Cupid's broken arrow di RobTwili (/viewuser.php?uid=84438)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Can I kill him? ***
Capitolo 2: *** U think I'm unf*ckable, right? ***
Capitolo 3: *** Please, what happened? ***
Capitolo 4: *** I just want to know... ***
Capitolo 5: *** Did we do it? ***
Capitolo 6: *** Saying something wrong... ***
Capitolo 7: *** Bed for two? ***
Capitolo 8: *** Round II ***
Capitolo 1 *** Can I kill him? ***
CBA
«Jar mi serve un
consiglio, più da uomo che da amico. Questo o questo?». Improvvisamente non
vidi più lo schermo della tv davanti a me, ma solo Harper e i due pezzi di
stoffa che teneva tra le mani. Pezzi di stoffa uguali.
«Harp, sto
giocando a PES, levati da davanti» sbottai, premendo il pulsante per mettere in
pausa il gioco. Possibile che dovesse disturbarmi nel bel mezzo del gioco solo
perché non sapeva quale di quei due cosi
era meglio indossare? «E poi sono uguali, quindi perché mi chiedi quale è meglio?».
Presi la birra di fianco a me, bevendone un lungo sorso mentre la vidi
sospirare prima di appoggiare uno dei due vestiti sul divano, di fianco a me.
No, non di nuovo.
«Primo, PES non è
importante come me, sono la tua migliore amica e ho bisogno di un consiglio
visto che stasera festeggio due mesi con il mio ragazzo e sai come la penso sui
due mesi. Secondo, questi due vestiti non sono uguali, uno è grigio perla e con
taglio a impero, l’altro è grigio fumo di Londra e con lo scollo a cuore. Dai,
aiutami per favore!» mugolò, facendo gli occhi da cucciolo e sporgendo il
labbro inferiore per farmi cedere. «Dai Jar, lo sai che ti voglio bene e che
vorrei che tu fossi gay in questi casi, ti prego, ti prego, ti prego. Quale dei
due? È importante per me e Noah questa sera». Riprese i vestiti in mano,
sollevandone prima uno e poi l’altro perché potessi guardarli attentamente e
farmi un’idea. Tanto lo sapeva che entrambi avrebbero fatto la stessa fine, sul
pavimento della camera di Noah l’idiota, visto che erano passati due mesi dal
loro primo appuntamento.
Ed era
esattamente questo che Harper aspettava, perché lei, al contrario di tutte le
altre, attendeva due mesi prima di darla al ragazzo con cui usciva, visto che
secondo lei la regola dei tre appuntamenti era «di pessimo gusto e volgare,
perché in tre appuntamenti non conosci una persona”. Sapevo che molti l’avevano
lasciata perché dopo un mese si erano stancati di aspettare, ma sembrava che
Noah l’idiota fosse riuscito a resistere e quella sera potesse essere premiato.
«Quello».
Indicai, sbadigliando, il vestito di colore più chiaro, guadagnandomi una sua
occhiataccia. «Che c’è?» domandai esasperato, allargando le braccia e
appoggiando il capo allo schienale del divano, aspettando che mi spiegasse
perché la mia scelta non concordava con la sua idea. Perché diamine chiedeva il
mio consiglio se poi doveva iniziare a dire che non capivo niente di moda, solo
perché la mia idea contrastava la sua? Donne.
«Se metto questo
però non posso mettermi il reggiseno in coordinato con gli slip, anzi, dovrei
rimanere senza e se non ce l’ho sembra che abbia già organizzato tutto. Non che
non l’abbia fatto, ma se si capisce diventa una cosa non romantica e sembra che
sia tutto organizzato, capisci? Forse è meglio questo, così posso mettere un
completo carino sotto e non sembra che io ci abbia pensato. Sì, farò così.
Grazie per il consiglio Jar, tu sì che sei un amico» decretò, come se mi avesse
veramente ascoltato. Raccattò i vestiti e mi diede un bacio sulla guancia prima
di correre su per la scala per andare a prepararsi.
«Harp, non finire
tutta l’acqua calda, devo farmi la doccia anche io dopo» urlai perché potesse
sentirmi, mentre chiudeva la porta del bagno con un tonfo sordo. Sentii l’eco
di una sua risata prima che lo scrociare dell’acqua assieme a una canzone dei
Metallica facesse da sfondo alla partita che avevo interrotto con l’arrivo di
Harper.
Dopo l’intero Master of puppets sentii la porta del
bagno aprirsi e mi sembrò quasi di vedere la nuvola di vapore scendere dalle scale,
visto che sapevo quanto Harp adorasse l’acqua calda. «Per fortuna ti avevo
chiesto di non finire tutta l’acqua calda» urlai di nuovo, alzandomi dal divano
svogliatamente e spegnendo X-Box e TV. Entrai in camera sua, distendendomi sul
suo letto quando si chiuse la porta della sua cabina armadio alle spalle per
potersi vestire dentro. «Dovrei lavarmi, visto che puzzo e stasera vengono i
ragazzi per giocare a poker» spiegai, massaggiandomi le tempie e
stiracchiandomi. Sentii il rumore della porta della cabina armadio che si
apriva e con un braccio mi coprii il viso, rilassandomi.
«Tanto puzzate
tutti come dei caproni, non ti sei mai accorto che quando Wilson e Joseph se ne
vanno da qui spalanco tutte le finestre per cambiare l’aria? Io devo ancora
capire se voi maschi sapete che hanno inventato la doccia» si lamentò,
cominciando a camminare su e giù per la stanza, con i tacchi. Sentivo il
ticchettio delle scarpe sul legno e mi infastidii, soprattutto per la sua
frecciatina.
«Primo io non
puzzo, almeno, puzzo solo dopo aver fatto sport. Sono un uomo è normale puzzare
d’accordo? E secondo… nemmeno i miei amici puzzano. D’accordo, un po’» ammisi,
ripensando ai post partita di calcetto con i ragazzi. E comunque non avevamo
mai invaso gli spazi di Harper; non eravamo nemmeno mai entrati in camera sua.
Oddio, quasi mai, tranne quella volta che, da ubriachi, avevamo curiosato
dentro al cassetto della sua biancheria per capire se facessero dei reggiseni
anche per le sue nontette. In verità era stata un’idea di Wilson, solo perché
non credeva che reggiseni per tette così piccole fossero venduti. Io non avevo
guardato; solo una sbirciatina, piccola piccola. Giusto il tempo di notare quei
due perizomi di pizzo e forse un bustino niente male. Ma ero ubriaco, quindi
non faceva testo.
«Appunto, puzzi
anche tu, quindi alzati dal mio letto e vai a farti la doccia. Conoscendo gli
altri due scemi arriveranno con una cena messicana o cinese tra mezz’ora, visto
che la vostra serata poker inizia dalla cena». Con gesti meccanici iniziò a
truccarsi, sedendosi sullo sgabello davanti allo specchio in camera sua. Con uno
di quegli aggeggi tra le dita, si fermò con la mano a mezz’aria, intimandomi
con i suoi grandi occhi verdi di andarmene dalla sua stanza per farmi quella
dannata doccia prima che arrivassero Wilson e Joseph.
«D’accordo,
d’accordo, esco e ti lascio da sola con tutte quelle cose da metterti sul viso.
Ma sappi che sono sicuro che Noah apprezzerà di più poco trucco. Anche perché
dubito che domani mattina voglia vederti in versione panda quando vi
sveglierete dopo una notte di fuoco. Io ti ho vista una mattina, quando non ti
sei struccata, non lo auguro nemmeno al mio peggior nemico!» scherzai –non poi
così tanto –chiudendomi la porta alle spalle prima che potesse lanciarmi addosso
uno di quegli arnesi che usava per spalmarsi colori sul viso. Entrai in bagno
sbuffando per la mancanza d’aria dovuta a tutta la nuvola di vapore che Harp
aveva creato e iniziai a spogliarmi, aprendo il rubinetto dell’acqua e
immergendomi sotto al getto, distendendo i muscoli delle spalle. L’acqua
tiepida che scivolava lungo il mio collo e la mia schiena, i Metallica che
cantavano in sottofondo e il vetro del box doccia completamente annebbiato dal
vapore. Presi la boccetta di shampoo iniziando poi a insaponarmi i capelli
quando l’acqua da tiepida diventò improvvisamente gelata. «Harper! L’acqua cazzo! Non c’è più acqua
calda». Chiusi il rubinetto di colpo, togliendomi lo shampoo che era entrato
nei miei occhi, facendoli bruciare e sentii la sua risata che superò perfino
l’assolo di chitarra.
«Scusa Jar, ma è
più importante che sia io quella pulita e profumata, visto che sono io quella che
ha l’appuntamento» urlò senza smettere di sghignazzare, mentre aprivo l’acqua
di nuovo per sciacquarmi. Iniziai a saltellare, lavandomi il più in fretta
possibile per poi arrotolarmi l’asciugamano attorno alla vita e camminare a
passo spedito verso la sua camera. Avevo i brividi e i capelli gocciolanti, ma
ero già pronto con il piede di guerra per dirle che no, non andava bene così. «Jar!
Va a vestirti! Stai gocciolando ovunque!» strillò, puntandomi contro qualcosa
di appuntito e nero. Sembrava una matita, ma non ne ero sicuro, non sapevo bene
che cosa usasse per truccarsi.
«Prova a finire
l’acqua di nuovo e lo scherzo del dentifricio sotto al naso sarà il meno
stronzo che potrai aspettarti» sibilai, tornando in bagno per asciugarmi e
prepararmi. Dovevo cercare in Google qualche scherzo idiota da poter fare ad
Harp se avesse di nuovo consumato tutta l’acqua calda; o magari potevo
semplicemente chiedere a Wilson e Joe, visto che potevano tranquillamente fare
concorrenza a Bart Simpson, quando si trattava di scherzi da idioti.
Uscii dal bagno
scendendo le scale di corsa quando suonarono al campanello: ero quasi certo che
fossero Joe e Wilson e non Noah l’idiota, visto che era puntuale come un
orologio svizzero e mai in anticipo. Quando i ragazzi entrarono, salutandomi
con un «Ciao idiota» che fece sbuffare Harp dietro di noi, risposi al saluto,
dirigendomi subito dopo verso il divano, certo che nessuno di loro volesse
consumare la cena del ristorante cinese seduto a tavola.
«Primitivi, ecco
cosa siete. Chi cavolo mangia seduto sul divano? Se sporcate qualcosa Jar, vedi
di pulire. Non voglio tornare a casa domani e trovare pezzi di involtini
primavera spalmati sul divano o sul tappeto, visto che ne sareste capaci». Indossò le scarpe con il tacco
che aveva tolto per truccarsi e si appoggiò al divano, per evitare di cadere.
Wilson e Joe si scambiarono una strana occhiata prima di tornare a guardare
Harper e successivamente me.
«Dove deve
andare?» domandarono in coro,
sedendosi sul divano con un sonoro sbuffo. Vidi Harper alzare gli occhi al
soffitto mentre si sistemava i capelli, dopo aver indossato il cappotto. Le
ciocche rosse che ricadevano sulla schiena mentre si sistemava una sbavatura
del rossetto, controllando il risultato davanti allo specchio dell’entrata.
«A trombare. Sono
due mesi che è con quell’altro, quindi scatta la chiusura automatica del veto e
l’apertura delle gambe»
bofonchiai, trangugiando un involtino primavera e perdendo pezzi ovunque sulla
mia maglia; istintivamente guardai Harper che arricciò il naso in un gesto di
disgusto. Mi schiarii la voce, raccogliendo le briciole e ammucchiandole tutte
alla stessa altezza della maglia, continuando poi a mangiare.
«Buona trombata
allora. Poi facci sapere che voto gli dai. Secondo me non supera il sette. Joe,
Jar, l’avete visto? Andiamo, sembra una fighetta; ancora mi meraviglio che non
sia gay, porta il borsellino, vi rendete conto? In quale universo parallelo uno
a cui piace la fi… cioè, uno a cui piacciono le donne indossa un borsellino?» domandò Wilson, allargando le
braccia in attesa di una risposta. Io e Joe rimanemmo in silenzio, concentrati
al massimo per non ridere mentre Harper si avvicinava a lui, colpendolo con un
sonoro schiaffo alla nuca.
«E poi mi chiedo
perché non avete la ragazza; ma chi vorrebbe rimanere con voi, poi? Primitivi,
volgari e anche stupidi».
Scosse la testa fingendosi dispiaciuta, quando sapevo che Harper era la prima a
ridere per le battute che facevamo durante le nostre serate a poker. Harper era
l’unica donna ammessa; l’unica che poteva assistere ai nostri sproloqui da
uomini, quando ci lasciavamo un po’ andare con le parole dopo un paio di birre.
Non era solo perché viveva con me e quindi spesso era anche lei a casa, era
perché –quando non si fingeva troppo signora –diventava un’ottima osservatrice
e sapeva anche dispensare consigli alcune volte utili. Che poi noi non li
seguissimo mai perché convinti che ci prendesse in giro era un discorso a
parte.
«Offendi,
offendi. Vediamo stasera quando ti dirà che è gay come tornerai tra le mie
braccia per farti consolare».
Wilson ammiccò verso di lei, che non riuscì a trattenersi, iniziando a ridere.
Faceva sempre lo scemo, fingendo di provarci con lei. In realtà sapevamo che
Wilson non era interessato ad Harper, visto che era semplicemente il suo modo
di fare. Wilson si comportava così con tutto il genere femminile.
«Oddio, è qui. A
domani Jar. Ciao ragazzi»
saltellò fino a me per tirarmi un pugno sulla spalla prima di prendere la borsa
che aveva appoggiato sul divano e uscire, chiudendosi la porta dietro di lei.
Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, continuando a mangiare. L’unico
rumore era il masticare a bocca aperta di Joe, tanto che Wilson gli tirò una
pedata, intimandogli di smetterla.
«Mah»
sbottai sovrappensiero, grattandomi la barba che mi pungeva. L’idea che Harper
trascorresse la notte con Noah l’idiota non mi piaceva per niente, più che
altro perché non mi fidavo di lui dalla prima volta che l’avevo visto. Noah
sembrava il tipico belloccio che voleva solamente portarsi a letto la ragazza
di turno per poi scaricarla alla prima occasione utile. Bisognava però
ammettere che se era riuscito a resistere con Harper per due mesi senza
forzarla a trombare con lui, un po’ ci teneva davvero a lei. Annegai quei
pensieri idioti con un paio di sorsi di birra che i ragazzi avevano comprato al
take away cinese e tornai a discutere con loro della nuova ragazza che Joe
aveva conosciuto un paio di settimane prima.
«Poker d’assi,
stronzi» ghignai, appoggiando
le mie carte sul tavolo della cucina e aspirando una nuova boccata di fumo, dal
sapore di vittoria. Vidi gli sguardi increduli dei miei amici prima che
iniziassero a imprecare, contro la mia sfacciata fortuna durante le nostre
partite di poker. Stavo quasi per ribattere che non era fortuna ma bravura,
quando il rumore della porta d’entrata che sbatteva ci fece ammutolire tutti e
tre. «Harper?» domandai
stupidamente, sapendo che solamente io e lei avevamo le chiavi di casa e nessun
altro sarebbe entrato sbattendo così forte la porta.
«Chi cazzo vuoi
che sia, mago Merlino?»
sibilò, entrando in cucina dopo aver lanciato le scarpe con il tacco verso le
scale. Spensi subito la sigaretta dentro al posacenere, sapendo che Harper si
lamentava sempre perché non voleva che fumassimo dentro casa. Sembrò però non
farci caso, visto che aprì il frigo, prendendo una bottiglia di birra e
togliendo il tappo con rabbia.
Oh- ho.
«Che è successo?» chiesi guardingo, appoggiando le
carte sul tavolo e drizzando la schiena sulla sedia. Doveva per forza essere
successo qualcosa perché Harper beveva birra a canna dalla bottiglia solamente
quando qualcosa non andava. «Cazzo»
sbottai, quando prese una sigaretta dal pacchetto sopra al tavolo,
accendendola. No, la situazione era per forza grave, lei non fumava mai. «Che
ti ha fatto? Dov’è? Che è successo?».
L’istinto protettivo che in tutti quegli anni avevo sviluppato per lei si manifestò
all’improvviso, mentre mi alzavo dalla sedia per camminare nervosamente lungo
la cucina. Che punizioni corporali erano ancora considerate legali in
California? Ero quasi sicuro che fosse possibile, per legittima difesa –che
avrebbero naturalmente confermato Joe e Wilson –utilizzare la mazza da
baseball.
«Non è successo
niente, ecco perché sono qui. Mi ha lasciata. Forse sarebbe meglio dire
scaricata, anche un po’ umiliata a dire la verità, ma l’ho istigato io». Aspirò una boccata di fumo,
bevendo un sorso di birra subito dopo. Che cosa aveva fatto quell’idiota alla mia
Harper? Perché l’aveva scaricata? Ma soprattutto, come si era permesso di ferirla?
L’avrei preso a pugni, se solo Harp mi avesse dettato l’indirizzo di casa sua.
«Non avete
trombato?» domandò Joe,
sorpreso. Si sistemò più comodo sulla sedia, appoggiando le carte da poker
sullo stomaco e alzando i piedi sopra al tavolo. Incrociò le mani dietro alla
nuca, in attesa di capire perché Harper fosse già tornata a casa, ma
soprattutto perché fosse così arrabbiata.
«Ovvio che no, o
non sarei qui adesso. Abbiamo cenato e tutto è andato bene, ho flirtato, gli ho
fatto capire le mie intenzioni forte e chiaro; siamo saliti in macchina e il
fatto che mi sia ritrovata spalmata sul sedile mi sembrava un chiaro segno che
aveva colto il mio messaggio. Poi dopo qualche bacetto gli ho detto di
fermarsi. Stavo per aggiungere che era per continuare a casa sua ma ha preso un
respiro, iniziando a parlare: ha detto che doveva dirmi una cosa dall’inizio
della serata, che in verità mi aveva invitato a cena perché voleva parlarmi del
fatto che in questi due mesi si è trovato bene con me ma che non è scoccata la
scintilla. Volevo spiegargli che mi sembrava che la scintilla fosse scoccata
dentro ai suoi pantaloni da quello che potevo vedere, ma ero ammutolita: un
secondo prima stavo limonando con lui e quello dopo mi scaricava. Gli ho
chiesto perché e la sua scusa è semplicemente stata: non sei quella giusta, sei
bella ma non mi attiri mentalmente. Gli ho tirato un ceffone e gli ho detto che
non avrei mai trombato con lui, visto che aveva quei schifosi peli sul petto
che uscivano dalla camicia aperta e lui mi ha detto che non sarebbe mai venuto,
visto che non avevo tette. Sono scesa dalla macchina con molto stile, urlando un
‘fanculo che probabilmente hanno sentito nel giro di due isolati. E il cretino
che ha fatto? È ripartito sgommando lasciandomi a piedi davanti al ristorante». Concluse il suo racconto bevendo
un paio di sorsi di birra e tutti e tre rimanemmo in silenzio, guardandola. «Smettetela
di guardarmi così, so che state pensando che vi faccio pena» continuò poi, gesticolando con la
mano destra e spargendo un po’ di cenere che cadeva dalla sigaretta sopra al
suo vestito grigio.
«Che stronzo, non
aveva il diritto di dirti quelle cose. Giusto per rassicurarti, io ti avrei
trombato lo stesso, poche tette o meno»
spiegò Wilson, allungando il braccio verso Harper per darle una pacca di
consolazione sulla spalla. Sentii un moto improvviso di rabbia verso Noah che
aveva insultato Harper così solo perché non aveva pazientato un paio di secondi
per ascoltarla e mi alzai di scatto, pronto per andare a prendere il cappotto e
correre a casa dell’idiota per rivendicare Haper, ma il discorso che lei iniziò
mi fece deviare la traiettoria e per non far capire il mio vero intento andai
verso il frigo, aprendolo e bevendo un po’ di succo d’arancia direttamente dal
cartone.
«Sapete che cosa
mi dà fastidio? Il fatto che stamattina sono andata dall’estetista e ho tolto
anche il più piccolo pelo! Voi non avete idea di quanto faccia male quella
cavolo di ceretta totale laggiù»
sbuffò, facendomi inorridire. No, queste cose non le volevo sentire, non da
Harper. Harper non aveva appena parlato di ceretta, perché non era così.
«Basta così» decretai, riponendo il
contenitore nel frigo e voltandomi verso i miei amici che mi guardarono
allibiti, come se avessi appena detto qualcosa di sconveniente o fuori luogo. Dovevano
smetterla con tutti quei discorsi stupidi su Harper, le sue cerette, il trombare
Noah o altro. Dovevano proprio andarsene, visto che ero sicuro Harp volesse
rimanere da sola, come sarebbe stato normale.
«Non mi sono
offesa Jar, tranquillo. So che scherzano e comunque ripeto, quando mi ha detto
che non ho tette ci sono rimasta molto più male delle battute idiote dei tuoi
amici» mormorò, abbassando lo
sguardo e spegnendo con rabbia la sigaretta nel posacenere in mezzo al tavolo.
I ragazzi mi guardarono, preoccupati. Con uno sguardo capirono che era il
momento di andarsene, visto che Harper iniziava a sbuffare sempre più
frequentemente, sbattendo il piede per terra; e tutti, tutti, sapevano che
quando Harper cominciava a tamburellare con la gamba, significava che era
arrivata al punto di saturazione ed era pronta a esplodere.
In pochi istanti
Joe e Wilson se ne andarono, iniziando a dire che avevano delle faccende da
sbrigare; salutarono Harper che come un automa rispose, rimanendo con lo
sguardo fisso davanti a lei, sempre con il piede che picchiettava per terra.
Una volta rimasti
soli, dopo aver chiuso la porta di casa alle mie spalle, mi feci coraggio,
pronto per affrontarla. «Harp, come stai?» domandai, avvicinandomi a lei e appoggiando le mie mani sulle
sue spalle. La sentii sospirare e senza nemmeno rendermene conto iniziai a
massaggiarle i muscoli contratti delle spalle, sorridendo quando mugolò per il
mio massaggio.
«Bene, sto bene.
Non mi interessava poi molto di lui»
mentì, schioccando le dita delle mani. Conoscevo ogni minimo tic di Harper,
potevo sapere con esattezza quando mentiva, quando si sentiva in imbarazzo e
quando era felice. Feci un po’ più forza con le mani sulle sue spalle per farle
capire che sapevo stava mentendo e lei sussultò sulla sedia, consapevole di
essere stata scoperta. «Che vuoi che ti dica Jar? Mi dispiace ma tanto sapevo
che sarebbe finita così. Lo sai, no? Cupido e le sue frecce che si rompono per
la mia corazza invisibile. Non troverò mai il ragazzo giusto per me. Forse ho
qualche serio problema e non me ne sono mai accorta» bofonchiò, facendomi arrabbiare perché aveva –di
nuovo –parlato di quella strana teoria delle frecce di Cupido. Possibile che
non capisse che era solo perché nessuno sapeva apprezzarla veramente, proprio
perché lei era troppo rispetto agli altri?
«Harp, giuro che
se fai così mi arrabbio. Non c’è niente che non vada in te, quindi smettila. Se
i ragazzi sono così stupidi da inventarsi scuse solo perché tu non gliel’hai
mollata entro due mesi non devi pensare di essere tu quella sbagliata. Il
ragazzo per te sarà speciale e lo capirà che tu sei quella giusta. E se
qualcuno prova a offenderti di nuovo, parlando delle tue nontette… chiamami
subito, non si offendono!»
scherzai, strappandole un sorriso.
«Guardi un film
con me? Non ho voglia di dormire»
propose, alzandosi dalla sedia e stiracchiandosi. Il vestito salì di qualche
centimetro lungo la sua coscia, abbassandosi poi quando Harper tornò con le
braccia lungo i fianchi. Occhi spalancati, labbro inferiore sporto verso il
fuori… era nella posizione di supplica, perché sapeva che non riuscivo a
negarle niente quando faceva così. Annuii e lei batté le mani, felice. «Vado a
mettermi qualcosa di comodo e arrivo. Scegli un horror, non voglio commedie
romantiche» urlò, salendo le
scale di corsa.
Horror, certo.
Perché Harper e la sua strana passione per gli horror, o meglio, per i film
splatter, erano normale routine. Mi distesi sul divano, inserendo il DVD di Saw e aspettando che scendesse. Quando,
cinque minuti dopo si distese sull’altro divano, ridacchiai, vedendo la vecchia
maglia che stava indossando. Gliel’avevo regalata io dopo che aveva preso A+ al
primo esame del college, una maglia dei Metallica che aveva indossato e lavato
così tante volte da averla scolorita.
A metà film, quando
non sentii un suo commento sul perché ci fosse tutto quel sangue per un misero
taglietto, provai a chiamarla, ma non mi rispose. Naturale, si era
addormentata. Mi alzai senza fare rumore, spegnendo la TV e avvicinandomi al
suo divano. Le labbra socchiuse, la mano stretta alla maglia e i capelli
attorno al viso che le incorniciavano quel volto e quel naso ricoperto da
qualche lentiggine sparsa qua e là. «Andiamo, Harp» sussurrai, prendendola in braccio con attenzione,
perché non si svegliasse. Mugolò qualcosa, appoggiando il capo contro il mio
petto e inspirando a fondo contro il mio collo, tanto da farmi venire la pelle
d’oca. Salii le scale in silenzio, appoggiandola delicatamente sul suo letto e
coprendola con le lenzuola senza che si svegliasse; le scostai un ciuffo di
capelli rossi dal viso e pensai che no, nessuno aveva il diritto di trattare
male Harper, perché era una persona speciale. «Notte, Pri». Un bacio sul suo capo e una
carezza, prima di socchiudere la porta della sua camera e andare a dormire.
Salve!
Mi
complimento per il coraggio con chi è ritornato a leggere qualcosa di mio e per
chi è la prima volta che si imbatte… fuggite, sciocchi!
Scherzi
a parte… eccomi con una storia assolutamente senza pretese, qualcosa di trito e
ritrito di cui hanno parlato milioni di libri, film e telefilm. Insomma, avevo bisogno
di capire se riesco a strappare un sorriso dopo You saved me.
Volevo ritornare alle origini e scrivere qualcosa di divertente (se in vita mia
sono mai riuscita a farlo). Prometto solennemente che mi impegnerò al massimo
per non farvi piangere ma ridere e… niente.
Dunque,
l’idea di questa storia mi tormenta da un bel po’ di mesi, ma ho iniziato a
scriverla solo finito YSM perché mi piace scrivere una cosa alla volta per
potermi concentrare al massimo. In ogni caso… solo un paio di informazioni.
