Hetalia Hunger Games

di Hero98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1- Consapevolezza ***
Capitolo 3: *** 2- Il sorteggio ***
Capitolo 4: *** 3 - I ventiquattro tributi ***
Capitolo 5: *** 4- Il dolore dell'addio ***
Capitolo 6: *** 5- Insulse sfilate ***
Capitolo 7: *** 6- Che gli Hunger Games delle Nazioni abbiano inizio ***
Capitolo 8: *** 7- Alleanze ***
Capitolo 9: *** 8- Serve aiuto ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 
Il mondo è in rivolta: milioni di persone si sono riunite nelle piazze di ogni Paese, anche i più piccoli. Si spingono, urlano per farsi sentire. Sono stanche di subire, vogliono giustizia. Mostrano cartelloni candidi macchiati con scritte di un rosso scuro, colanti come lacrime, che chiedono vendetta.
Hanno visto morire vicini, compagni, parenti, in guerre che potevano essere evitate. Adesso basta.
Ventiquattro Nazioni scelte a caso tramite un sorteggio dovranno lottare in un’area selvaggia fino alla morte. Dovranno vedere il sangue dei loro compagni sporcare i loro vestiti, le loro mani. Uno solo uscirà “vivo” se dopo un’esperienza simile potrà ancora considerarsi tale.
Solo così il popolo di tutto il mondo si calmerà.

 
Che gli Hunger Games delle Nazioni abbiano inizio.


Angolino di Hero~
salve a tutti, sono tornata con una nuova storia che non lascerò incompleta. Medieval Hetalia non la completo semplicemente perchè la sto riscrivendo per pubblicarla in un libro... scusate, mi spiace, davvero. Spero che questa nuova storia sia di vostro gradimento, recensite in tanti!

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Capitolo 2
*** 1- Consapevolezza ***


Capitolo 1 - Consapevolezza
 
-Russia! – una voce familiare proveniente da dietro la porta raggiunse le mie orecchie e quelle del russo che roteò le pupille annoiato. Sapevo che odia essere interrotto, in particolare in quel momento che mi teneva bloccato al muro con una mano sui miei polsi e un gamba tra le mie. Sorrisi divertito, ma lui se ne accorse e mi prese con forza i capelli.
-Non pensare di essere salvo, America, vedrai che se ne va. –sussurrò a pochi centimetri dal mio viso e ghignò mordendomi subito dopo il labbro inferiore. Maledetto bastardo, la prossima volta mi sarei vendicato.
-Russia! E’ successa una cosa gravissima! –questa volta la voce era più vicina e subito dopo si sentirono dei colpi sul legno della porta. Ottima occasione per me di infierire ulteriormente:-Avanti, comunista, è una comunicazione importante! Forse stanno bruciando i tuoi girasoli…
Sentendo quell’ultima frase Russia spalancò appena gli occhi cercando di ricavare informazioni dai miei, in realtà non avevo la minima idea di cosa stesse accadendo.
-Che cosa hai combinato razza di idiota? –domandò senza aspettarsi però alcuna risposta, io iniziai a ridere e lui mi lasciò libero.
-La prossima volta non mi scappi malen’kij –sibilò irritato poi si decise ad aprire la porta e fulminò con uno sguardo severo il povero Estonia.
-Spero per te che sia davvero importante… -mi lanciò un’occhiata veloce, mi stavo massaggiando i polsi dolenti a causa sua e sorrisi divertito.
-Certo, il popolo si è ribellato e i nostri superiori hanno deciso di iniziare una guerra… -iniziò Estonia tirandosi su gli occhiali con un dito. Io recuperai i miei da sopra un cassettone e me li infilai.
-Una guerra, divertente! Sarò contro Russia? –esclamai allegro interrompendolo. Lui esitò prima di continuare.
-In realtà saremo tutti contro tutti, cioè non proprio tutti… solo ventiquattro di noi. –si guardava intorno, sembrava a disagio, cosa piuttosto strana per lui.
-Ventiquattro? Spiegati meglio. –lo intimò Russia che sembrava confuso quanto me. Era una cosa singolare una guerra fra ventiquattro nazioni, volevano forse una Terza Guerra Mondiale? Eppure non c’erano problemi così gravi…
-Saremo noi Nazioni a combattere fino alla morte in un’arena, uno solo sopravvivrà… Il popolo vuole giustizia e ci andranno di mezzo ventiquattro sorteggiati. –concluse Estonia. Poi ci furono dei minuti di silenzio in cui sia io che Russia cercavamo di comprendere quello che ci era stato appena riferito. Sarebbero morte ventitré Nazioni…? Morte… è una parola che non riuscivo a capire, le Nazioni non potevano morire ecco perché io e Russia ci divertivamo a picchiarci a sangue, anche con armi e in punti vitali, senza paura. La morte non la concepivamo.
Certo la vedevamo ogni giorno nei nostri Paesi: morti di fame, di freddo, uccisi da qualche pazzo o disperato, morti di guerra, di malattie…
Il mio sguardo incrociò quello di Russia e per qualche secondo rimase intrecciato al suo. Entrambi avevamo compreso che non ci sarebbe stata una prossima volta.
 
-Fratellone… -la flebile vocina di Liechtenstein echeggiò nell’ampio salone dove io era impegnato a fare dei conti. Alzai lo sguardo dai fogli e la osservai correre agitata verso di me.
-Cosa succede? –domandai preoccupato anche se una mezza idea l’avevo.
-Non hai sentito la notizia degli Hunger Games? –disse stringendosi una piccola mano al petto e guardandomi con quei suoi occhi innocenti. Quindi era così che li chiamavano: Hunger Games, Giochi della Fame. Fame di giustizia, di vendetta, di sangue, di morte?
-Si ho sentito… -mi alzai e posai delicatamente le mani sulle sue esili spalle. Se fosse stata estratta l’avrei protetta, come avevo sempre fatto.
-Non preoccuparti, le Nazioni sono tantissime e sicuramente prediligeranno quelle più forti… vedrai che non combatterai nell’arena.
Lei mi guardava spaventata, non era convinta lo leggevo nei suoi splendidi occhi, ma annuì appena con la testa e sorrise leggermente. Cara dolce sorellina, avrebbe fatto di tutto pur di non farmi stare in apprensione per lei.
-Andiamo? –chiesi allontanandomi da lei.
-Si.
Forse non saremmo tornati…
 
-Germania Germania! – piagnucolò Italia girando intorno ad un crucco piuttosto esasperato, in realtà avrei scommesso che era piuttosto preoccupato perché notavo un leggero tremolio delle sue mani.
-Perché non dici nulla? –continuò Veneziano che a differenza di Germania non faceva nulla per nascondere la sua paura. Eravamo tutti scossi dalla notizia di quei giochi folli, perfino quel bastardo di Spagna non riusciva a sorridere decentemente mentre Francia sfogava la sua tensione pettinando con le dita i suoi capelli scuri. Prussia rideva come un pazzo, avevo una gran voglia di dargli un pugno in faccia anche per rilassarmi un po’.
-Che cosa dovrei dirti Italia? Diamoci una mossa che ci aspettano! –rispose finalmente con il suo vocione spaventoso Germania. Si alzò dalla sedia facendola strisciare sulle mattonelle e provocando così un rumore terribile.
-Se il Magnifico Me sarà scelto vincerà sicuramente! –cercò di farsi coraggio quel megalomane egocentrico di Prussia, ma si vedeva lontano un miglio che aveva una paura folle di entrare lì dentro. Lo capivo, avevo la consapevolezza che se fossi stato estratto sarei sicuramente morto.
 
