoto tra noi due.
Volevo stringerla, volevo baciarla, volevo inebriarmi del suo odore, del suo gusto, volevo immergermi in un mondo in cui esistevamo solo lei ed io. Ma non feci nulla. Non riuscivo a muovermi, ero completamente immobile e con gli occhi fissi sul cuscino.
L'elfa mi poggiò la mano sulla guancia.
“Vuoi un bacio, Rain?”.
Le sorrisi.
Rhi si chinò su di me ed io posi una mano sulla sua nuca e l'altra ad accarezzarle la schiena.
Le nostre labbra si unirono ed io respirai quel vortice di tabacco, cannella, miele e caffè che era il suo sapore, il suo aroma. Le lingue s'intrecciarono e lei si appoggiò meglio sopra di me, facendomi rabbrividire al contatto della sua pelle morbida contro la mia.
La desideravo.
Rhi si staccò da me per fissarmi un altro infinito istante. Incerta, confusa, eccitata, dolce, insicura, decisa. Si accoccolò sul mio petto, stringendosi a me e premendomi un capezzolo inturgidito, forse per la febbre ed il freddo, forse per l'eccitazione, contro il fianco, mentre io passavo distrattamente una mano tra i suoi capelli.
Ci addormentammo così, stretti l'uno all'altra, ascoltando il nostro reciproco respirare finalmente calmo.

La mattina dopo partimmo.
Io ero riuscito a dormire bene e la febbre di Rhi s'era leggermente abbassata, abbastanza da convincerci che avremmo potuto tentare. E sì, eravamo anche stufi dopo due giorni confinati nella stanza dell'ostello.
Presi una statale che s'inoltrava nell'entroterra del Minhiriath, passando per zone per lo più disabitate. Forse avremmo fatto meglio a tenerci su strade più trafficate, ma non avevo assolutamente voglia di litigare con altri automobilisti e non me la sentivo di infilarmi in autostrada.
La scena era cambiata. Rhi dormiva sul sedile del passeggero, imbottita di paracetamolo, Pan dormiva sul sedile posteriore, dopo essersi creata un nido in mezzo ai bagagli, la radio era spenta per non disturbarle e la strada vuota si stendeva davanti a me.
Ed io continuavo a pensare a lei.
Cos'era stato, quel momento?
Continuavo a non averne idea.
E le altre volte?
Le altre volte era diverso. Era... non lo so. Non ho idea neanche di cosa fossero stati quegli altri momenti, ma sicuramente qualcosa di diverso.
Sospirai e frugai nella tasca della camicia.
La sigaretta Gondoriana aveva un gusto più pieno e graffiante delle sigarette Haradrim che ero abituato a fumare, ma non per questo non faceva il suo lavoro di distruggermi i polmoni e mandarmi della nicotina in circolo.
Abbassai un po' il finestrino ed espirai una voluta di fumo.
Ero certo, come non mai, che Rhi ed io avremmo fatto l'amore. Glielo avevo detto e continuavo a crederci.
Ieri sera... ieri sera c'era. Qualcosa. Non so cosa. Ma qualcosa c'era. Joder. Cosa?
Ottima domanda.
Amore? Probabilmente c'era anche quello. Forse. Non lo so.
Mai stato così... romantico? Rain, ripigliati. Sei -ero- a capo di un movimento di ribellione contro un regime oppressivo e stai pensando di scopare -far l'amore- con il contatto di un'altra cella ribelle. Cosa c'è di più romantico?
Non hai tutti i torti.
Lo so. Ora se non ti dispiace scuoti la cenere prima di fartela cadere sui jeans e dammi un'altra boccata di nicotina.
Feci come il mio cervello domandava ed inspirai un altro tiro, dopo aver scosso la cenere fuori del finestrino.
Finii di fumare in silenzio, senza che la strada cambiasse e senza intrattenere altre discussioni con la mia mente.
Un'elfa febbricitante, un mago con le crisi d'astinenza e un gatto che fa le fusa tra chitarra e zaini.
Bel quadretto.
“Ehi...”.
Sorrisi, senza togliere gli occhi dalla strada.
“Ben svegliata. Dormito bene?”.
“Mh... sì. Ho fame, c'è del cibo? Dove siamo? E perché la radio è spenta?”.
“Una domanda per volta Rhi” le risposi, ridacchiando. La notai sorridere a sua volta con la coda dell'occhio.
“Allora, siamo nel pieno del Minhiriath, mancheranno ancora un centinaio di miglia al confine, quindi non credo riusciremo a passare il confine entro oggi. Se hai fame c'è qualcosa della spesa di ieri nel sacchetto accanto a Pan, dietro, prendi pure tutto e fruga dentro a piacere. E ricordati di bere, che se ti disidrati finirai ancora peggio” continuai a dirle. La vidi fare una smorfia e fare il verso alla mia ultima frase con aria scocciata. Poi ridacchiò di nuovo.
“Rain, ho viaggiato in lungo e in largo per l'Harad negli ultimi secoli, conosco bene i rischi della disidratazione” mi disse poi.
“Va bene. Comunque per quanto riguarda la radio non l'ho accesa per non svegliarti, se vuoi un po' di musica accendila pure”.
L'elfa si mise ad armeggiare con la manopola della frequenza, con ancora mezzo cracker che le spuntava dalla bocca. Trovò una stazione di Rock classico e si dichiarò soddisfatta, mandando briciole su tutto il sedile.
Continuai ad osservarla mentre beveva qualche sorso d'acqua -penso più per tranquillizzare me che per necessità effettiva- per poi allungare il braccio verso la mia tempia e fregarmi gli occhiali da sole.
“Ci rinuncio Rhi” dissi “Tienili pure, sono tuoi ormai”. Rhi esultò e si rannicchiò di nuovo sul sedile.
Continuammo verso Nord-Ovest per un'altra ventina di miglia quando la situazione cambiò.
Fu Pan la prima a sentirli. Saltò dal sedile posteriore sulle gambe di Rhi e si mise a fissare fuori, verso Nord, miagolando una protesta. Rhi se ne accorse poco dopo e ci volle una decina di secondi in più perché lo sentissi anch'io.
Elicotteri.
Accostai sul ciglio della strada e strinsi gli occhi, cercando di mettere meglio a fuoco i due puntini lontani.
Si stavano avvicinando alla strada, ma non venivano direttamente verso di noi. Stavano cacciando qualcosa o qualcuno, a giudicare da quanto volavano basso.
“Questa non me l'aspettavo...” mormorò Rhi al mio fianco.
Scendemmo dall'auto, continuando a fissare i due mezzi.
Ormai vedevo chiaramente anche io che si trattava di due elicotteri delle milizie, le armi spianate e i musi inclinati di quarantacinque gradi. Stavano inseguendo qualcuno, ma ancora non erano a portata di tiro.
Mossi lo sguardo verso il basso ma in quel momento fui momentaneamente accecato da un lampo che investì uno dei due velivoli. L'elicottero non subì danni, ma fu il lampo in sé a confondermi ancor di più. Era partito da terra e non era certamente naturale.
Eppure non è un mago di Luce, non così... a meno che...
“Rhi! Quella non era magia Elementale” dissi.
L'elfa al mio fianco stava ghignando.
“No. Oh no. Quella era magia Bianca”.
“Magia Bianca?! Ma non è possibile, è prerogativa degli Istar e di cinque di cui si sa tre sono morti e due son tornati indietro!”.
“A quanto pare no. Ne ero convinta anch'io, sai, che fosse tornato indietro anche lui. Ma a quanto pare no”.
Uno stormo di corvi si levò dal bosco alla nostra destra, cominciando a volare frettolosamente verso uno degli elicotteri.
Notai la figura di un vecchio correre con sorprendente agilità verso la nostra direzione, mentre gli elicotteri viravano per seguirlo.
Rhi fremeva, vedevo chiaramente che stava per fare una delle sue mosse azzardate e stupide. Cazzo Rhi, hai trentotto di febbre, sei disarmata e ieri non sei neanche riuscita a farti una doccia, non pensare neanche di muoverti da qui.
La presi per il polso.
“Aspetta”. Ghignai a mia volta.
Inspirai profondamente, chiudendo gli occhi, e quando li riaprii ero pronto. Percepivo sulla mia pelle ogni minima variazione e corrente dell'aria e del vento, l'aria mossa dalle pale degli elicotteri, il frenetico battere d'ali dei corvi, la brezza lieve che proveniva da Sud.
Concentrai le correnti di aria calda e fredda in un punto poco più a Est delle milizie. Riuscivo a vedere i venti che, ululando come non mai, cominciavano a cozzare tra di loro, in un turbinio di temperature e direzioni differenti.
Ero vagamente conscio di Rhi, di fronte a me, che mi teneva le mani.
Sdoppiato, ancora una volta, mi immersi completamente nel flusso della magia, dando finalmente vita al tornado, che cominciò a muoversi inesorabilmente verso gli elicotteri.
I miliziani provarono ad allontanarsi, rinunciando all'inseguimento per salvarsi la pelle, ma era già troppo tardi. Il primo elicottero fu catturato dalle spire del mio tornado e completamente inghiottito, prima che mi venissero meno le forze per mantenere l'incantesimo.
Vale Rain, forse non è stata una buona idea un incantesimo così drenante dopo gli ultimi giorni.
Mi resi conto di essere inginocchiato in terra, ma mi rialzai in un momento, aiutato da Rhi.
“Ce la fai, biondo?”.
“Più o meno”.
Vidi il mio tornado dissolversi e il primo elicottero schiantarsi in terra qualche miglio più in là. Il secondo era rimasto intoccato e aveva deciso di riprendere l'inseguimento.
Inspirai di nuovo, pronto a rievocare il tornado, quando sentii la voce del vecchio tuonare nell'aria. L'elfa si agitò, riuscendo a capire le parole, e mi piantò una mano sugli occhi.
“Chiudi gli occhi Rain, cazzo! Chiudili subito!”.
Feci come mi diceva, serrando le palpebre sotto la sua mano. Nonostante gli occhi chiusi percepii comunque la vampata di luce causata dall'incantesimo del vecchio, e solo quando udii lo schianto del secondo elicottero decisi che era sicuro riaprirli.
Joder...” mormorai.
Rhi sembrò perdere l'equilibrio.
“Andiamo, dobbiamo raggiungere il vecchio” le dissi.
“Cazzo Rain, non ci vedo!”.
“Come non ci vedi?! Che significa?!”. Oh no. Oh no. I Valar han deciso di cagarmi in testa un'altra volta, parrebbe.
“Significa che non ci vedo! Cazzo!” mi rispose Rhi, stizzita. Inciampò e si ritrovò seduta in terra.
Le presi il volto tra le mani, fissandola negli occhi. Non notai alcun cambiamento, alcun segno visibile che le fosse successo qualcosa.
Cazzo.
“L'incantesimo del vecchio?” le domandai. Lei mi scostò, irritata, per poi annuire.
Le presi leggermente la mano, aiutandola ad alzarsi.
“Vieni, probabilmente il vecchio saprà cosa fare” le dissi, cercando di rincuorare entrambi.
“Non sono poi così vecchio, ragazzo!” fece una voce alle nostre spalle. Rauca e calda, la classica voce di chi in vita ha fumato troppo, ma alquanto gioviale.
L'uomo era vestito di quella che sembrava una palandrana fatta di stracci e quasi interamente ricoperta di toppe e tasche, lunga fino ai piedi e dai colori caldi. Il cappuccio del mantello gli ricadeva sulle spalle, lasciando scoperto il capo e la lunga chioma ingrigita. La barba, anch'essa grigia, scendeva lungo il petto arrivando quasi fino allo stomaco. Lo stregone ci osservò con gli occhi bruni screziati di verde, per poi sogghignare amabilmente.
“Di tutte le persone tu eri l'ultima che mi sarei aspettato di trovare. Che cosa ci fai ancora qui, cara la mia piccola ladruncola?” fece.
Rhi si voltò verso il vecchio.
“Anch'io sono contenta di vederti, Radagast” rispose.
Radagast?! pensai.
“Radagast?!” dissi.
“Oh sì, giovane, sono proprio io. Radagast il Bruno” disse il vecchio, tendendomi una mano callosa. Mentre gliela stringevo incredulo quello riprese a parlare.
“Tra l'altro debbo ringraziarti per l'aiuto di prima, ragazzo, mi hai decisamente salvato le penne, con quel tornado, un lavoro perfetto. Il tuo antenato non avrebbe potuto far di meglio. Sì, si nota palesemente che tu sia un discendente di Zèfiro, se lo si è conosciuto. Ah, puoi anche lasciarmi andare la mano”. Mi resi conto che stavo ancora tenendo la mano che Radagast mi aveva porto, e che probabilmente avevo reagito alla sua parlantina con una serie di sguardi vacui.
“Mi chiamo Rain, è un piacere” riuscii a dire.
Insomma eccone un altro che adora il mio antenato.
Rhi mi riportò alla realtà sbuffando.
“Bene, ora che vi siete presentati e siete diventati amiconi qualcuno potrebbe aiutare questa ladruncola accecata?”.
Nonostante la febbre resti la solita arpia, eh Rhi?
“Certo fanciulla, lasciami dare un'occhiata” disse l'Istar, avvicinandosi all'elfa e prendendole il viso tra le mani.
Radagast la osservò per un paio di minuti con occhio clinico, tastandole delicatamente le palpebre, finché non mugugnò un verso d'approvazione. Le lasciò il volto ed estrasse una pipa da una delle varie tasche.
“Il danno non è permanente. Fortunatamente non sei stata investita completamente dall'incantesimo” cominciò, riempiendosi la pipa di tabacco.
“Allora per quale cazzo di motivo non ci vedo una sega, Rady caro?” strepitò lei, con il tono più acidamente sdolcinato possibile.
“Sempre la solita frettolosa. Non mi stupisco di trovarti ancora qui, in effetti, ti sei decisamente adattata a questo mondo cambiato. Se tu mi avessi lasciato finire ti avrei detto che l'effetto durerà un paio di settimane al massimo, poi tornerai a vedere come prima, o forse anche meglio” rispose Radagast, con tono severo. Prese una boccata di pipa ed espirò una voluta di fumo.
“Detto ciò” continuò “immagino anche voi siate diretti ai Porti, vista l'ultima nave in partenza, o da qualche parte oltre il confine. Potreste dare un passaggio a questo vecchio stregone appiedato, non credete?”.
Che cos'è che non mi hai detto, Rhi? Di che nave parla?
“Come sai che vogliamo uscire dalla Federazione?” gli domandai.
“Rain, ragazzo, sono uno stregone, le notizie importanti trovano sempre il modo di giungere a me. E poi basta leggere un giornale per vedere le vostre facce e quelle dei tuoi amici Haradrim. Tra l'altro complimenti per il successo, ma l'ultimo vostro album non m'è piaciuto granché” mi rispose lui.
Ci mancava solo lo stregone pazzo che ascolta gli Squall. Rhi, tesoro, giuro che da quando ti ho conosciuto la mia vita ha preso una piega bizzarra che mai mi sarei aspettato.
“Sali in macchina, vecchio, ti raggiungiamo tra un momento” gli risposi.
Radagast si avviò verso l'auto, fermandosi dopo un passo e ricominciando a parlare:
“Grazie ragazzo. Ah, chiamami un'altra volta vecchio e sarò costretto a romperti il mio bastone sulla testa” mi disse.
“Non vedo nessun bastone” gli risposi.
“Porca quella grandissima vacca di Elbereth! Significa che dovrò cercare un bastone per rompertelo in testa” fece lui, riprendendo a camminare mentre io soffocavo una risata.
Quando il vecchio fu salito in macchina rivolsi di nuovo la mia attenzione su Rhi, che nel mentre s'era seduta a terra e aveva ascoltato i nostri discorsi sempre più divertita. Era decisamente più rilassata dopo aver saputo che avrebbe riacquistato la vista in tempi brevi.
Decisi di accendere due sigarette e ne passai una a Rhi, facendo attenzione che non si bruciasse le dita. L'elfa inspirò la nicotina bruciando un terzo di sigaretta e sbuffò una nube di fumo.
Forse rilassata era un termine troppo azzardato. Mi inginocchiai di fronte a lei.
“Prima che t'incazzi di nuovo e di rimetterci a litigare, voglio dirti che non sapevo nulla di quella nave” mi disse lei, precedendo la mia domanda.
Rimasi in silenzio, fumando e fissando gli occhi ciechi dell'elfa.
“È inutile che mi guardi così” disse Rhi “se non vuoi credermi fa pure, ma ti ripeto che non sapevo nulla di quella nave e non ho assolutamente voglia di imbarcarmi per Valinor”.
Ridacchiai.
“Come sai che ti sto guardando?” le domandai.
“Oh, lo so bene come mi stai guardando. Non credere che solo perché non ci vedo non riesca a vedere te”.
Finii la mia sigaretta e presi il mozzicone dalle mani di Rhi prima che si scottasse, spegnendo entrambi sull'asfalto.
“Mi fido di te, Rhi. Andiamo”.
Le porsi la mano e tornammo alla macchina.

