Non c'è logica nell'amore di Dea Elisa (/viewuser.php?uid=100271)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** BLOCCO I - Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***
Capitolo 3: *** Terza parte ***
Capitolo 4: *** Quarta parte ***
Capitolo 5: *** Quinta parte ***
Capitolo 6: *** Sesta parte ***
Capitolo 7: *** Settima parte ***
Capitolo 8: *** Ottava parte ***
Capitolo 9: *** Nona parte ***
Capitolo 10: *** Decima parte ***
Capitolo 11: *** Undicesima parte ***
Capitolo 12: *** Dodicesima parte ***
Capitolo 13: *** Tredicesima parte ***
Capitolo 14: *** Quattordicesima parte ***
Capitolo 15: *** Quindicesima parte ***
Capitolo 16: *** Sedicesima parte ***
Capitolo 17: *** Diciassettesima parte ***
Capitolo 18: *** Diciottesima parte ***
Capitolo 19: *** Diciannovesima parte ***
Capitolo 20: *** Ventesima parte ***
Capitolo 21: *** Ventunesima parte ***
Capitolo 22: *** Ventiduesima parte ***
Capitolo 23: *** Ventitreesima parte - FINE BLOCCO I ***
Capitolo 24: *** INIZIO BLOCCO II - Tre mesi dopo ***
Capitolo 25: *** Il dono ***
Capitolo 26: *** Tutti sapranno ***
Capitolo 27: *** Cercando un testimone ***
Capitolo 28: *** Famiglia allargata ***
Capitolo 29: *** Maschio o femmina? ***
Capitolo 30: *** Quel giorno ***
Capitolo 31: *** Quel giorno, qualche minuto dopo ***
Capitolo 32: *** Quel giorno, quel momento ***
Capitolo 33: *** Ancora quel giorno ***
Capitolo 34: *** L'ascensore ***
Capitolo 35: *** Benvenuta al Morandini - FINE BLOCCO II ***
Capitolo 36: *** INIZIO BLOCCO III - G come Gandini ***
Capitolo 37: *** A volte ritornano ***
Capitolo 38: *** Dove eravamo rimasti ***
Capitolo 39: *** Gli ultimi pezzi del puzzle - FINE BLOCCO III ***
Capitolo 40: *** EPILOGO - Due anni dopo ***
Capitolo 1 *** BLOCCO I - Prima parte ***
Non c'è logica
nell'amore
Prima
Parte.
“Cristiana!”
stava gridando il
dottor Malosti camminando a passo veloce tra i corridoi del Morandini.
Eccola,
non troppo sorridente, e
nemmeno con l’intenzione di fermarsi ad ascoltarlo.
“Cristiana
ma ti vuoi fermare?”
continuava lui, aumentando il passo per raggiungerla. “Manco
stessimo giocando
a guardie e ladri…” commentò inoltre, e
iniziò a correre.
Bottone
premuto, porte aperte,
due passi avanti… e il piede di lui tuffatosi quasi in
scivolata tanto che
impedì all’ascensore di continuare il suo corso.
“Potevi
anche aspettare qualche
secondo in più, no? Così non rischiavo di
slogarmi una caviglia.”
“Ritieniti
fortunato che questi
ascensori hanno il sensore” rispose con indifferenza, braccia
incrociate, corpo
appoggiato alla parete laterale.
“Dottoressa
Gandini, siamo sul
nervosetto oggi?” Le si avvicinò, con un
sorrisetto che lei conosceva bene.
“Stiamo
assistendo all’inversione
dei ruoli, o…”
“Piano?”
interruppe lei,
l’ascensore ancora in attesa di un comando.
“Quello
che vuoi.” Riccardo
eliminò quel passo di distanza che li separavano e
intrappolò Cristiana
appoggiando le mani alla parete. La dottoressa cercò di forzare le braccia, ma quelle non
cedevano. Passò al piano B: si
abbassò e provò a passare sotto di esse, ma
Malosti fu più rapido e la chiuse
in un abbraccio.
“Non
ti faccio scappare”
dichiarò.
“Mmm.”
“Molto
eloquente.” Con due dita
le accarezzò una guancia, Cristiana non si scostò
ma non sembrava gradire.
“Che
c’è? Pensavo ti piacesse
ricevere qualche attenzione, no?” chiese lui spingendola
verso la parete.
“Se
l’ascensore si apre…”
“Fingerai
un malore.”
“Astuto.”
“Sssh.”
Con
le proprie labbra sfiorò
appena le sue e Cristiana non si tirò indietro, anzi, diede
mentalmente ragione
a Riccardo, con il quale erano ormai giorni che non aveva il minimo
contatto
fisico, per via del lavoro in ospedale che non li lasciava respirare e
dei
turni a cui Sergio non voleva mettere più mano.
Lo
strinse a sé con maggior foga,
ma questa volta fu lui a distanziare il proprio viso. “Visto
che avevo
ragione?” Le accarezzò i capelli e lei sorrise.
Sorrise per la prima volta in
quella giornata.
“Finalmente.”
Lei
lo guardò con espressione
interrogativa.
“Sei
più bella quando sorridi.”
Si bloccò, incerto. “Non che tu non sia bella
arrabbiata, triste, infastidita,
agitata, stanca, in ritardo…”
“Non
avete nient’altro da fare,
voi due, che frequentarvi in ascensore? Voglio dire, ci sono tanti
posti, casa
vostra, ristorante, al massimo – e dico al
massimo – il parcheggio del pronto
soccorso!”
“Mmm…
troppo aperto” commentò
Malosti prendendo a braccetto Cristiana, “meglio il tuo
studio, no?” scherzò
lui, non senza ricevere un’intensa gomitata dalla dottoressa.
“Ah!”
“Chiuso
a chiave, mi dispiace”
rise il primario.
“Va
bene va bene” disse con i
denti stretti per il male. “Vado a farmi
ricoverare!” e si mise una mano sul
fianco colpito, quasi piegato a causa dell’acuto dolore.
“Ci
sono la Costa e Santamaria
liberi, se vuole farsi visitare, dottor Malosti” lo
informò premendo il pulsante
all’interno dell’ascensore.
“No,
professore, li lascio
tranquillamente a civettare da soli, io ho bisogno solo delle
carezzevoli cure
di…”
“Peccato,
mi sono ricordata or
ora che ho lasciato solo un mio paziente con una frattura, non vorrei
che fosse
finito l’effetto dell’antidolorifico”
disse a velocità raddoppiata per tagliare
quell’imbarazzante discussione, e
s’intrufolò di nuovo nell’ascensore.
“Ma…”
“Non
ti dispiace se scendo con
Sergio, vero?” e si chiusero le porte. Riuscì a
gustarsi l’ultima espressione
di Riccardo, tra lo sconvolto e il sorpreso: era da incorniciare.
“A
dir la verità sto salendo”
la informò Danieli subito dopo.
Dunque...
questo è il primo capitolo di una long-fic, ma molto
long-fic.
E...
sì, qualcuno avrà già sentito parlare
di questa ff.
Non
mi dilungo
inutilmente, ma dico solamente che quando l'ho scritta stavano
trasmettendo gli ultimi episodi di Terapia (credo però di
averla
iniziata ancor prima, ossia durante lo stacco tra l'ottavo e i
successivi), quindi rappresenta una sorta di enorme what-if che inizia
quando i protagonisti hanno più o meno cominciato la loro
"relazione" e comprende inoltre un'ipotetica seconda serie.
L'ho pubblicata anche se, rileggendola ora dopo molto tempo, mi rendo conto della banalità degli avvenimenti e di quanto sia infantile la narrazione. E' comunque parte di me, avendomi impegnato per quasi un anno, tra una cosa e l'altra, ed essendo la fanfiction più lunga che abbia scritto sinora.
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Capitolo 2 *** Seconda parte ***
Seconda Parte.
“Cristiana.”
Lei si voltò. “È
successo qualcosa?”
“No”
risposta secca, istintiva.
“Mh.
Ti conosco bene, e vedo
quando c’è qualcosa che non va”
insisteva.
L’ascensore
si fermò.
“Scusami
Sergio, scusami, ma non
ne voglio parlare ora” e si dileguò tra gli altri
camici del reparto.
“Signora,
mi raccomando, le
lascio la lista degli alimenti che non può mangiare almeno
per due mesi, poi
verrà per il controllo e vedremo se sarà il caso
di continuare la dieta” spiegò
la dottoressa Gandini alla paziente sdraiata al box 2.
“Dottoressa”
esclamò un
infermiere sopraggiunto di corsa in quel momento.
“C’è un’emergenza, il dottor
Malosti mi ha detto di chiamarla.”
Cristiana
lasciò la donna e lo
seguì svelto.
“Non
sappiamo di preciso
cos’abbia, un signore l’ha trovato svenuto davanti
al suo negozio e ci ha
chiamati” diceva intanto Franco mentre con Eva spingeva
all’interno del pronto
soccorso la barella.
“Forza,
portiamolo in Chirurgia 1”
li sollecitò Malosti, informandosi intanto dei parametri
vitali.
Pochi
metri mancavano all’entrata
della sala.
“Eccomi.”
Una voce familiare lo
raggiunse da dietro.
“Ben
arrivata, dottoressa”
l’accolse in tono da rimprovero, senza ottenere risposta.
Nella
sala antistante Chirurgia 1
c’era un
silenzio che avrebbe spaventato
anche la più quieta delle persone: solo l’acqua
scorreva attirata dalla gravità
verso il fondo del lavandino, e una lacrima… una lacrima
percorreva lo stesso
percorso, per disperdersi in mezzo alle altre gocce, mischiarsi con la
schiuma
del sapone e scomparire inesorabilmente, chissà per quale
meta.
“Non
dovrebbe avere alcun tipo di
reazioni post-operatorie” commentava nel frattempo Malosti.
“Certo, se avesse
evitato di drogarsi…” sbuffò.
“Ma dico io, cosa mai insegnano ai figli, i
genitori di oggi?”
“E
se magari hanno fatto di tutto
pur di dare giusti insegnamenti?” intervenne a testa bassa
Cristiana, passando
la manica dell’abito blu scuro sulla guancia,
affinché anche solo l’ombra della
scia della goccia salina se ne andasse. “E se non ce li hanno
mai avuti, questi
genitori?”
“Ma
che discorsi sono?” rispose
lui duramente. “Allora perché si perdono i
genitori ci si deve drogare?” si
fermò a guardarla, ma lei continuava a fissare
l’acqua scorrere.
Riccardo
si asciugò le mani e
gettò il foglio di carta accartocciato nel cestino, poi si
avviò verso di lei,
abbassò la manovella del lavandino e le accarezzò
il capo.
“Scusa”
borbottò piano, quasi con
vergogna.
Lei
non disse nulla, lo guardò
per un attimo negli occhi, poi prese la direzione opposta e
uscì.
Non
si era neanche curata di
riprendere il proprio camice.
“Dottoressa
Gandini, va tutto
bene?” Teresa, l’agente segreto sempre pronta
all’attacco per scoprire e
diffondere novità, la vide passare veloce davanti al bancone
dell’accettazione.
Si
ricordò però di una cosa
importante che doveva chiedere alla maga del pettegolezzo –
ma sempre
efficiente –, perciò prese coraggio e, mascherando
un po’ tutte le
preoccupazione che l’attanagliavano in
quell’istante, raggiunse il desk e si
fece dare un post-it.
“Questo
è il nome del ragazzo che
abbiamo operato. Puoi provare a rintracciare i suoi genitori, per
favore?”
chiese con tono distaccato.
“Certo,
dottoressa, certo, ma…”
non rischiò di andare oltre, pensando che i dottori
avrebbero meritato un po’
di privacy, o almeno un po’ di più degli
infermieri…
Così
Cristiana poté dileguarsi,
alla volta del bagno in fondo al corridoio, per un minimo di pace, per
poter
respirare qualche secondo prima della successiva visita od emergenza.
Si chiuse
dentro, non prima di aver assistito con la coda dell’occhio
allo sguardo
stupito e curioso di Rocco appena uscito da uno dei box adiacenti.
Rocco
comparve all’improvviso
dietro di lei. “Hai visto che faccia aveva la dottoressa
Gandini?”
“Sì,
ho visto, ma non è che tutto
il giorno sto dietro ai fatti degli altri, eh.”
“Beh
insomma…” commentò
l’infermiere con il sorriso sotto i baffi.
“Però,
da quel che ho visto,
posso benissimo immaginare che un certo
qualcuno tra poco passerà di qui chiedendo di lei.
Problemi in vista.”
“Terry,
Terry… ma se saranno sì e
no due settimane…”
“Teresa
hai visto Cristiana?” La
rossa guardò Rocco con un puntino di soddisfazione sul volto.
“L’ho
vista passare di qua, non
so di preciso…”
“In
bagno” intervenne Cannizzaro.
“Provi a guardare in bagno” e ricambiò
lo stesso sguardo a Teresa.
Si
voltarono entrambi verso il
medico, che però si era già volatilizzato.
“Teresa
non sbaglia mai” dichiarò
lei, raccogliendo alcune cartelle sparse sul bancone.
“Sì ma anche Rocco non è che
scherza…” rispose agitando in aria le braccia, ma
si zittì dopo un’occhiataccia della sua
interlocutrice.
Cristiana
si guardò allo
specchio, osservando come in pochi giorni pareva invecchiata di anni.
Occhiaie
– e abbastanza profonde da fare a gara con chi passava le
notti in discoteca –,
sguardo spento e pelle pallida.
“Sono
un mostro” disse alla sua
immagine speculare.
“No,
non lo sei.” La stessa voce,
profonda, e… sexy da morire.
Lo
vide dallo specchio, ma evitò
i suoi occhi; si stava avvicinando, con il suo camice in mano. Lei
abbassò il
capo verso il lavandino, ma non si poté sottrarre
all’inesorabile evento
successivo.
Sulle
proprie spalle avvertì
ricadere delicatamente l’indumento riportato alla legittima
proprietaria,
accompagnato da un dolcissimo gesto delle mani di lui sulle spalle di
lei, le
quali percorsero lentamente la lunghezza delle braccia, per poi
ricongiungersi
alle dita in un caldo intreccio.
Appoggiò
la testa tra il collo e
una sua spalla, ma, come Riccardo aveva presupposto, la
sentì allontanarsi da
lui, scivolare via, centimetro dopo centimetro.
Il
camice cadde a terra in un
soffio, ai loro piedi, e lo stesso avrebbe fatto lei stessa, se Malosti
non
avesse fatto da contropeso per tenerla in piedi.
Pensava
fosse uno scherzo, lei
che si lasciava andare contro il suo corpo per essere abbracciata, ma
evidentemente non lo era. L’accompagnò dolcemente
a terra e la fece sedere con
il busto appoggiato a lui, mentre con voce non troppo serena continuava
a
chiamare il suo nome.
Non
fece in tempo a ragionare su
cosa potesse essere successo, che i suoi occhi castani si riaprirono
quasi in
simultanea con un lieve sorriso.
“Riccardo…”
Solo
allora, davanti
all’espressione spaventata dell’uomo, si rese conto
di cosa fosse successo, e
rimediò subito. “Non è niente, solo un
capogiro, questa mattina non ho fatto
colazione.” Fece per alzarsi ma lui la bloccò.
“Aspetta
un attimo, finché non ti
passa del tutto. Non vorrai mica farmi prendere un altro spavento del
genere,
vero?” simulò una risata.
“Mh”
acconsentì lei portandosi
una mano sulla fronte. “Sto bene” ripeté.
“Adesso
ti vado a cercare un box
libero, così ti sdrai un po’, ok?”
“No”
rispose brusca. “Ti ho detto
che non è niente, basta che prenda qualcosa ai distributori
e vedrai che mi
sentirò meglio.”
“Ad
una condizione.” Strofinò il
proprio volto contro il suo, incrociando le braccia sul suo petto e la
strinse
verso di sé. “Ti accompagno.”
Cristiana
mugugnò qualcosa.
“Cos’hai
detto?” domandò
scherzosamente tenendola in trappola. Poi cercò i suoi
fianchi e si mise a
farle il solletico, mentre lei cercava di sfuggirgli agitandosi e
ridendo.
“Niente
niente ti prego!”
esclamava rigirandosi addosso a lui.
“Ah
ecco… altrimenti…” e riprese
a solleticarla dappertutto.
“Riccardo!”
gridava esausta.
Il
dottore si fermò, ad ascoltare
il respiro affannato di lei alternato a sbuffate.
“Adesso
però ce ne andiamo, eh”
disse lui, e si mise in ginocchio. “Se entra qualcuno e ci
vede in questa posa
potrebbe equivocare…”
“Meglio
di no” confermò Cristiana
tirandosi su.
Riccardo
la sollevò con forza e
aspettò che lei fosse pronta per uscire. Si diede una
sistemata ai capelli
arruffati e si infilò il camice dopo averlo lisciato un
po’.
“Andiamo.”
Lui la prese a
braccetto.
“No,
dai, così no!” cominciò a
lamentarsi la Gandini.
“E
se finisci ancora una volta
per terra? Devo sostenere i miei pazienti, dottoressa.” Fece
una pausa. “In
tutti i sensi.” E le stampò uno schioccante bacio
sulle labbra.
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Capitolo 3 *** Terza parte ***
Terza Parte.
“Caffè?”
“No,
magari acqua, non so se…”
“Va
bene, va bene, te la prendo
subito, ma tu finisci di mangiare quella cioccolata!”
Erano
passati incolumi attraverso
il corridoio, anche se Teresa dall’accettazione non aveva
fatto a meno di
notare lo strano comportamento dei due, ed ora Malosti stava riempiendo
il
tavolino dietro al quale c’era Cristiana di merendine varie
estratte dalle
macchinette.
“Sì,
ma non posso mangiare tutto,
Riccardo, non stai esagerando?” controllò le
etichette delle confezioni. “Non
immagini neanche quante calorie ha ognuna di queste!”
“Non
importa, ti devi riprendere,
no?” Lei annuì, contenta per quella premura che le
stava dimostrando.
“Dottor
Malosti, c’è bisogno di
lei su in reparto, è urgente” la voce di Ettore
risuonò nell’ampio ambiente,
facendo girare entrambi.
Guardò
Cristiana con faccia
scocciata, lei ricambiò sorridendo e partì
seguendo lo specializzando.
“Riguardati!”
le gridò giratosi
indietro dopo qualche passo.
Avrebbe
voluto sotterrarsi. Raccattò
tutte le merendine e le distribuì per le tasche; prese in
mano la bottiglietta
d’acqua e, dopo essersi guardata intorno attentamente,
cercò di raggiungere nel
minor tempo possibile la sala medici, per poter nascondere tutta quella
cioccolata in mezzo agli altri rimasugli del reparto alimentare
dell’ospedale.
Peccato,
però. Quel desiderio di
entrare e non trovare nessuno non si realizzò, e ad
accoglierla con un mezzo
sorriso furono Laura e Danieli, che si stavano concedendo una pausa.
“Professore,
io vado” stava
dicendo la dottoressa Costa. “Ho un sacco di pazienti che mi
aspettano.”
Si
salutarono, Cristiana fece lo
stesso con la collega e si tuffò in una delle sedie che
attorniavano il tavolo.
Estrasse dalle tasche tutte le confezioni e le gettò sul
ripiano accanto, sotto
gli occhi di Sergio, in piedi davanti al frigorifero, alla ricerca di
qualcosa
di più che uno yogurt scaduto.
“E
queste?” chiese, un po’
affamato.
“Te
le cedo volentieri” sospirò
la Gandini con espressione seria.
Danieli
ancora non capiva.
“Malosti…
ha paura che io muoia
di fame” spiegò calma.
Al
primario sfuggì una risata.
“Tu
ridi…”
Le
si avvicinò scartando un
Kinder Cereali. “Vuoi un pezzo?”
“Per
carità! Mi ha già riempita
di cioccolata!” questa volta sembrava aver ripreso un
po’ il buon umore.
“Hai
voglia di raccontarmi quello
di cui mi hai accennato prima?” tentò il medico,
dopo essersi seduto sul tavolo
accanto a lei.
“Non
so se è il caso.”
“È
così grave?”
“No,
appunto per questo. Ci sono
cose ben più importanti a cui pensare ora.”
Terminò il discorso e si alzò in
piedi. “Vado da Teresa, non vorrei mai che avessero bisogno
di me.”
“Vengo
con te.”
Si
alzarono entrambi e uscirono
dalla sala.
Non
riuscirono ad attraversare
nemmeno mezzo corridoio, che Malosti li aveva già trovati.
“Ma
qui non si lavora mai?”
esordì il primario osservando Riccardo con un bicchiere di
plastica in mano.
“Pausa
caffè, altrimenti come
faccio a tenermi sveglio?” si giustificò fissando
la collega.
“Non
credergli” bisbigliò lei a
Sergio. “Questo è il terzo, in una sola
mattinata!”
Il
professore scosse la testa. “Posso
approfittare della tua gentilezza
e
generosità?” Gli sfilò dalle mani il
bicchierino e bevve tutto d’un sorso la
bevanda rimasta, sotto l’espressione incredula del medico.
“Amaro.”
Sottolineò dopo aver
scolato anche l’ultima goccia.
“Come
lui” terminò Cristiana.
Trascorse
un attimo di silenzio,
i due a guardarsi negli occhi e Sergio ad osservare il contenitore di
plastica.
“Bene,
buon lavoro a tutti”
interruppe la dottoressa.
“Sergio,
ho bisogno di parlarti
un attimo” gli riferì Malosti cercando di non
farsi notare dalla donna, che,
come solito accade, non aveva perso un’acca.
Il
primario annuì e la Gandini,
fingendo un totale disinteresse, proseguì per la sua strada.
“Esther,
se non impari a ordinare
i turni, col cavolo che Danieli ti assegna il posto da
caposala!” sbraitava la
donna in mezzo al corridoio con una decina di cartelle sotto braccio.
“Scusami…”
“Eh,
scusami, scusami” ripeté.
“Con tutto il rispetto, ma credevo ci sapessi un minimo
più fare. Qui c’è
bisogno di un corso accelerato, ma se nella tua testa ronza
qualcos’altro, non
possiamo mica star qui a pettinare le bambole!”
“Giulia,
d’accordo, ho capito,
cercherò di dare il mio meglio.” Si
tirò dietro le orecchie i ciuffi color zucca.
In
quel medesimo istante,
all’estremità opposta del corridoio, una certa
pediatra stava passando.
“Appunto”
disse la caposala. “Se
hai altri grilli per il cervello, fai saltare quelli, prima di sognare
il mio
posto e poi lamentarti per il troppo lavoro.”
“Suvvia,
abbassi il tono,
signorina Graziosi, in fondo è la prima volta che assegna
tali mansioni
all’infermiera Bruno, no?” la voce di Danieli
placò immediatamente la
discussione.
“Mi
scusi, professore, volevo
solo…”
“Va
bene così. Esther si
impegnerà, vero?” si rivolse a lei.
“Certo”
rispose con fare incerto.
“Darò tutto il meglio.”
“Vede?
Abbiamo già risolto.” E
appoggiò per un millesimo di secondo una mano sulla spalla a
Giulia.
Malosti,
che era rimasto in
disparte, continuò a seguire Sergio diretto al suo studio.
“Difficile,
da dimenticare, eh?”
chiese.
“Sì,
ma se ti ci metti pure tu…”
“Allora,
cosa mi dovevi dire?”
“Cristiana.”
“Non
mi dire che hai già dei
problemi con lei, eh, perché per questo potresti al massimo
parlarne con
Teresa, non sono il tipo in grado di dare consigli sulle
donne.”
“Se
mi lasciassi parlare…”
“Ti
ascolto.” Si sedette dietro
la sua scrivania, mentre Malosti passeggiava tranquillo avanti e
indietro per
la stanza. Il primario mosse il mouse per liberare il pc dallo
screensaver e aprì
il browser.
“Sì,
ma guardami, per favore, già
non è facile parlarne, mi rendi ancora tutto più
difficile se fai
qualcos’altro!”
“Riccardo.”
Lui si bloccò.
“Siediti qui e prendi fiato.” Il medico
eseguì, appoggiò i gomiti sulla
scrivania e si sporse verso il collega, che attendeva sorridente.
“Cristiana.”
Disse un’altra
volta, come se il suo interlocutore non avesse ancora capito quale
fosse
l’oggetto del discorso. “Stavamo parlando e mi
è svenuta addosso.”
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Capitolo 4 *** Quarta parte ***
Quarta
parte.
In
corridoio, davanti ad una parete
che faceva angolo con un’altra ala del pronto soccorso, stava
immobile con un
braccio appoggiato al muro e l’altro al fianco opposto.
Ansimava.
“Cristiana!”
la voce
spagnoleggiante di Palumbo proveniva da dietro alle sue spalle.
L’afferrò
per le braccia.
“Non
ti preoccupare, sto bene”
diceva lei. “Solo una fitta, ma ora è
passata.”
“Sicura?
Non vuoi che ti
accompagni a sedere, o hai bisogno di qualcosa, un bicchier
d’acqua?”
“Niente,
non mi serve niente,
grazie. Non so cosa mi succeda oggi” aggiunse poi, mentre il
respiro le tornava
abbastanza regolare. “Ce la faccio, ce la faccio”
ripeté per allontanare Nicola
e con lui ogni sospetto.
“Sono
troppo stressata, sì”
rifletteva tra sé e sé. “Qualche giorno
di riposo non mi farebbe male. Oppure è
stata tutta quella cioccolata…”
“Potrebbe
essere qualunque cosa.”
“È
proprio per questo che mi
preoccupo” rispose lui, e sbatté un pugno sulla
scrivania.
“Perché
non provi a
chiederglielo?” propose il primario a corto di altre idee.
“Ma
che ne so!” si stava innervosendo.
“Senti,
lo so che per te è una
cosa importante, me ne rendo conto, ma la giornata non è
ancora finita, e non
possiamo chiuderci qua dentro per delle ore in cerca di una possibile
soluzione
al tuo dilemma.”
Sembrava
averlo convinto, ma
l’espressione di Malosti non era quella di chi considera
avvincente il discorso
dell’altro al punto di inchinarsi.
“Forse
hai ragione” si limitò a
dire, sottolineando il primo lemma dell’affermazione.
Sergio
annuì e si alzò in piedi.
“Andiamo,
dai, e non ci pensare
più, sono sicuro che se ci saranno problemi, non verrai
tenuto all’oscuro.
Cristiana non è il tipo da nascondere cose serie.”
Sì,
stavolta la faccia era un
pochino meno turbata. Solo un po’.
“Cos’abbiamo?
“
Franco
ed Eva stavano spingendo
all’interno del pronto soccorso una barella con una signora
immobile sopra di
essa.
“Donna,
63 anni, caduta dalle
scale.”
“Sono
sua figlia” esclamò in
quell’istante una donna vicino a loro. “Ero in casa
quando è successo, mentre
aspettavamo l’ambulanza continuava a dire che le faceva male
qui” si mise una
mano all’altezza dello stomaco.
“Va
bene, signora, vada in sala
d’attesa, appena sapremo qualcosa la faremo
chiamare” spiegò tranquilla la
dottoressa Gandini, accompagnando la barella verso l’entrata
del corridoio che
portava alle sale chirurgia.
“Prima
di qualsiasi intervento,
le dovremmo fare una radiografia al torace, quindi chiedi a Teresa di
rintracciare Malosti, lo aspetto direttamente là.”
“Subito,
dottoressa” ed Eva fece
marcia indietro.
“Signora,
stia tranquilla, tra
poco avremo finito.”
“Sì,
ma mi fa male a respirare!”
era evidentemente agitata.
“Faremo
in fretta, poi
aspetteremo i risultati e agiremo di conseguenza.”
Il
radiologo fece un cenno a
Cristiana che tutto era pronto, e iniziò a dare istruzioni
alla paziente,
mentre la dottoressa continuava a voltarsi verso l’uscita per
controllare che
Riccardo arrivasse.
“Cerchiamo
di sollecitare i
risultati, d’accordo?” chiese al collega prima di
intravedere la sagoma di Malosti
dietro la porta. Gli fece un cenno per entrare, ma l’unica
risposta fu una
scossa di testa.
“Accompagna
lei la signora?”
domandò quindi all’infermiere che assisteva
all’esame.
“Certamente
dottoressa, me ne
occupo io.”
Lo
ringraziò e prese il via per la
porta.
“Grazie
per la tua presenza”
ironizzò Cristiana.
“Mi hanno appena avvertito, e non avendo le ali ai
piedi…”
“Potevi
almeno entrare” si mise
le mani ai fianchi, un po’ scocciata.
Riccardo
avvicinò la propria
bocca al suo orecchio. “Non farmi venire strane voglie qui in
mezzo al
corridoio…” Adorava quando s’impuntava
su qualcosa che non le andava bene.
“Mh?”
“Hai
capito benissimo.” Le diede
un piccolo bacio nell’incavo tra il collo e la spalla che le
provocò un brivido
non da poco. “Avrei bisogno di parlarti” disse poi,
allontanandosi un attimo
per sviare l’attenzione di alcuni infermieri che passavano in
quel momento
davanti a loro. Poi, quando l’area adiacente si
svuotò, gliene diede un altro
sul collo.
“Malosti,
così mi provoca”
sorrise maliziosa.
“Era
mia intenzione” le solleticò
ancora l’orecchio con il suo fiato.
“Quando
ci troviamo?”
“Stasera
da me?” rispose rapido.
“Non
è un po’ troppo… azzardato?”
“Azzardato?
Dario e Alessandro
hanno una cena con i loro compagni di classe, non saranno di ritorno
prima di
mezzanotte, e visto che tu per quell’ora sarai già
a casa…”
“Ritardatario
ma pianificatore”
commentò mordicchiandosi le labbra.
“Gandini,
non ho solo difetti”
dichiarò dondolandosi sulle gambe come era suo solito fare.
“Però
forse sono l’unica ad
averlo scoperto, qua dentro.”
“Ti
sei mai chiesta il perché?”
“Sinceramente
no.”
“Sento
che sei l’unica a
meritarlo.” E sorrise dopo aver ottenuto in risposta
l’espressione sorpresa e
sconcertata della collega, che non tardò a gettarsi contro
di lui per farsi
abbracciare, decisamente noncurante di tutto il resto.
“Come
si vogliono bene.” E ti
pareva che non passassero inosservati.
“Esther,
ti prego, abbiamo fin
troppe cose a cui pensare, tu soprattutto” le
ricordò Rocco indicando le
cartelle che aveva con sé.
“Sì,
ma… come non notare una
coppia così… felice…” era
fissa a guardarli, quasi commossa.
L’infermiere
si fermò ad
osservarla e le agitò una mano davanti:
“Oho?”
Lei
si risvegliò dal coma
sognante ad occhi aperti. “Scommettiamo che domani mattina li
vediamo entrare
insieme?”
“Per
forza. Iniziano il turno
alla stessa ora.”
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Capitolo 5 *** Quinta parte ***
Quinta
parte.
Era
felice. Nessuno poteva
immaginare come stesse bene tra le braccia della persona che amava,
come il suo
calore le infondesse sicurezza e senso di protezione. Lo strinse a
sé
maggiormente, la testa appoggiata ad una sua spalla e una mano di lui
che le
accarezzava i capelli. La frase di prima le ronzava ancora nella testa,
le era
rimasta impressa dal tono così sincero e naturale con cui
Riccardo l’aveva
pronunciata. Non sembrava più lui.
Malosti
si scostò di un
centimetro, benché non avesse la minima intenzione di
concludere così quel
momento di riavvicinamento.
La
guardò un attimo negli occhi,
dentro ai quali si perse per qualche eternità
che per la vita degli esseri comuni accanto a loro sarebbero state
definite
come secondi, e gli prese un
desiderio irrefrenabile di baciarla, lì davanti tutti. E
chissenefrega.
Cristiana
percepì il suo movimento
e fu lei a bloccarlo. Scosse la testa. “Non
possiamo” sussurrò pianissimo.
“E
chissenefrega” il pensiero
divenne parola.
Le
prese il volto con entrambe le
mani e la trasse a sé delicatamente, per poi solleticarle le
labbra con le sue
in un semplice e breve bacio. Si staccò quasi subito,
perché aveva avvistato
dall’angolo del corridoio di fronte a loro che erano
appostati due infermieri.
Chissà quali.
“Ah,
non ci avevo pensato. Beh è
vero, se hanno lo stesso turno entrano insieme, non ci vuole molto per
capirlo.”
Ma
Rocco non la stava più ad
ascoltare: aveva qualcosa di meglio da tenere sotto controllo.
L’occhiataccia
che Malosti stava indirizzando nella loro direzione lo fece pentire di
essere
finito in quel punto in quel momento; prese Esther a braccetto e la
condusse
nel senso opposto.
“Ma…”
“Vedi,
Esther, non ci vuole molto
per capire anche che è meglio stare alla larga da problemi
inopportuni.”
“Scusa,
hai ragione tu” si separò
completamente da lei. “Non è il caso, in questo
ospedale la parola discrezione non
compare nel vocabolario
dei nostri colleghi.”
Cristiana
annuì.
“Anche
se non mi interessa, non
m’importa di quello che dicono di noi, se fanno scommesse
o…”
“Scommesse?”
“Sì,
si sono messi a fare anche
quelle.”
La Gandini non sapeva più che dire, non se lo sarebbe mai
aspettata una cosa
simile da parte dei colleghi.
“Forse
non dovevo dirtelo.”
“No,
anzi, hai fatto bene.
Riccardo, nemmeno a me interessa, credimi. Quello che voglio
è solo stare bene
con te, e se ci scappa un bacio, non muore nessuno, no?”
Malosti
sorrise perfettamente
d’accordo.
“Riccardo,
Cristiana, non voglio
essere ripetitivo, ma tutte le volte che vi vedo siete sempre
appiccicati!
Provate a dare voi il buon esempio, che siete i più grandi
qui dentro!” Era
Sergio. Che puntualmente li beccava insieme.
“Ah,
tu, vieni con me, che sono
pronte le lastre di quella signora.” Lo seguì,
dopo aver sorriso amabilmente a
Riccardo.
“Tutto
apposto?” ne approfittò il
primario.
“Sì,
perché?”
“Ricordati
che hai un discorso in
sospeso con me.” Entrarono in ascensore, lasciato libero da
Valerio e Palumbo
che stavano discutendo in toni accesi di qualcosa.
Cristiana
premette il tasto del
piano e si appoggiò alla parete. “Non mi sento
troppo bene, tutto qui. Volevo
chiederti almeno una giornata libera, ma se non puoi basta anche un
pomeriggio,
o una mattinata…”
“Che
cosa ti succede?” O tirava
ad indovinare o aveva davvero il sesto senso per queste cose. Chiusa in
gabbia,
non poté non accennare alla situazione.
“Te
l’ho detto, non mi sento in
gran forma.” Ma non riusciva a mentire.
“E
Malosti lo sa?”
“Che
cosa ti ha detto?” Palla in
buca, frittata fatta. Ora mancava solo che anche Nicola andasse in giro
per
l’ospedale a dire di aver visto la dottoressa Gandini
lamentare un dolore
addominale.
“Non
c’è bisogno che te lo dica,
tanto sappiamo entrambi di cosa stiamo parlando.”
L’ascensore era arrivato, per
fortuna.
“Ne
parliamo dopo, ok?”
Danieli
la prese per un braccio.
“Appena abbiamo finito con la paziente del 2, vieni con me e
risolviamo una
volta per tutte questa situazione.”
La
dottoressa acconsentì e si
recò nel reparto di radiologia dove le consegnarono
l’esito.
Aprirono
il referto e si recarono
a dare la buona notizia a madre e figlia: solo una costa rotta.
Il
momento della verità era
arrivato, doveva solo pensare a come dirglielo, tutto il resto sarebbe
venuto
da sé. Sergio la fece entrare nel suo studio, ma prima di
chiudere la porta le
chiese una cosa.
“Se
non ne vuoi parlare con me,
fallo almeno con Riccardo.”
“No,
prima preferirei sapere il tuo
parere, è una faccenda un po’ delicata
e… lui è coinvolto.”
“Mi
devi fare delle analisi, te
lo chiedo per favore” sbottò tutto d’un
tratto.
“Delle
analisi? Dio mio,
Cristiana, ma cosa succede?” Non era esattamente la reazione
che avrebbe
voluto.
Lei
mostrò un lieve sorriso. “No,
non è niente di preoccupante. Solo
che…” non era molto facile confidarsi, anche
se con un amico come lui.
Stavolta
però non l’esortò più di
tanto, temeva una chiusura ancor maggiore, così stette in
silenzio a guardarla.
“Giramenti
di testa, fitte
addominali e… ritardo di due settimane”
svelò lei, lo sguardo fisso al
pavimento.
“Se
non ti conoscessi direi che
sei incinta.”
Sorrise
e lo guardò. “Oppure sono
solo una marea di coincidenze.”
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Capitolo 6 *** Sesta parte ***
Sesta
parte.
“Però,
se metto il tuo nome, chi
vedrà la cartella si insospettirà.”
Appoggiò gli strumenti per il prelievo
sulla scrivania.
“Non
importa” rispose seria lei.
Si scoprì il braccio e lo lasciò fare.
“Hai
ancora bisogno di quel
giorno di permesso?” chiese slegando il laccio.
“Non
lo so.” Si tirò giù la
manica e guardò Sergio sistemare la provetta.
“Se
non stai bene, non pensarci
due volte a chiedermelo” le disse gentilmente.
“Grazie.
Però… acqua in bocca con
Riccardo, non vorrei magari dargli false speranze.”
“Cercherò
di essere il più discreto
possibile, però se gli capitano in mano le tue analisi,
oppure se si accorge di
qualcosa, poi non dare la colpa a me, d’accordo?”
“No,
tranquillo” la voce rotta da
un velo di tristezza.
“Cercherò
di avere l’esito più in
fretta possibile. Tu però non strapazzarti
troppo.” Si alzò e le posò una mano
sulla spalla. “Vado.” Le sorrise e uscì
dalla stanza, lasciandola sola davanti
alla scrivania. Appoggiò i gomiti alle ginocchia e con le
mani si sostenne il
capo. Lo sguardo le cadde accidentalmente a terra, e un sorriso non
poté non
comparire sul suo volto.
Bicchiere
in mano e piedi sul
tavolo, la sala medici era tutta per lui.
“Dottor
Malosti?” la voce di
Ettore distrusse il muro di riflessione che lo chiudeva nella sua
solitudine.
“Che
c’è?” era evidentemente
scocciato.
“No,
niente, mi chiedevo dove
fosse andato, volevo chiederle qualche consiglio su un mio
paziente.”
“Coselli…
ma quando imparerai a
cavartela da solo?”
“Dottore,
ha ragione, ma…”
“È
tuo, no?”
“Chi?”
“Il
paziente, chi sennò?
Sveglia!”
“Sì
sì, certo Malosti, è mio”
rispose con rapida parlantina.
“E
allora prenditi le tue
responsabilità, o al massimo chiedi a qualcun altro, in
questo momento sono
occupato.”
“Vedo.”
“Prendi
in giro?”
“No,
signore, sono serissimo, ora
vado.” E scappò fuori prima che Riccardo riuscisse
a tirargli una delle
cartelle appoggiate sul tavolo.
Aveva
capito che era decisamente
meglio lasciarlo in pace. Si diresse quindi verso un’altra
vittima disponibile,
e in questo caso toccò al docile Santamaria, che stava
sistemando la flebo ad
un paziente nel box adiacente la sala medici.
“Dottore.”
Valerio
si girò verso di lui,
terminò di controllare la situazione del ragazzo e
uscì chiudendo dietro di sé
la porta.
“Dimmi”
acconsentì con pacatezza.
“Volevo
chiederle se poteva venire
con me a visitare questo paziente, guardi” gli mise sotto il
naso una cartella
prima ancora che il dottore potesse replicare.
“Ettore”
la prese in mano e le
diede una rapida occhiata. “Lo sai quante persone devo ancora
visitare oggi?”
“Sì,
lo so, dottore, ma è una
questione importante, non riesco a capire se si tratta di
intossicazione
alimentare o se è
qualcos’altro…”
“Hai
fatto un’ecografia nella
zona dolorante?”
“No…”
“Bene,
parti da quella. E la
prossima volta pensaci prima.”
“Sì
sì, certo, e scusi se le ho
fatto perdere tempo.”
“Ritieniti
fortunato che te l’ho
detto io, perché se lo viene a sapere
Malosti…” ma era già scappato.
“Valerio,
vieni a prendere un
caffè con me?” Era Laura.
“Non
credo di riuscire a
ritagliarmi un po’ di tempo, sono pieno di pazienti fino al
collo.”
“Eddai,
cinque minuti” lo implorò
con espressione dolce.
“Se
fai quella faccia…”
Lo
prese per un braccio e lo
trascinò con lei. “Però
decaffeinato.”
“Come
vuole!”
Quando
Sergio rientrò nel suo
studio, Cristiana se n’era già andata, e al suo
posto un’altra donna occupava
quella sedia. Una donna riccia. E rossa.
Si
voltò.
“Ciao.”
“Ciao.”
“Come
va con Esther?”
“Un
disastro.” Si alzò in piedi e
gli si avvicinò, mentre lui chiudeva la porta.
“Allora
hai deciso.”
“Sì.”
Danieli
si ammutolì.
“Avrei
voluto che le cose fossero
andate in un altro modo. Tra noi. Tra me e Francesco.”
Non
rispose.
“Sei
felice?” chiese dopo
alquanti secondi.
“Non
lo so.” “E tu?”
“Ogni
volta che ci penso mi viene
l’istinto di aprire quella finestra e gettarmi di
sotto.” Il tono si faceva più
grave, e Giulia non sapeva cosa replicare.
“Non
posso fare altrimenti.”
“Non
puoi fare altrimenti?” Le si
avvicinò a pochi centimetri dalla sua bocca. “Ma
ti senti come parli? Tu che
scappi con tuo marito e suo figlio, lasci il pronto soccorso, che
è per te come
una seconda casa – o non è così?
–, lasci me!” Era furioso, e ora girava
intorno davanti a lei con le mani nelle tasche del camice.
“Non
è facile, Sergio…” cercava
di giustificarsi inutilmente.
“È
più facile scappare e fregarsene
di tutti gli altri, che fare qualsiasi altra cosa”
replicò sicuro di sé.
Come
solito aveva ragione.
“Vedrai
che con Esther
risolviamo, si impegnerà e riuscirà a sostituirmi
al meglio.”
“Credici
poco. Tu non puoi essere
sostituita. Tu sei LA caposala di questo pronto soccorso… e
il posto è
unicamente tuo.”
“Non
dire sciocchezze, dai,
calmati e parliamo come due persone normali.”
“Perché, cosa stiamo facendo?”
alzò la voce.
“Tu
gridi, e io grido, così non
risolviamo niente.”
La
porta si spalancò.
“Oh,
scusate.” Malosti. “Cercavo
Cristiana, ma evidentemente non c’è.”
“No,
a meno che non si sia
nascosta dentro gli armadietti” rispose, tra
l’ironico e l’infastidito.
“Mh.”
E richiuse la porta.
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Capitolo 7 *** Settima parte ***
Settima
parte.
“Sempre
il solito rompiballe.” Sergio
era completamente fuso a causa dello spiacevole dialogo.
“La
ama, per questo la cerca”
ribatté acida.
“Anche
io ti amavo.” Abbassò gli
occhi al pavimento.
“Non
mi ami più?” La domanda che
tanto temeva. Certo che sì, diamine! Pensava a lei dieci
minuti sì e uno no,
cercava di non averla come infermiera assistente in sala operatoria per
non
rischiare di uccidere il paziente a causa dei suoi pensieri non proprio
innocenti e lei… lei glielo chiedeva anche?
“Lo
sai benissimo.”
“Hai
usato l’imperfetto.”
“Giulia,
tu e la tua mania di
perfezione!” La prese per le spalle e la scosse, poi si
fermò, a guardarla in
viso. “Che tanto adoro” aggiunse modificando il
tono della conversazione.
“Dobbiamo
fargli una tac.”
“Sì,
certo, me ne occupo io.”
Esther sembrava un’altra, e trascinò fuori la
barella con gran disinvoltura e
professionalità.
“Dottoressa
Gandini, finalmente
la trovo.” Sempre e maledettamente tra i piedi. E nel
contempo che sensazione
estatica udire la sua voce.
Si
voltò e gli sorrise.
“Mancato?”
Lui e il suo vizio di
accorciare parole, frasi e perfino lettere. Mezzo ospedale lo capiva a
gesti,
un quarto grazie alla traduzione simultanea di qualcun altro e il
rimanente faceva
di meno di parlare con lui.
“Neanche
un po’.”
“Bugiarda.”
“Non
vedi come sono sincera?” si
mise a ridere anche nel momento stesso in cui pronunciava quelle parole.
Esther
si allontanò sorridendo
loro.
“Ma,
è la nostra Esther?”
“Non
chiedermelo, è da dieci
minuti che non sembra neanche più lei.”
“Avrà
fatto pace con Marina.”
“Buon
per loro.”
“Senti…”
la prese per un braccio
come suo solito e la condusse più all’interno del
box, lontano da sguardi
indiscreti.
“Non
ti farai venire strane idee
anche qui, vero?”
“Non
ne avevo proprio
l’intenzione, ma ora che mi ci fai
pensare…”
Risero
entrambi.
“No,
dai, volevo dirti di
stasera.”
“No,
no, aspetta. Provo ad
indovinare. C’è in giro un’altra
epidemia? No, impossibile. Beh, allora salta
la cena dei tuoi figli, molto più plausibile.”
“Nessuno
dei due.”
“…”
“Volevo
chiederti se preferivi
una pizza o qualcosa di surgelato, pesce, carne…”
“Ma
guarda te!” gli diede un
piccolo pugno sul petto, mentre lui la intrappolava tra le sue braccia.
“Comunque per me va bene qualsiasi cosa.”
“Allora…”
le si pose accanto
maggiormente. “Tagliamo la testa al toro e ti porto fuori a
cena.”
“Ma
no, dai, casa tua è molto
più… comoda, e meno
dispendiosa…” Non aveva decisamente voglia di
vedere altra
gente anche in serata. “Più che altro…
chi porta a casa Dario e Alessandro?”
“Il
padre di un loro compagno
carica la macchina e porta a casa alcuni ragazzini che abitano dalle
nostre
parti.”
“Mmm…”
“Hai
sempre meno possibilità di
scampo, Gandini…” Le diede un soffice bacio su una
guancia, anche se lei
cercava di dileguarsi. L’attrazione e la voglia di un
contatto erano però
fatali, così che le loro labbra si cercarono e si trovarono,
e la paura di
essere beccati a scambiarsi effusioni sul posto di lavoro non faceva
altro che
eccitare solamente i loro sensi.
Cristiana
si sentì afferrare con
due forti mani dietro la schiena e percepì Riccardo voler
approfondire il bacio
a qualcosa di meno superficiale. Le loro lingue si intrecciarono per un
secondo, ma la Gandini bloccò l’assalto di Malosti.
“C’è
anche la porta aperta, è
meglio evitare.” Questo purtroppo non migliorò
l’umore di Riccardo, che per farsi
perdonare dell’occhiataccia per niente appagata che gli
uscì spontanea, tornò
ad abbracciarla. Mantenendo ovviamente lo sguardo puntato verso
l'entrata.
“Rocco,
ti rendi conto, mi ha
sorriso!” Esther era fuori di sé
dall’emozione.
“Un
sorriso, un sorriso, poteva
anche essere indirizzato a chi era in quel momento dietro di te, magari
una
bella e affascinante donna, 1 metro e 90, occhi azzurri, capelli
biondi…”
“Sì,
nei tuoi sogni! No no, lei
stava guardando proprio me! Me lo sento, mi vuole ancora!”
Era
esaltata da matti, e Rocco
non fece che assecondare passivamente le sue congetture.
“E
poi se n’è andata, ma c’eri
anche tu, per cui l’hai vista.”
“Beh,
non sei stato il mago della
cortesia, potevi anche farglielo capire in una maniera un po’
più… soft.”
“Cosa
ci vuoi fare, se tutte le
volte che saltano fuori questi discorsi, mi viene voglia di prendere e
andarmene? Non lo voglio un figlio, non in questo momento.”
“Sono
i primi tempi del
matrimonio, vedrai che andrà meglio.” E intanto lo
fissava con aria sognante.
“Laura,
non scherzare. Tu non ci
sei mai passata, e sei l’ultima a cui potrei chiedere
consigli.”
“Scusa,
scusa, volevo solo
tirarti su il morale!” sbuffò e
incrociò le braccia.
“Scusami
tu” le toccò una
guancia, suscitandole un brivido. “Parlare di queste cose mi
rende un po’
nervoso.
E
tutto finì in un bacio. In un
lungo e desiderato bacio che li spinse attaccati al muro per assaporare
di
nuovo quello che si erano persi l’uno dell’altra.
