Maison Shahrizai

di mercutia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Episodio 1 - La madre di Imriel ***
Capitolo 2: *** Episodio 2 - Miele ***
Capitolo 3: *** Episodio 3 - Volontà ***
Capitolo 4: *** Episodio 4 - Un prezzo troppo alto ***



Capitolo 1
*** Episodio 1 - La madre di Imriel ***


Questa storia fa parte di un insieme di racconti brevi dai toni semiseri liberamente tratti dalla saga di Kushiel ed ispirati da un pensiero di Phèdre sul finale di "La maschera e le tenebre", ovvero quando arriva a definire Imriel figlio suo e di Mélisande. La geniale assurdità di quel dettaglio ha scatenato in me folli fantasie sul quadretto familiare ed è nato il primo episodio quasi per scherzo.
Tecniche di scrittura, personaggi e anche modi di dire sono volutamente tratti nel modo più verosimile possibile all'opera di J.Carey, ma lo scenario è del tutto inventato e parodiato.
Il tono semiserio del racconto non vuole assolutamente deridere quest'opera che amo follemente... anche per la sottile ironia che maliziosamente spesso suggerisce.



Maison Shahrizai - Episodio 1

La madre di Imriel

Nulla nella mia vita era più lo stesso. Per quante esperienze l'avessero attraversata e sconvolta, nulla era più lo stesso da quando vivevo nel palazzo che Mélisande aveva preso a Città di Elua per quella che era la sua nuova famiglia: un trio la cui formazione aveva sollevato parecchi mormorii, un'unione anomala e stravagante persino per la gente di Terre d'Ange. E non tanto, o non solo, perchè questa famiglia era formata da due donne e un bambino, quasi un ragazzo ormai in realtà, ma perchè eravamo io, Phèdre nó Delaunay de Montrève, la più famosa cortigiana del regno, Mélisande Shahrizai, la famigerata traditrice della corona, e suo figlio, Imriel no Montrève de La Coursel, frutto di uno dei più oscuri giochi di potere di sua madre. A ben vedere c'era ben poco da biasimare chi mormorava, ben poco da stupirsi nel cogliere sopracciglia alzate e sguardi sbigottiti al nostro passaggio.
Come prevedibile l'amnistia, che in un proclama aveva concesso l'annullamento dei reati di Mélisande contro il regno, non aveva cancellato la fama che questi le avevano dato. Mélisande era per tutti una pericolosa e spietata traditrice e nessuno avrebbe mai smesso di vederla a quel modo. Nemmeno io. Io che meglio di chiunque altro la conoscevo. Io che meglio di chiunque altro avevo assaporato il gusto amaro dei suoi tradimenti. Io che meglio di chiunque altro avevo pagato sulla mia pelle e sulla mia coscienza il dolore dei suoi giochi crudeli. E io che, nonostante tutto, l'amavo con ogni fibra del mio essere, come nessun altro avrebbe mai potuto.
Stavo riflettendo sull'assurdità di quella mia nuova vita, che io per prima in realtà avevo azzardato immaginare quando ancora crescevo Imriel sola con Joscelin, quando il ragazzino entrò nella stanza in cui io e sua madre stavamo leggendo sedute ai lati del focolare.
«Mamma» disse.
«Sì» risposi con naturalezza.
«Dimmi» mi sovrastò la voce di Mélisande.
La guardai, ingenuamente convinta che avrebbe subito capito che Imri non si fosse rivolto a lei, che gli stava accanto soltanto da poche settimane, ma a me, che l'avevo cresciuto durante il suo esilio.
Ingenuamente attesi che si correggesse e mi cedesse il passo.
Non lo fece.
«Credo che Imriel voglia parlare con me» dissi allora.
«Dimmi» ripetè di nuovo lei, incurante delle mie parole.
Davanti a noi il ragazzino era come pietrificato, bloccato da un evidente imbarazzo e dagli occhi di sua madre, così incredibilmente uguali ai suoi.
«Mélisande, lo state mettendo a disagio» dissi senza sortire il minimo effetto in lei, che invece continuava a fissarlo, insistente.
«Mélisande»
«Basta, Phèdre»
Come capitava spesso, ebbi un attimo di turbamento nel sentire la sua voce così calma eppure perentoria rivolgersi a me. Ma vivevamo insieme da tempo, ora ero in grado di controllarmi e di impormi a mia volta. Per questo cercai di nuovo di persuaderla dell'errore.
«Mélisande...»
«Ho detto basta, Phèdre» questa volta accompagnò le parole con lo sguardo, che posò fermo e penetrante su di me, dentro di me. E capii per l'ennesima volta di aver sopravvalutato le mie capacità: dopo tutto quel tempo Mélisande aveva ancora l'innato potere di annebbiare le mie facoltà mentali con un niente, di ottenere da me qualsiasi cosa volesse con una semplice occhiata. Era sempre stato così e così sarebbe sempre stato, per quanto odiassi ammetterlo e per quanto ostinatamente cercassi di oppormi.
A fatica ripresi il controllo su me stessa. La mia voce suonò quasi sicura quando replicai.
«Siamo pari ora Mélisande, non potete più darmi ordini»
«Oh Phèdre, non è affatto necessario che io mi impegni a dartene infatti» rispose lei, mentre tornava a rivolgere la sua attenzione a Imriel.
«Dimmi pure, tesoro»
«Non prendetevi gioco di me» proruppi con più veemenza di quanta la situazione meritasse in realtà.
Sorridendo, Mélisande mi guardò con la coda dell'occhio.
«Perchè altrimenti?»
Ne valeva del mio orgoglio a quel punto, della mia autostima e di quella che con tanta fatica avevo ottenuto da Imri, immobile spettatore di quell'assurdo teatrino familiare.
«Dovreste aver imparato che è pericoloso sfidarmi. Non vi pare di essere rimasta scottata troppe volte nel tentativo di mettermi alla prova?»
La sua risata fece avvampare la mia rabbia, ormai apertamente dichiarata.
«Vero» disse quando, con calma, smise di ridere «Ma lo trovo comunque un gioco delizioso»
Mi si avvicinò «Imri, esci per favore» dissi nel vedere in lei l'espressione di un predatore sazio, solo intenzionato a giocare con la sua vittima.
Sentii il rumore della porta che si chiudeva. Mélisande era ferma davanti a me. I miei occhi incatenati ai suoi.
«Ti spavento ancora tanto?»
«Fino a quando non sarò in grado di prevedere fino a che limite possono spingersi i vostri giochi. Temo tuttavia che questo non accadrà mai»
La sua risata mi scosse, ma me l'aspettavo. Fu solo quando cominciò a giocherellare con i lacci che s'intrecciavano tenendo stretto il mio corpetto, che cominciai a preoccuparmi davvero.
«E' proprio questa la parte del gioco che preferisco, quella che mi diverte di più. Ed è lo stesso per te, non negarlo» disse tirando i lacci, lenta.
La mia voce mi tradì leggermente mentre replicavo, cercando di dissuaderla.
«Il tempo per questi giochetti è finito Mélisande. Non mi sembra il caso di...»
Il nodo del corpetto si sciolse bloccandomi il fiato in gola. Un sorriso terribile si allargò sulle labbra di Mélisande.
«Il tempo. Credi davvero che il tempo possa imporre qualcosa a me? Nessuno mi dà ordini, Phèdre. Posso fare alleanze e patti, posso persino abbassarmi e scendere a compromessi, ma, lo sai, lo faccio soltanto per ottenere ciò che desidero»
Fece presa sui lacci e li usò per tirarmi a sé. Barcollai inerme contro di lei.
«E dimmi, riesci ad immaginare cosa desidero in questo momento?»
Mi mossi spinta da un istinto che mi sembrava alieno e profondamente intimo allo stesso tempo, una pulsione irrazionale quanto incontrollabile. Colmai i pochi centimetri che distanziavano i nostri volti, cercai le sue labbra come fossero per me una fonte vitale. Le raggiunsi in un tocco lieve e fulmineo, un blando sfiorarsi prima che quel sorriso tremendo si sottraesse a me. Rimasi immobile ad annaspare nella bramosia, respirando in modo irregolare nel corpetto che, sempre più lento, stava scivolando verso il basso.
«Non ti avevo chiesto di dirmi ciò che desideri tu» rise Mélisande, che subito dopo mi girò le spalle e si avviò verso la porta.
«Imriel cercava te prima: te lo vado a chiamare. Renditi presentabile.»



