Insieme fino alla fine

di Berenice88
(/viewuser.php?uid=198958)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parigi ***
Capitolo 2: *** La notte ***
Capitolo 3: *** Al sicuro ***
Capitolo 4: *** Al comando ***
Capitolo 5: *** Verso la Bastiglia ***
Capitolo 6: *** 14 Luglio 1789: bollettino di guerra ***
Capitolo 7: *** La visita di Robespierre ***
Capitolo 8: *** Il dubbio ***
Capitolo 9: *** La luce del Sole ***
Capitolo 10: *** Sangue e respiro ***
Capitolo 11: *** Guarire ***
Capitolo 12: *** Il processo... ***
Capitolo 13: *** L'avvocato Detierre ***
Capitolo 14: *** Sotto processo 1 ***
Capitolo 15: *** Sotto processo 2 ***
Capitolo 16: *** Convocazione privata ***
Capitolo 17: *** La sentenza ***
Capitolo 18: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Parigi ***


Il rumore dei tacchi marziali del messaggero finalmente si persero nel brusio della pioggia, fuori dal palazzo.
L'ordine di andare a Parigi era giunto alla fine.
Oscar e Andrè se lo aspettavano, e sapevano perfettamente di non poterlo ignorare, anche se né loro due, né il resto dei soldati della guardia, avevano intenzione di eseguirlo.
Ognuno di quegli uomini, nella solitudine dei propri pensieri, sapeva cosa voleva dire: morire da traditori della corona (perché loro non avrebbero sparato sul popolo di Parigi) o morire da ribelli (perché anzi, avrebbero combattuto con i dimostranti). Ma per i due che osservavano la porta di Palazzo Jearjes oramai chiusa, soprattutto, l'ordine voleva dire che non c'era più tempo, solo due giorni, e poi in un modo o nell'altro la loro vita sarebbe finita.
Andrè alzò lo sguardo alla sua sinistra, gli occhi di Oscar brillavano, anche lei sapeva che sarebbe morta, e con umorismo macabro, pensò Andrè, non per la tisi di che tanto si era preoccupata di nascondere. Non poteva nasconderla a lui, era cieco, ma con lei non serviva vederci per capire cosa le accadeva.
Un lieve tremore della propria mano rivelò ad Andrè che la frustrazione e l'impazienza non erano più gestibili. Due giorni. Aveva passato una vita ad aspettarla, avrebbe guardato la donna che amava da lontano e col distacco necessario a non turbarla per quei due ultimi giorni? Ne sarebbe stato capace?
Forse un bacio, le avrebbe rubato ancora un bacio, anzi, per non spaventarla glielo avrebbe chiesto, lei sapeva che Parigi sarebbe stata la loro morte, avrebbe capito, lo avrebbe baciato, forse anche abbracciato. Dopotutto lo conosceva bene anche lei la legge: un condannato a morte può esprimere un desiderio.
Scaccio' quei miseri pensieri e fece per tornare nella sua stanza, non aveva senso rimanere lì. I tormenti da innamorati respinti non dovevano rovinare i suoi ultimi due giorni di vita. Decise che un bicchiere li avrebbe celebrati più degnamente.

Oscar guardò Andrè tornare nella sua stanza, anche lui era abbattuto, lo sentiva ad un miglio di distanza. La sua mano aveva tremato impaziente e frustrata sulla ringhiera, era un tic che lui mostrava sempre quando aveva in mente che un problema senza soluzione. Parigi, lei pensò.
Parigi significava per lei e per Andrè diventare ribelli per combattere con il popolo, o traditori, perché si sarebbero rifiutati di sparare sulla folla, o forse entrambi. Solo due giorni e poi non avrebbe più rivisto la luce del giorno e lo sguardo di Andrè... si sorprese ad associare quelle due cose, scacciò via il pensiero, ma solo un momento, per poi rimetterselo davanti agli occhi in tua la sua tristezza. Gli occhi verdi di Andrè, la sua bocca morbida e controllata che nascondeva i sorrisi più dolci per regalarli solo a lei... Ma perché piangere tanto? sarebbe morta di lì a poco ugualmente, o no?
Pensò al suo ultimo attacco di tosse, il sangue era uscito dalla sua bocca, ma non troppo, forse gli rimanevano davvero sei mesi di vita, forse c'era ancora tempo... pensò, ma tempo per cosa?
Non importava, ora tutto il suo tempo erano due giorni.
Il popolo di Parigi, e quell'uomo che era appena sgusciato nella dispensa dei liquori a prendere un brandy, erano gli unici due motivi per cui si sarebbe sforzata di vivere davvero per due giorni interi, o almeno ci avrebbe provato.
Passò davanti alla dispensa, mentre Andrè ne usciva, con aria disinvolta.
“Portamene uno in camera quando hai finito. Il brandy sembra una buona idea anche a me contro i cattivi pensieri.”
Andrè la guardò chiudere la porta della propria stanza mentre sgusciava all'interno appena prima che il battente si chiudesse, silenziosamente, come sempre. Non era stupito, non più, aveva pensato male che Oscar non potesse sentire per filo e per segno ogni suo pensiero, sperava solo che avesse saltato la parte in cui piangeva come un bambino per un bacio.

“Ecco a te Oscar,” disse posando il brandy sul tavolino rotondo vicino alla poltrona “volevo mischiarlo nella cioccolata calda, ma poi ho pensato che se la nonna mi vedeva non avrebbe finito più con le ramanzine.”
“Hai fatto bene. Anche liscio ha il suo fascino.”
Oscar si accomodò sulla poltrona accavallando le gambe, assorta, sorseggiando appena il brandy.
“Vuoi cenare con noi stasera? Visto che forse da Parigi non torneremo, mi sembrava dovuto cenare un'ultima volta tutti insieme” disse indifferente.
“No, credo che cenerò con la nonna, è una vita che non mi vede. Ma grazie, il pensiero mi onora davvero.”
“Come credi,” disse subito, pentendosene, e subito aggiunse “ma prima di andare a dormire passa a salutare mio padre. Sarà più tranquillo.”
“Come chiedi Oscar. Verrò a portare il brandy anche per lui.”
“Grazie Andrè.”
“Dovere mio comandante.”
“Smettila!” sorrise lei, morbida, e guardò Andrè avvicinarsi alla porta per uscire. La sua camminata non era fluida ed agile come la propria, era decisa, un affermare ad ogni passo la propria presenza al mondo, solo le maniere arrendevoli e misurate che mostrava nel fare tutto sembravano aggiungere a quella dimostrazione di fermezza le parole 'con moderazione'.
“Ai vostri comandi.”
La sua impertinenza tra compitezza e raggiro era una piacevole civetteria che aveva sempre riservato solo a lei, e solo quando la vedeva nella tristezza più nera.
Un lampo le attraversò lo sguardo, un'idea malsana, desiderio di... stringerlo... in un abbraccio, suo. Forse Andrè non la amava più, lei era stata davvero stupida, ma forse... un bacio, forse un bacio glielo avrebbe concesso ancora, forse anche un abbraccio forte, di quelli che le avevano salvato la vita più di una volta. Forse avrebbe dovuto implorarlo, ma d'altronde ne valeva la pena. Stava per affrontare Parigi all'alba di una battaglia mortale, un desiderio prima di morire è concesso ad ogni prigioniero.

La cena era andata avanti silenziosa, il generale parlava poco, probabilmente aveva il magone anche lui, pensò Oscar, anche le sue truppe sarebbero partite di lì a poche ore per Parigi.
Andrè entrò silenzioso come sempre, solo gli ultimi passi fecero volutamente rumore per farsi sentire dal generale.
“Vi ho portato il vostro brandy signore, pensavo lo avreste voluto.”
“Sei gentile Andrè. Grazie, mille.”
“Volevo anche congedarmi signore, e ringraziarvi per tutto quello che avete fatto per me in questi anni. Forse non tornerò da Parigi, ma non vi dimenticherò.”
“Grazie Andrè, ma via, non siamo precipitosi, spero di rivederti, sono sicuro che te la caverai a Parigi. Anzi, voglio ringraziarti io, sei stato un bravo attendente per mia figlia, e uno dei servitori più fidati per quanto mi riguarda, ti auguro ogni bene.”
“Grazie signore.”
Oscar sentiva che Andrè appianava i suoi pensieri con quella sua misura che rendeva perfettamente distanziate relazioni e persone, ma sentiva altrettanto bene che quella gratitudine era sincera, anche se forse, potendo, li avrebbe espressi con altre parole.
“Andrè,” disse Oscar con tono monocorde “passa dalla mia stanza prima di andare a dormire, vorrei discutere gli spostamenti di martedì.”
“Certo Oscar.”
Se non avesse sentito venir meno la forza della voce sulle sillabe del suo nome, avrebbe giurato che Andrè avesse intuito qualcosa.

Il bussare di Andrè la rendeva nervosa, ogni volta. Quando non entrava liberamente nella sua stanza voleva dire che aveva timore del discorso che doveva affrontare con lei, voleva dire che se poteva risparmiarsi l'incontro, Oscar avrebbe potuto far finta di non sentire e lasciarlo andare.
La faceva sentire colpevole, e stavolta sarebbe stato anche peggio, perché per la prima volta in trent'anni, Andrè avrebbe avuto paura davvero della sua richiesta.
“Entra pure Andrè.”
Lo guardò entrare da dietro il tavolino tondo, in piedi accanto alla poltrona: Andrè non si infilava nella porta fluido come lei, la apriva semplicemente e avanzava con un paio di passi maestosi per poi chiudersela alle spalle.
“Dimmi Oscar, vuoi partire presto martedì?”
Lei gli si avvicinò piano, cercando di imitare quell'attutirsi misurato dei passi di Andrè, finché non gli fu davanti.
“No, a dire il vero vorrei farti una richiesta.”
“Dimmi pure”
“Sai cosa vuol dire per noi partire per Parigi, vero? Sai che io non sparerò mai sulla folla?”
“Lo so Oscar. E' la prima cosa che ho pensato quando è arrivato il messaggero. Io verrò con te, non voglio sparare nemmeno io contro il popolo. E poi,” aggiunse con un sorrisetto che voleva alleggerire l'aria “morire per la patria non suona poi così malvagio. Se siamo fortunati un giorno ci faranno una statua.”
“Beh, io la voglio con noi che ci dividiamo una bottiglia di brandy.” aggiunse Oscar, nervosa, ridendo forte a sua volta. Andrè era ammaliato, la risata cristallina di Oscar non cambiava nemmeno con la malattia, una cascata di pioggia fresca in una giornata d'agosto.
“Beh, lo faremo presente a Bernard, sono sicuro che provvederà.”
“Andrè...” la sua voce si fece improvvisamente morbida e cupa, profonda “forse... forse non torneremo davvero.” il timbro si spezzò cupo, d'un tratto, un'ottava al di sotto di quella che usava dopo un eccesso di tosse.
“Lo so, lo so Oscar... e voglio dirti, per quel che vale ora e varrà mai, che io sarò con te. Non... non importa il passato o il fatto che tu non lo voglia, ma io sarò li con te, sarò uno sciocco innamorato che ti stringe la mano prima che ci fucilino.”
“Beh, per quel che vale ora e varrà mai, quando il messaggero ha letto il dispaccio non ho pensato solo al fatto che non fosse giusto sparare sulla folla... il... il mio primo pensiero è stato... che non avrei mai più rivisto i tuoi occhi dopo Parigi, e che.. che sono stata stupida a non baciarli ogni giorno da quando ti ho respinto quella notte...”
“Oscar...”
“No, lasciami parlare. Ero innamorata di Fersen, e sapevo benissimo che era un amore senza futuro, ma tu eri lì vicino a me, a preoccuparti che stessi bene ogni istante, e anche dopo, mentre piangevo per lui, mentre volevo cambiare la mia vita per non soffrire più una cosa del genere, tu sei rimasto qui, al mio fianco, nonostante ti avessi detto che non ti amavo e ti avessi scacciato come un cane. Andrè solo in questi mesi ho capito... che... che sei la mia stella fissa, tu, solo tu, sarai sempre l'unico uomo di cui non potrò mai fare a meno... ti amo Andrè Grandier, e scusami se per vigliaccheria te lo dico solo ora... ora che la fine è vicina.”
Era la propria mano ora a tremare, si era alzata lentamente, e aveva rimesso a posto, leggera, una ciocca dei capelli neri di Andrè dietro l'orecchio, lasciando visibile tutto l'ovale del volto. Il suo occhio cieco era chiuso. Lei si alzò sulle punte dei piedi, timorosa, e vi posò sopra un bacio. Ogni sua speranza sembrò farla sussultare quando le braccia di Andrè la strinsero e gli mormorò all'orecchio:
“Ti amo Oscar, ti amo da sempre, non ho mai smesso e non smetterò adesso che la fine è vicina, e... se Dio mi aiuterà, nemmeno dopo.”
Oscar lo strinse con un braccio, con l'altro continuò la carezza al suo viso, dall'occhio ancora chiuso, giù per la guancia, fino alle labbra.
La amava ancora, la stava stringendo, si era sbagliata, non era prigioniera, di nessuno, era libera, libera di godere di quella carezza in eterno, di non morire mai, non finché Andrè l'avesse amata. Si allungò per baciargli le labbra, leggera come una piuma, erano morbide, sapevano di brandy, quasi inconscia si scoprì a succhiare piano quel sapore dal labbro inferiore, per poi staccarsi e baciare l'angolo destro di quella bocca, quello che si incurvava quando la prendeva in giro. Era suo, era suo in quel momento, era suo ogni centimetro di quella bocca agognata.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La notte ***


Andrè fece salire una mano dalla schiena fino alla sua testa, spingendola verso la sua bocca per darle un bacio profondo, un bacio che le facesse ricordare che non l'avrebbe lasciata mai. Oscar era così arrendevole ora sotto quelle carezze. Gli aveva detto che lo amava, le parole erano uscite fuori quasi a singhiozzo, timorose del rifiuto che sarebbe potuto giungere. Ma no, lui non l'avrebbe mai fatto, non avrebbe mai nascosto i suoi sentimenti, nemmeno per ripicca. Era sua, suo ogni singhiozzo di felicità che sentiva arrivarle dalla gola, sua quella lacrima di gioia che le bagnava la guancia, si ritrovò a catturare anche quella nel suo bacio. Oscar gli cinse il collo con le braccia, come se non potesse essere abbastanza vicino, come se la paura di svegliarsi dal sogno fosse reale. Andrè, dopo un istante, si allontanò un poco dal suo volto per darle respiro e per prendere aria a sua volta.“E qual'era la richiesta che volevi farmi?” disse ridendo, affannato, “Ho paura di essermi distratto.”

Oscar rise nascondendo la bocca contro il collo di Andrè, tenendolo stretto, non lo avrebbe lasciato andare per niente al mondo, non ora.Prese aria e sollevò la testa fissandolo. Il sorriso sparì, le labbra ripiegarono dentro la bocca per trovare forma alle parole che voleva dire, poi tornarono sul volto, rosse di baci e sussurrarono:
“Non lasciarmi da sola stanotte.”

“Madamigella che richiesta sfacciata.” sussurrò lui a sua volta, riavvicinandole la bocca all'orecchio “Sapete, per certe cose bisogna essere sposati.” le mordicchiò l'orecchio facendola trasalire, anche se in realtà non se ne sarebbe andato dal suo abbraccio nemmeno con un fucile puntato addosso.
“Promettilo Andrè,” il pensiero le uscì dalla bocca prima che potesse apporci un qualsiasi filtro “se mai in qualche strano modo usciremo vivi da Parigi, voglio che mi porti ad Arras, in segreto, solo io e te, come da piccoli, sgusceremo nella cappella e chiederemo al sacerdote di sposarci.”
Andrè lasciò il suo orecchio, osservandole il viso per un lungo, lunghissimo momento.
“Tu dici davvero.” mormorò.
Non era una domanda, leggeva negli occhi limpidi di Oscar che quelle ennesime parole singhiozzate erano un altra verità nascosta che finalmente prendeva luce.
“Certo Oscar,” sorrise, incredulo. Quella notte non era San Lorenzo, eppure pensava che una miriade di comete gli fosse caduta nei pensieri solo per avverarli,“Sarai mia moglie, sarai finalmente tutto quello che ho desiderato.”
Riprese a baciarla febbrile, contento, lei gli si strinse di più addosso.
Si trascinarono al letto, Andrè si sfilò la camicia e le si adagiò sopra, attento a non pesarle, attento a ricominciare a darle i suoi baci migliori. Lei gli fece posto separando le gambe e abbracciandogli la schiena perfetta nell'euforia dei baci.
Sentì il suo petto premerle i seni attraverso il lino della camicia, era un qualcosa di inebriante, come se anche così avvinghiati e felici non potessero essere vicini abbastanza.
Le mani di Andrè scivolarono in basso, sciogliendo il nodo della camicia, sfiorandole finalmente la pelle dell'addome, morbida nonostante i muscoli che sentiva tremare e scattare sotto al suo tocco.
Salì pian piano fino allo stomaco, fino al seno, sfiorandolo, sentendola sospirare sulla sua bocca. Le tolse in un gesto la camicia, e la sensazione di sentire la pelle contro la propria pelle fu un abisso di beatitudine.
Continuò a baciarla teneramente, continuamente, come in preda all'euforia di una felicità stranamente intensa ed inaspettata.
“Devo essere ubriaco” pensò, e il brandy non c'entrava nulla.

Oscar non poteva credere a ciò che accadeva. Le carezze, il corpo di Andrè ora la copriva da capo a piedi generando un calore che non passava dalla pelle, ma che lui scatenava prepotente da dentro di lei. Veniva dal centro del suo ventre, dalla sua cassa toracica, come se gli organi interni si fossero liquefatti, e la lava obbedisse alle mani di Andrè e si spostasse all'interno del suo corpo a seconda di dove dirigesse le sue carezze. Era una magia che avrebbe attribuito ad un ciarlatano se un'altra donna gliela avesse confidata e lei non fosse stata lì a sperimentarla.
Andrè tornò a baciarla sul collo e sulla bocca, cercando di aderire il più possibile al suo busto.
Dopo un minuto Oscar era quasi incosciente, oramai sentiva solo un calore diffuso, lui era tutt'intorno a lei in qualche strano modo, come volesse proteggerla e aggredirla nello stesso momento. Era annientata dal fuoco che Andrè le aveva sparso nel corpo, si dimenava, percepiva preoccupata ed euforica delle deliziose scottature sotto la pelle.
Il calore vorticò dentro di lei inquieto, guardò negli occhi Andrè per capire se quella sofferenza la sentiva anche lui, trovò due occhi verdi, l'uno vigile, l'altro sbiadito che sembrava fissarla sotto la pelle, come se la implorassero di qualcosa.
“Andrè, mio Dio, sto bruciando...” mormorò prima di prendergli un bacio.

Dopo, avvolta al caldo delle braccia d'Andrè Oscar ripensò a quegli attimi.
Calore e piacere l'avevano sommersa a scariche elettriche, pensò a dei fulmini luminosi, fulmini che la colpivano in continuazione. Pensò al Giove tonante con le saette in mano degli affreschi della sua infanzia nelle sale dipinte del suo palazzo ad Arras, quel Giove adesso prendeva prepotente i tratti di Andrè.
Si era sempre chiesta, bambina, perché quel dio divenisse ogni cosa per giacere con le sue amanti: viso amato, animale flessuoso, pioggia dorata o nube di tempesta... ora lo sapeva, era tutte quelle cose insieme essere amata e posseduta da chi faceva di te un mondo e il centro del proprio. Era Andrè col suo viso da bambino, gli occhi verde acqua e il sorriso impertinente, era il falco che volava in cielo per lei, dandole ombra, a vedetta, affinché il sole non fosse molesto, era l'oro fuso e la lava che le avevano incendiato le membra in un momento, era il piacere di correre insieme a cavallo sotto i fulmini che ti inseguono in una tempesta perfetta.
Aveva sentito l'unione cambiarla, la lava incendiarsi in fulmine, ogni fibra del suo corpo vibrare, ogni fibra in cui Andrè aveva posto il suo sigillo di carezze. Aveva chiamato il nome di Andrè, e lui aveva accolto il suo grido in un bacio e in un morso alle labbra che le aveva lasciato il segno.

Aveva sentito, prima del sonno, calore e lava incandescente riempirle di nuovo ogni sua fibra. Stavolta venivano da Andrè, le aveva restituito tutto, ogni pezzo di fulmine e di cielo che erano volati via pochi secondi prima. Li aveva sentiti scorrere in lei mentre Andrè le crollava addosso.
Gli aveva stretto d'istinto le spalle e il busto, le gambe avvinghiate attorno al bacino, in una morsa violenta anche se una beata pace era l'unica cosa che sentiva in quel momento assieme al peso di Andrè.
Non le sembrava possibile provare un tale istinto protettivo verso quel corpo, ma era così.
Quando lui, dopo qualche sfinito minuto tentò di allontanarsi, lei quasi ringhiò:
“Non ci provare nemmeno, resta qui sopra di me. Dio Andrè, non ti allontanare, mai più.”
Lui sembrò ghignare soddisfatto, anche se Oscar non lo vide in volto.
“Non sia mai che infranga un ordine, sono un soldato modello, vero comandante?” mormorò di scherno.
“Finiscila” rise lei, un minimo placata.
“Oscar...” riprese lui stavolta in un mormorio profondo, la voce roca e fonda, quasi di spirito vicino all'orecchio “io ti amo.”
“Anche io Andrè,” disse lei in un sussurro, nervosa, quasi un singhiozzo, “e non voglio mai più tacerlo... Non... non ti allontanare mai più da questo petto, dormi e riposa qui sopra, fidati di me Andrè, non ti lascerò andare... ne... nemmeno all'inferno.”
Le sue parole l'avevano stupita un secondo, poi avevano preso un senso tra il terribile e il sublime. Da Parigi se ne sarebbero andati in due o non se ne sarebbero andati.
Il pensiero della assenza di Andrè gli si rivelò come un abisso dietro un paravento al di là di cui non aveva mai guardato, ne percepiva tutta la distruttività e la vicinanza.
Andrè le carezzo di nuovo la bocca e la guancia con una mano, guardando diritto i suoi occhi cielo.
“Mi fido Oscar, sono qui. Con te.”
Il sonno li aveva presi tranquilli, abbracciati. L'ultimo pensiero conscio di Oscar fu che c'era poco tempo prima che l'alba arrivasse, e lei doveva ancora fare una cosa...

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Al sicuro ***


La tazza da te' tintinnò sul tavolo dove Bernard l'aveva messa, facendo vibrare in onde concentriche il proprio contenuto dall'odore pungente, proprio davanti ad Oscar.
“Mi spiace che Rosalie non ci sia. So che volevi salutarla prima di... domani.”
“Non ti preoccupare Bernard... la vedrò, domani.” disse lei portando la tazza alla bocca in maniera naturale, come se avesse detto una grande ovvietà.
“Noi domani saremo davanti alla Bastiglia, lo sai Oscar.”
“Lo so Bernard. Anche io e Andrè ci saremo, e se conosco i miei uomini, anche loro verranno. Abbiamo intenzione di combattere col popolo.”
“Oscar ma tu... sei il comandante della guardia metropolitana, sei stata il comandante della guardia reale... dovrai obbedire agli...”
“Io ho promesso di servire il mio paese e proteggerlo. Non sparerò sui suoi abitanti, non su quelle stesse persone che dovrei proteggere. Non l'ho fatto agli stati generali e non lo farò domani, così come non lo farà Andrè. Ieri sera abbiamo parlato, sappiamo entrambi che moriremo o da traditori della corona o da ribelli insieme al popolo. Io domani getterò i miei gradi, e Andrè la sua divisa se necessario, saremo soltanto due cittadini che lottano per salvare Parigi e la Francia da una morte sotto i cannoni, come te e Rosalie, come tutti gli altri.”
Bernard la guardava interdetto con la teiera in mano. Posò la ceramica bianca sul tavolo di legno umidiccio, si sedette davanti a lei, a testa bassa, concentrato sul suo te'. Cominciò a sorseggiarlo, ad occhi socchiusi. Le disse:
“Lo sai che mi fido di te.”
“Lo so.” Oscar aveva posato ora la tazza sulla guancia destra, per riscaldarsi. L'umida casa di Bernard e Rosalie era fredda, il carbone non arrivava più in città da giorni, ogni riserva era stata tolta dal mercato per i soldati che da tutta Europa accorrevano verso Parigi per difendere i Borbone.
“Sai che ti credo,” continuò Bernard “so quel che hai fatto, e Andrè è con te...”
L'uomo sapeva di dovere molto sia ad Oscar che ad Andrè. A lui soprattutto doveva molto più di un occhio. Gli doveva la sua coscienza, libera di seguire l'ideale che domani gli avrebbe fatto assediare la Bastiglia. Se Andrè non l'avesse perdonato e non gli avesse dato il suo appoggio per la causa popolare, Bernard sarebbe stato ancora il Cavaliere Nero, un ladro non migliore di altri, e non un uomo che lottava davvero per il suo paese.
“Bernard” riprese Oscar con tono calmo, posando di nuovo la tazza, anche se lo stridere della voce sul nome dell'amico rivelava la tensione che provava, “io so che tu mi credi e so che mi crederà anche Robespierre, ma non mi fido di chi è con lui, né di Saint-Just, né dei suoi amici. Loro odiano i nobili per partito preso, anche se si appoggiano ad alcuni di loro per le loro iniziative. Se la fazione di Saint-Just prenderà il sopravvento dopo la battaglia di domani e io sarò ancora viva, ho timore che diventerò solo una scusa per condannare a morte me stessa, Andrè e i miei soldati. So molte cose di Saint-Just che lui non vuole che io dica, cose che Robespierre non potrebbe ignorare o perdonare a uno dei suoi collaboratori. So che Andrè e i miei soldati mi difenderanno, e le loro teste salteranno per far saltare la mia. A me non importa di morire, sono malata Bernard, ma loro...”
Oscar si fermò... non era vero. Mentiva, doveva. Le importava di morire. Non voleva andarsene, non lo voleva proprio. In una notte aveva guadagnato... tanto da perdere.
“Che cosa?” chiese Bernard, allarmato più dall'improvvisa inquietudine che aveva colto nei suoi occhi, più che per la notizia in sé.
“Tisi, il dottore ha detto che potrei guarire, ma ha detto che è più probabile che non resista più di sei mesi. Non mi faccio illusioni, so che se non morirò domani, morirò comunque presto...”
Era la prima volta che lo ammetteva ad alta voce, il gelo le corse dalla gole per il petto e le braccia, fino alle mani, la tazza tintinnò ancora, un solo istante, mentre veniva riposata sul tavolo.
Sarebbe morta. L'enormità della cosa la sconvolse. Immaginare il suo corpo freddo come ghiaccio dopo aver vissuto il calore di una sola sera da donna innamorata ed amata, e pensare di toccare il corpo di Andrè anch'esso freddo le seccarono la gola all'istante.
“Oscar, io...”
Nervosa, strinse le mani sulla tazza e la riportò alle labbra, prese un altro sorso di te', lo mandò giù, era caldo, la gola si sciolse un po'.
“Ascoltami Bernard, ti prego. Voglio che i miei soldati, se sopravviveranno come spero, siano al sicuro. Puoi assicurarmi questo?”
Rivide davanti agli occhi tutti gli uomini che le avevano reso la vita un inferno pochi mesi prima e che aveva imparato a rispettare, quegli uomini che ora la rispettavano come nessun altro comandante prima d'allora. No, anche i loro corpi freddi e tutti i loro progetti cancellati da una cannonata della Bastiglia erano un'immagine insopportabile. Non poteva lasciare che questo accadesse.
“Si Oscar, questo lo posso fare, nessuno di loro è nobile.” sospirò Bernard, gli occhi bassi, anche lui sapeva che Oscar non era tipo da compiangersi. Non le disse che gli dispiaceva per lei, non le disse che Rosalie avrebbe pianto per giorni. Oscar già sapeva queste cose, e gli fu grata.
“Bene.” rispose, e d'un fiato, con delicatezza bevve quel che rimaneva del suo te'.


Quando Oscar rientrò nella propria stanza Andrè dormiva ancora, grazie al cielo.
Se ne era sgattaiolata via all'alba per parlare con Bernard, l'ora in cui sapeva di trovarlo a casa da solo e di non trovare Rosalie, intenta a lavare i panni alla fonte due vie dietro casa loro.
Era andato tutto bene, Bernard avrebbe difeso i suoi uomini, e, se fosse stato necessario, anche lei ed Andrè. Anche se ogni loro possibilità sembrava remota.
Si disfece dell'impermeabile e dei pantaloni di pelle, si rimise a letto vicino ad Andrè con solo la camicia addosso. Dovevano essere più o meno le otto ora.
Lo osservò con la testa appoggiata su un gomito, steso supino sul suo letto, il lenzuolo aggrovigliato attorno a lui fino al petto, il viso tranquillo e addormentato, la bocca perfetta piegata appena in un sorriso, gli occhi chiusi incorniciati dalle ciglia nere, tutto circondato da quei riccioli nero ossidiana, lucidi, umidi e sparsi sulla sua fronte, sulla guancia destra, sul cuscino. Il braccio sinistro avvoltolato anch'esso al bordo del lenzuolo, sul petto, che si muoveva impercettibilmente verso l'alto e poi di nuovo dabbasso col suo respiro; l'altro era piegato accanto alla sua testa, la mano, appoggiata sul cuscino, era aperta verso l'alto accanto al gomito di Oscar.
La bellezza di Andrè, che Oscar non riusciva più ad ignorare, soprattutto negli ultimi mesi, era lampante. Fin da quando era entrato nei soldati della guardia si era sorpresa a spiare i suoi passi decisi e silenziosi all'adunata del mattino, a guardare attenta e sorpresa come la divisa di una taglia più piccola rendesse vividi i lineamenti del suo corpo, lo sguardo che le lanciava di sbieco da sotto il berretto alla rivista della sera riusciva ad attrarla senza che lei lo controllasse.
Lei non si era accorta della presenza fisica di Andrè finché lui non le aveva detto di amarla come e più della sua vita, finché non l'aveva costretta, con un gesto impulsivo di violenza, sebbene non voluta, a fare i conti con sé stessa, coi propri sentimenti e con il proprio corpo, quello di una donna, per quanto straordinaria.
Lui sapeva chi lei fosse, sapeva che poteva amarlo come e più di Fersen, anzi che forse già lo amava; che poteva mettersi più di un vestito da donna per lui, con Andrè e per Andrè lei poteva fare di più, poteva scegliere di essere una donna che non combatteva più sé stessa e i propri desideri, scegliere di non rinnegare più ciò che sentiva giusto, anche se andava contro un'educazione, una classe sociale e dei sovrani che l'avevano cresciuta.
Con Andrè poteva essere libera, davvero.
Allungò una mano contro la sua aperta, le sue dita e quelle di Andrè erano ugualmente lunghe. Dopo un istante percorse con l'indice tutto il contorno del palmo, dalla curva del pollice fino alla piega del mignolo e alle vene in evidenza del polso, lo sentì respirare più profondamente.
Un ricordo lontano fece capolino nella sua memoria con delle immagini vivide. La piega del polso era un punto particolarmente sensibile di Andrè, da bambini Oscar gli faceva persino il solletico lì. Oscar rideva a crepapelle per quella sua piccola debolezza, e Andrè spesso, arrabbiato dopo che aveva riso fino alle lacrime sotto costrizione, le nascondeva il fioretto per dispetto. Era una di quelle debolezze per cui non aveva colpa e per cui non sopportava di essere preso in giro, un po' come lei.