“Vieni da me stasera” aveva
pronunciato Sergio mentre prendeva fiato per mezzo secondo.
“Ci
puoi giurare.”
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Capitolo 8 *** Ottava parte ***
Ottava
parte.
Sergio
raggiunse il desk dove
Teresa era occupata in un’intensa telefonata. Le fece un
cenno come per dire di
muoversi perché aveva bisogno di lei.
“Puoi
dirmi per favore se sono
arrivate le analisi di…”
“Professore,
sono tutte lì
impilate, scusi ma non ho tempo di smistarle ora, la prego, ci guardi
lei” e,
con la cornetta in mano, digitò un altro numero.
Meglio
così. Si avvicinò furtivo
all’angolo del bancone e sfogliò quella decina di
cartelle appoggiate l’una
sull’altra.
Cristiana Gandini. La prese sottobraccio
e tornò da dov’era venuto.
Rocco
ed Esther stavano
terminando di sistemare medicine e strumentazioni nella sala operatoria
appena
lasciata libera da un intervento.
“Ti
vedo proprio raggiante”
affermò lui fermandosi a guardarla mettere in ordine le
ultime cose.
“Che
ci vuoi fare, ho capito che
l’amore è più importante che qualsiasi
pregiudizio od opinione della gente.”
“E
glielo hai detto, alla tua
pediatra?” spense le luci e insieme si allontanarono dalla
sala.
“Non
ancora…”
Uscirono
in corridoio, e
l’oggetto del discorso fece la sua apparizione davanti a loro.
“Ciao”
sussurrò Marina ai due.
“Ciao”
ripeté Esther con un
sorriso ebete sul volto.
La
dottoressa Ranieri ricambiò il
sorriso e procedette per la sua strada.
“Mi
ha sorriso di nuovo!” esclamò
esaltata.
“Ho
visto.”
“E
anche questa è fatta” sospirò
la Gandini togliendosi guanti e camice.
“Già.”
“Tu come stai?”
“Io?”
“Sì,
non te l’ho nemmeno
chiesto.”
“Non
male. Però guai a te se
stasera mi dai da magiare altro cioccolato, già che prima ho
rischiato una
mezza indigestione.”
“Per
quella barretta? Ma adesso
stai meglio, sì?”
Si
asciugò le mani. “Riccardo,
ma… sono io che ti faccio questo effetto o sul serio ti stai
preoccupando di
me?”
“Sono
un medico, mi sembra
normale, no?” Le accarezzò una guancia con una
mano umida.
“Mi
piaci ancora di più quando ti
comporti così.”
“Tu
invece quando mi guardi con
questi occhioni…”
“Riccardo…”
“Mh?”
“Mi
sa che mi sono proprio
innamorata…” Era arrossita, anche se la luce
soffusa della stanza non lo
rendeva molto evidente.
Riccardo
quasi si commosse. Non
gliel’aveva mai detto. E fu un colpo al cuore. Non voleva
altre parole. Voleva lei.
Eliminò la distanza che li separava
e le si gettò contro. La stava baciando ovunque riuscisse a
raggiungere il
morbido e il profumato della sua pelle; la spinse contro la parete a
vetri che
dava alla sala operatoria buia e deserta e l’urto inflesso
provocò l’apertura
della porta scorrevole automatica che portava all’interno.
Riccardo
gettò un’occhiata
dentro, mentre con una mano s’intrufolò sotto la
stoffa blu scuro della
maglietta della dottoressa ad accarezzare la sua schiena nuda. Mille
brividi si
svilupparono in lei.
“Hai
le mani fredde…” commentò
con voce tremante.
E
con quelle stesse mani tentava
in quel momento di staccare i gancetti della chiusura del reggiseno.
“Riccardo
ma che fai?” gli
afferrò le braccia e lo bloccò, ma lui fu
più rapido e le catturò i polsi
incatenandoli alla parete.
“Niente
che tu non voglia.”
“Mi
stai facendo paura” gli
confessò, il cuore che le tamburellava nel petto e il
respiro affannato.
Malosti
sorrise e la
tranquillizzò con un altro bacio. “Vieni con
me.” La prese per mano e tentò di
trascinarla dentro.
“Noo.”
Inchiodò i piedi al
pavimento e iniziò a sciogliersi la treccia che abitualmente
faceva ai capelli
per gli interventi. Con il cuore in gola. “Ti piace il
rischio” commentò poi
infilando l’elastico in tasca.
“In
effetti.” E fece quello che
avrebbe voluto fare. Si piegò e, con gesto rapido e agile la
prese in braccio.
“Mettimi
giù” si dimenava come
una bimba. Ma poi si zittì. Non con un ciuccio ma con un
bacio. Decisamente molto
meglio.
La
sala operatoria era
completamente immersa nell’oscurità.
L’unica luce proveniva dalla saletta
adiacente.
Un
tonfo terribile, come di una
vetrata in frantumi, o come di un carrello ribaltato. E finirono
entrambi a
terra.
“Cos’è
stato?” Esther si voltò
verso la sala operatoria, e con lei altre cinque o sei persone nella
stessa
zona del corridoio. E corse a vedere.
L’espressione
terrorizzata sul
volto di Riccardo e Cristiana comparve dopo mezzo secondo. Lui si
tirò su e
aiutò la dottoressa, che lo guardava stralunata. Poi si
girò e vide il guaio.
“Scappiamo”
non aveva mai sentito
la voce di Malosti così strana. Aveva paura anche lui.
“Sì
ma è da vigliacchi!” E
intanto s’inginocchiò a constatare
l’entità del danno. Il buio è molto
pericoloso. Ma lo è di più se accompagnato da due
medici non troppo curanti
degli ostacoli esterni…
Rumori
provenivano dall’esterno.
Riccardo afferrò la donna per la vita e tirò da
una parte, in cerca di una via
di fuga, ambedue con i battiti accelerati e l’affanno nel
respiro.
“Prima
la radio, poi questo…”
“Ssh!”
La trascinò nella sala di
sterilizzazione e si appiccicarono al muro vicino alla porta
d’uscita per non
essere visti.
Come
previsto, Esther entrò in
sala operatoria dalla porta principale, perciò in quel
momento si potevano
considerare salvi.
“Quando
non c’è più nessuno che
gira qui davanti, ce ne andiamo. E di corsa” disse Malosti in
un sussurro
all’orecchio di lei. Allungò il collo per
controllare all’esterno. Erano almeno
in quattro, tra medici ed infermieri, a curiosare.
“Qualcuno
deve aver avuto voglia
di scherzare” parlò Esther per prima.
“Che
succede?” Era arrivata
Giulia di corsa. Accese tutte le luci e si fermò a guardare.
“Non è niente,
dai, hanno solo fatto cadere il carrello.”
“Sì,
ma così tutto il nostro
lavoro non è contato a niente. Ci tocca sterilizzare di
nuovo tutti gli
strumenti” cominciò a lamentarsi
l’infermiera, ma cambiò subito il tiro del
dialogo, perché la caposala non era in vena di capricci.
“Ma non ti
preoccupare, ci penserò io.”
“Dobbiamo
prenderci le nostre
responsabilità.”
“Cristiana
smettila, l’ha detto
anche Giulia, non è successo niente.”
“Ma
perché ci siamo cacciati in
questa situazione?” Aveva le lacrime agli occhi. Si
girò appoggiando le spalle
al muro e guardò Riccardo che le si addossò.
“Ti
prego, non fare così, è tutta
colpa mia, avevi ragione tu sin dall’inizio. Dobbiamo
smetterla di comportarci
come sciocchi adolescenti.” Spalancò la porta e
raggiunse Esther dall’altra
parte, sotto gli occhi stupiti della dottoressa che si sporse a
guardare cosa
avesse in mente, con un misto tra il disperato e il soddisfatto. Lo
intravide
discutere prima con Esther e poi con la caposala.
Dopo
qualche minuto era già di
ritorno; la prese per mano e insieme lasciarono il luogo del delitto,
sotto gli
occhi attoniti del gruppetto curioso e della stessa Cristiana.
“Caffè?”
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Capitolo 9 *** Nona parte ***
Nona
parte.
“Cosa
caspita hai raccontato!?”
Stavano camminando a braccetto. Ridendo.
“Sssh.
Segreto professionale.”
“E
poi se n’è andato, così, come
se niente fosse successo!”
“Io
so solo che in questo
ospedale ne succedono ogni giorno una peggio
dell’altra” dichiarò il primario
masticando un pezzetto di cracker. “Vuoi?”
indicò la confezione accanto alla
tastiera del computer.
“No,
grazie, ho lo stomaco
sottosopra.”
“Ma
cosa ti ha raccontato, di
preciso?” Strano ma vero, qualche volta anche lo stesso
Sergio, condizionato da
tutti gli altri, si faceva prendere da un po’ di
curiosità di pettegolezzo.
“Che
è inciampato mentre usciva
dalla sala, poi l’hanno chiamato per un’urgenza.
Per questo sarebbe arrivato
solo quando noi eravamo già dentro. Pero non sta in piedi,
anche perché nessuno
l’ha visto, è comparso all’improvviso,
come se avesse aspettato il momento
giusto.”
“Valli
a capire, questi dottori.”
“Ah,
non ti ho detto la cosa
fondamentale.”
Danieli
si avvicinò.
“C’era
anche Cristiana, nei
paraggi.”
“Giulia!”
esclamò subito dopo, e
a momenti non gli andò di traverso il cracker.
“Che
c’è?”
“Le
analisi! Me n’ero
completamente scordato, devo rintracciarla subito.”
“Se
vuoi te la vado a cercare
io…”
“No,
no ti preoccupare” si alzò
in piedi, “è una cosa molto importante, ci penso
io.” E la lasciò, dopo averle
baciato una guancia.
“Mi
devo preoccupare?”
“No,
assolutamente. Se sei così
tanto curiosa, perché non chiedi a Esther? O a
Giulia?”
Avevano
raggiunto il box 1, dove
una paziente stava riposando, in attesa dei risultati delle analisi.
“La
stai seguendo tu?” chiese lui.
“Sì,
ma non ho ancora idea di
cos’abbia, quando è arrivata presentava dei forti
dolori al petto, le abbiamo
fatto un paio di esami e tra poco dovremmo avere i risultati. Anzi, mi
fai un
favore? Io entro e controllo una cosa, tu vai a vedere se sono
arrivati.”
Il
dottore eseguì.
Cambiò
la flebo e le chiese se
aveva avuto altri episodi di dolore in quell’arco di tempo.
Purtroppo la donna
non riuscì a darle una risposta, perché perse
conoscenza subito dopo.
“Ma
cosa…!?”
Uscì
rapida dal box in cerca
d’aiuto, ma di Malosti non c’era traccia.
Acchiappò però al volo Danieli, di
ritorno dall’accettazione.
“Ti
prego, dobbiamo portarla
subito in sala operatoria!” Entrò con lei nel box,
appoggiò la cartellina
celeste che aveva in mano sul comodino accanto al letto e
preparò la paziente,
che entrambi trascinarono fuori a gran velocità.
In
quello stesso istante apparve
Riccardo, che aveva appena letto le analisi.
“Non
sono per niente positive, ve
le lascio e vi raggiungo subito in sala operatoria.”
Rientrò
nel box per recuperare la
cartella clinica della paziente, e l’occhio gli cadde sul
fascicolo che
qualcuno doveva aver dimenticato lì poco prima. Lo raccolse
con l’intenzione di
portarlo in sala medici, magari chi l’aveva perduto sarebbe
tornato a cercarlo,
ma il nome scritto a pennarello nero indelebile sulla copertina lo spiazzò e
allo stesso tempo terrorizzò: Cristiana
Gandini, recitava la scritta.
Valerio
era al telefono. E Laura
a pochi metri da lui.
“Carola,
te l’ho già detto, non
so se potrò venire con te a cena fuori stasera!”
“Potevi almeno dirmelo prima, no?” gracchiava la
voce dall’altro capo. “Ho
prenotato venti giorni fa per questa sera, e tu mi dai buca?”
“Non
dipende da me!”
“Non
dipende da te nemmeno avermi
sposato, o almeno quella è stata una tua
decisione?”
“Ma
cosa dici!? Carola? Carola?”
aveva buttato giù. Forse era meglio così, e
sarebbe rimasto tranquillo per la
serata.
“Problemi?”
la sua voce lo fece
girare. “No, scusa, hai ragione, non mi dovrei
impicciare.”
“Ho
da farmi perdonare una
mancata cena al ristorante più prestigioso di tutta Milano.
Consigli?”
“Beh,
vediamo, potresti provare
con dieci giorni in crociera…”
“E
dici che le basteranno?”
“Venti?”
“Poi
sarei io a perdere il posto,
Danieli non mi concederebbe mai venti giorni di seguito di
ferie!”
La
donna aveva una malformazione
al cuore, ma i chirurghi riuscirono comunque a riportarla stabile. Per
quanto
tempo non sapevano, doveva rimanere sotto stretta osservazione almeno
per
qualche ora.
“Riccardo
non si è fatto vedere”
diceva Cristiana al primario mentre uscivano dalla sala.
“Ci
saranno state altre urgenze,
però sembra strano anche a me” confermò
lui.
“Tanto
adesso glielo chiediamo.”
“Ah,
senti, ho ritirato le tue
analisi” si ricordò Sergio. “Non
chiedermi niente, perché non le ho nemmeno
aperte.”
“Sono
nel tuo studio?” chiese.
Effettivamente era abbastanza curiosa. No, non abbastanza. Fremeva dal
desiderio di aprirle.
“Porca
miseria!” si lasciò
sfuggire. Cristiana lo guardava non capendo.
Era
corso in sala medici, in
ricerca di un luogo vuoto e silenzioso. Si era seduto sulla prima sedia
attorno
al tavolo, il fascicolo davanti a lui. Chiuso.
Aprì
con le mani tremanti la
prima pagina. Valori nella norma. Sfogliò con nervosismo
quelle quattro pagine
di analisi. Ma all’ultima, all’ultima il nervosismo
si trasformò in agitazione,
ansia, angoscia, affanno e chi più ne ha più ne
metta. I suoi occhi si erano
fermati su quella parola. E con loro il suo respiro.
Stava
rischiando il soffocamento.
Prese aria e si sventolò agitando in aria le mani. Stava
sudando freddo. Si
alzò in piedi e aprì la finestra in cerca di un
po’ di libertà, almeno
fittizia, ma quella stanza gli sembrava una trappola. Una prigione. Si
sporse
più che poté, e trasse lunghi respiri. Per
ossigenare il cervello. Ne aveva
davvero bisogno. E per un attimo le immagini di tutta la sua vita gli
passarono
davanti. Per ultima Cristiana, e quel suo sorriso da mozzare il fiato.
“Questa
me la paga.” In effetti aveva quasi rischiato
l’infarto per colpa sua. Ma
almeno sarebbe morto contento.
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Capitolo 10 *** Decima parte ***
Decima
parte.
Test di gravidanza. Positivo.
E
Riccardo era ancora tutto
sottosopra. Come i fogli delle analisi che aveva sparpagliato per il
tavolo.
Fece un giro per la stanza, cercando di tornare in se stesso.
Raggruppò i fogli
e richiuse la cartellina. L’obiettivo era quello di riportare
tutto com’era e
dov’era prima. Sempre che quei due non avessero
già finito di operare.
Controllò l’orologio, e si rese conto di come
fosse impossibile la sua
missione: era rimasto in quella sala per un’ora e mezza e
buona. Però ci doveva
almeno provare. Prese sottobraccio i documenti e si avviò.
Arrivarono
di corsa al box, prima
ancora che gli infermieri avessero riportato la paziente dopo
l’operazione. Si
guardarono entrambi in giro, ma l’unica cosa che vedevano era
un letto fatto e
un comodino. Vuoto.
“Dove
le avevi lasciate?” chiese
lei.
“Sul
comodino, sono sicurissimo.”
Lo indicò. “Dove possono essere finite?”
Aprirono
tutti i cassetti e gli
armadietti possibili. Come se non bastasse, controllarono anche sotto
il letto.
“Sono
sparite” constatò Sergio,
le mani sui fianchi, agitato per aver tradito in parte la fiducia di
una
collega.
Nessuno
dei due si era però
voltato dalla parte opposta.
Malosti,
fermo in mezzo al
corridoio in una posizione giusto giusto adatta a vedere e a non essere
visto.
Con le analisi in mano. E l’ansia di chi non vuole essere
scoperto con l’arma
del delitto ancora fumante o sanguinante. Si sentiva un ladro, o peggio
ancora,
un assassino. Le facce sui volti dei colleghi non erano
proprio… allegre, anzi,
oltre ad essere preoccupate forse erano anche arrabbiate.
“Ma
chi sarà stato?” continuava a
tormentarsi Cristiana.
“Al
massimo le facciamo rifare.”
“Sì,
ma ti assicuro che non è
proprio una bella sensazione quella di sapere che in giro per
l’ospedale stanno
viaggiando le mie analisi.”
“Immagino.
Dai, andiamo, e non ci
pensare, vedrai che prima o poi salteranno fuori.”
Stavano
per uscire. E Riccardo
fece dietrofront, il più rapidamente possibile.
Giunse
con il fiatone in sala medici,
dove aprì con poca usta il suo armadietto personale,
all’interno del quale finì
il fascicolo celeste. Prova nascosta. E adesso bastava solo che le
indagini non
iniziassero dalle… persone più vicine.
“Dottor
Malosti, è successo
qualcosa?” Ettore, con l’espressione di chi aveva
appena visto una cosa ma
avrebbe voluto essere da tutt’altra parte.
“Tu”
iniziò Riccardo, puntandogli
un dito addosso, “non hai visto niente.”
“No,
no, ovvio che no.” “Forse è
meglio che mi tolga dai piedi.”
“Bravo,
Ettore, bravo, forse ti
ho sottovalutato.” Ma non rispose, uscì e lo
lasciò da solo in mezzo alla
stanza. Con l’aria sconvolta.
“Potresti
andare a controllare in
sala medici, no? Magari le hanno trovate e le hanno lasciate sul
tavolo,
pensando che quello fosse il primo posto in cui si viene a cercare
ciò che si è
perduto.”
“Vado
subito.” “Sergio?” Si
guardarono. “Grazie di tutto.”
“Ma
se è stata tutta colpa mia!”
“Non
dirlo nemmeno per scherzo.”
Allora
era così che ci si sentiva
da colpevoli? Combattuti tra il confessare e tenere tutto per
sé, con i battiti
del cuore mai alla giusta velocità. E raccontare bugie a
tutti, minacciare uno
specializzando per non farne parola con nessuno.
“Ma
che cazzo sto facendo?”
appoggiò le mani sul tavolo e si piegò,
lasciandosi appoggiare su di esse. La
testa bassa, gli occhi chiusi, i pensieri che vagavano tra Cristiana e
quelle
analisi. E Sergio. Quel primario sempre in mezzo. Perché ha
chiesto a lui di farle le analisi?
“Perché non è
venuta da me?” Stava ormai parlando da solo. Con gli occhi
prossimi alle
lacrime. Era troppo duro anche formulare una domanda del genere e
rendersi
conto che Cristiana non si fidava di lui, oppure si limitava a farlo
per certe
faccende. E quando si era trattato di lei… era corsa da
Danieli, Invece di
parlare con Riccardo.
Ma chissà come mi sarei comportato io.
Magari avrei iniziato a tremare
dall’emozione al punto tale di non riuscire nemmeno a
prelevarle il sangue.
Però le sarei stata vicino. Avremmo
riso
insieme. Avremmo aperto insieme quelle maledettissime analisi.
E
invece in quel momento erano là
dentro, chiuse in un armadietto a chiave. Ed Ettore poteva
testimoniare. Ma,
nonostante questo, era sicuro almeno di una cosa: lì non
avrebbero frugato.
Lo
scatto della maniglia della
porta lo fece sobbalzare. Tornò in fretta in posizione
eretta, per affrontare
il primo interrogatorio del caso. Era Cristiana, che lo guardava come
se fosse
un alieno.
“Riccardo,
ma…” Gli si avvicinò
lentamente, per poi arrestarsi a una decina di centimetri da lui, a
guardarlo.
“Hai pianto.” Ecco quello che odiava delle donne.
Sapevano riconoscere con una
sola occhiata ciò che avevi fatto fino a quel momento. E si
vergognò. Nessuno
l’aveva mai visto piangere da quando non era più
un bambino. Nessuno. A parte
lei, che ora faceva parte della sua vita, che in quel momento sapeva di
lui più
di quanto lui stesso era a conoscenza. Capiva i suoi gesti, le sue
parole, le
sue allusioni. I suoi sguardi. E aveva visto che erano lacrime quelle
che in
parte avevano percorso le sue guance.
Lui
immobile, davanti a lei.
Gliele asciugò con il morbido contatto dei suoi
polpastrelli, e poi gli si
gettò al collo.
“Ti
amo, Riccardo, ti amo.”
Ti amo anche io, avrebbe voluto
risponderle. Ma l’unica cosa che
fece fu quella di strizzare gli occhi affinché altre due
lacrime fuoriuscissero
all’unisono. E caddero insieme sulla spalla di Cristiana.
“Perché
non ci hai raggiunti in
sala operatoria?” il suo respiro gli solleticò il
padiglione dell’orecchio, e
nel contempo sentì il suo corpo volersi staccare. Glielo
impedì, intrecciando
le braccia dietro la sua schiena. Per averla ancora più
vicino. Per non
guardarla in faccia mentre mentiva.
“Era
arrivata l’ambulanza con un
ferito grave. E non c’era nessuno disponibile.”
Quanto era difficile inventare
qualcosa con a disposizione meno di due secondi. Però ci
riuscì, mentre le
accarezzava i capelli lisci. “Mi dispiace.” Di
averla lasciata sola. Di aver
mentito. Di aver commesso un errore di cui si era già
pentito. Di tutte le
volte che l’aveva trattata male. Di non averle ancora detto
che l’amava.
“Teresa,
senti, dove le tieni le
analisi che arrivano?”
“Ancora?
L’ho già detto a tutti i
medici, e dico tutti; sarà l’unico a non
saperlo!” Era proprio una
giornataccia.
“E
allora illuminami, no?”
Gliele
indicò. “E non azzardatevi
a chiedermelo ancora.”
Percorse
il desk ovalizzato sino
all’angolo, dove tre o quattro fascicoli come quello che
aveva sottobraccio
giacevano sul piano. Alzò gli occhi verso di lei: era al
telefono, e gli occhi
erano rivolti allo schermo del pc. Rocco non era nei paraggi. E dietro
di lui
c’erano solo alcuni pazienti in attesa di una chiamata.
Infilò la sua
cartellina in mezzo alle altre e fece finta di cercarne
un’altra.
“Niente,
Teresa, non sono ancora
arrivate!”
“Come
se fosse colpa mia.”
Bene,
anche questa era fatta. Ora
bastava solamente che o a Danieli o a Cristiana venisse in mente la
possibilità
che le analisi fossero tornate a casa.
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Capitolo 11 *** Undicesima parte ***
Undicesima
parte.
Se
l’era sposato. Poteva amarlo.
Poteva litigarci. Viveva con lui. Mentre lei… lo doveva
considerare un collega.
Al massimo un amico. E ovviamente un ex.
Ancora
non si capacitava di come
fosse stato possibile lasciarlo per Nicola. Era stato tutto un
capriccio, ecco
la spiegazione. L’aveva lasciato per colpa di un periodaccio.
Ancora non aveva
capito che i momenti difficili all’interno di una coppia non
fanno altro che
metterne alla prova la resistenza. Ed era stata Laura a cedere, ad
avere paura
nell’affrontare la situazione. Oppure era stata solo
pigrizia, nel discutere e
nel tornare felici come prima. Un errore che stava pagando.
Seguivano
insieme i casi,
prendevano un caffè, ogni tanto scherzavano anche. Magari
parlando del suo
matrimonio. E di quella sciocca di Carola. Sciocca ma non scema, visto
che alla
fine se l’era sposato. Bella mossa. E loro che erano stati
insieme tre anni…
hanno spazzato via i cocci della loro relazione.
Sdraiata
sul divano, ingoiava
cucchiaino dopo cucchiaino uno yogurt che sapeva di pianto e lacrime.
Mentre
Valerio chissà dov’era.
Non
c’era bisogno di andare a
cercare troppo lontano. Fuori, fermo davanti alla veneziana che
lasciava
intravedere chi era all’interno della ben frequentata sala
medici.
Ed
entrò, non facendo rumore. Per
far prendere un accidente alla dottoressa Costa quando le
appoggiò le mani
sulle spalle.
Sergio
tentò l’ultima mossa prima
della resa. Si sentiva troppo in colpa per aver dimenticato quelle
analisi sul
comodino all’interno di un box accessibile a tutti. Non era
da lui.
Giunse
all’accettazione. Alcune
ragazze erano ai computer.
“Teresa?”
chiese il professore.
“Si
è presa dieci minuti di
pausa, stava rischiando di impazzire, con tutto il via vai che
c’è oggi” gli
rispose una di loro.
“Grazie.
Senti, non è che per
caso qualcuno ha trovato un fascicolo di analisi nel box 1?”
“Non
lo so, dovrebbe chiedere a
Teresa, qui è lei che tiene testa a tutti. Però,
se vuole, potrebbe controllare
in mezzo alle altre, non si sa mai che qualcuno l’abbia
riportata.”
Giusta
osservazione, avrebbe
dovuto pensarci prima. Le sfogliò una dopo
l’altra. E tra le sue mani poté
finalmente riaverle.
“Se
vedete la dottoressa Gandini,
ditele di venire nel mio studio il prima possibile.”
Il
tramonto si stava avvicinando:
il sole primaverile non era più alto nel cielo, e lasciava
entrare nello studio
di Sergio qualche raggio rossastro che illuminava a tratti il pavimento
davanti
alla scrivania. Il primario era davanti al suo pc, che stava digitando
qualcosa
alla tastiera. La cartellina celeste di fianco a lui.
Il
bussare alla sua porta lo
distolse dal ticchettio uniforme sulla tastiera.
“Avanti.”
“Sergio
sono io, mi hai fatta
chiamare?”
“Sì,
vieni” e scostò lo schermo
del pc per vederla meglio. “Non pensi che avresti dovuto fare
tutto questo in
presenza di Malosti e non di me?”
“Di
cosa stai parlando?”
“Delle
analisi e dei risultati.”
“Le
hai trovate?”
“Non
hai risposto alla mia
domanda. Il figlio è suo, io non c’entro
niente.”
“Le
hai lette?”
“No.
Però continui a cambiare
discorso.”
“Non so se lui lo voglia, questo figlio”
dichiarò con un velo di tristezza
negli occhi.
“Se
ti ama, amerà anche lui.” Le
passò le analisi. “Chiamalo da parte, digli tutto
e scommetto che se sei
incinta sarà felice più di tutti i medici del
pronto soccorso messi insieme.”
Effettivamente
già una buon
percentuale di tristezza era racchiusa in sala medici, e anche solo uno
spiraglio di allegria avrebbe ravvivato l’umore generale del
pronto soccorso.
Era
favoloso a fare i massaggi.
La testa piegata indietro, con gli occhi chiusi e un impercettibile
sorriso
nascosto dalle guance umide di lacrime.
“Non
ti chiedo perché stessi
piangendo.” La sua voce la fece sussultare. Si era
inginocchiato dietro di lei,
e il suo volto era vicino come non se lo immaginava. Si
passò una mano sul
viso.
“Grazie”
sussurrò senza girarsi.
Assaporava ogni istante di quel momento, temendo ogni secondo che
passava che
quelle mani si staccassero da lei.
“Va
meglio adesso?”
“Sì.”
Aveva smesso di piangere.
“Erano
mesi che non le si era
avvicinato in quel modo. Si era comportato d’istinto: era
entrato e le si era accostato.
Aveva desiderato massaggiarle le
spalle. Anche se sapevano entrambi che non era del tutto corretto quel
che
stavano facendo.
Laura
continuava a mischiare col
cucchiaino la pappina contenuta nel barattolino dello yogurt, che ormai
aveva
assunto una consistenza acquosa e la temperatura ambiente.
“Deve
fare proprio schifo”
commentò lui passando a massaggiarle il collo dalla pelle
chiara.
Un
brivido raggiunse Laura. E
Valerio se ne accorse.
“Già”
si limitò a confermare.
“Amore?”
La porta si era
spalancata repentinamente. E una donna castana, con i tacchi
più alti di lei in
abbinamento ad una borsa esageratamente grande e un vestitino da
sfilata
eccessivamente primaverile, fece il suo ingresso trionfale.
“Vedo
che il tempo di stare con
lei non ti manca mai, però!” E, dopo averli
aggrediti con un occhiata
furibonda, uscì sbattendo forte la porta.
Laura
e Valerio si guardarono. E
scoppiarono a ridere.
“Non
adesso però” diceva
Cristiana con una mano sulla maniglia. “Rischierei di
condizionargli il lavoro.
Stasera. Stasera gli dirò tutto.” Ma non ci
credeva nemmeno lei.
“Ohi,
ciao, Giulia” le sorrise. E
si scambiarono il posto.
“Problemi?”
chiese la caposala
dopo essere entrata.
“No.
Le solite cose.” Si alzò in
piedi e la raggiunse. Lei si era già cambiata; e aveva
cappotto e borsa sottobraccio.
Quella borsa nella quale aveva sistemato la sua uniforme ben piegata. E
il suo
cartellino. Danieli si tolse il camice e lo appese
all’attaccapanni accanto
alla porta. “Allora, dove ti porto a cena?”
“Ti
devo dire una cosa, Sergio”
sbottò. “Abbiamo deciso e partiamo domani
mattina.”
Ci
rimase di sasso. “Ah.”
“Io
ti amo, e lo sai.” Gli
percorse una guancia con un dito.
“Anche
io ti amo. E allora
perché? Perché mi fai tutto questo?”
avrebbe voluto mettersi ad urlare.
“Mi
dispiace. Ma non voglio
lasciare Pedro da solo.”
“Non
vuoi lasciare solo Pedro o
tuo marito?” l’assalì.
Giulia
non rispose. Ma gli si
avvicinò e gli diede un piccolo bacio sulle labbra.
“Mi
dispiace anche per stasera.
Ciao Sergio, e grazie di tutto.” Non lo guardava
più negli occhi. Aveva una
paura tremenda di affrontare il suo sguardo.
Lui
le aprì la porta. “Addio.” E
se ne andò. Per sempre.
Il
professore richiuse l’imposta
appoggiando ad essa la schiena, e si lasciò scivolare a
terra. Non poteva
essere finita. E non riusciva nemmeno a piangere.
“Carola,
ti prego, non reagirai
mica così tutte le volte che parlo con una
collega?” l’aveva rincorsa.
“Parli?
Ah, perché stavi parlando?”
Agitava in aria le braccia, e
ogni millesimo di secondo si sistemava qualcosa di diverso. Prima la
gonna, poi
i capelli e la borsa che non aveva intenzione di rimanere attaccata
alla
spalla.
Valerio
sorrise: era calmissimo.
“Hai equivocato, come sempre.”
“No,
ho visto giusto, come
sempre!” pestò i piedi per terra e sembrava
davvero una bimba capricciosa.
“Sentiamo.”
“Non
ho la voglia né il tempo di
dirti una cosa che sai meglio di me.”
“E
allora? Qual è il problema?”
“Che
il nostro matrimonio è stato
l’errore più grande di tutta la mia
vita!”
E
l’ultima cosa che vide di lei
fu l’imbarazzante caduta in mezzo al corridoio. La causa?
Saranno stati i
tacchi…
Giulia
percorse l’ultimo
corridoio del Morandini con un groppo in gola. Non riusciva
più né a deglutire,
né a respirare normalmente. Trovò Esther alle
prese con una pila di cartelle e
le diede una mano.
“Esther,
mi fido di te.”
“Ma
Giulia…”
“Ssh.
Giulia niente. Ora tu sei
la nuova caposala. E niente storie.”
“Te
ne vai oggi?”
Scosse
la testa. “Domani
mattina.”
Esther
la guardò triste.
“Niente lacrime, d’accordo? Ché
altrimenti mi metto a piangere anche io.”
L’infermiera
annuì. “Ciao Esther,
e abbi cura di te.”
“Arrivederci
Giulia. E sii
felice.”
L’accettazione.
Teresa alle prese
con un tizio che si era fatto male a giocare a basket con gli amici.
“Guardi,
c’è il dottor Palumbo
che la può visitare, prego, lo segua.”
“Meno
male che la giornata è
quasi finita” considerò poi con le colleghe
dell’accettazione.
“Puoi
ben dirlo!” rispose una di
loro.
Vide
la caposala camminare
lentamente in direzione della porta d’uscita.
“Giulia!” Le gridò sorridente.
La
donna si voltò. Sperando che
la maga del pettegolezzo non avesse assoldato delle spie per venire a
conoscenza anche della sua partenza.
“A
domani!” si limitò invece a
dire.
Giulia
alzò un braccio, inventando
un sorriso. Un dolce sorriso. L’ultimo di quella giornata. E
l’ultimo riservato
al Morandini.
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Capitolo 12 *** Dodicesima parte ***
Dodicesima
parte.
Si
sentiva veramente uno schifo.
Un mostro che si era impossessato della fanciulla di turno. Si
portò una mano
alla fronte e poi se la passò tra i capelli dando loro una
ravviata. Aveva
davanti a sé lo specchio, ma non aveva lontanamente
l’intenzione di guardarsi.
Per vedere quella faccia che vorrebbe prendere a schiaffi.
Nonostante
la temperatura
abbastanza mite del pronto soccorso, Riccardo sentiva solo un gran
freddo, e
aveva le mani che gli tremavano. Non era una cosa normale, per un
chirurgo.
Meno male che dopo dieci minuti sarebbe finito il suo turno. Ma doveva
rivedere
Cristiana. E raccontarle la verità.
Aprì
il rubinetto e lasciò
scorrere l’acqua. Con le mani ne raccolse un po’ e
s’inondò il viso, per
cancellare le ultime tracce saline delle lacrime, e per cercare di
eliminare
insieme a loro il gesto commesso.
Si
appoggiò al lavandino,
lasciando cadere dal suo viso le gocce d’acqua in eccesso.
Era
veramente a pezzi.
“Carola
se n’è andata.” Valerio
era tornato indietro, alla sala medici, sicuro di trovarla
lì dov’era prima.
Con lo stesso barattolo di yogurt in mano. Glielo prese e lo
gettò nel cestino.
“In
che senso?”
“Nel
senso che mi ha fatto una
scenata di gelosia, poi è inciampata coi tacchi e se
n’è andata.”
“E
non l’hai aiutata a
rialzarsi?”
“No.”
Ora che glielo faceva
ripensare, è stata una decisione un po’ vergognosa
quella di voltarsi
dall’altra parte come non l’avesse mai conosciuta.
“Ho esagerato?”
“Un
pochino.” E gli sorrise. E
lui non ci vide più. Si sedette sul divanetto vicino a lei,
le prese il mento e
la fece girare verso di lui. La baciò. E fu subito
contraccambiato.
Cristiana,
con le analisi in
mano, girava per l’ospedale. Le aveva sottobraccio, le teneva
strette, e non
era curiosa. Voleva solo Riccardo. Voleva che fosse lui a sfogliare
quella
pagina e dire aspettiamo un bambino.
O anche solamente no.
Però era lui
che faceva la differenza.
Raggiunse
il bagno, per
sciacquarsi il viso e rendersi un minimo presentabile a quella specie
di
appuntamento che avevano fissato per la serata.
Aprì
la porta.
“Ah,
sei tu.” Di nuovo la sua
voce. Un po’ impaurita.
“Ti
ho spaventato?” Girò la
cartella dalla parte opposta, così che non si vedesse il
nome.
“No.”
Controllò l’orologio. Erano
le otto. “Andiamo?”
“Lascia
almeno che mi sistemi un
po’ i capelli…”
“Sei
bellissima così.” La prese
sottobraccio e la portò fuori.
La
macchina di Cristiana li stava
aspettando nel parcheggio dietro al pronto soccorso. Quella mattina,
infatti, erano
giunti insieme al lavoro, dopo una notte passata insieme a casa di lei.
Rigorosamente senza Elena, che dalla disperazione era fuggita a casa
del padre.
E ci era rimasta anche quella sera.
“Guido
io, eh” prenotò il posto
Riccardo, fregandogli le chiavi dalle mani. Entrarono in auto e si
infilarono
le cinture.
“Ho sempre guidato io…”
evidenziò lei, controllando la situazione capelli
dallo specchietto del parasole.
“Avrei proprio bisogno di un parrucchiere”
commentò scostando i ciuffi ribelli
dalla fronte.
Riccardo
si voltò verso di lei
sorridendo. “Ti ho già detto che stai benissimo
così come sei.”
“Guarda
la strada, va là…” E
gettò nei sedili posteriori la sua borsa, al cui interno
aveva ripiegato ciò di
cui avrebbe parlato più tardi.
“Arrivati”
annunciò lui spegnendo
la macchina dopo averla posteggiata in garage, accanto alla propria.
Cristiana
si riprese le chiavi,
mentre il collega faceva il giro dell’auto per aprirle la
portiera.
“Non
ce n’era bisogno” affermò la
donna divertita dal suo gesto galante. L’unica cosa che si
limitò a fare lui fu
sorridere. Era di buon umore. E forse era meglio così:
avrebbe facilitato le
cose.
Entrarono
in casa e, mentre
Riccardo cercava l’interruttore della luce – che
puntualmente non trovava mai –
un essere soffice e peloso si strofinò per un istante contro
le gambe della
dottoressa Gandini, così che si mise a urlare dallo spavento
e rischiò di
scivolare addosso a Malosti, il quale l’accolse tra le sue
braccia dopo aver
acceso la luce. Cristiana era ancora immobile con il capo nascosto sul
suo
petto, gli occhi serrati contro il colletto della camicia.
“È
solo Briciola.” E un miagolio
rese chiaro l’equivoco.
La
donna aprì gli occhi e si
voltò a guardare quell’esserino che sembrava
più un batuffolone di cotone
bianco e grigio che un micio.
“Non
mi avevi mai detto che avevi
un gatto!” lo aggredì osservando il musetto
baffuto che intanto si era seduto a
controllare chi fosse in compagnia del padrone.
“E
tu non mi avevi mai detto che
avevi paura dei gatti!” si mise a ridere.
“Non
ho… paura. È che non mi
fanno molta simpatia.” Guardò il micetto con la
fronte corrugata.
“Non
è meglio se entriamo?”
cambiò argomento Riccardo, che era ancora fermo tra la porta
aperta e
Cristiana. Si sistemarono sul divano, dopo che, tra un miagolio e un
altro, il
dottore era riuscito a telefonare per ordinare due pizze.
Non
la smetteva di passarle tra
le gambe, e ad ogni contatto con la sua pelliccia le veniva la pelle
d’oca.
“Vieni,
su, ciccino, che andiamo
a magiare la pappa” lo prese il braccio e gli
accarezzò il musino, sotto lo
sguardo sbalordito della collega. Di sottofondo, le fusa.
“Che
c’è?”
“Io…
non pensavo che… cioè,
insomma” non riusciva a mettere insieme due parole.
“Dico, il gatto… ti
comporti in maniera… strana.”
La
guardò con aria interrogativa.
“Non è da te. Mi sarei aspettata un modo di fare
più… duro, ecco; vederti fare
le coccole al gattino non è proprio una scena che ti
rappresenta al meglio,
Malosti.”
“Appunto.
Meglio se non te lo
lasci sfuggire con la sfera femminile del pronto soccorso.”
“No,
no, tranquillo.”
“Lo
vuoi prendere in braccio?”
“No,
assolutamente! E se poi sono
allergica?”
“Eddai,
non inventare scuse.”
Si
concentrò a visualizzare quel
quadretto. Riccardo che accarezzava un micio che faceva le fusa dalla
contentezza. Non può essere,
continuava a ripetersi nella testa. Però era così.
“Sei
ancora sconvolta?”
Scosse
la testa. “Solo un
pochino.”
Si
sedette di nuovo accanto a lei
con il micio in braccio. “Le paure si devono affrontare,
dottoressa.”
E
glielo piazzò sulle gambe, al
ché la reazione di lei fu del tutto logica.
S’immobilizzò, con il busto piegato
indietro contro lo schienale del divano, e le braccia incrociate sul
viso a mo’
di scudo. Gli occhi stretti.
“Facciamo
una cosa.”
“Toglimelo,
ti prego!” era
terrorizzata.
“Apri
gli occhi.”
“No!”
“Aprili!”
Uno
per volta. Per osservare quel
micio che non stava né mostrando gli artigli, né
uno sguardo assassino. Fece un
respiro di sollievo.
“Non
ti mangia mica.”
“Mh.”
“Dai,
accarezzalo” tentò Malosti
divertito.
“Non
ci penso neanche!”
Il
gattino si era arrotolato e
ora controllava prima il suo padrone, poi la nuova tizia davanti a lui.
Sbadigliò. E Cristiana sorrise.
“Vedi
che allora ti piace?”
Sì,
doveva ammetterlo. Era
proprio carino, ma da lì a volerlo accarezzare o tenere in
braccio ce n’era di
strada.
Riccardo
le prese una mano.
“No.
No.” Era una negazione
continua. Ad ogni centimetro di spostamento.
Gliela
portò sopra la testolina
dell’animaletto, che la rovesciò indietro alzando
le zampe per prenderle le
dita. E gliele sfiorò appena, senza estrarre le unghie.
“Ti
ha fatto male?”
“No.”
“Se
te lo faccio accarezzare,
sono sicuro che non ti staccherai più da lui.”
“Ne
dubito.”
“Provare
per credere.”
E
condusse la sua mano in
direzione della collottola. Gliela appoggiò sopra, per
tastare la consistenza
del manto. Era liscio e caldo. E molto soffice.
Le
fece accarezzare lentamente la
schiena, la propria mano sulla sua.
“Non
mi vorrai mica dire che non
hai mai toccato un gatto prima d’ora.”
Scosse
la testa mordicchiandosi
il labbro inferiore. Era così.
“E
come ti sembra?”
“Morbido.”
“Avevo
ragione io. Ti piace.”
Gli
occhietti vispi corsero in
direzione di Cristiana dopo aver staccato la mano dal micetto.
“Vuole
essere coccolato ancora.
Ma stavolta non t’aiuto.”
Infatti
lo accarezzò lei, e lo
grattò sotto il mento, ascoltando il rilassante suono delle
fusa. Riccardo
aveva maledettamente ragione. Di nuovo. Si scambiarono uno sguardo
complice,
poi un dolcissimo bacio sulle labbra. Il gattino scappò
giù e Riccardo si chinò
su di lei, finché quel bacio che si prospettava a qualcosa
di più venne
interrotto dal suonare del campanello.
“Vado
io.” Riccardo si tirò su e
Cristiana fece altrettanto, sistemandosi l’abito stropicciato
dall’ardore di
Riccardo. Pagò le pizze e le appoggiò sul tavolo
in cucina, dove dopo poco
arrivò anche Cristiana. E il gatto che miagolava. Gli
preparò la ciotola con i
croccantini e procedette nell’apparecchiare la tavola.
Bastarono una tovaglia,
due bicchieri, le posate e una bottiglia d’acqua. Niente vino, disse Riccardo,
categoricamente. Per me e per te.
“Eh
beh, certo, perché se tiriamo
fuori la bottiglia poi va a finire che lo bevi anche
tu…”
“Ehm…
naturalmente” ma non era
esattamente per quella ragione.
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Capitolo 13 *** Tredicesima parte ***
Tredicesima parte.
Forse
avrebbe dovuto dirglielo
prima. Sì, così, se fosse andata male, non
avrebbero nemmeno mangiato. E lei se
ne sarebbe andata. Allora tra un morso e l’altro, no? No,
avrebbe rischiato di
farle andare di traverso la pizza.
Dopo,
meglio dopo.
“Che
c’è?” Cristiana aveva notato
che erano cinque minuti buoni che Riccardo la fissava.
“No,
niente.”
Lei
appoggiò le posate nel
piatto.
“Non
mangi più?”
“Mi
si è chiuso lo stomaco,
scusa.”
“Stai
poco bene? Sei pallida!” Si
alzò e le s’inginocchiò di fianco.
“No.”
Le
appoggiò una mano sulla
fronte. “Niente febbre.”
La
donna sospirò. Com’era
difficile cercare di aprire bocca. Mettere in successione una dopo
l’altra
parole su parole, per formare un discorso, che fosse anche abbastanza
convincente. E per di più aveva lasciato la borsa
giù in macchina. Chissà,
forse era il segno che se ne doveva stare zitta. Però per
quanto sarebbe andata
avanti una storia del genere? Giorno dopo giorno, con quella cartellina
ancora
chiusa. Ma che qualcuno probabilmente aveva già aperto, di
nascosto.
“Sto
bene. Mi è solo passata la
fame” lo rassicurò. “Finisci almeno tu
di mangiare, dai, non vorrei fare la
guastafeste.”
“No,
neanch’io ho più fame.
Magari le teniamo per domani, tanto in frigo non dovrebbero fare
niente, no?”
Cristiana
annuì.
“Ti
va almeno un po’ di gelato?” tentò
l’ultima possibilità per addolcire un
po’ la serata.
“Solo
un cucchiaino.”
Malosti
sorrise. “Allora
aspettami di là sul divano, io metto un po’
d’ordine e arrivo.”
“Non
vuoi una mano?”
“No.”
Non
volle insistere. E tornò in soggiorno.
“Ah,
Cristiana!”
“Sì?”
“Accendi
la tv, guarda quello che
vuoi… insomma fai come se fossi a casa tua.”
“Grazie”
sentì pronunciare
dall’altra stanza.
Avvolse
nella carta stagnola in
quattro e quattr’otto i due pezzi di pizza rimanenti e li
proiettò nel frigo
nel primo scomparto libero. Ammucchiò piatti e bicchieri
all’interno della
lavastoviglie e si limitò a chiuderla: l’avrebbe
accesa più tardi insieme a
tutto l’occorrente per mangiare il gelato. Ecco, appunto, qui
subentrava il
primo problema organizzativo. Dove trovare due coppette. Sane.
Cominciò ad
aprire tutti gli armadietti della parte superiore della cucina. Pentole
disposte in maniera molto disordinata, barattoli di tutte le forme,
piatti,
bicchieri e… una coppetta. Pure scheggiata. Eh no, non era
proprio il caso di
presentare un obbrobrio simile alla prima visita di lei a casa sua.
Aprì
il freezer dal quale
estrasse la vaschetta di Affogato al
cioccolato della Carte
D’Or. No.
Ci mancava pure questa. Aveva detto che non voleva cioccolato. Tutte a
lui
dovevano succedere! Si tuffò all’interno del
refrigeratore per essere certo che
quella fosse l’unica vaschetta rimasta. Per sua fortuna
trovò qualcos’altro,
anche se lo stato non era del tutto ottimo. Avrà avuto
più o meno un mese, e
non si ricordava nemmeno più di averlo preso, quel gusto.
Fragola. E gli faceva
pure schifo. Con entrambe le vaschette si recò nel salotto.
Le luci erano
spente, solo quella proveniente dalla cucina gli permetteva di non
inciampare.
Poi comparve sul suo volto. Quel sorriso involontario di quando si vede
la
persona che si ama.
Solo
una domanda gli venne
spontanea: si poteva essere più felici di come lo era in
quel momento?
Accucciata
sul divano, sembrava
essersi addormentata con il sorriso sulle labbra. E una palla di pelo
di nome
Briciola aveva fatto lo stesso sulle sue gambe.
Malosti
gettò nel congelatore
quelle due vaschette e tornò di là. Si
appoggiò allo stipite della porta ad
osservare i suoi due cuccioli
dormire
l’uno in braccio all’altra. Spostò
indietro la testa e con la coda dell’occhio
controllò l’orologio della cucina. Mezzanotte meno
un quarto. E uno scatto di
nervosismo lo attanagliò da dentro. Era rimasto fermo a
guardarla per chissà
quanto tempo.
Svegliarla?
Non se ne parlava
proprio.
Lasciarla
sul divano? Così poi
con l’arrivo dei due figli sarebbe stato un casino.
Ci
voleva proprio un miracolo…
Trascorsero
altri cinque minuti
in completo silenzio. Ascoltava i rumori impercettibili della notte.
Poi
la vibrazione del suo
cellulare nella tasca dei pantaloni lo fece saltare dallo spavento. Lo
estrasse
e osservò il display lampeggiante: Dario.
Si
rifugiò in cucina socchiudendo
la porta dietro di sé.
“Pronto”
sussurrò.
“Papà?”
“Sì,
Dario, dimmi.”
“Papà
ma perché parli così!?”
“Non
ti preoccupare, tu dimmi
cosa c’è.” Aprì di qualche
centimetro la porta per controllare che Cristiana
stesse ancora dormendo.
“Ma
ti ho svegliato?”
“No!”
esclamò brusco.