Siamo in California, vicino a Los Angeles e come si sarà capito Harper e Jared convivono ma sono amici. Si conoscono
da sempre. Per quanto riguarda PES… credo che tutte le uomomunite (presenti e
passati) sappiano che cos’è. Brevemente, per chi ha avuto la fortuna di non
imbattersi in questo gioco… si tratta di calcio ragazze. PES significa Pro
Evolution Soccer ed è un gioco che è stato sviluppato in diverse piattaforme,
tra queste anche l’X-Box.
Uhm…
mi pare di non avere altro, credo di essermi anche dilungata troppo. Come sempre
ricordo il gruppo NERDS’
CORNER, per chi volesse iscriversi… è libero, non chiedo nick di EFP o
altro.
Grazie
a chiunque abbia avuto il coraggio di arrivare fino in fondo! :D
Rob.
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Capitolo 2 *** U think I'm unf*ckable, right? ***
CBA
«Harper,
perché non ammetti semplicemente che ci sei rimasta male?». Non ne potevo più; da una
settimana continuava a rispondermi male per ogni cosa che dicevo, ignorandomi e
urlando contro le peggiori cose che nemmeno pensava, solo per sfogarsi. Avevo
lasciato correre, ma dopo una settimana iniziavo a stancarmi quando urlava che
ero un idiota solo perché avevo appoggiato un coltello di fianco al cucchiaio
dentro al cassetto –e non vicino alla forchetta come lei aveva deciso fosse
giusto.
«Non
capisco davvero di cosa tu stia parlando».
Fece spallucce, continuando a sfregare con forza su quel piatto su cui ormai ci
si poteva specchiare sopra da quanto lucido era. Mi avvicinai a lei,
appoggiandomi con la schiena al bancone della cucina e incrociando le braccia
al petto, sperando che si sbloccasse e iniziasse a sfogarsi per poi ritornare
normale. «Che c’è?» sbottò, sentendosi osservata.
«Uscivate
assieme da due mesi, è normale che tu un po’ soffra, non è qualcosa di brutto,
ok? Puoi dirlo, sono il tuo migliore amico». Cercai di sorriderle per tranquillizzarla, ma conoscevo
Harper tanto da sapere che avrebbe finto di nuovo, come se non le fosse
interessato nulla di Noah.
«Guarda,
per me può andare dove vuole, può trovarsi qualcuna con più tette. A proposito…
la ragazza che era venuta qui la settimana scorsa? Perché non l’ho più vista?». Cambiare discorso era la tattica
preferita di Harp, perché credeva ogni volta di potermi far dimenticare di che
cosa stavamo parlando. La guardai risciacquare il piatto e subito dopo iniziare
ad asciugarlo con movimenti meccanici, in attesa di una mia risposta.
«Chi,
Alexis? No, non ha funzionato. Era inquietante, delle volte sembrava parlare
con i morti, come il bimbo del Sesto
senso». Rabbrividii,
ricordando quella strana ragazza e il suo insolito modo di comportarsi. Dopo
essere uscito con lei un paio di volte e aver capito che non era interessata a
me per qualche delusione passata di cui non mi aveva parlato, avevamo deciso di
troncare.
«Mi
dispiace» mormorò, facendo
una smorfia buffa che mi fece ridere. «Che
c’è?». Sembrava sorpresa
della mia risata, o forse semplicemente non capiva perché avessi iniziato a
ridere quando avevamo parlato di Alexis.
«No… è che
sono io quello dispiaciuto per te, ti vedo triste e mi dispiace. Alexis l’ho
vista solo un paio di volte, Noah invece… be’, lui c’era spesso qui, no?». Non sarebbe riuscita a farmi
andare di nuovo fuori strada. Avevo intenzione di parlare con lei riguardo Noah
e il loro aver rotto, non mi avrebbe fregato. La vidi sbuffare, prima di
asciugarsi le mani su un canovaccio che lanciò dietro di lei, arrabbiata.
«Sai cosa?
Non è nemmeno che mi dispiaccia troppo per Noah. Cioè, non sono così scema da
fingere di non esserci rimasta male, però, ecco… più che altro è perché sento
il bisogno di una trombata e di un abbraccio» concluse, facendo spallucce.
«Posso
offrirti l’abbraccio e sono sicuro che Wilson potrà soddisfare l’altra tua
richiesta» scherzai,
allargando le braccia in attesa che si avvicinasse a me per stringermi. La
sentii ridere mentre le sue braccia stringevano il mio busto e strofinava il
suo naso sul mio petto. Era il tipico abbraccio di Harper, perché ci eravamo
sempre abbracciati così, fin dall’asilo. Io le lasciavo un bacio tra i capelli
e lei strofinava la punta del suo naso contro la mia maglia, da destra a
sinistra.
«Grazie
Jar, ti voglio bene» mormorò,
baciandomi la guancia prima di tornare in sala e sedersi sul divano,
accendendosi la TV per sorridere davanti a un vecchio film horror che le
piaceva. Scossi la testa con un sorriso, sapendo che Harper era così testarda
da fare esattamente quello che voleva. Avrei potuto dirle mille volte che
doveva uscire e divertirsi, ma l’avrebbe fatto solo se ne avesse veramente
avuto voglia.
«Dovresti
uscire. Perché stasera non esci con noi? Ci comporteremo bene, niente discorsi
porno su di te da parte di Wil, vedrai che Joe non glielo permetterà» sghignazzai, giocherellando con i
pantaloni della tuta che indossava. Le accarezzai la gamba, giocando con il suo
polpaccio lungo e affusolato.
«Hai
ragione. Stasera esco, vado a caccia. Metterò quegli strumenti di tortura e mi
truccherò. Sarò così femminile che non mi riconoscerò nemmeno. Il mare è pieno
di pesci e stasera io lancerò l’amo con un grosso verme per prendere il pesce
più grande. Se ne abboccano due o tre meglio, più pesci con un solo verme». Avrei tanto voluto spiegarle che
non era un verme ma un’esca quella che si usava per pescare, ma sapendo che
Harper aveva la fobia dei vermi non discussi nemmeno, lasciando che continuasse
con il suo discorso. «Che ne
dici, mi metto la gonna stasera? Insomma, sono più trombabile con una gonna o
un paio di pantaloni? Forse con una gonna, perché un uomo pensa “hop” e sa che
ha la via più facile. Sì, mi metterò una gonna, magari un bel vestito». Non riuscii a trattenere una
risata quando mimò di alzarsi una fantomatica gonna a quell’hop e appoggiai il capo al divano,
abbandonandomi a una risata.
«Harp… non
è che tu diventi trombabile perché hai una gonna o meno. Di solito non si
guarda quello…». Almeno, le
doti di una ragazza che mi colpivano erano diverse, ma non mi lasciò finire la
frase, sventolando la mano davanti alle mie labbra e ammonendomi con l’indice
dell’altra.
«Senti, lo
so che voi vi eccitate per un paio di tette, ma non ce le ho, devo vendere la
mia merce. Farò una foto con un uomo a caso e la posterò su Facebook». Si alzò dal divano, sistemandosi
i pantaloni che si erano alzati fino al ginocchio. Ma che cosa stava dicendo? Da
quando si era trasformata in una ragazza che si trombava uno conosciuto in
discoteca e metteva le foto in un social network per far ingelosire Noah?
«Harper,
non sei in te, forse è meglio se questa sera rimani a casa, dico sul serio». Mi stavo preoccupando per lei.
Se la conoscevo, o meglio, se conoscevo i suoi metodi per sfogarsi, si sarebbe
ubriacata come minimo.
«Sono in
me anche troppo. Sono single, carica e in astinenza: stasera si tromba. Vado a
farmi una doccia». La
conferma di quanto Harper fosse deviata e distrutta in quel momento arrivò
quando, dal piano superiore sentii una vecchia canzone di Natasha Bedingfield
al posto dei Metallica. Quello che però mi preoccupò più di tutto fu sentire la
passione con cui Harp cantava sotto alla doccia.
Preoccupante in modo
spaventoso era la definizione migliore per definire la situazione di Harper
quel giorno.
«Jar, è il
momento dei consigli» urlò
Harper quasi un’ora dopo, scendendo le scale di corsa. Sbuffai, mettendo in
pausa il film che stavo vedendo e togliendomi gli auricolari per sentire che
cosa avesse da dire. La situazione si dimostrò molto peggiore di ogni mia
previsione quando Harper, con un miniabito nero, camminò fermandosi davanti a
me e abbassando lo schermo del pc perché voleva avere tutta la mia attenzione. «Devi essere sincero, non mi
offenderò, d’accordo? Dimmi che cosa pensi di questo abito». Fece un giro su se stessa,
lasciando che mi prendessi tutto il tempo per guardarla.
«Harp…
puoi vestirti come vuoi, ti sta bene tutto» tagliai corto, guardando il preoccupante ammasso di vestiti
che aveva appoggiato sul divano, di fianco a me. La mia risposta sembrò non
piacerle, perché sbuffò e posò le mani sui fianchi, con aria scocciata. «D’accordo, sarò rude. Se vedessi
una ragazza con questo vestito penserei che… è uscita di venerdì sera per
divertirsi» spiegai,
guardando il bordo del vestito che le arrivava a metà coscia.
«Cazzissimo
no, non è quello che voglio. Devo conquistare, devo essere sexy. Devo essere
talmente sexy che i minorenni non potranno nemmeno guardarmi. Vado a provare un
altro vestito» spiegò, sparendo
velocemente con un vestito rosso prima di tornare. «Allora? Sincero di nuovo» sbottò, tornando a ruotare su se stessa per un mio giudizio.
«Sembri
una di quelle che te la fa vedere ma non toccare, Harp». Inutile mentire, tanto sapevo che mi avrebbe rotto fino a
quando non le avessi detto la verità. Scandalizzata perché convinta che quel
vestito la rendesse sexy a dismisura, tornò con un vestito grigio, attillato e
corto. Faceva risaltare i suoi occhi verdi e rendeva le sfumature dei suoi
capelli ancora più vivide. «Con
questo sei molto… sexy. Se uno ti vede pensa che se sa conquistarti potrà
trombarti. Però se ti muovi troppo ti esce il culo» notai, quando alzò le braccia in segno di vittoria. Il
vestito infatti era salito, arrivando appena sotto la curva del suo sedere.
«Perfetto.
Ottimo. Grazie Jar, utile come sempre».
Si accucciò per darmi un bacio sulla guancia e inevitabilmente guardai la sua
scollatura che mi offrì una chiara visuale delle sue nontette, fino
all’ombelico.
«Mal che
vada piegati a novanta così, visto che ti si vede anche l’ombelico» scherzai, facendole capire che
non doveva muoversi troppo con quel vestito visto che saliva dietro e si
abbassava davanti. Non era di certo il vestito che le avrei consigliato di
indossare se avesse avuto un ragazzo; io stesso sarei stato geloso che qualcuno
la guardasse con quel vestito addosso.
«Non mi
piegherò a novanta allora, visto che sono comunque ingrassata e ho la pancia
che supera le nontette. Sono a dieta, a proposito. E comunque… Jar posso farti
una domanda personale?». Si
sedette di fianco a me sul divano con uno sbuffo, come se rimanere in piedi con
quel vestito fosse stata per lei un’impresa titanica. Forse lo era davvero,
visto che indossava un paio di scarpe con il tacco rispetto alle Vans che
portava abitualmente tutti i giorni.
«Personale?
Perché quando parliamo del fatto che stasera tromberai non stiamo facendo
domande personali?»
sghignazzai mentre mi tirava un pugno sul braccio perché la mia battuta
probabilmente le era sembrata scema. «Avanti,
fammi questa domanda personale»
acconsentii, prendendo un respiro profondo e preparandomi a qualche scemata
colossale tipica di Harper.
«Non ti
manca fare sesso? Cioè, sei single da più di me e sei un uomo. D’accordo, ci
sono i film porno, ma non è la stessa cosa, no?». Era seria, incredibilmente seria; talmente seria che iniziai
a ridere, ricevendo un nuovo pugno che mi fece sbottare per il dolore. «Sei stupido, era una domanda
seria. Cretino». Incrociò le
braccia sotto al seno, in un gesto irritato che mi fece ridere più forte,
aumentando la sua rabbia verso di me.
«D’accordo,
ok». Mi schiarii la voce,
cercando di ritornare serio, lentamente. «Harp, certo che mi manca. E in ogni caso che c’entrano i film
porno? Mica guardo i porno io» mi difesi, agitando la mano perché non mi interrompesse, visto che sapevo che
cosa voleva dirmi. «Semplicemente
una settimana in più non mi cambia, se proprio vedo che non resisto vado al motel
e chiedo a qualche signorina se mi fa compagnia» scherzai, mantenendomi però serio. Mi piaceva vedere lo
sguardo di Harper stupita: sgranava gli occhi e le sue labbra producevano un
cerchio perfetto.
«Sei un
maniaco sessuale. Tu andresti con una… prostituta?». Pronunciando l’ultima parola abbassò la voce, come se fosse
stato qualcosa che non si poteva dire. Mi fece ridere di nuovo, visto che delle
volte diventava improvvisamente pudica, come se non parlassimo mai di sesso e
di tutti i derivati. «Non le
voglio sentire queste cose, dico davvero. Io esco, sta a casa e guardati un
porno, per carità. Ci vediamo… non lo so quando!» esultò, felice. Mi diede uno schiaffo in testa invece di
baciarmi la guancia come al solito. Sospettavo che fosse perché temeva dicessi ancora
qualcosa delle sue nontette.
Ridendo dopo la pedata che le avevo dato sul sedere mentre
passava davanti a me, uscì di casa, traballante sui tacchi; lasciandomi a Gangs of New York, visto che mi aveva
interrotto un’ora prima per decidere quale vestito indossare.
Stavo giocando con l’X-Box, dopo aver mangiato gli spaghetti
di soia avanzati dal giorno prima –visto che i ragazzi avevano deciso di uscire
con le pollastrelle che avevano adocchiato-, quando il mio cellulare iniziò a
suonare, facendomi interrompere il gioco con uno sbuffo irritato. Perché cavolo
Joe o Wilson –visto che ero sicuro si trattasse di loro –mi stavano chiamando a
mezzanotte e mezza? Wilson non era uscito con Alyssa? Be’, perché non se la
stava spassando con lei?
Quando però vidi il nome sullo schermo lampeggiante, sgranai
gli occhi, preoccupato.
Harper.
«Harper
che succede?» domandai
spaventato, senza nemmeno salutare. Perché mi stava chiamando se era andata a cacciare? Che fosse successo qualcosa?
Che qualcuno le avesse fatto male? Mi alzai dal divano irrequieto, aspettando
una sua risposta che tardò un po’ troppo ad arrivare.
«Jedi… mi
son-persa» ridacchiò Harper,
togliendomi un peso dal petto perché temevo che qualcuno le potesse aver fatto
del male, ma rendendomi irrequieto perché non sapevo dove diavolo fosse.
«Come ti
sei persa? Dove sei?» domandai,
guardandomi attorno per cercare le chiavi di Pixie. Sarei andato a prenderla,
anche se fosse stata a Tijuana. La sentii ridere e borbottare qualcosa senza
senso, tanto che mi spaventò. «Harp?
Harp tutto bene?» chiesi,
alzando il tono della voce perché potesse sentirmi e soprattutto rispondermi. «Harp quanto cazzo hai bevuto se
non riconosci nemmeno la strada di casa, cazzo» brontolai, tenendo il cellulare tra l’orecchio e la spalla e
mettendomi il portafoglio in tasca.
«Jedi, c’è
un grassone stronzo che non risponde alle mie domande» piagnucolò improvvisamente, sull’orlo di una crisi di pianto.
No, la sbronza triste no. Quando Harp si ubriacava e diventava triste era la
fine, iniziava a fare discorsi semiseri alternati a parolacce e finiva per
piangere. «Ehi, grassone con
i baffi e il cappello bianco, dimmi dove siamo, ti prego». La sentii singhiozzare e cercai di concentrarmi per capire
dove potesse essere, ma le strade dal bar a casa erano così tante che non
sapevo a quale incrocio avesse svoltato. «Smettila di stare qui impalato con quella cosa in… in mano.
Dimmi dove siamo». Sentivo
Harper urlare nonostante non avesse il cellulare vicino alle labbra.
Grassone con i baffi e cappello bianco, immobile… che fosse?
«Harp, il
grassone ha una pizza in mano?»
domandai, sperando che riuscisse a sentirmi tra le sue urla per far parlare
l’uomo e i clacson delle macchine che suonavano passandole di fianco. Chiusi la
porta di casa alle spalle correndo fino alla macchina e accendendo il motore
quando sentii Harp rispondere che sì, aveva una pizza in mano. In pochi minuti
feci quei due isolati, arrivando davanti alla pizzeria da asporto e trovando
Harper abbracciata al finto cuoco. Le avrei volentieri fatto una foto, se non
fosse stata mezza addormentata e stravolta.
«Jedi?» domandò, quando mi avvicinai a lei. Si alzò in piedi a
fatica, allontanandosi dalla statua e avvicinandosi a me con circospezione. «Sì, Jedi» sorrise, quando fu abbastanza vicino da riconoscermi. «È stato un piacere, Antonio, sei
stato l’uomo più gentile che io abbia incontrato stasera». Fece un paio di passi indietro, avvicinandosi alla statua e
lasciando una pacca sulla spalla prima di avvicinarsi a me con un sorriso. «Come butta, bello? » domandò, abbracciandomi perché
stava rischiando di cadere dai tacchi che indossava.
«Quanto
cazzo hai bevuto Harp?».
Cercavo di sorreggerla con un braccio, ma non era facile visto che ciondolava a
destra e a sinistra, sbilanciandomi. Era magra, certo, ma a peso morto non era
facile farla stare in piedi.
«Bevuto… una
birra, un mojito, due tequila e… non ricordo più» concluse, iniziando a ridere di nuovo e abbracciandomi mentre
cercavo di farla salire in macchina con qualche difficoltà. «Sai Jedi, il problema è che… che…
il problema è che proprio… non mi ricordo quello che dovevo dire». Un nuovo attacco di risa mentre
le agganciavo la cintura di sicurezza, sistemando il lenzuolo bianco che c’era
sopra al sedile del passeggero. Camminai velocemente fino ad arrivare allo
sportello del guidatore e salii al posto di guida quando Harper parlò di nuovo.
«Adesso ti devo chiedere una
cosa. Quando trombi in macchina tieni questi teli perché non si sporchino i
sedili?». Si slacciò la
cintura di sicurezza, girandosi con le spalle verso il parabrezza, con il
sedere in alto. Stava cercando di togliere il vecchio lenzuolo che avevo messo
per proteggere i sedili di Pixie.
«Harper!
Siediti bene» urlai
preoccupato, quando, dopo aver frenato la vidi sbattere la testa contro il
sedile e rimanere con il sedere alto. Si alzò lentamente, tenendo una mano
davanti alle labbra, come se… «Se
vomiti dentro Pixie giuro che ti uccido, me lo dici e accosto o apri il
finestrino e ti sporgi fuori».
La vidi annuire e aprire il finestrino per prendere un respiro profondo. «Stai male?» domandai, piegandomi verso destra per appoggiarle una mano
sul fianco: temevo che potesse cadere e farsi male, visto che non stavo
correndo lentamente.
«Tutto ok,
mi viene da vomitare, va a casa».
Agitò la mano all’interno dell’auto fino a quando la strinsi con la mia perché
non scivolasse. Sapere che Harp era stretta alla mia mano mi faceva sentire più
sicuro, perché non l’avrei mai lasciata andare. Parcheggiai l’auto nel vialetto
di casa e tirai un sospiro di sollievo quando Harper tornò a sedersi sul
sedile, arrotolandosi il lenzuolo sulle spalle perché aveva freddo. «Ho fame» si lamentò, mettendo il broncio. Tipico di Haper voler
mangiare dopo essersi sbronzata; sapevo però che sarebbe stata ancora più male
se avesse assecondato quella sua voglia, così decisi che era decisamente meglio
seguirla in cucina, prima che iniziasse a cucinare qualcosa di strano.
Si avvicinò però alla credenza con le caramelle, prendendo
un pacchetto di M&M’s che avevamo comprato un paio di giorni prima, quando
l’avevo obbligata a uscire di casa per fare la spesa con me. «Mettile
giù subito, sei ubriaca» ordinai,
avvicinandomi a lei quando la vidi mangiare una manciata di caramelle senza
nemmeno controllare di che colore fossero. Strano, doveva essere davvero
ubriaca e disperata per non controllare di mangiarne l’esatta quantità di ogni
colore.
«No, voglio mangiarle tutte». Si allontanò di un passo, sporgendo il labbro
inferiore come se fosse stata una bambina piccola e testarda che voleva fare di
testa propria. Quando avanzai per raggiungerla, iniziò, da scema, a correre per
scappare da me. Ci ritrovammo così, in piena notte, a correre attorno al tavolo
della cucina come due idioti.
Iniziai
a ridere per quella situazione scema e, sorreggendomi al tavolo perché mi
mancava il fiato per la corsa ma soprattutto per la risata, cercai di fermare
Harper, prima che iniziasse a vomitare sul pavimento della cucina. «Harper,
metti giù quelle stupide caramelline».
Riuscii a raggiungerla con un passo un po’ più lungo degli altri e a pochi
centimetri dal sacchetto, quando ormai ero sicuro di averlo preso, Harper
indietreggiò all’improvviso, lasciando che la mia mano si stringesse catturando
solamente aria.
«Non osare! Non chiamarle più caramelline! Sono
preziose arachidi ricoperti di cioccolato e caramellate». Si portò il sacchetto giallo di fianco alla guancia,
accarezzandolo con gli occhi socchiusi e un sorriso idiota sulle labbra. Era
davvero ubriaca. «Lasciami morire da sola
con il cioccolato» bisbigliò, prima di
prendere una nuova manciata di M&M’s e mangiarle assieme. «Voglio morire grassa e sola, colorata dal colorante
delle M&M’s».
«Harper»
sussurrai, aiutandola a sedersi sul divano e togliendole il sacchetto dalle
mani senza che se ne accorgesse. «Mi vuoi
dire che diavolo è successo stasera? Deve essere stato grave per averti fatta
sbronzare così» mormorai tra me e me,
spostandole una ciocca di capelli che non mi permetteva di vedere il suo viso
completamente. C’era solamente la luce emanata dalla lampada dietro di lei che
donava strane sfumature ai suoi capelli e creava giochi di ombre e luci sul suo
viso, rendendone i tratti ancora più eterei rispetto al solito.
«Cosa è successo? Semplice, mi hai fatto indossare il
vestito sbagliato. Ammetti che hai fatto apposta perché non volevi che qualcuno
mi notasse. Sono entrata in quello stupido pub da sola, e già questo doveva far
capire quali erano i miei intenti, ho iniziato a ballare e c’erano due ragazzi
carini. Quando mi sono avvicinata a uno mi ha sorriso, ha ballato un po’ con me
e poi se ne è andato perché era arrivata la sua ragazza. L’avrei strozzato,
poteva dirmelo no? Allora ho puntato l’altro. Bello Jar, era bello. Biondo,
occhi azzurri, braccia muscolose, vene sulle braccia e sulle mani come
piacciono a me, quelle che mi fanno pensare alle porcate. Aveva una camicia
aperta sul petto e non vedevo nemmeno i peli, giuro che l’avrei limonato lì in
mezzo alla pista. Abbiamo ballato per un paio di canzoni a distanza, poi lo
vedevo sempre sorridere, così mi sono avvicinata a lui e cavolo… hai capito no?
Insomma non gli ero indifferente fisicamente. Non ho capito più niente e mi
sono fatta ancora più vicina a lui, ma improvvisamente mi sono accorta che non
stava sorridendo a me, non si era nemmeno accorto di me, visto che i suoi occhi
erano puntati addosso a un altro ragazzo, dall’altra parte del locale. Capisci
Jar? Era gay. Mi sono strusciata addosso a un gay». Si portò una mano tra i capelli, disperata per
quello che era successo. Se non fosse stata ubriaca e in procinto di piangere,
avrei iniziato a ridere per quella situazione, ma non me lo permise, perché
iniziò a parlare di nuovo, con gli occhi pieni di lacrime tanto che piegai
leggermente il capo, stringendo la mia mano tra le sue. «Sono così brutta Jar? Che cos’ho di sbagliato che fa
allontanare tutti da me? Non dico di essere una modella, non sono nemmeno
bellissima, ma speravo che qualcuno riuscisse a notarmi, invece sono proprio
invisibile, inscopabile forse è il
termine giusto. Che cosa mi manca per farmi notare dagli uomini? Tu sei un
uomo, dimmi dove sbaglio». Vidi una
lacrima scivolare sulla sua guancia e istintivamente la levai con il pollice,
alzando il suo volto delicatamente perché potesse guardarmi negli occhi.
«Harp, alcuni ragazzi guardano solamente la scopabilità, non si tratta nemmeno delle
nontette e credimi che ne ho viste di molto più brutte di te che se ne andavano
nel retro del locale. Semplicemente per quanto tu possa fingere di essere una
facile, si vede e sempre si vedrà che sei una ragazza semplice e che non
cederebbe la sera stessa. Chi cerca solo del sesso lo capisce e quindi cambia
preda, non è colpa tua». Cercai di
sorridere e vidi Harper scuotere la testa, sconfitta.
«Ho solo bisogno di sfogarmi un po’, è da troppo che
non trombo e ho bisogno di sfogarmi, senza impegno. È possibile che nessuno lo
capisca? Non si nota questa cosa? Non ci sono tipo dei prostituti o delle cose
così per noi donne? Magari in internet trovo qualcosa». Cercò di alzarsi dal divano per prendere il PC, ma
ricadde, non riuscendo a reggersi in piedi perché la testa le girava troppo a
causa dell’alcol bevuto.
«E tu cadresti così in basso, Harp? No, non sei così» mormorai, cercando di farla ragionare. Sapevo che il
giorno dopo non avrebbe ricordato niente di tutta quella conversazione, ma non
potevo lasciare che accendesse il PC e scrivesse a non sapevo nemmeno chi, di
trovarsi in qualche stupido motel.
«Jedi» urlò
all’improvviso, battendo le mani come se avesse avuto un’illuminazione. «Tu sei un uomo, non hai una donna da troppo e ti
conosco. Forza Jedi» si sfregò le mani,
girando lentamente la testa verso di me, «fammi
vedere la tua spada laser. Voglio farla illuminare». Portò le mani sul bordo inferiore del suo vestito,
cercando goffamente di alzarlo.
«Ehi, ehi! Harp! Che diamine fai?» domandai allarmato, appoggiando le mie mani sulle sue
perché non potesse continuare a spogliarsi. Che cosa stava dicendo? Stava
davvero proponendo che noi… no. Era l’alcol a parlare, erano i suoi ormoni e la
consapevolezza che ero un uomo e che quindi sarei stato in grado di soddisfare
il suo bisogno.