Questa storia fa parte di un insieme di racconti brevi dai toni semiseri liberamente tratti dalla saga di Kushiel ed ispirati da un pensiero di Phèdre sul finale di "La maschera e le tenebre", ovvero quando arriva a definire Imriel figlio suo e di Mélisande. La geniale assurdità di quel dettaglio ha scatenato in me folli fantasie sul quadretto familiare ed è nato il primo episodio quasi per scherzo.
Tecniche di scrittura, personaggi e anche modi di dire sono volutamente tratti nel modo più verosimile possibile all'opera di J.Carey, ma lo scenario è del tutto inventato e parodiato.
Il tono semiserio del racconto non vuole assolutamente deridere quest'opera che amo follemente... anche per la sottile ironia che maliziosamente spesso suggerisce.

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Capitolo 2
*** Episodio 2 - Miele ***


Questa storia fa parte di un insieme di racconti brevi dai toni semiseri liberamente tratti dalla saga di Kushiel ed ispirati da un pensiero di Phèdre sul finale di "La maschera e le tenebre", ovvero quando arriva a definire Imriel figlio suo e di Mélisande. La geniale assurdità di quel dettaglio ha scatenato in me folli fantasie sul quadretto familiare ed è nato il primo episodio quasi per scherzo.
Tecniche di scrittura, personaggi e anche modi di dire sono volutamente tratti nel modo più verosimile possibile all'opera di J.Carey, ma lo scenario è del tutto inventato e parodiato.
Il tono semiserio del racconto non vuole assolutamente deridere quest'opera che amo follemente... anche per la sottile ironia che maliziosamente spesso suggerisce.


Maison Shahrizai - Episodio 2

Miele

Adottare Imriel mi aveva cambiata. Avevo immaginato che sarebbe successo quando presi quella pericolosa decisione, ma non avrei mai potuto immaginare quante novità avrebbe portato in me la sua vicinanza, il suo affetto. Una di queste fu scoprire, se non una vera propensione, almeno una non totale incapacità per la cucina: per quante cose conoscessi, per quante cose sapessi fare, e anche piuttosto bene, ce n'erano alcune per le quali mi ero sempre ritenuta del tutto negata, anche se probabilmente il vero motivo era il fatto che non mi ci fossi mai applicata. Imriel, tra le varie novità che aveva apportato alla mia vita, mi fece anche avvicinare a questo mondo a me quasi sconosciuto fino allora. Facevo piccole cose a dire il vero, dolci più che altro, ma per una che si era sempre considerata del tutto incapace per attività manuali di quel tipo, era fonte d'orgoglio.
In realtà lo facevo solo per stare con lui, che amava quel genere di attività. Forse era per via di ciò che era stato per i primi anni della sua vita, un principe pastorello cresciuto tra le montagne siovalesi, ma il ragazzo pareva conservare una spiccata predisposizione per le mansioni più umili, tanto che spesso aveva affiancato i miei domestici nei loro lavori, trovando la cosa divertente. Per quanto lo ritenessi buffo, lo avevo lasciato fare senza mai palesargli ciò che ne pensavo e anzi mi ero sempre unita al suo entusiasmo quando mi mostrava orgoglioso il suo operato. Ovviamente di ben altro avviso era sua madre, che, quando lo scoprì, rivelò a me tutto il suo disappunto, in modi che non starò ora a raccontare. Alcune rare volte però capitava che lo spirito materno facesse breccia nell'austerità di Mélisande, tanto da farle trascurare la concezione che aveva per l'educazione appropriata ad un principe, per rimanere incantata a guardarlo impegnarsi in umili sforzi che lui sembrava apprezzare tanto. Quel giorno probabilmente fu uno di quei rari momenti.
Imriel mi aveva convinta a preparare dei biscotti insieme a lui e io, come sempre, avevo accettato non certo per il risultato che avremmo ottenuto e nemmeno perchè amassi davvero aggirarmi tra pentole, fuochi e farina, ma per poter stare tutta la mattina con lui senza pensare ad altro. Era piacevole, terribilmente, e mai nella mia vita avrei potuto immaginare di pensare una cosa simile, prima che Imriel entrasse a farne parte.
Era serio e concentrato sulla preparazione dell'impasto, quando si accorse che il mio sorriso divertito era dovuto ad una striscia di burro, zucchero e farina che gli attraversava per intero il bel viso. Si girò verso il bacile con l'acqua pulita per lavarsi e, molto probabilmente, per vendicarsi di me tirandomene una parte, ma la presenza di sua madre, ferma all'ingresso della stanza, zittì bruscamente le minacce che mi stava borbottando contro. Mi bloccai anch'io non appena la vidi, e smisi istantaneamente di ridere chiedendomi da quanto tempo fosse lì alle nostre spalle ad osservarci.
«Continuate pure» disse, sul volto un'espressione indecifrabile «Fate come se io non ci fossi»
Mi sentivo in colpa nei suoi confronti, per averle, anche se involontariamente, sottratto il ruolo materno. Per quanto la cosa non avesse senso, non potevo evitare l'imbarazzo che mi suscitavano situazioni ricorrenti come quella. Ero fatta così. Pertanto lasciai che Imriel finisse di asciugarsi il volto, che intanto si era lavato, quindi gli diedi una lieve gomitata, confidando che ne avrebbe colto il significato.
Non mi deluse. In parte.
«Volete unirvi...»
Gli assestati una seconda gomitata.
«Vuoi unirti a noi?»
Mélisande sorrise.
«Non credo di essere molto avvezza a questo genere di attività, ma ti ringrazio per la spontanea offerta, Imriel» lo canzonò gettandomi una rapida occhiata, che m'imbarazzò più di quanto già non lo fossi.
La reazione di Imriel non fu molto diversa: era ancora molto rigido con sua madre e d'altra parte come non lo si poteva comprendere? Per quanto tra loro ci fosse un legame di sangue, lui non la conosceva, se non attraverso racconti che parlavano di lei in modi assai poco lusinghieri. Mi ero sforzata più che potevo per attenuare in lui la vergogna di essere suo figlio e placare il rancore che provava nei suoi confronti, ero riuscita a fargli accettare di buon grado, o quasi, il suo ritorno in patria e il fatto che saremmo diventati una famiglia insieme a lei, ma c'era ancora molto da fare perchè lui riuscisse ad accettarla davvero. Ma questo stava più che altro a lei ora.
«Scusami Imri» disse in una lieve risata, mentre gli si avvicinava «Ti stavo solo prendendo in giro. Mi perdoni?» continuò carezzandogli una guancia.
Rimasi sconvolta dalla dolcezza di quel gesto, della maternità della sua espressione, ma soprattutto dalla genuinità che il tutto sembrava avere. Non riuscii a fare a meno di invidiare Imriel e vergognarmene, ma era più forte di me. Una sola volta avevo visto qualcosa di simile in lei, per quanto la situazione allora fosse del tutto differente. Provai un brivido violento nel ricordare la sincera preoccupazione che si dipinse sul suo viso quando alla Dolorosa, l'isola carcere della Serenissima in cui lei mi aveva fatta rinchiudere, tentai di spaccarmi il cranio pur di sottrarmi al desiderio che mi spingeva ad assecondarla. Mi sostenni al tavolo e inspirai profondamente con gli occhi chiusi al manto cremisi che mi aveva velato la vista al solo ricordo. Quando li riaprii Imri annuiva, un sorriso quasi rilassato gli illuminava il viso.
«Mi farebbe piacere. Davvero» disse indicando il tavolo, più che altro ricoperto di farina, sul quale stavamo lavorando.
«E sia» rispose lei, dopo averlo fissato per un po'.
La presenza di Mélisande fece sì che l'imbarazzo diventasse l'ingrediente principale di quei biscotti, com'era prevedibile, ma in suo onore va detto che si impegnò al massimo nel dedicarsi a quell'attività per cui davvero, come lei stessa aveva ammesso, non era avvezza. La cucina però, e questo avrei dovuto immaginarlo, era piena di oggetti che avrebbero potuto farle venire in mente cose per le quali invece era decisamente portata. Fu un errore fatale non pensarci.
Me ne resi conto soltanto quando, diversi minuti dopo, incrociai il suo sguardo e colsi il suo sorriso malizioso mentre passava un dito sulla lama di un coltello. Bastava così poco. La mia volontà era del tutto inutile, il mio pudore per la presenza di Imriel come cancellato. Seguii quel gesto incapace di distogliere gli occhi, avvertii il mio corpo fibrillare in risposta al potere che il dardo di Kushiel esercitava impietoso su di me. Il dito di Mélisande indugiò sulla punta del coltello, poi vi fece pressione. La goccia di sangue che cadde, cristallizzandosi sul bianco della farina, mi fece gemere.
«Imriel, tesoro, andresti al mercato a comprare del miele?»
Sentii la voce di Mélisande come qualcosa che proveniva da lontano, mentre combattevo ad armi impari contro la pulsione che mi stava già inondando.
«Ma non ci serve» era Imriel che parlava. Non avevo il coraggio di girarmi a guardarlo, conscia del fatto che, se ancora non aveva capito quello che stava succedendo, presto lo avrebbe fatto.
Mi sforzavo intanto di tornare in me. Disperatamente.
«Serve, Imriel. E serve adesso. Vai, per favore» continuò ad insistere Mélisande.
Presi aria come se fossi appena emersa da una lunga apnea. Non oso nemmeno immaginare con che voce dissi «Non ha importanza Imri, rimani qui. Tua madre deve imparare a fare a meno del miele in certi momenti»
Mélisande si allungò sul tavolo, fino a mettere una mano su quella di Imriel.
«Fallo per me, te lo chiedo per favore»
Non riuscii a fermarlo mentre usciva, lasciandomi sola con sua madre e la mia insaziabile maledizione. Guardai Mélisande, il sorriso vittorioso rendeva le sue labbra ancora più invitanti di quanto mi apparissero ogni volta che la guardavo.
«Phèdre»
Il mio nome. Soltanto il mio nome. Sulla sua bocca era più che un richiamo per me. Era un'invocazione, una preghiera e un comando che trascendeva la mia coscienza. Detestavo l'effetto che mi faceva, rendendomi conto, seppur nei recessi della mia mente in quei momenti, che fosse totale follia farsi obnubilare a tal punto da quel semplice suono. Ma era così e non avevo armi per difendermi.
Caddi sulle ginocchia mentre lei sfilava il coltello e lo faceva stridere strisciando la punta sul marmo del tavolo nel raggiungermi. Mi posò una mano sulla testa e la fece scorrere indietro, inducendomi a seguire il gesto alzando il volto in alto.
«E' estremamente eccitante vedere l'impegno con cui cerchi di resistere ogni volta, di opporti a me. Di opporti a te stessa. La mia piccola anguissette. Se non ti conoscessi così bene, penserei quasi che tu lo faccia apposta.»
Non replicai. Non riuscivo a parlare. A malapena riuscivo a pensare abbagliata dal suo sorriso, infuocata dal tocco della sua mano. La guardavo estasiata, ormai succube di me stessa. Pregavo solo che mi facesse qualcosa, qualsiasi cosa, e smaniavo nell'attesa e nella curiosità. Poi sentii la lama del coltello accarezzarmi il collo, la sentii premere contro di me mentre deglutivo, la sentii scendere. Ricordai le flechettes, ricordai la nostra prima volta, l'unica in cui fui costretta a gridare il signale. Ricordai, e il volto bronzeo di Kushiel si sovrappose a quello di Mélisande, immerso in una foschia rossa come il sangue che mi sentivo pulsare nelle orecchie.
Mi sorprese il contatto violento delle sue labbra sulle mie, avide, fameliche. Liberò all'improvviso la stretta con la quale mi aveva tenuto la testa per i capelli e usò la mano e il coltello per spogliarmi. La lasciai fare, in balia del suo profumo, delle sue labbra, della sua lingua e le diedi tutto quello che volle, tutta me stessa.
Non saprei dire quanto tempo fosse trascorso quando uno strano rumore di qualcosa che cadeva e si frantumava a terra riuscì a distrarci. Dovetti sbattere gli occhi più volte per liberarmi della foschia cremisi e mettere a fuoco la figura che ora era nella stanza insieme a noi. Riuscii a fatica a trovare la capacità di sollevarmi sui gomiti, ma non la lucidità per capire di coprire le mie sudate e sanguinanti nudità di fronte ad uno sbigottito Imriel. Mélisande invece si alzò sopra di me, si mise in piedi, splendidamente nuda, il coltello ancora impugnato nella mano destra. Si avvicinò al ragazzo, paralizzato in mezzo ad una pozza di miele e pezzi di vetro. Mélisande posò il coltello e prese dalla mano di Imri un trancio di pane al pomodoro mangiato per metà.
«Imriel, tesoro, così ti rovinerai il pranzo»



