Cupid's broken arrow

di RobTwili
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Can I kill him? ***
Capitolo 2: *** U think I'm unf*ckable, right? ***
Capitolo 3: *** Please, what happened? ***
Capitolo 4: *** I just want to know... ***
Capitolo 5: *** Did we do it? ***
Capitolo 6: *** Saying something wrong... ***
Capitolo 7: *** Bed for two? ***
Capitolo 8: *** Round II ***



Capitolo 1
*** Can I kill him? ***


CBA





«Jar mi serve un consiglio, più da uomo che da amico. Questo o questo?». Improvvisamente non vidi più lo schermo della tv davanti a me, ma solo Harper e i due pezzi di stoffa che teneva tra le mani. Pezzi di stoffa uguali.
«Harp, sto giocando a PES, levati da davanti» sbottai, premendo il pulsante per mettere in pausa il gioco. Possibile che dovesse disturbarmi nel bel mezzo del gioco solo perché non sapeva quale di quei due cosi era meglio indossare? «E poi sono uguali, quindi perché mi chiedi quale è meglio?». Presi la birra di fianco a me, bevendone un lungo sorso mentre la vidi sospirare prima di appoggiare uno dei due vestiti sul divano, di fianco a me. No, non di nuovo.
«Primo, PES non è importante come me, sono la tua migliore amica e ho bisogno di un consiglio visto che stasera festeggio due mesi con il mio ragazzo e sai come la penso sui due mesi. Secondo, questi due vestiti non sono uguali, uno è grigio perla e con taglio a impero, l’altro è grigio fumo di Londra e con lo scollo a cuore. Dai, aiutami per favore!» mugolò, facendo gli occhi da cucciolo e sporgendo il labbro inferiore per farmi cedere. «Dai Jar, lo sai che ti voglio bene e che vorrei che tu fossi gay in questi casi, ti prego, ti prego, ti prego. Quale dei due? È importante per me e Noah questa sera». Riprese i vestiti in mano, sollevandone prima uno e poi l’altro perché potessi guardarli attentamente e farmi un’idea. Tanto lo sapeva che entrambi avrebbero fatto la stessa fine, sul pavimento della camera di Noah l’idiota, visto che erano passati due mesi dal loro primo appuntamento.
Ed era esattamente questo che Harper aspettava, perché lei, al contrario di tutte le altre, attendeva due mesi prima di darla al ragazzo con cui usciva, visto che secondo lei la regola dei tre appuntamenti era «di pessimo gusto e volgare, perché in tre appuntamenti non conosci una persona”. Sapevo che molti l’avevano lasciata perché dopo un mese si erano stancati di aspettare, ma sembrava che Noah l’idiota fosse riuscito a resistere e quella sera potesse essere premiato.
«Quello». Indicai, sbadigliando, il vestito di colore più chiaro, guadagnandomi una sua occhiataccia. «Che c’è?» domandai esasperato, allargando le braccia e appoggiando il capo allo schienale del divano, aspettando che mi spiegasse perché la mia scelta non concordava con la sua idea. Perché diamine chiedeva il mio consiglio se poi doveva iniziare a dire che non capivo niente di moda, solo perché la mia idea contrastava la sua? Donne.
«Se metto questo però non posso mettermi il reggiseno in coordinato con gli slip, anzi, dovrei rimanere senza e se non ce l’ho sembra che abbia già organizzato tutto. Non che non l’abbia fatto, ma se si capisce diventa una cosa non romantica e sembra che sia tutto organizzato, capisci? Forse è meglio questo, così posso mettere un completo carino sotto e non sembra che io ci abbia pensato. Sì, farò così. Grazie per il consiglio Jar, tu sì che sei un amico» decretò, come se mi avesse veramente ascoltato. Raccattò i vestiti e mi diede un bacio sulla guancia prima di correre su per la scala per andare a prepararsi.
«Harp, non finire tutta l’acqua calda, devo farmi la doccia anche io dopo» urlai perché potesse sentirmi, mentre chiudeva la porta del bagno con un tonfo sordo. Sentii l’eco di una sua risata prima che lo scrociare dell’acqua assieme a una canzone dei Metallica facesse da sfondo alla partita che avevo interrotto con l’arrivo di Harper.
Dopo l’intero Master of puppets sentii la porta del bagno aprirsi e mi sembrò quasi di vedere la nuvola di vapore scendere dalle scale, visto che sapevo quanto Harp adorasse l’acqua calda. «Per fortuna ti avevo chiesto di non finire tutta l’acqua calda» urlai di nuovo, alzandomi dal divano svogliatamente e spegnendo X-Box e TV. Entrai in camera sua, distendendomi sul suo letto quando si chiuse la porta della sua cabina armadio alle spalle per potersi vestire dentro. «Dovrei lavarmi, visto che puzzo e stasera vengono i ragazzi per giocare a poker» spiegai, massaggiandomi le tempie e stiracchiandomi. Sentii il rumore della porta della cabina armadio che si apriva e con un braccio mi coprii il viso, rilassandomi.
«Tanto puzzate tutti come dei caproni, non ti sei mai accorto che quando Wilson e Joseph se ne vanno da qui spalanco tutte le finestre per cambiare l’aria? Io devo ancora capire se voi maschi sapete che hanno inventato la doccia» si lamentò, cominciando a camminare su e giù per la stanza, con i tacchi. Sentivo il ticchettio delle scarpe sul legno e mi infastidii, soprattutto per la sua frecciatina.
«Primo io non puzzo, almeno, puzzo solo dopo aver fatto sport. Sono un uomo è normale puzzare d’accordo? E secondo… nemmeno i miei amici puzzano. D’accordo, un po’» ammisi, ripensando ai post partita di calcetto con i ragazzi. E comunque non avevamo mai invaso gli spazi di Harper; non eravamo nemmeno mai entrati in camera sua. Oddio, quasi mai, tranne quella volta che, da ubriachi, avevamo curiosato dentro al cassetto della sua biancheria per capire se facessero dei reggiseni anche per le sue nontette. In verità era stata un’idea di Wilson, solo perché non credeva che reggiseni per tette così piccole fossero venduti. Io non avevo guardato; solo una sbirciatina, piccola piccola. Giusto il tempo di notare quei due perizomi di pizzo e forse un bustino niente male. Ma ero ubriaco, quindi non faceva testo.
«Appunto, puzzi anche tu, quindi alzati dal mio letto e vai a farti la doccia. Conoscendo gli altri due scemi arriveranno con una cena messicana o cinese tra mezz’ora, visto che la vostra serata poker inizia dalla cena». Con gesti meccanici iniziò a truccarsi, sedendosi sullo sgabello davanti allo specchio in camera sua. Con uno di quegli aggeggi tra le dita, si fermò con la mano a mezz’aria, intimandomi con i suoi grandi occhi verdi di andarmene dalla sua stanza per farmi quella dannata doccia prima che arrivassero Wilson e Joseph.
«D’accordo, d’accordo, esco e ti lascio da sola con tutte quelle cose da metterti sul viso. Ma sappi che sono sicuro che Noah apprezzerà di più poco trucco. Anche perché dubito che domani mattina voglia vederti in versione panda quando vi sveglierete dopo una notte di fuoco. Io ti ho vista una mattina, quando non ti sei struccata, non lo auguro nemmeno al mio peggior nemico!» scherzai –non poi così tanto –chiudendomi la porta alle spalle prima che potesse lanciarmi addosso uno di quegli arnesi che usava per spalmarsi colori sul viso. Entrai in bagno sbuffando per la mancanza d’aria dovuta a tutta la nuvola di vapore che Harp aveva creato e iniziai a spogliarmi, aprendo il rubinetto dell’acqua e immergendomi sotto al getto, distendendo i muscoli delle spalle. L’acqua tiepida che scivolava lungo il mio collo e la mia schiena, i Metallica che cantavano in sottofondo e il vetro del box doccia completamente annebbiato dal vapore. Presi la boccetta di shampoo iniziando poi a insaponarmi i capelli quando l’acqua da tiepida diventò improvvisamente gelata.  «Harper! L’acqua cazzo! Non c’è più acqua calda». Chiusi il rubinetto di colpo, togliendomi lo shampoo che era entrato nei miei occhi, facendoli bruciare e sentii la sua risata che superò perfino l’assolo di chitarra.
«Scusa Jar, ma è più importante che sia io quella pulita e profumata, visto che sono io quella che ha l’appuntamento» urlò senza smettere di sghignazzare, mentre aprivo l’acqua di nuovo per sciacquarmi. Iniziai a saltellare, lavandomi il più in fretta possibile per poi arrotolarmi l’asciugamano attorno alla vita e camminare a passo spedito verso la sua camera. Avevo i brividi e i capelli gocciolanti, ma ero già pronto con il piede di guerra per dirle che no, non andava bene così. «Jar! Va a vestirti! Stai gocciolando ovunque!» strillò, puntandomi contro qualcosa di appuntito e nero. Sembrava una matita, ma non ne ero sicuro, non sapevo bene che cosa usasse per truccarsi.
«Prova a finire l’acqua di nuovo e lo scherzo del dentifricio sotto al naso sarà il meno stronzo che potrai aspettarti» sibilai, tornando in bagno per asciugarmi e prepararmi. Dovevo cercare in Google qualche scherzo idiota da poter fare ad Harp se avesse di nuovo consumato tutta l’acqua calda; o magari potevo semplicemente chiedere a Wilson e Joe, visto che potevano tranquillamente fare concorrenza a Bart Simpson, quando si trattava di scherzi da idioti.
Uscii dal bagno scendendo le scale di corsa quando suonarono al campanello: ero quasi certo che fossero Joe e Wilson e non Noah l’idiota, visto che era puntuale come un orologio svizzero e mai in anticipo. Quando i ragazzi entrarono, salutandomi con un «Ciao idiota» che fece sbuffare Harp dietro di noi, risposi al saluto, dirigendomi subito dopo verso il divano, certo che nessuno di loro volesse consumare la cena del ristorante cinese seduto a tavola.
«Primitivi, ecco cosa siete. Chi cavolo mangia seduto sul divano? Se sporcate qualcosa Jar, vedi di pulire. Non voglio tornare a casa domani e trovare pezzi di involtini primavera spalmati sul divano o sul tappeto, visto che ne sareste capaci». Indossò le scarpe con il tacco che aveva tolto per truccarsi e si appoggiò al divano, per evitare di cadere. Wilson e Joe si scambiarono una strana occhiata prima di tornare a guardare Harper e successivamente me.
«Dove deve andare?» domandarono in coro, sedendosi sul divano con un sonoro sbuffo. Vidi Harper alzare gli occhi al soffitto mentre si sistemava i capelli, dopo aver indossato il cappotto. Le ciocche rosse che ricadevano sulla schiena mentre si sistemava una sbavatura del rossetto, controllando il risultato davanti allo specchio dell’entrata.
«A trombare. Sono due mesi che è con quell’altro, quindi scatta la chiusura automatica del veto e l’apertura delle gambe» bofonchiai, trangugiando un involtino primavera e perdendo pezzi ovunque sulla mia maglia; istintivamente guardai Harper che arricciò il naso in un gesto di disgusto. Mi schiarii la voce, raccogliendo le briciole e ammucchiandole tutte alla stessa altezza della maglia, continuando poi a mangiare.
«Buona trombata allora. Poi facci sapere che voto gli dai. Secondo me non supera il sette. Joe, Jar, l’avete visto? Andiamo, sembra una fighetta; ancora mi meraviglio che non sia gay, porta il borsellino, vi rendete conto? In quale universo parallelo uno a cui piace la fi… cioè, uno a cui piacciono le donne indossa un borsellino?» domandò Wilson, allargando le braccia in attesa di una risposta. Io e Joe rimanemmo in silenzio, concentrati al massimo per non ridere mentre Harper si avvicinava a lui, colpendolo con un sonoro schiaffo alla nuca.
«E poi mi chiedo perché non avete la ragazza; ma chi vorrebbe rimanere con voi, poi? Primitivi, volgari e anche stupidi». Scosse la testa fingendosi dispiaciuta, quando sapevo che Harper era la prima a ridere per le battute che facevamo durante le nostre serate a poker. Harper era l’unica donna ammessa; l’unica che poteva assistere ai nostri sproloqui da uomini, quando ci lasciavamo un po’ andare con le parole dopo un paio di birre. Non era solo perché viveva con me e quindi spesso era anche lei a casa, era perché –quando non si fingeva troppo signora –diventava un’ottima osservatrice e sapeva anche dispensare consigli alcune volte utili. Che poi noi non li seguissimo mai perché convinti che ci prendesse in giro era un discorso a parte.
«Offendi, offendi. Vediamo stasera quando ti dirà che è gay come tornerai tra le mie braccia per farti consolare». Wilson ammiccò verso di lei, che non riuscì a trattenersi, iniziando a ridere. Faceva sempre lo scemo, fingendo di provarci con lei. In realtà sapevamo che Wilson non era interessato ad Harper, visto che era semplicemente il suo modo di fare. Wilson si comportava così con tutto il genere femminile.
«Oddio, è qui. A domani Jar. Ciao ragazzi» saltellò fino a me per tirarmi un pugno sulla spalla prima di prendere la borsa che aveva appoggiato sul divano e uscire, chiudendosi la porta dietro di lei. Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, continuando a mangiare. L’unico rumore era il masticare a bocca aperta di Joe, tanto che Wilson gli tirò una pedata, intimandogli di smetterla.
 «Mah» sbottai sovrappensiero, grattandomi la barba che mi pungeva. L’idea che Harper trascorresse la notte con Noah l’idiota non mi piaceva per niente, più che altro perché non mi fidavo di lui dalla prima volta che l’avevo visto. Noah sembrava il tipico belloccio che voleva solamente portarsi a letto la ragazza di turno per poi scaricarla alla prima occasione utile. Bisognava però ammettere che se era riuscito a resistere con Harper per due mesi senza forzarla a trombare con lui, un po’ ci teneva davvero a lei. Annegai quei pensieri idioti con un paio di sorsi di birra che i ragazzi avevano comprato al take away cinese e tornai a discutere con loro della nuova ragazza che Joe aveva conosciuto un paio di settimane prima.
 