«Mi spoglio. Trombiamo. Tu non mi trovi attraente?». Tentennai nel risponderle, cercando di trovare le
parole giuste per non offenderla. Non si trattava di trovarla attraente o meno,
semplicemente… era Harper, non l’avevo mai vista come una vera donna, solamente
come Harper e basta. «Non mi trovi
attraente, ho capito. Non sono scopabile, logico». Fece spallucce, delusa da me e mi sentii in dovere di spiegarle la
situazione perché mi dispiaceva vederla soffrire, soprattutto se accadeva a causa
mia.
«No, Pri, non è questo. Non sto dicendo che tu non sia
scopabile, il discorso è semplicemente che…» non terminai la frase, perché, con una strana luce negli occhi, Harper
mi fece una delle domande che non mi ero mai volutamente posto, in tutta la mia vita.
«Quindi tu
tromberesti con me, se te lo chiedessi?».
Salve
ragazzuole!
Mi
scuso per l’infinito ritardo tra il primo capitolo e questo; giuro solennemente
che gli altri aggiornamenti arriveranno prima, credetemi!
Per
quanto riguarda You
saved me: ho pubblicato la OS finale che s’intitola I’m not a
coward… se a qualcuno interessa.
Passiamo
al capitolo… non ho molte cose da dire.
Alexis
è un chiaro riferimento a YSM e anche il motivo per cui non ha funzionato tra
Jared e lei…
Gangs
of New York
è un film di Scorsese ambientato a New York (ma vah?) nella nascita dei Five
Points, criticatissimo per diversi motivi.
E…
mi pare non ci sia altro, credo.
Quindi
vi ringrazio per la meravigliosa e numerosa accoglienza che avete dato a questa
storia e spero che non vi deluda e che continui a piacervi!
E
mi scuso anche per il linguaggio volgare!
Come
sempre ricordo il gruppo spoiler: NERDS’ CORNER, vi
ricordo che accetto tutti.
A
presto.
Rob.
|
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Capitolo 3 *** Please, what happened? ***
CBA
Video trailer
«Harp, ma che domande fai?» domandai in imbarazzo,
muovendomi irrequieto sul divano. Mi stava guardando con quello sguardo serio;
era davvero in attesa di una mia risposta.
«Quindi vedi? Non mi tromberesti nemmeno tu che sei mio
amico; sono senza speranza». Si alzò dal divano barcollando per dirigersi verso
la cucina. Probabilmente voleva mangiare, di nuovo; ma se l’avesse fatto poi
avrebbe vomitato e non mi andava davvero di passare tutta la notte in bagno, a
tenerle la mano sulla fronte.
«Che fai?» chiesi allarmato, seguendola e allungando le
braccia per sorreggerla quando ciondolò pericolosamente all’indietro, ridendo. «Harp,
non è il caso di mangiare, davvero. Ascoltami, sei ubriaca e se mangi poi
vomiti. Domani viene a trovarti Ken, ricordi? Non può vederti in piena post
sbornia, sai che si arrabbierà». Harper, appoggiata al tavolo della cucina,
continuava a guardarmi seria e attenta, come se quello che stavo dicendo fosse
di vitale importanza.
«Ken… Harper… i miei genitori dovevano davvero aver fumato roba
pesante quando hanno scelto i nostri nomi. Conosco solo due Ken: quello di
Barbie e quello di Magic Mike»
ridacchiò, piegandosi in avanti e sorreggendosi con le mani appoggiate alle
cosce perché stava ridendo troppo. Magic
Mike? Ma stava parlando di quel film di spogliarellisti?
«Harp… ma non avevi detto che non ti saresti abbassata a
vedere un film del genere al cinema?». Era lei che, dopo che io e i ragazzi
avevamo discusso a lungo su un film del genere –film che tutti e tre non
avevamo visto perché non interessati –aveva detto che era un insulto al genere
femminile; aggiungendo che si sarebbe infervorata con tutte le sue amiche che
sarebbero andate a vederlo all’anteprima mondiale.
«Ovvio che non l’ho visto al cinema, l’ho scaricato. Shhh,
ho piratato un film». Incominciò a ridere di nuovo, rischiando di svegliare
Kurt, nonostante vivesse nell’appartamento di fianco al nostro. Mi avvicinai a
lei per metterle una mano davanti alle labbra, impedendole di ridere così
rumorosamente, ma Harper si spostò, schiaffeggiando la mia mano. «No, caro mio.
Hai detto che non mi avresti scopata e quindi adesso non lo fai più. Non mi
importa se ti faccio pena perché ho piratato un film di spogliarellisti. Tu non
toccherai le mie nontette, né stasera né mai» mi ammonì, sventolando l’indice
sotto al mio naso. Iniziai a ridere come uno scemo, incapace di rimanere serio
di fronte ad Harp che così ubriaca sembrava soffrire di bipolarismo. «E non
fare quella cosa con la lingua, cazzo. Non fare quella cosa se non vuoi che ti
strappi la lingua con i miei denti». A quell’affermazione sgranai gli occhi,
confuso. Di che cosa stava parlando?
Cosa avevo fatto con la lingua? Perché avrebbe dovuto
strapparmela con i denti? «Harp, ma cosa stai dicendo?» domandai, avvicinandomi
a lei e stringendo la mano attorno al suo busto per accompagnarla a letto.
Stava farneticando troppo e parlava a vanvera; era decisamente meglio se si
distendeva a letto e dormiva, visto che la mattina dopo di sicuro avrebbe avuto
un dopo sbornia di quelli che le avrebbero fatto giurare –inutilmente –di non
bere più per il resto della sua vita.
«Fai una cosa con la lingua… ti lecchi il labbro superiore.
Non farlo se ci tieni alla tua masticazione, anzi alla tua deglutizione. Si
dice deglutizione Jar con la lingua birichina?». Mi spintonò con il gomito,
facendomi sbattere contro al muro e trascinandosi addosso a me. Per fortuna
eravamo arrivati al piano di sopra ed ero riuscito a stringere le mie braccia
attorno a lei prima che potesse cadere dalle scale. Mi ritrovai con il volto di
Harper davanti al mio, i suoi occhi lucidi che mi scrutavano curiosi e le sue
labbra socchiuse, tanto che sulla mia lingua sentivo il sapore dolce
dell’alcol. «Sai, Jedi… sei più figo con la barba rispetto a quel taglio
ridicolo che eri solito avere al liceo… quello che ti faceva assomigliare a
quell’attore Disney che ha fatto i musical». Iniziò a ridere di nuovo,
appoggiando la sua fronte sulla mia spalla e lasciandosi cadere, tanto che la
ritrovai seduta a terra, in preda a un attacco di risa.
«Alzati, scema» mormorai, caricandola in spalla e ridendo
quando sentii Harper farmi il solletico sui fianchi perché voleva camminare da
sola. La appoggiai sul materasso in camera sua, sedendomi di fianco a lei sul
letto e ridendo quando sbatté il capo contro al muro. «È meglio se dormi Harp;
domani andrà tutto meglio». Mi alzai dal suo letto per uscire, dopo averle dato
un bacio tra i capelli per augurarle buonanotte.
«Jedi… pensaci seriamente alla questione del trombarmi».
Subito dopo aver finito la frase –pronunciata con una serietà che mi disarmò
completamente –Harper iniziò a ridere, raggomitolandosi sotto alle coperte
senza nemmeno togliersi il vestito che indossava.
Scuotendo la testa perché ormai avevo capito che Harper era
senza speranza, mi chiusi la porta della sua camera alle spalle,
scompigliandomi i capelli e tornando in camera mia per spegnere definitivamente
il pc e dormire. Harp ubriaca mi aveva tolto tutte le forze, non avevo nemmeno
voglia di provare a risolvere quel problema al pc che non mi aveva permesso,
quella mattina, di finire il lavoro per consegnarlo in tempo. Abbassai lo
schermo del laptop e, dopo essermi spogliato, mi distesi a letto, ripensando ad
Harp ubriaca e ridendo. Era veramente seria quando mi aveva detto di pensare a…
no, non potevo credere che fosse seria. Iniziai a ridere, strofinandomi il viso
con le mani per rilassarmi e dormire.
Infernale. Ecco l’aggettivo che più descriveva la mia notte.
Perché dopo aver portato Harper a letto, visto che aveva iniziato a ciondolare
per casa cantando gli AC/DC, mi ero
accorto di essere abbastanza stanco da dormire. Come se fossi riuscito a farlo.
Mi ero svegliato innumerevoli volte, dopo strani sogni con ragazze mezze
svestite che muovevano le loro mani sul mio petto e sulle mie braccia.
Per questo, appena mi ero svegliato, avevo fatto una doccia
fredda per dimenticare quel sogno e per svegliarmi un po’. Ken sarebbe arrivato
quel pomeriggio e non mi sembrava giusto accoglierlo con i rimasugli di una
notte in bianco perché sua sorella si era presa una sbronza colossale.
Finii di sistemare il lavoro che dovevo consegnare quel
lunedì e, a mezzogiorno passato, decisi di vendicarmi con Harp: lei mi aveva
fatto sognare donne nude, io le avrei donato la sveglia polifonica migliore di
sempre; perché andare a letto con una sbronza la rendeva irritabile il giorno
dopo.
Aprii lentamente la porta della sua camera, chiamandola
dolcemente. «Harp, sveglia, su» mormorai, avvicinandomi alla mensola con lo
stereo che aveva di fianco al letto. La sentii lamentarsi con un suono che mi
fece ridere e pigiai un paio di pulsanti, selezionando la canzone. Appena partì
l’assolo di chitarra di Highway to hell
aprii il balcone lasciando che la luce entrasse in camera di Harp, colpendola
in pieno viso. «Highway to hell» urlai, avvicinandomi a lei e strattonando le
coperte per toglierle e scoprirla definitivamente. Harp mugolò, coprendosi con
il cuscino per nascondere il suo volto e tapparsi le orecchie «Whoo» urlai di
nuovo, togliendo anche il guanciale e lanciandolo dietro di me a tempo di
musica, fingendomi un chitarrista di una Air Band.
«Jar! Stronzo, spegni» strillò, mettendosi a sedere di
scatto. Si portò una mano alla fronte, probabilmente perché le girava la testa
tanto che subito dopo tornò a stendersi, tenendo gli occhi chiusi.
«Volevo solo farti provare l’ebrezza di sentire questa
canzone dal vivo, visto che stanotte non mi hai fatto dormire perché la cantavi
di continuo» spiegai, raccattando il cuscino e le coperte e lanciandole sopra
di lei per seppellirla viva in mezzo a tutti quei colori. Non avevo mai capito
perché Harp componesse il letto sempre con le lenzuola di colori spaiati. La
sua scusa era: «più colori, più sogni variopinti», ma ero sicuro che non fosse
proprio un accostamento decente verde evidenziatore –come lo chiamava lei
–azzurro cielo e fuxia. «Ken arriverà tra meno di due ore. Vedi di alzarti,
lavarti e mangiare qualcosa, visto che sembra tu abbia passato la serata in una
distilleria» dissi, uscendo dalla sua camera e scendendo al piano di sotto per
guardare un po’ la tv.
Qualche istante dopo udii la porta del bagno chiudersi e il
rumore dell’acqua che scrosciava: Harp si stava facendo il bagno. Socchiusi gli
occhi sorridendo quando sentii le prime note di una canzone degli Iron Maiden diffondersi per
l’appartamento. Un giorno o l’altro Kurt avrebbe bussato alla nostra porta,
arrabbiato perché non ne poteva più di canzoni rock e metal.
«Jared» urlò così forte Harper che mi alzai dal divano di
scatto, preoccupato che le fosse successo qualcosa. Feci i gradini a due a due
per arrivare prima davanti alla porta chiusa del bagno. «Harp? Tutto bene?
Perché hai urlato?» chiesi, con il fiato corto per la corsa. Non udii risposta
e appoggiai la mano sulla maniglia, pronto a entrare.
«È… aiuto… entra cazzo» sbottò, rendendomi confuso. Che
c’era? Si era fatta male? Perché mi aveva chiamato? Senza aspettare un secondo
in più aprii la porta, entrando in bagno e guardandomi attorno. La porta del
box doccia era aperta; Harper se ne stava in piedi, con uno sguardo
terrorizzato. Quello che però mi colpì e mi fece sgranare gli occhi per la
sorpresa fu il suo abbigliamento.
«Harper! Sei nuda, cazzo» urlai, coprendomi gli occhi con
una mano per non guardarla di nuovo. Non avevo visto niente, non avevo visto il
suo tatuaggio a forma di quadrifoglio sul fianco, nemmeno le sue nontette. Men
che meno la sua pancia piatta.
«Come dovrei fare la doccia, vestita? Togli quel ragno, è
enorme. Oddio, una tarantola nel nostro bagno. Te l’ho sempre detto che devi
pulire di più la tua stanza, guarda che cosa esce da lì, poi» inizio a
blaterare, mentre le lanciavo un telo perché potesse arrotolarselo attorno al
corpo e coprirsi. Era Harp, ma rimaneva una donna, e io un uomo che da troppi
giorni non faceva una sana trombata.
«Mi fai perdere quindici anni di vita per questo?». Presi
tra il pollice e l’indice quel piccolo ragnetto che misurava sì e no un
centimetro e allungai il braccio verso di lei, facendola urlare ancora più
forte. Notando la sua reazione non riuscii a trattenermi e iniziai a ridere,
avvicinandomi di un passo a lei e costringendola a indietreggiare fino a quando
si trovò intrappolata perché c’era il lavandino dietro di lei. «Ha più paura
lui di te, Harp». Aprii la finestra del bagno, appoggiando il ragno sul davanzale
senza ucciderlo. Odiavo uccidere i piccoli insetti solo perché erano una delle
tante fobie di Harp. «Adesso fatti questa dannata doccia e non urlare più,
nemmeno se vedi la mamma di quel ragno».
Mi chiusi la porta del bagno alle spalle, ridendo quando
sentii la voce di Harp mormorare un «Mamma?» spaventata. Almeno si sarebbe impaurita
e non avrebbe più provato a farmi quegli attacchi a sorpresa. Nuda. Non che ci
avessi poi fatto tanto caso, ma era meglio non pensare più a quell’incidente.
In fin dei conti l’avevo vista nuda anche... in prima elementare, mentre sua
mamma la cambiava davanti a me, al mare. Non era cambiato nulla, no?
«Ahh» sbottai, frustrato, portandomi le mani tra i capelli e
tirandone qualche ciocca per cercare di non pensare a quello che era successo.
Fortunatamente lo scalpiccio dei piedi di Harper mentre scendeva la scala mi
fece tornare alla realtà, distraendomi da quei pensieri senza senso.
«Devo mangiare, sto morendo di fame e mi fa mal di testa.
Jar vieni in cucina a farmi compagnia?» domandò, mentre la sentivo aprire le
ante dei mobiletti della cucina, per cercare qualcosa da mangiare. Imprecò,
lamentandosi della Nutella che era quasi finita e con un sorriso mi alzai, per
raggiungerla. «Allora, che è successo ieri sera? Perché non mi ricordo proprio
di aver camminato fino a casa… forse ho esagerato un po’ troppo con l’alcol
ieri sera, ma non ne sono sicura». Arricciò il naso, avvicinando il barattolo
mezzo vuoto di Nutella al viso e scavando con il cucchiaio. Sembrava una
bambina che mangiava la cioccolata, soprattutto perché indossava quella vecchia
t-shirt logora che la faceva sembrare ancora più magra e giovane. «Insomma,
come ho fatto a tornare a casa?». Alzò lo sguardo per incontrare il mio prima
di iniziare a spalmare la cioccolata sulla fetta di pane che aveva tagliato
qualche istante prima.
«Mi hai chiamato; eri ubriaca e sono riuscito a capire dove
ti trovassi così sono venuto subito a prenderti e ti ho portato a casa. Non so
che cosa sia successo, parlavi in modo confuso, hai nominato un paio di
ragazzi, uno con la ragazza e un gay e poi dicevi cose strane come il tuo
solito. Era una sbronza pesante». Accennai a un sorriso, sperando che Harp non
notasse quanto fossi turbato al ricordo della sua domanda, quella notte. Non
volevo che iniziasse a tempestarmi di domande come il suo solito, soprattutto
perché sapevo che alla fine mi sarei visto costretto a dirle che cosa mi aveva
chiesto e io volevo solo dimenticare quella scomoda domanda.
«Non ricordo niente davvero. Oddio sono presa male. Ho detto
altro? Sparato qualcosa di idiota come il mio solito? Non mi sono spogliata
vero? Cioè mi hai trovato vestita, giusto? Non ho fatto o detto niente di
sconveniente?». Continuava a parlare sempre più veloce, facendosi prendere dal
panico. Come potevo dirle che mi aveva chiesto se avrei voluto trombarla? Non
era da me ricordarle cosa diceva da ubriaca –a meno che non fosse qualcosa di
talmente stupido che mi permetteva di deriderla per giorni interi –quindi avrei
sorvolato.
«No, mi pare di no. Ero molto stanco e non ricordo ogni
parola, ma non dovresti aver detto altro». Non riuscivo nemmeno a guardarla
negli occhi perché mi sentivo un bugiardo. Non ero abituato a mentire ad Harper
e l’idea che in quel momento stavo raccontando una delle bugie più grandi di
sempre mi faceva sentire ancora più sporco. Mi concentrai sul calendario appeso
al frigo, fingendo che ci fosse qualcosa di interessante lì sopra.
«Jar… stai mentendo. Guardi il calendario in due momenti:
prima che mi venga il ciclo, per controllare; oppure quando non vuoi farmi
capire che menti. Siccome non deve
venirmi il ciclo a breve stai mentendo. Che cosa è successo? Che ho
fatto? Che ho detto?». Si agitò tanto che iniziò a gesticolare tenendo il
panino in mano e non badando al suo mento sporco di cioccolato. Quando Harp
mangiava la Nutella diventava una bambina, sporcandosi ovunque. Ridacchiai,
porgendole una salvietta e indicandole il mento perché potesse pulirsi, ma
sembrava che non considerasse la nostra discussione conclusa, perché –dopo
essersi pulita –ritornò a incrociare le braccia sotto al seno e mi guardò, in
modo quasi minaccioso. «Dimmi che cosa ho fatto» ordinò di nuovo,
spaventandomi. Harp conosceva tutti i miei punti deboli e sapeva come farmi
cedere, soprattutto perché era testarda e non si sarebbe arresa fino a quando
non avessi sputato il rospo.
Meglio mentire, decisamente. «Niente Pri, o almeno, se hai
detto o fatto qualcosa non ricordo davvero. Ero stanco e appena siamo arrivati
a casa ho preso sonno nel divano». Cercavo di guardarla negli occhi per farle
vedere che non stavo mentendo, ma non ci riuscivo; per quanto mi impegnassi il
mio sguardo fuggiva dal suo: mi sentivo colpevole.
«Jar, stai mentendo. Tu ricordi che cosa è successo e non
vuoi dirmelo. Quindi è qualcosa di grave, perché di solito appendi post-it in
giro per casa con le frasi epiche che ho detto dopo essermi ubriacata. Andiamo,
non può essere così grave, no? Sarà stato qualcosa di porno, se ho detto che ho
guardato un porno non è vero, era solo un pezzettino e poi mi sono rotta perché
si vedeva che lei stava fingendo e ho chiuso, lo giuro». Si portò una mano sul
cuore, facendomi sorridere. Forse sì, se mi avesse raccontato che aveva visto
un pezzo di un film porno avrei tempestato la casa di post-it con frasi idiote
per prenderla in giro, ma quella domanda non mi permetteva di deriderla. Non
potevo però continuare a mentirle, perché Harper se ne sarebbe accorta e non mi
avrebbe dato più pace; la conoscevo.
«D’accordo. Ti ho portato a casa ed eri ubriaca, mi hai
raccontato che avevi visto due ragazzi carini poi ti hanno rifiutata perché uno
aveva la ragazza e l’altro era gay, così ti sentivi brutta. Era una sbronza
triste, te lo dico già. Così all’improvviso mi hai chiesto se…». Mi fermai,
prendendo un respiro profondo e socchiudendo gli occhi per qualche istante.
Sarebbe cambiato qualcosa? No, ovvio che no. Avremmo riso per quella domanda
scema dettata dall’alcol e poi ce ne saremmo dimenticati per sempre, perché non
aveva nessun senso rimuginare su una cosa così stupida. «… mi hai chiesto se voglio
trombarti, nel caso tu me lo chiedessi».
Non era stato poi così brutto come mi ero immaginato.
Eravamo entrambi ancora vivi, anche se Harp aveva la mascella che toccava terra
e gli occhi sgranati per la sorpresa. La vidi muovere le labbra, come se
volesse dire qualcosa, ma entrambi sussultammo sentendo una voce alle nostre
spalle.
«Dov’è la mia sorellina preferita?». Ken entrò in cucina
lanciando le chiavi di casa sopra alla tavola e allargando le braccia, in un
chiaro invito per Harp ad abbracciarlo –come faceva sempre. Harper però
continuava a rimanere seduta sulla sedia, in procinto di dire qualcosa che non
voleva uscire dalle sue labbra. «Uno attraversa tre stati per salutare sua
sorella e viene accolto così, direi che la mia autostima ha raggiunto le vette
dell’Everest, Hapi». Ken sorrise, ammiccando verso la sorella che sembrò
riprendersi all’improvviso.
«Ken» urlò correndo verso di lui e abbracciandolo di slancio, tanto da farlo indietreggiare
di un passo per non perdere l’equilibrio. «Mi sei mancato tanto». Vidi Ken
sorridere mentre ricambiava l’abbraccio di Harp e sorrisi anche io di riflesso.
Ken era sempre stato un ottimo fratello per Harper;
protettivo e buono, l’aveva difesa dai bambini più grandi fino a quando,
all’asilo, lei non mi aveva incontrato. Poi, davanti alle statue di Biancaneve
e dei sette nani, Ken mi aveva minacciato con una manciata di sassi: avrei
dovuto proteggere sua sorella visto che l’anno dopo lui sarebbe andato alle
elementari e non avrebbe più potuto farlo. Da quel giorno, dopo che avevo
promesso di proteggerla da tutti, io e Harp eravamo diventati ancora più amici,
sostenendoci e punzecchiandoci. Non era passato giorno senza che ci deridessimo
a vicenda, sotto lo sguardo divertito di Ken che –da bravo fratello maggiore
–controllava tutti i ragazzi che cercavano di conquistare sua sorella. Poi era
arrivato il momento per Ken di scegliere il college e si era trasferito a
Lubbock, in Texas, allontanandosi da me, ma soprattutto da Harper che aveva
sofferto per quel distacco. Certo, non l’aveva detto espressamente, ma la
conoscevo talmente bene da sapere quando soffriva per qualcosa. Per questo il
suo ultimo anno di liceo era stato il peggiore: voti bassi dovuti al suo scarso
impegno e feste di confraternite a cui si imbucava quasi tutte le sere. Poi,
dopo aver parlato con Ken prima delle vacanze di primavera, Harp era cambiata,
o meglio, era tornata la Harp di sempre. Non sapevo che cosa Ken gli avesse
detto, ma di sicuro quelle parole avevano fatto capire ad Harper che quella che
aveva intrapreso non era la strada giusta.
«Già così mi piace di più» sogghignò Ken, accarezzando la
schiena di Harper e sorridendo. «Sbaglio o sei ingrassata? Riesco quasi a non
sentire le tue scapole». Le pizzicò la pelle della schiena, facendola mugolare
per il dolore. Quel suono ci fece ridere entrambi. «Allora, come state? Come va
con Noah o come si chiama?». Ken non riuscì a notare in tempo la mia
espressione sconvolta: cosa avrebbe detto Harper, visto che era davvero ferita
da Noah, nonostante fossero stata con lui solo per due mesi?
«Mi ha lasciata. Ha detto che non ero quella giusta per lui
e che non mi trovava attraente». Harp fece spallucce, tornando a sedersi per
finire di mangiare il suo panino con la Nutella, come se il discorso potesse
considerarsi concluso con quella frase. Sapevo che Ken non avrebbe detto nulla
in presenza di Harper, ma mi avrebbe fatto il terzo grado una volta soli.
«Quando sono così idioti è meglio lasciarli perdere»
sentenziò, accendendosi una sigaretta dopo essersi seduto su uno sgabello di
fianco a me. «E tu, a donne come sei messo?». Mi diede una pacca sulla spalla, facendomi
ridere. Harper e Ken erano uno l’opposto dell’altro fisicamente: lei aveva due
grandi occhi verdi, lui castani. I capelli di Harp erano di un biondo naturale
che lei mascherava con quel rosso scuro; quelli di Ken invece, come i suoi
occhi: castani. Nonostante tutto però, avevo imparato a vedere, attraverso il
corso degli anni, come alcune espressioni e alcuni modi di fare li rendessero
simili.
«Bene dire. Non c’è nessuna che mi disturba mentre gioco con
l’X-box. A parte tua sorella, naturalmente». Trovai il tappo di una bottiglia
di birra e lo lanciai contro Harp, dopo che alla mia affermazione mi aveva fatto
una linguaccia. «Scherzi a parte, nessuna al momento, ma non mi lamento, sto
bene così». Ed era la verità, non sentivo la mancanza di una donna, forse
perché il lavoro occupava davvero molte delle mie energie e quasi tutto il mio
tempo. Di certo non era perché –come credeva Harp –passavo il tempo guardando
film porno.
«A proposito del lavoro… devo chiederti una cosa del mio pc.
Non so che gli sia successo, ma ha lo schermo che fa lo stupido. I colori si
vedono male e non so se sia perché è partita la scheda video o…» iniziò a
spiegarmi, prima che Harp si alzasse in piedi, muovendo le braccia per attirare
la nostra attenzione.
«Prima che vi perdiate con i vostri discorsi da individui
maschili, andiamo a cena fuori tutti assieme stasera? Io con i miei uomini?»
propose, portando le mani a intrecciarsi sotto al mento, in attesa di una
risposta da parte nostra. Ken mi guardò, annuendo assieme a me e sentimmo
entrambi il gridolino felice di Harper che corse ad abbracciare entrambi nello
stesso momento, dando prima un bacio sulla guancia a Ken e poi uno a me. «Vado
a farmi una doccia e mi preparo, sbrigatevi, faccio presto» urlò, salendo le
scale di corsa. Avrei voluto dire che non le serviva lavarsi di nuovo, visto
che l’aveva fatto meno di due ore prima, ma sapevo che con Harp non era il caso
di discutere, soprattutto perché aveva già acceso lo stereo in bagno.
