sex &...the kids

di CoCoRouge
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Party Projects ***
Capitolo 2: *** Gazza Nera ***
Capitolo 3: *** You're simply the Best ***
Capitolo 4: *** Tutto in una Notte ***
Capitolo 5: *** FullOut-FourIn – vol. I ***
Capitolo 6: *** FullOut-FourIn – vol. II ***



Capitolo 1
*** Party Projects ***


 Venerdì 10 agosto
 
Party Projects
 
“E che pensi di fare a riguardo?”
La voce di zia Sam al telefono sembrava distante, come distratta da qualcosa.
“Ehi, Sam, mi stai ascoltando?”
“Ma sì, cara, sto aspettando la tua risposta!”
“Beh… non lo so cosa fare. Per questo ti ho chiamata!”
“Oh, tesoro mio, non c’è niente che ti possa tirare su di morale in questo momento!”
“Ma io…”
“Vuoi una massima della zia Sam? Eccola qui: non c’è nulla di peggio nella vita della rivalità tra sorelle. Quindi, fatti i tuoi conti e poi ne riparliamo!”
La donna riagganciò e lasciò la povera adolescente in balìa dei suoi pensieri. E adesso?
 
 
Rose Goldenblatt era una ragazza a posto. Come si dice, ‘per bene’. Odiava quel modo di dire, come una cosa asettica, una pellicola trasparente piazzata sulla sua intera figura mentre passeggiava per la Settima, o scendeva per la Quinta Strada correndo alla metro.
Per bene, come le ragazzine che si atteggiavano come le star del momento, indossando solo capi firmati pagati dal papi – lei no, lei se li era guadagnata i soldi… e va bene, forse non era cosciente mentre li guadagnava, ma ora poteva dire di non dover dipendere da mamma e papà per i suoi capricci.
Mamma Charlotte l’aveva fatta posare per le riviste migliori fin da quando era bambina, al fianco della bellissima sorella Lily, ovviamente. Da allora si era fatta un bel gruzzoletto e i suoi, da bravi genitori, avevano depositato tutto in un suo conto personale, facendole trovare, all’età di diciannove anni, una bella cifra a sei zeri.
Rose prese il borsello e vi cacciò dentro il telefono, tirando fuori invece l’mp3.
Si mise le cuffie e fece un bel respiro: cominciò a camminare nel parco, accanto alla recinzione del campo di basket. Da dietro gli occhiali scuri guardava curiosa i ragazzi che giocavano, sudati e abbronzati, finché…
“Ehi ciao Rose!”
Brady corse verso di lei, riconoscendola subito. Quella diventò di tutti i colori ma cercò di non darlo a vedere: “Ehi, ciao Brady! Ti stai ancora allenando?”
“No, è solo una partitina tra amici. Tutto bene?”
“Sì, certo! Ma non volevo disturbarti, torna pure a giocare…!”
Il ragazzo le sorrise da sotto le lentiggini che lei trovava tanto carine: era appoggiato alla rete, mettendo in bella mostra senza volerlo le braccia scultoree trasudanti fatica.
Brady fece per girarsi ma Rose lo fermò: “Ah, quasi dimenticavo! Mia madre da una delle sue solite feste, sai com’è fatta…!”
“Sì, Charlotte! È sempre la solita! Qual è l’occasione questa volta?”
“Ma come, non ci arrivi? È vero che fa ancora un caldo assurdo, che il sole ancora non tramonta prima delle sette di sera e che le zanzare non ci danno tregua, ma… è uscita la Collezione Autunno/Inverno di Chanel, e per mia madre questo sancisce la fine dell’estate…!” Scherzò lei.
“Oh, certo! Quasi metà agosto! È un po’ tardino quest’anno, o sbaglio?”
“Ah, ah, ah! Hai ragione! Beh, cercherò di convincerla a spostarla di qualche settimana, ma dubito di ottenere qualcosa!”
“Ehi, Brady, datti una mossa, Carota!” Urlò un suo amico dal campo.
“Sì, scusami! Comunque la festa è tra due settimane! Tieniti libero! Ci vediamo!”
“Ok, grazie mille! Ciao bella!” La salutò lui, facendole l’occhiolino.
Quella trotterellò via e si ributtò in strada, facendosi inglobare dal caos cittadino e dal caldo che saliva piano dall’asfalto.
Aveva bisogno di un luogo fresco, perché non era il sole di fuori a farla soffocare, ma il ribollire del suo sangue nelle vene!
Scese alla metro e risalì in superficie dopo due fermate.
Era arrivata. Attraversò di corsa la strada e percorse il marciapiede per una ventina di metri, il corto vestitino che svolazzava libero.
Suonò al campanello di uno dei palazzi.
‘Fa’ che ci sia…’ pregava dentro di sé.
Una voce metallica dall’altra parte chiese chi fosse.
“Sono Rose! C’è Carrie per caso?”
“Oh, Signorina Goldenblatt! Entri pure…”
E le porte di vetro si aprirono, immergendola nell’ampio e vuoto atrio di marmo.
“Sarebbe turno di chiusura, Signorina, ecco perché le porte scorrevoli non si aprivano…” cercò di spiegare la segretaria alla Reception.
“Sì, sì, immaginavo! Per caso c’è la Signora Preston di sopra?”
“Siete fortunata, è arrivata qualche minuto fa. Prego, prenda pure l’ascensore, è al quindicesimo piano!” Le disse la ragazza, aprendole il cancelletto di sicurezza.
Rose si tuffò nell’ascensore e si diede una rapida sistemata guardandosi riflessa nella placca di metallo lucido con i tasti dei piani.
Sistemò i capelli mossi e scuri sulle spalle, mise a posto il vestitino tutto stropicciato e prese il borsello in mano, arrotolando sul braccio la bretella penzolante.
Si guardò i piedi.
Ballerine.
‘Cazzo, non me lo perdonerà mai…!’
Con un piccolo trillo l’ascensore si aprì, vomitandola fuori sul corridoio di marmo. Alla sua destra, l’entrata della redazione.
Quei caratteri così grandi appesi al muro la spaventavano ogni volta che li vedeva: grandi, grigi e pesanti, come muri di cascine abbandonate.
Oltrepassò le porte di vetro e cominciò a gironzolare per i corridoi, quando un’altra segretaria le si piazzò davanti e le disse di seguirla.
La mollò in uno stanzino, indicandole una porta: “Vada pure, l’aspettano.”
Rose aprì la porta bianca e trovò Carrie seduta alla sua scrivania.
“Ma ciao mio piccolo fiore!” La salutò lei, andandole incontro.
“Ciao Carrie! Scusa se ti disturbo…”
“Ma figurati! Sono venuta prima in redazione per un paio di articoli che devo mettere a posto, ma non mi disturbi affatto! Dimmi che…” la donna si bloccò.
Vide le scarpe.
“Rose? E queste cosa sono?”
“…ballerine? Sì lo so che non me le vuoi vedere ai piedi, ma…”
“Credimi, non è un fatto di moda! Ma hai i piedi piatti! Non puoi metterti queste trappole della morte! Sai quanto male ti stai facendo?”
Le due si sistemarono sulle poltroncine a lato della scrivania, che formavano, guardandosi, una piccola zona relax simile ad un salotto.
“Lo so, zia, ma l’alternativa qual è? Tacchi?”
“No, le scarpe che tua madre ti ha comprato apposta per questo problema!”
“Ma sono brutte! Mi dispiace, ma preferisco tenermi i piedi piatti.”
“Oddio, beh, se proprio devi far di testa tua, almeno mettiti un dieci centimetri!”
“Oh, certo, peccato che la tua grande amica Charlotte lascia tutti i tacchi alla sua cara primogenita Lily…”
Carrie la guardò, sorridendo: “Sei molto diversa da Charlotte. Beh, allora dimmi! Che ti porta qui?”
Rose fece un gran respiro e guardò la zia negli occhi: “Zia Carrie, ho bisogno di un favore.”
“Oh, dimmi!”
Respirò di nuovo.
“Il tuo vecchio appartamento, sulla settantatreesima,… beh, lo vorrei affittare.”
Carrie sbarrò gli occhi: “È stato venduto, cara.”
“No, ci sono passata davanti due giorni fa: lo stanno affittando, gli inquilini di prima se ne sono andati.”
“Beh, perché chiedermi il permesso, allora?”
“Perché lì hai trascorso tutta la tua vita e volevo renderti partecipe della mia decisione.”
“Questa decisione non ha il minimo dubbio?”
“No. Voglio andarmene da casa Goldenblatt.”
“E come mai?”
“…non è un capriccio, semplicemente voglio stare un po’ per i fatti miei, cavarmela da sola. I soldi li ho, posso farcela.”
Carrie la guardava, perplessa.
“Lo so che non ti convince questa mia decisione, ma è mia e mia soltanto.”
“Perché proprio il mio appartamento? Se vuoi sparire, non andare in un posto che tua madre potrebbe trovare sicuramente.”
“Ma non voglio sparire! Tu conosci la mamma, è super apprensiva! Lo era con Lily e ora lo è con me. Io però non ce la faccio più… e poi da un po’ di tempo sembra che in casa esista solo Lily e le sue chilometriche gambe asiatiche!”
“Ah, eccoci qua! Bingo! Questo è il problema…! Lily… la rivalità tra sorelle è una brutta bestia, sai?”
“Me l’ha detto anche Samantha.”
Carrie fece un cenno col sopracciglio: “Vuoi dirmi qual è il vero problema?”
Rose diventò tutta rossa e guardò il pavimento: “Non c’è altro. Lily è la prima, lo so, ma…”
“Ti vogliono bene, Rose!”
“Lo so! Non è questo… ma sento che nella mia vita voglio fare qualcosa di mio! Di serio!”
“Ovvero?”
“Insomma, Carrie… le foto quand’ero piccola erano un gioco, e anche ora lo sono… ma voglio fare qualcosa di serio! Di più concreto! Che so… creare un giornale, scrivere una rubrica, aiutare uno stilista, passare dall’altra parte dell’obiettivo e diventare fotografa!”
“Beh, hai le idee chiare, direi!”
“Sì, ma capisci che la mamma, impicciona e apprensiva com’è, si metterebbe sempre in mezzo! Non mi lascerebbe libera!”
“Sì, beh, arriva anche a sceglierti gli abiti del giorno…”
“…e ho diciannove anni! Capisci?”
“Questa tua intraprendenza è lodevole, rosellina mia! Ma perché il mio vecchio appartamento?!”
Rose abbassò lo sguardo, e poi tornò a guardare la zia: “Perché no…?”
Carrie sorrise: “Gioia mia, è normale che tu te ne voglia andare, ma non farlo solo per fare tanto chiasso come fanno tante adolescenti della tua età… Rose, ora ho una domanda sciocca da farti, ma tu dovrai rispondermi. Se non lo vorrai fare, mandami pure a quel paese.”
“Dimmi Carrie…”
“Sei incinta?”
“No!”
“Bene, dovevo chiedertelo. Quindi, se ciò che ti spinge non è una gravidanza improvvisa, hai la mia benedizione. Ma prima parlane a Charlotte. Ne soffrirà se non lo farai.”
“Speravo mi potessi dare una mano in questo…”
Carrie sgranò gli occhi: “Non hai timore di andare a vivere da sola ma hai paura di affrontare tua madre? Charlotte York Goldenblatt? La donna più innocua di questa terra?”
Rose rise: “Sì, hai ragione. Però mi farebbe piacere se mi accompagnassi nell’appartamento.”
“Sicuro! Quello è indubbio!”
“Bene. E ora passiamo alle cose frivole… come sta Jr?”
“Oh,” disse Carrie, facendo roteare gli occhi al cielo, “qualcuno lassù ha voluto punirmi dandomi un figlio maschio…!”
“È proprio una maledizione, eh? Qual è la sua nuova fissa?”
“Colleziona sassi.”
“Non sono sassi, mamma, sono pietre!” Protestò Jr comparendo sulla porta dell’ufficio.
“Oh, il mio erede. Saluta Rose.”
“Ciao Rose…” disse lui con un saluto della mano.
“Avanti, che c’è adesso?”
“Niente, papà mi ha detto di avvisarti che stasera io e lui usciamo per una serata tra uomini!”
“Perfetto! Così porto Rose ad una serata tra donne…!”
Jr fece per uscire, quando Carrie lo bloccò con lo sguardo: “E ricordati: i sigari, sempre dopo pasto!” Disse, facendogli l’occhiolino.
Quello se ne andò ridendo e le lasciò sole.
“Sedici anni… quanto lo invidio!”
“Assolutamente no! Io tre anni fa ero inguardabile!” rise Rose.
Carrie tornò a guardare la nipote: “Io e te abbiamo una serata da organizzare! Direi che stasera è il momento perfetto per parlare a tua madre. Ci sarò anch’io, tranquilla…”
“A proposito, sta organizzando la festa di fine estate… stasera potremmo darle una mano! E potrei darle il lieto annuncio proprio quella sera che ne dici?”
“Mmh… ci vuoi ancora pensare, eh?”
La ragazza annuì.
“Sì, ci sto. Qua la mano, ragazza!”
Si strinsero le pallide mani, l’una magra, inanellata di ori e diamanti, l’altra morbida impreziosita da un anello di turchese.
 
 
Erano tutte pronte, e aspettavano solo lei, il grande avvocato.
Carrie indossava un lungo abito di cotone blu elettrico e sorseggiava il suo caffè massaggiandosi la testa dalla stanchezza, mentre Charlotte controllava se la connessione con Samantha fosse ancora attiva: l’avrebbero sentita via Skype, chiedendole consigli per la riuscita delle festa.
“Non ricordo mai, che ora sarà da lei?” Chiese Carrie, sistemandosi l’orlo dell’abito.
“Dunque qui da noi ora sono le nove, quindi a Los Angeles saranno le sette di sera! Avrà già finito in ufficio, non credi?”
“Sì, a meno che non stia facendo ginnastica…”
“No, mi aveva detto che non andava più in palestra.”
“Appunto, non ha bisogno di pagare per fare esercizio…!”
Entrambe si guardarono e scoppiarono in una risata di stanchezza, ma vennero sorprese dal trillo del campanello. Miranda.
Arrivò in salotto tutta trafelata: “Scusate, ma pare che se non sono io che metto le mani nei cassetti (che dovrebbero essere rovistati dalla mia segretaria) lo studio non va avanti. Mi chiedo perché la pago se poi sono io a chiudere l’ufficio!”, sbuffò lei, sedendosi sul divano, “Eccomi qui, sono tutta vostra!”
“Ma le ragazze?” Chiese Carrie.
“Oh, Lily è ancora sul set di un servizio a Central Park, dovrebbe raggiungerci tra un’ora. Rose è di là, tra poco arriva… allora? Abbiamo proposte per la festa?”
Samantha gracchiò dall’altro capo del mondo qualcosa di incomprensibile: Carrie posizionò il pc sul tavolo in salotto e salutò l’amica con la mano, cercando di farsi vedere.
“Voglio vedere la mia nipotina, Goldenblatt! Vai a chiamare Rose!”
“Sono qui, zia…!” Rise Rose, sedendosi accanto alla madre.
“Oh, mia dolce rosellina! Come stai? Meglio di stamattina?”
Charlotte si voltò verso la figlia: “Cosa…?”
“Sì, sì, Sam, grazie, molto meglio. Ti racconterò! Allora, diamo una stretta a questa festa?”
Carrie la salvò in corner: “Sì, io ho già un sacco di idee e… Miranda?”
Tutte si voltarono a guardare la rossa intenta a smanettare sul suo immancabile Blackberry.
“Ok, d’accordo, ci sono… scusate se IO HO UN LAVORO!”
“Non è ora che tu vada in pensione, Miranda?”
“Ma senti questa sfacciatella! Charlotte, sei sicura che sia figlia tua?”
“No, è tutta mia…” commentò Samantha dallo schermo, “…ora ci vogliamo dare una mossa?”
“Bene,” disse la padrona di casa, tirando fuori una cartellina e una penna; inforcati gli occhiali spessi guardò le altre e disse: “Allora, proposte?”
“Burlesque…?” abbozzò Carrie.
“Oh sì, adoro le piume e i lustrini; mi mancherebbero solo calze a rete e poi avrei la mia vagina insaccata come un salame!” Commentò Sam.
“Allora… antica Grecia! Tunica lunga e bianca, e fine della storia!” Esclamò Miranda.
“Sì, e poi il bianco fa così Chanel…” disse sognante Charlotte.
“…beh, fa anche molto Valentino ’68, se è per questo…” bofonchiò Rose, ma nessuno la sentì a parte Carrie, che le fece l’occhiolino.
“L’idea della Grecia non è male, si potrebbero indossare abiti bianchi estivi!”
“E allora facciamo una serata in bianco!”
“Ma il bianco è il colore dell’estate, e non stiamo festeggiando la fine dell’estate…?”
“Io mi domando perché la si dovrebbe festeggiare! Arriva l’autunno, farà freddo, sarà triste…!” protestò Rose.
“Tua figlia è molto saggia, Charlotte!” rise Samantha.
“Ok, nessun dress-code sul bianco. Ricevuto!” Concluse Charlotte, tirando una bella riga sul foglio.
“Pensiamo a qualcosa di indossabile anche dagli uomini! Tipo, che ne so… gli anni Venti?”
“Ceeerto, e lo convinci tu Big a mettersi in completo beige di seta e cotone?” Rise Carrie.
“Io puntavo alla brillantina sui capelli, però… possiamo lavorarci!” Commentò Miranda.
“Zie, siete mitiche!” Esclamò Rose, versandosi da bere.
“Portiamo Hollywood a New York! Una bella serata in stile red carpet!” Propose Samantha.
“Samantha… non è male come idea, ma rischia di diventare una cosa snob!”
“Ok, ce l’ho: il grande Gatsby.”
“Ma tu dov’eri prima? Abbiamo detto NO anni Venti!”
“Accidenti… e qualcosa alla Julia Child? Anni Cinquanta e fili di perle?”
“Visto e rivisto. Non c’è altro?”
“Halloween…?”
Nessuno commentò la proposta di Miranda perché la porta d’entrata di aprì ed entrò Lily, gli occhiali da sole addosso e un borsone prontamente abbandonato in entrata.
“Oh, Lily, hai fatto presto!”
“Sì, sono stanchissima…”
“Dai, vieni, stiamo pensando al tema della festa! Ci dai una mano?”
“Mmh… forse dopo…” commentò la modella, chiudendosi in camera per sistemarsi.
“Ho trovato!” Esclamò Charlotte, “Tema cinese!”
Le donne si guardarono: Rose roteò gli occhi in aria e andò in cucina a strafogarsi di biscotti.
“Ehm…”
“Ma sì, a tema floreale, con orchidee, piccoli tempietti decorativi, colori sul rosso e oro, lunghe strisce di seta srotolate in giardino!” Disse Charlotte, cominciando a sognare sulle decorazioni.
“…giardino?” Chiese Carrie, vedendo svanire il suo desiderio di indossare le nuove Loboutin.
“Sì, siamo ancora indecisi sulla location: qui a New York in una villa con giardino oppure negli Hamptons! Il problema è capire se gli invitati saranno più in città o ancora al mare.”
“E se il tema fosse floreale e basta?” Propose Miranda.
“Tutta questa strada per due orchidee e un geranio?” Esclamò Sam, accendendosi una sigaretta.
“Da quando fumi?” Chiese stupita Carrie.
“Da quando le mie amiche sono uscite di senno e vogliono trasformare una festa in una serra!”
“Ma i fiori sono freschi, e belli, e profumati…! E poi sono femminili!” insistette Charlotte, esaltata.
“Ehi, senti qui:” disse Carrie, sistemandosi il vestito, “tu hai due bellissime figlie, e la festa viene organizzata da te, quindi mi sembra giusto che venga espresso qualcosa di te in questo evento, sbaglio?”
“Dove vuoi arrivare?” Chiese Char, preoccupata.
“Tu hai Lily, il giglio, e Rose, la rosa… il tema potrebbe essere il Giglio e la Rosa!”
Miranda e Char si guardarono, e pian piano comparve un sorriso sul loro volto. Samantha tacque.
“Non è male… però…” Charlotte abbassò la voce: “il Giglio mi piace, ma la rosa… è così scontata, e poi fiorisce a Maggio!”
“Mamma!” Esclamò Rose, comparendo sulla soglia del salotto.
“Oh, Rose, non te la prendere, ma sarà una festa importante, e non voglio sembrare così vanitosa e auto celebrativa!”
“Già, preferisci avere una serra di gigli, ma mi raccomando, nemmeno una scontata rosa di maggio… per favore… io esco!”
“Ma cara!”
“Lasciala andare, Char.”
Lily uscì dalla sua stanza mentre Rose sbatteva la porta di casa: “Beh, che ha adesso?”
“Niente, Lily. Niente…” rispose Charlotte, mortificata.
Le amiche non sapevano che fare. Subito tacquero e poi continuarono a proporre altre idee.
Ma nessuna sembrava adatta.
Non più.
 