Andrè socchiuse gli occhi, vide Oscar accanto a sé che guardava concentrata la sua mano aperta, stava accarezzandogli dolcemente le dita e il polso, aveva l'ombra di un sorriso sul volto, un sorriso irriverente. La sua mente assonnata galoppò in fretta, era sicuro che stesse pensando alle lotte di solletico da piccoli. Quando le cose si mettevano male per Oscar, lei gli saltava alle spalle, gli torceva una mano dietro la schiena, e, sapiente come un torturatore, prendeva a fare cerchi delicati sul suo polso, sapendo che lui avrebbe riso prima e si sarebbe arrabbiato poi.
“Eri una provocatrice davvero cattiva, anche se avevamo appena otto o nove anni.”
Oscar alzò gli occhi al suo volto, sorpresa e turbata un istante per essere stata scoperta in quell'azione e in quello stesso ricordo. Ritirò le dita, come imbarazzata.
“E tu sei uno spione,” sussurrò, dolce, allungando il gomito e posandogli la testa proprio sulla mano, ancora aperta.
Andrè sentì venire dalla sua camicia l'odore di te' alle foglie di gelsomino, un te' che solo una persona in tutta Parigi si ostinava a cucinare assieme alle frittelle di mais all'alba.
“Sei stata da Bernard, vero? Sento l'odore del suo te' fin qui.”
Oscar abbassò gli occhi, poi li rialzò e sorrise:
“Si, sono andata da Bernard all'alba, volevo essere sicura.”
“Sicura di cosa?"
“Non ho paura per domani Andrè, so cosa mi aspetta, mi preoccupa più quello che accadrà dopo. Se gli altri soldati della guardia ci seguiranno, come penso, e io, per qualche strano caso, dovessi uscirne viva, credo che Saint-Just e i suoi amici riusciranno a convincere Robespierre a perseguitare i nobili.”
“Ma tu domani combatterai per il popolo...”
“Si,ma Saint-Just ha un conto in sospeso con me. So che farebbe di tutto per avermi morta, conosco troppi dei suoi crimini, assassini gratuiti e attentati senza motivo come quello al principe Aldelos. Sono cose davanti a cui nemmeno Robespierre potrebbe chiudere gli occhi.”
“Ma non c'eri solo tu, anche io, Alain, Lassale, tutti eravamo con te nelle indagini e sappiamo benissimo quante bravate e assassini Saint-Just abbia fatto a sangue freddo.”
“Non capisci Andrè, Saint-Just cercherebbe di uccidermi, assieme a tutti gli altri che conoscono i suoi misfatti. Se sopravvivessi, sarebbe capace anche di usare te o gli altri soldati, di uccidervi per far saltar fuori la mia testa. Combattere per la Francia non mi mette in salvo Andrè, non mette in salvo nessuno che mi è stato accanto o che ha servito le armi sotto il mio comando. Ho chiesto a Bernard di prendere le difese dei soldati, se i miei timori dovessero concretizzarsi.”
“Hai ragione lui è l'unico in condizioni di aiutarli...” ammise Andrè, la fissava mentre vedeva qualcosa nel suo sguardo, come un'ombra di paura. Le labbra di Oscar avevano come un tremito, un muoversi convulso del labbro superiore.
“Ha dato la sua parola, ha detto che... che ci aiuterà,in qualche modo, se sopravvivremo. Andrè...”
doveva dirlo. Due giorni non erano abbastanza, due giorni con lui non erano niente, adesso aveva la possibilità di renderlo felice, di essere felice. “Andrè io sono... malata.”
“Lo so.” disse lui, sorprendendola, “ho visto le camicie e i fazzoletti macchiati di sangue Oscar, è tisi, lo so.”
Vide Oscar sbarrare gli occhi un istante, balzando a sedere “Tu... tu lo sapevi... da quando?”
“Lo sospettavo da tre settimane, poi sei andata dal medico la settimana scorsa, e non ho avuto dubbi.”
“Andrè, se le cose si dovessero mettere male per me... se la tisi peggiora... o se io morissi, tu... ti prego, dimmi che ti metteresti in salvo.”
Andrè si mise a sedere, accanto a lei. Le accarezzò il viso con una mano, mano contro cui, dopo poco lei si abbandonò, prendendola nella propria, tenendola sul proprio viso.
“Oscar, non mi importa se domani moriremo sotto le cannonate, fucilati tra una settimana, o tra un anno portati via dalla tisi. Io non ti lascerò, non l'ho mai fatto, non lo farò. Voglio solo che tutto il tempo che abbiamo ancora sia nostro, e non solo tuo o mio. Ieri sera ho provato uno strano senso di pace che non avevo mai sentito, ho fantasticato su come sarebbe sopravvivere e portarti ad Arras davvero davanti al sacerdote, come sarebbe dire a tutti 'Questa è mia moglie', come sarebbe bello stringerti ogni notte come ho fatto stanotte... ma ho qualcosa di meglio delle fantasie, ho te, carne, ossa e anima, ho la realtà, tu mi ami come ti amo io, e non so se sopravviverò domani, ma so che oggi sarai qui con me, so che nonostante tutto abbiamo noi ed oggi.”
Andrè la strinse contro il proprio petto con il braccio libero. Non avrebbe lasciato a nessuno rovinargli quella giornata, tanto meno all'illusione di un domani.
 

Oscar si lasciò sfuggire una lacrima, ma non voleva farsi compatire.
Alzò di poco la testa piegando il collo flessuoso fino a mettere le labbra sulla carotide di Andrè, che colse in un bacio dolcissimo.
Andrè chiuse gli occhi, lei approfittò del fatto che lui le avesse preso il mento con la mano per arrivare a baciarla sulla bocca per intrecciare le dita alle sue. Evitò la sua bocca e cominciò a baciargli la mano, fino ad arrivargli al polso, guardandolo di sguincio con un sorriso, nascondendo ogni traccia di preoccupazione. Fece due piccoli cerchi con la lingua, vedendolo sorridere e trasalire.
“Provocatrice, non cambi mai.” sussurrò lui, il tono di nuovo leggero.
Lei continuò imperterrita, a lungo, finché non sentì Andrè ridere come da bambino e tentare di stringerla senza riuscirci, costretto a ridere fino alle lacrime, fino alla rabbia. Gli aggredì le labbra in un secondo, non lasciandogli tempo di cercare anche solo una qualche blanda vendetta. Gli salì addosso, sedendosi sulle sue ginocchia e continuando il bacio invadente, Andrè la stringeva e accarezzava febbrile, mettendole le mani sotto la camicia senza più nodo, cercando la pelle della sua schiena, la piega sensibile della sua colonna vertebrale.
Si staccò un istante dalla bocca di lui, tenendogli comunque ferma la testa, con le mani immerse in quei ricci neri, lucidi e scompigliati.
“André oggi non mi basta... farò di tutto per uscire viva da Parigi, ti prego promettimi solo che lo farai anche tu.”
“Te lo prometto Oscar, usciremo insieme di lì sulle nostre gambe, farò di tutto per farci uscire da lì.”
Andrè si spinse si nuovo contro la sua bocca.
“Io ti prometto...” fece Oscar cercando di prendere fiato dai suoi baci, sorridendo con una malizia di cui non si credeva capace “che mi impegnerò, per far si che oggi ci basti per tutta la vita...”

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Al comando ***


I cavalli galoppavano veloci, avvicinandosi sempre più alla caserma di Parigi.
Oscar non pensava a niente, teneva solo sotto controllo la corsa del cavallo e cercava di avere sempre Andrè nel suo campo visivo.
Presto il palazzo della caserma prese forma all'orizzonte: i muri di cinta, bianchi e imponenti, scrostati e incorniciati di muschio, cingevano il parallelepipedo bianco, macchiato sugli spigoli dai rampicanti spontanei e dalle chiazze di umidità nere e grige. Era familiare ad Oscar come la propria casa.
Scesa da cavallo nelle scuderie aveva imboccato il percorso fino al proprio ufficio: aveva riconosciuto ogni venatura e ogni crepa dei muri, ogni pezzo mancante dal battiscopa e ogni quadretto ammaccato con i dipinti di cavalieri e fanti in marcia sulle pareti interne.
Con Andrè appena un passo dietro di lei, si fermò davanti alla porta spalancata del proprio ufficio e diede uno sguardo all'interno, alla scrivania, alla sputacchiera, alla cassettiera con gli schedari, al quadro con la famiglia reale accanto alla finestra.
Guardando i volti della regina e del re, staccò con violenza i gradi dalle spalline, li fissò un istante abbassando lo sguardo sulle proprie mani, appena rosse per lo sforzo e poi, facendo un passo avanti, delicatamente, li depose al centro del piano di pelle della scrivania.
Fissò di nuovo il ritratto della famiglia reale:
“Non posso più proteggerli Andrè... semplicemente non ho più un motivo per farlo...”
Oscar guardò con malinconia il volto del principino Joseph.
“Ti ho mai detto che stavo per diventare regina Andrè?”aggiunse.
“Sì, una volta, pensavo scherzassi.” disse lui, incuriosio.
“Il principino Joseph, quando era molto malato, aveva chiesto di me.” proseguì Oscar, “Mi aveva chiesto di poter fare una cavalcata sul mio cavallo bianco. La regina mi pregò di esaudirlo e così lo portai con me. Mentre galoppavamo mi raccontò di tutte le cose che avrebbe fatto per il proprio paese, di come non avrebbe più voluto vedere madri tristi e bambini malati in tutto il suo regno, nessuno avrebbe più dovuto patire quel che pativa lui, non nella sua Francia.”
Oscar chiuse gli occhi, una lacrima scivolava piano dalla sua guancia. La mano di Andrè corse veloce e silenziosa ad asciugarla e poi a cercare la mano di Oscar.
“Era così intelligente Andrè” continuò Oscar “ed aveva solo otto anni... prima di lasciarlo di nuovo a Versailles mi disse queste parole, 'Aspettatemi Madamigella Oscar, rinascerò più forte e libero, e verrò a cercarvi, vi sposerò, ma voi...solo... aspettatemi fino ad allora'. Il giorno dopo le campane di Notre-Dame suonavano a lutto. Quel bambino, sono sicura che quel bambino avrebbe cambiato molte cose Andrè...”

“Lo so Oscar, lo penso anch'io...”
Andrè aveva visto poche volte il principino Joseph a corte, ma aveva sempre notato il suo sguardo malinconico e profondo, così diverso da quello altezzoso della regina e da quello sempre affaticato del re.
Di lui riusciva a ricordare il volto, e il portamento, non faceva sfoggio di nulla, lasciava trasparire correttezza. I suoi occhi intensi e blu non li avrebbe scordati. Sembravano avere una strana capacità: quando si posavano su una qualsiasi cosa o persona, erano capaci di guardarvi attraverso. Con chiarezza.
Per un momento Andrè si chiese se il principe Joseph avrebbe visto davvero il suo paese e tutta la miseria che lo circondava. O l'età e la spocchia della sua classe sociale lo avrebbero accecato come tutti gli altri nobili?
Andrè fissò Oscar...
No, le eccezioni esistevano, certi animi puri non si macchiavano mai.
“Sì, il principino Joseph sarebbe stato un buon re,” pensò Andrè sorridendo appena “anche solo per non fare brutta figura con Oscar...”
Andrè tirò Oscar fra le sue braccia e le mormorò all'orecchio“Saresti stata una regina magnifica.”

Alain alzò lo sguardo vedendo arrivare il comandante. Notò subito che i gradi erano stati strappati dalla divisa.
“Comandante.” si affrettò a dire, seguito da un gesto d'attenti da parte di tutti gli altri soldati nel dormitorio.
“Riposo. Soldati vorrei che mi concedeste un momento.”
I soldati scesero dalle brande e si accalcarono attorno al tavolino di legno traballante dietro al quale Oscar si era fermata.
“Due giorni fa ho ricevuto l'ordine da parte del Generale Bouillè di mobilitarvi fin da oggi per difendere la Bastiglia, che i ribelli asserragliano da giorni. Là dovrei ordinarvi di volgere fucili e cannoni contro il popolo che si è concentrato attorno al forte e di fare il possibile per allontanarli, compreso sparare se necessario.” disse tutto d'un fiato, quasi meccanicamente. Posò un pugno sul tavolo, senza rabbia, con gli occhi appena abbassati, solo per trovare appoggio alle parole che dovevano seguire. “Soldati, sia io sia voi sappiamo che lì in mezzo non ci sono ribelli, solo vostri amici, vicini di casa, compagni d'infanzia, parenti, uomini e donne con i quali siete cresciuti e di cui conoscete la vita, e sapete bene come me che hanno una buona ragione per fare quel che fanno, una ragione che ha molto a che fare con la propria libertà di sopravvivere, innegabile a qualsiasi essere umano. Io non riconosco più negli ordini del generale Bouillé il giuramento che ho fatto di proteggere questo Paese, io non posso sparare sul popolo che dovrei difendere, e non posso difendere i sovrani che mi ordinano di sparare.” alzò gli occhi, vividi, sui suoi soldati, uno squarcio di cielo nella semioscurità del dormitorio. “Io non andrò alla Bastiglia per sparare domani, io e Andrè andremo là come semplici cittadini e combatteremo per quello che riteniamo giusto. Io... io amo Andrè Grandier, e lo seguirò per difendere insieme a lui e al popolo di Parigi la Francia. Non so quale sia il vostro volere, ma io non posso più essere il vostro comandante. Ho restituito i miei gradi e l'unica cosa che posso fare ora è gettare anche questa.”
Oscar sfilò dal petto la stella dorata ad otto punte, simbolo della nobiltà a cui apparteneva, e la gettò a terra, abbassando lo sguardo. Non ebbe la forza di guardare i suoi uomini, per un secondo la fuga con Andrè il più lontano possibile apparve un'idea meravigliosa, fortunatamente quell'istante passò presto.
Alzò il viso, guardò i volti duri e appena sorpresi dei suoi soldati e strinse senza timore la mano di Andrè, le dava una sicurezza incredibile il solo toccare quella pelle, fece il gesto di un inchino con la testa ai suoi soldati.
“Spero che capiate.” mormorò, infine.

“Spero che non pensiate di esser stata l'unica ad avere l'idea” sbottò Alain in una risata sguaiata, una risata che Oscar aveva imparato a riconoscere: voleva dire sorpresa, grossa e inaspettata per la precisione.
“Abbiamo discusso molto prima che voi arrivaste, sapevamo che al massimo domani l'ordine sarebbe arrivato.” aggiunse con un sorriso calmo Lassalle.
“E avevamo anche avuto qualche sospetto sui due giorni di permesso di Grandier, i primi da quando vi siete rifiutata di sposare quell'altro...” aggiunse Laroche, ghignando e suscitando altri ghigni di scherno poco innocente verso Oscar e Andrè. Se fosse stata poco meno abituata a trattare con loro avrebbe preso tutti a pugni, invece arrossì e basta, appena, la mano in quella di Andrè stretta sembrava mormorare, trattienimi tu...
“Non ridiamo di voi comandante,” disse Alain, captando la tensione, “solo che anche noi avevamo deciso di non sparare se l'ordine fosse arrivato, ve l'avremmo comunicato oggi. Ma ora, visto che anche voi avete deciso di stare dalla nostra parte, credo proprio che potremmo combattere tutti insieme. Voi sarete ancora il nostro comandante e guiderete noi e tutti quelli che si uniranno a noi... lo volete comandante?”
Alain la guardò negli occhi, fisso, come se volesse provare la bontà di ogni parola uscita dalla bocca di Oscar. Il rossore abbandonò il volto di Oscar, gli occhi limpidi tornarono concentrati.
La donna guardò Andrè, la domanda era muta.
“Per me va' bene Oscar.”
“Sarò il vostro comandante allora.” disse secca. Una promessa.

Ribelli, sapeva che sarebbe andata a finire così... gli restava solo una mansione da compiere.
Il colonnello Dagout aveva osservato la scena due passi dietro l'uscio del dormitorio, e aspettò che Oscar uscisse.
“Colonnello Dagout,” disse Oscar, un poco sorpresa di vederlo lì. “Penso che abbiate sentito quel che io e gli altri soldati abbiamo discusso.” aggiunse ad occhi bassi, infilandosi il secondo guanto di pelle chiara.
“Si comandante,” rispose l'uomo, “e se me lo permetterete, preferirei ritirarmi a casa.”
“Certo colonnello. Siete dispensato dai vostri incarichi con effetto immediato.”
Oscar gli rivolse un sorriso sereno e subito sparì nel corridoio verso l'uscita, seguita dagli uomini.
Il colonnello sorrise appena tra sé, aveva fatto un ottimo lavoro. La sua presenza discreta e la balla su sua moglie malata di tisi avevano conquistato la fiducia di quella sciocca donna, lei non sospettava nulla, lo aveva lasciato andare senza fare domande. S'infilò silenzioso in un'uscita secondaria sconosciuta al resto del reggimento che portava ad una piccola stalla separata all'interno delle scuderie. Prese il suo baio per le redini ed uscì galoppando verso Parigi, diritto verso la casa di Saint-Just.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Verso la Bastiglia ***


“E' venuta stamattina in caserma con il suo ex attendente, Grandier, e ha annunciato ai soldati che non intende sparare sul popolo, come da ordine del generale Bouillé. I soldati le hanno detto che avevano già deciso di unirsi ai ribelli della Bastiglia e le hanno chiesto di continuare a essere il loro comandante durante le operazioni presso la fortezza. Lei ha accettato.” disse secco Dagout, fissando la figura seduta sulla poltrona davanti a lui. I tratti sottili e seducenti di Saint-Just sembravano quelli di un gatto che aspettasse nell'ombra che il topolino corresse da lui, ingannato dai riflessi della luna nei suoi occhi. Occhi verdi con una permanente ombra di divertimento addosso, viso magro, sorridente, e dai lineamenti delicati, capelli di un biondo scuro, perfettamente lisciati e pettinati con olio di rose, sebbene tenuti sciolti, e una figura flessuosa che sembrava riuscire a muoversi senza fare un passo.
“E così il nostro irreprensibile comandante diventa un ribelle... commovente da parte sua. Ha detto perché?” chiese Saint-Just.
Il tono mellifluo della voce era la cosa però più agghiacciante di quell'uomo, una carezza viscida sulla guancia per il colonnello, e lui non riusciva a sopportarla, ma non doveva assolutamente darlo a vedere, si sentiva legato, un topo in trappola, proprio come Saint-Just voleva farlo sentire.
“Sembra che sia innamorata del suo ex attendente,” disse Dagout, superando un nodo alla gola che non gli dava tregua in presenza dell'altro, “quel Grandier che vi ho detto, che è uno dei soldati della guardia metropolitana ora, e che abbia deciso di seguirlo. Lui è un amico di Bernard Chatlet, da quanto so, e condivide da tempo gli sforzi della causa popolare, anche se agisce con discrezione.”
“Oh, una nobildonna innamorata della servitù... una nuovissima Eloisa! Dovremo raccontarlo al nostro amico Rousseau! Aahhahah!” ghignò, mettendosi una ciocca lucida di olio alle rose dietro l'orecchio “Chissà come sarà contento il generale padre... Si sta scavando la fossa da sola, povera, piccola, sciocca nobile, tipico della sua classe essere così avventati e non tenere conto delle conseguenze.”
“Intendete tenderle una trappola?” chiese Dagout cercando di nascondere l'apprensione nella sua voce.
“Non servirà, caro Colonnello, lei combatterà per il popolo con una cascata di capelli biondi e una divisa da comandante delle guardie metropolitane, è un bersaglio mobile; ed anche se non ce la facessimo a farla accidentalmente cadere nelle sommosse, beh, credo proprio che troveremo il modo di farla odiare a morte: seduttrice del suo attendente popolano per avere protezione quando le cose si mettono male per l'aristocrazia, venderà più giornali di Jean Valois e della sua miserabile vita!Ahahahahahah!” la risata di Saint-Just era veleno liquido, “E si sa caro Dagout, quando l'odio nasce basta solo dirigerlo fino a scatenare la violenza.”
Dagout poteva quasi sentire quelle parole rimescolargli lo stomaco, la nausea per quell'uomo era reale, non uno scherzo della sua immaginazione.
“Capisco, signore.” mormorò un attimo dopo, appena ebbe ripreso il controllo della propria voce.

Aveva fatto tutto quello che Saint-Just gli aveva chiesto: da quando era fallito l'attentato al principe Aldelos, Dagout era stato l'ombra del comandante Jearjais, aveva registrato tutti i suoi spostamenti, le sue stranezze, i suoi passi falsi, persino i suoi giorni di permesso e le sue visite mediche senza destare un sospetto e anzi guadagnandosi la fiducia del comandante, e naturalmente aveva riportato tutto a Saint-Just.
Era andato tutto a meraviglia, non avrebbe mai creduto di riuscire ad essere una spia tanto talentuosa. E Oscar, quella donna era un'anima pura, un soldato fortissimo, ma troppo innocentemente fiduciosa e altruista, troppo corretta per ammettere di vedere una scorrettezza in chi le stava vicino. “Ecco perché le donne non dovrebbero entrare nell'esercito” aveva pensato una volta, “le guerre sarebbero così prevedibili e facili da vincere. Il loro non ammettere la falsità le ucciderebbe tutte in poco tempo, proprio come sta condannando a morte quella sciocca...” non lo avrebbe mai mostrato a Saint-Just, ma Oscar quasi gli faceva tenerezza.
“Come sei parco di parole Dagout caro, cosa posso fare per farti sorridere?” Saint-Just si alzò, incedendo flessuoso e fluido fino a Dagout, così ferino da sembrare pronto a graffiarlo, “Forse una lettera dei tuoi figli potrebbe migliorarti l'umore! Dopotutto hai portato a termine il tuo incarico con successo.”
Ecco il motivo di quel gioco di forza.
Saint-Just aveva rapito, un giorno prima di avvicinare Dagout per il suo incarico, i suoi due figli, Marcel e Louis.

Dagout era un vero nobile, nato e cresciuto in una famiglia di duchi assai conservatori. Essendo terzogenito, non aveva avuto altra eredità che una ferrea educazione che lo rendesse orgoglioso delle sue origini aristocratiche, senza mai metterne in dubbio la correttezza.
La scarsezza di denaro e di titoli a lui lasciata dalla famiglia, lo aveva costretto alla carriera militare di basso livello (quella di alto livello fu riservata al fratello secondogenito, ovviamente, come era tradizione da secoli), che aveva percorso con difficoltà, fino al grado di colonnello. Teneva ben nascosta la sua spocchia sotto un'area imperturbabile, era il suo modo di mostrare disprezzo per il lavoro, indegno del suo rango, che gli era toccato.
Aveva sposato circa quindici anni prima una ricca ereditiera, che era morta dando alla luce il suo secondogenito. I suoi due figli erano la sua vita. Marcel Thomas e Louis Pierre Dagout avevano rispettivamente quattordici e undici anni. Il padre si era adoperato fin da prima della loro nascita, fin dalla scelta di quella donna non bella ma sicura di sé e potente come moglie, affinché i suoi posteri avessero un futuro assai più radioso del padre, ed era stata un'ottima scelta.
Gli averi di una vita da colonnello, per quanto modesti, sarebbero stati loro, assieme ad una buona posizione sociale legata al nome del ferreo Dagout. Ciò che più interessava il padre era poterli vedere a capo delle proprietà materne, che avrebbero acquisito alla maggiore età. Avrebbero avuto con quelle il titolo di Duca, che a lui era stato negato, in quanto riservato al primogenito della sua famiglia, una grande fortuna economica e, con quella e con i legami parentali materni (che lui curava con impeccabilità fin dalla nascita dei bambini), molta più influenza di quanta lui ne avesse mai avuta.
Dagout non poteva permettere che un plebeo poco più che pazzo come Saint-Just rovinasse tutto quanto, non tutti gli sforzi di una vita.
Aveva fatto metodicamente tutto quello che l'altro aveva chiesto, conosceva i metodi violenti dell'uomo, sapeva che un qualsiasi sgarro sarebbe costato un pugnale nel cuore dei suoi figli.
Ogni settimana, dopo il rapporto, Saint-Just gli dava una lettera dei suoi figli, per fargli sapere che stavano bene. Sapeva che erano ancora in vita, analizzava con cura la scrittura delle lettere, era proprio quella di Marcel, il più grande, a stendere sempre il corpo della lettera e i poscritti erano della grafia poco meno decisa di Louis.
Saint-Just aveva promesso di restituire i ragazzini a lavoro finito, ovvero fino a quando il comandante Jearjais avesse fatto un passo falso, e il suo lavoro era decisamente finito.
Una carrozza era pronta in un'ala di una locanda a pochi metri dalle mura di Parigi, appena uscito con i suoi figli, sarebbero partiti per la Bretannia, verso i possedimenti della defunta moglie, al sicuro da qualsiasi sommossa parigina.

“Scherzavo caro Dagout,” sorrise Saint-Just, vedendo che la sua affermazione non aveva riscosso la minima reazione dal colonnello. Tirò fuori la mano vuota dalla tasca della blusa, facendogliela mulinare davanti agli occhi, “Ovvio che non c'è alcuna lettera oggi, vedendo la tua fretta nel volermi parlare e conoscendo la tua diligenza ho pensato di portare direttamente i tuoi cari ragazzi in persona, ti stanno aspettando, pronti per la partenza in una carrozza nelle mie stalle... bene, penso che non abbiamo nulla più da dirci. Ti auguro ogni bene lontano da Parigi!”
Saint-Just batté le mani con un gesto languido che a Dagout sembrò più rivoltante degli altri. Un uomo piazzato, coperto fino ai piedi da un mantello marrone infangato, entrò da una porta nascosta nella parete della sala, gracchiando “Da questa parte.”
Dagout non guardò nemmeno Saint-Just uscire dalla stanza per andare a prepararsi agli scontri, seguì l'uomo dal mantello infangato nella porta a scomparsa, attraverso un corridoio stretto e non illuminato che portava alle stalle. C'era una carrozza pronta per partire, di un nero anonimo con due bai attaccati. Scorse le teste dei figli accoccolate ad occhi chiusi sul finestrino, probabilmente addormentati o storditi dai carcerieri per il viaggio.
“Vi porterò fino alle mura di Parigi, poi ve la vedrete da solo.” Borbottò l'uomo avvolto dal mantello, aprendogli la porta della carrozza.
Dagout non fece in tempo a salire sull'ultimo gradino del predellino. Vide che le teste accoccolate contro il finestrino erano quelle dei suoi bambini, solo che erano state barbaramente staccate dai loro corpi e penzolavano da due stecche appoggiate al sedile... quella belva assassina di Saint-Just lo aveva ingannato... il pensiero degli occhi limpidi di Oscar gli riempì la mente e si chiese se sarebbe finito all'inferno per quel che aveva fatto, se Iddio lo avrebbe separato di nuovo dai suoi figli, si disse di sì e che probabilmente se lo meritava... questo fu l'ultimo suo pensiero quando l'uomo scostò il mantello da sé. dietro di lui, rivelando un pugnale che gli trapassò la schiena fino al cuore. Un cuore che, senza lottare, smise subito di battere.

Oscar stava attraversando un sottopassaggio militare per arrivare sotto la torre ovest della Bastiglia, dove Bernard li attendeva. Dall'ombra dell'arcata d'uscita riusciva a vedere una sentinella con la divisa delle guardie di Bouillé appena fuori, nel camminamento al di sopra delle scale. Un colpo di pistola l'avrebbe messa fuori combattimento. “State all'erta,” disse ai suoi uomini “appena lui cade, dovremo correre.”
Si accostò al muro, Andrè era al suo fianco col fucile pronto. Con uno strano istinto lo spinse con una mano contro la parete, dietro di sé, al sicuro, e sparò.
Anche la sentinella la vide appena in tempo per sparare un colpo, che però andò a vuoto venti centimetri accanto alla spalla di Oscar.
“Via!” gridò Oscar, e tutti insieme corsero per il camminamento in superficie fino alla linea di tiro delle barricate, al sicuro. Oscar scorse Bernard e Rosalie e li chiamò in fretta.
I due videro i soldati e Bernard disse agli altri assedianti di aprire i ranghi e farli passare, annunciò a gran voce che quei soldati della guardia, figli del popolo, si erano rifiutati di obbedire agli ordini di difendere la Bastiglia, e che ora combattevano con loro. Gli assedianti li accolsero con cenni di consenso e grida di giubilo.
Quando ebbero sistemato i cannoni che avevano a disposizione contro la parte alta della fortezza e si furono sistemati tra gli altri, i soldati della guardia aspettarono in silenzio. Non uno sparo era volato ancora dalla Bastiglia quel giorno, benché da due i cannoni della fortezza fossero puntati contro la città e varie sparatorie fossero intercorse tra sentinelle armate e dimostranti, anche se di breve durata.
Oscar era pronta a far tuonare i cannoni, un passo avanti agli altri soldati, la mano sinistra sulla spada preparata per dare il segnale.
Si voltò un istante verso Andrè alla sua destra, anche lui aveva il fucile puntato, sapeva che da un momento all'altro il grosso dello scontro li avrebbe travolti. Andrè la guardò in risposta, l'iride verde la trafisse, lei non poteva scappare dal loro tacito patto. Insieme, fino alla fine. Nessun compromesso, da soli sarebbero morti come stava per accadere prima che confessassero d'amarsi, prima che capissero di poter essere liberi solo se combattevano insieme per la libertà, la loro, personale, di stare insieme, e quella di tutta la Francia di poter sopravvivere e governarsi come desiderava.
Oscar si trovò a sorridere. Era crudele da parte sua volerlo accanto nel pericolo ed esserne felice, avrebbe dovuto farlo mettere in salvo, avrebbe dovuto legarlo da qualche parte finché la battaglia non fosse finita... ma sarebbe stato solo inutile. Si era fidata tutta la vita di Andrè, si fidava anche ora. Anche se menomato dall'occhio cieco, lui non avrebbe rischiato niente che compromettesse la sua vita, così avrebbe fatto anche lei.
Andrè le sorrise a sua volta, e tornò a fissare la torre della fortezza, alle cui feritoie erano posizionati i soldati armati e pronti a sparare. Oscar anche tornò a fissare la fortezza, come richiamata all'ordine.
Notò un moto stizzito da una grande finestra, doveva essere il comandante della fortezza.
Una palla di cannone esplose poco lontano da lei, verso il centro della piazza, lanciandole la prima zaffata di polvere, senza ferirla, le barricate tremarono, le sparatorie cominciarono a rimbombare senza tregua. Oscar raccolse tutto il fiato che aveva in gola e sguainò la spada:
“Fuoco!!!”