«Che le succede?» domandò Ken, appena sentimmo la porta del
bagno chiudersi. Sapevo che mi avrebbe chiesto qualcosa di Harper, l’aveva
trovata troppo strana e Ken notava subito ogni più piccolo sbalzo d’umore di
sua sorella.
«Credo che ci sia rimasta davvero male perché Noah l’ha
lasciata. Per una settimana non è praticamente mai uscita e quando l’ha fatto,
ieri sera, ha indossato un vestito e dei tacchi altissimi. Mi ha chiamato
ubriaca che non sapeva come tornare a casa. Credo abbia bisogno solo di tempo,
sai com’è; non ammetterà mai di essere rimasta delusa da Noah, anche perché
l’ha lasciata davvero come un cretino. Le ha detto che non era attratto da lei
e che aveva troppe poche tette per venire, se mai avessero trombato». Non aveva
senso mentire a Ken, anche perché, se l’avessi fatto, sarebbe tornato a Lubbock
con il pensiero che Harp non era felice, e non potevo permettere che accadesse.
«Che stronzo. Sai dove abita? Ho una mazza da baseball in
macchina…» sogghignò, fingendo di sgranchirsi il collo per sembrare più
minaccioso. Ridemmo assieme, prima che si alzasse per gettare la sigaretta
ormai spenta dentro al cestino. «Perché stasera non inviti anche Joe e Wilson?
Almeno la faranno ridere un po’, no? E poi è da tanto che non vedo i tuoi amici».
Ken si voltò per guardarmi, in attesa di una risposta. Esattamente in quel
momento ricordai perché continuavo a dire che, riguardo alcuni aspetti, si
vedeva che lui fosse il fratello di Harp. Anche lei quando voleva qualcosa
usava la stessa espressione. Doveva per forza essere l’espressione Hetfield, non c’era altra soluzione.
«D’accordo, provo a sentire se sono liberi per cena». Cercai
il telefono dentro alla tasca dei jeans, trovandolo poco dopo e digitando il
messaggio per chiedere ai ragazzi se fossero o meno liberi quella sera. Non
passarono che pochi istanti, prima di leggere le loro risposte. «Sono liberi
entrambi e felici di passare la serata con te. C’è solo una condizione che
credo non andrà bene ad Harper: vogliono mangiare all’Uga Uga». Non riuscii a trattenere una risata al pensiero
dell’espressione schifata di Harp, nel momento in cui avrebbe saputo dove
saremmo andati a cenare.
«Ottimo, a Lubbock non c’è nessun posto come l’Uga Uga. Digli di sì, ma non diciamolo
ad Harper» sghignazzò, facendomi ridere. Harper entrò in cucina in quel
momento, trovandoci con le lacrime agli occhi e chiedendoci cosa ci fosse di
così divertente.
«Niente, la scheda video di Ken si è rotta, ma per
controllare abbiamo guardato un porno, visto che Ken sapeva i colori a memoria»
scherzai, notando l’espressione di Harper mutare e sentendo la risata di suo
fratello farsi più acuta per l’ilarità della situazione. «Comunque stasera a
cena con noi ci sono anche Joe e Wilson, non vorrei mai che poi ti stupissi
quando te li trovi davanti». Meglio non dire il ristorante, però; altrimenti
avrebbe volentieri declinato l’invito per la cena.
«D’accordo. Dove andiamo a mangiare?».
Mi
scuso immensamente per il ritardo, avevo promesso che avrei aggiornato più
velocemente e invece è passato tantissimo tempo dal capitolo precedente; non so
davvero come farmi perdonare, lo ammetto.
Riguardo
al capitolo, solo un paio di precisazioni: Quando parla di “Ken” dal film Magic Mike mi riferisco al ruolo di Matt
Bomer, che per l’appunto nel film si chiamava Ken.
Quando
Harp dice a Jar che è meglio la versione con la barba rispetto a quella di lui
al liceo che assomigliava all’attore Disney... l’attore Disney a cui mi
riferisco è proprio Zac Efron, durante gli HSM.
AC/DC e Iron Maiden sono due gruppi rock/metal e
il cognome di Harper è Hetfield, come il cantante e chitarrista dei Metallica James Hetfield, volevo che
fosse un tributo a loro :)
Uga Uga è un nome che
mi sono inventata e non so se a Los Angeles –ma non credo proprio –esista un
ristorante con questo nome e con le caratteristiche di cui parlerò nel prossimo
capitolo.
Infine,
se non avete visto, all’inizio del
capitolo è apparso un link per il video trailer come sempre fatto da Ale,
guardatelo! (Se siete pigre e non volete tornare all’inizio della pagina
riposto il link QUI).
Ultimissima
cosa… NERDS’ CORNER
è il gruppo spoiler dove ci sono anche i volti dei personaggi. Accetto tutti,
quindi se volete iscrivervi non ci sono problemi.
Ho
finito davvero, mi scuso ancora per il ritardo.
A
presto.
Rob.
|
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Capitolo 4 *** I just want to know... ***
CBA
Video trailer
Dire ad Harp che saremmo andati a mangiare all’Uga Uga
equivaleva a obbligarla a rimanere a casa. Per questo cercai di inventarmi una
scusa per non spiegarle che saremmo andati al Ristosauro.
«Decide Wilson» mentì Ken, prendendo in mano la
situazione e sorridendo ad Harper che si rilassò. Di sicuro non pensava che suo
fratello potesse mentirle, visto il loro rapporto. In verità però non era una
bugia, visto che era stato proprio Wilson a proporre quel locale. «E io vado a
farmi una doccia, perché non voglio uscire a cena con mia sorella e profumare
da uomo» sghignazzò, tappandosi il naso come se puzzasse.
Harper rise, tirando un calcio sul sedere a Ken mentre
la superava per andare al piano superiore. «Non mi vuoi proprio dire dove
ceneremo?». Si avvicinò a me, assottigliando lo sguardo per far vedere che
stava studiando i miei gesti.
«No» sbottai, dandole le spalle e fingendo di cercare
qualcosa dentro al frigo. Se non mi guardava non poteva sapere che mentivo; ero
quasi sicuro che il mio viso assumesse una smorfia strana che Harp, nel corso
degli anni, aveva imparato a interpretare. «Forse è meglio se vado a vestirmi,
Ken di solito è veloce a prepararsi». Meno rimanevo vicino ad Harper e più
possibilità avevo che non scoprisse il nostro tranello.
Salii i gradini di corsa, arrivando in camera e
indossando un paio di jeans, una t-shirt e la giacca di pelle. Passai la mano
tra i capelli senza nemmeno guardarmi allo specchio e, nel momento in cui uscii
dalla mia camera, Ken aprì la porta del bagno, vestito e pronto per andare a
cena.
«Hapi, ci sei?» strillò, per farsi sentire da sua
sorella che stava cantando al piano di sotto. Lo vidi alzare gli occhi al
soffitto, come se sapessimo entrambi che Harp non aveva più speranze, e
scendemmo, ridacchiando.
«Siete pronti? Andiamo?». Harper si sistemò i capelli
dietro la schiena, lisciandosi le pieghe del top grigio. Niente tacchi o
vestitini corti: solamente un paio di ballerine accompagnate da dei jeans
stretti. Sorrisi, notando come potesse essere ancora più bella senza quei pezzi
di stoffa che scoprivano anche troppa pelle.
«Ho una sorella gnocca, poco da fare» ridacchiò Ken,
abbracciandola e scompigliandole i capelli in un gesto che fece sbuffare Harp.
«Mai detto il contrario» asserii, con un sorriso che
morì sulle mie labbra quando notai lo sguardo strano che Harp mi aveva
riservato. Avevo detto qualcosa di sbagliato? L’avevo offesa in qualche modo?
Credevo di averle fatto un complimento!
Senza aggiungere altro, Harp prese la sua borsa, uscendo
e richiudendosi la porta alle spalle, lasciando me e Ken ancora in cucina.
«Va tutto bene tra di voi?» chiese Ken, alternando gli
sguardi tra la porta chiusa e il mio volto. Sembrava sospettoso, come se
qualcosa non lo convincesse del tutto; si appoggiò addirittura alla tavola dietro
di lui, incrociando le braccia al petto in attesa di una mia spiegazione.
«Credevo di sì, fino a trenta secondi fa» mormorai,
senza smettere di guardare la porta chiusa. Perché Harp aveva reagito così? Non
mi sembrava di averla ferita in nessun modo. «Ti sembra che io l’abbia offesa?»
chiesi a Ken, sperando che il suo DNA simile a quello della sorella potesse
aiutarmi a risolvere quello strano rompicapo. Ken scosse la testa, sospirando e
seguendo Harp, lasciandomi in cucina da solo. «Hetfield» mormorai, capendo che
qualcosa in quella famiglia non li rendeva del tutto normali.
Quando chiusi lo sportello di Pixie e accesi il
motore, vidi Harp dallo specchietto retrovisore mangiucchiarsi l’unghia
irrequieta; ma non parlai, sicuro che avrei peggiorato la situazione. Guidai
verso l’Uga Uga e, divertito, mi concentrai di nuovo sul viso di Harper quando
svoltai per entrare nel parcheggio del Ristosauro.
«Stronzi! Perché mi avete portata qui?» urlò, facendoci ridere. Vedere il volto
arrabbiato di Harp dallo specchietto retrovisore era una delle cose che
preferivo fare; quando si arrabbiava le sue guance si coloravano di rosso e,
senza rendersene conto, alzava il sopracciglio sinistro, assumendo l’aria di
una maestrina sexy. Cioè, solo di una maestrina, non sexy. Forse di una
maestra, più che maestrina. «Questa è stata un’idea tua, vero?» sbraitò,
scendendo dalla macchina e correndo verso Wilson che iniziò a ridere,
appoggiandosi alla macchina di Joe, dietro di lui.
«È o no un ristorante raffinato dove porteresti una
ragazza al primo appuntamento per un dopocena movimentato?» sghignazzò Wilson,
avvicinandosi ad Harp per abbracciarla. Al posto dell’abbraccio però Harp gli
diede un pugno sullo stomaco che lo fece gemere per il dolore. «Violenta così
sei ancora più gnocca». Wilson proprio non demordeva e sapevamo tutti che era
uno scherzo, visto che anche Harp si mise a ridere, scuotendo il capo,
rassegnata.
«Ken, diventi sempre più brutto, idiota». Joe si
avvicinò a Ken, stringendogli la mano e scambiando con lui un mezzo abbraccio
per salutarlo scherzosamente. «Madame». Finse un inchino, rivolto ad Harper, a
pochi passi da lui. Si avvicinò anche a lei per abbracciarla, prima di
scompigliarle i capelli come faceva sempre.
Era un nostro vizio; ogni volta che ci avvicinavamo a
lei non riuscivamo a smettere di arruffarle quella chioma rossa, semplicemente
perché sapevamo quanto la infastidisse. Continuava a dire che i suoi capelli
erano lunghi e che era difficile pettinarli, ma noi non la ascoltavamo mai.
«Entriamo? Non vorrei che si raffreddassero le ali di pterodattilo vulcaniche». Wilson
cinse le spalle di Harper con un braccio, accompagnandola verso l’entrata del
ristosauro. «Prima le signore». Si finse un galantuomo, aprendo la porta ad
Harper che entrò con un sorriso sulle labbra e uno sguardo che diventò subito
preoccupato.
«Io me ne vado». Si scrollò il braccio di Wilson di
dosso e corse subito fuori, senza che potessi sapere il motivo di quel gesto.
«Oh cazzo» mormorò Wilson, guardando un punto preciso
del locale per poi fissare il suo sguardo nel mio. «Noah» spiegò subito dopo,
osservando Harper che era già arrivata davanti a Pixie e cercava di aprire la
portiera, nonostante fosse impossibile farlo, visto che avevo chiuso le sicure
qualche minuto prima.
«Rimanete qui» ordinai, lanciando uno sguardo a Ken
che, curioso, si affacciò dentro al locale per vedere di che cosa stessimo
parlando. «Pri». Mi avvicinai a lei, appoggiando una mano sulla sua spalla
perché smettesse di provare ad aprire la macchina. Sembrava una pazza.
«Sta. Fermo. Non toccarmi». Si voltò verso di me, con
l’indice alzato, come se volesse ammonirmi. «Voglio andare a casa». Incrociò le
braccia sotto al seno, segno che era davvero arrabbiata.
«Harp, sono io, Jared» mormorai, allungando una mano
verso il suo viso per spostarle una ciocca di capelli che si era attaccata alle
sue labbra, senza riuscirci; la mano di Harp mi colpì il braccio con uno
schiaffo, prima che potessi anche solo sfiorarla.
«So chi sei, voglio andare da Ken». Non disse altro,
semplicemente camminò fino all’entrata del locale, avvicinandosi a Ken e
abbracciandolo. Li vidi parlare sottovoce senza che Joe e Wilson potessero
sentirli, poi, dopo che Ken prese il volto di Harp tra le mani e si avvicinò
per sussurrarle qualcosa all’orecchio, iniziarono a ridere entrambi, appena
prima che Harp lo abbracciasse di nuovo, strofinando il naso contro il suo
petto.
«Entriamo» annunciò Ken, prendendo sottobraccio Harp
prima di aprire la porta del locale ed entrare, seguito subito dopo da Joe e Wilson. Camminai velocemente per
raggiungerli, continuando a pensare che l’unica spiegazione possibile per lo
strano comportamento di Harper e Ken fosse il loro cognome. Non trovavo altre
scuse, semplicemente perché forse non ce n’erano. «Sta al gioco» mormorò Ken,
appena li raggiunsi. Vidi la sua mano intrecciata a quella di Harper e capii:
fingeva di essere il suo fidanzato, forse per far ingelosire Noah che, con
solamente un pezzo di stoffa leopardato –che simboleggiava degli slip –a
coprirlo, camminava su e giù per il locale, servendo i clienti.
«Non sapevo che facesse il cameriere in questo locale»
mi giustificai subito con tutti. Nessuno lo sapeva, nemmeno Harp. Da quello che
ricordavo era il cameriere in un pub a West Hollywood, non al Ristosauro vicino
a casa. Dagli sguardi dei ragazzi e di Harp capii che nemmeno loro ne erano a
conoscenza. «Oh cazzo» mormorai, non appena vidi che tra tutti i camerieri e le
cameriere, si stava avvicinando a noi proprio l’ultima persona che volevamo.
«Harper?» domandò Noah, fingendo di non essere sicuro
che fosse lei. Strinsi entrambe le mani a pugno, trattenendomi dal tirargliene
uno solo perché eravamo in un luogo pubblico, e non ero ancora così primitivo
–nonostante l’ambientazione del locale.
«Chi è, Hapi?». Ken guardò Noah con disgusto, come se
puzzasse. Faticai a trattenere una risata, davanti alla sua recita. Harper alzò
le spalle, disinteressata, come se non lo conoscesse. «Hapi, lo conosci o no,
questo primitivo?» incalzò di nuovo Ken, gonfiando il petto, per sembrare più
spaventoso. Non riuscii a trattenere una risata che cercai di mascherare con un
colpo di tosse, dando le spalle a quel siparietto divertente.
«Uno con cui sono uscita un paio di volte mentre io e
te ci eravamo presi una pausa, niente di importante». Harper fece di nuovo
spallucce, mentre tutti e cinque notammo lo sguardo di Noah diventare
incredulo. «Non è proprio riuscito a farmi cambiare idea, Ken. Era proprio…
insipido».
L’aggettivo che usò Harper mi fece ridere di nuovo,
questa volta però anche Joe e Wilson non riuscirono a trattenersi. Le nostre
risate aumentarono quando Ken rispose ad Harper, rendendo la scena ancora più
surreale: «Per fortuna sono tornato io a mettere un po’ di sale nella tua vita,
baby». Le accarezzò una guancia, dolcemente. In quel gesto c’era tutto l’amore
che provava per lei, si vedeva dal suo sguardo quanto volesse proteggerla a
tutti i costi, da tutto e tutti; perché il loro rapporto sarebbe sempre stato
così. «Allora, un tavolo per cinque è possibile?». Spazientito era l’aggettivo
che più descriveva Ken in quel momento. Attore era il lavoro che avrebbe potuto
fare.
Decisamente confuso –tanto che sembrava stordito –Noah
ci fece accomodare a un tavolo, porgendoci i menu stampati su un cartone grigio
che volevano emulare una lastra di pietra. Si congedò, camminando velocemente
per andare a nascondersi dietro al bancone e parlare con un’altra cameriera.
Probabilmente le aveva chiesto di sostituirlo per servire al nostro tavolo.
Quella scenetta fece ridere tutti, Harp compresa, che si rilassò un po’,
smettendo di essere seduta in modo così rigido di fianco a me.
«Scusa per prima, Jedi» mormorò Harper, appoggiando la
sua guancia sulla mia spalla e sospirando.
Sorrisi posando una mano sulla sua gamba e
picchiettando leggermente, per farle capire che non doveva preoccuparsi. Non me
la prendevo per lo scatto che aveva avuto qualche minuto prima, o –almeno una
volta al mese –avrei dovuto trasferirmi.
Ordinammo ali di
pterodattilo vulcaniche, facendo rabbrividire Harp che invece prese solamente
foglie verdi.
«Perché ogni volta che veniamo a mangiare al
Ristosauro tu prendi sempre insalata? Perché non prendi ali di pterodattilo vulcaniche o quelle esplosive?» chiese Wilson, strofinandosi le mani quando vide sul
bancone le nostre ordinazioni con il nettare
degli Dei. Birra.
«Perché io sono più intelligente di voi che una volta
arrivati a casa inizierete a lamentarvi per il mal di stomaco che la salsa al
peperoncino sulle vostre ali di pollo vi ha causato. Mangiando solo insalata
non rischio un’ulcera. Lo sapete che ogni volta che uscite da qui siete piegati
in due per il male, ma vi ostinate a venire qui a mangiare come primitivi,
senza posate, solo perché vi sembra di essere più uomini». Si sedette meglio
sulla panca in pietra riscaldata, facendo notare a tutti e quattro quanto fosse
stizzita. «E vi ricordo che sono qui solo perché c’è Ken, altrimenti non sarei
nemmeno entrata in questo… ristosauro». Probabilmente Harper si era trattenuta
solo perché la cameriera era arrivata con i nostri ordini. Vidi il sorriso di
circostanza sulle labbra di Harp sparire non appena la ragazza ci diede le
spalle, guadagnandosi un’occhiata interessata da parte di Wilson che si fece
vedere da Harper. «Andiamo, Wilson, inizia a elencare i pregi di quella ragazza.
È intelligente perché ha le tette grosse, simpatica per il culo a sodo e poi?»
scherzò, senza smettere di abbracciare Ken.
Nonostante Ken non fosse –fisicamente –una presenza
costante per Harp, l’affetto che provavano l’uno per l’altra mi aveva sempre stupito.
Ken c’era sempre per lei; c’era stato il giorno del diploma, quello della
laurea, quando il primo ragazzo aveva spezzato il cuore di Harp e quando aveva
firmato il primo contratto di lavoro. Correva da Lubbock a Los Angeles anche in
piena notte se sapeva che Harp aveva bisogno di lui per qualsiasi cosa. Non le
aveva mai fatto sentire la mancanza dei loro genitori; per questo Harp era così
legata a lui.
Quando terminammo la cena, dopo una doppia porzione di
ali di pterodattilo vulcaniche, uscimmo dal locale massaggiandoci lo stomaco
perché, esattamente come Harp aveva previsto, tutti e quattro provavamo dolore.
«Ve l’avevo detto, ma se siete idioti e uomini non è
colpa mia» sghignazzò Harp, senza smettere di rimanere accanto a Ken, che si
lamentava più di tutti. «Dimmi te se devo avere un fratello idiota che non mi
ascolta» aggiunse poi, scuotendo il capo, senza speranza.
«Andiamo a casa, vi prego, morirò, stanotte» si
lamentò Wilson, appoggiandosi alla sua macchina per riuscire a rimanere in
piedi. «Ken, fa buon viaggio, alla prossima. Magari, come ci promettiamo ogni
volta, mangeremo insalata». Allungò la mano senza però stringerla a quella di
Ken, troppo impegnato a massaggiarsi la pancia.
«Addio, è stato bello conoscervi. Harp, ti lascio
tutti i miei averi, Wilson, la mia collezione di porno, Joe, il mio computer e
l’impianto stereo. Jar, a te lascio Harp, prenditi cura di lei». Mi diede una
pacca sulla spalla, facendomi mugolare per il dolore; stavo già soffrendo,
perché doveva aumentare così la dose di dolore e farmi stare male?
«Ehi, perché io sono quello che non riceve niente? Che
me ne faccio di Harp? La sopporto già» borbottai, offeso. Tutti avrebbero avuto
qualcosa, io solamente Harp? Le volevo bene, certo, ma che utilità poteva
avere, oltre a far da mangiare?
«Io conosco un paio di cosette che Harp saprebbe fare.
Ricordati che è una donna, quindi sa cucinare. In più, una donna può fare tutto
quello che un buon porno ti fa immaginare». Eccola, la perla di saggezza di
Wilson. Per fortuna la birra riusciva a renderci abbastanza brilli da ridere a
quella battuta idiota, Harper compresa.
Una volta tornati a casa, decisi di lasciare da soli
Harp e Ken, chiudendomi in camera per guardarmi un film. Non volevo disturbarli
e sapevo che avevano tante cose da raccontarsi. Per quanto fossi legato a
entrambi, sapevo che il loro legame di sangue era più forte ed era giusto
lasciar loro i proprio spazi.
Quando, la mattina dopo, scesi al piano di sotto e
trovai Ken e Harp addormentati sul divano, non riuscii a non sorridere davanti
a quella scena così dolce: lui la sorreggeva, circondandole le spalle con il
braccio; lei invece aveva la testa appoggiata alla spalla di Ken. Li lasciai
riposare, sapendo che Ken sarebbe dovuto ripartire quel pomeriggio stesso, a causa
del lavoro.
Uscii a fare la spesa per lasciarli da soli ancora un
po’ e, appena tornai, salutai Ken che partì subito: avevano parlato di un
incidente in una freeway che sicuramente avrebbe rallentato il suo ritorno a
casa.
Non appena chiuse lo sportello della macchina e accese
il motore, vidi il sorriso di Harp vacillare; il suo sorriso si spense
definitivamente quando Ken si allontanò abbastanza da non vederla.
Esattamente come dopo ogni visita di Ken, Harp si
chiuse in camera con lo stereo a un volume altissimo, segno che non dovevo
disturbarla. Esattamente come ogni volta però, sapevo che aveva bisogno di me,
il suo migliore amico.
Salii in camera di Harp goffamente, attento a non
rovesciare la cioccolata che avevo preparato per noi due. Bussai prima di
aprire la porta senza attendere una risposta che –di sicuro –non sarebbe
arrivata. Non appena la vidi lì, rannicchiata sul suo letto mentre stringeva un
pupazzo di Stitch, non riuscii trattenere un sorriso, intenerito.
Harp alzò lo sguardo, sorridendo appena. Più che un
sorriso sembrava una smorfia, così appoggiai le due tazze sopra alla sua
scrivania, sedendomi di fianco a lei sul letto e ridendo, quando mi accorsi di
due segni marroni sopra alle sue labbra. «Hai mangiato Nutella, vero?»
domandai, appoggiando la fronte al muro dietro di me e togliendomi le scarpe
per incrociare le gambe sopra al letto senza sporcarlo.
«No che non ho mangiato cioccolata, che cosa stai dicendo?» rispose stizzita,
voltandosi dall’altra parte per non farmi vedere che stava mentendo. Vederla
così arrabbiata mi fece ridere più forte, irritandola ulteriormente.
«Harper, sei tutta sporca di Nutella, sembri un bambino, hai i baffi» ritentai,
appoggiando la mano sulla sua guancia per costringerla a girarsi verso di me e
guardarmi. Si passò una mano davanti alle labbra, togliendo la cioccolata
rimasta. «Adesso non si vede più. Lo sai che sei peggio dei bambini quando
mangi cioccolata, su» scherzai, guadagnando solamente un pugno allo stomaco. «Perché
sei triste, Harp?». Domanda inutile: conoscevo la vera risposta e sapevo che
Harp non sarebbe mai stata sincera con me ma avrebbe risposto ironicamente,
prima di lasciarsi andare.
«Perché mi hanno bannato nel sito di Chatroulette dopo
che ho mostrato le tette» sbottò, fingendo che fosse quello il vero motivo.
«Tieni» mormorai, allungando verso di lei una tazza di
cioccolata. «Panna e cannella come piace a te». Accennai un sorriso, prima di
iniziare a bere la mia cioccolata, senza cannella. «Harp, seriamente…»
sospirai, sperando che questa volta la sua risposta non fosse qualche scusa
inventata su due piedi. Volevo consolarla, ma avrei potuto farlo solo se si
fosse aperta con me, perché altrimenti mi sembrava di invadere il suo spazio,
leggendo dentro di lei per scoprire che cosa la turbasse.
«La verità è che preferirei non vedere mai Ken. Quando
non c’è sento la sua mancanza, ma cerco di colmarla con le chiamate e i
messaggi, non ci penso. Poi arriva e anche se rimane per poche ore mi sembra
quasi un sogno: sentire la sua voce, rivedere il suo sorriso, abbracciarlo,
giocare con lui e punzecchiarlo. E ogni volta che se ne va è sempre peggio,
perché mi manca di più. Lo so che lavora e non è possibile per lui venire
spesso a trovarmi, lo so che ci sei tu che mi fai compagnia e che mi lamento anche
troppo, ma delle volte mi manca la mia famiglia, insomma… mi manca Ken». Con la
mano che non sorreggeva la tazza torturò un orecchio di Stitch, tenendo lo
sguardo basso.
«Harp» mormorai abbracciandola, senza aggiungere
altro. Sapevo come si sentiva, sapevo che le mancava Ken anche se non ne
parlava mai, ma sapevo, soprattutto, che nei rari momenti in cui la vera Harper
–quella dolce e non ironica –usciva, non bisognava compatirla troppo, o sarebbe
stato peggio.
«Basta, sono troppo sentimentale, bevo la cioccolata»
sentenziò, alzando lo sguardo al soffitto, come se stesse cercando di
trattenere le lacrime. Risi, contagiandola e iniziammo a bere la cioccolata, in
silenzio. «Jar, posso chiederti una cosa?» domandò all’improvviso, tenendo la
tazza a mezz’aria. Annuii solamente, in attesa della sua domanda. Sapeva che
poteva chiedermi qualsiasi cosa. «Dimmi solo cosa hai risposto l’altra sera, quando ero ubriaca». Alla sua
domanda mi immobilizzai; la tazza a mezz’aria e un sorso di cioccolata rovente
che non voleva scendere lungo la mia gola. Forse era il caso di chiudere
quell’argomento per sempre, così poi, qualche mese dopo, ci avremmo riso su.