 
“Ehi Jade, sono qui!” esclamò Rose dall’altro lato della strada.
La sua amica aveva risposto alla richiesta d’aiuto e si era fatta raggiungere al locale dove stava sbevazzando con degli amici.
“Rose! Come stai?”
“Ho avuto momenti migliori… entriamo?”
“Sì, dai, vieni e non pensarci.”
Si tuffarono nella ressa di gente, sotto le luci rosse e blu che guizzavano da un angolo all’altro del locale. La portò al tavolo insieme agli altri della combriccola, e si fecero un giro di shots alla fragola.
“Dio quanto mi fa schifo la fragola!” Rise Rose, scuotendosi i capelli.
“Mi sembrava che fossi tu, piccola!” Disse una voce alle sue spalle.
Rose si voltò e trovò Brady con alcuni suoi amici.
“Oh, è la mia serata fortunata! Ho fatto bene ad uscire! Ciao Brad, tutto ok?”
“Alla grande, Rosey! Sei qui da sola?”
“No, mi ci ha trascinata Jade. Era qui con un po’ di gente.”
“Beh, sono qui con gli altri… Robbie, Harry e Poppy! Ragazzi, questa è Rose…”
“Ciao a tutti, non vi vedevo da un pezzo!”
“…la sorella di Lily Goldy.”
A quelle parole, la mano di Rose che stava stringendo quelle dei ragazzi s’irrigidì e volò verso il viso di Brad, ma Jade la fermò in tempo: “Un altro giro, Rose?”, le propose l’amica.
“Tipregosì.” Disse lei tutto d’un fiato, sorridendo a denti stretti a Brad.
Si scolarono un gin tonic a testa e finalmente la testa cominciò a girarle come doveva.
Ecco, ora era rilassata.
Si sedette in un angolo e ascoltò gli altri ridere e scherzare, cercando di non pensare alle cattiverie involontarie dette dalla madre.
All’improvviso si ritrovò la mano di Brady sulla sua spalla e lui al suo fianco, preoccupato: “Rosey, tutto ok? Ti vedo strana.”
“Per forza, ho bevuto!”
“Ah ah, piccola Rose. Stai bene?”
“Una favola.”
“E cosa ti porta in questi luoghi di perdizione?”
Lei lo guardò: “Tu non dovresti essere a Brooklyn?”
“Non stasera, dovevo aiutare un amico.”
“E l’hai aiutato?”
Brad si voltò verso uno di loro: “Sì, forse.”
“Bravo Brad. Tu aiuti sempre tutti, sei buono con tutti.” Commentò lei, accoccolandosi sul suo fianco.
Lui le accarezzò una guancia e le baciò la fronte: “Che avevi prima?”
“Niente. Oggi è stata l’ennesima ‘giornata Goldy’, ed ero stanca.”
“Ah, ok. Scusami, non sapevo.”
“Tranquillo, ormai è passata. Io vado a casa, avevo solo bisogno di un po’ d’aria.”
“D’accordo. Vengo con te.”
Rose si voltò a guardarlo, stupita: “Scusami?”
“Sì, ti do uno strappo. Sono di strada. E poi non mi sembri nelle condizioni di andare a casa da sola. Barcolli…”
“…ma non mollo!” Rise lei, andando addosso a Jade.
Salutò tutti e si avviò con Brad per le vie di New York.
Le luci sfrecciavano veloci intorno a loro due e gli isolati non erano così infiniti come potevano sembrare. Il tempo tra loro diminuiva, si restringeva, ed era più intenso.
“…e tutti pendono dalle sue labbra come lebbrosi!” Esclamò Rose, alla fine.
“Beh, devi ammettere che è una bella ragazza.”
“Ma certo, non lo metto in dubbio! È anche intelligente! Ma se tutti sapessero quello che fa…”
“Perché, cosa fa?”
“Ah, lascia perdere. Comunque io sono arrivata. Grazie del giro.”
“Beh, già che son qui, ti accompagno su.”
“No, veramente, non serve…” disse lei, abbracciando il ragazzo.
Quello la strinse a sé e le baciò la testa, affondando il viso nella massa di capelli scuri e mossi.
Lei rimase lì qualche secondo, vivendosi quel bel momento più che poteva.
“Dai ti accompagno su. È la mia ultima offerta.” Sorrise lui.
“D’accordo, andiamo.”
Entrati in casa, Charlotte li accolse in ansia e mollò un ceffone alla figlia.
“Ah… pure?” Chiese lei, esterrefatta.
“Non si scappa così. Non mi hai lasciato spiegare.”
“Vedo che l’hai fatto ora, e in un modo impeccabile, direi.” Commentò Rose, le lacrime agli occhi.
Tirò su con il naso, diede un fugace bacio a Brad e fuggì in camera.
Sentì fuori sua madre scusarsi con Brad e ringraziarlo del ‘passaggio’, offrendogli una tazza di tè, ma quello rifiutò garbatamente.
Puntualmente la principessa del Sol Levante fece il suo ingresso trionfale in corridoio, mettendo una gamba velata dal suo baby-doll di seta fuori dalla porta della camera.
Rose vide attraverso la serratura della porta la faccia di Brad farsi di un’unica espressione pietrificata, sbigottita, mentre Lily chiedeva cosa fosse successo.
‘Sì, bravo, fai l’eroe adesso. Mi hai salvata dalle grinfie della città… ma se ti metti in questo casino, chi ti salverà dalle grinfie di quella mantide?’
Rose si tolse i vestiti nel buio della stanza, e rimase in intimo. S’infilò sotto le coperte e guardò fuori dalla finestra.
Anche se ci ripensò a lungo, non riusciva a ricordarsi se quel fugace bacio dato al ragazzo era planato sulla sua guancia o sulle sue labbra.
O forse su tutt’e due.
 
 
-:-:-:-
 
 
Ciao a tutti!!!
So che può non piacere l’idea di un post-SATC, ma ne sono talmente innamorata che mi è venuta la malsana idea di ipotizzare una storia del genere… fatemi sapere che ne pensate!!!
…e se avete suggerimenti… ;-)
 
A presto, il seguito!!!
 
-coco-
 
 

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Capitolo 2
*** Gazza Nera ***


 Sabato 11 Agosto
 
Gazza Nera
 
I capelli rossi le cadevano lunghi sulle spalle, morbidi e setosi, scavalcandosi a vicenda in grosse onde sinuose.
“Miss Hobbes, bentornata!” La salutò il portiere del palazzo.
“Salve Hubert. I Preston sono a casa?”
“Certo che sì, si accomodi pure, le chiamo subito l’ascensore.”
Rebecca arrivò al ventesimo piano del grattacielo e bussò alla porta di casa di Jr.
Le aprì la colf e fece per prenderle borsa e giacchetto.
“No, no, grazie, vado via subito. Jr è in casa?”
“Il signorino si sta preparando in camera sua.”
“Rebbie, per fortuna sei qui! Ho un’emergenza!” Esclamò Jr, sbucando in corridoio.
Trascinò l’amica in camera e la fece rimbalzare sul letto.
“Ok, a me gli occhi: è un aperitivo informale, giusto? Però non voglio sembrare uno straccione… ma nemmeno un fighetto nerd figlio di papà!”
“Jr…”
“E poi, saremo all’aperto? Al chiuso? Che gente ci gira? Mi riconosceranno?”
“Siamo al Pier 7, all’aperto, informali ma in stile navy. Mi capisci?”
“Sì sì, ok, allora vado di bianco e blu?”
Rebecca sbuffò, e con un ghigno a sottolinearle il viso aprì l’armadio di Jr: lanciò sul letto una camicia bianca, un pantalone blu e un foulard rosso a stampa navy.
“Vestiti, e fallo in fretta, è già tardi.”
“Rebbie sei la mia salvezza! Ma questo foulard non urlerà un po’ troppo ‘sono gay, venite a prendermi’?”
“È rosso, Jr, potresti fingerti la dama delle camelie e dire che stasera hai le tue cose. Dai, sbrigati.”
“Oh, rossa, ti adoro! Faccio subito. Saremo noi soli?”
“No, Kenna ci raggiunge là.”
“Ha ancora quegli assurdi capelli rosa shocking?”
“Temo di sì…” La ragazza uscì dalla camera e andò ad aspettarlo in salotto. Dopo qualche istante arrivò Carrie, sorpresa di vederla: “Rebecca! È da un po’ che non ti si vede qui in casa… come stai?”
“Ciao Carrie, tutto bene. Stasera siamo di preparativi, c’è l’aperitivo al Pier 7.”
“Oh, capisco. Jr è nervoso?”
“Nervoso? No… è solo figlio tuo!”
Carrie rise e guardò l’orologio con un po’ di timore. Le sette e venti. A momenti Big sarebbe rientrato.
“Jr muoviti, Rebecca sta aspettando…!” Esclamò la madre, apprensiva, “Ah, Rebecca, non so se tua madre ti ha già informata, ma sabato 25 Charlotte terrà una festa di fine estate. Mi raccomando, devi esserci!”
“Ah sì? E dove si terrà?”
“Non è ancora sicuro, ma so che vorrebbe dare molto spazio a voi e ai vostri amici. Parlane con tua madre, ti saprà dire meglio.”
“Senz’altro! Grazie Carrie.”
“Beh, buona serata, e fai attenzione con il mio ometto…” sorrise la donna, facendole l’occhiolino.
Jr uscì dalla camera e si fiondò alla porta d’entrata, Rebecca dietro di lui.
“Ma ciao mio bel marinaio…” scherzò lei.
“Finiscila, se stasera non ne trovo manco mezzo, giuro che me lo faccio mettere in…”
La porta di casa si spalancò e Big entrò nell’atrio.
Jr strascicò la frase: “…in un conto a parte, gli ho detto, ti pare che paghi tutto io?” disse lui, cambiando discorso.
Rebecca rimase immobile e fece in tempo solo a bisbigliare un lieve ‘Buonasera signor Preston’, che Jr l’aveva già trascinata nell’ascensore, salutando l’uomo con uno sfuggente ‘Ciao papà’.
Le porte si chiusero sotto lo sguardo severo dell’uomo, e i ragazzi si trovarono di fronte le loro facce, sbigottite, riflesse sulle porte patinate dell’abitacolo.
“Non dirmi che non gliel’hai ancora detto.”
“Detto cosa?”
“Lo sai…”
“Non serve, già lo sa.”
“Ma Carrie non fa tanti problemi.”
“Perché mia madre è saggia e ne ha passate di tutti i colori, mentre mio padre, dalla sua bella torre d’avorio, non sa un cazzo di come gira il mondo. Lui con i soldi fa sempre tutto.”
“Anche tu con i suoi soldi fai sempre tutto.”
“Beh, sono giovane, ma non sono mica scemo. Forza, andiamo.”
 
 
“E tu cosa le hai detto?”
“Niente, sono scappata via e Jade mi ha soccorso al Tavern.”
“Pazzesco…” commentò Betty, sbarrando i suoi grandi occhi azzurri e pettinandosi con le mani i capelli biondissimi, “eppure tua madre mi sembrava così simpatica, dolce e gentile.”
“Sì, con Lily! Veramente, non so cosa stia succedendo, sembra ci sia una coalizione contro di me.”
“No, io credo che di te proprio non gliene freghi un cazzo a nessuno, e scusa il francese.” Commentò Carol, sistemandosi il rossetto.
“Grazie, Carol… sei sempre più comprensiva.”
“Ehi, io lo dico per te. Fatti valere, vedrai che qualcuno si farà quattro conti prima di dirti che sei banale.”
“Non ha detto che è banale, ha detto che le rose sono scontate.” La difese Jade, sistemandosi il vestito.
“Va beh, è uguale.”
“Resta il fatto che, uscita dal locale, ho fatto ritorno a casa con Brady, e arrivati di sopra mi ha dato uno schiaffo!”
“Chi, Brady?” Chiese atterrita Betty.
“No, mia mamma!” Rispose Rose, ridendo.
“Oh, quanto mi dispiace.” commentò la bionda, mortificata.
“Fa niente, stasera non ci voglio pensare. Quante fermate mancano?”
Carol guardò la linea riflessa sul suo specchietto da trucco: “Circa due. Prepariamoci.”
“Scendiamo a Whitehall?” Chiese Jade.
Carol annuì e rimise tutto in borsetta. Si avvicinò a Rose, le mise una mano sulla spalla e le sorrise. Mentre le altre si avvicinavano alle porte della metro, Carol le chiese, a bassa voce: “Hai visto anche Jeremy, per caso?”
Rose si girò a guardarla, stupita: “Jeremy? No, non mi pare… perché dici?”
“No, così, tanto per sapere.”
“Risposta sbagliata, Carol. Dimmi perché!”
“Dai muoviti a scendere, sennò ci tocca andare a Brooklyn!”
Le ragazze vennero vomitate fuori dal tubo e salirono in fretta le scalette, tornando in superficie.
Rose non toccò più l’argomento e s’incamminarono verso il Pier.
Il sole stava tramontando alle loro spalle, e la luce ora si faceva sempre più bassa, violacea.
“Chi ci sarà stasera?” Chiese Jade, per rompere il silenzio.
“Oh, i soliti. Probabilmente ci sarà anche il mio cuginetto Jr con Rebecca.”
“Oddio, quella davvero non la posso soffrire!” Commentò Betty, scuotendo la folta chioma bionda.
“Che è successo?”
“Avete presente Milo? Il mio Milo?”
“Milo… Bronson?” Disse Jade.
“Sì, Milo Bronson, l’uomo della mia vita, il ragazzo più elegante che abbia mai conosciuto, con gli occhi più dolci di questa Terra e con…”
“…un conto in Banca a sei zeri.” Concluse Carol.
“Stavo dicendo con il sorriso più bello di tutta New York.” Squittì Betty, sognante.
“Sì, abbiamo capito chi è.”
“Bene. Ho saputo che Rebecca è diventata una delle sue s…” Betty indugiò.
Le altre tre la guardarono, in attesa di quella parola.
Sapevano che non l’avrebbe mai detta.
“Una delle sue tr…”
Rose alzò la testa, cercando di dimenticare per un momento che stavano parlando della sorella di Brady.
“Una delle… oh, insomma, lei va a letto con lui!”
“Ma lui non ha trent’anni?” esclamò Jade, stupita.
“Trentuno.”
“E lei non ne ha tipo… Rose quanti anni ha?”
Rose sbuffò: “Sedici. Ma non è quello il punto. Mi sto chiedendo dove possono essersi incontrati.”
“Sicuramente in un locale, tipo stasera!”
“No, Rebecca è una tipa discreta, se anche ha casini suoi non va a mettersi in mostra davanti a tutti.”
“Allora si saranno visti in privato…!” Suggerì Jade, per poi proseguire sulla via del Pier.
Ormai erano arrivate.
Si piantarono su un tavolino vicino alla balaustra e brindarono insieme, i calici chiari in mano.
“Tua sorella non si muove mai?” chiese Jade d’un tratto, curiosa.
“Oh, dipende – se sa che ci sarà qualche paparazzo in giro, finge di non saperne niente e si presenta al locale più in della settimana in un Valentino candido e impalpabile. Se per caso esce e non trova nessuno a farle scatti da piazzare su qualche rivista di gossip, se ne torna a casa perché ‘domani deve svegliarsi presto per un photoshoot’!” spiegò Rose, facendo il gesto delle virgolette con le dita.
Le ragazze risero, ma Carol rimproverò Rose: “Non devi prendertela tanto; è fatta così, tu lo sai meglio di noi. Perché proprio ora ti scaldi tanto?”
La ragazza non seppe che rispondere.
“Sì, è vero, Lily è sempre stata la diva assoluta in casa Goldenblatt, e la cosa non ti ha mai disturbata, nemmeno quella volta che per la copertina di teen Vogue hanno messo lei frontale e te di spalle.”
“Sì, vendendomi la foto come un richiamo a Nadar… ma per piacere!” Commentò Rose, nervosa.
“È vero, ma solo adesso realizzi il tutto. E perché tanta animosità se hai deciso di non posare più?”
“È proprio perché non poso più che vedo quanto è effimero quel mondo, e quanto invece si può fare di più con la fotografia!”
“Sicura di non aver smesso perché lei è migliore di te?” Chiese Carol, infierendo sulla vittima.
“Beh, che sia di una bellezza sconcertante, non c’è dubbio. Ma cos’ha dietro quegli occhi a mandorla e quei capelli setosi…?”
“Forse niente, ma è proprio questo il punto, no? Deve posare, non discutere un trattato di astrofisica!”
“Sì, Carol ha ragione, perché ti scaldi tanto se sai che comunque chi si interessa a lei non troverebbe nulla oltre al bel visino?”
Rose tacque. Non poteva andare avanti.
Sorseggiò un altro po’ di vino e guardò il bicchiere.
“Oh mio dio.” Commentò Betty.
Rose arrossì. L’avevano scoperta. Alzò gli occhi ma stranamente nessuna stava guardando lei.
“È arrivato! Accidenti e ora che faccio?” Cominciò a dire Betty, in preda al panico.
Milo aveva fatto il suo ingresso al Pier e stava scherzando con alcuni amici.
Bene, non l’avevano smascherata.
“Rilassati. Anche se fosse, non state insieme. Non puoi dirgli niente.” Disse Jade, accendendosi una sigaretta.
“Sì, lo so, ovviamente! Però… com’è bello…!”
Il ragazzaccio avanzò a passi decisi, la giacca blu aperta sopra la camicia a righe bianche e blu. Si fermò da loro, e avvicinò Betty.
“Ehi, la mia bella biondina! Come stai?” Le disse lui, facendo lo splendido.
Betty si voltò e gli sorrise, sfoggiando il suo sguardo da Barbie Sposa: “Molto bene, grazie. E tu?”
“Oh, una favola…! Ragazze…” disse, facendo un cenno alle altre.
Rose gli sorrise, mentre le altre due si voltarono dall’altra parte.
Milo si avvicinò all’orecchio di lei e le sussurrò: “Sei uno schianto stasera; con permesso…”, per poi tornarsene dai suoi amici.
Betty era su un altro mondo. Un altro pianeta.
Jade e Rose si guardarono.
“Ordiniamo da bere?” Propose Jade.
“Decisamente.” Disse Carol, facendo un cenno al cameriere.
Rose tornò per un istante all’argomento della sorella, e concluse in bellezza levandosi uno sfizio, dicendo: “E la sapete una cosa…? Mette le lenti a contatto azzurre.”
 