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 14 Luglio 1789: bollettino di guerra ***


Al tramonto del 14 luglio 1789 la Bastiglia era oramai caduta. I dimostranti avevano approfittato della morte dei generali e della fuga dei soldati per assediare ciò che rimaneva della fortezza e smantellarla pezzo per pezzo. Alcuni, dopo il saccheggio, si stavano portando via sottobraccio anche un mattone, come un ricordo, un monito: quello era l'inizio della fine, la monarchia, l'Acient Regime e i cannoni puntanti contro un popolo disperato dovevano sgretolarsi come quella fortezza, e i mattoni che la costituivano venire sparsi per il mondo per mai più poterla ricomporre.

Oscar aveva dato comandi ai cannoni per le prime tre ore, scatenando una tempesta di fuoco e polvere da sparo degna di qualsiasi quadro raffigurante l'inferno e l'atroce. Quando le fiamme avevano attaccato le torri e le avevano fatte collassare verso l'interno, aveva guidato il primo assalto, Andrè e i suoi alle spalle. Avevano abbattuto più di centoventi soldati che tentavano di resistere e fatti scappare molti altri, Oscar stimava non meno di altri centotrenta.
Non avevano fatto in tempo a catturare Bouillé, appena sfondata la porta della camera di comando, avevano visto l'anziano generale darsi la morte con una pistola.
Erano tornati da Bernard con due ufficiali che si erano consegnati. Oscar non li aveva mai visti prima. Erano impauriti, e giovanissimi, probabilmente quanto lei al suo primo incarico, forse li aveva conosciuti a corte ancora bambini, ma non se ne rammentava affatto.
Riparatasi dietro le barricate a soccorrere i feriti coi suoi uomini, inaspettatamente, alcuni cannoni erano tornati a tuonare dalle feritoie della torre ovest contro di loro. Oscar non si spiegava il motivo, oramai la Bastiglia era piena degli uomini di Bernard e Robespierre, non potevano essere loro a sparare... che non avessero visto qualche manipolo di reclute nascosto?
Oscar aveva ripreso d'istinto il comando. Fece sparare contro il mozzicone della torre Ovest, solo verso le feritoie da dove venivano le cannonate, per non ferire gli altri assedianti all'interno. Andrè guidò una sparatoria contro delle sentinelle della guardia di Bouillé, ancora in azione sul fronte sud. Oscar pensò che l'attacco potesse esser stato mosso da loro, anche se non capiva... come avevano fatto ad arrivare alla torre ovest?

Il sole tramontava e il grosso degli scontri si era calmato. Oscar, Andrè e gli altri soldati se ne stavano dietro le barricate, seduti a terra a riprendere fiato per un'ora prima di trovare un rifugio qualsiasi per la notte.
Dei cinquanta soldati originari ne rimanevano trentotto. Otto erano stati colpiti da una cannonata e altri quattro colpiti a morte dalle fucilate.
Dei trentotto altri tre erano feriti gravi in cura presso i dottori che si trovavano tra le barricate, e dodici erano feriti in maniera lieve.
Prima di trovare un rifugio per la notte, i ventitré sani avrebbero dovuto cercare e ricomporre i cadaveri dei caduti ed aiutare i feriti non gravi a ripararsi da qualche parte.
Il silenzio quasi religioso che avvolgeva i trentacinque soldati della guardia che respiravano la polvere da sparo come aria pulita dopo la giornata, fu rotto da Alain:
“Questo è solo l'inizio.”

Andrè era stato ferito di striscio al braccio sinistro, un'escoriazione appena, che si stava medicando in silenzio con una pezza e dell'acqua quando Alain parlò.
Guardò verso Oscar, era seduta accanto a lui, la testa tra le ginocchia.
Due schegge di pietra le avevano appena ferito la testa, provocandole due piccoli tagli che sporcavano di rosso, assieme alla polvere nera, l'oro candido dei suoi capelli.
Appena Andrè ebbe pulito alla meglio la propria ferita, immerse di nuovo la pezza nella ciotola d'acqua e con delicatezza la appoggiò sulla nuca di Oscar. Tastò piano i contorni della prima ferita. Grazie al cielo era superficiale, la scheggia aveva tagliato il cuoio capelluto senza conficcarsi, sarebbe guarita in poco tempo. Ripeté l'esame con la seconda giungendo alla stessa considerazione. Pulì con cura le due ferite con l'acqua e la passò piano anche sui capelli attorno, levando la polvere e il sangue incrostato. Quando ebbe finito fece appena pressione sulla fronte di Oscar per alzarle la testa. Lei protestò con un gemito di dolore, ma non si ribello'.
La fronte era anche insanguinata, una piccola escoriazione aveva toccato la tempia destra.
“Sh, da brava, lascia che pulisca la ferita.” mormorò piano.
“Mi gira la testa, non... non riesco a tenerla in piedi.” singhiozzò Oscar, le parole strascicate.
“Ne hai passate di peggio signor comandante, pensa a quando ti sei vestita da donna, lì si che mi sarei sentito male al posto tuo.” scherzò lui meritandosi una gomitata alle costole.
Il viso della donna si era rasserenato un secondo, dandole modo di riprendere il controllo dei nervi. Era così bella agli occhi di Andrè, bella nonostante l'inferno che li circondava. Lui sapeva che aveva osato rivelare malessere solo perché lui era lì vicino e perché gli altri non la sentivano. Non si sarebbe mai mostrata debole davanti ai suoi uomini. Andrè era stregato da quella forza, da quell'orgoglio, e dalla dolce fragilità che permetteva di sanare solo a lui, vi aggrappava il pensiero come unico sprazzo di sereno in mezzo a quella giornata di sangue.
Pulì la ferita alla tempia, e le fece appoggiare la testa sulla propria spalla. Oscar si abbandonò un minuto, con un sospiro di approvazione, liberatorio, in una pace che compensava la guerra in cui si trovavano in mezzo.
Uno sparo fendette l'aria graffiando la guancia di Andrè.
Coprì col busto Oscar e poi alzò velocemente la testa, vide un manipolo di cinque o sei dimostranti con i fucili ad una trentina di metri, che puntavano ad Oscar, uno di loro gridò:
“E' lei!!! E' il comandante delle guardie reali, quella donna che si veste da uomo e protegge la regina! Uccidiamola!!!”
Alain vide la scena e imbracciò veloce il suo fucile, tirando un paio di colpi verso il gruppetto, senza volutamente colpire nessuno.
Gli uomini si spaventarono, ma non scapparono, si nascosero solo su un'altra ala delle barricate da dove potevano comunque tenere sotto tiro Oscar.
Il gruppetto sparò di nuovo, stavolta anche Andrè rispose al fuoco, colpendo la mano di uno degli uomini, che vide il fucile sfuggirgli di mano. I compari risposero con una raffica, che fu fermata dalle barricate. Non potevano restare lì
“Forza, andiamocene di qui!” gridò Oscar, alzandosi a fatica, “torneremo a prendere le salme dei nostri stasera col buio!”.
Andrè aiutò lesto i soldati feriti ad alzarsi e a issarsi sui cavalli rimasti, Alain pure; in meno di un minuto stavano tutti galoppando via dalla Bastiglia. Il gruppetto continuò per un minuto a sparare al loro inseguimento, ma appena sparirono dentro i vicoli di Parigi, i fucili si fecero silenziosi di nuovo.

La notte arrivò presto, i soldati si divisero. Otto di loro sarebbero andati a recuperare le salme e poi si sarebbero rifugiati a casa di Alain, i dodici feriti lievi e i tre feriti gravemente avrebbero trovato posto per la notte al palazzo degli invalidi, dove Robespierre aveva fatto allestire una specie di ricovero-ospedale. Bernard aveva trovato un riparo per altri dieci di loro al vecchio Ospedale, e cinque, tra cui Oscar e Andrè, avrebbero pernottato a casa sua.
Oscar aveva dato velocemente gli ordini, spaventata dal buio e dalle minacce che poteva portare, si sarebbero ritrovati tutti l'indomani mattina alle sei, e avrebbero dato l'addio ai compagni caduti in una chiesa nascosta verso Saint Germain, che Bernard aveva trovato ed avvisato. Nessuno a parte i soldati, Bernard e il prete sapevano del funerale che si sarebbe tenuto. Tutto doveva rimanere segreto. Lo scontro che si era scatenato contro Oscar era un esempio dell'incertezza che circondava la vittoria di quel giorno.
L'indomani il re avrebbe reagito in qualche modo alla Bastiglia, e loro dovevano essere pronti se qualche altro scontro si fosse innescato, pronti a dimostrare ancora da che parte avevano deciso di combattere.
Bernard fece dormire i soldati nella stalla con i cavalli, abbastanza al caldo, lui e Rosalie e altri due uomini feriti che avevano raccolto negli scontri avrebbero dormito nella camera da letto, ad Oscar e Andrè era stato dato di dormire davanti al camino della cucina, acceso con del legname che avevano trovato alla Bastiglia, con appena un po' di paia e un lenzuolo per terra.
Appena assicuratasi dei ripari per i suoi uomini, si concesse di entrare in cucina.
Andrè si era steso sul giaciglio accanto al fuoco, stremato dalla stanchezza della giornata, chiudendo subito gli occhi.
Oscar si era seduta accanto a lui a fissare un istante il fuoco. Una figura le si avvicinò porgendole le mani, e, voltando lo sguardo, lei prese volentieri da Rosalie un pezzo di pane e una mezza frittella di mais.
“Mi salvi sempre la vita Rosalie.” disse sorridendole Oscar.
“Voi me l'avete salvata molto tempo fa madamigella. Mi spiace solo di non poter fare di più.” rispose la ragazza. I tratti infantili avevano lasciato posto agli occhi blu di una donna e al suo sguardo serio. Era cresciuta la sua piccola Rosalie.
“E' già molto così.”
“Mi spiace che vi abbiano sparato, ma non tutti sanno che combattete per il popolo ora.”
“Non ti preoccupare, non è successo nulla.”
“So che vi sembrerà senza senso ora, ma sono felice che ora Andrè vi sia vicino...”
“Lo è sempre stato, solo che non me ne ero mai accorta davvero... se usciremo vivi da questi giorni, ci sposeremo Rosalie, mi piacerebbe tornare in Normandia, ad Arras, e sposarlo nella chiesetta dove giocavamo da bambini.” Oscar si scoprì ad accarezzare con una mano la fronte di Andrè, inconsapevole, mentre rivelava tutto a Rosalie, parole che prima non avrebbe avuto il coraggio di dire nemmeno tra sé e sé.
“Me ne avete parlato tanto madamigella, se solo... sono sicura che sarete felici in quel luogo.” concluse asciutta la ragazza.
Lei e Rosalie si guardarono negli occhi un istante, la consapevolezza che probabilmente quel matrimonio non avrebbe mai avuto luogo o che se avesse avuto luogo l'altra forse non avrebbe potuto comunque vederlo agghiacciò di nuovo i pensieri di Oscar.
Aveva visto cadaveri ammassarsi l'uno sull'altro, cannonate che stappavano lacerti di mura di palazzi secolari, sparatorie e fiamme che riuscivano a far scomparire schiere di uomini e donne che fino ad un minuto prima avevano fuoco negli occhi e sangue nelle vene. Lo spettacolo l'aveva atterrita.
Aveva visto e vissuto alcune battaglie, ma nulla che avesse a che fare con quella giornata.
Forse Rosalie sarebbe stata una delle tante che sarebbe caduta il giorno dopo in un altro scontro.
Erano lì per quello, avrebbero combattuto per la loro libertà, ci credevano, anche se la libertà costava. Abbassò lo sguardo e continuò al accarezzare piano il viso di Andrè, si disse che valeva lo sforzo sacrificare tutto il possibile. Se avessero vinto lei sarebbe stata libera di stare alla luce del sole con i suoi sentimenti insieme ad Andrè, sarebbe stata libera di fermare un assassino che sparava impunito ad un bambino in virtù del suo nome, di camminare per strada senza uomini che le sparavano a vista per la sua vita passata.
Avrebbe continuato a combattere fino alla morte, così come Rosalie. Senza quella libertà non valeva la pena vivere ancora. Rialzando lo sguardo lesse lo stesso pensiero negli occhi di Rosalie, che rimettendosi dritta le diede la buonanotte.
Rimasta sola, tentò di svegliare Andrè con un bacio lieve. Andrè spalancò gli occhi, come se non avesse dormito affatto.
“Tu non dormivi. Hai sentito tutto.”
“Si, ho scoperto che mi piace origliare...” sorrise lui, allungando una mano e accarezzandole una guancia , come lei aveva fatto con la sua.
“Volevo darti la frittella di mais che Rosalie mi ha portato.”
“Grazie.” disse Andrè mettendosi seduto e prendendo la mezza frittella dalla mano di Oscar, mentre lei sbocconcellava il pane.
Mangiarono in silenzio, e appena finito Andrè spinse Oscar contro il suo petto, vicino alla luce calda del camino, accoccolandosela addosso.
“Non so come hai fatto a farti solo due graffi in quell'inferno, ad un certo punto la polvere era così alta che non ti vedevo più, pensavo che i fucilieri del bastione ti avessero centrato, per un minuto ho pensato di morire.”
“Sono stata attenta, te lo avevo promesso.”
“Siamo ancora qui, Oscar, non riesco quasi a crederci. Se quel proiettile stamattina mi avesse centrato, se tu non mi avessi spinto via, a quest'ora sarei morto.”
“Shhhh” disse lei mettendogli un dito sulle labbra, “Non è successo, siamo qui, insieme, ancora per una sera almeno. Domani forse sarà addirittura peggiore, ma non è ancora domani.”
“Giusto...” disse lui stringendola forte, quasi a sincerarsi che quel corpo fosse reale, consistente, respirando l'odore dei suoi capelli, mentre lei rispondeva a quell'abbraccio.
Non riuscivano a credere di essere vivi. Oscar pensava ai quattro proiettili che l'avevano colpita di striscio mentre faceva manovrare i cannoni, ognuno di quei proiettili avrebbe potuto perforarle il cuore, eppure era scattata dietro un cannone appena aveva avuto il sentore della sparatoria, lasciando che i colpi le bucassero appena l'uniforme.
Si vide un istante morta e crivellata di colpi in mezzo ai cannoni, ma non era successo, era una fantasia, un'altra vita che non avrebbe mai vissuto.
Strinse il corpo di Andrè sentendone il calore, e il suo cuore battere più forte. Era viva, erano vivi.
Una mano le spinse il mento in alto, e la bocca calda di Andrè catturò la sua, vorace.
Anche lui ci stava pensando, Oscar lo sentiva distintamente come se fosse nella sua testa, non credeva di essere vivo e non credeva a lei così vicina. Rispose veemente a quel bacio cercando di dargli un solo squarcio della sicurezza di cui aveva tanto bisogno.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** La visita di Robespierre ***


Il sonno li aveva colti stretti in quell'abbraccio che voleva rassicurare e giurare sulla loro esistenza: Andrè accoccolato sullo stipite del camino e Oscar tra le sue braccia in un sonno profondo e senza sogni.
D'un tratto Oscar sentì una mano pungolarle la spalla, aprì gli occhi appena, e vide a fatica i primi raggi di sole entrare dalla finestra, era l'alba.
Davanti a lei c'erano due uomini con un mantello, uno di loro la stava toccando e le diceva di svegliarsi. Ma lei non capiva perché, gli occhi volevano richiudersi.
D'un tratto la barriera del dormiveglia si ruppe e riconobbe la voce di Bernard.
“Oscar svegliati, ti prego, ti dobbiamo parlare.”
“Si,” mormorò con una voce profonda che non riconobbe, sbatté convulsamente gli occhi, cercando di aprirli davvero. Si scosse dall'abbraccio malvolentieri, con un gesto brusco facendo infine svegliare anche Andrè.
Lui riuscì appena a stiracchiarsi e ad osservare Bernard e l'uomo con lui.
Vide negli occhi di Andrè un segno di riconoscimento. Fissò gli occhi del visitatore, un marrone scurissimo, quasi nero, lucente, che dimostrava calore e forza solo posandosi sulle persone.
“Bernard ma quello è...” disse appena Andrè.
“Mi ricordo di voi signor Grandier.” borbottò l'altra figura. Era tutta intabarrata e tentava di togliersi il cappello e scostarsi la sciarpa dalla bocca per parlare meglio. Quegli accorgimenti erano palesemente per celare la sua identità: anche all'alba il quindici luglio faceva sentire tutti i suoi quasi trenta gradi. “Non dimentico mai qualcuno con cui ho bevuto,” aggiunse l'uomo “e bevo di rado.”
“Monsieur Robespierre.” mormorò Andrè.
L'altro scoprì finalmente il volto, aggiungendo agli occhi passionari un sorriso sfuggente.
“Esatto Andrè.” disse Bernard “Io e Maximilien siamo qui in gran segreto per parlare con voi.”
Oscar fu guardinga a quelle parole, si avvicinò esitante al tavolo di legno della cucina, cercando di mettere distanza e una barriera tra lei e i due rivoluzionari... che cosa voleva Robespierre?

Andrè si scrollò di dosso la fuliggine mentre i due si levavano i soprabiti e si avvicinavano al tavolo dietro cui Oscar si era portata nel più religioso e circospetto silenzio.
Affiancatosi a Oscar, tutti e quattro si accomodarono, Bernard aveva preso il suo immancabile bricco di tè al gelsomino e delle tazze e cominciò a versarlo agli altri.
“Siamo qui per parlarvi di diverse cose...” cominciò Bernard, “a partire da ieri.”
“Io e il popolo francese, madamigella Oscar, vi siamo oltremodo grati per quel che avete fatto ieri.”disse Robespierre “Voi e i vostri soldati avete reso possibile l'inizio della nuova vita della Francia. Mi spiace per l'incidente che vi è capitato al tramonto e per aver fatto sballottare i vostri uomini qua e là per Parigi, Bernard mi ha raccontato.”
“Non vi preoccupate. Io e i miei soldati siamo stati tutti ugualmente concordi a combattere a fianco del popolo nell'assediare la Bastiglia. Sia io che loro sapevamo dei possibili pericoli. Sono stata per anni il comandante delle guardie reali, so che molti non conoscono le mie motivazioni o non credono al mio gesto spontaneo di allontanarmi dalla mia famiglia natale e dalle posizioni dell'aristocrazia. Probabilmente anche voi ci chiederete cosa mi abbia spinto. Se è questo che volete sapere... ebbene, io non credo più che il bene della Francia che ho promesso di proteggere sia obbedire ad un re che mi ordina di sparare sul suo popolo. E' per questo che mi sono unita alla causa popolare.” disse Oscar asciutta, Andrè credette di aver intuito il motivo della visita di Robespierre. Voleva capire quanto profonda fosse la motivazione di Oscar?
Beh, avrebbe potuto scavare per chilometri senza giungere alla punta delle radici, poco ma sicuro.
“Non volevo insinuare niente madamigella,” si affrettò a scusarsi Robespierre, “so chi siete e quello che avete fatto in questi anni per la corona, so che vi siete ribellata anche all'ordine di sparare sul terzo stato a maggio scorso, quando ci chiusero fuori dall'aula del dibattimento. So benissimo che la vostra scelta non è... ecco... repentina.”
Robespierre gettò uno sguardo attento prima a Oscar e poi a lui. I suoi occhi neri erano pieni di passione, sebbene i suoi modi fossero di una semplicità disarmante. Sembravano spronare al meglio di sé semplicemente col posarsi sul prossimo. Vi era una grande aspettativa, quasi una speranza taciuta, quando tornarono a posarsi su Oscar.
“Stamane, prima di venire qui, abbiamo saputo che il re ha richiamato il ministro Necker alle finanze, e questo ci da speranza per alleviare le condizioni di indigenza della maggior parte del popolo parigino. Sulla scia dell'entusiasmo per questa notizia, per decisione del popolo tutto, si è deciso che gli amministratori cittadini che sono stati nominati dal re, a suo insindacabile giudizio, tra le file aristocratiche verranno licenziati, allontanati da Parigi e sostituiti con rappresentanti scelti dal popolo, che possano meglio collaborare col ministro e fargli presenti le vere condizioni degli abitanti di Parigi.”
“Siamo tutti abbastanza concordi sul nome per il nuovo direttore dell'amministrazione cittadina,” aggiunse Bernard, “verrà nominato Bailly. ”
“L'astronomo?” domandò Andrè, sorpreso.
Lui ed Oscar conoscevano l'uomo di fama. Era un astronomo di Parigi, personaggio bislacco e curioso, molto famoso per i suoi modi cordiali e diretti, per le stelle che aveva scoperto, e per gli oroscopi che nel tempo libero si divertiva a fare, contro ogni maligna critica dei illuminati intellettuali parigini. Era anche un acceso patriota, Andrè aveva sentito dire da un commilitone che, il giorno prima della Bastiglia, aveva detto che le stelle promettevano fuoco e fiamme a Parigi:
Beh, se nessuno gli aveva creduto davvero, di certo però tutti gli avevano dato ascolto, pensò divertito.
“Si,” disse Robespierre, “proprio lui. E vorremmo che i nuovi amministratori e rappresentanti eletti dai cittadini, fossero quelli, almeno per il momento, eletti per gli stati generali. Siamo intenzionati a proteggere il loro lavoro, la loro incolumità e quella di tutta la Francia con un corpo di guardia, il nome provvisorio che abbiamo scelto è Guardia Nazionale, ma anche questo è ancora da vedere. Il mio problema è che molti miei amici, primo fra tutti il mio collaboratore Saint-Just vorrebbe La Fayette a capo di questa guardia, ma...”
“Saint-Just vuole La Fayette?” commentò Andrè scettico, prima di potersi in qualche modo controllare, “Vogliate scusarmi, ma a quanto ne so il vostro amico Saint-Just non nasconde lo sdegno verso qualsiasi forma di comando dato ai nobili, e se non erro La Fayette è un marchese, sebbene abbia da tempo abbracciato la causa popolare.”
“La cosa che ti stupirà di più Andrè non sarà certo questa” disse Bernard guardando con un mezzo sorriso Robespierre, “Saint-Just ha fatto il nome di La Fayette, quando al nostro incontro ieri sera si è cominciato ad invocare il nome di Oscar come comandante della nuova Guardia Nazionale...”
“Cosa? Io?” disse Oscar. Andrè lesse nella sua espressione sorpresa ed allarme.
“Si Oscar.” disse Robespierre, “Posso chiamarvi Oscar?”
Il silenzio inebetito di Oscar diede l'assenso.
“Quello che dice Bernard è esatto. Quando ieri sera abbiamo discusso in assemblea col popolo, lui ha parlato con gran cuore delle tue gesta, proprio per evitare che in questi giorni qualcun altro fraintenda la tua presenza fra le nostre fila e procuri qualche altro spiacevole incidente. Il popolo ti ha riconosciuto, sapevano chi eri, la guardia del corpo della regina, ma anche il comandante che si era rifiutato di far sparare sulla folla agli stati generali... molti hanno urlato il tuo nome quando si parlava del corpo di guardia per i nuovi rappresentanti e per la città. Saint-Just ha obiettato e molte persone lo hanno seguito. Ha detto che se un nobile all'ultimo minuto si converte alla causa popolare non ci si può fidare di lui, e ha detto che allora era meglio ripiegare su La Fayette, che ha condiviso la causa popolare in America, e che ha abbracciato anche la nostra. Io però Oscar ho dei dubbi sulle scuse di Saint-Just... e ti dirò perché. Il mio caro amico Antoine non é un santo, ma ha a cuore il destino della Francia quanto me. So che odia gli aristocratici per partito preso e il fatto che abbia proposto La Fayette è preoccupante da parte sua quanto deboli sono le sue obiezioni alla tua nomina, e mi chiedo che cosa possa averlo spinto a tanto... quello che voglio chiedervi, Oscar, è: c'è un conto in sospeso fra voi e Saint-Just?”
Robespierre non era sciocco, Andrè dovette ammetterlo con sé, anche se l'affetto dell'uomo per Saint-Just non gli avrebbe fatto completamente capire la realtà di quello che Oscar gli avrebbe raccontato.
“Vi dirò quello che non solo io, ma anche Andrè e tutti i miei uomini sanno.” incominciò Oscar, Andrè notò i suoi occhi concentrati sulla tazza di tè, come in attesa che le immagini del passato si ricomponessero sullo specchio del liquido lì contenuto. Lei diede un appena un colpetto con un dito al bordo della tazza, le onde concentriche mossero la superficie del te, rendendola torbida. “Circa tre anni fa dovemmo proteggere il principe Aldelos in visita in Francia. I miei uomini non erano contenti di questo incarico, che per mansioni sarebbe dovuto spettare alla guardia reale e non alla guardia metropolitana. Mentre esploravamo le strade che il principe avrebbe dovuto percorrere tra le campagne ci fu un duplice attentato: al principe Aldelos e a me. Quello che ora vi dico, me lo riferì quello stesso soldato che era stato corrotto per uccidermi, prima di morire. Stavo ispezionando un castello abbandonato sulla strada verso la Lorena quando vidi la recluta armata contro di me, ingaggiammo una lotta, stavo resistendo, ma era quasi riuscito ad accoltellarmi. Andrè ed Alain mi hanno trovato e salvato colpendolo alle spalle. Mi sono fatta dire chi lo mandava prima che morisse. Fu così che scoprii che Saint-Just lo aveva pagato perché mi uccidesse e creasse un diversivo per concentrare i soldati da me e tenerli lontani dalla carrozza del principe. Seppi anche che Saint-Just era a capo del drappello dei sicari del principe. Partimmo subito alla ricerca della carrozza reale, che nel frattempo era scappata inseguita da quegli assassini. Saint-Just cercò subito di uccidere le persone nella carrozza ancora in corsa, senza alcun tentativo di fare ostaggi. Io e gli altri soldati riuscimmo a fermare in tempo l'azione, ma gli attentatori fuggirono prima che potessimo acciuffarli.” disse Oscar, la gola secca. Si portò la tazza di tè alla bocca, bevendone tutto il contenuto. La porcellana tornò sul tavolino, lo specchio del té era scomparso.
“Ma non è solo questo.” aggiunse Andrè, intuendo la stanchezza di Oscar. Oramai avevano cominciato. Robespierre avrebbe dovuto sapere tutto quello che Saint-Just si era sforzato di insabbiare per anni. Sarebbero andati fino in fondo. “Dopo l'attentato al principe Aldelos, io, Oscar e gli altri soldati ci siamo messi a fare delle indagini su degli altri omicidi perpetrati contro aristocratici. Trentaquattro omicidi che erano stati attribuiti alle scorrerie dei briganti, ma che curiosamente presentavano sempre lo stesso modus operandi: un assalto improvviso alla carrozza durante un viaggio abbastanza lungo, nessun ostaggio preso e nessun tentativo di furto, solo una voce che chiedeva conferma del nome e del grado nobiliare della persona che viaggiava. Avuta conferma, prima che la vittima potesse anche solo obiettare, era trapassata a fil di spada. Le poche persone sopravvissute, attendenti o familiari, che accompagnavano le vittime hanno confermato che l'assassino chiedeva solo il nome, gridava un cenno ad un complice e dalle portiere delle spade trapassavano da destra e da sinistra, affondando fino a che non incontravano la carne di un passeggero, e la vittima moriva. In tre casi il cocchiere o uno degli accompagnatori è riuscito a sparare al complice dell'assassino. Tre volte su tre queste persone si sono rivelate essere, o esser state, attendenti o segretari di Saint-Just.”
Ecco, la bomba era accesa, pensò Andrè, mentre anche lui finiva in un sorso il tè al gelsomino di Bernard.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Il dubbio ***