«Non ho risposto, Harp»
mormorai, in attesa di una sua risposta. Credevo ridesse, si dimostrasse
sollevata o magari si fingesse offesa, ridendo e scherzando sul fatto che di
sicuro era per la sua mancanza di tette. Invece si dimostrava così seria da
farmi preoccupare, come se stesse pensando a una risposta ponderata, una
risposta che non era –decisamente –da Harper.
«Perché non l’hai fatto?» domandò, appoggiando la tazza con la cioccolata sul comodino
di fianco al letto e assumendo un’aria ancora più seria. Cosa stava dicendo?
Era impazzita? Non aveva pensato a quello che sarebbe potuto accadere se avessi
seriamente risposto a quella domanda?
«Perché non ci voglio
pensare» tagliai corto, guardando
fuori dalla finestra. Non volevo più discutere.
«D’accordo, quindi tu non
mi trovi attraente, è questo che stai cercando di dirmi? Che se ci
incontrassimo da sconosciuti in discoteca una sera, e fossimo entrambi alticci
non finiremmo a pomiciare nel bagno?». La domanda di Harp fu
così diretta da disarmarmi. Era esattamente quello che, nel corso degli anni,
non avevo mai voluto pensare, perché non mi interessava sapere se io e lei
avremmo potuto pomiciare in discoteca, non quando rischiavo di perdere la mia
migliore amica.
«Non sto dicendo questo
Harp, è solo che tu sei mia amica e non voglio pensare a te sotto questo
aspetto. Viviamo assieme, ci addormentiamo sul divano guardando un film e
condividiamo lo stesso bagno. Se io immag…». Non riuscii a terminare
la frase perché Harp iniziò a parlare, di nuovo.
«Ho un’idea! Siamo entrambi
single e tutti e due abbiamo bisogno di una sana trombata. Vogliamo farla ma
non troviamo nessuno che soddisfi tutte le nostre richieste perché qualcuno
vuole sempre qualcosa in più o in meno. E se trombassimo noi due, solo una
volta?».
Salve
ragazze!
prima cosa mi scuso per il ritardo nell’aggiornamento, ma purtroppo università,
laboratori e vari impegni riducono il mio tempo per scrivere e devo ritagliarmi
i più piccoli spazietti per farlo.
Comunque,
bando alle ciance e ciance alle bande…
Giusto
un paio di cose riguardo il capitolo, sarò breve, lo giuro! :)
L’Uga
Uga, come ristorante, l’avevo inventato. Si tratta di un ristorante (o
ristosauro) che ha come tema gli uomini primitivi, quindi è come se si
mangiasse dentro a una caverna, per terra, con i camerieri vestiti da primitivi
e naturalmente senza posate.
I
nomi dei piatti li ho inventati di sana pianta, sia chiaro. Giusto per capirci:
-Ali
di pterodattilo vulcaniche: Ali di pollo con qualche tipo di salsa al
peperoncino, quindi molto piccanti (meno piccanti delle esplosive, però! :P )
-Foglie
verdi: semplice insalatona.
-Nettare
degli dei: birra! Ahaha.
E
niente, mi pare di non aver altro da dire… si sta conoscendo un po’ di più
Harper, si sta svelando qualcosa in più del rapporto che ha con Jar e adesso
arrivano anche domande scomode e proposte indecenti :D
Come
sempre ricordo NERDS’ CORNER, e io spero di postare un capitolo al più presto.
Baciozzi.
Rob.
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Capitolo 5 *** Did we do it? ***
CBA
Video trailer
«Harper»
urlai, con un tono di voce acuto per la sorpresa di quella domanda. Perché
semplicemente non la smetteva di chiedermelo e fingevamo che non fosse mai
successo niente. «Non risponderò a questa domanda». Non volevo ferirla, in
entrambi i casi. Se avessi detto sì e si fosse aspettata un no? E se fosse
stato il contrario? No, non potevo rischiare di deludere Harper; lei era una
delle persone più importanti della mia vita.
«Perché
non vuoi rispondere? Perché è un no e non mi scoperesti nemmeno se mi incontrassi?
Mi stai dicendo che stai cercando di alleviare il mio dolore non dicendomi che
sono un cesso, vero?». Finì la frase in un sussurro, facendo cadere tutti i
muri che avevo innalzato attorno a me per non rispondere a quella domanda. Non
era proprio quello il motivo per cui non volevo rispondere, proprio no.
«Harp»
sussurrai, avvicinandomi a lei e inginocchiandomi davanti al suo letto, perché
potesse guardarmi negli occhi e vedere che non stavo mentendo. «Non sto dicendo
che sei brutta, anche perché non l’ho mai pensato. Non voglio rispondere alla
tua domanda perché non ci voglio pensare. Potrebbe succedere come in quei film
idioti, hai presente? Non voglio rovinare la nostra amicizia per fare sesso con
te una volta, solo per togliermi uno sfizio. Quello che sto cercando di dirti è
che sei una bellissima ragazza e che non devi scoraggiarti, perché nessuno
pensa che tu sia brutta. Per quanto riguarda il trombare… ripeto che non voglio
rovinare la nostra amicizia». Mi sembrava che il discorso fosse chiaro, speravo
di essermi spiegato bene.
Speranza
vana, vista la risposta di Harper.
«Ahh»
ringhiò, portandosi le mani tra i capelli. «Ho bisogno di una scopata. Se lo
facessimo tipo sport? Come se tu stessi giocando a golf; tu giocavi a golf, no?
Ecco, solo che non stai giocando con una palla ma con due. Cioè, io giocherei
con due palle e tu… anche. Insomma hai capito no? Sarebbe solo per scaricarsi.
Cavolo Jar, guardo gli episodi vecchi di Baywatch alla TV e ogni volta che
compare Cody durante la sigla mi scende la bava». Lo sguardo di Harp assieme a
quella confessione mi fecero ridere così tanto che mi sbilanciai, trovandomi
seduto per terra. Non credevo che Harp guardasse ancora le vecchie repliche di
Baywatch solo per Cody, anche se sapevo che fin da piccola era stata innamorata
di lui e dei suoi addominali scolpiti.
«Harp,
non posso proprio aiutarti. Dovrebbe esserci tensione sessuale per iniziare,
non è che puoi spogliarti e poi ti do due colpi, dovrebbe esserci l’atmosfera;
tipo nei film, quando si sente il sassofono suonare e tu sai già che ci sarà la
scena porno, capisci?». Per quanto considerassi Harp una bella ragazza,
rimaneva sempre comica e non riuscivo a immaginare che ci potesse essere della
tensione sessuale tra di noi. Per quante volte l’avessi vista nuda o in intimo,
non riuscivo a immaginare Harp come desiderabile, ma semplicemente come donna.
Sì, ecco risolto il mistero. Perché mi ero tanto preoccupato e non avevo detto
subito come stavano le cose? Apprezzavo Pri come donna ma non era scopabile per
me; ecco tutto.
«Sai,
hai ragione. Non sei così trombabile come pensavo, non ho la bava come con Cody
quando ti vedo in costume o in mutande» sentenziò, ferendo il mio ego da uomo. Harp
si stiracchiò giocando con il pupazzo che teneva tra le mani.
Non
era decisamente carino quello che mi aveva appena detto ma, per non farmi
vedere ferito dalle sue parole –anche perché non c’era motivo di rimanere
ferito solo perché mi aveva detto che non mi considerava scopabile –uscii dalla
sua stanza per andare in camera mia a lavorare un po’ prima di cena.
Una
volta in camera mia però, mi soffermai a guardare la foto di sfondo del laptop:
eravamo io e Harp, in spiaggia a Venice Beach, qualche mese prima. Harp era
seduta sulle mie spalle mentre correvo lungo il bagnasciuga, ridendo. Vedevo le
sue mani strette sul mio volto perché aveva paura che la lasciassi andare,
nonostante le mie braccia fossero salde ai suoi polpacci. La foto era stata
scattata da Wilson.
Ridacchiai,
sistemandomi meglio sul letto e aprendo –senza nemmeno rendermene conto –la
cartella con le foto di quel giorno. Ne avevamo scattate così tante che, a fine
giornata, Wil si era lamentato con Harp e con la sua mania per le foto.
«Jar».
Harper spalancò la porta della mia camera, entrando all’improvviso e facendomi
sgranare gli occhi per la sorpresa: indossava solamente un misero completino
intimo che copriva a malapena il suo seno e il suo sedere. «Spogliati, subito.
Muoviti». Cercai di reagire, ma vedere Harper davanti a me con un completo e i
tacchi non riusciva a far affluire il sangue verso l’alto. «Ti vuoi muovere?».
Salì sopra al mio letto, gattonando verso di me senza togliersi quelle scarpe
che come minimo avevano dieci centimetri di tacco.
Mi
sistemai il collo della maglia che indossavo perché mi stava strozzando, ma
Harp, prima che potessi fare qualche altra mossa, tirò la mia maglia verso
l’alto, togliendomela. «Harper» sussurrai, con un tono di voce decisamente
strano: era un misto tra un mugolio, un gemito e una supplica.
«Togliti
quei pantaloni, subito» ordinò di nuovo, attendendo un paio di secondi prima di
portare le sue mani alla cintura dei miei jeans per strattonarmi. Da quando
Harp aveva tutta quella forza? Non che disdegnassi quel suo nuovo e inaspettato
lato, ma vedere quel luccichio nei suoi grandi occhi verdi mi fece rabbrividire,
non di certo per paura. «Cazzo Jar, prendi un po’ di iniziativa anche tu, però»
mormorò, abbassando la zip dei miei pantaloni per toglierli. Non ci pensai due
volte, mi inginocchiai davanti a lei sul letto, appoggiandole le mani sui
fianchi e facendo pressione perché mi desse le spalle. «Non fare scherzi
sbagliando entrata, eh! » mi ammonì, dandomi le spalle e rimanendo ferma, in
attesa di una mia mossa.
Mi
avvicinai a lei, appoggiando il mio petto alla sua schiena e iniziai a baciarle
il collo e la spalla, facendo attenzione a non mangiare i suoi capelli. Sentii
Harp ridacchiare e istintivamente la mia mano corse ad ancorarsi al suo fianco,
facendo scontrare il mio bacino alle sue natiche e causandole un mugolio
sorpreso.
«Ti
dispiace se accendiamo lo stereo? La musica mi eccita» mormorò, allungandosi
sul letto per prendere il telecomando che avevo appoggiato al comodino. Il mio
sguardo corse lungo la sua schiena, soffermandosi su quegli slip che lasciavano
scoperto un pezzo di pelle. Era così invitante che… no, non potevo morderlo o
tirarle uno schiaffo, no.
Dopo
aver sbuffato e cambiato tre CD perché non erano di suo gradimento, Pri tornò
con la schiena appoggiata al mio petto rilassando le spalle e portandosi i
capelli su di una. Quel maledetto reggiseno e quella spallina mi infastidivano
proprio; sganciai quindi –con il mio classico tocco di maestria –la chiusura,
liberandola velocemente di quell’indumento. Feci correre la mano destra lungo
il suo stomaco, salendo lentamente verso l’alto e soffermandomi a stringere un
suo seno mentre l’altra mano scendeva superando la barriera di stoffa e
strappandole più di un gemito.
«Ja...Jar
ma sei man...mancino?» chiese all’improvviso, stringendo la sua mano sopra alla
mia, all’altezza del suo cuore. Che domande mi stava facendo? Non vedeva che
ero, come dire… impegnato?
«Harper» grugnii, interrompendo il movimento
della mia mano e guardandola negli occhi, notando come fossero diventati di un
verde quasi più scuro. Anche le sue guance avevano un colorito diverso, come se
fossero di un rosso più acceso; rosso che quasi nascondeva le sue lentiggini.
«Sei mancino? Non l'ho mai notato Ti conosco
dall'asilo e sono sempre stata convinta che tu scrivessi con la destra » tornò
a domandare, guardando la mia mano sinistra, ancora nascosta dalla stoffa verde
dei suoi slip. Ma non poteva proprio pensare ad altro? Perché non era
concentrata su qualcosa di diverso rispetto alla posizione della mia mano
destra o sinistra?
«Harper, cazzo. Ho una mano dentro alle tue
mutande e mi chiedi se sono mancino?» ripetei; una nota scocciata nella mia
voce. Mi stavo seriamente arrabbiando, era andato tutto così bene, perché
doveva rovinare il momento chiedendomi con quale stupida mano scrivessi il mio
nome?
«Ma è la sinistra, è strano». Il suo tono di
voce era basso, quasi colpevole. Continuava a torturarsi le mani, come se si
sentisse in colpa per aver interrotto quel momento; cercai quindi di
rassicurarla, mordendole una spalla e sorridendo.
«Nel caso non l'avessi notato la destra è
impegnata più su. Adesso basta pensare alle mie mani». Per farle capire bene la
differenza tra destra e sinistra, strinsi quel po’ di carne che c’era con la
prima e affondai le dita della seconda mano, sentendo il corpo caldo di Harp
muoversi istintivamente.
Era
una sensazione quasi strana e piacevole quella di sentire il suo respiro
diventare più pesante e la presa della sua mano attorno alla mia gamba farsi
più forte. Mormorai al suo orecchio una frase che la fece rimanere senza fiato
per qualche secondo e non riuscii a trattenere una risata, strofinando la mia
barba contro il suo collo e mordendo poi la parte arrossata. Continuai a
torturarla sempre più delicatamente fino a quando il suo respiro non tornò
normale.
«Jar,
posso leccarti i piedi?» domandò, togliendo la mia mano dai suoi slip e
voltandosi verso di me subito dopo. Il mio sguardo doveva essere eloquente,
perché Harp si rattristò, come se per lei fosse stato importante. «Dai, per
favore, solo una leccata». Congiunse le mani sotto al mento in segno di
preghiera, avvicinandosi pericolosamente con il suo viso al mio e facendomi
perdere l’equilibrio tanto che caddi disteso sul letto, sentendo una sua
risatina. «Una leccata» spiegò, sgattaiolando fino ai miei piedi e sorridendo.
«Harper,
no» protestai, piegando le gambe perché non potesse leccarmi i piedi. Che cazzo
stava pensando? Non credevo avesse certe passioni strane. «Che schifo, non mi
leccherai i piedi». La respinsi con una mano, allontanando le sue braccia dalle
mie gambe, visto che cercava continuamente di prendermi il piede. «Harper,
cazzo. No» urlai, mettendomi a sedere sul letto. Aprii gli occhi, guardandomi
attorno: la mia camera era vuota, non c’era Harp con solamente un paio di slip
davanti a me e non indossavo solo un paio di boxer; avevo ancora la maglia
addosso –maglia che era appena, appena sudata –e i pantaloni che mi
infastidivano all’altezza della zip.
«Porca
troia» mormorai, portandomi le mani tra i capelli e fissando un punto
indefinito davanti a me. Avevo appena fatto quello che pensavo, seriamente?
Chiusi il laptop ancora sopra alle mie gambe con rabbia, strofinandomi il viso per
riprendere un po’ di lucidità. Dovevo uscire da quella stanza e prendere un po’
d’aria perché il mio cervello si era fottuto con quella chiacchierata con Harp,
avvenuta quel pomeriggio.
Uscii
prendendo lo skateboard e sperando di non incontrare Harp tanto che chiusi la
porta di casa con attenzione.
«Salve,
vicino» urlò Kurt, non appena voltai le spalle all’uscio. «Stai scappando dalla
rossa?». Kurt, il vicino, era un bravo uomo; un tuttofare utile in casa nostra,
quando c’era qualche problema che non potevo risolvere al pc. Era leggermente
inquietante –a detta di Harp –perché usciva sempre con un orso di peluche a cui
parlava come se fosse un figlio, non avendone.
«No,
sto solo andando a fare skate giù in strada» spiegai, sorridendo e prendendo la
tavola in mano, prima di iniziare a scendere le scale con lui. Mi sorrise,
chiedendomi come stesse Harp e se tutto procedesse bene nella nostra vita; mi
chiese come funzionava il lavandino della cucina che aveva aggiustato un mese
prima e, una volta arrivati in giardino, mi salutò, augurandomi una buona
serata.
Rientrai
in casa quasi un’ora dopo, stanco e sudato ma decisamente con la testa sgombra
grazie all’aria fresca della sera. Andai in cucina per bere un po’ d’acqua e
trovai Harp davanti al lavandino; credevo stesse preparando qualcosa di buono
per cena, ma quando sentii un singhiozzo, corsi verso di lei preoccupato.
«Pri?»
domandai ansioso, appoggiando le mani sulle sue spalle e costringendola a
voltarsi verso di me. I suoi occhi erano arrossati e gonfi; c’erano anche delle
lacrime sulle sue guance. «Harp, che è successo?» chiesi, circondando il suo
viso con le mie mani per costringerla a guardarmi.
Cercò
di parlare, ma i singhiozzi non le permettevano di farlo, così le suggerii di
fare qualche respiro profondo.
«Mi…
mi ha chiamata Ken. È… sta bene, solo che è in ospedale per una visita. Era…
era quasi tornato a casa solo che era stanco e non si è accorto della macchina
che gli ha tagliato la strada. Sta bene, non si è fatto niente, solo che la
macchina è distrutta. È tutta colpa mia, stanotte l’ho tenuto sveglio così
tanto e se Ken si fosse… se fosse…» ansimò, ricominciando a piangere.
«Harp,
Harp, guardami» mormorai, stringendo di nuovo la presa attorno al suo volto
perché mi obbedisse. Quando vidi il suo sguardo rivolto a me, continuai: «Ken
sta bene, d’accordo? Non è successo niente. Ken sta bene, è solo una visita di
controllo perché l’hanno tamponato. La macchina si ricompra, ok? L’importante è
che vada tutto bene. Harp, calma». Istintivamente la abbracciai, lasciando che
si sfogasse e piangesse. Era inutile cercare di tranquillizzarla, sapevo che
non ci sarei riuscito; dovevo solo lasciarla piangere, fino a quando non si
fosse calmata e avesse superato lo spavento. Harp aveva così tanta paura di
perdere anche Ken che l’idea che fosse potuto succedere proprio a causa sua
–anche se questa era una sua stupida idea –la feriva troppo.
«Va
un po’ meglio?» chiesi, posando il mio indice sotto il suo mento per sollevarle
il volto. Sorrisi vedendo i suoi occhi bagnati dalle lacrime e le diedi un
bacio sulla fronte, accarezzandole la schiena. «Andrà tutto bene, va tutto
bene, d’accordo?» sussurrai al suo orecchio, senza smettere di massaggiarle la
schiena.
«Grazie».
Un sussurro appena accennato, mentre strofinava il suo naso sul mio petto,
abbracciandomi. Ridacchiai per il solletico, reagendo istintivamente e
iniziando a torturare i suoi fianchi mentre si dimenava perché la smettessi. «Jar,
idiota smettila» ridacchiò, tirandomi una gomitata sullo stomaco così forte che
mi mancò il respiro per qualche secondo.
«Cazzo»
sbottai, portando entrambe le mie mani ad alzare la maglia per massaggiarmi il
punto. Vidi Harp sgranare gli occhi per la sorpresa, prima di coprirsi le labbra
con le mani, notando il segno rosso che il suo gomito aveva lasciato.
«Jar,
scusa. Scusa, scusa, scusa» borbottò, portando anche le sue mani fredde sul mio
stomaco e facendomi rabbrividire. Sentire il suo tocco sulla mia pelle mi fece
ricordare il sogno che avevo fatto prima di uscire con lo skate e rimasi per
qualche secondo immobile a guardare quelle lunghe dita affusolate che mi
accarezzavano. «Jar? Stai tanto male? Che succede?» domandò Harp, avvicinandosi
di un passo a me e costringendomi a indietreggiare fino a trovarmi intrappolato
tra il suo corpo e il bancone.
«S…
sì» biascicai, togliendomi l’immagine del corpo di Harp coperto solo da quel
completino intimo verde. Lei era lì, davanti a me, vestita. Quello era il particolare importante che dovevo tenere a
mente. Era stato solo un sogno e basta, non dovevo dare importanza al mio
subconscio.
«Sei
sicuro di stare bene?». Portò una mano sulla mia fronte, per sentire se avessi
la febbre e, istintivamente, indietreggiai verso il frigo per scappare. Non mi
ero accorto però che la mano di Harp era incastrata sotto alla mia maglia;
così, indietreggiando, inciampai sullo skateboard cadendo a terra e trascinando
Harp con me.
Iniziai
a ridere, seguito subito dopo da lei: non ci eravamo fatti male e la situazione
era davvero comica. Io ero disteso per terra e Harp, sopra di me, aveva
sbattuto la fronte contro il mio petto. «Stai bene?» chiesi, alzando appena il
capo per controllare. Tra le risate la vidi annuire e non riuscii a smettere di
ridere a mia volta.
«Quanto
sei cretino». Per ripicca morse il mio collo, facendomi ridere più forte. Nel
momento in cui aprii gli occhi, però, smisi di ridere all’improvviso: Harp era
seria e mi guardava intensamente, come se stesse ponderando qualcosa.
Improvvisamente, però, era diventato caldo e sembrava che la stanza si fosse
ristretta attorno a noi; il mio sguardo corse verso le labbra di Harper
schiuse, a pochi centimetri dalle mie. Aggrottai le sopracciglia confuso quando
la sentii mormorare un «Cazzo». Che avevo fatto?
«Che
succede?» chiesi, tornando ad appoggiare il capo al pavimento.
«Smettila
di fare quella cosa con la lingua, dico sul serio. Se lo fai di nuovo te la
mordo». La sua minaccia mi fece paura, soprattutto quando Harp appoggiò una
mano sulla mia fronte, impedendomi di muovermi. «L’hai voluto tu. Tira fuori
quella lingua che te la strappo con i miei stessi denti». La mano destra di
Harp si strinse al mio mento, facendo forza perché potessi aprire la bocca.
Iniziai a ridere, incapace di trattenermi nel vedere lo sguardo di Harp.
«Quanto
sei scema» biascicai, cercando di tenere le labbra serrate perché non mi
prendesse la lingua con quelle dita affusolate. Harp iniziò a ridere di nuovo, tornando
a distendersi sopra di me e soffiando involontariamente sul mio collo,
facendomi rabbrividire. Se ne accorse subito, perché smise di ridere,
sollevando il capo e guardandomi negli occhi, senza dire nulla.
Sentivo
il calore del suo corpo contro di me, il battito del suo cuore che sembrava
accelerare assieme al mio; l’aria che diventava quasi elettrica e i respiri
sempre più frequenti. Nessuno di noi parlava, continuavamo semplicemente a
guardarci negli occhi, immobili. Cercai di deglutire, ma non avevo nemmeno più
saliva; forse perché ero impegnato a fissare le lentiggini sul naso di Harp che
sembravano illuminarsi come le luci durante il periodo natalizio. «Jar, sento
il sassofono. Anche tu?» sussurrò, lasciando che il suo fiato caldo colpisse le
mie labbra schiuse, solleticando la mia lingua.
Era
come se il mio cervello si fosse disconnesso all’improvviso, come se non
pensassi più ma reagissi all’istinto dettato dal mio corpo. Mi ritrovai con una
mano dietro alla nuca di Harp e con l’altra sulla sua schiena per avvicinarla a
me mentre le nostre labbra si scontravano, baciandosi.
Non
era un bacio dolce, era un bacio dettato dall’urgenza, dalla frenesia del
momento, un bacio che si approfondì quasi subito, costringendomi a mettermi
seduto per far in modo che Harp si sistemasse meglio sulle mie gambe. Sentii le
sue mani correre tra i miei capelli e giocarci, tirandone qualche ciocca; la
sua lingua che si intrecciava alla mia e il suo seno che si scontrava al mio
petto a ogni respiro che facevamo.
Non
mi accorsi nemmeno di essermi alzato in piedi per far sedere Harp al bancone
della cucina, senza smettere di baciarla. Mi ritrovai solo con le mani sotto
alla sua maglia, ad accarezzarle la pelle liscia e calda della pancia per causarle
un sospiro. Ridacchiai senza smettere di sollevare il suo top e sghignazzai
soddisfatto quando mi accorsi che non portava il reggiseno. Le baciai il collo,
scendendo e soffermandomi su un suo seno, causandole una risata che mi fece
tentennare per qualche secondo: che avevo fatto di male?
«Mi
fai il solletico, smettila». Harper allontanò le mie labbra dal suo corpo,
tornando a baciarmi mentre mi spogliava della maglia e slacciava i miei jeans
con maestria. Smisi di accarezzare la sua schiena e la aiutai ad abbassarmi i
pantaloni e i boxer, tornando poi a dedicarmi a quei pantaloncini che indossava
e che stavano decisamente infastidendo entrambi. Con un solo gesto glieli levai
assieme agli slip, sospirando mentre ammiravo il suo corpo nudo, davanti a me.
Era come quando l’avevo vista in bagno, solo che stavolta avevo il permesso di
guardare e soprattutto toccare.
Attirai
Harp verso di me, allargano leggermente le sue cosce perché potessi baciarla
meglio, ma sentire le sue labbra sorridere sulle mie mi fece sghignazzare. Mi
sistemai meglio, cercando di avvicinare Harp a me senza che potessero venirmi
crampi alle gambe e che il bancone non le desse fastidio; poi, dopo averle
morso una guancia, la guardai negli occhi, in attesa di un suo ordine. Vidi le
sue labbra sorridere prima che i denti di Harp iniziassero a torturare la mia
mascella, scendendo verso il collo. Mi bastava, lo interpretavo come un
permesso per continuare.
La
sensazione del corpo di Harp attorno a me mi destabilizzò, facendomi mancare il
fiato tanto che mi aggrappai ai suoi fianchi, per non cadere. Sentii le sue
mani graffiarmi la schiena e cercai di riacquistare lucidità, sfiorandola e
accarezzandola, mentre sentivo il suo respiro affannato infrangersi contro il
mio volto. Cercavo di trattenermi per non fare una figuraccia, ma la sensazione
di un corpo caldo attorno a me e la visione del viso di Harp arrossato non
aiutavano; per questo, istintivamente, la sollevai dal bancone, avvicinandola per
poter affondare in lei.
«Porca
troia» esclamò prima di gemere, abbandonando lentamente la testa all’indietro.
Non feci domande, non cercai risposte; non era decisamente il momento
opportuno. Mi lasciai solamente andare, aumentando la velocità delle mie spinte
e abbandonandomi all’ondata di piacere che mi travolse. Appoggiai la fronte
alla spalla di Harp che iniziò a ridere, incuriosendomi. Quando alzai lo
sguardo la trovai distesa sul bancone, in preda a un attacco di risa. «Non ci
credo, con Jedi» biascicò, asciugandosi una lacrima che stava scendendo lungo
la sua guancia.