«Poker d’assi, stronzi» ghignai, appoggiando le mie carte sul tavolo della cucina e aspirando una nuova boccata di fumo, dal sapore di vittoria. Vidi gli sguardi increduli dei miei amici prima che iniziassero a imprecare, contro la mia sfacciata fortuna durante le nostre partite di poker. Stavo quasi per ribattere che non era fortuna ma bravura, quando il rumore della porta d’entrata che sbatteva ci fece ammutolire tutti e tre. «Harper?» domandai stupidamente, sapendo che solamente io e lei avevamo le chiavi di casa e nessun altro sarebbe entrato sbattendo così forte la porta.
«Chi cazzo vuoi che sia, mago Merlino?» sibilò, entrando in cucina dopo aver lanciato le scarpe con il tacco verso le scale. Spensi subito la sigaretta dentro al posacenere, sapendo che Harper si lamentava sempre perché non voleva che fumassimo dentro casa. Sembrò però non farci caso, visto che aprì il frigo, prendendo una bottiglia di birra e togliendo il tappo con rabbia.
Oh- ho.
«Che è successo?» chiesi guardingo, appoggiando le carte sul tavolo e drizzando la schiena sulla sedia. Doveva per forza essere successo qualcosa perché Harper beveva birra a canna dalla bottiglia solamente quando qualcosa non andava. «Cazzo» sbottai, quando prese una sigaretta dal pacchetto sopra al tavolo, accendendola. No, la situazione era per forza grave, lei non fumava mai. «Che ti ha fatto? Dov’è? Che è successo?». L’istinto protettivo che in tutti quegli anni avevo sviluppato per lei si manifestò all’improvviso, mentre mi alzavo dalla sedia per camminare nervosamente lungo la cucina. Che punizioni corporali erano ancora considerate legali in California? Ero quasi sicuro che fosse possibile, per legittima difesa –che avrebbero naturalmente confermato Joe e Wilson –utilizzare la mazza da baseball.
«Non è successo niente, ecco perché sono qui. Mi ha lasciata. Forse sarebbe meglio dire scaricata, anche un po’ umiliata a dire la verità, ma l’ho istigato io». Aspirò una boccata di fumo, bevendo un sorso di birra subito dopo. Che cosa aveva fatto quell’idiota alla mia Harper? Perché l’aveva scaricata? Ma soprattutto, come si era permesso di ferirla? L’avrei preso a pugni, se solo Harp mi avesse dettato l’indirizzo di casa sua.
«Non avete trombato?» domandò Joe, sorpreso. Si sistemò più comodo sulla sedia, appoggiando le carte da poker sullo stomaco e alzando i piedi sopra al tavolo. Incrociò le mani dietro alla nuca, in attesa di capire perché Harper fosse già tornata a casa, ma soprattutto perché fosse così arrabbiata.
«Ovvio che no, o non sarei qui adesso. Abbiamo cenato e tutto è andato bene, ho flirtato, gli ho fatto capire le mie intenzioni forte e chiaro; siamo saliti in macchina e il fatto che mi sia ritrovata spalmata sul sedile mi sembrava un chiaro segno che aveva colto il mio messaggio. Poi dopo qualche bacetto gli ho detto di fermarsi. Stavo per aggiungere che era per continuare a casa sua ma ha preso un respiro, iniziando a parlare: ha detto che doveva dirmi una cosa dall’inizio della serata, che in verità mi aveva invitato a cena perché voleva parlarmi del fatto che in questi due mesi si è trovato bene con me ma che non è scoccata la scintilla. Volevo spiegargli che mi sembrava che la scintilla fosse scoccata dentro ai suoi pantaloni da quello che potevo vedere, ma ero ammutolita: un secondo prima stavo limonando con lui e quello dopo mi scaricava. Gli ho chiesto perché e la sua scusa è semplicemente stata: non sei quella giusta, sei bella ma non mi attiri mentalmente. Gli ho tirato un ceffone e gli ho detto che non avrei mai trombato con lui, visto che aveva quei schifosi peli sul petto che uscivano dalla camicia aperta e lui mi ha detto che non sarebbe mai venuto, visto che non avevo tette. Sono scesa dalla macchina con molto stile, urlando un ‘fanculo che probabilmente hanno sentito nel giro di due isolati. E il cretino che ha fatto? È ripartito sgommando lasciandomi a piedi davanti al ristorante». Concluse il suo racconto bevendo un paio di sorsi di birra e tutti e tre rimanemmo in silenzio, guardandola. «Smettetela di guardarmi così, so che state pensando che vi faccio pena» continuò poi, gesticolando con la mano destra e spargendo un po’ di cenere che cadeva dalla sigaretta sopra al suo vestito grigio.
«Che stronzo, non aveva il diritto di dirti quelle cose. Giusto per rassicurarti, io ti avrei trombato lo stesso, poche tette o meno» spiegò Wilson, allungando il braccio verso Harper per darle una pacca di consolazione sulla spalla. Sentii un moto improvviso di rabbia verso Noah che aveva insultato Harper così solo perché non aveva pazientato un paio di secondi per ascoltarla e mi alzai di scatto, pronto per andare a prendere il cappotto e correre a casa dell’idiota per rivendicare Haper, ma il discorso che lei iniziò mi fece deviare la traiettoria e per non far capire il mio vero intento andai verso il frigo, aprendolo e bevendo un po’ di succo d’arancia direttamente dal cartone.
«Sapete che cosa mi dà fastidio? Il fatto che stamattina sono andata dall’estetista e ho tolto anche il più piccolo pelo! Voi non avete idea di quanto faccia male quella cavolo di ceretta totale laggiù» sbuffò, facendomi inorridire. No, queste cose non le volevo sentire, non da Harper. Harper non aveva appena parlato di ceretta, perché non era così.
«Basta così» decretai, riponendo il contenitore nel frigo e voltandomi verso i miei amici che mi guardarono allibiti, come se avessi appena detto qualcosa di sconveniente o fuori luogo. Dovevano smetterla con tutti quei discorsi stupidi su Harper, le sue cerette, il trombare Noah o altro. Dovevano proprio andarsene, visto che ero sicuro Harp volesse rimanere da sola, come sarebbe stato normale.
«Non mi sono offesa Jar, tranquillo. So che scherzano e comunque ripeto, quando mi ha detto che non ho tette ci sono rimasta molto più male delle battute idiote dei tuoi amici» mormorò, abbassando lo sguardo e spegnendo con rabbia la sigaretta nel posacenere in mezzo al tavolo. I ragazzi mi guardarono, preoccupati. Con uno sguardo capirono che era il momento di andarsene, visto che Harper iniziava a sbuffare sempre più frequentemente, sbattendo il piede per terra; e tutti, tutti, sapevano che quando Harper cominciava a tamburellare con la gamba, significava che era arrivata al punto di saturazione ed era pronta a esplodere.
In pochi istanti Joe e Wilson se ne andarono, iniziando a dire che avevano delle faccende da sbrigare; salutarono Harper che come un automa rispose, rimanendo con lo sguardo fisso davanti a lei, sempre con il piede che picchiettava per terra.
Una volta rimasti soli, dopo aver chiuso la porta di casa alle mie spalle, mi feci coraggio, pronto per affrontarla. «Harp, come stai?» domandai, avvicinandomi a lei e appoggiando le mie mani sulle sue spalle. La sentii sospirare e senza nemmeno rendermene conto iniziai a massaggiarle i muscoli contratti delle spalle, sorridendo quando mugolò per il mio massaggio.
«Bene, sto bene. Non mi interessava poi molto di lui» mentì, schioccando le dita delle mani. Conoscevo ogni minimo tic di Harper, potevo sapere con esattezza quando mentiva, quando si sentiva in imbarazzo e quando era felice. Feci un po’ più forza con le mani sulle sue spalle per farle capire che sapevo stava mentendo e lei sussultò sulla sedia, consapevole di essere stata scoperta. «Che vuoi che ti dica Jar? Mi dispiace ma tanto sapevo che sarebbe finita così. Lo sai, no? Cupido e le sue frecce che si rompono per la mia corazza invisibile. Non troverò mai il ragazzo giusto per me. Forse ho qualche serio problema e non me ne sono mai accorta» bofonchiò, facendomi arrabbiare perché aveva –di nuovo –parlato di quella strana teoria delle frecce di Cupido. Possibile che non capisse che era solo perché nessuno sapeva apprezzarla veramente, proprio perché lei era troppo rispetto agli altri?
«Harp, giuro che se fai così mi arrabbio. Non c’è niente che non vada in te, quindi smettila. Se i ragazzi sono così stupidi da inventarsi scuse solo perché tu non gliel’hai mollata entro due mesi non devi pensare di essere tu quella sbagliata. Il ragazzo per te sarà speciale e lo capirà che tu sei quella giusta. E se qualcuno prova a offenderti di nuovo, parlando delle tue nontette… chiamami subito, non si offendono!» scherzai, strappandole un sorriso.
«Guardi un film con me? Non ho voglia di dormire» propose, alzandosi dalla sedia e stiracchiandosi. Il vestito salì di qualche centimetro lungo la sua coscia, abbassandosi poi quando Harper tornò con le braccia lungo i fianchi. Occhi spalancati, labbro inferiore sporto verso il fuori… era nella posizione di supplica, perché sapeva che non riuscivo a negarle niente quando faceva così. Annuii e lei batté le mani, felice. «Vado a mettermi qualcosa di comodo e arrivo. Scegli un horror, non voglio commedie romantiche» urlò, salendo le scale di corsa.
Horror, certo. Perché Harper e la sua strana passione per gli horror, o meglio, per i film splatter, erano normale routine. Mi distesi sul divano, inserendo il DVD di Saw e aspettando che scendesse. Quando, cinque minuti dopo si distese sull’altro divano, ridacchiai, vedendo la vecchia maglia che stava indossando. Gliel’avevo regalata io dopo che aveva preso A+ al primo esame del college, una maglia dei Metallica che aveva indossato e lavato così tante volte da averla scolorita.
A metà film, quando non sentii un suo commento sul perché ci fosse tutto quel sangue per un misero taglietto, provai a chiamarla, ma non mi rispose. Naturale, si era addormentata. Mi alzai senza fare rumore, spegnendo la TV e avvicinandomi al suo divano. Le labbra socchiuse, la mano stretta alla maglia e i capelli attorno al viso che le incorniciavano quel volto e quel naso ricoperto da qualche lentiggine sparsa qua e là. «Andiamo, Harp» sussurrai, prendendola in braccio con attenzione, perché non si svegliasse. Mugolò qualcosa, appoggiando il capo contro il mio petto e inspirando a fondo contro il mio collo, tanto da farmi venire la pelle d’oca. Salii le scale in silenzio, appoggiandola delicatamente sul suo letto e coprendola con le lenzuola senza che si svegliasse; le scostai un ciuffo di capelli rossi dal viso e pensai che no, nessuno aveva il diritto di trattare male Harper, perché era una persona speciale. «Notte, Pri». Un bacio sul suo capo e una carezza, prima di socchiudere la porta della sua camera e andare a dormire.