“Ecco, ora sapete tutto Robespierre.” commentò Oscar.
All'uomo si era oscurato il volto. Sapeva che il suo amico Antoine non era un santo, anzi, conosceva la sua natura impulsiva e travolgente, che sempre più spesso compensava la propria onesta e accordante. Antoine era stato cruciale in molti momenti negli ultimi tempi, e aveva permesso di portare avanti la lotta popolare laddove egli aveva troppo titubato... ma trentaquattro omicidi a sangue freddo...
Se fosse stato vero, quell'uomo non si sarebbe più rivelato un rivoluzionario un po' troppo sconsiderato, ma solo un brutale assassino che usava la causa popolare come scusa per le sue perverse inclinazioni. Robespierre rimase un secondo senza fiato, anche se nessuno lo notò.
“Temo molto quello che vi ho detto.” continuò la donna avanti a lui, “Bernard sa cosa penso di questi assassinii e sa che più che per la mia vita temo per quella dei miei uomini. Saint-Just ha depistato tutte le mie indagini tre anni fa, e alla fine il Generale mio superiore mi ordinò di lasciar perdere. Sono sicura che Saint-Just volesse impedirmi di diffondere i risultati delle nostre indagini, soprattutto a voi Robespierre, e ora che sapete...” la donna abbassò gli occhi un istante sul tavolo, per poi sospirare e tornare a guardarlo in faccia, “Spero e credo che agirete di conseguenza, e credo anche che lui, se saprà, cercherà in qualche modo di vendicarsi di me. Sa benissimo che l'unico modo per farlo è attraverso Andrè o attraverso i miei soldati. Io non ho paura di morire Robespierre, ho la tisi, non vivrò più di altri sei mesi, ma non ho la minima intenzione di mettere in pericolo questi uomini. Loro hanno combattuto per la libertà propria e della Francia con me, non di certo per me. E voglio che questo sia chiaro.”
Gli occhi di Oscar erano due pezzi di ghiaccio bollente, furibondi. Lo sdegno era tale, che lui ne vedeva tutta la natura e la verità. Lei non stava mentendo, eppure...
Che Antoine avesse ragione? Che quella intrigante avesse sedotto il suo attendente e convinto i suoi uomini a proteggerla per salvarsi la vita? Che si stesse inventando quella storia di omicidi efferati e senza motivo per metterlo contro il suo uomo più fidato e amato? Che quegli occhi sinceri fossero il suo ennesimo inganno e maschera?
Eppure Robespierre non riusciva ad ignorare quel fuoco che la illuminava in volto, una luce che rendeva le iridi di un tono più chiare e più penetranti, vivide come quelle di un santo, il fuoco di chi combatte per qualcosa in cui crede, in cui spera, in cui ripone ogni sua forza anche senza speranza nel domani. Era il fuoco che a volte anche lui vedeva allo specchio, nei propri occhi, quando sapeva di portare con un gesto la Francia più lontana dalla povertà e dalla disperazione.
L'uomo era combattuto, quel fuoco limpido e le parole che aveva appena detto da una parte e l'uomo che era stato suo fido consigliere e compagno di lotta dall'altra. Quelle parole parlavano di un uomo che lui non conosceva, di un assassino che non aveva mai visto, fiutato o sospettato. Gli pesavano sul cuore. Eppure il popolo amava Antoine, i suoi modi virulenti, la sua bellezza felina, la sua risoluzione nel portare avanti le ragioni popolari contro un'aristocrazia sempre più dura contro gli ultimi della Francia. Ma tutte quelle morti... Antoine poteva aver fatto tutto questo?
Mise da parte il dubbio per un istante, e tornò a fissare in profondità negli occhi di Oscar.
Decise di crederle, decise di darle una possibilità...
“E se io vi proponessi di prendere il comando della Guardia Nazionale, madamigella?” disse Robespierre, si illuminò di un mezzo sorriso imperscrutabile sul volto, un pescatore che aveva appena gettato un amo succulento per un pesce d'oro.
Oscar aveva abbassato la testa, non più accecato dai suoi occhi, Robespierre seguì la direzione del suo sguardo e intuì le mani intrecciate di quella donna e del suo soldato sotto il tavolo, lei le fissava.
Quella donna aveva promesso, aveva promesso qualcosa al suo innamorato, un qualcosa che proprio quel fuoco negli occhi, quella determinazione non gli permettevano di ignorare.
Antoine aveva ragione su una cosa, qualsiasi cosa fosse intercorsa fra loro, seduzione come diceva lui o amore come pensava Robespierre in quel momento, quell'uomo era il centro del mondo per il comandante delle guardie. Qualsiasi richiesta, qualsiasi minaccia sarebbero arrivate a lei solo se avessero tirato in gioco anche lui.
“Vi risponderei che combatterò di nuovo per la libertà della Francia e per la mia, ma non così.” disse lei, prese fiato e rialzò lo sguardo su di lui, “Sappiamo entrambi che Saint-Just ha i suoi fedeli fuori dal vostro controllo e i suoi metodi, che voi crediate o meno a quel che vi dico. In questo momento i miei uomini mi seguirebbero se diventassi comandante della Guardia Nazionale, e come tali sarebbero dei bersagli fin troppo facili. Suvvia Robespierre, pensateci bene, un incidente con uno dei rappresentanti popolari e la colpa ricadrebbe su di me o sui miei, il popolo non esiterebbe a lapidare o sparare, avrebbe paura di perdere una libertà non ancora a pieno controllata. E io questo non lo voglio permettere.”
“Ne deduco che sia un no.” commentò lui, il pesce dorato era sfuggito. “Quindi voi consigliereste La Fayette?” riprovò.
La donna riconcentrò lo sguardo sulla tazza vuota, facendo dondolare tra il pollice e l'indice della mano sinistra il piccolo manico.
“Non saprei...” incominciò, “vi dirò quel che ritengo verosimile: mi sembra anche lui un uomo che Saint-Just possa strumentalizzare...”
“Davvero” continuò Andrè. Robespierre lo vide guardarla, quel ragazzo leggeva con quell'unico occhio verde il volto e il pensiero di lei come un libro aperto e conosciuto, più volte sfogliato e sottolineato a penna d'oca e inchiostro rosso. “La Fayette ha abbracciato la causa popolare,” continuò il ragazzo, senza staccarle gli occhi di dosso, “ma per quanto riguarda le sue posizioni verso la monarchia e l'aristocrazia, esse sono davvero molto moderate. Una sua piccola indulgenza verso la nobiltà e Saint-Just riuscirebbe a renderlo odioso al popolo e a prendere il comando della Guardia, e allora si che sarebbe terrore.”
Robespierre abbassò lo sguardo davanti a quel gioco di legami, era un qualcosa di privato, non poteva guardarlo così da vicino.
Si concentrò sulle parole dette da Andrè, che erano ragionevoli. Una possibile spiegazione era proprio quella: La Fayette era molto amato da popolo per aver combattuto nella guerra d'indipendenza in America, ma un solo passo falso e tutto quello che il popolo aveva dimenticato su di lui, nobiltà, ricchezza e orgoglio aristocratico, sarebbero tornati a galla. Allora Antoine avrebbe potuto fare quel che voleva della Guardia, sapeva bene che lui, Robespierre, non gli avrebbe mai impedito nulla che credeva essere fatto nell'interesse del popolo.
Il dubbio tornò a far capolino: poteva credere loro?

Oscar aveva messo in tavola tutte le carte, sapeva che appena Robespierre avesse parlato quella mattina all'assemblea si sarebbe trovata uno o più sicari addosso, ne era convinta. Guardò Andrè in volto, il suo sguardo preoccupato, la piega imbronciata della bocca, la ruga tra le sopracciglia che accennava al disappunto verso l'espressione incolore di Robespierre, erano l'unica faccia e opinione in quella stanza che le interessasse davvero.
“Non me lo toglieranno nemmeno con le fucilate, non lo permetterò, non ora, non.. ancora.” pensò prima di riuscire a mettere qualsiasi filtro ai propri pensieri. Finché avesse avuto fiato in corpo, avrebbe fatto qualsiasi cosa per restare in vita, ne valeva la pena, valeva la pena affrontare i sicari e schivare le loro pallottole.
“Non so se le vostre preoccupazioni sono davvero fondate Oscar”, disse dopo un minuto Robespierre, “ma vi prometto che terrò d'occhio il mio amico e cercherò di evitare che faccia colpi di testa, visto il precedente che ha con voi e con i vostri uomini.”
“Beh, meglio di niente”, pensò Oscar.
Sentiva che Robespierre le aveva creduto, anche se non del tutto. Di certo l'affetto per il suo braccio destro era un velo sulla sua ragione, anche se il guizzo di vitalità e forza nei suoi occhi mentre diceva queste parole, riuscivano a intuire la profonda sincerità di quello che lei e Andrè avevano rivelato.
“Per quanto mi riguarda sono felice che combattiate dalla nostra parte,” continuò l'uomo, “siete un soldato coraggioso ed intelligente, e spero di vedervi oggi all'assemblea. Sarà un giorno importante per la Francia, e abbiamo bisogno di tutto l'aiuto possibile per rendere reali e sicuri i cambiamenti che vogliamo per Parigi e per la nazione.”
“Ci sarò Robespierre, io e i miei uomini cercheremo di tenere sotto controllo la situazione.” assicurò subito Oscar.
“Grazie mille a entrambi, questa chiaccherata è stata preziosa.” aggiunse Bernard. Anche lui era convinto che Robespierre le avesse creduto, il suo dito impaziente che tamburellava sul tavolo la diceva lunga. Era il suo tic quando era soddisfatto di qualcosa.
Oscar vide i due uomini riprendere i soprabiti, Bernard chiamò Rosalie nella stanza adiacente ed uscirono assieme agli altri due amici a cui avevano dato ricovero. La porta batté e tutto attorno tacque per un lungo minuto.
Andrè si allungò dalla sedia per abbracciarla.
“So che sei preoccupata dopo questa visita,” disse, allacciandole la mani allo stomaco, facendo aderire la schiena di lei al suo torace, “ma ricorda quello che mi hai promesso: devi rimanere lucida Oscar. Ora Robespierre sa, e sono quasi sicuro che ti creda, ma questa non è una sicurezza. Niente colpi di testa e niente gesta eroiche, sii solo te stessa e stai attenta come hai fatto fin ora. Forse Robespierre dirà qualcosa a Saint-Just o forse niente, non sappiamo se quell'uomo, anche messo all'erta, tenterà qualcosa contro di noi o no, quindi non lasciare che la paura ti faccia fare qualche sciocchezza, intesi?”
Andrè passò le mani sulle sue braccia, distendendo ogni muscolo sotto la stoffa della camicia, sciogliendo ogni riserva e ogni dubbio che le tendevano i muscoli e i legamenti, dalle spalle alle dita.
L'ordine che le mandavano quelle mani che le cingevano le spalle e stringevano gli arti era imperioso: non lasciarsi andare al timore delle ritorsioni di Saint-Just.
Si promise che avrebbe affrontato quella giornata come la precedente, come se ogni ora di vita fosse potenzialmente l'ultima e avrebbe cercato in tutti i modi di evitare di farsi uccidere. Quello era l'ordine di Andrè per lei, ed era anche quello che dava a sé stesso. Ce l'avrebbero fatta da lì solo se restavano uniti, che la fine fosse quel giorno o no.
Lei avrebbe eseguito quell'ordine tacito, così come Andrè, fino alla fine...
Ma allora perché quell'inquietudine crescente non le abbandonava il petto? Cos'era quella paura di non farcela che sentiva in fondo allo stomaco allargarsi ai polmoni e mozzarle il fiato ad ogni tentativo di respirare?

“Che vuol dire che non ci siete riusciti?” disse spazientito Saint-Just, aggiustandosi la camicia nei pantaloni davanti allo specchio.
“La prima volta signore ho mandato due dei nostri ai cannoni ancora in piedi nella torre ovest. C'era molto via vai, sarebbe sembrato un incidente. Invece quella donna ha fatto sparare una palla di cannone contro le feritoie e li ha centrati in pieno!” disse trafelato Lucien, il segretario di Saint-Just, stando in piedi con un taccuino accanto allo specchio. Aveva appena ricevuto gli ultimi rapporti dei suoi uomini e stava facendo un conto delle perdite.
“Ho assistito anche io al fatto, davanti alla Bastiglia, e ho subito provato a mandare ancora quattro dei nostri a dire in giro che il comandante delle guardie personali della regina era vicino alla Bastiglia, ho anche promesso del denaro per chi l'avesse uccisa, signore, come mi avevate detto, ma è riuscita a scappare di nuovo, grazie allo scompiglio creato dai suoi soldati.”
“L'hai fatta seguire?”
“Si signore,” disse Lucien sfogliando il taccuino, "ma il mio uomo mi ha appena mandato il rapporto. L'ha ospitata per la notte il signor Chatelet stesso e ha pensato che non fosse prudente tentare di ucciderla in casa sua.”
“Benfatto, Lucien” disse Saint-Just. Un'espressione poco più calma prese il posto dell'irritazione sul volto dell'uomo allo specchio. Aveva già un altro piano in mente.
“Suppongo che Bernard la porterà con tutti i suoi uomini oggi al municipio, lui già sa che oggi verrà proclamata a Parigi l'amministrazione indipendente di Bailly e la Guardia Nazionale. La porterà per tenere sotto controllo la situazione. Ma si sa, basta poco per cominciare una sparatoria. Mi raccomando Lucien, fai posizionare tre uomini con i fucili sul tetto del municipio e dì loro di mirare a lei. Io creerò un diversivo, e quando ti darò il segnale tu li farai sparare.”
Saint-Just si aggiustò il panciotto davanti allo specchio, indossò il mantello e si pose in testa, con gesto impeccabile, il berretto nero, divisa di ogni deputato del terzo stato. Era pronto per andare al municipio, doveva rendere libero il popolo di Parigi quel giorno, e oltre che con una nuova amministrazione, voleva inaugurare quella libertà con la sua personale liberazione da quella cagna aristocratica che scimmiottava un soldato, e che gli aveva impedito con le sue insulse indagini di liberare la Francia da un bel po' di immondi aristocratici.
“Sarà fatto signore.” Lucien chiuse il taccuino dopo un ultimo appunto, e si congedò con un inchino mentre il suo padrone gli passava avanti senza degnarlo di uno sguardo e se ne andava con un sorriso già trionfale in volto.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** La luce del Sole ***


 

"L'illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a sé stesso. Minorità è l'incapacità di avvalersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!" (Immanuel Kant)

 

La piazza del municipio era piena di luce. Il sole batteva insistente sulle finestre tirate a lucido, sulle maniglie e sui battenti appena ripuliti del grande portone d'ingresso, sulla facciata giallo crema del palazzo dell'amministrazione, creando ovunque riflessi trasparenti e dorati nello spazio circostante, riflessi che rendevano più vivida e netta ogni pietra quadrata del selciato, più gioioso e quasi celeste ogni movimento dei cittadini che si stavano radunando attorno alla tribuna dei rappresentanti del popolo, pochi metri davanti alla facciata.“E' meravigliosa!” pensò Oscar mentre faceva capolino da un arco di entrata sulla destra del municipio, seguita da Andrè e dai suoi soldati.
Ogni angolo era pieno di gente, sventolavano ovunque i drappi con i colori scelti per rappresentare la nuova Parigi: il rosso e il blu, colori della città, uniti al centro dal bianco dei Borboni, che risaltava particolarmente in quella giornata di pura e candida luce.
Tutti gridavano di gioia, erano convinti che quel giorno sarebbe stato un nuovo pacifico inizio: il re avrebbe finalmente compreso il perché della grande sofferenza della Francia, avrebbe compreso il perché di tanta violenza nei giorni precedenti, e i rappresentanti del popolo avrebbero vegliato affinché tutti, ogni cittadino con pari diritti, re, nobili, chierici, borghesi, semplici popolani, potessero vivere fraternamente, pacificamente ed equamente una nuova era. Oscar poteva sentire quei sentimenti nell'aria, forti e leggibili su ogni volto, una comune idea di speranza che penetrava le menti di ogni presente e lì riprendeva le mille forme degli ideali.
Il sole sembrava aver trasfigurato ogni cosa: risplendevano i volti degli astanti, che fino a poche ore addietro erano solo maschere di fame e disperazione, luccicavano come raso prezioso e ossidiana i tricorni dei rappresentanti del terzo stato che, riuniti sulla tribuna, stavano arringando la folla con una forza e una passione palpabili, di chi grida al miracolo, di chi lo ha visto coi propri occhi.
Oscar riuscì a discernere Robespierre, Bernard, Marat, Danton, La Fayette, la sagoma tonda e rubizza di Bailly.
“Cittadini di Parigi,” sentì gridare a Robespierre, mentre faceva sistemare i soldati sul lato destro della piazza a guardia delle uscite nei viottoli, lei e Andrè a cavallo accanto all'arco da cui erano entrati, a destra del municipio e a pochi metri dal suo muro possente, “siamo qui perché in assemblea, tra ieri ed oggi, abbiamo riportato una grande vittoria per la vita e la felicità della Francia: la Bastiglia è caduta, l'estrema difesa del re che osteggia l'uguaglianza dei suoi sudditi, e che non vuole dialogare col suo popolo per risolvere i problemi di una nazione, è distrutta! Ora siamo qui con i tre colori della nuova nazione, tre colori per la prima volta uniti come il popolo e il re di Francia sono uniti in un nuovo patto! Luigi XVI dovrà ascoltarci, dovrà dialogare con noi, e tutti insieme riusciremo a tornare un grande paese!”
Uno scroscio di ovazioni e applausi coprì le parole di Robespierre. Oscar si ritrovò ad applaudire a sua volta. La felicità e l'unità della folla di Parigi era palpabile, le era entrata dentro col sole accecante del mattino in quella piazza, un fiotto di felicità nel suo petto. Era parte di lei, lei era parte di quella folla, di quel giorno, di quella felicità. Cercò senza pensare il braccio di Andrè, accanto a lei. Lui cercò di prenderle la mano, la strinse, per un attimo furono semplicemente felici di aver deciso di stare dalla parte del popolo, di aver lottato contro le fucilate, le cannonate, le morti, i complotti e tutto il resto, per poter finalmente vedere quel giorno nuovo e quella Francia nuova. Ne era valsa la pena, erano liberi, liberi di gioire perché finalmente uguali davanti alla legge, liberi di essere uguali davanti ai loro sentimenti, liberi di essere parte della fratellanza umana che la folla non faceva che mostrare.
“Per sancire questa nuova alleanza,” continuò Robespierre nell'entusiasmo generale “l'assemblea dei cittadini, stanotte, ha deciso di licenziare gli amministratori cittadini nominati dal re, che più volte hanno ridotto, senza coscienza, Parigi alla fame e alla rivolta. Essi verranno allontanati, e al loro posto amministreranno la città i rappresentanti del terzo stato da voi stessi eletti, e a capo della nuova città, a gran voce acclamato da tutti voi, interverrà il cittadino Bailly!”
Un boato travolse la piazza quando Bailly fece un passo verso il centro della tribuna, il suo nome risuonava in ogni bocca. Robespierre prese una coccarda tricolore dalle mani di Saint-Just, che ora Oscar riusciva a vedere, alla sinistra di Robespierre, un'ombra appiattita sotto il sole radioso nel viso del compagno.
“Le tue stelle avevano ragione!” gridò Robespierre più alla folla che a Bailly, seguito dalle risate della piazza.
“Ti hanno portato bene!” sbraitò tra le risate un altro uomo in mezzo alla folla.
“Fai che gli oroscopi del prossimo anno per la città siano buoni, se no facciamo cadere le tue stelle!” urlò una donna, suscitando di nuovo l'ilarità generale.
Robespierre appuntò la coccarda sul petto di Bailly, e gliene passarono una più piccola che finì sul tricorno dell'astronomo. Bailly alzò le mani in gesto di ringraziamento verso la folla. Dopo un altro vigoroso applauso, disse:
“Vi ringrazio tutti, vi ringrazio di avere così tanta fiducia in un povero astronomo. Spero solo di riuscire ad essere un ingranaggio efficace per far sì che la nuova Parigi impari a funzionare come una città dell'uguaglianza. Le notti senza stelle della Francia disperata e affamata sono finite, ora la stella più bella, il Sole, illumina questo nuovo giorno, un giorno in cui ogni cittadino è re di sé stesso, dove il re di Francia è un sole fra soli, e tutti insieme avremo abbastanza luce e ragione da allontanare ogni tenebra e ogni ignoranza!”
Il rubizzo Bailly, uomo di scienza, buono come il pane e poco avvezzo alla meraviglia, non riusciva a credere a quanto le proprie parole fossero vere. “Come il nostro amico Kant ha detto,” continuò “non siamo più bambini impauriti che obbediscono ciecamente ad un padre avventato, oggi siamo maggiorenni perché abbiamo deciso di vedere la nostra grandezza, la nostra capacità di dialogare per il bene e per il futuro della Francia e io sono orgoglioso di poter essere portavoce di questo nella città di Parigi!”
Oscar aveva le lacrime agli occhi, inaspettate. Era felice, semplicemente felice, di essere parte di quella nuova Francia davanti ai suoi occhi. Applaudì di nuovo Bailly.
Quell'uomo aveva avuto ragione, le stelle della Francia erano radiose quel giorno.

Eccola, proprio dall'altra parte della strada, a destra del palazzo del municipio.
Saint-Just aveva visto Oscar, ora doveva semplicemente aspettare il momento giusto e mettere in atto il diversivo che aveva escogitato quella mattina stessa, vedendo nella piazza molti cittadini ancora armati.
Quello era un giorno radioso per la Francia, e quel verme di una contessa non l'avrebbe oscurato oltre con la propria presenza.
Vedendo finalmente Bailly tornarsene indietro sulla tribuna, conquistò il centro del palco, e cominciò a parlare:
“Fratelli cittadini! Finalmente il sole risplende su una Parigi pacificata e liberata dalla violenza di un re e di una aristocrazia che pensavano di difendere con le cannonate i loro inconcepibili privilegi a scapito della libertà di tutto un popolo! Finalmente siamo liberi e mai più sarà necessario il dolore e il sacrificio di vite che ha portato alla fine il nostro glorioso quattordici luglio! Fratelli di Francia, vi prego, quelli di voi che hanno portato in questa piazza le armi, le alzino in alto e sparino i colpi in canna in aria! Che siano colpi per celebrare la pace e per mai più ricominciare una guerra fra cittadini!”
Gli uomini e le donne in mezzo al popolo che avevano un fucile o una pistola alzarono le armi al cielo e con grida di giubilo spararono in aria per festeggiare la nuova Francia. Saint-Just gettò in aria il tricorno in un finto gesto spontaneo.
Lucien, all'ombra dell'impalcatura della tribuna, rispose con un cenno d'assenso verso il padrone: il segnale per i cecchini era arrivato.

Andrè tirò le redini del cavallo al rumore degli spari, non gli piaceva affatto l'iniziativa di Saint-Just.
L'occhio gli cadde su un omino ammantato di verde sotto il palco, giovane, un ragazzo dagli occhi grandi e color acquamarina, con i capelli neri legati in un codino elegante, troppo per gli standard parchi dei deputati del terzo stato. Non era uno di loro. Il ragazzo, nella confusione, agitò in aria un bastone nero da passeggio con una punta dorata, facendogli fare tre larghi cerchi e poi riposandolo a terra, anche se il resto della folla ancora esultava... gli spari, il ragazzo... quello era un segnale!
La comprensione arrivò come un fulmine ad Andrè... da qualche parte c'erano dei cecchini!
Andrè, strattonò violentemente Oscar per un braccio e la spinse a cadere nello spazio in mezzo ai cavalli, gli spari arrivarono, tanti, veloci. Con un movimento tentò di spingere Oscar a riparo sotto la pancia del cavallo, sperando solo che non si imbizzarrisse, la coprì col corpo aspettando che la raffica finisse...
Oscar lo fissò frastornata, i suoi occhi, vide Andrè, avevano appena intuito quello che stava succedendo.
Uno dei cavalli cadde morto sotto i colpi, l'altro, sotto cui si trovavano, si stava imbizzarrendo. Tentarono insieme di alzarsi, Andrè notò i colpi venire dal tetto del municipio, erano al sicuro se riuscivano a riparare sotto una delle nicchie dei muri laterali del palazzo. Corsero subito là. Gli spari continuavano. Andrè tirava la mano di Oscar dietro di sé, quella nicchia sembrava non avvicinarsi mai, Oscar gli stava dietro, correva anche lei veloce... ecco, la nicchia era lì...
Andrè si senti strattonato indietro da una forza violenta, Oscar lo aveva fermato, lo aveva gettato a terra, perché?
Si girò in un secondo, non lo aveva gettato a terra, era lei caduta a terra, era immobile. La raccolse tra le braccia e corse sotto la nicchia, stringendosela addosso, mentre Alain e altri soldati andavano verso di loro cercando di sparare ai cecchini, sopra al municipio.
Andrè alzò lo sguardo quando finalmente i suoi compagni li circondarono, protettivi, c'era sangue sulle sue mani, sulla divisa di Oscar... slacciò subito i bottoni della giacca da comandante, scostò la camicia sul petto, e lo vide, il foro del proiettile. Era sulla spalla sinistra di Oscar, non poteva essere arrivato al cuore, né aver forato i polmoni. C'era molto sangue, ma la ferita non era mortale, non doveva esserlo. Dovevano impedire che tutto il sangue fluisse fuori, ad ogni costo!
“Alain, corri!” gridò Andrè “Prendi un cavallo e cerca un dottore, portiamo Oscar a casa di Bernard, devono subito toglierle il proiettile dalla spalla o muore dissanguata!”

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Sangue e respiro ***


Andrè camminava avanti ed indietro in cucina, mentre Alain se ne stava seduto su una sedia, schiena curva, gomiti appoggiati sulle ginocchia, paglia ancora in bocca.
Andrè si chiedesse come potesse essere così calmo... il dottore era entrato da due ore,si era messo a lavorare sulla ferita, e aveva chiesto a tutti di andarsene.
Gli altri, Bernard, Rosalie e i loro compagni della guardia, erano ancora tutti al municipio.
Nessuno sembrava essersi accorto davvero dell'attentato. A parte i tre commilitoni che avevano subito coperto Andrè e Oscar, avvisato Bernard, trovato e scortato il dottore lì a casa, nessuno sembrava aver visto ciò che era accaduto sotto quel sole accecante, o tanto meno preoccuparsene.
Il passo di Andrè si faceva sempre più nervoso, un calpestio ticchettante, sembrava non poter mai schiacciare abbastanza il pavimento sotto di lui, alla fine della stanza decise di non tornare verso il caminetto, ma di andare dritto dritto alla porta della camera di Oscar.
Grazie al cielo il medico decise di uscire proprio in quel momento. La vista di una pezza insanguinata e di un catino da toeletta con dentro una pallottola, riuscì a far tirare un sospiro ad Andrè.
“Come sta' dottore?”
“La pallottola è stata estratta, ma il sangue... ne ha perso molto. Mi avevate detto che aveva da poco la tisi, ma... il suo fisico è già molto debilitato e continua a tossire sangue, e in questo momento non potrebbe proprio permetterselo. Se riesce a superare la nottata e la ferita non si infetta, possiamo sperare in un miglioramento, a patto che da domani, se ci arriva, la ferita venga disinfettata ogni quattro ore, il riposo sia totale e la dieta molto ricca.”
Andrè rimase senza fiato in gola a quel se ci arriva. Ma fu grato nonostante tutto. La pallottola era fuori, la ferita cucita, e quando si trattava di lottare Oscar era sempre in prima linea, ora più che mai.
“Grazie dottore, io... vi sono grato, lei lotterà, lo ha sempre fatto.”
“Lo so cittadino Grandier,” disse il dottore abbozzando un sorriso. Come conosceva il suo nome? “c'ero anche io sotto la Bastiglia, so cosa la cittadina Oscar Francois ha fatto per tutti noi. Forse voi non lo sapete, ma grazie alle vostre gesta e a Bernard tutto il popolo sa chi siete, che lei ha rinunciato a titolo e famiglia e ha combattuto contro il mondo che l'ha cresciuta pur di stare dalla parte della Francia e assieme a voi... se mi permettete un'espressione poco adatta, al momento siete la favola di Parigi, una favola che tutti sanno essere vera... un giorno potrebbero dedicarvi un libro illustrato.”
Le iridi marroni del dottore dietro ai piccoli e spessi occhiali persero per un istante la durezza e la profondità, rimasero due gusci marroni e caldi, senza più crudezza, quella nata da una scienza che troppo spesso aveva cancellato ogni certezza e ogni sogno negli occhi di qualcun altro annunciando una morte imminente. Per un momento anche quel dottore stava sognando un lieto fine.
“Oh, spero di no, Oscar non ama particolarmente farsi ritrarre...” disse Andrè con un sorriso in volto, ricordando la riluttanza a chiamare il pittore per anni, e poi lasciarlo fare proprio pochi giorni prima dell'ordine da Parigi, “Ma mi dica, posso entrare?”
“Certo,” sorrise l'uomo, “ma lavatevi prima, la vicinanza con la sporcizia non fa bene alle ferite e voi siete una macchia di sangue e polvere da sparo che cammina.”
Andrè annui, dirigendosi verso la cucina, dove aveva visto delle brocche d'acqua.
Togliendosi la giacca della divisa e la camicia si rese conto del fatto che erano intrise di sangue e che nemmeno una goccia era suo. La giacca blu era incrostata e appiccicosa di sangue su tutto il petto, dove l'aveva stretta, e la camicia anche, ed altre macchie si addensavano sulla manica destra.
Aveva del sangue incrostato anche sulla pelle dei pettorali.
Realizzò in un minuto che forse quello era tutta la quantità di sangue che lui aveva in corpo, che se fosse accaduto a lui, nonostante non fossero stati lesi organi vitali, sarebbe oramai morto.
Per un momento un brivido gli percorse la schiena. La stanza era fredda, molto fredda.
Oscar doveva star lottando con i denti per vivere, sperò che la sua volontà potesse aver ragione ancora una volta, realizzare i desideri.
Glielo aveva promesso, senza davvero speranza, ma con tutta la determinazione del mondo: lo avrebbe portato ad Arras e lo avrebbe sposato da donna libera... Oscar Francois, nata de Jearjays, e ora semplicemente la cittadina Oscar Francois.
Era diventata un'eroina della Bastiglia solo per essere libera, libera di vivere la propria vita con lui. Avrebbe resistito, lui non le avrebbe permesso di non riuscire.
Sporto sul lavello, si grattò via dalla pelle il sangue e la polvere con l'acqua delle brocche, mentre Alain si alzava e diceva:
“Vai da lei amico, sento dei cavalli, probabilmente è Bernard con Rosalie e i nostri compagni. Meglio che sia io a spiegare quello che è successo. Se è vero quello che dite, quel Saint-Just farà di tutto per farvi sembrare dei pazzi.”
“Hai ragione Alain,” disse Andrè, asciugandosi con una pezzuola. “Mi raccomando, non ti far intimorire, racconta tutto quello che hai visto.”
“Intimorire io? amico mi scambi per te.” disse lui ridendo un po'.
Alain sapeva alleggerire il macigno, touché.
Andrè gliene fu grato una volta di più.
Si diresse verso la porta della camera da letto, il dottore lo fece passare dalla porta, scostandosi di lato.
Oscar era a letto, il braccio sinistro lungo sotto le coperte, il destro piegato sul petto, sopra al lenzuolo, ma legato al petto tramite un sistema di bende che il dottore aveva ingegnato per coprire la sua nudità anche senza camicia, per immobilizzarle spalla, gomito e mano senza nemmeno tirare troppo.
Andrè si sedette vicino alla sponda. Il volto di lei era pallido, ma il dottore si era premurato di accendere il caminetto della camera con dei ciocchi che erano avanzati dalla cucina, e la pelle veniva illuminata così dal colore arancione delle fiamme. Le punte delle gote erano lievemente rosse, il respiro lieve ed agitato le faceva alzare ed abbassare il petto senza ritmo costante.
Anche così sofferente, come era bella Oscar. Il pensiero lo attraversò come qualcosa di inopportuno, almeno in quel momento. Appoggiò un gomito sul letto e vi poggiò il viso sopra, con l'altra mano accarezzò appena la gota destra e poi il collo e scivolò sopra le pieghe delle bende per arrivare alla sua mano. Era gelida. Andrè la prese nella sua, stringendola, cercando di concentrarsi e di passare tutto il calore che aveva in corpo a quel palmo.