“Va
bene, va bene scusa. Senti,
pa’, posso dormire a casa di Matteo con Ale, questa
notte?”
Non
ci credeva.
“Cos’hai
detto?”
“Eddai,
pa’, solo per stanotte… è
già tardi, e poi domani c’è anche
l’assemblea d’istituto a scuola e entriamo
due ore dopo!”
“D’accordo,
ma non fate
arrabbiare i suoi genitori” lo avvertì.
“No,
stai tranquillo, dormiremo
come due angioletti.”
“Ti
vengo a prendere domattina?”
“Ci
pensa sua mamma, mentre va al
lavoro, a portarci a scuola.”
“Allora
a domani pomeriggio. E
fai il bravo!”
“Grazie,
sì, a domani!”
Si
ritrovò il gatto in mezzo ai
piedi. “Ssh, zitto!” Lo prese in braccio e lo
trasportò nella sua cuccetta
allestita accanto alla ciotola. Si arrotolò su se stesso e
si addormentò prima
ancora che il padrone uscisse dalla cucina.
Recuperò
un plaid e lo posò
delicatamente su Cristiana fino a coprirle tutto il corpo. Almeno non
avrebbe
preso freddo. Poi cambiò idea: il divano non era esattamente
un luogo molto
comodo dove dormire. Con tutta l’attenzione possibile le mise
un braccio sotto
il collo e uno sotto le gambe e la sollevò piano piano,
cercando di evitare
movimenti bruschi, lasciandola inglobata nel caldo panno.
Riuscì ad alzarsi in
piedi senza che lei se ne accorgesse, lasciando per terra vicino al
divano le
scarpe che Cristiana si era tolta prima di sdraiarsi. Ma non
durò a lungo. Udì
una specie di mugugno, un borbottio senza senso di quelli che
solitamente si
fanno quando qualcuno ti dice di alzarti, ma non sei né
sveglio né
addormentato, bensì in uno stato altamente confusionale dopo
il quale sei ricatapultato
tra le braccia di Morfeo. O di Malosti.
Si
era rannicchiata in braccio a
lui, con il capo appoggiato saldamente al suo corpo.
E
ricevette un amorevole bacio
sulla fronte, prima che Riccardo la portasse in camera da letto.
Aprì la porta
con una spallata e non accese la luce. Quella della cucina si
proiettava anche
in quell’ambiente, così che Riccardo
riuscì ad appoggiare Cristiana tra le
morbide lenzuola con tranquillità. La coprì
accuratamente e ripiegò il plaid
alla bell’e meglio per poi lasciarlo andare in una zona
indistinta del
pavimento accanto al letto.
Ma
non era ancora finita. In
punta di piedi tornò in cucina e spense la luce.
Buio.
Buio
totale.
Ma
quel buio di cui non ci si
abitua nemmeno rimanendoci mezz’ora. Si ricostruì
mentalmente lo schema della
casa, non tralasciando eventuali oggetti e arredamenti spigolosi o
pericolosi in
qualsiasi modo. Arrivò al salotto con non troppa
difficoltà, ma la faccenda
diventava seria quando si trattava di imbucare correttamente la porta
della
camera da letto. Proseguiva tentoni con le mani davanti a lui per
tastare cosa
si ritrovava di fronte e finalmente le sue dita avvertirono il fresco
legno che
attorniava l’ingresso della stanza.
Dopo
pochi passi trovò anche il
letto, e ci si sedette sopra. Allungò la mano per afferrare
la maniglia del
cassetto del comò dove teneva il pigiama. Ma lo sanno tutti
che non c’è un
cassetto che non faccia silenzio né al momento
dell’apertura né della chiusura.
Un mesto cigolio lo accompagnò durante la sua corsa
d’andata, e Riccardo fu lì
lì per mordersi una mano. Silenzio. Poté
proseguire nella sua impresa. S’infilò
i pantaloni del pigiama non curandosi di dove sarebbero finiti i suoi
vestiti,
se dentro al cassetto, per terra o fuori dalla finestra (che comunque
era dalla
parte opposta della stanza), ma assicurando tutte le sue energie al
senso
dell’udito, in modo tale da valutare ogni singola mossa di
Cristiana.
Scostò
le lenzuola e si sdraiò,
rilassando finalmente tutti i muscoli. Alla sua sinistra proveniva
solamente
l’eco di un respiro: poteva finalmente pensare di dormire.
Boia.
Ecco cosa si era
dimenticato. La tapparella alzata.
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Capitolo 14 *** Quattordicesima parte ***
Quattordicesima parte.
Ma dove caspita sono? Fu la prima domanda
che occupò i pensieri
della dottoressa. Non si mosse di mezzo millimetro e la sola cosa che
cercò di
portare a termine fu aprire gli occhi.
Dalla
finestra la luce del sole
che stava nascendo già si proiettava all’interno
della camera, illuminandola
completamente. Non era intensa, ma fastidiosa per gli occhi di chi
aveva
dormito suppergiù sette ore. Decise di aspettare qualche
minuto in più, perché,
in fondo, tanto male non stava, e se la sveglia non aveva ancora
suonato, o
Elena non era entrata urlando, ci sarà stato un motivo.
La
sentiva muoversi. E spalancò
gli occhi, riflettendo simultaneamente sulle azioni compiute
precedentemente.
Si odiava per non aver chiuso quella maledettissima tapparella.
Chissà che ore
erano, magari anche le cinque, e quella luce lo aveva disturbato da
quel
piacevole torpore sotto le coperte.
Ma
non erano solo le lenzuola a
riscaldarlo. Abbassò lo sguardo e la vide, più
vicina di come l’aveva lasciata
la sera prima. Decisamente
più
vicina. Aveva appoggiato la testa al suo petto nudo, e si era
rannicchiata
contro il suo fianco, con una mano che gli cingeva la vita.
Si
chiese come ci fosse finita,
in quella posizione. Magari quella notte si era svegliata. Oppure era
stato
solo un movimento involontario durante il sonno.
Attorno
al polso della donna
c’era ancora il suo orologio. Segnava le sei e dieci. Poco
male, avrebbero
avuto ancora un’oretta per dormire.
Tastò
la superficie su cui era
appoggiata. E la sentì muoversi. Mugugnò qualcosa
e si rannicchiò maggiormente
contro di lui. Aveva freddo.
Riccardo
tirò le coperte del
letto disfatto verso di loro per coprirla; la vide sorridere con gli
occhi
ancora chiusi.
Com’era
bello guardarla dormire.
Il tempo passava ma la voglia di rimanere lì, accanto alla
sua donna, non
cambiava mai. Le appoggiò una mano sui capelli spettinati e
la coccolò a
dovere. Aveva capito che era sveglia.
Eccolo,
l’oggetto infernale che
ogni individuo, sia esso maschio, femmina, piccolo o adulto, vorrebbe
cancellare dalla faccia della terra. Chiamasi sveglia.
Iniziò piano, un bip
dopo l’altro. E Riccardo sussultò
sul letto quando sentì il primo. Allungò rapido
la mano sul comodino per
premere quel bottone maledetto, ma aveva sbagliato le misure,
perché la fece
cadere a terra e il rumore si spense attutito dal tappeto. Insieme a
quei bip. Non si ricordava nemmeno
di averla
puntata così presto: segnava le sei e mezza precise.
Si
gettò la testa sul cuscino. Ma
perché era così difficile combinarne una giusta
quando stava con Cristiana?
“Riccardo…”
un borbottio a basso
volume proveniva dalla donna.
“Ssh.
È presto, dormi.” Le
afferrò testa e busto e l’appoggiò sul
proprio cuscino, così era anche già
caldo, mentre lui uscì dalle coperte rischiando ancora una
volta di ammazzarsi
rimanendo impigliato con un piede. E l’altro a momenti non
finiva sopra la
sveglia sul tappeto.
Una
risata soffocata gli fece vibrare
i timpani. Si voltò dopo aver riconosciuto la fonte del
suono, raccolse la sveglia
e l’appoggiò sul comodino.
“Tu
ti permetti… di ridere di
me?” fece un passo in direzione del letto, sul quale
appoggiò un ginocchio.
“No,
no!” afferrò in fretta il
cuscino dietro la testa e se lo appoggiò davanti al viso per
nascondersi, ma
stava ridendo.
Riccardo
camminò gattonando sul
letto e la raggiunse subito, posizionandosi sopra di lei.
Agguantò il cuscino e
lo gettò via, così che finalmente poté
osservare la sua risata divertita sotto
a due braccia che si incrociavano davanti al viso. Riccardo sapeva bene
di
quanto fosse vulnerabile una donna in preda al riso; le
acchiappò i polsi e
districò le braccia, incollandogliele al materasso come se
fosse in prigione. E
si bloccarono, entrambi. Lei smise di dimenarsi e di ridere, lui le si
sdraiò
addosso completamente e le baciò il collo.
Percepì il suo brivido e avvicinò la
bocca ad un orecchio: “Buongiorno amore”
sussurrò piano, mentre con una mano le
percorreva una gamba in direzione della coscia.
Il
respiro di Cristiana divenne
sempre meno rilassato e si lasciò tingere le labbra del suo
sapore, senza opporre
resistenza in alcun modo. Riccardo le sollevò il busto per
cercare la cerniera
dell’abito, che aprì fino alla fine della schiena,
mentre le loro labbra si
cercarono in un bacio che li portava sempre di più ad unire
le loro lingue in
un intreccio affannato. Malosti sfilò il leggero vestito
della dottoressa con
delicatezza e precisione, scatenando in lei un fremito ad ogni contatto
delle
proprie mani con la sua pelle fresca e profumata di lenzuola.
Le
baciò il seno mentre
finalmente riusciva a staccare quei maledetti gancetti da dietro la
schiena,
poi scese a regalare teneri baci anche alla creatura che le stava
nascendo in
grembo, solleticandole la pelle attorno all’ombelico.
“Riccardo…”
la sua voce tremante
lo fece trasalire. Si tirò su a sedere e continuando a
baciarlo infilò due dita
tra l’elastico dei suoi pantaloni del pigiama e la sua pelle
morbida. Si staccò
sorridendo maliziosa, mentre il collega la prendeva per i fianchi e la
faceva
sdraiare sotto di sé.
Si
amavano come se per mesi non
avessero mai avuto la possibilità di toccarsi. Assaporando
tutto dell’altro,
ogni centimetro di pelle, ogni minima imperfezione, e imprimendo nella
mente tutto
quello che bastava ad essere felici. Loro stessi.
Le
loro labbra si raggiunsero
ancora una volta, per poi staccarsi per guardarsi negli occhi.
Sorridendosi a
vicenda. Tornarono abbracciati e si lasciarono cadere tra le lenzuola
stropicciate, dove vennero rapiti dalla magia del sonno. Anche se era
tardi.
Anche se la luce penetrava inesorabilmente da quella finestra.
“Riccardo…”
cercava di destarlo
solleticandogli il petto. Ma non ci riusciva.
“Cinque
minuti” borbottò assonnato.
“Allora
sei sveglio!” Ma non
c’erano più cuscini da tirargli, perché
l’altro si era andato a fare benedire
da qualche parte attorno al letto. Però la
volontà c’era. Si alzò in ginocchio
e scrutò la stanza. Camminò senza fare rumore sul
gelido pavimento per
recuperarlo. E molto cautamente si avvicinò al viso
dormiente di Riccardo, per
fargli prendere uno di quegli spaventi che, avesse avuto dieci anni,
avrebbe
giustificato quel sorriso compiaciuto sul suo volto. Ma la scusa
dell’età con
lui non valeva più. Salì sul letto dosando ogni
suo movimento, e si preparò
dietro alle spalle dell’uomo, concentrata al massimo per
perfezionare la mira.
Ma
non poté avere il suo momento
di gloria. Malosti era stato più veloce di lei e aveva
agguantato il cuscino su
cui appoggiava la testa per gettarlo addosso a Cristiana, che, anche se
con un
po’ di ritardo, fece lo stesso con quello che aveva in mano,
sebbene non
ottenendo lo stesso risultato.
Una
gara a colpi di cuscini.
Peggio che ad un adolescenziale pigiama party.
“Ti
pensavo più in forma,
Gandini” commentò Malosti dopo che esausti e con
il fiatone avevano smesso la
battaglia.
“Provochi?”
si tirò su e si
appoggiò su di lui.
“No,
ma arrendersi alle prime
cuscinate…” si mise a ridere.
“Riccardo”
l’espressione tra lo
sconvolto e il divertito.
“Ho
detto qualcosa di sbagliato?”
si preoccupò subito lui.
Si
morse un labbro, lo sguardo
fisso oltre Riccardo, al display della sveglia.
“Sono… le otto.”
Malosti
si mise seduto
scostandola da sopra di lui, e le prese il braccio dove teneva
l’orologio.
“Cazzo.”
Si
guardarono un attimo negli
occhi. E si alzarono entrambi dal letto come un fulmine.
“Due
minuti per vestirci, tre per
fare colazione…” elencava intanto Riccardo
infilandosi i primi jeans trovati
nell’armadio.
“Nono,
facciamo colazione
direttamente là!” esclamò lei
accucciandosi sotto il letto. “Dove diavolo sono
le mie scarpe?”
“Sul
tappeto del salotto, e non è
colpa mia!” Stava comicamente tentando di infilarsi i
pantaloni. Ma non ci
riusciva. Se li sfilò e controllò
l’etichetta. “Ma sono di Dario!” stava
gridando. “Come cavolo fanno a stare nel mio
armadio!?” Ne cercò un altro paio
e si vestì svelto. “Dicevo… un quarto
d’ora per arrivare.”
“Dieci minuti se guidi tu” intervenne lei rientrata
in stanza con le scarpe ai
piedi. “Io vado a darmi una sistemata in bagno, eh.”
Riccardo
mugugnò qualcosa, del
tipo ecco, saltano i miei conti. Ma
due
secondi dopo la vide rientrare.
“Senti,
ma dov’è il bagno?”
Scoppiò
a ridere. “La porta
vicino alla cucina.”
“Cristiana?”
la richiamò svelto
prima che potesse fare qualche passo in più.
“Che
c’è?”
“Camicia
o maglia?”
“Quello
che vuoi, Riccardo!” e
corse fuori svelta.
Si
abbottonò una camicia a caso
che non stonasse con i jeans e uscì dalla stanza.
Si
vide fissato da una Cristiana
appoggiata alla porta del bagno. Non del tutto allegra.
“Senti,
ma ce l’hai un
pettine?”
Le
si avvicinò abbottonandosi i
polsini. “Dovrei.”
“Dunque…” Osservò il
mobiletto del lavandino. “Non puoi fare
senza?” tentò.
“No.”
Non era il caso di
discutere: non si sarebbe districata i capelli con le dita.
Mise
in disordine il contenuto di
ogni cassettino. Poi lei lo bloccò con una mano.
“Eccolo.”
“Visto,
ce l’avevo.” Sorrise
soddisfatto. E lei iniziò a pettinarsi nervosamente quei
capelli che faticavano
a sgrovigliarsi.
“Otto
e sette” dichiarò lui
fermando un attimo il gesto ripetitivo del braccio di Cristiana.
“Ma
non ce l’hai un orologio?”
“Sì,
ma chissà dove l’ho messo.”
E se ne stette lì, vicino a lei, a guardarla torturarsi i
capelli. “Dammi quel
pettine, che facciamo notte!” Glielo levò dalle
mani. E cominciò a passarle i
capelli, una ciocca dopo l’altra, con delicatezza e
velocità. La Gandini si
stava quasi assopendo da quanto era piacevole quella sensazione. Chiuse
gli
occhi e lo lasciò fare. Peccato che finì presto.
“Va
bene così?” La risvegliò.
“Wow”
si lasciò sfuggire
osservandosi allo specchio. “Chirurgo, meccanico e pure
parrucchiere. Ma dove
lo trovo un altro come te?” Si voltò a guardarlo
sorridere.
E
se non bastasse quella camicia scura
gli stava divinamente.
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Capitolo 15 *** Quindicesima parte ***
Quindicesima parte.
“Sergio
ci massacra. Sergio ci
massacra” ripeteva Cristiana in continuazione. “Ti
muovi con quel gatto?”
Malosti gli stava riempiendo la ciotola di croccantini.
“Sergio ci massacra.”
“Scusa,
non ho capito bene. Cosa ci
fa Sergio?”
“Ci
massacra. Ci fa a pezzettini,
ci smonta un organo alla volta. E magari se li tiene come
ricordo.”
“Come
sei truce” affermò.
“Vedo
già i titoli sul giornale: Primario
adirato, uccide due chirurghi e ne
nasconde i resti nel suo studio.”
“Cristiana
non essere così
devastante. Per adesso sono solo venti minuti di ritardo.”
“Venti?
Erano quindici cinque
minuti fa!”
“Ehm…”
ma lasciò in sospeso il
dialogo.
“Con
che macchina andiamo?”
“La
mia, la tua, quella del
vicino. Altrimenti ti ci porto in elicottero.”
Miao.
“Concorda
anche Briciola.” Si
alzò in piedi e attirò a sé la collega
per la vita. “Prendiamo la tua macchina.
E guido io, così risparmiamo questi maledetti cinque
minuti.”
“Sì,
ma tanto il nostro destino è
segnato. Sergio…”
“Ci
massacra” completò la frase
ridendo, al contrario di Cristiana che era davvero preoccupata.
“Dario
e Alessandro sono già
andati a scuola?” chiese mentre salivano in macchina. E poi
la rivide. Quella
borsetta.
“A
dir la verità questa notte non
sono tornati.” Era già lì lì
per subirsi un'altra delle loro discussioni sul
fatto che poteva dirglielo prima, o avvisarlo in qualsiasi modo, ma la
risposta
monosillabica della collega lo meravigliò.
Infatti
non lo stava ascoltando.
“Ah.” Disse solo, inventandosi
un’interiezione sul momento. Aprì la portiera e
si sedette sul sedile, il volto coperto da un’espressione non
troppo
sorridente.
“Senti,
glielo dico, con il tuo
amico primario, che sei arrivata in ritardo per causa di forza
maggiore.”
“Il
tuo gatto.”
“E
i tuoi capelli.”
Valerio
raggiunse quasi correndo
l’accettazione. “Teresa, ho bisogno di qualcuno che
mi assista in sala
operatoria. È urgente.”
“Dottore,
mi dispiace, ma sono
tutti occupati e gli altri non sono ancora arrivati.” Diede
un’occhiata al
grosso orologio appeso al muro dietro di lei. “Anche se
è strano.”
“Gli
altri chi?”
“Malosti
e la Gandini, non sono
ancora arrivati. E il loro turno iniziava alle otto.”
“Ma
che bell’inizio di giornata.
Non riesco a trovare nemmeno Giulia.”
Teresa
alzò le spalle e afferrò
la cornetta del telefono. “Se Danieli viene a cercarli e se
la prende con me,
quei due me la pagano.”
“Ma
vai piano!” Una mano
aggrappata alla maniglia della porta e l’altra alla base del
sedile, erano
parecchi minuti che Cristiana esortava il suo autista a diminuire la
velocità.
Il display verdognolo sul cruscotto segnava le otto e mezza.
“Prima
mi dici di guidare, poi ti
lamenti perché vado troppo forte?”
“Tanto
a questo punto un minuto
in più di ritardo non fa la differenza. La nostra fine
è vicina.”
Le
appoggiò una mano sul ginocchio
e glielo massaggiò. “Ti calmi?”
Fece
aderire il suo corpo allo
schienale del sedile e chiuse gli occhi, mentre quel movimento
rilassante delle
dita di Riccardo le penetrava dentro e le faceva a poco a poco
scomparire ogni
noia.
Sarebbe
stato il caso di afferrare
la borsa, estrarre la cartellina e leggere i risultati lì,
in quel momento, per
togliersi ogni pensiero, prima di iniziare la loro giornata lavorativa?
Ogni
momento era il meno opportuno, se ci rifletteva per più di
dieci secondi. Ma
decise fermamente di dirglielo prima della fine del turno. Costasse
quel che
costasse.
Cristiana sei incinta. No, troppo brusco.
Cristiana aspetti un figlio. No. Amore, aspettiamo un bambino. Ecco, un
po’ meno aggressivo, ma
veritiero e con un pizzico di romanticismo.
“Possiamo
fermarci un secondo a
casa mia?”
“Vuoi
suicidarti prima che ti
ammazzi Sergio?” Rallentò l’andatura.
“Cosa ci devi fare, a casa tua?”
“Volevo
cambiarmi il vestito”
cercò di assumere l’aria più innocente
che potesse.
“Se
me lo dicevi prima, ti prestavo
una maglia e un paio di pantaloni.” Poi si voltò a
guardare la sua bocca
dischiusa dallo stupore, e quella ruga che le si era formata sulla
fronte. “I
più piccoli che ho.”
“Arriviamo
in ritardo.”
“Bella
osservazione.” Come se
fosse la prima volta che lo diceva da quando si erano svegliati.
“Insieme.”
“Mh.”
“E
io con lo stesso abito di
ieri.”
“Non
vedo dove vuoi arrivare.”
“Teresa
non ci mette molto a fare
i suoi conti, e vedrai che dopo poco tutto l’ospedale
saprà che ho dormito da
te.”
“È
una cosa così orrenda? Pensavo
ti fosse piaciuto…”
Cristiana
sorrise. “In fondo non
è stato così male.”
E
si allungò verso di lui per
baciarlo sulla guancia. Malosti si trattenne nel replicare fino a
quando non
ebbe parcheggiato davanti al Morandini. Spense la macchina e si
slacciò la
cintura.
“Cos’hai
detto?” fece la faccia
più cattiva che poté, anche se con la Gandini non
era così facile. Le andò
incontro, mentre lei cercava di allontanarsi sprofondando nel sedile e
contorcendosi pur di evitarlo. Ridendo.
Riuscì
a rubarle un bacio dopo
averla intrappolata a forza di solletico nei fianchi.
“Basta!”
esclamava Cristiana con
l’affanno nel respiro tentando inutilmente di placare la
risata involontaria.
Alzò le braccia in segno di resa. E si ritrovò il
viso di Riccardo a qualche
millimetro dal suo. Le stava accarezzando i capelli che lui stesso
aveva
lisciato, mentre assaporava il suo dolce profumo, lo stesso che aveva
accompagnato
il proprio risveglio. Con un male atroce nell’addome dove la
leva del freno a
mano lo stava infilzando, allungò un braccio e
aprì la portiera di Cristiana.
“Prego”
disse poi, invitandola a
scendere.
“Grazie,
Malosti.” E come
ricompensa spinse le labbra contro le sue in un piacevole bacio.
“Eccoli”
annunciò Rocco a Teresa
appena la coppia dell’anno del Morandini appariva a braccetto
da dietro le
porte automatiche. Si stavano sorridendo complici.
“Ho
vinto la scommessa” rispose
lei orgogliosa.
“Mi
devo essere perso qualcosa.
Di quale scommessa vai parlando?”
“Hanno
dormito insieme.” Un
sorriso soddisfatto apparve sul suo volto, mentre i due appena arrivati
raggiungevano il desk.
“Sì,
ma se li guardi così
troveranno qualcosa di sospettoso in te, no?”
“Ma
non li vedi? A loro non
importa niente di noi!” Sveglia, accorta, aveva sempre la
risposta pronta. E anche
perennemente ragione.
A
Cristiana e Riccardo si spense
il sorriso nel momento stesso in cui incrociarono lo sguardo di Sergio,
che in
quel momento aveva spalancato la doppia porta d’entrata nel
corridoio interno.
“Buongiorno”
disse loro sotto gli
occhi curiosi di Teresa che assisteva alla conversazione con una
curiosità
immensa.
“Eh…
ciao” salutò Riccardo
lasciando il braccio di Cristiana.
“Spero
che abbiate un valido
motivo” continuò il primario portando le mani ai
fianchi.
“Sì,
certo, è tutta colpa mia.”
“Io
vado a cambiarmi” intervenne
la donna sviando la discussione. E sparì dietro la porta.
“Sei
fortunato che non abbiamo il
tempo di fare i conti, ma sappi che la prossima volta ti faccio
imbalsamare e
ti appendo come trofeo al muro del mio ufficio”
parlò calmo, come suo solito.
Malosti
annuì. E rincorse la
Gandini. Cavolo, ci aveva quasi preso.
La
raggiunse in sala medici dove
si stava infilando il camice di spalle, e le cinse la vita incrociando
le
braccia per poterla stringere a sé.
“Già
di ritorno?” piegò la testa
all’indietro per potersi appoggiare alle sue spalle.
“Ho
rischiato grosso.”
“Aveva
il bisturi in tasca e ti
ha minacciato?” scherzò lei.
“Quasi.
La prossima volta che
succede una cosa simile, non venirmi a cercare qui o a casa. Vai
direttamente
nello studio di Sergio e mi vedrai sul muro stile orso imbalsamato con
la bocca
spalancata.” Le percorse il collo con le labbra semichiuse.
Possibile
che tutte le volte che
lo faceva, fosse percorsa da brividi ovunque?
Rise.
“Almeno saresti… intero.”
“Spiegami
una cosa” tirò indietro
il camice aperto della dottoressa e le poggiò le mani sui
fianchi,
solleticandola appena. “Da che parte stai?”
“Da
quella dell’orso.”
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Capitolo 16 *** Sedicesima parte ***
Sedicesima parte.
“Oh,
era ora che onoraste il
pronto soccorso della vostra presenza!” Valerio li aveva
trovati. E in un
baleno i due si staccarono, ricomponendosi.
“State,
state, tanto questa
mattina noi chirurghi puntuali siamo così poco impegnati che
ho dovuto
affrontare un’operazione con Marina. Che, preciso, aveva
dieci bimbi in coda da
visitare.”
I
due medici annuirono
all’unisono.
“È
stato solo un caso. Non
accadrà più” dichiarò
Cristiana seria.
“Bene.
Allora vieni con me, così
organizziamo la giornata.” Fece per seguire il collega ma
venne strattonata per
un braccio da Malosti, che riuscì a darle ad un orecchio
indicazioni su dove
trovarsi più tardi. Un appuntamento, se poteva essere
definito in tal senso.
All’interno del pronto soccorso e alla distanza di
un’ora. Sempre se aveva
capito bene le parole arruffate e aggrovigliate di Riccardo.
La
voce cominciò a girare, e non
ci mise più di dieci minuti per raggiungere anche gli
sconosciuti.
“Ma
chi è questa Giulia, di cui
tutti parlano?” si chiedevano due medici di reparto
ritrovatisi a sentire a
destra e a manca quel nome. Accompagnato da facce tristi o lacrime.
“Ne
so meno di te, guarda”
rispondeva l’altro.
“Ma
sarà morta?” azzardò il
primo.
“Chi
è morto?” Esther e la sua
delicatezza.
“Boh,
Giulia…”
“Ma
Giulia chi?”
“Ma
ne parlano tutti, qua!”
l’aggredì esasperato il medico più
anziano.
La
neocaposala afferrò il
concetto. Con un po’ di ritardo, ma ci arrivò.
“La
caposala.”
“Aaah!”
s’illuminarono in coro,
nonostante non sapessero né chi fosse, né che
faccia avesse.
“Sì,
ma cosa volete saperne voi,
che non lavorate in pronto soccorso” il suo tono era di
rimprovero. Che si
facessero i cavoli loro e tornassero da dove erano venuti.
“Comunque vi informo
che da oggi in poi io
prenderò il suo
posto. Quindi non ho tempo da perdere.” Li guardò
un secondo in più e voltò
loro le spalle.
“Saputo
di Giulia?” Malosti le
fece prendere un colpo.
“Sì.”
Sospirò. “La prossima
volta, quando arrivi, avvertimi.”
“Che
faccio, ti mando un fax?” Si
avvicinò alle macchinette e inserì una moneta.
“Cosa vuoi?”
“Non
ho il fax.”
“Meglio,
mi risparmio di pensare
al tuo regalo di Natale. Che cosa vuoi?”
“Cioccolata.”
“Amara,
forte, con latte, con
caffè, con me…”
“Forte.
E con tanto zucchero.”
“Scusa, qual era l’ultima opzione?” sul
momento non ci aveva fatto caso.
“Niente,
niente” e rise tenendo
tra i denti il bastoncino di plastica del suo caffè.
Afferrò
il bicchiere bollente e
lo estrasse dalla macchinetta. “Attenta, scotta.”
Glielo porse.
E
si incamminarono l’uno di
fianco all’altra per il corridoio.
“’Giorno”
la voce pimpante come
uno zombie addormentato di Laura li sorprese.
“Quanto
hai dormito, stanotte,
Costa, sì e no quattro ore?” infierì
Riccardo osservando le occhiaie violacee
che risaltavano sulla pelle pallida della dottoressa. Quello che
ottenne fu
un’occhiataccia.
“È
sempre di grande consolazione parlare
con lei, dottor Malosti. Ma oltre a bere il caffè dal
distributore, c’è qualche
altra mansione per cui la pagano? Magari qualche colpo di bisturi, per
coprire
il suo tempo libero…”
“Lo
vuoi in testa?” si riferiva
al caffè. “Magari ti sistemerebbe un po’
quei capelli…” stava cercando un aggettivo
adatto. Ma Laura lo precedette e se ne andò.
La
donna in sua compagnia si
voltò verso di lui. E lo guardò male.
“Ha
cominciato lei.”
“Solo
per il fatto di essere
passata di qua?” “Bugiardo” aggiunse poi,
enfatizzando la parola, ma
lasciandosi sfuggire un sorrisetto.
Riccardo
mischiò il caffè,
tralasciando il discorso e continuando a camminare accanto a lei.
Era
l’unica donna con cui non
riusciva ad avere l’ultima parola. Ed era anche
l’unica donna con cui non la
voleva avere.
“Mi
è venuta fame.”
“Potevi
dirmelo prima, che ti
prendevo qualcosa.”
“Prima
non ce l’avevo.”
“Prima
cioè un minuto e mezzo
fa.” Sorseggiò il caffè. “E
fa pure schifo.”
A
Cristiana scappò una mezza
risata, e per non fargliela notare si nascose dietro il bicchierino di
plastica
pieno per metà.
“Il
tuo com’è?”
Ma
continuava a ridere.
“Tu
hai… la cioccolata” si
ricordò subito dopo. Non era abituato a vederla bere a
colazione qualcosa che
non fosse caffè. Si liberò le mani centrando il
cestino nell’angolo del
corridoio con il bicchierino semivuoto.
E
fu tutto per lei.
Le
stava venendo sempre più
incontro. Passo dopo passo la distanza diminuiva e anche lo spazio che
aveva
per poter scappare. Gettò un’occhiata dietro di
sé tenendo in bilico il
bicchiere affinché non si rovesciasse il contenuto: il muro
era troppo vicino.
Troppo per potersi permettere una via di fuga senza venire acchiappata
e
rischiare di rovesciare tutto. Meglio la resa. Nessuna figuraccia e un
po’ di
coccole gratuite. Anche se in mezzo al corridoio. Anche se per quella
giornata
si erano già giocati il cartellino giallo. Molto giallo;
arancione.
“Me
ne fai assaggiare un po’?”
Lo
sapeva. E gli disse di no, con
tono deciso.
“Solo
un goccio.”
“Ti
ho detto di no. Hai voluto il
caffè, arrangiati.” La sua schiena era ormai
attaccata alla parete.
“Dai
fammela sentire.”
“Non
ci penso neanche.” Il
braccio teso in fuori con il bicchiere più verticale
possibile. E lui non si
arrischiava a prenderlo perché sapeva bene come avrebbe
reagito la collega.
Cioccolata dappertutto, in primis sui loro camici. E il marrone non era
esattamente un colore che andava di moda nel settore medico
dell’abbigliamento.
La
inchiodò al muro, le loro
bocche quasi si sfioravano da quanto Malosti le era addosso.
Lui
sapeva di caffè, quell’aroma
amaro ma al tempo stesso intenso e attraente.
Lei
da zucchero cioccolatoso,
quel profumo simile a quello di una torta appena sfornata, che si
diffonde
inesorabile nelle stanze di casa.
E
Riccardo volle mischiare i loro
gusti.
“Ti
prego, ho il bicchiere in
mano!” si mossero le labbra appena sotto di lui.
Ma
l’impulso irrefrenabile di
stabilire un contatto non fece caso al contesto in cui esso sarebbe
avvenuto.
Sentì
le sue labbra volere aprire
le proprie, ma lei fece resistenza.
Malosti
si staccò un secondo, per
guardare quegli occhi che dicevano di no.
Ma si piegò di nuovo su di lei prendendola per la vita;
percorse con la lingua
il contorno delle sue morbide labbra, per cancellare le tracce umide
della
cioccolata e finalmente percepì un leggero movimento di
Cristiana, che
distrusse la barriera e allentò la chiusura forzata della
sua bocca. Così che
Riccardo poté unire i due sapori in un tutt’uno di
dolce e amaro, seguito dalla
dottoressa che rispose al bacio con trasporto mentre con la mano libera
passava
tra i lisci capelli del collega, provocando in lui una sensazione
estatica.
“Qui
sono tutti matti” fu il
commento di Rocco davanti alla scena. Si avvicinò loro,
lungi dal notarlo, e
sfilò dalla mano in equilibrio precario di Cristiana il
bicchierino. “Questo è
meglio se lo prendo io.” E si allontanò
lasciandoli in preda a quell’impeto di
passione inopportuna.
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Capitolo 17 *** Diciassettesima parte ***
Diciassettesima parte.
“Mi
offri un caffè?” Era Sergio,
che li aveva raggiunti in pausa pranzo seduti attorno ad uno dei
tavolini di
fronte ai distributori. Ce l’aveva con Malosti, che dovette
così rimandare a
più tardi il morso che stava dando al suo panino.
“E
ti pareva.” Si alzò, fissando
Cristiana che stava soffocando una risata, mentre Sergio era
già pronto per
prendere il suo posto davanti alla donna.
“Come
va?” domandò il primario
girando di tanto in tanto la testa verso Riccardo.
“Insomma”
si limitò a rispondere.
Danieli
stava per chiederle
qualcosa in più riguardo alle analisi, ma la
velocità di Malosti nell’aver
servito il caffè al professore fu sorprendente.
“E
ora via dal mio posto.”
L’occhiata assassina che visualizzò Sergio non
lasciava adito a dubbi.
“Non
vi dispiace se mangio
qualcosa con voi?” Tentò allo stesso modo.
“Peccato,
noi abbiamo appena
finito.” Recuperò il proprio panino ancora
integro, il pacchetto di cracker e
la bottiglietta d’acqua di Cristiana. Fece il giro del
tavolino e afferrò la
collega per un braccio, così da farla alzare.
“Scusalo…”
fu l’unica cosa che riuscì
a dire la Gandini prima di essere strattonata altrove dal dottore.
“Eva,
tu non puoi capire, mi ha
baciato!”
Erano
in bagno, e si stavano
parlando guardandosi attraverso lo specchio.
“Vi
siete baciati anche prima che
lui si sposasse. E appunto per questo hai visto che importanza gli ha
dato.”
“Ma
questa volta è diverso!”
esclamò Laura convinta.
“Anche
la volta scorsa era…
diverso.”
“Hanno
litigato. E di brutto. Ma
Valerio non l’ha seguita. È tornato da
me.”
“Potevi
dirmelo prima, no?”
“Ho
ancora qualche speranza?”
“Non
ti arrendi mai, eh?”
“No.
Chi ama non si arrende.”
“Vuoi
sentire?” Malosti, seduto
sulla poltroncina della sala medici, stava masticando allegramente il
suo
panino.
“Preferisco
qualcosa di dolce.”
Aprì l’armadietto accanto al cibo e ci
ritrovò tutte le schifezze che le aveva
preso Riccardo. Ne agguantò una a caso e cominciò
a scartarla.
“Vieni
qui” la voce profonda di
Malosti le provocò un brivido che le percorse tutta la
schiena. Sorrise. E lo
raggiunse. Era lì lì per estrarre una sedia dal
tavolo e portarla vicino alla
poltrona per sedersi accanto.
“No,
vieni qui.” Si fermò ed
eseguì la richiesta.
In
piedi, davanti a lui seduto,
diede un morso alla barretta Kinder. E si sentì afferrare
per la vita e venire
trascinata in braccio a Riccardo.
Le
diede un piccolo bacio in
corrispondenza dell’orecchio. “Ti devo
parlare” le sussurrò.
Anche
lei doveva dirgli una cosa.
Ma chissà qual era la sua. Riguardava un paziente di sicuro.
Oppure i suoi
figli, oppure il fatto che dormivano clandestinamente in casa
dell’altro appena
non avevano i ragazzini di torno. Per risolvere questa faccenda non
sarebbero
bastati, però, i dieci minuti di pausa.
E
non gli aveva ancora risposto.
Riccardo finì il panino e bevve un sorso dalla bottiglietta
di Cristiana.
“Non
finirmela tutta” si sentì
subito rimproverato.
Accartocciò
l’involucro della
cioccolata e lo appoggiò sul tavolo per ricordarsi di
buttarlo nel cestino
prima di uscire di lì. E venne letteralmente sollevata da
terra da Riccardo.
“Mettimi
giù, che ti peggiora
l’ernia!” Si reggeva a lui con un braccio attorno
al collo, e l’altra mano
appoggiata al petto.
“Allora
ti avrei dovuto lasciare
dormire tutta la notte sul divano, così sai con che dolori
al collo ti saresti
svegliata!”
Cristiana
Rise. E gli accarezzò
una guancia.
“Potevi
svegliarmi.”
“Sarà
per la prossima volta.” “E
poi eri troppo bella” aggiunse con sguardo sincero.
La
liberò lasciandola scivolare a
terra.
“Dottor
Malosti?” Un infermiere
aveva appena aperto la porta. “Potrebbe venire un attimo? Ci
sono alcune
richieste di dimissioni da firmare.”
“Torno
subito” assicurò alla
dottoressa dopo averle mandato un bacio.
Inspirò
profondamente prima di
avvicinarsi al suo armadietto e infilare la chiave. La serratura
scattò e
l’anta metallica ruotò sui cardini mostrando la
borsa di Cristiana. L’estrasse
e sfilò dal suo interno il fascicoletto che aveva perso la
sua forma
perfettamente liscia dell’ultima volta che lo aveva visto.
Appiattì gli angoli
per renderlo un po’ più presentabile e si
fermò a guardarlo. Gli occhi si
arrestarono sul suo nome, scritto con quel pennarello nero uguale per
tutti. Fu
colpita da un brivido che si prolungò fino a quando la voce
di Riccardo non
fece il suo ingresso.
“Non
capisco perché la gente
abbia così tanta fretta di uscire…”
commentò prima di richiudere la porta alle
sue spalle. “Cristiana…” Era immobile
davanti a lui, la cartellina stretta a
lei con il nome rivolto verso l’interno.
E
in un baleno gli crollò tutto
addosso. Gli occhi quasi spenti della dottoressa, fissi sul pavimento,
non si erano
ancora accorti dell’incredulità e del terrore al
tempo stesso comparsi sul
volto di Riccardo, la cui mente si avviò rapida alla ricerca
di una scusa
decente, di una giustificazione che fosse in grado di non far scoppiare
la
terza guerra mondiale.
“Ti
senti bene?” domanda idiota,
decisamente. Ma non riuscì a trovare una frase decente per
rimediare.
“Ti
devo dire una cosa.”
Cristiana alzò gli occhi verso di lui. Ma non
s’immaginava di vederlo con la
bocca dischiusa e gli occhi impauriti.
E
se quelle non erano le sue
analisi? Respirò a fondo. Magari anche per quella volta
aveva scampato il
patibolo. Purtroppo per lui non fu così. Doveva
aspettarselo. La fortuna non
colpisce mai per più di due volte di seguito. E a lui erano
già state concesse.
Cristiana. E il loro bambino.
La
donna si mosse e appoggiò
piano la cartellina sul tavolo. Con il proprio nome ben in vista.
Riccardo
si dovette appoggiare
alla parete per non rischiare di cadere a terra. Tutta la stanza gli
girava
intorno, e ci vedeva doppio. Sbatté più volte gli
occhi per tornare alla
dimensione reale e si avvicinò a Cristiana, che non aveva
ancora detto una
parola.
“Sono
stato uno stupido” iniziò.
La
Gandini lo guardò stranita.
“Quando
le ho viste…”
“Sei
stato tu!?” Era talmente
frastornata che non riusciva a crederci. “Le hai prese
tu!?” Non ci stava
capendo più niente.
“Sì,
ma le ho riportate al loro
posto!”
“Perché
non me lo hai detto?” il
suo tono rimaneva impassibile. Si appoggio con entrambe le braccia al
tavolo.
“Ora
sai la verità…”
“Perché…
non me lo hai… detto?”
schiarì ogni parola, in un climax ascendente di nervosismo.
“Non
ho mai trovato l’occasione
giusta.”
“Non
è vero.”
Non
si faceva abbindolare
facilmente da frasi insulse riproposte per tappare i buchi di una
conversazione. Fece un respiro e buttò fuori
l’aria: “Ho avuto paura.”
“Paura
di cosa?”
Non
sarebbe bastato per troncare
la discussione. “Di questo. Di farti incazzare per non essere
venuto subito a
dirtelo.”
“Riccardo…”
sollevò il visto un
attimo per incrociare i suoi occhi.
“Ho
fatto una stronzata,
d’accordo?”
“Non
puoi continuare a difenderti
così.”
“E
allora cosa devo fare,
gettarmi di sotto per aver aperto le analisi della mia donna?
Perché ti sembra
facile, a te, capitare d’innanzi ad un fascicolo con il nome
di una persona a cui
tieni, e non avere l’istinto di controllare che
cos’abbia! No, tu invece
saresti andata a cercarla, a chiederle di aprirlo insieme, di sfogliare
quella
maledettissima pagina…”
“Sì.”
Aveva le lacrime agli
occhi, ma teneva il capo abbassato per non farglielo notare.
Riccardo
non rispose. Avrebbe
solo rischiato di commettere l’ennesimo errore sparando
un’altra sciocchezza.
“Perché
le cose si fanno in due.”
Le tremavano le labbra. “Queste,
cose.”
Si
passò una mano sugli occhi per
asciugare quelle lacrime che ancora non avevano trovato la forza di
scendere, e
raggiunse la porta, che aprì con delicatezza, per poi
sfogare tutta la sua ira
e la sua delusione in una folle corsa di pianto per allontanarsi il
più
possibile da lui.
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Capitolo 18 *** Diciottesima parte ***
Diciottesima parte.
Non
doveva chiedere a Sergio, ma direttamente a lui. Si sarà
sentito offeso,
trascurato; avrà
pensato che lei non lo considerasse un medico all’altezza,
quando
invece per lei era
il migliore del Morandini.
Ma
ora il gioco era fatto, e si
erano portati a casa anche una bella litigata. In compenso,
però, aveva fatto
capire a Malosti che per lei quella era una cosa importante, che
avrebbe
cambiato il corso delle loro vite.
E
ora lui sapeva il verdetto, al
contrario di Cristiana che ancora non immaginava niente.
Non lo vuole, un figlio, non lo vuole. La
dottoressa si ripeteva
questo ritornello in testa, mentre sotto i suoi piedi correvano rapide
le
piastrelle del pavimento dell’ospedale, bagnate ogni tanto da
qualche lacrima.
Non
ci aveva pensato due volte.
Fuggito fuori come una lepre dalla sala medici, Riccardo rincorreva
quella
donna, nonintenzionato a commettere una seconda volta quell’errore. Quello che mesi
prima
condizionò la loro esistenza, il loro rapporto e tutto
ciò che ci girava
intorno: considerare quel bacio
solo
qualcosa che non doveva essere successo. Ma era
successo. E tutto ciò che accade ha alla base un
motivo, sia esso anche il più
stupido. Era stata Cristiana a volerlo. Ancora nella sua mente si
stagliavano
chiare quelle tre parole. Non
lo so...
Non lo so…
La sua mano che gli percorreva il petto, quasi tremando. E
le sue labbra sulle proprie, dopo quella sua esitazione che gli aveva
dato
tutto il tempo per respingerla.
E
il suo vizio di chiamarla
sempre per cognome. Lei l’aveva sempre lasciato fare; non si
era mai lamentata
di questa sua abitudine.
Per
non parlare di quella
tremenda gelosia, che lo attanagliava da dentro, gli prendeva il cuore
e glielo
stringeva fino a farlo battere tre volte più forte tutte le
volte che la
scorgeva. Ed era sempre in compagnia di quel bambinetto. Non riuscire
ad
evitare di vederla era impossibile: lavoravano insieme, tutti e tre.
Che ti succede Gandini? Succede quello di
cui si era accorto solo ora: che non poteva lasciarla andare, che aveva
bisogno di lei. Voleva
chiamarla per
nome, e sentire ancora il suo respiro così vicino, il suo
desiderio di
stabilire un contatto.
E la mamma? No perché pensavo di invitarti a cena.
Io e te? Io e te. Ma poi la vide con lo specializzando, e non fu
abbastanza coraggioso da mantenere l’invito. Nonostante fosse
stato felice come un bambino quando lei gli aveva detto di
sì.
Le persone cambiano, Riccardo. Peccato
che se ne fosse accorto troppo tardi. Ed era stata lei ad averlo
sottoposto alla sua trasformazione. Non riusciva più a
guardarla negli occhi senza che gli venisse spontaneo un sorriso, che
non la volesse stringere forte contro il suo corpo, che non sentisse il
bisogno di assaporarne le labbra.
Come te la cavi con i bambini?
Cristiana, con un bimbo in
braccio. Faticoso trattenere un sorriso per la dolcezza di quel
quadretto. Sono un
po’ arrugginito, sarebbe stata la risposta, ma
si sarebbe dato da fare per recuperare l’esperienza acquisita
con i suoi due figli e dispersa in quegli anni. Già
s’immaginava la prima volta in cui avrebbe preso in braccio
il loro bambino. E si chiedeva se fosse ancora capace di
coccolare
ed accudire un piccolo.
Esattamente, che
cos’è che ti dà
fastidio di me: che io abbia una relazione, o che ce l’abbia
in particolare con lui? Se solo avesse trovato le parole
giuste. Se solo le avesse rivelato tutto quell’insieme di
strane emozioni che lo colpivano quando stava con lei. Se solo avesse
risposto affermativamente a tutte le volte che gli aveva chiesto se era
geloso.
Ma che sei geloso? Solo
professionalmente. Era una di quelle
domande, sempre pronte a punzecchiarlo e a farlo riflettere su come
stavano realmente le cose. Però era riuscito a tirare fuori
una parte di verità. Tuttavia tra
professionalità e vita privata il passo era breve,
troppo affinché le due gelosie parallele potessero godere di
due esistenze separate.
Sono un medico alle prime armi,
vero? Non sei quello che sembri. Se
la ricorda come se fossero passati solo alcuni minuti,
quell’espressione che le era apparsa sul volto quando con
l’altra mano gli stava accarezzando la guancia. Aveva un
sorriso un po’ triste, forse rassegnato, e due occhi scuri e
profondi da perdersi
dentro. Ma chi era, allora? Non ce n’era stato il tempo. E si
era ripromesso di chiederglielo, prima o poi.
Me lo hai detto tu. Non permettermi di scappare. Ed era
di nuovo la stessa storia. L’unico problema era che stavolta
Cristiana ne aveva tutto il diritto. Non c’era riuscito, ma
la resa era l’ultimo dei suoi pensieri.
“Cristiana.”
Spalancò la porta ma
davanti a lui c’era solo qualche infermiere, che lo guardava
come per
chiedergli cosa diavolo gli era successo. Doveva avere davvero una
faccia
sconvolta.
“Avete
visto la dottoressa
Gandini?”
I
due infermieri in veste rossa
si guardarono. Bastò quella domanda perché tutto
si chiarisse.
“Sì”
confermò uno di loro.
“È
andata di là.” Concluse
l’altro, e indicò con molta calma il corridoio
alla destra del dottore.
Fece
loro un cenno del capo per
ringraziarli. “Certo che gli infermieri sono molto
efficienti, ma solo se
girano in coppia” si disse mentre si voltava a destra e a
manca per focalizzare
tutte le persone presenti intorno a lui, alla ricerca di una chioma
castana
resa unica da qualche colpo di sole.
Doveva
affrontare un altro bivio,
ma stavolta non c’era nessuno in grado di aiutarlo. Di solito
medici ed
infermieri che conosceva erano sempre pronti in ogni angolo a mettere
bocca
sulle faccende personali, con la solita scusa che erano tutti colleghi,
e non erano
concepibili segreti tra di loro.
Imboccò
la strada più semplice,
più scontata: quella dell’uscita. E sicuramente
quelle menti rose dalla
curiosità di Rocco e Teresa non si erano lasciate sfuggire
niente e nessuno.
Si
ritrovò nell’enorme ingresso
del pronto soccorso.
“Dottor
Malosti” un grido di voce
femminile proveniva dalla sua sinistra.