 
 
 
Salve!
Mi complimento per il coraggio con chi è ritornato a leggere qualcosa di mio e per chi è la prima volta che si imbatte… fuggite, sciocchi!
Scherzi a parte… eccomi con una storia assolutamente senza pretese, qualcosa di trito e ritrito di cui hanno parlato milioni di libri, film e telefilm. Insomma, avevo bisogno di capire se riesco a strappare un sorriso dopo You saved me. Volevo ritornare alle origini e scrivere qualcosa di divertente (se in vita mia sono mai riuscita a farlo). Prometto solennemente che mi impegnerò al massimo per non farvi piangere ma ridere e… niente.
Dunque, l’idea di questa storia mi tormenta da un bel po’ di mesi, ma ho iniziato a scriverla solo finito YSM perché mi piace scrivere una cosa alla volta per potermi concentrare al massimo. In ogni caso… solo un paio di informazioni. Siamo in California, vicino a Los Angeles e come si sarà capito Harper  e Jared convivono ma sono amici. Si conoscono da sempre. Per quanto riguarda PES… credo che tutte le uomomunite (presenti e passati) sappiano che cos’è. Brevemente, per chi ha avuto la fortuna di non imbattersi in questo gioco… si tratta di calcio ragazze. PES significa Pro Evolution Soccer ed è un gioco che è stato sviluppato in diverse piattaforme, tra queste anche l’X-Box.
Uhm… mi pare di non avere altro, credo di essermi anche dilungata troppo. Come sempre ricordo il gruppo NERDS’ CORNER, per chi volesse iscriversi… è libero, non chiedo nick di EFP o altro.
Grazie a chiunque abbia avuto il coraggio di arrivare fino in fondo! :D
Rob.

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Capitolo 2
*** U think I'm unf*ckable, right? ***