Dopo un silenzioso minuto Oscar boccheggiò, come se le mancasse l'aria, tossì macchiando con altre gocce di saliva e sangue il lenzuolo e le proprie labbra, e aprì gli occhi sbarrati, come in apnea. Appena il respiro tornò normale batté le palpebre, ritrovando un minuto di lucidità. Un minuto che le riportò nelle terminazioni nervose il dolore alla spalla, fortissimo, e la consapevolezza di una mano calda nella sua che le dava appena sollievo.
Si voltò appena verso la sponda del letto, quel tanto che bastava per vedere Andrè che la fissava. La bellezza del suo sguardo, la forma delle sue labbra, il tepore della sua mano che riscaldava la propria le fecero dimenticare un istante il dolore. Viveva ancora, se grazie a lui o per lui non lo capiva, sentiva solo la forza di un legame, lui non l'avrebbe lasciata andare, mai. Finché uno resisteva lo poteva fare anche l'altro. E lei poteva.
“Ti amo.” sussurrò appena, le corde vocali erano attraversate dagli spasmi, si contraevano, lasciavano appena uscire la voce.
“Anche io.” rispose Andrè sorridendo, avvicinò le labbra alle sue, appena un tocco, ma quanto bastava per portare via con sé ogni macchia di sangue dalla sua bocca.
Andrè si allontanò di nuovo, ritornò la fissarla dal sopra il gomito, a stringerle la mano.
Il dolore era forte, ma era diventato più un calore diffuso, non faceva male come prima.
“Andrè” sussurrò, “sapevamo che poteva succedere, anzi, sapevano che era più probabile non farcela che farcela...”
“Shh” la zittì Andrè, “sei qui con me. La pallottola ti ha fatto perdere molto sangue, ma il dottore ha detto che migliorerai.”
“Ma se dovessi...” la ferita tornò a pulsare dolorosa, perché diamine aveva cominciato a parlare così ora?
“Oscar, no. Tu non morirai, non ti devi nemmeno azzardare a pensarlo, non te lo lascerò fare. Io sono qui, vivo e vegeto, e non tollererò di vivere un minuto di più se te ne vai, e ci tengo come non ho mai tenuto a niente a vivere ancora e con te, quindi vedi di non morire, chiaro?” quel rimprovero che sembrava per una bambina la spaventò a morte... Andrè che piangeva, Andrè che non voleva più vivere... il respiro le si agitò ancora.
“Voglio mille altre notti Oscar, mille altri giorni, voglio vederti ridere con una camicia bianca, i tuoi pantaloni di seta avorio e dei fiori nei capelli mentre il cappellano di Arras con la faccia più sbigottita del mondo ci dichiara marito e moglie, non ti azzardare a spezzare i miei sogni, capito?” ora Andrè rideva, a metà tra la presa in giro e la dolcezza più assoluta. Il suo sguardo era di nuovo meraviglioso.
Decise di concentrarsi di nuovo sulla sua mano scaldata da quella di Andrè.
“Agli ordini Grandier...” mormorò, sorridendo quel poco che poteva.
“Sai, mi piace l'idea di essere un comandante per un po'... ad esempio, ora ti ordino di dormire, riprenderti e riposarti. Io rimarrò qui a farti compagnia e medicherò la ferita ogni 4 ore, come ha detto il dottore. Così non si infetterà. Capito? Ora chiudi gli occhi e dormi.”
Vide Andrè abbassarsi sul suo viso, le chiuse gli occhi baciando prima una palpebra e poi l'altra, e poi posò la bocca sulla sua, stavolta dischiudendola, respirando insieme a lei, rendendo quel singhiozzo spezzato un respiro appena regolare. Funzionò.
Oscar si addormentò mentre le labbra di Andrè erano ancora su di lei, il suo respiro.

“Come sarebbe a dire Robespierre non ci crede?” Alain sbottò infuriato davanti al caminetto della cucina di Bernard.
“Gli ho raccontato tutto, c'erano con me anche i soldati che vi hanno soccorso. Ma Saint-Just lo ha convinto non so come che è stato tutto un complotto; che di certo è stata presa da uno degli spari della piazza, e che una sciocchezza del genere voleva dire solo avercela con lui ed essere visionari.”
“Ma è pazzo?”
“Al momento mi sembra proprio di sì.”
Alain vide il volto di Bernard frustrato, come se non riuscisse a spiegarsi la faccenda.
“Robespierre credeva ad Oscar quando gli ha detto che Saint-Just era un assassino, gli ha portato davanti le prove, ma... non capisco, è come stregato da quell'assassino. Si taglierebbe una mano se lui glielo chiedesse in questo momento.”
“Dobbiamo far si che la paghi, non può restare impunito. Se il comandante ne esce viva, Saint-Just tenterà di ucciderla ancora, oramai non è più una questione di denuncia: se Robespierre sa e non ci crede, per quell'altro pazzo diventa una questione d'orgoglio. La ucciderà solo per il piacere di farlo.”
“Lo so Alain, so che Oscar dice il vero. Tu per il momento non dirle niente. Vi lascio la casa, tu, Andrè e il medico potete disporne come e quanto vorrete per fare la guardia e curare al meglio Oscar. Io andrò a stare dalla vicina di Rosalie, io e lei verremo a trovare Oscar ogni giorno, sia per le provviste, sia per copertura. Sono sicuro che Saint-Just starà monitorando la situazione e se non sa che io e Rosalie non siamo più qui, non si azzarderà ad attentare di nuovo alla vita di Oscar. Io intanto tenterò di far ragionare Robespierre.”
“Va' bene Bernard, ma questa storia non mi piace.”
Alain aveva una strana sensazione. Quel Saint-Just aveva qualcosa di marcio addosso, e faceva marcire qualsiasi brava persona toccasse.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Guarire ***


Il giorno dopo Oscar era ancora viva, e quello dopo ancora anche. Ogni giorno che quel poco di colore le rosava le guance la mattina presto, quando lui entrava per controllare che fosse ancora viva, Andrè tirava un sospiro di sollievo, si stampava un sorriso in faccia e la svegliava.
I miglioramenti erano lenti, la ferita ogni tanto accennava ad infettarsi, ma appena vedeva traccia di pus, Andrè prendeva bende e panni, la stordiva con un po' del brandy che Alain gli aveva procurato al mercato nero, e si metteva a pulire lo squarcio sulla sua spalla, ben attento a trascinare via ogni goccia di sangue e impurità e a lasciare la ferita sana e pulita.
Lui e Alain tentavano di alternarsi per i turni di guardia, e con Rosalie per assistere Oscar.
Andrè era nervoso, stanco, voleva controllare ogni pomodoro, ogni pezzo di pane che arrivava dalla città tramite Bernard, cucinava i pasti in silenzio, concentrato, e andava a imboccarla in camera, piano, attento acché nulla le andasse per traverso, e poi la addormentava.
Qualche volta Oscar aveva la febbre, delirava piano e gli chiedeva di leggerle qualcosa, altrimenti avrebbe avuto gli incubi la notte. Lui si stendeva sul letto vicino a lei, la cingeva con un braccio attento a non farle male, il contatto la calmava, e poi le mormorava all'orecchio una poesia che sapeva a memoria. Le avevano imparate insieme, il precettore le aveva pretese da tutti e due. In pochi minuti era assopita, il volto rivolto a lui, il sonno che le sbiancava il volto e Andrè pregava sottovoce che il giorno dopo si svegliasse ancora.

Il dottore aprì la porta in silenzio, metodico nel girare il pomello, nello spingere la porta quel tanto che bastava per passare, e nel richiuderla facendo poco rumore.
Oscar lo guardò incedere verso di lei. Ricordava vagamente il suo viso, era un po' incosciente quando le aveva estratto la pallottola due mesi prima.
Il medico si sedette sul letto, e approntò gli attrezzi: le analizzò le pupille, saggiando la loro reazione alla luce con una candela, le chiese di muovere le braccia, notando con soddisfazione che la ferita non era stata infettata e il braccio aveva recuperato bene il movimento. La lo squarcio aveva ora l'aspetto di una brutta cicatrice arrossata, ma non faceva male. Riusciva a muoversi senza dolore, a ricambiare l'abbraccio di Andrè la sera, prima di addormentarsi.
Gli occhi marrone scuro del medico analizzarono severi il suo colorito, la sua gola, e poi auscultò il suo respiro, sospirando a sua volta.
“Il riposo forzato e la buona alimentazione vi hanno giovato, i vostri polmoni stanno meglio” commentò mentre riavvolgeva la tromba dell'auscultatore con la sua cordicella, “da quanto tempo non tossite sangue?”
“L'ultima volta è successo quattro giorni fa, e prima di allora mi succedeva solo una volta ogni due o tre giorni, per gli ultimi trenta giorni almeno.”
“Capisco... bene, fatevi spesso il bagno, tenete la stanza pulita come ora, continuate a mangiare e dormire bene, e camminate qui in casa se potete.”
“Già lo faccio. Almeno trenta minuti ogni giorno, scendo dal letto e vago per la casa, anche se, capirete, non posso uscire.”
“Si, conosco la storia. Bene, sta andando tutto per il meglio, continuate così cittadina Oscar Francois. Vi restituiremo alla Francia più splendida di prima.” scherzò con un sorriso malandrino il dottore, la bocca tirata in una smorfia buffa, come a voler fare un complimento anche se non era abituato, “Il vostro amico ha avuto buona cura di voi. Non scordatelo.”
“Sarebbe impossibile,” rispose Oscar, e il pensiero di Andrè la sopraffece di tenerezza, “come scordarsi di respirare.”
Il dottore chiuse con uno scatto la borsa con gli attrezzi, le fece un cenno con la mano e se ne andò.
No, pensò tra sé, non si sarebbe più scordata di respirare.

Rosalie entrò dalla porta e si sedette su una sedia vicino ad Oscar, sorridente, aveva sentito le notizie dal dottore.
“Che bello madamigella,” disse “tra poco non dovrai più portare le fasce alla spalla, potrai anche tornare a cavallo. E non preoccuparti, vedrai, non ci saranno più problemi con quel maligno di Saint-Just, Bernard gli sta alle costole come un segugio, appena farà un passo falso lo concerà per le feste davanti all'assemblea.”
“Ne sono sicura, Bernard sa arrabbiarsi a dovere quando vuole, basta che non lo morda davanti a tutti!” scherzò Oscar, suscitando la risata cristallina di Rosalie, fresca come il mughetto a primavera. No, la sua Rosalie era sempre uguale, meravigliosamente gentile nell'animo e grande nel cuore.
“Dov'è Andrè?” chiese Oscar, ansiosa di vederlo.
“Andrè è in camera nostra, è andato a farsi un bagno visto che ho scaldato molta acqua. Ce n'è abbastanza anche per te se vuoi lavarti. Comunque io devo andare ora, vado a vedere che succede all'Assemblea. Alain viene con noi, ma tornerà tra un paio d'ore e tra qualche minuto Andrè sarà qui.”
“Non ti preoccupare.”
“Bene, a domani.”
Rosalie uscì dalla stanza e la lasciò sola.
Svanito il suo ultimo passo dopo il rumore del chiavistello della porta della casa, il silenzio rimase aleggiando nella stanza per un minuto. Poi Oscar notò un disturbo di fondo, lieve, che giungeva rotondo fino alle sue orecchie, come un gocciolare.
Era il rumore dell'acqua, Andrè si stava muovendo nella tinozza.
Curiosa, si mise in piedi piano, anche se oramai i capogiri per la fretta dei movimenti non la coglievano più. Avanzò fino alla stanza di Bernard senza fare rumore, anche se quando spinse la porta, sentì la voce di Andrè rimproverarla, anche se lui e la tinozza le davano beatamente le spalle:
“Perchè sei in piedi?”
“Volevo vedere cosa facevi. E poi oggi ho riposato abbastanza.” disse avvicinandosi.
Si sedette sulla sponda del letto, parallela alla lunghezza della tinozza e si mise ad osservare Andrè.
L'acqua saponosa gli arrivava al petto, fumante, la posizione seduta lasciava affiorare le ginocchia dalla linea del fluido, la schiena era poggiata al metallo della vasca assieme al collo, rilassati. Ma i suoi occhi la guardavano, non smettevano di guardarla.
“Sei stremato.” gli disse, nessuna domanda, solo una costatazione, “E lo sei per colpa mia”.
“Non ti preoccupare, l'importante è che tu stia meglio,” sorrise, dolce, e aggiunse “e poi mi piace fare la donna di casa.”
Oscar rise, Andrè e la sua espressione rilassata la alleggerirono, non venne nemmeno la tosse a disturbarla. Allungò il braccio convalescente per accarezzargli una guancia.
“Vedi?” Gli disse muovendo le dita dal suo naso alla guancia, alla bocca, al collo “Ce la faccio.”
“Non ti fa male la spalla?”
“Non più.” disse, continuando, riportando le dita alla sua bocca, una bocca che le baciò leggere, con un'espressione tra l'orgoglioso e la malizia.
Oscar si alzò in piedi,la schiena si flettè, la mano lasciò il volto di Andrè e andò a cercare la sua mano sotto l'acqua, trovandola, e attirandola verso l'alto, verso di lei.
Andrè si alzò in piedi, e uscì dalla vasca, senza lasciarle la mano, e la abbracciò, stretta.
Lei ricambiò l'abbraccio stringendo il corpo umido di Andrè più che poteva, la pelle calda, le gocce d'acqua che scivolavano, poi alzò la testa, cercandone la bocca, che subito trovò con stampato un sorriso malizioso. Si, anche lui la voleva, anche lui la desiderava così tanto.
Fino a pochi giorni prima il dolore aveva dominato i pensieri, poi era sparito, chiuso, cucito via, la vita “ordinaria” aveva ripreso a farsi sentire, camminare, mangiare, parlare con Rosalie, Alain e Andrè le sembravano azioni impegnative, amplificate a mille, e l'abbraccio di Andrè in cui si addormentava la sera non era più solo un guscio caldo dove dormire nello stordimento, era anche una tortura sottile; percepire ogni muscolo del suo corpo, ogni alzarsi del torace mentre respirava, la stretta misurata del suo braccio... non riusciva a pensare come prima, che questo le avrebbe provocato dolore, che non l'avrebbe fatta sopravvivere, ora sentiva solo tutta la presenza di Andrè avvolgerla, e doveva, doveva assolutamente ricambiarla.
La spinse leggermente e la fece allungare sul letto.
Oscar adoperò subito le mani, di nuovo perfettamente sensibili, forse più di prima, per slacciare la propria camicia e per allontanare velocemente dalle gambe i calzoni leggeri di cotone prestatigli da Bernard.
Sentire tutto il corpo di Andrè con la propria pelle fu di nuovo la scossa di un fulmine, le terminazioni nervose straripavano di sensazioni. Tatto. Sapore della sua bocca sulla propria. Occhi che appena potevano mangiavano il suo viso stanco e innamorato. Odore di sapone e di umidità. La risata leggera di Andrè mentre lei lo stringeva con una mano alla schiena e con una sul sedere.
Tutto rimbombava e risuonava più forte nel suo cervello.
Quando Andrè le baciò il collo e il seno sospirò inarcandosi, era insopportabile quel sentire, una tortura.
Andrè, attento a non pesare sulla parte superiore del suo petto, aderì perfettamente al suo corpo, entrandovi, stringendolo, cercando quasi di assorbirlo nel suo, Oscar poteva sentire la voglia di esserle vicino e di proteggere ogni angolo attorno a lei.
Con un braccio le bloccò le mani sopra la testa, senza premerle troppo, l'altro le finì sotto la schiena per spingerla di nuovo verso di lui, il più possibile.
Lei sentiva Andrè avvolgerla e stringeva a sua volta, come voleva ricambiare quel trasporto incondizionato, quell'amore così dolce, devoto, quei sorrisi e quelle battute che alleggerivano ogni macigno fra di loro. Come lui in quel momento, sentiva di non stringerlo, di non riuscire mai abbastanza a proteggerlo, a dirgli quale grande cosa fosse la sua sola presenza.
Sentì Andrè gridare il suo nome mentre il calore e la frenesia correvano per le vene e per i tessuti mentre tutti e due si muovevano insieme, accaldandoli come mai prima, torturandola per quella fusione che non riusciva a compiersi del tutto.
Poi un altro fulmine la scosse, per un interminabile minuto le grida di Andrè si confusero perfettamente con le proprie, erano lì un essere unico e palpitante per una manciata di secondi, un essere divino che poteva percepire il tutto e il nulla attorno.
Andrè non riuscì a impedirsi di crollare sul corpo di Oscar, non le faceva male, né alla spalla né al braccio, anzi, le onde che si irradiavano nel suo corpo le sentiva più piacevoli proprio in quella zona sanata di recente.
Strinse le spalle di Andrè con le braccia.
“Ti amo, scusa se non riesco a essere tutto quello di cui hai bisogno. Farò del mio meglio, perché tu... tu lo sei.” disse e posò un bacio delicato sull'orecchio di Andrè che era proprio accanto al suo viso. Sentì Andrè stringerle la schiena di nuovo e girarsi per portarla sopra di lui.
“Non devi fare nulla,” le disse accarezzandole la colonna della schiena, dal basso verso l'altro, “continua solo a resistere, per noi.”
Lei sorrise ed alzò il viso per guardarlo negli occhi, verdi, tersi, uno che fissava la sua iride, l'altro sbiadito che fissava la sua anima.
“Non smetterò mai.” e tornò ad appropriarsi della sua bocca, una bocca amata e necessaria come non lo era stata e non lo sarebbe stata nessun'altra.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Il processo... ***


Bernard non poteva credere alle sue orecchie.
Aveva sentito bene... purtroppo.
Saint Just aveva ricevuto piena fiducia dall'assemblea solo il giorno prima per tentare di mettere in piedi un tribunale rivoluzionario, al solo fine di dar modo ai cittadini di difendersi da chiunque tentasse di minacciare la loro libertà. Le caratteristiche sarebbero state un seria analisi delle denunce e una completa libertà del giudice, che doveva decidere secondo i principi di razionalità, ragionevolezza e in base alle prove. Una buona idea, senza dubbio, ma a Bernard puzzava fin dal giorno prima, e ora la puzza era diventata bruciato.
Dopo un solo giorno, Saint Just aveva ottenuto da Robespierre e dai suoi alleati non solo che l'esperimento del tribunale si aprisse, ma che nove giudici fossero nominati subito all'assemblea costituente per dare l'avvio ad altrettanti processi.
Ma non era bastato, non a Saint Just.
Alla nomina dei primi giudici era seguito l'annuncio delle prime nove cause, esaminate e ritenute degne di giudizio, da Robespierre in persona: quattro espropri coatti e ingiustificati da parte di vecchi proprietari a dei contadini che avevano fatto parte dei moti rivoluzionari di luglio, due omicidi perpetrati da parte dei familiari nei confronti di due uomini che si erano votati alla causa popolare, e due tentati rapimenti da parte di due simpatizzanti della corona nei confronti di due membri dell'assemblea. Ma l'ultimo... l'ultimo aveva fatto sobbalzare Bernard: Saint Just aveva fatto intentare, furbamente, al suo attendente Lucien una denuncia contro “il comandante dei soldati della guardia ribelli, con l'accusa di aver deliberatamente sparato sul popolo che avrebbe dovuto proteggere, alla nomina di Bailly.”
Bernard sudò un attimo freddo e poi rise tra sé...
Robespierre doveva essere impazzito per lasciargli fare una cosa del genere.
Grazie a dio sembrava che il giudice non fosse uno dei suoi, forse Saint Just sperava che, come molti, nutrisse astio verso la nobiltà.
L'unica cosa che poteva fare ora era avvisare Oscar, Andrè e gli altri soldati e fare in modo che quella follia non avesse luogo.

Oscar giaceva beata tra le braccia di Andrè quando sentì la porta della casa sbattere.
Il corpo languido fu scosso da una scarica di paura e adrenalina. Prese la pistola di Andrè sul comodino allungando velocemente il braccio. Non erano di certo passate un paio d'ore. Chi poteva essere?
Si alzò veloce dal letto, anche Andrè aprì gli occhi e la vide sull'attenti, dietro la porta. Lo guardava mettendo un dito davanti alle labbra.
Andrè porse l'orecchio, avvertendo dei passi e capendo che c'era qualcuno, troppo presto per essere qualcuno della casa.
La porta si spalancò.
Grazie al cielo era solo Bernard che entrava trafelato.
“Andrè che ci fai a letto? Dov'è Oscar? Dobbiamo andarcene!”
Oscar abbassò la pistola, con un sospiro di sollievo.
“E' qui Bernard, ma non voltarti, non è presentabile.”
Oscar si contrariò un secondo. La pungevano quelle parole così protettive, anche se la sua nudità era innegabilmente impresentabile per Bernard.
“Menomale! Mi era venuto un colpo quando ho visto la stanza vuota, vi aspetto in cucina.”
La porta si chiuse.
Andrè si infilò velocemente i calzoni e si alzò in piedi con in mano la sua camicia.
Le si avvicinò e la avvolse col tessuto soffice.
“So che ti da fastidio,” le disse all'orecchio, abbracciandola, “ma non sopporterei che ti vedesse come ti vedo io, come la cosa più bella del mondo.”
Il fastidio passò in un lampo, sciogliendosi con l'abbraccio stesso.
“Capisco,” sussurrò piano Oscar, “è solo che non riesco ancora a pensare che tu possa essere geloso...”
Andrè la fece girare fra le sue braccia, la allontanò appena per allacciarle il fiocco della camicia. Tornò un attimo al letto per prenderle i calzoni, li trovò aggrovigliati fra le lenzuola e si inginocchiò davanti a lei infilandoli prima da un piede e poi dall'altro e tirandoli fino alla vita, tirando forte la cinta, annodandola più volte.
“Solo tu e io abbiamo visto come è stato fatto questo nodo, solo io o tu potremo scioglierlo, capisci?”
Oscar scosse la testa, scrutando l'occhio verde e brillante che la fissava.
“Io voglio te, solo te. Quando mi hai baciato quella sera mi è sembrato di morire e rinascere, perché finalmente eravamo in due, anche tu volevi me. E Dio solo sa che lotterò fino alla morte per difendere questo legame, perché ti ho voluto tutta la vita e ora sei qui con me. So che qualche volta ti arrabbierai, che qualche volta farà male e vorrai scioglierlo. Ma ti prego, lotta per noi, anche se lo rendo difficile.”
Oscar portò una mano alla guancia di Andrè, sorridendo, godendo l'abbandono del suo volto alla sua mano.
Si, sarebbe fatta violenza ogni volta, avrebbe spazzato via il puntiglio da comandante. Per sé, per lui. La loro famiglia valeva il sacrificio del suo sdegno.
Si sorprese a pensare a loro come una famiglia, ma sì... erano quello proprio quello.
“Ora andiamo.” disse Andrè, e Oscar si scosse dai propri pensieri concentrandosi sull'entrata a sorpresa di Bernard. Che cosa diamine era successo?

“Che vuol dire che mi vogliono processare?” disse Oscar ad occhi sbarrati dopo aver udito il racconto di Bernard.
“Che, non so come, ma Robespierre ha fatto approvare la denuncia di Lucien de Montilian per il giudizio del nuovo tribunale rivoluzionario. Oscar è imputata come responsabile della sparatoria alla nomina di Bailly. E ora c'è un giudice che la vuole in tribunale tra una settimana con tutte le prove a sua discolpa, altrimenti deciderà con la massima libertà di giudizio.”
“Cosa ci consigli Bernard?” chiese Andrè, vedendo la molta ed insolita inquietudine nell'amico.
“La fuga. Scappate più lontano che potete. Se rimanete Saint-Just vi farà a pezzi, prima col tribunale e poi con la ghigliottina.”
Oscar rimase un attimo pensierosa fissando il volto preoccupato di Bernard, la fronte crucciata, gli occhi pesanti, la bocca piegata verso il basso, senza fiducia nelle parole a cui si sforzava di dare forma. Riusciva ad immaginare i suoi pensieri: tanto lottare contro le ingiustizie, la fame, la disuguaglianza. E ora ritrovarsi a subirle per chi aveva lottato insieme a lui per esse.
“No Bernard.” disse, tranquilla come non lo era mai stata.
“Che dici Oscar?” sbottò Bernard
“Ho detto no, non scapperò.”, la decisione apparve chiara e piana nella sua mente, nessun dubbio. Ecco come c'era da mettere la parola fine a quella follia.
“E vuoi andare a farti macellare da Saint Just?”
“No, andrò a difendermi.” disse Oscar, posando una mano aperta sul tavolo e facendoci forza per alzarsi in piedi. “Non solo noi in questa stanza, ma tutta Parigi in quella piazza ha visto che non sono stata io a provocare gli spari e che, anzi, ne sono stata vittima insieme ai miei uomini. Io non ho nulla da temere dal popolo di Parigi, e se proverò la mia innocenza” disse facendo saltare i polpastrelli dell'altra mano dalla destra a sinistra di quella piantata, “dimostrerò chi vuole essere il tiranno.”
“Oscar, è follia, renditene conto!” urlò Bernard, alzandosi in piedi a sua volta,“il popolo di Parigi e tutta la Francia si fidano di Robespierre, e il fatto che abbia anche solo fatto passare al giudice la denuncia, vuol dire che Saint Just lo ha convinto che menti, e che sei contro la causa popolare! Il giudice non ti ascolterà anche se non è un uomo di Saint Just! Se ci tieni alla pelle tua e di Andrè, prendi il poco che hai e fuggi lontano!”
Oscar sostenne il suo sguardo esasperato, non abbassò gli occhi.
“Se scappo sarò colpevole, agli occhi di tutti. Io credo nella rivoluzione Bernard, ho sparato sul mio generale, sui soldati che io stessa ho addestrato, ho lasciato la mia famiglia, rinunciato alla mia nobiltà, e l'ho fatto perché credevo che le cose potessero cambiare, e ci credo ancora. Non cederò ai ricatti di Saint Just, non scapperò. Ho rinnegato tutto quello che conoscevo per non vedere la sofferenza che nasce dall'ineguaglianza, voglio andare ad Arrais e voglio potermi sposare con Andrè, senza la vergogna di 'sposare un plebeo', quella vergogna che mio padre mi ha fato sempre pesare. Voglio farlo alla luce del sole, perché ne ho diritto come donna libera, e come ne ha diritto Andrè in quanto uomo libero. Se questo è il governo del popolo e dei lumi, esso capirà che la follia è lasciare che Saint Just abbia ancora un qualche potere a Parigi.”
Bernard le gettò un ultimo sguardo disperato, poi abbassò gli occhi sul tavolo.
“Vado a cercarti un avvocato!” urlò strozzato, e si scagliò fuori dalla porta.
Non voleva farsi vedere, ma Oscar aveva già notato che piangeva.

Andrè guardò la porta chiusa.
Si l'aveva voluta così, come era, anzi, ne era dannatamente geloso.
“Mi odi vero?” disse Oscar, abbassando ora gli occhi che prima avevano tenuto testa ad un Bernard disperato. No, su di lui non riusciva ad alzarli.
“No, capisco quello che vuoi. In questo momento mi sembra una follia accompagnarti ad un processo che forse ti condannerà a morte, visto che ti ho salvato per un pelo da una sparatoria.” disse guardandola e alzandole con una mano il mento verso il proprio sguardo, “Ma ti amo, capisco quello che vuoi dire e quello che vuoi difendere, e lo voglio anche io.”
“Sarai con me?” disse lei, con un sorriso che ad Andrè parve una sorsata d'acqua fresca nella calura dell'Agosto che era appena passato.
“Certo,” le sorrise Andrè “combatteremo insieme come fino ad ora, fino alla fine.”