Questa storia fa parte di un insieme di racconti brevi dai toni semiseri liberamente tratti dalla saga di Kushiel ed ispirati da un pensiero di Phèdre sul finale di "La maschera e le tenebre", ovvero quando arriva a definire Imriel figlio suo e di Mélisande. La geniale assurdità di quel dettaglio ha scatenato in me folli fantasie sul quadretto familiare ed è nato il primo episodio quasi per scherzo.
Tecniche di scrittura, personaggi e anche modi di dire sono volutamente tratti nel modo più verosimile possibile all'opera di J.Carey, ma lo scenario è del tutto inventato e parodiato.
Il tono semiserio del racconto non vuole assolutamente deridere quest'opera che amo follemente... anche per la sottile ironia che maliziosamente spesso suggerisce.

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Capitolo 3
*** Episodio 3 - Volontà ***


Questa storia fa parte di un insieme di racconti brevi dai toni semiseri liberamente tratti dalla saga di Kushiel ed ispirati da un pensiero di Phèdre sul finale di "La maschera e le tenebre", ovvero quando arriva a definire Imriel figlio suo e di Mélisande. La geniale assurdità di quel dettaglio ha scatenato in me folli fantasie sul quadretto familiare ed è nato il primo episodio quasi per scherzo.
Tecniche di scrittura, personaggi e anche modi di dire sono volutamente tratti nel modo più verosimile possibile all'opera di J.Carey, ma lo scenario è del tutto inventato e parodiato.
Il tono semiserio del racconto non vuole assolutamente deridere quest'opera che amo follemente... anche per la sottile ironia che maliziosamente spesso suggerisce.