CBA





«Harper, perché non ammetti semplicemente che ci sei rimasta male?». Non ne potevo più; da una settimana continuava a rispondermi male per ogni cosa che dicevo, ignorandomi e urlando contro le peggiori cose che nemmeno pensava, solo per sfogarsi. Avevo lasciato correre, ma dopo una settimana iniziavo a stancarmi quando urlava che ero un idiota solo perché avevo appoggiato un coltello di fianco al cucchiaio dentro al cassetto –e non vicino alla forchetta come lei aveva deciso fosse giusto.
«Non capisco davvero di cosa tu stia parlando». Fece spallucce, continuando a sfregare con forza su quel piatto su cui ormai ci si poteva specchiare sopra da quanto lucido era. Mi avvicinai a lei, appoggiandomi con la schiena al bancone della cucina e incrociando le braccia al petto, sperando che si sbloccasse e iniziasse a sfogarsi per poi ritornare normale. «Che c’è?» sbottò, sentendosi osservata.
«Uscivate assieme da due mesi, è normale che tu un po’ soffra, non è qualcosa di brutto, ok? Puoi dirlo, sono il tuo migliore amico». Cercai di sorriderle per tranquillizzarla, ma conoscevo Harper tanto da sapere che avrebbe finto di nuovo, come se non le fosse interessato nulla di Noah.
«Guarda, per me può andare dove vuole, può trovarsi qualcuna con più tette. A proposito… la ragazza che era venuta qui la settimana scorsa? Perché non l’ho più vista?». Cambiare discorso era la tattica preferita di Harp, perché credeva ogni volta di potermi far dimenticare di che cosa stavamo parlando. La guardai risciacquare il piatto e subito dopo iniziare ad asciugarlo con movimenti meccanici, in attesa di una mia risposta.
«Chi, Alexis? No, non ha funzionato. Era inquietante, delle volte sembrava parlare con i morti, come il bimbo del Sesto senso». Rabbrividii, ricordando quella strana ragazza e il suo insolito modo di comportarsi. Dopo essere uscito con lei un paio di volte e aver capito che non era interessata a me per qualche delusione passata di cui non mi aveva parlato, avevamo deciso di troncare.
«Mi dispiace» mormorò, facendo una smorfia buffa che mi fece ridere. «Che c’è?». Sembrava sorpresa della mia risata, o forse semplicemente non capiva perché avessi iniziato a ridere quando avevamo parlato di Alexis.
«No… è che sono io quello dispiaciuto per te, ti vedo triste e mi dispiace. Alexis l’ho vista solo un paio di volte, Noah invece… be’, lui c’era spesso qui, no?». Non sarebbe riuscita a farmi andare di nuovo fuori strada. Avevo intenzione di parlare con lei riguardo Noah e il loro aver rotto, non mi avrebbe fregato. La vidi sbuffare, prima di asciugarsi le mani su un canovaccio che lanciò dietro di lei, arrabbiata.
«Sai cosa? Non è nemmeno che mi dispiaccia troppo per Noah. Cioè, non sono così scema da fingere di non esserci rimasta male, però, ecco… più che altro è perché sento il bisogno di una trombata e di un abbraccio» concluse, facendo spallucce.
«Posso offrirti l’abbraccio e sono sicuro che Wilson potrà soddisfare l’altra tua richiesta» scherzai, allargando le braccia in attesa che si avvicinasse a me per stringermi. La sentii ridere mentre le sue braccia stringevano il mio busto e strofinava il suo naso sul mio petto. Era il tipico abbraccio di Harper, perché ci eravamo sempre abbracciati così, fin dall’asilo. Io le lasciavo un bacio tra i capelli e lei strofinava la punta del suo naso contro la mia maglia, da destra a sinistra.
«Grazie Jar, ti voglio bene» mormorò, baciandomi la guancia prima di tornare in sala e sedersi sul divano, accendendosi la TV per sorridere davanti a un vecchio film horror che le piaceva. Scossi la testa con un sorriso, sapendo che Harper era così testarda da fare esattamente quello che voleva. Avrei potuto dirle mille volte che doveva uscire e divertirsi, ma l’avrebbe fatto solo se ne avesse veramente avuto voglia.
«Dovresti uscire. Perché stasera non esci con noi? Ci comporteremo bene, niente discorsi porno su di te da parte di Wil, vedrai che Joe non glielo permetterà» sghignazzai, giocherellando con i pantaloni della tuta che indossava. Le accarezzai la gamba, giocando con il suo polpaccio lungo e affusolato.
«Hai ragione. Stasera esco, vado a caccia. Metterò quegli strumenti di tortura e mi truccherò. Sarò così femminile che non mi riconoscerò nemmeno. Il mare è pieno di pesci e stasera io lancerò l’amo con un grosso verme per prendere il pesce più grande. Se ne abboccano due o tre meglio, più pesci con un solo verme». Avrei tanto voluto spiegarle che non era un verme ma un’esca quella che si usava per pescare, ma sapendo che Harper aveva la fobia dei vermi non discussi nemmeno, lasciando che continuasse con il suo discorso. «Che ne dici, mi metto la gonna stasera? Insomma, sono più trombabile con una gonna o un paio di pantaloni? Forse con una gonna, perché un uomo pensa “hop” e sa che ha la via più facile. Sì, mi metterò una gonna, magari un bel vestito». Non riuscii a trattenere una risata quando mimò di alzarsi una fantomatica gonna a quell’hop e appoggiai il capo al divano, abbandonandomi a una risata.
«Harp… non è che tu diventi trombabile perché hai una gonna o meno. Di solito non si guarda quello…». Almeno, le doti di una ragazza che mi colpivano erano diverse, ma non mi lasciò finire la frase, sventolando la mano davanti alle mie labbra e ammonendomi con l’indice dell’altra.
«Senti, lo so che voi vi eccitate per un paio di tette, ma non ce le ho, devo vendere la mia merce. Farò una foto con un uomo a caso e la posterò su Facebook». Si alzò dal divano, sistemandosi i pantaloni che si erano alzati fino al ginocchio. Ma che cosa stava dicendo? Da quando si era trasformata in una ragazza che si trombava uno conosciuto in discoteca e metteva le foto in un social network per far ingelosire Noah?
«Harper, non sei in te, forse è meglio se questa sera rimani a casa, dico sul serio». Mi stavo preoccupando per lei. Se la conoscevo, o meglio, se conoscevo i suoi metodi per sfogarsi, si sarebbe ubriacata come minimo.
«Sono in me anche troppo. Sono single, carica e in astinenza: stasera si tromba. Vado a farmi una doccia». La conferma di quanto Harper fosse deviata e distrutta in quel momento arrivò quando, dal piano superiore sentii una vecchia canzone di Natasha Bedingfield al posto dei Metallica. Quello che però mi preoccupò più di tutto fu sentire la passione con cui Harp cantava sotto alla doccia.
Preoccupante in modo spaventoso era la definizione migliore per definire la situazione di Harper quel giorno.
«Jar, è il momento dei consigli» urlò Harper quasi un’ora dopo, scendendo le scale di corsa. Sbuffai, mettendo in pausa il film che stavo vedendo e togliendomi gli auricolari per sentire che cosa avesse da dire. La situazione si dimostrò molto peggiore di ogni mia previsione quando Harper, con un miniabito nero, camminò fermandosi davanti a me e abbassando lo schermo del pc perché voleva avere tutta la mia attenzione. «Devi essere sincero, non mi offenderò, d’accordo? Dimmi che cosa pensi di questo abito». Fece un giro su se stessa, lasciando che mi prendessi tutto il tempo per guardarla.
«Harp… puoi vestirti come vuoi, ti sta bene tutto» tagliai corto, guardando il preoccupante ammasso di vestiti che aveva appoggiato sul divano, di fianco a me. La mia risposta sembrò non piacerle, perché sbuffò e posò le mani sui fianchi, con aria scocciata. «D’accordo, sarò rude. Se vedessi una ragazza con questo vestito penserei che… è uscita di venerdì sera per divertirsi» spiegai, guardando il bordo del vestito che le arrivava a metà coscia.
«Cazzissimo no, non è quello che voglio. Devo conquistare, devo essere sexy. Devo essere talmente sexy che i minorenni non potranno nemmeno guardarmi. Vado a provare un altro vestito» spiegò, sparendo velocemente con un vestito rosso prima di tornare. «Allora? Sincero di nuovo» sbottò, tornando a ruotare su se stessa per un mio giudizio.
«Sembri una di quelle che te la fa vedere ma non toccare, Harp». Inutile mentire, tanto sapevo che mi avrebbe rotto fino a quando non le avessi detto la verità. Scandalizzata perché convinta che quel vestito la rendesse sexy a dismisura, tornò con un vestito grigio, attillato e corto. Faceva risaltare i suoi occhi verdi e rendeva le sfumature dei suoi capelli ancora più vivide. «Con questo sei molto… sexy. Se uno ti vede pensa che se sa conquistarti potrà trombarti. Però se ti muovi troppo ti esce il culo» notai, quando alzò le braccia in segno di vittoria. Il vestito infatti era salito, arrivando appena sotto la curva del suo sedere.
«Perfetto. Ottimo. Grazie Jar, utile come sempre». Si accucciò per darmi un bacio sulla guancia e inevitabilmente guardai la sua scollatura che mi offrì una chiara visuale delle sue nontette, fino all’ombelico.
«Mal che vada piegati a novanta così, visto che ti si vede anche l’ombelico» scherzai, facendole capire che non doveva muoversi troppo con quel vestito visto che saliva dietro e si abbassava davanti. Non era di certo il vestito che le avrei consigliato di indossare se avesse avuto un ragazzo; io stesso sarei stato geloso che qualcuno la guardasse con quel vestito addosso.
«Non mi piegherò a novanta allora, visto che sono comunque ingrassata e ho la pancia che supera le nontette. Sono a dieta, a proposito. E comunque… Jar posso farti una domanda personale?». Si sedette di fianco a me sul divano con uno sbuffo, come se rimanere in piedi con quel vestito fosse stata per lei un’impresa titanica. Forse lo era davvero, visto che indossava un paio di scarpe con il tacco rispetto alle Vans che portava abitualmente tutti i giorni.
«Personale? Perché quando parliamo del fatto che stasera tromberai non stiamo facendo domande personali?» sghignazzai mentre mi tirava un pugno sul braccio perché la mia battuta probabilmente le era sembrata scema. «Avanti, fammi questa domanda personale» acconsentii, prendendo un respiro profondo e preparandomi a qualche scemata colossale tipica di Harper.
«Non ti manca fare sesso? Cioè, sei single da più di me e sei un uomo. D’accordo, ci sono i film porno, ma non è la stessa cosa, no?». Era seria, incredibilmente seria; talmente seria che iniziai a ridere, ricevendo un nuovo pugno che mi fece sbottare per il dolore. «Sei stupido, era una domanda seria. Cretino». Incrociò le braccia sotto al seno, in un gesto irritato che mi fece ridere più forte, aumentando la sua rabbia verso di me.
«D’accordo, ok». Mi schiarii la voce, cercando di ritornare serio, lentamente. «Harp, certo che mi manca. E in ogni caso che c’entrano i film porno? Mica guardo i porno io» mi difesi, agitando la mano perché non mi interrompesse, visto che sapevo che cosa voleva dirmi.
«Semplicemente una settimana in più non mi cambia, se proprio vedo che non resisto vado al motel e chiedo a qualche signorina se mi fa compagnia» scherzai, mantenendomi però serio. Mi piaceva vedere lo sguardo di Harper stupita: sgranava gli occhi e le sue labbra producevano un cerchio perfetto.
«Sei un maniaco sessuale. Tu andresti con una… prostituta?». Pronunciando l’ultima parola abbassò la voce, come se fosse stato qualcosa che non si poteva dire. Mi fece ridere di nuovo, visto che delle volte diventava improvvisamente pudica, come se non parlassimo mai di sesso e di tutti i derivati. «Non le voglio sentire queste cose, dico davvero. Io esco, sta a casa e guardati un porno, per carità. Ci vediamo… non lo so quando!» esultò, felice. Mi diede uno schiaffo in testa invece di baciarmi la guancia come al solito. Sospettavo che fosse perché temeva dicessi ancora qualcosa delle sue nontette.
Ridendo dopo la pedata che le avevo dato sul sedere mentre passava davanti a me, uscì di casa, traballante sui tacchi; lasciandomi a Gangs of New York, visto che mi aveva interrotto un’ora prima per decidere quale vestito indossare.
 