Sfrecciavamo sulla statale a velocità elevata mentre Rhi, stravaccata sul sedile posteriore, si dedicava con zelo a scordarmi la chitarra, strimpellando tutto il suo repertorio di Creedence. Radagast le aveva fatto bere un paio di sorsi di un cordiale di sua distillazione che, secondo lui, le avrebbe abbassato la febbre, ma per ora aveva solo avuto l'effetto di sbronzarla. C'è da dire che per esser ubriaca, cieca e febbricitante non suonava affatto male. Mi lasciò a bocca aperta quando dai Creedence passò agli Squall, suonando alcuni pezzi meglio di me in certi live.
“Sai com'è, biondo, quando ti diletti da millenni con gli strumenti a corda...” fece lei, tra un singhiozzo e l'altro.
“Se devi vomitare tenta di avvisarci, che mi fermo” le risposi.
Radagast mi fece un cenno per rassicurarmi, tornando poi a spezzare cracker e a darli da mangiare al riccio che era spuntato da una delle tasche, dopo che Pan l'aveva annusata a lungo con sguardo indagatore.
“Lui è Sebastian Ventiseiesimo. O era Ventisettesimo? Non so, ho perso il conto” mi aveva detto, presentando la palla di pelo e aculei che ora stava felicemente mangiando i pezzetti di cracker dalla mano dello stregone.
“Ventisettesimo? Devi proprio amare i ricci” gli avevo risposto ridendo, mentre Pan studiava il bizzarro esserino che aveva davanti per poi fare le fusa soddisfatta e tornare a sonnecchiare accanto alla suonatrice sbronza.
“Oh, ho sempre amato tutti gli animali, ma i ricci e i corvi hanno spesso deciso di farmi da compagni. O credevi che l'archetipo del compagno animale degli stregoni sia nato dal nulla?”.
Ora, approfittando di una pausa negli strimpellamenti di Rhi, mi stava felicemente raccontando le gesta di Sebastian Sedicesimo, che l'aveva accompagnato in un suo viaggio a Rohan e aveva salvato dalle lumache l'orto di cavoli del fattore di cui era ospite.
“Ma adesso mi incuriosisci. Intendi dire che anche gli altri Istari giravano seguiti da animali?” gli domandai, quando ebbe finito l'aneddoto.
“Beh, penso che tutti sappiano di quanto Olórin fosse affezionato ai suoi cavalli e benché lo conoscessi poco so che Pallando aveva un debole per i gatti e i felini in generale. Forse anche per questo non ne hanno buon ricordo a Gondor, vista la storia della Regina Berúthiel. Di Alatar ne so anche meno, ma sono certo che anche lui prediligesse qualche animale. L'unico che non ha mai avuto nessun inclinazione verso di loro era Curumo, e infatti guarda te com'è finito” concluse lo stregone, con voce grave.
Assentii in silenzio, ma la mia attenzione fu presa dal giornale radio.
...proseguono le ricerche dei maghi fuggiaschi appartenenti alla setta denominata 'Il Martello di Morgoth'. Dopo gli ultimi avvistamenti nell'Enedwaith del supposto leader, Rain Greywings, chitarrista della celebre rockband 'Squall', ci giungono notizie riguardanti la loro attività nella Capitale”.
“Il martello... che teste di cazzo!” sbottai. Accostai al lato della strada ed alzai il volume.
...l'Empire, discoteca a ridosso della Città Vecchia di Minas Tirith, è stato posto sotto sequestro dopo l'incendio, si crede doloso, che l'ha colpito la settimana scorsa. Le forze dell'ordine sperano di fare luce sulle attività della setta e sono impegnate nel recupero delle rovine del locale. Tra i proprietari del locale è stato identificato Felipe Cromwell, tutt'ora ricercato assieme a Greywings, Blaine Khef e Romeo Eineer.”.
“Porca puttana” fece Rhi, alle mie spalle.
“Filo sa il fatto suo, spero solo che abbiano eliminato ogni prova prima di dare fuoco all'Empire”. L'elfa annuì e tacemmo di nuovo, mentre il notiziario proseguiva.
Assieme all'Empire le milizie hanno interdetto al pubblico un videonoleggio gestito da una tale Georgia Zoehead, sorella del mago Daniel Zoehead, deceduto mentre, assieme ad Eineer, cercava di forzare il controllo doganale al confine Sud. Il negozio, chiuso da due settimane, non ha rivelato prove concrete che lo collegassero all'associazione in questione, ma la sparizione improvvisa della titolare lascia gli inquirenti dubbiosi”. Mi concessi un sospiro di sollievo. Almeno Georgia era al sicuro.
...infine, abbiamo ricevuto la straziante testimonianza di Lucía Forness, ragazza umana coinvolta a sua insaputa negli affari della setta”.
No.
Non può essere.
Cominciai a stringere il volante finché le nocche non sbiancarono, incredulo, mentre la voce di Lucy raccontava tra i singhiozzi e le lacrime come l'avessi picchiata e violentata. Neanche mi resi conto di esser sceso dalla macchina e di star prendendo a calci la portiera, sbraitando a pieni polmoni contro quella troia.
Calciai la portiera fino ad ammaccarla e a farmi male al piede.
“Puttana...” sussurrai, non so bene a chi.
“Ragazzo, dobbiamo muoverci”. Alzai gli occhi e vidi Radagast che aiutava Rhi a scendere dalla macchina sul lato del passeggero.
“Rain... ci fumiamo una sigaretta?” mi domandò lei, una volta giunta a tentoni dal mio lato.
Feci un verso indefinito e le poggiai una sigaretta sul palmo.
“Fumate in pace, vi aspetto in macchina” disse lo stregone, risalendo.
Mi sedetti contro l'auto e portai la sigaretta alle labbra. Rhi mi pose una mano sulla spalla e si sedé a sua volta.
“Mi dispiace Rain” mi disse, dopo che le ebbi acceso la paglia “non te lo meritavi”.
Espirai del fumo, lasciandomi stringere dal suo braccio e poggiando la testa sulla sua spalla.
“E chi se lo meritava?”.

Guidai le seguenti miglia in silenzio, fremendo dalla rabbia.
Quel notiziario proprio non ci voleva.
Radagast e Rhi avevano insistito per ascoltarne il resto, interessati alla notizia che i rapporti internazionali tra l'Harad e Nuova Gondor s'erano inaspriti e che i confini erano stati chiusi, seppur ancora non ufficialmente.
L'unico momento in cui uscii dal mio isolamento mentale fu per assentire ed approvare il piano di Radagast riguardo al come passare il confine.
Per ora rimaneva un piano molto semplice, ovvero io mi sarei occupato di far volar via i miliziani alla dogana mentre lo stregone sfondava il cancello con un suo qualche incantesimo. Il tutto ovviamente senza fermarci né rallentare, ma anzi, attraversando il confine a centoquaranta all'ora. Era una follia, mi ricordava molto Lasgalen ma era l'unico piano viabile che c'era venuto in mente. E probabilmente avrebbe funzionato, specialmente perché avevo parecchia rabbia da sfogare.
E chissà, magari Rhi avrebbe potuto suonare qualcosa nel mentre, giusto per farci da colonna sonora.
Mancavano poche miglia quando l'Istar mi parlò di nuovo, nel silenzio della macchina:
“Ci siamo, ragazzo”.
Pigiai ancora più forte sull'acceleratore ed chiusi il finestrino, alzando un vento degno di una tempesta al di fuori della macchina.
“Rhi, tieniti forte!” gridai, sperando mi sentisse sopra l'ululare del vento. L'elfa mi strinse velocemente la spalla per farmi capire che mi aveva sentito e si rannicchiò dietro il mio sedile.
Lo stregone al mio fianco chiuse gli occhi e cominciò a mormorare. Per un momento temetti che si fosse messo a pregare, ma poi mi ricordai delle sue bestemmie di qualche ora prima. Gli avevo chiesto spiegazioni al riguardo, prima che si mettesse a parlare di ricci, ed aveva asserito di aver conosciuto Varda e che gli era sempre parsa un po' una vacca.
Sorrisi al ricordo e mi concentrai per intensificare la forza dello scirocco che ci seguiva.
Ormai mancava poco e potevamo vedere il cancello avvicinarsi sempre di più, a velocità preoccupante.
“Tocca a te, vecchio, muoviti!”.
Oltre il rumore della tempesta si potevano cogliere brandelli degli avvertimenti dei miliziani, che c'intimavano di fermarci. Udii una raffica d'arma automatica perdersi tra le raffiche di vento.
Il cancello era a poche centinaia di metri. Ed era ancora in piedi.
“Radagast!”.
Puntuale come la morte lo stregone gridò qualcosa e con un tonfo il cancello fu scardinato davanti ai nostri occhi. Pareva l'avesse colpito una cannonata.
Passammo attraverso il rumore della tempesta e del cancello a velocità spropositata, senza minimamente rallentare.
Ci sto prendendo la mano a sfondare roba con la macchina, pensai.
Passò mezz'ora prima che la strada divenisse un sentiero sterrato che ci costrinse a fermarci.
Scendemmo dalla macchina, barcollando leggermente per l'adrenalina che continuava a circolare nelle vene, e scoppiammo a ridere.
Presi Rhi per le guance e la baciai, per poi voltarmi.
“È fatta! Addio Regime di merda, baciami il culo!” gridai, calandomi i jeans in direzione del confine.
Eravamo finalmente arrivati nelle Terre Libere, al di fuori della Federazione di Nuova Gondor.












Note d'autore
La colpa del capitolo undici è di Warren Ellis, del suo Crooked Little Vein (che v'invito a leggere) e del fatto che mi sia letto tutto Transmetropolitan (fumetto sempre suo, altrettanto valido) in tre giorni, mentre ero alle prese con la scrittura.
Noto con mio sommo divertimento che le trollate causano più rabbia di quanto credessi.
Insomma, spero che anche il dodici piaccia, con l'arrivo di Radagast, i dettagli sugli animali -sì, il riccio nonostante sia movieverse e palesemente digitale l'ho apprezzato- e l'arrivo nelle Terre Libere.
La soundtrack vede l'aggiunta di Fortunate Son, sempre dei Creedence, tra le canzoni che Rhi suona in macchina, mentre il film che Rain guarda alla TV purtroppo esiste veramente, ed è una delle cose più trash che abbia mai visto.
Sempre grandi ringraziamenti ad Elena per il suo betareading e a voi che leggete.
Adiòs





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Capitolo 13
*** Capitolo 13 - Verità ***



Capitolo 13 - Verità


“Buongiorno biondo!”.
Aprii gli occhi, notando come prima cosa Rhi che armeggiava con i rimasugli del falò della notte prima. Doveva essersi divincolata dall'abbraccio in cui ci eravamo addormentati senza svegliarmi e aveva deciso di ravvivare le braci del fuoco per combattere il freddo dell'alba.
“Rhi...” sbadigliai, alzandomi e dirigendomi verso di lei “cazzo fai?”.
“Beh, stavamo entrambi tremando quando mi sono svegliata, e Radagast non c'era, quindi ho pensato che un po' di calore in più poteva farci bene” mi rispose, voltandosi a guardarmi con un sorriso.
Mi accovacciai accanto a lei e le posi una mano sulla fronte.
“Penso ti sia passata la febbre, sai?” le dissi, aggiungendo qualche sterpaglia sul fuoco che cominciava a riprendersi davanti a noi. L'elfa non mi rispose ma continuò a sorridermi, mantenendo il contatto visivo.
Fu in quel momento che capii.
“Ma...” cominciai a dire.
Rhi annuì, estatica.
“Sì Rain, ci vedo di nuovo” disse.
Mi mossi per abbracciarla, sbilanciando entrambi e facendoci finire distesi l'una sull'altro, tra le risate di entrambi.
“Finalmente, Rhi!” le risposi una volta ripreso fiato, senza alzarmi. Rhi, ancora con quel suo sorriso finalmente dolce e vero sulle labbra, continuava a fissarmi nelle iridi, quasi cercando di annegarci dentro.
Fummo interrotti dal suono di qualcuno che si rischiarava la voce.
“Fanciulli, se volete vi lascio ancora un po' di tempo, ma fate attenzione perché il sottobosco è pieno di ortiche e i passeri del mattino sono dei gran pettegoli” fece Radagast. Ridemmo entrambi, voltandoci verso l'Istar apparso alla nostra destra.
Ci ricomponemmo, alzandoci in piedi, mentre lo stregone continuava a parlare.
“Sono andato in esplorazione, i Porti sono oltre questo colle. Se partiamo ora potremmo vederli rischiarati dalle prime luci ed arrivare in mattinata” asserì, per poi guardare Rhi.
“E sono certo che come prima visione dopo aver riacquisito la vista è qualcosa che decisamente apprezzerai, mia giovane ladruncola”.
“Guarda che non sono così giovane, Rady carissimo” rispose lei, mettendosi lo zaino in spalla e strappando un'altra risata all'Istar.
Ci avviammo verso la direzione indicata da Radagast, camminando spediti, fino a giungere una mezz'ora dopo sulla cima del colle.
I Porti Grigi si stagliavano in lontananza, a ridosso del mare e abbracciati dalle scogliere ai lati. Sembravano usciti da un dipinto, tinti di rosa e arancio e violetto dai primi raggi del sole che sorgeva a Est, imperituri nei secoli e caratterizzati dall'eleganza elfica della Seconda Era.
Rhi si appoggiò a me, sospirando. Le cinsi le spalle con un braccio, senza dire nulla, e le proposi silenziosamente una sigaretta. L'elfa se l'accese e rimase ad ammirare l'alba scorrere sopra quella che un tempo era la sua città e la sua casa. Spense la sigaretta sotto il tacco dello stivale, qualche minuto dopo, per poi guardarmi con occhi lucidi.
“Benvenuto, Rain”.