-Non può partecipare anche lui! E’ una follia! Non è una Nazione! –urlò Inghilterra contro la cornetta del telefono. Non lo avevo mai sentito urlare così forte, il viso gli si era colorato di un rosso acceso e aveva gli occhi lucidi. Lo osservavo seguendolo con lo sguardo in quella sua frenetica camminata per la stanza. Andava avanti e indietro, ogni tanto si guardava intorno come se avesse timore di qualcosa. Io ero seduto su una sedia facendo dondolare le gambe per non annoiarmi troppo. Quando vanno avanti tornano sempre indietro.
-Siete tutti dei fottuti bastardi senza cuore! –urlò più forte, chiuse la chiamata e gettò il telefono su un mobile senza alcuna grazia. Poi mi guardò, gli occhi erano più lucidi. Si avvicinò a me e mi accarezzò i capelli, cosa piuttosto rara. Di solito accadeva quando gli facevo un complimento o quando era ubriaco. In quel momento non avevo fatto nulla.
-Andrà tutto bene Sealand… anche se parteciperai al sorteggio… -disse, questa volta a voce bassa, un po’ roca, forse aveva urlato troppo e gli faceva male la gola.
-Io sono una Nazione! –esclamai convinto guardandolo negli occhi.
Lui sorrise e mi abbracciò forte. Rimasi sorpreso, un gesto d’affetto così improvviso non l’avevo mai ricevuto.
-Questa volta lo sei… purtroppo… -sussurrò appena. Poi silenzio. Mi tenne stretto per due interminabili minuti. E capii che forse non era poi così bello essere una Nazione…

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Capitolo 3
*** 2- Il sorteggio ***


Capitolo 2 – Il sorteggio
 
Tutte le Nazioni si erano riunite e occupavano tutta la piazza.
Cuba era sul palco davanti a tutti, sicuramente aveva pagato, aveva corrotto, pur di salvarsi la pelle. Tutti lo guardavano con disprezzo, aveva venduto il suo onore. Svizzera avrebbe sicuramente detto: “Meglio morire da soldato che tirarsi indietro in una battaglia”
Cuba affondò il braccio nella grande ampolla di vetro piena di bigliettini di carta sul palco e mescolò per un po’.
Nessuno era ancora pronto per il sorteggio, non avevano neanche fatto un annuncio e mancava qualche Nazione all’appello.
Ad esempio America, mi stavo guardando intorno da un bel po’ sperando di scorgerlo tra la folla, ma sicuramente si sarebbe fatto notare. Lui era fatto così, io lo sapevo bene, dopotutto eravamo cresciuti insieme.
Finalmente mi raggiunse con il fiato corto per la corsa, mi posò una mano sulla spalla e mi sorrise come al solito, come se stessimo aspettando l’estrazione della lotteria.
Il suo sguardo mi rassicurava, mi intimava a stare tranquillo perché secondo lui sarebbe andato tutto bene. Gli sorrisi timidamente e strinsi di più al petto Kumajirou, il mio inseparabile orsetto polare.
“Mi offro come volontario!” urlò America, allora spalancai gli occhi e lo guardai con terrore. Sapevo che era incosciente ma non fino a questo punto!
Non sapevo cosa fare, le parole non mi uscivano di bocca. Non volevo, non poteva lasciarmi così! Gli afferrai la manica della giacca cercando di trattenerlo allora lui mi guardò sorridente e mi strinse la mano fra le sue, calde e forti.
“Tranquillo Canada, io sono l’eroe… così ci sarà un sorteggiato in meno!”
Lo osservavo spaventato, pur di apparire forte era arrivato a questo punto… eppure, aveva agito così anche per la sua immensa generosità. Avrebbe fatto di tutto pur di proteggere i più deboli.
Gli occhi mi iniziarono a bruciare per le lacrime che spingevano per bagnare il mio viso.
“America…” lo chiamai con un filo di voce senza muovermi, lui mi diede una carezza sui capelli e un tenero bacio sulla fronte poi si incamminò verso il palco con la sua solita postura fiera. Stavo ancora osservando la sua schiena quando un'altra Nazione parlò.
 
“Anche io mi offro volontario, da!” questa volta era Russia a parlare con il suo solito sorriso infantile e tranquillo dipinto sul viso. Notai che America sorrise compiaciuto guardandolo, cosa c’era fra quei due non lo capivo ancora.
“Sono pazzi, vero fratellone?” bisbigliai a Cina, che stava in piedi vicino a me, mentre Russia saliva sul palco per mettersi vicino ad America.
La risposta di mio fratello mi spiazzò.
“Anche io voglio essere un volontario, aru.” Esclamò con il suo timbro di voce che aveva una leggera nota femminile. Io spalancai gli occhi incredulo e lo guardavo sperando in una spiegazione, ma lui non mi degnò di uno sguardo e camminò velocemente, con le mani nelle lunghe maniche dell’abito tipico del suo Paese, verso il palco.
Tutte le Nazioni avevano iniziato a chiacchierare fra loro con sguardi preoccupati e impauriti, sentivo alcuni chiedere ai loro vicini se intendevano anche loro andare volontari. Ma nessuno più ebbe il coraggio di farlo. Non sono molti gli eroi.
 
Primo sorteggiato: Italia Romano.
Mi girai verso l’italiano. Fuori uno, pensai. Ancora venti Nazioni.
Le probabilità che anche io fossi estratto diminuivano, ma erano sempre alte.
Il sorteggiato aveva il solito broncio sul viso, cercava di apparire forte e deciso, ma nei suoi occhi leggevo la paura. Mi chiedevo se era più grande la paura di morire o quella di dover uccidere qualche compagno. Io non avevo compagni quindi l’unica cosa di cui mi preoccupavo erano i miei gatti che sarebbero rimasti soli.
Secondo sorteggiato: Bielorussia
Una donna, per i gentiluomini sarebbe stato un vero problema. La cercai tra la folla con lo sguardo e la vidi camminare tranquilla verso il palco per poi attaccarsi a un Russia piuttosto spaventato che questa volta sorrideva solo per non piangere.
Terzo sorteggiato… io.
Sospirai e mi avviai verso il palco, da lì su gli unici sguardi tristi che mi arrivarono furono quelli di Giappone e… Turchia. Mi ero dimenticato di lui. Finalmente non gli sarei stato lontano da Giappone, una vera liberazione per lui. Accarezzai un po’ il gattino che stava appeso alla mia maglia e sospirai ancora. Nell’arena avrei dormito sicuramente poco.
 
Quarto sorteggiato: Canada.
Mi morsi un labbro per non urlare. No! No! No! Era l’ultima cosa che volevo! Non lui…
Lo osservavo, tremava stringendosi a Kumajirou. Aveva davvero paura, non riusciva a muoversi. Poi però alzò lo sguardo con decisione e salì sul palco raggiungendomi.
Lo guardai con tristezza negli occhi, non sapevo cosa fare, io volevo salvarlo…
Lasciò andare Kumajirou e mi abbracciò forte, io lo strinsi di più a me. Sembravamo sicuramente due disperati.
 
Quinto sorteggiato: Spagna.
Lo vidi sussultare al mio fianco allora gli posai una mano sulla spalla e cercai di fargli coraggio. Lui mi sorrise come suo solito.
“Grazie Francia…” disse a bassa voce per poi raggiungere gli altri sul palco e sorridere a Romano.
Sarebbe sicuramente morto pur di non uccidere quell’italiano, io lo conoscevo meglio di tutti e lo sapevo bene. Lo osservavo preoccupato. Temevo per lui. Era la persona più importante al Mondo per me.

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Capitolo 4
*** 3 - I ventiquattro tributi ***


Capitolo 3 – I ventiquattro tributi
 
La tensione si percepiva nell’aria, tutti avevano gli occhi puntati su Cuba. Non avevo neanche il tempo di pensare che non davano attenzione alla mia magnifica persona.
Sesto sorteggiato: Italia Veneziano.
Tutte e due le Italie sono tributi, osservai il fratello del sorteggiato e notai che aveva iniziato a tremare, temeva anche per il fratello naturalmente.
Settimo sorteggiato: Seychelles.
Una povera ragazza che non aveva nulla a che fare con le guerre, gli inganni, le cose orribili del mondo. Viveva in pace nelle sue meravigliose isole…
Ottavo sorteggiato: Germania.
Ovest! Mi girai di scatto verso di lui, aveva lo sguardo fiero come al solito. Un vero soldato mio fratello.
“Eccomi.” disse con la sua voce bassa e grave.
Ero incerto per la prima volta in vita mia e gli diedi un leggero pugno sul braccio.
Lui si girò sorpreso, come se non si fosse accorto che il Magnifico era al suo fianco. Mi osservò poi accennò un sorriso molto falso e si diresse verso il palco.
Il mio povero, piccolo, fratellino.
 