Stavo giocando con l’X-Box, dopo aver mangiato gli spaghetti di soia avanzati dal giorno prima –visto che i ragazzi avevano deciso di uscire con le pollastrelle che avevano adocchiato-, quando il mio cellulare iniziò a suonare, facendomi interrompere il gioco con uno sbuffo irritato. Perché cavolo Joe o Wilson –visto che ero sicuro si trattasse di loro –mi stavano chiamando a mezzanotte e mezza? Wilson non era uscito con Alyssa? Be’, perché non se la stava spassando con lei?
Quando però vidi il nome sullo schermo lampeggiante, sgranai gli occhi, preoccupato.
Harper.
«Harper che succede?» domandai spaventato, senza nemmeno salutare. Perché mi stava chiamando se era andata a cacciare? Che fosse successo qualcosa? Che qualcuno le avesse fatto male? Mi alzai dal divano irrequieto, aspettando una sua risposta che tardò un po’ troppo ad arrivare.
«Jedi… mi son-persa» ridacchiò Harper, togliendomi un peso dal petto perché temevo che qualcuno le potesse aver fatto del male, ma rendendomi irrequieto perché non sapevo dove diavolo fosse.
«Come ti sei persa? Dove sei?» domandai, guardandomi attorno per cercare le chiavi di Pixie. Sarei andato a prenderla, anche se fosse stata a Tijuana. La sentii ridere e borbottare qualcosa senza senso, tanto che mi spaventò. «Harp? Harp tutto bene?» chiesi, alzando il tono della voce perché potesse sentirmi e soprattutto rispondermi. «Harp quanto cazzo hai bevuto se non riconosci nemmeno la strada di casa, cazzo» brontolai, tenendo il cellulare tra l’orecchio e la spalla e mettendomi il portafoglio in tasca.
«Jedi, c’è un grassone stronzo che non risponde alle mie domande» piagnucolò improvvisamente, sull’orlo di una crisi di pianto. No, la sbronza triste no. Quando Harp si ubriacava e diventava triste era la fine, iniziava a fare discorsi semiseri alternati a parolacce e finiva per piangere. «Ehi, grassone con i baffi e il cappello bianco, dimmi dove siamo, ti prego». La sentii singhiozzare e cercai di concentrarmi per capire dove potesse essere, ma le strade dal bar a casa erano così tante che non sapevo a quale incrocio avesse svoltato. «Smettila di stare qui impalato con quella cosa in… in mano. Dimmi dove siamo». Sentivo Harper urlare nonostante non avesse il cellulare vicino alle labbra.
Grassone con i baffi e cappello bianco, immobile… che fosse?
«Harp, il grassone ha una pizza in mano?» domandai, sperando che riuscisse a sentirmi tra le sue urla per far parlare l’uomo e i clacson delle macchine che suonavano passandole di fianco. Chiusi la porta di casa alle spalle correndo fino alla macchina e accendendo il motore quando sentii Harp rispondere che sì, aveva una pizza in mano. In pochi minuti feci quei due isolati, arrivando davanti alla pizzeria da asporto e trovando Harper abbracciata al finto cuoco. Le avrei volentieri fatto una foto, se non fosse stata mezza addormentata e stravolta.
«Jedi?» domandò, quando mi avvicinai a lei. Si alzò in piedi a fatica, allontanandosi dalla statua e avvicinandosi a me con circospezione. «Sì, Jedi» sorrise, quando fu abbastanza vicino da riconoscermi. «È stato un piacere, Antonio, sei stato l’uomo più gentile che io abbia incontrato stasera». Fece un paio di passi indietro, avvicinandosi alla statua e lasciando una pacca sulla spalla prima di avvicinarsi a me con un sorriso. «Come butta, bello? » domandò, abbracciandomi perché stava rischiando di cadere dai tacchi che indossava.
«Quanto cazzo hai bevuto Harp?». Cercavo di sorreggerla con un braccio, ma non era facile visto che ciondolava a destra e a sinistra, sbilanciandomi. Era magra, certo, ma a peso morto non era facile farla stare in piedi.
«Bevuto… una birra, un mojito, due tequila e… non ricordo più» concluse, iniziando a ridere di nuovo e abbracciandomi mentre cercavo di farla salire in macchina con qualche difficoltà. «Sai Jedi, il problema è che… che… il problema è che proprio… non mi ricordo quello che dovevo dire». Un nuovo attacco di risa mentre le agganciavo la cintura di sicurezza, sistemando il lenzuolo bianco che c’era sopra al sedile del passeggero. Camminai velocemente fino ad arrivare allo sportello del guidatore e salii al posto di guida quando Harper parlò di nuovo. «Adesso ti devo chiedere una cosa. Quando trombi in macchina tieni questi teli perché non si sporchino i sedili?». Si slacciò la cintura di sicurezza, girandosi con le spalle verso il parabrezza, con il sedere in alto. Stava cercando di togliere il vecchio lenzuolo che avevo messo per proteggere i sedili di Pixie.
«Harper! Siediti bene» urlai preoccupato, quando, dopo aver frenato la vidi sbattere la testa contro il sedile e rimanere con il sedere alto. Si alzò lentamente, tenendo una mano davanti alle labbra, come se… «Se vomiti dentro Pixie giuro che ti uccido, me lo dici e accosto o apri il finestrino e ti sporgi fuori». La vidi annuire e aprire il finestrino per prendere un respiro profondo. «Stai male?» domandai, piegandomi verso destra per appoggiarle una mano sul fianco: temevo che potesse cadere e farsi male, visto che non stavo correndo lentamente.
«Tutto ok, mi viene da vomitare, va a casa». Agitò la mano all’interno dell’auto fino a quando la strinsi con la mia perché non scivolasse. Sapere che Harp era stretta alla mia mano mi faceva sentire più sicuro, perché non l’avrei mai lasciata andare. Parcheggiai l’auto nel vialetto di casa e tirai un sospiro di sollievo quando Harper tornò a sedersi sul sedile, arrotolandosi il lenzuolo sulle spalle perché aveva freddo. «Ho fame» si lamentò, mettendo il broncio. Tipico di Haper voler mangiare dopo essersi sbronzata; sapevo però che sarebbe stata ancora più male se avesse assecondato quella sua voglia, così decisi che era decisamente meglio seguirla in cucina, prima che iniziasse a cucinare qualcosa di strano.
Si avvicinò però alla credenza con le caramelle, prendendo un pacchetto di M&M’s che avevamo comprato un paio di giorni prima, quando l’avevo obbligata a uscire di casa per fare la spesa con me. «Mettile giù subito, sei ubriaca» ordinai, avvicinandomi a lei quando la vidi mangiare una manciata di caramelle senza nemmeno controllare di che colore fossero. Strano, doveva essere davvero ubriaca e disperata per non controllare di mangiarne l’esatta quantità di ogni colore.
«No, voglio mangiarle tutte». Si allontanò di un passo, sporgendo il labbro inferiore come se fosse stata una bambina piccola e testarda che voleva fare di testa propria. Quando avanzai per raggiungerla, iniziò, da scema, a correre per scappare da me. Ci ritrovammo così, in piena notte, a correre attorno al tavolo della cucina come due idioti.

Iniziai a ridere per quella situazione scema e, sorreggendomi al tavolo perché mi mancava il fiato per la corsa ma soprattutto per la risata, cercai di fermare Harper, prima che iniziasse a vomitare sul pavimento della cucina. «Harper, metti giù quelle stupide caramelline». Riuscii a raggiungerla con un passo un po’ più lungo degli altri e a pochi centimetri dal sacchetto, quando ormai ero sicuro di averlo preso, Harper indietreggiò all’improvviso, lasciando che la mia mano si stringesse catturando solamente aria.
«Non osare! Non chiamarle più caramelline! Sono preziose arachidi ricoperti di cioccolato e caramellate». Si portò il sacchetto giallo di fianco alla guancia, accarezzandolo con gli occhi socchiusi e un sorriso idiota sulle labbra. Era davvero ubriaca. «Lasciami morire da sola con il cioccolato» bisbigliò, prima di prendere una nuova manciata di M&M’s e mangiarle assieme. «Voglio morire grassa e sola, colorata dal colorante delle M&M’s».