“Non
ho tempo” rispose lui, ma le
sue parole non surclassarono l’alto brusio di fondo causato
dalla folla di
pazienti in attesa.
Teresa
uscì dal desk
intrufolandosi in mezzo alla gente e lo raggiunse, tirandogli un lembo
del
camice per far sì che si accorgesse di lei.
“Ho
detto che non ho tempo.”
“La
Gandini è uscita.” Il suo
interlocutore si mise a fissarla. “Non l’ho vista
bene, ma credo stesse
piangendo.”
Malosti
non fece scrupolo di
ringraziarla in alcun modo, ma con un rapido scatto corse
l’ultima parte di
pronto soccorso prima di trovarsi all’esterno della
struttura, che, a
differenza di pochi passi prima, sembrava la rappresentazione di una
città
deserta. Qualche macchina che passava in lontananza era
l’unico segno di
movimento. No, non esattamente.
Una
dottoressa coi capelli al
vento stava seguendo una scia immaginaria che l’avrebbe
portata chissà dove;
non sentiva dolore alle gambe, né stanchezza. I suoi arti
inferiori si
muovevano ritmicamente in modo involontario, quasi non percependo
più la loro
presenza. Davanti a sé si stagliava un muro di nebbia, e
riusciva a mettere a
fuoco solamente la pavimentazione irregolare della strada asfaltata,
contornata
da un verde prato alla sua destra, dove gli alberi del giardinetto
curato si ergevano
contro un cielo grigio.
“Cristiana.”
Sentì
il proprio nome pronunciato
da lui, da quelle labbra che solo qualche ora prima fremevano di
possedere le sue.
Non si voltò: voleva scappare, non voleva anche solo per un
attimo sentire
ancora quel desiderio di stargli vicino.
“Cristiana!”
Si faceva sempre più
forte, la stava raggiungendo, ma lei ce la metteva tutta pur di
aumentare il
passo e raggiungere il parcheggio, tornare a casa, farsi una doccia e
sprofondare nel divano a non pensare a lui. Avrebbe guadagnato solo una
tremenda sgridata da parte di Danieli, ma non la impauriva
più di tanto. Quello
che la terrorizzava era anche solo poter pensare di far passare quella
giornata
dopo quello che era successo, e magari essere tempestata di chiamate,
di
messaggi – no, messaggi no, Malosti era negato con
l’uso dei cellulari –, e
tornare il giorno dopo in pronto soccorso e rivederlo, con il suo
sguardo
penetrante, serio, duro, le sue mani che vorrebbero solo toccare lei.
“Cristiana
fermati!” Di nuovo. E
di nuovo quella voglia di allontanarsi, di non udire più
quella voce.
“Cristiana
ho sbagliato, ho
sbagliato! Ma mi devi perdonare!” Aveva il fiatone, come lo
stesso Riccardo. Mi devi perdonare.
Per cosa? Per averla
fatta innamorare di lui? Per trattarla a volte anche peggio di Ettore?
“Cristiana
io ti amo!” Gridò più
forte, più chiaramente, e le sue gambe cessarono il
movimento; i suoi piedi
poggiarono entrambi completamente a terra. Ma le lacrime no, le lacrime
uscivano dai suoi occhi umidi ancora più copiose di prima.
Gliel’aveva detto; per
la prima volta le aveva detto che l’amava. Un sorriso
spontaneo si fece largo
sul suo volto e respirò, a fondo, mentre sentiva da dietro
di sé i passi di
Riccardo sempre più vicini. Stava camminando lentamente:
forse sapeva che ormai
non sarebbe più fuggita da nessun’altra parte.
Le
sue mani sui suoi fianchi la
fecero rabbrividire. Come anche le sue braccia, quando la strinsero
forte
contro di lui, incrociandosi sul suo ventre.
E
lo sentì baciarla alla base del
collo, poi sempre più su, fino all’orecchio. Con
una mano intanto le asciugava
le lacrime che si erano fermate sulle guance e le tirava indietro i
capelli
mossi da un vento leggero.
“Se
nasce femmina, speriamo che
non corra come la mamma.”
Cristiana
si liberò dalla presa e
si voltò a guardarlo. “Cos…?”
“Altrimenti
sai, tutte le volte,
ad acchiapparla per darle la pappa, per farle il
bagnetto…” sorrise.
“Aspettiamo…”
“Un
malostino.”
Era
incredula. Incredula che
Riccardo le avesse regalato quel sogno, e incredula che lui fosse
così felice
di averlo fatto. E lo guardava sorridere, gli percorreva i lineamenti
del viso
con un dito, immaginando quali suoi tratti avrebbero ritrovato nel loro
figlio.
Se i suoi occhi chiari, o le sue labbra sottili che tanto le piaceva
baciare.
Si mise a giocare con i suoi capelli, a spettinarli, a passarli tra le
dita,
mentre le loro bocche si sfioravano.
“Amore
mio, è il più bel regalo
che avresti potuto farmi…” La voce di Riccardo la
percosse e la meravigliò al tempo
stesso.
“Ripetilo.”
“Mi
hai regalato la cosa più
bella del mondo.”
“No.”
Sorrise. “Quello che hai
detto prima.”
Si
sentì baciare il collo e poi
una spalla, mentre una sua mano le scostava il colletto del camice e
della
divisa blu sotto di esso.
“Amore
mio.”
“Questo.”
“Ti
amo.”
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Capitolo 19 *** Diciannovesima parte ***
Diciannovesima parte.
“Andiamo
dentro? Fa un po’
freschino.”
“Eddai,
aspettiamo un po’, si sta
così bene…”
Sulla
panchina davanti al
giardinetto, Cristiana era semisdraiata, con la testa appoggiata alle
gambe di
Riccardo, che le massaggiava il capo con una dolcezza squisita.
Non
voleva andarsene, a costo di
farsi venire a cercare da un collega.
“Senti
ma…” Alzò il capo nella
sua direzione, ma lo vide immerso in altri pensieri. “Mi
ascolti?”
“Eh?”
“Sei bellissima.”
“Sì,
lo so.” Scoppiò a ridere, e
lui la seguì a ruota.
“Cosa
stavi dicendo?”
“Che
spero nostro figlio non
prenda da te.”
La
guardò con aria interrogativa.
“Scherzo!
Vedi che non mi stavi
ascoltando?”
“Touché.”
Gli
diede un pugno sul petto.
“Come lo dico ad Elena?”
“Prova
con un cellulare nuovo.”
“Gliel’ho
comprato l’anno
scorso.”
“Allora
con un computer.”
“Tu
pensi che possa accettare la
notizia solo se accompagnata da qualcosa di costoso?”
“Un
cane.”
“Pericolo
allergie.”
Trascorse
un attimo in silenzio.
“Ma
è così traumatico sapere di…”
“Ssh!”
“Che
c’è?”
“Ettore.”
Alzò
la testa in direzione del
pronto soccorso. “Non c’è
nessuno.”
“No,
non in quel senso. Potremmo
chiedere ad Ettore di fare da intermediario. Magari con lui
avrà tutt’altra
reazione.”
“Sai
che ogni tanto anche tu hai
qualche idea intelligente?”
“Vuoi
dire che tra me e te,
saresti tu il genio?”
“A
quanto pare…”
Riccardo
le sollevò la maglia
sull’addome e infilò una mano sotto il tessuto,
appoggiandogliela sul ventre.
Era fresca, ma molto morbida. Le solleticava la pelle, ma era
tremendamente
piacevole.
“È
strano, sai?”
“Cosa?”
“Accarezzare
qualcuno che non è
ancora nato.”
“Teresa,
mi spieghi qual è il
problema di questa mattina? Ci saranno sì e no tre medici in
tutto il pronto
soccorso.”
La
donna si ricompose i capelli
di fronte all’apparizione del suo
dottor Palumbo.
“Eh,
sa, sono successe delle
cose…” allungò il collo verso
l’uscita, ma il suo raggio visuale era troppo
limitato.
“Cose…
quali cose?”
“Cose
private, non posso
spiegarglielo.” Alzò le spalle e lasciò
che Nicola si allontanasse ancora più
inferocito di prima.
“Chiamate
Esther e chiedetele di
andare a cercare la dottoressa Gandini e il dottor Malosti: sono
usciti.”
L’ordine raggiunse rapido alle ragazze
dell’accettazione, e una di loro sollevò
la cornetta del telefono.
“Senti,
ma… se provassimo con una
riunione di famiglia?”
“Che
vuoi dire?”
“Tua
figlia e i miei due figli,
anche qui in ospedale.”
“Era
meglio la prima idea.”
“Con
cui però sistemiamo solo
Elena.”
“E
ti pare poco?”
“Esther
in arrivo a ore nove.”
Cristiana
si sollevò fino a
mettersi seduta.”
“Finalmente
vi ho trovati” la
voce della donna li distrasse dal leggiadro cinguettio dei volatili.
“Oh,
la nostra nuova caposala.
Già al lavoro?”
“Dottor
Malosti, c’è bisogno di
voi in pronto soccorso.”
“Ah,
davvero? E perché hanno
mandato te?”
“Sono
la nuova…”
“Già,
già, scusa, l’ho appena
detto io.”
“Posso
chiedervi perché siete qui
fuori?”
“Non
mi sento bene” Cristiana si
portò una mano alla fronte.
“Eh,
non si sentiva bene, l’ho
portata a prendere una boccata d’aria”
mentì spudoratamente.
“Sì.”
Esther era convinta come
quando prendeva una decisione davanti al distributore delle bevande,
cioè sotto
zero.
“Vi
aspetto dentro, vi do cinque
minuti.”
“Riccardo,
non sto bene.”
“Dai,
su, la farsa è finita, se
n’è andata.”
“Riccardo…”
La sua voce era
sempre più debole.
“Cristiana,
che hai?”
Era
pallida come un lenzuolo;
stava perdendo i sensi. Se la ritrovò accasciata alla sua
spalla.
“Cristiana!”
La donna muoveva
impercettibilmente le braccia per trovare un appiglio, ma non aveva
quasi più
sensibilità agli arti.
“Esther!”
La donna udì il grido e
corse verso di loro. “Vai a chiamare qualcuno, in
fretta!”
“Sì,
dottore, vado subito!”
esclamò incespicando mentre correva all’indietro.
La
sollevò dalla panchina
richiamandola più volte. “Cristiana riesci a
sentirmi, sono Riccardo!”
“Amore…”
fu la sua risposta
mentre con una mano gli sfiorava il collo.
“Va
tutto bene, ti porto dentro.”
Esther
non fece in tempo ad
uscire con una barella, che Riccardo era già entrato con
Cristiana in braccio e
l’aria molto più preoccupata di quella che
solitamente si mostra di fronte ad
un parziale svenimento di una collega.
“O
mio Dio!” a Teresa scivolò
quasi il telefono di mano. “Fate chiamare qualcuno, subito!
Palumbo,
Santamaria, anche Danieli, chiunque sia libero!”
Malosti
l’adagiò sulla barella
preparata dalla caposala, che aveva inoltre già controllato
se c’era un box
libero.
“La
possiamo portare al 5, hanno
appena dimesso il paziente.”
Il
dottore annuì e accompagnò la
Gandini sino al letto appena fatto. Insieme all’infermiera
fecero i controlli
di routine, che non resero evidente nessuna irregolarità.
“Analisi
del sangue?” chiese
Esther.
“Non
c’è bisogno, sto bene.” La
voce di Cristiana era già tornata alla regolarità.
“Sono
in sala medici. Quando le
hai fatte?”
“Ieri.”
“Le
rifacciamo” disse rivolto
alla caposala Bruno.
“Ti
ho detto che…”
“Sei
una mia paziente. E decido
io per te.”
“Scusate”
Santamaria fece il suo
ingresso nella stanza. Con quella
cartellina in mano. “Cristiana, stai bene?”
“Sì,
sì, non è niente.”
“Lo
dice lei” s’intromise
Malosti, con la siringa già pronta.
“Mh.
Ho trovato queste, in sala
medici. E…”
“Le
hai lette.”
“Pensavo
fosse successo qualcosa,
scusa se mi sono permesso…”
“Tanto
prima o poi lo verranno a
sapere tutti, no?” affermò la donna arrotolandosi
la manica e assecondando
tutta quella premura del dottor Malosti. “Non farmi
male.”
“Pensi
che io sia capace di farti
del male?”
Non
rispose, ed Esther li guardò divertita.
“Vi punzecchiate sempre, eh?”
“Con
o senza aghi” fu la risposta
di Malosti con lo sguardo puntato verso Cristiana.
“Mi
volete spiegare cosa sta
succedendo?” Valerio agitava il fascicolo in aria.
“Niente,
io sto bene. Ma non
avevi letto di averle lette?”
“A
dir la verità lo hai detto tu.”
Cristiana
guardò Riccardo in
cerca di una risposta, ma lui scosse la testa sorridendo.
“Allora?”
“Santamaria?”
Slegò il laccio e
le sistemò la manica. “Non ci sono altre
emergenze, in giro?”
“Riccardo
smettila!” L’intervento
della Gandini non migliorò la situazione.
“Dovremmo
avere un quadro clinico
completo per permetterci una diagnosi, no?” Il nervosismo di
Valerio si stava
diffondendo troppo in fretta.
“Io
vi lascio soli” Santamaria si
scostò dalla porta e lasciò uscire Esther,
diretta a far analizzare gli esami.
“Bene,
allora, visto che voi non
mi date ascolto, l’unica cosa che farò
sarà sfogliare questa cartella, così che
non fatichiate tanto per parlarmene.”
“Senti,
Santamaria, ma ti ha
morso un lupo mannaro?”
“No,
però sono un medico, e cerco
di curare i miei pazienti, cosa che tu non hai intenzione di fare, a
quanto
pare.”
“Cristiana
è una mia paziente, non
sono stato di certo io
a chiamarti qui.”
“Ma
qualcuno l’ha fatto.”
“Si
sarà sbagliato.”
Preso
da un attacco di nervosismo
aprì la cartellina e controllò veloce i risultati
delle analisi.
“Era
così difficile” domandò poi,
“dire che aspetti un figlio? Hai forse paura che il padre lo
venga a sapere?
Chi è, un delinquente, un tossico…?”
Cristiana
osservò un attimo
Riccardo negli occhi, con la bocca aperta per lo stupore nel sentire
quelle
strane parole da un Valerio che sembrava aver subito un cambio di
personalità.
“Ah”
iniziò poi, cercando di
calmarlo. “Ecco svelato il tuo pessimo umore”
indicò con un cenno del capo
l’uomo seduto accanto a lei che le teneva la mano.
“Crisi d’astinenza.”
Valerio
si zittì. Fu come se si
fosse risvegliato da un sogno. “Scusate, non so cosa mi
è preso. E come non sia
riuscito ad immaginarlo.” Abbassò il capo e fece
cadere le analisi sulle gambe
di Cristiana stesa sul letto.
“Vatti
a bere una camomilla,
oppure vai direttamente a casa, non so se tu sia in grado di visitare
qualcun
altro, oggi.” Malosti scosse serio la testa verso la donna
che fissava
Santamaria silenzioso.
“Scusate,
scusate, non ci sto con
la testa.”
“Lo
abbiamo notato” mormorò
Riccardo a Cristiana, che gli gettò un’occhiata
per fargli capire che non era
il caso di peggiorare la situazione.
“Me
ne vado, ci vediamo domani.”
“Ciao”
risposero quasi in coro.
“E…
auguri.” Uscì dalla stanza e
lasciò che la porta si richiudesse da sola.
“Oggi
va così” commentò la
Gandini sollevandosi a sedere.
“Vuoi
un altro cuscino?”
“No.”
“Sicura?”
“Sì.”
Malosti
si ammutolì. “Scusa. Così
rischio di farmi odiare.”
“No,
non dire sciocchezze. Sono
io che non sono abituata a sentirmi… viziata da
te.”
“Non
so cosa sia peggio, se non
essere abituati a ricevere attenzioni o ad amare qualcuno.”
“Prima
o poi accadono entrambe,
no?”
“Già.”
Cristiana
si mise seduta con le
gambe incrociate, di fronte a Riccardo. “Ehi” gli
spettinò i capelli e lui sollevò
il capo. “Amare è la cosa più facile
del mondo.”
“Non
quando di mezzo ci sono
l’orgoglio, i pregiudizi, la gelosia e la paura di non essere
corrisposti.”
“Parli
di Laura? Forse è per
quello che Valerio è così agitato.”
“Parlo
in generale. E in particolare
anche di lei. O di me. O di te.”
Gli
sorrise. “Pensavo non lo
volessi.” Gli prese una mano e gliela portò sul
ventre. “Quel giorno, mi avevi
detto…”
“Le
cose si dicono a seconda di
quello che ci aspettiamo risponda l’altro. Ecco in cosa
sbagliano, gli esseri
umani. Prima di pronunciare una frase, il loro cervello parte alla
ricerca di
tutte le possibili risposte. E così comincia ad escluderne
via via. Di solito
quella che rimane o è la più sbagliata, o non
c’entra niente col discorso.”
La
Gandini lo guardava incantata.
“Non ti ho mai sentito parlare così.”
“In
effetti sei tu che stai
tirando fuori tutto il meglio di me.” La prese delicatamente
per i fianchi e la
sdraiò. “Adesso riposati.”
Lo
prese per un polso, e Riccardo
si bloccò. “Rimani qui.”
“Dieci
minuti.”
“Grazie.”
|
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Capitolo 20 *** Ventesima parte ***
Ventesima parte.
“Carola
mi ha chiesto il
divorzio.”
“Eh!?”
“E
me ne vado a casa: ho chiesto
mezza giornata di permesso.” Santamaria salutò la
collega, che in quel momento
non poteva nemmeno permettersi di ascoltarlo, visto che stava visitando
un
ragazzino.
“Tesoro,
aspetta un attimo, torno
da te tra poco” assicurò al giovanotto, che si
chinò sul lettino.
“Valerio,
ma quando è successo?”
gli sussurrò allontanandosi dal paziente.
“Ieri
sera. L’ho trovata in
camera, che faceva le valige.”
“Torna
dai suoi?”
Il
medico annuì.
“E
per quello oggi sei così
intrattabile?” Valerio si fermò ad un lato del
corridoio.
“Hai
lasciato un paziente, per di
più non maggiorenne.”
“Più
che intrattabile sei…
nervoso. Ti turba qualcosa?”
“Laura.”
Le prese il collo fra le
mani per parlarle guardandola negli occhi. “Non lo so
perché mi comporto così.
Se è colpa del fatto che il mio matrimonio si sia
disintegrato dopo neanche tre
mesi, o che sia stata la scelta più sbagliata della mia
vita. Però vorrei
cercare di incollare tra loro gli ultimi cocci che sono
rimasti.”
“Vuoi
chiedere a Carola di
tornare?”
“Mi
sembra il minimo.”
“Ma
quel bacio…”
“Non
sembra anche a te di cadere
in un dejà vu?”
“Anche
troppo.”
“Allora
conoscerai anche il verdetto
finale.”
“Tu
non vuoi tornare da Carola
perché la ami.”
“Ora
sai entrare anche nel cuore
della gente e scoprire i loro sentimenti, no?”
“Tu
hai paura che i suoi genitori
si incazzino a dovere.” E dopo averlo fulminato con lo
sguardo, ripercorse il
tratto precedente per continuare il suo lavoro.
Un
rumore di chi non vuole farsi
sentire entrare provoca spesso l’effetto contrario.
“Ci
sono visite.”
Cristiana
sorrise.
“Come
stai?” La notizia aveva
raggiunto anche il primario.
“Bene.”
“Vuoi
andare a riposarti a casa?”
“No.
E poi qui c’è…”
“Riccardo.
Che tra un paziente e
l’altro trova il tempo di coccolarti per benino.”
“Essì.”
“Alla
fine poi i nostri sospetti
erano fondati.”
La
donna annuì. “Peccato che
Riccardo mi vorrebbe segregare in un box d’ospedale per i
restanti otto mesi. O
al massimo a casa, ma con due o tre medici sempre pronti a provarmi la
pressione.”
“Lo
fa perché si preoccupa per
te.”
“E
vuoi che io non lo sappia?”
Rise.
“Sono
tornato… Oh, scusate” Riccardo
si bloccò sull’uscio. “Non pensavo foste
in due.”
“In
tre” lo corresse subito lei.
“Non
ti preoccupare, io sono solo
passato per un saluto.” Appoggiò una mano sul
bordo della porta. “Trattamela
bene” sussurrò prima di andarsene.
“Cosa
ti ha detto?” si fece
avanti la curiosità di Cristiana.
“Niente.
Cose da uomini. A
proposito.” Prese posto accanto a lei. “Cosa ci
faceva qui?”
“Sei
geloso anche di Sergio?”
“Noo!”
“Sì,
lo sei.”
“Però
ti fa piacere.”
“Visto?
Ho ragione io.”
“Mi
arrendo.” Le si avvicinò e la
baciò. Prima sulle labbra e poi sul ventre. “Tutto
bene?”
“Sto bene. E mi annoio.”
“Ti
posso portare qualche
rivista… di là in sala medici ho trovato un
giornalino pieno di sudoku.”
“Non
li so fare.”
“Ti
insegno, non è difficile.”
“Mi
pare che tu abbia altro da
fare, qui dentro, che andare in giro a distribuire giornali e insegnare
un
noioso gioco enigmistico ai tuo pazienti.”
“No,
è qui che ti sbagli. Alla
madre di mio figlio.”
Seduto
sulla sua poltrona di
pelle nera dietro alla sua scrivania, il professor Danieli rifletteva
sui
sintomi di un paziente che aveva appena visitato. Il desktop del pc
visualizzava i risultati di una ricerca su Google: come solito
più di duemila e
nessuno che facesse al caso suo.
Il
silenzio rappresentato
unicamente dal sordo brusio del condizionatore sempre in funzione,
anche se la
stagione non ne rendeva indispensabile l’uso, fu spezzato
dall’improvviso
squillo del telefono. Ma non era quello fisso, che di solito veniva
utilizzato
per mettere in comunicazione i vari reparti dell’ospedale.
Era il cellulare, che
suonava e vibrava sul piano perfettamente liscio della scrivania. Il
display
illuminato scandiva un nome e Sergio, dopo averlo lasciato squillare
per tre
volte in attesa di trovare almeno un motivo valido per non rispondere,
premette
il tastino con il simbolo della cornetta verde.
“Giulia.”
Bell’inizio di
conversazione. Ma, anche se solo per mezza giornata, già gli
era mancato
poterlo pronunciare.
“Ciao”
rispose la voce spenta
dall’altro capo del telefono.
“Come
va?” glielo stava chiedendo
con il sorriso sulle labbra.
“Come
vuoi che vada?” Leggeri
singhiozzi occuparono la restante parte del dialogo. “Cerco
di pensare a Pedro…
è la sola cosa che mi permette di resistere lontano
da… voi.”
“Dove
sei?”
“Sul
terrazzo.”
“E
tuo marito?”
“In
bagno.”
“E
se ti trova a parlare con il
tuo…”
“Amante?
È questo che volevi
dire, no? A me non importa di quello che pensa.”
“Fino
a poco tempo fa non era
così.”
“Ma
ora sì.”
“…”
“Scusa,
c’è Pedro che sta
piangendo. Ti devo lasciare.”
“Aspetta.
Dimmi solo una cosa.
Perché mi hai telefonato?”
“Non
lo so. Ho preso in mano il
cellulare e ho digitato il tuo numero. Devo spegnere,
c’è Francesco che mi
chiama, il bimbo non smette di piangere.”
“Sente
la mia mancanza…” voleva
sembrare spiritoso, ma avrebbe voluto solo piangere.
“Può
darsi.” Sorrise, ma Sergio
non poteva vederla. “Manchi a tutti.”
“A
presto Giulia. E ricorda che
ti amo.”
“Non
lo dimentico.”
“Qui
abbiamo finito. Adesso
seguimi, controlliamo il paziente al box 7, l’ultima volta
che l’ho visto mi
aveva detto di stare meglio.” Malosti
s’incamminò seguito dal suo
specializzando. “Ti devo chiedere un favore.”
“Certo,
dottore, mi dica.”
“Dovresti
dire ad Elena che sua
madre aspetta un figlio.”
“Co-cosa!?”
“Hai
capito bene.”
“Ma,
dottore, è un sacco di tempo
che io e la figlia della Gandini non ci sentiamo più, e
l’ha detto la stessa
dottoressa di non assecondarla…”
“Sei
più stupito e preoccupato del
fatto che ti chiedo di dirlo ad Elena, piuttosto che della notizia in
sé?”
Giunsero
davanti alla porta del
box.
“Sono…
contento per voi.”
“Bene;
questo allora ti
faciliterà.”
“Ma,
si rende conto anche lei che
non sarà un’impresa semplice! Se le telefono per
dirglielo, s’insospettirebbe…”
“Ma
tu non devi mica
telefonarle.”
“Devo…
vederla?”
“Ettore,
non sei più un ragazzino,
non ti posso insegnare tutto io! Chiedile un appuntamento, anche qui in
ospedale!”
“Così
fraintenderà e penserà che
io sia interessato a lei…”
“E
tu dille che non c’entra
niente l’aspetto relazionale.”
“Così
rifiuterà.”
“Ettore!
Sii più sicuro di te
stesso. E basta.”
“Mi
farà operare?”
Il
dottore rimase spiazzato.
“Un
intervento vero” precisò il
giovane.
“Dovrei
parlarne con la Gandini…”
temporeggiò.
“È
lei, il mio tutor. Mi faccia operare
e vedrà che con Elena
sistemerò tutto.”
“Ad
una condizione.”
“Un’altra?”
“Sì.
Niente pettegolezzi.”
“Le
sembro il tipo?”
Cristiana
si appoggiò al vetro
del box che dava sull’accettazione e
s’incantò a guardare scorrere davanti a
lei quel flusso continuo di pazienti, medici e infermieri. Si sentiva
letteralmente chiusa in gabbia. Una gabbia di vetro che le permetteva
di avere
un contatto visivo con l’esterno. Solo
visivo. Era una dottoressa, sarebbe potuta uscire senza che gli altri
se la
prendessero con lei. Era ancora in grado di badare a se stessa, anche
senza il
perenne controllo di Riccardo.
Il
suo cellulare iniziò a
squillare. Lo cercò nelle tasche del camice appoggiato
all’attaccapanni accanto
alla porta, e inizializzò la chiamata.
“Mamma.”
Era Elena.
“Amore
ma non sei a scuola?”
“Sono
appena uscita.”
“Ah.”
“Non
mi parte il motorino.”
“Prendi
l’autobus.”
“Non
ho voglia. Una mia amica
abita vicino all’ospedale, ha detto che mi può
accompagnare fino lì. Posso
venire?”
“Elena,
finisco il turno alle
cinque, non posso portarti a casa prima di
quell’ora!”
“Non
fa niente. Ti aspetto.”
“L’autobus
ti porta direttamente
a casa.” Era la prima volta che di sua spontanea
volontà voleva venire al
Morandini a trovare sua madre. Ed era anche l’unica volta in
cui avrebbe
preferito che andasse a casa direttamente. Non voleva farla preoccupare
in
nessun modo.
“Sì
ma non lo voglio prendere.
Eddai, non ti disturbo, e poi magari pranziamo insieme!”
“Mi
dispiace, ho già mangiato, e
non posso concedermi un’altra pausa.” Si sentiva
veramente una madre infame, nonostante
fosse la verità.
“E
allora mi prenderò un panino
al bar. Ci vediamo lì tra poco, ciao!”
Aveva
messo giù. E Cristiana
doveva assolutamente rintracciare Malosti. Ripose il cellulare e si
infilò il
camice mentre raggiungeva la porta. Abbasso la maniglia, ma non dovette
applicare molta forza: si aprì da sola. E dietro di lei
comparve Riccardo.
“Oddio
scusa” fu l’immediata
risposta del medico.
Sorrise.
“Ma… non ti avevo detto
di rimanere sdraiata?”
“Ehm…”
si portò un dito sulle
labbra semichiuse e alzò gli occhi, fingendo di non
ricordare. “Può darsi…”
Le
sfilò rapido il camice e lo
risistemò sull’appendiabiti.
“Che
cosa…?” La prese per mano e
la ricondusse sul letto. “Di nuovo? Te lo devo dire in
aramaico, che sto bene?”
“Dubito
che tu conosca quella
lingua. Al massimo in inglese.”
“Hai
i risultati delle analisi?”
Si sistemò seduta sul lettino e si mise a dondolare le gambe.
“Sì.
E stai bene.”
“Ooh.”
Riccardo le si parò
davanti e la tenne stretta per le braccia.
“Dottore.”
Si mordicchiò un
labbro inclinato in un sorriso. “Così mi
spaventa.” Gli fece avvicinare il
volto tirandolo per i lembi del colletto del camice.
“Signorina,
lei deve mangiare e
non si deve stancare troppo.”
“Ma
io mangio.”
“Un
pacchetto di cracker lo
definisce pasto completo?”
“Abbiamo
opinioni diverse.”
“Stasera
vi porto fuori a cena.”
“Vi? Vuoi portare anche Elena? Non
verrebbe mai.”
“Fino
a prova contraria siete in
due. Anche se uno è ancora troppo giovane per prendere
decisioni. Abbiamo
opinioni diverse anche in merito a questo?”
“No,
su questo no.” Appoggiò le
proprie labbra sulle sue e si fece inebriare dall’aroma di
caffè. “Hai preso un
altro caffè?”
“No!”
“Ma
come no!?”
“E
va bene, solo uno.”
“La
devi smettere. Stanno
diventando come una droga per te. Quanti ne bevi, cinque al
giorno?”
“No…
tre, quattro…”
“Riccardo
sono troppi.”
“E
va bene, hai ragione. Ti
prometto che cercherò di evitarne uno o due.”
Questa volta fu lui a volerla
baciare.
“Aspetta.”
Gli incrociò le mani
dietro al collo. “Mi fai uscire da qui?”
“Vuoi
perdere il privilegio di
essere servita, riverita e baciata dal tuo dottore?”
“Certo
che no. Tanto tu mi servi
e mi baci lo stesso…” sorrise maliziosa,
perdendosi negli occhi luminosi di
Riccardo.
“Allora,
dove ti porto stasera?”
Le passò una mano sulla guancia spostando dietro
l’orecchio una ciocca di capelli.
Cristiana
abbassò il capo.
“Perché non lo chiedi a lui?”
|
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Capitolo 21 *** Ventunesima parte ***
Ventunesima parte.
“Non
lo chiedo a lui perché c’è
già la mamma che può rispondermi. E comunque non
sa ancora parlare.”
“Perché
tu non vuoi ascoltare.”
Si liberò dalla presa di Malosti e si sdraiò sul
letto. “Vieni qui.” Gli indicò
la sedia dove si era seduto prima. “E adesso appoggia
l’orecchio. Qua.” Si alzò
la maglietta per scoprire il ventre.
Riccardo
era titubante. “Stai
scherzando?”
“No.”
Avvicinò
la sedia e poggiò il
capo sul suo addome, con lo sguardo rivolto verso di lei che faceva
forza sulle
braccia per rimanere in posizione semiseduta.
Non
sentiva niente. O meglio,
quasi niente. Ma, nonostante questo – e nonostante fosse in
una posizione
alquanto strana –, stava bene, mentre abbracciava i suoi due
doni più grandi
che la vita gli avesse potuto dare, e mentre guardava gli occhi grandi
e scuri
di Cristiana sorridere.
Una
sua mano gli accarezzò il
capo passandogli tra i capelli. “Riccardo?”
“Mh?”
Era intontito da quella
sensazione incantevole.
“Lo
senti? Sta dicendo che sono
pronta ad uscire di qui e a tornare a lavorare.”
Non
ottenne una risposta, ma
Riccardo si sollevò a baciarla.
Una
sedicenne con lo zaino sulle
spalle fece il suo ingresso al Morandini e si diresse subito in
direzione
dell’accettazione.
“Ohi,
Elena! Come stai?” fu
l’esordio di Teresa.
“Sto
bene, grazie. Mia madre?”
L’espressione
sorridente della
donna si tramutò in seria. “L’hanno
portata nel box 5, puoi andarla a trovare!”
“In
che senso… l’hanno portata?”
Ops.
Non lo sapeva. E doveva
rimediare. “Cioè… una paziente. E tua
madre è là.” Le indicò la
direzione.
“Ah.”
Anche se non era del tutto
convinta, lasciò il desk abbastanza lentamente mantenendo
costante lo sguardo
su Teresa, in caso le dicesse qualcos’altro.
Entrò
all’interno dell’ala
sinistra del pronto soccorso e cercò il numero del box che
le aveva detto
Teresa.
Uno.
Due. Tre. Quattro. E…
cinque. Si affacciò al vetro della porta per verificare che
sua madre fosse
veramente lì. In effetti c’era. Peccato che non ci
fosse nessuna paziente, e
che su quel lettino fossero in due.
Presa
da uno scatto d’ira incontenibile
si mise a correre nel senso opposto in direzione dell’uscita.
Voleva andarsene,
cancellare dalla sua mente quell’immagine, che
però rimaneva lì, davanti ai
suoi occhi, chiara e inequivocabile. Fino a quando non finì
contro qualcosa. O…
qualcuno.
“Elena,
cosa ci fai qui?” era Ettore,
che era finito per abbracciarla.
Iniziò
a piangere, stringendosi a
lui, che, dopo un po’ d’imbarazzo iniziale
giustificato dal luogo e dalla
persona, fece lo stesso con lei, per cercare di tranquillizzarla.
“Elena…
calmati dai…”
“No,
non mi calmo!” Cercò di
trascinarla in una stanza che fosse meno affollata del corridoio. Di
fronte a
loro c’era un box vuoto; la condusse all’interno e
la fece sedere sul letto.
“Tieni”
le consegnò in mano un
pacchetto di fazzoletti di carta. “Adesso smetti di piangere
e mi dici cos’è
successo.”
“No.”
Si soffiò il naso.
“Bene.
Allora rimani qui finché
non ti calmi, io ho altro da fare che dare retta ad una ragazzina
piagnucolona.”
“No!”
Ettore sorrise. Una volta
tanto era riuscito a ottenere quel che voleva. “No, ti prego,
va bene.”
“Allora?”
“Giura
che non lo dici a
nessuno.”
“Giuro.”
“Io
lo odio.” E scoppiò ancora a
piangere.
“Ma
chi? Qualcuno che ti ha fatto
del male, un compagno di scuola?”
“No…”
Si
stava preoccupando. “Un professore…?”
“Ma
no!”
“Potremmo
stare qui tutto il
pomeriggio. Io sparo e tu ripeti quell’avverbio fino a che
non indovino.”
“Riccardo.”
“Un
tuo compagno di classe? Vedi
che avevo indovinato?”
“Riccardo.
Malosti.”
“Ah.
Beh, non è che faccia molto
per non farsi odiare.”
“Lo
odio e basta.”
“Se
mi spiegassi il perché…”
“Esce
con mia madre.”
“Ah,
ecco il motivo. E ti dà così
fastidio?”
“Dorme
a casa nostra un giorno
sì… e un giorno sì!”
“Posso
capire che non sia
esattamente la cosa più bella del mondo svegliarsi e
ritrovarsi a fare
colazione con il nuovo fidanzato di mamma, però…
non sei più una bambina. Prima
o poi dovrai accettarlo…”
“Così
lo odio ancora di più. Ma
perché proprio lui? Voglio dire, in questo ospedale non
c’è solo lui.”
“Beh
ma… è lui che vuole,
cioè…”
si arrampicò sugli specchi, sapendo che non sarebbe arrivato
da nessuna parte spiegando
qualcosa che non conosceva nemmeno lui.
“Senti
Ettore, non prendiamoci in
giro. Riccardo è cattivo, è sempre di pessimo
umore, se la prende con tutti,
non dà mai retta a nessuno, odia la gente e soprattutto le
donne…”
“Non
tutte.”
“Va
beh, non tutte. Potrà far
bene il suo lavoro, non lo metto in dubbio. Però si comporta
male. È logicamente
possibile che mia madre si potesse innamorare di uno
così?” Aspettava una
risposta. Ma Ettore non l’aveva. O forse sì, ma
non sapeva se sarebbe bastata a
farle cambiare idea.
“Non
c’è logica nell’amore.”
Fu una frase chiara, non interrotta da balbettii. Era esattamente
quello che serviva
a farla zittire e meravigliare.
Si
voltò dalla parte della porta,
ma prima di uscire tornò a guardarla, per una sola volta,
per concludere il suo
compito. “Ah, dimenticavo” disse, quasi ironico.
“Presto avrai un fratellino.”
Si godette per un attimo la faccia scioccata della ragazza, poi si
allontanò
dal box.
Elena
rimase impalata per qualche
secondo, la bocca semispalancata da quella notizia tragica,
inimmaginabile. E
svelta corse dietro lo specializzando per raggiungerlo.
Sentì
essere tirato per una
manica. “Elena!”
“Non
è vero.” Aveva le lacrime
agli occhi. “Tu… stai mentendo. Ti stai
vendicando.”
“Non
lo farei mai. E ora scusa,
ho un paziente da visitare.”
La
lasciò in mezzo al corridoio a
chiedersi perché dovevano succedere tutte a lei. Non
bastavano una madre troppo
apprensiva e un fidanzato appiccicoso peggio della colla vinilica. Ora
anche un
bambino.
“Dai
andiamo” Cristiana si alzò
dal lettino e tirò per un braccio Riccardo, che non voleva
muoversi.
“Si
sta così bene…” mugugnò. E
si
girò su un fianco.
“Dottor
Malosti!”
“Mmh…!”
“Riccardo,
ti prego.” Controllò
l’orologio. “Tra poco arriva Elena; che cosa le
dico, se entra qui?”
“Elena!?”
si girò verso di lei.
“Finalmente
mi guardi in faccia. Ha
chiesto se poteva rimanere qui in ospedale fino alla fine del mio
turno. Ha
detto che non le partiva più il motorino.”
“Potevi
dirmelo, la andavo a
prendere io, le aggiustavo lo scooter e se ne poteva tornare a
casa.”
“Eri
troppo impegnato a
preoccuparti di me.”
Si
mise seduto, e lei lo afferrò
perché si alzasse.
“Oppure
Ettore l’ha chiamata”
presuppose il medico.
“Hai
già detto tutto a… Ettore!?”
Gli diede uno strattone e lui toccò terra con i piedi.
“Meglio
prima che poi.”
“Riccardo,
tra due ore lo saprà
tutto l’ospedale.”
“Io
dico tra un’ora. Vuoi
scommettere la cena di stasera?”
“No.”
“Hai
paura di perdere.”
“Ho
solo…” non terminò la frase,
perché l’espressione di Riccardo si
trasformò all’improvviso.
“Elena”
in un sussurrò ad un suo
orecchio.
Cristiana
si voltò e la vide in
corridoio, davanti alla porta del box. Ma non per molto: dopo averle
gettato
un’occhiata disgustata scomparve.
“Elena!”
Spalancò la porta e la
rincorse lungo il corridoio, noncurante delle grida di Malosti che
cercava a
sua volta di fermarla.
“Non
puoi stancarti!” le diceva.
Ma si stancò prima lui di lei e si arrese.
“Elena,
ti prego…”
La
ragazza non continuò a
correre, ma si voltò verso la madre e gettò a
terra lo zaino.
“Ti
prego cosa?”
“Di
fermarti e di ascoltarmi.”
“Ci
ha già pensato Ettore, a
dirmi tutto. Siete stati bravi, tu e il tuo collega, a fare in modo che
lo
sapessi da lui. Così bravi che ora oltre ad odiare lui odio
anche te e il
figlio che hai nella pancia!” Raccolse furiosa la cartella e
con un rapido
scatto raggiunse la porta. “E, se questo non bastasse, non
fate niente per
evitare di farmi stare male. Lo inviti sempre a restare da noi,
così o mi
segrego in camera mia, o scappo a dormire da mio padre; siete
appiccicati
peggio di due calamite e vi baciate in qualsiasi luogo
dell’ospedale!”
Fece
un passo in avanti.
“Lascia
almeno che ti accompagni
a casa!”
“Prendo
l’autobus, o la metro, o
ci vado a piedi!” Le porte automatiche slittarono e i suoi
piedi si mossero
veloci per uscire dall’edificio.
Cristiana
volle seguirla, non
voleva lasciarla andare da sola, con tutta quella rabbia addosso, ma
Riccardo,
che l’aveva raggiunta con un po’ di fiatone, la
bloccò trattenendola
fisicamente.
“Non
andare” fu un sussurro
vicino all’orecchio, accompagnato da un bacio tra i capelli.
“Lasciala
sfogare.”
“Mi
odia. Sono stata una stupida.”
“Non
è vero, capirà. Devi solo
darle un po’ di tempo.” Sospirò.
Lei
ruotò su se stessa nello
spazio tra il suo corpo e le sue braccia curvate intorno alla vita per
guardarlo in viso. Si sentiva gli occhi bruciare, anche se le era scesa
solo
qualche lacrima; li strizzò e si strinse a lui
più forte che poteva, premendo
con le mani sulla schiena di Riccardo. Nascose il volto tra le pieghe
del suo
camice tra una spalla e il petto, soffocando un pianto che aveva
vergogna di
mostrare a tutti quelli che non c’entravano niente con lei.
“La
figlia è venuta a conoscenza
di qualcosa di non troppo piacevole. Cinquanta euro che o si sposano, o
lei è
incinta.” Rocco, da dietro il desk accettazione, ce
l’aveva con Esther,
appoggiata al bancone dal lato opposto, con una cartella in mano. Si
era
fermata ad osservare, come poi tutto il resto del personale, la scena.
“Non
si può fare una scommessa con
esclusione.”
“Allora
io dico che si sposano”
scelse l’infermiere.
“E
io che lei è incinta.”
Si
strinsero la mano, ed Esther
uscì di scena.
“Mi
dispiace amico” fece capolino
il dottor Santamaria, con l’umore visibilmente migliorato da
prima, e diede una
pacca sulla spalla a Rocco. “Hai perso.”
“È
molto più probabile il
matrimonio, che un figlio” controbatté sicuro.
“Tutto
il contrario. Comincia a
racimolare i soldi per Esther…” sorrise.
“Ma…”
non capiva come Valerio
avesse già la risposta.
“Dovresti
smetterla di
scommettere con Esther. Vince sempre.”
“Terry,
mi presti venti euro?”
“E
che ci devi fare?”
“Ho
perso una scommessa.”
“Di
nuovo?”
“Sì.
Cinquanta euro. Ma
stamattina non mi sono premunito, quindi me ne mancano venti.”
“È
per via di questo bel teatrino,
vero?” sul suo volto apparve il sorrisino da volpe.
“Non
vado in giro a parlare delle
mie scommesse.”
“Se
vuoi i soldi, spara.”
Era
stato incastrato e ora doveva
parlare. “È incinta” sbuffò
alla fine.
Teresa
era rimasta paralizzata
con gli occhi sgranati e muoveva le labbra come in cerca di qualcosa da
dire.
“O
mio Dio… povera ragazza…”
“Ah,
beh, con un padre come
quello, non so che bimbo verrà fuori…!”
“Poverina…”
era scioccata.
“Ma
perché dici così?”
“Non
hai un minimo di
sensibilità! Elena…
ha solo sedici
anni!”
|
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Capitolo 22 *** Ventiduesima parte ***
Ventiduesima parte.
“Ti
credevo più perspicace,
Terry.”
“Perché
adesso va di moda mettere
al mondo figli prima ancora di aver raggiunto la maggiore
età? Per forza che
sua madre sta piangendo in quel modo, chissà cosa le avranno
fatto, povera
piccola!”
Rocco
rideva come un matto.
“Tu
ridi… ma è una cosa
tristissima! E chissà il padre, un ragazzaccio, un poco di
buono!”
“Teresa,
il padre è Malosti.”
La
donna si sedette per non
rischiare uno svenimento.
“Io
chiamo la polizia.” Afferrò
la cornetta, ma Rocco gliela prese dalla mano.
“E
la madre…” sistemò il
telefono, “è la Gandini.”
“Ma…
potevi dirmelo prima!” Fece
un gran respiro.
“E
perdermi la tua faccia
sconvolta? Mai!” Teresa si riprese dallo shock, e
sollevò la cornetta del
telefono.
“Chi
chiami, un’ambulanza? Guarda
che sei attorniata da dottori…”
“No.
Devo dirlo a qualcuno,
altrimenti rischio di impazzire.”
“Vieni,
andiamo.”
“No,
io vado a casa.”
“Non
puoi guidare in queste
condizioni.”
“Allora
non rinchiudermi di nuovo
in quel box.”
Le asciugò le lacrime massaggiandole le guance con i
polpastrelli. “No, te lo
prometto. Però stammi dietro, non voglio che per oggi tu
stia da sola nemmeno
un minuto.”
La prese a braccetto e,
mentre intorno a loro
il tempo ricominciò a scorrere, s’incamminarono
insieme verso il corridoio
interno.
“Che
ore sono?”
“Le
due.”
“Io
me ne voglio andare.”
“Cristiana
calmati.”
“Non
sono di nessun aiuto, qui.
Mi sento a pezzi e voglio tornare a casa a chiarire con
Elena.”
“Non
sarai di nessun aiuto, ma
almeno qui ti posso controllare e, se non altro, mi potrai assistere
con i
pazienti.”
Entrarono
in sala medici e
Riccardo vuotò un po’ d’acqua presa dal
frigorifero per farla bere alla
collega, poi la convinse di seguirlo nel corso delle visite,
così da distrarla
da tutti quegli avvenimenti.
“È
stata colpa mia.” L’arrivo di
Ettore quasi le fece andare l’acqua di traverso.
Tossì un paio di volte e poi
lo fissò in cerca di una motivazione. “Non pensavo
reagisse così. Mi sono
arrabbiato.”
“Per
una volta che ti chiedo un
favore al di fuori dei casi medici!” sbraitò
Riccardo.
“Sì,
lo so, però posso provare a
rimediare.”
“Non
ce n’è bisogno, Elena è
fuggita” chiarì la donna.
Lo
specializzando fece per
uscire, demoralizzato e pentito.
“Aspetta”
la voce della
dottoressa lo bloccò. “Grazie comunque.”
“Almeno
non avrà il rimorso per
tutta la vita” commentò poi Cristiana quando la
porta si richiuse.
“Non
è colpa sua, ma mia.”
“Bene,
adesso andiamo
all’indietro fino a quando non troviamo la causa prima di
tutto il nostro
dolore, che è… chi è? Un bambino che
ha più o meno un mese di vita? No, più
indietro. Ah, ecco, trovato. La colpa è di Sergio, che ci ha
assunto e ci ha
messo a lavorare insieme!”
“Hai
trovato la soluzione. Glielo
vuoi andare a dire? Se vuoi ti accompagno.”
Cristiana
si portò una mano alla
bocca. Stava per mettersi a ridere. “Hai mai provato a fare
un provino per uno
show comico? Magari ti prendono.”
“O
magari prendono te.”
“Tu
credi che pagare l’avvocato
divorzista mi costi di più del matrimonio?”
“Non
c’è alcun dubbio.”
Valerio
aveva raggiunto Laura in
sala TAC, senza che lei lo avesse chiamato per assisterla.
“Hai
bisogno di una mano?”
“No,
grazie, altrimenti qui con
me ci sarebbe stato qualcun altro. Però rimani, non si sa
mai che il paziente
vada in shock anafilattico e muoia su quel lettino.”
“Sbaglio
o l’esame è senza mezzo
di contrasto?”
L’occhiata
della donna gli fece
intendere come la sua constatazione fosse del tutto ironica.
Dopo
che gli infermieri ebbero
lasciato la stanza con il paziente, Laura e Valerio non andarono con
loro.
“Stai
meglio?” gli domandò la dottoressa
guardandogli il volto delineato dalla luce rossastra della sala.
“E
tu?”
“Sei
proprio deciso di
sottometterti a lei?” cambiò discorso.
“Non
è sottomissione.”
“Vuole
il divorzio. Un conto è se
lo volessi tu…”
“Ma
lo voglio anche io. Basta
come compromesso?”
“Valerio…”
“È
una cosa mostruosa separarsi
dopo solo pochi mesi di matrimonio, ma non sarebbe ancora peggio
trascinarmi
dietro per anni una moglie che non amo? O magari rimanere sposati ma
vivere in
due case diverse?”
Laura
non sapeva come rispondere.
Era felice, sì, perché Santamaria aveva
esplicitamente rivelato di non amare
Carola, ma era possibile che non provasse davvero nulla con la
prospettiva di
un divorzio?
“Perché
non mi hai fermato?”
sbottò Valerio, come si stesse liberando di un grosso peso,
ma Laura lo fissò
incerta.
“Potevi
urlare, rompermi una
gamba, romperti una gamba. Ma non
l’hai fatto.”