Fra poco sarebbe toccato a me, lo sentivo. Le fatine si agitavano vicino a me e le intimavo a stare zitte.
Nono sorteggiato: Francia.
La rana almeno avrebbe smesso di molestarmi. Lo osservai di sottecchi mentre si dirigeva con un sorriso falsissimo verso il palco salutando e mandando baci a destra e a sinistra, come se avesse sorpassato le eliminatorie di qualche concorso di moda. Patetico.
Decimo sorteggiato: Principato di Sealand.
“No!” urlai appena udii quel nome. Non potevo permettere che lo mandassero in quell’inferno, lui che era ancora così piccolo…
Iniziai a sgomitare per raggiungerlo. Mi guarda confuso e spaventato, non capendo cosa stesse succedendo. Lo strinsi fra le braccia per difenderlo da quelle mani perfide che volevano afferrarlo e mandarlo a morire.
“No!” ripetei a voce più alta stringendo occhi e denti.
Sentivo il suo calore sul petto, lo sentivo così fragile tanto da poterlo uccidere in quel momento, stringendolo più forte.
Due uomini imponenti lo allontanarono a forza dalle mie braccia.
“Mi offro come volontario!” esclamai disperato con le mani tese verso l’unico fratello che ancora aveva bisogno di me.
Mi lasciarono andare e lo abbracciai ancora, lui piangeva.
“Va tutto bene… Ti proteggerò.” Mormorai per tranquillizzarlo, lui annuì appena con la testa e andammo insieme sul palco, la sua piccola e fragile mano nella mia.
 
Una scena terribile. Avevamo tutti gli occhi lucidi, tutti speravamo che non accadesse una cosa simile anche a noi. Soprattutto Svizzera, al mio fianco, lo sentivo agitato. Sicuramente temeva per sua sorella minore.
Undicesimo sorteggiato: Turchia.
Lo cercai tra la folla ma non riuscii a trovarlo. Lo individuai solo quando era ormai sul palco e rivolse un ghigno compiaciuto a Grecia.
Dodicesimo sorteggiato: Prussia.
Il megalomane iniziò a ridere come un pazzo.
“Va bene, sono il Magnifico, vincerò!” urlò con il suo solito sorriso strafottente.
Sospirai, non sarebbe mai cambiato. Ungheria, al mio fianco, mi guardò con tristezza.
“Austria… non hai paura?” mi domandò con una mano sul petto. Io le sorrisi gentilmente.
“Certo, tutti ce l’hanno. Anche Prussia, sebbene non la mostri.” Risposi, ma lei abbassò lo sguardo delusa, come se non credesse a ciò che era palesemente la realtà.
Almeno Prussia sarebbe stato con i suoi due pazzi migliori amici… Chissà se avrebbero avuto il coraggio di uccidersi fra di loro o avrebbero aspettato che fossero gli altri a farli tacere per sempre… La pietà non porta alla vittoria e alla salvezza…
 
Tredicesimo sorteggiato: Svezia.
Ormai erano pochi i tributi rimasti da sorteggiare. Speravo totalmente che io e Lituania fossimo, tipo, salvi.
Non ero mai stato molto bravo con le armi, Lituania mi aveva salvato molte volte. Ma se fossimo entrati nell’arena non avremmo potuto aiutarci molto.
Dopotutto il vincitore doveva essere uno solo.
Quattordicesimo sorteggiato: Lettonia.
Un altro ragazzino, era totalmente una strage di, tipo, giovani vite.
Tirai appena la manica di Lituania al mio fianco perché aveva tipo assunto un’espressione dispiaciuta, cioè, sembrava triste. Era a causa della sua amicizia per Lettonia, sicuramente.
Lui si girò verso di me e sorrise appena, in quel modo di quando cercava di rassicurarmi.
Quindicesimo sorteggiato: Lituania.
Mi guardai intorno per assicurarmi di aver sentito bene, Lituania sospirò e mi prese la mano che tenevo, tipo, ancora attaccata al suo braccio.
“Devo andare…” mormorò rivolgendomi un sorriso triste. Io in risposta lo guardavo, ero ancora totalmente confuso, cioè, non poteva essere stato chiamato! Si girò e fece per andare sul palco lasciandomi la mano, ma io la riafferrai e lo trattenni.
Lui si girò sorpreso e mi guardò negli occhi con aria interrogativa.
“Vengo con te… Abbiamo promesso di difenderci a vicenda e lo faremo anche lì dentro.” Dissi deciso poi sorrisi nel mio solito modo e lo segui sul palco.
Mentre stavano per chiamare il prossimo sorteggiato mi strinse di più la mano.
“Grazie…” mormorò con un sorriso.
E capii che se fossimo stati insieme allora avremmo avuto qualche possibilità.
 
Sedicesimo sorteggiato: Giappone.
Un altro orientale andava al patibolo. Lo osservai dirigersi silenzioso verso il palco, non sembrava agitato ma solo leggermente preoccupato. Anche Hong Kong al mio fianco era tranquillo e osserva tutto e tutti con la solita calma. Io invece spostavo il peso da un piede all’altro, ne battevo la punta sul pavimento liscio e freddo, incrociavo le braccia al petto poi sbuffavo, sospiravo, facevo qualche commento sui tributi che rimaneva inascoltato. Insomma ero agitato e non riuscivo a stare fermo.
Cina guardava preoccupato Giappone, il suo protetto avrebbe rischiato la vita, era ovvio che avesse quell’espressione.
“Secondo me Giappone muore tra i primi dieci.” Sibilai tagliente incrociando per l’ennesima volta le braccia al petto.
“Non dire, tipo, sciocchezze.” Rispose calmo Hong Kong e questa sua risposta invece di farmi irritare come al solito mi fece calmare leggermente.
Diciassettesimo sorteggiato: Norvegia.
Non l’avevo incontrato spesso, mi sembrava un tipo tranquillo e silenzioso. E anche piuttosto noioso, avrebbero trovato sicuramente qualche stratagemma per farlo fuori subito. Dopotutto, oltre che per vendetta, questo sadico gioco serviva anche a divertire.
Diciannovesimo sorteggiato: Sud Corea.
La solita sfiga che mi perseguita, dovevo essere sorteggiato proprio all’ultimo quando mi sentivo già con un piede fuori dalla faccenda?
Hong Kong mi guardò impassibile, non capivo se era dispiaciuto, preoccupato, se mi compativa, se voleva essere al mio posto…
“Se non tornerò occupati del mio splendido Paese, lanciarazzi!” gli sorrisi e lui abbassò lo sguardo. Allora salii sul petto e mi posizionai tra Cina e Giappone.
“Speravo di salvare i miei preziosi fratelli aru…” sussurrò Cina. Giappone non lo sentì, ma io si e gli diedi un leggero pugno in testa.
“Mettiamocela tutta aniki! Non moriremo nella prima metà vero?” esclamai allegro.
Lui mi guardò con tristezza poi annuì con la testa.
 
Ultimo sorteggiato.
Molti si sentivano al sicuro ormai certi che non sarebbero stati chiamati, anche io ero abbastanza certo di essere salvo. Io e la mia sorellina.
“Liechtenstein” la voce di Cuba riecheggiò in tutta la sala, seguì un silenzio assordante. No. No. Non potevo crederci. Mi voltai con gli occhi spalancati verso di lei, sorrideva ormai consapevole del suo destino, della sua morte.
“Mi offro volontario” dissi a voce bassa, le Nazioni vicino a me si guardavano confuse, non capivano.
“Mi offro volontario.” Ripetei più forte, tutti iniziarono a parlare tra loro osservandomi con compassione, lei si allontanava da me andando verso il palco.
“Mi offro volontario!” urlai e cercai di raggiungerla, ma mi trattennero.
“Non ci serve un altro tributo.” Fu la fredda risposta. Io caddi in ginocchio, le lacrime salate mi bagnavano il viso, il mio corpo era scosso dai singhiozzi. L’avevo persa per sempre. La mia unica ragione di vita.


Angolino di Hero~
Ho fatto il capitolo moooolto lungo per terminare finalmente il sorteggio. Adesso apro un piccolo sondaggio: chi vincerà secondo voi e perchè? Attendo molte recensioni, naturalmente non solo per il sondaggio ma per la storia, perchè si migliora solo ascoltando i pareri degli altri~
P.S: Che ne dite della copertina che ho creato?


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Capitolo 5
*** 4- Il dolore dell'addio ***


Capitolo 4 - Il dolore dell'addio

Tutti noi tributi fummo portati in piccole stanze, una per ciascuno. La mia stanza era addirittura più piccola del mio sgabuzzino, puzzava di chiuso ed era davvero buia, solo un filo di luce entrava dalle persiane rovinate. La carta da parati era vecchia e sporca, in più punti essendo strappata si vedeva il muro grigio e scrostato. Il pavimento di legno era crepato qua e là e mi chiesi se avrebbe retto il mio peso o sarei caduto al piano di sotto. Gli unici mobili erano una poltroncina rosa antico così impolverata che sembrava di un altro colore e una piccola lampada da terra che emetteva un leggero ronzio dovuto sicuramente ai cavi elettrici difettosi.
Non osavo assolutamente sedermi su quella poltroncina ricoperta di polvere, così come tutta la stanza, perciò rimasi in piedi a guardarmi intorno annoiato. Desideravo tanto avere uno dei mie videogiochi a portata di mano, dopotutto Cuba aveva detto che queste stanze servivano ai tributi per ricevere le ultime visite prima dei giochi ma gli unici che mi sarebbero venuti a trovare erano tributi anche loro… Mi chiedevo cosa avrei fatto se avessi vinto considerando che tutte le persone che contavano nella mia vita sarebbero morte in questi maledetti Hunger Games.
 