«Harper» sussurrai, aiutandola a sedersi sul divano e togliendole il sacchetto dalle mani senza che se ne accorgesse. «Mi vuoi dire che diavolo è successo stasera? Deve essere stato grave per averti fatta sbronzare così» mormorai tra me e me, spostandole una ciocca di capelli che non mi permetteva di vedere il suo viso completamente. C’era solamente la luce emanata dalla lampada dietro di lei che donava strane sfumature ai suoi capelli e creava giochi di ombre e luci sul suo viso, rendendone i tratti ancora più eterei rispetto al solito.
«Cosa è successo? Semplice, mi hai fatto indossare il vestito sbagliato. Ammetti che hai fatto apposta perché non volevi che qualcuno mi notasse. Sono entrata in quello stupido pub da sola, e già questo doveva far capire quali erano i miei intenti, ho iniziato a ballare e c’erano due ragazzi carini. Quando mi sono avvicinata a uno mi ha sorriso, ha ballato un po’ con me e poi se ne è andato perché era arrivata la sua ragazza. L’avrei strozzato, poteva dirmelo no? Allora ho puntato l’altro. Bello Jar, era bello. Biondo, occhi azzurri, braccia muscolose, vene sulle braccia e sulle mani come piacciono a me, quelle che mi fanno pensare alle porcate. Aveva una camicia aperta sul petto e non vedevo nemmeno i peli, giuro che l’avrei limonato lì in mezzo alla pista. Abbiamo ballato per un paio di canzoni a distanza, poi lo vedevo sempre sorridere, così mi sono avvicinata a lui e cavolo… hai capito no? Insomma non gli ero indifferente fisicamente. Non ho capito più niente e mi sono fatta ancora più vicina a lui, ma improvvisamente mi sono accorta che non stava sorridendo a me, non si era nemmeno accorto di me, visto che i suoi occhi erano puntati addosso a un altro ragazzo, dall’altra parte del locale. Capisci Jar? Era gay. Mi sono strusciata addosso a un gay». Si portò una mano tra i capelli, disperata per quello che era successo. Se non fosse stata ubriaca e in procinto di piangere, avrei iniziato a ridere per quella situazione, ma non me lo permise, perché iniziò a parlare di nuovo, con gli occhi pieni di lacrime tanto che piegai leggermente il capo, stringendo la mia mano tra le sue. «Sono così brutta Jar? Che cos’ho di sbagliato che fa allontanare tutti da me? Non dico di essere una modella, non sono nemmeno bellissima, ma speravo che qualcuno riuscisse a notarmi, invece sono proprio invisibile, inscopabile forse è il termine giusto. Che cosa mi manca per farmi notare dagli uomini? Tu sei un uomo, dimmi dove sbaglio». Vidi una lacrima scivolare sulla sua guancia e istintivamente la levai con il pollice, alzando il suo volto delicatamente perché potesse guardarmi negli occhi.
«Harp, alcuni ragazzi guardano solamente la scopabilità, non si tratta nemmeno delle nontette e credimi che ne ho viste di molto più brutte di te che se ne andavano nel retro del locale. Semplicemente per quanto tu possa fingere di essere una facile, si vede e sempre si vedrà che sei una ragazza semplice e che non cederebbe la sera stessa. Chi cerca solo del sesso lo capisce e quindi cambia preda, non è colpa tua». Cercai di sorridere e vidi Harper scuotere la testa, sconfitta.
«Ho solo bisogno di sfogarmi un po’, è da troppo che non trombo e ho bisogno di sfogarmi, senza impegno. È possibile che nessuno lo capisca? Non si nota questa cosa? Non ci sono tipo dei prostituti o delle cose così per noi donne? Magari in internet trovo qualcosa». Cercò di alzarsi dal divano per prendere il PC, ma ricadde, non riuscendo a reggersi in piedi perché la testa le girava troppo a causa dell’alcol bevuto.
«E tu cadresti così in basso, Harp? No, non sei così» mormorai, cercando di farla ragionare. Sapevo che il giorno dopo non avrebbe ricordato niente di tutta quella conversazione, ma non potevo lasciare che accendesse il PC e scrivesse a non sapevo nemmeno chi, di trovarsi in qualche stupido motel.
«Jedi» urlò all’improvviso, battendo le mani come se avesse avuto un’illuminazione. «Tu sei un uomo, non hai una donna da troppo e ti conosco. Forza Jedi» si sfregò le mani, girando lentamente la testa verso di me, «fammi vedere la tua spada laser. Voglio farla illuminare». Portò le mani sul bordo inferiore del suo vestito, cercando goffamente di alzarlo.
«Ehi, ehi! Harp! Che diamine fai?» domandai allarmato, appoggiando le mie mani sulle sue perché non potesse continuare a spogliarsi. Che cosa stava dicendo? Stava davvero proponendo che noi… no. Era l’alcol a parlare, erano i suoi ormoni e la consapevolezza che ero un uomo e che quindi sarei stato in grado di soddisfare il suo bisogno.
«Mi spoglio. Trombiamo. Tu non mi trovi attraente?». Tentennai nel risponderle, cercando di trovare le parole giuste per non offenderla. Non si trattava di trovarla attraente o meno, semplicemente… era Harper, non l’avevo mai vista come una vera donna, solamente come Harper e basta. «Non mi trovi attraente, ho capito. Non sono scopabile, logico». Fece spallucce, delusa da me e mi sentii in dovere di spiegarle la situazione perché mi dispiaceva vederla soffrire, soprattutto se accadeva a causa mia.
«No, Pri, non è questo. Non sto dicendo che tu non sia scopabile, il discorso è semplicemente che…» non terminai la frase, perché, con una strana luce negli occhi, Harper mi fece una delle domande che non mi ero mai volutamente posto, in tutta la mia vita.
«Quindi tu tromberesti con me, se te lo chiedessi?».
 
 
 
 
 
Salve ragazzuole!
Mi scuso per l’infinito ritardo tra il primo capitolo e questo; giuro solennemente che gli altri aggiornamenti arriveranno prima, credetemi!
Per quanto riguarda You saved me: ho pubblicato la OS finale che s’intitola I’m not a coward… se a qualcuno interessa.
Passiamo al capitolo… non ho molte cose da dire.
Alexis è un chiaro riferimento a YSM e anche il motivo per cui non ha funzionato tra Jared e lei…
Gangs of New York è un film di Scorsese ambientato a New York (ma vah?) nella nascita dei Five Points, criticatissimo per diversi motivi.
E… mi pare non ci sia altro, credo.
Quindi vi ringrazio per la meravigliosa e numerosa accoglienza che avete dato a questa storia e spero che non vi deluda e che continui a piacervi!
E mi scuso anche per il linguaggio volgare!
Come sempre ricordo il gruppo spoiler: NERDS’ CORNER, vi ricordo che accetto tutti.
A presto.
Rob.
 

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Capitolo 3
*** Please, what happened? ***