Che
era successo? Ero andato così male da farla ridere? Avevo fatto cilecca? Che diamine
era successo? Perché stava ridendo di me?
«Vado
a farmi una doccia, prepari qualcosa da mangiare? Lava anche il ripiano, che è
meglio». Si mise a sedere, scendendo dal tavolo e prendendo i suoi vestiti che
erano sparsi attorno a noi. Non pensò nemmeno di vestirsi, salì le scale nuda,
incurante del mio sguardo che la stava squadrando da testa a piedi.
Non
appena sentii la porta del bagno chiudersi il mio cervello –che si era spento
diversi minuti prima –si riaccese, facendomi capire quello che avevo fatto. I
pantaloni e i boxer ancora appallottolati alle mie caviglie, la mia maglia a
pochi passi da me, il bancone che aveva le impronte delle mani di Harp visibili
in controluce, l’odore della sua pelle ancora sulla mia e il sapore delle sue
labbra sulle mie.
«Che
cazzo abbiamo fatto?» bofonchiai, guardando un punto indefinito davanti a me.
Ok, intanto mi scuso per l’infinito ritardo, ma come ho
spiegato nel gruppo ci sono stati diversi problemi durante la stesura di questo
capitolo.
Partiamo con il dire che mi sembrava divertente e che
rileggendolo avrei cancellato tutto… arriviamo a dire che mi sono resa conto di
non saper nemmeno più scrivere una scena arancione e finiamo con: so che fa
schifo e mi dispiace.
Purtroppo non sono riuscita a produrre niente di decente come
invece speravo di fare.
In ogni caso… questo è l’ultimo capitolo prima delle vacanze
di Natale perché, come è stato deciso dalla votazione e quindi da voi, la OS
che pubblicherò a Natale sarà sui personaggi di You saved me.
Quindi, qualche giorno prima di Natale pubblicherò la OS e l’aggiornamento
di Jared ed Harper slitterà tra Natale e Capodanno.
Vi auguro quindi già da ora buone feste per chi non fosse
interessato a leggere la OS.
Come sempre vi ricordo NERDS’ CORNER che è
il gruppo dove ci sono spoiler e altre iniziative (come quella che mi sta
divertendo –e credo stia divertendo anche voi).
A presto.
Rob.
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Capitolo 6 *** Saying something wrong... ***
CBA
Video trailer
Previously on Cupids Broken Arrow… Jared fa un sogno zozzetto con Harper, esce per
schiarirsi le idee, torna a casa e la trova triste e piangente, la consola e
finiscono a fare porcherie sul ripiano di marmo della cucina. Finito di fare le
zozzerie Harp scoppia a ridere prima di scappare da Jar che si rende finalmente
conto di quello che è successo tra di loro.
Ai
bubi, perché senza di loro forse non sorriderei.
A
Joe, Death e Snake che rallegrano le giornate di molti.
A
chi mi ha aspettata anche se è passato troppo tempo
A
chi ha avuto la pazienza di aspettare ed è qui.
Grazie.
Perché
c’era il continuo guardarmi attorno con aria smarrita, cercando qualcosa da
fare.
Perché
c’era il continuo fissare il ripiano della cucina, mischiando presente e
passato, ricordando il corpo di Harp scosso dai brividi.
Perché
c’era il continuo pensare a quello che avevamo fatto e a quello che poteva
significare per entrambi.
Perché
c’era il continuo…
«Jar,
il tuo telefono sta suonando» urlò Harper, dalla sua camera. Imprecai
mentalmente, correndo su per la scala e arrivando in camera mia con il fiatone,
cercando il cellulare che sembrava sparito sotto l’ammasso di vestiti che c’era
sul mio letto.
«Pronto?»
gridai, rispondendo, prima ancora di trovare il telefono. Quando guardai il
numero sullo schermo sbuffai, riconoscendolo: Wilson. «Che vuoi?» domandai
scocciato, sbirciando verso la porta della camera di Harper per controllare che
non fosse aperta e non potesse sentire se mi sfuggiva qualcosa riguardo quello
che era successo poco prima.
«Io
e Joe stasera veniamo a cena da voi, abbiamo sentito quello che è successo a
Ken e siamo sicuri che Harp apprezzerà la nostra compagnia. Portiamo messicano,
per le sette». Non mi lasciò nemmeno il tempo di rispondere, visto che
riattaccò, prima che potessi anche solo dirgli che dovevo parlare con Harper e
forse era il caso che non venissero a cena.
Sbuffando,
lanciai il telefono sopra al letto prima di avvicinarmi al bagno e bussare; ero
sicuro che Harp fosse in camera sua, ma non volevo rivederla nuda una seconda
–o terza, se contavo l’incidente del bagno di qualche giorno prima –volta, soprattutto
dopo quello che era successo.
Via
libera, pensai, non appena vidi la porta spalancata. Mi serviva solamente una
doccia, giusto per togliermi quell’odore dalla pelle e per sciogliere i muscoli
delle spalle e della schiena; dovevo rilassarmi, dimenticare tutto ed
estraniarmi dalla mia vita.
Quando
uscii dal bagno, con solamente un paio di pantaloni della tuta addosso,
sembravo quasi un’altra persona; non sapevo nemmeno per quanto tempo ero
rimasto lì dentro, ma girare per casa solo con i pantaloni larghi addosso
–senza maglia o boxer –mi faceva sentire libero.
«Jar
mettiti le mutande, ti ballonzola tutto lì sotto» sbottò Harp, affacciandosi
alla porta della mia camera, senza bussare. Con uno sbuffo, facendo a meno di
ascoltarla, mi distesi a letto, portando un braccio dietro alla testa.
«Stasera
vengono a mangiare Joe e Wilson, messicano» spiegai, chiudendo gli occhi per
scacciare l’immagine di Harp che continuava a rimanere appoggiata alla porta,
senza rendersi conto spostava il peso da un piede all’altro, muovendo leggermente
i fianchi.
«Se
non ti dispiace credo che domani prenderò Pixie e andrò a trovare Ken a
Lubbock, voglio controllare che stia bene e che non gli sia successo nulla di
grave» mormorò Harp, tenendo lo sguardo basso. Continuava a osservarsi i piedi
nudi, muovendo lentamente le dita, come se stesse componendo una strana
melodia. Assolutamente no, non l’avrei mai abbandonata e lasciata da sola.
L’avrei accompagnata.
«Vengo anche io, guiderò io» spiegai, sedendomi sul letto, con la schiena dritta.
Non mi avrebbe convinto a rimanere a casa, non l’avrei mai lasciata guidare da
sola per tutte quelle ore senza sapere come potesse stare. No, assolutamente.
«No,
non ti preoccupare, ho chiamato prima in ufficio e mi sono fatta dare due
giorni di ferie, ho già prenotato in un motel tra Arizona e New Messico, mi
fermerò per riposare un paio di ore». Aveva già pensato a tutto, logico. Quello
di cui non aveva tenuto conto era che non l’avrei mai lasciata andare da sola.
«Non ti lascio andare in Texas da sola, Harper» mi intestardii, alzandomi in
piedi e camminando verso di lei. Poteva mettere il muso e non parlarmi per
tutto il viaggio ma non si sarebbe di certo liberata di me. Era troppo
pericoloso lasciarla guidare da sola, anche di notte. No, Harp aveva bisogno di
me; e un viaggetto ci avrebbe fatto divertire un po’, come ai vecchi tempi: una
bottiglia di birra, i finestrini abbassati e la radio a tutto volume mentre
attraversavamo il deserto.
«Jar,
davvero… non preoccuparti. Sono sicura che Ken sta bene, è solo che voglio
controllare». Sapevo che avrebbe insistito fino a quando non le avessi proibito
di parlare. Avrebbe trovato qualsiasi scusa pur di non far vedere che, in quel
momento, aveva bisogno di me. Perché riuscivo a vederlo dal suo sguardo preoccupato:
Harp era tesa, Harp aveva bisogno qualcuno con cui sfogarsi, urlando e
mettendosi a piangere, esattamente come era successo in cucina prima che
finissimo a fare porcate sul ripiano.
«Vengo con te» sbottai, sicuro di me stesso. Presi le piccole mani di Harp tra
le mie, stringendole per trasmetterle un po’ di forza. Vidi i suoi occhi
abbandonare i miei perché non voleva che vedessi quelle lacrime pronte a
uscire.
«Jar…». Un sussurro. Un sussurro che in qualche modo era più forte e potente di
un grido d’aiuto che si sarebbe potuto sentire a miglia di distanza. Reagii
d’istinto, abbracciandola. Non mi interessava se ero praticamente mezzo nudo e
se avevamo trombato in cucina, un’ora prima. Stavo abbracciando la mia migliore
amica, perché lei aveva bisogno di me in quel momento.
Non
le lasciai il tempo di dire altro, sicuro che comunque non l’avrebbe detto
perché sentivo qualcosa di caldo scivolare sul mio petto; stava piangendo, di
nuovo. «Vengo con te. Chiamo Christian per dirgli che mi prendo due giorni di
ferie, smettila di dire di no». Le massaggiai la schiena, accarezzandola
delicatamente e giocando con i suoi capelli. Harper era tanto forte quanto
debole. Poteva essere la persona più testarda del mondo, ma nello stesso
momento, se Ken veniva colpito da qualcosa, Harp si dimostrava fragile, perché
era la persona a cui teneva di più.
«La
smettiamo di fare queste cose da idioti? Sei mezzo nudo, Free Willy è in
libertà senza mutande che lo costringono e ho la lingua a due centimetri dal
tuo petto. Sembra l’inizio di un porno, se vuoi chiedermi quale farfalla della
tua collezione mi piace di più inizierò a saltellare felice» sghignazzò,
pizzicandomi un fianco e allontanandosi da me, prima di tirarmi un pugno sullo
stomaco.
Ripensai
a quello che aveva appena detto, soffermandomi su un particolare. Il mio ego
maschile si fece sentire, orgoglioso. «L’hai chiamato come un’orca? È così
grande?» domandai fiero, gonfiando il petto. Rimasi per qualche istante in
silenzio, aspettando una risposta che non arrivò. «Ehi, Pri! Voglio sapere,
adesso!» urlai, aprendo la porta di camera sua e trovandola intenta a lanciare
dei vestiti sopra al letto.
«Jar,
non farmi spiegare battute che potrebbero ferirti l’ego. Davvero. Ora usciresti
dalla mia camera, per favore? Ho bisogno di concentrazione per capire un paio
di cose importanti». Indicò la porta dietro di me, appena prima di incrociare
le braccia sotto al petto e battere un piede per terra, in attesa.
Non
riuscivo a capire perché, ma ero quasi infastidito da Harper e dalle sue
continue battutine. Sembrava quasi che quella sera volesse, in ogni secondo,
ricordarmi quello che era successo in cucina. Ogni tanto si appoggiava con la
schiena al bancone e sorrideva senza motivo, guardandomi. Ero sicuro che lo
facesse per farmi innervosire, per ricordarmi che qualche ora prima io e lei,
su quel bancone, ci eravamo divertiti parecchio.
«Voglio
prendermi cura di un uccello, Jar. Coccolarlo e tenerlo solo per me» esclamò
all’improvviso, facendo ridere Joe e Wilson che sputarono la birra che stavano
bevendo. Io mi limitai a guardarla con gli occhi sgranati, sicuro che, ancora
una volta, stesse facendo qualche battutina porno che mi avrebbe messo in
imbarazzo. Quella sera non ero al cento per cento e non riuscivo nemmeno a
rispondere a tono.
«Un’Ara
va bene? O vuoi un Ippogrifo?» risposi, bevendo un sorso di birra e appoggiando
poi la bottiglia vuota sopra al tavolo davanti a me. Guardai Harp con uno
sguardo di sfida, convinto di poter vincere quella partita di battutine.
«Non
lo so… qualcosa di grande… possente… che sia… grande. Qualcosa che mi tenga
compagnia insomma». Fece spallucce, ma potevo benissimo vedere il suo sorriso;
quello che non riusciva a nascondere e che si posava sulle sue labbra rosse non
appena trovava una situazione divertente.
Bene,
era il momento di combattere.
«Dovresti
prenderti qualcosa di più grande di un uccello. Magari un’orca, dicono che
alcune siano addomesticabili, sai?». Così imparava a chiamare la mia… virilità
Free Willy.
«Non
saprei che farmene di un’orca. Mi serve qualcosa che voli in alto, libero. Non
qualcosa di pesante e bicromatico». Mi sembrò quasi di vederla arrossire, ma di
sicuro era una mia impressione. Perché Harp non arrossiva mai, perché lei era
senza vergogna.
«La
volete smettere? Sembrate una coppia sposata che discute su cosa mangiare a
cena. Da quando in qua vi comportate così? Jar, dannazione, sei peggio di una
donna mestruata, dovresti trombare un po’ di più» urlò Wilson, facendo ridere
Harper, che nascose la risata, alzandosi e andando verso la cucina per mettere
i piatti dentro al lavello. Senza pensarci due volte la seguii, convinto di
chiarire la situazione con lei perché potesse smetterla.
Camminai
verso la cucina, andando dietro di lei e cogliendola di sorpresa quando la
intrappolai tra il mio corpo e il lavello davanti a lei. «Dacci un taglio, non
ho intenzione di dire ai ragazzi quello che è successo e tu dovresti smetterla»
bisbigliai con le labbra contro il suo orecchio, perché Wilson e Joe –nella
stanza accanto –non potessero sentirci.
Sentii
la sua schiena irrigidirsi a contatto con il mio petto e vidi il suo volto girarsi
verso di me; aveva le guance rosse e gli occhi lucidi. «Sei tu l’idiota che
continua a fare riferimenti sessuali. Io volevo solo uno stupido uccello e tu
hai tirato fuori la storia dell’orca, cretino». Mi spintonò in malo modo, prima
di raggiungere i ragazzi e nascondere il suo volto dietro la bottiglia di birra,
esattamente come avevo fatto io poco prima.
Cosa
stava dicendo? Era lei ad aver iniziato tutto il discorso, appoggiandosi al
bancone e ridendo, mentre mi guardava, non ero di certo io! Avevo solo risposto
alle battutine idiote con la stessa carta.
«Io
e Joe siamo giunti a una conclusione» esordì Wilson, spaventandomi. Quando lui
e Joe arrivavano a pensare la stessa cosa, sapevamo tutti che si trattava di
qualcosa di porno. «Voi due… avete bisogno di una trombata. Siete troppo tesi e
si vede che c’è tensione. Quindi, stasera uscirete e la prima persona che
risulta interessata a voi vincerà una notte di fuoco» sghignazzò Wilson, senza
smettere di guardare Joe che rideva, alternando lo sguardo tra me e Harp.
«Siete
dei cretini, primo non uscirò perché domani dobbiamo partire presto e secondo
in ogni caso non sono così preso male». Visto che, in fin dei conti, mi ero
scaricato poco prima con Harp. Forse la tensione che vedevano tra me e lei –non
che ci potesse essere, poi –era dovuta al nostro sentirci a disagio, perché non
avevamo ancora apertamente parlato di quello che era successo.
«Andiamo
Jar, nessuno rifiuta la patata… a meno che non ami i wurstel!». Ecco il picco
di stupidità mista al porno di Wilson; arrivava dopo tre birre e una cena
messicana, prima della terza sigaretta post cena.
«Non
sto rifiutando né una patata né un wurstel –che rifiuterei in ogni caso. Sto
rifiutando una trombata tanto per, perché prima vorrei conoscere le patate che
mangio». Non mi vergognavo nemmeno di essere diventato volgare come lui, tanto
Harp era abituata anche a peggio; era lei la prima che non appena alzava un po’
il gomito diventava più volgare di noi tre uomini messi assieme. Per questo
avevo capito che le donne ubriache potevano essere ancora peggio degli uomini.
«Io
non rifiuto proprio un bel niente» sghignazzò Harp zittendoci tutti e tre.
Significava che… scossi la testa per togliermi circa una trentina di immagini
che si erano create nella mia mente dopo quell’affermazione. Potevo vedere dai
volti dei miei due amici che anche la loro fantasia aveva creato prospettive
interessanti. «E mi riferisco alla carne, sapete che non mi piace la verdura»
puntualizzò subito dopo, facendo crollare tutti i nostro castelli.
«Per
un secondo e mezzo mi sei sembrata ancora più trombabile Harp, ti ho immaginata
con altre ragazze e naturalmente con me e… cavolo». Wilson si passò una mano
davanti al volto, frustrato. «Tette ovunque» continuò poi, allargando le
braccia per chiarire meglio il concetto. «Di taglia diversa. Ma vanno bene
anche le tue Harp». Si allungò per accarezzarle un braccio, perché non voleva
che si arrabbiasse.
«La
tua fissa per le tette mi spaventa sempre» spiegò Harp, diventando
improvvisamente seria. Bevve un altro po’ di birra, prima di sistemarsi meglio
sopra alla sedia, incrociando le gambe e appoggiando i gomiti alle cosce per
stare un po’ più comoda.
Wilson
la guardò riflessivo, sentendosi offeso da quell’affermazione; poi si sentì in
dovere di spiegare a cosa si riferiva: «Non è una fissa. Io ho questo potere
paranormale di cui vado fiero. Guardo una ragazza e riesco a capire
perfettamente la taglia di reggiseno che porta. Cioè, guardo una donna e so già
se ha un push up o meno, se è coppa A, B, C o D». Con le mani spiegò la
differenza tra le varie taglie, facendoci ridere tutti, Harp compresa.
«Non
ci credo». Testarda come sempre, non voleva perdere di certo. La vidi drizzare
la schiena come faceva sempre quando si intestardiva per qualcosa, poi, dopo
essersi spostata i capelli dietro la schiena, assottigliò lo sguardo, in attesa
di smentire Wilson e la sua teoria.
«Certo
che sì, mia cara Harper. Esperienza». Wilson spostò la sedia più vicino a lei,
fronteggiandola e abbassandosi per poterla guardare dritta negli occhi. Io e
Joe eravamo in silenzio, con le braccia incrociate al petto, in attesa di
sviluppi: quando Wilson e Harper iniziavano a fare così di sicuro succedeva
qualcosa di stupido; era garantito.
«Tu
vorresti dirmi che con tutte quelle che ti sei trombato hai imparato a capire a
vista che taglia portano? Ma la chiedevi prima o dopo essertele portate a
letto?». Era sospettosa, l’avevamo capito; per questo cercava di capire dove
fosse il trucco e stuzzicava Wilson che aveva preso quella sfida davvero sul
serio.
«Un
mago non svela mai i suoi trucchi» ribatté lui, sfregandosi le mani, pronto per
spiegare la sua teoria.
Senza
nemmeno pensarci mi sentii in dovere di ribattere la mia opinione: «Io ancora
non ci credo». Era così ovvio che non potesse indovinare la taglia con
solamente uno sguardo che sembrava quasi ridicola come cosa. Anzi, lo era
davvero, non lo sembrava.
«Sei
diffidente, Jar. Fidati. Facciamo una dimostrazione pratica con la signora qui
presente. Tutti noi sappiamo che Harp non ha le tette grandi. Si vede insomma.
C’è chi apprezza e chi no…». Indicava con le mani il seno di Harp, coperto
sotto alla mia tshirt che indossava. Maglia che era più grande di lei di come
minimo tre taglie. Sembrava così piccola e magra –più del solito –quando
indossava qualcosa di mio per stare più comoda. Sembrava anche… sexy, in quel
momento.
«Io
credo che qualcuno apprezzi» sghignazzò Harp, con uno sguardo birichino. Si
stava riferendo a me, sicuramente. Al fatto che avevo apprezzato il suo seno
qualche ora prima. Perché non c’era altra spiegazione per la sua risata. Non
era stata lei a dirmi di smetterla di fare battute? Perché invece lei
continuava? Voleva infastidirmi? Be’, ci stava riuscendo benissimo.
«Sì, Harp certo che qualcuno apprezza, te ne sei trombati un paio anche tu, ora
lasciami continuare. Dicevo… quindi già escludiamo taglie medio grandi. Non si
va più su della terza». Sembrava un professore davanti a un’aula piena di
universitari che lo ascoltavano, era quasi ridicolo dalla serietà che ci
metteva mentre spiegava le sue teorie sulle tette di Harp. Era facile però
capire che non si andava più su di una terza, quando si parlava delle nontette.
«Le
tette di Harp sono piccole, secondo me inesistenti». L’affermazione di Joe mi
fece parlare prima ancora di pensare. Senza nemmeno rendermene conto, sputai
quello che il mio cervello aveva elaborato in meno di un secondo.
«Secondo
me sono abbastanza grandi da essere strizzate per bene». Quelle parole furono
accompagnate da un flashback della mia mano sul suo seno che mi accecò per
qualche secondo, facendomi voltare verso quel ripiano su cui l'avevo posata. Sì,
decisamente non erano così piccole da non poter essere… toccate. Non appena
capii quello che avevo detto, mi voltai verso Harper, che mi guardava con gli
occhi sbarrati, allibita. Perché faceva quella faccia? Se lei poteva lanciare
frecciatine perché io non potevo farlo?
«Mi
lasciate finire il mio discorso? Dicevo, direi che ha… una seconda scarsa,
sbaglio?». Wilson era decisamente arrabbiato perché nessuno l’aveva lasciato
finire e quindi non poteva dimostrare il suo superpotere. Quando concluse la
domanda però, vidi Harp alzarsi dalla sedia, con un sorriso tirato sulle sue
labbra.
«Preferisco
dire prima abbondante, perché quando dici abbondante la gente non fa caso alla
taglia. E ora scusatemi ma vado a dormire, domani mattina devo alzarmi presto.
Buonanotte». Non venne a salutarmi, non mi abbracciò, non scherzò nemmeno
tirandomi un pugno. Se ne andò senza nemmeno pensare di sistemare la tavola,
che aveva ancora alcuni piatti sopra; semplicemente salì le scale in silenzio,
facendoci rimanere zitti per la sorpresa. Che diamine le era successo? Perché
si era offesa?
«Allarme
rosso! Allarme rosso! Ciclo in arrivo, ciclo in arrivo» urlò Wilson, per farsi
sentire anche da Harp che non reagì, se non sbattendo la porta della sua camera
per farci capire che non voleva essere disturbata. Anche lui perse il suo
sorriso, stupito. «Si è offesa?» chiese preoccupato, alzandosi per andare a
parlarle.
Joe
però imitò il suo gesto, appoggiando una mano sul braccio del nostro amico, per
fermarlo. «Wilson, andiamocene prima che scenda a sbranarci». Forse Joe aveva
capito che Harp aveva qualcosa che non andava, ma ero sicuro che nessuno di
loro potesse capire il vero motivo per cui si stava comportando in quel modo.
Nessuno di loro lo sapeva, perché nemmeno io comprendevo quel suo strano
comportamento.
«No… ragazzi il problema è che lei…» iniziai, bloccandomi subito dopo perché
sapevo di non poterne parlare con loro. Dovevo farlo con Harp, doveva spiegarmi
cosa le succedeva e perché era diventata così strana da quando si era messa a
ridere, subito dopo che noi avevamo…insomma... Mi accorsi che i ragazzi mi
stavano guardando, in attesa di una risposta, così mi affrettai a continuare: «…
è solo preoccupata per Ken».
I
ragazzi annuirono, salutandomi e uscendo velocemente per tornare a casa. Non
appena chiusi il portone alle mie spalle, andai in cucina per sistemare tutto
il disastro che avevamo lasciato e imprecai quando, chiudendo il frigo, mi
incastrai il dito.
Sapevo
cosa dovevo fare per riuscire a dormire tranquillo senza rigirarmi per ore tra
le lenzuola: dovevo chiarire con Harper quella situazione. Per questo, dopo un
respiro profondo, salii le scale, soffermandomi per qualche secondo di troppo
davanti alla sua camera, indeciso se entrare o meno.
Bussai
piano, abbassando la maniglia e affacciandomi solo con il volto. «Harp? Posso
entrare?» mormorai, attendendo una sua risposta. Ero sicuro che non si fosse
già addormentata, anche perché vedevo la borsa che si era preparata per quei
due giorni di viaggio.
«Sto
dormendo, non voglio essere svegliata» mugugnò, rigirandosi tra le lenzuola e
coprendosi il capo con il cuscino. Sentire la sua voce ovattata mi fece ridere;
quando si comportava così sembrava davvero la bambina che avevo conosciuto anni
e anni prima, quella che prendevo in giro e non lasciavo giocare con me e Ken
solo perché era una donna.
«Che
è successo?» mormorai, sedendomi sul suo letto e accarezzandole una spalla
scoperta, perché si voltasse e mi parlasse da persona matura.
La
vidi scostarsi di colpo, affinché non potessi toccarla e subito dopo si mise a
sedere di scatto, guardandomi dritto negli occhi. Potevo vedere i suoi grandi
occhi verdi luccicare anche se la stanza era immersa nel buio, per questo
rimasi immobile quando sibilò, di nuovo:
«Vattene Jar, davvero». Sembrava arrabbiata, molto.
«Harp…»
mormorai, pronto a darle –e soprattutto chiedere –qualche spiegazione. Non mi
lasciò il tempo di dire nulla, però; visto che iniziò a parlare a velocità
supersonica, agitando le braccia.
«D’accordo. Perché hai fatto quella battuta idiota sulle mie tette? Ti avevo
chiesto espressamente di fare finta che non fosse successo niente, perché
dobbiamo ricordare quello che è successo, visto che domani dobbiamo fare un
viaggio di diciassette ore chiusi in macchina assieme? E ora scusami, ma tra
cinque ore dovremmo partire e vorrei riposare un po’. Buonanotte». Come un
uragano si distese di nuovo a letto, coprendosi con le lenzuola senza che
potessi dire qualcosa per rispondere a tutte le domande che mi aveva fatto.
«Harp
io credo che…». Un nuovo tentativo di chiarire una volta per tutte. Un nuovo
tentativo vano, visto che urlò, fermandomi.
«Buonanotte, Jared».
Inutile
continuare a provare, sapevo che quando era così arrabbiata l’unica cosa da
fare era lasciarla sbollire; poi avrei potuto provare a ragionare. Magari a
mente fresca, qualche ora dopo, visto che ci aspettava un lungo viaggio.
Da
soli.
Inizierei con lo scusarmi per il ritardo, ma sono quasi
sicura che non ci sia più nessuno qui, giusto? :O
Mi scuso, l’ultimo aggiornamento di questa storia risale a
dicembre e credo sia la prima –e anche l’ultima visto che è una cosa che io non
sopporto –volta che succede una cosa del genere.
