Time to go down in flames.

di Abirthofbrokendreams
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Here we are at the start. ***
Capitolo 2: *** One love to lose your mind. ***
Capitolo 3: *** We're still building and burning down love. ***
Capitolo 4: *** Am I the epitome of everything you hate and you desire? ***
Capitolo 5: *** Your honesty like a back that hides a knife. ***
Capitolo 6: *** But I don't wanna live that way, reading into every word you say. ***
Capitolo 7: *** Tonight I'll be the best you ever had. ***
Capitolo 8: *** Stay with me Evelyn, don't leave me with the medicine. ***
Capitolo 9: *** I've got secrets and lies that would blow your mind. ***
Capitolo 10: *** I could hold you for a million years, to make you feel my love. ***
Capitolo 11: *** There's no comfort in the truth, pain is all you find. ***
Capitolo 12: *** Took our chance, crashed and burned, no we'll never ever learn. ***
Capitolo 13: *** You know how the time flies, only yesterday was the time of our lives. ***
Capitolo 14: *** I'm not leaving unless you come with me. ***
Capitolo 15: *** Finally, you and me are the lucky ones this time. ***



Capitolo 1
*** Here we are at the start. ***


Disclaimer:   Non scrivo a scopo di lucro, i personaggi di questa storia non mi appartengono, a parte Evelyn che è di mia fantasia. Non conosco Jared Leto o Shannon Leto (purtroppo) e non intendo insinuare niente sul loro carattere.
Scusatemi se non sono una scrittrice eccellente, non scrivo da molto ma questa storia ce l'ho in testa da un po' e volevo assolutamente scriverla. Buona lettura <3



 

Here we are at the start.


Mi sono sempre chiesta cosa sarebbe accaduto se quel giorno non lo avessi incontrato, o se addirittura non avessi mai saputo chi fosse. Ho spesso immaginato la mia vita senza la sua presenza, la sua voce, la sua musica e quella della sua band. Ho visto solo buio. Vuoto. Qualcosa di indescrivibile. Perché lui è parte della mia vita, sebbene non tutti accettino questa verità. E se non lo avessi mai conosciuto, non sarei la persona che sono ora, perché per quanto possa sembrare assurdo, ha cambiato la mia vita e non posso che essergli grata per tutto ciò.
 

***

 
Quel giorno Evelyn camminava per Los Angeles senza alcuna meta. Era appena stata da suo fratello ed avevano litigato per l’ennesima volta a causa del voler cambiare vita della ragazza, che era ormai stanca di vivere secondo gli schemi della sua famiglia. Erano le tre del pomeriggio, le strade erano quasi deserte; solo qualche passante solitario riempiva i vuoti marciapiedi e il silenzio veniva a tratti interrotto dal rombare delle auto in corsa. Nella testa le risuonavano le parole che il fratello le aveva urlato quando era sulla soglia: “Non sei più la persona di un tempo. Quei tre ti hanno rovinata Evelyn. Non ti riconosco più!” Avrebbe voluto urlargli che grazie a loro invece si sentiva migliore, ma non fece in tempo a rispondere che le lacrime presero il sopravvento.
Aveva ancora gli occhi umidi per il dolore e per la rabbia che provava contro chi aveva sempre cercato di ostacolarla. Aveva imparato a seguire i suoi sogni da “quei tre”, come li chiamavano i suoi e per questo aveva potuto contare solo su se stessa. Nessuno aveva ancora capito che per lei quella band, i 30 Seconds to Mars, non era solo un trio di musicisti, ma un trio di uomini che le avevano insegnato a non arrendersi e a lottare per i propri obbiettivi. Mentre camminava, si affannò alla ricerca di un fazzolettino nella borsa, per cancellare i segni della sua fragilità. Continuava a camminare senza guardare il marciapiede e ad un tratto qualcuno la urtò violentemente facendola ritrovare ben presto per terra, dolorante. Rimase non più di un minuto per terra, frastornata, senza rendersi conto di quanto era appena accaduto.
“Mi perdoni, non l’avevo vista. Si è fatta male?” Una voce maschile la riportò alla realtà. Si alzò di scatto e sistemandosi il vestito rispose: “Si grazie, sto bene. Non si preoccupi, è stata colpa mia..non stavo guardando il ma…” Alzò lo sguardo verso l’uomo che non aveva ancora guardato in faccia e fu in quel momento che tutti i suoi pensieri si bloccarono, le sue labbra non riuscivano ad emettere alcun suono e i suoi occhi non riuscivano a staccarsi da quella figura così vera, da sembrare irreale.
“È sicura di sentirsi bene? Sembra così pallida.” Quella voce. Non poteva essere vero. A stento riuscì ad articolare una frase di senso compiuto.
“Si davvero, sto bene. Mi deve proprio scusare, ero distratta.”
“Questo l’ho capito.” L’uomo trattenne una risata. “Qual è il suo nome?” Cosa poteva importargli del suo nome? A momenti sarebbe andato via e non l’avrebbe mai più visto per il resto della sua vita.
“Evelyn Wood. Lieta di conoscerla.”
“Il piacere è mio. A parte l’urto.” Le sorrise cordialmente. “Il mio nome è Jared, Jared Leto.” Le disse tendendole la mano. Adesso ne aveva la certezza. Quella voce splendida era proprio quella che per tante notti le aveva fatto dimenticare tutti i problemi e l’aveva cullata quando non riusciva a prender sonno; quei lineamenti perfetti erano gli stessi che aveva visto migliaia di volte solo in fotografia e quegli occhi, quelle iridi di ghiaccio che la stavano guardando erano esattamente quelli nei quali per così tanti anni si era persa, potendoli solamente ammirare da uno schermo. Evelyn trovò le forze per stringergli la mano e quando la essa fu a contatto con quella ruvida e calda del cantante, un brivido le percorse la schiena.
“Già, lo so.” Gli disse timidamente.
“Oh, mi faccia indovinare..Echelon?” Le chiese lui in tono vagamente ironico.
“Esattamente.” Riuscì a dire. Il cantante le sorrise ancora. Era senza fiato per la visione che aveva davanti. Faceva caldo, come sempre a Los Angeles e lui indossava una di quelle canotte con il giro molto ampio che aveva iniziato ad usare insieme a suo fratello nei concerti. Era bianca e riportava una stampa nera sul davanti. Portava dei pantaloni stretti di colore grigio scuro che gli fasciavano perfettamente le gambe magre. Si rese conto che aveva cambiato per l’ennesima volta taglio e colore di capelli. Li aveva tagliati molto corti ed erano castani, il suo colore naturale. Era perfetto, come sempre d’altronde. Evelyn lo aveva spesso paragonato a un Dio Greco. Ma si rendeva conto che era ancora più bello.
“Beh allora mi prendo la libertà di darti del tu. Che ne diresti di prendere qualcosa da bere? Questa città è deserta a quest’ora e andare in giro da sola non è una buona idea.” E così dicendo le offrì un braccio. La ragazza vi intrecciò il suo tremando e annuì. Si chiese quante volte aveva sperato di poterlo sfiorare anche solo per un secondo ed ora lui era lì che la teneva sottobraccio.
“Sei di Los Angeles, Evelyn?” Le chiese curioso.
“Si, sono nata qui. Ma ho vissuto fino a due anni fa a Chicago per lavoro.” Rispose guardando davanti a lei.
“Che lavoro fai?” La sorprendeva il fatto che lui fosse realmente interessato alla sua vita.
“Sono una giornalista. Sono tornata per cercare un servizio interessante, ma non ho idea di quale argomento trattare.”
“Di cosa ti occupi esattamente?” Jared sembrava leggermente preoccupato. Evelyn intuì il motivo di tale tensione e sorrise.
“Oh, tranquillo, non mi occupo di gossip. Diciamo che non ho un settore. Scrivo di qualsiasi cosa valga la pena scrivere.”
Il cantante assunse un’espressione rilassata ed emise un sospiro di sollievo.
Arrivarono ad un bar di fronte alla spiaggia, nelle vicinanze del molo di Santa Monica, il che fece ricordare ad Evelyn il primo video del nuovo album dei 30 Seconds to Mars,che era stato girato esattamente lì. Jared si sedette ad uno dei tanti tavolini posti all’esterno del locale e la ragazza fece altrettanto.
“Incominciavo a temere che cercassi scoop su di me e che l’incidente, o come vogliamo chiamarlo, non fosse stato casuale.” Rise. Evelyn adorava il modo in cui lo faceva.
“Che esagerato, non ti avrei mica ucciso. Sono così terribili?”
“Oh, credimi, sono molto peggio. Prendono una frase e tirano conclusioni secondo quello che la gente vorrebbe sentire.” Disse lui con una punta di irritazione nella voce.
“Beh, ti posso assicurare che io non sono quel tipo di giornalista.” Gli disse Evelyn sorridendo.
“Lo so. Me ne sono accorto, sai. Sei una di quelle persone che ispirano fiducia a pelle, anche se non le conosci.” Le fece l’occhiolino, facendo andare completamente in fumo il suo autocontrollo. Lei abbassò lo sguardo per non arrossire, ma il tentativo fu inutile.
“Ti ringrazio. Sei il primo che me lo dice.”
“Sono un attento osservatore.” Chiamò il cameriere che arrivò subito, vista l’assenza di altri clienti. Il ragazzo prese dalla tasca un taccuino e una penna e parecchio agitato, disse:
“Salve. Cosa vi piacerebbe ordinare?” Jared guardò Evelyn.
“Prima le signore.” Disse.
“Io prendo solo un Martini, grazie.”
“Quello che ha preso lei.” Mentre parlava lui la guardava dritto negli occhi, il che la mise parecchio a disagio. Aveva un dono nello spiazzare la gente anche con un minimo movimento. Quando il cameriere si allontanò, Jared riprese a parlare.
“Dicevo che per quanto riguarda il tuo servizio, potrei avere un’idea. Sempre se tu sei d’accordo.” La guardò interessato, ma con un che di supplichevole nello sguardo, come se ci tenesse davvero ad una sua risposta positiva.
“Ma certo. Di cosa si tratta?” Chiese incuriosita.
“Per adesso è un segreto. Ti spiegherò più in là, solo se mi concederai di rivederci.” Rimase completamente spiazzata. Jared Leto le stava chiedendo una sorta di..appuntamento? Si convinse che non era così e che voleva solo tenerla sulle spine. Quello non era un invito ad un appuntamento, pensò. Poi lui disse una frase che fece crollare i suoi dubbi.
“Intendo qualcosa di più intimo di questa chiacchierata.” E così dicendo, le lasciò sul tavolino il suo numero di cellulare, poi terminò il suo drink e se ne andò senza dire altro. Anche lei si alzò e tentò di raggiungerlo, ma era sparito. Evelyn rigirò quel biglietto nelle mani: era tutto troppo inverosimile, non ci credeva ancora. Alla fine decise di prenotare un taxi e tornò a casa, con mille domande in testa.



Eccoci qui, al primo capitolo. Spero sia di vostro gradimento, è solo la seconda ff che scrivo ed è la prima a capitoli. Il secondo è in fase di scrittura, spero di finirlo al più presto. Intanto ringrazio chi la leggerà e chi recensirà, perchè ho bisogno di opinioni :D Ora vi lascio..aspetto i commenti. Bacioni a tutti, Jay.


P.S: L'immagine che vedete in alto è stata fatta da me.
Lei è una modella che rispecchia esattamente Evelyn come l'ho immaginata. 


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Capitolo 2
*** One love to lose your mind. ***


Non uccidetemi vi prego :S So che dal primo capitolo sono passati due mesi, ma l'ispirazione era completamente svanita. Ora è tornata e sono riuscita a finire questo capitolo in due giorni e devo dire che ne sono soddisfatta. Spero che con questo mi perdoniate per la lunghissima assenza. Godetevelo, io aspetto le vostre recensioni. Un bacio a tutti quelli che la seguono, Jay.
 
 
 
One love to lose your mind.
 
Quella mattina i raggi del sole filtravano dalla tenda sottile davanti alla finestra della camera da letto di Evelyn. La ragazza aprì gli occhi colpita dalla luce e si riparò con un braccio per osservare l’orologio: erano le 7 ed era in perfetto orario. Si alzò pigramente dal letto e a piedi nudi, si diresse verso la cucina. L’appartamento di Evelyn non era eccessivamente grande, bastava per due persone, ma lei ci abitava sola. Le stanze erano perfettamente divise ed aveva a disposizione due camere da letto, una delle quali usava come studio quando non era in ufficio e un’altra camera che usava come “stanza per gli hobby”, come amava chiamarla lei. Lì vi erano le sue tele, i suoi pennelli, le sue fotografie e tutto quello che le piaceva fare quando non aveva impegni. Lì vi era il suo mondo, la sua vera anima. Solo all’interno di quella stanza Evelyn poteva essere libera di essere sé stessa, senza temere il giudizio degli altri. Iniziò a preparare il caffè e mangiò un paio di biscotti. Corse a vestirsi, indossando un paio di jeans e una blusa morbida color panna a maniche corte. Si fermò un momento ad osservarsi allo specchio. I capelli castani le ricadevano sulle spalle, finendo in quei boccoli che aveva sempre amato. Gli occhi verdi erano ancora assonnati, ma la luce li rendeva ancora più chiari, sottolineandone la bellezza. La bocca era arricciata in un sorriso, mentre contemplava il suo fisico, compiaciuta del fatto di essere dimagrita ancora. Decise che era meglio sbrigarsi, così si truccò leggermente, infilò le sue scarpe preferite, delle decolleté beige , e uscì di casa. Arrivata vicino alla macchina, cercò nella borsa il biglietto che Jared le aveva dato il giorno prima. Credeva di averlo sognato, invece era successo veramente. Girava e rigirava quel pezzo di carta, incerta se chiamarlo oppure no. Alla fine, fece per prendere il telefonino, ma una folata di vento le tolse il biglietto dalle mani e lo scaraventò lontano. Invano Evelyn tentò di afferrarlo, ormai era andato. Adesso il suo sogno era svanito per sempre. Non avrebbe potuto più chiamare il cantante e lui si sarebbe presto dimenticato di lei. Rassegnata, Evelyn salì in auto e andò a lavoro, pensando che il destino aveva voluto così. In fondo cosa se ne sarebbe fatto Jared Leto di una semplice giornalista?
 
 ***
 
[3 Mesi dopo]
 
Sono tornata alla mia vita, tutto è come prima di quell’incontro. Smarrito il biglietto, non avrei potuto fare più niente. Non sapevo dov’era. Infondo avrei potuto cercarlo andando ad un concerto, ma per qualche motivo avevo deciso che se quel pezzo di carta era volato, significava che dovevo lasciar perdere. Alla fine, cosa avrei potuto aspettarmi? Che mi avrebbe davvero aiutato con il mio articolo? Beh me la sono cavata da sola, come sempre. Ho imparato a non avere aspettative, così da non rimanere delusa. Perché come si dice: chi fa da sé fa per tre, e nel mio caso è sempre stato così.
 
Evelyn rimase in ufficio durante la pausa pranzo, mentre tutti intorno a lei si affannavano per tornare a casa dalle mogli, dai mariti, dai fidanzati. Lei non aveva nessuno ad aspettarla a casa, nessuno a cui dover preparare il pranzo. Non ci aveva mai pensato, ma in quel momento si sentì sola. Era stata lei  a volere quella vita, da bambina aveva sempre sognato di diventare una donna in carriera, una di quelle con tailleur e tacchi che non hanno mai tempo per i lavori domestici e assumono una cameriera. Una donna da film, insomma, e più o meno lo era diventata. Certo, il tempo per pulire casa lo trovava, ma quello per conoscere nuova gente e magari trovare l’amore, quello non l’aveva mai avuto. Sempre troppo presa dal coronare il suo sogno di essere una giornalista, aveva sempre trascurato questo aspetto. Ed ora non poteva fare a meno di invidiare coloro che tornando a casa, trovavano il calore di una famiglia.
Scosse la testa, scacciando i pensieri che le affollavano la mente e riordinò i fogli sparsi sulla scrivania del suo ufficio. Non mangiò niente, la fame non la sfiorava nemmeno, così decise di andare a fare due passi.
Los Angeles a quell’ora era molto meno affollata del solito ma molta gente, turisti compresi, pranzava nei numerosi ristoranti che si trovavano nella città, provvisti di posti all’aperto. Quindi sentirsi completamente soli era impossibile. Tuttavia, Evelyn non ci fece caso e si diresse verso il parco vicino alla redazione, dove amava rimanere a pensare o a leggere.
Si sedette sulla sua panchina preferita, quella dalla quale si vedeva la spiaggia, in lontananza. Rimase a contemplare il mare, senza pensare a niente. Non si accorse del tempo che passava. E non si accorse neanche di un’ombra che le si sedette accanto mentre aveva gli occhi chiusi.
L’ombra si schiarì la voce, ed Evelyn sussultò dallo spavento. Appena mise a fuoco la figura, spalancò ancora di più gli occhi, incredula.
“Mi scusi se l’ho spaventata.” Le disse cordialmente l’uomo che riconobbe subito.
“Salve, io mi chiamo Shannon.” Le porse la mano. A Evelyn sembrò un déjà-vu.
“Io..io sono Evelyn.” Rispose chiedendosi mentalmente come mai in soli tre mesi, aveva incontrato entrambi i fratelli Leto, coloro che aveva sempre sognato di vedere anche solo da lontano ad un concerto, e con i quali invece aveva addirittura parlato.
“Per caso l’ho disturbata?” chiese leggermente allarmato.
“No, assolutamente. Non stavo facendo niente di importante.” Disse mentre si domandava come mai non si facesse problemi per il fatto che lei avrebbe potuto riconoscerlo. E si chiese anche se sapeva del suo incontro con il fratello, ma probabilmente Jared non gliene aveva neanche parlato, visto che non aveva avuto nessuna importanza.
“Sa, la stavo osservando e mi chiedevo come mai una bella ragazza come lei è da sola in un parco, a quest’ora.” Chiese curioso.
“Oh beh, sono in pausa pranzo. E tutti i miei colleghi sono a casa dalle loro famiglie. A casa mia non c’è nessuno che mi aspetta e inoltre non ho fame, perciò sono qui che mi godo il silenzio.” Spiegò tranquillamente Evelyn.
“Allora le sto dando fastidio. Mi scusi, la lascio stare.” Shannon fece per alzarsi.
“Oh no, la prego non se ne vada. Il silenzio ad un certo punto diventa assordante.” Disse quasi supplicante.
“Già, la capisco. Possiamo smetterla di darci del lei? Mi sento un po’ stupido.” Sorrise e divenne ancora più bello di come Evelyn aveva sempre immaginato che fosse dal vivo.
“Stavo per chiedertelo io.” Rise.
Rimasero in silenzio per un po’. Evelyn non sapeva se dirgli che era un’ Echelon e mentre ci pensava, rimase a guardarlo. Aveva i capelli corti come sempre, gli occhi dal taglio felino e dal colore cangiante coperti dagli immancabili occhiali scuri. Evelyn aveva sempre pensato che fosse affascinante, ma ovviamente non lo aveva mai visto così da vicino. Aveva spesso sentito ragazze che lo consideravano brutto, ma non aveva mai dato retta loro, evidentemente troppo accecate dalla bellezza del fratello minore da non accorgersi della singolare bellezza di Shannon.
Indossava una T-Shirt grigia stampata e una giacca nera lasciata aperta, un paio di jeans scuri fino alla caviglia e un paio di scarpe classiche nere. Lo preferiva in questa tenuta, che lo rendeva ancora più interessante. Lui non si accorse che lei lo stava osservando, finché non alzò il capo e incrociò i suoi occhi, che veloci si volsero verso il mare. Sorrise e le chiese che lavoro faceva, visto che aveva detto di essere in pausa pranzo.  “Faccio la giornalista” disse, contemplando il viso di Shannon che da rilassato era divenuto improvvisamente preoccupato e infine allarmato. Evelyn rise ricordando la faccia di Jared quando aveva rivelato il suo lavoro. Il fratello maggiore però aveva avuto una reazione più tragica, per così dire. Iniziò a guardarla con sospetto, temendo ovviamente che lei fosse una giornalista a caccia di gossip e maledicendosi per averla avvicinata.
“Non preoccuparti, non faccio gossip. Anche se so benissimo chi sei.” Disse quando ebbe smesso di ridere.
“Davvero?” Ormai era arrivato il momento di dirglielo.
“Si, sono un Echelon.” Disse con il sorriso sule labbra.
Shannon finalmente si rilassò, ma aveva ancora un’ombra di preoccupazione sul volto, della quale Evelyn comprese il motivo.
“Ma non sono una di quelle che vi salterebbe addosso, altrimenti lo avrei già fatto, non credi?”
“In effetti hai ragione. Ma vedi, non sai mai cosa aspettarti. Certe ragazze sanno essere veramente furbe. Ti avvicinano con dolcezza e poi vorrebbero violentarti in mezzo alla strada.”
Evelyn sorrise ma comprese che dietro quella battuta, c’era un pizzico di tristezza. Pensò a quanto doveva essere difficile scappare da tutte quelle ragazze che davvero avrebbero fatto di tutto per parlare con loro, o fare di peggio. Una volta aveva persino letto di ragazze che sarebbero state disposte a vendersi a loro, pur di passare una notte nel loro letto. Ecco, aveva sempre pensato che per quanto potessero essere i suoi idoli, e oltretutto degli uomini affascinanti, la dignità andava oltre questi aspetti. Non si sarebbe mai sognata di accettare dei soldi per il sesso, neanche da loro.
“Mi dispiace che voi dobbiate sempre sentirvi sotto pressione per questo.”
“Ormai ci abbiamo fatto l’abitudine, se vogliamo fare questo lavoro dobbiamo accettare anche gli aspetti negativi. Jared però è messo peggio di tutti. Ci sono troppe ragazze che vengono ai concerti per vederlo, e non per la nostra musica. E questo ci dispiace, soprattutto a lui. Per questo si arrabbia quando ci presentano come ”la band di Jared Leto”. Per quanto possa essere egocentrico, mio fratello non vuole che il suo bell’aspetto influenzi sul nostro successo.”
“Molti non la pensano come lui però. So che è brutto da dire, ma credo che se non foste così belli, probabilmente gli echelon si dimezzerebbero, però in quel caso avreste dei veri, e non ci sarebbero fangirls.”
“Hai ragione. È quello che ho sempre pensato.”
Evelyn guardò l’orologio e si accorse che la pausa pranzo era finita. Avvisò Shannon e lui sembrò deluso di non poter continuare a parlare con lei. Così decise di non tornare a lavoro perché ormai aveva già sbrigato tutto nella mattinata. Continuarono a parlare del più e del meno, come se si conoscessero da tempo, ed Evelyn sembrò non fare più caso alla persona che si trovava davanti, le veniva naturale parlargli così disinvoltamente.
“Che ne dici di andare a fare un giro?” propose il batterista, e lei accettò di buon grado. Camminarono lungo la spiaggia per un po’ e poi si fermarono sulla sabbia ad osservare il mare. Shannon le propose di fare un bagno.
“Ma non ho il costume.” Si oppose lei.
“Non serve. Andiamo, è così bello qui, quando ti ricapita un bagno al tramonto?” Disse e iniziò a togliersi la giacca, poi le scarpe, infine i jeans e la maglietta. Il tutto davanti ad Evelyn che non riusciva a scollargli gli occhi di dosso, incantata dalla visione del suo torace e dei suoi muscoli ben evidenti. Pensò che quelle ragazze che lo definivano brutto, se fossero state al suo posto, avrebbero sicuramente cambiato idea. Shannon, rimasto in boxer, si chinò davanti a lei e guardandola negli occhi la convinse a togliersi i vestiti. Lei, molto titubante, rimase in slip e reggiseno e si fece trascinare in acqua. Lui la teneva per mano ed Evelyn non ci poteva credere. Le sembrava impossibile tutto quello che le stava succedendo e scelse di non pensarci e godersi quei momenti. Iniziarono a nuotare abituandosi alla temperatura dell’acqua e continuarono a chiacchierare. Rimasero quasi un’ora in acqua e quando iniziò  a farsi buio decisero di ritornare sulla sabbia. Evelyn fece per rimettersi i vestiti ma Shannon la fermò.
“Aspetta, sei tutta bagnata. Andiamo a casa mia, ti do qualcosa per asciugarti.”
“Non ti preoccupare, non serve. Posso benissimo metterli, tanto devo tornare subito a casa.”
“Andiamo, guarda che non ti mangio mica.” Scherzò Shannon.
“Non è per questo.”
“Forza, vieni con me.”
E così Shannon portò Evelyn a casa sua. In realtà era una villa con tanto di giardino e piscina. La ragazza rimase incantata solamente dall’esterno e non osò immaginare quanto fosse bella all’interno. Shannon la condusse sul pianerottolo e aprì con la chiave. Fece entrare per prima Evelyn e si chiuse la porta alle spalle. Lei si guardò intorno incredula. Era una casa da sogno, moderna ed esageratamente grande, troppo per una sola persona. Shannon le prese un accappatoio e glielo porse, facendola accomodare sul divano. Mentre lei si asciugava i capelli, lui rimase ad osservarla quasi incantato. Le sembrava ancora più bella di prima. Quando ebbe terminato Evelyn si accorse che la stava guardando e gli sorrise.
“Che c’è?” Gli chiese curiosa.
“Niente. È che sei così bella.” Lei arrossì e chinò la testa per non farsi vedere da lui.
“Ne avrai viste sicuramente di più belle.” Disse guardandolo negli occhi.
“No, ti sbagli. Quelle che ho visto erano tutte bambole di plastica, tu sei vera.”
“Su questo ci puoi contare” Disse ridendo.
“Lo vedi, quando ridi sei ancora più bella.”
“Smettila.” disse imbarazzata “Lo so che non è vero.”
“Smettila tu di negare l’evidenza!” Esclamò lui. Non riusciva a capire come potesse far finta di non accorgersi della sua bellezza. Le prese una ciocca di capelli tra le dita e iniziò a giocarci mentre parlava.
“Vedi, quando fai i complimenti ad una donna, lei nega. E quando non glieli fai, ti dice che non la ami abbastanza.”
“É vero, non siamo mai contente. Ma il fatto è che io non mi sento così bella come dici.”
“Beh dovresti rendertene conto invece.” Disse avvicinandosi pericolosamente a lei. Evelyn rimase immobile, non sapendo cosa fare. Lui la guardava negli occhi mentre le sue labbra si univano a quelle della ragazza che lo lasciò fare, presa alla sprovvista. Dopo qualche secondo, anche lei si fece trasportare dal bacio che sapeva di salsedine. Lui le accarezzava i capelli e lei faceva altrettanto. Presero fiato, lui sembrava quasi famelico, gli occhi felini incastrati in quelli dolci della ragazza. Ben presto il bacio divenne poco casto. Lui iniziò a scendere sui suoi fianchi con le mani e lei non fece niente per fermarlo, anzi iniziò a togliergli la maglietta con cui era rimasto dopo essersi tolto la giacca appena entrato. Lui decise di toglierle l’accappatoio e lei gli sfilò i jeans. Alla fine si ritrovarono uno sopra l’altra, in un amplesso quasi feroce, perché lui aveva fame di lei e lei, come una gazzella, si faceva mangiare con piacere dal leone che pronunciava il suo nome ad alta voce, quasi sofferente. Evelyn non era mai stata così con un uomo: c’era sempre stata dolcezza, cosa di cui adesso non aveva proprio bisogno.