“Ho
cercato di fermarti. Ma non
ci sono riuscita. Né con una telefonata, né con
un mazzo di rose rosse, né con
un’ultima supplica davanti alla chiesa.”
“Mi
perdonerai mai?” Le prese una
mano e la portò alla bocca per baciargliela.
Laura
lo abbracciò, serrando
forte gli occhi.
Quattro
e dieci. Sala medici.
Gli
scuri della finestra erano
semichiusi; nella stanza entrava solo qualche raggio di sole che
illuminava una
striscia di pavimento.
Cristiana
era sdraiata sul
divanetto, con una mano sugli occhi per non vedere nemmeno quel poco di
luce.
C’era
un silenzio immenso, si era
isolata mentalmente dal mondo esterno, anche dai passi e dalle voci
fastidiose
che provenivano dal corridoio.
Riccardo
le aveva detto che era
meglio per lei se rimaneva seduta o sdraiata, almeno per quel
pomeriggio, e
aveva già chiesto al primario di concederle una giornata di
riposo. E in quel
momento mancavano più o meno cinquanta minuti alla fine
della tortura. Era la
prima volta che le pesava rimanere in ospedale. Si era più
volte sentita stanca
dopo una giornata di lavoro, ma non in quel modo. Non era stanca
fisicamente,
anche perché aveva fatto ben poco, ma non ci stava
più con la testa. Troppe
cose tutte insieme la tormentavano, prima fra tutte Elena, che non
sapeva
nemmeno se fosse giunta a casa incolume. Al cellulare non rispondeva e
il
telefono di casa era sempre occupato.
“Vuoi
che ti accompagni a casa?”
Non si era accorta che Sergio aveva aperto la porta. Si mise a sedere e
scosse
la testa.
“Ce
la faccio da sola.”
“Ordini
del re supremo
dell’ospedale?” fece un cenno del capo in direzione
della finestra oscurata.
Cristiana
annuì sorridendo. “Re
supremo del Morandini e del mondo”
precisò, per poi sbadigliare.
“Ti
ha iniettato anche un
sedativo?” rise.
“No,
per fortuna no. Sono già
mezza intontita senza… Anzi, mi dispiace, oggi sono solo
stata un peso per
tutti, qui al pronto soccorso.”
“Non
devi dirlo neanche per
scherzo. Se fosse stato per me ti avrei legato al letto del box almeno
fino a
stasera, ma Riccardo sta diventando anche più buono di
me.”
“Sarà
l’effetto paternità.”
“Senti,
vai a casa, dai.”
“Ma
il mio turno…”
“Ah-ah.
Oggi sei una paziente. E ti sto
dimettendo. Però
prima vai a salutare il tuo
Riccardo.”
“Grazie.”
Si alzò.
“L’ultima
volta l’ho visto ai distributori.”
“Se
stai prendendo un caffè ti
ammazzo.”
Estrasse
il bicchierino dalla
macchinetta e glielo portò sotto gli occhi.
“Camo…
milla?”
“Controindicazioni?”
Ne bevve un
sorso e allontanò subito il bicchiere dalle labbra.
“A
parte la temperatura troppo
alta in grado di provocare ustioni di primo grado alla bocca, direi
nessuna.”
“Vai
a casa?” aveva notato il
soprabito e la borsa.
“Sì.
Non azzardarti a volermi
accompagnare.”
“Fino
alla macchina?”
“Non
oltre.”
Finì
la camomilla bollente
sopportando in silenzio le sue gengive urlanti e gettò il
bicchiere di plastica
nel cestino. Insieme arrivarono davanti all’accettazione, ma
la giornata non
era finita lì, perché un predatore di
pettegolezzi era già in agguato da dietro
la sua trincea di plastica e metallo…
All’improvviso
tutti i colleghi
di Cristiana sembrarono apparire da dovunque: chi da dietro il bancone
dell’accettazione, chi dai corridoi laterali, chi da dietro
le tendine dei
letti.
“Sto
avendo un’allucinazione?
Reggimi prima che cada…” Si attaccò
alle braccia di Riccardo che non sapeva che
fare. Avevano medici e infermieri davanti, dietro e pure di fianco.
Mancava
solo che qualcuno di loro scendesse dal soffitto, magari Laura la
biondina, col
camice bianco e un paio di ali di carta. Allora sì che il
teatrino sarebbe
stato completo.
Teresa
sgusciò rapida fuori dal
desk e si mise a comando della schiera.
“Volevamo
farvi gli auguri”
sussurrò timida mostrando un sorrisone da trentadue denti.
“Ehm…”
Cristiana si risvegliò dal
coma pseudo-allucinogeno. “Come…”
“Ah,
non guardate me, la voce non
è partita da me. È stato…”
Si voltò a cercarlo. “Rocco.” E lo
indicò con un
dito.
Malosti
era già alla ricerca di
un bisturi o di qualcosa di tagliente, però purtroppo nelle
tasche del camice
c’erano solo gli spiccioli di resto della camomilla.
“Dottori,
ma mi credete capace di
questo? Se dovete dare la colpa a qualcuno, dovete darla a
Santamaria!”
“Santamaria!?”
esclamarono in
coro Teresa e Danieli che si era appena aggiunto alla comitiva.
Valerio
si guardò intorno
spaesato.
“Beh,
sì…”
“Rocco,
ma i miei cinquanta euro,
allora?” s’intromise la caposala con voce
gracchiante.
“Sìsì,
valli a chiedere a Terry…”
“Oh,
ma io che c’entro? Mi tirate
sempre in mezzo, e poi non ho mai detto che te li prestavo!”
“Se
qualcuno si sposa, io mi
prenoto come testimone, sia chiaro.” La dottoressa Ranieri
era emersa in quel
momento dal caos di medici. “Ma di chi stiamo
parlando?”
“Malosti
e la Gandini” l’informò
svelta Teresa a denti stretti.
Cristiana
e Riccardo erano
rimasti immobili ad assistere allo spettacolo. Sembrava avessero
preparato le
battute una per una.
“E
comunque non si è ancora
capito cosa c’entra il dottor Santamaria in tutto
questo…” tornò all’argomento
precedente la rossa.
“Ma
me l’hanno detto loro!”
Cristiana
e Riccardo si
guardarono allibiti e con sguardo interrogativo.
“Lo
sapevo, che alla fine erano
loro i colpevoli!” esclamò il primario.
“Come
vedi, cara Terry…”
“Teresa!”
“Terry!
Non hai più l’esclusiva…”
“Zitto
Rocco, fatti gli affari
tuoi almeno una volta!”
“Senti
chi parla: la più discreta
delle pettegole…”
“Dammi
l’autorizzazione e sparo
qualche siringa di tranquillante tra la folla”
bisbigliò Malosti alla collega.
“Smettila.”
“A
me lo ha detto Ettore”
l’accento spagnolo di Palumbo risaltò in quel
brusio confuso.
Lo
specializzando era rimasto in
disparte fino a quel momento. “Ormai lo sanno
tutti…” mormorò soltanto.
“Direi
che la recita è finita.”
Concluse Danieli dopo qualche istante alquanto imbarazzante.
“Grazie
a tutti” rispose Riccardo
fingendosi il più possibile contento e grato. Prese
Cristiana per un braccio e
la portò fuori, contro il suo volere.
“Dai,
mi stavo divertendo!” si
lamentò.
“Sul
serio!?”
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Capitolo 23 *** Ventitreesima parte - FINE BLOCCO I ***
Ventitreesima parte.
Raggiunsero
la macchina di
Cristiana.
“Tu
torni in metro?” gli chiese
mentre lui le apriva la portiera.
“Sì,
certo, stai tranquilla, tu
vai e stai attenta, mi raccomando.”
“Senti,
per stasera, non lo so
se…” se era il caso di uscire per cena dopo il
litigio con la figlia.
“Ti
vengo a prendere alle otto.”
“Riccardo
non ce l’ho con te,
ma…”
“Mi
avevi detto di sì.”
“No,
non te l’avevo detto, e poi,
ricordami una cosa, eri stato tu ad invitarmi a cena quel giorno per
poi
dimenticarti all’improvviso, oppure me lo sono
sognato?”
“Più
probabile la seconda.”
“Mi
piacerebbe rimanere a casa
con Elena” spiegò ritornando seria.
“Capisco.”
“Scusa,
lo so che odi i
cambiamenti di programma, i ripensamenti all’ultimo minuto,
però non vorrei che
mi si rivoltasse contro e decidesse di andare a vivere con suo padre, o
di
trovarsi un appartamento in affitto… insomma, lo sai come
sono fatti gli
adolescenti di quell’età.”
“Ci
vediamo domani allora.” Era
splendido, il modo in cui le aveva risposto, il tono rassicurante e
senza
nessun rammarico, la voce serena. Si chiese come fosse stato possibile
non
essersi innamorata prima di lui.
“Sergio
mi ha concesso un giorno
di permesso. E… sbaglio o tu domani non lavori?”
“Non
ho esplicitato il dove, dottoressa.
E poi ho anche
imparato il tragitto da casa mia a casa tua senza disturbare sempre il
navigatore.”
Salì
in macchina e abbassò il
finestrino. “Abitiamo così lontani?”
“Le
distanze sono relative,
Gandini.” Si chinò verso di lei e le
baciò le labbra. “A domani”
ripeté
sorridente.
“Elena,
sono a casa!” Richiuse la
porta dietro di sé e si sfilò il soprabito
appoggiandolo insieme alla borsa
all’attaccapanni di legno scuro. Non ricevette risposta,
così la chiamò
un’altra volta, non senza un minimo di preoccupazione.
“Elena sei in camera?”
“Sto
studiando!” La sua voce scocciata
raggiunse la madre, che decise di non infierire.
“Io
faccio una doccia.” Aveva
sicuramente sentito, ma una risposta era chiedere troppo.
Prima
di entrare in bagno passò
davanti al tavolino su cui c’era il telefono: la cornetta era
stata riposta male,
volontariamente o no.
In
realtà non era né infastidita
dell’arrivo a casa della madre, né stava
studiando. Era rimasta sdraiata sul
letto da quando era tornata, senza avere né pranzato
né mosso un muscolo, a
parte per l’azione abituale di togliersi zaino e giubbotto e
gettarli dove
capitava nella stanza. Stava fissando il soffitto da ore. E da ore si
era già
torturata mentalmente per tutto quello che aveva gridato a sua madre al
pronto
soccorso. Si era fatta prendere dall’ira, tutto qua. Anche se
non era
esattamente un “tutto qua”, perché o
Cristiana o Malosti o entrambi si erano
messi d’accordo con Ettore affinché glielo
dicesse. Proprio lui, perché di lui
tutti sapevano che si era presa una cotta.
Fece
un respiro profondo. Un
fratellino. O una sorellina. La madre avrebbe smesso di lavorare per un
po’,
magari un annetto, così se la sarebbe ritrovata a girare per
casa con un
neonato in braccio tutto il giorno. Pianti, pappette, pannolini. Un
disastro,
insomma.
Si
voltò su un fianco e sorrise.
Però, a pensarci bene, sarebbe stato un bel
disastro. Un fratellino da coccolare e da tenere a bada avrebbe
significato
meno tempo da dedicare alla scuola e allo studio. Sua madre non sarebbe
stata
così d’accordo da questo punto di vista,
però magari non l’avrebbe tenuta
chiusa in camera davanti al libro di matematica ad ogni insufficienza.
I
lati buoni c’erano; chissà come
se la sarebbe cavata come sorella maggiore.
Si
alzò dal letto e uscì in
corridoio. Voleva parlare con sua madre, spiegarle che poi non era
così male la
prospettiva di avere un piccoletto che scorrazza per casa piangendo e
dimenandosi.
Scese
le scale e udì dal bagno lo
scroscio dell’acqua. Gliel’avrebbe detto appena
fosse uscita.
Si
sistemò allora sul divano e
prese in mano il telecomando per accendere la tv, ma prima che il suo
dito
potesse premere uno dei pulsanti numerati, la sua attenzione venne
distratta
dal suono di un cellulare proveniente dalla borsa di Cristiana. Si
alzò e la
raggiunse; trovò il telefonino della madre al suo interno e
lesse la scritta
dell’utente chiamante: Riccardo.
Doveva chiamarla per passarglielo o forse sarebbe stato meglio
lasciarlo
squillare? No, niente di tutto questo. Rispose lei.
“Pronto”
cercò di mantenere la
voce bassa perché la madre non la sentisse.
“Cristiana?”
chiese dall’altra
parte l’uomo.
“No,
sono Elena.” Accidenti,
adesso avrebbe messo giù.
“Oh,
scusa” ribatté indeciso su
come continuare il discorso.
“Non
fa niente. Mi dispiace per
come mi sono comportata oggi.”
“Hai
avuto una reazione del tutto
giustificabile, non ti devi scusare.”
E
invece sì, sentiva che doveva
farlo. Con lui e anche con sua madre.
“Vieni
da noi questa sera?” Non
sapeva esattamente perché gli aveva fatto quella domanda, le
era venuta
spontanea. Ormai era abituata a vederlo girare per casa qualche sera a
settimana, e di certo non le avrebbe dato più fastidio di
quanto era solita provare.
“Ehm…
non lo so… tua madre aveva
detto che voleva rimanere con te…”
“Amore
con chi stai parlando?” la
voce di Cristiana le fece venire un colpo.
“C’è
la mamma che mi chiama, devo
mettere giù” disse in fretta. “Alle
otto, vieni alle otto.”
“Ma…”
“Le
facciamo una sorpresa, no?”
“Va
bene…” rispose perplesso.
La
ragazza spense il cellulare e
lo infilò nella borsa, appena un attimo prima che sua madre
l’avesse raggiunta.
Era in accappatoio e i capelli le cadevano umidi sulle spalle.
“Tutto
bene?” Elena le stava
sfoderando un grosso sorriso.
“Sì
sì” disse svelta.
La
madre annuì e fece per tornare
in bagno.
“Mamma.”
Si
voltò verso di lei. “Dimmi.”
“Posso
toccarti la pancia?”
Eccola,
la sua Elena. Le venne
incontro e l’abbracciò. Le voleva troppo bene,
troppo per sgridarla per quello
che aveva detto.
“Mi
dispiace, mamma” stava per
mettersi a piangere. “Non dovevo dirti quelle brutte
cose.”
“Non
è niente, dai.”
Si
staccò da Cristiana. “Adesso
però vai ad asciugarti i capelli, che altrimenti ti prendi
un raffreddore!”
“E
tu invece vai a finire i
compiti.” Le accarezzò una guancia e
l’osservò sorridere fino a quando non fu
scomparsa al piano di sopra.
I
problemi sarebbero stati tanti,
primo fra tutti quello relativo alla casa, ai figli grandi, al lavoro,
però una
cosa era certa: le famiglie di Riccardo e Cristiana si stavano
ricostruendo una
nell’altra, e questo bastava per farli sentire felici, al di
là delle questioni
concrete. Finì di asciugarsi i capelli e si
infilò un paio di pantaloni da tuta
e un maglione comodo smormato. Poi raggiunse la figlia al piano di
sopra, che
aveva acceso lo stereo a tutto volume.
“Siamo
di buon umore, eh?” le
chiese entrando, alzando la voce per sovrastare il suono.
La
ragazza portò al minimo la
regolazione del suono e annuì sorridendo. Non aveva ancora
fatto nemmeno un
compito, ma per una volta poteva altamente fregarsene: li avrebbe
copiati da
qualcuno la mattina successiva.
“Io
vado a preparare qualcosa per
cena.”
“Fai
qualcosa di buono, perché ho
molta fame!”
“Come
mai tutto questo appetito?”
“Non
ho pranzato…”
“Già…
d’accordo allora.”
“Come
ci si sente ad aspettare un
figlio?” Riccardo era ormai esasperato: uno per uno i
colleghi lo beccavano
ovunque per fargli gli auguri o chiedergli come stavano lui e
Cristiana. E
questa volta era il turno di Valerio.
“Non
sarebbe ora che anche tu e
tua moglie ci pensiate?”
“Non
è un buon periodo.”
“Aria
di crisi? Al quarto mese di
matrimonio!? Quando festeggerete il primo anno vi tirerete i
piatti?” si mise a
ridere.
“Non
fare lo spiritoso, ho visto
quant’è durata con la tua ex…”
“Però
siamo arrivati all’anno.”
“Fa
molta differenza… E poi siamo
troppo diversi.”
“Non
mi dire che per qualche
giorno infelice stai già pensando di lasciarla!”
“Ci
ha pensato prima lei di me.”
Malosti
ci rimase di sasso.
“Non
mi dire che hai perso
qualche scommessa…” tentò Santamaria.
“No.
E credo anche che nessuno di
noi abbia mai pensato di scommettere su un avvenimento
simile…”
“Lo
immaginavo.”
“Valerio.
Sei sicuro di quello
che fai?”
“Sì.
Per la prima volta.” Sorrise
al collega e si allontanò felice.
“Elena,
è pronto!” La ragazza si
sollevò a sedere sul letto e controllò subito la
sveglia sul comodino. Erano le
otto meno cinque, e qualcosa doveva pur trovare, per far passare quei
minuti
senza destare sospetti.
“Mamma,
arrivo tra cinque minuti,
devo finire una cosa!” urlò forte per farsi
sentire il più chiaramente
possibile.
“E
va bene!”
Sistemò
le ultime cose sulla
tavola e si appoggiò al bancone della cucina in attesa della
figlia.
Sentì
suonare il citofono. Diede
un’occhiata all’orologio appeso al muro: le otto
precise.
Tornò
in salotto e alzò il capo
in direzione del corridoio sopraelevato: “Aspetti
qualcuno?” Non udì risposta,
ma in compenso chi era dall’altra parte del cancello
continuava a premere quel
pulsantino.
“Chi
è?”
“Il
postino.”
“A…
quest’ora!?”
“Avevo
perso l’indirizzo.”
Aprì
il cancello e
successivamente la porta.
“Non
avevi il navigatore?” gli
chiese quando fu abbastanza vicino da poter parlare senza urlare.
“Ha
fatto sciopero.”
Rise.
“Niente fiori, né vino”
commentò osservandolo.
“Senza
fiori preveniamo le
allergie; senza vino… tutto il resto.”
Le
si avvicinò e le diede un
delicato bacio sulle labbra.
“Perché
sei qui?” chiese
Cristiana rimanendo abbracciata a lui.
“Perché
ti amo.”
Fine
BLOCCO I
|
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Capitolo 24 *** INIZIO BLOCCO II - Tre mesi dopo ***
Inizio
BLOCCO II
Tre mesi dopo.
Dieci
e quaranta. Pronto soccorso Morandini.
Una
donna coi capelli sciolti che
le cadevano castani fino alle spalle fece scattare la porta automatica
dell’ingresso in una calda mattinata d’inizio
estate.
“Dottoressa
Gandini!” la voce
squillante di Teresa fece spuntare un sorriso sul volto di Cristiana.
“Ciao
Teresa.” Mai che qualcuno
passasse invisibile ai suoi occhi.
“Come
sta?” E dire che si erano
viste la settimana prima.
“Tutto
bene, grazie. Tu?”
“Oh…
si tira avanti.”
Le
regole di Riccardo erano rigide
e impassibili: al massimo due turni a settimana, evitando accuratamente
la sala
operatoria se non per emergenze. Aveva provato a controbattere in
qualsiasi
modo, ma niente, era irremovibile. Così si era fatta
assegnare da Sergio – o,
per meglio dire, era stata obbligata a farsi assegnare – il
martedì e il
venerdì, incastrando i giorni affinché
coincidessero con quelli del collega.
“Ho
visto il dottor Malosti poco
fa…”
Appunto.
Il tempo era passato, ma
tutte le volte che entrava in quel pronto soccorso, Teresa era sempre
pronta ad
informarla sull’ultima apparizione di Riccardo, comprensiva
di orario e
localizzazione. Non che non gliene fosse grata, ma non sarebbe stato
male fare
un giro da sola per l’ospedale, ogni tanto.
“Era
con Danieli, credo siano
andati a prendersi un caffè.”
Conosceva
anche le future azioni
di ognuno dei colleghi, a seconda dell’espressione, della
camminata, della
pettinatura…
“Con
quanto zucchero?” chiese
ironica, non aspettandosi nient’altro che una risata. E
invece no. Era capace di
rispondere anche se le veniva domandato
quanti capelli aveva in testa Palumbo.
“Malosti
amaro, molto amaro. Il
professore dipende dal tipo di giornata.” Passò
una cartella ad una collega
dietro di lei e sorrise a Cristiana. Ecco cosa si era dimenticata: per
le sue
previsioni teneva conto anche del piede con cui la gente scendeva dal
letto
alla mattina.
“Va
bene, grazie” cercò di
mostrarsi di buon’umore e uscì dalla mira della
donna raggiungendo gli altri
due.
Erano
appollaiati attorno ad un
tavolino di fronte ai distributori: sul piano figuravano due bicchieri
di
plastica vuoti e due confezioni aperte di merendine che dovevano essere
state
consumate da poco.
Si
fermò ad un metro da loro, che
si voltarono all’unisono e l’accolsero con sorrisi
sinceri.
“Mamma
Gandini” la salutò Sergio
alzandosi in piedi. Le andò in contro e le
accarezzò il pancione che continuava
a crescere. “Tutto bene?”
“Non
potrei mai dire il contrario,
avendo un certo dottore sempre tra i piedi con stetoscopi, siringhe,
sfigmomanometro e tutto il resto.”
“È
mio figlio. E si merita un
trattamento privilegiato” spiegò Riccardo,
calmissimo per via dell’effetto
caffeina, di cui ormai faceva uso per rilassarsi, più che
per darsi una
svegliata. Si alzò a sua volta e le baciò le
labbra. “Buongiorno amore.”
“Anche
tre ore fa ci siamo dati
il buongiorno, o sbaglio?”
“Scusa,
non pensavo che quel
borbottio addormentato che ho sentito quando mi sono alzato potesse
essere
classificato sotto la voce saluti…”
“Alt.
Fine primo round!” scherzò
il primario fermando la discussione. “Non la finite
mai!”
“Perché
non ti ho detto l’ultima”
bisbigliò Cristiana a Sergio che stava ancora ridacchiando.
“A momenti la
settimana scorsa si portava a casa l’ecografo
portatile…”
“Eh
no, eh, Riccardo” disse al
medico che stava abbracciando la donna. “Se continui
così mi toccherà assumere
un altro chirurgo per rimpiazzarti, o non avremo più il
contrappeso burbero che
equilibri la bilancia delle personalità del
Morandini.”
“Perché
non inizi tu levandoti
dai piedi insieme a queste frasi a falso effetto? Ah, e intanto che ci
sei, dai
un’occhiata da Teresa, se sono arrivate le analisi del
paziente del box 3.”
Prese Cristiana per un braccio e si allontanarono per qualche passo.
“Ti
ho promosso inconsciamente?”
domandò Sergio un po’ scocciato dalla reazione di
Malosti.
“No,
ma grazie del pensiero!”
Li
guardò camminare sorridenti.
Era proprio vero che l’amore era capace di cambiare le
persone.
All’improvviso
si insidiò nella
sua mente l’immagine di Giulia, che era riuscito a mantenere
in disparte per un
buon lasso di tempo. Le mancava. Troppo.
“Elena?”
“Era
già sveglia, sono uscito
mentre faceva colazione.” Aprì la porta della sala
medici e la fece entrare
prima di lui. “Hai dormito bene?”
Cristiana
gli si avvicinò
portandosi alla distanza di un centimetro dal suo viso. “Con
te non posso che
dormire bene.” Rabbrividì quando sentì
una sua mano accarezzarle il grembo e le
sue labbra sulle proprie. Ogni bacio che le dava era come se fosse il
primo:
riprovava la stessa emozione di quando le loro bocche si erano sfiorate
per la
prima volta, in quello stesso luogo. Solo un aspetto era diverso: ora
anche lui
lo voleva. E, chissà, forse lo aveva voluto anche quel
giorno.
Riccardo
sentì Cristiana
scostarsi di qualche millimetro da lui. “Ti vibra il
cellulare.”
Lo
estrasse controvoglia dalla
tasca del camice e riconobbe il numero illuminato sul display.
“Scusa, devo
rispondere.” Con rapidità raggiunse la porta per
uscire.
“Ma
chi è?” chiese lei
insospettita da tutta questa fretta.
“La
mia amante.” Aspettò serio
qualche altro tremolio del telefonino per osservare la reazione di
Cristiana,
che non tardò a rivelare un’espressione sconvolta.
Era già pronta a tirargli
addosso una sedia, ma Malosti non riuscì a trattenersi oltre
e scoppiò a
ridere.
“Sei
un…”
“Lo
so” l’interruppe. “Ed è anche
per questo che mi ami.” Le sorrise e uscì in
corridoio.
Cristiana
decise di avviarsi
verso il box che ospitava il paziente di cui aveva parlato Riccardo, e
al suo
interno vide Danieli, con la cartella in mano, che stava parlando con
l’uomo
sdraiato a letto. La porta era aperta, così Sergio si
accorse subito della
presenza della collega e le fece segno di entrare. Controllarono
insieme per
due o tre volte le analisi, e la Gandini confermò quello che
il professore aveva
già intuito: era da operare.
“Dove
hai lasciato Malosti?” le
chiese in un angolo del box dopo aver avvisato il paziente delle sue
condizioni
critiche.
“Si
è nascosto da qualche parte
per rispondere al cellulare.”
“Questo
pronto soccorso sta
diventando sempre più una stazione telefonica, e il miglior
contribuente è
senza dubbio Palumbo. Non c’è una volta che lo
veda senza quel dannato aggeggio
incollato all’orecchio.”
“Posso
assisterti io.”
“Non
se ne parla. Il paziente è
di Malosti, opera lui e assiste qualcun altro a sua scelta, ma non
tu.”
“D’accordo.
Vorrà dire che andrò
da Teresa a sentire se hanno bisogno di una mano con le
visite.”
“Brava.
E non affaticarti.”
“Non
c’è dubbio. Dormo di più io
che tutti voi messi insieme…” Abbassò
la maniglia e lo salutò con un cenno del
capo.
“Dove
vai?” si sentì chiedere,
come se il suo movimento fosse incoerente con tutto il resto che si
erano
appena detti.
“Come
dove vado, ti ho detto
che…”
“Sì,
sì, ma prima mi devi rintracciare
Malosti!”
“Prova
con il cercapersone.”
“Prova
invece a chiamarlo tu con
il cellulare, sia mai che capisca quanto sia conveniente tenerlo
spento, una
volta tanto.”
La
donna sfilò il cellulare dalla
tasca, entrò nella rubrica e, alternando lo sguardo dal
primario al display
selezionò il nome di Riccardo.
“Cristiana,
è successo qualcosa?”
la tempestività nel rispondere la sorprese, come anche il
tono perennemente
preoccupato, da cui però traeva soddisfazione.
“No,
niente” rispose sorridendo a
Sergio. “Ti passo qualcuno di molto arrabbiato.”
Danieli prese in mano il
cellulare.
“Malosti,
vedi di darti una mossa
e…”
“Mi
cercavate?” Cristiana saltò
dallo spavento portandosi una mano in corrispondenza del cuore.
“Dio,
ma mi vuoi far morire!?”
esclamò mentre i battiti accelerati pian piano tornavano al
ritmo abituale.
Riccardo
riprese fiato e si scusò
con lei, mentre Danieli cercava di velocizzare la faccenda.
“Chiama
un paio di infermieri e
portalo in sala operatoria, ho già avvertito Teresa. Io vado
a cercare qualcuno
che ti assista, sempre che non siano occupati a telefonare.”
Restituì il
cellulare alla collega mentre borbottava una frase del tipo dovrei decidermi a sequestrarli tutti
all’inizio dei turni.
La
Gandini tenne aperta con una
mano la porta, perché uscì a sua volta.
“Servono due infermieri per la sala operatoria!”
gridò, e qualcuno di loro che era nei paraggi si
avvicinò al box.
“Tutti
tuoi” disse infine a
Riccardo. “Io vado a cambiarmi” gli
riferì dandogli una leggera pacca sul
petto.
La
salutò con un sorriso ed evitò
di fissarla andar via come faceva di solito, vista la presenza di tre
infermiere sulla porta in attesa di ordini.
Alla
fine della vana ricerca,
toccò a Danieli entrare in sala operatoria con Malosti.
“La
prossima volta che mi capita
l’occasione, indìco un’assemblea e
schiarisco loro le idee. Posso capire tutti
i problemi che hanno, sentimentali e non, però quando si
entra in pronto
soccorso bisognerebbe lasciarli fuori, e, se non è possibile
farlo con tutti”
sottolineò l’inciso guardando Riccardo,
“almeno la maggior parte.”
Si
strappò decisamente arrabbiato
il camice sterile e lo gettò insieme alla mascherina nel
cesto accanto ai
lavandini.
“Sei
un po’ fuori di te, in
questo periodo” infierì Riccardo chiudendo il
rubinetto dell’acqua con il gomito.
“Perché
tu no? Stai facendo
venire il diabete a tutti coloro che entrano in contatto con te, da
quanto sei
diventato zuccheroso.”
“Dai,
non esagerare.”
“Stai
attento, ché non sono così
sicuro che tutta questa sdolcinatezza piaccia a Cristiana allo stesso
modo del
Malosti che conoscevamo prima.”
“Sergio,
aspetto un figlio” si
giustificò serio. E per lui era decisamente il motivo
più valido del mondo per
essere felice e coccolare la donna che amava.
“Ah
sì!?” ironizzò. “Fino a poco
tempo fa non ti credevo in grado di provare sentimenti.”
“Fino
a poco tempo fa non
conoscevo così bene Cristiana da potermi considerare capace
di amare veramente
una donna.” Gettò nel cestino la carta con cui si
era asciugato le mani.
Il
primario si zittì: gli era
passata la voglia di scherzare. Riccardo aveva ragione, e nessun
trucchetto in
stile dialettico formulato dal migliore oratore in circolazione sarebbe
bastato
a fargli ammettere che quella relazione era solo uno svago e niente di
importante. L’aveva sottovalutato. Oppure aveva sempre saputo
che in fondo era
un uomo anche lui e prima o dopo sarebbe caduto nella trappola di
Cupido.
“Ti
volevo chiedere una cosa” affermò
Riccardo dopo qualche istante di silenzio in contemplazione delle gocce
d’acqua
rimaste sul fondo del lavandino. “Mi concederesti
mezz’ora di permesso?”
Il
primario rise. “Ti dovrei
chiedere il dove, il come e il perché, ma non lo
farò. Tanto, in caso d’emergenza,
chiamerò Palumbo con i segnali di fumo e per trovare tutti
gli altri mi basterà
controllare negli ascensori e in magazzino. Di solito sono quelli i
posti che
preferiscono.”
“Dimentichi
il tuo studio.”
“Dimentichi
che dall’ultima volta
lo tengo sempre chiuso a chiave quando mi allontano.”
“Grazie.”
Sergio
guardò l’orologio. “Hai
ancora ventinove minuti.”
“Grazie
grazie grazie” ripeteva
Riccardo.
“Ma
se Cristiana mi chiede dove
sei?”
“E
tu dille che sono andato a
trovare la mia amante, no?”
|
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Capitolo 25 *** Il dono ***
Il dono.
Trentuno
minuti dopo, il dottor
Malosti rientrava al pronto soccorso con la stessa uniforme blu con la
quale
era uscito.
“Dottore,
la stavamo cercando in
dieci…” lo mise al corrente Teresa riponendo la
cornetta del telefono. Bene,
questo voleva dire che almeno per una volta Danieli aveva fatto finta
di niente
e non aveva lasciato dilagare la curiosità per la
mezz’ora di libertà concessa
ad un collega.
“Sì,
sì” annuì velocemente
percorrendo il tratto di ingresso che mancava alla porta del corridoio
interno.
Controllò
per l’ennesima volta la
tasca dei pantaloni; poteva stare tranquillo: il motivo della sua
uscita – e della
telefonata ricevuta prima – era ancora lì.
Intravide
Cristiana venire verso
di lui, con il camice aperto e la maglietta blu un po’
più stretta del solito.
“Riccardo, ma dov’eri finito?”
“Non
sono tenuto a dirtelo.”
“Non
mi piacciono questi
scherzi.” Si voltò imbronciata
dall’altra parte.
Malosti
sorrise. “Dai, raccontami
cos’hai fatto in questo tempo senza di me. Ti sono mancato,
eh?”
“Aah
smettila” sbuffò e si
diresse rapida verso la direzione opposta.
“Dove
vai?” le chiese a voce alta
non muovendosi dal punto in cui era.
“Non
sono tenuta a dirtelo!”
rispose lei ripetendo la sua stessa frase.
Si
era arrabbiata, come aveva
previsto. Ormai la conosceva abbastanza bene per poter affermare che
non le
piaceva sentirsi presa in giro: odiava le bugie.
E
mentre ripensava sorridendo a
tutte le volte che l’aveva rincorsa per i corridoi del
Morandini e non solo, si
stava comportando allo stesso modo anche in quel momento. Non correndo
per poi
afferrarla per un braccio come ormai era sua abitudine, ma camminando
dietro di
lei come se niente fosse.
E
Cristiana sapeva di essere
seguita. Svoltò l’angolo e aumentò il
passo per raggiungere la porta del bagno
dei medici. L’aprì rapida e la richiuse dietro di
lei senza girarsi a
controllare a che distanza fosse il suo inseguitore. Si
appoggiò ad essa e
respirò profondamente, pregando più volte tra
sé e sé che Riccardo non cercasse
di entrare. Attese qualche minuto in silenzio, poi si voltò,
piegò verso il
basso la maniglia e tirò la porta verso sé per
qualche centimetro. Gettò
un’occhiata all’esterno: non c’era
nessuno. Tirò un sospiro di sollievo e
cominciò ad aprirla per poter uscire.
Malosti
le si piazzò davanti e
bloccò la porta trattenendola dalla maniglia esterna.
“Allora, a che gioco
giochiamo?” stava sorridendo.
“Lasciami
sola.”
“No.”
Spalancò la porta ed entrò
con lei, che cercò di allontanarsi da ogni contatto con lui.
“Ringrazia la tua
condizione per non averti presa e sbattuta contro il muro per farti
stare ferma.”
“Gentile
come sempre.” Incrociò
le braccia.
“Mi
vuoi dire che cos’hai?” Il
suo tono tornò normale, e con due dita le
accarezzò una guancia. Lei non si
scostò, ma nella sua espressione apparve una nota di
fastidio. E gli occhi le
si inondarono di lacrime. “Cristiana…”
Gli
si aggrappò alle spalle e si
gettò contro di lui sfogandosi in un pianto.
“Riccardo… Riccardo” nascose il
viso nell’incavo tra il collo e il petto e
continuò a ripetere il suo nome.
Lui
la strinse contro il suo
corpo e continuò a carezzarle il capo passando le dita tra i
suoi capelli
profumati di shampoo. Non voleva sapere perché stesse
piangendo; la sentiva
abbastanza distrutta dal comprendere che d’infilare il
coltello nella piaga non
era il caso.
I
singhiozzi cessarono, e il bagno
ripiombò nel silenzio. Riccardo le prese il capo tra le mani
e glielo sollevò
per guardarla in viso: era completamente bagnata. Andò a
recuperare due o tre
salviettine di carta dal contenitore appeso al muro e le
asciugò delicatamente
le scie del suo pianto.
“Tu
pensi davvero che possa
funzionare?”
Dallo
sguardo che Cristiana gli
stava rivolgendo, il soggetto della domanda era tutt’altro
che qualcosa di
futile. Stava per chiederle a cosa si riferiva, ma poi lo
capì. “Perché mi
chiedi una cosa del genere? Tu che…”
“Io
cosa? Che mi sono presa una
cotta per te dal primo giorno che ci siamo conosciuti?”
Abbassò il capo e si
portò una mano sopra gli occhi per nascondersi
dall’imbarazzo, dalla vergogna,
o forse dall’incredulità che ora condivideva tutto
con lui. Anche un figlio.
Lui che all’inizio non faceva altro che deriderla davanti a
tutti, darle filo
da torcere ad ogni diagnosi. Le prime settimane di lavoro insieme erano
state
l’inferno, nonostante si cercassero sempre l’un
l’altro, nonostante avessero un
bisogno intrinseco della reciproca compagnia.
“Ti
ho salutato offendendoti per
come eri vestita” le ricordò il loro primo
incontro.
“Mi
avevi guardata. E questo era
tutto quello che m’importava.”
Riccardo
sorrise. “Non me l’avevi
mai detto.”
Scosse
la testa. “Siamo diversi.
Terribilmente diversi. Tu hai due figli, io una che fa per dieci. E ne
aspettiamo un altro. A volte ho persino paura di…”
“Frena”
la prese per le spalle.
“Paura di cosa, Cristiana?”
“Paura
di chiedermi se tu stai
con me solo perché ci conosciamo da così tanto
tempo che ci abbiamo fatto
l’abitudine, oppure perché aspetto un figlio da
te. Tu non… non volevi stare
con me!” Pronunciare quella frase fu come sollevare un enorme
macigno di
pietra. Aveva il cuore che le martellava insistentemente nel petto, il
fiato
corto e stava ricominciando a piangere. Di nuovo. “Dimmi che
non mi vuoi, e io
mi toglierò dai piedi. Cercherò un altro lavoro,
farò di tutto pur di
dimenticarmi di te. Anche se sarà
impossibile…”
“Mi
vuoi sposare?”
Alzò
gli occhi verso di lui.
Aveva davvero sentito quelle parole?
“Co…?” Si stava agitando, le si era
bloccata la parola in gola e non riusciva più a deglutire.
“Respira,
su.” Le fece aria con
le salviettine rimaste che aveva ancora in mano. “Stai bene?
Vuoi che ti porti
fuori?”
“No,
no, non voglio.”
“Lo
sapevo che non dovevo
chiedertelo.” Si allontanò da lei e fece un giro
intorno alla stanza, per poi
raggiungere la porta. “Me ne vado.”
“Riccardo.”
Toccò l’interruttore
della luce. E fu il buio totale. “Cosa succede nei film,
quando salta la luce?”
“Ma
non è saltata” precisò.
“Smettila
di fare il pignolo.”
“Smettila
di non rispondere alle
mie domande.” La cercò muovendo a vanvera le
braccia, ma se la ritrovò dietro
di lui, appoggiata alla sua schiena. Che rideva.
“Potresti
riformularla? Scusa,
non ero attenta.”
Malosti
si girò verso di lei e
appoggiò il capo contro il suo, guancia a guancia.
“Vuole diventare mia moglie,
dottoressa Gandini?” le sussurrò lentamente,
parola dopo parola, al suo
orecchio.
“Dio
quanto mi fai impazzire…”
Sfregò il suo viso contro di lui e lo baciò sulle
guance.
“Lo
prendo per un sì?”
“Prendilo
come ti pare, basta che
mi baci.”
Non
la fece aspettare oltre.
Premette sulle sue labbra ancora umide di pianto, che subito si
dischiusero per
continuare quel bacio tanto desiderato. Il primo con la consapevolezza
di
quello che sarebbero diventati: marito e moglie, con una proposta di
matrimonio
nelle tenebre di un bagno di un pronto soccorso.
“Rocco,
hai visto M&G?”
parlarono Esther e i suoi
ciuffi arancio
zucca.
“Chi!?”
“Dai,
ormai qui li chiamano tutti
così!”
“Emmegì?”
“Malosti
e la Gandini! Emme e Gi.
Stai perdendo punti, sai. Se vuoi continuare a fare concorrenza
a Teresa ti devi dare da fare per rimanere aggiornato.”
“Primo:
non voglio fare
concorrenza a Terry. Secondo: quella sottospecie di acronimo te lo sei
inventato tu in questo momento. Non è
così?” Raddrizzò la colonna di cartelle
che stava reggendo la caposala, affinché ritrovassero un
minimo di equilibrio.
“D’accordo,
mi hai scoperta. Ma
non è una genialata?”
Sorrise fiera
di se stessa, come se avesse appena trovato la cura
per una malattia incurabile.
“Esther,
se fossi in te lo andrei
a dire un po’ in giro. Faresti risparmiare a tutti almeno due
millesimi di
secondo a chi li deve chiamare.”
“È
pratico, no?” Si stimava
davvero. E non si rendeva nemmeno conto di quanto Rocco la stesse
prendendo in
giro.
“Sul
serio. Grandissima. Però, la
prossima volta che non hai niente da fare, invece di inventare
diminutivi,
potresti… che ne so, dare una spazzata al ripostiglio dei
medicinali, o
spolverare l’ufficio di Danieli…”
“Ma
non è compito mio!”
“Però
faresti felice un bel po’
di gente, te lo garantisco!”
Riaccesa
la luce, poterono
tornare a guardarsi in faccia.
“Peggio
che al liceo” commentò
Malosti appoggiandosi al muro.
“Mah,
non credo che nei bagni del
liceo si arrivi a parlare di matrimoni…” Si
guardò allo specchio e fece una
smorfia. “Mi è andato via tutto il
trucco…” mormorava all’altra se stessa
al di
là del vetro.
“A
proposito” riprese la frase
precedente. “Allora?”
“Allora
cosa?”
“Hai
risposto alla mia domanda
con tutto fuorché quello che in teoria si dovrebbe
dire.”
“Troppo
banale.” Piegò la testa
sul lavandino per sciacquarsi il viso, e quando si tirò su,
vide dietro di lei
Riccardo con un fantastico sorriso.
“Che
c’è?” Allungò una mano per
prendere una salvietta ed asciugarsi, controllando Malosti dallo
specchio, che
attese che i suoi movimenti si fermassero.
“Chiudi
gli occhi.”
“Perché?”
“Tu
fallo e basta.”
Li
chiuse dubbiosa. “Mh…”
Riccardo
estrasse dalla tasca
quel cofanetto rettangolare e ne chiuse in una mano il contenuto.
“Apro?”
insisteva lei.
“No.”
Le
passò attorno al collo quella
sottile cordicella metallica, che spaventò Cristiana al
contatto con la sua
pelle per la sensazione di freddo caratteristico del materiale.
“Stai
ferma…” la tranquillizzava
lui mentre tentava di assemblare la chiusura senza combinare guai.
“Puoi
aprire.”
“Finalm…
Riccardo ma sei matto?”
Non un anello; non un bracciale, ma dallo specchio quel che vide fu una
collana. Toccò quella catenella d’oro bianco che
le passava intorno al collo e
il ciondolo attaccato alle due estremità. Scintillava di
piccole pietruzze
bianche il suo nome, Cristiana.
Ecco
perché era uscito.
Ecco
il perché di quella
telefonata strana.
Ma
ora non le importava più
niente, tantomeno delle insicurezze che di tanto in tanto la facevano
entrare
nel panico. Era lui che voleva. E Riccardo voleva lei, ormai glielo
aveva dimostrato
in sufficienti occasioni da non avere più paura.
“Non
dovevi” gli disse attraverso
lo specchio.
“Non
dirlo nemmeno. Non so se sia
l’effetto della collana o della gravidanza, però
sei bellissima.”
“Grazie”
sussurrò piano, quasi
arrossendo.
“Allora,
ti piace?”
Sollevò
il capo per guardarlo
negli occhi. “Sì, è
meravigliosa.” Sorrise. “E sì, ti voglio
sposare.”
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Capitolo 26 *** Tutti sapranno ***
Tutti sapranno.
“Allora,
come vanno le faccende
burocratiche?” Laura si sedette sul tavolo della sala medici
mescolando uno
yogurt bianco pallido con il cucchiaino.
“Duemila
euro solo per iniziare”
la informò Valerio. “I miei suoceri hanno
contattato l’avvocato più costoso di
tutta Milano e dintorni.”
“Vuol
dire che si vogliono liberare
di te in fretta.”
“Così
sembra. Si dice che più ci
viene a costare, più le pratiche vengono sbrigate in minor
tempo. Però ci credo
poco.”
“Vi
dividete la parcella?”
chiese, dopo aver assaggiato un cucchiaino di yogurt.
“Macché.
Almeno di questo posso
ritenermi fortunato. Carola, oltre ad avermi escluso da ogni contatto
visivo ed
umano con lei, non vuole che sborsi nemmeno un euro.”
“Ah
però.”
“Ormai
è quasi un mese che le
carte sono state firmate, ora tocca solo a lui mettere in moto tutto
quanto. E tra
poco potrò tornare finalmente libero.” Le si
avvicinò. “Cioè… per modo di
dire.” Le schioccò un bacio su una guancia.
E
tornarono entrambi al lavoro,
consapevoli di stare iniziando una nuova vita insieme.
“Venti
euro.”
“Rocco,
hai rotto.” La sfacciataggine
di Teresa non aveva limiti.
“Dieci.”
“Tanto
perdi. È un maschio.”
“E
allora cosa ti costa
scommettere, se sai anche la risposta?”
“Niente.
Ma non vedi quanta
gente? Dammi una mano.” Preparò due cartelle vuote
per due ragazzi reduci da
una partita di calcetto.
“E
poi, scusa, come fai a
saperlo?” Il dialogo si faceva interessante.
“La
dottoressa Gandini è più
bella.”
“Che
discorsi. È sempre stata
bella.”
“Ma
lo è di più.
Di solito quando…”
“Ecco
appunto, di solito. Sono
credenze popolari. Torna a lavorare,
va’…”
Cristiana
e il suo pacchetto di
cracker si stavano godendo la fine del turno. Seduta con le gambe
appoggiate ad
uno sgabello davanti ai distributori, fu subito adocchiata da Malosti,
che
stava arrivando con lo stetoscopio in mano. Se lo sistemò
attorno al collo e
rubò un cracker dal pacchettino della Gandini.
“Non
dovresti essere già a casa?”
le chiese con la bocca piena.
“Aspetto
Elena, andiamo a casa
insieme.”
“Ma
la scuola non è finita?”
“Ben
arrivato. È andata in
piscina con alcune sue compagne.”
Riccardo
le spostò le gambe e
sullo sgabello si sedette lui.
Si
guardò intorno e poi le si
avvicinò. “Senti, preferisci i fiocchi o i
fiori?”
“Mh?”
“Tu
dimmi quali ti piacciono di
più.”
“Ma
che ne so… ma da mettere
dove?” Accartocciò la confezione vuota e gliela
mise in mano.
“In
chiesa!” “In chiesa” lo
ripeté abbassando la voce, perché evidentemente
la sua prima risposta era più
un grido ai quattro venti.
Cristiana
si mise a ridere.
“Quale
chiesa?” Riccardo si voltò
e trovò dietro di lui un tizio che doveva somigliare a
Valerio.
“Te
i tuoi interessi mai, eh?”
“No,
ma… tranquilli, ero solo
venuto a prendere una bottiglietta d’acqua.”
Inserì nel distributore due monete
e recuperò la sua scelta dal cassetto in fondo.
Nel
frattempo Riccardo stava
guardando Cristiana in ricerca di un modo non troppo villano per
eliminare ogni
traccia di sospetto in Valerio, ma lei continuava a fissarlo divertita,
prima
che uno squillo di cellulare non fece muovere tutti e tre alla ricerca
del
proprio.
“Il
mio non è stato, non so
nemmeno dove l’ho lasciato” iniziò
Malosti ispezionando le tasche di camice e
pantaloni.
“Non
è che te lo sei dimenticato
ancora da…?”
“In
sala medici” finì la frase di
Cristiana sorridendo a Valerio che aveva allungato le orecchie.
“Già”
confermò lei scuotendo la
testa.
Fece
una rapida ricerca nella
borsa e recuperò il suo. “È Elena. Mi
aspetta alla macchina, devo andare.”
Si
alzò e controllò la scena. La
borsa l’aveva presa, aveva rifilato a Riccardo
l’involucro vuoto dei cracker,
le chiavi della macchina le aveva…
Si
fermò un momento a riflettere
sugli avvenimenti di quella mattinata, sotto lo sguardo stupito degli
altri due
colleghi. Aprì di nuovo la borsa e frugò
insistentemente in ricerca.
“Cristiana.”
“Non
posso averle perse!”
“Cristiana!”
Alzò il capo e le
vide, appese dal portachiavi tra il pollice e l’indice di una
mano di Riccardo.
Le
afferrò sorridendo. “Dove le
hai trovate!?”
“Nella
tasca dei miei pantaloni.”
Quante
volte gli aveva detto che,
quando guidava lui, doveva rimetterle dentro la sua borsa? Mai una
volta che le
trovasse al posto giusto.
“Mh,
va bene, io vado.” Salutò
Riccardo con una carezza sulla spalla, ma lui la trattenne e le diede
un
innocente bacio sulle labbra.
“Ciao”
le disse sorridendo.
“Ciao
Cristiana” fece eco
Valerio, che in un batter d’occhio aveva già preso
il suo posto.
La
guardarono entrambi uscire
dalla porta principale del pronto soccorso e, appena ciò
accadde, Santamaria
riprese in mano il discorso. “Adesso puoi dirmi
tutto.”
“Non
era nelle mie intenzioni
prima. E non lo è neanche adesso, mi spiace.”