Quella maledetta stanza dove mi avevano rinchiuso era troppo piccola per la mia statura, mancava poco che toccassi il soffitto con la testa e per entrare mi ero dovuto piegare. Mi sentivo fuori luogo e avevo una gran voglia di abbattere la porta e scappare, magari andavo a finire quello che avevo iniziato con quell’idiota America. Un sorriso, che molti definirebbero inquietante, si fece spazio sul mio viso a quel pensiero. Però fui interrotto dal rumore metallico della porta, mi girai verso essa allarmato da dei rumori piuttosto bizzarri, come di palloni. Rimasi sorpreso nel vedere mia sorella maggiore Ucraina con le lacrime agli occhi e l’aria molto preoccupata e compassionevole.
“Russia caro, mi dispiace così tanto che tu debba partecipare a un gioco così pericoloso! Ma se lo hai scelto tu non posso far altro che tifare per te e pregare che vada tutto bene…” disse con una leggera insicurezza guardandomi negli occhi, le mani giunte al petto. Poi proseguì, illuminandosi: “Ti aiuterò pagando qualche sponsor, a quanto pare in questo modo i tributi possono ricevere degli aiuti! Però…” si rabbuiò di nuovo e abbassò lo sguardo con vergogna. Adesso la voce si era abbassata notevolmente: “Non ho molti soldi quindi non sarò molto d’aiuto.” Concluse mentre delle lacrime iniziarono a scendere silenziose sulle sue guance chiarissime.
“Sorellona, non preoccuparti…” cercai di dirle con un sorriso rassicurante ma lei mi interruppe di nuovo alzando lo sguardo con decisione.
“Ti sarò di supporto morale, Russia caro!” esclamò e mi porse una sciarpa simile a quell’altra che mi aveva regalato quando eravamo piccoli.
Io la presi fra le mani, ad essere sincero quella che portavo era ormai rovinata dal tempo passato, secoli interi. Sorrisi giusto in tempo per vedere Ucraina singhiozzare un “addio” e scappare via in lacrime. Mi portai la sciarpa sul viso accarezzandola e sentendone l’odore.
Sicuramente mi avrebbe aiutato.
 
Era tempo ormai che aspettavo uno straccio di visita ma a quanto pare tutti i miei “fratelli” erano andati da Cina. Mi lasciai cadere sulla poltroncina al centro della stanza minuscola sollevando così una nuvola di polvere che mi fece tossire. A differenza delle abitazioni in Sud Corea questa era davvero orribile, non avevo mai visto una stanza così angusta. Non era neanche definibile stanza a dire la verità. Sospirai annoiato osservando i minuscoli granelli di polvere danzare nell’aria. All’improvviso sentii un botto terribile, come una bomba, e scattai a sedere. Una densa nuvola di fumo scuro avvolgeva l’entrata. Mi guardavo intorno cercando di scorgere qualcosa ma il fumo copriva tutta la stanzetta, poi delle mani mi toccarono il petto, come a volerlo palpare.
“Non sono donna, rincitrullito!” esclamai ridendo e mi girai per vedere chi era tanto intelligente da fare una gaffe simile. Rimasi sorpreso nel vedere Hong Kong, in effetti non poteva essere che lui.
“Come sono andato? Se tu non ci sei divento io il palpatore al tuo posto e devo allenarmi.” Disse calmo con un leggero sorriso.
Rimasi in silenzio per un po’, troppo emozionato per elaborare una frase di senso compiuto. Era davvero un ragazzo d’oro.
“Non posso lasciare un compito così importante nelle tue mani, lanciarazzi.” Risposi con un sorriso strafottente.
“Allora vinci”
Quelle due parole mi colpirono dritto nel cuore. Stava forse dicendo che credeva in me? Davvero pensava che avessi qualche possibilità? Quelle due semplici parole mi diedero di nuovo speranza. “Grazie” pensai, ma non lo dissi. Per orgoglio, perché avrei voluto dirglielo una volta fuori dall’arena degli Hunger Games.
 
Il Magnifico Me non aspettava di certo visite: Ovest, Francia e Spagna erano tributi e solo loro avrebbero potuto andarlo a trovare.
Invece mi ritrovai nella stanza, che più piccola di così non poteva essere, Ungheria e Austria. Notai che erano a disagio, stavano un po’ stretti ed era difficile evitare il mio sguardo.
“Allora qual buon vento vi porta a far visita al Magnifico?” esclamai per poi rendermi conto che non era proprio una frase adatta all’occasione. Infatti Ungheria mi stava guardando con rimprovero e Austria sospirò come rassegnato.
“Volevamo informarti che noi parteggeremo per te.” Disse il damerino guardando in un punto imprecisato sulla parete. Cercai di seguire il suo sguardo ma non portava a nulla, allora rimasi perplesso, si stava forse riferendo a me?
“Per chi?” chiesi incredulo, certo di aver capito male. Magari affianco a me c’era il ragazzo invisibile e stavano parlando con lui.
“Per te, stupido zuccone!” rispose irritata Ungheria stringendo con fare minaccioso i pugni, quel carattere non si abbinava per niente a quella sua delicatezza femminile.
Io rimasi ad osservarli per un po’ poi scoppiai a ridere di gusto. Cercavano sicuramente di tenermi su il morale.
“Sto benone, non preoccupatevi!” esclamai divertito con il mio solito ghigno sul viso.
Loro mi guardavano come infastiditi, e ciò non era una novità. Poi se ne andarono senza rivolgermi più la parola, neanche un saluto.
A quel punto mi sentii uno stupido per la prima volta in vita mia, dopotutto stavano cercando di aiutarmi. Io anche se non lo davo a vedere ero spaventato per ciò che stava per accadere. La vergogna per come mi ero comportando invase ogni parte del mio corpo. Senza pensarci più di tanto mi precipitai fuori dalla stanzetta che iniziava a soffocarmi e urlai nel corridoio verso di loro: “Grazie! Lo terrò a mente!”
Loro si voltarono, io sorridevo leggermente imbarazzato. Ricambiarono il sorriso dopo essersi rivolti uno sguardo d’intesa, poi, dopo un lieve cenno di saluto con la mano, se ne andarono. Osservai le loro schiene finché non girarono alla fine del corridoio. Forse li avrei visti per l’ultima volta.
 
Lo stava ancora aspettando, era lì seduta composta con le mani in grembo in quella stanza buia che la spaventava, la opprimeva. Terrore, ansia, insicurezza premevano contro di lei in quel buio accecante. Ma rimaneva lì, immobile, gli occhi chiari fissi sulla porta nell’attesa che la persona che aspettava la varcasse.
Poi finalmente, come se l’avesse deciso lei, la porta si aprì. Strinse un po’ gli occhi abituati al buio per scorgere meglio la figura che portava con sé anche la luce del corridoio.
Ma non era lui.
“E’ ora di andare signorina, le visite sono terminate.” Disse la figura che non riusciva a riconoscere ma che aveva sicuramente visto altre volte.
Non era venuto a trovarla, il suo fratellone l’aveva abbandonata ancor prima che entrasse nell’arena.
Svizzera non l’avrebbe più vista, neanche per salutarla un’ultima volta.
Dopo ciò che era accaduto all’estrazione aveva avuto paura, quando quella più spaventata era lei. Lei che sarebbe morta, lo sapeva già. Sorrise tristemente nel buio, inutile piangere. Si alzò lentamente e seguì quella figura.

Angolino di Hero~
Salve a tutti, scusate il terribile ritardo! Ma meglio tardi che mai, dopotutto!
Volevo ricapitolare le Nazioni estratte dato che molti di voi nelle recensioni hanno fatto un po' di confusione.
I ventiquattro tributi in ordine di estrazione sono:
America, Russia, Cina, Romano, Bielorussia, Grecia, Canada, Spagna, Veneziano, Seychelles, Germania, Francia, Sealand, Inghilterra, Turchia, Prussia, Svezia, Lettonia, Lituania, Polonia, Giappone, Norvegia, Sud Corea, Liechtenstein.
Scusate se sono stata imprecisa nell'estrazione D: Spero che questo capitolo vi piaccia, recensite in tanti! Alla prossima~!