Rimasi stupito, esterrefatto, senza parole e molto di più quando fummo effettivamente nelle strade dei Porti, qualche ora dopo.
Ero più stupito dalla città che da quanto fosse filato liscio il viaggio a piedi nelle Terre Selvagge, cosa non indifferente visto com'era andata l'ultima passeggiata nei boschi fatta assieme a Rhi. E all'epoca lei ci vedeva, non aveva la febbre, io non ero in astinenza forzata e non avevamo un Istar bizzarro -che al momento si era diretto letteralmente di corsa al porto, lasciandoci a fare i turisti- a farci compagnia.
Sembrava... no, non sembrava, era effettivamente un luogo di altri tempi, di una Terra di Mezzo più giovane e nobile. Era come se la città fosse rimasta sotto una cupola di vetro tutti questi anni, tutti questi secoli, dalla Terza Era ad oggi. Tutto, dalle architetture aggraziate che ci circondavano alle vesti elaborate dei pochi elfi che ancora la abitavano suggeriva una stasi temporale che mi disorientava non poco.
Stonavamo parecchio, sia Rhi che io, nei nostri jeans strappati e T-shirt.
“Rhi?” dissi, cercando di riportarla al mio presente dal mondo onirico in cui sembrava esser finita. Dalle pace, Rain, probabilmente non vede questo posto da secoli, dopo averci vissuto per altrettanti anni. È normale che sia così sopraffatta dalle emozioni.
“Eh? Dimmi Rain” mi rispose.
“Non ti senti un po' fuori luogo? Non vorrei offendere te o il tuo popolo, sia ben chiaro, ma che cazzo è successo qua? Possibile che nessuno gli abbia mai detto cos'è una lampadina?” le domandai. L'elfa rise.
“Ti aspettavi un'altra Lasgalen?” mi domandò, per poi continuare:
“I Porti sono sempre stati troppo lontani dal resto del mondo per esserne toccati. Sono certa che gli elfi di qua siano altrettanto al corrente di come vadano le cose, ma semplicemente non se ne interessano molto. Hanno creato il loro angolo di pace e lo hanno preservato come gli pareva meglio”.
“Niente jeans, dunque? O luci elettriche, internet, sigarette e musica rock?”.
“Non ti preoccupare per il tabacco, quello lo importavamo dall'Harad ancor prima che gli Hobbit scoprissero la loro variante. Per quanto riguarda il resto... beh, si vede che non ne hanno mai sentito il bisogno” mi rispose, prima di rimettersi a camminare per le vie. La osservai di sottecchi, seguendola. Nonostante fosse la solita Rhi di sempre sembrava star diventando effettivamente più elfica ogni momento che passava, era come se il luogo l'avesse riportata a tempi più felici della sua vita, pur lasciandole l'aspetto di elfa sarcastica e irriverente che avevo conosciuto ed imparato ad apprezzare.
I miei pensieri furono interrotti quando sentii Rhi gridare di gioia. La vidi correre avanti e saltare quasi in braccio ad un elfo vestito di una toga o qualcosa di simile che spiccava di rosso nel biancore degli edifici attorno.
“...Langrhibel?” fece quello.
Mi fermai un paio di passi più indietro ad osservare l'elfo confuso che la mia compagna stava ancora abbracciando. Dimostrava la mia età, anno più anno meno, e forse mi superava in altezza di qualche centimetro. Il volto affilato e la massa di capelli neri che gli ricadeva sulle spalle facevano sospettare qualche parentela sia con Rhi che con quella iena di Zaal ma, a differenza dei due, i suoi lineamenti sembravano leggermente addolciti. In più gli occhi blu facevano pensare ad una linea completamente diversa dell'albero genealogico, così come le lentiggini che gli decoravano il naso spiccando nel classico pallore da Noldo, tanto che fui stupito quando sentii Rhi rispondergli:
“Sì Cris, sono io! Non sai quanto sono contenta di poterti vedere, fratellino! Che cosa cavolo ci fai ancora qui?! Pensavo te ne fossi andato anni fa, con nostro padre!”. Padre? Fratello? Mi hai portato a conoscere il resto della famiglia, Rhi? Valar, spero non siano come tuo cugino, perché altrimenti ti lancio dalla prima rupe che trovo.
“Sono stato trattenuto su Arda, Lang” rispose Cris, sorridendole, “piuttosto tu cosa cavolo ci fai qui? E che razza di imprecazione sarebbe cavolo, so per certo che ne conosci di migliori”.
Joder, ti insegnai io la metà di quelle che conosci” asserì la sorella, fiera. Sogghignai, notando come Rhi avesse preso il mio tic verbale, ma l'elfo sembrò per un momento bloccarsi, al sentirla imprecare, per poi riprendere a parlare come se nulla fosse.
“Non mi hai comunque risposto, Lang. Che cosa ti porta da queste parti?” domandò.
“Oh, il mio solito vagabondare. Sono arrivata da poco con Radagast, raccattato per strada, e con un amico. Avevamo bisogno di andarcene da N.G.” rispose Rhi, indicandomi con un braccio.
Feci un passo avanti, tendendo la mano, mentre Rhi ci presentava.
“Rain, lui è Cristereb, mio fratello minore. Cris, lui è Rain”.
Cristereb mi strinse la mano, fissandomi negli occhi. Ricambiai il suo sguardo con un sorrisetto, riconoscendo l'espressione curiosa di chi stava per paragonarmi al mio antenato. La domanda arrivò puntuale come non mai.
“Sei un mago, Rain?”.
Annuii.
“Lo immaginavo. La tua linea ha mantenuto gli stessi occhi dai tempi di Zèfiro” affermò, mantenendo un tono neutro. C'era qualcosa che non quadrava, in quel tono, ma forse ero solo sorpreso che non fosse l'ennesimo elfo che stravedeva per il mio antenato. Dopotutto ne avevo trovati già due in quella famiglia.
Cris si voltò di nuovo verso la sorella.
“Non cambi mai, eh Rhi?” fece, ritornando a sorridere.
Le scoccai un'occhiata a metà tra il divertito e l'interrogativo -che di certo non passò inosservata a suo fratello- e quella mi rispose con un gesto della mano a dire che non era importante.
“Non è come pensi, Cris” disse. Sembrava stizzita. Cristereb la prese dolcemente per le spalle.
“Oh, lo spero bene. Anche perché sei già in condizioni pessime di tuo” disse lui, ridacchiando.
“Come?!”.
“Ah, ma ti sei vista? Con le orecchie tagliate, i jeans strappati... sembri uscita da un festival punk! E i tuoi capelli? Erano il tuo vanto...”.
“Tsk! Parli tu, che l'ultima volta che ti ho visto avevi le treccine. Ti pare Rain” continuò, rivolgendosi a me “le treccine! E poi, da quando hai tutti quegli orecchini?”.
Solo in quel momento notai che effettivamente le orecchie di Cristereb erano costellate per tutto l'orlo da anelli d'acciaio.
L'elfo si rabbuiò di nuovo, come poco prima per un semplice istante, per poi tornare all'espressione divertita.
“Le treccine non mi stavano bene, gli orecchini sì” disse, stringendo la sorella di nuovo.
“E mi dispiace per i tuoi capelli, so che non dev'essere stato facile” le sussurrò.
Attesi in disparte mentre Rhi affondava il volto nella spalla del fratello. Rimasero in silenzio finché Cristereb non parlò di nuovo.
“Verrai con noi, Rhi? C'è posto anche per te su quella nave” sussurrò alla sorella, con una voce talmente bassa da sembrare un respiro. Così bassa che mi stupii non poco di averla udita. Rimasi letteralmente con il fiato sospeso durante l'attimo in cui Rhi tacque prima di rispondergli.
“No Cris. Il mio posto è ancora qui, lo sai bene”.
Mi sentivo sollevato, mio malgrado. Per un momento avevo temuto che sarebbe partita, che avrebbe deciso di tornare con il suo popolo in una terra dove non sarebbe stata perseguita. Non l'avrei biasimata, a ben pensarci, ma mi sarebbe comunque mancata.
Mi accesi una sigaretta, mentre i due continuavano a bisbigliare.
“La nave salperà domattina. Cenate con noi, stasera. Saremo nella Grande Sala” fece Cris, alzando di nuovo la voce. Alzai gli occhi e vidi che i due si erano sciolti dall'abbraccio.
“Non mancheremo” disse Rhi. Cris annuì e ci salutò con un cenno del capo. Ricambiai il saluto e lo seguii con lo sguardo mentre si avviava di nuovo lungo la strada. Continuava ad esserci qualcosa di bizzarro in quell'elfo, ma ancora non ero riuscito a capire cosa. Mi voltai di nuovo ad incrociare lo sguardo di Rhi. Sembrava rasserenata come mai l'avevo vista dopo l'incontro con il fratello. L'elfa abbassò gli occhi e si avvicinò a me, prendendomi per il polso.
“Vieni, ti faccio vedere la mia vecchia casa” disse, guidandomi lungo le stradine tortuose della città.

Mi sedei sul letto, osservando Rhi guardarsi attorno in quella che era stata la sua stanza. Tutto, mi aveva detto, era rimasto come l'aveva lasciato l'ultima volta, prima della Guerra del Drago.
La vidi frugare in una cassapanca e ridacchiare.
“Al volo, biondo” disse, lanciandomi quello che pareva un pesante posacenere di legno. Lo afferrai prima che mi colpisse la fronte, per poi accendere la sigaretta che mi pendeva dal labbro e lanciarle il pacchetto.
“Per quanto tempo hai vissuto qui?” le domandai.
“Da sempre, direi. Da quando la mia famiglia è arrivata sulla Terra di Mezzo” rispose, espirando del fumo. Si stese di fianco a me, prendendo un'altra boccata.
“Sono una Noldo, Rain, mi sembrava di avertelo detto. Almeno da parte di padre, mia madre faceva parte dei Teleri, la stirpe di Olwë. Nacqui nelle Terre Immortali durante gli Anni degli Alberi, assieme a due fratelli maggiori” mi disse. Incrociai il suo sguardo, invitandola a continuare. Raramente l'avevo vista così a suo agio nel parlarmi di sé o della sua storia e di certo ero curioso di saperne di più sulla mia enigmatica compagna di viaggio.
“I problemi vennero dopo. Penso tu conosca la storia dei Gioielli, di Fëanor e del fratricidio di Alqualondë” continuò. La sua voce si fece mesta, mentre io annuivo al suo fianco. Nonostante le persecuzioni i miei genitori avevano insistito perché studiassi a fondo la storia di Arda, quella che N.G. definiva mitologia fraudolenta e propaganda ribelle, quindi sapevo di come i Teleri avessero rifiutato ai Noldor di Fëanor l'utilizzo delle loro navi e di come questo rifiuto sfociò nel sangue.
“Mia madre” continuò Rhi “Beh, tentò di difendere il suo popolo, e rimase uccisa nello scontro. Quello fu il primo colpo per mio padre, il più duro forse. Nonostante ciò lui rimase fedele a Fëanor, almeno fino all'arrivo sulle coste del Beleriand”.
L'elfa sospirò.
“Quando finalmente approdammo Fëanor diede l'ordine di incendiare le navi abbandonando così le schiere del suo fratellastro Fingolfin, che in quel momento attendevano oltre le distese ghiacciate dell'Helcaraxë. Dopo quell'ordine la fiducia che mio padre riponeva in Fëanor venne meno, e ci condusse qui, tra gli elfi del Lindon, lontani dalle guerre e dal resto dei Noldor. Qui sposò un'altra dama e da lei ebbe Cristereb, e qui siamo rimasti negli anni seguenti”. Annuii di nuovo, per poi alzarmi e dirigermi verso una delle finestre che si affacciavano sulla piazza sottostante. La città si stendeva di fronte a me, fino al porto dove si potevano scorgere gli alberi della nave e gli elfi che la preparavano per la partenza. Oltre quella solo il mare. Mi voltai di nuovo a guardare verso Rhi.
“Ecco perché guardi sempre il mare in quel modo” le dissi, abbozzando un sorriso.
“Come?”.
“Ci sei molto legata, si nota palesemente” le risposi.
“In effetti hai ragione... penso che anche il legame che ho con i Teleri da parte di madre sia uno dei motivi. Ed ho sempre considerato Ulmo l'unico dei Valar che meritasse rispetto, l'unico che veramente s'interessasse a noi”.
“Romeo diceva sempre che riusciva a sentirlo chiaramente” dissi, ricordando le conversazioni fatte con il mio batterista. Chissà dov'era finito, anche lui, dopo esser fuggito dal carcere.
“Ha ragione. Sibillino e distante, ma Ulmo ancora ci parla. Sono tante le volte che l'ho pregato di apparirmi, o di presentarsi in forma umana” continuò Rhi.
“L'ha mai fatto?” domandai, pur immaginando la risposta.
“Ovviamente no”.
Tornai a sedermi sul letto di fianco all'elfa, dandole una lieve carezza sul volto. Rhi si alzò, dirigendosi verso la scrivania, l'espressione pensierosa.
“Sai...” cominciò, passando una mano sul legno dello scrittoio “le ultime parole che scrissi seduta qui erano di speranza. Zèfiro ancora non mi aveva abbandonata”.
Zèfiro? Forse è la volta in cui mi racconti anche cos'è successo veramente tra voi due, vista la vena di confidenze.
“Non mi hai ancora raccontato di te e lui” asserii. Mi aspettavo un altro rifiuto, come l'ultima volta, ma invece non successe. Rhi sospirò di nuovo, sedendosi sulla scrivania, prima di parlare di nuovo.
“Trascorremmo un'estate assieme. Era venuto con Zaal, che stava compiendo delle ricerche sull'Harma Ondo, il Tempio di Aulë in mezzo al deserto dell'Harad”.
“Conosco la storia” le dissi. La storia si era conservata nella tradizione magica, ovviamente abbellita fino allo stremo, come altro esempio dell'eroismo del mio antenato, ma nonostante tutto era risaputo che ci fosse un fondo di verità dietro la mitologia che vi si era creata attorno. In ogni caso c'era qualcosa che riuscì a stupirmi, mio malgrado.
“Non sapevo c'entrasse anche Zaal, però” dissi.
“Oh sì, l'idea fu di Zaal stesso. Ne era come ossessionato, all'epoca, tanto che quasi non lo vidi durante i mesi che passò qua. Ma ero più che contenta di lasciarlo alle sue vecchie pergamene, se ciò mi permetteva di spendere più tempo con Zèfiro” rispose lei.
“E così vi siete innamorati” le dissi, accendendomi un'altra sigaretta. Rhi parve perdersi nei ricordi di una felicità lontana prima di continuare.
“Sì. Ci vedevamo di nascosto, in una cascina fuori della città, dove era stato confinato. Gli elfi dei Porti non ritennero prudente lasciarlo entrare e lui stesso accettò di buon grado l'isolamento” fece Rhi. Sbuffai leggermente e Rhi probabilmente notò la mia espressione all'ennesima citazione della buona educazione del mio avo, tant'è che fece un'aggiunta:
“Sapeva esser tanto gentile da farti cascare i coglioni, a volte”. Ridacchiammo entrambi.
“L'isolamento” domandai poi, tornando serio “fu a causa della sua prigionia a Barad-Dur?”.
“Esatto. Non so cosa ti abbiano raccontato, ma la storia del demone dentro Zèf è vera. Nessuno mai ha saputo con certezza cosa fosse successo durante la sua prigionia, ma è certo che quando ritornò in libertà aveva dentro di sé un'anima malvagia, instillata da Sauron stesso. Gli elfi di Lorien e soprattutto Zaal riuscirono ad arginarla, ma fu sempre sdoppiato, dovendo lottare ogni giorno per evitare che questa sua parte prendesse il sopravvento”.
“Capisco” feci laconico. Espirai del fumo, pensoso. Nonostante fosse noto che Zèfiro si fosse portato dentro il male di Sauron per anni, i dettagli di come avesse fatto a conviverci non erano stati assolutamente tramandati. Era come se gli storici -o chi per loro- avessero deciso di glissare sulle parti più scabrose della sua vicenda, sottolineando invece quanto buono, eroico e gentile e magnanimo e nobile e vaffanculo fosse stato il mio avo. E nel mentre avevano deciso di buttare una bella vagonata di merda sulla reputazione di Rhi, attribuendole una caterva di colpe. Joder che bel lavoro hanno fatto.
“Come finì?” domandai poi. Mancava quel dettaglio ancora, ovvero il finale triste della storia tra Rhi ed il mio antenato.
“Come finì...” cominciò lei, stizzita. Per un momento pensai che mi avrebbe liquidato anche stavolta, ma invece continuò a parlare, seppur irritata.
“Finì che mio padre venne a sapere di noi. Prima che tu me lo domandi, no, non ho idea di chi gliel'abbia detto. Fatto sta che lo venne a sapere ed io decisi di coprire le spalle a Zèf. Mentre lui fuggiva con la promessa di incontrarmi due notti dopo su una scogliera del Forlindon io fronteggiavo il consiglio dei Porti Grigi, e mio padre tra loro. Mi esiliarono, ma in quel momento non me ne fregava un cazzo, avevo il sogno di un futuro” disse. Si alzò e si diresse verso la stessa finestra a cui mi ero affacciato poco prima.
“Il problema è che quando arrivai al luogo dell'incontro lui non c'era. Lo attesi, per una notte intera, ma non arrivò mai. Sparì, e non ne seppi nulla” concluse.
Aggrottai la fronte, alzandomi ed avvicinandomi a lei.
“Ma...” cominciai. Non sapevo bene cosa dire, semplicemente perché se da una parte potevo percepire la tristezza che Rhi ancora provava al ricordo, dall'altra parte ero finalmente soddisfatto nell'avere la conferma che il mio avo fosse effettivamente un po' una testa di cazzo.
“C'è qualcosa che non mi quadra” decisi di dire, “come mai non ti raggiunse?”.
L'elfa strinse le spalle.
“Ah, le solite puttanate di voi uomini. Lo rividi, dieci anni dopo. Erano gli inizi della Guerra del Drago, di cui già conosci la storia. Mi disse che la mia presenza fomentava il suo alter-ego maligno e gli faceva perdere il controllo più spesso. Cazzate, se chiedi a me. Semplicemente se n'era trovata un'altra”.
“Rika?” tentai. L'elfa rise.
“Ah, fosse stata Rika le cose sarebbero andate molto meglio, credimi, quella giovincella aveva decisamente più testa della sorella maggiore, la donna in questione. No, si chiamava Kita la donna che aveva in quel momento” rispose, amareggiata come non mai.
Le posi una mano sulla spalla, cercando di confortarla.
“Mi dispiace” riuscii a dirle.
“Anche a me, Rain” mormorò.
“Ma dopo la guerra? Cos'hai fatto in questo paio di secoli?” le domandai, cercando di cambiare discorso.
Non l'avessi mai fatto.
“Quello è un discorso per un altro momento” disse l'elfa, scostandomi ed avviandosi verso la porta, dopo avermi rubato la sigaretta di mano per fare i due tiri rimanenti.
“Scendiamo, che vorrei rivedere Cris prima di cena” disse.
Le scoccai un'occhiata interrogativa, prima di seguirla verso l'uscita.