“Eddai
Riccardo” sorrise
impaziente.
“Non
ne hai abbastanza dei tuoi
problemi matrimoniali ed extra?” Si mise a giocherellare con
la carta dei
cracker di Cristiana.
“Appunto
per quello. Ci sono
passato: se hai bisogno di consigli…”
“Non-ho-bisogno-di-consigli”
rispose scandendo ogni parola.
“Però
le hai chiesto di
sposarla.”
“Tu
stai sognando” si alzò e
raggiunse il cestino per buttare la carta.
“Allora
ho sognato anche quella
bella collana che indossa da qualche giorno? Non potrà mai
essere stata sua
figlia a regalargliela!”
“Il
buon umore ti dà alla testa,
Santamaria. Perché non ne approfitti per andare a salvare un
po’ di gente?” Lo
osservò ancora qualche istante, poi se ne andò.
“Tanto
prima o poi si verrà a
sapere!” esclamò ad alta voce apposta per farsi
sentire bene anche da chi si
trovava in quel raggio d’azione.
Semaforo
rosso.
“Ti
sei divertita?”
“Sì,
mamma, moltissimo.”
“Bene,
sono contenta.”
“Allora,
visto che sei contenta,
perché non mi dici chi te l’ha
regalata?” Si drizzò sul sedile.
“Me
lo hai già chiesto mille
volte. No.”
“Dai
mamma, ti prego!” Simulò gli
occhioni in stile Gatto con gli stivali
di Shrek. “È
stato Riccardo, vero?”
Scattò
il verde.
“Come
sei insistente quando vuoi
sapere una cosa!” Le scappò un sorriso.
“Lo
sapevo. Non poteva essere
stato nessun altro.” Si appoggiò allo schienale e
si voltò a guardare fuori dal
finestrino. “Perché te l’ha
regalata?”
“Elena,
sei troppo curiosa.”
“Ah,
ma allora c’è un motivo in
particolare.” Aveva fatto apposta, quella furbetta di sua
figlia, a formulare
quella domanda.
Cristiana
scosse la testa.
“Comunque
è bellissima.”
Parcheggiò
la macchina in garage
ed Elena gettò il borsone con gli accessori della piscina
sul divano.
“Vado
a farmi una doccia”
dichiarò la ragazzina lasciando le infradito sul tappeto,
disordinatamente come
sempre.
“Adesso!?”
“Sì,
così finisco giusto in tempo
per il pranzo.”
“Sei
mezza matta, ecco cosa sei!”
scherzò la madre aprendo il borsone. “E molto
disordinata!”
“Mamma”
era ritornata in
soggiorno mentre si disfaceva le trecce.
“Dimmi.”
“Tanto
l’ho capito che ti ha
chiesto di sposarti.”
“No,
non ci posso credere! Ma non
stai scherzando, vero?” chiese conferma Laura.
“Certo
che no” asserì Valerio
pacatamente.
“Ma
te l’hanno detto loro?” rise,
ancora incredula.
“Indirettamente…”
“E
noi quando ci sposiamo?”
“Vuoi
tentare di farmi fare il
record di più matrimoni nel minor tempo?”
“Dai,
non dicevo sul serio.”
“Vieni
qui” la prese per la vita
e l’abbracciò, accarezzandole i capelli biondi.
“Non dirlo in giro, ok?”
“Solo
ad Eva.”
“Noo.”
“Dai,
almeno avremo un argomento
su cui discutere… le nostre serate in questo ultimo periodo
si spengono dopo
qualche chiacchiera su di te…”
“Grazie
per avermi messo al
corrente. Tanto lo so che voi femmine morite dalla voglia di
spettegolare su
tutto.”
“È
la mia migliore amica. E poi
prima o poi dovranno dirlo a tutti.”
Sorrise.
Era la stessa identica
cosa che aveva cercato di dire a Riccardo per fargli sputare il rospo.
“Però
questo non vuol dire che
voi dobbiate velocizzare la faccenda.”
La
porta si spalancò e un
infermiere si catapultò nella stanza. “Abbiamo un
codice rosso!”
Entrambi
uscirono di corsa
lasciando il discorso al punto in cui era giunto.
Eva
e Franco erano appena entrati
al pronto soccorso spingendo una barella con un bambino incosciente.
Avrà avuto
sì e no quattro anni.
Ad
accoglierli furono Valerio,
Laura e Malosti.
“Costa,
vai a chiamare la
Ranieri, dille che l’aspettiamo in…”
Riccardo si voltò verso Teresa come per
chiederle quale sala fosse libera.
“Chirurgia
1, potete andare là”
rispose rapida la donna da dietro il desk.
“Hai
visto Marina?” chiese Laura
a sua volta, mentre i due medici si occupavano del bambino.
“La
chiamo subito.” Digitò svelta
il numero della pediatra e l’avvisò di recarsi in
sala chirurgia.
Eva
e Franco si avvicinarono al
bancone.
“Povero
piccino, ma che cos’ha?”
domandò loro Teresa.
“Non
lo sappiamo. La madre ha
detto di averlo trovato nel suo lettino che non respirava. Siamo
riusciti a
rianimarlo, ma è necessario un intervento
d’urgenza” spiegò diligentemente il
paramedico.
I
tre si guardarono un attimo
negli occhi in silenzio, sospirando.
“Voi
state bene?” tentò Laura
sapendo del periodo non troppo buono che avevano passato i due colleghi.
“Sì,
dai, abbastanza” rispose Eva
guardando Franco con il sorriso sulle labbra.
“E
tu invece? È un po’ che ti
vedo davvero felice” affermò l’altro
dandole una leggera pacca sulla spalla.
“Sì,
lo sono. Tra poco il
matrimonio di Valerio sarà acqua passata”
confermò raggiante.
“Ah
sì?” s’intromise la voce
squillante di Teresa appoggiandosi al bancone di fronte a loro.
“Le cose si
stanno sistemando un po’ per tutti, qui al
Morandini.”
“Già.
Anche Riccardo e
Cristiana…”
“Ah
beh, io lo sapevo sin
dall’inizio che quei due più litigavano e
più si avvinavano” si vantò la rossa.
“In
effetti… Adesso aspettano
anche un figlio, e poi…” si zittì
all’improvviso.
“Poi?”
ripeté la curiosona
spalancando le orecchie.
“Sì,
poi cosa?” la seguì Franco
ricevendo una gomitata da Eva per rimproverarlo di ficcare il naso
negli
interessi altrui.
Si
guardò intorno, ma in realtà
quello che avrebbe voluto fare era dare testate al muro per non essere
stata
più discreta. “Io non dovrei dirvelo” li
avvertì.
“Però
l’hai detto” la mise alle
strette.
“Vanno
a vivere insieme?” scattò
Eva illuminandosi.
“Sarebbe
il minimo” intervenne
Franco.
“Appunto”
terminò Laura, titubante.
“Non
le sai dire, le bugie.” Eva
scosse la testa.
“E
va bene. Si sposano” riferì
come se stesse parlando dei biscotti preferiti di Valerio.
La
faccia di Teresa era tutto un
programma: con la bocca semispalancata guardava Laura tenendo il capo
inclinato
e gli occhi luccicosi. “Lo sapevooo!”
gridò tutto d’un tratto, spaventando
metà
della gente tra medici e pazienti. Fece un giro su se stessa e
continuò a
ripetere la stessa frase fino a quando le espressioni tra lo stupito e
il
preoccupato degli altri tre non la riportarono coi piedi per terra.
Si
schiarì la gola e si lisciò
l’abito tornando nella sua compostezza. “Che bello,
no?”
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Capitolo 27 *** Cercando un testimone ***
Cercando un testimone.
“Scalcia?”
“Qualche
volta.”
Teneva
la propria mano sul
pancione e il suo sguardo sorridente alla mamma.
La
sala medici era tutta per
loro, in quel pomeriggio di luglio: il caldo cominciava a farsi
intenso, anche
se con l’aria condizionata all’interno del pronto
soccorso quasi non ci si
faceva caso.
Riccardo
era semidraiato sul
divano bianco, e la Gandini era appoggiata a lui, la schiena contro il
suo
petto.
“Ho
incontrato Palumbo, prima”
raccontò Cristiana deliziata dalle coccole di Riccardo.
“Mmm;
è una novità. Credevo
frequentasse il Morandini solo come passa tempo.”
“Eh,
ma devi capirlo, adesso ha
una vita anche al di fuori del pronto soccorso.”
“Sarà.
Comunque, dicevi?” Le
solleticò la nuca con le labbra, facendola sorridere.
“Mi
ha fatto gli auguri per il
matrimonio.”
“Palumbo”
ripeté, un po’
sorpreso.
“Sì.”
“E
chi gliel’ha detto?”
“Non
guardare me.”
“Tu
a chi l’hai detto?”
“A
Marina.”
“Ecco.”
“Solo
perché le ho chiesto di
essere la mia testimone!” si giustificò subito.
“Stai
già pensando ai testimoni!?”
“E
tu ai fiori per la chiesa.
Guarda che organizzare un matrimonio non è così
immediato.”
“Quindi
dici che dovrei cercare
un testimone anche per me.”
“Bravo,
hai colto nel segno.” Si
lasciò stringere dalle braccia di Riccardo. “Come
hanno reagito Dario e
Alessandro?”
“Non
gliel’ho ancora detto.”
“Complimenti.”
“Non
è facile… ed Elena?”
“Lo
ha capito da sola.”
Non
rispose, e a Cristiana scappò
una risata.
“Perché
non li fai venire qui?”
“Sì…
e poi? Dai, sii seria.”
“Oggi
a pranzo. Ci prendiamo
tutti e quattro un panino al bar e intanto ne parliamo.
Anzi…” Pescò il
cellulare dalla tasca del camice. “Chiamo anche
Elena.”
“Pure.”
“Ssh.”
Appoggiò il telefonino
all’orecchio, mentre Malosti faceva di tutto pur di distrarla
e farla ridere.
“Pronto,
Elena?” Ma Riccardo
cominciò a farle il solletico e il tentativo inutile di
Cristiana di bloccargli
il braccio non andò a buon fine, anche perché con
l’altra mano teneva il
cellulare.
“Uffa,
perché mi hai svegliato?”
fu il saluto lamentoso dall’altro capo del filo.
“Riccardo
smettilaaa!” gli
afferrò la mano ma lui continuò con
l’altra.
“Mamma
che succede?” chiese accompagnando
la domanda con uno sbadiglio.
“Niente
niente” riappoggiò
l’apparecchio all’orecchio e cercò di
alzarsi, ma il suo nemico non la lasciava
andare.
“Allora?”
la voce di Elena era
abbastanza scocciata.
“Mangiamo
insieme, oggi a
pranzo?” chiese trattenendo una risata.
“A
dir la verità avevo già un
appuntamento con le mie amiche.”
Silenzio.
“Mamma
ci sei ancora?”
“Sì,
sì, amore, ci sono. Stai
fermo!”
“Ma
con chi ce l’hai?” Il
cellulare volò all’altro capo del divano, e
finalmente Cristiana fu libera di alzarsi
per andare a recuperarlo.
“Scusa,
Elena, è colpa di un
paziente un po’ irrequieto.” Lo guardò
sdraiato sul divano che rideva.
“È
proprio necessario?”
“Sarebbe
bello che venissi anche
tu. Però, se proprio non puoi…”
“Non
è che non posso, è che
avevamo già organizzato una cosa tra noi
amiche…” Starnutì.
“Hai
il raffreddore?” le chiese
subito.
“No,
non ho niente. È l’orario.”
“Ma
se sono le dieci e mezza?”
“Mamma
per favore” tirò su col
naso.
“Va
bene, Elena, fai quello che
vuoi, non ti obbligo a venire.”
“Ok,
mamma, ci vediamo stasera.”
E chiuse la chiamata prima che Cristiana potesse salutarla.
La
Gandini lasciò cadere il
cellulare in tasca e si girò verso Riccardo che aveva preso
una posa un po’ più
degna di prima.
“Cos’ha
detto?” le chiese.
“Che
non viene.”
“Mi
dispiace.”
“Chiedi
ai tuoi figli, no?” Tornò
a sedersi accanto a lui, mantenendo però rigorosamente
qualche decina di
centimetri di distanza.
“Avessi
il cellulare…”
“Oddio,
mi sa che è una settimana
che giro con il tuo telefonino nella borsa!” Si
alzò e raggiunse il suo
armadietto personale, dal quale estrasse la borsa.
“Scarico.”
“Che
bello.”
“Tieni
il mio, dai.” Glielo gettò
addosso.
“Come
si accende?”
“È acceso.”
“Non
fare la precisina…”
Se
lo riprese e avviò la
telefonata verso il numero di casa di Riccardo. “Tieni, sta
già chiamando.”
“Pronto,
chi è?” La velocità
della risposta dimostrò quanto suo figlio fosse
più mattiniero di Elena.
“Dario,
sono Riccardo.”
“Che
c’è?”
“Non
ti ho svegliato, vero?”
richiese la conferma.
“No,
stavo facendo colazione.” Ah
beh, tanta differenza non c’era.
“Vi
va, a te e tuo fratello, di
pranzare con me e Cristiana, oggi a pranzo?” Al suo nome la
Gandini cominciò ad
agitare le braccia in aria per cercare di dirgli che non doveva
lasciarsi
sfuggire quel particolare.
“Ah
sì sì” rispose invece il
figlio, calmissimo.
“Anche
Alessandro è d’accordo?”
“Boh.
Lui sta dormendo.” Sentì
sgranocchiare qualcosa, molto probabilmente un biscotto.
“Vabbè,
dai, allora vi aspetto
verso l’una.”
“Va
bene, pa’. Ciao.”
“Ciao
ciao.”
Pigiò
tutti i tasti possibili e
immaginabili prima di trovare quello giusto per interrompere la
chiamata.
“Probabilmente
ti ho fatto un po’
di casino…” Si alzò dal divano e le
restituì il cellulare.
“Mmm!”
Cristiana dovette togliere
e reinserire la batteria per resettarlo.
“Combinaguai” gli disse sorridendo. E
in cambio ricevette un bacio.
“Vado
a trovarmi un testimone.”
“Ok.”
Si
piegò sulle ginocchia per
arrivare ad altezza pancione. “Ciao piccolino” lo
accarezzò e poi uscì dalla
sala scoppiettante d’allegria.
“E
così ti sposi. Pure tu.” Si
appoggiò alla scrivania tenendo lo sguardo fisso al
pavimento.
“È
così devastante?”
“Mi
sento di troppo, dentro tutta
questa felicità.”
“Non
dire sciocchezze. Sarai il
mio testimone, vero?” Gli diede una pacca sulla schiena.
“Non
sono in vena di matrimoni.”
“Sergio,
sei l’unico a cui posso
chiedere.”
“No,
non è vero.” Si portò una
mano davanti agli occhi.
“Lo
so che sei distrutto. Vuoi
che non capisca che lavori tutto il giorno solo per
distrarti?”
“Palumbo,
Santamaria…”
“Rocco
ed Ettore. Ma secondo te al
mio matrimonio voglio come testimone uno di quegli
addormentati?”
Era
riuscito a farlo ridere.
“Grazie,
Malosti, che almeno ci
sei tu, a tirare su di morale i poveri disgraziati come me.”
“Mai
arrendersi.”
“Già.”
“Dai,
io vado, a presto.”
“Ciao.”
Raggiunse
la porta e l’aprì. Poi,
ripensando all’ultima frase del primario, tornò
sui suoi passi. “Eri ironico,
vero?”
“Ovviamente.”
|
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Capitolo 28 *** Famiglia allargata ***
Famiglia
allargata.
Riccardo
e la Gandini erano in
piedi di fronte all’entrata del Morandini, e controllavano di
tanto in tanto se
i due ragazzi s’intravvedessero all’orizzonte.
“A
che ora hai detto che sarebbero
venuti?”
“All’una.
Ma sono sempre in
ritardo.” Malosti controllò l’orologio.
Era l’una e un quarto.
“Avranno
avuto dei problemi con
la metro” ipotizzò Cristiana.
“Eccoli”
li indicò.
“Ciao
pa’. Buongiorno Cristiana”
esordì Dario.
“Una
pettinata ogni tanto non ti
farebbe male” lo riprese Riccardo spettinandolo ancora di
più con una carezza
sulla testa.
“Ciao
ragazzi” li salutò molto
più cortese la dottoressa.
“Posso
sentire il pancione?”
“Dario!”
intervenne Malosti.
“Eddai,
pa’!”
Alessandro
si mise a ridere: suo
fratello era sempre il solito.
“Riccardo,
lascialo fare!” Guardò
il ragazzo che sorrise e appoggiò timido una mano sul ventre
di Cristiana.
“Ciao,
bambino!”
Riccardo
scoppiò a ridere e si
appoggiò al muro.
“È
un maschio o una femmina?”
chiese Alessandro rimasto in quel momento in disparte.
“Non
lo sappiamo ancora” rispose
Cristiana.
“Io
spero sia un maschio” disse
francamente Dario. “Così possiamo giocare in tre
alla play station.”
“Perché,
una femmina non saprebbe
fare a giocare alla play station?” domandò
Riccardo.
“Beh…
in effetti…”
“Dai,
andiamo dentro, su, ché la
nostra pausa pranzo non dura in eterno” li spronò
il padre facendoli entrare.
“Ah,
ma abbiamo tutta la
famigliola al completo, qui!” I soliti commenti di Teresa.
“Ciao”
salutarono in coro i due
ragazzi.
“Come
state?” fece il giro del
bancone e li raggiunse. “Come siete cresciuti!”
“Bene,
grazie” rispose
Alessandro.
“Bene”
fece eco l’altro.
“Siete
venuti a trovare il futuro
fratellino, eh?”
I
due figli guardarono il padre
in cerca di una risposta.
“Sì,
sì, Teresa, scusaci, andiamo
a prendere qualcosa da mangiare, sono affamati” sciolse
l’inghippo Malosti,
placando la sete di curiosità della donna.
“Bene,
buon appetito.”
Aspettarono
che avesse compiuto
qualche passo in direzione della sua postazione, poi Riccardo mise un
braccio
attorno alla schiena di Cristiana e insieme ai due figli si fiondarono
al bar.
“Io
prendo due panini, però di
quelli grandi” stava prenotando Dario al padre.
“Non
devi mica dirlo a me, ma al
barista…” rispose lui cercando con gli occhi un
tavolino libero abbastanza
grande. L’unico da quattro posti era occupato da Danieli. Da
solo. Che però,
appena li vide, si alzò, gettò la carta della
consumazione appena fatta e li
andò a salutare.
“Famiglia
Malosti!” esclamò,
mentre i due ragazzini si dileguavano al bancone del bar per comprare
tutto ciò
che fosse commestibile.
“Non
prendere bibite gassate, che
fanno solo male!” raccomandò loro Riccardo.
“Che
carini che sono” commentò il
primario.
“Perché
li vedi adesso…”
“Andiamo
a sederci?” chiese
Cristiana interrompendo la discussione.
“Sì,
andiamo. Ciao Sergio.”
“No,
aspetta. Vuoi sederti con
noi?” lo invitò la Gandini.
“No,
guarda, grazie, ma ho già
messo qualcosa sotto i denti, e devo sbrigare alcune faccende nel mio
studio.”
Alzò una mano in segno di saluto e uscì dalla
sala.
Entrambi
si voltarono verso Dario
e Alessandro, che si stavano in quel momento sedendo al tavolo appena
lasciato
libero, con due vassoi pieni di cibo. E lattine.
“Ma
quanta roba avete preso?”
cominciò Malosti contando mentalmente i panini e le bibite.
“Ne
abbiamo presi anche per voi…”
spiegò con aria innocente Alessandro. “Ho fatto
male?” subito si sentì in colpa.
“Ma
no, certo che no” lo
tranquillizzò Cristiana. “Avete preso
dell’acqua?”
“Vado
subito a prendertela” si
offrì Dario gentilmente.
“Strano”
considerò Riccardo
appena si fu allontanato. “Con me non si è mai
comportato così educatamente.
Per farlo alzare da tavola ci volevano i carri armati.”
Alessandro
sorrise. “Posso dirvi
un segreto?”
“Certo”
rispose la dottoressa.
“Mentre
venivamo qua, mi ha
confessato che è stracontento di avere un
fratellino.”
Riccardo
guardò Cristiana con
aria allegra, poi si rivolse al figlio. “E tu sei
contento?”
Arrossì.
“Certo, non vedo l’ora
di prenderlo in braccio!”
Cristiana
non poteva non sentirsi
felice. Aveva un uomo che l’amava, i cui figli non si erano
indiavolati alla
notizia di un nuovo membro della famiglia in arrivo. Ma ora stava per
arrivare
il bello. Chi avrebbe parlato loro del matrimonio?
Tornò
Dario, con la bottiglia
d’acqua fresca in mano. “Va bene
naturale?”
“Sì,
è perfetta, grazie.”
I
due ragazzi si erano già
catapultati sui vassoi ad agguantare i panini più grandi che
avevano preso –
svaligiando quasi tutto il banco –, ma i due adulti non
avevano ancora toccato
cibo.
Cristiana
fece un cenno col capo
a Riccardo come per fargli aprire bocca per primo, ma lui non demordeva
nel suo
silenzio. Allora lei, da brava donna diplomatica, iniziò il
discorso.
“Ragazzi,
io e vostro padre
volevamo dirvi una cosa.”
“Sono
due gemelli?” saltò su
Dario sorridendo raggiante.
Riccardo
guardò la futura moglie
ridendo. “No, non sono due gemelli” negò.
“Ah,
peccato.”
“Volevamo
dirvi che…” tentò di
continuare lui.
“Dottoressa
Gandini!” Di nuovo
quella voce. Li perseguitava ovunque. Si voltarono tutti e quattro e
all’ingresso
del bar c’era proprio lei: Teresa.
Ma
non era sola. Sua figlia era
accanto a lei, il volto piegato e gli occhi bassi verso il pavimento.
“Elena?”
La vide e si alzò, cosa
che fece Riccardo a sua volta. “Cosa ci fai qui?”
“Mamma…
Mi dispiace. Io mi
comporto sempre male con te. Sono venuta per scusarmi.”
“Non
fare così…” le sollevò il
mento per guardarla in faccia. “Tesoro ma sei
pallidina!”
“Non
ho niente, solo un po’ di
raffreddore.” Quello che aveva diagnosticato la madre quella
mattina grazie ad
uno solo starnuto per telefono.
“Riccardo,
ce l’hai in tasca un
termometro?” Il dottore infilò le mani nelle
tasche e lo trovò; lo passò sulla
fronte della ragazza e lesse la temperatura: trentasette e otto.
“Un
po’ d’alterazione” disse.
“Insomma…
quasi trentotto!”
“Vabbè,
se la metti così!”
“Vi
prego, non cominciate a
litigare” li fermò la cheta voce di Elena.
“No,
no, amore, adesso ti porto a
casa, ti faccio qualcosa da mangiare e poi vediamo se ti
passa…”
“Dottoressa,
se vuole
l’accompagno io a casa, lei non ha ancora finito il
turno…”
“Teresa,
non ti preoccupare, ci
penso io.” Le accarezzò una guancia e si rivolse a
Riccardo. “Ci parli tu con
Sergio?”
“Sì,
vai pure” rispose serio.
“Salutami
i ragazzi.” Fu l’ultima
frase. Poi un sorriso. E uscì di scena.
“Che
cos’è successo?” chiese
Dario il curiosone nel momento stesso in cui Riccardo si sedeva al
tavolo con
loro.
“Niente,
la figlia di Cristiana
ha un po’ di febbre.”
“Ah.”
“Non
è niente, dai, continuate a
mangiare.”
“Papà?”
parlò poi Alessandro tra
un morso e un altro. “Ma cosa dovevate dirci?”
Il
momento della verità. Ma ormai
era in gioco, tanto valeva svelar loro la realtà dei fatti.
“Non
è che vi lasciate, vero?”
continuò il ragazzino.
“No,
no, al contrario.” Fece una
pausa. “Siete i miei figli, io avrei dovuto prima chiedere a
voi. Perdonatemi.”
“Se
ci dici…”
“Ho
chiesto a Cristiana di
sposarmi” riuscì a annunciare con grande fatica.
Dario
e Alessandro si guardarono.
“Quindi
vuol dire… che diventerà
tipo una mamma per noi?” chiese il primo dall’aria
non esattamente sconvolta
come se l’aspettava.
“Beh,
diciamo di sì.”
Sorrisero.
“Non
siete arrabbiati, non ve ne
andate gridando, o offendendomi…?”
“Ma
no, papà” disse calmo
Alessandro. Si alzò dal tavolo seguito dal fratello e gli
andarono incontro
abbracciandolo tutti e due insieme. “Ti vogliamo
bene.”
“E
ne vogliamo anche a Cristiana,
e al nuovo fratellino” concluse Dario.
“Grazie
ragazzi. Vi voglio bene
anch’io.”
|
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Capitolo 29 *** Maschio o femmina? ***
Maschio o femmina?
Ad
una settimana al matrimonio
cominciava a farsi sentire l’ansia.
Quel
pomeriggio Cristiana aveva
appuntamento dal ginecologo per i controlli di routine, e si
recò quindi in
reparto non senza tremila raccomandazioni di Riccardo.
“Guarda
che sanno fare il loro
mestiere!”
“Sì,
sì, però sai che non mi fido
molto.”
“Lo
so. Ma non sei l’unico bravo
medico sulla faccia della terra.”
Le
schioccò un bacio sulle
labbra.
“E
poi, scusa, cosa cavolo ci vai
a fare, se ci sono io a tenerti sotto controllo?”
“Ma
per principio, no? È il
ginecologo che mi segue, e ci vado!”
“E
poi lo sai, no.”
“Cosa?”
“Che
è una femmina.”
“Lo
dici tu, ma non hai prove
empiriche.”
“Mi
basta guardarti.”
Sorrise.
Perché ad un sorriso
come quello che le mostrava, non c’era altro da fare che
ricambiarlo.
“Ti
accompagnerei, ma Sergio
rompe, se mi allontano.”
“Lo
so.”
“Torna
presto.”
“Stai
tranquillo.” Entrò
nell’ascensore che si era appena aperto e premette il
pulsante del piano
relativo all’ambulatorio dove si doveva recare. E, prima che
la porta si
chiudesse, lo salutò un’ennesima volta agitando un
braccio.
Il
primario prese in mano quella
cornetta e digitò rapido quel numero che conosceva a
memoria. Non era mai stato
ferrato ad imparare numeri di telefono, a dir la verità. Ma
quello… beh, quello
gli era costato la minima fatica.
“Il cliente da lei chiamato non è al
momento raggiungibile, si prega di
richiamare più tardi, grazie.”
Forse era l’orario. E si mise l’animo in pace.
Certo che, però, una telefonata
ogni tanto non sarebbe stata male. Tuttavia non poteva sapere se il
marito la
controllasse o no giorno e notte. O se fosse lei stessa a volere
eliminare per
sempre il contatto con lui.
Toc toc.
“Avanti”
disse calmo il professore.
Era
Marina. “Posso entrare?”
“Certo,
vieni.”
Si
accomodò sulla sedia di fronte
alla scrivania. “Hai già pensato al regalo per
Cristiana e Riccardo?”
“Gli
altri hanno qualche idea?”
“Non
lo so. Fatto sta che il
regalo dei testimoni è a parte.”
“Ah.”
C’era dentro con tutte le
scarpe. “Tu sei una donna, hai ovviamente più
fantasia di me in questo genere
di cose.”
“Avevo
pensato ad una
carrozzina-passeggino di quelle super accessoriate.”
“Non
male.”
“Però
dobbiamo dirlo agli altri
prima che ci rubino l’idea.”
E
Sergio non era per niente in
vena di discutere su queste cose.
“Tutto
bene?” lo risvegliò la
pediatra.
“Sì,
sì.” Si alzò e fece il giro
della scrivania. “Ci pensi tu, a dirlo in giro?”
“Certo.”
Si alzò a sua volta.
“Sicuro che sia tutto apposto?”
Danieli
annuì. “Ci vediamo più
tardi.”
“Ok.”
Richiuse la porta dello
studio e sospirò. Come solito era sempre lei che alla fine
si doveva occupare
di queste cose.
Rocco
ed Esther stavano
allegramente passeggiando per i corridoi del Morandini.
“Non
è che stavolta al posto del
set di mestoli regaliamo una batteria di pentole, vero?”
iniziò Esther
spingendo il carrello dei medicinali davanti a sé.
“Guarda
che sono state la Gandini
e la Ranieri, a decidere, per lo scorso matrimonio”
puntualizzò Rocco.
La
caposala sorrise.
“Sì,
ma se tutte le volte che si
pronuncia il suo nome, ti illumini come un albero di Natale, faccio a
meno,
eh!”
“No,
no, scusa.”
Lasciarono
il carrello
all’interno del box doppio e continuarono il viaggetto.
“Il
lettino, no?”
“Un
lettino!?”
“Ma
sì, per il bambino.”
“Devo
dire che ogni tanto hai
anche delle buone idee. È l’effetto della
pediatra, che ti mette in moto il
cervello?”
“Smettila
di scherzare.”
“Oh,
Esther” la sua voce la fece
girare.
“Marina!”
“Eccola”
mormorò piano Rocco,
mettendosi a ridere.
“Scusate
se vi disturbo…”
“No,
no, non ci disturbi” rispose
rapida la caposala mostrando un suo miglior sorriso.
“Volevo
parlarvi dei regali per
il matrimonio” incluse nel discorso anche Rocco.
“Lo so, noi siamo
tremendamente in ritardo.”
“Pure
noi” confermò l’infermiere.
“Tanto
meglio. Io e Sergio
abbiamo deciso per la carrozzina, quindi, attenti a non fregarci
l’idea!”
“Puoi
stare tranquilla, non era
nostra intenzione” la mise al corrente Esther.
“Già”
s’inserì Rocco. “Costei ha
pensato al lettino.”
“Grande
idea, complimenti!” le
appoggiò istintivamente una mano sulla spalla e lei sorrise
nervosa per il
contatto.
“Ehm…
grazie.”
“Senti,
io questo pomeriggio vado
in centro in quel negozio per bambini che hanno aperto l’anno
scorso, hai
presente?”
“Ehm…”
Risposta insicura per evitare
di limitarsi ad un no secco.
“Volevo
chiederti se ti faceva
piacere accompagnarmi, così diamo
un’occhiata.”
La
proposta di Marina la fece
arrossire a tal punto che persino le sue mesh alla zucca cambiarono
colore.
“Sì,
grazie, ci penserò…” Era al
massimo dell’agitazione.
“Va
bene, allora mi avvertirai
della tua decisione più tardi in pediatria, ok?”
La
caposala annuì, e Marina si
allontanò.
“No,
aspetta!” esclamò Esther
prima che la donna percorresse l’intero corridoio.
La
pediatra si voltò.
“D’accordo,
vengo.”
Marina
sorrise e tornò a
camminare, mentre la caposala continuava a guardarla incantata.
“Stamattina
sono andata a ritirare
il mio vestito per il matrimonio di Riccardo e Cristiana.”
Laura fece dondolare
una sportina colorata davanti al dottor Santamaria. “Vuoi
vederlo?”
“Eh,
no! Non voglio mica
rovinarmi la sorpresa!”
“D’accordo…”
finse una faccia
imbronciata.
“Solo
il colore.”
“No,
non vale più.” Nascose la
sportina nel suo armadietto e lo richiuse dolcemente.
“Ho
sentito che stanno scegliendo
i regali” la mise al corrente Valerio.
“Lo
so. Rocco ed Esther il
lettino, i testimoni il passeggino…”
“Come
fai a sapere tutte queste
cose!?”
“Io
mi informo. E ho già pensato
a noi.”
E
meno male, lui non aveva
nemmeno una mezza idea. “Sentiamo.”
“Hai
presente quell’affare che si
attacca sopra la culla e gira facendo la musichetta?”
“Quello
con le apine e i vari
animaletti?”
“Bravo,
quello lì.”
“Ma
ti pare un regalo… normale?”
“Se
hai delle storie ci vai tu, a
comprare quello che vuoi! Gli altri hanno già prenotato
tutti i regali che tu
definisci normali!”
“Va
bene, finiamola qua. Almeno
ci ricorderanno per qualcosa di diverso, mettiamola
così.”
Laura
sorrise. “Sei fantastico.”
L’ascensore
si fermò al piano
terra e la donna di Malosti fece il suo passo fuori dalla cabina.
Glielo
doveva ovviamente dire. E
sorbirsi altre mille lamentele sulla professionalità non
professionale degli
altri medici. Rigorosamente tutti incompetenti. Perché solo
lui era il più
bravo. Perché solo lui era il chirurgo con più
esperienza e abilità manuale di
tutto il Morandini & Co. Perché solo lui era Malosti.
E
si sarebbe arrabbiato. Con lei,
con il ginecologo, con tutti.
Le
sue labbra non sorridevano,
quando entrò nella sala medici silenziosa.
E
così si alzò e le andò incontro
senza parlare.
“Il
bambino sta bene?” era
l’unica cosa che gli interessava in quel momento.
“Sì.”
La
guardò con espressione
interrogativa. Perché non sorrideva. “Allora qual
è il problema?”
“Il
ginecologo non è riuscito a
capire se è un maschio o una femmina.”
“Di
nuovo?” Ok, era arrabbiato.
“Facciamo prima a vederlo nascere, che aspettare
lui!”
“Non
fare così, dai.” Cercò di
calmarlo. Ma non ci riuscì. Era testardo come pochi.
“Certo
che un ginecologo che non
sa leggere un’ecografia… Come siamo
ridotti!”
“Daiii,
non è colpa sua, c’entra
con la posizione del bambino!”
Ma
non si smuoveva. “Vieni con
me.” La prese per mano, ma lei non si mosse.
“E
dove?”
“Te
la faccio io, l’ecografia.”
“Adesso
non esagerare, ti prego.”
“Fidati
di me.”
Il
problema era che si fidava di
lui, forse troppo. E quindi lo seguì. Purtroppo per lei un
box libero c’era,
così dovette sopportare l’esagerata premura di
Malosti, che andò a recuperare
l’ecografo portatile che in quel momento aveva appena finito
di utilizzare un
altro medico nel box adiacente, e tornò da lei, che, di
malavoglia, si era
sdraiata sul lettino.
“Ma
non faranno male, tutti
questi ultrasuoni?” tentò di convincerlo a
piantarla.
Ma
Riccardo negò. “Solo qualche
secondo.”
Dopo
avere applicato un po’ di
gel sul pancione di Cristiana – e dopo averla sentita
lamentarsi per il fatto
che fosse gelato – accese lo schermo e si mise a scrutare suo
figlio con molta
attenzione.
“Potresti
girare lo schermo, per
favore?” chiese lei sollevandosi sui gomiti per cercare di
vedere qualcosa.
“Ssh.
E stai ferma.”
Tornò
sdraiata. “Ma potevo
scegliermelo non dottore?” mugugnò aspettando una
sua reazione.
“No.”
Ancora
qualche attimo di silenzio.
E poi, finalmente, girò lo schermo verso di lei.
“Te
l’avevo detto che sono il
migliore. È una femmina.”
Dannazione.
Aveva sempre ragione.
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Capitolo 30 *** Quel giorno ***
Quel giorno.
“È…
tutto pronto, no?” Cristiana
era al limite dell’agitazione.
“Sì,
ma ti devi rilassare,
altrimenti non ci arrivi all’altare” cercava di
mantenere tutto sotto
controllo.
La
fece sedere sul divano in
soggiorno. “Ora mi devo vestire anche io, ché
è già tardi.”
Laura
la lasciò nel silenzio
della stanza.
Mi sposo. Cioè, non ci credo. Tra
mezz’ora mi sposo. Mi sposo con
Riccardo. E aspetto un figlio da lui. Cioè, una figlia. Lei
dice bene, ma com’è
possibile stare calmi in una situazione del genere?
La
bambina scalciò, spaventando
la madre.
“Ti
ci metti pure tu adesso? Non
farmi brutti scherzi, eh!”
“Parli
da sola?” era Laura dalla
camera da letto.
“Ma
no! Con lei…” disse
accarezzandosi il pancione. “Oggi non vuole star
ferma…”
“Sarà
nervosa anche lei!”
“E
chi lo sa, può darsi.”
“Allora,
come sto?” Laura era
tornata davanti a lei a mostrarle l’abito. Lungo fino al
ginocchio, color rosa
chiaro con una fantasia a fiori, molto estivo, fasciato in vita da un
nastro
fucsia che terminava sulla schiena in un grosso fiocco.
“Sei…
bellissima.”
“No,
bellissima sei tu, sia
chiaro.”
Stesso
orario, studio del
professor Danieli. Rigorosamente chiuso a chiave.
“Sì,
ma se stessi fermo, non vedi
che hai la gamba del pantalone messa male?”
No,
in realtà non vedeva proprio
niente. Aveva solo un gran caldo, e quella cravatta gli dava un enorme
fastidio, così la slacciò un po’.
“Eh
no, pure la cravatta?”
Danieli si stava arrabbiando. Gli sistemò il nodo ma
Riccardo reclamava come un
bambino a cui non andava bene niente.
“Non
sono abituato a portare
cravatte!” esclamò nervoso.
“E
abbi pazienza per qualche ora!
Cosa sarà mai!”
“La
fai facile… non sei tu, lo
sposo.”
Sergio
prese in mano il telefono.
“Vuoi chiamarla e disdire?”
“Non
ci penso neanche, ormai sono
vestito, e la torta è ordinata…”
“Dai,
andiamo” Laura l’accompagnò
alla propria macchina sistemando di tanto in tanto l’abito
della sposa.
“Saranno
già arrivati?”
La
guardò tramite lo specchietto.
“Beh, manca un quarto d’ora, credo di
sì…”
Cristiana
sorrise. “Sono felice,
lo sai?”
“E
lo credo bene! Tra poco ti
sposi… e aspetti anche una bambina!”
“Non
saranno troppe cose tutte
insieme? Forse avremmo dovuto aspettare la
nascita…”
“Il
battesimo, la prima comunione
e la maturità! Cristiana, ma non sarà la cosa
migliore quella di diventare una
famiglia e poi mettere al mondo
vostra
figlia?”
“Sì,
sì, scusa, ma è tutta questa
agitazione che mi mette sotto sopra i pensieri.”
“Sergio,
adesso mi devi ascoltare
bene.”
“Allora
aspetta che mi siedo, non
si sa mai.” Prese posto su una delle due sedie antistanti la
scrivania.
“Dunque…”
fece mente locale. “La
macchina di Cristiana è nel garage di casa mia, ieri
pomeriggio l’ho portata a
far lavare e stamattina prima di venire qui c’ho messo i
fiori sul cofano con
tutti i nastri, nastrini e robe varie.”
“Mmm…
non pensavo ti fossi
ricordato perfino di sistemare la macchina della sposa. Ma qual
è il problema?
Non usate la tua?”
“Voglio
farle una sorpresa.”
Sorrise. “E tu sarai l’autista.”
“Bel
lavoro.”
“Non
scherzare. Adesso io vado in
chiesa, invece tu vai a casa mia, tiri fuori la macchina e ci raggiungi
con
quella.” Sfilò le chiavi dalla tasca degli altri
pantaloni appoggiati a
casaccio sull’altra sedia.
“Mi
raccomando però” lo avvertì
prima di consegnargliele. “Parcheggiala dietro la chiesa, non
la deve vedere
nessuno.”
“Va
bene, va bene.”
Si
sistemò per l’ennesima volta
il nodo alla cravatta e aprì la serratura della porta.
“Riccardo.”
Si
voltò a guardarlo.
“Auguri.”
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Capitolo 31 *** Quel giorno, qualche minuto dopo ***
Quel giorno, qualche minuto dopo.
Teresa,
Esther e Rocco erano in
mezzo alla navata in cerca del pettegolezzo prematrimoniale.
“Avete
visto com’è bella Marina?”
iniziò Terry toccandosi i capelli per controllare che tutto
fosse in ordine.
“È
la testimone. Ci mancherebbe
che non fosse bella…” fece il suo intervento
Rocco. “Sarai forse invidiosa?”
“Macché”
si affrettò a rispondere
lei. Esther, che non aveva ancora detto nulla, lasciò il
trio e raggiunse la
pediatra vicino all’altare.
“Ma…”
iniziò l’ispettrice.
Rocco
rise. “Già, tu non lo sai!”
esclamò, tutto orgoglioso.
“E
cosa dovrei sapere?” era già
infuriata al solo pensiero di non sapere
qualcosa.
“Dicono
di averle viste entrare
in un ascensore” spiegò sottovoce fieramente.
“E
con ciò?”
“E
uscire a braccetto” terminò
piegandosi verso di lei.
“Tutto
è bene ciò che finisce
bene” si limitò a constatare Teresa, anche se il
fatto di non aver avuto
l’esclusiva della notizia la stava rodendo completamente.
“È
arrivato lo sposo!” la
pronuncia española
zittì tutti i
presenti, così che l’imbarazzo di Malosti
nell’entrare fu raddoppiato da
quell’aria osservatrice degli ospiti, che lo stavano
squadrando dalla testa ai
piedi.
“Com’è
teso!” commentò Teresa
fissando il gesto ormai involontario di allentarsi la cravatta.
Raggiunse
velocemente l’altare,
dove Esther e Marina si stavano dando opinioni sui loro rispettivi
abiti, e
l’occhiataccia che lo sposo offrì alla caposala
bastò a farle tagliare la
conversazione per tornare alla sua postazione accanto a Rocco e Teresa.
“Che
modi!” esordì quando fu
accanto a loro.
“Eh,
Estherì, già fa così
abitualmente, pensa il giorno del suo matrimonio…”
rispose Rocco terminando la
frase in una risatina.
Di
lì a poco anche il secondo
testimone raggiunse il suo posto.
“Tutto
a posto?” chiese subito
Malosti. Sergio
annuì
sorridente.
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Capitolo 32 *** Quel giorno, quel momento ***
Quel giorno, quel momento.
La
tensione era ormai al culmine,
e Riccardo alternava momenti di lucidità a momenti in cui
non sapeva nemmeno
dove si trovasse. Ogni tanto gettava occhiate a Danieli,
impeccabilmente
vestito con quell’abito scuro che ne sottolineava
l’eleganza, immobile di
fianco a Marina.
E
lui… beh, lui era proprio
irresistibile. Giacca e pantaloni neri, camicia bianca e cravatta dello
stesso
colore scuro dell’abito. Uno sposo classico, insomma. Per non
parlare del suo
gesto nervoso e molto ripetitivo di allentarsi il nodo, che sembrava
ogni
minuto di più stringersi per non farlo respirare.
Controllò
l’orologio: le undici e
cinque minuti. Si voltò verso il parroco, che
annuì sorridendo.
“Le
spose sono sempre in ritardo”
lo confortò.
“Sì,
ma non Cristiana…” rispose
lui borbottando sottovoce.
Avevano
ragione entrambi. Cinque
minuti non sono nemmeno classificabili nel range del ritardo,
però erano sempre
cinque minuti.
La
marcia nuziale attaccò
all’improvviso, così che oltre a tutta
l’ansia accumulata sin quel momento, il
poverello dovette subire un forte spavento.
Dalle
porte già aperte
provenivano alcuni raggi di sole, anche se la giornata di fine estate
non era
delle più calde. Ma il raggio che fece voltare Malosti non
fu uno di quelli che
derivava dalla grande stella infuocata, bensì dal sorriso
luminoso e incantante
della dottoressa che iniziava in quel momento a percorrere la navata
centrale della
chiesa. E pensare che poco tempo prima entrambi erano seduti dalla
parte
opposta, ad assistere ad un matrimonio del loro collega, mentre
adesso… beh,
non avrebbero mai immaginato di scoprirsi innamorati l’uno
dell’altra al punto
tale da prendere il loro posto. Ma, come si dice, in questi casi non si
sa mai
come va a finire…
Eccola,
era lei. Ma non sembrava
nemmeno lei, e Riccardo dovette fare un certo sforzo pur di riconoscere
quel
viso, incorniciato in un’espressione fantastica, quei capelli
e quel pancione.
Dietro di lei Elena, che ogni tanto sistemava la coda
dell’abito della mamma,
felice e sorridente allo stesso modo, e Laura, di cui molto
probabilmente lo
sposo non si era nemmeno accorto, che raggiunse rapida il suo posto in
mezzo
agli altri colleghi.
Sembrava
essere stata colpita da
una paralisi momentanea. Il sorriso sul suo volto era totalmente
involontario,
colpa della gioia che quel momento le stava portando dentro.
“No,
non posso essere io la persona
che vuole sposare, non posso essere io lo sposo…”
erano i dubbi insulsi di
Riccardo, tutti conseguenza dell’apparizione di Cristiana,
così angelica,
celestiale.
Continuava
a osservarla
camminare, fissando nella testa tutti i particolari di
quell’attimo, dal
vestito all’ultimo invitato in fondo alla chiesa.
L’abito
della sposa, bianco, era
appena scollato in alto, e le estremità della parte
superiore si andavano a
ricongiungere con le maniche rotondeggianti e voluminose. La stoffa
candida
scivolava poi dolcemente sulla curva deliziosa del pancione e cadeva a
terra,
contornata da un paio di scarpe con tacco non troppo alto che si
intravedevano
appena dietro la semitrasparenza dell’abito.
Le
mani sostenevano un raffinato
bouquet di rose bianche e rosa, tra le quali spuntavano nastri di
colore
intonato ai fiori.
Era
a poco più di un metro di
distanza da lui, così che poté notare finalmente
il suo regalo pendere con
grazia infinita dal suo collo, appena nascosto dal velo trasparente che
le
copriva il volto.
Giunse
di fianco a lui. Si
guardarono reciprocamente, poi Riccardo sollevò
delicatamente il velo e lo
lasciò cadere dietro il capo, così che
liberò una minicoroncina argentata che
lo reggeva ai capelli lievemente arricciati.
La
cerimonia poté avere inizio,
anche se non fu facile affrontarla mantenendosi tranquilli, dato che
l’agitazione continuava a farsi sentire anche dopo i fatidici
sì.
Elena
si fece avanti con le fedi,
che consegnò loro dopo aver guardato sorridendo la madre.
Si
dissero l’un l’altra la frase
di rito, scambiandosi gli anelli con evidente tremore alle mani.
“Vi
dichiaro marito e moglie”
terminò infine il parroco, godendosi l’espressione
gioiosa sul volto degli
sposi.
Riccardo
si voltò verso di lei,
le mise una mano sul pancione e con l’altra le
accarezzò una guancia.
“Ma
siamo sicuri che ci siamo
sposati per davvero?” chiese sottovoce mentre la folla, e
soprattutto il club
pettegolaro del pronto soccorso, seduto in seconda fila, allungava i
colli per
leggere il labiale.
“Purtroppo
sì” rispose. Si
mordicchiò un labbro, poi lo guardò in attesa.
“Riccardo” lo chiamò.
“Che
c’è?”
“Il
bacio.”
“Eh?”
“Mi
devi baciare” gli rammentò,
guardandosi intorno un po’ imbarazzata, ma cercando di fare
finta di niente.
“Ah,
sì” si corresse subito, dopo
essere diventato paonazzo. Le prese il viso tra le mani e
toccò le sue labbra
con le proprie.
Gli
ospiti non aspettarono un
istante di più per applaudire, e anche l’organo
iniziò la sua corsa di note
musicali.
Entrambi
al loro secondo
matrimonio, entrambi restii e confusi sul comportamento a cui attenere
per
l’uscita. Così improvvisarono, e percorsero la
navata dall’altare sin
all’esterno senza che nessuno desse loro un segno.
“Ma
le foto?” cominciò a
lamentarsi Teresa dalla seconda fila. “Avevamo detto che ne
facevamo un po’
dentro e un po’ fuori…”
Il
fotografo intanto era uscito
con loro.
“Si
vede che hanno cambiato idea”
commentò Esther dandosi una sistemata ai capelli.
“Dai,
dai, andiamo, chi ce l’ha
il riso?”
“Io”
era Valerio.
“E
dove?” chiesero in coro
l’infermiera Bruno e la receptionist.
“In
macchina.”
“In
macchina, ma sei normale?
Dobbiamo tirarlo adesso e tu lo lasci in macchina?” Terry era
fuori di sé e
stava sbraitando in mezzo alla chiesa. Dietro al Santamaria mortificato
trovò
con gli occhi Elena con due cestini ricamati in mano. Le corse dietro
facendosi
largo tra gli ospiti e gliene chiese uno.
“Scusa
ma è un’emergenza” si
giustificò, e, con un cenno del capo, invitò gli
altri due a uscire dalla
chiesa.
Cristiana
e Riccardo si erano
fermati esattamente davanti alla porta, e si guardavano sorridendo,
noncuranti
del via vai di colleghi e parenti che facevano a gara per uscire.
All’interno non vi era rimasto nessuno, a parte loro due.