 
Lo guardava, come un pesce in una boccia guarda il mare. Non sapeva dove mettere le mani, come muoversi, cosa dire. Solo le frastornanti parole di Kenna la riportarono alla realtà.
“Ehi, Rebecca, sei fra noi?”
“Sì, scusatemi. Che ora si è fatta?” Chiese, distratta.
Tornò a guardarlo, e stavolta anche lui la stava guardando. Gli sorrise e tornò alla sua amica.
“Sono le dieci passate.”
“Aperitivo lungo, eh?” Commentò Jr, la sigaretta in mano, nervoso.
“Ma quanta depressione…!”
“Ha parlato la Natalie Portman dei poveri! Quei capelli torneranno di un colore decente prima della fine dell’anno?” Commentò acido Jr.
“Pensavo di passare all’arancio.”
“Oh mio Dio, Becky, non mi abbandonare con questa pazza, ah!”
La ragazza rise e baciò sulla guancia i due amici, salutandoli in fretta.
“Di già, tesoro?”
“Sì, purtroppo. La metro non aspetta! Ci sentiamo domani pasticcini!”
Lanciò baci all’aria dietro di sé e sfilò via, i tacchi incerti sul legno del Pier.
Si mise le cuffiette e ascoltò un po’ di musica sulla via del lavoro.
Raggiunse il locale notturno dopo cinque fermate della metro e un isolato a piedi. Entrò veloce nel locale, i capelli ora raccolti e il berretto ben calato sugli occhi. Andò al bancone e chiamò il proprietario, Bernie.
“C’è posto di la?”
“Ehi, bimba, benarrivata! Sì, vai pure in camerino, Lavanda arriva più tardi.”
La ragazza imboccò le scalette di servizio e andò ai camerini. C’erano solo altre due ragazze, nuove e un po’ troppo arroganti per i suoi gusti.
“Tu sei quella mascherata?” Le chiesero.
Lei si sistemò al suo banchetto, accese le luci dello specchio e sistemò il suo beauty sul tavolino, lanciando loro un’occhiata fulminante.
“Andiamo, Lizzy, che questa qui ce l’ha d’oro e non vuole sciuparsela.” Commentò l’altra, uscendo dai camerini.
Tolse il berretto e sciolse i capelli e cominciò la vestizione.
Dopo qualche minuto Bernie le arrivò alle spalle e la guardò attraverso lo specchio.
“Ehi, se ti può interessare, un mio amico ha un pub a due isolati da qui. Hanno aperto da poco ma cercano personale. Potresti farci un salto, vedere come va…!”
“Mi vuoi licenziare, Bernie?” Chiese lei, mentre tirava una linea dritta sulla palpebra mobile dell’occhio destro.
“Oh, certo che no, scherzi? Sei una delle migliori qua dentro… è solo che, insomma, finora non ci sono stati controlli, ma tu sei minorenne, e…”
“Non faccio niente se non ballare, Bernie, e indosso pure una maschera. Non corri nessun rischio.”
“Lo so, però…”
“Quanto paga il tuo amico?”
“Cinque dollari l’ora, lo so, però sarebbe un lavoro onesto, gioverebbe anche a te.”
“Sei premuroso, Bernie, ma non posso. Mi servono soldi. Con te arrivo anche a centocinquanta dollari a settimana, se vado dal tuo amico dovrei lavorare di giorno. E io di giorno sono a scuola.”
“Vedi tu, per me fare mille cose insieme e tutte male, è sbagliato.”
“Grazie Bernie, sei molto gentile. Ora fammi preparare tutto. Tra quanto vado in scena?”
“Tra venti minuti. Apri la serata.”
“Bene. I ventagli di piume?”
“Ah già, ho dimenticato di dirtelo. Non hanno trovato nulla di quel che volevi tu, ma arriveranno la prossima settimana. Stasera devi rifare il sado.”
“Porca troia… mi ero preparata il pezzo con le piume! Va beh, fa niente. Allora: stesse luci dell’altra volta, ma mettici un uomo a seguirmi con l’occhio di bue, non so cosa potrei improvvisare.”
“Ok, piccola. Ci vediamo dopo. Buon lavoro!”
“Grazie.” Disse lei, concludendo il suo trucco.
Aprì l’armadietto con i costumi di scena e tirò fuori il completino di pelle nera, cambiandosi d’abito. La parrucca nera che copriva i capelli raccolti faceva risaltare i suoi occhi verdi. Prese la maschera di piume nere e la calò sulla fronte, pronta per entrare in scena.
“Rebecca, muovi quel culo e niente rimpianti.” Si disse sottovoce, dietro il palco.
Le luci ai alzarono e la musica cominciò a rimbombare in sala.
Per tutti, la ragazza sul palco era Black Bird, la gazza nera, per via della maschera piumata che indossava sempre.
La musica si fece sempre più alta e d’un tratto si spense. Cominciò uno schioccare di dita, seguito da un contrabbasso vibrante.
La Gazza guardò chi ci fosse alla console, e vide Lavanda con il suo cd in mano. Maledetta. Le aveva cambiato il brano. Fece appena in tempo a vedere Bernie che la trascinava nei camerini, quando la canzone partì.
Fever, di Peggy Lee.
Nessun problema, aveva un occhio di bue su di sé, le luci avrebbero funzionato lo stesso. Ma doveva improvvisare le mosse.
Si buttò sul palco e con tutta l’adrenalina che aveva in corpo, fece del suo meglio per restare nei tempi.
Solo una cosa la faceva stare meglio: pensare alla strigliata che quella stronza di Lavanda si stava prendendo nei camerini.
Come di consueto scese dal palco e si fece il suo bel giretto tra i tavoli, stando attenta a non superare la zona di galleria, altrimenti sarebbe finita al buio.
Si passò ogni tavolo, e scherzò con una mezza dozzina di clienti, finché non raggiunse il tavolo dodici, e vi trovò il solito cliente.
Si immobilizzò.
Era Milo.
L’aveva seguita fin lì, eppure era sicura che quella sera lui sarebbe rimasto con i suoi amici.
La musica continuava e lei glissò sul tavolo dodici, tornando sul palco. Nel frattempo era magicamente comparsa una sedia, che l’aiutò a concludere il pezzo in un modo pressoché decente.
L’occhio di bue si spense nel nulla e il buio pervase il palco, permettendole di scappare dietro le quinte.
Corse ai camerini e si levò la maschera: “Ti rendi conto di quanto poco professionale sei, Lavanda Rus?”
La ragazza, più alta di lei, era seduta alla sua postazione, in lacrime.
“Non so cosa ti abbia detto Bernie, ma ha fatto bene. È ora di finirla con queste stronzate da prima donna! Io sono qui per lavorare.”
“Mi ha licenziata.”
Per un momento provò pietà per lei, ma almeno per una volta aveva la sua rivincita. E non si era nemmeno sporcata le mani… meglio di così?!
Si sedette al suo banchetto e cominciò a sistemarsi per il numero successivo.
“Non ti facevo così combattiva.”
La voce di Milo la sorprese alle spalle.
“Che cazzo fai qui?” chiese lei, guardandolo dallo specchio.
“Perché non sei venuta a salutarmi prima al Pier?”
“Perché eri in buona compagnia. Non ti servivo.”
“Beh, mi servi adesso. Stasera rimani da me?”
Guardò in fretta l’orologio. Mezzanotte e dieci.
“Non posso, devo lavorare.”
“Bene, io ti aspetto. Qual è il prossimo numero?”
Rebecca si mise seduta sul suo banchetto e fece segno alle altre di uscire. Quelle ubbidirono e chiusero la porta dello stanzino. Lei tirò il ragazzo a sé per la giacca e cercò le sue labbra, fermandosi ad un palmo dal suo naso.
Lui la prese per i glutei e si mise le sue gambe attorno alla vita.
Rebecca gli buttò le braccia al collo e affondò la lingua nella bocca di lui, baciandolo con foga e mordendogli un labbro, alla fine.
“Ahia!” Esclamò lui.
“E adesso dimmi, perché amoreggiavi tanto con la biondina?”
Lui la lasciò andare e la guardò, stordito: “Quale biondina?”
“La Barbie Rinco, amica di Rose Goldenblatt.”
Lui ci pensò un attimo: “Oh, quella! Betty! Ah, lascia stare. È solo una gran bella bambolina.”
“E io no?”
“No, tu sei una gran bella troia.” Rise lui, avvicinandosi a lei, le labbra protese.
Gli arrivò uno schiaffo in pieno viso: aprì gli occhi, confuso.
“Non t’azzardare mai più ad offendermi in questo modo! Ho sedici anni, ma non sono stupida!”
“Ehi, bambola, se vuoi che nessuno sappia che bel lavoro fai e in che posto di merda ci siamo conosciuti, è meglio che te ne stai tranquilla.”
“E tu, se non vuoi una denuncia per abuso di minorenne, leva quelle mani dal mio culo.”
Lui le sorrise e la baciò fugacemente sulle labbra.
“Ti aspetto fuori, prendi la borsa.”
Quella si rassegnò. Si cambiò e raccattò le sue cose. Andò da Bernie, lo ringraziò per la lavata di testa fatta a Lavanda, e chiese di andare via prima, questioni di famiglia.
Lui ciondolò la testa e la lasciò andare.
Quando uscì, il ragazzo era appoggiato al muro del vicolo e si stava fumando una sigaretta.
Lo prese per la nuca e lo baciò di nuovo, ancora, rubandogli poi con l’altra mano la sigaretta.
Fece un tiro e la gettò a terra.
Lo prese per mano e con un ‘Andiamo!’ s’incamminarono per la via.
“Non ti volevo offendere prima.”
“Lo spero.”
“È solo che tu sei il mio piccolo demone, e con te posso scatenarmi e non essere sempre l’imprenditore Bronson, mi spiego?”
“Sì, ti spieghi perfettamente.”
Avanzarono di altri dieci passi, poi lei si fermò: “Vorrei solo che una cosa fosse chiara: tu per me saresti comunque troppo vecchio,…”
“Ma ho trent’anni!”
“…trentuno, e comunque anche se fosse io non voglio nulla di serio. Ci troviamo, nessuno ci vede, scopiamo, mi porti a casa e fine della storia. Chiaro?”
“Chiarissimo.”
“Bene. E ora ti devo chiedere una cosa, ma sappi che non è un invito. Sabato 25 Agosto ci sarà una festa dei Goldenblatt, tipo festa di fine estate, una cosa così. Se ci vieni probabilmente troverai qualche personaggio che potrebbe interessarti.”
“Tipo…?”
“Tipo… amici di Samantha Jones della West Coast. Fatti i tuoi calcoli.”
Lui la prese e la strinse a sé: “Ma sei un genio, piccolo demone!”
“Sì, ora levati di torno. Andiamo a casa.”
“Ti porto a casa tua?”
Lei lo guardò: “Beh, se riesci a farmi venire in macchina da qui a Brooklyn, si può fare.”
Salirono nella limo del ragazzo che aspettava pazientemente alla fine della via e si misero in viaggio verso il ponte.
Rebecca guardava fuori dal finestrino mentre Milo scendeva con i baci lungo il collo, e sempre più giù, sul seno.
Guardava fuori dal finestrino e si chiedeva se quella bionda di Betty sapesse com’era veramente Milo Bronson.
Lui ora le stava sollevando il vestito e con la mano la cercava avidamente.
Guardava fuori dal finestrino e chiuse gli occhi. Si mise a cavalcioni su di lui e lo strinse a sé.
Si chiese se il mattino dopo lui, annusandosi il colletto della giacca, si sarebbe ricordato del suo profumo.
Del profumo del demone.
 
 
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Capitolo 3
*** You're simply the Best ***


 Lunedì 13 Agosto
 
You’re simply the Best
 
“Rose? Ti disturbo?” Chiese Charlotte, entrando piano nella camera della figlia.
Quella mugugnò qualcosa di imprecisato e girò il fianco.
“Sai, l’idea di zia Carrie mi sembra ottima. Voi due sarete il tema della mia festa. Sei contenta?”
La ragazza sbuffò, emerse dalle lenzuola bianche e guardò la madre: “E non sono troppo scontata?”
Charlotte abbracciò la figlia: “Ma no, sciocca! Sono stata troppo scorbutica l’altra sera. Perdonami. Siete i miei tesori più grandi, come potreste essere scontate?”
“D’accordo…” rispose la figlia, con occhio torvo.
“Ora vai di la, parla con tua sorella e decidete di che colore indossare l’abito della festa.”
“Hai già deciso dove farla?”
“Sì, abbiamo pensato agli Hamptons. C’è una villa magnifica che si presterebbe bene al progetto che avevo in mente. Se ti alzi e fai colazione ve ne parlo!” Propose Charlotte, sorridendole.
La ragazza si alzò, sistemò alla meno peggio i capelli e s’infilò un paio di shorts e una maglietta bianca. Sciacquò velocemente il viso e corse in cucina, rubando una fetta di ananas alla sorella: “Sempre in dieta, muso giallo?”
Lily s’indispettì e le diede una pacca sulla spalla: “Finiscila, peste! È l’unica cosa che ingurgiterò oggi! Fammi mangiare, ti prego!”
Rose le lasciò la fetta appena rubata e si sedettero entrambe al tavolo, pronte ad ascoltare la madre.
Prima che la donna potesse parlare, Lily intervenne: “Spero non sia all’aperto! Sai che scocciatura le zanzare…!”
Charlotte si smontò in un secondo: “Ma cara, è estate, dobbiamo farla all’aperto!”
“Sì, come fa tutta New York! Se dev’essere qualcosa di innovativo, facciamola al chiuso.”
“Lily, tappati quella bocca e fai parlare la mamma.” Disse Rose, categorica.
La donna si sistemò i capelli e iniziò: “La festa si terrà negli Hamptons, nella villa di una signora cui papà a seguito l’ultima causa di divorzio. È una casa molto grande, e il giardino ha due zone: una più alta, verso il soggiorno, dove io pensavo di sistemare i drink e il buffet, insieme ad una piccola e modesta orchestrina d’archi, il tutto decorato da divanetti e cuscini sul prato; e poi una seconda zona, dall’altra parte del giardino, in un prato che scende verso il mare, dove ci sono già due piscine – una a fagiolo e una più piccola, rotonda – che io pensavo di tenere per voi ragazzi, così potete divertirvi senza preoccuparvi di fare danni!”
“Oh, ma che bell’idea, mamma!” Esclamò Lily.
Rose roteò gli occhi e chiese: “Chi pensavi di invitare?”
“Beh, voi chiamate chi volete, tutti i vostri amici!”
“Ok ok, d’accordo…” tagliò corto Rose.
“C’è qualcosa che non va, Rose?”
“Assolutamente! Lily, la mamma vuole sapere di che colore avremo i nostri vestiti, così può partire a cercare le decorazioni.” Disse la ragazza, giocherellando con la tazza di latte.
“Beh, non saprei…! Forse bianco?”
“Mmh, è scontato, direi,” spiegò Rose lanciando un’occhiataccia alla madre; “e se fosse rosso?”
Lily s’illuminò: “Sì, certo! Va benissimo! E per la lunghezza?”
“Non so, dimmi tu…!”
“Beh, io farei un bell’abito che fa vedere le gambe, che ne dici?”
“Ok, d’accordo. Visto mamma? Detto, fatto!” Sorrise Rose, alzandosi da tavola.
“Oh, bene, così oggi posso andare a cercare tutto con Carrie. Grazie ragazze…!”
“Figurati!”
Rose sgattaiolò in camera, mentre Lily si perse a guardare oltre le vetrate del salotto. C’era qualcosa che non riusciva a prendere. Non ancora.
 
 
“Dovrei parlarti di una cosa, Carrie.”
“Dimmi. Solo fai in fretta perché tra mezz’ora devo essere da Charlotte. Sai com’è, i preparativi della festa!”
Big ciondolò il capo e si appoggiò al bracciolo della poltrona: “Sì, d’accordo. Sono solo un po’ preoccupato per Jr.”
“Perché?”
“Non lo so, lo vedo strano. Mi pare… diverso.”
“Diverso da chi?”
“Da quello che dovrebbe essere: un ragazzo assennato e responsabile.”
“Jr è responsabile.”
“È ancora un ragazzino e sta giocando con il fuoco.”
“Ma che diavolo stai farneticando? Che fuoco?! Di che parli?”
“Capiscimi.”
Carrie appoggiò la borsa sul divano del salotto e si mise una mano sul fianco, squadrando il marito e ciondolando la testa.
Big abbassò gli occhi segnati dal tempo e si sistemò sulla poltrona, incrociando le dita.
“Non ci posso credere…” cominciò la donna, furente, “…avanzi ancora dubbi. Ancora dubbi! Dubbi su tutto, su di me, su di noi, su tuo figlio! Te ne rendi conto, almeno?”
“Non mi mettere in bocca cose che non ho detto.”
“Le stai dicendo con gli occhi, Big. Ti conosco fin troppo bene.”
Carrie non lo lasciò ribattere: andò da lui e gli mise una mano sulla spalla.
Soffiò, stanca.
“Ti ricordi quei bei racconti assurdi che ci faceva leggere fino a qualche tempo fa?” Gli chiese.
Lui annuì.
“Era un ragazzino, erano baggianate partorite da una testa in subbuglio. Ma ti ricordi come ti facevano sentire?”
Big guardò sua moglie: “Fiero.”
“E devi continuare ad esserlo. Io sono fiera di Jr. Ogni giorno di più. E mi sono accorta anch’io che pian piano sta scoprendo se stesso, ma noi dobbiamo essere qui per lui, non per noi. Non più.”
L’uomo le baciò la mano, gli occhi lucidi.
La donna lo accarezzò sulla guancia e, presa la borsa, s’incamminò verso la porta di casa.
Big, seduto sul suo divano, pensò che, nonostante tutto, avrebbe fatto fatica a lasciare tutto in mano ad un figlio così.
Nonostante tutto, sarebbe stato difficile guardarlo ancora in faccia.
 
 
‘Quando accadrà, no non lo so, ma del tuo mondo parte farò, guarda e vedrai che il sogno mio si avvererà!’
È così che cantava quella rimbecillita di Ariel, la famosa sirenetta della Disney.
Rebecca in comune con la pesciolina aveva solo il colore dei capelli, e il desiderio di far parte di un mondo più alto del suo, oltre il cielo d’acqua.
Ma Rebecca, a differenza di Ariel, sapeva che non sarebbe mai accaduto, o perlomeno non ci sarebbe sicuramente riuscita canterellando una ninna nanna o dando una bacio stampo al primo principe rincoglionito del reame.
Sì perché Milo sarà stato anche il ragazzo più bello dell’East Coast, ma di certo lei non ne era la ragazza più stupida.
Decise di scherzare con il fuoco, e vedere fin dove si spingeva la faccia tosta del bel biondo, che davanti al resto del mondo fingeva di conoscerla appena.
Si diresse al palazzo degli uffici Bronson&Co., ed entrò con passo deciso. Aveva marinato la scuola, ma lo zaino era ben nascosto nel sottoscala di una casa lì a fianco. Si era preparata di tutto punto nel bagno del pub all’angolo: tailleur grigio con gonna al ginocchio a vita alta, camicia di lino bianca, capelli raccolti e occhiali finti da segretaria. Al braccio, una Prada in pelle spazzolata rubata alla madre Miranda, color verde bottiglia.
Sapeva che era solo un capriccio, che la loro non era una storia: non stava cercando niente da lui, né voleva che lui facesse chissà che per lei.
Voleva solo giocare un po’: è così facile scherzare con chi crede di avere sempre il culo parato in ogni situazione…!
Arrivò alla reception, e chiese di farsi ricevere dal Presidente, Allegra Bronson.
La portarono in una saletta d’attesa e si sedette tranquilla.
Accavallò le gambe e cominciò a sfogliare una delle riviste presenti sul tavolino. Non leggeva nulla, usava quel tempo a disposizione per concentrarsi, darsi un tono, scegliere un argomento di cui parlare e una personalità coerente da sfoggiare.
“Prego, si accomodi.” Le disse la segretaria, facendole strada lungo un corridoio, alla fine del quale v’era l’ufficio del Presidente, Allegra, e del vice Presidente, Milo.
L’ufficio di Allegra era molto grande, luminoso ma dai colori sobri. Molto chic.
“Lei è…?” Chiese la donna, guardando la ragazza con occhio stupito.
“Buongiorno, sono Ryan Huggs; lei dev’essere Allegra Bronson?!”
“Precisamente. Cosa la porta qui?”
La ragazza si sedette alla scrivania di Allegra: “È una richiesta stupida, per la quale dovrei consultare un suo dipendente addetto alla scelta del personale, lo so, ma io preferisco un approccio diretto, senza intermediari.”
Allegra incrociò le braccia e si mise comoda sullo schienale.
“Sto cercando lavoro come segretaria, intanto. Poi, si vedrà. Scartoffie, fax, battiti di ciglia, messaggi in codice, tutto quello che serve per far funzionare le cose… ecco, io sono in grado di farlo.”
Allegra si tolse gli occhiali da vista e li ripiegò pian piano, fissandosi le dita.
“Non ho mai lavorato in un’azienda così grande, perciò sono abituata a dire le cose in faccia senza tante moine o scappatoie. Non sono esperta in questo settore, ma sono in gamba.”
La donna sorrise e appoggiò gli occhiali sulla tavoletta di pelle marrone riposta sul tavolo.
Rebecca cominciò a sudare freddo, mantenendo però la calma.
Attese.
Allegra alzò gli occhi e la guardò: “Guardi, signorina, ho solo una domanda da farle: lei conosce per caso il Signor Bronson, Milo Bronson, mio fratello e vice Presidente dell’azienda?”
‘Oddio… dove vuole arrivare?’ Pensò Rebecca, indecisa sul da farsi.
Sulla sua faccia si stampò un’espressione tanto sorpresa, che Allegra pensò di averle fatto una domanda stupida: “Al vedere la sua espressione, non l’ha mai sentito nominare… ebbene, questo mi riempie di gioia.”
Rebecca sospirò.
“Vede, se fosse venuta qui solo per diventare l’ennesima segretaria da letto di mio fratello, non la farei entrare qui nemmeno a Natale, per gli Auguri. Ma vedo che sembra in gamba, seria – per quanto poco serio sia il suo taglio di capelli – perciò non risulta un problema per me. Purtroppo però al momento non stiamo cercando personale, quindi declino la sua offerta e la saluto, cordialmente.” Disse Allegra, dandole la mano.
Rebecca sorrise, ma non le diede la mano: “Guardi che io non ho aperto bocca. Ha fatto tutto lei, da sola, con le sue congetture. E voglio essere sincera con lei: sì, conosco Milo Bronson, so di che fama gode, e francamente la capisco quando esprime il suo terrore nei confronti delle ‘segretarie da letto’,…”
“Io non ho il terrore per…!”
“…ma vede, anch’io vivo a New York City, e vedo quando Milo frequenta locali di liceali figli di papà. E capisco perché è lei ad essere Presidente, e non lui. Ed è per questo che sono venuta da lei a parlare, e non ad un suo sottufficiale.”
“Signorina,…”
“Ma dato che di sottufficiali ne avete abbastanza, la ringrazio per la disponibilità e la saluto.” Concluse Rebecca, dandole la mano.
Allegra gliela strinse e la guardò mentre usciva dall’ufficio. In quel momento arrivò Milo, trafelato e di corsa.
Rebecca lo salutò con una formale stretta di mano, tanto che lui ebbe un piccolo sobbalzo nel vederla lì, ma non capì subito cosa stesse accadendo.
Allegra uscì dall’ufficio e fermò Rebecca: “Signorina Huggs, dove sta andando?”
Rebecca si girò: “Ho salutato il Signor Bronson, posso pure andarmene ora. Buona giornata.”, disse, sparendo in corridoio.
Milo era a bocca aperta: “Ma… lei… che cosa… ti ha detto qualcosa?” Chiese, spaventato.
“Rilassati, voleva solo un lavoro!”
“E tu che le hai detto?”
“Che abbiamo già abbastanza dipendenti.”
“Ah, ecco…!”
“Perché tanta ostilità? Non la vorresti nel tuo album di vittime sacrificali? È carina…”
“Allegra, finiscila! Non vedi che è una bambina?”
“No, io ho visto una giovane donna, in gamba anche!”
Milo era esterrefatto. Era arrivata fin lì. Quella rossa poteva arrivare dove voleva, e la cosa cominciò ad infastidirlo.
 