La cena passò in relativa tranquillità, anche se continuava a divertirmi il dettaglio di come stonassimo Rhi ed io in mezzo alla quarantina di elfi caciaroni e vestiti in maniera anacronistica che occupavano la lunga tavolata. Vale, anche l'Istar sbronzo si faceva notare, ma penso che quelli fossero comunque diffusi durante la Terza Era.
In ogni caso lì ci trovavamo, Cris seduto accanto alla sorella, che aveva di nuovo acquisito una certa tranquillità, ed io a fianco del suddetto Istar, che continuava a discorrere di magia tra un calice e l'altro ed aveva riempito di rosso anche la ciotola del povero Sebastian Ventisettesimo, che singhiozzava felicemente al lato del suo piatto mangiando croste di pane.
Fu quando vidi la testa di Rhi sparire sotto il tavolo che mi scusai con lo stregone -che in quel momento stava ancora pontificando sulle origini della magia bianca e le sue correlazioni mai confermate con quella elementale, discorsi che parevano in tutto e per tutto deliri di uno sbronzo- per infilarmi a mia volta sotto la tovaglia.
Là trovai l'elfa, impegnata in quel momento a blaterare bestemmie tra le lacrime mentre cercava di procurarsi una commozione cerebrale prendendo a testate a gamba del tavolo. La situazione mi pareva assurda, fin troppo anche considerando la piega che la mia vita aveva preso da quando quell'elfa aveva cominciato a farne parte, tanto che non seppi trattenere una mezza risata.
“Rhi” chiamai, dopo aver riacquistato un minimo di serietà, “si può sapere che cosa diamine stai facendo?”.
Lei alzò due occhi rossi di pianto su di me, per poi riprendere a dar testate contro il legno.
“Stupida... sono stata una stupida” disse, tra i singhiozzi.
“Rhi? Cosa succede?” le mormorai, poggiandole una mano sulla spalla.
Non mi rispose, ma tentò di nuovo di far cozzare la fronte contro il legno. Stavolta riuscii a trattenerla in tempo.
Sospirai.
Hala, estamos bajo de la mesa, hemos bebido demasiado, tú estás ahí, llorando como una niña y hay tu hermano y el viejo este que pronto irán preguntandose qué coño estamos haciendo aquí”(1) riassumei, passando all'Haradrim per non farmi capire dagli elfi nelle vicinanze, “Vuoi una sigaretta?” le proposi.
In risposta l'elfa tirò su con il naso. Allungai la mano sopra il tavolo, afferrando un tovagliolo e passandoglielo.
“Grazie” mormorò, dopo essersi asciugata le guance dalle lacrime e soffiata il naso.
Poco più tardi ero riuscito a far arrivare Rhi nella sua camera, dopo averla tirata fuori da sotto il tavolo davanti agli sguardi confusi di Cristereb e Radagast.
In quel momento l'elfa si trovava accasciata sul letto con il volto affondato nel materasso, continuando a blaterare bestemmie e improperi verso suo padre.
Le avevo fatto bere un altro bicchiere di vino perché si bagnasse la gola, prima di uscire da sotto la tovaglia, ma forse non era stata un'idea delle migliori: i singhiozzi erano calati, sì, ma le bestemmie stavano diventando più colorite e si notava chiaramente che se avesse avuto le forze per alzarsi dal letto anche la vena autolesionista sarebbe tornata senza alcun freno.
Frugai nello scrittoio trovando qualche candela per fare un po' di luce nella stanza, per poi accendere la sigaretta che avevo promesso a Rhi.
“Rain...” biascicò lei, dopo esser riuscita a fare un paio di tiri e un paio di buchi nel copriletto.
“Mh?”.
“...sono sbronza” fece.
Ya lo veo, cariño...”.
“Ed è colpa tua, cabronazo” continuò, con un sorriso che le andava da un orecchio all'altro.
Sospirai, sfilandomi la maglietta su cui aveva deciso di soffiarsi il naso lungo tutta la scalinata, per poi andare a sciacquarmi il volto nel bacile d'acqua posto vicino alla finestra.
“E tu... tu ora ti approfitterai di me! Voi uomini tutti porci...” esclamò Rhi, dopo un altro tiro. Risi anch'io, stavolta.
Joder, ci mancava solo l'elfa ubriaca.
Mi avvicinai a lei, togliendole la sigaretta dalle mani prima che bruciasse il letto, e dopo decisi di frugare nel mio bagaglio per un'altra maglietta, visto che Rhi stava continuando a blaterare come fossi già mezzo nudo e pronto per approfittarmi della povera piccola elfa indifesa e sbronza che era. Mi bloccai quando sentii le sue dita percorrermi la schiena, delicatamente, seguendo il tatuaggio che mi ero fatto fare qualche anno prima, raffigurante una rosa dei venti.
“Come mai sono invertiti?” domandò, stavolta senza biascicare.
“Che?” risposi, voltandomi.
“Il Nord e il Sud” disse.
Sorrisi, ricordandomi tale dettaglio.
“Vorrei poterti dire che c'è un significato recondito e simbolico, ma sarebbe troppo cattivo mentirti in questo stato” le risposi.
“Quindi?” insisté lei.
“Ero sbronzo, Eric mi aveva passato del peyote ed ero in pieno delirio di onnipotenza” le dissi. Ridemmo entrambi.
“Ne hai altri?” mi domandò poi l'elfa. Negai con il capo, mentre lei giocava con una ciocca di capelli che mi ricadeva sulle spalle. Dovevano mancarle i suoi, molto, ed io continuavo a pentirmi di averglieli dovuti tagliare.
Le presi la mano e la guidai di nuovo sul letto, dove ci sedemmo entrambi.
“Come va Rain? Con l'astinenza, intendo” mi chiese, poco dopo. Mi irrigidii leggermente e frugai nella tasca dei jeans cercando il pacchetto di sigarette, prima di risponderle.
“È difficile, ma ce la sto facendo. E ho smesso di avere incubi, da un paio di giorni” ammisi, accendendomi un'altra cicca.
“Quello l'avevo notato” disse, abbozzando un sorriso.
Alzai gli occhi dal pavimento, senza però riuscire ad incrociare i suoi. L'elfa stava passando le dita lungo la collanina d'argento che portavo al collo. Le presi la mano, allontanandola dal mio petto per osservare meglio il tatuaggio che le decorava il braccio sinistro.
“Tu quanti ne hai, invece?” le domandai, cambiando discorso. Rhi sorrise di nuovo, accettando la mia domanda.
“Molti” rispose, sibillina.
Le sorrisi a mia volta.
“Voglio vederli” dissi, e prima che l'elfa potesse protestare le stavo già sfilando la maglietta. Rhi si dimenò, ridacchiando, mentre ricominciava a blaterare di aver ragione e che volevo effettivamente approfittare della sua condizione di ubriaca, per poi accomodarsi meglio sul letto quando mi ritrovai la sua maglietta tra le mani. Non provò neanche a fingere di vergognarsi ma mi sorrise ancora una volta.
“È un vero peccato che tu non porti il reggiseno” le dissi, avvicinandomi e facendola voltare sulla schiena. Lei sbuffò alla mia battuta, ma si lasciò girare senza resistere. Sembrava esser divertita dalla mia ricerca.
“Chi te li ha fatti?” le chiesi, riportando l'attenzione dai suoi seni ai suoi tatuaggi.
“Diverse persone. Il serpente è opera di mio fratello maggiore” rispose, sentendo le mie dita sul fondo della sua schiena.
“Non avevo mai sentito di elfi tatuati...”.
“Siamo in pochi, in effetti. È una pratica più diffusa tra voi Haradrim”.
Feci un mormorio d'assenso per poi scorrere con il dito lungo la sua spina dorsale, fino alle scapole. Una breve scritta in rune Tengwar decorava la destra. Avo awartho. Calen.
“Questo?” domandai, battendo l'indice sulla scritta.
“Sempre mio fratello, prima di ripartire per Aman. Non dimenticare”.
“Calen è il suo nome?”.
“Sì”.
“E cosa non dovresti dimenticare?” tentai. Continuava a stupirmi quanto mi stesse parlando di lei quel giorno.
“Una promessa, che gli feci tempo fa. Che sarei sempre stata felice” rispose. Le accarezzai la spalla, quasi per confortarla, mentre lei girava il volto verso di me, incrociando il mio sguardo.
“È sempre stato protettivo nei miei confronti, a differenza di Cris... Cristereb è sempre stato più un compagno d'armi e di bevute” continuò lei.
“Immagino che questo sia suo, allora” dissi, indicando il disegno di foglie di vite che si snodava sul suo avambraccio sinistro.
“Hai indovinato” asserì, regalandomi un altro sorriso.
La feci girare sulla schiena, continuando a scrutare la sua pelle. Passai con le dita sul collo, scostando delle ciocche di capelli, per poi scendere lungo la spalla ed in mezzo ai seni, arrivando sotto il sinistro. All'altezza del cuore c'erano sette onde circondate da un cerchio.
“Quello l'ho fatto da sola” disse Rhi, precedendo la mia domanda “Come ti dissi il mare è sempre stato nel mio cuore”.
“Dev'esser stato doloroso”.
“Sì, ma è un male che ho sopportato con gioia” ammise. Incrociò il mio sguardo un'altra volta, divertita, mentre passavo con le dita lungo lo stomaco.
“Ti sto facendo il solletico?” domandai.
“No, Rain, tranquillo. È che sembri un bambino al museo” disse, ridacchiando. Risposi passando con il pollice sull'orlo dei suoi pantaloni, notando la rosa che faceva capolino tatuata sul suo inguine.
“Questa me la ricordo” commentai, accennando un mezzo sorriso.
“Ne sono certa. Quello fu il primo, fatto da mio padre quando divenni una donna”.
“Quanti ne hai in tutto?” volli sapere, continuando distrattamente a passare la mano lungo il suo fianco.
“Otto. Ne avevo undici ma tre se ne sono andati con il mio braccio destro” rispose lei, con naturalezza. Joder ed io che continuavo a dimenticarmi che fosse un mezzo Terminator con le tette, come la definii quella volta. Feci un rapido calcolo mentale, rendendomi conto che mancavano ancora tre tatuaggi all'appello.
“Quindi quelli che mancano sono qua sotto” affermai con un sogghignò, indicandole i jeans.
Afferrai uno dei suoi stivali, cominciando a slacciarlo, mentre Rhi protestava tra le risate.
“Vedi! Lo dicevo fin dall'inizio che volevi solo spogliarmi e approfittare del mio corpo!”.
“Ed io ti ho detto dall'inizio che voglio vedere i tuoi tatuaggi, senza eccezioni. Che poi se avessi voluto approfittare di te avrei avuto già parecchie occasioni negli ultimi tempi”. L'elfa sbuffò.
“Almeno una trentina” aggiunsi, passando all'altro stivale.
“Prima era diverso” protestò lei.
“Ah sì?” chiesi, slacciandole i pantaloni “E le mutande sono facoltative per voi elfi?” aggiunsi, notando la loro assenza.
“Piantala, quelle le ho finite quando ancora eravamo a Nuova Gondor” rispose.
“Ah sì? Cosa sono, usa e getta?” insistei, cominciando a sfilarle i jeans dagli orli inferiori. Ammetto che mi stavo divertendo parecchio nel sentirla così piccata.
“Fanculo Rain” fece Rhi, alzando il bacino e facilitandomi nello svestirla, “Non avevo voglia di mettermi a fare lavatrici e le ho buttate. E comunque la differenza è che prima eri spesso fatto”.
“E con questo?” domandai, piegandole i pantaloni e poggiandoli sul letto vicino la maglietta.
“Adesso c'è più probabilità che ti venga su” rispose, sfoderando di nuovo uno dei suoi sorrisetti irriverenti che non vedevo da parecchio. Scoppiai a ridere.
“Che?”.
Joder Rhi, questa è una battuta scorretta, e comunque non bastava quello per tenerti al sicuro da me” feci, continuando a ridere. Era un bene che nonostante tutto ancora riuscissimo a fare dell'ironia sulle nostre situazioni.
“Tsk... voi uomini... ti giuro, sarebbe stato tutto più facile fossi stata lesbica”.
“Lo credo cariño, lo credo” risposi, prendendole una caviglia in cerca di ulteriori tatuaggi. Ne trovai uno sul polpaccio sinistro, raffigurante un'orma di lupo.
“Quest'orma?” chiesi, accarezzandolo. Dovetti farle del solletico, perché la gamba ebbe uno spasmo e Rhi cominciò a ridacchiare di nuovo.
“Quella è del mio terzo fratello” riuscì a dire.
“Anche lui ad Aman?”.
“Sì, mentre il bracciale sulla caviglia è il simbolo della mia promozione a generale” rispose, notando che ero già passato a scrutare l'altra gamba.
Appoggiai di nuovo la sua gamba sul letto per poi cercare con lo sguardo l'ultimo tatuaggio sul suo corpo, incrociando infine l'occhiata divertita di Rhi, che non accennava a dare segni d'imbarazzo. Le sorrisi a mia volta.
“Non sarà mica...” mormorai, poggiandole una mano sul fianco.
“Ah... cazzo! Speravo non l'avresti trovato!” esclamò lei, quando la feci voltare di nuovo sullo stomaco.
Rimasi allibito.
Sulla natica destra dell'elfa c'era il disegno di una nera e sorridente pecora.
“Ma...” balbettai “è... è una fottutissima pecora!”
L'elfa sospirò, sentendomi sghignazzare come non mai, per poi cominciare anche lei, soffocando le risa nel cuscino.
Respirai a fondo, cercando invano di riprendere fiato. Alla fine riuscii a calmarmi quel minimo necessario per porle la domanda che mi premeva:
“Chi te l'ha fatta?!”.
“Zaal, chi altri?!”.
Ripresi a ridere, se possibile più forte di prima, mentre Rhi s'imbronciava.
“Piantala dai. Non ha voluto dirmi cosa mi stava tatuando, ma pensavo sarebbe stato qualcosa di normale” disse, leggermente stizzita.
“E tu dovresti conoscerlo tuo cugino” mugugnai, senza smettere di ridere. L'elfa si girò di nuovo supina, cercando di colpirmi con un piede, mentre ero ancora piegato in due.
“Ho bisogno di una sigaretta” dissi, dopo essermi calmato, ma comunque mantenendo un sorriso che andava da un orecchio all'altro.
Frugai nello zaino per un nuovo pacchetto, accartocciando quello vuoto e gettandolo in un angolo, sotto lo sguardo interessato di Rhi.
Stavamo bene, finalmente. Forse aveva giovato ad entrambi questo ritorno alla Terza Era, in un luogo dimenticato dal tempo, ma finalmente eravamo entrambi riusciti a calmare i nostri demoni e a prenderci un momento di respiro.
Mi stesi sul letto, di fianco all'elfa, passandole il pacchetto di sigarette. Langrhibel se ne accese una ed espirò il fumo con lentezza, assaporando il gusto del tabacco e del momento, come se avesse timore che entrambi sarebbero finiti troppo presto.
Mi soffermai ad osservarla, con un mezzo sorriso sulle labbra e la sigaretta nella mano.
“Cosa c'è?” domandò lei. Nonostante il sorriso notai il cambio in lei, l'irrequietezza che la prese. Sembrava a disagio sotto il mio sguardo, come se d'improvviso si vergognasse. Ed ero certo che non c'entrasse il fatto che fosse ancora nuda.
“Non hai finito di raccontarmi la tua storia, prima” asserii. Rhi annuì.
“Lo so, Rain”.
Joder Rain, bel modo di sputtanare il momento.
Ricorda il sogno della iena, di Dan e i discorsi del giro di boa. Ci siete quasi, ma manca ancora qualcosa. Lo puoi leggere nei suoi occhi.
Rhi si accoccolò con la testa sulla mia spalla, distogliendo lo sguardo dal mio.
“Il tempo di una sigaretta, Rain. Il tempo di una sigaretta e finirò la storia, ma per ancora un momento lasciami stare qui” mi rispose.
Procrastiniamo. Ancora. Per quanto avessi voluto lasciarle tutto il tempo che mi avesse chiesto sapevo di dover insistere. Ora o mai più, per risolvere le questioni pendenti dentro di noi.
“Perché hai voluto raccontarmi di te, oggi pomeriggio? Dopo tutto il tempo che abbiam passato assieme senza che tu mi dicessi nulla” le chiesi.
L'elfa sbuffò, scostandosi da me e mostrandomi con un gesto eloquente la sigaretta che ancora stava fumando. Si vedeva chiaramente quanto sperasse che quella sigaretta non finisse mai.
“Rhi”, continuai, imperterrito “perché dopo tutto questo tempo a recitare la parte della dura hai deciso di aprirti? Perché hai voluto passare il pomeriggio a convincermi che anche tu hai dei sentimenti?”.
Langrhibel non rispose né mi guardò, restando distesa al mio fianco.
Mi alzai, spegnendo il mio mozzicone nel posacenere, tornando poi a fissarla.
“Non ce n'era bisogno, sai?” le dissi, con un po' di dolcezza in più. Solo un po'.
“Non ce n'era bisogno perché l'avevo già capito quanto tu soffrissi. Tempo fa, e lo sai anche tu”.
Feci due passi per la stanza, verso la finestra.
“Hai ragione” fece lei, parlando per la prima volta dopo lunghi minuti “Non sono un'attrice brava quanto te”. Suonava acida.
“Ehi, io sono sempre stato così” risposi, sulla difensiva “ho sempre tenuto per me i miei affari”.
“E allora perché dovrei raccontarti di me?” domandò lei. Ancora più acida.
Sospirai.
“Perché non ne vedi l'ora. Vuoi farlo, forse senti di doverlo fare, non lo so. Ma ne hai anche una fottutissima paura” affermai, riacquistando la calma.
“Non è così. E da quando sei diventato uno psicologo, Rain?” rispose, tentando invano di ripescare la sua fastidiosa irriverenza. Si alzò dal letto, recuperando e rimettendosi i jeans.
“Dovresti deciderti” feci, laconico. L'elfa sospirò, avvicinandosi alla finestra mentre fumava l'ultimo tiro, per poi gettare il mozzicone.
“Ci sono cose che devi sapere” mormorò “cose che devo dirti... non posso continuare questo viaggio, né godere della tua compagnia, se non ti dico la verità”. Le costarono molto tali parole, ma ancor di più quelle che seguirono:
“E non posso continuare se tu prima non mi perdoni”.
Mi avvicinai a lei, ma cambiai idea e decisi di tornare a sedermi sul letto, osservandola mentre si appoggiava allo scrittoio.
“Perdonarti... cosa?” le chiesi, quasi in un sussurro.
L'elfa non rispose, per poi cercare di cambiare discorso:
“Perché hai voluto che ti seguissi, Rain?” domandò.
“Perché hai voluto seguirmi, Rhi?” le feci eco.
Rain, diamine, non stiamo giungendo a niente in questo modo.
Lo so, vacca Varda, lo so. Ma in qualche modo debbo pur tirarle fuori quello che vuole e non vuole dirmi.
“Che cosa hai potuto fare di così atroce?” le chiesi, addolcendomi di nuovo.
“No Rain, ho cambiato idea”.
“Eh no tesoro, ormai hai passato la linea del poter cambiare idea, non si torna più indietro” le risposi.
Rhi stette in silenzio, cercando forse di trovare le parole. Sospirò un'ennesima volta.
“Credi non sia capace di perdonarti? Dubito tu possa aver fatto qualcosa di così grave da non poterlo fare” dissi, cercando di spronarla a parlare.
“Se te lo dirò finirà tutto... tutto ciò” fece, allargando le braccia ad indicare ciò che la circondava “Si sputtanerà tutto e mi odierai con tutto te stesso”.
Cominciavo a notare una nota di disperazione nella sua voce, mentre cercava d'aggrapparsi a qualsiasi cosa pur di non raccontarmi di sé.
“Che cosa hai fatto? Ti sei scopata il resto dei miei antenati dopo Zèf ed io sono l'ultimo di una lista di maghi d'Aria sedotti? Posso anche convivere con una rivelazione del genere” affermai, cercando di sdrammatizzare.
“No, non è questo. Peggio”.
Sospirai, allargando le braccia in un gesto esasperato.
“E allora parla, perché non mi viene in mente nulla che possa esser peggio dell'immagine di te che ti scopi mio padre”. L'elfa fissò il pavimento, per poi incrociare il mio sguardo. Il terrore della confessione che doveva farmi si poteva leggere nei suoi occhi.
“Rain, facciamo sesso?” propose.
Ringhiai, per dopo implorarla:
“Parla”.
L'elfa sospirò un'ultima volta. E parlò.