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** L'avvocato Detierre ***


Il municipio era stato il palazzo scelto per il processo e la prima seduta. Il giudice avrebbe dovuto esaminare le prove della sua discolpa davanti ad un rappresentante dell'accusa e davanti ad uno della difesa. In una seconda seduta avrebbe dovuto emettere la sentenza. Ovviamente, secondo le volonta' di Saint-Just e Robespierre, la pena di morte era stata contemplata tra le possibilità.
“Molto illuminato, direi.” mormorò l'uomo con voce bassa e roca, esaminando le carte recapitategli da Bernard.
Calvo e basso, quello seduto alla scrivania davanti ad Oscar era il suo avvocato. Martin Alfonse Detierre. Era un uomo sulla quarantina con gli occhi grigi e lo sguardo fosco, la postura abbarbicata quasi ad affondare tutto il peso sulle braccia poggiate alla scrivania; nato figlio di un panettiere, era riuscito ad accedere a giurisprudenza, ed era stato compagno di studi di Robespierre, e un paio di volte lo aveva anche battuto in tribunale prima della rivoluzione, anche se senza troppa lode: i loro casi erano sempre stati di poveri contadini contro altri poveracci per salvare il poco che i nobili lasciavano loro possedere.
Quell'incontro lo aveva combinato Bernard, Detierre era il meglio sulla piazza, anche in virtù della sua rivalità con Robespierre. Era famoso per essere davvero insopportabile, e chiunque superasse il “primo colloquio”, aveva buone possibilità che Detierre accettasse il caso, per quanto scottante fosse. Oscar aveva bisogno di ottenere la sua fiducia per far sì che lui accettasse di difenderla in tribunale, ma già dai primi istanti non era stato facile...
“Madamigella, dai regolamenti mandatimi dal signor Chatelet, ne deduco che voi partite già svantaggiata, ne siete consapevole?” disse egli, non nascondendo affatto il disappunto didover proteggere una nobile, per quanto eroina della rivoluzione.
“Si signor Detierre, so che questi regolamenti sono stati fatti apposta per svantaggiare i nobili che tentino di difendersi in tribunale.” rispose Oscar, affilando la voce, e allungando volutamente sulle parole “tentino” e “difendersi”.
“Bene, già è qualcosa.” disse l'uomo “Che prove avete che il signor De Montilian si sbagli a dire che voi avete cominciato la sparatoria?”
“Il fatto che io non sia più una nobile ad esempio, tanto per cominciare.”
“Ahhahaahahahah” rise lui, “madamigella, posso credervi davvero, ma come lo dimostriamo in tribunale? Non avete firmato né ricevuto documenti che vi diseredino o che facciano cessare i vostri privilegi.”
“Ho fatto una dichiarazione solenne di fronte a ventiquattro soldati della guardia, e da allora loro, tutti o parte di loro, hanno condiviso con me tutto il mio tempo fino ad oggi, e possono benissimo testimoniare che non ho più usufruito di nessun privilegio nobiliare.” disse Oscar con voce decisa, non intendeva lasciare niente allo scoperto. Lei era innocente, e i fatti le avrebbero dato ragione.
“Bene, allora troveremo questi testimoni? Sapete se testimonieranno?”
“Bernard ha provveduto al loro alloggio dopo la sparatoria, saprà rintracciarli.”
“Chiederò al signor Chatelet. Ditemi, cosa vi ha fatto desistere dal continuare ad usufruire dei vostri privilegi e perché avete combattuto alla Bastiglia col popolo invece che con l'esercito che vi ha accolto per circa venti anni?”
“Per due ragioni principali, signore.” la metteva alle strette, lei avrebbe dovuto mettere a nudo tutta la sua sofferenza, ma non avrebbe perduto, “La prima è che da anni tutti coloro che hanno fatto parte della corte della regina come me possono ben testimoniarvi il mio disagio a partecipare di quel tipo di vita di società. Non accettavo la prepotenza nobiliare che si riversava contro i più deboli, e ciò è culminato nella mia richiesta ufficiale di non far più parte della guardia reale, ma di entrare in un corpo di guardia in cui potessi essere più utile vicino al popolo. Fui così assegnata alla guardia metropolitana di Parigi, agli ordini del generale Bouille, che però si dimostrò poco propenso ad accettare le mie obiezioni di coscienza soprattutto durante gli stati generali. Mi ha persino condannato a morte per insubordinazione quando mi sono rifiutata di escludere dall'entrata dell'assemblea i rappresentanti del popolo. Sono stata salvata in quell'occasione prima dal mio sottoposto Andrè Grandier che mi ha salvato dalla spada di mio padre, offeso di avere una figlia che tradiva la corona, e poi dalla regina che mi ha comminato la grazia ufficiale.”
“Bene bene, questi dovrebbero essere documenti ufficiali che tenterò di reperire, almeno il vostro passaggio alla guardia metropolitana e l'ordine di punizione. E la vostra seconda ragione?”incalzò Detierre, battendo impaziente la punta del piede contro il tappetino sotto la scrivania.
“Il fatto che il gesto che vi ho sopra narrato, ovvero il salvataggio di Andrè Grandier mi ha aperto un mondo. Andrè mi era stato accanto per anni come attendente e poi come soldato semplice mio sottoposto alla guardia metropolitana, ma da quando mi ha salvato ho capito che mi amava. E non mi amava perché era impossibile avermi, perché fossi il suo superiore o per altri motivi, ma perché lui riusciva a vedermi come una semplice persona, come una donna prima che come una nobile o come un soldato. Allora ho cominciato a riflettere davvero su quello che dicevano i grandi scrittori dei lumi, non solo tutte le cose moralmente giuste che avevo condiviso fino ad allora, ma anche sul fatto che l'umanità è quello che si vede di noi ancor prima del nostro nome o titolo, che siamo esseri umani prima di essere qualsiasi altra cosa, e la semplicità di questo pensiero mi ha sorpreso nella sua grandezza. Da allora è stato come un pensiero fisso, e quando Bouille mi ha ordinato di combattere alla Bastiglia contro il popolo, ho deciso di passare definitivamente dalla parte della causa popolare e di condividere il più possibile della mia vita con Andrè Grandier. Lui ha reso possibile un miracolo, è riuscito a farmi capire che la cosa più importante non è essere giusti o disonesti, ma essere umani di fronte ad ogni situazione. Io credo a questa rivoluzione signor Detierre, credo che tutti gli uomini e le donne sono uguali di fronte al mondo e a Dio proprio perché sono esseri umani prima di ogni altra cosa. Amo questa causa come amo Andrè Grandier, vorrei sposarlo un giorno, e ci riuscirò se questa rivoluzione continuerà, se davanti ad un tribunale conterà più il fatto che sono un essere umano e una donna libera che vuole sposare un essere umano e un uomo libero piuttosto che una nobile che vuole sposare il suo servo.”
Il fischio di assenso di Detierre spaccò l'aria. Oscar sapeva che Andrè era dietro la porta. Sperava che non l'avesse sentito.
“Vi prego di rifare questo discorso quando ve lo chiederò in tribunale,” disse sghignazzando, sudato, “avremo un mucchio di applausi! Ma andiamo avanti, descrivetemi la dinamica della sparatoria.”
Oscar soffocò a stento uno scatto di rabbia a quella risata sguaiata, se voleva innervosirla ci stava riuscendo benissimo.
“Io e i miei uomini abbiamo visto la proclamazione di Bailly dalla destra del municipio. Poi Saint-Just ha gettato il cappello in aria, e guarda caso proprio in quel momento il suo attendente Lucien De Montilian era sotto il palco, vestito di verde, riconoscibilissimo anche a metri di distanza e con un bastone dal pomello dorato in mano. Un bastone che ha fatto tre larghi cerchi in aria appena Saint-Just ha lanciato il cappello, e da quel momento sono cominciati gli spari che per altro erano diretti a me. Sono amareggiata che i suoi aguzzini non abbiamo avuto nemmeno la buona mira di colpire solo me ma anche alcuni dei miei uomini.” disse Oscar, la rabbia e la seccatura rendevano cattive le sue parole.
“E' un'accusa molto forte...” disse serio l'uomo alzando una mano grassoccia alla fronte, ponderando il peso della propria testa e delle parole di Oscar, “avete qualche prova?”
“Se voi preparaste un attentato ne lascereste in giro?!”scattò nervosa Oscar.
L'avvocato la fissò scocciato un istante, e lei abbassò lo sguardo. Doveva restare calma, la rabbia non aiutava a provare la sua innocenza, le prove sì.
“Ho solo quello che io e i miei abbiamo visto, e Lucien de Montilian che non confesserà mai.”
“Beh, niente non è...” disse l'uomo grattandosi il naso, “dovremo lavorare su questa ipotesi e cercare qualcosa di più... Bene, credo che quello che devo sapere ora lo so... tra 5 giorni c'è la vostra prima udienza. Farò delle indagini privatamente per vedere che cosa posso reperire di documenti e di testimoni. Ci aggiorniamo al giorno prima per vedere che cosa abbiamo in mano.”
“Quindi mi difenderete?” Oscar non ci poteva credere.
“Non sia mai detto che ne lasci passare una a Robespierre... e parola mia, credo davvero che con questo processo l'abbia fatta grossa.” borbottò Detierre.

Uscita la donna bionda dalla porta Detierre rimase un minuto buono a fissare la serratura appena chiusa per riordinarsi le idee. Il grande amico di Robespierre se l'era presa con la ragazza più travagliata di Francia se possibile, davvero difficile da difendere, tre quarti delle prove che lei adduceva a sua discolpa erano pienamente confutabili per un avvocato esperto. Ma una cosa lo convinceva... quella biondina alta, magra e pallida era un soldato, intelligente e coi riflessi di un leone a caccia, aveva capito in meno di un secondo la dinamica dell'incidente e gli aveva fatto venire in mente un'idea... Lucien de Montilian era famoso in tutta Parigi non solo per la grande animosità e fedeltà a Saint-Just, ma anche per una memoria bucata come un colino... Detierre lo aveva visto in più occasioni e incontri di società, e ricordava che lui prendeva sempre un qualche appunto nei suoi taccuini, li prendeva anche per il libri, per le persone, anche per le parole straniere, quel giovanotto non ricordava un nome o un solo titolo...
“Marinelle! Marinelle!” gridò un istante alle sue spalle.
Dopo un minuto da una porticina nascosta nel muro del piccolo studiolo foderato di carta da parati color cuoio uscì una donnina vestita di nero, sui venticinque anni o poco più, con gli occhi grigi e i capelli rosso rame raccolti ordinatamente in una crocchia, e lo sguardo basso. La donnina gli camminò fino a raggiungere silenziosa il suo fianco.
“Dimmi pure Alfonse.”
“Tu conoscevi il servitore di Lucien De Montilian?... il cuoco, vero?”
“Si Alfonse, ho insegnato io ad Armand a pelare le patate e a fare il pane quando era un ragazzino.”
“Ti andrebbe di fargli visita?” disse Detierre sorridendo alla donna con lo sguardo furbo e affilato così simile al suo.
“Oh...” disse la donna, sorridendo a sua volta. Conosceva bene lo sguardo del fratello, voleva un favore che lei non avrebbe visto l'ora di fargli “credo di si, dipende da cosa devo cercare da De Montilian...”
“Un taccuino, a occhio e croce dei giorni in cui Bailly è stato proclamato sindaco, una pagina in cui lui si appunta gli ordini di Saint-Just a mo' di ricetta per preparare un attentato...”
“Mando un messaggio ad Armand stasera, domani passo da lui.”
“Ti adoro Marinelle...”
“Sei un furfante Alfonse, e lo sono anche io che ti aiuto sempre...”
“Non per niente sei la mia sorella preferita.”
La donnina gli posò un bacio sulla guancia ridendo come in un gioco, prima di uscire in fretta dalla porticina da cui era entrata.
“Se la bionda Madamigella Oscar avesse saputo la sua storia...” pensò Detierre.
Il padre di Detierre, rimasto vedovo della madre di Alfonse, aveva avuto una relazione clandestina con una nobile contessa, che non avrebbe mai potuto sposare sebbene non volesse altro che gridare tutto al mondo la sua felicità. Ne era nata Marinelle. Cresciuta in casa dei panettieri Detierre come trovatella adottata dalla loro cuoca, aveva sofferto fino allo spasmo l'indifferenza che la madre doveva ostentare quando veniva a trovarla, di nascosto, se un servitore o altri entravano in casa e le trovavano insieme a parlare; aveva malsopportato anche la tristezza del padre nel vivere quell'amore e quella famiglia a metà, in segreto come un ladro sebbene non avesse mai fatto niente di male a nessuno.
Anche Detierre e Marinelle avevano fatto parte di quella rivoluzione, proprio per non dover più vivere così, per poter gridare al mondo che erano fratello e sorella, esseri umani legati da vincoli di sangue e di affetto, e che erano fieri di esserlo.
Detierre si rimise a scrivere con la penna d'oca impugnata nella sinistra vicinissimo alla punta sulle scartoffie di madamigella Oscar le domande che le avrebbe fatto e i punti su cui avrebbe insistito... l'indomani lo aspettava una lunga giornata di inutili ricerche negli archivi per i documenti della sua bionda assistita nell'attesa che Marinelle tornasse con una molto buona notizia.

“Mi difenderà.” dopo quelle due parole appena uscita dall'ufficio di Detierre, Oscar non aveva fiatato e non aveva risposto anche solo ad una domanda di Andrè sul colloquio. Non avevano parlato per tutto il tragitto fino a casa di Bernard.
Chiusa la porta alle loro spalle avevano trovato Alain addormentato davanti al caminetto in cucina, e così se ne erano andati silenziosamente in camera di Bernard.
A letto Oscar dava le spalle ad Andrè, poi lui la sentì singhiozzare, le mise una mano sulla spalla e la costrinse a voltarsi verso di lui...
“Ti prego, dimmi cosa c'è.”
“Sono stata una sciocca...”
“Non lo puoi esser stata, altrimenti non avrebbe accettato di difenderti.”
“Andrè ho capito che a loro non importa niente di questo, quando racconterò perché ho combattuto col popolo e perché mi sono innamorata di te, rideranno, come ha fatto lui... vogliono solo una testa da far rotolare... io...”
“Ehi,” disse dolcemente Andrè prendendole il viso tra le mani, “tu ci credi in questa rivoluzione, io so che puoi farcela, so che possiamo farcela, so che... che avremo ragione di tutto questo alla fine. E' un modo di pensare che è durato millenni Oscar, non passerà solo perché la Bastiglia è caduta, ma io e te, e tante altre persone a Parigi, e in Francia e in tutta Europa hanno diritto di essere felici e realizzate anche se non sono nate contesse, re, o servi... e noi riusciremo a dimostrare che può essere possibile. Qui, ora, in questo mondo e in questo tempo.”
Andrè le sorrise, sperando di vederla rispondere al suo sorriso come accadeva spesso ultimamente.
Le asciugò le lacrime con i pollici, e le diede un bacio sulle palpebre pesanti e arrossate.
“Andrè, lo vorrei tanto.” disse Oscar, e finalmente sorrise.
Non poteva arrendersi ora, ora proprio no.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Sotto processo 1 ***


Il nero taccuino, morbido per la copertina di costoso camoscio annerito, accarezzava le mani di Detierre...
“Fossi stata Saint-Just, almeno mi sarei scelta un attendente con più memoria...” sorrise Marinelle mentre guardava il fratello sorridere sotto i baffi mentre si rigirava nelle mani il piccolo parallelepipedo di carta bianca e pelle atra, “Uno come Armand almeno. Sai me lo ricordavo un ragazzino di quindici anni senza arte né parte al forno, ma adesso è davvero un bell'uomo e furbo per giunta.”
“Direi che la visita è stata di piacere oltre che di dovere sorellina”
“Ha raggiunto il suo scopo, no?” rise rumorosa.
Detierre aprì le pagine piene della minuta e chiara calligrafia di De Montilian, ognuna era datata. Sfogliava e leggeva qualche riga qua e là: “Aspettare l'arrivo di madamigella Oscar, far posizionare tre uomini con i fucili sul tetto del municipio e dir loro di puntare su di lei. Aspettare il diversivo di Monsieur de Saint-Just, e far sparare...
E questo era solo una parte, le pagine prima parlavano dei pedinamenti fatti a madamigella Oscar, delle informazioni personali su lei e il suo attendente e su come usarle contro di lei se necessario, ce n'era abbastanza per far fucilare Saint-Just. Detierre sperava solo che i nuovi tempi non fossero così incerti da non permetterlo.
“Direi di si, abbondantemente... mi devo preoccupare di trovarmi questo Armand in casa allora?” scherzò con la sorella celando la preoccupazione.
“Se non ti dà fastidio lo farei venire qui qualche volta.”
“Se piace a te sorellina mi fido, basta che mi lasci spezzargli il collo non appena ti fa arrabbiare.”
Marinelle lo guardò con occhi lucenti. Suo fratello. Non l'avrebbe mai abbandonata, non avrebbe mai rinnegato il suo sangue e l'affetto per lei, quel sangue e quell'affetto che a sua madre avevano recato tanta vergogna.
“Mi fido io di te, fratellone, appena giudicherai che me ne posso stancare lo potrai prendere per le orecchie quanto vuoi.”

Oscar si stava tormentando il polsino sinistro troppo lungo della giacca verde scuro che Bernard le aveva prestato, piegandolo e ripiegandolo e dispiegandolo di nuovo di continuo.
L'anticamera della stanza del municipio scelta per celebrare il processo le sembrava troppo piccola, troppo piena, benché ci fossero dentro solo due persone.
Andrè le prese la mano destra, stringendola, era sudaticcia, ma lui la stringeva, la portava alle labbra, come se fosse la cosa più bella del mondo.
“Calmati Oscar,” le sussurrò, “l'avvocato sta presentando la tua difesa, e lo sta facendo egregiamente. Tra poco sarai introdotta e potrai parlare. Tranquilla, ti prego, sentiranno che dirai la verità, e le prove dell'avvocato lo proveranno al di là di ogni dubbio.”
Andrè la guardò con un'intensità sconosciuta, facendo passare per l'occhio verde tutte le emozioni che aveva. Oscar colse l'affetto, la fiducia, la forza e la sicurezza nella giustizia, vi si sentì protetta. Poi sentì scandire il suo nome, il suo vecchio nome, e si avviò verso la voce stentorea del valletto del giudice che la invitava ad entrare, sfiorando le dita di Andrè appena ancora una volta.

“Siete voi Oscar Francoise de Jearjais?” chiese mellifluo Saint-Just. Era lui l'avvocato di De Montilian. Se lo aspettava.
“No signore, solo Oscar Francoise, ho rinnegato il mio cognome e la mia casata quando ho cominciato a combattere per il popolo.” rispose lei, semplicemente.
“E quando sarebbe avvenuto ciò?”
“Il 13 luglio scorso.”
“C'è un atto scritto che testimonia la vostra rinuncia al titolo?”
“No, non ve ne fu il tempo. Decisi dopo molte riflessioni di combattere accanto al popolo, ma ci sono dei testimoni. I soldati del mio plotone superstiti. Rinunciai al mio nome pubblicamente davanti a loro. Ognuno di loro ve lo potrà confermare.”
“I vostri devoti soldati... come li avete convinti della bontà delle vostre parole senza un atto scritto?” insistette lui. Oscar si chiese se volesse andare a parare dove lei pensava.
“Sanno benissimo che sono un comandate di parola.”
“Davvero?”
“Si, davvero.”
“Devono avere in voi una gran fiducia per prendere ordini da una donna che prima era comandante della guardia reale.”
“Sanno che sono il loro comandante e hanno rispetto per me.”
“Rispetto dite? Quella che voi siete sicura di avere da parte loro è una fiducia davvero cieca per scordare i vostri precedenti...”
Si, pensò Oscar, proprio lì Saint-Just voleva andare a parare.
“Cittadina Oscar Francois,” continuò l'uomo con tono mellifluo “vorreste raccontare al giudice chi vi chiese in moglie quando ancora eravate comandante della guardia reale.”
“Victor Clement Girodelle.” disse lei, più fermamente che poteva.
“E chi era costui per voi?”
“Un mio soldato.”
“Ah, ecco... un soldato a quanto pare molto devoto e attaccato per andare da vostro padre a chiedere la vostra mano.”
“Si era invaghito di me signore, ma il mio rifiuto lo ha fatto rinsavire.”
“Diciamo pure che se è arrivato a chiedere la vostra mano, voi non avete fatto nulla prima per scoraggiare tale infatuazione.”
“Non l'ho mai incoraggiato.”
“Non credo che ciò sia possibile signora, quel che credo è che forse vi piaccia avere un controllo tale sui vostri uomini, e visto che un uomo non siete, penso che vi piaccia guadagnarvelo circuendoli e facendo loro credere di poter arrivare a chiedere la vostra mano anche se li considerate al disotto delle vostre pretese... e credo che vi sia piaciuto fare questo con ognuno dei vostri soldati, nobili o meno... rispondete ora, chi è ora l'uomo che vive assieme a voi?”
Oscar ribolliva di rabbia, ma l'avvocato Detierre l'aveva avvertita che Saint-Just avrebbe avanzato quel tipo di accuse e che doveva restare calma.
“Andrè Grandier.”
“E chi era costui per voi fino a pochi giorni prima della presa della Bastiglia?”
“L'unico uomo che abbia mai amato.” disse la verità, come Detierre le aveva detto di fare, con semplicità.
“Sto chiedendo in che rapporti... come potremmo dire? In che rapporti lavorativi era con voi?”
“E' stato il mio attendente per quasi trent'anni, poi è diventato uno dei miei soldati della guardia metropolitana.”
“Ah, ecco appunto... il lupo caro giudice perde il pelo... ma non il vizio. E ora rispondete cittadina... perché avete portato i vostri soldati al municipio il giorno dell'insediamento di Bailly?”
“Robespierre mi aveva chiesto di dare una mano per controllare che all'insediamento di Bailly andasse tutto bene.”
“Cosa avrebbe dovuto andare storto? Un agguato forse?” rise Saint-Just provocando una risata d'eco di alcuni uomini ai lati del podio del giudice.
“Sapete cittadino Saint-Just, una cara persona mi ha detto che non perché la Bastiglia è caduta tutti cambieranno il loro modo di pensare vecchio di secoli, ma solo dando il nostro esempio potremo dimostrare che cambiare è possibile... io quel giorno ero lì per dimostrare che anche una donna nata nobile, cresciuta all'interno della reggia di Versailles, può sentire che il suo posto è altrove. Quando mi sono trovata in mezzo al tripudio per celebrare Bailly e il trionfo della ragione su una tradizione di vita in cui non credevo, sono stata felice di essere lì ad assistervi piuttosto che a capo di qualsiasi altro regno d'Europa. Ero lì perché la battaglia del popolo per la libertà è stata la mia e lo è tutt'ora. Credo in questa rivoluzione, e credo che io abbia il diritto di sposare Andrè Grandier perché lo amo e perché siamo due persone di uguale valore, a dispetto della nostra nascita. E se voi credete che il mio nascere nobile mi renda peggiore rispetto al resto delle persone, non siete meglio dell'ancient regime che avete appena contribuito ad abbattere.”
Gli occhi limpidi di Oscar erano fermi, luminosi mentre guardava dritto dritto Saint-Just. L'esitazione dell'uomo durò appena un secondo. Poi si ritrasformò in un ghigno.
“Che grandi parole cittadina... una tale dimostrazione di fiducia nella causa è ammirevole, ma direi anche opportuna per la vostra posizione. Non sono mai stato amante dei privilegi nobiliari, ma farmi passare per il cattivo della storia sembra più una mossa forense che uno sfogo sentito. Ma torniamo a quel giorno. Robespierre vi ha chiesto di venire al municipio, e credo che ciò potrà essere anche confermato, e poi cosa è accaduto?”
“Appena ci siamo appostati a proteggere l'ala destra del municipio è scoppiata una sparatoria, io e dei miei soldati siamo rimasti feriti.”
“E' scoppiata? E chi l'ha fatta scoppiare?”
“C'erano dei cecchini sul tetto del municipio. I miei soldati li hanno visti.”
“Cecchini? Cittadina, questo è francamente assurdo! Tutti sanno che quel giorno nessuno a parte i vostri soldati in quella piazza erano in armi! E signora forse Robespierre, Bailly, io stesso... tanti fondatori della rivoluzione insieme e Voi e i vostri gli unici armati... capisco che la tentazione deve essere stata troppo forte, voi avete fatto sparare ai vostri uomini, che rendete cani ciechi col vostro fascino, contro di noi, contro i loro stessi rappresentanti. Voi siete stata troppi anni con la regina Maria Antonietta per rimanere fredda a tutto questo, Voi rivolevate l'austriaca sul trono di Francia e volevate, in virtù della vostra subdola posizione, quello che nemmeno i cannoni contro Parigi hanno potuto... voi avete sparato sulla folla e sui suoi rappresentanti per tentare di rendere vana la Bastiglia, per quel morboso affetto che vi lega alla cagna austriaca, quello stesso morboso affetto che istillate sapiente nei vostri sottoposti!”
Oscar guardò allibita per un minuto Saint-Just. No, non si sarebbe mai abituata a sentire tanto male gettato contro di lei e i suoi sentimenti. Non si sarebbe mai abituata a tanto male nel mondo.
“Ahahahahhaah” rise piano Oscar, amareggiata come poche volte in vita sua “di romanzi di appendice dovete averne letti più di me cittadino Saint-Just, su questo non ho dubbi. Curioso che io stessa sia rimasta ferita in quegli scontri che avevo diretto verso altri.”
“Questa donna giudice,” disse ora Saint-Just rivolto alla corte “ride delle accuse quando tutta Parigi sa che solo Lei e i suoi soldati erano gli unici armati in quella piazza. Chiedo che voi, nella razionalità che distingue questo tribunale ne teniate conto. Ho finito signore.”
Il giudice scrisse alcuni appunti su di un foglio e poi con un cenno licenziò Saint-Just, sussurrò qualcosa ad un valletto alla sua destra, che disse:
“L'avvocato Detierre della difesa desidera interrogare la cittadina Oscar Francoise?”
“Si signore.” rispose borbottando come suo solito l'avvocato.
“Procedete.”
Bene, si cominciava.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Sotto processo 2 ***


“Bene cittadina, il buon cittadino Saint-Just vi ha fatto raccontare cosa accadde il giorno della sparatoria. Confermate di aver visto i cecchini dal tetto?”
“Si, signore”
“E avete notato se essi hanno sparato d'improvviso tutti insieme o ognuno in un tempo diverso?”
“I primi colpi sono partiti tutti insieme e tutti dirette proprio sulla nostra ala.”
“E ciò cosa vi fa pensare, voi che siete un comandante di artiglieria?”
“Io ordinerei ai miei uomini di sparare tutti insieme solo se avessi già scelto il bersaglio da colpire.”
“Acuta osservazione comandante... acuta osservazione che vorrei la corte notasse.”disse Detierre girando su sé stesso e guardando tutti i presenti con occhi penetranti. “Se questa donna coi suoi soldati avesse voluto attentare alla repubblica, signori e cittadini, avrebbe puntato al cuore dei neonati organi, volgendo le armi contro Bailly, contro Robespierre e contro lo stesso Saint-Just... e non alla cieca tra i propri soldati per creare guazzabuglio, non è nello stile della guardia reale a cui questa cittadina è appartenuta.” commentò elegantemente, facendo alzare qualche debole risata, “Se questa signora avesse voluto davvero attentare alla repubblica avrebbe certo mirato specificatamente a coloro che ne sono a capo, sa meglio di tutti noi questa cittadina che per uccidere ad un uomo bisogna mirare alla testa o al cuore e non agli arti. Vi dirò di più signori, il fatto che i colpi siano piovuti solo sull'ala destra del municipio mietendo vittime solo tra gli uomini dei soldati della guardia metropolitana ribelli mi fa pensare che essi ne siano il vero bersaglio verso cui si mirava e che solo il loro mettersi a riparo abbia generato il guazzabuglio nella piazza gremita di popolo. E allora mi chiedo” disse Detierre con gesto teatrale di mettersi un dito sul mento, pensoso, “chi mai potrebbe avercela con dei soldati che hanno lottato per il popolo? Di certo nessun uomo che sia sopravvissuto a questa rivoluzione. Ma poi mi sono chiesto, chi allora potrebbe avercela con il loro comandante? Questa donna fu affidata alla protezione della regina che aveva solo quattordici anni per il suo talento con la spada, senza davvero il minimo interesse agli intrighi di corte, nei quali più volte fu citata e più volte dimostrò la sua estraneità. Solo servizio inappuntabile di protezione essa ha offerto alla regina prima, e al popolo di Parigi poi, quando le sue mansioni furono cambiate e ancora prima della Bastiglia, quando ella, presenti tutti i suoi soldati, disse loro che lasciava il comando perché la sua coscienza la spingeva a proteggere ancora il popolo di Parigi, anche se gli ordini della corona erano contrari. E allora, e tutta la sua truppa può testimoniarlo, i suoi soldati le dissero di continuare a comandarli perché anche loro volevano difendere Parigi, con tutti gli ideali e i fatti che ciò implicava. Questa signori non è fascinazione di donna, è rispetto per un soldato che decide di rimanere al suo posto perché lo ordina la coscienza, la giustizia, la ragione. Mi chiedo di nuovo, chi potrebbe avercela con questo soldato esemplare? E mi sono risposto, un criminale, o meglio qualcuno che da essa doveva esser stato catturato senza credere di meritarlo. E Guardate un po', signori, cosa mi è capitato agli occhi mentre cercavo notizie sugli assassini catturati da questa donna?” Detierre girò di nuovo su sé stesso come una bambolina da carillon, guardando gli astanti negli occhi e infine conficcando con garbo il proprio sguardo nel campo visivo di Saint-Just “Caro cittadino Saint-Just, non è forse vero se questa donna vi ha indagato per gli omicidi di almeno sei nobiluomini?”
“Non sono io qui ad essere interrogato Detierre, non fate questo errore...” sibilò Saint-Just, guardando con astio l'avvocato e poi gettando uno sguardo inviperito verso il giudice.
“Signor Detierre, ponete le vostre domande alla cittadina Oscar Francoise.”
“Ma che maleducato che sono, davvero,” disse Detierre girando di nuovo sulla suola della scarpa destra e tornando con lo sguardo davanti a quello di Oscar, “cittadina, avete mai indagato sul cittadino Saint-Just?”
“Si signore. Ha ucciso tre componenti del ramo cadetto della famiglia reale e ha ucciso almeno altri tre capifamiglia di importanti casate nobiliari, ma probabilmente molti di più. A me furono affidate le indagini solo su questi sei casi, che erano quelli dove le prove erano più abbondanti. Risalii a Saint-Just da due pugnali e da un fazzoletto con le sue iniziali, tutti prodotti provenienti dalla sua tenuta in Provenza. Acciaio e lino inconfondibili signore.” disse Oscar accennando appena ad un sorrido, ricordando la gioia provata quando aveva finalmente riconosciuto il fine lino provenzale che odorava di lavanda, in quanto la sua preparazione richiedeva giorni di macero in acqua e fiori di lavanda.
“Cittadina, qualcuno potrebbe obiettare che queste indagini e il fatto che il cittadino Saint-Just non sia mai stato condannato, potrebbero essere un movente sia per voi che per lui di dare il via ad una sparatoria.”
“Non è esatto signore, io e il mio ex attendente, il cittadino Andrè Grandier, siamo gli ultimi due testimoni di quelle indagini. Sepolti noi, gli archivi quasi totalmente alle fiamme, chi potrebbe ricordare l'infamia di quegli omicidi?”
“Acuta osservazione cittadina, di nuovo. E di nuovo propongo alla corte di riflettere sul fatto che la cittadina Oscar Francoise è stato un ottimo soldato e che il suo fiuto aveva visto in Saint-Just l'autore di molti omicidi, infangando il suo nome... quale migliore vendetta di quella mascherata da attacco palese alla causa del popolo per seppellire un vecchio nemico e infangare la sua persona di questa... non siete d'accordo avvocato?” domandò Detierre a Sant-Just, tornando con un passo rumoroso nel suo campo visivo.Molti mormoravano, Oscar sentiva che era un buon segno, vuol dire che l'avvocato Detierre aveva inserito il giusto tarlo del dubbio nei giudici e che ora essi stavano vagliando la possibilità che Detierre avesse ragione.
“Bene cittadina. Avrei finito. Giudice chiamerei, se lo dichiarate accettabile, a testimone un ultima persona che era presente ai fatti, Lucien de Montilian, il delatore.”
“Accordato avvocato. Si convochi il cittadino Lucien de Montilian.” disse stentoreo il giudice. Oscar vide Detierre mettersi la mano in tasca, assicurandosi della presenza del taccuino e sorridendo appena. Il suo divertimento cominciava solo ora.
Saint-Just non mosse ciglio al nome del suo attendente. Evidentemente lo riteneva in grado di non farsi scappare nulla. Oscar si alzò con grazia dalla sedia e si diresse verso l'uscita dall'aula senza abbassare la testa.
Appena dietro la porta dell'anticamera la stava aspettando Andrè... lo sguardo assorto, le scapole appoggiate alla parete, le braccia conserte, il ginocchio destro piegato e il tacco sul muro. Lo aveva visto in quella posizione milioni di volte. Le salirono alla memoria i ricordi dei suoi bronci quando avevano appena una decina d'anni e combattevano spesso. Quando lui non riusciva a vincere (e allora accadeva di rado), faceva finta di aver da fare nelle stalle, portava la biada alle bestie e si appoggiava in quel modo alla porta di legno della stalla, imbronciato, pensoso su cosa avesse mai sbagliato con la spada.
L'Andrè del passato e quello del presente si riscossero nello stesso momento quando lei gli si posizionò di fronte.
“Cosa c'è?” chiese all'Andrè adulto, preoccupata.
“Solo... le tue parole.” disse lui in un sussurro “Io non credevo che tu... che...” balbettò.
“Che io cosa?”
L'occhio verde di André la adorò, cesellando uno ad uno i suoi lineamenti, soffermandosi sulle labbra che avevano parlato di lui con tanta passione.
“Che mi amassi... così...”
Oscar gli prese delicatamente una mano, tirando il braccio e facendolo staccare dalla parete...lo portò di fronte alla porta d'ingresso all'aula, e guardarono Detierre dare, una parola dopo l'altra, il colpo di grazia alla credibilità di De Montilian e così spazzando via il castello di carte di Saint-Just.