“Andiamo?” domandò lui.
La prese a braccetto.
“Sì”
sorrise dolcemente. E
insieme raggiunsero gli altri nel piazzale esterno.
Non
potevano scampare al lancio
del riso. Erano già pronti, loro, chi si era preparato i
cestini, chi si era
limitato alla confezione da cucina, ma sempre il rito era. Pronti con
un
pugnetto già stretto in mano per prendere la mira e colpire
il bersaglio il più
in sincronia possibile, per inondarli di chicchi bianchi ovunque.
“Viva
gli sposi!” era il grido di
Dario, sorridente vicino ad Elena e al fratello, entrambi tutti in
tiro. Non
finì nemmeno la frase che la tempesta ebbe inizio, e con
essa il tentativo
disperato di difesa. Cristiana si nascose dietro Riccardo e non la
smetteva di
ridere alla visione di lui che agitava in aria le braccia come chi
cerca di
allontanare una mosca.
E
poi finì anche il riso.
La
Gandini tornò di fianco a lui,
ma non aveva fatto i conti con Teresa, che se n’era
risparmiato un po’ giusto
per tirarlo addosso alla sposa nel momento più inopportuno.
Ecco, ora era tutto
perfetto, e anche Malosti rideva.
Felici
come due bambini si
lasciarono scattare un paio di foto da soli e successivamente con tutta
la
schiera di colleghi, tra cui la donna dai capelli rossi che non
smetteva di
ripetere che avrebbe ordinato una copia della foto da attaccare dietro
al desk
accettazione.
Terminato
il servizio fotografico
post-matrimonio, non rimaneva altro che tornare tutti insieme al pronto
soccorso per gustarsi il rinfresco che avevano preparato in sala medici
per
l’occasione. Niente gran pranzo al ristorante, anche se non
sarebbe stata male
come idea, ma una cosa più in famiglia,
più… a casa.
“Volevo
ringraziarvi tutti” la
voce di Cristiana placò il borbottio generale e ottenne in
pochi secondi il
totale silenzio. “È stata una cerimonia splendida,
proprio come avevamo
desiderato.” Fece una pausa e guardò Riccardo.
“Anche se… tutti avremmo voluto
che ci fosse anche Giulia, qui con noi.”
“Sì”
intervenne il marito. “Però
sappiamo anche che non possiamo avere tutto. Quindi ringraziamo chi
è venuto
oggi senza dimenticare chi non ha potuto raggiungerci.
Grazie.”
L’ennesimo
applauso partì nel
semicerchio che si era formato davanti a loro.
“Vado
a prendere la macchina”
disse poi Sergio per concludere.
“E
il bouquet?” la voce era
ovviamente quella di Teresa.
“Lancio?”
chiese conferma a
Riccardo.
“E
lancia!”
Si
girò di spalle e lo gettò
indietro a casaccio.
Due
mani dalla pelle chiara lo
accolsero. E una chioma bionda si voltò verso il collega
accanto a lei.
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Capitolo 33 *** Ancora quel giorno ***
Ancora quel giorno.
“Chissà
che non sia una storia a
lieto fine anche la loro” si lasciò sfuggire
Cristiana, lo sguardo puntato
verso Valerio e Laura.
“Qui
ci sono fin troppe storie a
lieto fine. Speriamo non porti male” commentò lui.
Un’auto,
quell’auto, si
fermò davanti alla chiesa e suonò due volte il
clacson.
“E…
questa!?” La dottoressa la
indicò esterrefatta. La sua macchina, tirata a lucido,
fiocchi e fiori ovunque.
“Una
sorpresa per mia moglie.”
Che effetto strano gli faceva pronunciare quella parola.
Sorrise.
Un sorriso sincero,
dolce, da mangiarselo di baci. Ed è quello che fece. Le
circondò il collo con
un braccio e posò le proprie labbra sulle sue. Sapeva di
fragola.
“Sei
contenta?”
“No.
Di più.”
Sergio
pigiò di nuovo sul
volante. “Allora, vi muovete?” gridò
sporgendosi dal finestrino aperto.
“Che
autista rompiballe!” replicò
Malosti prendendo a braccetto la donna per accompagnarla
all’auto.
“Che
sposo volgare!” disse per
tutta risposta il primario.
“Ma
guarda te, non scende nemmeno
per aprirci le portiere” si lamentò con Cristiana
mentre tentava di infilarle
tutto l’abito all’interno dell’abitacolo.
“Troppa
grazia!” esclamò Sergio
ridendo.
“Va
bene così, dai, sistemo io”
disse piano la dottoressa raccogliendo la coda del vestito.
Riccardo
chiuse la porta e fece
il giro della macchina per sedersi accanto a lei.
Laura
era seduta accanto al posto
conducente nella macchina di Valerio, a fissare il bouquet che teneva
ancora in
mano da quando le era stato lanciato.
“Bella
cerimonia” commentò
Santamaria mettendo in moto la macchina parcheggiata nel cortile di
fronte alla
chiesa.
“Già.”
Giocherellò con i
nastrini, mentre Valerio aspettava che l’auto degli sposi
partisse, per
seguirla fino al Morandini.
“Sei
proprio bella, sai?”
“Grazie”
rispose, con un
dolcissimo sorriso.
“Laura?”
“Sì?”
distolse per un momento lo
sguardo dai fiori.
“Ti
voglio sposare.”
Lo
fissò stupefatta. “Non è uno
scherzo, vero? No, perché, capisco che abbia preso il
bouquet, però…”
“No,
non sto scherzando.”
“Sicuro?”
“Laura
mi vuoi rispondere?”
“Sì,
sì, sì, sì”
ripeté entusiasta,
gettandosi al collo di Valerio.
“Sergio,
vogliamo partire, o
facciamo notte?”
“Parto,
parto.”
Riccardo
si voltò nella direzione
in cui Danieli stava guardando fino a quel momento.
“Cosa
c’è di così interessante?”
chiese poi, mentre anche Cristiana si faceva prendere dalla
curiosità e ruotava
il collo a sua volta.
“La
Costa e Santamaria. Si stanno
abbracciando.”
“Capirai…
come se non li avessimo
visti mille volte.”
“Mi
sa che il vostro matrimonio
sia contagioso.”
Cristiana
guardò Riccardo
sorridendo.
“Quanto
sei bella…” le sussurrò
lui ad un orecchio sporgendosi verso di lei.
Arrivarono
al pronto soccorso.
“Tutto
apposto per il rinfresco?”
subito Teresa chiese delucidazioni in merito.
“Sì,
ci doveva pensare Esther. Anche
se ancora non capisco perché l’abbiano voluto fare
qua…” rispose Rocco
parcheggiando svelto la macchina. Scesero entrambi, seguiti dalla
caposala e
Marina, la quale aveva posteggiato l’auto accanto alla loro.
“Dai,
dai, dai, diamoci una
mossa, prima che entrino!” corsero verso la sala medici,
mentre il resto del
personale del Morandini li guardava con delle espressioni che erano
tutto un
programma.
“Ma
cos’hanno da guardare?”
“Terry,
ti rendi conto, vero, di
come siamo vestiti?”
“Teresa!
Beh, che c’è di male,
ogni tanto un po’ d’eleganza non fa
male…”
“Voglio
vedere cosa diranno
quando ad entrare saranno gli sposi” intervenne Esther
facendosi largo tra un
gruppo di infermieri.
Niente,
era la risposta. Perché
li accolsero con un caloroso applauso. Sia che li conoscessero da una
vita, sia
che fosse la prima volta che li vedevano.
Sorrideva,
Riccardo, e si sentiva
felice. Felice come non mai, di essersi ricreato la sua famiglia. Con
una mano
reggeva un lembo dell’abito di Cristiana per non farla
inciampare, con l’altra
le teneva la mano e la guardava sorridere.
“Dove
dobbiamo andare?” si voltò
verso Danieli, che li seguiva.
“In
sala medici, mi sembra ovvio”
gli rispose.
“Esther,
ma non avevi portato la
roba in frigo?” Teresa osservava davanti a lei i ripiani
semivuoti.
La
caposala si mise una mano
davanti alla bocca e cominciò a sbraitare. “Oddio
oddio oddio!”
“Ma
perché?” chiese Marina non
essendo al corrente.
“Non
è possibile… ma come ho
fatto a dimenticarmi?”
“Ti
sei dimenticata tutti i
pasticcini e i salatini a casa!?” Rocco non sapeva se
mettersi a ridere o
piangere.
“No,
non li ho proprio ritirati
dal negozio…” si lasciò cadere sul
divano, mentre Teresa si metteva le mani nei
capelli: aveva i nervi a fior di pelle.
“Ragazzi,
dobbiamo risolvere.”
“Tu
sei la testa del gruppo,
pensa a qualcosa…” le disse l’infermiere
controllando che da fuori non entrasse
nessuno.
“Sì,
sì, penso, penso, penso…”
“Un
mio amico ha un ristorante,
qui vicino” la pediatra zittì tutti.
“Sì, ma non mi guardate così!”
Danieli,
davanti agli sposi,
raggiunse la sala medici, davanti alla quale si erano riuniti tutti i
colleghi.
Dalla stanza ne uscirono due, che però si appiattirono sulla
porta.
“Beh,
non si entra?” chiese
Cristiana osservandoli ad uno ad uno. Teresa, che aveva la mano
appoggiata alla
maniglia, chiese conferma a Rocco – che era rimasto dentro
con Marina – tramite
il vetro della porta.
Si
annuirono a vicenda, e la
donna poté finalmente farli entrare.
“Oddio”
fu l’esclamazione della
Gandini appena ebbe messo piede nella sala.
La
luce proveniente dalla
finestra illuminava il grosso fiocco attaccato al manubrio di una
carrozzina
ultima generazione rosso fiammante.
A
Malosti scappò una risata.
“Beh,
ecco, volevamo che si
notasse bene” giustificò la scelta del colore
Marina, che rigirava tra le mani
il cellulare appena utilizzato.
“Regalo
dei testimoni” spiegò a
sua volta Sergio. “Carrozzina, passeggino e seggiolino auto,
tutto incluso.”
“Caspita,
avete pensato in
grande, eh” esclamò la sempre più
meravigliata Cristiana.
“Perché
non hai visto gli altri
regali.”
“Ah,
perché ce ne sono degli
altri? Se sono tutti così grandi, ci toccherà
noleggiare un furgoncino per
portarli a casa” scherzò Riccardo.
“Intanto
questo è il nostro.”
Valerio recuperò da sotto il tavolo un grosso pacco
incartato. “Mio e di Laura,
intendo” precisò.
Lo
passò a Riccardo, che subito
lo consegnò in mano a Cristiana. “No, no, lo
lasciamo aprire alla mamma!”
“Ah,
ma che carino, grazie!”
commentò lei dopo aver strappato un lembo della carta
colorata.
“Te
l’avevo detto, io, che le
sarebbe piaciuto quello con le apine” si affrettò
Laura a borbottare a Valerio.
“Grazie
a tutti, davvero, siete
stati gentilissimi” concluse la Gandini appoggiato
l’involucro sul tavolo.
“Il
nostro… ehm” Rocco si guardò
intorno titubante.
“Sì,
ecco” seguì Teresa
toccandosi nervosamente i capelli.
Entrambi
guardavano Danieli, che
intervenne. “Cosa c’entro io?”
“L’abbiamo
montato nel suo
studio, professore” chiarì Esther. Rocco le
pestò un piede. “Ahi!”
“Montato!?”
esclamò il primario,
a cui solo a sentire nominare il suo studio veniva la pelle
d’oca.
“Io,
l’ho montato, diciamo le
cose come stanno” si fece avanti Palumbo.
“E
ti tocca anche smontarlo,
perché mi sa che non riusciranno a portarsi a casa un
lettino intero.” Eva, la
voce della saggezza.
“Ci
avete preso…”
“Anche
un lettino?” si
terminarono la frase a vicenda Malosti e la Gandini. Che vennero
trascinati
nello studio di Sergio insieme a tutti gli altri.
Era
tutto rosa, comprese le
copertine.
“Speriamo
che le piaccia, il
rosa” dichiarò Riccardo osservandolo.
“Il
mio studio… una cameretta”
fingeva di disperarsi Sergio camminando avanti e indietro per la stanza
occupata da tutti i colleghi.
“Dai,
su, dà un tocco giovanile
all’ambiente, no?”
Danieli
gli gettò un’occhiataccia.
E Riccardo alzò le mani in segno di resa come per fargli
capire che stava
scherzando.
“È
stupendo, grazie, però… mi sa
che davvero dovrete smontarlo, perché nella mia macchina non
entra di sicuro” fece
presente la Gandini a Palumbo, che alzò le spalle
arrendendosi al suo destino.
“Nemmeno
nella mia, se è per
questo.”
“Io
avrei un’idea” disse
sogghignando Rocco. “E se lo incastriamo dentro
l’ambulanza?”
“See!”
fu la risposta quasi in
coro di tutti gli altri, che si misero a ridere.
“Io
avrei un po’ di fame” la voce
che rese noto ciò che gli altri avevano timore di rivelare
fu quella di Franco,
che fu subito ripreso da Eva per la sua troppa schiettezza.
“In
effetti non sarebbe male
mettere qualcosa sotto i denti” seguì subito
Valerio.
Teresa
guardò Rocco e poi
Cristiana, la quale scosse veloce la testa come per chiedere quale
fosse il
problema.
“C’è
stato un disguido tecnico”
annunciò l’infermiere dopo essersi schiarito la
voce.
Riccardo
si voltò verso la
moglie. “E ti pareva…”
“Ehm”
cercò di continuare, ma si
bloccò subito dopo.
“Quello
che voleva dirvi Rocco è
che ci aspetta un pranzo come si deve, degno del matrimonio dei nostri
due
migliori chirurghi” aveva preso la parola Marina e con
efficacia aveva risolto
il problema.
“Ma…
non avevamo detto che…” la Gandini
non sapeva più cosa dire, così guardò
Sergio, che forse sapeva più di lei.
Il
primario scosse però il capo,
e seguì Esther e Marina che stavano cominciando ad uscire
con tutta la squadra.
“Ma
dove?” volle sapere Malosti,
a cui gli imprevisti non erano mai piaciuti.
“Non
vi preoccupate, ogni
ristorante è sempre meglio che un semplice
rinfresco!”
“Dipende
da che ristorante…”
commentò il dottore tenendo stretta la coda
dell’abito di Cristiana, che
mugugnava qualcosa del tipo accontentati
ogni tanto.
“Posso
andarmi a cambiare,
prima?” esclamò la Gandini a tutti quanti.
“No!”
se non erano stati tutti, a
gridare con tono deciso quel monosillabo, ci mancava davvero poco.
“Va
bene, va bene, va bene”
ripeté. Ormai comandavano loro.
Ma
almeno si sarebbero risparmiati
un pranzo a base di soli pasticcini, e nessuno dei dottori si sarebbe
lamentato
in fatto di dieta.
Cristiana
e Riccardo presero
posto sulla macchina infiocchettata, mentre Danieli metteva in moto.
“Io
seguo Marina, eh, non l’ha
voluto dire nemmeno a me il nome del posto.” Fu una
dichiarazione inutile. Li
controllò dallo specchietto retrovisore e poi si
voltò direttamente verso di
loro. “Quando parlo mi potreste anche ascoltare,
eh!” Fu inutile anche questo,
perché i due sposi avevano appena trovato un briciolo di
tranquillità per
potersi baciare in santa pace e per quanto volevano.
“Riccardo…”
si staccò dalle sue
labbra.
“Mh?”
“Ti
amo.”
Malosti
sorrise. “Anche io” le
sussurrò prima di perdersi di nuovo in quegli occhioni scuri
e tornare a
giocare con la sua bocca.
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Capitolo 34 *** L'ascensore ***
L'ascensore.
“Cristiana.”
“Eh?”
si voltò verso di lui, dopo
aver riconosciuto la voce. La donna, in piedi davanti alle porte chiuse
dell’ascensore, aveva appena premuto il pulsante di chiamata.
“Non
mi avevi detto che venivi.”
“Ho
cambiato idea. Teresa mi ha detto
che dovevi essere su.” Alzò la testa verso il
soffitto.
“Ci
sto andando, ho preso un
caffè.”
Lo
guardò corrugando la fronte.
“Il
primo.”
Sorrise.
“Vengo
con te?” le propose lui.
“È
solo un consulto.”
“Non
ti disturbo.”
Le
porte dell’ascensore si
aprirono.
“Allora?”
lo incalzò, mentre
alcuni infermieri uscivano dalla cabina. “Mi sa che la
caffeina ti debba ancora
andare in circolo bene, perché ti vedo così poco
scattante…”
“Ho
dormito poco stanotte.”
L’accompagnò all’interno
dell’ascensore tenendole un braccio attorno alla
schiena. Pigiò il tasto del piano e si appoggiò
alla parete, lasciandosi
sfuggire uno sbadiglio.
“Qualche
problema?” gli si
avvicinò e gli ricompose un ciuffo dei capelli decisamente
disordinati, mentre
lui le accarezzava il pancione.
“No,
ho dovuto aiutare Dario a
studiare. Oggi ha il compito in classe di recupero di
matematica.”
“Aah,
capisco. Ecco perché non
hai voluto che rimanessi.”
“Sarebbe
stata una scocciatura.”
“Grazie.”
“Ma no, non tu.” Gli sfuggì una risata.
“Per
te, sarebbe stata una scocciatura.”
“Certo,
ora è chiaro.”
Sorrisero
entrambi, e Riccardo
sbadigliò un’altra volta.
“Appena
torniamo in pronto
soccorso ti prendi un altro caffè.”
“È
un rimprovero, una resa o
semplicemente una constatazione?”
“È
una richiesta. Non vedi che
non ti reggi nemmeno in piedi?”
Allungò
il collo per darle un
piccolo bacio sulle labbra.
“È
tutto qui, quello che sa fare,
dottor Malosti?” lo guardò sorridendo maliziosa.
“Siamo
in ascensore, dottoressa
Gandini. Le poche volte che lo abbiamo preso insieme le abbiamo usate
solo per
litigare.”
“C’è
sempre tempo per rimediare,
no?” gli si avvicinò e cominciò a
baciarlo sulle guance.
“Gandini…”
“Sì,
Malosti?”
“Te
l’ho mai detto quanto io odi
gli ascensori?”
Aveva
raggiunto le labbra. “Te
l’ho mai detto quanto io odi che mi chiami per
cognome?”
Uno
a zero per Cristiana.
Lo
sentì sospirare, prima che
eliminasse di nuovo la distanza e ricongiungesse le proprie labbra con
le sue,
rispondendo al bacio della moglie.
L’ascensore
si fermò di botto al
piano, spaventandoli.
“Ahia!”
gridò la dottoressa
portandosi una mano alla bocca. “Mi hai morso un
labbro!”
“Scusa,
non ho fatto apposta,
dai, fai vedere” le prese il polso e le spostò il
braccio. “Non è niente” disse
toccandole delicatamente il labbro inferiore.
“Andiamo” la prese per mano.
“Che
cazzo succede?” Le porte
dell’ascensore non si erano aperte, sebbene sul display fosse
visualizzato il
numero del piano.
“Riccardo
perché non si apre?”
“È
quello che sto cercando di
capire!” cominciò a premere rapidamente il
pulsante a cui erano indirizzati, ma
la luce rimaneva accesa senza che effettivamente succedesse niente.
“Stai
calmo, eh, altrimenti
inizio ad agitarmi anche io.”
“Calmo,
calmo… io odio gli
ascensori!”
“Sei
claustrofobico?”
“No.”
“E
allora…?”
“Li
odio e basta. Mi dai il tuo
cellulare?”
“Per
fare cosa?”
“Vuoi
che facciamo le belle
statuine fino a che qualcuno non scopre che siamo chiusi
dentro?”
“No,
le belle statuine no…” gli
si avvicinò lentamente e gli appoggiò le mani sui
fianchi, sotto il camice
aperto e si fece abbracciare da un Riccardo che non aveva nessuna
intenzione di
perdere tempo in coccole.
Così
cercò nelle tasche della
giacca di Cristiana il telefonino, digitò rapido il numero e
lo portò
all’orecchio, mentre la Gandini appoggiava le mani sul suo
petto.
“Teresa?”
“Sì,
chi parla?” La voce
squillante raggiunse anche la donna, che si alzò sulle punte
per addossarsi a
lui e ascoltare meglio.
“Chi
vuoi che parli, sono il
dottor Malosti!” esclamò in tono un po’
alterato.
“Oh,
scusi, non l’avevo
riconosciuta.”
“Forse
per l’acustica che c’è
nell’ambiente in cui mi trovo!”
“Ah,
perché, dove si trova?”
chiese ingenua.
“Chiuso
in ascensore!” gridò.
“Ah.”
“Teresa,
fai chiamare subito
qualcuno, chi vuoi tu, quelli della manutenzione, i
pompieri… e avvisa il
professor Danieli, che se non viene nessuno a tirarci fuori entro un
tempo
ragionevole, vedrai che quarto d’ora gli faccio
passare!”
“Dottore,
farò il possibile, io
non so cosa dirle, qui è tutto apposto, la luce non
è saltata… lo capisce anche
lei che ho una quantità indescrivibile di cose da fare, e
non posso stare
dietro a tutto!”
“Comincia
a stare dietro a quello
che ti dico io!”
“Riccardo
basta!” Cristiana gli
prese il cellulare dalla mano e parlò con Teresa.
“Sono
la dottoressa Gandini, mi
dispiace per come ha reagito il dottor Malosti, ma si trova in uno
stato
emozionale e mentale alterato. Quindi ti prego, avvisa qualcuno,
perché non so
quanto durerà qui dentro.”
“Sì,
certo, dottoressa, allora
c’è lei con lui… Faccio
subito.” E chiuse la conversazione.
“Ci
voleva molto, eh?” gli chiese
rimettendo apposto il telefono.
Riccardo
si sfilò il camice che
appoggiò spiegazzato per terra e tornò con la
schiena attaccata al muro.
“Rilassati,
non è successo
niente.”
“Mh.”
“Va
meglio?”
“Sì.
Tu?”
“Mi
sta venendo mal di schiena.”
Appoggiò le mani ai fianchi cercando di stare in posizione
più eretta possibile.
“Era meglio se rimanevo a casa.”
“Siediti,
dai” Riccardo le diede
una mano ed entrambi finirono per sedersi a terra. “Non mi
hai ancora detto
perché sei venuta qui.”
“Non
me l’hai ancora chiesto” con
un mugugno si sistemò più vicino a lui e
appoggiò il capo sul suo petto.
Lasciò
passare qualche secondo,
mentre finalmente poté sentire il respiro di Riccardo
tornare alla normalità.
“Sono
venuta a salutarti.”
“Non
ci credo.” Iniziò ad
accarezzarle i capelli.
“Invece
dovresti.”
“Ah
sì. Perché sei tu quella che
dice che la sincerità è tutto, tra marito e
moglie.”
“Lo
è.”
“Non
è vero. Qualche piccola
bugia a volte può salvare il matrimonio.”
“Mi
hai mai mentito?” alzò la
testa per guardarlo negli occhi.
“Certo
che no. Cioè…”
“Cioè
cosa?”
“Almeno
non da quando siamo
sposati.”
Lo
guardò stupefatta. “Se l’avessi
saputo, ci avrei pensato due volte prima di dirti di
sì.”
“Lo
avresti fatto comunque. E poi
siamo pari.”
“Pari?”
“Sì.
Mi hai mentito anche tu.
Nella stessa identica situazione. Almeno spero.”
Ora
ce l’aveva Riccardo, il
coltello dalla parte del manico.
Cristiana
tornò nella posizione
di prima e intrecciò le mani con quelle di Malosti
appoggiate sul pancione.
“Allora
l’hai capito.” Le baciò
una tempia.
“Certo
che l’ho capito. E magari
se me lo dicevi prima…”
“Non
sarebbe stato tutto così
bello.”
“E
non avrei fatto la sciocchezza
più grande di tutta la mia vita.” Si riferiva a
Guidi.
“No.
Quella l’hai fatta
sposandomi.” Rise, mentre lei iniziò a dargli dei
colpetti a pugno chiuso sul
petto.
“Ma
guarda te…” si mordicchiò il
labbro superiore e anche a lei sfuggì una risata.
Finirono
per guardarsi. E Cristiana
si lasciò baciare da suo marito.
Marito… che effetto le faceva
tutte le volte che pensava di essere
unita a lui da quel legame.
“Ma
tu non odiavi gli ascensori?”
“Beh,
diciamo che con te mi fanno
un altro effetto.”
“Chissà
se ci tireranno mai fuori
di qui” si levò la giacca.
“Adesso
hai preso il mio posto?”
“No,
era solo per ironizzare un
po’.” Si portò una mano sul grembo,
facendo una smorfia.
“Che
c’è?” intervenne subito lui.
“Non
lo so. C’è qualcosa che non
va.”
“Daniela,
tesoro!” Palumbo si
fece largo tra alcuni infermieri con il cellulare in mano.
“Mi
spieghi cos’è questa storia?”
chiese la voce un po’ meno zuccherosa dall’altra
parte del filo.
“Quale,
mio amor?”
“Il
regalo che mi hai lasciato
sul tavolo questa mattina.”
“È
per te, stellina.”
“Un
cellulare.”
“Sì,
piccola.”
“Non
lo volevo.”
“Eddai,
amore della mia vita,
così possiamo sempre rimanere in contatto!”
Gli
passò accanto Marina con un
orsacchiotto in mano, e si mise a ridere sentendo di sfuggita le frasi
sdolcinate di Nicola.
“Ci
rimaniamo già abbastanza!”
“Ops,
scusa, ho un’altra
chiamata, ti metto in attesa, amore mio.”
“Sì,
ciao” e buttò giù, senza
tanti problemi.
“Papi,
ci sei?” era l’altra
chiamata. E cambiò istantaneamente registro linguistico per
inventarsi altri
epiteti più consoni ad una bambina.
“Certo,
zuccherino, dimmi.”
“Posso
dormire da un’amica questa
sera? Ti prego ti prego ti prego.”
Vide
Danieli dietro di lui e
nascose il cellulare in tasca.
“Tanto
ti ho visto” gli disse.
Poi passò oltre.
“Pulcino,
ci sei ancora?”
“Ovvio,
papà. Allora?” iniziava
ad essere scocciata.
“E
quale sarebbe, questa tua
amichetta, coniglietto?” Si chiese come gli era saltato in
mente, di chiamarla coniglietto.
“Margherita.
Allora ci posso
andare, vero, vero, vero? Mi viene a prendere la sua mamma!”
“E
va bene, però mi raccomando,
principessa, comportati bene!”
“Sì,
certo, papi. Ciao!”
“Cioè
ma non ci credo. Ma sul
serio ‘sta voce che gira è vera?”
“Quella
dell’ascensore?”
“Macché!
Quella ormai si sa…”
Teresa abbassò la voce e si piegò verso Rocco.
“Il matrimonio” bisbigliò
pianissimo e accelerando la frase.
“Eh?”
fece lui, che non aveva
capito nulla.
“La
Costa e Santamaria” spiegò
per intero. “A te le cose bisogna sempre ripeterle due volte.
Le ha fatto la
proposta.”
“Ma
quando?”
“Ma
che ne so… forse ancora un
paio di mesi fa, quando aveva concluso il divorzio con
quell’altra.”
“Ah,
Terry, non sei più quella di
una volta. Anni fa fiutavi le notizie fresche fresche. Adesso invece
devi
mandare in giro delle spie…”
“Io
non ho delle spie” si difese
subito.
Squillò
il telefono.
“Scusa
eh…” sollevò la cornetta
mettendosi a sedere. “Pronto soccorso Morandini?”
“Teresa…”
“Oh,
dottor Malosti!” guardò
Rocco con un cenno d’intesa.
“Come
procedono le cose?”
S’inginocchiò davanti a Cristiana, tenendo in
equilibrio il telefonino.
“Eh…”
continuò a guardare
l’infermiere in cerca di una risposta. “Eh, non lo
so, qui quelli della
manutenzione stanno cercando il guasto, ma all’apparenza
tutto dovrebbe
funzionare…”
“Cristiana
stai tranquilla, eh…”
“Dottore
cosa succede?”
“Niente.
Niente.”
Teresa
adocchiò Danieli passare
accanto al desk, e svelta lo chiamò. “Professore,
è Malosti, al telefono.”
“Ah,
sì, mi faccia parlare con
lui.” Si allungò per prendere la cornetta.
“Riccardo?”
“Sergio?
Invece di girare
inutilmente per il pronto soccorso, potresti anche dare una mano a
quegli scansafatiche
dei tecnici!”
“Stai
calmo!” guardò
alternativamente Rocco e Teresa cercando di mostrar loro
un’espressione
rassicurante.
“Stare
calmo!?”
“Vi
tireremo fuori!”
Attimo
di silenzio.
“Riccardo,
ci sei ancora?”
“Cazzo!”
“E
non reagire così, datti una
regolata!”
“Rilassati,
respira…”
“Ma
ce l’hai con me? Guarda che
sei tu quello…” Sentì un gran botto.
Aveva
mandato al diavolo il
cellulare della Gandini, che ora giaceva in un angolo
dell’ascensore con la
voce di Danieli che gridava il nome di Riccardo.
“Cristiana,
ti giuro che ci
tireranno fuori da qui.”
Le
stringeva una mano.
“No,
no…” scosse la testa e le
scese una lacrima. “Ti prego di’ a Sergio di
muoversi…”
Camminò
gattoni e recuperò il
telefonino ancora in fase di chiamata.
“Sergio?”
“Alla
buon’ora. Che è successo?”
Ormai si stavano preoccupando tutti i presenti, che si stavano
moltiplicando
parola dopo parola.
“Se
non ci tiri fuori da qui
entro cinque minuti non so cosa ti faccio!”
“Primo:
non è colpa mia;
secondo…”
“Teresa,
che succede?” la tipa
dai ciuffi arancioni non poteva certo mancare.
“Ssh”
la zittì, tutta intenta ad
ascoltare la discussione del primario.
“…
se mi spiegassi qual è il
problema…”
“Le
si sono rotte le acque, santo
Dio!”
|
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Capitolo 35 *** Benvenuta al Morandini - FINE BLOCCO II ***
Benvenuta al Morandini.
Danieli
appoggiò lentamente la
cornetta al suo posto, con la faccia un po’ sconvolta.
“Beh?”
fu la richiesta di
informazioni di Teresa. “Cosa…?”
“A
che piano sono?”
“Loro
o i tecnici?”
“Tutti
e due.”
“Credo
al quinto, così dicevano.”
La
ringraziò con un rapido cenno
del capo, poi corse lungo l’ambiente d’ingresso per
raggiungere le rampe di
scale.
“Che
cosa…?”
Teresa
si passò una mano tra i
capelli.
“Esther,
non ti ci mettere anche
tu, non vedi che si sta innervosendo?” la zittì
Rocco, e la caposala si
dileguò, per evitare altri guai.
“Eh
certo che mi sto
innervosendo!” scattò la donna colpendo la
scrivania davanti a lei con un
pugno.
“Terry…”
“Teresa!”
“Ti
stanno guardando tutti…” le
bisbigliò dandosi un’occhiata intorno.
“Non
mi interessa, che guardino
pure! Qui non ne va bene una! E l’ascensore, e Danieli, e
Esther… e te!”
“Non
è niente…” diceva intanto
l’infermiere al capannello di curiosi.
Rocco
s’inginocchiò accanto a lei
e la prese per le braccia. “Terry guardami.”
“No!”
si passò una mano sugli
occhi per asciugarsi una lacrima. “Va tutto da
schifo…”
“Ci
stai mettendo del tuo meglio,
non devi sentirti in colpa se gli ascensori si bloccano o se quella
sottospecie
di caposala non sa fare il suo lavoro senza disturbare quello degli
altri!”
Continuava
a piangere.
“Vieni
qui, dai…” L’abbracciò.
“E
non piangere, che altrimenti ti si spettinano i
capelli…”
“Che
stupido che sei…”
“Riccardo,
ma perché così presto,
perché?”
“Tranquilla.”
Le prese le mani e
gliele baciò. “Va tutto bene.”
“Cos’ha
detto Sergio?”
“Niente,
ha messo giù.”
“Bell’aiuto.”
“Sarà
caduta la linea.”
“Aaah!”
si portò le mani sul
grembo, in una smorfia di dolore.
“Un’altra
contrazione?”
“Sì…”
“Vedrai
che usciremo prima…”
“Prima
che nasca? Io Sergio lo
ammazzo!”
Riccardo
si appoggiò alla parete
accanto a lei. “E posso darti una mano?”
“Con
molto piacere.”
“Riccardo?
Cristiana?” un grido
proveniente dall’esterno fece scattare in piedi Malosti.
“Mi sentite?”
“Si
parla del diavolo” disse
piano alla moglie. “Sì, ti sentiamo!”
gridò forte.
“Come
va?”
“Una
meraviglia…” ironizzò lui,
avvicinandosi di più alle porte.
“Male!”
tentò invece la Gandini,
in un urlo. “Vogliamo uscire da qui!”
Sentirono
bisbigliare qualcosa
dall’esterno, probabilmente era il primario che parlava con i
tecnici.
Riccardo
tornò accanto alla
donna, che aveva chiuso gli occhi addossata alla parete.
Le
carezzò una guancia, e lei lo
guardò cercando di sorridere.
“Mi
spieghi perché non me ne sono
rimasta a casa?”
“Perché…
ti mancavo?”
“Un’altraaa!”
si piegò in avanti.
“Se continuano così…”
“Non
ci pensare. Non nascerà qui,
te lo prometto.” Le diede un bacio sulle labbra.
Si
alzò di nuovo in piedi e
raggiunse le porte. “Sergio, porca miseria, la smetti di
parlare del più e del
meno e chiami qualcuno di più capace?”
“Riccardo
basta, stiamo facendo
il possibile.”
“Mettetevi
nella testa di fare
anche l’impossibile. Sono stato chiaro?”
Esther
camminava allegramente per
il corridoio e a metà strada tra le scale e
l’ascensore incontrò la pediatra,
che la salutò con un sorriso.
“Ciao.”
“Ciao.
Tutto bene?” le sollevò la
testa con una mano sotto il mento.
“Nessuno
mi dà retta” mise il
broncio.
“E
tu comincia a dare degli
ordini, no? Sei o non sei la caposala?” sorrise Marina
cercando di tirarle su
il morale.
“Come
se fosse facile… Cambiando
discorso, dove vai di bello?” le chiese Esther cominciando ad
agitarsi.
“Mi
accompagni?” mise un piede sul
primo gradino.
“Sì,
ma dove?”
“Devo
andare a visitare un bimbo,
su in reparto. Avrò bisogno d’aiuto, mi hanno
detto che è un po’ scalmanato.”
“Ah,
sì, certo, vengo molto
volentieri!” Si scostò di qualche passo e
chiamò l’ascensore.
“È
inutile, oggi non funziona.”
“Come
mai?”
“Un
guasto…”
“Ah.”
“Dai,
andiamo” la prese per mano
e insieme salirono le scale.
“Oddio!”
fu la reazione di
Cristiana quando avvertì l’ascensore muoversi.
Riccardo,
che era ancora impalato
davanti alle porte a discutere con Sergio, si zittì
all’improvviso e alzò gli
occhi verso il display, su cui i numeri in rosso decrescevano.
“Stiamo
scendendo” constatò lui.
Il
suono caratteristico
dell’arrivo li fece automaticamente voltare verso la porta
che si sarebbe
dovuta aprire.
E
che si aprì.
Un
infermiere a pochi metri da
loro li vide e subito corse loro incontro.
“Vai
a chiamare qualcuno… la
dottoressa Costa, Santamaria, ci va bene anche Palumbo, o Esther,
Rocco…
insomma, vai a cercare chiunque!”
“Grazie
al cielo…” pronunciò la
donna colta all’improvviso da un’altra contrazione.
“Ah,
e porta anche una sedia, una
barella, quello che c’è!” gli
gridò prima che se ne andasse.
Tornò
da lei. “Ce la fai ad
alzarti?”
“Penso
di sì.”
Si
aggrappò a lui che la tirò su
di peso.
“Ti
avevo detto che ce la facevo
da sola.”
“Usciamo
di qui, prima che si
chiuda di nuovo.” La portò fuori e la fece sedere
sulla sedia che aveva appena
portato Rocco.
Malosti
la spinse in direzione
dell’accettazione, seguendo l’infermiere che gli
camminava accanto.
“Esther
non è rintracciabile,
Marina pure, Palumbo è al telefono, Santamaria si
è preso mezza giornata di
permesso, Danieli è al quinto piano, Ettore è a
casa con l’influenza e… io sono
qui.”
“Eccomi!”
esclamò Laura arrivando
rapida verso di loro per poi procedere al loro passo.
“Ah,
ecco chi mi ero scordato”
sorrise l’infermiere.
“Contrazioni?”
chiese la Costa.
“Ogni
due minuti” rispose la
Gandini alzando gli occhi verso suo marito che annuì.
“Rocco,
ma dove stiamo andando?”
si preoccupò quest’ultimo.
“Da
Teresa, no? Sentiamo se c’è
un box libero…”
Giunsero
davanti al desk
accettazione, dove la donna scattò in piedi appena li vide.
“Cioè…
fatemi capire… non avete
chiesto nemmeno un posto in maternità?”
continuò Malosti guardando tutti e due.
“No,
dottore, mi dispiace, non
c’è stato tempo… però
c’è il box quattro libero…”
intervenne Teresa.
“Che
consolazione!”
Sergio
arrivò di corsa mentre
Riccardo stava già accompagnando Cristiana al box indicato.
“Malosti!”
lo raggiunse col
fiatone giusto in tempo per aprirgli la porta. “Come ci siete
riusciti? I
tecnici hanno detto” riprese fiato, “che
è ripartito da solo!”
“Se
fossi in te mi licenzierei.”
“Potete
rimandare la vostra
discussione a più tardi? Qui, se non l’avete
ancora capito, c’è una bambina che
vuole nascere!” gridò la Gandini tirando Riccardo
per la manica della maglia
blu.
“Vai
almeno a sentire se possono
mandarci giù un’ostetrica…”
fece un tentativo il dottore parlando con Danieli,
che annuì e tolse il disturbo.
“Ehm…
è lei la caposala?” Un
tizio vestito con una tuta blu elettrico fece alzare lo sguardo a
Teresa.
Erano
in tre, uno più atletico
dell’altro, a guardarla, al di là del bancone, con
lo stesso abbigliamento da
lavoro.
“Purtroppo
no” disse dopo essersi
ripresa dalla visione. “Perché la cercavate, se
posso chiedervelo?”
“Volevamo
informarla del costo
della riparazione dell’ascensore.”
“Ma
se si è riparato da solo?” si
lasciò sfuggire la donna sorridendo, per poi smetterla
subito, viste le facce
dei tre, che si guardavano sbuffando.
“Non
è meglio riferirlo al
primario del pronto soccorso?”
“Signorina…”
“Signora”
lo corresse.
“Signora,
ci faccia parlare con
chi vuole, ma qualcuno ci dovrà pur pagare.”
“Teresa,
chiama immediatamente in
maternità, e chiedi…”
“Eccolo!”
lo indicò, piegato sul
bancone.
Sergio
guardò i tre. “Avete
trovato il guasto?”
“Sì.
Non c’era nessun guasto.”
“Ah.
Senti Teresa” cercò di
continuare la frase, ma il destino voleva che non ci riuscisse.
“È
lei il primario?”
“Sì,
sono io, qualche problema?”
“Ci
sarebbero da pagare i costi
per la riparazione.”
“Ma
se avete appena detto…”
“La
chiamata ha un prezzo.”
“Sì,
sì, certo, avremo tempo per
discuterne. Teresa…”
“Le
lascio la fattura” il tipo
più grosso la sfilò dalla tasca dei pantaloni e
gliela porse. Era ripiegata in
quattro parti.
Danieli
lo guardò un attimo, poi
aprì il foglio e lesse la cifra.
“Duecento
euro?”
“Una
chiamata, d’urgenza, in
piena mattinata…”
“Per
forza che era d’urgenza,
siamo in un pronto soccorso!”
“Noi
ora dobbiamo andare. E lei
sicuramente ha di meglio da fare che stare qui a discutere.
Arrivederci.”
“Ma
guarda questi…” borbottò a
Teresa dopo che si erano allontanati.
“Aveva
bisogno, professore?”
“Sì,
devi chiamarmi un’ostetrica,
subito.”
“Allora
è proprio ora?” Già non
stava più nella pelle di raccontarlo a tutti.
“Sì,
Teresa, sì.”
“Riccardo
rimani qui, ti prego!”
esclamò Cristiana.
Malosti
le strinse una mano tra
le sue e le diede un bacio sulla fronte. “Sono qui amore mio,
sono qui.”
La
porta si spalancò ed entrò
Danieli. “Ci mancavano anche i tecnici
dell’ascensore. Duecento euro per
niente.”
“Ti
pare il momento?” lo
rimproverò svelto Riccardo.
“A
che punto siamo?” chiese poi
il primario a Laura.
“Mi
sa che dell’ostetrica
dovremmo fare a meno. La dilatazione è completa”
rispose tranquilla. Si rivolse
poi alla Gandini. “Ora tocca a te, fai dei bei respiri e
spingi.” Sorrise. “Ma
che te lo dico a fare, lo sai meglio di me!”
“Da
non crederci. No, no, da non
crederci.”
“Ora
parli da sola. Guarda che te
lo pago io, uno psicologo, se proprio devi continuare
così.”
“Rocco
perché non te ne vai a
fare un giro?”
“Perché
l’ho appena fatto.”
“Vanne
a fare un altro.”
L’arrivo
di Esther tutta di corsa
spaventò entrambi.
“Sapete
qualcosa di quella donna
che sta partorendo? Si sentono le urla dal corridoio…
Stamattina non ho visto
mica nessuno, è arrivata mentre io ero su? E poi
perché non l’avete portata a
maternità? Ah, forse per via dell’ascensore
rotto!”
Teresa
guardò Rocco, che la zittì
con lo sguardo.
“Non
sappiamo niente, mi
dispiace. Come vedi per una volta siamo disinformati come te”
le disse
l’infermiere.
“Perché
non ti vai a fare un giro
anche tu e non vai a vedere chi è? Così ti passi
via un po’ il tempo” la donna cercò
di parlare nel modo meno scontroso possibile.
“Bella
idea, vado. Ciao!”
“Ciaoo”
mosse appena un dito per
salutarla. “Rocco, non dire niente.”
“Da
non crederci, eh?”
“Cosa?”
“Ah,
non lo so, è quello che
stavi dicendo tu prima che arrivassi.”
“Dai,
Cristiana, ci siamo quasi,
un ultimo sforzo” le diceva intanto Danieli.
“Devi
chiamare Elena, Riccardo,
devi chiamarla…” gli stringeva forte la mano.
“Sì,
dopo, adesso pensa a farla
nascere!” intervenne la Costa.
E
un grido, un pianto, il suono
di una nuova vita che aveva conquistato l’aria per la prima
volta riempì la
stanza, accompagnato dai sorrisi di tutti e quattro i medici.
Ma
soprattutto di quello della
Gandini appena l’accolse in braccio.
“È
bellissima, Cristiana, è… è il
regalo più bello che mai potessi
farmi…” Riccardo si stava quasi commuovendo,
sotto le risatine divertite di Laura e Sergio, il quale intanto aveva
raggiunto
la porta per controllare se in giro si vedesse Marina.
No,
quella che vide fu Esther, che
si affacciò al vetro della porta e si mise una mano davanti
alla bocca per lo
stupore.
La
neonata piangeva tra le
braccia della madre, che continuava a guardare alternativamente la
bambina e
Riccardo, che quasi aveva paura di accarezzarla, da quanto
delicatamente la
stava toccando.
Se
qualcuno le avesse chiesto
cosa stesse provando in quel momento, non sarebbe riuscita a spiegarlo
neanche
con il ricorso ad un dizionario. Con la mano libera cercò
Riccardo, che si
piegò su di lei sorridendo e baciandole le guance, la
fronte, le labbra,
piegate in quel sorriso dolcissimo.
“È
così piccola…” disse il padre
sollevandole
una manina con un dito.
“È
identica a sua madre” commentò
la Costa avvicinandosi per guardarla meglio.
“E
meno male” la risata non
proveniva da nessuno di loro quattro.
Si
zittirono tutti quanti e si
voltarono.
La
videro, appoggiata alla porta,
con un sorrisetto che subito si spense.
“Che
c’è, stavo scherzando!”
La
caposala evitò di guardare
Malosti, che se non fosse stato per il fatto che davanti a lui
c’era sua figlia
appena nata, gliene avrebbe dette di tutti i colori, a partire dal
colore dei
suoi capelli e dalla sua scarsa abilità lavorativa.
“Ah,
ma allora è nata!” questa
volta la voce era molto meno gracchiante della precedente.
E
Marina s’intrufolò all’interno
del box facendo scostare la caposala.
“Che
bella bambina!”
Cristiana
la lasciò prendere in
braccio. “Adesso tu vieni con me” la
coprì maggiormente con il lenzuolino che
l’avvolgeva. “Ve la riporto presto…
giusto il tempo dei controlli di routine…
ma quanto sei bella?” esclamò accarezzandola.
Si
girò verso Esther, impalata
fuori dalla porta. “Vieni con me?” Il sorriso della
pediatra era così
irresistibile che la caposala non se lo fece ripetere due volte.
“Ma…”
Riccardo fece due passi
verso l’uscita, come per richiamare Marina.
“Dottor
Malosti, stia tranquillo,
non le ha mica rubato sua figlia!” esclamò la
Costa, che fu subito guardata
male.
Il
medico si girò quindi verso
Cristiana, che soffocava una risata con un dito in mezzo ai denti.
“Cosa
ridi, te, eh?”
In
un baleno la raggiunse e
l’acchiappò in un abbraccio.
“Sei
sempre il solito.”
“Ah
sì?”
La
Gandini gli prese il volto tra
le mani e lo baciò sulle labbra. “Sì.
Ed è per questo che ti amo.”
Ora
avevano davvero tutto.
Cristiana
aveva un marito che
l’amava, una figlia adolescente con tutti i problemi che si
portava dietro
(primo fra tutti la matematica), una figlia appena nata da poter
coccolare e
crescere insieme ad un uomo e un padre meraviglioso.
Riccardo
aveva finalmente una
donna che riusciva a tenergli testa, in gamba, sempre attenta
e… bellissima.
Gli
aveva dato una figlia, per la
quale si stava lamentando di non averla ancora presa in braccio, causa
una
certa pediatra frettolosa, due figli da tenere sotto controllo ogni
secondo
della giornata e uno specializzando da torturare.
Cristiana
e Riccardo avevano due
case, due affitti – oh, pardon,
due
case e un affitto –, un
matrimonio,
quattro figli, una decina di colleghi più impiccioni delle
casalinghe annoiate,
un primario con cui litigare, un passato pieno di errori, ma…
Ma
erano felici, e non potevano
chiedere nient’altro.
O
forse…?
Fine
BLOCCO II
|
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Capitolo 36 *** INIZIO BLOCCO III - G come Gandini ***
Inizio
BLOCCO III
G come Gandini.
“Oh,
finalmente, Santamaria!” lo
chiamò Riccardo fermandolo in mezzo al corridoio.
“Per
una volta che mi prendo
qualche ora libera…” borbottò Valerio
sistemandosi il camice che si era appena
infilato.
“Senti,
non è che ti occuperesti
dei pazienti del tre” gli appoggiò in mano una
cartella di quelle che aveva, “e
del nove? Diciottenni, lite scolastica, niente di preoccupante. Pensa
che li
hanno dovuti separare di sei box, altrimenti sarebbero tornati a
scannarsi.”
Gli porse la seconda cartella sopra l’altra.
“Non
puoi pensarci tu?”
“Eh,
no, Santamaria” sorrise. “Io
ho un’altra faccenda da sbrigare.” E lo
salutò con una pacca sulla spalla,
allontanandosi prima che Valerio potesse sbuffare.
La
Gandini era semidistesa sul
letto del box, a braccia conserte, con lo sguardo perso nel vuoto
davanti a sé.
Dalla sua sinistra sentì la porta aprirsi, e un sorriso
accompagnò l’entrata
del suo visitatore.
“Ciao
Cristiana.” La raggiunse
svelto e si sedette sul letto accanto a lei, che subito si
tirò su per dargli
un bacio.
“Come
va il lavoro?” gli chiese.
“Non
c’è male. E tu, come stai?”
“Un
po’ stanca… però bene, dai”
si lasciò abbracciare. “Perché sei
qui?”
“Perché…
perché… perché… scusa,
fammi pensare, non è nata mia figlia, oggi?” rise.
“Intanto
Marina non me l’ha
ancora riportata.”
“Eh,
lo sai come sono le
pediatre.”