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Capitolo 3
*** We're still building and burning down love. ***


E dal secondo capitolo son passati di nuovo due mesi. Mi odio per questo. Quando scrivo ci metto un sacco di tempo, perchè cambio un sacco di volte la storia, ci aggiungo cose, ne tolgo altre e mi prendo troppo tempo. Prometto che la prossima volta non vi faccio aspettare così tanto. Spero che questo capitolo vi piaccia e come sempre, un bacione a tutti.



We're still building and burning down love.

Sono andata a letto con Shannon Leto, e non riesco neanche a crederci. Stanotte è stata la più bella della mia vita e difficilmente riuscirò  a dimenticarla, anche se dovesse essere l’unica che passo con lui. Credo sia stato bene anche lui, dall’ espressione soddisfatta che ha mentre dorme. In questo momento è più bello di quanto si possa immaginare, con il sole che lo illumina come un angelo, l’immagine che gli si addice di meno. Shannon non lo è affatto a letto, e a me va bene così. Non so se sono una delle tante che ha passato la notte con lui, ma non mi importa. Probabilmente domani questo sarà solo un bel ricordo e io una delle tante ragazze nella sua infinita collezione. Ma non mi sorprenderebbe, perché da lui non mi aspetto niente.

***

Evelyn si alzò dal letto, lasciando Shannon che dormiva beatamente. Si infilò la prima cosa che trovò: una camicia azzurra sicuramente appartenente a Shannon, dato il profumo che emanava. Cercò la cucina, che non aveva avuto modo di vedere, e tentò di cucinare qualcosa. Rovistò in tutti i cassetti per cercare una benedetta caffettiera, ma invano.
“Non è che per caso stai cercando questa?” Shannon la spaventò posandole una mano sul fianco e con l’altra le sventolava davanti la caffettiera che si trovava sul ripiano dietro di lei, e che non aveva notato per la distrazione.
“Dio, Shannon.. mi hai spaventato.”
“Scusami, ma mi divertivo a guardarti affannata.. poi ho pensato che dovevo darti una mano.”
“Fammi capire.. sei rimasto tutto il tempo a guardarmi mentre trovavo quella maledetta cosa?”
“Esatto, da quando ti sei alzata.”
“Ma stavi dormendo!”
“Sbagliato. Ero più sveglio di te.”
“Che stronzo.”
“Ehi signorina, piano con le parole.” La ammonì Shannon mentre si avvicinava sorridendo ad Evelyn e le posava le labbra sulla guancia. Lei diventò improvvisamente rossa e per non farsi guardare abbassò la testa. Lui le sollevò il mento.
“Si può sapere che c’è? Ti dà fastidio che ti baci sulla guancia?”
“No, assolutamente. È che è tutto così.. strano. Un giorno sono in pausa pranzo dal lavoro, annoiata dalla mia solitudine e il giorno dopo sono con Shannon Leto, con la sua camicia addosso, nella sua cucina. è assurdo non trovi? Ed è ancora più assurdo che sia capitato a me! E so anche che domani sarà tutto finito, e probabilmente finirò per convincermi che è un sogno.”
“Evelyn, non so cosa succederà domani. Ma credimi, non era mia intenzione usarti per questa notte. So che quasi sicuramente questa è la mia fama, e non nego che l’ho fatto tante volte. Ma ti giuro, che se stanotte abbiamo fatto sesso, non è per puro piacere personale, o per capriccio. Non so cosa mi è preso ieri quando ti ho visto. Eri lì, sola, che sembravi così immersa nei tuoi pensieri. Non ce l’ho fatta a non avvicinarmi. Volevo conoscerti, voglio conoscerti. Non è stata solo una notte, mi credi?”
“Si, Shan, ti credo. Ma non vorrei illudermi. È successo troppe volte.”
“Non ti illuderò. Voglio solo approfondire questa conoscenza, ti va?”
“Beh, questo non devi neanche chiedermelo. Ho la possibilità di conoscere il mio batterista preferito, dovrei anche rifiutare?”
“Se poi quel batterista sono io, non c’è niente da discutere.”
“Esatto. Ma che modesto, oh.”
“Sono conosciuto per la mia modestia, è il mio secondo nome.”
“Credevo fosse Christopher.”
“Terzo, allora.”
Fecero colazione insieme, parlando delle loro vite, dei loro gusti, delle loro passioni e scoprirono di avere parecchie cose in comune. Evelyn dimenticò i pensieri negativi della discussione precedente e si fece guidare dal cuore. Si disse che Shannon non poteva essere così male come aveva creduto e decide di fidarsi. Si sarebbe fatta conoscere da lui e intanto avrebbe conosciuto il lato nascosto del batterista, quello che andava oltre la facciata pubblica.
“Beh, che ti va di fare oggi?” Chiese Shannon interrompendo i suoi pensieri.
“Diciamo che dovrei lavorare tutta la mattinata, ma il pomeriggio sono libera.”
“Oh, certo. Allora ti porto in un bel posto oggi pomeriggio, passo a prenderti io. A che ora finisci?”
“All’ora di pranzo.”
“Perfetto, pranzi con me allora?”
“Se ti fa piacere, si.” Evelyn gli sorrise.
“Certo che mi fa piacere.” Le fece l’occhiolino e andò a vestirsi. Evelyn fece altrettanto e indossò i vestiti del giorno precedente, poi prese le sue cose e salì in macchina con Shannon , che si offrì di accompagnarla a lavoro.
Passò una mattinata tranquilla, sistemò gli abbozzi per i suoi servizi, fece qualche ricerca e l’ora di pranzo non tardò ad arrivare.. Quando tutti furono andati via, uscì dall’ufficio e trovò Shannon puntualissimo ad aspettarla.
“Scusa se sono scesa un po’ più tardi, non volevo destare sospetti, ho preferito aspettare che se ne fossero andati tutti.”
“Figurati, nessun problema.” Disse lui tranquillo.
Salirono in macchina e Shannon la condusse in un ristorante nei pressi del Molo di Santa Monica, dal quale si poteva ammirare il mare. Mangiarono e parlarono del più e del meno, quando ebbero finito Shannon insistette per pagare il conto e la portò a passeggio sulla spiaggia.
“Ti piace molto questo posto, vero?”
“Si, da cosa l’hai capito?”
“Beh, ci siamo venuti due volte in due giorni.”
“Hai ragione, scusami, devo esserti sembrato monotono.”
“Ma no, affatto. Ha qualcosa di speciale questa spiaggia?”
“Quando ho troppe cose nella testa vengo qui, faccio una passeggiata  e libero un po’ la mente. Mi fa stare meglio.”
“Capisco. Per me è lo stesso con il posto dove ci siamo incontrati.”
“Oggi però è diverso: non c’è niente che mi preoccupa, eppure ti ci ho portato lo stesso. È come una calamita.”
“Fa niente. È rilassante stare qui, in effetti. C’è silenzio.”
“Proprio quello di cui ho bisogno ogni tanto. Sai com’è: tra la musica, le interviste e quel logorroico di mio fratello..” Shannon la guardò sorridendo, Evelyn fece lo stesso, ma in realtà il riferimento a Jared le aveva fatto tornare in mente il loro incontro, ricordo che scacciò perché sapeva che non aveva senso.
“Allora, hai detto che mi avresti portato in un bel posto oggi, di che si tratta?”
“Vedrai.” E così dicendo tornarono nuovamente in auto, fecero un po’ di strada e parcheggiarono davanti ad un edificio il cui ingresso era affiancato da quella che sembrava una vetrina, coperta però da giornali. Evelyn non lo riconobbe subito, ma appena Shannon la fece entrare, si rese conto di trovarsi al “The Hive” il luogo dove i ragazzi avevano registrato l’ultimo album e dove si intrattenevano quando erano a Los Angeles. La ragazza riconobbe le scritte sui muri che aveva visto in vari video. Sembrava non esserci nessuno, ma Shannon prese la mano di Evelyn e la condusse nella stanza che si trovava accanto all’ingresso.
“Ragazzi vi presento Evelyn, la ragazza di cui vi ho parlato.” Disse. Nella stanza c’erano Tomo, la sua neo sposa Vicki e Jared, la cui espressione erano un misto di stupore, incredulità e sorpresa.
“Piacere di conoscerti, Evelyn” dissero insieme i neo sposi. Jared invece, non sapeva cosa dire. Non sapeva se far sapere al fratello che la conosceva o fare finta di niente. Perciò preferì non dire nulla.
“Il piacere è mio.” Disse Evelyn sorridente. Guardò di sfuggita Jared, imbarazzata dalla sua presenza, sebbene fosse sicura che lui neanche se la ricordava. Invece Jared la ricordava eccome, anzi l’aveva pensata più di una volta in quei tre mesi. I ragazzi la fecero accomodare e le fecero qualche domanda sulla sua vita. Lei, persa la timidezza iniziale, iniziò a raccontare del suo lavoro, delle sue passioni e di come era diventata un’Echelon. Le offrirono da bere e lei accettò di buon grado. Tra un discorso e l’altro il tempo passò in fretta e si fece tardi.
“Vi ringrazio della chiacchierata, è stato un onore. Ora però, è meglio che vada , o non troverò più taxi a disposizione. Spero di rivedervi.” Disse salutando tutti.
“Aspetta Evelyn, ti accompagno io.” Si offrì Shannon.
Evelyn gli disse di non preoccuparsi ma lui insistette e lei accettò. Appena salirono in macchina, Shannon iniziò ad imprecare.
“Cazzo. La benzina.” Rientrò dicendo che gli era finito il carburante, borbottando tra sé e sé. I bicchieri di vodka che aveva bevuto precedentemente non aiutavano di certo il suo autocontrollo.
“Le do un passaggio io.” Disse inaspettatamente Jared.
“Prestami la tua auto, piuttosto.”
“Shan, sei mezzo ubriaco, è meglio se non guidi. Dammi retta, resta qui.” Jared riuscì a convincere il fratello e si fece seguire in macchina da Evelyn.
Appena entrati Jared le chiese dove si trovava casa sua, lei gli disse l’indirizzo e poi rimasero in silenzio, imbarazzati.
“Quando mio fratello ci ha parlato di te, non avevo capito che fossi tu.” Disse Jared.
“Allora ti ricordi?” Chiese Evelyn, sorpresa.
“Certo che mi ricordo, anche se sono passati tre mesi.”
Evelyn rimase in silenzio. Era sicura che lui non si sarebbe ricordato di lei, invece era il contrario.
“Come mai non mi hai più chiamato?” le chiese Jared.
“In realtà, il giorno dopo il nostro incontro ho perso il tuo biglietto.”
“Io credevo che non ti interessasse rivedermi. Nonostante questo però, ho setacciato tutti i giornali di Los Angeles e non trovandoti ho pensato che ti fossi trasferita di nuovo a Chicago, perciò mi sono arreso.”
Evelyn non volle chiedergli il perché di tanta insistenza nel volerla rivedere. Era quasi sicura di conoscere la risposta e aveva paura di averne la conferma. Non poteva rovinare tutto con Shannon.
“Ah eccoci. Siamo arrivati.”
“Quasi mi dispiace.” Disse Jared a bassa voce, pensando che lei non sentisse.
Si guardarono negli occhi, entrambi non sapevano cosa fare o cosa dire. In quel momento si ritrovarono come due poli opposti di una calamita che non possono far altro che unirsi, attratti l’uno dall’altro. Questo però durò non più di qualche intenso secondo, perché prima che le loro labbra potessero sfiorarsi si resero conto che non avrebbero potuto commettere quello sbaglio. Si allontanarono timidamente. Jared scese dalla macchina e le aprì la portiera sorridendo nervosamente, per nascondere l’imbarazzo; le porse la mano e l’aiuto a scendere.
Si trovarono nuovamente uno di fronte all’altra; indecisi su cosa fare, si strinsero in un abbraccio amichevole.
“Grazie del passaggio Jared, sei stato molto gentile.”
“Figurati, per così poco.” Disse lui. Sciolsero l’abbraccio e si guardarono.
“Buonanotte, allora.”
“Buonanotte Evelyn.”
Si allontanarono, Jared tornò in macchina, Evelyn cercò le chiavi e aprì la porta di casa. Si girò a guardarlo un’ultima volta. Lui era ancora lì, che aspettava che lei entrasse. La ragazza lo salutò con la mano e lui fece lo stesso. Evelyn si chiuse la porta alle spalle e sospirò, pensando che il suo ritorno a Los Angeles sarebbe stato molto più avventuroso del previsto.
 

 

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Capitolo 4
*** Am I the epitome of everything you hate and you desire? ***


Come promesso, stavolta ho aggiornato presto. è un capitolo in cui non succede chissà cosa, ma spero che vi piaccia lo stesso.Il titolo del capitolo è tratto da una canzone di Natalia Kills, che si chiama Love is a Suicide. Significa: Sono la reincarnazione di tutto ciò che odi e desideri? So che sembra non c'entrare molto, ma bisogna pensare che a chiederlo sia Jared. Sono curiosa di sapere per chi tifate voi e cosa pensate succederà in seguito ;) Aspetto le vostre recensioni. Come sempre un bacio a tutti, Jay.



 

Am I the epitome of everything you hate and you desire?

È curioso come la vita di una persona possa cambiare in così poco tempo. Sono tornata a Los Angeles per lavoro e mai avrei immaginato che mi sarei imbattuta nelle persone che più stimavo al mondo. Invece sono qui, più confusa che mai. Jared stava per baciarmi e io mi stavo lasciando andare. Che stupida, rischiare di rovinare tutto dopo che Shannon mi ha chiesto di conoscerci meglio. Il problema è che non so di chi fidarmi e non posso chiedere consiglio a nessuno. Dio, ma perché dev’essere tutto così complicato?

***
 

Il mattino dopo Evelyn si alzò tardi. Era Domenica e poteva riposarsi, perciò fece colazione alle undici di mattina e poi si infilò sotto la doccia. L’acqua le scorreva sulla pelle, rigenerandola. Si asciugò velocemente i capelli e quando ebbe finito Shannon la chiamò per darle il buongiorno, scusandosi per l’inconveniente della sera prima, poi la invitò a casa sua per il pranzo. Lei accettò di buon grado, visto che di solito pranzava sempre da sola.
“Vieni subito però, ho voglia di vederti.” Le disse lui. Lei sorrise dall’altro capo del telefono. Shannon sapeva essere dolcissimo e la faceva sentire bene. Nessun uomo, persino quelli con cui era stata per molto tempo, l’aveva mai trattata così. D’altronde le sue relazioni erano sempre state sfuggenti, a causa del suo lavoro che le occupava troppo tempo.
“Certo, mi vesto e arrivo. A dopo.” Terminò la chiamata e corse a vestirsi, indossando un vestito di colore bianco, lungo fin sopra il ginocchio, con delle stampe floreali azzurre, senza spalline. Si truccò leggermente, infilò le sue cose nella borsa e uscì di casa. Percorse il tragitto che la separava da casa di Shannon e una volta arrivata, parcheggiò sul viale. Shannon la stava aspettando impaziente e le andò incontro appena sentì il rombo della sua macchina.
“Eih.” Le sussurrò cingendole i fianchi prima di baciarla.
“Ciao.” Gli rispose lei con lo stesso tono di voce dopo il bacio. Lo guardò, pensando a quanto fosse fortunata ad averlo davanti in quel momento. Era sempre più bello: indossava dei jeans scuri e una canotta viola che metteva ben in evidenza i suoi muscoli. Era, miracolosamente, senza occhiali da sole perciò i suoi occhi verdi brillavano alla luce del sole. Lui sorrise accorgendosi del suo sguardo inebetito, poi la prese per mano e la condusse dentro casa.
Entrarono in cucina, e con grande sorpresa di Evelyn, vi trovarono Jared alle prese con i fornelli. Il cantante era di spalle perciò si girò sentendo arrivare qualcuno, e rimase a bocca aperta quando vide la ragazza. Il fratello non aveva detto niente ad entrambi, ed Evelyn non aveva potuto notare l’auto di Jared che era parcheggiata nel retro della villa.
“Ciao Evelyn” La salutò lui fingendo indifferenza.
“Ciao, Jared.” Rispose lei con lo stesso atteggiamento. Si guardarono negli occhi per qualche secondo. Il cantante indossava una semplicissima t-shirt bianca e un paio di pantaloni neri, ai piedi invece aveva delle infradito colorate. Un accenno di barba gli ricopriva il viso e sembrava piuttosto stanco. O forse si era svegliato da poco.
“Beh Jay, io ed Evelyn andiamo di là, se hai bisogno di una mano chiamaci. E non esagerare con le tue schifezze vegetariane.” Disse Shannon, portando poi la ragazza nel salotto in cui avevano passato la notte insieme due giorni prima. Si sedettero sul divano di pelle rosso e il batterista iniziò a giocherellare con uno dei tanti braccialetti che aveva ai polsi.
“Perché non mi hai detto che c’era anche tuo fratello?” Gli chiese lei, con tono pacato.
“A dire il vero, me ne sono dimenticato. Ma se ti da fastidio non c’è problema, andiamo a pranzo fuori io e te. Jared è qui perché pranziamo sempre insieme.” Spiegò lui.
“No assolutamente, non mi crea nessun problema. È solo che non mi aspettavo di vederlo.” Lo rassicurò lei. In realtà Jared la metteva a disagio, perché non sapeva come comportarsi. Lui non aveva battuto ciglio quando l’aveva salutata, ma sapeva che in realtà era solo molto bravo nel recitare. Con lui si sentiva sempre sotto pressione, come se non fosse libera di parlare apertamente. Non riusciva ad essere sé stessa, cosa che invece con Shannon le veniva naturale. Per questo era meno rilassata di quando l’aveva chiamata, non sarebbe stato facile passare il tempo con gli occhi di Jared puntati addosso.
Lei e Shannon parlarono per qualche minuto, poi lei andò in bagno e Shannon tornò in cucina. Il fratello era ancora nello stesso posto, apparentemente concentrato su quello che stava facendo, così si avvicinò allungando il collo per assicurarsi che non stesse cucinando niente di strano.
“Shan, perché non mi hai detto che c’era lei?” Chiese subito Jared, smettendo di tagliare le verdure e guardandolo in faccia.
“Ma che problema c’è?” Gli chiese lui, allargando le braccia.
“Vi avrei lasciato da soli, mi sento il terzo incomodo così.” Spiegò il fratello minore.
“Per lei non c’è alcun problema se ci sei tu, non vedo perché ti preoccupi. Abbiamo sempre pranzato insieme.” Shannon proprio non riusciva a capire il perché di tante domande. Jared non si era mai preoccupato di chi passava il tempo a casa sua.
“Si ma non quando c’è una ragazza.”
“Ti ripeto che puoi rimanere.” Disse incrociando le braccia.
“Lo faccio solo perché altrimenti la spaventeresti con il tuo modo di cucinare.” Lo prese in giro Jared. Evelyn tornò e si offrì di aiutare Jared a cucinare, per cercare di rompere un po’ il ghiaccio. Shannon rimase a guardarli seduto, senza provare a mettersi in mezzo perché avrebbe solo combinato disastri. Quando ebbero finito, portò Evelyn nel giardino che si trovava nel retro. Jared rimase dentro per controllare il forno. I due si posizionarono a bordo piscina, Evelyn tolse le scarpe e infilò i piedi nell’acqua e Shannon la imitò. Parlarono a lungo e lui la baciò più volte, interrompendola. Non riusciva a resisterle, le fissava le labbra che si muovevano veloci, e non si tratteneva dal posarvi sopra le sue, facendola sorridere. Vennero interrotti dal suono del campanello della porta principale.
“C’è qualcun altro?” chiese la ragazza.
“No nessuno, che io sappia.” Rispose Shannon. Rientrarono in casa e in cucina non trovarono nessuno. Sentirono delle voci provenire dal salotto e vi entrarono. Jared, con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia, stava facendo accomodare una ragazza bionda sul divano. Si accorse che i due erano rientrati e fece le presentazioni.
“Evelyn, Shannon.. questa è Katherine.” La ragazza porse la mano prima al batterista, sorridendogli, poi ad Evelyn che la strinse diffidente. Katherine aveva era esattamente il prototipo di donna che piaceva a Jared. Innanzitutto per il colore dei capelli, seppur tinti. Era magra come un chiodo, il seno non eccessivamente grande e il sedere proporzionato. In quel momento indossava un vestitino corto fino a metà coscia di colore viola, senza spalline, e delle scarpe con il tacco vertiginoso, dello stesso colore. Decisamente troppo per un semplice pranzo, ma lei sembrava perfettamente a suo agio. Shannon lanciò un’occhiataccia a suo fratello. Sapeva che l’aveva fatto apposta, per non rimanere solo con loro due. Jared si sedette accanto alla ragazza stringendole un braccio attorno alle spalle, guardando per pochi secondi Evelyn negli occhi. Lei finse indifferenza, poi sussurrò qualcosa al fratello maggiore e insieme lasciarono soli i due.
“Mio fratello è un coglione.” Disse Shannon una volta tornati in giardino. La ragazza rise.
“Perché?”
“L’ha invitata adesso, solo per non rimanere solo con noi. A volte mi sembra che sia geloso che io abbia compagnia, e fa di tutto per non essere da meno.”
“Non credo abbia motivo di essere geloso. Entrambi potete avere tutte le donne che volete.”
“Sarà, ma mi sembra molto strano che sia spuntata dal nulla quella tipa, è da un po’ di tempo che Jared non la frequenta più.”
“Non ci pensare, tanto a te che fastidio da?”
“Nessuno, è il suo comportamento che mi irrita. Oltretutto, non è neanche casa sua, non può fare ciò che vuole.”
“Beh per questa volta lascialo stare. Ormai è andata, non li puoi cacciare.”
“Già, lasciamo perdere.” Shannon sbuffò. Jared era difficile da capire certe volte, persino per lui. Evelyn pensò che Jared lo aveva fatto per dimostrare che lui poteva avere chiunque a sua disposizione in qualsiasi momento. Da quanto aveva capito era molto orgoglioso e vedere il fratello con lei forse lo aveva fatto irritare. A dire il vero il suo comportamento aveva infastidito anche Evelyn, senza sapere il perché. Le dava fastidio non perché volesse rimanere sola con lui e Shannon, ma perché Jared la sera prima aveva tentato di baciarla, mentre ora fingeva di avere altro a cui pensare. Tuttavia, tenne i suoi pensieri per se e seguì il fratello maggiore in sala da pranzo. Si sedettero uno accanto all’altra, mentre gli altri due si sedettero di fronte a loro. Durante il pranzo regnava l’imbarazzo. Katherine parlava solo con Jared, sotto voce, ed emetteva, ogni volta che finiva una frase, una risatina irritante che fece venire voglia ad Evelyn di zittirla con un pugno, ma si trattenne. Lei e Shannon si guardavano a disagio, senza proferire parola. Jared faceva finta di dar retta alla biondina e annuiva con un sorriso finto.
“Allora Shan? Questa è come la ragazza di ieri sera?” Esordì Katherine con la sua voce squillante. “L’altra però era più carina, non credi Jay?” Jared la fissò, poi tornò a guardare il piatto, lanciando un’occhiata veloce al fratello. Shannon invece alzò lo sguardo dal piatto, fulminandola. Poi guardò Evelyn che gli rivolgeva uno sguardo interrogatorio. Rimase zitto, senza sapere cosa dire.
“Con permesso.” Disse lei poi, alzandosi da tavola. Uscì in giardino, incerta se rimettersi in macchina e tornare a casa. Quella Katherine già non la sopportava più. Sapeva che Shannon era andato a letto con tante donne prima di lei, ma sapere che ci era andato la sera prima, mentre lei era a casa che si tormentava di domande, la fece scoppiare. Inoltre quella sgualdrina si era persino permessa di fare commenti sul suo aspetto, come se lei non ci fosse. Cercò di trattenere le lacrime, non era logico piangere, ma quando era nervosa o arrabbiata, Evelyn lo faceva sempre. Iniziò a camminare verso l’auto.
“Ev, aspetta.” Shannon la prese per un braccio, fermandola e facendola voltare. La guardò dispiaciuto, accorgendosi dei suoi occhi lucidi.
“Mi dispiace, io.. quella troietta non pensa mai prima di parlare.”
“Shan, io sto cercando di fidarmi di te, ma così non mi aiuti.” Shannon le posò le mani sulle spalle, ma lei lo scostò.
“Ieri sera ero ubriaco Evelyn! Non ricordavo neanche di essere uscito.”
“Allora lei come fa a saperlo?”
“Ieri sono andato nel locale dove balla. Ci ero andato altre volte con Jared. Credimi sto ricordando solo adesso, avevo un vuoto totale.”
“Sei andato a letto con un’altra ragazza?” Gli chiese lei, esasperata.
“Io..credo di si.” Disse lui guardandola negli occhi.
“Perfetto.” La ragazza si voltò, continuando a camminare.
“Ev, ero ubriaco. Non ha significato niente! Ti prego, perdonami.” Le urlò dispiaciuto. Non l’avrebbe mai fatto da sobrio, ormai non provava interesse per nessuna ragazza oltre lei.
Evelyn si fermò e sospirò, in fondo non poteva dargli torto. Quante volte lei si era ubriacata e aveva fatto cose che mai avrebbe immaginato di fare? E poi, non voleva che tutto finisse. Si sarebbe ritrovata di nuovo sola, e non poteva permetterlo.
“Va bene, ti credo. Ma la prossima volta non riuscirò a perdonarti così facilmente.” Gli disse voltandosi.
“Non ci sarà una prossima volta, te lo prometto.” Lui le andò incontro, la prese per i fianchi e sorridendole la baciò sulla guancia. Lei sorrise di rimando.
“E così quella sarebbe una spogliarellista?” Chiese cambiando discorso.
“Una specie.”
“Ora si spiega tutto. E il bello è che ha il coraggio di insultarmi come se io non le stessi davanti.” Scosse la testa. Proprio non riusciva a capire i comportamenti di certa gente.
“Devi solo ignorarla, è solo una stupida oca.”
“Lo sto già facendo. Per quanto mi riguarda può parlare quanto vuole, non mi sfiora nemmeno.” Incrociò le braccia, guardando verso la porta d’ingresso, come se Katherine potesse sentirla.
“Ecco brava.”
“Grazie.” Gli disse mettendogli le braccia intorno al collo. Si baciarono piano. Shannon le passò la lingua sulle labbra che si dischiusero e le loro lingue iniziarono a danzare, mentre tutto il resto spariva. L’odio versò Katherine scomparve. Non aveva motivo di preoccuparsi dei suoi commenti: non era credibile, visto il lavoro che faceva. Dopo un po’ si staccarono per prendere fiato. Lei lo guardò maliziosamente, mordendosi il labbro inferiore. Il batterista si passò la lingua sulle labbra e la condusse per mano in camera sua, passando dal retro, senza curarsi di farsi sentire o vedere dall’altra coppia. Salirono le scale e arrivarono alla stanza. Shannon entrò subito, e non le diede il tempo di fare nulla, intrappolandola tra lui e la porta. La prese per i polsi e cominciò a baciarla con più passione. Tenevano entrambi gli occhi chiusi, poi Evelyn li aprì per qualche secondo, il tempo di accorgersi che non erano soli. Velocemente si staccò da lui che non capiva il perché, prima di girarsi e scoprire suo fratello seduto sul suo letto, con i pantaloni sbottonati, senza maglietta. Katherine era vicino a lui, che si teneva il vestito sopra il seno con le mani. Aveva il rossetto sbavato e i capelli scompigliati. Tutti e quattro rimasero a bocca aperta. Finchè Shannon non cambiò espressione, arrabbiandosi.
“Che cazzo ci fate voi qui?” Urlò.
“Che vuoi che facciamo?” Gli rispose la biondina sarcastica.
“Zitta tu!” La ammonì lui. “ Jared, si può sapere che cos’è questa storia? Non solo inviti questa troietta senza avvisarmi, ma te la vieni anche a scopare a casa mia, nel mio letto?!” Shannon gridava contro il fratello, furioso.
“Shannon calmati.” Disse il fratello minore, ricomponendosi.
“Calmati un cazzo! Scopatela a casa tua!” Il batterista stava davvero perdendo le staffe.
“Quante volte ti sei scopato mezzo mondo a casa mia? Eh?”
“Mai, Jared. Lo sai.”
“Ah davvero? Ne se proprio sicuro? Ma insomma, perché te la prendi tanto?” Jared si alzò in piedi raccattando la maglietta e si avvicinò di più al fratello. Le ragazze li guardavano ammutolite.
“Perché è casa mia. E non puoi mancarmi di rispetto in questo modo.”
“Quanto la fai lunga! Te la volevi scopare tu qui la tua ragazza? Prego, fate pure, non serve incazzarsi!” Jared gesticolò aprendo le braccia, poi uscì dalla stanza rivolgendo uno sguardo arrabbiato ad Evelyn.
“Aspetta qui.” Le disse Shannon prima di seguire il fratello al piano di sotto. Lo trovò in cucina e si chiuse la porta alle spalle. Jared si voltò per guardarlo in faccia, mentre beveva un sorso d’acqua.
“Jared, ma che ti è preso?” Disse il maggiore, parlando piano, senza gridare.
“Che altro vuoi?” Gli chiese lui con sguardo interrogatorio, poggiando il bicchiere sul ripiano dietro di lui.
“In questi giorni, dico. Sei più nervoso del solito, trovi irritante qualsiasi cosa.”
“Di che parli?”
“C’è qualcosa che ti turba.”
“No, sono solo stressato.”
“Sei stressato tutti i giorni, e non ti comporti mai così. E guarda caso ti succede da quando ti ho presentato Evelyn. Che ti ha fatto di male si può sapere?”
“Non so di cosa tu stia parlando, Shan. Evelyn non c’entra niente. Te l’ho detto, è lo stress.” Infilò la maglietta e fece per uscire, ma Shannon lo fermò prendendolo per un braccio.
“Jared, non sono stupido, e ti conosco meglio di chiunque altro. Non mi puoi liquidare con due frasi fatte.” Jared sospirò.
“Shannon, non lo so neanche io perché sto così. Cercherò di capirlo, e te lo farò sapere. Va bene?” Scostò il braccio del fratello, e aprì la porta. In salone c’era Katherine ad aspettarlo per accompagnarla a casa. Non disse una parola e seguì il cantante fuori. Quando furono usciti Evelyn andò in cucina.
“Shan, forse è meglio che io vada, ti chiamo stasera.”
“D’accordo. A stasera, e scusami.”
“Ma di che, figurati. Mi dispiace che tu debba litigare con tuo fratello.” Gli disse comprensiva.
“Non stavamo litigando, noi facciamo sempre così.” Le fece l’occhiolino e le stampò un bacio sulla fronte. Evelyn andò via e Shannon rimase solo. Non se l’era bevuta per niente la scusa di Jared. Nascondeva qualcosa, e doveva assolutamente scoprire di cosa si trattava. Aveva il presentimento che riguardasse Evelyn, e si domandava perché glielo tenesse nascosto, lui che gli confidava tutto. Jared non si comportava mai così, se non quando c’era qualcosa che non gli andava giù. Perciò il batterista decise che avrebbe chiesto a l’unica persona con cui Jared parlava quando non poteva farlo con il fratello.