 
Robbie la stava aspettando al solito pub, e come ogni mattina aveva corso come un pazzo per arrivare in tempo. Tanto lo sapeva, non l’avrebbe portata a casa, ma poteva sempre trovare una scusa per avvicinarla.
Era puntualissima, come al solito: uscì dal negozio della madre, si accostò al muro del vicolo a fianco, si cambiò in fretta e furia le scarpe, passando dalle ballerine super flat al tacco dieci in sughero decorato con satin color carne. Sciolse i capelli e agguantò il telefono pescandolo dalla borsa capiente.
Robbie la guardava, divertito, attraverso il vetro del locale e si preparò seduto comodo al bancone del bar.
Guardò le mosse seguenti della ragazza attraverso lo specchio davanti a lui che rifletteva le scene della strada.
La ragazza fece per chiamare un taxi – dannazione!, ma fortunatamente qualcuno la cercò al telefono. Ora sorride. Ridacchia sul bordo del marciapiede, giocherella con una ciocca di capelli e gesticola con fare teatrale.
Saluta.
Riaggancia.
Guarda l’altro lato della strada.
Incrocia un paio di occhi scuri ma meravigliosi.
Sorride.
Attraversa la strada.
Il campanello del locale sbatacchiò un paio di volte annunciando l’arrivo di lei, e Robbie fece un cenno al barista, come se stesse andando via.
“Che ci fai qui?” esordì lei, le mani sui fianchi.
“Oh, ciao! Ero venuto a prendere un caffè, ne vuoi uno anche tu?”
Lei osservò uno degli sgabelli liberi: “Beh, quasi quasi…”, disse, sedendosi per bene e sistemando le borse su uno sgabello a fianco.
Robbie si rivolse di nuovo al barista: “Ehi, fammi un caffè lungo per la signorina! Offro io…”, e con fare sbrigativo lasciò sul bancone due banconote da un dollaro.
Lei si stava preparando ad una bella conversazione, sistemandosi i capelli e controllandosi allo specchio di fronte, quando lui raccolse il borsello che aveva appoggiato a terra e fece per andarsene.
Le diede un bacio fugace sulla fronte e biascicò qualcosa come: “Stammi bene, devo scappare.”
Dopodiché, svanito.
Era uscito dal locale come una folata di vento, e lei rimase a bocca asciutta!
Non sapeva dove guardare, con la bocca spalancata e gli occhi strabuzzanti.
“Ma… eh… io… ma…” balbettò lei, guardandosi da fuori.
Si rivolse al barista: “Me lo mette in un cartone?” Gli chiese, raccattando tutta la sua roba in quattro e quattr’otto.
Il pover’uomo versò il caffè fumante in un bicchiere di carta e lo porse alla giovane.
Lei lo agguantò e uscì di corsa dal locale.
Il ragazzo camminava a passo spedito a venti metri da lei, e quando sentì la porta del locale sbattere sullo stipite, cominciò a rallentare.
Con le mani in tasca e un’andatura da ‘sono-figo-posso-farlo’, allungò le orecchie per carpire un qualsivoglia rumore da parte della ragazza, voce o strepito che fosse.
Sentì i tacchi farsi più frenetici sull’asfalto del marciapiede, e colse una vena di rabbia della decisione del passo: immaginò che in quel momento lei non dovesse avere una camminata elegante da Quinta Strada.
‘Avanti… un po’ più vicino…’ si disse il ragazzo, rallentando ancora di più.
“Robbie! Dove cavolo stai andando?” Sbraitò lei, cercando di tenere un certo contegno – invano.
‘Bingo!’ Pensò lui, voltandosi con fare innocente.
“Ma ti pare?! Cosa cavolo combini?” Gli chiese lei, esterrefatta.
“Che c’è? Ho fretta, devo andare…”
“…sì, a fare che? Contare i peli del gatto?”
“Ma che hai?”
“Mi offri un caffè e mi lasci lì come una scema?”
“Non ti facevo tanto conservatrice…”
“Non cambiare discorso! Tu credi di poter fare il coglione, sempre e comunque, ma non hai capito niente di come sono io. Io ho i controcazzi, caro mio, e a me non la si fa. Chiaro?”
Lui la guardò, divertito: “Dove vuoi arrivare?”
Lei incrociò le braccia: “Dimmi tu dove vuoi arrivare. Sono mesi che mi gironzoli intorno come uno squalo. Cosa vuoi? Il numero di Lily? Non ce l’ho! D’accordo?”
“Cosa c’entra Lily?”
“Pare ci sia un’epidemia di febbre gialla: Lily Goldy è la preda preferita di quasi tutti gli uccelli di bosco di New York City.”
“Io non sono un uccel di bosco.”
“No, sei un condor.”
Lui scoppiò in una risata isterica e si appoggiò al muro dell’edificio alle loro spalle.
Lei lo prese per un braccio e lo trascinò via: “Non qui.”, disse, dando un fugace sguardo al negozio della madre aldilà della strada.
Proseguirono per un isolato, mentre lei telefonava a chissà-chi, lasciandolo momentaneamente da solo.
Quando ebbe finito, lo sbatté all’inferriata di una casa privata: “Allora, ho capito cosa vuoi. E dato che, in quanto ragazzo, non avrai mai le palle per chiedermelo, ci vediamo stasera alle sette, aperitivo dal Full, ok?”
Robbie annuì, sorpreso.
“Bene…” disse lei, controllando un’ultima cosa sul telefono.
Lui le mise una mano sulla spalla e lei lo guardò, trafiggendolo con i suoi occhi verdi e decisi: “Tutto ok?” Le chiese.
“Una favola! Ora scusa,” disse lei, con fare ironico, “ma devo scappare. Stammi bene.”
Dopodiché sparì in un taxi che aveva appena scaricato due persone.
Guardò la macchina gialla sfilare via, e fece ciondolare la testa dalla giravolta di trottola che aveva appena ricevuto.
“Jade, sei sempre la migliore.”
 
 
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Capitolo 4
*** Tutto in una Notte ***


 Venerdì 17 agosto
 
Tutto in una notte
 
“Rose…?” La voce di Betty era incerta e titubante.
Rose si voltò verso di lei: “Dimmi.”
La super bionda si fece schermo con una mano, e con l’altra indicò il losco individuo sedutole accanto: “Questo… ‘coso’, rimarrà qui a lungo? No perché da piccola non ho fatto l’antitetanica, i dottori non riuscivano a bucarmi il braccio – sai, pelle delicata – e non vorrei mai prendermi qualcosa.”
Rose la guardò, sconcertata.
“Aspetta, forse in borsetta ho alcuni dei fermenti da viaggio. Sai, quelli che si prendono prima di un viaggio in terre esotiche.”
“Betty, che terre esotiche hai visitato di recente?”
La bionda si perse qualche secondo a pensarci: “Beh… il… Nevada? Vale come terra esotica?”
“No. Ma il Messico credo rientri in questa categoria.”
“Secondo te se butto giù una pastiglietta sono fuori pericolo?”
Improvvisamente il losco figuro sedutole accanto la strattonò, tirandole per sbaglio due ciocche di capelli e porgendole una canna appena iniziata: “Ehi, biondina, lo vuoi un tiro?”
Betty inorridì e, dopo aver lanciato un piccolo gridolino di spavento, gli sorrise terrificata: “No, grazie tante.”
“Beh, non sai cosa ti perdi, Blondie. Questa è roba buona…”
“Ehi Poppy, non importunare la Betty!” Intervenne Brady, cercando di aiutarla.
“Mica la importuno, le ho chiesto se vuole un tiro ma questa… se la tira! Ah, ah, ah, l’hai capita, no? Tiro, se la tira…! Ah ah ah… ok.” Disse lui, ripiombando nel silenzio più assoluto, nascosto dagli occhiali rotondi e neri.
Betty fece per alzarsi ma Rose la trattenne.
La bionda la implorò con lo sguardo, ma Rose non le badò.
“Questo qui è un potenziale killer. L’ho letto su Hey!magazine…!”
“Ah sì?, e che c’era scritto?”
“Che i killer di solito indossano anfibi di pelle borchiati, occhiali scuri per non farsi riconoscere, magliette nere con qualche stampa banale che non dia nell’occhio e pantaloni strappati – o jeans attillati, dipende dal killer.”
Rose la guardò, ancora più sconcertata: “Secondo Hey!magazine, tutti i metallari sono killer?”
Betty rimase a pensarci un po’ di più.
Molto di più.
Finché Poppy non sputò ai suoi piedi dopo uno scatarrone degno di uno scaricatore del porto di Bogotà. Se mai Bogotà avesse un porto.
Allora Betty scattò in piedi e si spostò nel lato opposto del tavolo.
Il locale era pieno di personaggi discutibili, pittoreschi, ma certo, originali. Decisamente tutto un altro mondo rispetto all’Upper East Side, e Betty si sentiva come una bambola di porcellana in un negozio di pneumatici.
 
 
Era una situazione imbarazzante, in cui tutti guardavano tutti, sapendo ciò che non si può dire ma fingendo indifferenza e nonchalance.
Erano tutti lì: Rose e Brady, amici fraterni da una vita, messi insieme dal destino ma divisi dalle aspettative adolescenziali di lui di gironzolare per New York con una modella al suo fianco; Jade e Robbie, che ormai si inseguivano da mesi senza arrivare a nulla; Jeremy e Carol, indifferenti l’uno con l’altra, ma legati da una forte amicizia… che Carol vorrebbe far evolvere in qualcos’altro.
E Betty, certo.
La bambolona bionda che apparentemente nulla c’entrava in quell’ambiente, e che ora sognava di sorseggiare una flute di pinot grigio a fianco del suo Milo. Suo, però, non lo sarebbe mai diventato finché lei trascorreva le sue serate al fianco del fratello di Milo, Harry per l’appunto, che non la degnava di uno sguardo perché tutto concentrato su Rose.
Ebbene sì, Harry il biondo e splendente – degno fratello di Milo (buon sangue non mente) – da qualche tempo gironzolava intorno alla Goldenblatt junior, senza sapere cosa provasse lei per l’amico pel-di-carota, e senza fare un solo passo verso di lei.
Maledetta timidezza.
Ma erano così i giovanotti della New York Bene, tanti pensieri, tanti sogni, ma mai un passo falso per non risultare patetici.
Ad un certo punto Harry si alzò, sorprendendo tutti: “Ragazzi, che ne dite di andare in un altro locale?”
Betty schizzò in piedi: “Sì. Completamente d’accordo.”
Rose sorrise e raccattò la borsa, mentre gli altri si dirigevano all’uscita.
Brady le passò accanto e le mise una mano sulla spalla: “Tutto ok?”
Lei annuì.
“Ti vedevo strana, sei stanca?”
“No, no, tutto tranquillo. Mia madre è super indaffarata per la festa, e ha trasmesso la sua ansia anche a noi, povera prole!” Ridacchiò Rose, mentre Brady le accarezzava un fianco facendole segno di uscire.
Jeremy cercò con gli occhi Poppy, e lo vide mentre schiacciava un pugno amichevole ad un amico comune, tale Mike degli Stooges, band underground del quartiere.
Carol lo raggiunse, e guardando fissa davanti a sé gli diede un urtone per passare. Era sempre nervosa davanti a chi le piaceva e fingeva incazzatura per vincere la timidezza.
“Carol, che fai?” Chiese lui, reggendosi ad una poltroncina a lato.
“Oh scusa, eri in mezzo ai coglioni!” Lo accusò lei.
“Sempre raffinata ed elegante, mi raccomando!”
Lei si voltò, facendo brillare il caschetto mogano alle luci del locale: “Raffinata ed elegante? Non è roba per te, Jeremy…!” Gli disse lei, firmandogli la guancia con un bacetto innocente.
 
 
Tutti uscirono dal locale, diretti ai taxi a bordo strada. Betty rimase indietro, un tacco le si era incastrato sulla grata a lato dell’entrata del locale.
“Rose! Jade! Aspettatemi! Che cavolo, lo sapevo che era una brutta idea venire qui…!” piagnucolò la ragazza, strattonando la caviglia, cercando di liberarsi.
Con la confusione della musica che usciva dal locale nessuno dei ragazzi si accorse di lei, e salirono tutti nei taxi, un po’ brilli.
Betty stava per piangere. Nessuno l’aveva mai dimenticata, a parte sua madre una volta, da piccola, in una spiaggia privata di Miami.
Si sentì un grosso rombo provenire dalla strada e Betty alzò gli occhi: “Un raduno di motociclisti? Ci mancava solo questo!” Esclamò, vedendosi sfrecciare accanto Harleys e Eagles di ogni sorta.
Tornò alla caviglia e decise di slacciarsi le scarpe – avrebbe fatto prima!
Ma proprio mentre stava sfilando il piede, una luce la puntò e un braccio la prese saldamente per la vita, trascinandola via.
“Blondie!”
Betty cacciò un grido di spavento e si trovò a terra, le gambe per aria, la borsetta sporca di nero asfalto e la scarpa – prima incastrata nella grata – ora era stata rovinosamente calpestata dalle ruote della moto che stava per investirla.
Sbarrò gli occhi.
Trecentocinquanta dollari di scarpe buttati nel cesso.
E avevano avuto solo cinque ore di vita.
Voleva piangere, ma non lì, non davanti a tutti quei killer famelici di bionde borghesi.
Fece per alzarsi, ma il braccio sconosciuto ancora la teneva stretta. Si voltò. Ora davvero volle piangere.
“Blondie, tutto ok? Niente di rotto?”
Poppy era intervenuto poiché ritardato da un amico trovato all’uscita del locale, e aveva visto tutta la scena.
Betty cominciò a fare il labbro tremulo: “Sì. Tutto ok. Ma si è rotta la scarpa. E la borsetta.”
“Alzati, veloce!” Le disse lui, issandola con forza, facendola quasi volare: quel corpo magrolino ne aveva di muscoli!
Lei raccolse tutto in fretta e furia, e si fece trascinare per una mano dal rockettaro. Arrivarono troppo tardi, i taxi erano già partiti.
“E adesso che facciamo? Oddio, dovevo starmene a casa!” Piagnucolò ancora Betty, asciugandosi gli occhi.
“Poche storie, c’è sempre la metro.”
La bionda lo guardò sconvolta: “Ma mi hai vista? Sono sfatta, senza scarpe, tutta sporca, con il trucco sbavato… e tu vuoi andare in metro? Mi prenderanno per una barbona!”
Poppy si accese una sigaretta, calcò gli occhialini scuri sul naso, e, le mani in tasca, si diresse alla metro più vicina.
“Mi hai sentita? Io non ci vengo in metro!”
Il ragazzo non si voltò.
“Ehi! …Poppy?! Mi senti?” Insistette Betty, invano.
Con due sbuffi e un’asciugata di ciglia, s’incamminò anche lei, le scarpe in mano, cercando di sfuggire agli sguardi dei passanti.
Arrivarono all’entrata della metro e scesero in fretta le scale, tenendosi per mano. Uno sguardo alle linee, e poi via, al binario.
Dovevano aspettare due minuti, e la galleria era vuota, illuminata dal freddo neon e con la classica puzza di metropolitana che a Poppy piaceva tanto. Si sedette su una sedia, e allungò le gambe su quella a fianco.
Betty si mise composta un sedile più in la, la schiena dritta, le scarpe in una mano mentre con l’altra si sistemava i capelli.
Poppy la guardò.
Tirò di sigaretta e si alzò, facendole segno di fare lo stesso.
Le guardò il vestito – un vintage anni ’50 bianco con sottogonna grigia, il tutto sporcato da sgommate nere di strada.
Si sganciò una delle cinture borchiate che aveva addosso e gliela mise in vita, stretta e un po’ cadente davanti, stropicciandole la gonna per far vedere di più la sottogonna; le tolse il cerchietto bianco dalla testa e le scompigliò i capelli – specialmente sul ciuffo; si bagnò i pollici e sbavò il trucco sugli occhi, tirando l’ombretto verso le tempie.
Betty era talmente sconvolta che si lasciò fare tutto, inerme.
A lavoro finito si guardò riflessa sul vetro di uno dei distributori automatici della galleria e rimase scioccata: “Sembro… sembro… una pazza fuggita da un manicomio.”
“No, così sei figa. Hai carattere, e cattiveria.”
“E tu sei uno stilista, forse?” Chiese lei, sarcastica.
“No, mia sorella lo è. E vedo come veste le sue modelle quando fa i servizi fotografici. Ora non ci vai molto lontana, sai?” Le disse lui, con un mezzo sorriso.
La metro arrivò e lui la prese per mano.
Betty s’illuminò al complimento di sentirsi come una modella e, mentre entravano nel vagone, non riusciva a staccare gli occhi di dosso da Poppy.
Si fece trascinare dentro senza tanta resistenza. Forse aveva solo bevuto un po’, ma ora quel potenziale killer cominciava a starle simpatico.
Il telefono trillò un secondo, prima che la linea sparisse del tutto. Betty controllò: era un messaggio di Rose, preoccupata.
‘Betty, dv cazzo sei? tt ok? Chiamami!’
La bionda fece per risponderle, ma uno scossone della carrozza la fece sbattere sul petto di Poppy. Si aggrappò ad un palo alle loro spalle e si vide riflessa nel vetro di fronte.
Effettivamente, conciata a quel modo non sembrava nemmeno lei.
E vicino al Poppy, non era così stonata.
Due rockettari di ritorno da un concerto.
O due fattoni in cerca di roba.
Fa lo stesso, insieme stavano bene.
“Blondie, reggiti, qui non siamo in taxi.” Le sorrise lui, nascosto dietro gli occhialini.
Lei si aggrappò al chiodo di pelle e attese la fermata, paziente.
Era spaventata da tutto ciò, ma – non sapeva come – si fidava di quel pazzo.
E la cosa la disturbava.
 