Maison Shahrizai - Episodio 3

Volontà

Poi venne il momento dei chiarimenti. Era inevitabile che Imriel prima o poi mi avrebbe voluto parlare. C'era sempre stato un rapporto molto aperto e sincero tra noi, forse anche troppo vista la giovane età in cui avevo dovuto iniziare a fargli capire certe cose. Ma sono quella che sono e certi discorsi non è possibile edulcorarli girandoci attorno. Aveva capito cos'ero prima di conoscermi davvero, mi aveva odiata per il mio lato più oscuro e poi in seguito aveva cercato di cancellarlo dalla visione che aveva di me, perchè certamente strideva, e di molto, con quella sorta di figura materna che ero diventata per lui. Ma, ripeto, sono quella che sono, per quanto lo maledicessi io stessa, per quanto mi ci opponessi e per quanto anche lui sicuramente avesse tentato di non vedere, ma da quando sua madre era tornata da noi era impossibile non fare i conti con la mia natura. Ogni giorno.
Fu così che Imriel mi chiamò in disparte, sotto il colonnato della veranda che si affacciava sui giardini dietro la nostra residenza. Mi aveva chiesto di sedermi sulla panca di pietra accanto a lui, ma poi si era alzato, subito prima di affrontare l'argomento serio per cui ci trovavamo lì.
«Perchè sei così con lei?» mi chiese all'improvviso dandomi le spalle.
Era ovvio chi fosse la persona a cui faceva riferimento, anche se non era di lei che avevamo parlato fino a poco prima.
«Ti ho spiegato cosa sono fin dal primo momento, non ti ho mai nascosto nulla di me, per quanto potesse essere imbarazzante parlarne ad un bambino. Perchè mi fai questa domanda ora?»
Imri si girò.
«Perchè con lei sei diversa»
«E' una questione difficile da spiegare, è qualcosa di molto profondo il nostro legame.»
«La ami?»
Era stato più semplice parlargli di quello che avevo fatto con il mahrkagir, che non del mio rapporto con sua madre. Era tutto più difficile quando di mezzo c'era lei.
«Bè, si. Si.»
«Più di Joscelin?»
Serrai la mascella e inspirai per qualche istante. La ferita era ancora aperta e lui lo sapeva, ma evidentemente ne soffriva molto anche lui se aveva tirato fuori la questione a viso così aperto.
«E' diverso»
«Questo mi pare evidente»
«Cosa ti disturba?»
Imriel arrossì. Ne compresi subito il motivo: la domanda era stata posta male da un certo punto di vista. Non doveva essere semplice affrontare l'adolescenza con due madri come me e Mélisande. Di cose che lo disturbavano ce n'erano fin troppe, era chiaro.
«Non fraintendermi» mi corressi subito «Immagino che non sia facile adattarsi alla situazione e so anche che soffri ancora per aver perso Joscelin. E' così anche per me, per entrambe le cose. Ma sai perchè siamo qui e vedi che la cosa funziona»
L'amnistia di Mélisande era solo una facciata. La verità era che, come già avevamo potuto constatare anni prima, le mura del tempio di Asherat non erano affatto un limite per quella donna. Esilio e prigionia erano solo una condizione fisica, poco più di una seccatura per una che, come lei, era in grado di manovrare i destini delle nazioni a suo piacimento. Anche il giuramento fatto a me si era rivelato solo un paletto aggiuntivo, una difficoltà che invece di fermare il suo gusto per i giochi di potere, l'aveva stuzzicata a trovare strade alternative per raggiungere i suoi scopi pur tenendo fede alla parola data. Aveva deviato i suoi obiettivi, la sua volontà aveva valicato muri e confini e Terre d'Ange era tornata in breve tempo a temere Mélisande Shahrizai.
L'idea di Ysandre era sembrata un'assurdità ai più e un pericoloso azzardo per chi aveva conosciuto e compreso meglio ciò che legava quella diavolessa, com'era stata definita, a me e a Imriel. Ysandre la riteneva l'unica soluzione possibile che non fosse darle la morte. Io avevo accettato titubante, incapace di lasciarla alla pena capitale, sobbarcandomi così il peso di una responsabilità enorme, perchè non credevo che io e Imri saremmo stati davvero per Mélisande un deterrente sufficiente a frenare la sua smania di potere. Ma io e lei ci completavamo a vicenda, Elua e i suoi Compagni ci avevano forgiate in modo così perfettamente complementare e quello che ci spingeva l'una all'altra, prescelta ed erede di sangue divino, era qualcosa a cui la volontà umana non poteva fare resistenza, nemmeno quella di Mèlisande. Come Ysandre avesse potuto comprenderlo tanto a fondo non lo sapevo, ma c'era riuscita e ci aveva scommesso sopra più di quanto io stessa avrei osato fare. Per l'ennesima volta il suo giudizio era stato corretto. Scoprire che quell'inusuale forma detentiva, di cui Imriel era ulteriore sigillo di garanzia, pareva funzionare al meglio, aveva dato credito alla già nota arguzia della regina e aveva finito per lasciare a bocca aperta tutti gli scettici. Quanto a me, evitavo di pensarci, ma intimamente crogiolavo sotto la muta eco di quell'ennesima gustosa vittoria su Mélisande. E non solo ad essere onesta: l'amavo, dopo tutto, e quella situazione appagava anche me, nonostante i pesanti sacrifici.
«Preferiresti che non amassi tua madre, dopo le scelte che ho dovuto fare?»
«E' solo che non vorrei vederti così. Con Joscelin non era così. Mai»
«Te l'ho detto, Imri. E' diverso. Siediti per favore»
Cocciuto come solo un de La Coursel sapeva essere, fece un passo indietro, appoggiandosi ad una colonna davanti a me.
«Non sopporto vederti così»
«Non è una cosa che faccio per scelta, Imri. So che ti ricordi bene com'ero a Darsanga e sai che non fingevo. Non completamente almeno. Mi hai odiata per quello, l'hai dimenticato?»
«Ti odiavo perchè pensavo fossi solo quello. Che fossi come il mahrkagir»
«Non sono solo quello, ma lo sono in gran parte. Mi sembrava di avertelo fatto capire bene, di averti avvertito quando tu mi hai chiesto di poter stare con me.»
Mi si sedette accanto finalmente e io gli presi una mano, stringendola tra le mie.
«Va bene così, Imriel e verrà il momento in cui capirai, fin troppo. Ad ogni modo non devi preoccuparti per me. Una volta Hychinte usò il dromonde per Mélisande, le disse una piccola frase, poche parole a cui lei non ha mai dato il giusto peso. Non sempre chi accondiscende è debole. Non fare lo stesso errore di tua madre: non credermi debole solo perchè assecondo la sua volontà. Lei ha perso ogni sfida contro di me per avermi creduta tale»
«Proprio perchè so che non sei così, non sopporto il fatto che tu le ceda ad ogni suo capriccio, senza cercare di farti valere nemmeno per un istante»
Avesse saputo. Se fossi stata capace di fargli capire con quanta tenacia mi imponevo di resisterle, glielo avrei spiegato. Ma non c'erano parole sufficienti a farglielo capire, ciò che univa me a sua madre era troppo grande, troppo potente per poter essere descritto. Dovevo tuttavia dargli delle risposte. Dovevo rassicurarlo.
«Tu non vedi tutto quello che c'è tra noi. Bè, vedi molto in realtà, più di quanto un ragazzo della tua età dovrebbe e me ne dispiace. Ma non è come sembra. Credimi» gli dissi accarezzandogli una guancia «Se davvero fossi così debole nei suoi confronti, come credi, ne starei male. Ti sembro forse infelice?»
«No, questo no»
«So come farmi valere con lei, come imporre la mia volontà, non preoccuparti. Sono perfettamente in grado di resisterle quando voglio, più di quanto tu o lei possiate immaginare.»
Imriel annuì e mi sorrise riempiendomi e sollevandomi il cuore come solo lui sapeva fare. Probabilmente fu quella la ragione per cui non mi accorsi dei passi che si erano intanto avvicinati a noi.
«Phèdre» suonò armoniosa la voce di Mélisande.
Distolsi lo sguardo da Imri per alzarlo verso di lei. Allungai la mano per metterla sopra quella che lei mi tendeva per aiutarmi a mettermi in piedi. Mi trovai davanti a lei senza nemmeno aver ben compreso come ci fossi arrivata. La crudele bellezza del suo viso riempiva i miei occhi, l'intensità del suo profumo alterava i miei sensi, la mano ancora stretta nella sua bruciava.
«Cosa per i Sette Inferni stavi vaneggiando?» mi chiese.
Dovetti attendere di abituarmi alla sua presenza per ritrovare la lucidità, impantanata nel terreno torbido dei miei desideri.
«Non stavo vaneggiando, Mélisande» replicai dopo un tempo forse troppo lungo per poter essere considerato normale.
«Oh Phèdre, chi vorresti prendere in giro?»
Mi girai a guardare Imri, cercando in lui la forza che sentivo venir meno.
«Sii sincera con te stessa» disse prendendomi il volto per costringermi a guardarla di nuovo «Cos'è che saresti in grado di fare tu?»
Il suo volto era tornato ad assere il mio mondo. Così bello, così suadente. Ah, Elua! Davvero, chi volevo prendere in giro?
Mi si avvicinò tanto da farmi sentire il calore del suo corpo, poi si allontanò, togliendo le mani a coppa dal mio viso. Così rapida che vacillai per quell'assenza improvvisa. Sentii le gambe leggere, pronte a farmi inginocchiare davanti a lei, a farmi miseramente capitolare contraddicendo quanto avevo effettivamente vaneggiato solo un attimo prima.
«Vieni qui» sussurrò.
Accolse il mio slancio afferrandomi la testa per baciarmi. Io non la strinsi, mi aggrappai letteralmente a lei ricambiando il bacio.
Mi lasciò poi molto lentamente, godendo fino all'ultimo delle mie labbra e io, piano, tornai in me. Mi girai a guardare la panchina e la trovai vuota, a sottolineare la mia sconfitta e la mia vergogna.
«Era proprio necessario umiliarmi così davanti a lui?» dissi senza voltarmi verso di lei.
«Sei una pessima bugiarda, Phèdre, mi sembra di avertelo già detto una volta. Gli stavi mentendo con tale spudorata incapacità, che sono dovuta intervenire»
«Vi odio»
Mi costrinse di nuovo a girarmi verso di lei, prendendomi il viso tra le mani.
«Ti piacerebbe» disse subito prima di tornare a baciarmi.