Vorrei anche spiegarvi i motivi, ma siccome ho sempre tenuto
separata Roberta da RobTwili, credo che non inizierò a unire le due cose
proprio ora. L’unica cosa che c’è da sapere è che, purtroppo, capita che la
vita vera prende un po’ troppo il sopravvento con avvenimenti improvvisi e non
sempre piacevoli.
In questi mesi sono stata assente dalle pubblicazioni di EFP,
ma ho cercato comunque di rispondere ai messaggi privati e alle recensioni che
arrivavano.
Mi sono scusata così tante volte anche nel gruppo che non so
più in che lingua farlo, però posso assicurarvi che ho infinitamente provato a
scrivere, senza riuscirci. E non sono nemmeno sicura di esserci riuscita con
questo capitolo; vi ho fatto aspettare mesi per un capitolo in cui
sostanzialmente non succede nulla e che sembra anche decisamente troppo
volgare. Mi scuso anche per quello, ma è difficile per me tornare nella testa
di Jared dopo così tanto tempo.
Ci tengo a precisare che la battuta pornissima di Wilson, non
è di mia proprietà, mi riservo dallo svelare la mente che l’ha prodotta per non
imbarazzarla, ma di wurstel e patate non son proprietaria io…
Prometto che il prossimo capitolo molto più pepato in tutti i
sensi, arriverà entro un paio di settimane. Stavolta non mi faccio fermare da
niente.
In ogni caso, visto che non l’avevo più detto perché non ne
ho avuto la possibilità, avevo pubblicato la OS di Natale riguardante gli
Eagles, per chi fosse interessato a leggerla, la potete trovare qui: A VERY EAGLES
CHRISTMAS.
Po poi poi… come sempre NERDS’ CORNER è il
gruppo dove metto spoiler, notizie e altro. Ultimamente non sono stata presente
anche perché non avevo molto da dire, ma da ora in avanti sarà decisamente
diverso!
Mi scuso ancora infinitamente per il ritardo, e se c’è
qualcuno che è arrivato a leggere… grazie.
Rob.
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Capitolo 7 *** Bed for two? ***
CBA
Video trailer
A Kevin, che c’è sempre.
Se
mi avessero chiesto il motivo per cui quella notte non avevo chiuso occhio,
probabilmente non avrei saputo spiegarlo; o meglio, non avrei saputo decidere
quale fosse.
Harp
ogni mezz’ora si alzava per andare in bagno e nemmeno si curava di fare poco
rumore o di non sbattere la porta; e poi, il letto era diventato
improvvisamente scomodo e il cervello attivo.
Quando
mi ero alzato –verso mezzogiorno, visto che Harp mi aveva chiesto di partire al
pomeriggio per riposare –ero sceso in cucina senza nemmeno vestirmi; un paio di
boxer grigi andavano più che bene per fare colazione, visto che sicuramente ci
saremmo fermati in qualche fast food quel pomeriggio.
Non
avevo tenuto conto di Harper però, che era scesa in cucina pochi minuti dopo di
me e aveva sgranato gli occhi quando mi aveva visto senza maglia.
«Potresti
anche vestirti, sei in cucina, non in piscina». Un tono acido e nemmeno uno
schiaffo sulla schiena per scherzare: si prospettava proprio una bella giornata
per rimanere per ore solo con lei, in uno spazio ristretto.
«Buongiorno»
mormorai, allungando il braccio per scompigliarle i capelli, visto che sapevo
quanto quel gesto la infastidisse. Non avevo tenuto conto però della sua
possibile reazione quella mattina;
nel momento in cui si girò per guardarmi, capii che anche Satana in persona si
sarebbe spaventato di fronte a quello sguardo.
«Buongiorno
un corno. Non ho dormito e il pensiero di rimanere per tutte quelle ore con te
mi fa quasi pensare che preferirei andare a un concerto di… non lo so. Justin
Bieber probabilmente. Mi divertirei di più». La serietà con cui pronunciò
quelle parole mi fece rimanere serio per qualche secondo, prima di iniziare a
ridere per quella battuta cretina.
«Ammetti
che ti divertiresti di più se fossi io a cantare Justin Bieber… Ohh babe, babe...» canticchiai, alzandomi
in piedi e muovendo il sedere, mentre agitavo le braccia con la padella che
stringevo tra le mani. Sentii Harp dietro di me trattenere a stento una risata
e sorrisi senza farmi vedere da lei; non mi odiava come credevo, era solamente
un po’ arrabbiata.
«Sei
un cretino». Sentii subito il suo piede colpire il mio sedere per spingermi in
avanti: stava cercando di farmi perdere l’equilibrio; per questo, grazie a
tutti gli anni di skateboard che avevo fatto, riuscii a rimanere in piedi,
fermandomi prima di sbattere contro uno degli scaffali della cucina. «Muoviti a
fare colazione che poi partiamo». Ingurgitò in un solo boccone la fetta di pane
che aveva spalmato di Nutella e con tutto il mento sporco, come se fosse una bambina,
mi diede le spalle, andando verso la scala.
Ridacchiando
per l’immagine del mento di Harp con la nutella sopra –e fermandomi
all’improvviso, al pensiero delle mie labbra che la pulivano –mi tirai un pugno
sulla spalla prima di correre al piano di sopra per indossare un paio di
pantaloni della tuta e una maglia: volevo rimanere comodo durante quel lungo
viaggio, mi sarei magari cambiato una volta arrivato nel Motel che Harp aveva
prenotato.
Mezz’ora
dopo eravamo in macchina: finestrini abbassati, vecchio cd a un volume
decisamente troppo alto e i piedi nudi di Harp appoggiati al cruscotto. Sapeva
benissimo che non le permettevo di appoggiare le scarpe su Pixie, per questo,
come avevamo stabilito, teneva le scarpe sul tappetino e faceva attenzione a non
lasciare impronte con quei suoi piedini in giro per la mia macchina.
«Muoviti
Jar, cambia canzone, lo sai che la odio!» urlò, tappandosi entrambe le orecchie
con le mani e canticchiando, come se fosse una bambina. Ridacchiando divertito
per quella scena e iniziai a cantare a volume decisamente alto la canzone,
perché Harp potesse sentirmi. «Cretino, cambia» urlò ancora più forte per
sovrastare la mia voce.
Ok,
mi ero divertito abbastanza, potevo smetterla di cantare una canzone anni
ottanta improponibile solo per farle un dispetto. Allungai la mano per cambiare
la traccia, ma inavvertitamente anche Harp fece lo stesso, sfiorando le mie
dita con le sue.
Nel
momento in cui le nostre mani si toccarono, sentii un brivido percorrermi il
braccio e riuscii a rimanere concentrato sulla guida solo perché con la mano
sinistra strinsi il volante, prendendo un respiro profondo. Non sapevo che
diavolo fosse successo, ma era chiaro che anche lei aveva sentito qualcosa,
visto che era rimasta con il braccio a mezz’aria e lo sguardo perso.
«Devi
cambiarti le scarpe, queste con la suola di gomma portano corrente. Cavolo che
scossa che ho preso» mormorò, scuotendo la mano per riprendersi. Annuii, dandole ragione e continuando a guidare,
con lo sguardo fisso davanti a me.
Guidai
per un altro paio d’ore prima di fermarmi in una stazione di servizio perché
Harp doveva fare pipì, così ne approfittai per fare benzina prima che potessimo
inoltrarci nel deserto del Nevada, visto che stava anche facendo buio. Quando
risalimmo in macchina, mi soffermai per qualche istante a guardare i raggi
rossi del tramonto che colpivano i capelli di Harp, rendendoli ancora più
rossi.
Anche
le lentiggini sul suo naso e sulle guance risaltavano, di fronte a quella luce
così forte e naturale. Quando Pri si voltò verso di me, incuriosita perché non
ero ancora partito, finsi di guardare una ragazza dietro di lei che stava
pulendo il vetro della macchina in una posizione decisamente equivoca.
«Muoviti,
maiale» urlò, ridendo e tirandomi un pugno sul braccio. Risi assieme a lei,
fingendomi interessato per qualche altro secondo al sedere della ragazza e poi
misi in moto, partendo.
Non
sapevo se fosse stato per quella bugia o perché in qualche modo ormai era da
più ore che stavamo assieme, ma sembrava che le cose tra me e Harp fossero
quasi tornate normali: scherzavamo, ridevamo, ci pizzicavamo e prendevamo a
parole, cantavamo muovendoci in modo idiota a tempo di musica; come sempre,
come quando andavamo a Miami per le vacanze di primavera.
Poi
però, qualcosa nel mio cervello mi convinse a fare una domanda che forse non
avrei dovuto nemmeno pensare. Eravamo nel bel mezzo del nulla e, l’opzione
random del lettore musicale di Pixie giocò un brutto scherzo: Torn di Natalie
Imbruglia iniziò. Non feci caso alla strada –anche perché era isolata ed
eravamo solo noi –iniziai a cantare assieme a Pri che, con una bottiglietta di
Pepsi improvvisò un microfono. Poi però, nel momento in cui la nostra amica Nat
pronunciò «Im cold and I am shamed
lying naked on the floor» ricordai quello che era successo tra di noi e parlai prima
di pensarci.
«Pri,
hai pensato a quello che è successo in cucina?». Abbassai, dai comandi sul
volante, la musica per sentire la sua risposta che non arrivò. Sentii solamente
il rumore della bottiglietta che le scivolava dalle mani, cadendo sul
tappetino. Senza distogliere lo sguardo dalla strada –perché non volevo
affrontare quello di Harp –cercai di capire cosa stesse facendo, ma il suo urlo
rispose a tutte le mie domande silenziose.
«Ferma
la macchina. Ora». Si slacciò la cintura di sicurezza e, pensando che si
sentisse poco bene, accostai subito, fermandomi così all’improvviso che la
polvere del ciglio della strada entrò in macchina.
Harp
aprì lo sportello e uscì, iniziando a camminare, senza nessuna spiegazione.
Guardai prima il sedile vuoto di fianco a me, poi lo sportello aperto e infine
la sua figura che si allontanava, a piedi nudi; misi in folle, scendendo e
correndo verso di lei, fino a quando non la raggiunsi.
«Harp,
che ti prende?». Strattonai un suo braccio costringendola a voltarsi verso di
me. Gli occhiali da sole scuri nascondevano i suoi occhi e non riuscivo a
capire che cosa pensasse, ma la mano stretta a pugno mi fece capire che
qualcosa non andava. Speravo davvero non fosse per la domanda che le avevo
fatto, ma qualcosa mi faceva pensare che fosse proprio quello il motivo della
sua sfuriata.
«Vado
da sola da mio fratello, visto che non sai mantenere una promessa. Avevamo
detto di non parlarne e tu l’hai infranta. Stavo riuscendo a non pensarci Jar,
per cinque minuti ci stavo riuscendo e tu hai rovinato tutto. Vado a piedi, tu
riprenditi la tua macchina e vai dove vuoi, non ho più bisogno di te». Non si
era fermata un attimo, facendoci allontanare di qualche centinaio di metri
dalla macchina. Per quanto fossi triste per la sua reazione, non riuscivo a
rimanere serio perché sembrava davvero convinta di andare a piedi.
«Harp,
non fare l'idiota, sali in macchina, siamo in mezzo al deserto del Nevada, ed è
quasi buio» spiegai, cercando di farla ragionare. Sapevo che quando Harp si
intestardiva non bisognava mai farle capire che stava sbagliando o diventava
ancora più ostinata; bisognava semplicemente calmarla e farla ragionare, o
sfogare. In quel momento, in mezzo al deserto, ero quasi sicuro che farla
sfogare fosse la soluzione migliore.
«Andrò da Ken a piedi» continuò, saltellando
dopo aver pestato un sasso che probabilmente la infastidì, visto che continuava
a camminare senza scarpe. Trattenni una risata, raggiungendola e fermandomi
davanti a lei perché non potesse continuare a camminare.
«Non vorrei dirtelo, ma fai prima a tornare a
casa, sono meno miglia». Dopo la mia frase vidi distintamente le sue labbra
socchiudersi per formare una O e pochi secondi dopo, forse indecisa su cosa
fare, mi diede le spalle, iniziando a camminare in direzione contraria. «Quindi
torni a casa? Vado io da Ken?» scherzai, pronto allo scoppio.
«Mi
prendo le scarpe, non posso attraversare due stati a piedi nudi, non sono
Mowgli» sbraitò, spostando gli occhiali da sole sopra al capo in un gesto
arrabbiato.
«Ora
ti fermi e mi dici che succede Harper, perché mi sono stancato». Serio,
arrabbiato e deluso, sapevo che avrebbe iniziato a urlare ma alla fine si
sarebbe calmata e tutto sarebbe andato nel verso giusto.
«Cosa
succede? Avevi detto che non ne avremmo più parlato, Jar. Avevamo promesso che
non avremmo più parlato di quello che era successo in cucina. Perché continui a
ricordarlo? Perché vuoi confondermi? Non voglio pensarci, è… non lo so cosa, ma
è strano. Una parte di me è imbarazzata perché ho fatto sesso con il mio
migliore amico e l’altra pensa che non è stato per niente male e che un’altra
bottarella magari con più calma te la
darei. Capisci perché non voglio più pensarci? Perché per te non è lo stesso e
lo so, probabilmente con il vostro linguaggio in codice dei maschi tu hai detto
a loro che mi hai trombata e avrai anche comunicato un voto, ridendo delle mie
tette piccole e del fatto che non ci si può far tanto, lo so. E quindi io
speravo di non doverci più pensare, ma no! Perché siamo nel bel mezzo del
deserto del Nevada, senza scarpe a dire che chissà per quale motivo ci siamo
ritrovati in cucina. Nudi. Ti basta come spiegazione o vuoi altro? Ora
inizierai a dirmi che noi donne facciamo milioni di castelli in aria per una
trombata ma no, non è così, non faccio castelli in aria, perché non ci penso».
Prese un respiro profondo, prima di tirare un calcio a un sasso che attraversò
la strada.
Se
mi avessero chiesto una sola parola per descrivere Harp in quel momento avrei
usato pazza.
Ok,
una volta per tutte dovevamo chiarire. «Harp, non l’ho fatto volutamente. Non
ho parlato con i ragazzi per vantarmi di quello che abbiamo fatto, non sanno
niente e il motivo per cui ogni tanto ne parlo è perché ci penso spesso. Stavo
solo cercando di capire quello che è successo, ma credo che siamo sulla stessa
barca. Non mento, ok? Sono un uomo e se dicessi che non mi sono divertito che è
andata male o che ora non sto meglio sarebbero stronzate. E non c’entrano
niente le tue tette. Quello che cercavo di capire era quello che tu non hai
ancora chiaro. Sono diviso in due, non so come possiamo ignorare quello che è
successo, visto che non è stato così male… è solo questo. Forse dobbiamo solo
scherzarci su, prenderci in giro come il solito. Io ti dico che non hai tette,
tu mi dici che non sono dotato, che non potrò mai soddisfarti o cose così e
tutto tornerà come prima dai. Un incidente di percorso, lo chiamiamo così?»
proposi, sorridendo.
Vidi
un sorriso timido posarsi sulle labbra di Harp prima che annuisse, guardando i
suoi piedi nudi.
«Dai,
abbracciami Pri» bofonchiai, allargando le braccia in attesa che mi
raggiungesse e strofinasse il suo naso sul mio petto, come sempre. «E adesso
andiamo da Ken, o almeno andiamo in Motel, perché inizio ad essere stanco di
guidare». Le lasciai un bacio tra i capelli accarezzandole la schiena prima di
sciogliere l’abbraccio e andare verso Pixie.
«Stai
scherzando, vero?» domandai, lasciando cadere lo zaino che mi ero portato. Mi
guardai attorno, cercando di scovare qualche porta segreta che potesse farmi
capire che c’era un altro letto in quella stanza, o almeno una poltrona. Ma no,
perché lì, in quello squallido motel, sembrava che ogni stanza fosse dotata di
un letto e lo spazio necessario per camminare –logicamente in fila indiana –da
quello al bagno.
«Ho
cercato quello più economico, non ho guardato la grandezza della stanza o se i
letti erano matrimoniali o singoli. Scusami Jared se quando ho prenotato non ho
pensato che potevi intestardirti e seguirmi» sbottò, incrociando le braccia
sotto al seno mentre spostava le coperte con un piede.
Non
era un motel sporco, solo tanto… piccolo. Decisamente il più piccolo che io
avessi mai visto; ora capivo perché quella camera fosse costata una miseria ad
Harper. Cercai di camminare verso il bagno per lavarmi almeno le mani, ma lo
zaino che avevo lasciato per terra qualche istante prima mi fece perdere
l’equilibrio e per poco non caddi sbattendo il capo contro il muro.
«Jar
sei un’idiota» ridacchiò sedendosi sul letto per togliersi le scarpe. Si stiracchiò,
muovendo leggermente il collo per rilassarsi dopo il lungo viaggio in macchina.
«Vai pure a farti una doccia, poi vado io. Non mi va di uscire, riposiamoci»
spiegò, distendendosi sul letto e facendomi capire che era davvero piccolo.
«Ok,
grazie». Non avevo nemmeno voglia di litigare; quel viaggio mi aveva davvero
sfiancato. Era notte, ero stanco e sudato e volevo solo riposare, visto che la sera
prima non ero riuscito a riposare se non per qualche ora.
Lasciai
che l’acqua scorresse sul mio corpo, rilassandomi, e uscii dallo stretto bagno
solo con i pantaloncini che mi ero portato da casa. Harp sorrise e si alzò,
passandomi di fianco e chiudendosi subito dopo in bagno; pochi istanti dopo
sentii il rumore dell’acqua che scorreva e, distendendomi a letto, socchiusi
gli occhi rilassato.
Risi,
ripensando ad Harp che camminava a piedi nudi in mezzo al deserto, impossessata
da qualche strano demone che la faceva sembrare pazza e poi cercai di scacciare
infastidito una mosca che si era appoggiata al mio braccio. Quando però lo
scostai, qualcuno rise e io aprii gli occhi, confuso.
«Ti
eri addormentato, stavo cercando di non svegliarti ma volevo prendere un
cuscino. Vado a dormire in macchina, qui non ci sono due letti». Quando riuscii
a capire il significato di quelle parole, mi alzai a sedere di scatto,
arrabbiato.
No,
Harp non sarebbe andata a dormire in macchina, non gliel’avrei mai permesso. «Non
essere cretina, vado io a dormire in macchina. Tu ti metti qui, comoda. Io ho
deciso di venire con te, tu avevi prenotato questo letto per te». Mi alzai, ma Harp mi bloccò, appoggiando
le sue mani sulle mie spalle e costringendomi a rimettermi seduto.
«Come
ai vecchi tempi? Dormiamo entrambi sullo stesso letto, l’abbiamo già fatto,
ricordi?» scherzò, togliendosi le infradito e sedendosi di fianco a me sul
letto.
Mi
irrigidii appena, insicuro. Era una buona idea? Dopo tutto quello che era successo
nei giorni precedenti? «Sei sicura?» domandai, sperando che avesse cambiato
idea. Non volevo farla sentire rifiutata, perché davvero, per me dormire con
lei non significava nulla, ma avevo paura che potesse in qualche modo sentirsi
imbarazzata.
«Dobbiamo
solo dormire, Jared. Non fare il maiale. Ora distenditi su». Si distese,
scalciando una mia gamba perché potessi spostarla.
Dormire,
certo. Dovevamo solo dormire. Cosa mi ero messo in mente? Cosa avevo pensato. Mi
distesi dietro Harper, tenendo la schiena appoggiata al muro dietro di me e
schiacciandomi il più possibile contro la parete fredda. «Puoi spegnere la luce»
azzardai, sperando che per lei non fosse un problema. Se dovevo anche dormire
con la luce accesa non sarebbe stata una buona idea, visto che la spallina della
canottiera nera che indossava Pri si era leggermente spostata sulla spalla.
Ma
cosa diamine stavo guardando? Alzai gli occhi al soffitto distogliendo lo
sguardo e maledicendomi per quello stupido pensiero.
«Buonanotte
Jar» mormorò Pri, avvicinandosi a me per darmi un bacio sulla guancia per la
buonanotte e sentii la sua mano sfiorare il collo per capire dove fosse il mio
viso. Mi spalmai ancora di più verso il muro dietro di me, reprimendo quel brivido
che stava nascendo lungo la mia schiena.
Ma
c’era il riscaldamento acceso in quella stanza? Perché improvvisamente quei
pantaloni sembravano di troppo e avevo caldo. Il corpo di Pri era come una
stufa. Cercai di spostarmi i capelli dalla fronte con una mano e Harper, con un
sospiro si spostò di qualche centimetro verso di me.
«Cazzo»
pensai, chiudendo gli occhi e trattenendo il respiro. Non se ne era accorta,
vero? Non si era accorta che qualcosa non andava. Era solo la mia impressione,
no?
«Jar,
perché sei allegro andante con brio?» ridacchiò, appoggiando la testa sul mio
petto. Negare, negare l’evidenza doveva essere l’unica cosa da fare. Per forza.
«Cosa?» domandai, respirando silenziosamente per rilassare tutti i muscoli del mio corpo, anche quelli involontari. Non poteva
davvero aver sentito. La sua schiena era solo appoggiata leggermente a me. Non…
«Perché laggiù sei sveglio?». Merda. Alzai gli occhi al cielo, sentendomi
arrossire perché se solo avesse acceso la luce mi sarei sentito come lo sfigato
della scuola che si fa trovare con una canadese nei pantaloni mentre guarda lo
spettacolo di fine anno delle cheerleader.
«Non so di che parli». Mentire di nuovo era la via. Mi immaginavo Wilson ridere
se solo gli avessi raccontato quella situazione e sapevo che lui mi avrebbe
consigliato di mentire. Per questo, quando sentii il corpo di Pri premere
contro al mio per farmi capire a cosa si stava riferendo non riuscii a
trattenere un: «Cazzo» che uscì con un tono di voce un po’ troppo alto. Non potevo
più negare, era evidente.
«Esatto,
parlavo di lui. Perché?». La sentii muoversi e pochi istanti dopo il suo
respiro caldo si stava infrangendo contro il mio collo. Si era girata, ora
eravamo faccia a faccia. Nonostante ci fossero tutte le luci spente, riuscivo a
vedere –grazie al neon rosso dell’insegna del motel –l’ombra e lo scintillio
dei suoi occhi; non riuscivo però a cogliere la sua espressione per capire cosa
stesse pensando.
«Non
lo so, è caldo e ho bevuto» mi giustificai, come se potesse essere una scusa
sufficiente per quello che mi era successo. Rimaneva comunque una delle figure
di merda più grandi della mia vita. Non era successo a nessuno di eccitarsi con
la propria migliore amica. Be’, forse era successo a molti, ma essere scoperti
era un altro paio di maniche.
«Una birra» puntualizzò, facendomi sentire ancora peggio. Non potevo nemmeno
utilizzare la scusa dell’essere ubriaco perché una birra non mi faceva di certo
effetto; soprattutto visto che l’avevo bevuta quasi un’ora prima, durante la
cena.
«Harp… lasciamo stare». Anche alle mie stesse orecchie risultavo abbattuto. In verità
mi sentivo male perché sapevo di averla delusa. Lei si fidava di me, ed era la
seconda volta che la deludevo quel giorno; prima in macchina parlando del
fattaccio e ora, a letto, facendole capire che c’era qualcosa di sospeso… in
tutti i sensi.
«Io non sono presa meglio» confessò, facendomi smettere di respirare. Se cercava
di peggiorare la situazione ci stava riuscendo bene, visto che dopo la sua
frase, mi ero appiattito ancora di più contro al muro.
«Harp…». Il suo nome era uscito dalle mie labbra con un mugugno, un qualcosa di
indefinito… mi vergognavo di me stesso, non ero nemmeno più un uomo. L’intera
razza maschile mi avrebbe detto che non ero degno di possedere due palle.
«E se… visto che abbiamo un letto stretto, ottimizzassimo gli spazi? Tipo tu
sotto e io sopra, così stiamo meglio». Non riuscivo a cogliere la sfumatura nel
suo tono di voce, ma non mi sembrava che stesse ridendo. Sembrava davvero seria.
Forse Harp era diventata improvvisamente sonnambula e parlava nel sonno?
«Harp mi stai chiedendo di…»… non riuscivo nemmeno a completare la frase, per
paura che mi arrivasse un ceffone, dicendomi che ero un maiale e che ero sempre
pronto a cogliere occasioni del genere al volo.
«Sì, Jar, ti sto chiedendo di trombare, dannazione. Ci scarichiamo un po’, è
meglio no? Piuttosto di andare con gli sconosciuti, noi ci conosciamo, e poi
qui siamo più comodi. Solo stanotte, perché siamo in questo motel con un solo
letto. Che dici?». Si mise a sedere, accendendo la luce. Aveva i capelli
sciolti che ricadevano sulle sue spalle e… dannazione, quella spallina nera era
definitivamente scesa. Abbassai lo sguardo, percorrendo il suo piccolo e magro
corpo e soffermandomi sulle sue gambe nude, scoperte da quei corti shorts che
indossava.
«Oh…
be’, se la metti così» mormorai, sollevandomi appena per sistemarmi e stare più
comodo. Carpe diem, diceva qualche
poeta greco o latino. Lascia che la carpa
dia, dice sempre Wilson. Una trombatina solo perché quel letto era
decisamente stretto per stare uno di fianco all’altro, niente altro. In amicizia,
ecco.
«La metto come vuoi» scherzò. Non sapevo se fosse per rompere la tensione che
si era creata o cosa, ma ci riuscì, perché iniziai a ridere, colpendola
scherzosamente con una mano sul braccio.
«Harp, sei scema». Mi asciugai una lacrima con il dorso della mano, notando
come si fosse fatta improvvisamente seria. Forse ci aveva ripensato, forse era
meglio così. Poi le cose si sarebbero complicate ancora di più, no?
«Però
mettiamo delle regole, visto che sarà una cosa di puro piacere personale, senza
sentimenti. Vorrei che il mio punto fosse chiaro: tipo dei paletti. Che cosa
non ti piace? Io per esempio odio quando mi mordono il collo, mi infastidisce e
non mi eccita». Sgranai gli occhi: Harp la pazza aveva colpito ancora,
facendomi capire che con lei quello che pensavo era sempre sbagliato. Perché ora
mi stava chiedendo le mie preferenze… forza Jar, era il momento di essere uomo
e non la femminuccia che pensa sempre ai sentimenti. Una trombata, dannazione. L’avevano
fatto tutti.
«Odio che mi graffi la schiena perché se vado in
palestra ho i segni rossi» specificai, ricordando che una volta avevo visto uno
con dei graffi così evidenti da risultare ridicoli.