 
“È un locale per soli uomini, ma non credo facciano storie se venite anche voi.” Esordì Harry, imboccando una strada laterale.
“Soli uomini? Ma ci hai incastrate! E noi che facciamo tutta la sera?” chiese Carol, scocciata.
“Ma non è un night club! È un locale normalissimo, ma da mezzanotte in poi si apre una zona nel retro simile a un privé, e ci sono delle ragazze che ballano, ma niente di che!”
“È un night, te lo dico io.” continuò Carol, le braccia incrociate.
“Vi dico di no!”
“Beh, a me interessa…” ridacchiò Robbie, e Jade gli mollò un colpo sul fianco – senza farsi vedere.
“Scusate, e Betty? Dobbiamo aspettarla!”
“Rose, stai tranquilla, sarà con Poppy!” Disse Brady, mettendole un braccio sulle spalle.
“Beh, io la chiamo…” concluse lei, allontanandosi dal gruppo e smanettando sul cellulare.
Jeremy buttò l’occhio dentro al locale e si rivolse poi ad Harry: “E tu questo posto come lo conosci?”
“Ah, una volta – ero più piccolo – ho seguito mio fratello e ho visto che entrava qui.”
“Quanto tempo fa?”
“Ah, cinque o sei anni fa.”
“Bene, se ci va Milo Bronson, è un posto figo di sicuro!” Disse Jeremy, preparandosi ad entrare.
“Ehi, nessuno sa che va qui, quindi meno gente lo sa, meglio è…!”
“Ok, ok… allora ragazze, venite?”
Il gruppetto si ricompose ed entrarono nel locale, curiosi.
Jade avvicinò Rose: “Allora?”
“Non mi risponde, ma mi ha mandato un messaggio dicendo che sta bene, che è in buona compagnia e che ci racconterà tutto domani.”
“Con Poppy? In buona compagnia?!?”
“Avrà trovato qualcun altro…!” Spiegò Rose, entrando con l’amica e andandosi a sedere al bancone.
Trattennero Carol e lasciarono che i ragazzi andassero nel privé.
Il barista si rivolse alle ragazze: “Che vi porto?”
“Un gin tonic e due bianchi secchi.” Disse Carol seguendo con gli occhi i ragazzi.
“Subito.”
L’uomo cominciò a trafficare con i biccheri e Rose chiese, curiosa: “A che ora iniziano gli spettacolini?”
Bernie si voltò: “Ragazze, potete andare a vedere, se volete, ma non c’è molto per voi!”
“Ma le ragazze… si spogliano?”
“Alcune sì, altre no. Non sono un pappone, lascio decidere loro cosa vogliono fare, ma non c’è nulla di porno in tutto ciò – ve l’assicuro!” Spiegò lui, appoggiando i bicchieri sul bancone.
Rose sorrise soddisfatta, e sorseggiò il suo bianco.
D’un tratto dal privé scappò dietro il bancone una ragazza con i capelli neri a caschetto, vestita di piume e perle.
“Bernie!” Lo chiamò, abbassandosi sotto il bancone.
L’uomo fece segno alle ragazze, e sparì anche lui.
Jade e Rose si guardarono, ridacchiando.
“Allora, andiamo di la?” chiese Carol.
“Ma fammi capire, caschetto: hai forse puntato Jeremy?” Chiese Jade, curiosa.
“Sì. E allora?” Era inutile fingere, erano le sue migliori amiche.
“Beh, se non ti è arrivata la voce, va dietro a mia sorella…” disse Rose, allungando le labbra sul bicchiere.
“Tuo fratello?!?” Esclamò Bernie da sotto il bancone.
Jade si sporse per vedere che succedeva, ma Rose la tirò sullo sgabello.
“Rosita, l’intera New York va dietro a tua sorella…! Quindi non è un problema.”
“Ah no?”
“No, perché quando capirà che lei è talmente frigida che non la darà mai a nessuno, allora si volterà e forse mi troverà lì.”
“Ti stimo per il ‘frigida’, ma dubito cambierà idea facilmente. È un uomo.”
Bernie riemerse dal bancone e si sistemò i capelli, mentre la ragazza mascherata sgusciava dietro una porta, diretta alle scalette di servizio.
Il barista fece segno ad una cameriera di avvicinarsi. La bionda arrivò subito e appoggiò il vassoio al bancone.
“La Gazza si ritira, vai tu al posto suo.”
“E tra quanto?” Chiese lei, con voce trascinata e frivola.
“Tre minuti, datti una mossa!”
La bionda zampettò di la e le ragazze si guardarono, scoppiando in una risatina di scherno.
“Ah, ragazze…”
“Che succede?” Chiese Jade, curiosa.
“Una delle mie ballerine non può esibirsi: dice che è appena arrivato suo fratello e non vuole correre rischi.”
“Ma non era mascherata?”
“Gliel’ho detto, ma non vuole saperne! Domani mi sente…!” Disse lui, tornando alle sue faccende.
“Beh, Jade, tu non hai niente da dirci?” Chiese Carol, buttando giù il gin tonic.
“Sì, beh, sono uscita con Robbie.”
Rose quasi si strozzò: “Scusa?! E aspetti adesso per dircelo?”
“Ma non è successo niente. Fate conto di vedere noi tutti in compagnia un pomeriggio al parco, solo che eravamo solamente io e lui.”
“E basta?”
“Sì! Nessun bacetto, o carezza, o coccola insulsa. Abbiamo chiacchierato un sacco, è stato bello!”
“Per te, forse, ma non per lui.” Commmentò Carol.
“E non sei gelosa che lui sia di la?”
“No. Non siamo insieme.”
Ci fu un momento di silenzio.
Tutte e tre sorseggiarono i loro drink.
Sospirarono.
Si guardarono in faccia.
Due secondi dopo, gli sgabelli erano liberi e loro si stavano intrufolando come ladre nel privé.
Fecero per sedersi, ma Rose venne trattenuta da un abbraccio estraneo che la trascinò dietro ad una colonna.
“Ce ne hai messo di tempo…” le disse lui, ad un orecchio.
Rose si girò e rimase sorpresa: “Harry? Ma che fai?”
“Hai visto che bel posticino? Ah, ah, ah…”
“Sì, ho visto! Ma sei ubriaco?”
“Un po’, forse. Ma meglio così.” Le disse, accarezzandole una guancia: “Sei proprio carina stasera…”
Rose sgusciò via imbarazzata, ma lui la prese saldamente per un polso.
Lei si fermò, non era il caso di farne una scenata.
Alzò gli occhi e vide Brady voltato verso di loro che assisteva alla scena, un po’ perplesso.
‘Oh, no…!’ Pensò lei, facendo resistenza.
“Rose, vieni, ti porto in un posto che…”
“No, grazie, sto bene qui.” sbottò lei, cercando di tornare dalle ragazze che non si erano accorte della sua assenza – troppo prese dagli stacchetti delle ballerine (l’invidia femminile).
“Eddai, perché te la tiri tanto?” disse lui, avvicinandosi a lei ancora di più.
La musica di sottofondo certo non aiutava – una base di tango argentino molto lento e sensuale.
“Cazzo, Harry! Che fai?”
Gli occhi blu del ragazzo le scavarono l’anima e quel viso perfetto nascosto sempre per timidezza ora le sembrava totalmente diverso.
Il giovane le prese il volto e le diede un bacio leggero sulla guancia e scese fino al collo. Rose lo allontanò dolcemente e lo guardò bene: “Harry. No.”
Lui mollò una sberla alla colonna che risuonò nella saletta. Tutti si girarono e fu molto imbarazzante. Rose fece un passo indietro. Guardò Brady che si era già alzato, pronto ad intervenire.
Guardò le ragazze, esterrefatte.
Si tirò i capelli dietro le orecchie, e mentre la musica riprendeva a suonare, uscì in fretta e furia dal locale, seguita dalle ragazze.
“Rosey, dove vai?” Le chiese Jade, seguendola sul marciapiede.
“Vado a casa. Voi tornate pure dentro, non c’è problema.”
“Ma che è successo?”
“Harry c’ha provato e io l’ho respinto. Ecco tutto.”
“E perché? È un figo!” Esclamò Carol.
“Ah, lasciamo perdere. Dai, tranquille, ci vediamo domani!” Tagliò corto lei, andando verso la strada principale.
Le ragazze tornarono dentro e si rimisero a sedere, mentre Robbie cercava di far ragionare Harry, furente.
Brady si avvicinò a Jade: “Sta bene?”
“Sì, sta andando a casa, era anche stanca.”
“Mmh.” Disse lui, tornando dall’amico.
Harry finalmente tornò a sedere e si mise tranquillo.
Jeremy andò dalle ragazze: “Penso sia meglio andare a casa, che dite?”
“Che c’è? Nessuna squinzia di tuo gradimento?” Rise Carol.
Brady si avvicinò mentre sosteneva Harry: “Dai, andiamo. Ci torneremo noi uomini una serata in cui non ci sono le ragazze a rovinare tutto!” Rise lui, battendo un cinque con Robbie.
Uscirono tutti dal locale e si divisero, ma mentre le ragazze s’incamminavano verso i taxi, Robbie le raggiunse, staccandosi dai ragazzi: “Per portare un ubriaco, in due è sufficiente!”
Carol raggiunse la casa per prima, e lasciò i due piccioncini a farsi la strada insieme nel yellow-cab!
“Divertente?”
“Cosa?”
“Vedere tutte quelle ragazze strusciarsi sul palco…”
“Oh, quello… sì.” disse lui, distrattamente.
Lei annuì, in silenzio.
Non mancava molto all’appartamento di Jade, e Robbie cominciò a farsi nervoso. Lei era bellissima, con quel vestitino nero scollato e la giacchetta che era tutta un lustrino d’oro! Lui guardò fuori dal finestrino e si passò una mano nei capelli, indeciso.
Si voltò a guardarla e lei era lì, le braccia incrociate e lo sguardo perso nelle luci della città oltre il finestrino. Un ciocca di capelli era scappata dallo chignon sulla testa, e ora penzolava in un’onda morbida disegnandole la curva dell’orecchio e terminando in fili sottili e appena accennati.
Le si avvicinò e prese uno di quei capelli fini; lei si voltò e gli sorrise.
Quegli occhi verdi lo ammazzavano ogni volta. Si rimise seduto e tornò a guardare fuori.
Lei fece lo stesso.
C’era una forza che li tratteneva insieme, ma che impediva un vero e proprio coinvolgimento: era l’Amicizia che terrorizzava Jade. Un rapporto che, se logorato, sarebbe stato impossibile da ricreare.
Il taxi si fermò.
Jade lasciò due banconote al tassista e aprì lo sportello.
Robbie non disse nulla e la lasciò fare.
Ma lo sportello non si richiuse finché lui non si voltò a guardarla, chiedendosi cosa stesse facendo.
Jade era ferma, una gamba fuori dall’abitacolo e pronta ad uscire, ma immobile.
Il ragazzo la guardò con sguardo interrogativo.
Lei fissò gli occhi scuri di lui e lentamente uscì, alzando il vestitino e mostrando l’altra gamba in modo che per lui il concetto fosse chiaro.
Robbie rimase a bocca aperta.
Dopodiché Jade sbatté la porta della macchina e sgambettò verso l’entrata del palazzo.
Il taxi era ancora fermo al marciapiede.
Allora lei si issò sulle punte dei piedi e tirò bene i muscoli delle gambe, per far vedere al ragazzo cosa si era perso, e camminò lentamente, molto lentamente, fino all’edificio.
Chiudendosi la porta alle spalle, sentì il taxi sgommare nella notte.
Salì le scale e finalmente entrò in camera.
Come si sedette sul letto, il telefono trillò.
Messaggio di Robbie.
‘Sono un deficiente.’
E Jade sorrise.
 
 
“Si può sapere che cazzo ti è preso?”
“Ehi, amico, lo sai che mi piace Rose…! Te l’avevo detto…!”
“Sì, certo, come ti piaceva Sally?” Chiese irritato Brady.
“Oh, cristo… sei ancora incazzato per quella storia?!? Maddai, è passato più di un anno ormai…!”
“Sì, dai, lasciamo perdere. Ora ti porto a casa e non rompere i coglioni.”
“Che Sally?” Chiese Jeremy curioso.
“Amico, non te la ricordi?” Disse Harry, riprendendosi dalla sbornia.
Brady fulminò l’amico.
“Aaaaahn, quella Sally! Ok, ho capito, non parliamone.”
“Ecco bravo, aiutami a scaricarlo dal taxi.”
I due scesero dall’auto e portarono il ragazzo fin davanti al palazzo. Il portiere li squadrò, ciondolando la testa: “Signorino Bronson, vuole che l’accompagni?”
“No, facciamo noi, grazie.” Rispose frettoloso Jeremy.
Lo portarono di sopra e, dopo averlo consegnato nelle mani della domestica, tornarono in strada diretti a casa.
Camminarono in silenzio lungo le strade laterali, dove le luci si fanno più basse e la gente più cupa.
Jeremy voleva tirare su il morale all’amico, ma scese il modo peggiore per farlo.
“L’hai più sentita?”
Brady scosse il capo.
Jeremy sospirò: “Mi ricordo, non è stato facile.”
“Per niente. A quel che so è ancora in clinica.”
“Sì, ma dai, non è esagerata? Disperarsi così per un ragazzo?”
“Oh, tu non hai idea di quante cazzate fanno le ragazze pur di non sentirsi sole.”
“Ma arrivare ad un passo dalla morte…!”
“Possiamo non parlarne?”
“Certo…”
I due camminavano fianco a fianco, respirando la vita della notte della città. Non c’era casino in quella zona, e di tanto in tanto risuonava una canzone fuori da qualche abitazione, determinando i loro stati d’animo.
“Chissà Betty che fine ha fatto!”
“Oh, sarà già a casa, la conosco…” disse Brady.
Tornò il silenzio.
“Ma tu l’amavi davvero?” Chiese Jeremy.
“Piantala, Jerry!”
“Lo so, ma se mai ne parli, mai te ne liberi!”
“Me ne sono liberato parecchio tempo fa, e ce ne sono state parecchie che mi hanno aiutato a non pensarci. Non l’ho dimenticata, mi pare ovvio, ma non ci penso più.”
“E allora perché quello scatto?”
“Perché conosco Rose, e conosco Harry, e so che per lui una ragazza vale l’altra, nonostante la timidezza che sfoggia. È come suo fratello, e i Bronson sono così: solo avere, mai essere. E Rose non va trattata male.”
“Beh, certo, è come se fosse tua cugina.”
Brady non rispose. Perché la Rose che aveva visto quella sera era un po’ diversa. Stava crescendo, non era più la rompipalle di dodici anni.
Non era più la piccola Rose.
Ma, di nuovo, non volle pensarci.
E certo, vedere che per la seconda volta Harry gli stava portando via qualcuno che amava, non gli aveva fatto piacere.
E vedere quella scena al pub, di lui che la teneva per un polso, che cercava le sue labbra, che la voleva per sé, fece scattare qualcosa in Brady di molto simile alla gelosia.
No, non amava Rose, ma la vendetta, in quel momento, sembrò molto invitante.
“Ci sei domani alla festa del FullOut?”
“Il FullOut?”
“Sì, hai presente il locale da aperitivo Full? Ecco, ne hanno aperto un altro sulla Nona questa Primavera e domani sera c’è l’apertura estiva.”
“Ma bene, l’inaugurazione di un locale! Come posso mancare?!? Ci sarà anche Lily?”
“Oh, non te lo so dire. Prova a chiederle…!”
Jeremy ci pensò un attimo: “Nah, pazienza. Ci sarà una squinzia anche per me domani sera, o no?!”
I due ridacchiarono e si salutarono.
Brady scese le scale e prese la metro, direzione Brooklyn.
 
 
Poppy aprì con forza il cassonetto e tirò fuori un pacco malconcio. Lo strinse saldamente nella mano destra e con l’altra prese la mano di Betty.
“Dove stiamo andando?”
“Devo suonare, mi aspettano al BlueSide.”
“Ma sai che ore sono?”
“No, non ho orologio. Quando arrivo, arrivo. Tanto per loro è uguale.”
Betty diede un occhio al suo Tiffany: “Ma sono le due ormai!”
“Oh, bene. Arrivo in tempo allora!”
Betty stava per lamentarsi, ma si trattenne. Sarebbe stato inutile e avrebbe rischiato di essere lasciata lì.
“E che c’è al BlueSide?”
“Non c’è niente. Si suona, si chiacchiera, fine.”
“E perché mi ci porti?”
Poppy si fermò un secondo, si sistemò gli occhialini e piazzò una mano sul fianco: “Perché sono un gentleman. Non voglio portarti a casa – odio i quartieri dai quali provieni tu – ma non posso nemmeno lasciarti da sola – a momenti prima ti ammazzavi; quindi ti porto con me.”
“Ma se non mi porterai mai a casa,… dovrò restare sempre con te?”
“Per stanotte sì. Magari domattina torni a casa.”
Betty sentì come una pellicola trasparente staccarsi da lei e andare verso casa. Una parte di sé, quella buona, stava andando a letto, nella sua bella casa di fronte a Central Park, sotto le coperte di lino egiziano e nell’amore dei suoi genitori.
L’altra Betty, quella nata quella notte, aspettava solo di vedere cos’altro le aspettava in quel viaggio improvviso.
“Ma non potremmo chiamare gli altri?”
“Nah, saranno a casa ormai.”
Betty gli sorrise: “Ok. Andiamo.”
“Brava Blondie, così ti voglio!”
Il BlueSide era un negozio di vinili e strumenti musicali che la notte si trasformava in studio di registrazione e forum musicale per tutti gli appassionati di musica ‘seria’.
“Parliamo di rock anni ’60, ’70, l’origine della vera musica, mi spiego…?” Cominciò Frank, il proprietario, mostrandole alcuni vinili leggendari appesi alle pareti. Poppy l’aveva lasciata nelle sue mani per qualche momento, mentre andava a salutare gli altri.
Betty annuì.
“Cioè, per carità, i Beatles – insieme ad altri gruppi, hanno spaccato quello che era la musica comune e han creato qualcosa di sconvolgente per l’epoca!”
“Oh, sì, quelli di ‘All you need is Love’!”
Frank la guardò con occhi di gelo: “Sì. Quelli.” Fece un tiro di sigaretta e tornò al suo discorso, “Insomma, già negli anni Trenta, con il Blues e il Jazz qualcosa si era mosso, ma era sempre musica perbenista, alla moda, qualcosa di codificato e di accettato dalla società, ma è con gli anni Settanta che tutto si rincula, mi spiego? Tutto si ribalta e… Bam!” Frank mollò un pugno al tavolo della cassa, “nasce la Vera Musica Sacra.”
“…Sacra?”
“Quella che parla alla gente, che dice la verità, che parla dei sistemi assurdi impostati dalla società! Mi capisci?”
“Sì.” disse lei, gli occhi sbarrati.
“Ma sai che mi ricordi un sacco le ragazzette degli anni Sessanta? Capelli gonfi, gonne rotonde, sguardo innocente… sei proprio una bella bambolina!”
“Sì, beh, grazie! Ora sono abbastanza spettinata e disordinata, però…”
“Ma no, sei forte!”
“Ehi Frank! Non la molli più adesso? Potrebbe essere tua nipote…!” Esclamò Hugh dal banco vicino.
“Sì, certo… sai, bambolina, io c’ero a Woodstock…”
“Eccolo che ricomincia con Woodstock; biondina, è la fine!” Rise ancora Hugh, sistemando un vinile nella sezione ‘off limits’.
“Woodstock?” Sorrise Betty, “Che c’entra Snoopy…?”
Tutti nella saletta si guardarono attoniti. Quella lì era veramente scema, o era veramente un genio.
Scoppiarono in una risata assurda, quasi tutti piegati a terra, con le lacrime agli occhi e i muscoli addominali in tilt!
“Ehi, Poppy, è forte qui la tua groupie!”
Il ragazzo fece un cenno e sorrise.
“Groupie?” Chiese lei, confusa.
“Non sai nemmeno questo? Le groupie sono le ragazze delle band, accompagnano i ragazzi nel dietro le quinte e stanno con loro… anche dopo, ecco. Sono le loro muse ispiratrici.”
“Oh!”
“E sono famose quelle degli anni Ottanta, soprattutto. E poi certo, alcune diventavano musiciste a loro volta. Come Courtney Love!”
Uno smilzo si avvicinò a loro: “Courtney non è mai stata una groupie! Era già una cantante strepitosa!”
“Sì, sì,” commentò Frank, “come ti pare… e pensati, biondina, le più famose non portavano mai le mutande!”
Betty arrossì: “Come, scusi?”
“Ma sì, erano gli anni Liberi, ognuno cercava un mezzo d’espressione, e per loro era il loro corpo. Niente mutande, alè!, e si sentivano leggere, fresche, sul filo invisibile che divide l’amica dalla zoccola!”
“E funzionava?”
“Cosa?”
“Il mezzo d’espressione?”
“Sì. Certo che funzionava. Ogni membro della band condivideva questo mezzo d’espressione,…!” Ridacchiò Frank, sfociando poi in una grossa risata contagiosa.
Tutti lì intorno risero tra di loro, uno chiamò Poppy e lo trascinò in mezzo a loro.
“Dove l’hai trovata questa bambolina, Poppy?”
“È stato un incontro mistico. Mi ha portato ai confini del raziocinio, e mi ha fatto capire perché lo aborro tanto!” rise lui, mettendosi seduto su uno sgabello, la chitarra acustica su una gamba.
Cominciò a strimpellare un paio di accordi e il gruppo si sfaldò: alcuni andarono nelle tre salette di registrazione, altri cercarono dei vinili, e in tre si sedettero ad ascoltare la musica del Poppy.
Era affascinante con la chitarra sulle gambe, le mani affusolate che correvano sulle corde con una facilità disarmante. Betty era ipnotizzata, e si trovò sorpresa perché MAI nella vita avrebbe pensato che avrebbe potuto intrigarla un personaggio simile.
Eppure quel mondo nuovo, quel mondo oscuro che non aveva mai esplorato, le sembrava molto più Vero e Genuino del mondo del sole, comandato da riviste, borse e industriali.
Si sentiva apprezzata nonostante la sua completa ignoranza in materia di musica. Ed era proprio quella musica che ora nasceva da quel buco nero della chitarra, e che la portava lontano, in posti ancora nuovi, nella sua testa – o in un Universo mai visto prima.
Poppy si fermò, quando vide che erano rimasti solo lei e lui.
“Cosa vuoi che ti suoni, Blondie?”
Lei si risvegliò dal torpore e lo guardò, stranita: “Non saprei.”
“Allora faccio io, qualcosa di soft… questa è ‘Razor’! È dei Foo Fighters, è un gruppo contemporaneo, non puoi non conoscerlo…”
Cominciò un continuo girovagare di note come una cascata cristallina di vento e diamanti. Betty ne era affascinata. Fece finta di conoscere la canzone, e quando lui si mise a cantare – la voce roca e bassa – lei si squagliò ancora di più.
 