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Capitolo 6
*** 5- Insulse sfilate ***


Capitolo 5 – Insulse sfilate
 
Senza sapere il motivo si ritrovò in una specie di camerino che trapelava lusso da ogni angolo: la stanza era ampia e il lampadario al centro del soffitto bianco pendeva in mille cristalli luminosi che illuminavano le pareti creando un’atmosfera quasi da sogno, un tappeto rettangolare ornato da figure elaborate ricche di riccioli e onde copriva la maggior parte delle assi di legno del parquet, accostata alla parete di fronte alla porta c’era una maestosa toeletta bianca decorata con ghirigori dorati e tempestata intorno allo specchio ovale e lucido di piccole gemme azzurre, vicino ad essa si trovava una sedia con cuscini marroni imbottiti sullo schienale e il sedile che aveva l’aria davvero comoda, nella parte destra della stanza invece il padrone era un possente armadio di legno di betulla che contrastava con il pavimento più scuro. Ciò che ad America sembrò strano fu il non trovare neanche una piccola finestra, solo pareti color panna circondavano l’entrata. Per un attimo si sentì soffocare da quella luce e quel lusso esagerato per i suoi gusti, dopotutto la sua camera era abbastanza piccola: le pareti circondate da mensole con pile e pile di fumetti, una modesta libreria con dei libri di archeologia e astrologia, modellini di supereroi e altri personaggi disposti disordinatamente sulla cassettiera vicino al letto sempre disfatto e una finestra abbastanza grande da dove si potevano ammirare le punte dei grattacieli di New York. Adesso, lì, si sentiva a disagio.
“Prego, accomodati” disse una figura alle sue spalle, America non sapeva dire se era lì da molto o era appena entrato. Si girò giusto un minuto per osservare l’uomo, alto e magro con la pelle abbastanza abbronzata, un pizzetto nero leggermente appuntito e gli occhi piccoli e scuri. In testa aveva un basco grigio che copriva i capelli. La Nazione andò a sedersi sulla sedia poi domandò guardando la propria immagine riflessa nello specchio che era così pulito da far credere che ci fossero due America: “Cosa devo fare?”
L’uomo chiuse la porta e si mise alle spalle della sedia, poteva vederlo dietro di lui nello specchio, poi rispose con un sorriso nel quale era sicuro di leggere compassione: “Tu niente, devi solo stare fermo e buono, ci metterò poco.”
America scrutò i suoi occhi cercando di capire le sue intenzioni, non sembrava avere cattive intenzioni. Infatti gli mise le mani tra i capelli biondi iniziando ad accarezzarli. Ciò fece rilassare il ragazzo che socchiuse gli occhi scivolando leggermente sulla sedia.
“Adesso ti faccio diventare davvero America”
 
Russia aprì di scatto gli occhi sussultando, la schiena era leggermente indolenzita. Appena la vista tornò nitida abbassò lo sguardo verso il proprio sedere notando che era su una sedia. Si era addormentato? Per quanto tempo? Si alzò, stiracchiandosi con le mani dietro la schiena poi portandole in alto e spingendosi con le punte. I suoi occhi viola e stanchi si posarono sulla stanza nel quale si trovava, ora ricordava: era nel camerino nel quale quella ragazza tanto simpatica e allegra aveva iniziato a fargli qualcosa di strano in faccia. Lo sguardo cadde sullo specchio della toeletta e istintivamente spalancò gli occhi nel vedere com’era cambiato. Aveva addosso un cosacco russo, nero, con delle cinghie di pelle marroncine incrociate sul petto e degli stivali neri a stringhe. Inoltre notò che sul ripiano della toeletta c’era un colbacco anch’esso nero. Doveva ammettere che non stava male acconciato così, ma perché doveva indossare quegli abiti? Dopotutto andava a combattere in un’arena aperta per la propria vita.
Si accorse solo adesso della piccola finestra coperta da una tenda spessa che stonava quasi con la chiarezza della stanza. La scostò piano, il paesaggio scorreva veloce davanti a lui: era su un treno.
Aprì la porta ed uscì dalla stanza trovandosi in un largo corridoio pieno di porte, da una uscì un ragazzo. Russia spalancò gli occhi, il ragazzo anche arrossendo e voltandosi in fretta pronto ad andarsene ma il russo fu più veloce e lo trattenne per un braccio.
“America!” esclamò incredulo facendolo girare lentamente, teneva lo sguardo basso e riusciva a leggere nei suoi occhi chiari e limpidi l’imbarazzo che provava in quel momento. Aveva solo dei pantaloni di pelle addosso e degli stivali con frange, in testa un copricapo di piume bianche, rosse e azzurre che ricordava quello degli indiani d’America. Era a petto nudo e sulle guance aveva due strisce nere. Un sorriso si dipinse sul viso di Russia che con una mano sotto il mento di America lo obbligò ad alzare lo sguardo senza troppa forza.
“Non dire una parola.” sibilò l’”indiano” assottigliando gli occhi, sulle guance il russo poteva vedere un leggero rossore. “Mi hanno costretto a mettermi questo costume per una stupida sfilata che si farà prima dei giochi che serve a farci conoscere, a quanto pare più piacciamo alla gente più possibilità abbiamo che ci aiutino quando saremo nell’arena a morire…” la voce tradiva un certo nervosismo da parte dell’americano e Russia poté anche sentire il suo braccio irrigidirsi sotto la sua stretta. Gli lasciò il viso e lo abbracciò avvicinando le labbra al suo orecchio.
“Stai benissimo vestito così… Mi dispiace non poterne approfittare.” Sussurrò in modo quasi sensuale facendo avvampare America che dopo essersi ripreso lo spinse via. “Idiota.” Disse soltanto dandogli le spalle ed entrando in una porta poco più avanti. Russia rise.
“Mio dolce piccolo America, sarà un peccato vedere spegnersi la luce che illumina i tuoi bellissimi occhi”
 
Era ormai giunta la sera e tutte le Nazioni divise in gruppi di due persone si apprestavano ad entrare in scena a bordo di sontuose carrozze addobbate a seconda dei loro Stati. Il carro del Nord America era ricco di foglie, una zona cosparsa di neve e sembrava riprodurre l’ambiente delle riserve naturali. Canada vestito come un Inuit, popolazione che abitava il suo Paese prima delle conquiste coloniali e che adesso abita piccole zone nel nord, strinse la mano del fratello. Era agitato, li avrebbero visti tutti.
“Tranquillo, stai benissimo!” America sorrise stringendogli la mano mentre con l’altra gli aggiustava un po’ la pelliccia che gli andava sul viso. Aveva addosso un enorme giubbotto di pelliccia di varie sfumature di grigio e dei pantaloni invece di pelliccia bianca. Ai piedi dei larghi stivali spessi con suola morbida.
“Piuttosto non hai caldo?” domandò lo statunitense. Canada scosse la testa e accennò un piccolo sorriso “E tu non hai freddo…?”
America rise e si portò la mano libera al petto con fare fiero “Ma no, io sono l’eroe!”
Improvvisamente si spensero le luci, i carri partirono. Il canadese rimase abbagliato dai riflettori puntati verso di loro, folle urlanti nelle platee intorno a loro e dagli altri tunnel scorse le altre Nazioni tutte con abiti tipici del loro Paese: Prussia e Germania, Italia del Nord e del Sud, Spagna e Francia, Russia e Bielorussia, Lituania e Polonia, Inghilterra e Sealand, Cina e Sud Corea, Turchia e Grecia, Seychelles e Liechtenstein, Svezia e Norvegia, Giappone e Lettonia.
I loro abiti li facevano brillare di forza e audacia, Canada si ritrovò a paragonarli, e a paragonarsi, ai manzi dal manto splendido portati dritti al macello.
Trema al pensiero che solo una notte li divide dall’inizio di quei giochi di sangue.

Angolino di Hero~
Sono tornata! Dopo aver scritto una piccola storia a quattro mani con la mia amica Gabrina1606 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1593351&i=1 ecco un nuovo capitolo e al più presto scriverò un nuovo cross-over di Hetalia!
In ogni caso grazie a tutti per le recensioni e spero che questo capitolo vi piaccia~!