 

“Bene ragazzi miei,” disse Detierre prima di farli scendere dalla carrozza che li aveva riportati a casa, “il possibile è stato fatto. La sentenza sarà letta pubblicamente tra una settimana. Rimanete qui dentro questa casa, non so cosa potrebbe inventare la controparte se vedesse di non averla vinta, ripercussioni comprese.”
“Grazie avvocato.” disse Oscar con voce ferma, porgendogli una mano. Il sudore era sparito, il tremore anche. Detierre colse la stretta ferma e potente e Oscar sentì la mano dell'avvocato ricambiarla. Gli occhi azzurri cercarono quelli grigi in uno sguardo di estrema riconoscenza “Comunque andrà a finire... siete stato davvero il miglior avvocato che abbia mai avuto. Spero davvero che il vostro nome tragga il meglio da questo processo, anche se dovesse finire male per noi.”
Per la prima volta il cinismo sembrò svanire dal cipiglio dell'avvocato, la sua bocca si aprì seria, e disse “Cittadina, per la prima volta in vita mia ho una gran voglia di dire al mio cliente che andrà tutto bene.”
“Si vede che credete di aver fatto un ottimo lavoro.” sorrise Oscar.

 

Entrati nella stanza di Oscar, Andrè l'aiutò a togliere la giacca verde. Non aveva detto una parola. Oscar vedeva nei suoi gesti quasi un'emozione che non sapeva spiegare... che cosa accadeva al suo Andrè?
Lui cominciò a sbottonare il polsino della camicia, prima il destro poi il sinistro, attento a non sfiorarle la pelle.
“Andrè, cosa c'é?”
Lui continuò nel suo intento spingendo fuori dalle asole anche i bottoni al centro della camicia. Arrivato in fondo, le sue dita attaccarono briga con il nodo sul fondo.
“Andrè...” disse Oscar mettendo le mani su quelle di Andrè e aiutando le sue dita a sciogliere il nodo, per poi poterle finalmente bloccare “cosa ti succede?”
Oscar notò una lacrima rigargli la guancia destra, dove l'occhio verde brillava intenso, reso cupo dalle lacrime.
Andrè nascose il volto abbracciando il busto e rifugiando il viso tra i seni di Oscar.
Lei gli prese la testa tra le mani e lo costrinse a guardarla.
“Non capisco Andrè....”
“Se ti fanno ancora male Oscar... se... solo provano a torcerti un altro capello o a gettarti altro fango addosso... non lascerò che la passino liscia di nuovo... tutto quello che hai detto oggi... tutto quello che ha detto l'avvocato... non lo sopporterei...”
Strinse quel volto caro più forte che potè con le braccia, spingendolo contro la morbidezza dei propri seni. Andrè, ancora salda... quel giorno doveva essere stato terribile anche per lui. Tutte le illazioni di Saint-Just... lei sapeva che una volta avevano fatto capolino anche nella sua mente e che la conoscenza che aveva di lei le aveva rifiutate.
Sentì la carezza scivolosa delle lacrime di André bagnarle lo sterno, calde e liquide.
Lei era stata salda perché sapeva che in quell'anticamera lui lo era, e ora... lui aveva sofferto ogni singola parola uscita da quell'interrogatorio. Dal fango su di lei alla sua dichiarazione di amore incondizionato.
“Amore mio non cedere...” gli disse baciandogli i capelli neri, “Non farlo, adesso ci credo anche io... dopo aver visto l'avvocato oggi lo so... so che ce la possiamo fare.” Ripeté quel bacio carezzevole altre due, tre, quattro volte. Poi gli prese di nuovo la testa tra le mani e lo costrinse ad alzarla. Gli baciò la guancia su cui erano scivolate le lacrime, e poi la bocca, con un bacio prepotente, che gli ordinasse di tornare subito in sé... subito da lei.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Convocazione privata ***


-Che vuol dire che siamo convocati in forma privata?-
Detierre non riusciva a credere alle sue orecchie. Gli occhi grigi balenavano sgomento verso il messaggero che abbassava la testa imbarazzato.
-Vi riferisco solo ciò che il cittadino Robespierre mi ha chiesto di riferirvi. Non so altro.-
Detierre squadrò il ragazzo. Doveva avere al massimo diciassette o diciotto anni, e non era una faccia nota all'avvocato, non sembrava un tirapiedi, gli occhi piccoli, castani e la bocca inespressiva ed imbarazzata negavano qualsiasi interesse per il messaggio riportato.
-Va bene ragazzo,- disse l'avvocato alzandosi rumorosamente dalla scrivania del suo studio nel quale il messaggero era stato introdotto, strascinando con uno stridio la sedia di legno dietro le sue spalle,-dì al cittadino Robespierre che avvertirò i miei clienti e che verremo da lui lunedì sera alle sette, appena il sole tramonta. Capito bene?- rimarcò l'uomo, battendo due volte il medio sinistro sul piano di pelle della scrivania.
-Si signore.- assentì appena il ragazzo con la voce e con il volto, facendo riverberare appena sul suo tricorno nero la luce delle candele accese che giacevano sulla scrivania dell'avvocato, appena un'ombra più chiara sul copricapo scuro, che sparì in fretta appena quello girò le spalle e si diresse verso la porta, chiudendola con cautela alle sue spalle.
Detierre si lasciò ricadere sulla sua sedia, inebetito, con due occhi inquieti che si tormentavano sul perché di quella richiesta da parte di Robespierre. Appoggiò quasi inconsciamente i piedi al bordo della scrivania, mettendosi comodo e cercando di ordinare le idee. Sentì appena la porticina nascosta nella carta da parati del suo studio che si apriva, i pochi passi verso di lui e la manina candida che gli strizzava la spalla, prima che il dolce viso della sorella gli stampasse un bacio sulla guancia barbuta.
“Che notizie Alfonse? Quel poveretto è uscito con una faccia cinerea, solo la tua è peggio.” disse lei, raggomitolandosi sulle sue ginocchia.
“Di solito ti siedi sulle mie ginocchia quando mi vedi particolarmente distrutto Marinelle, ne deduco che la mia cera debba essere particolarmente orribile.”
“Deduci bene... e ora sputa il rospo... riguardava la bellissima bionda che Saint-Just vuole morta, vero?”
“Si, Marinelle.” disse l'uomo, massaggiandosi la fronte con la sinistra e carezzando la schiena della sorella con la destra, “Per ordine di Robespierre non ci sarà sentenza pubblica, ma, vista la votazione della giuria del tribunale, pare che il verdetto ci verrà convocato in forma privata lunedì sera a casa di Robespierre, alle sette, appena il sole tramonta.... e ti dico tutto sorellina, non so che aspettarmi.”
“Beh... lasciami riflettere...” disse Marinelle concentrando gli occhi grigi e corrugando la fronte nello stesso identico modo del fratello, solo con una grazia e una luce vivace a cui i suoi capelli ramati facevano da sfondo. “Se non vogliono che il risultato sia pubblico potrebbe voler dire che il verdetto potrebbe ledere l'immagine di Robespierre e del governo rivoluzionario o...”
“...o che Saint-Just, vedendosela brutta in tribunale, abbia convinto Robespierre ad estirpare alla radice il problema posto dalla nostra bionda cittadina...”
“Intendi un...attentato?”
“No, Marinelle, intendo un massacro notturno contro persone troppo scomode a Saint-Just, ovvero la cittadina Oscar-Francoise, il suo amato bruno attendente e il sottoscritto... Ma potrebbe semplicemente essere un'assoluzione che a Robespierre non va di pubblicizzare. Non... non riesco a capire... so solo che comunque andrà sarà una sconfitta se nessuno saprà di questa vittoria, o se i suoi protagonisti ne saranno uccisi...”
“Capisco...” disse Marinelle cogliendo il turbamento del fratello. Gli prese tra le mani il volto, appianando coi pollici le rughe della fronte e dicendo “Sai Alfonse, Armand mi ha chiesto in moglie, e non tollero che mio fratello si faccia ammazzare prima delle mie nozze. Quindi io e lui ti accompagneremo, saremo la tua scorta. Con noi verranno anche Oscar, Andrè e chiederemo anche a Bernard e Rosalie di venire, Saint-Just non può fare tanti morti così illustri in una notte sola, saremo in una botte di ferro. E per sicurezza affiderai una memoria di tutto quanto al notaio Remoin, con l'ordine di spedirla alle gazzette europee se non ci vede tornare... Il nome di un misfatto simile, se tenteranno di metterlo in atto, sarà sulla bocca di olandesi, inglesi, italiani, spagnoli... Robespierre pagherà fino all'ultimo centesimo la fiducia che ha coscientemente riposto in quell'assassino. Credimi.”
“A dire la verità sorellina,” disse Detierre con il primo sorriso della giornata che si diramava come un sole da sotto i baffi sfatti“credo che Armand sarà un uomo molto più che fortunato. Una moglie come te è molto meglio di tutte le ragazzine innamorate dei romanzi di appendice, e molto più rassicurante di un sicario esperto ai propri ordini.”
“Mi fai arrossire!” disse ridendo di gusto Marinelle, gettando la testa indietro come una bambina, per poi rialzarla quando i singhiozzi di allegria si furono attenuati “Vuol dire che sarai il mio testimone di nozze? Che non ti vergognerai di venire a trovare i tuoi nipoti sporchi di farina se apriremo una panetteria?”
“E' molto tempo che non mi vergogno di nulla, men che meno di te sorellina. E sarò fiero dei miei nipoti sporchi di farina se decideranno di continuare la tradizione dei Detierre panettieri che ho vergognosamente interrotto, e soprattutto se saranno anche solo la metà intelligenti come te.”
“Non ti preoccupare, anche Armand non è male... voglio che anche lui ci accompagni perché oltre che furbo, se la cava discretamente con i coltelli...”
“L'ho detto io che aveva occhio!” rise Detierre, pensando con un poco più di serenità a quali parole avrebbe adoperato l'indomani per spiegare questa convocazione alla sua biondissima e travagliata cliente.

 

Un bussare insistente alla porta svegliò il sonno agitato di Oscar... a giudicare dai precari raggi di sole che venivano dalla finestra non doveva essere passata più di un'ora all'alba. Andrè si doveva esser svegliato al primo rumore alla porta e si stava infilando di fretta la camicia per andare ad aprire.
Non appena lo sentì aprire l'uscio e risuonare la voce dell'avvocato Detierre che borbottava un buongiorno, si scosse e si trascinò al catino per lavarsi la faccia e infilarsi la camicia e i calzoni.
I suoi movimenti, si accorse, erano lenti, e il sonno agitato l'aveva fatta stancare di più... non riusciva a mettere a fuoco nulla, una vaga nausea le portava in bocca il sapore insopportabilmente acido della minestra maldigerita della sera prima.
Immerse il viso nell'acqua gelida, cercando di ricomporsi. La nebbia sembrò scemare pian piano e lasciare spazio alla consueta lucidità. Quando tirò fuori il volto e lo asciugò, legò con un laccetto di cuoio i capelli in una coda e focalizzò l'udito sulla voce di Andrè e dell'avvocato. Si scambiavano convenevoli, l'avvocato accennava ad una visita di un messaggero di Robespierre la sera prima di cui voleva spiegare i particolari a lui e a Oscar. Lei si erse dritta e si avviò in cucina, dove i due si erano accomodati.
L'avvocato si era accomodato su una sedia di legno con i braccioli con la posa consueta e rilassata che aveva adoperato per la poltrona del suo studio. Il suo tricorno marrone ben rifinito giaceva sul tavolo di legno e il mantello dello stesso anonimo colore pendeva dalla spalliera della sedia.
“Buongiorno cittadina Oscar Francoise, vi attendevamo con ansia.” disse l'avvocato con poca espressione, quasi tendesse all'ironia.
“Buongiorno avvocato... suppongo che la vostra visita a sorpresa voglia ricalcare quella del messaggero di Robespierre, almeno dal poco che ho origliato.” rispose lei con un sorriso malevolo, per la prima volta volendo giocare al gioco dell'avvocato nonostante le sue viscere e il suo incarnato pallido volessero disperatamente rigettare la cena e le ore di sonno mancato.
“Ahahahahah!” sghignazzò Detierre, “Lo sapevo che il vostro senso dell'umorismo era migliore di quel che sembrava all'inizio! Il vostro compagno ha proprio ragione, siete una fanciulla più unica che rara.”
Oscar arrossì appena, involontariamente, e poi si sedette con gli altri due uomini.
“Bene,” disse Detierre, battendo la destra sul tavolaccio e facendo sobbalzare il tricorno scuro, “adesso posso venire al dunque. Ieri sera è venuto da me un messaggero di Robespierre che mi comunicava testuale messaggio. Dopo aver ascoltato i pareri della giuria che doveva emettere la vostra sentenza. Robespierre, d'accordo con il Sindaco e con gli altri responsabili del tribunale hanno deciso di non proferire pubblicamente la sentenza, ma di comunicarci le decisioni della giuria in forma privata e poi di chiudere questo tribunale per studiare un regolamento più efficacie e poter riaprire tra qualche tempo un tribunale potenziato che riesca a sostenere più mansioni e necessità di quelle affidate a questo. L'appuntamento per comunicare a me e a voi la sentenza è fissato per lunedì alle sette di sera, presso l'abitazione privata di Robespierre. Bene, come capirete, la notizia non mi ha entusiasmato. Una sentenza in forma privata, oltre ad essere irregolare rispetto alla procedura che il tribunale stesso aveva stilato, sembra una maledettissima trappola per topi. Non ho riconosciuto nel messaggero un tirapiedi di Saint-Just, anzi, mi è sembrato uno dei tanti ragazzini con la voglia di iscriversi a legge di cui Robespierre si circonda, e quindi sono relativamente sicuro che il messaggio arrivi da lui, ma non sono pronto a giurare che l'infinita influenza che Saint-Just sembra avere sul mio collega Maximilienne non possa averlo fatto cedere ad un atto che cancellerebbe i suoi grattacapi e che col tempo verrebbe dimenticato, come la nostra morte.”
Oscar ora lo scrutava negli occhi grigi, anche lui doveva aver dormito poco e male con questi pensieri... era sicura che rimetterci la vita per difendere lei e Andrè, per quanto innocenti potessero essere, non fosse in cima alla sua lista di priorità.
“Ma,” riprese con forza l'avvocato. “se i miei peggiori presentimenti tacessero e tutte le mie più innocenti e fiabesche buone intenzioni prendessero corpo, potrebbe semplicemente trattarsi del fatto che il tribunale ha deciso per la vostra assoluzione Oscar, e che, semplicemente, Robespierre non voglia rimetterci la faccia e ci voglia comunicare in privato che siete libera di fare quel che volete e che lui penserà a tenere a bada quel sanguinario del suo migliore amico.”
Andrè e Oscar fissavano in silenzio l'avvicendarsi delle sue dita nervose mentre intrecciava le mani sul tavolo di continuo, in pose sempre nuove. Entrambi condividevano perfettamente il ragionamento dell'avvocato.
“Comunque,” disse poi Detierre strecciando istantaneamente le mani e prendendo da una tasca interna alla giacca una spessa missiva sigillata col suo timbro di avvocato, “ho preso le mie contromisure. Lunedì sera saremo accompagnati da Rosalie, Bernard, da mia sorella e dal suo fidanzato Armand, che è stato per molto tempo a servizio da De Montilian, loro dovrebbero essere la nostra garanzia. Uccidere due persone è un conto, ma farne fuori sette, tra i quali il giornalista più conosciuto di Parigi e sua moglie non dovrebbe essere una scelta appetibile. Inoltre ho preparato sette copie della mia personale memoria del vostro caso e del processo. Se dovesse accadere qualcosa a me o a mia sorella, queste memorie verranno consegnate alle principali gazzette degli stati d'Europa... non ci sarà un solo contadino spagnolo o marinaio italiano che non sappia l'ingiustizia che avete subito, e Robespierre ci ripenserà a lungo prima di dare di nuovo ascolto a Saint-Just. Questo almeno è quello che intendo fare per lunedì. Obiezioni?”
Oscar e Andrè si guardarono negli occhi per un lunghissimo momento.
“Non voglio che nessuno muoia, avvocato.” disse lapidario Andrè “Abbiamo fatto tutto questo perché non ci fosse più bisogno di aver paura di essere ammazzati da una rivoltella per strada. Se le cose si metteranno male pretendo che lei dica a Bernard, Rosalie e ai suoi familiari di mettersi in salvo.”
“Concordo con voi Andrè” disse Detierre con un sorriso comprensivo più che convinto. Ma l'occhio lucente e fermo di Andrè che lo fissava non gli dava modo di replicare.
“Bene. Penso che sembri inutile far notare quanto sia pericoloso per delle persone come Rosalie, Bernard e i suoi familiari affrontare un pericolo del genere per noi... ma credo che voi l'abbiate già messo in conto e vi fidiate.”
“Certo cittadina. E ho anche messo in conto, come vi piacerà melensamente sentire, che qui non si tratta di voi sola o dei miei, qui si tratta di un caso esemplare per cui tutta la Francia potrebbe sollevarsi di nuovo. Capire che si è fatta una rivoluzione per estirpare illuminatamente le ingiustizie alla radice e scoprire che qualcuno tenta di basarci la nuova repubblica non è un qualcosa da prendere sul personale, mia cara Oscar.”
“Comprendo. Bene, ci troveremo pronti lunedì alle sei e mezzo, aspetteremo la vostra carrozza.” disse Oscar guardando l'avvocato fisso, e sorridendo.
Anche lui ci credeva.

 

Robespierre fissava le fiamme del caminetto, seduto su una sedia, le gambe accavallate, le pupille immobili, ipnotizzato. Registrò il rumore della porta del suo studio che si apriva, l'inserviente che si introduceva chiudendo con cura il chiavistello, il sentì il fruscio del suo mantello mentre si inchinava appena al suo fianco.
“Ti ho detto di non inchinarti Bertrand, non sono né il re né la regina.” disse Robespierre senza distogliere lo sguardo dalle fiamme.
“Mi perdoni cittadino Robespierre.”
“Cosa risponde Detierre?”
“Che lui e i suoi clienti saranno qui lunedì sera alle sette come stabilito.” disse il ragazzo con una voce incolore.
“Bene. Vai pure a mangiare qualcosa.”
“Si signore.”
Lo sguardo fisso sul fuoco sembrava recare sollievo ai tratti di Robespierre, notò il ragazzo, soprattutto per la decisione incredibilmente rischiosa che aveva intenzione di comunicare di lì a due giorni all'avvocato e suo storico nemico di tribunale.
 

Andrè sedeva tranquillo davanti al caminetto, appoggiato a terra, facendosi scaldare mani e braccia dalle fiamme giocose.
Oscar lo fissava, seduta ad una sedia poco distante, ancora intenta a mandar giù la poca minestra che rimaneva nel piatto.
Il profilo di Andrè la rapiva sempre, fin da quando era bambina. La frangia che ricadeva morbida e scura sulla fronte, il naso diritto, le labbra piene e di un colorito perennemente sano, il collo forte, le braccia tese... adorava quella figura, e adorava pensare che quelle linee e quei muscoli erano cresciuti con lei, quasi in simbiosi, e che se era una creatura tanto meravigliosa era anche merito suo, nel bene e nel male. Sovrappensiero, finì quasi automaticamente di mangiare la minestra, si alzò per lasciare i piatti vuoti nel lavabo e andò a sedersi vicino ad Andrè, che la guardò da sopra la spalla.
“Stai molto meglio stasera. Stamattina eri pallida.”
“Lo so, ma sono più tranquilla ora. Ho capito che anche Detierre è davvero dalla nostra parte. Non rischierebbe tanto se anche per lui tutto questo non fosse importante.”
L'occhio color ossidiana di Andrè brillò per un istante. Le passò un braccio attorno alle spalle, stringendola.
“So che mi prenderai per pazzo,” mormorò lui, “ma potrei morire domani e ti giuro che lo farei felice. Morirei mentre sto cercando di cambiare il mondo in meglio.”
“Capisco Andrè...morirei felice anche io.”
“E poi...”
“E poi cosa?” chiese Oscar, con una voce curiosa più del dovuto.
“Hai notato che, da quando sei dovuta stare a riposo forzato dopo lo sparo, beh, da quando sei praticamente guarita dallo sparo, non hai più tossito sangue. E' quasi un mese oramai.”
“E' vero...” disse Oscar sorpresa, facendo mente locale del periodo della sua convalescenza. Aveva ripreso le forze, il sonno continuo, Andrè che la imboccava mattina e sera come un dottore, la tranquillità di quella vita insolita, nonostante la precarietà della loro situazione, tutto aveva rigenerato in lei il corpo e la voglia di vivere. E da quando aveva ricominciato a camminare da sola non aveva più tossito nemmeno una goccia di sangue.
“Sei così bella ora Oscar, non hai mai avuto timore, ma ora non hai paura di niente.”
Oscar gli sorrise.
“Merito tuo Andrè... senza di te non avrei nemmeno cominciato a...” un singhiozzo la colse di sorpresa, si stava emozionando “...ti amo.” disse senza riuscire a trattenere una lacrima sottile che le sfuggì lungo la guancia.
“Anche io Oscar, anche io.” disse lui stringendola più forte.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** La sentenza ***


Scusate, è la prima volta che parlo in prima persona. Sono Berenice e volevo ringraziare tutti quelli che hanno letto questa FF e che mi hanno lasciato parole tanto belle nelle recensioni. Questo è il penultimo capitolo della FF, la prossima volta, spero tra qualche giorno, ci sarà l'epilogo, e spero che sia il finale che tutti quanti vogliamo. Spero davvero che la mia Oscar vi sia piaciuta, è davvero così che ho sempre pensato che dovesse essere. Grazie Ancora. Berenice.

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Oscar notò subito il volto sorpreso di Robespierre quando non vide solo Detierre e Oscar entrare nel suo studio, ma ben sette persone, delle quali due, un uomo alto, bruno e con gli occhi color nocciola e una donna in cui riconobbe la sorella di Detierre, armati, a occhio e croce, di quattro pugnali a testa.
“Accomodatevi, vi prego.” disse Robespierre, spostando delle sedie in più che aveva in un angolo dello studio davanti alla sua scrivania.
Uscì un secondo e tornò col ragazzo che aveva funto da messaggero tra lui e Detierre. Quando tutti furono seduti, si accomodò dietro la scrivania e il ragazzo rimase in piedi accanto a lui.
“Questo ragazzo si chiama Bertrand Artemie Gallimard ed è messo giudiziario eletto dal tribunale stesso che ha processato Oscar. E' stato regolarmente investito della funzione di contrattare, me presente, la proposta esecutiva emessa in forma privata dalla giuria in quanto rappresentante della pubblica accusa.”
Dopo aver letto le poche righe della formula che doveva aver scritto qualche giorno prima, alzò gli occhi dalla scrivania guardando uno ad uno i presenti. Oscar notò gli occhi di Robespierre che scandagliavano quelli color nocciola dell'uomo armato dallo sguardo attento, quelli di ferro di Detierre con l'aria perennemente arcigna, quelli di sua sorella, una fanciulla dal viso incantevole ma della stessa ferrea pasta del fratello, che si dimostrava nel suo sguardo duro e metallico, quello di.. Andrè, il suo unico occhio verde che sembrava vedere direttamente l'anima di chiunque lo fissasse, i propri occhi azzurri, dove Oscar sentiva le retine bruciare per la disperazione della sua innocenza e la volontà di provarla a tutta la Francia. Infine Robespierre incontrò lo sguardo dai colori scuri e preoccupato di Bernard che vagava da lui alla moglie Rosalie, seduta alla sua sinistra, i cui occhi blu brillavano di ansia.
“Credo anche di dovermi scusare...” aggiunse Robespierre abbassando infine lo sguardo “se stasera qualcuno di voi ha pensato che fosse meglio venire armati è di certo colpa mia che non ho saputo frenare la foga di Saint-Just quando avrei dovuto...”
“In effetti...” borbottò Detierre.
Oscar notò il gioco di sguardi che intercorse per appena un istante tra Robespierre e Detierre. La vecchia rivalità non doveva essere mai morta.
“Comunque, vi leggo qui la sentenza proposta dalla giuria,” continuò, passando al plico che aveva sulla scrivania “Dopo esaminate le prove, in particolar modo le testimonianze della cittadina Oscar Francoise, degli ex soldati della guardia metropolitana Alain de Soisson e Jean Goudrot e aver esaminato e ritenuto autentico il taccuino di Lucien de Montilian presentato come prova di innocenza dell'imputata, proponiamo l'assoluzione completa dell'imputata dalle accuse mosse da Lucien de Montilian e perorate dall'avvocato Saint-Just.'”
Appena finito Robespierre lasciò cadere gli occhialetti da lettura sopra il piano della scrivania e rimase in silenzio. Oscar era allibita.
“Vorresti un applauso Maximilien?” sbottò all'improvviso Detierre, “Tutte queste quadriglie pubbliche e isteriche di Saint-Just e poi neanche puoi lasciare che questa donna venga pubblicamente scagionata?”
Oscar sentiva il cuore battere all'impazzata come mai prima. Sentiva tutto il corpo paralizzato e la voce dell'avvocato era l'unica cosa che desse forma alle sue emozioni.
“Cerca di capirmi Alfonse,” disse con calma Robespierre “Saint-Just è stato uno dei rappresentanti del terzo stato che più ha voluto questa rivoluzione e ora ha un immenso potere. Accusarlo pubblicamente sarebbe l'inizio di un'altra guerra civile e io non voglio che questo accada.”
“E così preferisci tenere quel degenerato alla guida di Parigi!?” gridò Detierre battendo il pugno chiuso sul piano della scrivania, facendo sobbalzare il plico di Robespierre.
“Si, Alfonse,” riprese, più accorato stavolta, Robespierre “a Parigi, agli occhi di tutto il mondo. Ha già tremato di terrore quando abbiamo conferito sulla sentenza. Io credo nella rivoluzione e credo in lui come rivoluzionario e stare sotto gli occhi di tutta Parigi e di tutta Europa è l'unica cosa che potrà spingerlo a fare il meglio per il suo paese e a non cedere più agli interessi personali. Io credo in lui, Alfonse, e so che può fare grandi cose per la Francia.” gli occhi di Robespierre brillavano, erano fuoco, erano bellezza, Oscar vide per un istante, tutte insieme, le idee di uguaglianza e giustizia che avevano trascinato la Francia alla rivolta, vide una passione tanto grande da fare paura.
“E allora, cosa proponi per questa ragazza che è stata insultata in tutti i modi e pubblicamente dal tuo compare? Anche a lei un posto sotto i riflettori di Parigi? Non credo che lui la lascerebbe in pace neanche se si facesse monaca di clausura in una foresta africana.”
“Qualcosa del genere...” mormorò Robespierre.
“Che cosa vuol dire tutto questo? Non potete giocare con le nostre vite, non è per questo che abbiamo rovesciato un paese, la sua monarchia e tutti quelli che la sostenevano.” involontariamente Oscar si scoprì ad alzare la voce, mettendo a tacere i due. “Qui si tratta di qualcosa di più importante della mia innocenza, signori,” proseguì incredula del fatto che le sue corde vocali sembravano funzionare autonomamente rispetto ai moti della sua volontà “se tutti sapranno della mia innocenza, sapranno anche che io e i miei soldati abbiamo difeso il popolo, che nessuno di noi è così sciocco da permettere che sia un essere umano e non un'idea a guidarli. Capite Robespierre?”“Capisco Oscar,” disse lui, sostenendo il suo sguardo, sorridendo appena, “ed è proprio qui che arriva la mia proposta... orbene, so che voi avete un legame particolare con Arras,” continuò animato “la città da cui io stesso provengo, e sono giunte voci di alcune rivolte contadine verificatesi dopo il 14 luglio proprio ad Arras che hanno provocato la morte di quattro nobili locali, parlo dei conti di Monserre e dei fratelli Robert Anton e Donatienne Courbon-Jannot, baroni di Compelle. So che li conoscevate Oscar, e so che sapevate che erano tra i peggiori tiranni delle terre di Arras, e che nell'inverno del 1769 la contessa di Monserre e Donatienne di Compelle fecero anche fucilare in una caverna diciotto bambini, figli dei contadini loro servi, perché questi si erano lamentati della carestia, dicendo che con diciotto bocche in meno da sfamare la carestia non c'era più.”
“Ricordo queste persone.” disse Oscar fredda, a sguardo basso... ricordava le facce crudeli dei quattro nobili che avevano sempre irriso lei e l'incapacità di suo padre a generare un figlio maschio.
“Bene Oscar, ci tengo a rassicurarvi che il palazzo che era di vostro padre non è stato toccato. Per quanto severi coi contadini i conti Jearjais sono sempre stati rispettati, e sono gli unici che presero posizione per il misfatto del 1769 mettendo a disposizione alcuni soldati del generale per indagare sull'assassinio. Ricorderete bene che all'inizio fu detto che i bambini erano stati rapiti e uccisi dai briganti, e che solo grazie a vostro padre scoprimmo che le pistole usate appartenevano ai baroni di Campelle. Ma fatemi arrivare al punto... allora, dopo la rivolta dei contadini, alcuni briganti e facinorosi hanno approfittato del malcontento contadino e stanno cercando di razziare i territori attorno Arras. Quello che vi propongo Oscar è di andare voi, investita dell'autorità del governo rivoluzionario di Parigi, come prefetto della città, di debellare i briganti e spiegare ai contadini e ai nobili rimasti della città la situazione qui a Parigi, di modo ché gli animi del popolo si tranquillizzino, i privilegi nobiliari delle famiglie decadano senza creare ulteriori scontenti, e la situazione ritorni in ordine. Questo vi chiedo Oscar, di portare la rivoluzione giusta anche nella mia patria, anche perché so che la amate profondamente anche voi.”Oscar rimase di nuovo inebetita per un attimo, Detierre a bocca aperta. Andrè era impallidito.
“Oh Oscar... non so cosa dire.” mormorò Rosalie, poi tirò un sospiro di sollievo e si rilassò sulla sedia, stringendo la mano del marito.
“So che non potrei affidare a nessun altro un compito del genere,” riprese Robespierre, “e inoltre, appena avrò vostre notizie sul fatto che ad Arras è tutto tranquillo, renderò pubblica la vostra innocenza.”
“Accetto.” disse d'istinto Oscar. Sentì tutti tacere. Dopo un momento l'unico a riprendere a parlare fu proprio Robespierre: “E' sottinteso che potete e dovete portare con voi per il compito alcuni dei vostri uomini, pensavo di nominare assieme a voi un viceprefetto, Andrè Grandier, e due sottoprefetti a vostra scelta.” Concluse, poi abbassò gli occhi sul plico della scrivania di nuovo, sfogliando con le dita alcune carte e poi rialzando lo sguardo su di lei. Oscar notò gli occhi sofferenti dell'uomo, la passione di poco prima lasciava il posto ad una tacita supplica “Queste sono le mie scuse Oscar, spero che nella terra che tanto amate possiate riportare la pace e trovarla voi col vostro compagno. Stiamo... stiamo già lavorando a sostituire il codice borbonico, ma intanto vi ho... vi ho, ecco, fatto preparare una dispensa del tribunale rivoluzionario per la legge sul matrimonio...” disse tirando fuori una carta con un timbro del municipio e la firma di Bailly e porgendogliela, “potrete sposare chi vorrete Oscar.”
“Primo, la mia cliente non accetta niente senza consultare il suo avvocato,” borbottò Detierre, infastidito, prendendo in mano il foglio “secondo, che diamine di rassicurazione abbiamo che quel pazzo del tuo campare non torni a rompere l'osso del collo a lei, a me, o a te per questa tua brillante idea?!”
“Avete una missiva di sicurezza riservata scritta da me come consigliere del governo rivoluzionario, dal sindaco di Parigi Bailly e dai consiglieri Danton e Marat, con la rassicurazione che ogni rivalsa di Saint-Just verso la cittadina Oscar Francois o uno degli implicati del processo verrà punita con la carcerazione istantanea di Saint-Just. Mostra la lettera, Bertrand.”
Bertrand tirò fuori dalla cartella che teneva sotto braccio una copia della lettera, sigillata col simbolo di Parigi e indirizzata a Saint-Just, e una non ancora sigillata ma firmata in calce da Bailly e dai consiglieri che Robespierre aveva nominato. Detierre gliela strappò dalle mani, leggendola avidamente e soppesando quasi con gli occhi la validità che poteva avere.
“Bene, la mia cliente accetta.” disse asciutto, “Ma quella lettera sigillata la porta il messo giudiziario accompagnato da mia sorella e da Armand. Non voglio avere dubbi sul fatto che arrivi a destinazione, chiaro?”
Robespierre annuì, e dopo un lungo momento disse: “Prendi nota Bertrand. Oscar Francoise accetta la proposta del consiglio rivoluzionario.” Dopo che il ragazzo ebbe scritto sulla carta
protocollata, si eclissò dalla stanza, seguito da Marinelle ed Armand.
Infine Robespierre sporse la mano a Detierre. Detierre si alzò pesantemente dalla sedia e la strinse. Gli occhi grigi fissarono a lungo quelli di Robespierre, in una presa senza scampo. Qualcosa del genere non doveva ripetersi più. Questo il loro muto messaggio.
“Anche stavolta hai vinto, Alfonse.” mormorò Robespierre.