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Capitolo 5
*** Your honesty like a back that hides a knife. ***


Chi non muore si rivede! Lo so, sono una persona orribile, non so neanche quanti mesi sono passati dal quarto capitolo e probabilmente vi siete scordati di questa storia. Voglio informarvi però che stavolta mi sono davvero messa d'impegno. Il sesto capitolo lo scriverò oggi perciò sarà qui già domani! Stavolta vi vizierò perchè il fatto che la scuola sta ormai finendo e ho molto più tempo a disposizione mi permette di dedicarmi finalmente a questa storia. Sorridete! E ora vi lascio a questo capitolo che non mi convince molto, ma giusto perchè è un po' scialbo. Il prossimo sarà una bomba ;) Un bacio e buona lettura.



 Your honesty like a back that hides a knife.

Non so cosa sia accaduto a Jared. Di solito mi confessa tutto, qualsiasi cosa. Dalla più stupida alla più importante. Se ha deciso di non parlarmi di quello che lo tormenta, significa che riguarda me. E sono più che sicuro che c’entri anche Evelyn. Lei sembra non sapere niente, anche se mi sono accorto dello sguardo che ha quando c’è Jared. Sembra sempre a disagio, come se la presenza di mio fratello la mettesse sotto pressione,  e credo sia esattamente così. So a chi rivolgermi per scoprire qualcosa, ma sono sicuro che non mi piacerà affatto.
 

***

 
Shannon rimise in ordine la casa dopo la sfuriata con il fratello. Era rimasto solo, tormentato dalla voglia di capire cosa aveva reso Jared così nervoso e irascibile. Perciò decise di far visita a Tomo, per capire se lui sapeva qualcosa. Arrivò subito in auto a casa del chitarrista e suonò il campanello. Vicki andò ad aprire e lo fece accomodare. Shannon rimase seduto sui divanetti del salotto, tormentandosi le dita per quanto fosse nervoso e impaziente. Il chitarrista fece il suo ingresso nella stanza e salutò calorosamente il suo migliore amico, accomodandosi poi sul divano di fronte a lui e chiedendogli il motivo della sua visita. Shannon rispose immediatamente, senza giri di parole.
“Ho bisogno di sapere cosa c’è che non va in Jared.” Disse, più serio che mai. Tomo lo guardò stranito.
“Che vuoi dire?”
“Sento che mi nasconde qualcosa, e in questo c’è di mezzo Evelyn. Non ti sei accorto di come la guarda? Sembra che sia sempre in allerta quando c’è lei.” Tomo rimase un attimo a pensare, guardando per terra.
“Se sai qualcosa Tomo, devi dirmelo. Non posso andare avanti così, abbiamo iniziato a litigare e non voglio che si ripeta. Tu sei l’unico al quale Jared confesserebbe qualcosa che non può dire a me.” I due si guardarono intensamente. Shannon con uno sguardo disperato, Tomo con lo sguardo di chi non sa se sputare fuori quello che ha dentro o no. Alla fine fece la sua scelta.
“Senti, Shan, siamo amici e non voglio vederti così tormentato. Ma Jared al contrario di quanto pensi mi ha raccontato ben poco.” Tomo sospirò e cercò di pensare bene a quello che doveva dire. “Mi ha detto di aver conosciuto Evelyn in precedenza, tre mesi fa. È tutto quello che so.” Mentì. In realtà, Jared gli aveva raccontato tutto, ogni minimo particolare di quella breve esperienza. E l’aveva fatto dopo che Shannon l’aveva presentata a tutti, perché la verità era che aveva cercato di non pensarci, ma non riusciva proprio a dimenticarla. Forse anche per una questione di orgoglio, visto che era la prima volta che una ragazza non lo richiamava o non si faceva più vedere. Era lui che lo faceva la maggior parte delle volte, se non tutte. Perché Jared era il classico uomo che non cercava più la sua metà, che non badava più all’amore. Per lui c’era solo il sesso. Un ragionamento maschilista il suo, forse, ma quando sei rimasto scottato le soluzioni sono due: o continui a soffrire in cerca di qualcosa che ti completi e che ti renda finalmente felice o diventi una roccia e l’amore non esiste più. Ed è inutile dire quale delle due opzioni aveva scelto Jared.
“Perché non me l’hai detto?” Chiese Shannon, dopo un lungo silenzio.
“Beh..Perché non vedo come possa aiutarti.” Rispose Tomo, guardando dappertutto tranne che negli occhi di Shannon. Non sapeva proprio dirle le bugie. Lui era troppo onesto e leale per farlo. Tuttavia, era costretto ad agire in quel modo. I due fratelli avrebbero dovuto discutere di questa cosa tra di loro, senza mettere in mezzo qualcun altro. Men che meno lui.
“Hai ragione, non è servito a molto. Ma credo che potrebbe aiutarmi a scavare più a fondo. Ed è quello che farò.” Disse Shannon, con lo sguardo duro e convinto.
“Ti auguro di riuscirci.” Disse Tomo, pensando a quali sarebbero state le conseguenze se Shannon fosse davvero riuscito nel suo intento.
“Grazie di tutto, Tomo. A domani.” Shannon uscì dalla porta di casa in fretta, lasciando Tomo che fissava ancora il punto in cui si trovava il batterista prima di sparire. Scosse la testa e sospirò. Shannon e Jared non litigavano mai in maniera esagerata, ma Tomo temeva che questa volta sarebbe stato diverso.
 
 
Shannon arrivò a casa di Jared dieci minuti dopo aver lasciato quella di Tomo. Scese dall’auto e si avviò a passo svelto verso la porta d’ingresso. Suonò il campanello e aspettò, impaziente. Continuava a battere il piede destro a terra, nervoso. Jared aprì e fu sorpreso della visita. Invitò il fratello ad entrare e gli offrì da bere. Shannon però rifiutò e iniziò subito a parlare.
“Non sono venuto per fare conversazione, Jared.” Disse guardandolo serio. Jared non capiva e gli rivolse uno sguardo interrogativo.
“Tomo mi ha detto ciò che non hai avuto il coraggio di dirmi, chissà per quale assurdo motivo.” Jared spalancò gli occhi per un secondo, poi guardò in basso.
“Shan io..”
“Lascia parlare me, per favore.” Lo interruppe il maggiore, chiudendo gli occhi per un momento. “Sai che mi fido di te, l’ho sempre fatto, ma adesso non ci riesco. Mi dici sempre tutto e invece stavolta so che non è così. Ho dovuto pregare Tomo per farmi dire quello che sa e per capirci qualcosa. Ma sono convinto che anche lui abbia mentito. Di certo è troppo buono per tradirti. Io..voglio sapere la verità, solo questo. Perché non mi hai detto di aver conosciuto Evelyn prima di me?” Adesso Shannon stava guardando il fratello negli occhi, in cerca di una risposta anche in quelli. Aveva sempre guardato quelle iridi azzurre per capire se Jared mentiva o no ed era sempre riuscito a mascherarlo. Erano il suo punto debole. Ma questo lo sapeva solo lui. Jared, al contrario teneva ancora la testa bassa, cercando di trovare bugie adatte. Non voleva dire al fratello che Evelyn lo tormentava, non lo ammetteva neanche a se stesso.
“Io non l’ho fatto perché non è importante, Shannon. Tomo ti ha detto la verità. Non c’è niente di più da dire.” Shannon rise amaramente scuotendo la testa. Maledetti corsi di recitazione. Chiunque a parte lui avrebbe creduto davvero alle parole del fratello.
“I tuoi trucchetti non funzionano con me, lo sai. Non è finita lì. C’è dell’altro, lo so. Non avresti quello sguardo con Evelyn altrimenti.”
“Ma quale sguardo? Io guardo Evelyn come chiunque altro!”
“Vuoi prendermi per il culo? Jared, è evidente che Evelyn ha qualcosa a che fare con te, molto più di quanto tu voglia dirmi!” Shannon iniziò ad alzare la voce. “Come puoi farmi una cosa del genere? Come puoi mentirmi così?”
“Io non sto mentendo, è andata così. Sei libero di non credermi, ma è tutto ciò che ho da dire.” Disse Jared, ancora una volta. Stava sbagliando tutto e lo sapeva. In questo modo stava solo peggiorando le cose.
“E va bene, Jared. Finiamola qui, sono stanco. È stata una giornataccia, non ho voglia di litigare una seconda volta.” Disse il fratello maggiore, alzandosi. “Buonanotte.” Disse poi, una volta sull’uscio.
“Buonanotte Shannon.” Disse Jared, con lo sguardo fintamente concentrato sulle sue scarpe. Sentì la porta chiudersi e sospirò, appoggiandosi allo schienale del divano.
“Fanculo.” Esclamò tirando un pugno al bracciolo del divano. Poi si passò le mani tra i capelli, stringendoli. Odiava fare questo a Shannon. Non se lo meritava. Non si meritava le sue bugie e i suoi sguardi sfuggenti. Né tantomeno meritava di essere trattato così male. Ma d’altronde non poteva neanche sapere la verità. Perché sapere dell’incontro con Jared ed Evelyn non era un problema. Il problema era che Shannon avrebbe capito il perché di tanto imbarazzo. Avrebbe capito cosa tormentava così tanto Jared, perché lui era l’unico che ci riusciva. Lui sapeva scavare a fondo in chiunque e ancora di più in suo fratello. E di questo il cantante aveva troppa paura. Evelyn lo rendeva incapace di rispondere delle sue azioni, con lei non sapeva controllarsi e nascondere tutto. Vederla con suo fratello poi, lo rendeva geloso. E non si capacitava del perché. O forse non voleva ammetterlo. Persino Katherine non era riuscita a distrarlo a pranzo. Aveva puntato per tutto il tempo gli occhi su Evelyn e voltato immediatamente lo sguardo quando lei o Shannon se ne accorgevano. Ma era difficile e non avrebbe resistito a lungo facendo così. Non poteva semplicemente stare a guardare mentre lei sembrava felice con il fratello maggiore. Aveva sperato che trovarlo a letto con la biondina avrebbe fatto arrabbiare Evelyn, o farla ingelosire, o almeno farle provare qualcosa. Ma temeva che a lei non importasse niente di lui. Non ora che c’era Shannon. Perciò, rassegnato e ancora pieno di pensieri, Jared andò a letto, pronto ad affrontare una notte insonne e tormentata.

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Capitolo 6
*** But I don't wanna live that way, reading into every word you say. ***


Avevo promesso che il capitolo sarebbe stato pronto oggi e infatti è così! Niente da dire, questo capitolo scompiglierà un po' di cose tra quei tre. Leggere per credere! Come sempre buona lettura :*
P.S: Ma nessuno che recensisce il capitolo precedente? Avanti, è per voi che scrivo, non abbiate paura! 






But I don't wanna live that way, reading into every word you say.


Bugie, bugie, ancora bugie. Possibile che io non possa fidarmi di nessuno? Possibile che intorno a me ci siano segreti e cose che non posso sapere? Devo scavare ancora più a fondo, raschiare fino a trovare quello che cerco. Evelyn è l’unica che può dirmi qualcosa in più. Jared e Tomo non ne vogliono sapere. Non voglio rimanere deluso, ma ho paura che neanche lei sia disposta a dirmi tutta la verità. Sono solo in questa storia, sto cercando con tutte le mie forze di mettere una fine a tutto perché non ne posso più di discorsi spezzati, sguardi fin troppo intensi e imbarazzo. Jared non avrebbe dovuto farmi questo. I fratelli non mentono.