Mi narrò degli anni successivi alla Guerra del Drago, quando decise di darsi al nichilismo più totale, all'annullamento di sé stessa e alla perdita di una qualunque dignità. Mi narrò di come si prostituì, di come più si faceva pagare più si disprezzava, fino al punto di esser ripugnata da sé stessa. Mi narrò di come, uscita dalle case dei suoi ricchi clienti bruciava o lanciava nei fossi i soldi che le avevano dato, per poi andare a cercare dell'ulteriore lavoro, di come si perdeva nei deserti dell'Harad di sua spontanea volontà, rischiando la morte ripetute volte. Mi narrò di come cominciò a farsi pagare come sicario, agli inizi delle persecuzioni, lavorando per lo più per le mafie e con la regola di non uccidere maghi o elfi. E mi narrò di come toccò il fondo.
“Era in quel periodo, durante uno dei lavori, che persi il braccio. Come dissi fui portata a Lasgalen, ma quello che narrai a te e Zaal successe dieci anni dopo. Quel mese con Legolas fu l'unica boccata d'aria che ebbi in tutti questi anni, fino ad incontrare te. Ma quello che successe quella volta...”.
Rhi si bloccò, cercando di calmare il respiro che s'era fatto affannoso in quest'ultima parte del racconto, contrastando con il tono piatto con cui mi aveva parlato fino a poco prima.
“Las aveva ancora degli alleati umani e uno di loro era ricoverato nello stesso ospedale di Lasgalen. Legolas m'impedì di ucciderlo e di portare a termine il lavoro, ma dopo successe ciò che mi fece toccare il fondo”. S'interruppe di nuovo per respirare, mentre nella mia mente cominciavano a formarsi le peggiori ipotesi.
“Non volevo essere più un'elfa, una donna, nulla... non volevo essere più viva, solo un'automa” mormorò.
“Rhi” tentai, “Cosa...”.
“Erano in tre” asserì, di nuovo piatta.
“Come?”.
“Tre uomini...”.
Ero immobile, inorridito da ciò che Rhi stava lasciando sottinteso. Capivo perché avesse tenuto dentro di sé tale sofferenza, ma ciò mi confondeva ancora di più sul perché avrei dovuto odiarla.
“Rhi...” cominciai, incrociando il suo sguardo, cercando di tranquillizzarla. Lei distolse i suoi occhi dai miei, per riprendere a parlare.
“Volevo restituire al resto del mondo il dolore che mi era stato inflitto, senza più limiti, senza più alcun ritegno, senza più regole. Volevo vedere Arda sprofondare nel caos, e sguazzarci dentro soddisfatta della mia malvagità. Cominciai a lavorare per le Milizie”.
Rimasi in silenzio, continuando ad osservare l'elfa. Sapevo che ancora non aveva terminato ed ora sì, temevo la rivelazione che poteva farmi.
La frase arrivò secca, senza inflessioni, come un colpo allo stomaco:
“Sono stata io ad uccidere il capo del partito socialdemocratico dell'Harad, nove anni fa”.
No.
Joder no.
“No...”.
Sentii tutti i muscoli del mio corpo irrigidirsi, quasi ebbi un capogiro nel sentire il sangue defluire dalla mia mente, che rimase completamente in bianco. Non potevo crederci, non volevo crederci. Eppure dovevo.
“È la verità?” le domandai, secco.
Dimmi di no, ti prego dimmi che non è andata così.
“Sì” mormorò lei.
Volevo gridare, volevo colpirla, volevo urlarle in faccia che uccidendo quell'uomo aveva tolto l'ultimo ostacolo che Nuova Gondor aveva per sterminare i maghi nell'Harad, permettendo al regime di instaurare un governo fantoccio favorevole alle sue leggi razziali. Volevo investirla con tutto il dolore causato da tale atto, che facendo cadere il governo permise la retata nei dodici locali dove si tenevano le riunioni dei maghi elementali, volevo picchiarla per ogni mago ucciso in quelle retate.
Non riuscii a fare nulla di tutto ciò.
“Sono morti... tutti... per causa tua. I genitori di Dan, di Blaine... i miei genitori... li hai uccisi tu” riuscii a mormorare.
E mi dissi basta.
Avevi ragione, Langrhibel. Pensavo mi sarebbe stato difficile odiarti, quasi impossibile. Ma mi sbagliavo.
Non ricordo se parlai ancora, probabilmente continuai a mormorare frasi sconnesse riguardo la morte del mio popolo, di come gli unici risparmiati fossero i bambini, i ragazzi ancora troppo giovani per partecipare alle riunioni, o la popolazione più anziana che da tempo aveva smesso di parteciparvi, di come rimanemmo in pochi e di come mi trovai ad essere la guida di un popolo decimato a soli diciassette anni.
Non riuscivo a pensare, nella mia mente c'era un semplice e totale biancore. I pensieri si susseguivano con velocità innaturale, senza che riuscissi a fermarli. Non provavo più nulla.
“Anche adesso, è tutto un gioco? Volevi portarci da Legolas per vedere come ci saremmo scannati a vicenda?” le chiesi.
“No... volevo... volevo redimermi. Espiare. Aiutarvi” rispose, senza nascondere le lacrime che le rigavano le guance dall'ultima rivelazione.
“Sei marcia dentro” conclusi, con la voce che mi moriva in gola. Non avevo neanche più rabbia da riversarle conto, o indignazione o pietà. Non riuscivo a provare nulla.
Senza rendermene conto avevo raccolto le mie cose e mi stavo dirigendo verso la porta.
“Rain... ti prego non andartene. Picchiami, insultami se vuoi, ma non andartene”.
Mi voltai a guardarla, accasciata sul pavimento e cercando disperatamente il perdono nei miei occhi.
“Non andartene, ti prego”.
Ma senza un gesto o una parola mi voltai, dopo quell'ultima occhiata, ed uscii dalla stanza, chiudendo la porta dietro di me.







(1)"Vai, siamo sotto il tavolo, abbiam bevuto troppo, tu te ne stai lì, piangendo come una bambina e ci sono tuo fratello e il vecchio che presto cominceranno a chiedersi che cazzo ci facciamo qui".





In caso non si fosse capito, la nota qua sopra è riferita alla frase di Rain completamente in spagnolo, per la vostra comprensione. Insomma, in diretta da Bologna e da casa della beta che si continua a ringraziare arriva anche quest'ultimo. Abbiamo incontrato finalmente Cris, visto i Porti e letto di ulteriori calci nei cosiddetti al povero Rain, che chissà come fa ancora a reggersi in piedi. Insomma, continuiamo a sperare che anche il prossimo arrivi presto. Perché arriverà, vero? Massì dai, che debbono rispuntare i due vostri elfi preferiti, anche se non assieme. Insomma, si spera a presto =)

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 - Vino ***



Capitolo 14 - Vino

La festa era finita da un pezzo quando scesi le scale: la Grande Sala dove avevamo cenato, ancora illuminata dai mozziconi di qualche candela, era deserta, con l'eccezione di Pan che dormicchiava su una delle panche. La gatta rizzò le orecchie al sentirmi arrivare, per poi socchiudere pigramente gli occhi.
“Ehi piccola...” feci, avvicinandomi a lei per darle una carezza. Pan rispose facendo le fusa e stiracchiandosi, strusciandosi meglio contro la mia mano.
“Ti piace qui, vero?”.
Miagolò e decisi di prenderlo come un sì.
Mi poggiai contro il tavolo, continuando ad accarezzare distrattamente la gatta, assorto nei miei pensieri.
Bene Rain. E ora?
E ora fanculo. A tutti.
La rabbia per le rivelazioni di Rhi ribolliva ancora, in un angolino del mio essere, ma ero troppo stanco per darle peso. Non avevo più forze per sfogarla e la verità era stata fin troppo per me.
Era stato il colpo di grazia.
Ora fanculo tutti. Fanculo tutto. Siamo arrivati in capo al mondo e non abbiamo risolto nulla. Sì, ho smesso di avere incubi per l'astinenza e non mi sveglio più sudando freddo, ma ciò che ho perso nel mentre...
Joder.
Avrei tanto voluto aver le forze per mentire a me stesso e decidere di non credere a quello che Langrhibel mi aveva detto, ma non potevo e non ce l'avrei fatta.
“E non abbiamo neanche fatto l'amore” mormorai, sommesso.
“Mia sorella non te l'ha data? Eppure a vedervi sembravate così affiatati”.
Mi voltai, riportato improvvisamente al mondo reale dalla voce alle mie spalle.
Maledetti elfi dei miei coglioni e la loro leggiadria e che cazzo so io del loro non fare rumore. Mai. Neanche attaccandogli dei campanellini addosso.
Quella forse sarebbe un'idea, al prossimo elfo che incontri attacchi il collarino che avevi comprato a Minas per Pan.
“Rain? Tutto bene?”. Avevo ancora il respiro affannato e probabilmente gli occhi stralunati.
Misi a fuoco l'elfo di fronte a me dall'altra parte del tavolo, che stava agitando la mano davanti ai miei occhi, riconoscendo Cristereb.
Vale, riconoscendo per modo di dire, perché aveva l'aspetto di chi ha passato una serata di troppo a bere. Gli occhi cerchiati e arrossati, i capelli spettinati, le guance imporporate e le labbra violacee gli davano in tutto e per tutto l'aspetto di un vecchio bevitore di Umbar.
“Cristereb?! Non t'avevo visto, scusa...” cominciai. L'elfo mi fece un cenno con la mano, ad indicare che non c'era problema.
“Stavo dormendo sotto il tavolo, finché non sei venuto a monologare” spiegò, con un sorriso mesto.
“Che ci facevi sotto il tavolo?”.
“Ah, non lo so. Debbo esser scivolato dalla panca a un certo punto. I ricordi sono un po' foschi” rispose.
Feci un verso d'assenso, sedendomi sulla panca di fianco alla gatta.
“Tu invece? Come mai sei sceso? Sembra tu abbia visto un fantasma” asserì lui.
“Non proprio... è una storia lunga” risposi. Mi frugai nelle tasche, cercando il pacchetto di sigarette.
“So io di cosa hai bisogno” affermò l'elfo “Seguimi”.
Confuso e curioso decisi di andar dietro all'elfo, che si avviò lungo un corridoio laterale fino a giungere ad una porta di legno in fondo allo stesso. Pan zampettò tra le nostre gambe, strusciandosi poi sulle caviglie di Cristereb.
“Le piaci” dissi. L'elfo mi sorrise, frugando tra le chiavi del mazzo che aveva estratto da una tasca occulta della toga.
Aprì la porta, rivelando una scalinata che andava verso il basso, e mi fece cenno di scendere con lui.
“Per caso hai un accendino?” mi domandò, prendendo una candela da un sostegno alla sua destra. Annuii, porgendoglielo.
“Ottimo” fece, accendendo la candela e cominciando a scendere la scalinata, fermandosi di tanto in tanto ad accenderne altre, appese lungo il muro.
Giungemmo in fondo alle scale, dove l'elfo finì di accendere le candele, illuminando la stanza e rivelando file di botti e bottiglie.
“Benvenuto a Valinor, Rain” disse.
“È la cantina” affermai, incredulo. Ed io che pensavo che la sorella avesse problemi. O il cugino. Ma ce n'è uno normale in quella famiglia?!
Parrebbe di no.
“Bravo Rain, osservazione azzeccata. Dalla tua faccia sembrava proprio tu avessi bisogno di un bicchiere di vino”.
“Anche due...” feci. L'elfo rise.
“Anche due, sì. Beh, come puoi vedere non ne manca, e poiché la stiva della nave è già piena mi ero ripromesso che sarei riuscito a svuotare la cantina prima della partenza. Magari puoi darmi una mano” propose.
No. Decisamente non ce ne sono di normali.
“Mi stai proponendo di sbronzarci?” domandai.
L'elfo alzò le spalle ed allargò le braccia, come a dire Beh, a me sembra una buona idea.
Non ci credo. In realtà anche questo è tutto un sogno dovuto all'astinenza, al vino elfico e probabilmente allucinogeno che ci hanno dato a cena o a che cazzo so io. Forse sto semplicemente impazzendo e sono ancora chiuso in una stanza d'albergo a Umbar, in tour con gli Squall, e non ho mai conosciuto nessun elfo.
Magari Rain, magari.
“Rain?” fece l'elfo. Mi resi conto di essermi bloccato di nuovo, osservando le bottiglie disposte in file ordinate lungo i muri.
“Sì, ci sono”. Cristereb annuì, andando a frugare in un angolo e riemergendo con una coppia di calici e una bottiglia.
“Cominciamo con un bianco più leggero, che magari hai anche voglia di parlare, nel mentre” disse. Annuii, ancora confuso da tutta la situazione.