 

Quando la stanza si fu svuotata, con un campanello Robespierre chiamò il suo segretario personale, che arrivò con uno scrittoio.
“Scrivi tre copie di questo che sto per dettarti Nicolas, una a Bailly, una a Marat e una a Danton. 'La cittadina Oscar Francoise ha accettato la nostra proposta e partirà a breve per Arras non appena avrà nominato i suoi sottufficiali. Dopo che saranno state sbrigate le pratiche per chiudere definitivamente il suo caso e proteggerla adeguatamente da ritorsioni, tutti i documenti di nascita, regolamentazione, giuria e processi previsti per il tribunale in chiusura dovranno essere distrutti. La storia dovrà dimenticare che un tale abominio sia mai esistito, e la nascita tra qualche tempo di un tribunale più competente e meglio regolamentato ne rimpiazzerà le funzioni. Firmato cittadino Maximilienne de Robespierre.' Scritto?”
“Si signore.”
“Bene, spediscile prima che il sole sorga di nuovo.”

La porta si chiuse piano dietro le sue spalle, Andrè l'aveva lentamente accompagnata e aveva fatto scattare delicatamente il chiavistello, come sempre.
Oscar aveva tolto la giacca e la aveva posata sulla sedia di legno che stava accanto alla porta, senza dire una parola. Si ritrovarono fianco a fianco, si fissarono per un lungo istante.
Andrè sembrò fulminarla con lo sguardo.
“Cosa c'è André?” chiese.
“Non riesco a credere che tu abbia accettato Oscar...”
“Ma perché?”
“Non capisci? E' solo un modo di farti sparire, non dirà mai che sei innocente per non far sfigurare il suo compare. Il solo motivo per cui Detierre ti ha fatto accettare è perché ha avuto rassicurazione del fatto che non corri pericoli ad Arras.” disse, il suo occhi verde la guardava intenso, iroso.
“Credi che non lo sappia?! Ma questo è quello che crede Robespierre. Ho capito che tipo di persona sia Detierre e non rinuncerà a far sapere la verità se Robespierre volesse insabbiarla.”
“Credi davvero che ce la farà?”
“Lo so.”
Andrè abbassò un attimo lo sguardo, Oscar portò la sinistra sulla sua guancia, accarezzandola con tocco leggero.
“Arras André... appena ho realizzato ciò che Robespierre diceva ho subito pensato a noi, al nostro futuro, resteremo insieme a fare quello in cui crediamo per la Francia e resteremo insieme per vivere insieme la nostra vita. Andrè, niente più nascondigli, io, te, una semplice cerimonia nella chiesa attorno a cui giocavamo da piccoli. Io diventerò tua moglie, tu mio marito e vivremo nel luogo dove siamo stati felici fin da bambini.” continuò, sfregando il pollice sulle sue labbra e sorridendogli. Appena lo vide alzare gli occhi non gli diede tempo di replicare, avventò la bocca sulla sua, baciando quelle labbra morbide, amate. Non gli diede tempo di fermarla, o di fargli formulare proteste, cercò di infondergli il suo entusiasmo, i suoi sogni che sembravano volersi realizzare tutti in una volta. Voleva portarlo ad abitare nel suo sogno che si ricongiungeva con la realtà fino a poco prima così avversa.
Le braccia di Oscar lo strinsero fino a lasciarlo senza fiato e lo costrinsero ad indietreggiare fino al letto, dove caddero tutti e due, senza fiato, e lui fu risucchiato anche in quel sogno, senza alcuna possibilita' di essere infelice.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Epilogo ***


 

“Arras, 14 Settembre 1790”

 

Il prefetto Oscar Francoise comunica al governo rivoluzionario di Parigi la cattura dei sette briganti ritenuti responsabili dei disordini nella città di Arras e del recupero dei beni e delle terre da loro indebitamente espropriati, della comunicazione e della soppressione dei privilegi nobiliari ai nobili locali, ovvero Maximilien Dougat, duca di Montrouge, sua moglie Gabrielle Ludovique, duchessa di Montrouge, e della famiglia dei conti di Diaspre, Martin e Armand Mougaten. Dopo un primo momento di proteste verbali e di confronto con me e con il viceprefetto, essi hanno perfettamente capito la situazione in cui versa la Francia e hanno accettato, in cambio della possibilità di mantenere ognuno l'uso di una residenza per risiedere, di rinunciare a tutti i privilegi nobiliari e di donare le terre nei confini cittadini al municipio di Arras. La pratiche di cessione sono state curate da me e dal notaio Marc Mouland, nato e residente ad Arras da molti anni, la cui fiducia nel governo rivoluzionario è più che totale. E' stata rioperata una distribuzione delle terre cedute, secondo i principi rivoluzionari, ai più bisognosi di autonomia del municipio, dando la preferenza, come ricordatomi dal cittadino Robespierre, alle famiglie delle vittime della strage dei bambini dell'anno 1769. Gli animi della città sono ora più tranquilli, e dopo l'iniziale sorpresa per la mia presenza la popolazione ha accettato di buon grado di sostenere il mio operato. Ho rifiutato di riprendere possesso del palazzo della casata dei Jearjais che ho rinnegato e ho trovato alloggio nella vecchia caserma abbandonata del capitano delle guardie municipali assieme al vice prefetto Andrè Grandier, alloggio che ci siamo premurati di ristrutturare e rendere agibile a nostro uso.
Approfitto della presente missiva per chiedere una licenza di sei mesi per me e per il vice prefetto Grandier, a decorrere dal primo dicembre, in vista delle nostre nozze il 24 dicembre prossimo venturo e della nascita di nostro figlio prevista per Febbraio/Marzo 1791.
Porgo cordiali saluti a tutti i membri e l'augurio, come sempre, che libertà, uguaglianza e fraternità siano alla guida del nostro operato.

 

Oscar Francoise,

Prefetto del Governo Rivoluzionario di Parigi presso il municipio di Arras”

 

“Hai finito la lettera Oscar? E' arrivato il messaggero.”
“Si, l'ho riletta e firmata ora.” disse Oscar, sigillandola con la ceralacca e con lo stemma di Parigi.
Allungò il braccio dalla sedia della scrivania porgendola ad Andrè, appostato sull'uscio della porta dello studiolo che avevano ricavato in uno sgabuzzino del precedente capitano delle guardie municipali, mentre lui usciva veloce per consegnarla al messo.
Con la carta da parati nuova, giallo ocra, notò lei, quella stanzina sembrava un posto del tutto nuovo. La vecchia scrivania del capitano, rimessi chiodi dove occorrevano e lucidata con un po' di grasso sembrava appena uscita dalla falegnameria, e le mensole che Andrè era riuscito a ricavare da alcune vecchie assi reggevano i plichi della fitta corrispondenza che Oscar teneva con Parigi, con i suoi uomini appostati presso i nuclei degli abitati attorno ad Arras e con gli ex nobili del luogo. Si stava rivelando un lavoro estremamente complesso, ma i primi frutti si vedevano. La campagna era pacificata attorno ad Arras, la vita era ripresa lentamente, restituendo ad ognuno il proprio lavoro con la consapevolezza di lavorare solo per sé e per le proprie famiglie e non per degli astratti diritti di sangue che facevano finire i frutti della propria fatica in tasca ad altri.
Ripensò all'arrivo, ai primi giorni... lei ed Andrè si erano spesi nell'organizzare assemblee popolari in cui coinvolgere tutti i cittadini e avevano più volte raccontato e spiegato cosa era accaduto a Parigi, cosa stava accadendo in tutta la Francia e perché Robespierre li aveva mandati lì per far si che del lavoro di una nazione non si approfittassero pochi briganti. Era stato difficile, ma giorno dopo giorno avevano conquistato la fiducia dei cittadini e avevano anche trovato quattro giovani ragazzi che volevano collaborare con loro e che, col permesso del consiglio di Parigi erano stati “coscritti” per il prefetto per i lavori di ricerca e polizia del luogo. Avevano coinvolto nelle assemblee anche i pochi nobili rimasti ad Arras, e li avevano convinti che tenere i loro privilegi non sarebbe stato saggio e che una condizione molto favorevole sarebbe stata loro riservata se avessero collaborato piuttosto che resistito ai cambiamenti imposti dal governo rivoluzionario.
In breve, e con la collaborazione di tutti, i briganti erano stati catturati, le terre dei nobili redistribuite, e la città di Robespierre era diventata, nella sua coesione, un piccolo paradiso che sarebbe molto piaciuto al cittadino Rousseau.

 

Andrè la guardava pensieroso dopo aver dato la lettera al messo, esser rientrato ed essersi appoggiato alla porta dello studio di Oscar. Lei lo fissava di rimando.
Andrè non poteva fare a meno di pensare a quei primi due mesi ad Arras con lei... avevano preso a ristrutturare la vecchia casa del capitano delle guardie municipali e l'avevano resa con le loro mani un piccolo gioiello, dopo l'ingresso si allungava un corridoio da cui si dipartivano le stanze della casa, due studioli dove prima erano due sgabuzzini, uno a destra per Oscar ed uno a sinistra del corridoio per lui, una piccola cucina a cui avevano annesso una saletta per cenare (che prima era una camera minuscola per una delle serve del capitano), e in fondo una stanza da bagno e accanto la loro stanza da notte. Il lavoro per la casa, le assemblee e la ricerca dei briganti avevano assorbito tutto il loro tempo, e li aveva premiati con un luogo tutto loro, con il rispetto dei cittadini e con la cattura dei briganti. André ricordò, fissando le iridi di Oscar, il giorno dell'assemblea mattutina in cui comunicava alla comunità la cattura dei briganti. Era orgogliosa del lavoro che avevano fatto insieme, e d'un tratto, appena sciolta l'assemblea, lei era impallidita visibilmente, aveva stretto il braccio di Andrè alla sua destra come se un morso allo stomaco la stesse facendo morire, ed era silenziosamente svenuta addosso a lui. La tisi, aveva pensato Andrè, gelando all'istante. Era corso a portare Oscar da un medico. Dopo la visita fu comunicato a lui e ad Oscar non solo che non vi erano segni di decorso della tubercolosi, il cui arresto era quasi certamente dovuto al riposo e alla nutrizione forzati nei mesi delle cure per la ferita da arma da fuoco di Oscar, ma anche che la sua ferita era perfettamente guarita e che, secondo tutti gli indizi, non era quella la causa del malore ma probabilmente l'attesa di un nuovo arrivato nella caserma del prefetto.
Ad un iniziale momento di sbigottimento, sia suo che di Andrè, era seguita la comprensione della battuta del medico e di ciò che questo comportava. Il dottore li aveva delicatamente lasciati per qualche minuto con la scusa di andare altrove a prendere delle erbe officinali che potevano fare comodo. Pochi minuti dopo avevano avuto il coraggio di alzare la testa e di fissarsi.
Avrebbe sempre ricordato la bocca di Oscar aprirsi in un sussurro, poi chiudersi, poi ancora la ricordò abbassare di nuovo gli occhi, poi rialzarli su di lui dopo un lungo istante e allungare le braccia per stringerlo. Lui l'aveva abbracciata, presa in braccio e stretta senza dire una parola, finché lei aveva rotto il silenzio e aveva sussurrato al suo orecchio: “Ti amo André.” e poi aveva affondato il volto nel suo collo, stringendolo forte come se fosse una bambola di pezza che non sente dolore. Andrè seppe in un secondo che la loro vita e la loro missione sarebbero continuate, ma molto al di là delle loro aspettative.
“A cosa pensi?” chiese lei senza staccargli gli occhi di dosso, facendolo riemergere dal ricordo.
“A quando il dottore ti disse che stavi male perché doveva venire qualcun altro ad abitare con noi qui in caserma... penso che lui stia ancora ridendo.”
Oscar ghignò appena, lasciando che il sorriso dolce che la contraddistingueva da quel giorno non troppo lontano prendesse di nuovo posto sulla sua bocca. Andrè si allungò sulla scrivania, non potendo fare a meno di stamparvi sopra un bacio.
“Sei bellissima,” mormorò “non mi capacito ancora di quanto tu lo sia, e penso che la cosa andrà solo migliorando.”
Lei allungò lentamente le braccia attorno al collo di Andrè, non lasciandogli modo di allontanare il volto di un centimetro di più, in una stretta inesorabilmente ferma.
“Sai che i complimenti e il fatto che sia in attesa non cambieranno il fatto che qui comando io, vero?” disse lei, maliziosa.
“Non ho intenzione di lamentarmi o ritirarmi dalla mia posizione, signor prefetto.”
Il sorriso di Oscar si illuminò di nuovo, proiettando luce sul suo volto, una luce che Andrè non riusciva a smettere di godere da vicino. Le avvicinò di nuovo le labbra e colse un altro bacio, più profondo del precedente, una carezza intima che voleva entrarle dentro e scaldarsi a quel fuoco incantevole.
“Il sole è calato e ho chiuso la porta a chiave...” mormorò lui all'orecchio di Oscar, poi si sciolse con un gesto elegante dall'abbraccio, facendo scorrere la testa sotto al cerchio delle sue braccia, e tirò appena le mani intrecciate davanti a sé per farla alzare il piedi, un altro piccolo strattone per farla girare attorno alla scrivania e farla finire di nuovo tra le sue braccia. Quella sera si sentiva prepotente, non solo perché la sua Oscar era bellissima, non solo perché la malattia era svanita, non solo perché lei aveva dentro di sé una piccola noce di vita che stava crescendo di giorno in giorno, non solo perché era insieme a lui nell'unico luogo al mondo e alla luce color arancio dell'unico tramonto che indorava la stanza attraverso la finestra che avrebbe voluto vedere per ogni giorno per il resto dei suoi anni, ma perché tutte quelle cose stavano accadendo tutte insieme e per questo si sentiva fortunato, potente come non aveva mai sperimentato.
Si godette Oscar prendere posto tra le sue braccia, appoggiarsi al suo corpo, guardarlo negli occhi con quel sorriso meraviglioso e con la voglia di baciarlo appena nascosta. Si inclinò verso di lei appena, giusto per farle aprire le labbra e ritirandosi subito dopo, facendola rimanere delusa. Lei reagì subito, prendendogli il volto tra le mani e baciandolo con foga per pochi istanti, fino a che lui non aprì la porta dietro di sé e la costrinse in corridoio, conducendola fino alla loro camera da letto.
La luce morente del giorno rivestiva le pareti bianche della stanza e rendeva di un verde morbido le lenzuola azzurrine che avevano regalato loro i due sarti di Arras, marito e moglie, poco dopo il loro arrivo. Andrè chiuse la porta e portò Oscar ad appoggiarvi le spalle mentre slacciava diligente i bottoni della giacca e gliela sfilava metodico, e poi passava a slacciare, senza nemmeno abbassare gli occhi, il nodo della camicia e a sfilarla via. Poi passò ai calzoni, che pure caddero leggeri a terra, quasi senza rumore.
Andrè la fisso bene sotto quella luce fioca e dorata, i capelli biondi erano quasi tenere fiamme e incorniciavano gli abbacinanti occhi, dove l'azzurro abbracciava la il chiarore in una sfumatura di verde acqua, la bocca piena, rossa di baci, le spalle larghe, dritte, i seni alti, le curve dolci dei fianchi, la pelle chiara e morbida delle gambe, tutto impresso a fuoco nella sua memoria, anche se avesse dovuto perdere quell'unico occhio che gli restava.

 

Oscar lo prese scherzosamente per il colletto, artigliandolo con le mani, avvicinandolo per un bacio breve e furente e togliendolo dallo stato di contemplazione. Oscar slacciò svelta la giacca e la camicia, e con smania fece allentare e strattonò via i suoi calzoni per poi abbracciarlo di slancio appena fu nudo, sentendo imprimere su di se ogni parte del suo corpo, la guancia accaldata, il petto forte, le braccia volitive, l'addome già teso verso di lei, a raggiungerla di nuovo nel profondo dell'anima, le gambe tese che giocavano prima l'una e poi l'altra a sostenere il peso di entrambi, il suo Andrè, avrebbe riconosciuto quel corpo e quel tocco per tutta la sua vita. Se anche un giorno lui non ci fosse stato più e la sua vita fosse andata avanti anche solo per un giorno, sapeva che avrebbe richiamato alla memoria la sensazione delle sue carezze, della sua pelle su di sé.
Lui la spinse a trascinarsi fino al letto, e lei si lasciò cadere sulle lenzuola fredde.
Lui fu subito su di lei, Oscar sentì il sangue scorrere velocemente, soprattutto nel petto, poteva sentire la corsa frenetica di ogni goccia sospinta dalle pompate del cuore. Andrè le baciò la bocca imperiosamente, facendo scorrere la lingua prima sulle labbra e poi in bocca, sul palato, fino a lasciarla senza più fiato, per poi passare al collo, alla morbida pelle dell'incubo che Oscar sapeva che lui adorava, lo sentì succhiare il punto proprio sopra la gola e mordicchiarlo coi denti. Qualsiasi nervo si trovasse lì sotto, Oscar lo sentì scalpitare elettrico e andare a provocargli un brivido lungo la schiena, facendola inarcare di più, aderendo di più al corpo di Andrè già fremente. Lui proseguì la scia dei baci lungo la spalla, fino al seno destro. Il bacio languido al suo capezzolo la fece dimenare, da più di due mesi, da quando non sapeva ancora di essere in attesa, ogni bacio e ogni tocco di Andrè al suo seno la facevano stare male per l'intensità delle sensazioni che avvertiva, la gravidanza ingigantiva ogni emozione, ogni sensazione, riusciva a vivere al doppio la sua esistenza. Quando Andrè passò all'altro seno era certa di stare per infrangersi in mille pezzi, non riusciva a sopportare quello sconvolgimento di percezioni.
Andrè continuò percorrendo il ventre con la bocca, fino al suo ombelico. I pasti abbondanti, la languidezza di tramonti come quello, l'attività fisica sensibilmente diminuita per sbrigare la burocrazia, tutto contribuiva a quello che era stato l'arrotondarsi e l'ammorbidirsi delle sue forme, soprattutto quel ventre in cui la bocca di Andrè sembrava indugiare ogni volta, beatamente.
La carezza della sua bocca si spinse più in basso, verso il suo sesso, e le mani di lui, la accompagnarono allargandole le gambe, e quando la carezza di quella lingua adorata arrivò a lambirle in profondità le pieghe morbide della carne, si sentì vicina ad andare in pezzi, amorevolmente in pezzi.
Le sue mani andarono a cercare la testa di Andrè, per riportarla verso la propria, e poter finalmente baciare a sua volta quel viso, amato come non lo era stato nessuno. Dopo un bacio carnale, affannoso, Oscar cercò di rigirarsi, fino a rotolare sopra ad Andrè. Era così bello per lei sentire quel corpo palpitante sotto di sé. Lo baciò di nuovo, per poi scivolare a mordicchiare il lobo dell'orecchio e passare a mordere anche quella spalla muscolosa e soda che sembrava non cedere ai suoi denti.
Continuò a baciare con frenesia il suo petto, i suoi capezzoli, fino a sentire anche lui andare quasi in pezzi, in un fremito indescrivibilmente dolce. Passo leggera a baciare la linea dell'addome che portava diritta al suo ombelico, per poi scendere, con la bocca e con la mano, fino a toccare l'addome di Andrè, il nerbo teso del suo sesso che voleva entrare dentro di lei, che voleva di nuovo partecipare a quell'esplosione di vita che la invadeva ogni giorno di più.


Andrè urlò alla lasciva carezza della lingua di Oscar, ma lei non gli permise di andare oltre e risalì il suo corpo fino a tappargli la bocca ansimante con un altro bacio. Andrè ne approfittò per rigirarla sulla schiena, e per entrare finalmente col proprio dentro il suo corpo, accolto in un oceano di calore, illuminato dalla luce d'oro del sole morente e dallo sguardo languido degli occhi azzurri di Oscar. La guardò fissa mentre si muoveva, mentre innescava un vortice di sensazioni, la voleva far bruciare, mandare in pezzi, sentire le sue urla felici mentre perdeva frammenti della cognizione del mondo attorno a loro, ma allo stesso tempo si sentì vittima di quello stesso fuoco, risucchiato nel vortice che la frammentava, chiuse gli occhi e con un movimento languido dei fianchi si spinse di più in lei, sentendo il suo grido, la sua stretta interna, la stretta delle sue braccia e delle sue gambe e poi si ritrovò ad urlare. Sfinito, stremato, senza un mondo a cui fare ritorno, solo Oscar stretta a lui e una luce immensa dentro.

 

Oscar respirava con affanno. Non osava allentare la stretta di braccia e gambe da Andrè, non osava muoversi per lasciare che anche solo un centimetro d'aria li dividesse. Era felice, estremamente felice di essere lì, solo lì, con lui, in quel momento. Sentiva ancora il corpo caldo di Andrè sopra di lei, lo avvertiva dolce dentro di lei, avvertiva il calore e la pace generata da quell'unione, avvertiva la serena crescita di quella noce di vita nel suo ventre dentro quel cumulo di emozioni, poco sopra a dove si trovava suo padre.
“Se solo tu potessi immaginare che cosa provo ora...” gli sussurrò “dovresti chiudere gli occhi per l'imbarazzo.”
Andrè affondò ancora di più la bocca nell'incavo del collo di Oscar, dando un colpetto con la lingua e avviando un bacio languido, fluido, una conferma che doveva immaginare molto bene cosa provava lei, e non aveva il coraggio di alzare gli occhi, ma solo di prolungare la sensazione.
“Se solo tu potessi immaginare...” ripeté lei. Allora Andrè alzò la testa un istante, guardandola negli occhi, fissando quel meraviglioso occhio verde sul suo viso, scandagliando ogni emozione.
“Non trovo niente che non sia meraviglioso, Oscar, assolutamente niente.” disse, e lei chiuse gli occhi e lo sentì un altro bacio sulla guancia, sull'angolo della bocca,fino a tornare a riposare nell'incavo del collo.
“Vedi molto meglio di me Andrè...” sospirò, sopraffatta dall'emozione di quelle parole, la avvertiva decuplicata.

 

L'avvocato Detierre nonostante il carattere burbero non disdegnava i matrimoni, li trovava ottimi per vedere conoscenze cementate, per assaggiare ottima carne e bere vino a fiumi.
Quell'uomo all'altare, quell'Andrè Grandier, aveva la faccia adorante davanti alla sua sposa, la bionda Oscar, che per la prima volta ostentava uno sguardo intimorito. Un quadretto da sposini turbato dalla scelta di abiti molto “civili”, un completo marrone scuro per lui e una camicia bianca larga annodata sul davanti con calzoni candidi per lei, adorna solo di una lunga giacca verde scuro che assomigliava molto ad una morbida veste da camera e che abbracciava il suo ventre oramai tondo e sporgente.
Gli invitati erano pochi, circa dieci, e la chiesa aveva le porte chiuse a sottolineare la scelta di intima cerimonia dei due sposi.
L'avvocato provava emozioni contrastanti, era si felice per l'invito e per la cena che ne sarebbe seguita, ma si sentiva in qualche modo a disagio davanti a quel gioco di sguardi complici e pure intimoriti dei due sposi... i suoi occhi grigi non riuscivano a non sentirsi di troppo in tutta quella candida luce di candele e sole mattutino.
Il prete li dichiarò marito e moglie, lui avrebbe dovuto abbassare lo sguardo, ma non ci riuscì e vide tutta la trepidazione dello sposo nell'abbracciare con delicatezza la sposa e nel posarle un bacio dolce sulle labbra e lei sorridere radiosa dopo che le loro bocche si furono allontanate.
Ecco cosa lo turbava, avere la sicurezza che, anche se non fosse riuscito a salvarla da quel processo, anche se avesse dovuto vedere la sua testa bionda e tesa penzolare dalla ghigliottina, quell'uomo avrebbe posizionato il capo accanto al suo e avrebbe aspettato la lama con lo stesso sguardo adorante rivolto verso di lei. Lo turbava vedere come due esseri umani potessero legarsi in quel modo, in un'associazione tra loro due che non guardava attentamente profitti e guadagni, ma che come clausola chiedeva semplicemente di rimanere insieme, qualsiasi cosa accadesse, fino alla fine.
I due sposi si girarono e vennero a salutare i pochi invitati. Dopo un paio di strette di mano e di baci ricambiati, la sua biondissima ex protetta si diresse proprio verso di lui, e appena gli fu davanti gli consegnò un bacio rispettoso sulla guancia.
“Avvocato Detierre, sono felice che siate giunto.” disse dolcemente.
“Ancor più felice io di vedervi finalmente fuori dai guai e con un po' più di carne addosso.”
Oscar gli sorrise di un sorriso stranissimo, caldo, che le illuminava il viso.
“Lo devo a voi se sono al sicuro.” disse.
“Penso che lo dobbiate a voi stessa... e a vostro marito.”
Oscar abbassò lo sguardo, di nuovo timida. Era la seconda volta in vita sua che la vedeva abbassare lo sguardo intimidita, e la prima era stata cinque minuti innanzi.
“A Parigi?”
“Tutto tranquillo, il nuovo tribunale sta prendendo forma. Pungolo Robespierre come un satanasso per rendere pubblica la vostra sentenza e lui ha giurato e spergiurato che oggi lo avrebbe fatto pubblicare su tutti i gazzettini. Ho lasciato mia sorella in città con la mansione apposita di procurarseli tutti e di mandare subito a Robespierre una missiva irosa se dovesse dimenticarsene qualcuno.”
“Sa avvocato, per questo compleanno mi sono arrivati molti doni, ma questo lo aspetto davvero, per me, per Andrè, per i miei uomini...”
“Vi arriverà cittadina,” sbuffò Detierre fissandola con gli occhi grigio ferro, “fosse l'ultima cosa che faccio. Ma parliamo di cose più serie... che vino avete scelto per festeggiare?”

 

 

Grazie a tutti. Berenice

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1310170