Questa storia fa parte di un insieme di racconti brevi dai toni semiseri liberamente tratti dalla saga di Kushiel ed ispirati da un pensiero di Phèdre sul finale di "La maschera e le tenebre", ovvero quando arriva a definire Imriel figlio suo e di Mélisande. La geniale assurdità di quel dettaglio ha scatenato in me folli fantasie sul quadretto familiare ed è nato il primo episodio quasi per scherzo.
Tecniche di scrittura, personaggi e anche modi di dire sono volutamente tratti nel modo più verosimile possibile all'opera di J.Carey, ma lo scenario è del tutto inventato e parodiato.
Il tono semiserio del racconto non vuole assolutamente deridere quest'opera che amo follemente... anche per la sottile ironia che maliziosamente spesso suggerisce.

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Capitolo 4
*** Episodio 4 - Un prezzo troppo alto ***


Questa storia fa parte di un insieme di racconti brevi dai toni semiseri liberamente tratti dalla saga di Kushiel ed ispirati da un pensiero di Phèdre sul finale di "La maschera e le tenebre", ovvero quando arriva a definire Imriel figlio suo e di Mélisande. La geniale assurdità di quel dettaglio ha scatenato in me folli fantasie sul quadretto familiare ed è nato il primo episodio quasi per scherzo.
Tecniche di scrittura, personaggi e anche modi di dire sono volutamente tratti nel modo più verosimile possibile all'opera di J.Carey, ma lo scenario è del tutto inventato e parodiato.
Il tono semiserio del racconto non vuole assolutamente deridere quest'opera che amo follemente... anche per la sottile ironia che maliziosamente spesso suggerisce.