Wake up, it’s time
We need to find a better place to hide
Make up your mind
I need to know, I need to know tonight…
 
Poppy alzò la testa e la guardò, con un mezzo sorriso.
 
Sweet and divine
Razor of mine
Sweet and divine
Razorblade shine
 
Patience, my dear
We could spend a lifetime waiting here
Maybe, this time
I hope I get the chance to say goodbye…
 
Betty sorrise. Si alzò e gli diede un innocente bacio sulla guancia.
Lui si fermò.
“Arrivederci.” Disse lei, prendendo le sue cose.
“Ti porto a casa.” Disse lui, scendendo dallo sgabello e appoggiando la chitarra al bancone.
“Non serve, vado da sola!”
“Non esiste, ti porto a casa.”
“…ce la faccio.”
“Ma non è per quello. Lo so che ce la fai. Ma non puoi mollarmi così, Blondie!”
“Non sono la tua groupie!”
“Non ancora…”
Le mise il braccio sulla spalla e uscirono insieme dal negozio, diretti alla metro.
E nella notte, in quella magnifica notte d’agosto, qualcosa nell’Universo si era mosso, perché Betty Johnston capì che al mondo non c’erano solo killer.
 
 
-:-:-:-
 
 

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Capitolo 5
*** FullOut-FourIn – vol. I ***


Sabato 18 Agosto
 
 
FullOut-FourIn – vol. I
 
“Ragazze, allora? Avete pensato a cosa fare?”
La telefonata a quattro funzionava sempre, prima di una festa.
“Tutte con il reggiseno rosso.”
“Ma non è Capodanno…!” Disse Carol, categorica.
Betty si sistemò bene i capelli con le mani e si diede uno sguardo allo specchio, seduta al suo comò bianco candido.
Era la serata-della-follia, ovvero una serata al mese concordata dalle quattro pazze!, in cui tutte fanno una cavolata insieme, che può essere uno scherzo, o un dress-code, o anche un modo di parlare per tutta la serata.
“Betty, è inutile che fai la finta tonta, poi ci devi raccontare della tua serata con Poppy!”
“Non c’è niente da dire. Stavo per farmi investire e mi ha salvata, poi… mi ha caricata su un taxi e sono andata a casa.”
“Ah sì?”
“Sì. Gentile, ma non mi farei mai vedere in giro con uno come lui, dai!” Ridacchiò la bionda, sistemandosi la gonna a pieghe.
“Sì, vero…! Allora, che facciamo stasera?”
“Ma proprio alla serata d’apertura del FullOut dobbiamo fare questa cazzata?” Replicò Carol.
“Certo che sì, è un patto di sangue!” Sentenziò Rose.
“Trucco anni Ottanta?” Propose Jade.
“Ehi, Cindy Lauper dei poveri, calma i bollenti spiriti…! Ci serve qualcosa di non vistoso, qualcosa di segreto, che sappiamo solo noi…”
“Andiamo via senza mutande!” Esclamò Betty d’un tratto, lasciando tutte a bocca aperta.
Carol sbarrò gli occhi.
Ci fu un silenzio imbarazzante, in cui Betty dall’altro capo dell’apparecchio succhiò la sua limonata con la cannuccia azzurra, abbinata alla gonna – ovviamente.
“E questa da dove ti è uscita?” Chiese Carol, incredula.
“Aspetta, Carol. Betty ha avuto una trovata magnifica! Io ci sto!” Esclamò Jade.
“E chi ha detto il contrario?” Ribatté Carol.
Tutte aspettavano Rose: “Ehi, non mettetemi in mezzo. La sottoscritta è entusiasta!”
Risero tutte insieme elettrizzate all’idea.
Quella sera dovevano essere perfette.
“Ragazze, stasera sferrerò un attacco diretto a Robbie.” continuò Jade, il telefono in mano e le altre tre amiche all’altro capo dell’apparecchio.
“Quale sarebbe questo piano?” Chiese Rose, curiosa.
“Beh, sapete, ieri sera sono tornata a casa in taxi insieme a lui. Era sul punto di baciarmi, o di farmi una carezza, non l’ho capito in effetti… però non l’ha fatto. Non ha fatto niente.”
“Magari ti sei sbagliata?” Chiese Carol, cinica.
“Magari ti sbagli anche tu su Jeremy?” Rispose l’amica, seccata.
“Ok, continua…”
“Dicevo, ognuno pensava ai fatti suoi, poi ad un certo punto mi ha accarezzato i capelli, così, senza dire una parola.”
“Zero?”
“Tabula rasa. L’ho guardato, gli ho sorriso, e lui è tornato al suo posto a guardare fuori dal finestrino… ma ti pare?!?”
“Ok, qual è il tuo piano per stasera?” Chiese Betty, curiosa.
“Beh, innanzitutto vestitino rosso fuoco – sapete quanto tira sugli uomini!”
“Giusto!” Risposero in coro le altre.
“E poi tacchi vertiginosi neri, con suola rossa. Quelle che aveva mia mamma in vetrina la scorsa settimana, presente? Ne ho rubato un paio dal magazzino… gliele pagherò…!”
“Ceeeerto!” Continuarono le altre.
“E poi, non lo baderò.”
“Ovvero?” Chiese Rose.
“E cioè lo stuzzicherò, lo cercherò con gli occhi, ma andrò da tutti gli altri!”
“Classico. Non so se funzionerà. Magari lo scoraggi.”
“O magari si sveglia fuori.”
“Mmh… non ne sono così convinta. Prova a sentire zia Sam.” Consigliò Rose, perplessa.
“Ma tu hai più confidenza. Sentila tu.”
“Ok, poi la chiamo e ti dico.”
“Bene, e voi come vi conciate?”
“Io credo indosserò il vestitino in rasatello di seta verde smeraldo.” Disse Rose, “Sono però indecisa sulle scarpe.”
“Quelle nere, borchiate!” Suggerì Carol, “Non hanno anche un nastrino verde sull’open toe?”
“Già, è vero, perfette! E tu, Carol?”
“Non saprei, pensavo ad un tubino nero un po’ stretch con inserti di velo sui fianchi.”
“Vaffanculo, odio i tuoi addominali…” disse Rose, sbuffando.
“Grazie tesoro, anch’io ti voglio bene!” Scherzò Carol, “E poi pensavo a dei tronchetti neri…”
“Nah, metti le Manolo rosse, quelle con i rubini sul collo del piede…”
“Ah, belle! Devo ripescarle… grande, Jade!” Ridacchiò Carol.
Betty tacque.
“Ehi, Barbie, sei con noi?” La chiamò Rose.
“Mmh? Ah, sì. Ci sono.”
“Cosa metti stasera?”
“Mah, non so… mi ispirava l’abitino da cocktail in bianco e nero, quello un po’ Audrey…”
“…ehi, Barbie, guarda che non siamo al revival anni ’60, stasera ci si scatena!”
“Allora non saprei. Boh! Vedo dopo dai… ora scappo, ci vediamo al solito posto?”
“No, passiamo a prenderti noi. Sei l’ultima, quindi arriveremo da te per le dieci… ti va bene?”
“Perfetto! A dopo!” Disse Betty, e riattaccò in fretta.
Le altre rimasero in attesa.
“Okay ragazze, qui gatta ci cova. Non ci credo che non è successo niente col Poppy. Indagherò.” Concluse Rose, “Intanto passo e chiudo, ci vediamo dopo…!”
“D’accordo! Chi parte per prima?”
“Jade, ovviamente!”
“Te pareva… ok, a dopo! Parto per le nove e mezza! Passo da te, Rose… ciao!”
Chiusero la telefonata e si ritrovarono da sole, davanti ai loro armadi.
La preparazione ebbe inizio, rito fondamentale per l’apertura estiva di un locale.
 
 
Scesero dal taxi con fare elegante, non badando agli scatti dei fotografi che le avevano circondate.
“Rose, ma viene anche tua sorella stasera?” Chiese Carol preoccupata.
“Non credo proprio…! Non è il suo genere, questo!”
Erano bellissime, e Samantha – presente all’apertura del locale – quando le vide incedere verso l’entrata fece una piccola lacrimuccia di commozione.
“Ragazze… siete bellissime… sembrate noi quattro quando eravamo più giovani!” Esclamò, salutandole con un grande abbraccio.
“Vediamo se mi ricordo ancora tutti i vostri nomi…” cominciò, andando da Jade; “…tu sarai Jade, con questi begli occhi color della giada! Adoro questo rosso, ti dona da morire – a quanto ne so, poi dobbiamo parlare io e te…!” Disse, facendole l’occhiolino; “E tu devi essere Carol?! Aggressiva con questo tubino nero, ma mi piace! E certo, la mia rosellina Rose! Sei splendida con questo smeraldo di seta! E… oh! Ma sei davvero tu, Betty?”
La bionda sorrise, imbarazzata.
“Sì, è stata una sorpresa anche per noi!” Spiegò Rose.
“Beh, gioia mia, questo oro ti dona da morire! È delicato ma intrigante! E non sbotta troppo con la tua bella chioma bionda… magnifica! E quelle scarpe…!”
“Sì, sono in coccodrillo, come la pochette.”
“Stupenda! Davvero stupenda! Entrate, poi vi raggiungo!”
“Grazie, Sam!” La salutò Rose, per poi fare la sua entrata in sala con le altre.
“Beh, Betty, l’hai davvero conquistata, e anche noi, davvero! Stai benissimo, e finalmente hai osato il rossetto rosso! Ti sta una favola!”
“Grazie, spero di abituarmici per la serata…!”
“Ma sì, non ci pensare! Alcolici, arriviamo!”
La musica era alta, e l’umore pure. Le luci al neon azzurre e viola illuminavano i tavolini neri e trasparenti, e tutti gli ospiti appartenevano alla New York più in voga in quel momento.
C’erano altri due piani superiori, che terminavano nel tetto del piccolo edificio.
Al primo piano c’era la zona più ‘calda’, con musica adatta a ballare e tanta gente che di lì a poco si sarebbe scatenata come se fosse in discoteca.
I piani erano costituiti da ampi spazi centrali e tanti corridoi intricati ai lati, che nascondevano guardaroba, bagni e nicchie adatte agli ‘inciuci’.
Le ragazze entrarono a mo’ di plotone di combattimento, come una forza spartana, pronte a spalleggiarsi e a trarsi in salvo in caso di ‘attacchi esterni’.
Betty trovò subito lo sguardo di Milo, ma lo evitò.
Arrossì come una bambina, e andò al banco degli alcolici, buttando giù uno shot di vodka alla mela verde.
Carol vide Jeremy ma non fece nulla – subito. Avrebbe aspettato che anche le altre fossero occupate, in modo da non dare nell’occhio.
Le amiche portarono Jade da Sam e proseguirono il loro giro.
 
 
“Ma ciao, bella bionda.”
La voce di Milo la fece rabbrividire. Betty strinse il drink tra le dita e si voltò lentamente verso di lui.
“Wow, stasera sei davvero una favola, lo sai?” Le disse piano, avvicinandosi alle sue labbra. lei sgusciò via e gli sorrise, sorseggiando un po’ di gin.
“Scappi?”
Lei scosse la testa.
“Beh, veramente, stasera non vedo una ragazzina, ma una donna. Sei veramente uno splendore. Se non fossi incastrato qui ti porterei via subito, all’istante.”
Betty boccheggiò. Buttò giù un altro sorso.
“Grazie, Milo, sei molto gentile. Hai già bevuto qualcosa?”
“Sì, direi di sì…ah, ah, ah!” Rise lui, rubando una flute dal vassoio di un cameriere; “Cin! Al FullOut!”
I due brindarono e continuarono a guardarsi negli occhi, incerti su come andare avanti.
Di fatto, non avevano punti in comune.
Lui, nelle sfere alte della società newyorkese, ma malandrino dongiovanni dei sobborghi, circondato da donne mascherate e ragazzine ribelli.
Lei, figlia di borghesi, ragazza per bene dentro e fuori, che contava le calorie di ogni mandorla fuori pasto. A parte l’ultima notte, che le aveva fatto tirare fuori un cigno nero prima sconosciuto, ma che aveva prontamente soppresso appena appoggiata la testa sul cuscino.
Forse dei punti in comune li avevano, ma nessuno aveva il coraggio di tirarli fuori.
D’un tratto però qualcosa scosse il bel trentunenne biondo: una chioma ramata che svolazzava verso un corridoio vicino attirò il giovane e lo distolse dalle attenzione di Betty.
“Scusami, bellezza, torno subito.” Le disse, dandole un fugace bacio sulla guancia.
Quella arrossì e si mise a posto i capelli gonfi e lunghi.
Milo percorse il corridoio, arrivando ad un punto cieco. Sentì ridacchiare fuori dalla finestra, e si avvicinò per vedere se si era sbagliato.
No. Non si era sbagliato.
Rebecca era sul poggiolo, abbracciata ad un marcantonio bruno, e se lo stava spupazzando per bene. Quando la vide baciarsi con il tipo, ebbe un sobbalzo. Ma tornò indietro dalla bionda. E le offrì da bere.
“Ti offenderesti molto se ti rapissi ora?”
“E dove vorresti andare?” Chiese un po’ spaventata Betty, ricordando la notte appena passata.
“Non lo so. Con te ovunque sarebbe perfetto.” Le disse, con un sorriso.
Quella si sciolse e tornò a sorseggiare il suo drink.
“Che c’è?”
“Nulla. Mi domandavo cosa ti avesse fatto cambiare idea.”
“Che idea?”
“L’idea che hai di me…”
“E che idea avevo di te?”
“Non lo so, quella che hanno tutti – suppongo. Che sono una bambolina senza importanza.”
Lui si sentì spiazzato: sì, perché effettivamente pensava davvero che lei fosse una bambolina senza importanza, e ora quella parvenza di forma di vita intelligente lo aveva sorpreso.
“Ma scherzi? Non penso affatto questo di te! Certo, sarai un po’ frivola, ma sei ancora giovane, è normale che sia così…! Secondo me sei molto sexy.”
Lei arrossì.
Rebecca tornò in sala, lontana tre passi dal bruno, e i due si ritrovarono all’altro angolo della stanza e ricominciarono a baciarsi.
Lui la stringeva forte.
“Sei veramente sexy, tesoro. Stasera poi, davvero, non me l’aspettavo.”
Rebecca gli prese il viso tra le mani e lo cercò avidamente.
“Vuoi qualcos’altro da bere?”
“No, me ne hai appena offerto uno, grazie.” Disse Betty, imbarazzata.
“Oh, già, perdonami. Sei troppo bella, vado in tilt.”
Improvvisamente nella testa di Betty emerse un lontano ricordo di sua madre, quando, qualche anno prima, le aveva detto qualcosa del tipo ‘Un complimento di troppo da parte di un uomo è come il pesce dopo tre giorni: puzza.’.
Milo stringeva nella mano un bicchiere di bianco, mentre lei un gin tonic. Lui aveva la testa altrove e lo sguardo perso oltre la sala. Senza farsi vedere, Betty versò un po’ del suo drink trasparente nel bicchiere mezzo pieno di Milo.
Due secondi dopo lui portò il bicchiere alla bocca per inerzia e buttò tutto giù, in un fiato, dal nervoso.
Betty si tirò indietro per evitare lavate di gin e vino bianco. E fece bene.
Una fontana a spruzzo scoppiò dalla bocca di Milo, lavando tre giovani in abito bianco: la morte!
Betty ridacchiò, mentre Milo – mortificato – cercava di rimediare con delle salviette.
La bionda sbuffò e si avvicinò al ragazzo: “Quando hai finito di guardarle il sedere, io sono sul tetto-giardino. Bye, bye!” Gli disse, salutandolo con un frivolo gesto della mano.
Dopodiché proseguì verso le scale che portavano di sopra.
 
 
Samantha ascoltava pazientemente le perplessità della piccola Jade, ma quando si rese conto che la ragazza stava cominciando a ripetere le stesse cose dall’ansia, la fermò, mettendole una mano sulla spalla: “Tesoro, ti fermo.”
Jade la guardò, rimanendo a bocca aperta.
“La vita è semplice. E anche l’uomo è semplice. Noi donne, invece, siamo un casino con le gambe. Ora senti qua: vi conoscete, vi volete bene, se ti vuole davvero possedere del tutto si farà avanti, non temere. Certo, potrebbe avere dei dubbi, ma un uomo non esita. Un uomo, per quello che vuole, fa di tutto. Se ti vuole, ti prende. Se non ti vuole, ti lascia andare.”
“Sì, ma se a me piace… come faccio?”
“Bingo! È questo il problema che attanaglia la donna da sempre, ma io ho la soluzione: folleggia.”
“Folleggio?”
“Sì, vai di fiore in fiore, non fermarti mai. Sbaglia, se ti capita, ma cresci. Non puntarti su di lui. Certo ora ti sembrerà il ragazzo migliore del mondo, ma c’è tutto un mondo la fuori! Lui non ti bada? E tu allora bada a tutti gli altri!”
Jade incrociò le braccia: “Tu sei illuminante. Davvero. Grazie Sam, ti adoro!”
Si salutarono con un schiocco di baci e Jade tornò da Carol.
Da un lato della sala, videro il mitico trio Brady-Jeremy-Robbie darci dentro con tre ragazze molto carine.
Le due si gonfiarono di rabbia. Recuperarono Rose al bancone, mentre buttava giù il terzo Cosmopolitan.
“Rose, dobbiamo passare al contrattacco!” Esclamò Carol.
Rose diede un’occhiata ai tre gigolò, e ridacchiò tra sé e sé: “Tranquille, quelli tra cinque minuti sono scaricati…!”
Carol in quel momento vide passare Betty, e la seguì sul tetto giardino, mentre le due brunette avanzarono a passi decisi verso I Gemelli, ovvero Louis e Daniel McKean, che si trovavano esattamente a fianco dei tre Mariachi.
“Looooouis!” Esclamò Rose, un po’ brilla.
“Ciao Rose, come stai?”
“Una favola! E tu? Sei uno splendore stasera… lasciatelo dire.”
“Beh, dovrei dirtelo io, questo, tesoro!” Scherzò lui.
Daniel prese Jade per un fianco e la strinse a sé: “Ma buonasera, piccola Jade. Ti trovo in forma stasera!”
“E dovevi vedermi ieri, Danny!” Ridacchiò lei, gettando la testa indietro e accorgendosi che Robbie la stava guardando, un po’ scocciato.
Le si tirò su, facendo volare il suo ciuffo morbido, e si aggrappò a Daniel che la tenne saldamente stretta a sé.
“Vieni fuori con me? Nella saletta qui a fianco danno musica d’altri tempi.” Propose Daniel, sorridendole.
“D’altri tempi? Non vorrai farmi invecchiare?!?”
“No, ti porto indietro nel tempo… avanti, fidati! È solo un ballo.”
“Ok, andiamo!”
I due uscirono nel patio e trovarono questa terrazza magnifica, appena sotto il tetto giardino, illuminata da candele e luminarie discrete, con le strutture necessarie a ricoprire il tutto in caso di pioggia. Magnifica.
E in quell’ambiente così romantico, suonavano le migliori canzoni dei film d’altri tempi: Peggy Lee, Marilyn Monroe, Frank Sinatra, e chi più ne ha, più ne metta!
“Le mie scarpe però non sono proprio adatte a questo tipo di ballo…” sussurrò lei, imbarazzata.
“Oh, ma non ti faccio volare con i piedi, stai tranquilla!”
I due si abbracciarono e, sulle note di ‘Incurably Romantic’, ciondolarono dolcemente, senza pretese, senza aspettative, così, come due amanti sconosciuti.
Lui era bravo, la sosteneva senza farla cadere, e la stringeva senza opprimerla.
Lei si gustò quel momento, anche se voleva che al posto di Daniel ci fosse Robbie. Ma non ci pensò. Si tenne fissa in mente le parole di zia Sam: Folleggiare, sempre e comunque.
Una romantica incurabile, sì, lo era sotto certi aspetti. Ma se tutto si riduceva ad un’occhiata fugace in taxi e sole chiacchiere, beh, qualcosa doveva smuoversi.
E se non fosse successo, Daniel avrebbe passato una delle sere più flirtose della sua vita, perché Jade era predisposta al folleggiamento.
Con la coda dell’occhio vide l’amica Rose buttare giù quantità considerevoli di vodka.
Sorrise fra sé e sé, e tornò alle attenzioni del suo cavaliere, che ora la fece scivolare con la schiena per farle fare un bel casché!
Quando la tirò su, non resistette e la baciò. Quella rimase sorpresa, ma rimase al gioco e approfondì il bacio, accarezzandogli il collo.
Daniel la guardò, allontanandosi un momento da lei: “Spero di non essere stato sfacciato.”
“Affatto, mio dolce gentleman! Mi concede un altro ballo?”
“Dovrei chiedervelo io, signorina… accettate un altro ballo in mia compagnia?”
“Lei non accetta un bel niente!” Esclamò Robbie, intervenendo nella coppia.
Jade rimase a bocca aperta.
“Scusami, Daniel, te la rubo un secondo, faccio presto.”
Il ragazzo rimase attonito ma annuì, dirigendosi al banco dei vini.
Jade ridacchiò: “Non ci credo, Robert Stuart che prende l’iniziativa? Che ti succede?”
Robbie la trascinò in un angolo della terrazza protetta da un separé di vetro e la guardò bene, un po’ offuscato dai fumi dell’alcool.
“Sei davvero bellissima.”
“Grazie. Anche se dopo il ballo con Daniel, non basta. Mi sentivo… una diva d’altri tempi!”
Robbie sbuffò e guardò il panorama.
Jade incrociò le braccia, in attesa.
“È che… è difficile…!”
“Cosa è difficile?”
“Tutto! Stasera volevo passare a prenderti, ma sapevo che venivi con le ragazze. Allora ho aspettato che arrivaste, ma poi vi siete catapultate dai Gemelli, e allora…”
“Mi pareva fossi in buona compagnia, al nostro arrivo. O sbaglio?”
“Di chi stai parlando?”
“Delle tre biondine…”
“Ah, quelle! Beh, una era una cameriera, le altre due sono una coppia. Sono lesbiche. E Jeremy le conosce, sono venute a farci un saluto, tutto qui.”
Jade non sapeva come ribattere.
“E poi tu prendi e te ne vai con Daniel? Si può sapere che cosa vuoi?” Le chiese, confuso.
“Ma… io…”
“Sì, certo… forse è meglio che la chiudiamo qui. L’hai pure baciato – per quanto fosse palesemente innocente, dato che Daniel non ci sa fare con le donne.”
“Oh, e tu sì?”
“Scusami?”
“Lasciamo perdere. Torna a divertirti con i tuoi amichetti e dalle coppie lesbo. Io me ne vado.”
“Fammi capire, adesso sei incazzata?”
Jade si voltò, con un grande sorriso in volto: “Ma figurati! Per niente! Vado solo a… folleggiare!”
 