“E
come sono?” gli appoggiò le
mani sulle spalle e piegò la testa da un lato in attesa di
una risposta.
“Molto
scrupolose.”
“Hai
una così alta considerazione
per gli altri medici, adesso?”
“No,
non dicevo mica sul serio.”
Cristiana
lo guardò e si mise a
ridere. “C’avrei giurato. Perché sei tu
il migliore.”
“Vedo
che cominci a capire la mia
filosofia.”
“Non
ci vuole molto.”
La
porta si aprì di nuovo. E
questa volta era Esther che spingeva un carrello per neonati.
“Marina
ha detto che è sanissima.
Tre chili e sei.” Fece per prenderla in braccio, ma Riccardo
fu più svelto.
“La
prendo io.” E con una
delicatezza unica ed un sorriso emozionato, Malosti la
sollevò pian piano
cercando di non farla piangere.
“Io
vado allora” disse la
caposala cercando conferma.
“Grazie”
rispose la Gandini
osservando attenta il lavoro del marito. “Guarda che non
è di cristallo, puoi
anche stare meno rigido quando la prendi in braccio!”
esclamò dopo che la donna
dai ciuffi arancio se ne fu andata.
“Puoi
avere un po’ di pazienza? E
non urlare, che altrimenti comincia a strillare.”
Detto
fatto. Appena la sistemò in
braccio e le accarezzò il capo lentamente, la neonata
iniziò a piangere dentro
il suo pigiamino rosa.
“Visto?”
si lamentò il dottore
cercando di calmare la piccola cullandola.
“Dammela
qui.” Allungò le braccia
verso di lui.
“No,
tra un po’ smette” si
ostinava. Ma continuava ancora più forte.
“C’avrà fame…”
“Secondo
me le fai paura.”
“Ma
sono suo padre!”
“Ma
lei non lo sa! Dai, portala
qui, e non fare storie.”
Tra
un mugugno e un altro,
coperto dal pianto della malostina,
Riccardo fece il giro del letto e la consegnò tra le braccia
della madre.
“Su,
su, piccola, adesso c’è la
mamma qui con te…” le sussurrava mentre la cullava
lentamente.
“Ssh…
dai, amore, che non è
successo niente, sì, il mostro cattivo è andato
via…” Guardò Malosti
trattenendo una risata.
“Ah
cominciamo bene…” si lasciò
sfuggire lui.
Fatto
sta che la bambina smise di
agitarsi.
“Gandini,
lo sai che non si
dovrebbero insegnare queste cose ai bambini…”
“L’hai
spaventata!”
“Non
l’ho spaventata, è lei
che senza un motivo logico ha
cominciato a piangere!”
“Tu
e i tuoi motivi logici,
perché non pensate ad un nome da darle?”
Si
zittì.
“Ora
non hai più parole, eh?”
“Sto
pensando…”
“Pensa,
pensa” e intanto lei
coccolava la sua piccolina.
“Gelsomina.”
Cristiana
sollevò il capo e
corrugò la fronte. “Eh!?”
“Gertrude.
Genoveffa.”
“Riccardo,
non è mica un cane!”
“Girasole.”
“E
nemmeno una pianta!”
“Serve
un nome significativo,
aulico, elegante, ma allo stesso tempo pratico… che dici di
Gina?”
“Senti,
ma ti sei rimbambito?
Prima la vuoi chiamare Gelsomina, poi Gina?”
“No,
hai ragione, troppo corto.”
Si portò una mano alla bocca per assumere una posizione pensante. Poi alzò al cielo un
dito, come se avesse trovato
l’illuminazione. “Giuseppina!”
“Tu
hai la febbre.”
Marina
camminava tranquilla verso
l’accettazione, e le venne da sorridere quando vide di
sfuggita Cristiana,
Riccardo e la piccola all’interno di quel box.
“Ciao
Teresa” salutò la donna,
che aveva appena messo giù il telefono.
“Oh,
dottoressa. Allora è nata, come
sta?”
“Certo
che è nata. Ed è una
bellissima bambina.”
“Ma
com’è, com’è,
dico… a chi
somiglia?”
“Beh,
è troppo piccola per dire
da chi ha preso… ti posso dire che ha i capelli castani, ma
per gli occhi
bisogna aspettare qualche mese prima che il colore si definisca del
tutto.”
“Ah,
sì, sì, certo.”
“Vado
a prendermi un caffè, a
dopo.”
“A
dopo, dottoressa.”
Fu
il turno di Esther, che appena
la Ranieri ebbe svoltato l’angolo, si presentò al
cospetto di Terry l’acchiappa
pettegolezzo.
“Allora
come va, come va, con
Marina, eh?” si allungò la rossa sul bancone.
“Bene,
perché?”
“Bene
bene, o bene insomma?”
“Bene
e basta, ma perché?”
“No,
così, tanto per.”
“È
nata la bambina della Gandini,
te l’ha detto?” cercò di cambiare
discorso.
“Oh,
certo che me l’ha detto. Ah,
a proposito… mi ha detto anche che andava a prendersi un
caffè. Se corri fai in
tempo a raggiungerla…”
“Beh,
grazie…” sorrise e si
allontanò in direzione dei distributori.
Valerio
entrò in sala medici e
gettò sul tavolo le due cartelle che gli aveva consegnato
Malosti.
Solo
dopo si accorse che
accucciata sul divano c’era Laura, che con il botto si era
svegliata di colpo.
“Non
ti avevo vista, scusa…”
“Non
fa niente. Che succede?”
“È
un’ora scarsa che sono qui e
già mi hanno riempito di lavoro. Soprattutto
Riccardo.”
“Ci
credo. Vorrà stare un po’ con
sua figlia.”
“Sua
moglie” puntualizzò lui.
“Beh,
anche, ovviamente.”
Si
guardarono.
“Mi
sa che non ti hanno messo al
corrente della novità.”
“Cioè?
È già nata?”
“Esatto.
Questa mattina.” Si
stiracchiò sbadigliando. “Dopo essere rimasta
chiusa in ascensore.”
“In
ascensore?”
La
Costa sorrise. “Dai, vieni
qua, che ti racconto tutto.”
Riccardo
continuava a girare per
la stanza inventandosi dei nomi.
“Giacinta.”
“Ancora
con questi fiori… e poi
tutti con la G?”
“Sì.
G come Gandini.”
Cristiana
si mise a ridere.
“Giulietta”
fece un altro
tentativo.
“Sì,
e se era un maschio Romeo.”
Poi si fermò, e si mise a fissare Riccardo. “Tu
sei un genio” gli disse,
tirandosi un po’ su con l’aiuto della mano libera.
“Grazie,
ma lo sapevo da me.”
“Sì,
tuo papà è proprio un genio”
ripeté, seria, questa volta alla bimba.
“Ah,
sì? Poco fa non ero un
mostro?”
“Poco
fa.”
“Allora,
la chiamiamo Giulietta?”
“Ma
no!”
|
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Capitolo 37 *** A volte ritornano ***
A volte ritornano.
Donna.
Tacchi
alti.
Un
bambino in braccio.
Nell’altra
mano una borsa.
Scosse
la chioma riccioluta per
allontanare dalla fronte una ciocca rossastra e fece due passi in
avanti, il
cuore che le martellava nel petto.
Ispirò
profondamente per
inglobare quanta più aria poteva.
“Casa”
si disse.
E
sul suo volto si instaurò un
sorriso.
Un
sorriso che valeva molto più
di cento parole.
“Allora,
che ne dici, Sergio, ti
piace? Sai, io l’ho scelto perché… beh,
lo sappiamo tutti il perché.”
Cristiana stava
camminando avanti e indietro per il box con
la piccola addormentata in braccio, mentre il primario era appoggiato
al letto.
“No,
no, è… bellissimo” disse,
con un velo di tristezza negli occhi.
“Ehi…
che ti succede?” si fermò a
guardarlo.
“Niente.
Mi fa davvero piacere
che voi siate così felici.”
La
donna sorrise. “Vuoi prenderla
in braccio?”
“Posso?”
“Ma
certo!”
Danieli
le si avvicinò e la prese
piano tra le braccia. “E a Riccardo piace, il nome?”
“Pensa
che voleva chiamarla
Genoveffa.”
“Malosti!?”
“Sì.
E poi mi ha fatto tutta una
sfilza di nomi di fiori… Gelsomina, Giacinta…
beh, insomma, alla fine ha tirato
fuori pure Romeo e Giulietta.”
Sergio
guardava rapito il visino
della bambina. “È proprio bella.” Le
accarezzò pianissimo il capo. “Senti,
ma…
come hai fatto a mandare a lavorare tuo marito?”
“Gli
ho detto che non gliel’avrei
più fatta prendere in braccio, se non usciva di
qua.”
“Astuta!”
La
porta si spalancò in un
tremendo tonfo, e la piccola cominciò a strillare per lo
spavento.
“Buona,
buona, buona!” Cristiana
la riprese in braccio e cercò di calmarla.
“Sergio,
c’è un’emergenza, devi
venire con me in sala operatoria, subito!” E Santamaria se lo
portò via, non
prima di essersi scusato e congratulato al tempo stesso con la madre
della
bambina.
Non
era cambiato nulla
dall’ultima volta in cui aveva visto il pronto soccorso.
Dall’ultimo
saluto a Teresa.
Che
ora lei era là, frenetica
come suo solito a dar retta a dieci persone contemporaneamente, di cui
due al
telefono e una che era Rocco.
“Signora,
se non è urgente, si
vada a sedere in sala d’attesa; la chiameremo noi quando si
libererà un
medico!” Appoggiò il telefono
all’orecchio. “Le ho detto che mi servono subito,
quelle analisi!”
Passò
Nicola. “Dottor Palumbo?”
“Sì?”
“Ci
sarebbero questi due pazienti
da dimettere.” E gli allungò con un sorriso da
trentadue denti le cartelle.
Poi
un’altra voce si distinse nel
confuso mormorio di fondo.
“Teresa,
ho bisogno che chiami
immediatamente questo chirurgo da cardiologia, ti lascio il
nome.”
E
lo vide.
E
si sentì morire.
“Sì,
professore, mi dia pure, lo
contatto subito…” annuì Teresa
appoggiando il fogliettino sul banco.
“Quanto
mi piacerebbe andare a
vedere la bimba della Gandini e di Malosti… guarda, se non
avessi tutto questo
lavoro sarei già scappata a darle
un’occhiata…” Teresa stava parlando con
Rocco, che intanto masticava un cracker, accanto a lei.
“Ti
copro io, se vuoi” disse,
accartocciando la carta della confezione.
“Sì,
con Danieli qui…” le parole
le morirono in gola, appena ebbe sollevato il capo verso Sergio.
Il
primario si era irrigidito,
appoggiato al bancone, e guardava verso l’uscita del pronto
soccorso con la
bocca socchiusa.
Teresa
si lasciò cadere
all’improvviso sulla sedia dietro di lei, prendendo Rocco per
una manica.
“Io
non mi sento tanto bene…” gli
disse scuotendo la testa.
Il
professore aveva lasciato il
desk e camminava lento in direzione della donna, che stava immobile, a
pochi
metri dalle porte scorrevoli del pronto soccorso, dalle quali
continuava ad
entrare e uscire altra gente.
Lei
abbassò gli occhi verso il
pavimento, controllando di tanto in tanto il bambino che teneva fra le
braccia.
Com’era cresciuto, pensava in
quel momento Danieli vedendolo dopo
così tanto tempo.
Non
sapeva come comportarsi. Se
correrle incontro e riabbracciarla, o se stringerle semplicemente la
mano.
In
fondo il loro rapporto si era
spezzato mesi prima, e ora non erano nient’altro, se non
semplici ex colleghi.
Teresa
osservava la scena
ammutolita e si ripeteva dentro di sé che sicuramente stava
sognando.
Si
alzò dalla sedia e fece il
giro del bancone, con la bocca semispalancata.
“Sergio…”
aveva sorriso.
La
gente camminava, intorno a
loro, ma a nessuno dei due importava realmente.
Danieli
sarebbe dovuto correre in
sala operatoria dove lo aspettava Valerio, ma non si muoveva da
lì.
Lei
avrebbe dovuto dire qualcosa
in più che pronunciare semplicemente il suo nome, ma non
sapeva da dove
cominciare.
Se
dalle pochissime telefonate, dal
cellulare sempre spento, oppure da quanto gli era mancato, anche solo
poterlo
guardare dentro quegli occhi chiari.
Sergio
si avvicinò di più e,
mentre le posò una mano sulla sua guancia destra, si
piegò su di lei e le
impresse un dolcissimo bacio sull’altra.
Un
bacio innocente, da primo
incontro, da affetto.
Un
bacio che sembrò durare tutto
il tempo che era passato dall’ultimo.
Il
primario si scostò, giusto lo
spazio per poter sussurrare in modo che lei sentisse.
“Ciao,
Giulia.”
Cristiana
era girata su un fianco
sul letto del box, con gli occhi chiusi, ma non aveva nessuna voglia di
dormire.
Avvertì
aprire delicatamente la
porta e richiuderla subito dopo, così che si
voltò rapida a scoprire chi era.
“Sei
tu…” Riccardo era entrato
con due bicchieri di plastica in mano.
“Ti
va del tè?”
“Ah,
sì, va bene, grazie.”
Sollevò i due cuscini in modo da appoggiarsi rimanendo
seduta e incrociò le
gambe per lasciare spazio a Malosti, che le allungò la
bevanda bollente.
“Dorme?”
si piegò indietro per
guardare all’interno del carrello.
“Sì.
È tranquillissima.” Bevve un
sorso di tè. “Troppo zuccherato.”
“Lo
sapevo che non ci avrei
preso.”
“C’è
una tal confusione… e ora
anche un’emergenza in sala operatoria. Meno male che se ne
occupano Santamaria
e Danieli.”
Alzò
il busto e si avvicinò a
lui. “Riccardo, posso chiederti una cosa?”
Lui
finì di bere il suo caffè e
appoggiò il bicchiere al comodino.
“Dimmi.”
“Stavo
pensando che dobbiamo
seriamente riflettere sul nostro futuro.”
“Vuoi
un altro figlio? No,
perché…” si piegò su di lei
facendola sdraiare.
“Dai,
non fare lo sciocco, che ho
anche il tè in mano!”
“Allora,
dai, spiegami” si tirò
su dopo averle dato un bacio.
“Insomma,
casa mia è grande, e
tre camere ci sono. La mia, quella di Elena e quella degli
ospiti.”
“Mh.”
“In quella degli ospiti potremmo sistemare Dario e
Alessandro, è abbastanza
grande da farci stare due letti.” Appoggiò il
bicchiere accanto a quello di
Riccardo.
“E
lei?” indicò la bambina.
“Per
un po’ dormirà nella nostra
stanza, no? L’abbiamo montato là, il
lettino…”
“Non
stiamo andando un po’ troppo
di fretta? Voglio dire… i miei figli sono abituati da quando
erano piccoli a
dormire nella stessa stanza, ma tutto questo
cambiamento…”
“Siamo
sposati.”
“Scusa,
qualche volta me lo
dimentico” scherzò.
“E
ha senso, secondo te,
continuare a vivere in due case diverse?”
“Mi
spieghi perché mi sono
innamorato di te?”
“Sarebbe
troppo lungo. E poi non
si risponde una domanda ad una domanda. Allora, proviamo a fare come ho
detto?”
Si spostò verso di lui e si appoggiò alla sua
spalla sinistra. “Daiii” cominciò
a massaggiargli il collo e a dargli dei piccoli baci sulle guance.
“Gandini…
non provocarmi…”
Cristiana
sorrideva a Malosti,
che l’afferrò con le mani dietro la sua schiena e
la portò a sdraiarsi sotto di
lui, mentre ancora rideva.
“Riccardo…”
“Colpa
tua” scoppiò in una risata
anche lui.
“Sorpresa!”
un grido proveniente
dall’entrata fece sobbalzare entrambi, che tornarono a
sedersi composti non
finendo di ridere.
“Che
cosa ci fate qui?” chiese
Malosti, mentre guardava Cristiana asciugarsi i lacrimoni dovuti alla
risata.
“Siamo
venuti a vedere la nostra
sorellina!” spiegò Alessandro che seguì
il fratello già davanti al carrello.
“E
voi cosa stavate facendo?”
domandò Dario sorridendo per la posizione un po’
imbarazzante nella quale aveva
scoperto i due.
“Parlando
di voi” tagliò corto
subito il padre, alzandosi in piedi.
La
bambina iniziò a piangere.
“Troppa
gente” affermò Cristiana
scendendo dal letto e prendendola in braccio.
“Posso
prenderla anche io?”
intervenne Dario osservando attentamente la neonata.
“Ehm…”
la donna guardò il marito,
che prese la parola.
“È
meglio di no, è ancora troppo
piccola.”
“Noi
andiamo, adesso, altrimenti
perdiamo l’autobus” li informò
Alessandro controllando l’orologio.
“Così
presto?”
“Sì,
pa’, che poi dobbiamo
studiare.”
“Va
bene. Ah, sentite, cominciate
a far su le vostre cianfrusaglie, che non voglio perdere un mese per il
trasloco.”
Cristiana
lo guardò e le si
illuminarono gli occhi.
“Quale…
trasloco!?” esclamò Dario
già preoccupato girandosi verso suo fratello.
“Poi
ve lo spiego, eh…”
“Mamma!”
un’altra voce, questa
volta femminile, fece il suo ingresso dalla porta ancora aperta.
Elena.
“Amore,
cosa fai anche tu qui?”
“Ti
avevamo detto alle due e
mezza, sei in ritardo” cominciò Dario.
“Mi
sono fermata a parlare con
una mia amica, scusate… oddio! Ma è lei la mia
sorellina?” Gettò svelta a terra
lo zainetto e si avvicinò alla madre.
“Com’è bella…” Le
accarezzò una guancia
mentre la piccola continuava a piangere.
“Va
beh, noi andiamo.” Alessandro
fece un cenno al fratello, e, dopo aver salutato il resto della
famiglia,
uscirono dal box.
“Mamma,
c’è un casino, là
fuori…”
“Fuori
dove?” chiese mentre
dondolava la figlia tranquillizzandola.
“Ma
lì davanti all’accettazione…
boh… Posso prenderla in braccio?”
“Va
bene, dai” guardò Riccardo,
che scuoteva la testa. “Ma non dire niente a quei
due.”
“No,
no” mostrò un grosso sorriso
e la madre le passò la sorellina.
“Così,
con la testa più in alto,
ecco, brava.”
“Ma
è stupendaaa! È bellissimo
tenerla in braccio, è… è fantastico!
Però non smette di piangere…”
Riccardo,
da seduto sul letto,
borbottava qualcosa.
“Che
cos’ha?” bisbigliò Elena
alla madre.
“No,
niente” alzò la voce per
farsi sentire anche da lui. “Nemmeno quando è lui
a prenderla in braccio
smette…” Finì la frase con un sorriso.
“Mamma,
io adesso vado, ho messo
il motorino in sosta vietata. Tieni” le restituì
la bimba.
“Su
su, piccolina, buona…”
“Ciao!”
“Elena,
aspetta” la chiamò sua
madre. “Senti…” cercò nel
marito le parole giuste per dirglielo, ma lui si
sistemò più comodo ancora sul letto, indifferente.
“E
se Dario e Alessandro si
trasferissero da noi con Riccardo?”
“Non
dici sul serio, vero?”
“Te
l’avevo detto, che non era
una buona idea” fece il suo intervento Malosti
stiracchiandosi.
“Infatti
è ottima!” rispose la
ragazza. “Così finalmente la smetterete di andare
avanti e indietro da una casa
all’altra tutti i giorni… e le notti!”
La
Gandini sorrise incredula e le
si avvicinò baciandole la fronte. “Grazie, amore,
grazie…”
Elena
indietreggiò fino alla
porta e salutò tutti e tre.
“Stai
attenta, mi raccomando.”
“Sìì.”
E
uscì dal box.
“Ma
chi gliel’ha detto?”
“Che
cosa?” Riccardo le camminò
incontro e carezzò una guancina della piccola.
“Io
non mi sono mossa da qui…”
Malosti
sorrise e le sollevò il
mento per guardarla negli occhi. “Io l’ho detto ad
Elena, secondo i tuoi
ordini.”
Cristiana
adagiò la figlia tra le
lenzuolina rosa e la coprì con cura, aiutata da una mano di
Riccardo.
“Perché
non te ne vai a
lavorare?” si lasciò prendere in vita da Riccardo,
che la trasse a sé.
“Perché
sto troppo bene qui con
te.”
Le
passò un dito sulle labbra
socchiuse che baciò subito dopo.
In
piedi davanti alla loro
bambina.
Nel
box numero quattro.
|
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Capitolo 38 *** Dove eravamo rimasti ***
Dove eravamo rimasti.
Giulia
sorrise.
“Ti
aiuto?” s’offrì Danieli
allontanandosi di qualche centimetro. Passò nella sua mano
la borsa che
portava, sfiorando le sue dita volontariamente. Alzò il
capo, incontrando di
nuovo i suoi occhi che lo ringraziavano.
Percorsero
insieme lo spazio che
li separava dall’accettazione, e quando raggiunsero quella
pettegola di Teresa,
la donna non riuscì a trattenersi oltre, e con tutta la sua
esuberanza accolse
finalmente come si doveva l’arrivo di quel grande ritorno.
“Non
sai quanto ci sei mancata;
non te lo puoi immaginare come mi sono sentita quando ho capito che
quel saluto
sarebbe stato l’ultimo, ma in fondo al cuore” si
mise una mano sul petto, “ho
sempre saputo che saresti tornata qui tra noi.”
Riprese
fiato dopo quella corsa
di parole di un discorso quasi studiato e la fissò in attesa
di un
ringraziamento, un saluto, qualsiasi cosa che la facesse sentire meglio
in
quella giornata così pesante.
“Anche
io l’ho sempre saputo. Mi
siete mancati anche voi.”
Volse
lo sguardo anche a Rocco, che
aveva i cracker ancora in sospeso tra esofago e stomaco per quella
sorpresa.
“Ehm…
camice… ma dove l’ho messo
il camice?”
Girò
per la stanza controllando a
destra e a manca.
“Sai,
credo che sia rimasto da
qualche parte, forse in sala medici…”
ipotizzò.
“Mmm…
Sai una cosa? Adesso
andiamo a fare un giretto, io e te…” Prese in
braccio la bambina avvolgendola
completamente al lenzuolino e lasciandole scoperto solo il visino dalle
guanciotte morbide.
“Allora…”
Con
un gomito abbassò la maniglia
della porta e uscì sorridendo a quel dolce brusio quotidiano
del pronto
soccorso, che per la prima volta le sembrava un vero ritorno a casa.
La
neonata non piangeva, ma se ne
stava cullata tra le braccia della madre sotto gli occhi curiosi di chi
rallentava per guardarla nella sua bellezza e innocenza.
“Oh,
eccolo qui!” Con una mano
reggeva la figlia e con l’altra raggiunse il camice appeso
all’attaccapanni
dietro la porta.
Quella
porta che si spalancò
violentemente contro di lei.
“Ma
stia attent… Riccardo!?”
“Adesso
tu mi devi spiegare cosa
ci fai qui.”
L’uomo
richiuse la porta, così da
aver la possibilità di inveire contro di lei al tono di voce
che reputava più
opportuno.
“Niente,
te lo giuro, sono venuta
solo a fare un giro con lei…”
“Tu-non-devi-uscire-da-quella-stanza.”
“Ma…”
“E
soprattutto lei! Non ha le
idonee difese immunitarie, eppure non dovrei spiegartele, queste
cose!”
Fece
scivolare la piccolina dalle
sue braccia alle proprie, senza che cominciasse – stranamente
– a strillare.
“Chiamo
il reparto maternità, ché
ti trovi un posto: non potete rimanere qui in pronto soccorso, sai
quanti virus
girano?”
Non
rispose.
“E
a casa è ancora troppo
presto.”
Lasciò
andare il camice
spiegazzato sul bordo del tavolo, e tornò a guardare il
marito rapito da
quell’attimo d’ira.
Aveva
fatto un cazzata, non era
necessario un giudice che glielo imputasse.
Portare
in giro per l’ospedale
una bambina nata da qualche ora era la stupidaggine più
grande che un medico
potesse permettersi.
E
per questo si odiava a morte,
sia per il gesto inconscio così pericoloso, sia
perché ora Riccardo la stava
guardando come fosse un’estranea; come non fosse
più la madre di sua figlia.
Avrebbe
voluto chiedergli cosa ci
fosse di così scorretto nel far respirare aria diversa da
quella viziata della
stanza ad un essere umano appena nato, ma si trattenne,
perché sapeva
dell’esistenza potenziale di un’altra discussione
sotto i loro sguardi.
“Torna
in camera.”
Non
disse altro: l’unico
movimento fu quello di restituirle la figlia in braccio e lasciarle lo
spazio
sufficiente per uscire dalla sala medici.
“Francesco
vuole tornare in
Messico. E io non ce la faccio a rimanere in quella casa da
sola.”
Sergio le schioccò un bacio sulle labbra, facendola
sorridere.
“E
mi dispiace di non essere
venuta al matrimonio della Gandini, mi sarebbe davvero piaciuto, ma mio
marito…”
“Ovvio.
Tuo marito.”
“Beh,
presto ex.”
Al
primario s’illuminarono gli
occhi.
“Pensavo
fosse scontato. Ma mi fa
piacere…”
Un
altro bacio.
Questa
volta meno fugace del
precedente, interrotto però dallo squillare del telefono.
“Scusa…”
alzò la cornetta.
“Pronto
papà…”
Sergio
cominciò a tremare.
“Scusi?”
“Sono…
sono io, Emma.”
Si
resse alla scrivania per non
perdere l’equilibrio.
“Ho
bisogno di parlarti, ti trovo
domani sera al Morandini?”
Cercò
di fare mente locale, non
lasciandosi sopraffare dalla sorpresa e da quella strana sensazione di
poter
risentire la sua voce.
“Sì,
quando vuoi.”
Un
breve saluto e la conversione
ebbe fine, sotto lo sguardo stupito e un po’ spaventato di
una Giulia che aveva
messo i piedi sul pavimento del suo studio dopo una vita.
“Vieni
con me” le disse.
Mentre
sul suo volto si faceva
largo un’espressione di serenità e dolcezza,
nascondendo il turbamento
provocato da quell’imprevedibile avvenimento.
“Dove?”
chiese la donna
lievemente incuriosita, senza aver chiesto delucidazioni in merito a
quella
telefonata strana.
“A
vedere la figlia di
Cristiana.”
“La
cosa di chi!?”
Sergio
la prese per mano ridendo.
“La
figlia di Cristiana.”
Giulia
inseguiva impaziente il
suo amante non più amante, cercando di mantenere il suo
passo rapido lungo il
corridoio.
“Ma
quando è nata?”
“Poche
ore fa.”
“Ma
proprio oggi!?”
“Sì.”
Si fermò, regalandole un
sorriso da fotografare. “Perché oggi è
un giorno speciale.”
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Capitolo 39 *** Gli ultimi pezzi del puzzle - FINE BLOCCO III ***
Gli ultimi pezzi del puzzle.
Toc toc.
Un
sorriso.
Un
altro sorriso.
Un’entrata
di chi un po’ pentito
lo era.
E
quando la linea immaginaria che
congiungeva i loro occhi si raddrizzò, quelli di Cristiana
gli sembrarono
ancora più scuri di com’erano di solito.
Più
scuri e più intensi,
luminosi, grandi.
Come
di una madre che ha appena
messo al mondo la propria figlia.
“Dorme?”
La voce bassa e profonda
si sparse omogeneamente per la piccola stanza.
“Sì.”
Fu
il monosillabo più bello di
quella giornata, da quanto era dolce.
La
osservò mettersi seduta a
gambe incrociate su quel letto sfatto, la schiena dritta e composta.
“Mi
dispiace.”
La
donna scosse la testa.
Perché
tanto era sempre stato
così, da che mondo e mondo: un perdonami,
un mi dispiace, uno scusami,
magari alternati di giornata in
giornata per non sembrare troppo monotoni.
“Perdonami”
continuò allargando
le braccia.
Wow.
Due in una volta.
“Ti
prometto che non litigheremo
più.”
“È
la più grande stupidaggine che
tu abbia mai detto.”
Cristiana
si alzò a sedere, lentamente.
Riccardo
alzò gli occhi al cielo.
“Lo
sai, vero, che non saremmo
qui se il nostro rapporto non fosse d’odio
reciproco.”
“Ma
che dici, io ti amo!”
Era
la prima volta che glielo
diceva con tanto entusiasmo.
“Ci
amiamo a forza di odiarci. Ci
abbiamo fatto l’abitudine.” Cristiana
abbassò il capo facendo scorrere avanti e
indietro un dito sulle lenzuola.
“Quindi?
Siamo già arrivati alla
fine del nostro matrimonio?”
“Stavo
solo argomentando la mia
tesi iniziale.”
“Ah.”
Fu l’interiezione di chi
non ci stava capendo molto.
“Ora
che hai capito quanto mi
piace litigare con te, puoi continuare.”
E,
sorprendentemente, Riccardo
non seppe come mandare avanti il discorso.
Sembrava
essere stato spinto
contro un vicolo cieco.
Continuare a fare… cosa?
Si
era scordato perfino della
motivazione per cui si era trovato nella stanza di sua moglie.
“Non
ti stavi scusando?”
“Ah,
sìsì.”
“È
un po’ presto per perdere la
memoria a breve termine.”
“Già.”
“La
sai una cosa?”
“Eh.”
“Ho
voglia di baciarti.”
“Mi
chiedevo se…”
Corse
per tenere dietro il
primario, ma poi, sfinita, lo afferrò per il camice
bloccandolo.
“Che
c’è?”
Giulia
scrollò le spalle. “Mi
chiedevo se potevamo andare a vivere insieme.”
“Beh,
ci sono tanti fattori da
valutare prima di prendere una decisione simile, lo sa
che…”
Le
schioccò un bacio sulle
labbra. “Sì.”
La
caposala si portò una mano
alla bocca, mentre le sue guance prendevano il colore dei capelli.
“Sei
impazzito!?”
“Non
sai come si siano attrezzati
per diffondere le novità, qui al pronto soccorso. Si faccia
dare un po’ di
ripetizioni da Teresa, signorina Graziosi…”
“Eccola
là.”
“Marina?”
ipotizzò Rocco, non
avendo individuato l’oggetto del discorso.
“Dove,
dove, dove?” scalpitò la
caposala declassata.
“Ma
da nessuna parte! A chi ti
riferisci?”
“La
vedi, la vedi?” Esther
allungò un braccio. “Lei.”
“Signore
mio aiutami.”
“A
me deve aiutare! Ho perso il
posto in dieci minuti!”
“Ma
ancora non lo sai se la
riassume o no!”
“E
come no. Guarda che confidenza
che hanno.”
Rocco
sbuffò.
“Tieni,
va’.” Le appioppò tre cartelline.
“Esami del sangue.”
“Ah,
da domani qui a lavorare. E
non tollero ritardi.”
“Non
posso, Sergio.”
“Certo
che puoi. Devi.”
“Non
posso riprendere il posto di
Esther, dopo il duro lavoro che ha fatto per imparare a gestirlo.
È in gamba.”
“Non
come te.”
Silenzio.
“Lo
sappiamo tutti e due quanto
tu tenga a riavere il tuo posto.”
Lo
sguardo basso della donna gli
diede ragione.
“Ed
Esther sarà solo contenta di
avere meno mansioni da svolgere.”
Riccardo
inclinò il capo quanto
bastava per incontrare le labbra della moglie.
Soddisfare
quella semplice
richiesta non necessitava un grandissimo impegno, anche se la sua
schiena
piegata in quella posizione sembrava gridare qualcosa al suo sistema
nervoso.
Con
una mano Cristiana attrasse a
sé il capo dell’uomo, che si appoggio al bordo del
letto finché lei non si scostò
il minimo necessario perché si riuscisse a sedere accanto a
lei.
Si
staccarono solo per
sorridersi.
“Hai
un buon odore, sai?” esordì
lui accarezzandole una guancia.
“Mh?”
“Sì,
hai quel profumo… di latte,
di neonato… di mamma.”
Cristiana
si emozionò, ad
ascoltare quelle parole, così sentite, così
diverse, così… nuove.
Un
abbraccio suggellò il dolce
dialogo.
“Mi
prometti una cosa, amore
mio?” gli chiese Cristiana parlandogli ad un orecchio.
“Tutto
quello che vuoi.”
“Che
non mi lascerai mai.”
“Mai.”
Sorrise.
“Grazie,
Riccardo.”
Un
gridolino di bimba li
risvegliò dal coma sentimentale.
“Eh,
la gelosia” commentò lui
spostandosi verso la figlia. “Tranquilla” si
rivolse poi ad una Cristiana con
il finto broncio. “Continuiamo presto il nostro
discorso.”
Rise.
E
appena la neonata si rintanò
nelle braccia del padre, smise di piagnucolare.
“Ricc-Riccardo…”
Gli
venne da sorridere, mentre
cullava la piccina pian piano.
E
gli occhi enormi della mamma
guardavano esterrefatti quella scena.
“Et voilà.”
Sergio
indicò l’interno del box
davanti al quale si erano fermati.
“Malosti…
con sua figlia in
braccio… è… un miracolo o
cosa?”
“È
solo la dimostrazione secondo
cui una donna – ma anche e soprattutto un figlio –
possa cambiare la vita” saggiamente
il primario rispose.
“Già.
Devo ricredermi sul dottor
Malosti. Sinceramente non avrei mai pensato subisse una trasformazione
così
radicale.”
“Beh,
in realtà credo che sul lavoro
sia rimasto il tiranno di
sempre. È già una soddisfazione vederlo
così almeno in campo relazionale.”
“Relazionale-privato” precisò la
caposala.
“Effettivamente
è un settore
molto ristretto.”
Giulia
scrollò le spalle.
“Effettivamente
alla Gandini
basta e avanza.”
“Già.”
Osservarono
ancora qualche
istante quel quadretto famigliare, soffermandosi sulla figura paterna
che ora
si avvicinava al letto per permettere alla moglie di accarezzare la
bimba.
“E
come si chiama?”
“Giulia.”
Fine
BLOCCO III
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Capitolo 40 *** EPILOGO - Due anni dopo ***
EPILOGO
Due anni dopo.
“Teresa,
hai visto mia moglie?”
Il dottor Santamaria correva spedito verso il banco
dell’accettazione, dove la
donna era intenta a compilare alcune cartelle. In mano aveva un
fascicoletto
beige.
“No,
l’ultima volta l’ho vista
questa mattina quando siete arrivati, mi dispiace.”
“Va
bene, grazie.”
Teresa
si alzò sulle punte per
dare un’occhiata intorno. “No, aspetti, dottore.
Laura!” le gridò forte per
farsi sentire dal lato opposto dell’ingresso.
“Eccola là” disse poi a Valerio,
che la raggiunse rapido.
“Mamma!”
La bimba si dimenava in
braccio a Cristiana e allungava le braccine verso il pavimento
sbilanciandosi
con tutto il corpo: voleva scendere.
“Giù!”
“Sì,
tesoro, adesso ti metto giù,
un attimo di pazienza.” Stava lottando contro le due borse,
una a tracolla e
l’altra che rischiava ogni secondo di scivolare dalla spalla,
e la bambina che
non stava ferma. Si piegò e le lasciò appoggiare
i piedini sulla zona asfaltata
antistante la porta d’ingresso del Morandini, poi le prese la
manina e, mentre
si sistemava le borse, insieme varcarono l’entrata.
Sorrideva,
la piccolina, con
quella sua boccuccia dalle labbra sottili che somigliava tanto a quella
di
Riccardo.
E
con due occhioni scuri e
luminosi.
Quelli
della madre.
“Allora,
dottor Malosti, ci sono
due pazienti che stanno aspettando, ecco” Teresa
allungò oltre il bancone due
cartelle. “Sono al box doppio, reduci da un incidente in
bicicletta, non
sembrano gravi.”
“Grazie
Teresa, vado subito. Non
c’è nessun’altro libero?”
“Provvedo
a cercare qualcuno.”
Squillò
il telefono.
“Pronto
soccorso Morandini.”
Riccardo
tamburellò con le dita
sul piano perfettamente liscio dell’accettazione.
“Sì,
dottore, va bene, ho capito,
ma poteva avvertire prima…”
Malosti
sbuffò. “Teresa, datti
una mossa!”
La
donna appoggiò la cornetta.
“Palumbo non riesce a venire, ha un’emergenza a
casa.”
“Sì,
con la sua amante.”
“Non
è la sua amante!” lo
contraddisse svelta. “E comunque cosa vuole che
faccia… chiamo Coselli?”
“Ma
sì, dai, prova a sentire se
almeno lui non è occupato a guardarsi allo specchio e a
dirsi quanto è bello
con la divisa da medico specializzato.”
“Esther,
basta!” esclamò Rocco
decisamente adirato.
“Mi
viene rabbia, tutte le volte
che la vedo.”
“Lo
so, ma ti devi abituare.”
I
suoi ciuffi perennemente
meshati dondolavano allegri sulla sua fronte. “Non ci riesco.
Mi ha preso il
posto, porca miseria!”
“Oh,
calmina, eh! Casomai sei tu
che hai preso il posto a lei.”
La
caposala entrò nello studio
del primario passando indifferente tra i due infermieri.
“La
babysitter mi ha detto che
può stare fino a stasera alle nove” disse
richiudendo la porta.
“Direi
che è perfetto.” Sergio
lasciava ciondolare le gambe dalla scrivania.
“Già,
così avremo anche il tempo
per andare a decidere le bomboniere. Questa mattina ho telefonato e
dicono che
sono aperti fino alle nove, visto che è sabato.”
“E
io che ti volevo portare a
mangiare fuori, visto che è sabato”
enfatizzò l’ultima frase.
“Dopo.”
Scese
dalla scrivania e le andò
incontro.
“Quando
finisce il suo turno,
signorina Graziosi?”
“Alle
otto.”
“E
in un’ora facciamo in tempo
sia a scegliere le bomboniere che cenare?”
“Direi
di no, professore.
Dobbiamo cambiare i programmi della serata.”
Portò
il proprio viso a pochi
centimetri dal suo. “Noi non cambiamo proprio niente.
Perché non chiede al suo
primario di anticiparle la fine del turno?”
“Non
mi sembra il caso, dai…” gli
disse, sfuggendo ad un suo bacio. “Mangiamo a casa.”
“Ma
quanto sei testarda.”
“Vuole
trasgredire alle regole
troppo spesso, professor Danieli.”
“Tu
no?”
“Odiosa,
odiosa, odiosa, odiosa.”
L’ex caposala si massaggiava le tempie seduta su una delle
sedie di plastica in
corridoio.
“Esther,
è successo qualcosa?” La
voce di Marina la fece saltare in piedi.
“No,
dottoressa, niente.”
“Ti
va di venire a bere qualcosa
con me, questa sera finito il turno?”
“Oh,
beh, sì, certo, come no!”
sorrise.
“Bene,
allora a dopo. Ciao.”
E
l’infermiera rimase a guardarla
andar via con un sorriso mezzo ebete sulla faccia.
Non
c’erano parole per descrivere
quant’era affascinante suo marito con quel camice.
“Risponde?”
Anche
se non era proprio di
ottimo umore.
“No,
dottore, il telefonino
suona…”
“Quando
si cerca qualcuno, oh!”
Non si trova mai, rispose automaticamente
Cristiana.
La
bambina tirava la mamma per
camminare più in fretta.
“Vai
pianino, ché cadi…”
Laura
e Valerio si erano fermati
ai distributori.
“Ho
una fame che mi mangerei
tutto” dichiarò la Costa addentando una barretta
di cioccolato.
Valerio
l’osservava sorridendo.
“Perché
mi guardi così?” gli
chiese, la bocca ancora impastata.
Sollevò
la cartellina, e Laura
tossì per il cibo che le andò di traverso.
“Di
già!?” si stupì pulendosi le
labbra con un fazzolettino.
Santamaria
annuì.
“Io…
non ce la faccio ad aprirle.
Oddio…”
“Non
ti devi scomodare. Le ho già
aperte io.”
“E
allora?”
“E
allora aspettiamo un bambino”
svelò, con tutta la sua tranquillità.
La
donna gli corse incontro e si
tuffò tra le sue braccia. “Ma sei
sicuro?”
“Ma
perché, non mi credi?”
Risero
entrambi.
“Certo
che ti credo. E ti amo.”
“Ettore?”
Fece un cenno del capo
a Riccardo per rassicurarlo. “Sì, raggiungi per
favore il box doppio. Ok,
perfetto, ciao.”
“A
posto” si rivolse poi al
dottore.
“Grazie
eh.”
“Ma
si figuri!”
“Mammaaa.”
La voce squillante
della piccola per poco non richiamò l’attenzione
di un padre intento a tornare
nell’ala interna del pronto soccorso.
“Ssh.”
Cristiana
le si inginocchiò
accanto e le tolse il giubbetto. “Facciamo una sorpresa al
papà, va bene?”
“Sì!”
“Dai,
allora, corrigli incontro!”
La
bambina, divertita, non vedeva
l’ora di farlo.
“Papiii!”
Le
sue gambine corte ma agili in
un battibaleno la portarono a poca distanza da un Riccardo che si
voltò dopo
essere stato agguantato ad una gamba.
“Amore!”
Con lo stupore negli
occhi e la felicità di poter abbracciare sua figlia per la
prima volta in
orario di lavoro, la prese in braccio e le fece fare un giro intorno.
“Sei
venuta a trovarmi!” Le diede
un bacione tra i profumati capelli castani.
La
bambina rideva: adorava
guardare il mondo da così in alto.
Poi
Malosti tornò serio e i suoi
occhi caddero sull’ingresso del Morandini, alle sue spalle,
dove colei che aveva
permesso tutta quella felicità stava immobile, con borse e
giubbino in mano.
“Cristiana.”
Sorrise
dopo aver pronunciato
quel nome.
“Mamma”
fece eco la piccolina.
“Andiamo
dalla mamma?”
“Nooo.
Cavalluccio!”
“No,
niente cavalluccio, quello
stasera!”
“Nooo!”
“Niente
storie, papà ha mal di
schiena!”
Riccardo
si avvicinò a Cristiana
che non si era ancora mossa.
“Cosa
ridi tu, eh?” le sorrise
appena le fu abbastanza vicina.
“Con
me non fa mai i capricci,
vero Giulia?”
La
bambina annuì.
“Che
cosa le hai promesso,
stavolta? Torta al cioccolato, nutella, una casa delle bambole ancora
più
grande…”
“Sììì,
bambole!”
“Oddio,
adesso ti tocca
comprargliela…”
“Non
ci penso nemmeno.”
Riccardo
si piegò verso la moglie
e le posò un leggero bacio sulle labbra.
“Ma
non sono bellissimi? Guarda
Giulia, è tutta sua madre…” Con sguardo
sognante Teresa commentava la scenetta.
“Ma
che dici, è uguale a Malosti…
speriamo non ne abbia ereditato anche il carattere!”
“Rocco,
sempre con queste
allusioni… si amano, si sono sposati, e chissenefrega se
è il dottore più str…
cioè, più beh insomma hai capito… del
Morandini!”
“Terry.”
“Che
c’è ora?”
“Finalmente.
E adesso basta
immischiarti nei fatti dei poveri lavoratori di
quest’ospedale.”
“Ma
non ho mica detto questo,
oh!”
L’infermiere
si allontanò a passo
svelto dal bancone ridendo sotto i baffi, mentre Teresa
cercò di rincorrerlo.
“Rocco!
Hai frainteso le mie
parole!”
Il
telefono della reception
trattenne la donna dall’aumentare il passo.
“Vai
vai, Terry, vai a
rispondere, non si sa mai che sia il tuo amante!”
“Piccola!”
Marina
raggiunse i due coniugi e
con un allegro sorriso salutò la bambina.
“Posso
prenderla in braccio?”
“Ma
come no, certo!” rispose
rapida la donna, anche se il mugugno che fece nel contempo Riccardo non
era del
tutto d’accordo.
“Posso
giocarci un po’?” Le fece
solletico nei fianchi.
“Oh,
certo, questa è la sua
borsa, se ha bisogno di qualcosa” gliela appoggio sopra una
spalla.
“Grazie,
a dopo! Ma che bella che
sei…”
“Fff.”
“Sempre
a sbuffare, dai.”
“La
vedo sì e no due ore al
giorno e per una volta che me la porti qui…”
“Senti,
ti volevo dire una cosa.”
“Sentiamo.”
“Non
qui.”
Si
recarono in sala medici, dove
finalmente Cristiana poté liberarsi di cappotto, cappottino
e della seconda
borsa.
“Allora?”
“Sei
nervoso?”
“No,
non sono nervoso.” Stava
alzando la voce. “Solo vorrei avere un po’
più di tempo.”
Non
rispose. Perché quello che
gli voleva dire l’avrebbe fatto imbestialire ancora di
più.
“Qual
è il problema, Riccardo?”
“Sono
in ospedale dalla mattina
alla sera, ti vedo poco, troppo poco! E mi manchi…”
“Lo
sapevamo entrambi che le cose
sarebbero cambiate con il trasferimento e tutto il resto. Abbiamo tutti
meno
tempo.”
Abbassò
lo guardo, dopo essersi appoggiato
al mobile della cucinetta.
“E
tu vuoi tornare a lavorare.”
Cristiana
spalancò gli occhi.
Come
diavolo aveva fatto a
capirlo?
“Io…”
“Hai
tutte le ragioni del mondo.”
Le
prese le mani e l’alzò dalla
sedia.
“Se
non vuoi, io me ne resterò a
casa. Dario, Alessandro, Giulia: me ne occuperò io, come ho
fatto sinora, così
non dovremmo chiamare nemmeno una babysitter.”
“Non
posso chiederti di lasciare
per sempre il tuo lavoro.”
“Non
per sempre, Riccardo, non
per sempre.” Malosti l’avvicinò a
sé. “Come posso sentirmi così
male?”
“Amore
mio…”
La
donna si lasciò andare tra le
sue braccia in un abbraccio.
“Io
sono contenta, davvero.” Si
strinse a lui. “A che ora torni, stasera?”
“Adesso.”
Si
tolse rapido il camice e lo
appoggiò allo schienale della sedia.
“Andiamo
a casa.”
Cristiana
sorrise divertita per
quell’improvviso cambio di programma.
“E
cosa dirai a Sergio?”
“Che
vada a casa pure lui.”
Afferrò
il cappotto della Gandini
e l’aiutò ad infilarlo.
“E
che ti riprenda a lavorare.
Perché è qui il tuo posto. Con me.”
“Ma…
cosa ti prende?”
“Mi
prende che è così e basta. E
visto che ho sempre ragione io…”
A
Cristiana scappò un sorriso.
“Dovresti darla un po’ anche a me.”
“E
non è quello che ho appena
fatto!?” In fretta indossò anche il proprio
soprabito e la sua attenzione
ricadde poi sulle labbra della moglie, che baciò
ardentemente prima di aprirle
la porta.
“Prego.”
La lasciò passare per
prima.
“Grazie…”
rispose ancora scossa
da quel contatto imprevisto.
“Ah,
aspetta.” Le catturò per un
braccio e la trascinò di nuovo dentro la stanza, rubandole
un altro bacio.
“Ti
amo, eh.”
Ed
ora erano tutti finalmente
felici.
Chi
per finta, chi per davvero.
Chi
aveva messo su famiglia, chi
stava per farlo, chi viveva già nella propria da anni.
Ma
almeno una consolazione c’è: adesso
possiamo essere un po’ felici anche noi.
Fine.
No,
aspettate…
“Cristiana…”
“Che
c’è, non vedi che ho da
fare, devo visitare quello del cinque…”
“Ci
pensa Ettore. Ettore?”
L’aveva visto passare nel corridoio trasversale.
“Letto cinque.”
“Sì,
dottore.”
L’afferrò
da dietro e le baciò il
collo.
“Riccardo…
che cosa vuoi?”
Dalla
tasca sfilò qualcosa di
tintinnante e le lasciò oscillare davanti ai suoi occhi.
“Sono
dello studio di Sergio. E
Sergio non c’è.”
La
Gandini si voltò verso di lui
sorridendo. “Come hai fatto a…?”
“Ssh.”
La prese a braccetto. “Ho
le mie conoscenze.”
“Le
hai rubate.”
“Poco
importa.”
Aprì
la porta ed entrambi
entrarono richiudendola dietro di loro.
“Gandini?”
la chiamò, facendole
cadere il camice a terra.
“Sì?”
Avvicinò
il viso al suo. “Parquet
o divano?” le sussurrò con voce profonda.
“Non
lo so…” Cristiana sorrise
maliziosa e lo guardò negli occhi mentre gli passava una
mano tra i capelli.
“Come preferisci.”
“Ok.
Vada per tutt’e due.”
Questa è la FINE.
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