Maison Shahrizai - Episodio 4

Un prezzo troppo alto

Ogni angeline è legato alla Notte Più Lunga e ogni angeline, noi servi di Naamah in modo particolare, ne ricorda ogni singolo festeggiamento. Anche io rammentavo tutte quelle che avevo potuto celebrare, specialmente alcune, una sopra ogni altra, quella che passai al servaggio di Mélisande Shahrizai. Nonostante siano trascorsi tanti anni e nonostante i ricordi di quella notte siano sempre stati annebbiati dallo stato confusionale in cui la trascorsi, non ho mai dimenticato un solo piccolo dettaglio di ciò che percepii nella mia vulnerabile lucidità.
Allora amavo Mélisande, l'amavo come non ho più potuto in seguito. L'amavo senza riserve, nell'innocente ignoranza di chi, e non ero certo la sola, era ben lungi dall'immaginare quanto fosse mortale la sua sete di potere. Non sapevo nulla di lei allora e quello che provavo era il frutto di un genuino ed atavico sentimento che mi spingeva violentemente verso di lei e al quale non ponevo alcun freno, se non quello della razionale prudenza a cui il mio signore Delaunay mi aveva ben addestrata. Ingenuamente credevo non servisse altro e quella notte venne meno anche quello, perchè mi abbandonai a lei e al mio desiderio più di quanto avrei dovuto. Fu un tragico errore, pagato davvero caro sulla pelle di chi non è più qui e sulla mia tormentata coscienza.
Ricordavo quella notte mentre i festeggiamenti per il Solstizio d'Inverno si avvicinavano anche quell'anno e Mélisande stava chiaramente tramando qualcosa. Ciò che più mi spaventava era il fatto che non si preoccupasse minimamente di lasciarmelo intendere: da giorni mi studiava, indugiava a lungo lo sguardo su di me senza dirmi una parola, era fredda e distante, in modo assai diverso rispetto al suo solito, e soprattutto mi aveva lasciata ogni notte a dormire sola nelle mie stanze.
Non avevo idea di ciò che quegli occhi indagatori stavano macchinando: anche se ormai ritenevo di conoscerla piuttosto bene, non mi sono mai illusa di poter decifrare i giochi che la sua mente era in grado di creare, se non quando ormai erano in atto. Quei suoi silenzi mi spaventavano, ma quell'attesa, fatta di freddo distacco e astinenza, stava producendo in me un effetto di cui non andavo certo fiera e che cercavo di stemperare concentrandomi su Imriel.
Il mio bel principe stava facendo i preparativi per trascorrere la Notte Più Lunga e i due giorni successivi con alcuni amici. Da un lato ne ero felice, certamente per lui che smaniava all'idea e poi perchè questo l'avrebbe tenuto all'oscuro di ciò che sua madre stava architettando su di me. Dall'altro la solitudine in cui mi avrebbe lasciata era un motivo in più di preoccupazione e quando si fece il momento di salutarlo il timore di quanto poteva accadere nelle ore successive mi pietrificò lo stomaco. Lo guardai allontanarsi dritta all'ingresso accanto a sua madre, che ricambiava il suo radioso sorriso in tutta la sua algida bellezza. Non mi abituavo mai a vederla: dopo mesi in cui avevo la possibilità di ammirarla tutti i giorni, ancora la sua vista mi colpiva ogni volta con la stessa veemenza e mi costringeva a placare con fatica il fremito che mi causava. A volte mi veniva da pensare che definire amore ciò che provavo per lei fosse sbagliato, riduttivo anzi, ma non riuscivo a trovare una parola che potesse spiegare meglio ciò che la discendente di Kushiel poteva essere per me, che ne ero la prescelta. Tante volte ho pensato che quello che provavo fosse troppo, perchè spesso lo sentivo come un peso doloroso da sopportare e del quale tuttavia non potevo fare a meno. Ma in realtà sapevo di essere venuta al mondo per quello e di essere la sola a poterlo provare.
Mélisande abbassò lo sguardo su di me, fredda e muta come lo era da giorni. Mi sentii disarmata e snudata di tutto in un solo insignificante attimo, poi lei mi oltrepassò per rientrare in casa ed avviarsi verso le sue stanze. Mancavano poche ore all'inizio delle celebrazioni per la Notte Più Lunga e mi sembrava di camminare sui tizzoni ardenti nell'impazienza di scoprire cosa quella donna avesse in serbo per me.
Cominciai a capirlo quando giunsi nelle mie stanze e trovai un grande involto di carta di riso nera appoggiato sul mio letto e chiuso con un nastro di seta rosso. Legata al nastro c'era una pergamena arrotolata, che sfilai e svolsi subito. Riconobbi la grafia di Mélisande nelle poche parole che conteneva.
Per te. Per questa notte.
Certa che tu conosca la leggenda di Merak.
La conoscevo.
Si trattava di una vecchia leggenda azzalese, la storia di una donna bella quanto incapace d'amare, che aveva osato prendersi gioco dell'amore, incantando persino il beato Elua e allontanarlo da uno dei suoi compagni, Azza. L'ira di tutti gli dei, quella di Azza in particolare, colpì Merak e il suo insulto nei confronti di un sentimento che, convinta di non poter provare, da sempre usava a proprio vantaggio. Ma l'amore è il fondamento stesso della nostra essenza e gli dei sapevano che nemmeno la bella Merak poteva fuggirgli in eterno, per questo maledirono le sue labbra, rendendo il loro tocco mortale alla persona che avrebbe amato. Fu quando lei, che aveva concupito senza mai ricambiare re, principi e persino un dio, capì di ricambiare i sentimenti di un umile maniscalco di nome Nar, che Merak smise di ridere di quella maledizione che mai aveva pensato le avrebbe nociuto. Terrorizzata dall'idea di uccidere il suo fedele Nar, che da sempre l'aveva servita ed amata incondizionatamente, Merak lo respingeva, ma più gli stava lontano, più se ne sentiva legata. A nulla valse implorare la pietà di quegli dei che aveva sbeffeggiato, per chiedere il loro perdono e quando, rassegnata all'idea di non poter mai suggellare il proprio amore, decise di togliersi la vita, Nar scelse di sacrificare la propria per poter far vivere a lei anche un solo attimo di vero amore: il giovane maniscalco baciò Merak e la maledizione punì impietosa, avviluppando il suo corpo in un rogo che incenerì lui insieme alla sua amata.
Aprii l'involto scossa da un brivido. Scostai l'ultimo strato di carta e con la delicatezza con cui avrei toccato le ali di una farfalla sollevai il contenuto: davanti a me tenevo un abito composto da una moltitudine di veli di chiffon tra il rosso e il giallo, piegati ed arricciati in modo tale da creare, con incredibile verosimiglianza, l'idea di fiamme che crescevano dalle gonne lunghe e frastagliate, separandosi seguendo le scollature della schiena e del seno e zampillando in un complesso intrecciarsi di piume di fagiano rosse che abbracciavano il collo e le spalline. Lo guardai incantata mentre la mia domestica bussava alla porta per comunicarmi che il bagno era pronto.
Sembrava tutto troppo bello per essere vero. La mia gioia e il mio crescente desiderio erano frenati dalla razionale intuizione che ci fosse dell'altro, ma farsi cullare dall'illusione era una tentazione così suadente. Tuttavia non riuscii a godere appieno del bagno e nemmeno del massaggio con gli oli profumati che Mélisande aveva ordinato per me. Ad ogni meraviglioso regalo che si aggiungeva a quella notte provavo un composto brivido di puro terrore. Cos'aveva in mente?
Ribolliva dentro di me un misto di paura e curiosità, oltre che di sincera bramosia al pensiero di Merak, una storia tanto struggente e che in modo angosciante m'illudevo fosse un riferimento al rapporto tra me e lei. Mi domandavo ossessivamente perchè Mélisande l'avesse scelta e mi crogiolavo all'idea che fosse un'implicita dichiarazione dei suoi sentimenti per me. Troppo semplice. Troppo bello. Cosa stava tramando? L'attesa di scoprirlo mi torturò per tutto il pomeriggio.
Intanto mi preparavo. La mia pelle fu interamente ricoperta da un olio che depositò su di me una miriade di minuscole scaglie dorate che scintillavano alla luce. Le mie unghie e le mie labbra furono colorate di un rosso vivido. I miei capelli furono acconciati in una complessa capigliatura che li raccoglieva in alto, così che, quando indossai l'abito, le piume di fagiano rosse mi salivano libere lungo il collo per cingermi la testa.
La leggenda di Merak proviene dalle zone di confine di Azzalle, dove esisteva una lingua mista nella quale la parola merak significava pavone. A questo faceva riferimento l'abito indossato da Mélisande. Rimasi senza fiato quando scesi e la vidi. Lucido raso color ebano le avvolgeva stretto il busto e scendeva drappeggiato, allungandosi dietro in uno strascico e aprendosi sul davanti per mostrare le ampie gonne di seta color verde oliva. Dal fianco sinistro si apriva un grande ventaglio di piume di pavone che l'abbracciava sia davanti che dietro, coprendole parzialmente la schiena nuda e il seno, che il raso mostrava in una scollatura che sarebbe stata definita scandalosa anche a Terre d'Ange. Una decorazione simile le avvolgeva quasi completamente la testa, attaccata sopra l'orecchio destro si apriva coprendole anche parte del viso, quasi fosse una maschera. Al di sotto i capelli erano raccolti in una crocchia lenta all'altezza della nuca, da cui alcune ciocche erano state lasciate libere di accarezzarle il collo.
Ad ogni passo verso di lei sentivo le ossa farsi un inutile liquame che non poteva sostenermi, finchè dovetti fermarmi e aggrapparmi ad una colonna al mio fianco, mentre una delle domestiche mi porgeva un bicchiere colmo di joye. Lo afferrai stringendolo troppo forte e versandomene una parte sulla mano. Tremavo e maledicevo quella mia totale mancanza di autocontrollo, che s'impossessava di me quando ero al cospetto di Mélisande e allo sfoggio della sua insopportabile bellezza.