 
Louis accompagnò Rose al bagno, le sciacquò il viso e le bagnò i polsi con dell’acqua fredda.
“Stai un po’ meglio, pazzerella?” Le domandò, sorridente.
“Oh, sì. Grazie Louis! Tua madre è una grande se ti ha educato così…”
“Siamo a posto, adesso parli come mia zia! Dai, forza, ti riporto dalla tua amica!”
Come uscirono dal bagno, beccarono Jade e Louis le scaricò la ragazza, un po’ troppo brilla.
“Rose, ora ti metto a sedere mentre vado a cercare le altre, d’accordo?”
“Ceeeeerto, lasciami qui. Dammi una birra e sono la donna più felice del mondo!” esclamò Rose, appoggiandosi al muro.
Jade l’abbandonò su un divanetto dal tavolino con le birre incustodite, e corse a cercare le ragazze.
La brunetta agguantò una birra già iniziata e se ne scolò una bella quantità, noncurante di chi fosse il proprietario.
Si alzò, ciondolante, e s’infilò nel fitto labirinto di corridoi della sala.
“Ahahahah!!!”
Continuava a ridere, mentre stringeva la birra ormai vuota nella mano sinistra. D’improvviso passò un ragazzo con un bicchiere mezzo pieno di martini, e lei glielo rubò dalle mani, scolandone due sorsi.
Il ragazzo rimase interdetto e fece per insultarla, ma Brady comparì dal nulla e calmò l’amico, voltandosi poi verso la ragazza: “Ehi, Rosey… siamo un po’ brille, eh?”
“Braaaadyyy!!! Ciaaaoooo…!! Ma da quando sei così alto?!?”
“Sei tu che stai scendendo contro il muro, piccola…!” Rise lui, cercando di tirarla su per le spalle.
“Oh, cristo…” Rose appoggiò gli alcolici a terra, gli mise le braccia attorno al collo e si fece tirare su di peso, “Scusami Brady…”
“E di che? È divertente!”
Lei alzò gli occhi, segnati di ombretto nero sbavato, e si avvicinò pericolosamente a lui: “Brady, hai degli occhi proprio… proprio belli.”
“Sì, e tu sei già nel mondo delle favole. Vieni, ti porto a casa.”
“No! Che cazzo, no… una volta che mi diverto!” Protestò lei, sbattendolo al muro.
Jeremy e Robbie cominciarono a ridacchiare e se la filarono, lasciandoli soli.
Brady prese il volto della ragazza e la guardò bene: “Ehi… che fai?”
Le mani di lei lo cercavano sotto la giacca scura, scorrendo tutta la schiena ormai sudata dai troppi balli scatenati e facendola finire abbracciata a lui, al suo petto chiaro e costellato di lentiggini.
Lui la strinse a sé e sentì un profumo di fiori avvolgerlo in un’ondata, senza lasciargli via di scampo.
Le mise una mano nei capelli e ne respirò ancora il profumo, chiudendo gli occhi e sperando di ricordarselo, forse, il giorno dopo.
“Brady…” sussurrò lei, baciandogli poi la fossetta alla base del collo.
“Rose, dobbiamo andare.” Le disse lui, cercando di rimanere lucido.
“Sì, dobbiamo andarcene da qui. Andiamo via, adesso.” Suggerì lei, premendo il suo petto su di lui.
Quello fece un bel respiro e gettò la testa indietro: “Ma che sto facendo…?”
Lei sorrise e fece un passo indietro, appoggiandosi all’altro lato del corridoio.
Lo guardava, con quegli occhi rigati di nero, occhi che parlavano, che gridavano, che sussurravano una via d’uscita.
“Tu sei ubriaca.” Sentenziò lui, cercando di tornare alla realtà.
“Sì, e tu sei un codardo.”
“Ah sì?”
“Sì, non hai le palle di farti una come me. Preferisci fare il bravo ragazzo.”
“Anche tu sei una brava ragazza.”
“Sì. Appunto.”
Brady tirò le labbra in un sorrisino compiaciuto: quel battibeccare con quella brunetta lo stava stuzzicando più di quanto credesse.
Non pensò a quanti pomeriggi avevano passato insieme, da piccoli, quando lei era solo una piccola peste. Non era più la piccola Rose. Era sbocciata. Ora era solo Rose. Ed era pure una gran figa, una di quelle che se non cogli l’attimo, il giorno dopo ti senti un coglione e te ne penti.
Si grattò la nuca, pensando a cosa fare.
Rose perse la pazienza: si mise in equilibrio sui tacchi e gli prese il mento, dandogli un leggero ma intenso bacio sull’angolo del labbro.
“Ciao rosso. Ci si vede.” Disse lei, e se ne andò con passo felpato e un po’ barcollante verso il guardaroba.
Uscì dal locale e si strinse nel giacchetto chiaro, le scarpe alte che la facevano barcollare. L’aria fresca del marciapiede la fece svegliare dai fumi dell’alcool, e si ricordò di Carol: l’aveva lasciata dentro con Jeremy, e Jade con Robbie, e… oh, che palle!
“Cazzo…!” Piantò i tacchi e fece marcia indietro, quando sbatté contro un ragazzo: era Brady.
“Merda! Scusami Brady, prima non ero in me. Cioè… veramente…”
Lui la prese tra le mani e la baciò, senza farla parlare. La spinse lentamente contro il muro dell’edificio che costeggiava il marciapiede.
Cominciò piano, cercando di capire se aveva cambiato idea, con baci delicati e con piccoli tocchi leggeri.
Poi lei gli accarezzò il mento e scese con la mano sul collo, cercandolo sempre di più.
Lui si fermò. La guardò negli occhi, illuminati dalle luci della città. Era davvero bella, ma non si mosse.
Toccava a lei.
Lei avanzò di un passo, prendendogli la nuca. Non servivano parole.
Lo baciò, stavolta con più vigore, stringendolo a sé sempre di più. Lasciò cadere la borsa a terra e si aggrappò alle spalle di lui, tirandolo verso il basso.
Si fece spazio con la lingua e lasciò che lui la stringesse ancora.
Quella calda serata di agosto cominciò a rinfrescarsi, e continuare in strada poteva essere un problema.
Presero un taxi e si fecero portare fino alla settantatreesima strada. Scesero in fretta e Rose fece tintinnare le chiavi fuori dalla borsetta. Salirono in fretta le scale e si lanciarono nel palazzo.
Non sapeva se era la cosa giusta da fare, ma non gliene fregava niente. Finalmente Brady si era accorto di lei, non avrebbe rinunciato a lui.
Davanti alla porta di casa lei faticò ad inserire la chiave nella serratura, e Brady alle sue spalle la cinse per la vita e continuò a baciarla sul collo e sulle spalle, facendosi ora più delicato, ora più aggressivo.
Quando finalmente entrarono, Rose sbatté la porta alle sue spalle e abbandonò la borsetta a terra.
Lo portò davanti alla finestra e aprì gli scuri, facendo entrare la luce della strada nella stanza buia.
Lo guardò ora, con la luce blu che gli faceva brillare i capelli, e gli occhi talmente azzurri da sembrare irreali.
Andò nella piccola cucina per cercare qualcosa da bere, ma lui chiuse il frigo. La fece indietreggiare fino al piano cucina e la alzò di peso, facendola sedere sopra. Le allargò le gambe e si eccitò nel vedere la pelle nuda scivolare da sotto il corto vestito verde. Le accarezzò il ginocchio, risalendo piano nell’interno coscia.
Rose sussultò e sorrise dall’imbarazzo.
Lui proseguì e avanzò con le dita, fino ad arrivare all’inguine. In quel momento Rose ebbe un fugace momento di lucidità: gli slip! Si era dimenticata che era uscita senza e in un rapido riavvolgimento della serata cercò di ricordare se avesse fatto mosse distratte da far vedere a tutti quel che non c’era. Le parve di no.
Lui sorrise a sua volta: non portava gli slip e la cosa, ovviamente, lo eccitava tantissimo.
Lei istintivamente cercò di allontanarlo, ma non era ciò che voleva veramente. E lui lo sapeva.
Rimase fermo, accarezzandole ora la gamba con una mano, e con l’altra cercava di raggiungere la vita, sempre da sotto il vestito.
Protetti dalla discrezione della notte, si lasciarono andare in quell’angolo di casa così oscuro. Rose cercò la testa di lui e gli baciò l’orecchio sinistro, e lui capì di dover continuare.
Scese con la mano e cercò di farsi spazio piano con le dita, mentre lei si scioglieva lenta al piacere. Chiuse e riaprì le gambe in uno scatto, fremendo dall’eccitazione. Brady ricominciò a baciarla e nel frattempo se la lavorava bene, con l’esperienza del donnaiolo che era diventato negli ultimi anni della sua gioventù.
Rose lo cinse a sé con le gambe e lo baciò su una delle sue spalle muscolose, abbandonandosi alle cure di Brady.
Era gentile ma stuzzicante, non ne stava affatto approfittando, cercava solo di darle piacere.
La ragazza d’un tratto emise un gemito di piacere e cercò di scendere dal piano cucina, ma lui interruppe tutto e la prese in braccio, portandola di là.
C’erano dei tappeti arrotolati e buttati a terra. La fece sedere lì, e riprese a baciarla. Lei si stese e lui gattonò sopra di lei fino a farle mancare il respiro. Rose gli sbottonò i jeans e glieli tirò giù per quanto possibile, mentre lui tirò su il vestito leggero che ora risplendeva di un verde brillante.
Rose gli sfilò tutto e prese il membro tra le mani, accarezzandolo piano. Brady si fermò, anche se eccitato, e la guardò bene negli occhi.
Non c’era esitazione.
Aspettò ancora qualche secondo, poi lei condusse il membro di lui verso di sé, e non ci furono altri dubbi. Non una parola uscì dalle loro labbra, non ce n’era bisogno.
Lui si mosse piano sopra la ragazza, e poi in crescendo sempre più verso di lei, sempre più dentro.
Rose cominciò ad ansimare e si mise sopra di lui, sentendolo ora ancora di più, ancora più suo.
Si abbassò su di lui e lo baciò di nuovo, cercando di tenere il ritmo.
Lui le prese le natiche e sollevò il bacino, facendola gemere di piacere.
Il ritmo si fece sempre più intenso, più profondo, interrotto solo a momenti da lenti movimenti che prolungarono il piacere.
In quei momenti, era Brady a gemere e a volerne sempre di più.
Lui la prese e si mise ora sopra di lei, spingendo ancora più forte, con la paura di farle male.
Ma Rose non disse nulla, anzi, assecondò quella spinta e capovolse di nuovo le parti. Ormai erano vicini al muro e Brady si mise seduto, stringendo Rose al suo petto.
Lei sentì un nuovo piacere nascere in lei, e diede altri colpi di bacino, decisi e veloci.
Lui gemette di nuovo: guardò la ragazza negli occhi, serio come non mai, poi scese con lo sguardo e chiuse gli occhi, gettando la testa indietro dall’eccitazione.
Rose socchiuse la bocca, il suo respiro si faceva affannoso e affaticato.
Diede dei forti colpi di bacino, aggrappandosi alle spalle di lui, così larghe e muscolose, così forti e sicure.
Brady gemette per l’ultima volta, e raggiunse l’orgasmo stringendo a sé la giovane Rose, entrambi soddisfatti e sudati.
Il ragazzo le accarezzò i capelli e inspirò quel profumo inebriante.
“Rose…” sussurrò.
Quella non rispose, si sentiva completa, non voleva svegliarsi da quel bel sogno.
“Rose… sei fantastica.”
Lei sorrise e lo baciò sul collo.
Rimasero lì fermi, a ciondolare, per qualche istante.
Dopodiché Rose si alzò, sempre piano, e perdere quella parte di sé fu quasi una tortura. Andò al bagno e fece scorrere dell’acqua fresca. Si diede una sciacquata e poco dopo lui la raggiunse, facendo lo stesso.
Lei cercò di far finta di niente, non voleva essere troppo appiccicosa, adesso.
Ma lui era stato così carino, così corretto, così… tutto!
Riprese la borsetta e fece per andare, ma lui la prese per una mano e le chiese di rimanere.
“Ma non è casa mia, potrebbe arrivare qualcuno domani mattina!” Replicò lei.
Lui la baciò di nuovo e la convinse.
Si sedettero sui tappeti e si accoccolarono lì, in una ormai fresca notte di agosto.
 
 
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Capitolo 6
*** FullOut-FourIn – vol. II ***


Sabato 18 Agosto
 
 
FullOut-FourIn – vol. II
 
 “I tuoi sono a casa?” Gli domandò Alex, fermandosi un istante.
“No, sono fuori, ma se ti sbrighi potremmo darci un mossa entro l’una!” Ridacchiò Jr, afferrandogli la testa e tornando a baciarlo con foga.
Mentre il giovane biondo gli sfilava la giacca, Jr fece tintinnare le chiavi dalla tasca dei pantaloni e cercò la serratura a tastoni.
Infilò la chiave con forza e Alex si bloccò: “Li trovi in fretta i buchi, eh?”
“Quasi sempre.” Ribatté Jr, aprendo l’uscio.
Si catapultarono in corridoio facendo sbattere la porta per via della corrente. Jr subito non ci fece attenzione, ma una delle finestre era aperta, e non per caso.
Andarono verso la camera, ma Alex lo sbatté prima sul muro, aprendogli la camicia.
“No, non così…” disse Jr, con un lamento.
“Che?”
“Mi spogli come se fossi una prostituta! Questa camicia è firmata, se non te ne sei accorto, quindi non strapparla – grazie!” Continuò Jr scocciato.
Alex gli sorrise e lo prese per il collo, sulla nuca: “Va bene, piccolo putto, allora facciamo a modo tuo…”; il biondo lo baciò dolcemente, e con la stessa dolcezza gli sfilò la camicia dalle spalle magre, arrivando al bordo dei pantaloni.
D’un tratto Jr sentì un calpestìo di tacchi nel soggiorno e si bloccò, guardando terrorizzato Alex.
Non fece nemmeno in tempo a rivestirsi che Carrie apparse in corridoio, lanciando un gridolino di sorpresa.
“Oh, ragazzi, scusate, io…” cominciò a dire, coprendosi gli occhi e voltandosi di lato; “…non sapevo, perdonate! Non volevo interrompervi!”
“Mamma! Che cazzo ci fai qua?”
“Jr non usare questi termini con me!”
“Ma ti pare il momento?”
Alex si lasciò sfuggire una risatina soffocata.
“Scusami Jr, stavo aspettando tuo padre – come vedi ho messo la vestaglia che piace a lui, e quindi…”
“Non voglio sapere altro, ti prego. Comunque noi ce ne andiamo, vero?” Disse Jr, guardando eloquentemente Alex.
“Oh no, noi restiamo.” Rispose lui, cominciando a sbottonarsi la cintura dei jeans.
“Mi scusi, signorino, ma tutto questo non sotto ai miei occhi.” Disse Carrie, puntando il dito contro il biondo; “Jr, per me non è un problema, davvero. Ora chiamo tuo padre e gli dico di aspettarmi al Ritz…”
Jr sbuffò: “Perché non me ne va mai una di giusta?”
In quel momento la porta d’entrata s’aprì e fece il suo ingresso Big.
Descrivere la sua faccia nel vedere il figlio ‘ambiguo’ senza camicia e la faccia devastata, davanti a lui un bonazzo biondo con la cintura slacciata e un’aria da prendere a schiaffi, e la moglie in vestaglia nera e tacchi vertiginosi che osserva la cosa, non sarebbe cosa facile.
Mettiamola così: una monaca in un club di stripper.
Lo stupore iniziale venne seguito da un ribollire di sangue che partì dai talloni e arrivò in un nano-secondo alle mani, già chiuse a pugno. La bocca si contorse in una smorfia di disgusto e gli occhi si fecero pazzi di rabbia.
“Big, aspetta, ora ti spiego…” tentò di dire Carrie, ma quello non l’ascoltò.
Si tuffò sul bonazzo e lo scansò con una manata, poi rivolse il dito al figlio: “Tu… sei… un disonore… Tu devi andartene, e sarà meglio che finisci i tuoi studi al più presto, perché una volta preso il diploma, te ne andrai da questa casa!”
Alex fece per difenderlo, ma Big lo bloccò di nuovo: “Quanto a te, non importunare mai più mio figlio e non farti rivedere mai più in sua compagnia, o per te sarà la fine, chiaro?!?” Urlò l’uomo, senza lasciare il tempo di rispondere.
Prese il figlio per il braccio e lo scaraventò nella sua camera, sbattendo la porta.
“Big, ma che diavolo stai facendo? Sei impazzito? È tuo figlio! Lascialo stare!”
“Levati, Carrie. Ancora una volta mi stupisco della tua indifferenza verso quel ragazzo!”
“Indifferenza? Io sarei indifferente? Tu lo vuoi ammazzare di botte e io dovrei capirti?”
Alex era terrorizzato. Carrie lasciò il marito un istante e accompagnò il biondo all’ascensore: “Perdonalo, per lui è difficile accettare Jr. Hai intenzione di richiamarlo o era solo una serata?”
Alex rimase atterrito.
“Non è un interrogatorio, è solo per sapere se hai bisogno del suo numero! So come vanno queste cose, non mi offendo se era solo una serata, fidati.”
“No. Non era solo una serata. Mi fa solo ridere che sia sua madre a fare tutto ciò…”
“Ti fa ridere?”
“Sì, perché la mia non l’avrebbe mai fatto. E stia tranquilla, ce l’ho il suo numero. Ma non so se lo richiamerò. Arrivederci.”
Le porte si chiusero e Carrie tornò in casa.
“È ora che affrontiamo questa cosa una volta per tutte. John James Preston Junior, porta il tuo culo in salotto!” Urlò Big, camminando avanti e indietro a ridosso delle vetrate.
“Big, datti una calmata, non puoi aggredirlo ogni volta così. È tuo figlio!”
“Quello non è il figlio che ho cresciuto!”
“Tu vorresti che lui fumasse i sigari come te, che si cercasse una fidanzata, che prendesse in mano l’azienda, ma non è la tua versione ridotta, lo capisci?”
D’un tratto si zittirono. In salotto fece il suo ingresso Jr, mortificato, gli occhi devastati dal pianto.
“Scusa, papà.”
“E di cosa? Chiese Carrie, Sei uscito, hai conosciuto una persona che ti interessava e te la sei portata a casa per pomiciare, cosa c’è di strano? Lo fanno tutti i ragazzi…!” Esclamò esasperata Carrie.
“Ma non in casa mia!” Urlò Big, “Ricordati che tu qui sei un ospite, questa casa è mia e di tua madre, e tu ci stai crescendo, ma non è veramente tua.”
“Ma cosa dici?” Continuò lei, sconvolta.
“Sei ancora un ragazzino, non sai a cosa stai andando incontro. Sei confuso, e questo posso anche accettarlo, ma io non accetto in nessun modo che le tue porcate da checca sfocino in masturbate nel corridoio del mio appartamento, chiaro?”
“Quindi dovrei scopare in un vicolo buio e lercio?” Disse Jr, svogliato.
“Non ci pensare nemmeno! Non farmi sentire un verme! Io sono tuo padre, Cristo Santo, ed esigo che mi si rispetti!”
Jr si voltò e andò verso la camera.
“Dove vai adesso? Dove cazzo stai andando adesso?”
Carrie era mortificata, le mani alla bocca, le lacrime agli occhi.
Il figlio si voltò verso l’uomo: “Mi fai solo pena. Perché sei tanto in alto, eppure tanto in basso.”
 