***
 

Shannon aprì gli occhi, ritrovandosi al buio. Guardò i numeri fosforescenti della sveglia sul comodino che segnavano le sei del mattino, un orario alquanto insolito per lui. Rimase a letto sebbene non sentisse gli occhi pesanti, erano i pensieri che ingombravano fin troppo la sua mente. Avrebbe parlato con Evelyn e risolto le cose, era convinto che avrebbe finalmente messo la parola fine a questa storia, ma subito dopo un pensiero lo assalì. Ad un tratto si rese conto che non poteva esserne troppo sicuro: infondo Evelyn la conosceva da pochissimo e pretendere che lei si sarebbe fidata di lui così presto era una pazzia. Non si conoscevano affatto, sebbene sembrasse il contrario. In pochi giorni avevano stretto un legame talmente forte che chiunque avrebbe pensato che stessero insieme da mesi. Lui la coccolava, lei lo faceva stare bene con se stesso. Entrambi sentivano qualcosa di diverso. Shannon si sentiva cambiato, anche se di poco. Lui, che assieme al fratello aveva la fama di donnaiolo, ora aveva una ragazza fissa. Non sapeva quanto sarebbe durata e neanche voleva fare previsioni, ma in quel momento la sola cosa che importava era la sua felicità. E non avrebbe permesso a Jared di rovinare tutto con il suo egocentrismo. Gli voleva un bene dell’anima, ma lo conosceva e sapeva che probabilmente quello che scuoteva così tanto Jared era la gelosia, perché lui ancora non era riuscito a smettere di cercare solo sesso dalle donne. E Shannon aveva paura che volesse fare lo stesso con Evelyn. Si domandò mentalmente quante volte era capitato e si rispose subito: tantissime. Perciò no, stavolta avrebbe protetto la ragazza dalla sofferenza che il fratello le avrebbe provocato. E comunque non poteva portargliela via così. Era da egoisti e Jared non aveva il diritto di farlo. Dopo tutti quegli anni, Shannon aveva la possibilità di riscattarsi, di smettere di essere solo o essere ingannato da ragazze arriviste e non poteva rinunciarvi.
Si alzò quando il sole era ormai spuntato e bevve solo un caffè, nel silenzio più totale. Fece una doccia, strofinandosi forte la pelle, quasi che potesse lavare via le preoccupazioni con una spugna e un po’ di bagnoschiuma. Rimase sotto il getto d’acqua bollente per mezz’ora, poi uscì e si asciugò, legando poi l’asciugamano in vita e lasciando i capelli bagnati. Vagò per la casa in cerca del suo giubbotto e quando lo trovò tirò fuori dalla tasca il pacchetto di Marlboro rosse. Ne sfilò una e andò fuori in giardino per accenderla. Lasciò che la nicotina gli entrasse nei polmoni ed espirò, lentamente. Fumare lo rilassava ed in quel momento ne aveva più che mai bisogno. Pensò a quante volte aveva sperato che assieme al fumo potessero volar via anche tutte i problemi.
La sigaretta si consumò velocemente, Shannon rientrò in casa e indossò una delle sue canotte, poi infilò i jeans e le scarpe. Uscì di casa alle nove di mattina e salì in macchina diretto a casa di Evelyn. Quando arrivò, chiamò la ragazza al cellulare.
“Pronto?” Rispose lei, con la voce ancora impastata dal sonno.
“Dormivi?” Chiese Shannon, con voce seria.
“No, ero a letto. È successo qualcosa?” Evelyn rimase sorpresa dal suo tono di voce. Di solito quando la chiamava era allegro.
“No, niente. Vestiti, ti porto a fare colazione fuori.” Disse lui tranquillamente.
“Dove sei?”
“Sono fuori, ti aspetto. Fai in fretta.” Disse lui, quasi meccanicamente. Mentre parlava guardava la finestra della camera da letto, aspettando di vedere Evelyn scostare la tenda per controllare che lui fosse davvero lì. Quando lei lo fece, le sorrise e lei lo imitò, ma entrambi lo fecero senza davvero provare felicità. Evelyn aveva capito che c’era qualcosa che non andava e aveva paura di esserne la causa. Così, si vestì in fretta indossando un paio di jeans chiari e una canotta bianca, afferrò la borsa e si chiuse la porta alle spalle, entrando subito nell’auto di Shannon.
“Ciao.” Disse poi, sorridendogli appena.
“Buongiorno” Disse lui, facendo lo stesso. Mise in moto e rimase in silenziò per un po’. La radio trasmetteva Hurricane e la voce di Jared si propagava graffiante nell’abitacolo, fino a quando Shannon, sbuffando, fece uscire il cd e lo ripose nella custodia. Evelyn lo osservò quasi sconcertata. Lui fece finta di niente e continuò a guardare la strada. Nessuno dei due osava prendere per primo la parola, ma Evelyn non sopportava quell’imbarazzo e il comportamento di Shannon la stava facendo innervosire, perciò quando scesero dall’auto, fece il giro e fermò Shannon che aveva già iniziato a camminare verso l’entrata del bar.
“Shannon, si può sapere che ti succede?” Lo guardò intensamente negli occhi.
“Succede che ho bisogno di parlarti.”
“E allora fallo! Perché non hai detto una parola da quando sono entrata in macchina?” Shannon la guardò senza dire niente, lei sospirò. “Sono io il problema, vero?” Chiese, poi.
“No, il problema riguarda me, te e Jared.” A quel nome Evelyn rimase interdetta.
“Cosa c’entra Jared adesso?”
“Oh, Jared c’entra molto più di me in questa storia.”
“Shannon, non capisco.”
“Andiamo dentro, ho una fame che non riesco neanche a parlare.” La precedette ed entrò nel bar, si sedette a uno dei tanti tavolini liberi e prese la sua ordinazione. Evelyn chiese un cappuccino e guardò il batterista in cerca di una spiegazione.
“Non guardarmi così. Sono io che dovrei pretendere spiegazioni da te, visto che mio fratello non ha intenzione di parlare.”
“Spiegazioni riguardo cosa?” Chiese lei che ancora non capiva a cosa si stesse riferendo.
“Riguardo il fatto che tu e Jared vi siete conosciuti prima del nostro incontro e nessuno dei due ha detto niente. Jared dice che è perché non ha avuto alcuna importanza e che è non è successo niente di rilevante, ma io non gli credo. Voi due non vi siete solamente conosciuti, altrimenti non sareste in imbarazzo continuamente. “ Fece una pausa, per cercare di mettere insieme le parole. “Evelyn, l’ho detto a mio fratello e lo dico anche a te: io non sono stupido, o cieco. Ho visto come vi guardate o come vi salutate. C’è tensione quando siete nella stessa stanza ed è talmente forte che si può toccare. Perciò, ora, se per favore vuoi dirmi il resto della storia, sarei contento di non dovermi dannare per scoprirlo da solo.”
Evelyn rimase un momento in silenzio, mentre sorseggiava il suo cappuccino. Jared ha detto che non ha avuto alcuna importanza. Quelle parole le rimbombavano nella testa e non riusciva a scacciarle via. Dopo un po’ si riprese e parlò.
“E’ come ha detto tuo fratello, Shannon. Davvero.” Disse, guardandolo negli occhi. Sapeva che era l’unico modo per fargli credere che non stava mentendo. Evitare il suo sguardo avrebbe significato farsi scoprire. Shannon cambiò improvvisamente espressione.
“Ma si può sapere perché nessuno si decide a dirmelo? È così sconcertante da dover inventare bugie su bugie per nasconderlo?” Stavolta stava perdendo le staffe, tanto che gli altri clienti si voltarono verso di lui.
“Shannon, calmati, ti prego. Non sto dicendo una bugia. Devi credermi.” Si sentiva uno schifo. Se Shannon avesse scoperto che erano tutte cavolate, sarebbe rimasto talmente deluso che non avrebbe voluto più vederla. Ma Jared aveva espresso il suo parere e lei non poteva dare importanza a qualcosa che per lui non l’aveva.
“Calmarmi? Come faccio se mi sento tradito da chiunque? Prima Tomo, poi Jared.. adesso anche tu. Non so più che fare.”
“Ma nessuno sta cercando di tradirti, Shan. Ti stai facendo problemi per qualcosa che non esiste!”
“Non esiste, dici. E allora quelle occhiate? Me le sono inventate? Sono diventato pazzo, forse?”
“No, non sei pazzo. Ma fraintendi. Io e Jared eravamo imbarazzati semplicemente perché stavamo facendo finta di non conoscerci mentre invece non era così. Ed è una stupidaggine.”
“D’accordo, come vuoi. Forse è lo stress, forse sto fraintendendo tutto. Ma non ho intenzione di far finta di niente.”
“Devi solo fidarti. Sei troppo preoccupato e non ne hai bisogno.” Evelyn posò la sua mano su quella Shannon, rassicurandolo. Lui fece finta di esserlo, tutto quel litigare lo stava stremando. Annuì per farle capire che era tutto a posto e lei gli sorrise.
“Ti va di venire a pranzo da Tomo? Mi ha chiamato per una tregua.” Disse ridendo.
“Certo, solo se mi prometti che non discuterai con nessuno.” Gli fece l’occhiolino.
“Promesso.” Disse lui, posando le sue labbra su quelle della ragazza. Un bacio leggero, di quelli che si danno per rimettere tutto a posto dopo una litigata. Quelli che rinchiudono un po’ di rabbia e un pizzico di rassegnazione.
Una volta pagato il conto e rientrati in macchina, si avviarono verso casa di Tomo e ripresero a scherzare serenamente.
Quando arrivarono, notarono la macchina di Jared parcheggiata sul vialetto. Shannon vi parcheggiò accanto e scese, aspettando Evelyn. Poi la prese per mano e suonò il campanello. Sentirono la voce di Jared che urlava “Vado io!”, poi la porta si aprì e tutti e tre si sforzarono di sorridere.
“Buongiorno!” Esclamò Jared, spostandosi per farli entrare. Evelyn lo guardò duramente, tenendo ancora stretta la mano di Shannon. In cambio, Jared voltò la testa e chiuse la porta, scuotendo la testa, mentre i due erano già in cucina.
Tomo e Vicki salutarono i nuovi arrivati e li fecero accomodare. Dopo un po’ era già pronto e tutti si sedettero a tavola. Evelyn e Shannon uno accanto all’altro, Tomo e Vicki di fronte a loro e Jared a capotavola. Si sentiva il terzo - o meglio il quinto - incomodo, perciò tenne lo sguardo fisso sul piatto per tutto il tempo. Vicki faceva domande ad Evelyn e Tomo conversava tranquillamente con i due fratelli, ma come al solito la tensione era palpabile. Era un pranzo di ricongiungimento in qualche modo, ma il tentativo sembrava non essere andato a buon fine.
“Certo però che potevate avvisarmi, avrei portato una delle mie amiche con me.” Disse Jared, senza neanche pensare prima di parlare. Lo guardarono tutti storto ed Evelyn sorrise amaramente.
“Certo che se le tue amiche le usi solo quando ti fa comodo, non vorrei mai essere nei loro panni.” Disse poi.
“Non credo che tu mi conosca abbastanza da poter fare supposizioni su di me, Evelyn.” Rispose lui, secco.
“Hai ragione, Jared. Non ti conosco affatto. Ma la tua osservazione era decisamente superficiale, se me lo permetti.”
“Beh, evidentemente non hai chiaro il concetto di superficialità.”
“Oh, ti sbagli. Ne so anche troppo. Il fatto è che nella mia vita ho avuto a che fare con persone che badavano solo a certe cose e sono stanca di gente così.”
“Parli del sesso, vero? Mi stai accusando di essere superficiale perché non ho una relazione seria con una donna?”
“No, dico che voler avere accanto una ragazza solo per non sentirsi un incomodo è superficiale e anche egoista.” Jared posò la forchetta bruscamente, poi si sporse verso Evelyn, guardandola dritta negli occhi.
“Pensi di essere migliore di me? Pensi che il fatto che tu non sia mai andata a letto con un uomo per pura attrazione fisica ti renda una brava ragazza? Perché invece non interroghi te stessa e cerchi di non giudicare troppo gli altri? Tu non mi conosci, non sai niente di me.“
“Jared, Evelyn, smettetela. Questa discussione non ha senso.” Li interruppe Shannon.
“Hai ragione, non ha senso parlare con chi fa finta di non capire.” Disse Jared, guardando la ragazza che teneva lo sguardo fisso sul coltello che stava rigirando tra le mani.
“Non ha senso parlare con chi non da importanza alle cose che fa, piuttosto.” Replicò Evelyn. Jared la guardò senza dire niente. Capì che quella discussione mirava a qualcos’altro ed Evelyn voleva farglielo capire senza esplicitarlo.
“D’accordo, adesso cambiamo discorso! Chi vuole un pezzo di torta?” esordì Tomo, facendo rilassare un po’ tutti. Mangiarono il dolce preparato da Vicki senza più pensare a quelle parole, tranne i due interessati ovviamente. Jared continuava a pensare a quello che Evelyn aveva voluto dirgli ma non riusciva a capirlo ed Evelyn si chiedeva se il messaggio era arrivato correttamente al destinatario. Una volta finito di mangiare, Tomo e Shannon uscirono in cortile per fumare e Vicki li raggiunse dopo che Evelyn e Jared si erano offerti di sparecchiare al posto suo. I due si lanciavano sguardi di ghiaccio senza proferire parola. Poi però Jared decise che quella era l’unica occasione per risolvere faccia a faccia la questione. Una volta assicuratosi che gli altri fossero abbastanza lontani da non sentirli, prese la parola.
“Stavi cercando di dirmi qualcosa, prima. Il discorso sulla superficialità era solo una scusa, vero?” Le chiese.
“Beh, in realtà penso davvero quello che ho detto.” Rispose lei, seccamente.
“Posso sapere allora cosa c’è che non va e come mai mi hai aggredito in quel modo?” Chiese puntando le iridi azzurre in quelle verdi della ragazza.
“Cosa c’è che non va? C’è che oggi Shannon mi ha accusato di essere una bugiarda perché si è accorto che tra di noi c’è tensione e tu per tutta risposta gli hai detto che è qualcosa che non ha avuto importanza. Eppure non mi sembravi così indifferente quando hai tentato di baciarmi, l’altra sera.” Disse lei tutto d’un fiato. Jared rimase a bocca aperta.
“Già. Hai ragione. Evidentemente c’è qualcosa che non va perché mi sembra di ricordare che non sono stato io a cercare di baciarti, Evelyn, ma è stata una cosa reciproca! L’avevamo deciso entrambi ed entrambi abbiamo poi cambiato idea perchè non era giusto.” La ragazza rimase zitta, perché lui aveva assolutamente ragione. Quella sera lei voleva baciarlo tanto quanto lui voleva baciare lei.
“Questo non cambia le cose. Hai comunque detto che non era importante.” Disse cercando di tergiversare.
“Cosa dovevo fare? Ammettere a mio fratello che il pensiero della sua ragazza mi tormenta ogni giorno e che divento assurdamente geloso quando vi vedo insieme uno vicino all’altro o quando vi tenete per mano? Dovevo forse dirgli che da quanto ti ha portata qui non faccio che reprimere tutto quello che provo per non ferirlo e per non fargli del male?” Jared non si rese neanche conto di quello che aveva appena detto, delle cose che aveva confessato. Evelyn lo guardò esterrefatta, aggrottando poi la fronte perché non capiva se aveva immaginato tutto o lui aveva davvero pronunciato quelle parole.
“C-cosa hai detto?” Balbettò lei.
“Lascia perdere.” Disse lui secco. Poi si fiondò in bagno, scivolando a terra con la schiena contro la porta.  Si passò le mani sul viso, cercando di scacciare via il pensiero di aver sputato davanti ad Evelyn tutto quello che fino a poche ore prima non riusciva a dire neanche a se stesso. Odiava quanto non riusciva a fermare la sua maledetta bocca. Si alzò di scatto e si sciacquò la faccia, nel vano tentativo di cancellare tutto. Ma ormai il danno era stato fatto. Ora Evelyn sapeva. E Jared non voleva guardarla negli occhi e fare finta di niente, perché non ci sarebbe riuscito. Non avrebbe potuto ignorare tutto e non avrebbe potuto farlo neanche lei. Ma era qualcosa che avrebbero affrontato in un altro momento, in un altro luogo e completamente soli. Ora l’unica cosa che voleva era tornare a casa e cercare di dimenticare, ma sapeva che in realtà avrebbe passato un'ennesima notte insonne.
 

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Capitolo 7
*** Tonight I'll be the best you ever had. ***


Ed ecco qui il settimo capitolo. Per questo ci ho messo qualche giorno perchè volevo scriverlo bene, prendermi un po' di tempo per correggerlo e rivederlo. Il titolo è preso dalla canzone "Tonight (best you ever had)" di John Legend. Spero che vi piaccia e perfavore, scrivetemi qualche recensione per farmi capire se questa storia vi piace o no, altrimenti mi sento inutile T.T 
Detto questo, vi lascio al capitolo BOMBA (più o meno, sta a voi decidere). Un bacio e buona lettura, come sempre.


 

 

Tonight I'll be the best you ever had.


Perché quando devo stare zitto non lo faccio mai? Perché devo sempre rovinare tutto? Non so con quale coraggio riuscirò a starle vicino ora. Non potrò resistere a lungo, me ne rendo conto. Ma cosa dovrei fare? Rovinare la vita di mio fratello per una donna? Questo mai. Non sarei in grado di perdonarmi se facessi una cosa del genere. Eppure, non riesco a far finta di niente, non riesco a cacciare via quel maledetto nome dalla mia testa. L’ho persino sognata nelle poche volte in cui sono riuscito a prender sonno. Può un uomo impazzire per due occhi verdi?
 

***

 
Jared uscì dal bagno appena fu più calmo e si trovò inevitabilmente davanti ad Evelyn, la quale aveva uno sguardo indecifrabile. Lo supplicava con gli occhi di parlarle, ma aveva quasi paura di scoprire più di quanto lui aveva detto. Le disse con lo sguardo di spostarsi, ma lei non accennò a muoversi, così sbuffò.
“Devo passare.” Disse poi, scontroso.
“Dove hai intenzione di andare?” Gli chiese lei incrociando le braccia.
“Non sono affari tuoi.”
“Beh, in questo momento lo sono eccome.” Jared la fulminò con gli occhi.
“Ho bisogno di andare a casa, saluta gli altri da parte mia.” La scostò con la mano e andò dritto verso la porta a passo svelto, chiudendola violentemente. Evelyn non poté fare altro che rincorrerlo fino al viale, guardandolo poi andare via in macchina. Rientrò in casa e una volta in salotto vi trovò Tomo, Shannon e Vicki intenti a discorrere tranquillamente seduti sul divano. Shannon guardò subito Evelyn, accorgendosi del suo volto incredulo; si avvicinò a lei e le poggiò le mani sulle spalle, guardandola negli occhi.
“Ehi, tutto bene?” Lei guardò a terra, annuendo.
“Dov’è Jared?” Chiese poi il batterista guardandosi intorno.
“Credo sia andato a casa. Non si sentiva molto bene.” Inventò lei.
“Davvero? Non mi sembrava che stesse male.” Shannon capì che c’era qualcosa che non andava, perciò sollevò il mento di Evelyn con la mano costringendola a guardarlo.
“E’ successo qualcosa?” Le chiese poi.
“No Shan, non è successo niente. Stavamo sparecchiando la tavola e ad un certo punto è corso in bagno. Quando è uscito ha detto che andava a casa. Tutto qui.” Shannon sembrò convincersi e si allontanò da lei, tornando a parlare con gli altri. Evelyn pensava ancora allo sguardo di Jared mentre le diceva quelle cose. Era uno sguardo disperato, lo sguardo di chi non ne può più di tenersi tutto dentro. Pensò al fatto che lei era rimasta lì, imbambolata, zitta, perché non sapeva cosa provava per Jared. Di sicuro non amava né lui né Shannon. Era troppo presto per parlare di amore. Ma sicuramente Shannon la faceva sentire bene, come mai si era sentita prima di allora. Con lui non pensava a nient’altro che ad essere serena e godersi ogni momento che passavano insieme. Entrambi non chiedevano niente di più che vivere il presente, senza pensare a quanto sarebbe durata. Erano felici così, in fondo. E Jared? Beh lui era quello che per tanti anni aveva sognato di incontrare. Sentiva la sua voce e lo immaginava lì con lei, lo guardava in tv e desiderava di poter essere tra tutta quella gente solo per potergli essere più vicino. E poi c’era stata quella volta, in cui per purissimo caso se l’era ritrovato davanti e lui le aveva lasciato un biglietto, per poi sparire. Quando ci pensava non riusciva a crederci. Erano passati tre mesi ed ora la situazione era più che assurda. Ora lei stava con suo fratello e mai avrebbe immaginato che lui sarebbe stato geloso. Com’è possibile tutto questo? Si faceva quella domanda almeno dieci volte al giorno e ogni volta scuoteva la testa pensando che era stata semplicemente fortunata. A dire il vero, qualche anno prima avrebbe giurato di essere innamorata di Jared. Ci credeva davvero. Perché lui era il suo ideale, l’uomo perfetto, quello che mai sarebbe riuscita a trovare nella vita reale. E invece, per un meraviglioso scherzo del destino, ora lo aveva davanti quasi ogni giorno. Shannon invece lo aveva sempre immaginato come il fratello più rude, quello che fa impazzire le donne, le tratta male e loro sono sempre più attratte da lui. Il classico bastardo, insomma. Ma ora capiva che le cose erano diverse. Di certo Jared non era un bastardo, ma era meno convinto che sarebbe riuscito a trovare l’amore; Shannon al contrario ci credeva ancora. Entrambi però da parecchio tempo usavano le ragazze che incontravano solo per una notte e poi non si facevano più vedere. Un meccanismo di autodifesa: avevano avuto esperienze con tante donne che li avevano usati, ingannati, delusi, lasciati, fin quando non avevano capito che era tempo di fare lo stesso. C’è sempre una motivazione dietro gli uomini o le donne che si comportano in quel modo, per questo Evelyn non li aveva mai giudicati, tranne quello stesso giorno a pranzo.
Rimase seduta sul divano per un bel po’, pensando a tutto questo. Shannon, Tomo e Vicki parlavano tra di loro, ma lei non li ascoltava nemmeno. Teneva lo sguardo fisso nel vuoto e le voci le giungevano come da lontano. Il batterista ogni tanto le lanciava uno sguardo e si rendeva conto che Evelyn era distratta e non prestava la minima attenzione al discorso, così decise che era meglio portarla casa. Quando glielo propose, lei accettò e dopo aver salutato i due sposini si diressero in auto senza dire una parola. Shannon guidò fino a casa della ragazza e quando fermò la macchina le rivolse uno sguardo preoccupato, senza però chiederle quale fosse il problema. Capì che era meglio lasciarla da sola a risolvere qualunque cosa le occupasse la mente, piuttosto che riempirla di domande alle quali non avrebbe risposto. Si salutarono con un bacio leggero e lei si scusò di non essere stata di gran compagnia, poi scese guardandolo un ultima volta e accennando un sorriso prima di chiudersi la porta alle spalle. Una volta in casa, si stese a letto e guardando il soffitto continuò a pensare e ripensare a tutto quello che le stava accadendo.
 
 
[2 Settimane dopo]
 
 
I ragazzi stavano lavorando a qualcosa di nuovo perché quando Jared era nervoso o aveva pensieri per la testa aveva bisogno della sua musica. Si buttava completamente nel lavoro: scriveva, suonava e non dormiva finché non era tutto perfetto. Passava le ore in sala d’incisione e tormentava chiunque lo intralciasse con poca professionalità. E gli altri due componenti del gruppo lo lasciavano fare, visto che sapevano che stava tentando di sfogarsi. Nonostante fosse completamente concentrato sul gruppo però, il pensiero di quello che aveva detto e il volto sconcertato di Evelyn quando lo aveva fatto non accennavano a svanire. Voleva parlarle, ma non trovava il coraggio di farlo. Voleva affrontare la situazione, ma in qualche modo ne era terrorizzato, perché non voleva fronteggiare lo sguardo dispiaciuto che avrebbe avuto Evelyn dicendogli che non poteva essere come voleva lui, che lei preferiva Shannon e loro due non erano niente. Non voleva guardarla in faccia mentre lei lo rifiutava e i suoi sentimenti venivano feriti per l’ennesima volta. Avrebbe volentieri fatto finta di niente, ma non poteva farlo perché non era il tipo che lasciava i discorsi a metà.
Era a casa in quel momento. Era pomeriggio presto, aveva appena finito di mangiare e stava riordinando i testi che si era portato a casa per lavorarci su. I suoi occhi scorrevano veloci sulle parole scritte da lui stesso, revisionandole e trovandole troppo intime, troppo esplicite. Quelle canzoni lo scoprivano fin troppo e sicuramente le avrebbe scartate.
Mentre correggeva gli spartiti, poi, il silenzio che regnava in casa venne interrotto dal suono del campanello. Sobbalzò e si diresse lentamente ad aprire, domandandosi mentalmente chi poteva essere a quell’ora. Aprì e si trovò davanti Evelyn. Rimase in silenzio, guardandola leggermente stupito, poi la salutò con un ciao e si scostò per lasciarla entrare. Lei fece un passo avanti e si guardò intorno. Non era mai entrata a casa sua, ma sapeva dov’era perché una volta Shannon gliene aveva parlato.  Ovviamente era in perfetto stile “Leto junior”. Appena entrati, sulla destra c’era il salotto, con tre divani di colore bianco e una poltrona disposti a formare un quadrato che circondavano un tavolino nero basso. Due manichini femminili bianchi si trovavano dietro i divani ed uno di essi aveva in testa l’elmo dell’armatura che Jared aveva indossato nel ruolo di Efestione. Il pianoforte invece si trovava appoggiato alla parete accanto alla porta. Una grande piantana bianca si prolungava al di sopra dei divani e illuminava la parte centrale. Era lì che Jared stava seduto fino a qualche secondo prima, perciò precedette la ragazza afferrando i fogli e girandoli così da non darle la possibilità di leggere, poi la fece accomodare. Si sforzò di guardarla negli occhi, chiedendole con il solo sguardo a cosa fosse dovuta la sua visita. Lei sembrò aver capito e rispose ad alta voce.
“Sono venuta per parlarti di quello che è successo l’altro giorno, a pranzo.” Fece una pausa, misurando le parole. “Sono giorni che ci penso e voglio capire qualcosa di più, Jared. Hai detto quelle parole e sei scappato via, senza darmi la possibilità di rispondere o di riflettere. Perciò parliamone, perché evitarmi non ti farà stare meglio e di certo non farà stare meglio neanche me.”
“Hai ragione, evitarti non serve a niente ma ho commesso un errore quel giorno, dicendoti tutto. È qualcosa che avrei dovuto tenere per me, in questo modo ho solo fatto un disastro. Te l’ho detto sapendo già a cosa andavo incontro, ma non ci ho pensato. Te l’ho detto sapendo che avrebbe compromesso il tuo rapporto con Shannon, la nostra amicizia, se così la vogliamo chiamare, e tante altre cose. Perciò è meglio far finta di niente, dimentica ciò che ho detto.”
“Ti sembra facile? Come posso far finta di niente se le tue parole mi rendono ancora più confusa di quanto io non lo sia già? Da quanto ho conosciuto te e poi Shannon e sono entrata nelle vostre vite, non so più cosa provo. Io.. sono sempre stata innamorata di te, almeno così credevo. Sai com’è quando si è adolescenti, persino di un cantante si crede di essere innamorate. Eppure quando ci sei tu mi sento ancora una ragazzina, i miei 25 anni spariscono. Sono tesa, imbarazzata e non riesco ad essere a mio agio persino se c’è Shannon. Tuttavia, anche con lui provo qualcosa. Ma non capisco cos’è Jared, è per questo che non posso dimenticare tutto anche se me lo chiedi.” Parlò senza fermarsi, anche lei sputando tutto fuori, come aveva fatto Jared quel giorno.
Il cantante la guardò paralizzato. I suoi occhi marini puntavano dritto in quelli della ragazza. Entrambi non fiatarono, si limitarono a mantenere quello sguardo. Uno sguardo ricco di parole non dette, perché nessuno dei due aveva davvero detto fino in fondo cosa sentivano l’uno per l’altra. In quel momento nessuno dei due pensava alle conseguenze di quello che stavano confessando reciprocamente, non pensarono a Shannon. Sentirono che era arrivato il momento della verità, quella pura e semplice che tutti vorrebbero sentirsi dire, quella che rende liberi, che toglie quel fastidioso peso dallo stomaco.
“Evelyn, stai cercando di dirmi che provi qualcosa per me?” Chiese Jared, cauto.
“Io.. credo di sì.” Evelyn si tormentava le mani, nervosa.
“Credi?” Insistette lui.
“No, io.. ne sono sicura. È che non so dirti se è amore o semplice attrazione.”
“E Shannon? Per lui sai cosa provi?” Jared riuscì a mantenere la sua razionalità.
“No, non lo so. E non so neanche se provo qualcosa di più forte per lui o per te.”
Evelyn respirò a fondo, per lei era difficile. Non aveva mai parlato con qualcuno di ciò che le stava accadendo in quel periodo. Lei non aveva amici, e i suoi parenti ormai era come se non esistessero, perciò tirare fuori tutto quello che aveva tenuto dentro fino a quel momento era complicato. E lo era ancora di più dal momento che Jared era lì davanti a lei che la guardava incitandola a parlare.
“Ricordi quello che mi hai detto quella sera?” Chiese al cantante, il quale annuì. “Mi dicesti che il pensiero di me e Shannon ti tormentava ed eri geloso di noi due. Beh, è quello che ho provato io quando eri con Katherine. Insomma, io ero lì con Shannon e stavo bene, ma c’era qualcosa che mi irritava. All’inizio non capivo cosa fosse, poi quando siamo entrati in camera da letto e voi eravate a letto ho capito che ero gelosa di lei, ero gelosa nel vederti con una ragazza. Nonostante io sia felice con tuo fratello, quando ci sei tu è come se lui passasse in secondo piano. E mi fa male dover parlare così, perché non è giusto nei suoi confronti. Se siamo da soli va tutto bene, ma in tua presenza non so cosa mi prende. Lo stomaco si attorciglia al punto che non ho neanche più voglia di mangiare.” Si fermò per fare una pausa. Si sentì una stupida. Le donne non dovrebbero confessare così agli uomini quello che provano per loro, dovrebbe essere il contrario. Si passò le mani sul viso, esausta: non ne poteva più di sentirsi così.
Jared rimase in silenzio, ripassando mentalmente ogni minima parola pronunciata da Evelyn. Poi, dopo aver riflettuto a lungo, prese la parola.
“Evelyn, magari non sai cosa provi in questo momento, ma lascia che ti aiuti a scoprirlo.”
“E come?” Si guardarono per un tempo indeterminabile. Jared aveva già in mente la risposta a quella domanda, ma era qualcosa che Evelyn non fu in grado di percepire. Allora lui fece quello che desiderava da tempo e che aveva sempre represso. Decise di avvicinarsi a lei, sempre di più, arrivando pericolosamente a un palmo dal suo viso. La ragazza rimase immobile, fissandolo quasi terrorizzata, gli occhi incastrati in quelli di lui. La sua mente era sgombra da qualsiasi pensiero, non voleva accettare né rifiutare quello che stava per accadere. Le guance le divennero rosse, le mani iniziarono a sudarle.
Jared stava avendo una reazione completamente diversa. Voleva solo una cosa in quel momento: dimostrarle in un solo gesto tutto quello che non era riuscito a dire con le parole, perché non aveva ancora confessato tutto. Passava dal guardare gli occhi di lei al fissare le sue labbra, tentato. Con una mano le scostò delicatamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio passando poi ad accarezzarle la guancia. Successivamente ripassò con l’indice la forma perfetta della sua bocca. Infine, ormai impaziente, le prese il mento e riempì la poca distanza che c’era tra loro posando le sue labbra su quelle della ragazza. Fu un bacio lungo, uno di quello da mozzare il fiato. Fu il bacio che li legò indiscutibilmente in un rapporto strano, difficile. Fu un bacio che parlava, raccontava le loro emozioni e quello che tenevano dentro da tre mesi, era una confessione.
Fu quel bacio che in seguito avrebbero ricordato come il più intenso, il più struggente e il più indimenticabile della loro vita.
 

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Capitolo 8
*** Stay with me Evelyn, don't leave me with the medicine. ***


Ed eccomi qui con l'ottavo capitolo! Beh, questo vi lascerà un po' spiazzati, perchè io amo lasciare di stucco la gente :P
Il titolo è una frase della canzone "Evelyn" degli Hurts che ha ispirato tutta questa storia. Vi consiglio di ascoltarla perchè è bellissima. Alla fine trovate il testo che, cavoli, ci sta alla perfezione! Detto ciò vi auguro una buona lettura e se mi volete bene, recensite perchè mi rende tanto felice! Un bacione.





 

Stay with me Evelyn, don't leave me with a medicine.
 

No, no, no. Che sto facendo? Cosa mi è saltato in mente?
Certo, Evelyn, baciare Jared risolverà senz’altro le cose. Povera stupida, ti stai solo mettendo nei guai e ne pagherai le conseguenze. E se tu dovessi perdere tutto quello che hai solo per colpa di questo bacio?
Io lo voglio. Voglio questo bacio.
No, non lo vuoi. Tu vuoi solo l’attenzione di Jared. È Shannon che vuoi.
Sbagli! Io.. voglio entrambi. Ma perché poi sto parlando con me stessa?
Perché non vuoi ammettere che di uno dei due non sei realmente innamorata.
Sì, ma chi?