“Dunque” cominciò, porgendomi uno dei calici “Cosa è successo?”.
Sospirai, ancora incredulo.
Cos'è successo? È successo che tua sorella m'ha rivelato d'essere la responsabile della morte di un sacco di maghi, tra cui i miei genitori, ed ora tu -suo fratello- mi stai consigliando di ubriacarci per rallegrarmi un po'.
Qualcosa non va in quella famiglia, ne sono certo.
“Rhi...” cominciai. Non riuscii a continuare, ma vuotai il bicchiere, accasciandomi poi sul pavimento. L'elfo prese il bicchiere vuoto dalle mie mani per porgermelo nuovamente pieno, un minuto dopo.
Si sedette poi al mio fianco.
“È sempre stata una persona difficile, lo so”.
“Sei suo fratello, dopotutto” asserii, laconico.
“Mah... è vero, ma alla fine il nostro rapporto è stato sempre bizzarro. Sì, sono suo fratello minore, ma sono rare le volte che mi abbia trattato come tale. Solitamente ero più vicino ad un compagno di bevute, un suo amico e un suo pari. Vuoi per il suo rango e vuoi per il suo carattere, Rhi ha sempre avuto difficoltà nel trovarsi degli amici. Ha sempre avuto il rispetto dei suoi soldati e dei suoi pari, questo sì, almeno fino al momento del suo esilio, e anche una schiera non indifferente di pretendenti -sai, essendo la figlia del vicegovernatore dei Porti è normale- ma amici sempre pochi. Anche per questo è sempre stata affezionata a Zaal, uno dei pochi che non avesse mai paura di dirle le cose con chiarezza e senza abbellimenti. Dev'essere una cosa di famiglia, forse, perché alla fine dei conti siam sempre stati alquanto solitari, tutti e tre”.
Mi voltai verso l'elfo, mentre questo vuotava il fondo della bottiglia nel suo bicchiere e tracannava quest'ultimo in due sorsi.
“Insomma, mia sorella è sempre stata un boccone difficile, specialmente per voi maghi” concluse.
“Alludi al fatto che c'è mancato poco fosse la mia antenata?” gli chiesi, caustico.
“A dire il vero no, ma penso che tu lo sappia: fu una scelta di Zèfiro quella di lasciarla”.
“Perdonami, anche tu hai ragione”.
“Ti sta proprio sul cazzo, eh?” domandò, e sapevo con certezza che non si stesse riferendo a lei.
“Sai com'è, quando tutti, da tuo padre alla donna di cui t'innamori, non fanno che paragonarti a lui, penso sia normale” risposi, allungando la mano verso la bottiglia per poi ricordarmi che fosse già vuota.
Cristereb si alzò, andando a prenderne un'altra.
“Ti capisco Rain. Anch'io non ho avuto quello che si dice un rapporto roseo con mio padre” fece l'elfo, stappando la nuova bottiglia.
Cristereb riempì un'altra volta i bicchieri, tornando a sedersi, mentre Pan si avvicinava, nuovamente incuriosita dall'elfo.
Hola pequeña” fece questi, porgendo la mano aperta verso la gatta. Pan l'annusò e decise anche stavolta che le piaceva, cominciando a strusciarcisi contro.
“Non sapevo tu parlassi l'haradrim” dissi, osservando l'elfo accarezzare la gatta che, per l'occasione, aveva cominciato a fare le fusa.
“Ho passato gli ultimi secoli nell'Harad” rispose lui. Non ne ero certo, vuoi per il vino, vuoi per le rivelazioni di Langrhibel, ma mi parve che l'elfo si fosse rabbuiato un'altra volta, come al sentir me e Rhi imprecare.
“C'è qualcosa che non va?” gli domandai. Cristereb bevve qualche sorso di vino prima di rispondermi.
“Diciamo che gli ultimi ricordi che ho di quella terra non sono dei migliori” fece.
Vuoi vedere che... eppure mi aveva dato un'altra impressione. Chissà.
Osservai il profilo dell'elfo che beveva.
Potrebbe essere, ma ancora non son sicuro.
Certo che stiamo abbassando la guardia Rain, guardalo meglio, è quasi palese.
Ma mi pare strano che non fosse stato così visibile già da prima.
Forse perché prima eri ancora destabilizzato dai Porti, dal vino e soprattutto da sua sorella?
C'è qualcosa che non mi quadra in tutto ciò. Probabilmente hai ragione, ma vorrei evitare gaffe.
Come vuoi, io continuo a credere che la gaffe sia la domanda che hai scelto di fare.
Accantonai i deliri della mia mente da un lato per poi rivolgermi di nuovo a Cristereb.
“Donne?” chiesi. L'elfo ridacchiò.
“Non propriamente”.
Uno a zero per me Rain, te lo dicevo io che era abbastanza palese, quando smetti di pensare a lei per un momento.
“Ah” feci, incerto su cosa dire.
“Aye Rain. Maghi, nello specifico. Vale, un mago se vogliamo essere precisi”.
Improvvisamente ebbi un brutto presentimento. Eppure mi sembrava finalmente di averne trovato uno che non adorasse religiosamente quell'infame.
Vidi Cristereb studiare la mia espressione -probabilmente per l'ennesima volta confusa- con vago divertimento.
“T'assicuro che per una volta non si tratta del tuo antenato. Era un mago d'Acqua” disse, mesto. Notai un apparente disprezzo sulle parole tuo antenato, ma decisi di non indagare oltre. Si vedeva lontano un miglio che il discorso non era uno dei suoi preferiti.
“No, Rain, non mi sta così tanto sul cazzo. Beh, sì e no. Nonostante Zèfiro abbia salvato il culo a tutti noi -e per questo gli sono sempre stato immensamente grato- non ho mai capito questo culto che la gran parte della gente avesse per lui. Era un brav'uomo, sì, e un amico, ma a differenza di altri non ho mai visto la luce brillargli dal culo” rispose. Gli rivolsi un sorriso mesto, sollevato di aver trovato finalmente qualcuno che la pensasse come me.
“Ma...” cominciai poi.
“No Rain, ti prego di non domandare di più riguardo il mio compagno” m'interruppe Cris. In quel momento fu palese il dolore e la rabbia che a stento tratteneva, al ricordo di tale mago.
“Perdonami, non ti chiederò di più” gli dissi, poggiando una mano sulla sua spalla.
“Tranquillo Rain. Immagino che con mia sorella tu abbia imparato a non fare troppe domande” mi disse, rasserenandosi un minimo.
Sospirai, annuendo. Vuotai il mio bicchiere ed allungai la mano verso la bottiglia.
Devo ammettere che l'idea di Cristereb stava funzionando, già cominciavo a sentire il vino ed i suoi effetti.
Magari se mi sbronzo abbastanza potrei perdonarla.
Mi sembra difficile.
Sicuro?
Secondo me ti ritrovi semplicemente ancor più incazzato, ancor più triste e per di più con i postumi.
E se agissi prima dei postumi?
Stronzate.
Hai ragione, forse.
Ho sempre ragione. E dammi della nicotina, una buona volta.
Mi accesi la sigaretta, sotto lo sguardo attonito di Cristereb.
“Tutto bene?” domandò, un'altra volta.
“Eh?”.
“Ti sei incantato di nuovo”. Gli rivolsi mezzo sorriso.
“Non ti preoccupare, mi capita spesso”.
“Dunque... vuoi dirmi finalmente che cosa è successo con mia sorella o aspettiamo ancora una bottiglia di vino?” chiese l'elfo, cercando di sdrammatizzare. Ridacchiai, anche se c'era poco di cui ridere.
Presi un altro respiro e mi versai un altro bicchiere.
“Tu prendi un'altra bottiglia ed io vedo di trovare le forze per parlare, finalmente, che mi farà bene”.
“Aye”.
“O almeno spero mi farà bene”.
“Animo Rain” fece l'elfo, osservando le bottiglie sulle mensole per poi sceglierne una.
“Niente frase rassicurante su come tutto si può risolvere?” gli domandai.
“Oh, volentieri, ma stiamo parlando di mia sorella e mi pare di capire che siamo entrambi ormai alquanto disillusi per credere in frasi fatte del genere” rispose lui, tornando a sedersi e stappando il vino.
“L'hai detto” asserii, alzando il calice verso di lui.