«Non farmi il solletico, non leccarmi perché mi
sembri un cane e poi non mi eccito più e non urlare come se fossi in un film
porno. Non incitarmi nemmeno, cose come «Dai che ce la fai, Pri» non funzionano
e potrei tirarti un pugno». Aveva contato tutte le cose nelle dita di una mano,
per non dimenticarsi nulla. Mentalmente mi appuntai tutto: no collo o
solletico, non leccare, non incitare, non urlare… la lista sembrava lunga e non
ero sicuro di poter ricordare tutto quanto nel mezzo dell’azione.
«Non fingere perché lo capisco, ho un metodo
infallibile» la avvertii, notando i suoi grandi occhi verdi sgranarsi per la
sorpresa. Si riprese subito però, ricordandosi di qualche altra regola che
avrei dovuto rispettare.
«Non aggrapparti alle mie minitette, non mordere
il mio stomaco e non tenerti sulle mie spalle». Che lista lunga, dannazione! Come
pretendeva che potessi agire normalmente quando avevo così tante cose da tenere
a mente? Mi vietava di fare qualsiasi cosa!
«Ma posso fare qualcosa, oltre a spingere?»
domandai ironico, alzando anche un sopracciglio. Perché se non potevo toccarle
il collo, farle il solletico, leccarla, incitarla, urlare, aggrapparmi alle sue
tette, morderle lo stomaco e tenerle le spalle… non mi rimanevano molte cose da
fare.
«No, non fare nulla. Anzi, sto io sopra, tu
stenditi» ordinò, sedendosi meglio sul letto.
Cazzo,
in che guaio mi ero cacciato? Era proprio brutto ritirarsi all’ultimo momento?
Ragazze io non so nemmeno come scusarmi.
Sono passati due mesi e mezzo dall’ultimo aggiornamento quando
avevo promesso che sarebbe passato meno tempo, in più sono indietro con le
risposte alle recensioni e con i messaggi privati, giuro che ho letto tutto e
adesso inizio a rispondere, mi dispiace così tanto per il ritardo.
In ogni caso, spero che il capitolo sia qualcosa di decente,
ne ho scritto metà ora, in mezz’ora perché mi sentivo in colpa per il ritardo e
volevo assolutamente pubblicare, quindi mi dispiace se ci sono schifezze che
non ho fatto a tempo a sistemare.
Mi scuso anche per la volgarità, nell’ultima parte mi sono
sfuggite davvero frasi poco carine (sì, Harp, sto parlando con te, e anche con
Wilson e le sue perle di saggezza).
Voglio anche dire che nella prima parte del capitolo non era
mia intenzione offendere Justin Bieber e la sua musica, quello che cercavo di
fare era scherzare, visto che i gusti musicali di Harper non sono proprio
quelli della musica di Justin. Non mi permetterei di offenderlo.
E poi… ah sì, nomino Torn, che è una canzone di Natalie
Imbruglia di qualche anno fa, molto carina.
e… ah sì, in questi mesi di assenza da EFP ho pubblicato l’ultima
(credo sia il momento di dirlo) OS “Look after
you” che riguarda la long story “You saved me”
(se qualcuno volesse leggerla, consiglio vivamente di non leggere la OS ma la
storia prima, visto che la OS è spoiler).
E come sempre ricordo il gruppo NERDS’ CORNER in
cui cercherò di essere comunque più presente, anche se ci sono sempre. Accetto chiunque.
A presto (stavolta prometto di metterci meno, perché la
situazione è un po’ spinosa, lo so).
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Capitolo 8 *** Round II ***
CBA
Video trailer
Alle mani in
più, ai nani, alle cene e agli hotel di lusso.
A chi mi è
vicino ogni giorno e mi sopporta, nei miei mille scleri.
A tutte voi
che aspettate anche se non c’è motivo di farlo.
Grazie.
No
collo o solletico, non leccare, non incitare, non urlare…
Deglutii, strofinando i palmi sudati delle mani
sul letto mentre Harp si portava i capelli dietro alla schiena, in imbarazzo.
«Jar... non è una cosa che mi riesce così.
Dovremmo lasciar stare forse. Se è programmato non ha senso, non trovi?».
Concordavo con lei, anche perché trovavo stupido
iniziare a baciarsi all'improvviso, se non c'era atmosfera -quella che avevamo
decisamente fatto sparire svelando i nostri tabù.
«Il momento è passato, hai ragione. Buonanotte
Harp» mormorai, lasciandole un bacio tra i capelli e distendendomi sul letto,
facendo attenzione a rimanere il più vicino al muro possibile.
La
sentii sospirare subito dopo aver spento la luce e, dopo qualche secondo, si
distese così distante da me che temevo potesse cadere giù dal letto durante il
sonno. Aspettai qualche minuto, sperando si muovesse per mettersi più al
centro, al sicuro, ma non lo fece.
«Puoi
avvicinarti se vuoi, non ti mangio» scherzai, in un soffio. Harp non rispose e
non si avvicinò nemmeno, rimase ferma immobile, come se non mi avesse sentito. «Harp?»
domandai, alzando appena il capo per controllare che non mi stesse prendendo in
giro. Di nuovo nessuna risposta. «Ma ti sei già addormentata?». Non sapevo se
mi stesse prendendo in giro o se davvero stesse dormendo ma, per sicurezza,
portai la mano davanti al suo corpo per controllare quanto spazio ci fosse; la
sua pancia sporgeva di qualche centimetro oltre il bordo del materasso. Se si
fosse mossa in avanti durante la notte, sarebbe di certo caduta, facendosi
male.
Non
potevo permetterlo.
«Vieni
qui, stupida» mormorai, portando il mio braccio attorno alla sua vita e
attirandola verso di me perché potesse essere al sicuro. La sentii lamentarsi
appena nel sonno, ma dopo qualche secondo si sistemò, portando la sua mano
sopra alla mia e sospirando. Sorrisi, felice che non potesse vedermi, e dopo
averle lasciato un bacio tra i capelli, chiusi gli occhi, rilassandomi e
addormentandomi dopo poco.
«Mhh»
mi lamentai, scuotendo appena il capo per spostare qualsiasi cosa stesse
camminando sulla mia fronte. Faceva caldo, tanto caldo, il mio fianco destro
era completamente appoggiato a un termosifone e sentivo la mia schiena
appiccicata al materasso sotto di me.
«Non
volevo svegliarti, scusa. Stavo cercando di spostarti i capelli, sei tutto sudato»
sussurrò Harp, costringendomi ad aprire gli occhi per cercare di capire dove
fossi. Perché era di fianco a me? Improvvisamente ricordai: eravamo in motel,
perché stavamo andando a trovare Ken. Un solo letto, stretto. «Dormi, devi
riposare, sono le due» cantilenò, come se stesse cercando di farmi
addormentare. Socchiusi involontariamente gli occhi, al tocco della sua mano
calda sulla mia fronte, mentre mi scostava i capelli.
Continuava
ad accarezzarmi, come se stesse cercando di farmi rilassare per tornare a
dormire; canticchiò anche qualche canzone mentre sentivo i miei muscoli
rilassarsi di nuovo, addormentandomi.
«Sei
bello». Un sussurro, sicuramente prodotto dalla mia mente.
Spalancai
gli occhi, guardando Harper che sgranò i suoi, in un’espressione che era un
misto tra paura e imbarazzo.
«Cosa?».
Mi schiarii la voce, muovendomi appena e spostando il mio braccio che le
circondava ancora il corpo. «Che hai detto? Hai parlato tu?» domandai, sentendo
il suo corpo irrigidirsi di fianco al mio. Ormai non avevo nemmeno più sonno;
ero troppo curioso di capire se fosse stata davvero lei a dire quelle parole o
se fossi stato io a sognarle.
Però,
se avevo imparato a conoscere Harp in tutti quegli anni, potevo capire che
fosse stata lei a dire la frase, visto il modo in cui stava reagendo.
«Di
che parli?». Il corpo rigido e lei che, cercando di non farmelo vedere, si
allontanava di qualche centimetro da me. Stava mentendo, lo capivo da troppi
segnali.
«Harp?».
Corrugai la fronte, in attesa che parlasse con me e mi spiegasse che cosa era
successo. La vidi scuotere il capo nella penombra della stanza e fece pressione
sulle braccia, per alzarsi; ma non glielo permisi. Afferrai il suo polso,
stringendolo appena e facendo un po’ di forza perché non potesse scendere dal
letto. Non se ne sarebbe andata fino a quando non mi avesse detto che cosa era
successo.
«Jar,
davvero lascia stare». Era agitata, si notava anche dal modo in cui, ancora una
volta, scuoteva il capo avanti e indietro; sembrava stesse scacciando qualche
pensiero che non voleva avere.
«Ora
mi dici che succede». Fece forza per alzarsi e, istintivamente, aumentai anche
io la stretta sul suo polso, tirando all’indietro e facendola cadere sopra di
me. «Oops» mormorai quando il suo naso sfiorò il mio e vidi i suoi occhi a
pochi centimetri dal mio volto. Il verde dei suoi occhi risaltava anche se
c’era solamente la luce rossa al neon fuori dalla camera.
«Jar…»
un sussurro che mi fece sgranare gli occhi quando vidi lo sguardo di Harp
spostarsi involontariamente sulle mie labbra schiuse. «Non…». Di nuovo, il capo
che si scuoteva mentre socchiudeva gli occhi cercando di concentrarsi. Sentii
distintamente il suo petto premere contro le mie costole mentre respirava
profondamente.
«Harp?»
domandai, aggrottando le sopracciglia confuso. L’avevo vista alzare gli occhi
al cielo come se avessi fatto qualcosa di male.
«Fanculo,
Jar. Ti ho chiesto espressamente di non leccarti le labbra. I miei ormoni sono
messi a dura prova e non mi pare il momento». Non riuscivo a capire perché,
entrambi, continuassimo a sussurrare tutto quello che stavamo dicendo, visto
che non c’era nessun altro in camera con noi. Non che avessi paura di
disturbare qualcuno, ma sembrava quasi che lo facessimo per non… rovinare
l’atmosfera. «Cazzo. Di nuovo. Smettila o ti strappo quella lingua con i denti».
Sentii l’indice di Harp puntato al mio petto e ridacchiai divertito dal suo
sguardo furioso e frustrato.
Perché
non giocare un po’? Mi mordicchiai il labbro, puntando direttamente il mio
sguardo nel suo, per godermi la sua reazione. Spalancò gli occhi e le labbra,
assomigliando terribilmente a un –bellissimo –pesce lesso.
«L’hai
voluto tu» mormorò, mettendosi a sedere e fingendo di arrotolarsi le maniche di
una maglia invisibile come se si stesse preparando a uno scontro epico.
Ridacchiai rumorosamente, portando le braccia a incrociarsi dietro la nuca, in
attesa della sua prossima mossa. «Preparati, Jared James Edward. Ora morirai».
Si alzò in piedi, sul materasso di fianco a me e, tenendosi in equilibrio con le
mani appoggiate al muro, si spostò per portare una gamba al mio fianco.
«Cosa
fai?» sghignazzai, inorridendo mentre, con un sorriso sadico si sedeva sui miei
addominali prima di iniziare a farmi il solletico. «Pri» urlai così forte che
probabilmente avevo svegliato qualcuno. Non mi interessava però, visto che
quelle sue piccole e magre dita continuavano a torturarmi lungo le costole; lì
dove soffrivo il solletico più di tutto. «Smettila o me la paghi». Sapeva
esattamente che il solletico in quel punto mi faceva mancare completamente la
forza, per questo, non appena ero riuscivo a intrappolare i suoi polsi con una
mano, aveva iniziato a scalciare per cercare di scappare.
Con
un colpo di reni ribaltai la situazione, schiacciandola tra il mio corpo e il
materasso sotto di lei. Alzai le sue braccia, tenendo entrambi i suoi polsi con
una mano e li appoggiai al cuscino, sopra la sua testa. Avevamo entrambi il
fiatone e per qualche secondo rimasi a guardare gli occhi verdi di Harp, sotto
di me. «Harp».
«Jar»
sussurrammo nello stesso momento, sorridendo subito dopo. Iniziò a ridere,
portando la testa all’indietro tanto che una ciocca di capelli le ricadde sul
collo e istintivamente la spostai. Harp smise di ridere non appena le mie dita
sfiorarono il suo collo e mi guardò seria, prendendo un respiro. «Jar…» tornò a
dire, senza veramente aggiungere altro.
Era
stato un attimo; non me ne ero nemmeno accorto. Mi ero ritrovato con le mie
labbra sulle sue, le sue dita a tirare qualche ciocca dei miei capelli e la mia
mano a scorrere lungo le sue braccia fino ad arrivare al suo viso mentre
cercavo di sorreggermi.
Era
come… come aver acceso –di nuovo –un fiammifero su un cumulo di paglia.
All’improvviso tutto era diventato fuoco.
Portai
la mano sotto alla maglia di Harper, solleticando la pelle delicata del suo
stomaco mentre la sentivo rabbrividire sotto il mio tocco. Non chiesi nulla e
lo stesso fece lei. Fu naturale per me –come se non l’avessi fatto una volta
sola ma da sempre –far salire la mia mano sfiorandola e godendo del suo sospiro
che morì sulle mie labbra.
Sentii
le sue mani scendere lungo il mio collo, sfiorarmi le spalle e circondarmi la
schiena quando una mia mano si strinse sul suo seno. Di nuovo, un gemito mal
trattenuto poiché continuava a torturare il mio labbro con i suoi denti. Non
che mi interessasse poi molto, visto che le sue mani stavano esplorando il mio
corpo, scendendo sempre di più e facendomi diventare, secondo dopo secondo,
sempre meno lucido.
Socchiusi
gli occhi quando volontariamente il palmo della mano di Harp sfiorò i miei
boxer, prima di spostarsi verso il mio stomaco che graffiò, facendomi gemere.
La
sentii ridacchiare e, per ripicca, come se fossi stato un bambino, decisi di fargliela pagare mordendole il labbro;
Harp mugolò per il dolore, stringendo le sue gambe attorno ai miei fianchi e
attirandomi a lei prima di iniziare a muovere –in una sadica tortura –i suoi
fianchi per tentarmi.
Senza
pensarci due volte portai di nuovo le mani sotto alla sua canottiera nera,
sfilandogliela e smettendo di baciarla solo per il tempo necessario. Lasciai
che le mie mani accarezzassero il suo corpo, sfiorandola e godendo dei suoi
sospiri, imparando a capire cosa potesse piacerle e cosa no.
Per
quanto conoscessi Harper, conoscere il corpo di una persona, esplorarlo e
comprenderlo per poter donare piacere all’altra persona era diverso. Ci stavamo
divertendo, certo, ma volevo che Harp stesse bene, oltre a far godere me.
La
sentii ridacchiare quando le mordicchiai il lobo dell’orecchio e vidi
distintamente il suo sguardo cambiare nel momento in cui tracciai una scia di
baci lungo il suo collo, scendendo verso l’incavo dei suoi seni e arrivando a
baciarle la pancia.
Un
sospiro interrotto a metà non appena la mia mano accarezzò una sua coscia
salendo, per sfilarle gli slip. Puntai il mio sguardo nel suo, per essere
sicuro che fosse quello che voleva veramente, che non ci fossero ripensamenti o
altro; una volta superato quello scoglio –una volta tolto quel pezzo di stoffa
decisamente inutile, quindi –non sarei più riuscito a fermarmi. Non che ci
potessi riuscire in quel momento, comunque.
La
vidi sorridere imbarazzata, come se volesse darmi un muto consenso; quindi,
senza aspettare troppo, levai quell’inutile coso
nero, sorridendo quando, alzato lo sguardo, mi ritrovai a guardare il corpo
nudo di Harp davanti a me.
La
luce al neon rossa produceva degli strani effetti, creando ombre e giochi di
luce che rendevano la sua pelle di un colore innaturale e che sottolineava
quelle poche curve che aveva. Mi soffermai per qualche secondo a guardare il
suo seno che si alzava e abbassava a un ritmo più veloce del normale e sorrisi,
quando si portò le mani davanti per coprirsi; non aveva assolutamente nulla che
non andasse, anzi: era bellissima.
«Non
coprirti» mormorai, tornando a baciare le sue labbra e lasciando che le sue
dita esplorassero la mia schiena. La sentii sospirare ma ero troppo impegnato a
lasciarle un piccolo segno rosso sul collo per curarmi di alzare lo sguardo.
La
sua pelle era così morbida e liscia che non resistetti: lasciai una scia di
baci e piccoli morsi, marchiandola con piccoli segni rossi fino ad arrivare al
suo seno, sul quale mi soffermai di più, vista la sua reazione. Ridacchiai,
giocando con la sua pelle chiara e mordendo e baciando ogni singolo centimetro,
guidato dai suoi sospiri e dalle sue mani che si stringevano attorno ai miei
capelli.
Improvvisamente
però, Harp si mise a sedere, cogliendomi di sorpresa. Si avvicinò con uno
strano sorriso al mio volto, mordendo le mie labbra in un modo così sensuale
che riuscii a trattenere un gemito solo per poco. Dannazione, se ci sapeva
fare!
Sentii
le sue piccole mani correre lungo la mia schiena fino ad arrivare all’elastico
dei miei boxer che allontanò per poi farlo sbattere contro la mia pelle. «Oops»
scherzò, fingendo di non averlo fatto volutamente. Sgranai gli occhi, sorpreso
da quella nuova Harper che non avevo mai visto o immaginato –forse solo sognato
–e che era dannatamente… eccitante.
«Cazzo»
sbottai, strofinandomi il volto con una mano, frustrato. Che diamine mi stava
succedendo? Perché improvvisamente Harper era cambiata e sembrava che ci fosse
più complicità del solito? Sembrava quasi naturale scherzare anche mentre –con
un’evidente eccitazione –cercavo di concentrarmi per non saltarle addosso prima
ancora di togliermi i boxer.
Per
fortuna sembrava che lei fosse un po’ più lucida –o impaziente –di me, visto
che le sue piccole e calde mani superarono la barriera di stoffa,
intrufolandosi sotto e sfiorando la pelle del mio fondoschiena fino a spostarsi
davanti per arrivare a…
«Cazzo…»
gemetti, sentendo distintamente ogni singolo dito circondare la mia erezione e
inarcando involontariamente il corpo per avere più contatto con il suo. Harper rise;
una risata cristallina, mentre cercava –goffamente –di far scendere i boxer
lungo le mie gambe.
La
aiutai, mettendomi in ginocchio e togliendoli in un modo che poteva essere
tutto tranne che sensuale, e tornai a distendermi sopra di lei, rabbrividendo
per il contatto del mio corpo nudo contro al suo. Vidi i suoi occhi
illuminarsi, come se fossero lucidi e senza pensarci baciai le sue labbra,
lasciando che le nostre lingue si incontrassero e prendessero confidenza.
Harper
era bellissima, riuscivo a capirlo anche se avevo chi occhi chiusi, mentre
assaporavo le sue labbra e il suo collo; perché anche le mie mani, vagando
lungo il suo corpo, lo capivano.
Per
questo, esattamente come la prima volta, era stato tutto naturale.
Ci
eravamo ritrovati in sintonia, con i nostri corpi che si avvicinavano,
studiandosi a vicenda: con le mani che vagavano, in cerca di pelle scoperta da
toccare e sfiorare, con le labbra che baciavano e mordevano qualsiasi parte di
collo trovassero; con i gemiti mal trattenuti che riempivano il silenzio della
stanza e con l’odore di sudore che impregnava l’aria.
Perché
era diventato tutto così normale, mentre
i nostri corpi si muovevano sempre più veloci, alla ricerca di quel piacere che
entrambi stavamo cercando.
Sentii
le dita di Harper aggrapparsi più fermamente alle mie spalle e scesi a baciarle
il collo, sfiorandola con la mia mano che scese verso il suo seno, stringendolo
appena. Faticavo anche a tenermi in equilibrio con una sola mano, soprattutto
perché sentivo di non poter resistere ancora per molto; per questo, quando Harp
si rilassò, sotto di me, continuai a spingere, fino a quando non prese il mio
volto tra le sue mani, per baciarmi.
In
quell’esatto momento, come se quel bacio fosse stato il fattore scatenante, mi
abbandonai sopra al suo corpo, completamente senza forza. Cercai di riprendere
fiato, con il naso appoggiato alla sua clavicola e il profumo della sua pelle
che assaporavo a ogni respiro.
Rimanemmo
in quella posizione per minuti, ma sinceramente non sembrava che, né a me, né a
lei, disturbasse. Sentii i nostri respiri ritornare normali e socchiusi gli
occhi, insicuro su cosa fare o dire. Temevo di ferirla nel dire qualcosa, ma
sapevo di poterlo fare anche rimanendo zitto.
«Jar?
Sei vivo? Tutto bene?» domandò, irrigidendosi. Sentii distintamente i suoi
muscoli contrarsi sotto di me, come se temesse una reazione strana da parte
mia. Sapevo che con Harper il miglior modo per dire qualcosa –e soprattutto per
sdrammatizzare –era fare battute.
In
quel momento poi, la cosa migliore da fare era togliere l’imbarazzo che si era
creato tra noi due: per la seconda volta nel giro di pochi giorni eravamo
finiti a… letto assieme; visto che non avrei saputo come definire quello che
c’era stato.
«Sono
andato male?» scherzai, alzando lo sguardo e osservando i suoi grandi occhi
verdi. Potevo vedere un’ombra più scura sulle sue guance e, di nuovo, i suoi
occhi lucidi. Sentii la sua mano sfiorare in modo pigro la mia nuca e mi misi a
sedere, aspettando una sua risposta.
«Male? Sei andato talmente male che hai fatto
sfigurare anche me». Lo sguardo serio e fisso su di me, come se stesse dicendo
sul serio. Poi, improvvisamente, un paio di secondi dopo, iniziò a ridere. «Scherzo
Jar, è stato… divertente». Si mise a sedere, cercando, senza accendere la luce,
la canottiera e gli slip per terra, di fianco al letto. Seguii il suo esempio,
trovando i boxer tra le lenzuola e indossandoli prima di accendere la luce e
inorridire davanti alla visione di Harp.
Il
suo… il suo collo era ricoperto di chiazze rosse lasciate dalle mie labbra.
Forse… forse avevo leggermente esagerato con i succhiotti, ma ricordai solo in
quel momento che tra le sue regole c’era quella di non baciarle o morderle il
collo. Il problema era che non mi ero ricordato la lista nel mezzo della…
sessione sportiva.
«Vado…
vado a farmi una doccia» mormorai, fingendo di non essermi accorto di tutte
quelle macchie e correndo verso il bagno per chiudermi dentro.
Dopo
un paio di passi però, sentii Harp mormorare un «Oddio» e mi fermai, voltandomi
verso di lei per capire che cosa fosse successo. Magari si era accorta di tutte
le macchie, o forse si era pentita di quello che avevamo fatto. «Jar, hai…
diciamo che… mi dispiace ma… la tua schiena. Giuro che non volevo, non mi sono
ricordata che non dovevo graffiarti e mi sono fatta prendere un po’ la mano ma
spariranno nel giro di qualche giorno e non si vedrà nulla…». Graffiato? Mi
aveva graffiato?
Camminai
velocemente verso il bagno, voltandomi per poter vedere la mia schiena allo
specchio «Harper» urlai, inorridendo. C’erano graffi sulle mie spalle, alcuni
più profondi degli altri. Non sarebbero di certo spariti in un paio di giorni,
dannazione. «Possibile? Tagliati le unghie!» strillai di nuovo, tornando in
camera e bloccandomi non appena puntai gli occhi sul suo collo che assomigliava
a un dalmata rosso. «Be’, così non mi sento in colpa per quel collo». Feci
spallucce, fingendo di non dare peso al disastro fatto.
«Cosa?»
si alzò in fretta, spintonandomi per andare fino al bagno. Capii con precisione
il secondo in cui i suoi occhi avevano visto i succhiotti: aveva esclamato un «Cazzo»
prima di tornare in camera furiosa. «Sei cretino però. Domani devo andare da
mio fratello e arrivo a chiazze. Mi spieghi che cosa gli posso dire, visto che
a quanto gli risulta non ho un ragazzo e sa che non me la faccio con il primo
che passa?». Si sedette sul letto, sospirando e portandosi le mani tra i
capelli.
«Magari
se metti una sciarpina…» tentai, rendendomi conto che non era una buona idea. Non
poteva di certo rimanere a casa di Ken con la sciarpa, sarebbe stato inutile. «O
potresti metterti fondotinta o qualsiasi cosa si usi per cancellare una piccola
chiazzetta». Piccola… fosse stata solo una. Harper aveva la pelle delicata,
dovevo ricordarlo, per la volta dopo.
No!
Dannazione,
non ci sarebbe stata nessun’altra volta, che diamine stavo pensando?
«Va
a lavarti, per favore» sospirò, indicando la porta del bagno. In silenzio
eseguii il suo ordine, lavandomi in fretta e tornando in camera pochi minuti
dopo. Mi distesi sul letto con il corpo umido, ma Harp non lo notò, visto che
era andata a farsi una doccia veloce anche lei. Quando tornò a letto, qualche
minuto dopo, cercò di non appoggiare il suo corpo al mio, anche se era
impossibile. «Jar, posso chiederti una cosa?» domandò all’improvviso, rompendo
il silenzio che si era creato. Aveva aspettato di essere al buio, per far
quella domanda.
«Certo
Pri, come sempre» mormorai, appoggiando la mia mano al suo fianco e aspettando,
con il respiro bloccato. Avevo paura della domanda, qualsiasi cosa fosse.
«Bene,
allora te la faccio domani mattina, buonanotte».
Scusarmi
è la prima cosa che faccio, anche se è inutile.
Come
ho spiegato più volte nel gruppo, ho diversi problemi e so che giustificare il
ritardo non ha senso, ma mi sento in dovere di farlo lo stesso.
Mi
dispiace davvero tanto di farvi aspettare mesi per un capitolo che poi non è
nemmeno questo bijou!
Mi
scuso per la parte porno, ma ho davvero perso la mano e non so scrivere più
nulla che sia quanto meno di rating arancione.
In
più non sapevo dove ficcare la mano di Jar e mi son trovata in imbarazzo perché
non sapevo che fargli toccare (niente battute porno, per favore).
Spero
vivamente che il prossimo capitolo arrivi prima di un paio di mesi, mi scuso
ancora per il ritardo e vi ricordo che se volete c’è il gruppo NERD’S CORNER dove
inserisco spoiler e dove potete contattarmi se avete bisogno di qualsiasi cosa.
Grazie
comunque a chi legge, mette la storia tra preferiti, seguiti e da ricordare e
grazie anche a chi commenta (a questo proposito mi mancano alcune recensioni al
quale risponderò entro domani mattina).
Baciozzi.
Rob.
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