 
Jade s’era rintanata in una delle nicchie del locale, nascosta da un trench di Burberry che profumava stranamente di fragola. Mentre storceva il naso in una smorfia di disgusto, cercò il telefono nella borsetta.
Aveva perso le amiche e non c’era nessuno a recuperarla. Era umiliante rimanere fuori ad aspettare qualcuno che non sarebbe arrivato.
Piano strategico: avrebbe giocherellato col telefono mentre andava a rifornirsi di alcol. Almeno aveva un ‘alibi’ fino al centro sala.
Sgambettò veloce fuori dalla nicchia e si tuffò nello schermo del telefono, smanettando lungo tutta la rubrica, intuendo la strada in mezzo alla gente senza sbattere contro nessuno.
Arrivò al bancone, distolse lo sguardo dal telefono e fece l’occhiolino al barista: “Un Martini, grazie.”
“Subito…”
Jade si appoggiò al bancone e diede uno sguardo in giro, e giocherellando con una ciocca di capelli sbuffò, annoiata.
“Non dovresti sbuffare, non sta bene ad una signorina come te.” Le disse una voce, arrivando alla sua sinistra.
Lei si pietrificò.
“Ciao Jaime. Sei tornato in città?”
“Come potevo mancare?”
“Beh… sai com’è… sei mancato per un anno e mezzo, potevi… fare bingo!, e rimanere fuori dai piedi!”
“Quanta ostilità!”
“Io? Ma che dici?” Ridacchiò lei, agguantando il bicchiere di Martini e scolandosene metà.
“Come vanno le cose qui, JD?”
Lei inspirò lentamente, una mano sul fianco, nell’altra il bicchiere tremolante, e gli occhi più imbarazzati di Manhattan: “Sono Jade. E, da amica, non dovresti essere qui.”
Lui si avvicinò all’orecchio di lei: “Da amico, non dovresti arrossire. Sembrerebbe che te ne freghi qualcosa di me.”
“Finiscila, Jaime.”
“Ehi, calmati, non sono venuto qui per litigare…! Però posso essere sorpreso?!”
Jade sorseggiò ancora, cercando tra la folla uno sguardo amico che la salvasse da quell’impiccio.
“È vero, io me ne sono andato, ma cos’avrei dovuto fare? La mia ragazza mi aveva radiato dalle amicizie più in vista di Manhattan…”
Jade cominciò a tremare.
“…mi ha lasciato senza dare spiegazioni…”
La ragazza appoggiò il bicchiere al bancone, e ne ordinò un altro.
“…offro io.” s’intromise Jaime, facendo un cenno al barista; “E i pochi amici che mi erano rimasti, mi hanno consigliato di andarmene.”
Il giovane le si parò davanti. Lei non lo guardò nemmeno in faccia.
“Mi spieghi ora, per favore, che diavolo ti è preso quell’inverno?”
Jade batté un tacco a terra e guardò verso le vetrate: trovò Robbie che la guardava, preoccupato.
Con lo sguardo più eloquente che poteva, lo pregò di portarla via, ma quello subito non capì.
Jaime continuò: “Credo sia passato il tempo sufficiente per esigere delle ragioni, Jade.”
“Sì, è vero.” Disse lei, la voce tremante.
“Mi guardi, almeno?”
Jade prese il secondo bicchiere e ne sorseggiò un po’: “Credimi, Jaime, non ho mai voluto farti del male o cacciarti via, ma era l’unico modo…!”
“Per cosa?!” Esclamò lui, battendo una mano sul bancone.
Alcuni si voltarono, ma non diedero troppo peso alla cosa. Robbie si mise sull’attenti. Qualcosa non andava.
Si avvicinò piano alla coppia, discreto.
“Fidati se ti dico che è meglio non rivangare…” sussurrò lei, imbarazzata.
“No, cara mia, ho ventisei anni, non quindici, posso benissimo affrontare una conversaz…”
“Jaime, no. Ascoltami. Lascia stare.” Disse lei, poggiandogli una mano sul petto, cercando di calmarlo.
Quello se la tolse con forza e le strinse il polso: “Non puoi farla franca così!”
In quel momento Robbie intervenne: non toccò nemmeno il ragazzo, ma prese Jade per una mano, mentre quella lasciava sul bancone il bicchiere, e la portò via, verso i guardaroba.
“Devi prendere qualcosa?” Le chiese, controllando che Jaime non fosse dietro di loro.
“No…” disse lei, mortificata.
Jaime, da lontano, sbuffò scontento e mollò un altro pugno sul bancone, per poi uscire in terrazza.
I due scesero veloci al piano terra e Jade cercò di sistemarsi i capelli spettinati.
“Grazie Robbie, non dovevi.”
“Fa’ niente, intanto siamo fuori. Tu stai bene?”
Lei lanciò indietro la testa e sorrise, cercando di tornare normale: “Ma ceeeerto! È stata solo una visita inaspettata!”
“Un tuo ex…?”
Lei annuì: “Era… il mio primo ragazzo.”
Robbie le accarezzò una guancia.
Jade sorrise ma non disse nulla. Doveva assolutamente andare a casa.
“E perché ce l’aveva tanto con te? L’hai lasciato?” Chiese lui, curioso.
In quel momento sentì Carol, alle sue spalle, correrle incontro, preoccupata: “Jaaaade! Stai beneeee?!?”
“Merda…” sussurrò lei, cercando una scusa.
La ragazza li raggiunse: “Jade, ho visto Jaime…! Stai bene?”
“Sì, sì, tranquilla.”
“Ma che ti ha detto?”
“Nulla, solo un saluto…”
“Non era arrabbiato?”
Jade lanciò un’occhiata a Robbie: “No, no, era sorpreso, ecco tutto.”
“Ma sei sicura di stare bene? Davvero non ti ha detto niente? Insomma… era Jaime! Il tuo Jaime!”
“Carol, è tutto a posto.”
Robbie ridacchiò: “Come la fate lunga, voi ragazze. Era un suo ex! Mica il diavolo!”
Carol si voltò verso di lui: “Ma tu hai idea di cosa ha combinato quel pezzente?”
“Taci, Carol. Io sto bene, lasciami andare a casa adesso… torna dentro, Betty sarà in giro a cercarti!”
Carol annuì, non molto convinta: “D’accordo, vado. Robbie, portala a casa se hai un briciolo di palle in più rispetto a quel deficiente di Jaime!”
I tre si salutarono e Jade fece per chiamare un taxi.
“No, lascia stare, andiamo a piedi…!”
Dopo due isolati di silenzio, Jade non poteva trattenersi ancora a lungo.
Robbie non osò chiederle niente, ma la domanda era nell’aria.
Jade si fece coraggio: in fondo era Robbie, l’amico di sempre, un dettaglio come quello poteva saperlo.
Ma si sa, sono i dettagli che fanno la differenza…!
“L’ho lasciato io.” esordì lei, coraggiosa.
“Mmh… corna?” Propose lui.
Lei scosse la testa.
“Allora litigio?”
“In parte.”
“Colpa sua?”
“No.”
“Tua?”
“…non saprei.”
Ripiombò il silenzio.
Ormai erano a un isolato dalla casa di Jade, e la curiosità lo stava uccidendo.
Lei rallentò il passo: “Ok, senti, io te lo dico ma tu non sai niente, d’accordo? L’ho superato, è passato del tempo, non era noto allora e non lo sarà adesso. Chiaro?”
“Certo.”
“Bene. Io e lui stavamo insieme da un pezzo – circa sei mesi, e io avevo diciassette anni, lui ventiquattro. Una sera sono andata a trovarlo dopo una partita in tv, e aveva bevuto un po’, ma decisi di stare da lui a fargli compagnia. Lì conobbi un lato di lui sconosciuto, simile alla violenza ma mescolato alla passione. Per carità, divertente, finché non ti sbatte come una zampogna contro un armadio…! Comunque, il fatto è che dopo quella notte de fuego, ero rimasta incinta.”
Robbie si fermò.
“…capiscimi, aldilà della notizia, ero incazzatissima per il modo – così cattivo, da ubriaco, eccetera. Io avevo diciassette anni, potevo denunciarlo e sbatterlo dentro, ma non l’ho fatto. L’ho lasciato, facendo in modo di fargli lasciare la città – così mia madre non l’avrebbe trovato.”
Il ragazzo inspirò profondamente.
“Io… ho abortito, per forza. Non avrei avuto la forza di crescere… insomma, hai capito. Lui però non sa niente di tutto ciò. Sa solo che l’ho mollato, l’ho fatto cacciare dalla città, e quindi ora io sono la stronza.”
Robbie sentì le braccia incanalare tanta energia da sradicare un albero della Quindicesima.
“E questa è la mia triste storia.” Concluse Jade, imbarazzata, gli occhi bassi a guardarsi le scarpe; “Sono stata una stupida, forse, ma non avevo altra scelta.”
Robbie la prese a sé e la strinse piano, tuffando la mano nei capelli morbidi di lei.
Jade rimase attonita: non si aspettava quella reazione.
“E quella testa di cazzo non ci è arrivato da solo?” Chiese Robbie, a denti stretti.
“Pare di no… stasera mi ha attaccata di nuovo, senza capire.”
Robbie fece due passi indietro, lasciandola alla luce della città: “Forse dovresti dirglielo.”
“Forse dovrei, ma che cambierebbe adesso?”
“Eviterebbe di romperti le scatole…”
“Lo farebbe lo stesso, come qualunque uomo ferito e lasciato.” Rispose Jade, sbuffando; “Beh, non facciamone un dramma! È passato, ormai! Robbie, non serve che mi accompagni a casa… ci arrivo da sola!”
“Scherzi? Devo dimostrare a Carol che ho un briciolo di palle in più rispetto a Jaime!!! Ah, ah, ah!!!” rise lui, alleggerendo la situazione.
“Ah, ah, ah, sì, hai ragione! Il mio araldo senza macchia e senza paura!”
 
 
“Carol, davvero, non posso restare.”
“Betty, che ti succede? Vuoi lasciarmi qui da sola?”
“Certo che no! Sto pensando a come fare!!!” Sbuffò la bionda, lisciandosi i capelli e camminando avanti e indietro per il marciapiede.
Carol la fermò e la fissò dritta negli occhi: “Ora tu mi dici chi è, quanti anni ha, se lo conosco e perché ne vale tanto la pena…!”
Betty fece la finta tonta: “Che…? cos…? No, no, niente… ma chi? Ti sbagli… chi, io? pff…!”
Carol inarcò un sopraciglio: “Ma mi credi così tonta? Prima ‘l’uscita smutandata’, poi il vestito super glam dorato, il rossetto rosso fuoco, snobismo verso il tuo Milo…”
“…abbassa la voce…!”
“…e adesso hai fretta di andare via? Ma per favore, mi credi una cretina? Avanti… chi eeeè?!?!”
“Non è nessuno, devo solo tornare a casa.”
“D’accordo, ti accompagno.”
Le due si misero di fronte l’una all’altra, le braccia conserte: era una sfida all’ultimo tacco.
“Non serve, c’è il taxi.”
“Io non rimango da sola ad una festa. Ti accompagno.”
“Ma non sei sola, c’è un sacco di gente. È una feeeesta.”
“Sì, ma le mie amiche si sono volatilizzaaaate.”
“Io sono qui.”
“Ma vuoi andare via.”
“Non è che voglio… è che devo.”
“Devi lasciarmi sola?”
“No, devo andare via.”
“Ma non vuoi.”
“No, cioè, sì… cioè… uff!”
Carol inarcò di nuovo il sopracciglio: “Betty, stai perdendo colpi.”
“Non sono costretta ad andare via, ma lo vorrei fare, però non voglio lasciarti da sola.”
“Quindi?”
“Prendi il taxi?”
“Lo prendi anche tu?”
“No, uso la metro.”
“Allora la prendo anch’io.”
“Sei allergica alla polvere.”
“E tu alla metro.”
“Carol, non mi seccare!”
“Tu chi sei?”
“Betty Johnston.”
“E lui chi è?”
“È Poppy,suasorellaèunastilista… OOOOOOOOOOOOHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!” Betty si mise le mani sulla bocca, e arrossì come un pomodoro.
Carol sbarrò gli occhi e tacque. La guardò bene. Betty continuava a fissarla, senza spiccicare parola. Avrebbe voluto morire piuttosto che ammettere che Poppy la stava aspettando da qualche parte nella città.
“Poppy…? L’amico di Brady?”
“No! No! Ho sbagliato a parlare! Non è lui!” Ribatté Betty, squittendo isterica.
“E quindi ieri sera non è successo niente, uhm?”
Betty schiaffò un bacio sulla guancia dell’amica e scappò via, logorata dalla vergogna.
Carol ciondolò il capo, facendo vibrare il caschetto mogano sotto le luci al neon della strada. Si mise a posto il tubino nero e ridacchiò tra sé e sé: “Oh, Carol, a te non la si fa!”
“Cos’è, parli da sola adesso?” Le chiese Jeremy, appena uscito dal locale.
“Sono stata letteralmente abbandonata dalle mie amiche, causa sesso maschile, quindi sì, parlo da sola perché non c’è nessun altro ad ascoltarmi.”
“Beh, non se l’unica, i ragazzi han mollato anche me… Brady ha portato a casa Rose – era piena come un uovo!, e Robbie è svanito.”
“Ha portato a casa Jade.”
“Ah, ecco… e la biondina?”
“Eh-eh… è scappata. Ma è troppo presto per spiegare con precisione la storia… che fai, rientri?”
“Nah, senza compagnia un locale diventa inutile!”
“Sono d’accordo. Anch’io mi stavo incamminando verso casa.”
Jeremy abbassò lo sguardo: “Su quei cosi?”
“Ehi, quei cosi costano un sacco di soldi, e in più sono bellissimi… mi sento molto Dorothy del Kansas con le sue scarpette di rubino!”
“E io chi sarei, il Mago di Oz?”
“No, tu sei Toto, il cane!” Ridacchiò lei, dandogli un colpetto sulla spalla. “Dai, accompagnami, non fare lo scorbutico.”
“Io non sono scorbutico! Sei tu la schizzata che urta la gente per niente!”
Carol era troppo stanca per ribattere e annuì, proseguendo per la sua strada.
“Con te al mio fianco sono sicura che la grande città cattiva non mi mangerà!” Rise lei, cominciando ad appoggiarsi a lui.
“Miss, so che sono irresistibile, ma non sei la mia ragazza, quindi giù le zampe.”
Carol lo guardò: “No, non sei affatto scorbutico. Come mi è venuto in mente?” Sbuffò lei; “Avanti, reggimi un secondo… mi levo questi trampoli e proseguiamo.”
La ragazza si slacciò le scarpe e le prese in mano, un po’ goffa e decisamente più bassa di prima.
Jeremy rimase lì, di stucco: “Cioè, scusa, ti levi le scarpe così?”
“Sì, non voglio che si rovinino camminandoci sopra.”
“Ma davanti a me? Così? Come se fossi tuo fratello?”
Carol lo fermò e lo guardò da sotto la frangia brillante: “Ehi, non siamo insieme, quindi dov’è il problema? Non devo flirtare con te, giusto?”
“Sì, ma un minimo di femminilità…!”
Lei riprese a camminare: “Ecco, vedi, tu fai parte di quella graaande schiera di uomini che pensa che una donna sia Donna solo su tacco 12, con gambe scoperte e scollatura vertiginosa fronte/retro. Mi sbaglio?”
“Beh, di certo aiutano ad essere più figa!”
Carol ridacchiò: “E tu saresti un tipo raffinato? Ma ti senti?!? E comunque, tornando alla mia teoria, io ti assicuro che una ragazza può essere femminile anche su scarpe basse, pantaloni, e canotta semplice.”
Lui la guardò storto.
“Certo, non sarà una bomba sexy, ma credo sia meglio che lo scopra solo tu se sotto le lenzuola ci sa fare oppure no, o sbaglio? Preferiresti uscire con una che appena mette piede fuori casa lobotomizza ogni passante con tette, culo e gambe?”
“Beh, ci si gusta l’occhio…!”
“Bingo!” Disse lei, per poi tacere.
Proseguirono un altro centinaio di metri, senza dire una parola, e la cosa stava irritando Jeremy.
La guardò, cercando di capire dove voleva arrivare.
Lei taceva ancora.
“Insomma ti spieghi? Bingo in che senso?”
“Non lo vuoi sapere, fidati…”
“Lo voglio sapere.”
“Mmh, nah.”
“Mmh, si!” Disse lui con fare ironico.
“Ok, d’accordo, è chiaro che il tuo pirolo laggiù non lavora da un bel po’!”
“Che cooosa?! Ma che cazzo dici?!?!? Ma come ti permetti!?!? E come fai a dirlo? Ma senti questa…! È pazzesco!!!”
Lei gli si parò davanti, le mani pronte a spiegargli con gesti aerei i suoi concetti, pollici e indici uniti tra loro: “Osservare una bella ragazza che passa e fare apprezzamenti, è un conto – anche mio padre lo fa, figurati, è normale!, ma preferire e aspettarsi un flirt con una donna del genere – s’intende, flirt che non avverrà MAI!, è indice di scarso utilizzo del pene. Perché per quanto tu possa correre dietro a quella ragazza così scosciata e volgare, non ti si filerà mai!; e può esserci una piccola percentuale di brave ragazze che il sabato sera si conciano così, ma è molto rara in questa zona dell’Universo, credimi. È chiaro come il Sole che tu, quello lì, non lo usi da un po’.” Concluse lei, sussurrando le ultime parole.
“È chiaro che tu, stronzetta, non mi conosci.”
“Ceeerto, non ti conosco, mi pare ovvio! Appena una ti si avvicina la allontani dicendo ‘giù le zampe’…!”
Proseguirono ancora, senza spiccicare parola. Lui, ferito nell’orgoglio, lei, con una voglia irrefrenabile di spaccargli la testa.
Finalmente arrivarono sotto casa di Carol, in Bleecker Street, e quella si rimise le scarpe: “Beh, grazie per la chiacchierata, davvero illuminante. Non ti stupire se da domani sarò lesbica!”
“Sì, certo, attenta che forse da domani ti riuscirà di essere più simpatica!”
Carol tornò dal ragazzo e gli puntò il dito contro: “Ricordati bene, Jeremy – non che sia un’esperta in materia – ma ricordati bene che le modelle, oggi, sono solo delle grucce. E se vuoi perdere tempo dietro ad una gruccia, baciare una gruccia, scoparti una gruccia, allora è meglio che fai da solo, in cinque contro uno, perché la soddisfazione di un battibecco costruttivo con una stronzetta che si toglie le scarpe in mezzo alla strada, non la troverai in una gruccia. Specialmente in Lily Goldy. Buonanotte.” Concluse lei, aprendo la porta di casa e sbattendola alle sue spalle.
Jeremy rimase lì, interdetto. Ricominciò a camminare, cercando di non pensarci, ma era impossibile. Si voltò più volte verso l’appartamento di Carol, cercando di capire cosa gli desse più fastidio: lei, o la verità che gli aveva appena aperto gli occhi.
Si maledì perché quella sera, al FullOut, dopo aver chiacchierato con degli amici, aveva intravisto uno stacco di coscia davvero spiazzante, e con l’occhio aveva seguito quella linea sottile salire dalla caviglia adornata di scarpe rosse fino alle cosce, coperte da un tubino nero. Ma quando quella ragazza si era girata, scoprire che quella bellezza mozzafiato era Carol l’aveva lasciato senza parole. E adesso, dopo quella camminata, l’incazzatura era doppia.
 
 

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