Lei sorrise, mi sorrise. Poi si avvicinò e mi sollevò la mano in cui ghermivo il bicchiere come fosse un'arma con cui difendermi. Si portò la mia mano davanti al viso e vi leccò le tracce di liquore, osservando divertita la mia reazione. Ero pietrificata.
«Joye» disse melliflua, lasciandomi libera di tremare un brindisi di rimando e di portarmi il bicchiere alla bocca. Il liquido mi bruciò giù per la gola e io l'assaporai chiudendo gli occhi e pregando che potesse sciogliermi i nervi.
Non fu così.
Mélisande mi osservò a lungo, compiaciuta.
«Sei perfetta» disse dopo un lungo silenzio.
Io la guardavo, non ero in grado di fare altro.
Mi sorrise di nuovo. E poi mi oltrepassò per avviarsi verso l'uscita. Solo in quel momento colsi il suo profumo, quella sua fragranza che conoscevo perfettamente, eppure diversa quella sera, più intensa. Mi girai e mi trovai a seguire quella scia fino al porticato e poi sulla carrozza. Ricordai la sensazione del guinzaglio con cui mi aveva legata la prima volta e mi toccai istintivamente la gola dove aveva appeso il suo diamante. Il profumo, questa volta le bastava il profumo per obbligarmi a seguirla.
Quell'anno era Casa Genziana a dare la festa per il Solstizio d'Inverno. Tutti i pari del regno vi erano riuniti, ognuno abbigliato nel modo più straordinario. Il silenzio con cui fu accolto il nostro ingresso fu palpabile, l'intera sala sembrò trattenere il fiato, ma lei cominciò a salutare gli invitati serena e totalmente a suo agio come se la sua presenza lì, alla prima Notte Più Lunga dopo la sua contestata amnistia, fosse del tutto normale. Io la seguivo, in uno stato non diverso da quello di tanti anni prima, guidata dal suo profumo, dalla melodia della sua voce, dalla gioia delle sue risate. Quanti, e furono davvero tanti, mi si avvicinarono per salutarmi e intrattenersi con me, riuscivano a distrarmi da lei soltanto pochi attimi. Non potevo allontanarmi da lei, non ne ero capace, nè fisicamente, nè tantomeno mentalmente. Attendevo solo di scoprire cosa aveva in serbo per me, perchè sapevo bene che Mélisande Shahrizai non fa mai nulla senza motivo e quel giorno aveva fatto troppo per me. C'era un prezzo che avrei dovuto in qualche modo pagare. E non potevo pensare ad altro.
«Ti stai divertendo, Phèdre?» mi chiese all'improvviso, in uno dei rari momenti in cui ci trovammo sole.
«Ditemelo voi» le risposi, dopo aver studiato un attimo il suo sorriso, che si allargò alle mie parole.
«Perchè? Dovrei saperlo meglio di te?»
«Immagino abbiate calcolato ogni istante di questa lunga notte, dunque mi aspetto che sappiate meglio di me come mi sento»
Mi osservava deliziata.
«Phèdre» pronunciò il mio nome in un gemito «Non mi deludi mai»
Mi appoggiò una mano alla guancia e mi lasciò credere di volermi baciare. Caddi nel tranello e probabilmente mi si dipinse la frustrazione in faccia tanto chiaramente da farla ridere. Poi tolse l'attenzione da me e io mi morsi un labbro tanto forte da temere di averlo fatto sanguinare.
«Come mai proprio Merak?» le chiesi dopo aver riconquistato il controllo di me stessa.
Lei non si girò a guardarmi, ma fingendo indifferenza rispose «Davvero non lo immagini?»
«La storia si apre a tante interpretazioni e non saprei dire quale sia la vostra»
«Quale preferiresti?»
Era naturale che lo sapesse bene quanto lo sapevo io.
«Questo non importa, non è certamente il motivo della vostra scelta»
«Perchè no?»
«Non sarebbe da voi»
Rise apertamente e io strinsi i pugni sulle mie gonne fino a sentire formicolio alle mani.
L'ingresso di Ysandre de La Courcel pose fine a quel dialogo, impedendomi di avere una risposta a ciò che da ore mi assillava. Osservammo la regina aspettando il momento per poterle porgere il nostro saluto e quando arrivò, Mélisande mi stupì come ogni volta: non ho mai capito come potesse riuscire ad inchinarsi tanto profondamente senza dare la minima idea di sottomissione. Anche Ysandre lo percepì, ma come sempre riuscì a dissimulare l'odio che provava verso di lei se non per un breve lampo che attraversò i suoi occhi viola e che solo io, che le stavo di fronte, riuscii a cogliere.
Dopo averci osservate per qualche momento con un cipiglio incuriosito disse «Mi sfugge il significato del vostro abbigliamento»
Mélisande sorrise e rispose cortesemente «Si tratta di un riferimento ad un'antica leggenda azzalese»
«Merak!» la interruppe la regina, cogliendo solo in quel momento la citazione. Spostò più volte lo sguardo dall'una all'altra con attenzione e poi disse «Interessante. E' stata tua la scelta, Mélisande?»
«Sì»
Gli occhi di Ysandre si posarono meditabondi su di me, poi tornarono al volto di Mélisande.
«Non vorrai farci credere di essere stata tanto generosa da aver concesso a Phèdre il lusso di considerarsi il tuo Nar.»
Le labbra di Mélisande si allargarono in un sorriso divertito.
«O forse è meglio pensare che avrei potuto io stessa interpretare un terzo personaggio della storia?» aggiunse la regina «Magari mi avresti vista bene vestita da Azza»
Mélisande rise.
«Tra le numerose doti che vi attribuiscono, Vostra Maestà, posso certamente dire che non mentano sul vostro senso dell'umorismo»
«Mi trovi ironica? Ho sbagliato a ritenere Phèdre una maledizione per te?»
Era la prima volta che, anche se in modo velato e sottoforma di metafora, le due donne si confrontavano sul mio ruolo nella singolare forma detentiva di Mélisande. Raramente mi ero sentita più a disagio in tutta la mia vita, anche perchè conoscevo la mia signora e dubitavo che fosse in grado di trattenere la lingua quando poteva usarla per sbeffeggiare il potere che le veniva imposto.
Non si trattenne.
«Merak ha scelto di bruciare insieme a Nar ed Azza ha dovuto consolare Elua e chiedergli perdono per aver condannato due persone a morire per amore»
L'espressione di Ysandre era indecifrabile mentre fissava gli occhi di Mélisande per un lunghissimo istante, che congelò il mio sangue e quello di chiunque fosse abbastanza vicino a noi da aver ascoltato quel dialogo.
«Il Beato Elua infine perdonò il suo compagno, consolato dal fatto che quel dolore avesse insegnato a Merak il significato dell'amore» precisò poi la regina.
«Chissà? Magari l'avrebbe compreso comunque.»
«E' probabile, la domanda è quante vittime avrebbe causato prima che ciò accadesse» disse Ysandre, prima di voltarsi a guardarmi e accarezzarmi una guancia «Purtroppo capita che a qualcuno tocchi pagare per gli errori degli altri. Prego il Beato Elua che l'errore non sia il mio» mi baciò e mi strinse in quel modo caloroso che da anni ormai mi riservava, poi si allontanò da noi senza aggiungere altro o permettere repliche. Io tornai a respirare.
«Mi sembri tesa» mi disse Mélisande, mentre osservava Ysandre già circondata da altri ospiti.
«Come potrei non esserlo?»
«Io non lo sono» mi disse come se fosse un consiglio.
«Voi non lo siete mai. Potrei contare sulle dita di una sola mano le volte che ho visto un'espressione diversa dalla serenità sul vostro viso. Credo che mi avanzerebbero anche alcune dita.»
«Phèdre» sospirò «Gli dei hanno suddiviso tra noi le emozioni e i sentimenti in modo netto. L'ansia l'hanno concessa tutta a te»
«A voi hanno dato ben poco»
Rise a lungo e poi disse «Per compensare mi hanno dato te» solo in quel momento mi guardò e io mi sentii sciogliere. Aspettavo un bacio, una carezza, un gesto di affetto e di potere su di me. Ma non arrivò.
Deglutii e dissi «La vostra maledizione?»
«Non ho ancora intenzione di risponderti a questo» tolse la sua attenzione da me e si lasciò catturare dal Duca de Morban, con cui si mise a danzare gioiosa e affabile come se questi non l'avesse mai scortata fino a quello che sarebbe dovuto essere il suo patibolo.
Mi ero torturata il cervello tutta la sera e ancora non ero riuscita a trovare il motivo vero della scelta della leggenda di Merak, quando la festa volse al termine e seguii Mélisande alla carrozza che ci avrebbe riportate a casa.
«Dunque?» mi chiese appena la carrozza cominciò la sua corsa «Hai trovato da sola la risposta che cercavi?»
«No»
Mélisande rise e mi sfiorò il collo, mi posò la mano dietro la nuca e mi baciò. Mi sentii stordita per la lunga attesa di quel momento, per il suo profumo, per quelle labbra il cui tocco mi era mancato così tanto. La ricambiai con foga, spaventata dall'idea che potesse sottrarsi a me da un momento all'altro.
Il freddo dello sportello aperto mi distrasse all'improvviso e lasciai riluttante le labbra di Mélisande per scoprire che eravamo giunte a casa. Seguendo la scia del profumo della mia signora, entrai in camera sua, preda di un desiderio che divorava la mia razionalità. Lei sciolse i nastri che reggevano il mio abito, mi spogliò e mi indicò il letto. Io obbedii a quel muto comando. Mi legò i polsi ai pali del baldacchino, troppo in alto perchè potessi stare stesa e troppo in basso per poter stare seduta sui talloni, quindi mi trovai in un precario equilibrio, con la schiena inarcata indietro e le ginocchia puntellate in avanti in modo che i legacci non mi tirassero troppo le spalle. Dopo avermi legata, rimase ferma ai piedi del letto a guardarmi, la testa piegata da una parte, poi si allontanò per liberarsi del copricapo di piume e sciogliersi i capelli.