CBA


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«Harp, ma che domande fai?» domandai in imbarazzo, muovendomi irrequieto sul divano. Mi stava guardando con quello sguardo serio; era davvero in attesa di una mia risposta.
«Quindi vedi? Non mi tromberesti nemmeno tu che sei mio amico; sono senza speranza». Si alzò dal divano barcollando per dirigersi verso la cucina. Probabilmente voleva mangiare, di nuovo; ma se l’avesse fatto poi avrebbe vomitato e non mi andava davvero di passare tutta la notte in bagno, a tenerle la mano sulla fronte.
«Che fai?» chiesi allarmato, seguendola e allungando le braccia per sorreggerla quando ciondolò pericolosamente all’indietro, ridendo. «Harp, non è il caso di mangiare, davvero. Ascoltami, sei ubriaca e se mangi poi vomiti. Domani viene a trovarti Ken, ricordi? Non può vederti in piena post sbornia, sai che si arrabbierà». Harper, appoggiata al tavolo della cucina, continuava a guardarmi seria e attenta, come se quello che stavo dicendo fosse di vitale importanza.
«Ken… Harper… i miei genitori dovevano davvero aver fumato roba pesante quando hanno scelto i nostri nomi. Conosco solo due Ken: quello di Barbie e quello di Magic Mike» ridacchiò, piegandosi in avanti e sorreggendosi con le mani appoggiate alle cosce perché stava ridendo troppo. Magic Mike? Ma stava parlando di quel film di spogliarellisti?
«Harp… ma non avevi detto che non ti saresti abbassata a vedere un film del genere al cinema?». Era lei che, dopo che io e i ragazzi avevamo discusso a lungo su un film del genere –film che tutti e tre non avevamo visto perché non interessati –aveva detto che era un insulto al genere femminile; aggiungendo che si sarebbe infervorata con tutte le sue amiche che sarebbero andate a vederlo all’anteprima mondiale.
«Ovvio che non l’ho visto al cinema, l’ho scaricato. Shhh, ho piratato un film». Incominciò a ridere di nuovo, rischiando di svegliare Kurt, nonostante vivesse nell’appartamento di fianco al nostro. Mi avvicinai a lei per metterle una mano davanti alle labbra, impedendole di ridere così rumorosamente, ma Harper si spostò, schiaffeggiando la mia mano. «No, caro mio. Hai detto che non mi avresti scopata e quindi adesso non lo fai più. Non mi importa se ti faccio pena perché ho piratato un film di spogliarellisti. Tu non toccherai le mie nontette, né stasera né mai» mi ammonì, sventolando l’indice sotto al mio naso. Iniziai a ridere come uno scemo, incapace di rimanere serio di fronte ad Harp che così ubriaca sembrava soffrire di bipolarismo. «E non fare quella cosa con la lingua, cazzo. Non fare quella cosa se non vuoi che ti strappi la lingua con i miei denti». A quell’affermazione sgranai gli occhi, confuso. Di che cosa stava parlando?
Cosa avevo fatto con la lingua? Perché avrebbe dovuto strapparmela con i denti? «Harp, ma cosa stai dicendo?» domandai, avvicinandomi a lei e stringendo la mano attorno al suo busto per accompagnarla a letto. Stava farneticando troppo e parlava a vanvera; era decisamente meglio se si distendeva a letto e dormiva, visto che la mattina dopo di sicuro avrebbe avuto un dopo sbornia di quelli che le avrebbero fatto giurare –inutilmente –di non bere più per il resto della sua vita.
«Fai una cosa con la lingua… ti lecchi il labbro superiore. Non farlo se ci tieni alla tua masticazione, anzi alla tua deglutizione. Si dice deglutizione Jar con la lingua birichina?». Mi spintonò con il gomito, facendomi sbattere contro al muro e trascinandosi addosso a me. Per fortuna eravamo arrivati al piano di sopra ed ero riuscito a stringere le mie braccia attorno a lei prima che potesse cadere dalle scale. Mi ritrovai con il volto di Harper davanti al mio, i suoi occhi lucidi che mi scrutavano curiosi e le sue labbra socchiuse, tanto che sulla mia lingua sentivo il sapore dolce dell’alcol. «Sai, Jedi… sei più figo con la barba rispetto a quel taglio ridicolo che eri solito avere al liceo… quello che ti faceva assomigliare a quell’attore Disney che ha fatto i musical». Iniziò a ridere di nuovo, appoggiando la sua fronte sulla mia spalla e lasciandosi cadere, tanto che la ritrovai seduta a terra, in preda a un attacco di risa.
«Alzati, scema» mormorai, caricandola in spalla e ridendo quando sentii Harper farmi il solletico sui fianchi perché voleva camminare da sola. La appoggiai sul materasso in camera sua, sedendomi di fianco a lei sul letto e ridendo quando sbatté il capo contro al muro. «È meglio se dormi Harp; domani andrà tutto meglio». Mi alzai dal suo letto per uscire, dopo averle dato un bacio tra i capelli per augurarle buonanotte.
«Jedi… pensaci seriamente alla questione del trombarmi». Subito dopo aver finito la frase –pronunciata con una serietà che mi disarmò completamente –Harper iniziò a ridere, raggomitolandosi sotto alle coperte senza nemmeno togliersi il vestito che indossava.
Scuotendo la testa perché ormai avevo capito che Harper era senza speranza, mi chiusi la porta della sua camera alle spalle, scompigliandomi i capelli e tornando in camera mia per spegnere definitivamente il pc e dormire. Harp ubriaca mi aveva tolto tutte le forze, non avevo nemmeno voglia di provare a risolvere quel problema al pc che non mi aveva permesso, quella mattina, di finire il lavoro per consegnarlo in tempo. Abbassai lo schermo del laptop e, dopo essermi spogliato, mi distesi a letto, ripensando ad Harp ubriaca e ridendo. Era veramente seria quando mi aveva detto di pensare a… no, non potevo credere che fosse seria. Iniziai a ridere, strofinandomi il viso con le mani per rilassarmi e dormire.
 