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Capitolo 7
*** 6- Che gli Hunger Games delle Nazioni abbiano inizio ***


Osservavo le maniche troppo lunghe della giacca che mi avevano fatto indossare. Certo, non potevano avere una taglia da bambino, non si aspettavano che avrei partecipato anche io. Ma in fondo quanto potevo resistere? Non importava se la giacca fosse o no della mia taglia.
Tutti indossavamo la stessa divisa, di un colore che non riuscivo a capire se era una sfumatura di marrone o di verde, perché aveva qualcosa di entrambi i colori. Non avevo potuto vedere mio fratello e le altri Nazioni, sapevo che la indossavano perché me lo aveva detto la stilista che si era occupata di me il giorno prima. Era una ragazza molto giovane che sorrideva sempre, i capelli corti da maschio dello stesso colore del cacao. Mi veniva quasi voglia di assaggiarli per sapere se avevano anche lo stesso sapore, perfino il profumo era lo stesso.
Una sirena mi avvisò che era ora di entrare in campo.
Sospirai, non mi ero mai sentito così adulto, e dovevo ammettere che non era affatto bello come mi aspettavo. Avrei tanto voluto tornare a casa a giocare con i miei meca insieme a Lettonia.
Entrai in una specie di tubo di plastica trasparente che al termine di un conto alla rovescia aveva iniziato a spingermi verso l’alto, come un ascensore, il tempo sembrava scorrere così lento…
A un certo punto una luce accecante mi ferì gli occhi non abituati a tutto ciò. Mi protessi con un braccio finché non riuscii a vedere un enorme costruzione di un giallo acceso a circa 50 metri da me e tutt’intorno gli altri trentatré tributi. Subito il mio sguardo cercò Inghilterra. Era dall’altra parte della costruzione.
 
Era iniziato un altro conto alla rovescia per l’inizio degli Hunger Games, ma io sentivo solo il rumore assordante del mio cuore che batteva così forte che temevo mi sfondasse il torace per scappare via. Avevo gli occhi spalancati e fissavo, senza però guardare, la grande costruzione gialla al centro che quasi brillava di luce propria colpita dai raggi del sole. Me ne aveva parlato l’uomo che si era occupato di me il giorno prima, quella costruzione si chiamava Cornucopia e vicino ad essa c’erano scorte di cibo, armi e utensili utili per la sopravvivenza. Anche un po’ più distanti, però, erano presenti alcune armi e qualche sacchetto o borraccia. Il problema era come raggiungerli senza essere feriti o, peggio, uccisi.
Perso in questi pensieri non mi ero nemmeno accorto che il conto alla rovescia era terminato e che tutti avevano iniziato a correre in varie direzioni.
E che la strage di vite innocenti era iniziata.
Vedevo Bielorussia che con due coltelli in mano che iniziava a uccidere prima Seychelles, poi Liechtenstein…
Non riuscivo a muovermi, ero paralizzato da quell’orribile spettacolo.
Il sangue macchiava il terreno e i corpi esili delle due ragazze giacevano a terra immobili e privi di vita.
Poi vidi America che corse verso di me e mi sollevò di peso, come se fossi un sacco di fieno, leggero. Solo allora tornai in me. Ci stavamo allontanando dalla Cornucopia per non essere ammazzati subito. Ma quanto avremmo resistito?
 
Panico. E’ ciò che provavo appena finì il conto alla rovescia. Bielorussia aveva già preso dei coltelli pronta a guadagnare punti. Tutti scappavano, chi dopo aver preso qualche oggetto vicino, chi a mani vuote.
Io decisi che non dovevo perdere altro tempo. Dove andare? Da una parte era corso Sud Corea che era riuscito a recuperare quell’arma formata da una catena con all’estremità due bastoncini, mi sembrava di ricordare si chiamasse Kusari; da un’altra c’era Norvegia con una lancia; poi Giappone con una katana, Germania con una pistola e dall’altra parte della Cornucopia probabilmente era andato Turchia con due alabarde. Ogni zona era pericolosa e non potevo fidarmi di nessuno.
Ad un certo punto sentii una voce familiare alle mie spalle, aveva un tono basso, ma parlava in modo che potessi sentirla.
“Lettonia corri presto!”
Mi girai e notai Sealand, accovacciato tra i cespugli che mi faceva segno con la mano di raggiungerlo. Non me lo feci ripetere e iniziai a correre verso di lui. Mancava poco. Potevamo scappare via e nasconderci in un luogo più sicuro.
Fui costretto a fermarmi. Non sentivo più il mio corpo, solo una scossa allucinante tra le scapole che poi si diffuse ovunque togliendomi il respiro.
Caddi a terra. Sealand aveva assunto un’espressione terrorizzata e i suoi grandi occhi si erano riempiti di lacrime.
La vista iniziò ad offuscarsi, l’ultima cosa che riuscii a vedere fu il mio compagno di giochi che scappava via tra i cespugli.
Poi il buio mi avvolse.
 
Ormai la sua vita non aveva più alcun senso. Stava lì, immobile, seduto sulla poltrona del soggiorno a fissare lo schermo della televisione che gli mostrava la sua dolce sorellina morta in una chiazza enorme di sangue.
Era stato una persona inutile. Non l’aveva protetta. Non l’aveva neanche salutata, troppo in colpa con sé stesso.
“Tranquilla… non ti lascerò sola.” Sussurrò con la voce flebile e un po’ roca. Si rigirò la pistola tra le mani poi l’avvicinò alla tempia.
“Svizzera!”
Una voce familiare lo chiamava dal corridoio, urlando. Era una cosa strana da parte di Austria scomporsi così.
Ma in fondo non aveva più importanza.
Sparò.
Poi il silenzio assoluto.
 
Dopo l’inferno provocato da mia sorella Bielorussia mi avviai tranquillo alla Cornucopia. Potevo scegliere con calma le armi che più mi piacevano e prendere anche un po’ di cibo per i giorni seguenti.
C’erano armi di tutti i tipi: armi da fuoco, da tiro o da scontro diretto. La balestra mi attirava molto, ma alla fine optai per delle semplici pistole, affidabili e comode. Presi una Makarov e anche una Tokarev TT-33 per sicurezza, con naturalmente un bel po’ di proiettili. Misi tutto in un piccolo zainetto di pelle che conteneva anche una borraccia e qualche frutto, invece la Makarov la tenevo nella cinta del pantalone. Dovevo ammettere che quelle divise che ci avevano fatto indossare erano molto comode per muoversi con agilità.
Mi avviai in una direzione precisa: ovviamente quella verso la quale avevo visto correre America.
 
“Fratellone!”
Veneziano piagnucolava attaccato al mio braccio. Eravamo subito corsi via per non farci uccidere da quella pazza di Bielorussia e con le nostre gambe, abituate a scappare, eravamo arrivati lontani in poco tempo. Mi guardavo intorno alla ricerca di un riparo.
“Zitto, se no ci sentono!” Bisbigliai a mio fratello avvicinandolo a me. Ero spaventato quanto lui, però non potevo farmi sopraffare da quel sentimento. Ne dipendeva anche la vita di Veneziano.
Lui non mi aveva mai considerato una persona da cui prendere esempio, era sempre stato lui il più bravo: a dipingere, a relazionarsi con le persone…
E poi preferiva Germania perché quel maledetto crucco era molto più forte di me.
Forse questa era un’ottima occasione per dimostrare a Veneziano che anche io ero capace di proteggerlo.
Gli lanciai un’occhiata veloce, aveva gli occhi lucidi e spaventati e tremava come una foglia. Sospirai e gli premetti appena la mano sulla testa in un gesto che doveva essere affettuoso e rassicurante.
“Tranquillo, ci nasconderemo e nessuno ci farà del male.” Questo fu tutto ciò che riuscii a dirgli e anche se non era granché lui mi rivolse un piccolo sorriso di ringraziamento.
 
Camminavo abbastanza tranquillo tra gli alberi. Tutta la zona intorno alla base di partenza era coperta da un fitto bosco, forse per agevolare l’inizio dei giochi. Chissà che noia sarebbero stati se fossero morti tutti subito.
Mi fermai riconoscendo tra gli alberi una figura che potevo definire più che familiare. Un sorriso divertito mi si dipinse sul viso e mi avvicinai silenzioso, le alabarde in una sola mano. Quando fui abbastanza vicino lo strinsi puntandogli le armi al collo da dietro.
“Arrenditi Grecia” sibilai al suo orecchio.
Lui si irrigidì, non osava muoversi. Ogni muscolo del suo corpo era teso.
“Turchia… Mai occasione potrà esserti più propinqua per liberare la tua vita da un problema tanto grande...” La sua voce era bassa e lenta come sempre, ma riuscivo a sentire una leggera nota di agitazione.
Roteai gli occhi, parlava sempre come quei dannati dei suoi filosofi antichi.
“Non posso ucciderti finché non impari a parlare come una persona normale.” Sospirai e lo lasciai andare. Lui si girò e mi guardò confuso.
Gli rivolsi un piccolo sorriso trionfante e gli porsi un’alabarda.
“Questa volta ho vinto io, gattofilo.” Dopotutto in questi Hunger Games gli alleati sono preziosi.
“Però impara a non farti prendere di sorpresa.”
 