Non saprei dire se fosse solo colpa del fuoco che ardeva nel grande camino di marmo, ma mi sembrava un caldo degno dei Sette Inferni, sudavo ed ero incapace di star ferma in quella scomoda posizione. Mélisande lo sapeva e se la prendeva comoda. Mi guardava attraverso lo specchio mentre toglieva il ventaglio di piume dal suo abito, staccandone una. Senza mai togliere il suo sguardo da me, l'accarezzò e ci giocò, finchè si girò e la usò su di me.
Non sono particolarmente sensibile al solletico, per questo mi stupì che avesse deciso di cominciare proprio da quello, ma l'avevo sottovalutata. Conosceva a memoria il mio corpo e forse sapeva anche meglio di me quali punti erano più suscettibili di altri e a cosa: mi sfiorò il capezzolo destro a lungo, fino al punto che la pelle cominciò a provare un doloroso pizzicore misto a piacere. Mugugnai e quello che era solo uno sfioramento divenne uno sfregamento irritante ed eccitante allo stesso momento. Emisi un altro gemito, lei allontanò improvvisamente la piuma, consapevole del fatto che a quel punto la mia pelle era sensibile persino all'aria. Si avvicinò al mio petto, il suo solo respiro accanto al seno mi faceva sobbalzare. Avvicinò ulteriormente le labbra al mio capezzolo, mi guardò e poi lo morse.
Gridai senza emettere suono. Cercai di respirare. Persi l'equilibrio e sentii le spalle torturate dalle corde che mi tiravano dietro e in alto.
Mélisande stroppò via da me le sue labbra e mi afferrò il viso con una mano.
«Voglio che tu mi dica una cosa»
Allungò la mano dietro la mia testa, sollevandola per i capelli.
«Cosa ti ha detto Imriel diciotto giorni fa?»
La guardai incredula. Questo! Questo era il prezzo!
Aprii la bocca, ma non riuscii a proferire verbo. Ansimavo solamente. Dolore. Piacere. Lei.
«Cosa ti ha detto?»
Mi tirò ancora i capelli e rimase a fissarmi finchè io sentii il suono della mia risata.
Lei sorrise.
«Sapevo che non sarebbe stato semplice farti parlare. Ma ho tutta la notte e so essere molto convincente.»
Non avevo dubbi in proposito, ma avrei confessato il più riservato affare di stato piuttosto che tradire la fiducia di Imriel.
Quello fu appena l'inizio e fu solo un pallido assaggio di ciò che mi fece in seguito. Mi torturò provando su di me ogni oggetto in suo possesso, lasciandomi a ribollire nel desiderio e nella frustrazione. Mi fece implorare. Mi fece piangere. Usò su di me la violenza più brutale e la dolcezza più struggente. Io non cedetti.
Ero stremata. Non avevo idea di quanto tempo fosse passato da quando eravamo chiuse là dentro. Sospettavo che le mie spalle si fossero slogate perchè mi dolevano da impazzire. Sentivo il dolore di una moltitudine di ferite che non mi risparmiavano nessuna parte del colpo, in modo tanto omogeneo che non avrei saputo dire dove finiva una e cominciava l'altra. Non piangevo più, non avevo più lacrime. La mia voce era un suono rauco quando dissi «Ancora non mi avete detto perchè avete scelto Merak»
Lei si stava riposando, detergendosi con una salvietta dal sudore e dal mio sangue. Si fermò un attimo e poi riprese senza rispondermi.
«Qual era lo scopo di usare proprio quella storia?» insistetti.
Si mise ai piedi del letto e mi guardò a lungo.
«Era un balsamo. Volevo solo confonderti. Pensavo ti avrebbe sciolta al punto da indurti più facilmente a cedermi»
«Pensavate davvero che bastasse così poco?»
«Oh no, certo che no. Era solo un balsamo per il resto, per ciò che avevo in mente per questa notte. Tuttavia non è stato sufficiente»
Salì sul letto e mi raggiunse a carponi.
«Non mi credi vero? Speri ancora in un significato più profondo?»
Sì. Non lo dissi. Non le avrei concesso il piacere di quell'umiliazione.
Lei mi baciò e poi cominciò a sciogliere i nodi che mi legavano i polsi.
«Purtroppo Phèdre questa è una partita che non ho alcuna intenzione di perdere.»
Il dolore delle mie braccia libere mi lasciò senza fiato e incapace di concentrarmi su altro. Sentii solo le sue mani che con delicatezza mi spostavano e mi mettevano in una posizione più comoda. Mi asciugò, mi massaggiò, per poi aiutarmi ad alzarmi ed accompagnarmi nella sala da bagno. Si dedicò alla cura del mio corpo in modo sorprendentemente amorevole, senza dirmi più una parola, senza nemmeno mai guardarmi negli occhi.
Sentivo il mio corpo rilassarsi a quelle lusinghiere attenzioni, ma non avevo scordato la velata minaccia che era uscita dalle sue labbra dopo l'ultimo bacio che mi aveva concesso. La partita non era affatto finita.
Per questo non rimasi stupita quando mi riportò in camera e mi legò nuovamente al letto che intanto era stato cambiato. «Parlerai» mi disse subito prima di baciarmi, per poi lasciarmi sola nella stanza.
Non avevo modo di capire se fosse giorno o notte, il fuoco nel camino forniva l'unica luce che illuminava parzialmente la stanza. Mi addormentai e fu lei a svegliarmi, ricominciando da capo il mio supplizio. Gridai e piansi di nuovo e ancora non cedetti.
Il gioco andò avanti così per non so quanto tempo, sospettavo fosse passato anche più di un giorno intero. Non cedevo e questo alimentava la sua ira e la sua eccitazione. Io ero quasi sull'orlo della pazzia quando lei attirò la mia spossata attenzione scudisciandomi in volto.
«Tutti hanno un prezzo! Qual è il tuo?»
Quella domanda suonò alle mie orecchie come una piccola vittoria. Rispose al mio sorriso sferzandomi le labbra, ma non m'importò. L'avermi fatto quella domanda era un minuscolo cedimento di cui stancamente gioivo. Ad ogni modo realizzavo che quello fosse un gioco in cui la sua sconfitta non era prevista, mi avrebbe tenuta legata là dentro finchè prima o poi non avrei ceduto o avrei del tutto perso la ragione. La pazienza purtroppo non le mancava, men che meno la perseveranza. Dovevo trovare un modo per porre fine alla partita senza venir meno alla parola data a Imriel e forse fu la totale disperazione del momento che mi portò a trovare l'unica cosa che avrei potuto chiederle come prezzo del mio tradimento, certa che fosse per lei troppo alto da pagare.
«C'è» dissi con un filo di voce rauca «C'è una sola cosa che posso accettare da voi in cambio della fiducia di Imriel. Una soltanto.»
«Credo di averti ben dimostrato quanto ci tengo. Sono disposta a tutto. Di cosa si tratta?»
«Voglio» biascicai cercando invano di ignorare la difficoltà di parlare con la bocca tanto secca «Voglio sentirvi dire, sinceramente, cosa provate per me. E badate, ho imparato a riconoscere la vostra sincerità»
Prima di allora avevo ammirato tanto stupore sul suo viso una sola volta, quando vide me, una anguissette, scortata da Joscelin, allora un semplice Cassiliano. L'espressione che le si dipinse sul viso in quel momento fu della stessa impareggiabile rarità. Poi si mise a ridere.
«Questo è il tuo prezzo?»
Annuii.
«Vuoi sentirti dire ciò che sai benissimo? Ciò che persino Ysandre de La Coursel ha compreso fin troppo bene?»
«E' quello che voglio.»
«Questa mia prigionia non ti sembra un'ammissione sufficiente?»
«No. Voglio che mi diciate apertamente cosa vi trattiene qui.»
La sua serenità si era rabbuiata. I suoi occhi blu mi guardavano distanti, mentre cercava una via di fuga dal mio scacco.
«Sai cosa mi trattiene. Non serve che aggiunga altro.»
«Ditelo, se per voi è tanto insignificante. Ditemelo.»
Mai, in tutta la mia vita, avevo sentito di averla in pugno. Mai. Nemmeno il giorno in cui gettai il diamante che mi aveva regalato ai suoi piedi, condannandola a morte. Nemmeno quando annunciai il suo complotto dalla voce dell'oracolo del Tempio di Asherat. Nemmeno quando pensavo di poterle imporre le mie condizioni in cambio della vita di suo figlio. Mai come in quel momento avevo sentito di averla in mio potere, che i nostri ruoli si fossero, anche se solo per un istante, invertiti.
«Ditemelo.»
L'espressione di Mélisande era qualcosa di inedito, qualcosa a cui non volevo dare un nome, nel timore d'illudermi o d'impazzire di gioia.
Alcuni colpi violenti alla porta anticiparono di poco la sua apertura forzata. Imriel fece irruzione, rosso in viso e agitato come mai l'avevo visto.
«Lasciala in pace!» gridò rivolto a sua madre, con uno sguardo carico d'odio e di allarmata preoccupazione.
Compresi che erano passati due giorni dalla Notte Più Lunga, capii che Imriel doveva essere tornato a casa e doveva essere stato informato dai domestici che sua madre mi aveva tenuta sua prigioniera per tutto quel tempo. Nonostante questo la frustrazione per la mia gloriosa vittoria che sfumava via, mentre Mélisande si allontanava da me insieme alla possibilità di sentirle ammettere ciò che mai più avrei potuto chiederle, prese il sopravvento.
«Imriel! No!» e per poco non lo maledissi.



Questa storia fa parte di un insieme di racconti brevi dai toni semiseri liberamente tratti dalla saga di Kushiel ed ispirati da un pensiero di Phèdre sul finale di "La maschera e le tenebre", ovvero quando arriva a definire Imriel figlio suo e di Mélisande. La geniale assurdità di quel dettaglio ha scatenato in me folli fantasie sul quadretto familiare ed è nato il primo episodio quasi per scherzo.
Tecniche di scrittura, personaggi e anche modi di dire sono volutamente tratti nel modo più verosimile possibile all'opera di J.Carey, ma lo scenario è del tutto inventato e parodiato.
Il tono semiserio del racconto non vuole assolutamente deridere quest'opera che amo follemente... anche per la sottile ironia che maliziosamente spesso suggerisce.

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