Nella mezz'ora che seguì ripercorsi la gran parte di quello che era successo da quando avevo conosciuto Rhi, o meglio da quando avevo conosciuto Claudia e di come si fosse rivelata essere Rhi. Non fu facile e glissai su molti dettagli, primo su tutti la notte prima della nostra partenza. Arrivai finalmente alle rivelazioni di quella notte e del passato di sua sorella e potei notare come l'espressione di Cristereb era sempre più inorridita. Anche lui, come me, non voleva crederci, ma sapeva di doverci credere.
“Insomma” continuai, cercando di mantenere ferma la voce “puoi capire perché tu mi abbia trovato nella sala in stato confusionale”. L'elfo annuì, senza parlare, forse perché neanche lui più ci riusciva.
Restammo in silenzio per un lungo momento, continuando a bere vino.
Fu Cristereb a parlare per primo, alla fine.
“Vacca Varda” mormorò.
Joder” gli risposi.
Altro lungo silenzio.
Forse non è stata una buona idea mettersi a parlarne con suo fratello, ubriacandosi.
“Almeno” mormorò l'elfo, assorto in chissà quale pensiero “Lei ha avuto il coraggio di parlare e di affrontarti. Poteva... poteva lasciarti una nota e sparire”. Mi voltai a guardarlo, notando di nuovo la vena di dolore che aveva accennando al suo compagno. Rispettai la sua precedente richiesta di non insistere e tornai a concentrarmi sul mio bicchiere.
“Ti ringrazio” disse Cristereb, dopo un po'.
Alzai di nuovo gli occhi su di lui, non capendo.
“Per... per come hai reagito. Lo so che non è la cosa migliore da dire, ma resta comunque mia sorella”.
“Non penso riuscirei ad alzare le mani su di lei. Non di nuovo” risposi, abbassando di nuovo lo sguardo.
“Quella volta... beh, so che sa difendersi e m'hai detto che l'ha fatto. Acqua passata. Ma in questo caso t'avrebbe lasciato ucciderla, se tu avessi deciso di farlo, e ti sono grato per come hai deciso di reagire” disse.
Sospirai, e decisi di narrargli anche il dettaglio che avevo tralasciato.
“Sai” cominciai, mentre l'elfo si alzava a prendere l'ennesima bottiglia, “mi ha salvato la vita”.
Cristereb mi osservò, mentre prendevo un altro respiro.
Dovevo decidermi.
No, ti sei già deciso.
Lo so.
Ma comunque devi raccontarglielo.
Lo so.
Almeno qualcuno deve sapere di tale decisione, e Cristereb mi sembra un'ottima persona.
Lo so.
E allora cosa aspetti?
“Salvato la vita?” ripeté l'elfo, versando il rosso Rohirrim nel mio calice vuoto.
Aspettavo questo.
Cristereb si riempì il bicchiere a sua volta, attendendo che smettessi di discutere con la mia mente.
“Sì...” mormorai, accendendomi quella che era l'ennesima sigaretta. Le fusa di Pan, accoccolata contro le mie gambe, furono per un momento l'unico rumore, finché non ripresi finalmente a parlare.
“È stato qualche settimana fa, la notte prima che lasciassimo Minas” dissi.
Joder se non avevo voglia di parlare di quella notte, joder!
“Cos'è successo? Da quello che mi ha raccontato vi siete salvati le penne a vicenda parecchie volte, da quando vi siete conosciuti” disse l'elfo, sedendosi accanto a me. Gli offrii una sigaretta, spegnendo la mia.
Cristereb guardò incerto la sigaretta che gli stavo porgendo, combattuto, per poi accettarla. Lo osservai accendersela e scoppiai a ridere poco dopo, mentre l'elfo si soffocava tra i colpi di tosse.
Ti sei abituato così tanto a vedere Rhi fumare che un elfo non fumatore ti diverte?
Ah, sta buono, che ho bisogno di un po' di leggerezza.
“Non avevi mai fumato?” chiesi, ancora ridacchiando.
“No” boccheggiò lui, tra un colpo di tosse e le lacrime “Non ho mai capito questa passione di voi mortali ad avvelenarvi i polmoni, ma volevo provare almeno una volta prima di partire”.
Attesi in silenzio che Cristereb smettesse di tossire, voltandomi poi a guardarlo. L'elfo incrociò il mio sguardo e scoppiammo entrambi a ridere.
Vacca Varda, 'sto vino funziona mi dissi.
“Bevici un sorso, ti farà meglio” gli consigliai, alzando il calice a mimare un brindisi.
“Sappi che toccherà fumarti anche questa” disse Cristereb, dopo aver bevuto un paio di sorsi “Io non rischio una seconda boccata”.
Risi di nuovo, accettando la ormai mezza sigaretta che avevo offerto all'elfo.
Okay, ora il siparietto comico è finito. Torniamo al punto.
“E non hai tutti i torti, ci siam salvati l'un l'altra un paio di volte, ma questa era una situazione diversa” asserii, riprendendo il discorso interrotto dalla tosse dell'elfo.
“Avevo tentato di suicidarmi” conclusi, laconico.
Joder.
Il silenzio calò sulla cantina dopo la mia ultima affermazione.
Joder, lo dicevo che non volevo parlare di quella sera.
“Posso domandarti perché?” chiese l'elfo.
Vale, continuiamo a rivangare. Forse è questo il mio giro di boa.
“Beh... era andato tutto a puttane. La mia ragazza non ha voluto accettare che fossi un mago -sì, sono stato abbastanza coglione da rivelarglielo- e ha avvertito le milizie. Questi hanno fatto due più due ed il mio migliore amico...” sospirai, interrompendo il discorso per un momento “Stavano attraversando la frontiera, lui e Romeo, il nostro batterista... Romeo l'hanno preso vivo, Dan non ce l'ha fatta”.
“Mi dispiace Rain” rispose Cristereb, appoggiando la mano sulla mia spalla. Poggiai il bicchiere in terra, facendo poi ciondolare la testa tra le ginocchia. Ero vagamente conscio dello sguardo dell'elfo, che attendeva senza fretta che riprendessi a parlare.
Ancora uno sforzo, Rain.
“Dopo... è tutto un casino, è tutto confuso. Rhi ha capito subito chi avesse fatto la soffiata e da lì è stato facile per gli altri maghi attribuirmi la responsabilità delle cose. E non avevano torto, bada bene. Daniel era un fratello per me e sarebbe ancora vivo se non avessi deciso di rivelarmi ad una donna a cui mettevo le corna quasi regolarmente”. Sospirai di nuovo, allungando una mano a fare una carezza a Pan.
Ci siamo.
“È finita che son andato verso il letto, chiedendo a Rhi di seguirmi, e nella manciata di secondi prima che entrasse in camera ho ingoiato un'intera boccetta di sonniferi. Non volevo più svegliarmi, ma addormentarmi l'ultima volta con Rhi tra le braccia e l'odore dei suoi capelli”.
“Se n'è accorta, vero?” disse Cristereb, con un sorriso mesto.
Non risposi subito, ma lasciai passare un lungo momento, inspirando per ridare fermezza alla mia voce.
Un respiro.
Due.
Tre.
Respira Rain.
Quattro.
Da quando ti emozioni così tanto, Rain?
Vorrei vedere te dopo quello che ho passato, joder.
“Certo” riuscii a dire, finalmente, “Me lo ha raccontato dopo, ma a quanto pare s'è resa conto di come fossi crollato innaturalmente e mi ha infilato due dita in gola, facendomi vomitare tutte le pillole. Ha dormito tenendo la mano sul mio petto, quasi avesse paura potessi morire comunque”. Cristereb non rispose, ma mantenne quel mezzo sorriso osservandomi.
“Sai, penso mia sorella si sia innamorata di te, Rain”. Abbozzai un mezzo sorriso a mia volta, nonostante gli occhi velati al ricordo di quella notte.
Innamorata? Potrebbe essere. E tu Rain?
Stronzate.
Dunque? Siamo arrivati al punto.
Vero. Il punto.
“Non ne sono poi così certo” dissi “Ma ho deciso una cosa, dopo quella notte”.
“Ovvero?”.
“Ovvero che ho messo la mia vita nelle sue mani. È stata lei a riportarmi indietro, a salvarmi. Non intendo sprecare questo suo dono”.
“Che cosa intendi? Pensavo tu non volessi più avere a che fare con lei”.
Non voglio o non posso?
Mi sembra tu abbia già deciso la risposta a questa domanda.
Era...
Diverso?
Sì.
Stronzate. Avevi deciso di fidarti di lei.
Come posso fidarmi di lei?
È questo il bello della fiducia.
Sospirai ancora una volta.
“Questo è certo” affermai “Come è certo che dovrei smettere di mentirmi ed accettare ciò che provo per lei”.
Non sarebbe una cattiva idea. O dobbiamo fare l'uomo incazzato?
Senti, incazzato è una parola che non rende minimamente ciò che provo ora.
Lo so.
Ma non credi, ciò nonostante, che ne abbia un po' -giusto un po', eh- il diritto?
Te puoi fare il cazzo che vuoi Rain, ma stai discutendo con la tua mente.
Lo so. Quindi sai anche quanto mi senta un coglione in questo istante.
Senti, lascia a me le decisioni sullo stato d'animo per il momento e dedicati a quelle pressanti, che Cristereb sta ancora aspettando che tu finisca di parlare.
“Intendo dire che mai prenderò di nuovo la decisione di togliermi la vita” continuai, finalmente “Non chiedermene le ragioni perché non le so, ma sono certo che non sarà suicidandomi che me ne andrò da questo mondo. È una promessa che ho voluto farmi e che faccio a te in questo momento”.
Dopo una breve pausa decisi di fare un'aggiunta:
“Avrei voluto dirlo anche a Rhi, ma visto come stanno le cose magari potresti accennarglielo tu”.
Cristereb rimase in silenzio, vuotando il fondo della bottiglia nei due calici poggiati sul pavimento.
“Ammiro la tua determinazione, Rain, e brindo a te” disse poi, alzando il suo bicchiere.
“Ti ringrazio, figlio di Ornhir” risposi, facendo cozzare il calice contro quello dell'elfo.
Meglio?
No.
Pazienza.
Bevvi un paio di sorsi e riappoggiai il bicchiere in terra, rendendomi conto finalmente del brindisi.
Figlio di Ornhir? Veramente, questo vino e questo posto mi stanno facendo più effetto di quanto credessi.
Mi accorsi di star ridacchiando sommessamente.
“Che?!” fece l'elfo, dopo aver vuotato il bicchiere in due sorsi, con fare da beone affermato.
“Era strana l'assenza di pomposità, mi chiedevo quando sarebbe spuntata” risposi, mimando di nuovo il brindisi con il calice.
“Ehi, resto comunque un Noldo! E non sono io quello che ha tirato fuori i patronimici!” rispose Cristereb, piccato.
“I patronimici, addirittura! Non giochi a tuo favore se continui ad usare questi termini” continuai, ormai ridendo apertamente. Devo ammettere che la sua irritazione era parecchio divertente.
In risposta Cristereb ruttò sonoramente, provocandomi un ulteriore scoppio di risa.
“Va meglio ora? Joder, talvolta mi scordo quanto cafoni possiate essere voi haradrim!”.
“Senti” dissi, dopo essersi calmato “avrei un altro favore da chiederti”.
“Dimmi pure”.
“Pan. Io partirò, a breve, non so ancora verso dove, ma le Terre Selvagge non sono il posto migliore dove portarla, specialmente se viaggio a piedi. Vorrei ti prendessi tu cura di lei, visto che le piaci”.
“Posso ribattezzarla Pervinca III?”.
Scoppiai a ridere un'altra volta.
“E tuo padre quanto ci avrebbe messo a rendersi conto che sei omosessuale?!”.
Cristereb rise a sua volta, incassando la frecciata.
“Penso lo abbia sempre saputo, ero io quello che non poteva accettare di essere accettato. Ma questa è un'altra storia” rispose “In ogni caso sì, mi prenderò volentieri cura di Pan, a patto che tu mi faccia un'ulteriore promessa”.
“Dimmi”.
“Non abbandonarla. So che è molto e non dovrei arrogarmi il diritto di chiedertelo, ma ti prego non abbandonarla. Lo facemmo tutti, a nostro tempo, Zaal, mio padre, Zèfiro, io...”. L'elfo s'interruppe, perdendosi per un momento in ricordi di tempi lontani.
“Cris, ne sono innamorato” risposi. Mi bloccai, accorgendomi delle mie parole.
Abbiamo deciso di accettarlo?
Parrebbe. “Ma” continuai “il colpo che mi ha dato è stato troppo, anche per me. Non posso prometterti ciò, ma posso prometterti che ci penserò”.
Mi accesi l'ultima sigaretta del pacchetto e accartocciai quest'ultimo con la mano.
“Sei una brava persona Rain. È stato un piacere poterti conoscere, prima di andarmene” affermò Cris, porgendogli la mano. Gliela strinsi, guardandolo negli occhi.
Y tu también, Cris. Ha sido un placer”.






Note d'autore
E finalmente quattordici. La scena è diventata più lunga di quanto credessi e quindi niente iene e ancora Porti, ma poco male, ci va bene così. Speriamo arrivi presto il prossimo con il ritorno di un po' d'azione dopo tutti i dialoghi degli ultimi due.
Ah, neanche vi faccio il disclaimer ufficiale, ma comunque andateci piano con il vino. =D
Adiòs

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 - Vecchio ***




Capitolo 15 - Vecchio

Joder!”.
Calciai il sasso più vicino al piede destro -quello su cui avevo appena sbattuto l'alluce- e decisi di sedermi a terra.
Osservai dei passeri alzarsi in volo dagli alberi che mi circondavano, probabilmente disturbati dal mio imprecare a pieni polmoni nel loro bosco.
Rain, seriamente, cazzo fai?
Me ne torno alla civiltà.
La stessa civiltà che ti sta cercando per metterti in galera e probabilmente vivisezionarti?
Joder.
Che? Pensavi che dopo un paio di settimane lontano da Nuova Gondor t'avrebbero regalato cioccolatini e birra, come se non fosse successo nulla? Guarda che resti comunque un ricercato.
Lo so. È che...
Che?
Non... è difficile pensare. E lo sai meglio di me.
Non è questa la risposta.
Sì.
Stronzate.
Va bene! Non voglio pensare. Contento?
Perché?
“Perché se mi metto a pensare o mi sale la voglia di coca, che mi son documentato abbastanza per capire di esser nella fase del “tanto sono più forte e posso farmi una riga di tanto in tanto perché non ci ricasco”, oppure penso a lei, e non voglio pensare a lei! Ti piace di più questa risposta?!” gridai, nel vuoto della foresta che mi circondava. Respirai a fondo, tentando di calmarmi e frugando nelle tasche in cerca delle sigarette.
Benedetto il momento in cui ne ho comprate due stecche mi dissi, estraendo una cicca e accendendomela, nonostante le mani tremanti.
Espirai la voluta di fumo, cercando di riappacificare i pensieri.
Era passata una settimana dalla pessima idea di spingere quell'elfa a parlare e dall'ancor più pessima idea di tracannare mezza cantina con Cris.
In effetti non è stata una grande idea quella di mettersi in marcia ancora pieni di vino.
No, l'idea peggiore è stata addormentarsi vicino al formicaio appena uscito dai Porti.
Una settimana in cui avevo avuto tutto il tempo di farmi risalire la voglia di cocaina e di analizzare effettivamente le ultime due conversazioni che avevo avuto.
Una settimana con l'unica compagnia della mia mente, soprattutto. Questo era il dettaglio peggiore.
Sta buono, che senza di me ti saresti ritrovato sulla baia di Forochel, in questo momento.
Il risultato non era stato dei migliori, e mi trovavo ora finalmente vicino al confine, ma con ogni sorta di dubbio riguardo il da farsi.
Joder en que lío te has metido.

“Non hai capito un cazzo, Rain”.
Scrutai gli occhi di Daniel, accogliendo il rimprovero che leggevo in loro.
Non mi rimproverava per la sua morte, oh no, troppo facile. Quel dettaglio me l'aveva perdonato, tempo fa, o forse ero riuscito in parte a perdonarmi subconsciamente e a capire che il modo migliore per onorare la sua memoria era di rimettersi in sesto, smettere di piangersi addosso e portare avanti la lotta.
Joder, sembro un rivoluzionario da poster.
Divertente, decisamente divertente. Anche perché nel conscio mi sento ancora schiacciato da quel dettaglio.
“E dalle ultime novità” fece Dan.
E da quelle. Eppure è proprio per questi dettagli che mi stava rimproverando.
Sospirai, guardandomi attorno. Umbar. “Las Guarras”. Posacenere. Caffè lui, una birretta io. Joder se ho voglia di una birra veramente. E soprattutto nessuno seduto ai tavolini attorno, se non un moro con un calice di rosso e un piattino d'uva davanti a sé.
“Dobbiamo smetterla d'incontrarci così” dissi. Dan sorrise.
“Preferisci gli altri sogni?” chiese, sapendo già la risposta.
Joder no. L'immagine di Rhi sul pavimento della sua camera, con la mano sullo zigomo che avevo appena colpito, chiedendomi disperata di picchiarla ancora se volevo ma di non lasciarla era stata parte integrante delle mie notti quell'ultima settimana, da quando avevo lasciato i Porti.
“È solo un sogno, Zèf”.
Sicuro? Sicuro sia solo un incubo?
“Sì” fece Daniel. Strano, la voce non pareva la sua, eppure lo avevo visto parlare chiaramente.
Ha sido solo una pesadilla” continuò. Solo un incubo. Eppure...
Mira Zèf” cominciò “Non l'hai picchiata”. La voce tornò la sua, ma solo dopo che ebbe lanciato una fugace occhiata al moro pochi tavoli più in là. Dettaglio bizzarro, ma poco importava.
“In un altro mondo, forse, in un altro tempo o un'altra vita. Ma non in questa. È solo un sogno e lo sai anche tu”.
Sospirai, ancora una volta. Ne ero finalmente certo.
“Perché siamo qui?” chiesi, cambiando discorso.
“Davvero non lo sai?” mi rispose Dan, sorridendo. Alzò il polso, dal quale pendevano due plettri.
Quella notte.
La notte in cui Rhi ci tradì, in cui trecentoquarantadue maghi persero la vita.
Dan ed io eravamo qui. Café “Las Guarras”.
Dan ed io, Romeo e Blaine. Il primo, disastroso e spettacolare concerto degli Squall.
Sbronzi come non mai, Blaine che si ostinava a suonare il basso con la sinistra perché s'era convinto di esser mancino -la verità è che aveva iperallenato il braccio sinistro per compensare e non voleva credere al suo errore-, Romeo che aveva schivato un bicchiere lanciato dal pubblico per pochi centimetri, Daniel che aveva cominciato il concerto già sbronzo per “tenere a bada i nervi” -ed era dovuto andare a vomitare dopo la seconda canzone-, ed io, altrettanto sbronzo, che avevo imbroccato una nota ogni cinque.
Joder, la giovinezza.
“Capisci, Rain?”.
No, Dan, non ci capisco un cazzo.
Il mio amico mi sorrise, finendo il suo caffè, calmo in una maniera a dir poco irritante.
Preferivo di gran lunga sbraitare nel bosco.
“Puoi sbraitare quanto vuoi, ma ciò non cambierà le cose”.
“Quali cose?!” sbraitai. Avevo sbattuto le mani sul tavolino, quasi rovesciandolo.
Andiamo bene, di giorno litigo con la mia testa e di notte con Daniel in sogno. Andiamo veramente bene.
“Che stai meglio da quando hai smesso di farti” cominciò Dan, sempre calmo.
Stronzate, sono giorni che bramo una cazzo di striscia.
“Che sei sulla strada giusta, almeno materialmente” continuò.
In mezzo a boschi del cazzo e casupole da hobbit abbandonate. Mi ritrovai in piedi, senza sapere quando mi fossi alzato.
“Che dentro di te sai che un'alleanza con gli elfi è necessaria”. Il tono di Dan si stava facendo più serio.
Che se ne restino nel fantamagibosco di 'sto grandissimo cazzo.
“E soprattutto lo sai, e l'hai ammesso anche a te stesso, che vorresti avere Langrhibel al tuo fianco” concluse l'altro, il tono che ormai non ammetteva repliche.
“No” feci.
“Smettila di mentire a te stesso”.
Con la coda dell'occhio notai il moro dell'uva osservarci interessato.
“Fanculo Dan. Non rompevi così tanto i coglioni da vivo”.
“Non abbastanza, intendi, per questo ringrazia che te li rompa da morto” fece Dan, sferzante. Non c'era cattiveria nelle sue parole, né rabbia o il rimprovero che avevo cercato disperatamente per giustificare i miei sensi di colpa.
Solo amarezza.
Amarezza tale da esser peggio di rabbia, rimprovero e otto pugnalate assieme.
I suoi occhi erano fissi dentro ai miei, occhi bruni che tanto parevano quelli di Rhi piuttosto che quelli di Daniel.
“Ammettilo, Rain” sospirò.
“Io...”.
“Lo hai già fatto, ma sai di doverlo fare un'altra volta”.
“Dan...” cominciai.
S'incazzò.
“DILLO!” urlò, alzandosi a sua volta e sbattendo anche lui le mani sul tavolo, facendo volare la sua tazzina, il mio bicchiere, il posacenere e qualunque altra cosa lì appoggiata.
Il rumore di cocci infranti alle mie spalle mi fece girare e vidi il piattino d'uva del moro infranto per terra. Il tipo sembrava essersi infervorato anche lui, seguendo la nostra discussione, e doveva aver deciso che lanciare piatti fosse la miglior cosa.
“Dillo” asserì Dan, tornando a sedersi.
Sospirai.
“L'amo, Daniel. Quella stronza di un'elfa che ci ha traditi. L'amo”.
L'avevo detto.