Eravamo saliti su un albero, sembrava avere i rami abbastanza robusti.
“Litu, quella tizia che mi ha fatto indossare quei vestiti favolosi ieri mi ha, tipo, riferito che ogni sera sparano in cielo i morti del giorno.”
Guardai confuso Polonia che era seduto vicino a me a cavallo del tronco facendo dondolare le gambe.
“Forse hai capito male.” Gli risposi e con una mano gli levai una foglia dai capelli lisci. Ero in pensiero per lui, era voluto venire con me in questi maledetti giochi della morte senza pensarci su. Magari si sarebbe potuto salvare, non l’avrebbero estratto. Magari adesso si pentiva della sua scelta impulsiva.
Lui inclinò leggermente la testa di lato non del tutto convinto da ciò che gli avevo detto. Io gli sorrisi.
“In ogni caso il sole è ormai tramontato, presto lo scopriremo.” Mormorai, cercavamo sempre di non parlare ad alta voce per paura di essere rintracciati.
Ci stendemmo sulla cima dell’albero e guardammo il cielo limpido, pieno di stelle. Sarebbe stato quasi piacevole se non fossero stati costretti ad assistere a quel bagno di sangue. Certo, erano scappati subito via, ma nel tempo in cui aveva aspettato che Polonia lo raggiungesse dalla sua postazione, di circa tre posti più a destra rispetto alla sua, Bielorussia aveva già ucciso Seychelles.
E dire che Bielorussia gli era sempre piaciuta.
“Litu guarda!” esclamò Polonia mettendomi una mano su un braccio e indicando il cielo con l’altra.
Quasi non cadevo dall’albero. Appena riacquistai l’equilibrio guardai il punto indicato dal mio compagno: una specie di proiezione aveva iniziato a mostrare i volti dei tributi morti.
Seychelles, Liechtenstein e Lettonia.
Mi si strinse il cuore nel vedere che anche il piccolo Lettonia era morto. Mi morsi appena il labbro inferiore, era solo un ragazzino innocente che non aveva fatto male a nessuno. All’improvviso mi pentii di non essere stato come un fratello per lui.
Sentii le braccia di Polonia intorno al mio corpo e il suo respiro sul collo. Non era proprio il momento di abbattermi, dovevo pensare a lui. Ricambiai il suo abbraccio stringendolo a me.
Finalmente il primo giorno era finito, quanti altri ce ne sarebbero stati?

Angolino di Hero~
Scusate l'attesa lunghissima ma adesso che finalmente è finita la scuola aggiornerò molto più spesso e spero anche di terminare questa fanfic entro settembre!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, siamo entrati ormai nel vivo della storia. Spero in molte recensioni/commenti, alla prossima e grazie per aver letto! C:

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Capitolo 8
*** 7- Alleanze ***


“Quanto sono veloci quei due?!” pensai mentre mi muovevo velocemente e con cautela tra i cespugli del sottobosco. Avevo visto che i due fratelli Italia erano corsi da questa parte appena era terminato il conto alla rovescia, pensavo di essere a poca distanza da loro, ma mi sbagliavo: erano davvero due fulmini. In ogni caso, poiché il Magnifico non aveva bisogno di dormire, avevo guadagnato terreno durante la notte. Sapere che già tre Nazioni erano state uccise mi aveva fatto rabbrividire.
“Attento!”
Appena sentii questa voce mi appiattii contro il tronco rugoso di un albero, chi poteva essere? Sporsi leggermente la testa di lato per spiare il proprietario della voce e notai che era Romano. Stava guardando le mani di Veneziano che piagnucolava come suo solito.
Uscii allo scoperto con un grande sorriso e puntai loro un indice contro allungando il braccio.
“Kesese, finalmente vi ho trovati!” esclamai con aria soddisfatta e divertita dalle facce sorprese dei due italiani.
“Cosa cazzo vuoi da noi, bastardo?” sibilò Romano mettendosi subito sulla difensiva. Aveva in mano un bastone e lo brandiva contro di me nel tentativo di mettermi paura.
“Alleanza! In fondo avete bisogno della mia magnifica persona!” dissi posandomi una mano sul petto con aria di superiorità. Essere in tre era già un grande aiuto.
Veneziano sorrise, ancora con le lacrime agli occhi, e si avvicinò un po’.
“Che bello, Prussia!” esclamò contento e mi porse il mignolo.
Io lo strinsi con il mio. Alleati. Sorrisi, Romano aveva abbassato la sua “temibile arma” e mi fissava. Dai suoi occhi capivo che non si fidava del tutto di me.
 
Non ero riuscito a prendere un’arma o qualcosa di utile alla Cornucopia, Bielorussia era troppo vicina a me e avevo preferito scappare. Avevo raggiunto una zona priva di alberi interrotta solo da un fiume abbastanza grande. Non era una zona molto sicura non essendoci posti in cui nascondersi. Mi avvicinai al fiume e ne osservai l’acqua limpida che scorreva impetuosa, sembrava essere abbastanza profondo. Un altro punto a sfavore di questo piccolo paradiso era il rumore dell’acqua che copriva altri suoni. Infatti sentii dei passi solo quando ormai mi erano alle spalle. Mi girai lentamente già pronto a difendermi. I miei pensieri andarono subito a Finlandia, lui non avrebbe voluto che io morissi. E poi dovevo trovare Sealand, quando avevo scoperto che era riuscito a sopravvivere al massacro iniziale mi ero ripromesso di difenderlo.
Ma alle mie spalle c’era solo Norvegia. Aveva in mano una lancia e legato alla cinta un piccolo sacco contenente probabilmente del cibo preso alla Cornucopia.
Lo guardai negli occhi, entrambi mantenevamo la nostra solita inespressività.
Finalmente, dopo un minuto buono, mi decisi a parlare.
“Conviene a entrambi un alleanza, non credi?” dissi tranquillo, in fondo eravamo entrambi due Paesi del Nord, vicini. Ero sicuro che insieme ci saremmo difesi molto meglio, entrambi eravamo bravi a combattere.
Siccome rimaneva a guardarmi e chi tace acconsente, mi avviai di nuovo verso il bosco. Sentivo i suoi passi dietro di me mentre mi seguiva.
Quando ormai eravamo vicini ai primi alberi mi girai verso di lui. Poi sentii un dolore terribile allo stomaco e spalancai gli occhi. Le mani andarono subito a tastare la parte dolorante e quando abbassai lo sguardo erano ricoperte di sangue. Del mio sangue. Caddi in ginocchio. Norvegia guardava la sua lancia insanguinata che lasciava scivolare nell’erba piccole e dense gocce rosso scuro.
“Perché…?” riuscii a mormorare con un filo di voce, la vista aveva iniziato ad appannarsi mentre cercavo invano di tappare la ferita con le mani.
“Non ho bisogno di un alleato, tanto alla fine solo uno vincerà.” Rispose con freddezza il mio assassino, non c’era cattiveria però nella sua voce, non c’era espressività.
Mi superò scomparendo tra gli alberi del bosco mentre io cadevo steso a terra. Chiusi gli occhi, ormai il dolore era diventato così insopportabile che avevo perso la sensibilità del mio corpo.
“Mi spiace Finlandia… Scusa Sealand.” Sussurrai muovendo solo le labbra.
La morte non era tanto brutta come tutti dicevano, era quasi un sollievo. Mi sentii libero e leggero.
 