***
 

Da quel momento in poi niente sarebbe stato più lo stesso. Entrambi sapevano che ciò che stavano facendo era sbagliato, ma non potevano fermarsi. Una forza maggiore della loro ragione li teneva legati e chissà se era amore o qualcos’altro; in quel momento non aveva importanza. Una cosa però ce l’aveva: Shannon. E se lo avesse scoperto? Questa domanda li tormentava, persino allora. Gli stavano facendo del male nonostante lui non sapesse nulla e questo li faceva sentire sporchi, ma come potevano fermarsi? La loro razionalità era ormai sovrastata da qualcosa che non potevano controllare.
Si staccarono l’uno dall’altro con uno schiocco sonoro delle labbra e si guardarono a lungo, senza fiato. Poi il bacio si fece più intenso, Jared cominciò ad attirarla ancora di più a sé tenendola per i fianchi mentre lei teneva le mani impigliate nei suoi capelli. Quando poi lui fece per alzarle la maglietta, lei lo fermò. Si allontanò delicatamente da lui e tirò fuori dalla tasca il cellulare che stava vibrando. Guardò lo schermo e rispose immediatamente.
“Pronto, Tomo?” Ascoltò quello che le stava dicendo il chitarrista e il suo visò cambio espressione.
“Cosa?” Chiese agitata. Jared cercò di capire quale fosse il motivo della sua inquietudine, ma non riusciva a sentire.
“Arrivo subito.” La ragazza chiuse la chiamata, poi cominciò a camminare avanti e dietro per la stanza, incapace di star ferma.
“Che è successo?” Chiese il cantante, visibilmente preoccupato. Lei si fermò e fece un respiro profondo.
“Shannon ha avuto un incidente. È in ospedale.” Disse piano. Jared si portò una mano sulla bocca, sconvolto. Poi si alzò di scatto, prese le chiavi di casa e uscì insieme ad Evelyn fiondandosi in macchina. Non dissero una parola, troppo agitati per aprire bocca. Evelyn continuava a ripetersi mentalmente che era tutta colpa sua e Jared ­­­­­­­­­­– che intanto malediceva se stesso – aveva in testa lo stesso pensiero.
In pochi minuti arrivarono all’ospedale dove ad aspettarli trovarono Tomo e Vicki, le cui facce non prospettavano nulla di buono.
“Come sta?” Chiese Jared.
“Non sappiamo ancora nulla.” Rispose Tomo, guardando prima lui, poi Evelyn e domandandosi come mai fossero arrivati insieme. Tuttavia non azzardò a fare loro domande, temendo preventivamente una risposta che non gli sarebbe piaciuta.
“Ma almeno sapete cosa ha combinato?”
“È stato un incidente stradale. C’era una curva, ha sterzato male e la moto è scivolata sul fianco. È tutto quello che ci hanno detto.” Jared scosse la testa, si sedette accanto a Vicki in una delle scomode sedie tipiche degli ospedali e si passò le mani tra i capelli. Odiava gli ospedali e tutte le cose che avevano a che fare con le malattie; non riusciva a sopportare l’idea che suo fratello fosse in un’ angusta sala con le pareti verdi e le sedie verdi e le lenzuola bianche e che respirasse quell’aria impregnata di sterilizzanti e medicine. Nel lungo corridoio d’attesa poteva osservare la gente preoccupata, seduta o in piedi, che come lui aspettava una risposta o una notizia. C’era chi piangeva, chi sorrideva sollevato e chi non sapeva cosa fare perché i medici non si decidevano ad uscire dalle camere dei pazienti. Shannon era in reparto rianimazione, perciò Jared temeva che stavolta fosse successo qualcosa di grave; era caduto diverse volte mentre era in moto, ma se l’era cavata con un giorno di degenza, mentre ora la situazione sembrava ben diversa.
Osservò Evelyn che era rimasta in piedi, accanto a Tomo. Aveva le braccia incrociate e si tormentava le unghie con i denti, nervosa. I suoi occhi erano lucidi ed era sul punto di piangere, ma si stava trattenendo.
“Io.. ho bisogno di prendere un po’ d’aria.” – Disse –  “Se ci sono novità, io sono fuori.” Poi uscì, respirando a fondo. L’aria consumata dell’ospedale le stava facendo venire mal di testa. Frugò nella borsa, trovando per pura fortuna un pacchetto di Marlboro light. Era da tempo che non fumava, ma in quel momento ne aveva più che mai bisogno. Trovò l’accendino e accese una sigaretta, aspirando. Ora sei contenta? Doveva esserci un incidente per farti capire che hai fatto una cazzata? Le conversazioni con se stessa diventavano sempre più spiacevoli. Una stupida, sei solo questo. Se Shannon dovesse avere conseguenze gravi, sarà tutta colpa tua. Non ne aveva motivo ma credeva davvero che la colpa fosse sua e di quel bacio; sono quelle colpe che ci si affibbia senza un perché, giusto per ricordarsi di non farlo più.
Buttò fuori il fumo della sigaretta, sospirando. Una figura la affiancò e non ebbe neanche bisogno di voltarsi per sapere chi fosse.
“Tu fumi?” Le chiese.
“Già.. quando sono nervosa.” Rispose lei. Lui rimase zitto ad osservarla per un po’. Guardava l’orizzonte davanti a sé, con gli occhi socchiusi, come se volesse mettere a fuoco qualcosa.
“Abbiamo fatto una cazzata, Jared.” Aggiunse poi la ragazza, spezzando il silenzio.
“Lo so.. mi dispiace.”
“Non è colpa tua. Siamo entrambi consapevoli che non possiamo fare una cosa del genere a Shannon. Non deve esserci più niente tra noi.”
“Sì.. hai ragione. Io.. ti capisco benissimo.” Disse lui, aggrottando la fronte e guardando a terra.
“Non avrei dovuto lasciare che succedesse una cosa del genere. Sai che se non ci fosse stata la chiamata noi saremmo andati avanti e non voglio pensare a cosa sarebbe successo. Perciò io.. devo mettere ordine dentro la mia testa e capire una volta per tutte cosa voglio; ma so che se farò una scelta, non sarà più lo stesso. Tu e Shannon potreste litigare, io perderei uno dei due e non voglio. Forse è meglio che me ne vada e vi lasci alle vostre vite, così non dovrete più preoccuparvi di me.” Jared cambiò espressione e la guardò sorpreso.
“Vuoi andare via?” Chiese, senza aspettare una risposta. “E’ questo che vuoi fare? Scappare per non dover affrontare le cose? Non è così che puoi cavartela. Ormai sei dentro questa storia e dovrai fare una scelta, a prescindere da quale sarà la conseguenza. Io e Shannon potremmo anche litigare, ma il nostro legame è troppo forte per poter essere spezzato da una donna. Uno dei due se ne farà una ragione e le cose torneranno come prima, ma non puoi andartene e sperare che le cose si risolvano, perché non sarà così. Quando uno è innamorato, tormentato, o qualsiasi cosa sia quello che sentiamo per te, non molla facilmente. Ci prova fino alla fine, si ammazza pur di avere una possibilità e non puoi fermarlo. Sei una vigliacca se vai via.” Evelyn aspirò l’ultimo tiro dalla sigaretta, gettandola via subito dopo. Guardò Jared per un tempo infinito, leggendo nei suoi occhi quella disperazione che aveva visto anche quella volta in cui le aveva confessato tutto. Pensò che aveva ragione, aveva maledettamente ragione. Come poteva pensare di scappare via e lasciarsi tutto alle spalle? Era la cosa più stupida che avesse mai detto. Scappare non è mai la soluzione. Le cose le devi affrontare, devi combattere, devi fare chiarezza, non puoi semplicemente abbandonare i giochi e fare finta che non sia successo niente. E lei lo sapeva bene. Per tanti anni quello era stato il suo atteggiamento: davanti agli ostacoli non ce la faceva, si sentiva messa in trappola e fuggiva, li raggirava, qualunque cosa pur di non affrontarli. Sapeva di essere debole e di non riuscire a farcela, per questo le parole di Jared avevano colpito nel segno.
“Hai ragione, sono una vigliacca. Ma il solo pensiero che io debba scegliere mi manda in panico. Io.. non sono capace di prendere una decisione.” Ed ecco che un’altra delle sue debolezze veniva fuori.
“Io invece credo che tu sappia benissimo cosa vuoi, semplicemente non vuoi ammetterlo. Forse perché ti fa comodo avere due uomini che pendono dalle tue labbra, o forse perché hai troppa paura. Fatto sta che quel nome è dentro la tua testa, devi solo decidere di tirarlo finalmente fuori.”
“Mi fa comodo avere due uomini che pendono dalle mie labbra?” – Disse, ripetendo le parole di Jared. –  “Credi che io sia contenta di questa cosa?”
“Era una supposizione. Magari non te ne rendi neanche conto.”
“Ah beh certo, secondo te io morivo dalla voglia di ritrovarmi in questa assurda situazione!”
“Io dico solo che tu lo sai, Evelyn. Sai benissimo chi sceglierai, alla fine!”
“No che non lo so, altrimenti lo avrei già fatto.”
“Beh allora vedi di fare chiarezza nella tua testa, io ne ho abbastanza di cercare di decifrarti.” Jared finì lì la conversazione, rientrando nel reparto. Non ne poteva più, quella ragazza lo stava facendo diventare matto. Non gli era mai capitato di dover faticare così tanto per conquistare una donna, di solito gli veniva tutto così naturale: uno dei suoi sguardi agghiaccianti, la sua splendida voce che pronunciava complimenti e bum, cadevano tutte ai suoi piedi. Stavolta però era diverso: era in competizione con suo fratello e quelle cose non bastavano. Era già capitato che si contendessero una donna e c’erano state volte in cui aveva vinto lui, altre invece Shannon era stato più bravo. Ma con Evelyn non era una partita, Shannon era decisamente cambiato da quando l’aveva incontrata; era diventato protettivo, molto più dolce e aveva occhi solo per lei. Questo disturbava Jared  poiché temeva che, se Evelyn avesse scelto lui, Shannon ne sarebbe rimasto troppo sconvolto, al punto di smettere definitivamente di cercare altro nelle donne, oltre al sesso. Per lui era diverso – sebbene sulla questione dell’amore fosse molto scettico – perché sapeva riconoscere la differenza tra il volere solo una notte di passione o volere qualcosa di più.
Quando tornò nel corridoio d’attesa, il dottore stava parlando con Tomo. Si precipitò verso di loro e chiese se Shannon stava bene.
“Lei è il fratello?” Jared annuì. Intanto Evelyn lo aveva raggiunto e ascoltò la conversazione, sedendosi accanto a Vicki.
“Vede, l’incidente gli ha fatto perdere i sensi e non si è ancora risvegliato. Non ci sono fratture, solo qualche lesione più o meno grave, ma temiamo possa rimanere in coma per qualche giorno. Intanto lo terremo in osservazione. Potete vederlo, ma solo per qualche minuto.”
“La ringrazio, dottore.”
“Si figuri, arrivederci.” Jared lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava, dirigendosi verso le altre camere. Poi tornò a guardare Tomo, preoccupato.
“Che facciamo ora?” Gli chiese.
“Entriamo, dai. “ Lo incitò il chitarrista. Seguì il suo consiglio e insieme entrarono nella camera di Shannon, seguiti dalle due donne. Il batterista era disteso sul letto e la sua pelle si confondeva quasi con il lenzuolo per quanto era pallida. Era circondato da tubi e il rumore incessante dell’elettrocardiogramma risuonava nella stanza.  Lo guardarono a lungo, in silenzio. Il suo petto si muoveva su e giù a testimoniare che respirava e a loro bastava quello per essere un po’ più sollevati. Evelyn trattenne a stento le lacrime che cominciarono a scenderle silenziose sulle guance, mentre Vicki la abbracciava. Tomo invece faceva coraggio a Jared che continuava a passarsi le mani sul viso. Vedere Shannon - che era sempre così forte - steso in quel letto d’ospedale era sconcertante per loro. Lui era quello che faceva coraggio a tutti, che proteggeva chiunque, mentre ora sembrava così fragile.
Evelyn gli si avvicinò e gli strinse la mano, come se lui potesse sentire che lei era lì accanto a lui e non l’avrebbe lasciato. La strinse come se quel gesto potesse cancellare tutto il male che gli stava facendo a sua insaputa. Con quel gesto gli chiedeva di perdonarlo senza pronunciare le scuse ad alta voce, perché era sicura che in quel modo l’avrebbe percepito ancora di più. Gli chiese scusa per tutto, gli chiese scusa anche da parte di Jared e gli promise che fino alla sua decisione, non gli avrebbe mai più fatto del male. 

***
 

I don't mind,
If your hand's a little cold.
'Cause I'm alive,
But I got no way to go.


So stay with me Evelyn.
Don’t leave me with the medicine.

In the night
As you sit and watch me sleep
I know you cry
But I never want to see.
So if you go
I don’t know what to do.
So don’t you go
Cause I’ve got no one but you.

So stay with me Evelyn.
Don’t leave me with the medicine. 

I see the lights
Casting shadows on my screen.
And I don’t mind
The lullabies from the machines.
But if you go
I don’t know what I’ll do.
So don’t you go
Cause I’ve got no one but you.

So stay with me Evelyn.
Don’t leave me with the medicine. 

I’m more afraid than I’ve ever been,
So stay with me Evelyn.

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Capitolo 9
*** I've got secrets and lies that would blow your mind. ***


Oh, eccoci qui, al nono capitolo (non ci credo che sono riuscita ad arrivare fin qui **). Bene, ci avviciniamo sempre di più alla fatidica decisione.. io non ne posso più di scrivere questa parola! xD Questo è un capitolo piuttosto riflessivo e non succede niente di speciale, ma diciamo che si risolvono (?) un po' di cose. 
Nient'altro da dire, il titolo è una frase della nuova canzone Witness, ascoltata al VyRT e ci sta alla perfezione, a mio parere. Come sempre, recensite perchè vi amo quando lo fate. Un bacio e buona lettura.




 

I've got secrets and lies that would blow your mind.


Non ne posso più di tutta questa tensione. La parola SCELTA mi rimbomba nella testa come una radio a tutto volume. Ho bisogno di fare ordine nella mia testa. Segui il cuore, mi hanno sempre detto. E se il nome che ho nel cuore non fosse quello giusto? E se il cuore si sbagliasse? E se un giorno dovessi pentirmene? Non sono più sicura di niente, ormai. È una cosa così complicata e ho tremenda paura di sbagliare.
 

***

 
Evelyn era rimasta con Shannon tutta la notte, per questo si svegliò dolorante, con la mano indolenzita ancora stretta in quella ruvida del batterista. Lui era ancora immobile, con gli occhi chiusi, non dava alcun segno di ripresa. Cominciò ad accarezzarlo, passandogli delicatamente il dorso della mano sulla guancia. Le sembrava di essere tornata a dieci anni prima; rivide in quel letto d’ospedale suo padre, quella volta in cui un pirata della strada lo aveva investito ed era scappato via senza prestare soccorso. Rivide se stessa accanto a lui, tutti i giorni, fino a quando lo avevano dimesso perché si era risvegliato dopo un mese di coma. Da quel giorno non era stato più lo stesso; il padre aveva smesso di uscire di casa, parlava poco e se lo faceva la sua voce era bassa, rauca e sembrava arrivare da lontano. Aveva lo sguardo assente e quando era seduto sulla sua poltrona preferita - quella davanti alla finestra -  i suoi occhi puntavano fissi in un luogo che sembrava potesse vedere solo lui. Tutte le volte che lei aveva cercato di chiedergli cos’è che guardava, lui l’aveva fissata con gli occhi stralunati, non aveva detto niente ed era tornato a guardare lo stesso punto. Sua madre ormai non provava più a farlo alzare da quella poltrona e portarlo a fare una passeggiata; si era arresa e lei non poteva biasimarla. Suo padre non era più quello di un tempo, quello che ti portava a fare lunghe camminate al parco, quello che ti comprava due gelati, anziché uno, se ti comportavi da brava bambina. Non era più il padre geloso che ti sgridava quando a quindici anni rientravi  a casa in punta di piedi, perché sapeva che eri con un ragazzino fino a pochi minuti prima.
Ripensare ai suoi genitori, a suo padre in particolare, la rese malinconica. Non li vedeva da due anni, da quando era andata via da Chicago e le mancavano. Sentiva sua madre tutte le settimane, al telefono, che ogni volta le domandava quando sarebbe andata a trovarli. Presto, le rispondeva.. ma non lo faceva mai. I ricordi felici che aveva della sua famiglia erano quelli risalenti alla sua adolescenza, perché da quando aveva compiuto vent’anni era cambiato tutto: loro non avevano mai appoggiato la sua scelta di andare via, crearsi una vita, essere una donna in carriera. Erano troppo all’antica. Ma nonostante tutto Evelyn non si era mai data per vinta e ce l’aveva fatta ad ottenere la vita che voleva. E si sa che quando ottieni qualcosa la felicità dura poco, perché inizi a capire che non sei completa come pensavi, ma c’è sempre qualcosa che manca; nel suo caso era l’appoggio dei suoi genitori. Quando - parecchi anni prima - era nata la sua passione per i 30 Seconds to Mars, loro l’avevano sempre giudicata.
“Ma che razza di musica è questa?” o “Tu diventerai pazza, andando dietro a quelli lì!” erano le frasi più ricorrenti, quelle che la facevano correre in camera sua sbattendo la porta e la facevano piangere per ore. Sentirsi continuamente criticata le aveva fatto passare momenti orribili, ma ora ne era uscita, perché si era rassegnata e aveva accettato il fatto che loro non l’avrebbero mai capita. L’allontanamento da Chicago era dovuto soprattutto a questo. Non ne poteva più e, non sapendo che altro fare, era scappata, via, lontano da ogni critica, da ogni giudizio, finalmente libera di fare quello che voleva.
Ritornò alla realtà, continuando ad accarezzare il braccio di Shannon. Guardava quelle palpebre chiuse, sperando che si aprissero da un momento all’altro, rivelando i bellissimi occhi verdi del batterista, quelli che la facevano sciogliere tutte le volte che la guardava. Sentì il bisogno di dargli un bacio, così lui avrebbe saputo che lei era lì per stargli vicino. Quando ebbe posato le sue labbra su quelle di Shannon e dopo che si fu messa di nuovo a sedere accanto a lui, la sua coscienza le disse che se davvero voleva essergli accanto e non fargli più del male, doveva dirgli la verità, dall’inizio. Anche se non credeva che lui la sentisse, lo fece, sperando in cuor suo che questo lo avrebbe fatto reagire in qualche modo. Perciò iniziò raccontandogli dell’incontro con Jared, del biglietto perso e di quei tre mesi passati a rimpiangere quel maledetto giorno. Gli raccontò cosa aveva provato quando l’aveva rivisto, al The Hive, e gli raccontò persino di quel bacio che non si erano scambiati. Poi gli parlò della discussione con Jared a casa di Tomo.
“Io non avevo idea di quello che provava per me. Credevo che ci tenesse solo a farmi capire che io non significavo niente per lui e invece lo faceva per farmi ingelosire. Come potevo rendermene conto? Avevo te e già mi sembrava assurdo. Se mi avessero raccontato che sarebbe successo tutto questo, sarei scoppiata a ridere. Io, Evelyn Wood, che riceve le attenzioni di entrambi i fratelli Leto.” Rise scuotendo la testa. “Jared crede che mi faccia piacere, sai? Crede che io non faccia la mia scelta perché mi fa comodo essere contesa tra due uomini. Ma si sbaglia, si sbaglia di grosso. Forse sarebbe stato meglio non incontrare né lui, né te. Sarebbe stato meglio guardarvi soltanto in tv, venire ai vostri concerti.. e nient’altro. In questo modo vi sto solo mettendo l’uno contro l’altro e mi sento uno schifo. Lui dice che non litigherete quando sceglierò, dice che si sistemerà tutto e uno dei due se ne farà una ragione. Tu me lo prometti, Shan? Prometti che non discuterete per me?” fece quella domanda guardandolo. Non si mosse neanche di un millimetro e lei lasciò la domanda in sospeso, in attesa di fargliela una prossima volta.
“C’è un’altra cosa, Shannon.” Disse, abbassando la testa, non riuscendo a guardarlo sebbene lui avesse gli occhi chiusi e fosse steso in un letto; proprio non ce le faceva.
“Quando Tomo mi ha chiamato, ieri, per dirmi che avevi avuto l’incidente, io ero con Jared. Noi.. ci siamo baciati.” Confessò, pronunciando le parole lentamente, quasi sforzandosi di farle uscire dalla bocca. Tornò a guardare Shannon, con le lacrime agli occhi.
“Io.. ti sto facendo del male, Shannon, sto rovinando tutto. Tu non meriti una persona orribile come me. Perdonami, io sono legata ad entrambi, non ce la faccio a stare lontana da te o da lui. Ma è sbagliato, non posso amare due persone.” I singhiozzi si fecero sempre più forti, mentre le lacrime bagnavano le lenzuola. Pianse per un bel po’; era il suo modo di sfogarsi, ed era il migliore che conosceva.
Mentre teneva ancora il viso sul letto, l’infermiera le chiese gentilmente di uscire. Lei si alzò di scatto e chiese scusa per le lenzuola bagnate, poi andò in bagno a sciacquarsi il viso. Aveva gli occhi ancora rossi quando tornò in corridoio ad aspettare che l’infermiera uscisse.
Lì, seduto su una delle sedie verdi, vi trovò Jared, che sembrava essere parecchio preso dal suo cellulare, tanto da non alzare la testa quando lei si avvicinò alla porta della camera. Quando poi lo fece e si accorse della sua presenza, si alzò per avvicinarsi a lei.
“Evelyn!” Disse. “Ciao.” Le sorrise leggermente e lei lo imitò. Poi Jared cambiò espressione, notando i suoi occhi rossi.
“Stai.. stai piangendo? È successo qualcosa?” Chiese, credendo che il motivo fosse Shannon.
“No, no. Sono solo i ricordi. Sai com’è, sono troppo malinconica.” Rispose la ragazza, rassicurandolo con un sorriso. Lui le accarezzò il braccio, delicatamente.
“Ti dispiace se rimango da solo con mio fratello?”
“Oh, no, affatto. Fai pure.” Disse, spostandosi per farlo entrare. Poi, lentamente, si avviò verso l’uscita per andare a fumare.
Quando Jared entrò, l’infermiera aveva cambiato la flebo a Shannon ed era andata via, lasciandoli soli. Osservò il fratello come aveva fatto Evelyn, con la speranza di vederlo aprire gli occhi e sorridergli, ma non lo fece.
Stranamente, era andato lì con la stessa intenzione della ragazza: confessare tutto. Così iniziò a parlare, sebbene anche lui fosse scettico sul fatto che potesse davvero sentirlo. Raccontò anche lui dell’incontro con Evelyn, dei mesi passati a cercarla, della sorpresa che aveva provato quando l’aveva portata al The Hive e del bacio del giorno prima. Shannon, in questo modo, poteva conoscere entrambe le versioni della storia, che combaciavano perfettamente. Nessuno dei due aveva detto qualcosa di diverso dall’altro.
“Shannon.. io so che è sbagliato e che sono uno stronzo. Non è giusto che, ora che hai trovato qualcuno, io sia attratto da lei. Ma vedi, ne ero rimasto colpito già dal primo momento in cui ho incrociato i suoi occhi. E stavolta non è solo attrazione fisica, davvero. Hai.. hai presente Romeo e Giulietta? Beh loro si innamorarono all’istante e decisero addirittura di sposarsi, in pochissimi giorni. È difficile crederci, ma il loro amore scoppiò all’improvviso, dopo un solo sguardo.. e anche se è un racconto, perché non dovrebbe succedere nella realtà? Io non ho intenzione di sposarla..” rise al solo pensiero. “Ma da quando le sono andato a sbattere contro, quel giorno… i suoi occhi, il suo volto, la sua bocca, li vedo dappertutto. Sai cosa significa vero? È orribile, ma allo stesso tempo è una cosa magnifica.” Gli occhi di Jared si illuminarono quando descrisse a Shannon quelle sensazioni. Era incredibile, si sorprendeva persino lui della reazione che aveva quando parlava di Evelyn. Non aveva mai provato una cosa del genere, sebbene fosse già stato innamorato molto tempo prima. Ma sono quelle sensazioni che non si possono spiegare, che ti scoppiano dentro e fermarle è impossibile. Come le fitte allo stomaco che tormentavano Evelyn quando pensava a lui. Erano tutte emozioni nuove per Jared, qualcosa che lo sconvolgeva e allo stesso tempo lo incuriosiva.
Dopo essersi liberato di quel grande peso, lasciò solo Shannon, chiedendogli un’altra volta scusa per quello che aveva fatto. Sia lui che Evelyn si sentivano terribilmente in colpa per quello che provavano l’uno per l’altra, e tuttavia erano come due calamite: tenerli lontani era quasi impossibile. Ma Jared si sarebbe fatto comunque da parte, se Evelyn avesse scelto Shannon. Non lo avrebbe mai tradito, su questo non vi erano dubbi. Perché il rapporto tra i due fratelli non si poteva spiegare a parole: erano allo stesso tempo migliori amici e confidenti. Erano inseparabili e si aiutavano a vicenda, senza risparmiarsi. Donavano se stessi al cento per cento e insieme erano indistruttibili. Nessuno era mai riuscito a farli crollare.
Evelyn sapeva che Jared aveva ragione e che non avrebbero litigato, ma aveva ugualmente paura che le cose non sarebbero state le stesse. Non sapeva però che Shannon e Jared, molti anni prima, si erano fatti una promessa: mai e poi mai una donna li avrebbe separati. Ed entrambi avevano giurato che l’avrebbero mantenuta ad ogni costo.