Mi svegliai all'alba, con la testa che doleva come non mai e la sensazione di ribollire di magia. Neanche fuggendo da Lasgalen, con l'adrenalina a mille e i proiettili che saettavano attorno a me e Rhi m'ero sentito così pieno e immerso nel flusso magico dentro di me. Era come se fossi... sdoppiato?
C'ero io, il Rain a pezzi e con poca voglia di un'altra giornata di marcia nel nulla, i boschi e i poderi hobbit vuoti, e c'era l'altro Rain, felice, pieno di forze e con la magia a fior di pelle.
Joder mi mancava giusto questa. Non bastava il nome, no, anche il disturbo di personalità come lui dovevo avere. Stronzo di uno Zèfiro.
Mugugnando mi avviai lungo il sentiero, frugando nello zaino dopo essermi acceso una sigaretta.
“Fottuti hobbit” borbottai, dopo aver trovato ciò che cercavo. Neanche un bagno chimico avete lasciato.
Gettai il mozzicone, spegnendolo sotto il tallone, per poi poggiare lo zaino in un angolo e avviarmi armato di rotolo di carta igienica dietro dei cespugli.
Fortuna che hai razziato i rotoli dell'ultimo albergo, Rain mi dissi, mentre felicemente mi dedicavo ad evacuare.
E non è neanche così male, dai. L'arietta, il bosco, il silenzio, il Brandivino che scorre laggiù.
Sì. E su tutto ciò tu ci stai allegramente cagando.
Bel modo di rompermi la poesia.
Zitto e caga.
Venni distratto dalle mie discussioni filosofiche poco dopo, quando sentii l'inconfondibile -e vagamente bramato- rumore di un motore.
Dal casino che stava facendo poteva essere solo che una motocicletta, che in effetti notai poco dopo passare il ponte sul Brandivino dalla mia posizione.
Imprecai, pensando allo zaino abbandonato sul ciglio del sentiero, ma decisi di rimanere comunque nascosto dietro i cespugli. Sentivo la magia affiorare, pronta all'offensiva, come se l'altro stesse prendendo il sopravvento.
Il rombo della moto si avvicinò e si fermò, giusto davanti la siepe dove m'ero acquattato. Dalla mia posizione vidi l'uomo scendere dalla moto bianca e guardarsi attorno, dopo aver notato il mio bagaglio. Emise un rumore strano, quasi una risata, soffocata dal casco.
Ero pronto a vender cara la pelle, sul punto di lanciare il primo incantesimo, quando l'uomo parlò.
“Siamo mattinieri, Rain?”.
Lui?
Lui!
“Esci di lì, ragazzo, e tirati su le braghe magari”.
La iena era arrivata.

“Caffè?” fece l'elfo, tirando fuori un thermos dal sottosella.
Mugugnai, afferrando la tazza che mi porgeva e bevendo il primo caffè dopo settimane.
“Ordunque, vogliamo chiacchierare un po' su quanto sia una bella giornata, con l'arietta, il bosco, gli uccellini e tu che caghi o passiamo subito al dunque e mi spieghi che cazzo ci fai vagando a piedi per le Terre Selvagge?” domandò poi.
Sospirai.
Fottuta iena.
“Cos'hai contro le iene?” mi domandò Zaal, per poi cominciare a ridacchiare come il suddetto animale.
Lo guardai, confuso.
Come diamine...
“Non ti crucciare, Rain, la telepatia era parecchio diffusa tra gli elfi, un tempo” spiegò.
“Quindi non solo m'interrompi i rituali mattutini ma anche mi invadi la mente?”.
Quello agitò una mano in un gesto noncurante.
“Sei tu quello che mi chiama iena”.
Cinque minuti e già sto per perdere la pazienza.
Sbuffai.
“Sto tornando indietro” dissi finalmente.
“E Rhi?”.
“Ai Porti. Se hai culo e non è partita con il suo fratellino alcolizzato una settimana fa”.
Mi parve di vedere un lampo di sorpresa negli occhi di Zaal, ma passò subito.
“Quindi mi avete fatto venire fin qui da Lasgalen per niente? E adesso chi lo sente Legolas” sospirò lui, affranto. Forse troppo per essere credibile.
“Lascia perdere i drammatismi, elfo, non sei credibile” dissi. Quello sorrise, somigliando più a un predatore che aveva inquadrato la sua preda che a una persona allegra.
“Non c'è problema, significa che andremo a prenderla”.
Ah no. 'Sti cazzi.
“Ci vai da solo, Zaal”.
“Forza Rain, non è l'ora di fare i capricci come un bambino troppo cresciuto”.
Joder Zaal, t'ho detto che t'arrangi da solo” sbottai.
“Che cosa è successo?” domandò.
“È una lunga storia e te la può raccontare lei. L'unica cosa che voglio è continuare sulla mia strada senza ulteriori complicazioni” feci, scocciato.
E Zaal s'incazzò.
“M'importa una sega di quale lite da amanti adolescenti abbiate avuto, il mio punto è che m'avete chiesto di venirvi incontro. Aggiungici il fatto che Legolas ha richiesto la vostra presenza a Lasgalen, capirai se non intendo lasciarti andare”.
“Puoi dire allo sfregiato dei miei coglioni che se ben ricordo ci aveva esiliati dal suo fantamagibosco del cazzo” risposi, senza guardarlo negli occhi, “e che quindi con quello stronzo non ho più tanta voglia di averci a che fare. Me ne torno dai miei, nell'Harad se possibile, dove voi elfi magari bruciate sotto il sole”.
“Non siamo vampiri, Rain. E in ogni caso Legolas ha ritrattato. E vi vuole entrambi”.
Incrociai lo sguardo di Zaal e inarcai un sopracciglio.
“Non sono stato abbastanza chiaro?”.
L'elfo mi osservò, glaciale.
“M'importa poco, Rain. E mi pare che nei buoni propositi del mese ci fosse quello di condurre una guerra contro Nuova Gondor”.
Borbottai, ma l'elfo finse di non sentirmi.
“Come?”.
“M'hanno deposto, va bene?! E non fingere di esser sordo, so benissimo che m'hai sentito la prima volta”.
Zaal sbuffò, spazientito.
“Mi spieghi allora per quale motivo mi avete fatto venire fin qui, se nessuno sembra aver voglia di portare a termine quest'alleanza?!” domandò.
Sospirai, bestemmiando mentalmente tutto il pantheon dei Valar e sperando che la iena stesse invadendo la privacy della mia mente per ascoltare a fondo tutti i miei improperi.
È sempre così Rain. Ci provi. Sempre.
No papà, non voglio fare il leader, voglio fare la rockstar.
No, me ne frega che sono un mago, voglio una donna mortale a cui raccontare tutto.
No, non importa che l'elfa che ho davanti sia Langrhibel dei Porti la traditrice, voglio comunque...
Forza Rain, quella parola con la i.
Fanculo.
Ogni cazzo di decisione, ogni tentativo, e mi ritrovo sempre qua.
E la verità è che sotto sotto so che non vorrei fosse altrimenti.
Il Nord e il Sud invertiti, il delirio di onnipotenza.
Il sapere che posso, che devo fare qualcosa per cambiare la situazione, e devo essere io a capo del tutto.
Vacca Varda.
Spero tu sia contento Raphael, alla fine ci sei riuscito a farmi diventare proprio il paladino dei Maghi che hai sempre voluto come figlio.
Sospirai.
“Legolas vuole veramente un accordo?”.
“Ci ha riflettuto con più calma ed è giunto alla conclusione che giocherà a suo favore” rispose l'elfo.
“E tu quanto c'entri con questo cambio d'idea?” chiesi, scoccando a Zaal un'occhiata più stanca che seccata.
L'elfo sorrise.
“Solo un po'. Diciamo che ho messo una buona parola per voi” rispose.
Continuai a fissarlo.
“Va bene, gli ho forzato un po' la mano. E può essere che siano volate di nuovo espressioni poco consone alla presenza di un Re” ammise Zaal.
Prima che potessi finire di formulare la domanda nella mia mente l'elfo m'interruppe:
“Da parte di entrambi, Rain, non dovrebbe stupirti”.
Mio malgrado accennai mezzo sorriso.
“Va bene Zaal” dissi, rimettendomi lo zaino in spalla. Cominciai a camminare lungo la via Est, nella direzione dalla quale era venuto.
“Dove vai?!” mi chiese, confuso.
“Ci vediamo a Lasgalen, a meno che tu non voglia darmi un passaggio. Spero solo di ritrovare il buco che ho fatto l'ultima volta, per rientrare” risposi. Ed ero sincero: potendo avrei evitato a tutti i costi un altro giro sui suppostoni sotterranei a centoquaranta dei nani.
“Dove cazzo vai, Rain! Dobbiamo comunque recuperare Rhi!” esclamò l'elfo.
Vero.
Lei.
Joder.
“Puoi lasciarla dov'è” risposi, laconico, “Anzi, se non se n'è andata su quella nave è più probabile che l'assumano di nuovo i gondoriani”.
Zaal mi raggiunse, mettendomi una mano sulla spalla.
“Ti ha raccontato del suo curriculum, dunque” asserì.
L'apparente leggerezza con cui lo disse fu peggio di qualunque sua risata da iena. Mi voltai a guardarlo, scrollandomi la sua mano di dosso.
“Sì Zaal. E fossi in te farei attenzione a non trovarmi una pallottola in fronte, la prossima volta che la vedi”.
Quello sospirò.
“Capisco il tuo risentimento” cominciò “ma non hai diritto a giudicarla”.
Lo fissai, cielo contro ebano.
“Non dirmi cosa ho diritto di fare” sibilai. Lo vidi vacillare un infinitesimo di momento sotto il mio sguardo.
L'elfo tentò di abbozzare una scusa, ma non lo lasciai parlare.
“Se non posso giudicarla io, chiedilo ai trecentoquarantadue maghi morti quella notte” dissi, per poi riprendere a camminare verso Est.
Mi fermai dopo tre passi, quando un sasso mi colpì la nuca.
Mi voltai, per vedere Zaal pronto a lanciarmene un secondo.
“Se ti ostini a comportarti come un bambino di cinque anni, tanto vale farti ragionare alla stessa maniera” disse l'elfo.
Lasciai cadere lo zaino alle mie spalle, pronto a ribaltare l'elfo con una folata, quando quello mi colpì dritto in fronte con il secondo sasso. Non l'avevo neanche visto muoversi.
“Aulë infame, Rain, sai bene che se non avesse accettato lei quel lavoro l'avrebbe fatto qualcun altro” sbottò.
Ringhiai, piegando le ginocchia, pronto a lanciarmi contro di lui.
“Non darle colpe che non si merita” disse.
Questo è troppo.
“Le do le colpe che si merita” risposi, scattando in avanti per placcare l'elfo ed esplicargli il mio punto di vista a suon di cazzotti.
Zaal mi schivò con un leggiadro passo a sinistra, lasciandomi cadere di faccia tra la polvere e i sassi del sentiero.
Prima che potessi rialzarmi sentii il tacco del suo stivale contro la nuca.
“Nessuno sta cercando di convincerti che Rhi sia l'apice della moralità, ma non puoi negare quello che ha fatto”.
“So bene cosa ha fatto” ringhiai, bloccato a terra.
“Non sai un cazzo, Zèfiro” disse.
“Ha cercato di portarti da Legolas, di forgiare un'alleanza tra le due razze perseguitate. È rimasta con te pur vedendo i difetti della tua leadership anziché aspettare l'eventuale prossima generazione. È rimasta sulla Terra di Mezzo, nonostante tutto il dolore che questo posto le ha fatto provare. Ha deciso di combattere, seppur a modo suo, per una giusta causa” continuò.
Cercai di divincolarmi, ma la pressione sul collo aumentò lievemente.
“La biasimi per la sua reazione? Conoscendola, le rimproveri il volersi vendicare del mondo dopo quello che le hanno fatto? Io c'ero, Rain, quando hanno scolpito le statue di Kalo. Ho visto come hanno dato il suo volto a Nienna, più per insultarla che per pregare in una sua redenzione. E adesso che sta cercando proprio di redimersi, di espiare e di aiutarvi, vuoi veramente negarle la possibilità di fare finalmente del bene?”.
Sentii la pressione dello stivale di Zaal levarsi, ma rimasi a terra.
“Credi davvero sia ancora dalla loro parte? Quelli che l'hanno violentata?” terminò.
Lentamente mi misi a sedere, massaggiandomi il collo. L'elfo non ci era andato piano con il piede e ciò nonostante ero certo che se avesse voluto avrebbe potuto spezzarmi la schiena senza sforzo.
Forse l'idea di prenderlo a cazzotti non è stata delle migliori.
“Direi di no” fece Zaal.
“Leggi ancora nel pensiero, elfo?”.
Quello alzò le spalle.
“Fallo di nuovo e ti stacco la testa” affermai, rialzandomi e cercando di non notare il sorrisetto irriverente -così uguale a quello della cugina- che s'era formato sulle sue labbra.
“Andiamo a cercarla” feci, laconico, avviandomi verso la sua moto.

Ci vollero pochi chilometri prima che Zaal fermasse la motocicletta.
“Che succede?” chiesi.
“Cavalli. Due, e inseguiti da una moto” rispose Zaal, cercando di sentire suoni che non potevo ancora percepire. Ascoltai il silenzio e mi parve di cogliere il rombo lontano di un motore.
“Lo diceva, il figliol prodigo, che Rhi porta sempre e solo guai” mormorò l'elfo.
“Il chi?” domandai, “È il mio nuovo nomignolo, per caso?”.
Zaal mi guardò, interdetto per un momento, per poi scoppiare a ridere.
“No, ragazzo, anche se sarebbe decisamente appropriato!” esclamò.
Lo guardai, confuso.
“Ah! Questo non te l'ha detto!” affermò, riprendendo a ridacchiare.
“Stai veramente parlando di figli, Zaal? Tuoi?! Non si sarà trombata pure quello?!” domandai, incredulo.
“Decisamente, Rain, è da lì che nasce tutto il problema” rispose.
Ci misi un attimo a fare il collegamento che non volevo fare.
“Sì, Rain”.
No.
NO!
Joder no!
“Sì” disse Zaal.
“Zèfiro è tuo figlio?!”.
“Sì”. L'elfo sembrava più dolce che irriverente, cosa che mi mandò ancor di più in confusione.
Zaal il mio bis-non-so-quante-volte-nonno? Zaal ed io parenti? Questo significa che faccio parte anch'io di quella famiglia di disadattati?!
Tentai di imprecare un'altra volta, ma la voce mi morì in gola.
“Rain?” fece l'elfo, agitando una mano davanti ai miei occhi.
È uno scherzo, mi dissi, non può essere.
Eppure...
Ripensai alla reazione dell'elfo al conoscermi, quella che ormai sembrava una vita fa. L'elfo che riuscì solo a dirmi Ciao.
Stava dicendo la verità.
Joder stava dicendo la verità!
Fottuti Valar. Uno non può neanche cominciare la mattina cagando in pace che la giornata deve trasformarsi ne Le avventure di Rain con il suo vecchio nonno Zaal.
“Sì Rain” disse Zaal, interrompendo finalmente il mio delirante monologo mentale, “Ma come disse un saggio, chiamami un'altra volta vecchio e sarò costretto a romperti il mio bastone sulla testa” asserì, continuando con il suo brutto vizio di leggermi nel pensiero.
Continuai a fissarlo, attonito.
“Si potrebbe dire” disse, di nuovo quasi dolce per i suoi standard, “che tu sia la mia unica famiglia”.
Ancora non so quali occhi fossero veramente o semplicemente più velati, se i miei o i suoi.
So solo che fummo riportati alla realtà dal suono di una mitragliata.









A volte ritornano =)

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