“Austria…” dissi posandogli una mano sulla spalla. Dalla morte di Svizzera era stato tutto il tempo seduto in poltrona a fissare una foto che ritraeva lui e il suo amico di infanzia bambini. Mi chiedevo se era l’unica foto che aveva di lui.
“Austria…” ripetei, era ormai la sedicesima volta che lo chiamavo, ma lui non rispondeva. Non riuscivo a immaginare cosa significava perdere una persona per cui provavi un affetto smisurato e a cui eri davvero affezionato. Seychelles e Lily erano delle amiche, certo, ma nonostante mi fossi sentita davvero male alla loro morte ero sicura che il mio dolore non era nulla paragonato a quello di Austria in questo momento. O a quello di Svizzera prima che decidesse di raggiungere la sorella.
Quando stavo ormai per arrendermi e andarmene Austria si alzò di scatto, come se si fosse appena risvegliato da un lungo sonno.
“Ungheria, prendi il telefono e chiama Cuba.” Disse guardandomi deciso negli occhi.
Io ricambiai lo sguardo confusa, non capivo cosa stesse succedendo.
“Ho deciso” continuò e poi si bloccò di nuovo.
Presi il telefono, poi gli domandai: “Cosa devo dirgli?”
“Pagherò per dare a Prussia una spada.” Rispose.
Un’improvvisa felicità mi invase, tanto che non riuscii a trattenere un piccolo sorriso. Austria che metteva da parte la sua taccagneria per aiutare proprio Prussia… Non potevo crederci.
“Non farti strane idee, la do a lui solo perché c’è anche Italia.” Disse mentre digitavo il numero di Cuba sul telefono. Ma a me non importava, sapevo che Austria era generoso.
 
Mi guardavo intorno seduto sull’erba, ero ai piedi di una montagna. Mi girai ad osservare il mio compagno, appena lo avevo visto correre con un’ascia e una borraccia in questa direzione non avevo esitato a seguirlo. Ma l’avrei fatto anche se non fosse riuscito a recuperare nulla.
“Che c’è?” mi chiese rivolgendomi un caldo sorriso.
Io curvai leggermente gli angoli delle labbra verso l’alto in una specie di sorriso, ero ancora scosso. In fondo tre persone erano state uccise, per giunta un ragazzino e due ragazze. E soprattutto Seychelles. Sospirai e cercai di non pensarci anche se era davvero difficile.
“Ehi Francia… so che è difficile, ma dobbiamo cercare di sopravvivere.” Sentii la voce di Spagna più vicina poi la sua mano si posò sulla mia spalla in segno di conforto.
Anche per lui era una situazione per nulla gradevole, non potevo lamentarmi. Gli strinsi la mano e lo guardai negli occhi.
“Se siamo insieme andrà tutto bene” continuò e mi rivolse un altro sorriso incoraggiante.
“Si. Andiamo a cercare Prussia o qualche altro amico.” Dissi finalmente e mi alzai tenendogli ancora la mano.
Lui mi guardò negli occhi poi mi imitò e ci incamminammo di nuovo verso la foresta lasciando come traccia del nostro passaggio solo un cumulo di cenere dove avevamo acceso un fuoco la sera prima.

Angolino di Hero~
Lo so non è lunghissimo come capitolo ma... serve un po' a far riprendere dalla tragedia dello scorso capitolo e a capire un po' i gruppi che si sono formati. Tranquilli, nei prossimi capitoli avranno spazio le Nazioni che ancora non hanno "parlato".
Spero vi sia piaciuto, recensite mi raccomando! C:

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Capitolo 9
*** 8- Serve aiuto ***


Era giunto il terzo giorno.
Scappavo velocemente tra i cespugli, avevo paura, volevo solo non essere trovato. Aver visto la morte del mio migliore amico Lettonia mi aveva profondamente scosso. Avevo ancora gli occhi bagnati, avevo saputo che anche Svezia era morto. Non sapevo come, ma adesso volevo trovare Inghilterra. Non volevo perdere anche lui.
Camminavo ormai da ore, non avevo fame, ma ero stanco per non aver mangiato.
Ad un certo punto sentii una voce. In silenzio mi diressi verso quella direzione, l’avevo riconosciuta, era di mio fratello. Fui cauto comunque, restai tra i cespugli finché non lo vidi davanti a Giappone che brandiva un pugnale. Cosa stava succedendo…?


Stavamo camminando ormai da due giorni, probabilmente ci eravamo persi! Guardai mio fratello Romano che bisticciava per l’ennesima volta con Prussia e mi chiese se non si sarebbero uccisi a vicenda prima o poi. Ogni cosa era un pretesto per discutere: il turno di guardia di notte, come procurarsi del cibo, se accendere il fuoco… persino il luogo dove dormire.
Stavo per interrompere di nuovo la loro discussione quando un forte tonfo attirò la mia attenzione, subito saltai vicino a loro attaccandomi alle loro braccia spaventato.
“Aiuto fratellone…!” esclamai piagnucolando, la morte mi spaventava tantissimo, in realtà il dolore in generale mi terrorizzava.
Rimanemmo in silenzio guardandoci intorno, vigili e immobili. Stavamo trattenendo il respiro per percepire anche il minimo rumore, ma non sentimmo nulla, neanche le foglie mosse dal vento.
Tirai un sospiro di sollievo, Prussia iniziò a ridere ancora un po’ teso e Romano lo intimò a stare zitto con qualche insulto e qualche minaccia piuttosto volgare.
Poi notammo la causa del suono di poco prima: un contenitore metallico, molto lungo, attaccato ad un piccolo paracadute di tela bianca. Era posato a terra, probabilmente giunto dal cielo. Era forse uno di quegli oggetti che chiamavano “sponsor”?
Prussia andò a raccoglierlo e lo aprì. Subito un sorriso speranzoso comparve sul suo volto illuminandolo tutto.
“Ragazzi, Dio è con noi!” esclamò ridendo entusiasta per poi mostrarci una spada lucente ed affilata.
Perfino Romano si abbandonò ad un sorriso mentre osservava la spada come se fosse davvero un dono divino.
Ero davvero contento, fino ad allora le nostri armi erano due bastoni appuntiti e una rudimentale lancia con la punta di pietra. Adesso sarebbe stato più semplice difenderci.
 
“America…” lo chiamai piano, era solo grazie a lui se ero ancora vivo. Alla Cornucopia ero rimasto paralizzato e se America non mi avesse preso e portato lontano sarei stato ucciso da Bielorussia.
Non avrei mai pensato che una donna di quella statura potesse essere capace di tanta crudeltà e violenza. Chissà cosa la spingeva a reagire così, a uccidere con tanta semplicità.
“Che c’è, fratellino?” finalmente mi aveva risposto, era così occupato a cercare qualcosa da mangiare che non mi aveva ascoltato per un bel po’, avevo parlato da solo tutto quel tempo che adesso mi sentivo abbastanza stupido.
“Cosa facciamo se non troviamo nulla da mangiare?” gli chiesi, ero molto preoccupato a riguardo, entrambi eravamo abituati a certe quantità di cibo e lo stomaco che brontolava era abbastanza fastidioso.
America rimaneva in silenzio, gli occhi che si muovevano veloci da una parte all'altra, le sopracciglia aggrottate per la concentrazione. Entrambi eravamo senza occhiali, sarebbero stati solo d’impiccio muovendosi tra foglie, rocce e anche in combattimento.
Per fortuna però nessuno ci aveva trovato, non avevamo nulla per difenderci e mi sentivo in colpa perché lui era stato costretto a soccorrermi quando poteva recuperare qualcosa alla Cornucopia.
“Tranquillo, troveremo qualcosa, te lo prometto.” Disse soltanto, ma io non gli credevo molto. Avevo paura, per me e per lui che oltre a difendere sé stesso doveva occuparsi anche di me.
Sospirai e cercai di dare una mano per quanto potevo, non volevo essere inutile.
 
Svezia… era morto. Io scoppiai a piangere alla vista di quel destino atroce che gli era toccato.
Nonostante Svezia mi incutesse un po’ di timore a volte, gli volevo davvero bene, essere amato era la cosa più bella del mondo. Non ero sicuro di ciò che provavo esattamente nei suoi confronti, ma la sua morte era come se Norvegia avesse trafitto anche me con quella lancia. Poi Norvegia… con tante Nazioni che combattevano nell'arena perché proprio lui?! Non riusciva a spiegarselo. Anche Danimarca e Islanda erano sconvolti, Danimarca urlava come un pazzo sbattendo i pugni sul muro e buttando tutto ciò che gli capitava a tiro per terra con violenza. Islanda si limitava a stare zitto, lo sguardo cupo puntato sempre sulla punta dei piedi.
Eravamo un po’ una famiglia, a volte avevamo lottato tra di noi, ma da tempo ormai ci aiutavamo a vicenda. Adesso eravamo di nuovo divisi e in conflitto.
Pensare che Svezia non sarebbe più tornato a casa mi distruggeva dall’interno, sapevo che uno dei due sarebbe morto, ma non ero ancora pronto alla morte di Svezia. Per giunta per mano di Norvegia.
Di questo passo sarei impazzito.

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