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Capitolo 10
*** I could hold you for a million years, to make you feel my love. ***


Decimo capitolo! Credo che ci si avvicini alla fine, purtroppo o perfortuna. Questo capitolo è un po' corto, ma cambierà un bel po' di cose. Ne rimarrete contenti o delusi, dipende da voi. Sono lunatica, perciò questa storia va avanti secondo il mio umore. Non sapete mai cosa potreste leggere! Il titolo è tratto dalla canzone "Make you feel my love" di Adele, una meraviglia. Ora vi lascio al capitolo e vi auguro una buona lettura. Alla prossima :*




I could hold you for a million years, to make you feel my love. 

La vita sarà sempre piena di decisioni dure da prendere.
Ogni volta che tu apri una porta, un’altra si chiude.
In fondo uno deve imparare a vivere secondo le proprie decisioni,
non importa quanto sanguini il cuore o quanto faccia male.
 
- Sergio Bambarén, Il guardiano del faro.

 

***
 

Erano passate due settimane dall’incidente. Quel Lunedì mattina, Evelyn e Jared si ritrovarono insieme all’ospedale, per l’ennesima visita. Entrarono non appena fu dato loro il permesso e rimasero accanto a lui per alcuni minuti, in silenzio. Evelyn gli accarezzava il braccio e Jared, seduto, si limitava ad osservarlo. Ogni tanto i loro sguardi si incrociavano, ma erano sguardi solamente di intesa, perché entrambi provavano lo stesso dolore. Due settimane in quello stato, aspettando un segno, un qualcosa, ma niente. Evelyn piangeva ormai tutte le notti, nel suo letto, preoccupata. Lui le mancava, voleva vederlo sorridere e scherzare con Jared e Tomo, voleva vederlo suonare la sua batteria, voleva riaverlo accanto a sé. Non ne poteva più di quell’ospedale, di quella stanza, di tutto quel verde e bianco; era sempre più angosciata. Per Jared era lo stesso: non dormiva più di un’ora a notte, ormai. Era distrutto, le occhiaie diventavano ogni giorno più profonde ed era pallido più del solito.
Shannon invece aveva l’aspetto di sempre, tranne per la barba e i capelli cresciuti. Sembrava essere semplicemente addormentato, ma lo era da troppo tempo ormai e tutti ne erano angosciati.
D’improvviso, Evelyn iniziò a piangere, incurante della presenza di Jared.
“Shan, ti prego.. svegliati.” Lo supplicò tra i singhiozzi, stringendogli sempre di più la mano. Jared si alzò e le andò vicino, posandole le mani sulle spalle, cercando un modo per rassicurarla, per farle capire che lui era lì, se ne avesse avuto il bisogno. Lei portò la mano libera su quella di Jared, sfiorandola poi con la guancia. Le lacrime non si arrestarono, continuarono ad offuscarle la vista e a bagnarle i vestiti, ma non le importava. Era una situazione che non riusciva più a sostenere, la buttava giù più di qualunque altra cosa. L’unico suo volere era che Shannon si svegliasse, niente più.
Jared, dal canto suo, lasciò che lei si sfogasse, non sapendo in che altro modo consolarla. Sentiva la sua pelle bagnata sfregarsi contro la sua mano, ma non gli procurava alcun fastidio. Anzi, lo faceva sentire utile, sentiva che in questo modo lei si aggrappava a lui, buttando fuori tutta la rabbia, la frustrazione che aveva dentro. D’altronde, chi poteva capirla meglio di lui?
Nello stesso istante in cui i singhiozzi di Evelyn cessarono, Jared si rese conto che la ragazza aveva preso a fissare immobile le dita di Shannon, che si muovevano quasi impercettibilmente. L’elettrocardiogramma confermava l’unica cosa che per tutto quel tempo avevano voluto sentirsi dire: Shannon, dopo due settimane, era sveglio. Gli occhi di Evelyn, ancora umidi, ricominciarono a lacrimare, ma stavolta la causa era la gioia, la sensazione di vittoria che in pochi minuti aveva cancellato tutte le emozioni negative. Fu chiamata l’infermiera che accorse immediatamente e confermò che finalmente lui li sentiva, era lì con loro, non dormiva più. I suoi occhi, quegli splendidi occhi cangianti, si aprirono, rivelando il loro verde brillante. Jared si mosse verso di lui, sorridente come non mai; si sedette a sul bordo del letto e gli strinse delicatamente il polso, come a dargli il ben tornato. Evelyn singhiozzava ridendo, gli occhi brillanti e vivi dalla felicità. In poco tempo la stanza non appariva più così spenta come lo era stata in quelle due settimane. Tutto sembrava splendere, illuminato dalla luce che Shannon emanava, mentre sorrideva, un po’ frastornato, alle due persone che gli erano accanto. Alzò la mano verso il volto di Evelyn, posandola sulla sua guancia. Lei la coprì con la sua, baciandogli poi il palmo. Jared li osservò, con la consapevolezza che quel momento era solo loro; per una frazione di secondo, a Jared sembrò una scena perfetta e si sentì il terzo incomodo. Ebbe la sensazione che lui non doveva essere lì e non perché era geloso di Evelyn, o del fratello. Semplicemente trovò meraviglioso il loro rapporto in quell’istante, come se fossero sempre dovuti essere così, e che era stato un grosso sbaglio mettersi tra di loro. Non riusciva a capirne il perché, qualche ora prima non la pensava affatto così. Ma in quella stanza d’ospedale, tutto sembrò essere al proprio posto: Evelyn che si lasciava accarezzare da Shannon in un gesto di infinita dolcezza e lui che da bravo spettatore li guardava con ammirazione.
Forse lui era davvero destinato a non avere quel rapporto. Forse davvero l’amore non faceva per lui, forse il suo destino era proprio quello di donare amore a chi ne aveva più bisogno di lui. I suoi Echelon, ad esempio. Forse il suo posto nel mondo era sul palco, a far sognare e ispirare milioni di persone. Non era forse durante i concerti che si sentiva al settimo cielo? Che si sentiva a casa?
Con Evelyn era tutta un’altra sensazione. Solo adesso si rendeva conto che non era amore, quello che provava per lei. Era stata un illusione, sì, una sensazione che non aveva mai provato. Sembrava amore, ma in realtà non lo era. Lui aveva semplicemente convinto se stesso che fosse così, perché credeva di averne bisogno. Credeva che con qualcuno da amare e che lo amasse, avrebbe risolto le cose, non avrebbe più sentito quella mancanza che aveva dentro. Ma quella mancanza che sentiva, quella brutta sensazione all’altezza del petto, non era assenza di amore. Era assenza di qualcosa che lo facesse sentire vivo. E non a caso, gli stava capitando proprio ora che non erano in tour. Capì improvvisamente che per lui la cosa più importante era l’affetto per la sua famiglia, quella vera e quella acquisita. Lui non si era mai legato a nessuno perché non ne aveva bisogno, perché lui un amante ce l’aveva già, ed era la sua musica, i suoi Echelon. Si alzò lasciandoli soli, stranamente sereno, nonostante quell’incredibile consapevolezza. In un attimo era cambiato tutto, in un attimo tutte le sue convinzioni erano crollate, facendo il posto ad altre ben più forti. Sorrideva tra se e se, ormai libero da quel peso che aveva tenuto dentro fino a quel momento. Si sentì svuotato da quel tormento e riempito di qualcosa di nuovo e di ben più benevolo. Capì che Evelyn apparteneva a Shannon, era lui che era cambiato da quando l’aveva conosciuta, era lui che aveva messo in discussione tutta la sua vita solo per quella donna. Lui invece era stato preso dalla gelosia, o dal desiderio di provare anche lui quella felicità, neanche lui sapeva darsi una risposta. Quello che sapeva però era che mai più avrebbe rubato a suo fratello la serenità che provava con Evelyn. Mai più avrebbe permesso a se stesso di intromettersi nella vita di Shannon e turbarlo, perché non se lo meritava. E lui questo lo sapeva dall’inizio. Ma credeva di provare sentimenti che non li appartenevano veramente, credeva che quella ragazza avrebbe davvero messo a posto le cose nella sua vita, che era stato un segno. Invece Evelyn era stata un segno per Shannon. Era lui che da essere un donnaiolo, da non volere relazioni serie con le donne, era improvvisamente diventato dolce, romantico, protettivo con una donna che non conosceva neanche fino in fondo. E questo può significare solo una cosa.
Evelyn, che intanto si era accoccolata accanto a Shannon, non fece molto caso all’uscita di scena di Jared. Si limitò a guardare la porta per un attimo, ritornando poi ad incastrare i suoi occhi in quelli del maggiore. Rimasero in quella posizione a lungo, desiderosi di recuperare quelle due settimane passate lontani l’uno dall’altra. Evelyn sapeva ciò che aveva detto a Shannon quindici giorni prima, ma ora non aveva importanza. L’unica cosa a cui riusciva a pensare, senza trattenere la sua grande felicità, era che finalmente lui era sveglio, aveva vinto contro quelle maledette macchine, ed era lì accanto a lei che le accarezzava i capelli. Sentì delle fitte improvvise all’altezza dello stomaco, fitte piacevoli. Saranno queste le famose farfalle nello stomaco? Pensò. A lei sembravano più grandi delle farfalle, in realtà. Il cuore le martellava nel petto, al contatto con la bocca di Shannon, che ogni tanto la baciava piano, ancora debole. Un miscuglio di sensazioni che non riusciva a controllare, ma che le piacevano dopo tutto; Si rese conto dopo tanto tempo che erano sensazioni che aveva provato una sola volta nella sua vita e dalle quali era scappata per paura di rimanerne ferita. Ora però l’idea di scappare non la attraversava neanche per idea. Sarebbe rimasta così per sempre, al sicuro, tra le braccia possenti di Shannon che nonostante non fosse in condizioni fisiche perfette, sapeva darle quella sensazione di protezione che le aveva sempre fatto provare. Evelyn capì che era lì che voleva rimanere, era lì che si sentiva a casa.
Shannon. Quel nome le rimbombava nel cervello. Shannon. Il nome che portava nel cuore.
Lentamente, quasi ad imprimerglielo bene negli occhi, nella testa e nel cuore, pronunciò con le labbra quelle parole che non era mai riuscita a dire a nessuno: “Ti amo.

 

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Capitolo 11
*** There's no comfort in the truth, pain is all you find. ***


Eccoci all'undicesimo. Scusate se vi ho fatto aspettare un po' di più, ma non riuscivo proprio a scrivere qualcosa di decente. Questo è un capitolo molto dialogato, ed è anche scritto un po' alla buona, almeno così mi sembra. Spero vi piaccia lo stesso. Il titolo è una frase della canzone Careless Whisper di George Michael (<3) mentre all'interno del capitolo trovate una canzone di Michael Jackson, Speechless, che mi sembrava perfetta per descrivere quello che prova Shannon. Però non so ancora se lasciarla lì o toglierla, fatemi sapere. Ora vi lascio alla lettura. A presto :*  




  There's no comfort in the truth, pain is all you find.

Si sbaglia sempre. Si sbaglia per rabbia, per amore, per gelosia. Si sbaglia per imparare. Imparare a non ripetere mai certi sbagli. Si sbaglia per poter chiedere scusa, per poter ammettere di aver sbagliato. Si sbaglia per crescere e per maturare. Si sbaglia perché non si è perfetti. 

Bob Marley.
 

***

 
I giorni dopo il risveglio di Shannon passarono nella serenità assoluta. Lui, che ancora non poteva muoversi con grande agilità, riceveva visite da Jared, Tomo e Vicki ogni giorno. Evelyn si era trasferita a casa sua a tempo indeterminato, finché lui non fosse stato completamente autonomo.
Pranzavano e cenavano tutti insieme, mangiando le pietanze cucinate da Jared ed Evelyn che facevano a gara scherzosamente, mentre Tomo li giudicava e assegnava loro i voti. Tra i due si era instaurata una splendida amicizia, non c’era stato neanche bisogno di mettere in chiaro le cose perché Jared aveva capito e senza esitare si era fatto da parte.
Shannon si sentiva bene - nonostante la debolezza e qualche ferita dovuta alla caduta – e sorrideva divertito osservando i battibecchi tra suo fratello e la sua fidanzata. Quanto suonava strano quel nome.. aveva mai chiamato qualcuno così? No, si rispose. Ma aveva imparato a farlo dopo la sua riposta al ti amo che lei aveva pronunciato in ospedale. Ti amo anch’io, le aveva detto, senza neanche pensarci. Non l’aveva mai detto prima di allora, non si era mai innamorato prima di incontrare Evelyn. Sembrava tutto così irreale, così incredibile.. si sentiva l’uomo più felice sulla faccia della terra, quando era con lei. Amava ogni singolo dettaglio in quella ragazza; amava i suoi occhi verdi e le sue ciglia lunghe; amava quelle labbra piene e ultimamente sempre sorridenti. Amava il modo in cui si scostava i capelli dietro le spalle e quando li attorcigliava intorno alle dita; amava quando mentre parlava si tormentava le mani o le muoveva freneticamente; amava quando improvvisamente gli buttava le braccia al collo e lo baciava dimostrandogli tutto l’amore che provava. Amava persino quando faceva finta di offendersi  se lui non voleva fare qualcosa che lei gli aveva chiesto. Con lei le sue emozioni erano triplicate, tanto che non riusciva a dare un nome a quello che sentiva. Sapeva però che era la sensazione più bella che avesse mai provato.
 
Your love is magical, that's how I feel
But I have not the words here to explain
Gone is the grace for expressions of passion
But there are worlds and worlds of ways to explain
To tell you how I feel
 
But I am speechless, speechless
That's how you make me feel
Though I'm with you I am far away and nothing is for real
When I'm with you I am lost for words, I don't know what to say
My head's spinning like a carousel, so silently I pray
 
Your love is magical, that's how I feel
But in your presence I am lost for words
Words like, "I love you."
 
 
Era passata una settimana da quella sera in ospedale. Shannon, Jared ed Evelyn erano rimasti in casa dopo che Tomo e Vicki si erano congedati dopo pranzo. Stavano chiacchierando allegramente, Jared prendeva in giro il fratello sulla lunga barba che si era fatto crescere, chiamandolo barbone.
“Da quando è tornato dall’ospedale ha deciso di lasciare la barba così lunga e non c’è verso di fargli cambiare idea!” Disse Evelyn.
“Sarà stata la botta in testa.” Aggiunse Jared, ridendo.
Shannon sorrise, ma un velo di tristezza gli attraversò il viso. La verità era che non parlava mai dell’incidente, né dei giorni passati in ospedale, non ce n’era stata l’occasione. I due si accorsero dell’espressione sul suo volto e smisero di ridere.
“Qualcosa non va, Shan?” Chiese Jared.
“No è che.. mi sono reso conto che non abbiamo mai parlato dell’incidente.”
“Credevo non ti facesse piacere parlarne.” Spiegò Evelyn.
“Non l’ho mai detto.”
“Se vuoi ne parliamo, allora.”
“Io..  ricordo solo che andavo veloce e quando ho visto la curva non sono riuscito a sterzare bene, così sono scivolato su un fianco assieme alla moto, poi solo buio.” Si grattò la nuca.
“È andata così. Ti ha trovato un signore che arrivava dalla corsia opposta. Stava quasi per investirti, ma ha fermato la macchina in tempo e ha chiamato l’ambulanza. È rimasto con te ed è andato via appena è arrivato Tomo.”
“E.. dell’ospedale.. non ricordo granché. Solo che c’è qualcosa..” Iniziò a dire, incerto.
“Cosa?” Lo spronò Jared.
“Non capisco se è un sogno.. o è successo davvero, ma.. ricordo di voi due, prima Evelyn e poi tu, che mi parlate di qualcosa, mi raccontate delle cose..” Si sforzò di ricordare, di mettere insieme le voci ovattate che gli sembrava di sentire nella sua testa, mentre Evelyn e Jared si guardavano senza capire.
“Mi raccontate di un incontro.. un incontro tra voi due.. e poi non sono sicuro, ma ricordo di un bacio.. è tutto confuso, credo sia stato un sogno.” Disse, poco convinto. Questa volta i due si guardarono con sguardo interrogatorio. Entrambi non sapevano che l’altro aveva parlato delle stesse cose a Shannon. Adesso però erano sicuri che lui avesse sentito le loro parole. Non sapevano però se dirgli che erano vere o erano un sogno, come lui credeva. Confessare avrebbe significato ammettere una cosa che ormai non aveva più importanza, ma che avrebbe compromesso la serenità di tutti.  Jared però, fintamente concentrato sui suoi bracciali che rigirava tra le dita, parlò per entrambi.
“Shan.. c’è una cosa che devi sapere.” Iniziò.
“Cosa?”
“Vedi, quello che credi di aver sognato.. è successo davvero. Io ed Evelyn ti abbiamo raccontato tutto quello che volevi sapere qualche tempo fa, quello che ti abbiamo tenuto nascosto. E anche il resto..”
“Il resto?” Shannon lo guardò aggrottando la fronte.
“Sì, quello che è successo il giorno in cui hai avuto l’incidente.”
“Il.. bacio?” esitò. “C’è stato davvero?” Chiese, con l’intonazione di chi non vuole sentire una risposta affermativa.
Jared annuì lentamente, seguito da Evelyn. Lo sguardo dispiaciuto nei loro occhi dimostrava tutto il pentimento che provavano, ma a Shannon non importava. Sentì crescere dentro di se una rabbia incontrollata.
“Quindi mi state dicendo che dopo avermi mentito e aver agito alle mie spalle, vi siete baciati?” Domanda retorica, non era il caso di rispondere. Shannon si alzò di scatto dal divano, iniziando a camminare avanti e indietro davanti a loro, che non riuscivano neanche a guardarlo in faccia. Sembravano due bambini colti a fare cattiverie dalla madre arrabbiata.
“Io.. io non ci posso credere! Come avete potuto farmi una cosa del genere?” Shannon alzò la voce, gridando contro i due.
“Shan.. non è stato niente di import…” cominciò a dire Jared.
“No. Non parlare, ti prego.” Lo interruppe. “TU. Tu sei mio fratello! MIO FRATELLO! E hai il coraggio di stare qui, davanti a me, dopo avermi tradito in questo modo? Con tutte le donne che puoi avere, Jared. Ti basta schioccare le dita e te ne arrivano a migliaia. Cos’hai che non va? Ti da fastidio vedermi felice? Ti disturba che io possa trovare una persona da amare e che mi ami? Cosa cazzo hai nella testa? Fare una cosa del genere a tuo fratello. Sei una merda.” Disse tutto d’un fiato, sputandogli in faccia tutta la rabbia.
“Shan, calmati.” Sussurrò Evelyn. Shannon si voltò bruscamente verso di lei, fulminandola con gli occhi.
“Calmarmi? Calmarmi? Dovrei prendere entrambi e sbattervi a calci fuori da questa casa ma non lo faccio perché dovete rendervi conto di che persone orribili siete. Tu, che hai il coraggio di dirmi che mi ami dopo aver baciato mio fratello due settimane prima! Mi hai mentito, mi hai tenuto nascosto tutto. Con che coraggio mi sei stata vicino, sapendo cosa avevi fatto?” Shannon la guardò con disprezzo.
“Shan, ma è stato un bacio innocuo!”
“Innocuo, eh? E perché l’avete fatto allora?”
“è stata colpa mia Shannon. Sono stato io a baciarla. Lei mi stava dicendo che non riusciva a capire cosa provava per me e per te, così l’ho baciata.” Shannon scoppiò in una fragorosa risata.
“E così baciarla avrebbe risolto tutti i suoi dubbi? Ma ti ascolti? Non ti rendi conto di quanto è ridicolo?”
“Lo so, è ridicolo. Ma non dare la colpa a lei.”
“Oh, ma che gentiluomo, davvero! Perché non hai dimostrato di esserlo anche un po’ di tempo fa, lasciando stare la MIA ragazza?”
“Shannon, credi che io sia contento di quello che ho fatto? Secondo te perché sono venuto a dirtelo? Mi sentivo e mi sento uno schifo, non avrei mai dovuto farlo. Ma quella sera, in ospedale, vi ho visti vicini e ho capito che voi siete perfetti insieme e io non sono mai stato innamorato di lei. Credevo di sì, ma ho capito che sei tu che la ami.”
“Non ne sarei poi così sicuro, in questo momento.”
“E invece sì. Altrimenti non saresti qui ad arrabbiarti. Tu la ami, Shannon, anche se ora sei deluso e non vuoi ammetterlo.”
“Perché non te ne sei reso conto prima, eh? Perché non l’hai lasciata stare, perché?”
“Perché credevo di amarla anch’io.”
“Solo perché l’hai incontrata prima non significa che è di tua proprietà, lo capisci? Perché devi sempre rovinare tutto? Per la prima volta in vita mia, io ero felice. Avevo trovato qualcuno in grado di farmi stare bene. Per la prima volta non cercavo solo sesso da una donna!” Evelyn li osservava ammutolita, nella stanza sembravano esserci solo loro; litigavano e parlavano di lei come se non ci fosse.
“Io non volevo farti del male. Come devo dirtelo?”
“Ma l’hai fatto. Mi hai ferito, come non hai mai fatto. E anche tu, Evelyn, non importa che sia stato lui a baciarti. L’hai lasciato fare, non l’hai fermato, non hai pensato a me, a noi.” Shannon ora aveva la voce disperata, sembrava sul punto di piangere.
“Lo so Shannon. E credimi, darei qualunque cosa pur di tornare indietro e non fare quello che ho fatto, ma ero confusa, non capivo più quello che provavo.”
“Se avevi dubbi perché non ne hai parlato anche a me? Perché non ne abbiamo parlato tutti e tre, insieme, senza sotterfugi, senza bugie? La verità è che in quel momento sapevate tutti e due che era sbagliato e avete continuato a mettermi all’oscuro di tutto. Pensavate che non l’avrei mai scoperto? Credete sia così stupido?”
“No, Shannon. Non volevamo tenerti all’oscuro, per questo siamo venuti a dirtelo.”
“Sì, quando non sapevate neanche se riuscivo a sentirvi o no!”
“Ci dispiace, davvero. Ma ora è passato, io amo te, Shannon. Ho sempre amato te.”
“E ci voleva il bacio di Jared per fartelo capire. Cavolo, fratello, ti ringrazio!” Disse sarcastico.
“Shan, ascolta. È stato un grandissimo sbaglio e non so più come chiederti scusa. Ma non sarei qui con te se non ti amassi.”
“Comincio a pensare che tu sia rimasta solo per pietà, Evelyn. Non avresti mai avuto il coraggio di lasciarmi dopo l’incidente, perciò stai solo aspettando che io mi riprenda del tutto, così potrai andartene.” Evelyn lo sguardò sbalordita.
“Sei impazzito? Credi davvero che io possa farti una cosa del genere? Non lo farei mai. Sono qui perché sono innamorata di te, non per pietà.”
“Mi dispiace, ma non riesco a crederti in questo momento.”
“E perché secondo te ti avrei detto che ti amo, in ospedale? Perché avrei dovuto dirtelo senza sentirlo davvero? È la prima volta che lo dico, lo sai questo? Non l’ho mai detto a nessuno.”
“Neanch’io l’avevo mai detto a nessuno. Ma non sapevo cosa avevi fatto, Evelyn.” Si voltò verso Jared. “Cosa avevate fatto.”  Si corresse.
“Lo vuoi capire che non è stato importante? Non ha significato niente. Quante volte hai baciato una ragazza senza che avesse importanza per te?” Evelyn ora aveva il viso rigato dalle lacrime. Rischiava di perderlo, e non aveva intenzione di lasciarlo andare.
“Hai ragione, ne ho baciate tante. Ma non ho mai baciato la ragazza di mio fratello, né tantomeno ho baciato una ragazza che stava con un'altra persona.” Disse, guardando dritto negli occhi di Jared, quasi a rimproverarlo. Così, lui intervenne.
“Prenditela con me, Shan. Lei ti ama, non lo vedi? Dio, lo sappiamo entrambi quando vi amate a vicenda. Non puoi rovinare tutto per questo.”
“Ci hai già pensato tu, a rovinare le cose.” Disse secco.
“No, è stata colpa di entrambi. Jared, ti ringrazio perché stai cercando di difendermi, ma la verità è che abbiamo sbagliato tutti e due, abbiamo fatto l’errore più grande che potessimo mai fare. Abbiamo mentito a lui, abbiamo mentito anche a noi stessi, perché ci siamo lasciati andare senza neanche pensare che non era quello che volevamo veramente.”
“Si, ma Shannon deve sapere cosa mi hai detto la sera dell’incidente.” Disse, poi guardò suo fratello e continuò. “Mi ha detto che era stato uno sbaglio e che lei si era pentita, mi ha detto che tra noi non ci sarebbe dovuto essere più niente e io ero d’accordo.”
“Beh, facile pentirsi di una cosa subito dopo averla fatta. E poi è stato il senso di colpa a farvi pentire, perché io ero in coma.”
“Devo forse raccontarti quanto io sia stata vicino a te, tutti i giorni, tutte le notti, aspettando che ti svegliassi? Vuoi davvero sapere quanto ho pianto vedendoti sempre steso in quel letto, senza alcun segno? Tu non hai idea, Shannon, di quanto io abbia sofferto. Volevo solo vederti aprire gli occhi, sorridere e saltare giù dal letto per abbracciarmi e per rivedere tuo fratello, i tuoi amici.”
“Lo so, so che hai sofferto e sei stata male. Ma questo non cambia le cose.” Shannon si passò le dita sulle tempie.
“Basta così. Non ne voglio più sapere. Per favore, lasciatemi solo.” Disse, esasperato.
Jared lo guardò dispiaciuto, Evelyn supplicante. Non voleva arrendersi così, ma che altro poteva dire? Ormai lui non voleva sentire più niente. Era deciso, irremovibile.
“Shan, ti prego.. io..”
“Evelyn, credo che tu debba prendere le tue cose e tornare a casa tua.” Evelyn, ormai rassegnata, con gli occhi pieni di lacrime, si avviò a passo lento verso la camera da letto, dove si trovava la sua valigia. Mentre Shannon e Jared si guardavano a vicenda, lei ripose tutto ciò che aveva portato da casa sua all’interno della valigia, singhiozzando. Quando ormai nessuna traccia di lei rimase in quella stanza, afferrò una maglietta di Shannon, la avvicinò al naso, stampando nella sua mente quel profumo, e la mise accanto alle sue cose. Voleva tenere con sé almeno un ricordo di lui. Scese in salotto, e trovò i due fratelli nella stessa posizione in cui li aveva lasciati, poi si avviò verso la porta seguita da Jared. Prima di chiudersi la porta alle spalle, dedicò un ultimo, intenso sguardo a quell’uomo che l’aveva fatta cambiare così tanto, e che le aveva fatto capire cosa significava amare qualcuno.
“Shan, io avevo intenzione di partire e andare a Chicago dai miei.” Gli disse.
“Ottima occasione per pensare a quello che hai fatto.”
“Volevo che ci andassimo insieme. Volevo farteli conoscere.”
“Non è il caso.”
“è un addio?” Chiese quasi sussurrando.
“è un fatti un esame di coscienza, e quando tornerai vedremo.” Rispose Shannon con le braccia incrociate e lo sguardo duro. Lei annuì lentamente, e uscì di casa senza dire altro. Jared le camminava vicino, in silenzio.
“Vedrai che le cose si aggiusteranno.” Le disse arrivati vicino alle macchine.
“Non credo, Jared. Ed è tutta colpa mia.” Disse Evelyn, guardando per l’ultima volta quella casa. Aveva rovinato tutto, aveva perso la persona più importante della sua vita, e non c’era verso di aggiustare le cose. La sua vita sarebbe andata avanti, ma da quel momento in poi le sarebbe mancato lui, il suo affetto, i suoi abbracci, le sue labbra. Disse a se stessa che non avrebbe avuto nessun altro uomo dopo di lui. Perché essere sola ed essere con l’uomo sbagliato erano la stessa cosa, se non c’era Shannon. E lui aveva deciso di non esserci, di lasciarla andare, perciò niente aveva più senso.
Quando tornerò, lui mi avrà già dimenticata. Pensò. Ma non sapeva ancora quanto si sbagliava.

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Capitolo 12
*** Took our chance, crashed and burned, no we'll never ever learn. ***


Dodicesimo capitolo!! Questo ci è voluto un po' per scriverlo, ero troppo presa dal creare la copertina della storia! Ebbene sì, avete capito bene. Mi sono resa conto che non avete idea di come sia fatta Evelyn (cioè ve la sarete sicuramente immaginata, ma io voglio farvi vedere esattamente com'è ) e ho creato una copertina come se fosse un libro. Comunque, in questo capitolo ho dato spazio alla famiglia di Ev, lasciando totalmente fuori Shannon. (lo so, lo so, scusatemi) Ora vi lascio alla lettura, ovviamente recensite in tanti!! :*
copertina:  
  http://i46.tinypic.com/2uj1ftk.jpg




Took our chance, crashed and burned, no we’ll never ever learn.


Mentire non è mai la soluzione. Mentire è sbagliato, porta solo dolore. E io me ne accorgo solo ora.
Quanti errori, quanti rimpianti. E non si può tornare indietro. Mi perdonerà mai?

***


Erano le sei del mattino, Evelyn camminava nell’atrio dell’aeroporto, muovendosi lentamente verso il check-in. Si trascinava dietro la valigia facendola scorrere rumorosamente sul pavimento lucido. Per stare comoda durante il tragitto aveva indossato un paio di jeans e una camicia morbida color corallo, le scarpe da ginnastica bianche e una borsa capiente dello stesso colore. Era diretta verso Chicago, dai suoi, come aveva detto a Shannon qualche giorno prima. Aveva preso quella decisione una delle notti che aveva trascorso in ospedale, pensando a suo padre; aveva sentito la sua mancanza e quella di sua madre e aveva deciso di andare a trovarli. Avrebbe voluto avere Shannon accanto a sé, voleva che lui conoscesse i suoi genitori, perché non ci sarebbero state molte altre occasioni. Adesso però si ritrovava al check-in dell’aeroporto con un solo biglietto tra le mani e tutto per colpa sua.
Gli occhiali da sole le coprivano il viso segnato dalle occhiaie: da quando era andata via da casa di Shannon non era più riuscita a dormire; stare nel letto senza avere lui accanto era un dolore che non riusciva a sopportare. Un vuoto incolmabile. Aveva sbagliato ancora una volta e adesso ne pagava le conseguenze. Come ho potuto pensare che le cose sarebbero andate meglio? Si chiedeva. E diceva a se stessa che alle persone che ami non puoi mentire, non puoi nascondere loro qualcosa. Ne verranno a conoscenza, in un modo o nell’altro e non ne saranno contenti perché la sincerità è quello che vogliono. E tu devi dargliela. Non importa se quando dirai loro la verità si arrabbieranno, ti butteranno fuori di casa, ti urleranno contro.. tu devi farlo. O il senso di colpa ti distruggerà. Ma lei era stata vigliacca, ancora una volta. Aveva confessato quando lui sembrava non sentirla, aveva confessato solo per alleggerire la coscienza, per dire a se stessa: ho fatto la cosa giusta, ho detto la verità. Ma lo aveva fatto nel modo sbagliato.
Salì sull’aereo seguendo gli altri passeggeri, si sedette vicino al finestrino, seguì gli ordini delle hostess che continuavano a ripetere di spegnere i cellulari e si preparò al viaggio. Aveva sperato, stupidamente, che lui l’avrebbe raggiunta e sarebbero partiti insieme, o almeno che lui sarebbe andato a salutarla, a dirle che al suo ritorno lui avrebbe davvero continuato ad esserci. E invece così non era stato. Una lacrima silenziosa le rigò il viso rivolto verso il finestrino mentre l’aereo decollava, socchiuse gli occhi e afferrò il lettore mp3. Quando lo accese, premette play e la voce di Jared le risuonò nella testa.

No warning sign, No Alibi
We faded faster than the speed of light
Took our chance, crashed and burned
No we'll never ever learn

I fell apart, but got back up again and then
I fell apart but got back up again

We both could see, crystal clear
That the inevitable end was near
Made our choice, trial by fire
To battle is the only way we feel alive

And I fell apart, but got back up again and then
I fell apart but got back up again and then
I fell apart but got back up again

So here we are, the witching hour
The quickest tongue to divide and devour
Divide and devour

If I could end the quest for fire
For truth, for love, for my desire, my desire...

And I fell apart but got back up again

3 ore dopo, l’aereo atterrò. Nel frattempo si era addormentata perciò se ne accorse quando la signora che era vicino a lei cominciò a scuoterla. Si alzò velocemente dal suo posto, prese i bagagli e scese, dirigendosi verso l’uscita. Una volta fuori, si accese una sigaretta mentre aspettava il taxi. Si mise ad osservare la gente che entrava e usciva dall’aeroporto.. c’era gente triste, che camminava a passo lento, sul punto di tornare indietro e rinunciare. C’era persino chi piangeva. Poi c’era chi si abbracciava, chi rideva animatamente.. e poi c’erano quelli come lei. Soli, che non lasciavano trapelare alcuna emozione e sfuggivano agli occhi degli altri. Quando il taxi arrivò, spense la sigaretta ed entrò, indicando all’autista l’indirizzo della sua vecchia casa.
Guardando fuori dal finestrino, si accorse che Chicago era esattamente come se la ricordava, non era cambiata di una virgola. La gente camminava freneticamente, chi andava a lavoro, chi andava a scuola, tutti correvano di qua e di là. Lei invece era ferma, in quel taxi, ad osservarli. Ci era abituata a tutto quel caos, infondo anche Los Angeles non era da meno, solo che Chicago non la sentiva sua. Anche se ci era cresciuta, anche se la sua infanzia e la sua adolescenza le aveva trascorse in quella città, Los Angeles rimaneva sempre la sua preferita. Forse perché li era riuscita a realizzare i suoi sogni, lì era riuscita a diventare una giornalista, lì aveva incontrato Jared, Shannon e Tomo. Ce l’aveva fatta, ma ora sentiva di aver perso tutto. Tranne il suo lavoro, anche se in quel periodo stava in redazione poche ore al giorno, dato che non aveva molto da fare.
Tuttavia, ancora non riusciva a credere di non avere Shannon vicino a lei. Sapeva che lui l’amava, così come lei amava lui e sperava che prima o poi lui l’avrebbe perdonata, perché non era disposta a perderlo. Già una volta aveva rischiato di mandare tutto in fumo, perciò questa volta non l’avrebbe lasciato andare. Anche se sapeva che probabilmente, lui stava già cercando di dimenticarla con un’altra. È facile abbandonarsi quando si è feriti. È facile cercare di affondare tutto il dolore tra le lenzuola, ma non sempre funziona. E neanche l’alcool, o una sigaretta.. i sentimenti non bruciano assieme ai polmoni.
Arrivò a casa dei suoi, pagò il tassista che l’aiutò a scaricare i bagagli e si avvicinò all’entrata, sospirando. Suonò il campanello più volte, come faceva quando era più piccola, perché non sempre sentivano da lì dentro. Dopo qualche secondo, la porta si aprì, rivelando sua madre.
“Evelyn! Che ci fai qui?” le chiese sorpresa.
“Sono venuta a trovarvi, mamma! Non sei felice?”
“Ma certo che sono felice, vieni, entra! Tuo padre sarà contento di vederti!” Così dicendo si spostò per farla entrare e l’aiuto a portare le valigie in salotto. Sorrideva, lasciando però trasparire la sorpresa. Non era cambiata molto, aveva i capelli lunghi e castani, con qualche filo grigio, il viso segnato da poche rughe e gli occhi stanchi. Prendersi cura di suo marito non era facile e lei aveva sacrificato la sua vita solo per stargli vicino. Per questo aveva lo sguardo triste.
Evelyn la osservò, rendendosi conto di quanto era forte. Non lo dava a vedere, ma soffriva per la situazione in cui si trovava, con un marito che ormai sembrava non esserci e una vita passata in quella casa, senza nessun’altro.
Quando entrò in salotto suo padre era seduto sulla sua poltrona, fissando la finestra. Anche lui non era cambiato molto, i capelli completamente grigi erano corti, come la barba, sicuramente tagliati entrambi da sua madre. Lui aveva più rughe, che lo facevano sembrare più vecchio dei suoi sessant’anni. Lui e Lianne avevano pochi anni di differenza, lei ne aveva cinquantasette. Si erano sposati presto, un anno dopo il loro matrimonio era nato il loro primo figlio Duncan e tre anni dopo di lui, Evelyn. Suo padre Henry, prima dell’incidente, era uno scrittore. I suoi libri non avevano mai avuto molto successo però, e aveva smesso di scrivere. Sua madre invece era una pittrice, passione che aveva trasmesso anche a sua figlia. Dai suoi quadri aveva ricavato parecchi soldi, una parte dei quali bastavano a lei e suo marito per vivere, mentre il resto lo teneva da parte per i suoi figli.
“Henry, tesoro, guarda chi è venuto a trovarti.” Lianne si rivolse a suo marito, che non smise di guardare dritto davanti a sé.
“Papà, sono io.. Evelyn. Come stai?” Lui non disse una parola, si voltò lentamente verso di lei, le sorrise e ritornò a fissare la finestra.
“Nessun miglioramento, eh mamma?”
“No, Ev, nessuno. È sempre la stessa storia.” Entrambe sospirarono.
“Però non ha mai sorriso a nessuno, tranne a Duncan.” Ammise poi Lianne.
“A proposito di Duncan, dov’è ora?”
“Oh ha avuto la tua stessa idea, è venuto da Los Angeles a trovarci. Ora è uscito, ma tornerà presto. Non ne sapevi niente?”
“No, mamma, io e Duncan non parliamo da mesi.” Ripensò all’ultima volta che si erano visti, coincideva con il giorno in cui aveva incontrato Jared. Quella volta avevano litigato e non si erano più sentiti. Suo fratello viveva nella sua stessa città, ma raramente lo si vedeva in giro. Lui era quello che era riuscito più di tutti a farsi una vita: era il manager di un’azienda automobilistica e questo significava soldi, tante case e mai una ragazza fissa. Stranamente, le ricordava qualcuno.
Evelyn e Candice si sedettero in cucina, lasciando Henry al suo posto. Parlarono di quello che era successo per tutto quel tempo che non si erano viste, di come era andata avanti la vita della ragazza.
“Sono davvero felice per te, Ev. Hai realizzato i tuoi sogni.” Le disse sorridente Lianne.
“Già, ho superato di gran lunga le mie aspettative.” Sorrise, con un velo di tristezza sul viso.
“Che vuoi dire?” Evelyn non aveva ancora parlato a sua madre di Shannon e Jared. Temeva che non l’avrebbe creduta.
“Beh, non ci crederesti mai, ma.. ti ricordi la band per cui mi sgridavi tutti i giorni?” Sorrisero entrambe pensando alle grida di Lianne che le urlava di abbassare il volume.
“Certo che me la ricordo.. i 30 Seconds.. qualcosa?”
“30 Seconds to Mars, si chiamano così.”
“Sì, come vuoi.” Disse Lianne facendo un gesto con la mano.
“Beh, li ho conosciuti.” Fece una pausa, facendo attenzione alla reazione di sua madre.
“Sei andata ad un loro concerto?” Chiese lei, tranquilla. L’aveva sentita tante volte dire che voleva andare ad un loro concerto e incontrarli, fare una foto con loro.
“No, no. Li ho incontrati per caso, un giorno mi sono scontrata con Jared..” E iniziò il suo racconto. Fece come aveva fatto in ospedale con Shannon: le raccontò tutto nei minimi particolari, per far capire a sua madre che non stava mentendo. Quando finì, ormai con la gola secca, bevve un sorso d’acqua, osservando sua madre.
“Mi stai dicendo che hai una relazione con il batterista della band?” Chiese Lianne sbalordita.
“Beh, su questo non posso darti una risposta.. è arrabbiato con me per quello che ho fatto.”
“Tesoro, ne ha tutte le ragioni.”
“Lo so. Ma io sono innamorata di lui, mamma. E lui lo sa, sa quanto lo amo. Gli ho chiesto scusa.”
“A volte chiedere scusa non basta. È chiaro che ora non riesce a fidarsi di te. Quando scopri che la persona che ami ti ha mentito, diventa difficile. Ma se ti ama come ti ha detto, presto tornerà da te. Perché l’amore è più forte di qualsiasi cosa. Se non vuole perderti, non ti perderà. Lasciagli il tempo di pensare, di mettere insieme le idee. Vedrai che le cose si risolveranno.”
“Io ho paura che non sarà così. Ho paura di perderlo per sempre.”
“Non succederà, tesoro. Non preoccuparti.” Lianne fece segno a sua figlia di avvicinarsi e la strinse a sé, come aveva fatto poche volte. Anni prima non andavano molto d’accordo, litigavano spesso. Evelyn non si era mai confidata così con sua madre, ma questa volta aveva sentito di poterlo fare, dentro di lei aveva detto: Diglielo, sfogati, puoi farlo. Lei ti ascolterà. Se non lei, chi altro? E aveva fatto bene. Ora si sentiva capita, finalmente ne aveva parlato con qualcuno che non fosse Jared o Shannon. Tanti anni passati a Los Angeles, senza farsi degli amici. Non ne aveva mai avuto il tempo, troppo presa dal realizzarsi nel suo lavoro.
“Ti voglio bene, mamma.” Le disse, sincera. Gliel’aveva detto pochissime volte.
“Anch’io, Ev.” Le disse Lianne, accarezzandole i capelli.
Sciolto l’abbraccio, sua madre le offrì un pezzo di torta - quella alle mele che le piaceva tanto - poi rimasero ancora a parlare del più e del meno, aspettando che tornasse Duncan. Evelyn disse a sua madre che sarebbe rimasta per tre giorni, non di più, perché doveva ritornare a lavoro e sua madre a malincuore accettò. Avrebbe voluto che rimanesse almeno una settimana: non vedeva sua figlia da due anni e tre giorni erano davvero pochi, ma Evelyn le promise che le avrebbe fatto visita più spesso, da quel momento in poi.
“Se le cose si sistemeranno davvero, mamma, ti farò conoscere Shannon.”
“Ne sarei davvero felice.” Si sorrisero a vicenda.
“Vado a mettere le valigie al piano di sopra.” Disse poi Evelyn, iniziando a salire le scale.
“Oh, Ev.” Sua madre la chiamò e lei si fermò sui gradini.
“Sì?”
“Mi dispiace se ti ho sempre criticata, solo ora mi rendo conto di quanto io ti abbia fatto soffrire.” Parlò guardandola negli occhi, lo sguardo davvero dispiaciuto. Dava la colpa a se stessa per il rapporto conflittuale che avevano avuto fino ad allora.
“Non importa, è passato.” Le sorrise rassicurante, e proseguì su per le scale.
Almeno con sua madre, le cose si erano risolte nel migliore dei modi.

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Capitolo 13
*** You know how the time flies, only yesterday was the time of our lives. ***


Eccomi qui, scusate il ritardo. Ho avuto dei problemi con Word, perciò non ho potuto finire il capitolo in fretta. Non vi aspettate granchè, è un'altro capitolo noioso e cortissimo. Al prossimo le cose cambieranno, ve lo prometto. Qui vi metto l'immagine del vestito che Evelyn indossa quando esce con suo fratello: http://3.bp.blogspot.com/-LzRtcvYfSto/TuzPRFeSZKI/AAAAAAAAAk4/XwEziwZsHys/s1600/abito+bianco+pizzo+bershka.jpg

Oh, e Duncan può essere rappresentato perfettamente da Nick Roux (anche se lui è più giovane):
Vi lascio al capitolo, Recensite! :*

 

 

 


You know how the time flies, only yesterday was the time of our lives.

 
“Se hai vissuto troppo a lungo in un sogno, la realtà ti sta stretta.”

***

Quando Evelyn scese al piano di sotto, dopo aver sistemato la valigie, suo fratello era tornato. Lei entrò in cucina e si fermò sorpresa davanti a lui  che era ancora in piedi. Lui la guardò con lo stesso sguardo stupito e la squadrò dalla testa ai piedi.
“Che ci fai tu qui?”
“Non posso venire a trovare i miei genitori?”
“Andiamo, sono due anni che non ti fai vedere. Devi sicuramente avere qualche ragione.” C’era ancora tensione tra di loro, e si percepiva nell’aria.
“Ti sbagli. Sono qui perché è passato troppo tempo.” Incrociò le braccia, mentre osservava Duncan che si sedeva. Aveva un completo beige che gli calzava a pennello. Sotto la giacca portava una camicia azzurra che risaltava il suo fisico muscoloso. Era davvero un bel ragazzo. Il tipico playboy. I capelli corti e biondi, gli occhi azzurri e neanche un filo di barba. Nella stanza si era diffuso il profumo del suo dopobarba.
“Eh, dimmi, come te la stai cavando a Los Angeles? Non parliamo da mesi ormai.”
“Già, ma ti ricordo che è colpa tua. Quella volta mi dicesti che cercare di cambiare vita era una follia, che non ce l’avrei mai fatta da sola. Beh, ti informo che ci sono riuscita, da sola, anche senza il tuo appoggio.” Disse, con un espressione orgogliosa.
“Beh, sono contento per te, allora. Hai superato le mie aspettative, sapevo che lo avresti fatto. Sei troppo testarda per mollare solo perché gli altri ti scoraggiano.”
“Perché l’hai fatto allora? Perché non mi hai incoraggiato?”
“Perché allo stesso tempo mi sembrava una follia.” Duncan finì lì il discorso. Evelyn non replicò, non ce n’era bisogno ormai. In un certo senso era contenta di quello che aveva detto il fratello, in realtà lui non l’aveva del tutto scoraggiata, perché sapeva che lei ce l’avrebbe fatta, o almeno non avrebbe mollato subito.
Passarono un’ora a parlare del lavoro di entrambi. Evelyn raccontò a Duncan quanto la gratificasse lavorare finalmente come una vera giornalista e lui le spiegò quanto il suo lavoro lo rendesse orgoglioso. Dopotutto, i due avevano tanto in comune. Erano andati sempre avanti, nonostante le difficoltà e tutto quello che li aveva ostacolati. E alla fine, nella soleggiata Los Angeles, entrambi erano diventati ciò che avevano sempre sognato di essere.
“Dun, e con le donne? Sei sempre il solito playboy?”
“Purtroppo, o per fortuna.. sì. Non l’ho trovata, Ev, non ancora.”
“La troverai, prima o poi. Ma nel frattempo però non dovresti usare le altre come oggetti.”
“Lo so, lo so. È che mi sento solo.”
“Andare a letto cono sconosciute ti fa sentire ancora più solo, credimi.”
“Già. E tu, sorellina?”
“Beh, diciamo che la mia è una situazione complicata.” Iniziò a dire, incerta. Suo fratello la guardò come a chiedere spiegazioni. “Ho una.. relazione, se possiamo ancora chiamarla così, con… Shannon Leto.” Si fermò, aspettando la reazione di suo fratello.
“Sh… Shannon Leto? Il batterista della tua band preferita? QUEL Shannon Leto?”
“Sì, Duncan, quel Shannon Leto.” Disse, ridendo della faccia sconvolta del ragazzo.
“Ma… come vi siete conosciuti?”
“Per caso, l’ho incontrato mentre ero in pausa pranzo. È stato lui ad avvicinarsi.”
E così Evelyn iniziò ancora una volta l’interminabile racconto di quegli ultimi mesi. L’aveva imparato a memoria a furia di raccontarlo, o di ripassarlo mentalmente ogni qualvolta le sembrava di essere ancora in un sogno. Parlare di Shannon non la mise di buon umore. Le fece tornare in mente che lui non l’aveva chiamata. Si convinse che non aveva intenzione di risolvere le cose, evidentemente per lui era davvero finita lì. E di certo, questo rendeva la ancora più agitata. Si sentiva tremendamente in colpa e aveva evitato di mandargli messaggi o chiamate, perché non sapeva più cosa dirgli per fargli cambiare idea, per cambiare tutto. Non poteva tornare indietro. Pensò che quella era la punizione di Shannon: sentire la sua mancanza. Una punizione tremenda, che la faceva stare male al punto da non riuscire a smettere di piangere, mentre ripeteva l’ultimo discorso che c’era stato tra di loro, a suo fratello.
“Ev, mi dispiace.” Disse Duncan, passandogli una mano sul braccio, per poi abbracciarla. “Se non tornate insieme ci parlo io con lui, sta’ tranquilla.” A Evelyn scappò una risata, suo fratello non era mai stato molto protettivo. Però lei sentì dentro di sé che la sua famiglia stava rivelandosi ben migliore di quello che aveva sempre creduto.
“Andiamo, non piangere. Ti bagni tutta!” Cercò di tirarle su il morale, e in qualche modo ci riuscì. Evelyn si asciugò gli occhi con il braccio, tirando su col naso e accennando un sorriso. Poi si diresse verso il bagno per sciacquarsi.
Intanto, suo fratello parlava con sua madre.
“Assurdo, non trovi?” Le diceva scuotendo la testa. “Una rock star, un batterista famoso! Ma ti rendi conto?” Sorrideva incredulo.
“Può anche non essere una buona cosa, Dun. Potrebbe farla soffrire, potrebbe tradirla, cosa ne sai di cosa potrebbe fare? Secondo te a quelli come lui cambia qualcosa? Una vale l’altra.” Evelyn intanto aveva smesso da un pezzo di lavarsi, ma rimaneva contro lo stipite della porta del bagno, zitta, ad ascoltare.
“Tu credi che non tornerà più da lei?”
“Io spero che lo faccia, ma non ne ho la certezza. Non lo conosco, non so che tipo è, so solo che potrebbe averla già dimenticata e non voglio che succeda. È distrutta, l’hai vista? Non riesce a nominarlo che scoppia in lacrime. Se lui dovesse aver già preso un’altra strada, lei ne morirebbe. Stava vivendo un sogno, capisci? Chi mai potrebbe immaginarsi che una cosa del genere possa davvero capitare? Sono cose che si leggono nei libri, si vedono nei film. Cose così belle non succedono nella vita reale. E a lei è capitato. Hai idea di che cosa significherebbe tornare alla realtà? Tornare con i piedi per terra, avere a che fare con la normalità? Non lo sopporterebbe, non si riprenderebbe più. Quando ti sei abituata a vivere in un sogno meraviglioso come quello, la normalità è un inferno.” Disse sua madre, posando lo strofinaccio con il quale stava asciugando il ripiano della cucina.
Duncan annuì e la conversazione terminò, così Evelyn poté rientrare in cucina, senza dire niente. Sua madre e suo fratello la guardarono apprensivi, non immaginavano che aveva sentito tutto. Ora avevo uno sguardo vacuo, fissava il vuoto continuando a pensare che sua madre aveva perfettamente ragione. Se hai vissuto troppo a lungo in un sogno la realtà ti sta stretta. E lei come avrebbe fatto a trovare un altro uomo, dopo di lui? Un uomo alla sua altezza?
“Ehi, Ev, che ne dici se io e te andiamo a mangiare una pizza in quel locale che ti piace tanto?” Evelyn si riscosse e lo fissò stupita.
“Esiste ancora?”
“Ma certo che esiste ancora! Andiamo, mettiti qualcosa di carino. Ti aspetto in macchina.” Duncan le sorrise, afferrò le chiavi dal mobiletto nel corridoio e uscì ad attenderla. Lei, un po’ spaesata, sorrise a sua madre e salì in fretta le scale per indossare qualcosa di più adatto. Aprì la valigia e ne tirò fuori un abitino estivo di pizzo bianco, con le maniche a tre quarti. Era stretto in vita e le scendeva morbido sui fianchi, muovendosi delicatamente ad ogni suo movimento. Infilò le zeppe, truccò il viso e fu pronta per uscire. Suo fratello le fece strada verso la sua Aston Martin, aprendole la portiera da vero gentiluomo. Lei accennò ad un grazie con le labbra piegate in un sorriso, poi salì e si fece condurre nella pizzeria in cui aveva passato quasi tutti i weekend della sua adolescenza.
Quando entrarono, Evelyn scoprì con sua grande sorpresa che il locale non era cambiato di una virgola. I tavoli di legno erano collocati nello stesso modo, le luci rosse davano alla sala la stessa atmosfera di qualche anno prima e il proprietario e i camerieri non erano cambiati.
Si sedettero al tavolo che Evelyn soleva occupare quando era un adolescente e ordinarono due pizze e due coche, in onore dei vecchi tempi. Duncan riuscì a far distrarre sua sorella parlandole di tutto tranne che di Shannon, o di qualsiasi cosa che potesse ricondurre a lui. Passarono dal parlare della loro infanzia a pianificare il futuro. Finalmente Evelyn rideva, scherzava e il suo viso perse quel velo di malinconia che la tormentava da quando era arrivata a Chicago. Quando finirono di cenare, si fermarono a parlare con il proprietario che li riconobbe e chiese loro di mandare i suoi saluti ai loro genitori.
Uscirono dalla pizzeria che erano le undici passate e decisero di fare una passeggiata. Rivisitarono i luoghi in cui andavano a giocare da bambini, si fermarono ad osservare le stelle nel Millennium Park e infine tornarono a casa. Henri e Lianne erano già andati a letto, perciò fecero piano ed entrarono in punta di piedi salendo al piano di sopra, diretti nelle loro camere da letto. Prima di entrare nella sua, Evelyn ringraziò suo fratello della splendida serata e gli promise che da quel momento in poi avrebbero passato molto più tempo insieme.

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Capitolo 14
*** I'm not leaving unless you come with me. ***


Eccomi qui! Scusate come al solito il ritardo, ma Word mi sta dando non pochi problemi. Comunque sono riuscita a scrivere questo PENULTIMO e sottolineo PENULTIMO capitolo di questa storia infinita xD Il prossimo non so ancora se farlo come epilogo o come vero e proprio capitolo, ma vedremo. Intanto spero vi piaccia questo qui. Il titolo e la parte in corsivo sono tratte dalla canzone "Something happened on the way to heaven" del mio amato Phil Collins. Vi obbligo di ascoltarla quando avrete finito il capitolo, oppure mentre lo leggete, quando arrivate quasi alla fine. Credetemi, è perfetta. Ora vi lascio, buona lettura e grazie a chiunque recensisce :*


 


Capitolo 14 – I’m not leaving unless you come with me.

Avevamo una vita, avevamo un amore. Ma non ti rendi conto di quello che hai finché non lo perdi. Ma quello era allora. Questo è adesso. E io ti rivoglio indietro. Quante volte dovrò chiedere scusa? Come può qualcosa di bello diventare così brutto? Come può qualcosa di giusto diventare così sbagliato? Volevo solo qualcuno da amare, ma qualcosa è accaduto sulla via del paradiso.
 

***

 
Due giorni passarono in fretta a Chicago. Erano trascorsi in serenità, lasciando ad Evelyn poco tempo per pensare agli eventi poco spiacevoli che la turbavano. Lei e suo fratello avevano legato ancora di più e con sua madre non c’erano più discussioni. Tre giorni erano riusciti ad unire quella famiglia più che mai. Sebbene Henry fosse l’unico che non poteva apprezzare a pieno questa novità, sulle sue labbra sembrava ogni tanto spuntare un sorriso sincero. Evelyn aveva in quei giorni visitato, assieme a Duncan, tutti i posti in cui era solita andare da piccola e un mare di ricordi aveva affondato per un po’ quelli riguardanti Shannon. Ormai era quasi rassegnata al fatto che la sua vita sarebbe andata avanti senza il batterista, perché così aveva deciso lui. Così l’unico pensiero che la consolava alla prospettiva di una vita che non comprendesse la sua presenza era che la sua famiglia le sarebbe stata accanto in ogni caso.
Prima di salire in camera sua per vestirsi e preparare le valigie, Evelyn ricevette una telefonata. Il cuore cominciò a batterle a ritmo della melodia del cellulare e ogni pensiero razionale sembrò svanire. Cercò di ricomporsi e rispose modulando la voce in modo da non sembrare agitata.
“Pronto?” Il tentativo riuscì a metà, la voce infatti venne fuori tremante.
“Ev, sono Jared.” Rispose una voce più o meno preoccupata.
“Jared! Mi mancava sentirti! Come stai?” Chiese, più calma. Per un momento aveva creduto che fosse Shannon.
“Io bene, stiamo andando avanti con le canzoni per il prossimo album.” Il cantante abbassò di poco la voce. “Tu, Ev, come stai?” Chiese serio. Evelyn sospirò, temeva quella domanda.
“Io.. potrei stare meglio se solo.. insomma, lo sai. Però con la mia famiglia va tutto a meraviglia, almeno.” Disse, giocherellando con la cerniera della valigia riposta sul letto.
“Sono contento per te. Quando torni?”
“Oh, parto tra un’ora.”
“Fantastico, allora quando torni ci vediamo.”
“Sì, ci conto!” Disse lei, sorridendo. Le faceva piacere sentirlo, il loro rapporto di amicizia non era cambiato dopo la litigata con Shannon.
“Ev, devo scappare.” Disse, parlando in fretta. Ad Evelyn sembrò di sentire delle voci maschili che lo chiamavano. Probabilmente suo fratello e Tomo. “Allora ci vediamo stasera!” La salutò.
“Sì, a stasera!” Evelyn stava per chiudere, ma si fermò. “Jay.. lui come sta?”
Ma nessuno poté risponderle, perché Jared aveva già chiuso la chiamata. Rimase con il telefono vicino all’orecchio, lo sguardo perso nel vuoto. Mise giù l’apparecchio e si alzò dal letto, passandosi le mani tra i capelli. Stupida. Come dovrebbe stare? Sicuramente bene senza di te.
Scosse la testa per scacciare via quei pensieri e cominciò a riporre le sue cose nei bagagli. Lo fece con grande dispiacere: avrebbe voluto che i giorni di permanenza fossero di più, per rafforzare ancora quello splendido rapporto che aveva acquistato con i suoi parenti.  Poi però, mentre faceva spazio nella valigia, trovò la maglietta che aveva preso da casa di Shannon. Una fitta la colpì al cuore quando, portandola verso il volto, il profumo di lui penetrò nelle sue narici. Rimase così a lungo, ricordando che quella era la maglietta che Shannon indossava il primo giorno che si erano incontrati. Ripensò al suo sguardo intenso mentre passeggiavano sulla spiaggia e le sue labbra che si avvicinavano a lei quando erano a casa sua. Una grande nostalgia la pervase.
Questo fece sì che la partenza fosse meno dolorosa, perché il dispiacere nel lasciare la sua famiglia fu sostituito dalla voglia di rivedere lui. Promise a se stessa che non avrebbe aspettato un giorno di più, e appena arrivata a Los Angeles sarebbe corsa da lui. Aveva bisogno di parlargli, di chiarire. Di dirgli che lo amava più di chiunque altro, ma non sapeva se sarebbe bastato.
Quando arrivò il momento di partire salutò sua madre promettendole che si sarebbero riviste presto, poi salì in macchina di suo fratello e arrivarono in aeroporto in mezz’ora. Duncan la aiutò a prendere le valigie e insieme fecero il check-in, poi si sedettero e attesero il volo.
Evelyn era sovrappensiero e non aveva spiccicato parola da quando erano saliti in macchina. Lui non l’aveva disturbata perché la conosceva e sapeva che era meglio non parlarle quando era così silenziosa, altrimenti avrebbe risposto a monosillabi. Quando il silenzio divenne imbarazzante, però, cambiò idea.
“Ev, a cosa stai pensando?” Le chiese, scrutandola.
“A tante cose.” Disse lei, facendo una pausa. “è che mi dispiace lasciare Chicago, ma allo stesso tempo non vedo l’ora di ritornare a Los Angeles.”
“Per lui?” Chiese ancora Duncan, cauto.
“Non solo per lui. Ma devo ammettere che Shannon è la ragione principale.” Fece un piccolo sorriso, e Duncan la imitò.
“Sono sicuro che andrà tutto bene, Ev. Non può farsi scappare una come te.”  Cercò di rassicurarla.
“Lo spero, Dun. Ma mi sembra molto improbabile. Insomma, Shannon non è il tipo che perdona facilmente.” Abbassò lo sguardo, tormentandosi le dita, come faceva sempre.
“Beh ma se ami una persona non puoi negarle una seconda possibilità. Se sei innamorato non vorresti perderla per niente al mondo.”
“Vorrei tanto crederci, ma a volte l’amore non basta. Forse il mio sbaglio è stato troppo grande.” Rimasero in silenzio, lei ad osservare il decollo degli aerei attraverso la grande vetrata e lui a guardare sua sorella così fragile, ma allo stesso tempo così forte. Capì che se Shannon non l’avesse perdonata, lei ne avrebbe sofferto moltissimo. Quando parlava di lui le si illuminavano gli occhi, se possibile diventava ancora più bella e lui non poteva lasciarla così, senza darle la possibilità di rimediare, di aggiustare le cose. Era una storia troppo bella per finire in quel modo.
Partirono dopo una ventina di minuti. Duncan andò con lei perché doveva sistemare alcune faccende di lavoro, ma la accompagnò anche perché non voleva lasciarla sola, voleva esserle vicino, perché finora non lo era mai stato e lei ne aveva bisogno più che mai in quel momento.
Le tre ore in aereo trascorsero abbastanza in fretta, Evelyn dormì la maggior parte del tempo, mentre suo fratello cercava di capire qualcosa in più, pensando alla stanchezza che tutta quella situazione le stava creando. L’ha resa talmente felice che senza di lui non potrà mai esserlo. Una terribile verità, che avrebbe condizionato per sempre la vita di quella ragazza, se le cose fossero andate come tutti temevano.
Duncan smise di pensare a questo quando la hostess lo fece riemergere dai suoi pensieri chiedendogli se desiderava qualcosa, ma lui scosse la testa con un sorriso e lei si allontanò. Cominciò a leggere una rivista che aveva comprato in aeroporto e si concentrò sugli articoli. Una leggera turbolenza sull'aereo fece destare Evelyn, che si stropicciò gli occhi e si stiracchiò per bene, rendendosi poi conto che erano ancora in aereo. Chiese a suo fratello quanto mancava all'arrivo e lui le rispose che in un quarto d'ora l'aereo sarebbe atterrato.
“Non dormivo da quando sono arrivata a Chicago.” Disse lei.
“Davvero?” Duncan distolse l’attenzione dalla rivista.
“Già… proprio non ci riesco. Se dormo sogno quella sera e mi sveglio con il cuore che sembra scoppiare.” Spiegò lei. “A volte vorrei che fosse davvero solo un sogno. Vorrei che non fosse mai accaduto. E invece mi sveglio ed è tutto vero, la sua assenza è reale. È la parte più terribile.”
Duncan la guardò apprensivo, circondando la sua spalla con un braccio e avvicinandola a sé.
“Finirà. Tutto questo sarà solo un brutto ricordo.” Le sussurrò all’orecchio. “E se non dovesse essere così, imparerai a cancellarlo. Sarà difficile, ma puoi farcela.” Le fece l’occhiolino e lei sorrise, affondando il viso nella sua camicia.
Esattamente un quarto d’ora dopo, come Duncan aveva detto, l’areo atterrò e i due scesero lentamente. Camminarono in silenzio verso le porte scorrevoli che li avrebbero introdotti nell’aeroporto ed entrambi avevano troppi pensieri in testa per poterli esprimere ad alta voce. Duncan chiese a sua sorella di aspettarlo, dicendole che andava in bagno e lei annuì. Rimase in piedi accanto alle valigie ad aspettare e intanto pensava che avrebbe dovuto chiamare Jared per avvisarlo che quella sera era disponibile. Fece per prendere il cellulare, ma una voce distolse la sua attenzione e smise di frugare nella borsa.
“Non c’è bisogno di chiamarmi.” Alzò lo sguardo e si trovò davanti Jared, sorridente come non mai. Evelyn gli buttò le braccia al collo.
“Jared! Mi sei mancato.” Disse.
“Anche tu mi sei mancata, Ev.” Si staccarono l’uno dall’altra, sorridendo come due bambini.
“Non ci posso credere, come mai sei venuto in aeroporto?”
“Beh, volevo farti una sorpresa.” Rispose lui. Nel frattempo, Duncan li stava raggiungendo. Si paralizzò non appena ebbe messo a fuoco la figura che parlava con sua sorella e rimase a fissarlo. “Oh mio Dio” Riuscì a dire.
“Nah, preferisco Jared.” Scherzò il cantante. “Piacere di conoscerti.” Disse porgendogli la mano.
“Duncan.” Rispose porgendo la sua. Riuscì a sbloccarsi e a comportarsi in maniera razionale, sebbene gli risultasse difficile abituarsi all’idea che sua sorella facesse parte della vita di delle rockstar. Tuttavia chiacchierò un po’ con Jared mentre uscivano dall’aeroporto e perse così l’imbarazzo iniziale. Prima di attraversare le porte scorrevoli, Jared bloccò Evelyn.
“Ev, venire qui non è l’unica sorpresa che ho voluto farti.” La guardò serio. “Ora io e tuo fratello usciamo da questa parte. Fuori c’è un taxi, saltaci su, il tassista sa dove portarti. Lascia qui le valigie, ci pensiamo noi.” Le posò le mani sulle spalle, scrutando le sue iridi verdi. “Comunque andrà, io ci sarò sempre. Non ti abbandono.” E dicendo così, si allontanò seguito da Duncan che aveva ascoltato la conversazione.
Evelyn ancora non riusciva a comprendere le parole di Jared, non aveva alcuna idea di che cosa avesse voluto dire. Guardò attraverso le porte trasparenti e si accorse che aveva iniziato a piovere. Nonostante fosse frastornata e ancora confusa, seguì le sue indicazioni e salì in macchina cercando di bagnarsi il meno possibile. Mentre il tassista la conduceva nel luogo a lei sconosciuto, continuò a scervellarsi sulle parole di Jared, soprattutto sulle ultime, ma non ne uscì niente di ragionevole. Decise allora di limitarsi ad osservare fuori dal finestrino e capire in quale luogo stava andando. Riconobbe strade familiari, ma fu solo quando l’auto si fermò che capì dove si trovava. Scese lentamente, ormai non aveva più paura di bagnarsi.
Il parco dove venivo sempre dopo il lavoro. Fu il suo primo pensiero.
No, il parco dove ho conosciuto Shannon. Si corresse poi.
I ricordi, gli stessi che le erano tornati in mente quella stessa mattina, riaffiorarono più vivi che mai. Ricordò ogni momento di quel giorno. Quasi le sembrò di sentire la voce di lui che si schiariva, come quella volta. Sussultò rendendosi conto di quanto sembrasse reale. Fin troppo reale.
“Mi scusi se l’ho spaventata.” Non potette crederci. Quando si voltò le sembrò un’allucinazione, uno stupido scherzo della sua memoria. Ma quel volto che la guardava sorridendo appena, quello stesso volto che le aveva fatto compagnia nei sogni delle passate notti infernali, era vero. Se avesse avuto il coraggio di allungare le mani verso il suo viso avrebbe potuto rendersene conto. Ma rimase immobile, sconvolta. Le stesse parole di quel giorno. Come poteva, lui, ricordarle? Eppure anche lei non le aveva dimenticate.
Shannon le si avvicinò lentamente. Misurò ogni passo, mantenendo lo sguardo fisso nei suoi occhi. Due sguardi verdi che si osservavano, si studiavano, parlavano. Poi anche le sue labbra pronunciarono qualcosa, dopo aver sospirato. La pioggia continuava a scendere copiosa, ma a nessuno dei due sembrava importare.
“Non ce la faccio a starti lontano.” Scosse la testa. “Credimi, ci ho provato. Ma non ce la faccio.” La voce era quasi un sussurro. “Persino quando ti ho detto di andartene da casa mia non volevo che lo facessi. Ho solo pensato che fosse giusto, che era una cosa che andava fatta. Ma questi giorni senza di te sono stati un inferno; io credevo di essere più forte, credevo che ce l’avrei fatta, ma non è così. Io… ti amo troppo, e non posso lasciarti andare.” Gli occhi lucidi, la voce tremante. “Non posso. E non me ne andrò di qui a meno che tu non venga con me.”
Evelyn, il cuore in tumulto e gli occhi che brillavano di gioia, non poté fare altro che coprire la poca distanza che era rimasta tra di loro. Le loro labbra si unirono come se non avessero aspettato altro fino ad allora. Un bacio che sapeva di pioggia e di riconciliazione. Sapeva di loro due uniti in una sola cosa. Sapeva di amore, quello vero, quello che arriva quando ormai hai smesso di crederci.
Evelyn accarezzò il volto di Shannon, passando le dita sulle lacrime che scendevano silenziose e che quasi si confondevano con la pioggia. Lacrime che erano sgorgate durante il bacio, lacrime di gioia.
Evelyn non se lo sarebbe mai aspettato, ma era così. Aveva pianto. Così come aveva fatto lei.
“Ho creduto davvero che fosse finita. Mi sono sentita morire in questi giorni.” Disse trattenendo i singhiozzi. “Non sarei mai riuscita ad andare avanti senza di te. Potrai mai perdonarmi per quello che ti ho fatto?”
“Ti ho già perdonato.” Rise. “Tu sei tutto ciò di cui ho bisogno. Non ti lascerò andare mai più.” La strinse a sé come aveva sempre fatto e finalmente tutto per Evelyn fu al posto giusto. La sua famiglia, Jared, Shannon… aveva trovato l’equilibrio che non c’era mai stato prima di allora. Per la prima volta niente andava male, non c’erano questioni irrisolte, non c’erano bugie, non c’erano litigi. Era tutto meravigliosamente perfetto.

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Capitolo 15
*** Finally, you and me are the lucky ones this time. ***


è passato un secolo ma ce l'ho fatta. E' finita, signori e signore. Commenti e ringraziamenti alla fine di questo capitolo. Godetevelo :)
 




Epilogo. 
Finally, you and me are the lucky ones this time.


 
Io e Shannon stiamo camminando sulla spiaggia, uno accanto all'altra, in silenzio. C'è una tale tranquillità qui, che sembra di essere in un altro pianeta; per questo credo che gli piaccia così tanto. Lui mi guarda, mi sorride, mi abbraccia, mi bacia. Io lo osservo e non posso evitare di pensare a quanto tempo sia passato da quel giorno in aeroporto. Un anno, eppure sembra ieri.
Può una donna essere totalmente e incondizionatamente felice? Io lo sono. E non mi importa quanto durerà tutto questo. Per troppo tempo ne ho avuto paura: dell'amore e di tutto quello che comportava. Per tanti anni sono fuggita, non ho creato legami, solo per evitare le sofferenze e il dolore e non mi sono mai resa conto che così mi perdevo tutto quello che ora sto assaporando. La verità è che l'amore fa soffrire, è vero, ma se vai avanti alla fine tutto quello che hai dovuto affrontare ne è valsa la pena.
Shannon ride dei miei buffi tentativi di tenere fermo il vestito che svolazza per colpa del vento. Mi dice che sembro la versione imbranata di Marilyn Monroe e io lo spingo via con le braccia. Lui allora mi prende per i fianchi e mi solleva da terra minacciando di gettarmi tra le onde. 
Sebbene io stia scalciando come un puledro per cercare di tornare con i piedi per terra, amo quando fa così. Scherzare e giocare con lui è la cosa più bella del mondo. 
Ora mi tiene per mano e incastra i suoi occhi nei miei. Nessuno mi ha mai guardato come fa lui. E io non ho mai guardato nessuno come guardo lui. 
L'amore, quello vero, io lo sento. Sento che è nell'aria quando siamo insieme, lo vedo nei suoi occhi e nel suo sorriso. È impalpabile, ma percepibile. 
“Vieni, stenditi accanto a me.” Mi dice, dolcemente. Quando sono accanto a lui sulla sabbia, lui guarda l'orizzonte e dice:
“Ev, ci pensi mai a come sarebbe avere una famiglia?”
“Shan, ce l'ho già una famiglia.”
“Intendo una famiglia tua. Un marito, dei figli, dei nipoti un giorno.”
“Oh. Certo che ci penso, perché?”
“Io lo faccio continuamente. Penso a come cambierebbe la mia vita se dovessi sposarmi, avere dei bambini. E spesso penso che quella vita non fa per me. Con il mio lavoro non potrei proprio permettermelo.”
“Il lavoro non è un impedimento. Tua moglie e i tuoi figli ti seguiranno dovunque andrai. L'importante, in una famiglia, è restare insieme. Il resto è superfluo.”
Lui annuisce, ma smette di rispondere. Rimango in silenzio anch'io, questo discorso mi ha reso inquieta, non abbiamo mai parlato di una cosa del genere. 
Vorrei dirgli che in realtà ci ho pensato tante volte a come sarebbe avere una famiglia, ho pensato a come sarebbe essere sua moglie o la madre dei suoi figli, ma ho seppellito quel pensiero perché ero convinta che lui non lo volesse.
Mi tiro su e gli tendo la mano, lui la afferra e lo trascino in acqua, non mi importa dei vestiti bagnati. Senza dire una parola, nuotiamo lentamente uno accanto all'altra e ci fermiamo a qualche metro dalla riva. Ci sorridiamo a vicenda e lui è bellissimo. Ho sempre pensato che fosse troppo per me, che io non lo meritassi. Ma poi ho capito che in realtà non è questione di merito. È questione di scegliersi, amarsi, accettarsi in ogni minima parte. E noi l'abbiamo fatto. 
Quando inizia a far buio, usciamo dall'acqua e con i vestiti che gocciolano ci sediamo nuovamente sul bagnasciuga. Comincio a tremare, il vestito che ho indossato è troppo leggero. Lui prende la felpa che aveva lasciato sulla sabbia, l'unica cosa che è rimasta asciutta, e la posa sulle mie spalle, poi mi stringe a sé e insieme guardiamo il sole che scompare dietro il mare.
I minuti, le ore, passano senza che ce ne accorgiamo. È tutto triplicato, tutto diverso. Non lo so se sto esagerando, o se è davvero così, ma io non ho mai provato tutto questo. Ed è così meraviglioso. Gli sussurro che lo amo, lo amo, lo amo. Lui sorride e dice che mi ama, mi ama, mi ama sempre di più. Poi posa le sue labbra sulle mie e il tempo si ferma di nuovo.
Quando ci stacchiamo, mi guarda intensamente e poi dice:
“Ev, io devo chiederti una cosa.”
 
 
Jared era a casa insieme a Tomo e Vicki, stavano pensando a quell'anno, a quante cose nuove erano capitate. L'album uscito da qualche mese aveva riscosso un enorme successo e avevano date fissate in migliaia di paesi; Vicki aspettava un bambino e il pancione cresceva sempre di più, ma ancora non sapevano il sesso, né riuscivano a decidere un nome. Tomo era così apprensivo, non lasciava mai sua moglie sola e le chiedeva in continuazione se aveva bisogno di qualcosa o se aveva dolori. Vicki rispondeva di no e rideva della preoccupazione di suo marito.
Jared, invece, era di nuovo sereno e felice, libero da qualsiasi sofferenza. Si dedicava solo alla sua musica e agli Echelon. Loro contavano più di tutto, insieme alla sua famiglia e ai suoi amici. Lo aveva sempre saputo, persino quando pensava di essere innamorato di Evelyn, ma non voleva ammetterlo. Aveva paura di rimanere solo, aveva paura di perdere suo fratello, per colpa di quella donna. Ma da quando le cose si erano risolte, un anno prima, era felice per loro due, felice di vedere Shannon cambiato, rigenerato. Evelyn su di lui aveva lo stesso effetto di una vacanza, grazie a lei sorrideva sempre, scherzava, scriveva canzoni e suonava meglio di quanto già non facesse. E Jared, che conosceva suo fratello meglio di chiunque altro, sapeva che era tutto vero, che lui l'amava e lo aveva sempre fatto. 
Mentre pensava a tutto questo, il telefono squillò più volte prima che lui potesse rispondere.
Quando alzò la cornetta riconobbe la voce di Shannon che esordì con una semplice, ma sbalorditiva frase. L'unica frase che Jared pensava che non avrebbe mai sentiro dire da suo fratello:
“Jared, ti conviene comprare un altro smoking e trovarne uno anche per Tomo. Presto parteciperai al secondo matrimonio della tua vita.”


 
 
Fine.





 
 

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Fiùù, ce l'abbiamo fatta. che fatica che è stata scrivere questo epilogo, l'ho cancellato e riscritto più volte, questo è stato il meglio che ho potuto fare.
So che è piuttosto corto, ma alla fine chi lo dice che l'epilogo deve essere lungo? Non c'era molto da dire!
Spero che vi sia piaciuto questo lieto fine un po' sdolcinato ma tanto tanto tenero. :3
Io non so cosa dire. da una parte mi dispiace che sia finita, dall'altra non vedevo l'ora perchè l'ho portata troppo per le lunghe!
E mi scuso con chiunque ha dovuto aspettare così tanto. 
Passiamo ai ringraziamenti! 

Innanzitutto ringrazio le mie amiche Lucrezia e Claudia perchè grazie a loro questa storia è andata avanti,
loro mi hanno spronato e aiutato nei momenti di blocco. 
Poi ringrazio Simona D, Floriana, Simona P, Rossana e le altre che hanno letto il racconto,
si sono affezionate ai personaggi e mi hanno fatto tanti complimenti.
Infine ringrazio chiunque ha letto, ha messo tra i preferiti o tra le seguite questa storia
perchè anche se non avete lasciato commenti, mi avete dato un motivo in più per scrivere altri capitoli.
E più di tutti qui su efp ringrazio chi ha recensito:  
queenofnonsense, joesminidanger, 25lena25, ArthsEchelon97, kiarame_86, Atramess.


Davvero, grazie a tutti! 
Con tantissimo amore, Adriana. 

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