Infernale. Ecco l’aggettivo che più descriveva la mia notte. Perché dopo aver portato Harper a letto, visto che aveva iniziato a ciondolare per casa cantando gli AC/DC, mi ero accorto di essere abbastanza stanco da dormire. Come se fossi riuscito a farlo. Mi ero svegliato innumerevoli volte, dopo strani sogni con ragazze mezze svestite che muovevano le loro mani sul mio petto e sulle mie braccia.
Per questo, appena mi ero svegliato, avevo fatto una doccia fredda per dimenticare quel sogno e per svegliarmi un po’. Ken sarebbe arrivato quel pomeriggio e non mi sembrava giusto accoglierlo con i rimasugli di una notte in bianco perché sua sorella si era presa una sbronza colossale.
Finii di sistemare il lavoro che dovevo consegnare quel lunedì e, a mezzogiorno passato, decisi di vendicarmi con Harp: lei mi aveva fatto sognare donne nude, io le avrei donato la sveglia polifonica migliore di sempre; perché andare a letto con una sbronza la rendeva irritabile il giorno dopo.
Aprii lentamente la porta della sua camera, chiamandola dolcemente. «Harp, sveglia, su» mormorai, avvicinandomi alla mensola con lo stereo che aveva di fianco al letto. La sentii lamentarsi con un suono che mi fece ridere e pigiai un paio di pulsanti, selezionando la canzone. Appena partì l’assolo di chitarra di Highway to hell aprii il balcone lasciando che la luce entrasse in camera di Harp, colpendola in pieno viso. «Highway to hell» urlai, avvicinandomi a lei e strattonando le coperte per toglierle e scoprirla definitivamente. Harp mugolò, coprendosi con il cuscino per nascondere il suo volto e tapparsi le orecchie «Whoo» urlai di nuovo, togliendo anche il guanciale e lanciandolo dietro di me a tempo di musica, fingendomi un chitarrista di una Air Band.
«Jar! Stronzo, spegni» strillò, mettendosi a sedere di scatto. Si portò una mano alla fronte, probabilmente perché le girava la testa tanto che subito dopo tornò a stendersi, tenendo gli occhi chiusi.
«Volevo solo farti provare l’ebrezza di sentire questa canzone dal vivo, visto che stanotte non mi hai fatto dormire perché la cantavi di continuo» spiegai, raccattando il cuscino e le coperte e lanciandole sopra di lei per seppellirla viva in mezzo a tutti quei colori. Non avevo mai capito perché Harp componesse il letto sempre con le lenzuola di colori spaiati. La sua scusa era: «più colori, più sogni variopinti», ma ero sicuro che non fosse proprio un accostamento decente verde evidenziatore –come lo chiamava lei –azzurro cielo e fuxia. «Ken arriverà tra meno di due ore. Vedi di alzarti, lavarti e mangiare qualcosa, visto che sembra tu abbia passato la serata in una distilleria» dissi, uscendo dalla sua camera e scendendo al piano di sotto per guardare un po’ la tv.
Qualche istante dopo udii la porta del bagno chiudersi e il rumore dell’acqua che scrosciava: Harp si stava facendo il bagno. Socchiusi gli occhi sorridendo quando sentii le prime note di una canzone degli Iron Maiden diffondersi per l’appartamento. Un giorno o l’altro Kurt avrebbe bussato alla nostra porta, arrabbiato perché non ne poteva più di canzoni rock e metal.
«Jared» urlò così forte Harper che mi alzai dal divano di scatto, preoccupato che le fosse successo qualcosa. Feci i gradini a due a due per arrivare prima davanti alla porta chiusa del bagno. «Harp? Tutto bene? Perché hai urlato?» chiesi, con il fiato corto per la corsa. Non udii risposta e appoggiai la mano sulla maniglia, pronto a entrare.
«È… aiuto… entra cazzo» sbottò, rendendomi confuso. Che c’era? Si era fatta male? Perché mi aveva chiamato? Senza aspettare un secondo in più aprii la porta, entrando in bagno e guardandomi attorno. La porta del box doccia era aperta; Harper se ne stava in piedi, con uno sguardo terrorizzato. Quello che però mi colpì e mi fece sgranare gli occhi per la sorpresa fu il suo abbigliamento.
«Harper! Sei nuda, cazzo» urlai, coprendomi gli occhi con una mano per non guardarla di nuovo. Non avevo visto niente, non avevo visto il suo tatuaggio a forma di quadrifoglio sul fianco, nemmeno le sue nontette. Men che meno la sua pancia piatta.
«Come dovrei fare la doccia, vestita? Togli quel ragno, è enorme. Oddio, una tarantola nel nostro bagno. Te l’ho sempre detto che devi pulire di più la tua stanza, guarda che cosa esce da lì, poi» inizio a blaterare, mentre le lanciavo un telo perché potesse arrotolarselo attorno al corpo e coprirsi. Era Harp, ma rimaneva una donna, e io un uomo che da troppi giorni non faceva una sana trombata.
«Mi fai perdere quindici anni di vita per questo?». Presi tra il pollice e l’indice quel piccolo ragnetto che misurava sì e no un centimetro e allungai il braccio verso di lei, facendola urlare ancora più forte. Notando la sua reazione non riuscii a trattenermi e iniziai a ridere, avvicinandomi di un passo a lei e costringendola a indietreggiare fino a quando si trovò intrappolata perché c’era il lavandino dietro di lei. «Ha più paura lui di te, Harp». Aprii la finestra del bagno, appoggiando il ragno sul davanzale senza ucciderlo. Odiavo uccidere i piccoli insetti solo perché erano una delle tante fobie di Harp. «Adesso fatti questa dannata doccia e non urlare più, nemmeno se vedi la mamma di quel ragno».
Mi chiusi la porta del bagno alle spalle, ridendo quando sentii la voce di Harp mormorare un «Mamma?» spaventata. Almeno si sarebbe impaurita e non avrebbe più provato a farmi quegli attacchi a sorpresa. Nuda. Non che ci avessi poi fatto tanto caso, ma era meglio non pensare più a quell’incidente. In fin dei conti l’avevo vista nuda anche... in prima elementare, mentre sua mamma la cambiava davanti a me, al mare. Non era cambiato nulla, no?
«Ahh» sbottai, frustrato, portandomi le mani tra i capelli e tirandone qualche ciocca per cercare di non pensare a quello che era successo. Fortunatamente lo scalpiccio dei piedi di Harper mentre scendeva la scala mi fece tornare alla realtà, distraendomi da quei pensieri senza senso.
«Devo mangiare, sto morendo di fame e mi fa mal di testa. Jar vieni in cucina a farmi compagnia?» domandò, mentre la sentivo aprire le ante dei mobiletti della cucina, per cercare qualcosa da mangiare. Imprecò, lamentandosi della Nutella che era quasi finita e con un sorriso mi alzai, per raggiungerla. «Allora, che è successo ieri sera? Perché non mi ricordo proprio di aver camminato fino a casa… forse ho esagerato un po’ troppo con l’alcol ieri sera, ma non ne sono sicura». Arricciò il naso, avvicinando il barattolo mezzo vuoto di Nutella al viso e scavando con il cucchiaio. Sembrava una bambina che mangiava la cioccolata, soprattutto perché indossava quella vecchia t-shirt logora che la faceva sembrare ancora più magra e giovane. «Insomma, come ho fatto a tornare a casa?». Alzò lo sguardo per incontrare il mio prima di iniziare a spalmare la cioccolata sulla fetta di pane che aveva tagliato qualche istante prima.
«Mi hai chiamato; eri ubriaca e sono riuscito a capire dove ti trovassi così sono venuto subito a prenderti e ti ho portato a casa. Non so che cosa sia successo, parlavi in modo confuso, hai nominato un paio di ragazzi, uno con la ragazza e un gay e poi dicevi cose strane come il tuo solito. Era una sbronza pesante». Accennai a un sorriso, sperando che Harp non notasse quanto fossi turbato al ricordo della sua domanda, quella notte. Non volevo che iniziasse a tempestarmi di domande come il suo solito, soprattutto perché sapevo che alla fine mi sarei visto costretto a dirle che cosa mi aveva chiesto e io volevo solo dimenticare quella scomoda domanda.
«Non ricordo niente davvero. Oddio sono presa male. Ho detto altro? Sparato qualcosa di idiota come il mio solito? Non mi sono spogliata vero? Cioè mi hai trovato vestita, giusto? Non ho fatto o detto niente di sconveniente?». Continuava a parlare sempre più veloce, facendosi prendere dal panico. Come potevo dirle che mi aveva chiesto se avrei voluto trombarla? Non era da me ricordarle cosa diceva da ubriaca –a meno che non fosse qualcosa di talmente stupido che mi permetteva di deriderla per giorni interi –quindi avrei sorvolato.
«No, mi pare di no. Ero molto stanco e non ricordo ogni parola, ma non dovresti aver detto altro». Non riuscivo nemmeno a guardarla negli occhi perché mi sentivo un bugiardo. Non ero abituato a mentire ad Harper e l’idea che in quel momento stavo raccontando una delle bugie più grandi di sempre mi faceva sentire ancora più sporco. Mi concentrai sul calendario appeso al frigo, fingendo che ci fosse qualcosa di interessante lì sopra.
«Jar… stai mentendo. Guardi il calendario in due momenti: prima che mi venga il ciclo, per controllare; oppure quando non vuoi farmi capire che menti. Siccome non deve  venirmi il ciclo a breve stai mentendo. Che cosa è successo? Che ho fatto? Che ho detto?». Si agitò tanto che iniziò a gesticolare tenendo il panino in mano e non badando al suo mento sporco di cioccolato. Quando Harp mangiava la Nutella diventava una bambina, sporcandosi ovunque. Ridacchiai, porgendole una salvietta e indicandole il mento perché potesse pulirsi, ma sembrava che non considerasse la nostra discussione conclusa, perché –dopo essersi pulita –ritornò a incrociare le braccia sotto al seno e mi guardò, in modo quasi minaccioso. «Dimmi che cosa ho fatto» ordinò di nuovo, spaventandomi. Harp conosceva tutti i miei punti deboli e sapeva come farmi cedere, soprattutto perché era testarda e non si sarebbe arresa fino a quando non avessi sputato il rospo.
Meglio mentire, decisamente. «Niente Pri, o almeno, se hai detto o fatto qualcosa non ricordo davvero. Ero stanco e appena siamo arrivati a casa ho preso sonno nel divano». Cercavo di guardarla negli occhi per farle vedere che non stavo mentendo, ma non ci riuscivo; per quanto mi impegnassi il mio sguardo fuggiva dal suo: mi sentivo colpevole.
«Jar, stai mentendo. Tu ricordi che cosa è successo e non vuoi dirmelo. Quindi è qualcosa di grave, perché di solito appendi post-it in giro per casa con le frasi epiche che ho detto dopo essermi ubriacata. Andiamo, non può essere così grave, no? Sarà stato qualcosa di porno, se ho detto che ho guardato un porno non è vero, era solo un pezzettino e poi mi sono rotta perché si vedeva che lei stava fingendo e ho chiuso, lo giuro». Si portò una mano sul cuore, facendomi sorridere. Forse sì, se mi avesse raccontato che aveva visto un pezzo di un film porno avrei tempestato la casa di post-it con frasi idiote per prenderla in giro, ma quella domanda non mi permetteva di deriderla. Non potevo però continuare a mentirle, perché Harper se ne sarebbe accorta e non mi avrebbe dato più pace; la conoscevo.
«D’accordo. Ti ho portato a casa ed eri ubriaca, mi hai raccontato che avevi visto due ragazzi carini poi ti hanno rifiutata perché uno aveva la ragazza e l’altro era gay, così ti sentivi brutta. Era una sbronza triste, te lo dico già. Così all’improvviso mi hai chiesto se…». Mi fermai, prendendo un respiro profondo e socchiudendo gli occhi per qualche istante. Sarebbe cambiato qualcosa? No, ovvio che no. Avremmo riso per quella domanda scema dettata dall’alcol e poi ce ne saremmo dimenticati per sempre, perché non aveva nessun senso rimuginare su una cosa così stupida. «… mi hai chiesto se voglio trombarti, nel caso tu me lo chiedessi».
Non era stato poi così brutto come mi ero immaginato. Eravamo entrambi ancora vivi, anche se Harp aveva la mascella che toccava terra e gli occhi sgranati per la sorpresa. La vidi muovere le labbra, come se volesse dire qualcosa, ma entrambi sussultammo sentendo una voce alle nostre spalle.
«Dov’è la mia sorellina preferita?». Ken entrò in cucina lanciando le chiavi di casa sopra alla tavola e allargando le braccia, in un chiaro invito per Harp ad abbracciarlo –come faceva sempre. Harper però continuava a rimanere seduta sulla sedia, in procinto di dire qualcosa che non voleva uscire dalle sue labbra. «Uno attraversa tre stati per salutare sua sorella e viene accolto così, direi che la mia autostima ha raggiunto le vette dell’Everest, Hapi». Ken sorrise, ammiccando verso la sorella che sembrò riprendersi all’improvviso.
«Ken» urlò correndo verso di lui e abbracciandolo di slancio, tanto da farlo indietreggiare di un passo per non perdere l’equilibrio. «Mi sei mancato tanto». Vidi Ken sorridere mentre ricambiava l’abbraccio di Harp e sorrisi anche io di riflesso.
Ken era sempre stato un ottimo fratello per Harper; protettivo e buono, l’aveva difesa dai bambini più grandi fino a quando, all’asilo, lei non mi aveva incontrato. Poi, davanti alle statue di Biancaneve e dei sette nani, Ken mi aveva minacciato con una manciata di sassi: avrei dovuto proteggere sua sorella visto che l’anno dopo lui sarebbe andato alle elementari e non avrebbe più potuto farlo. Da quel giorno, dopo che avevo promesso di proteggerla da tutti, io e Harp eravamo diventati ancora più amici, sostenendoci e punzecchiandoci. Non era passato giorno senza che ci deridessimo a vicenda, sotto lo sguardo divertito di Ken che –da bravo fratello maggiore –controllava tutti i ragazzi che cercavano di conquistare sua sorella. Poi era arrivato il momento per Ken di scegliere il college e si era trasferito a Lubbock, in Texas, allontanandosi da me, ma soprattutto da Harper che aveva sofferto per quel distacco. Certo, non l’aveva detto espressamente, ma la conoscevo talmente bene da sapere quando soffriva per qualcosa. Per questo il suo ultimo anno di liceo era stato il peggiore: voti bassi dovuti al suo scarso impegno e feste di confraternite a cui si imbucava quasi tutte le sere. Poi, dopo aver parlato con Ken prima delle vacanze di primavera, Harp era cambiata, o meglio, era tornata la Harp di sempre. Non sapevo che cosa Ken gli avesse detto, ma di sicuro quelle parole avevano fatto capire ad Harper che quella che aveva intrapreso non era la strada giusta.
«Già così mi piace di più» sogghignò Ken, accarezzando la schiena di Harper e sorridendo. «Sbaglio o sei ingrassata? Riesco quasi a non sentire le tue scapole». Le pizzicò la pelle della schiena, facendola mugolare per il dolore. Quel suono ci fece ridere entrambi. «Allora, come state? Come va con Noah o come si chiama?». Ken non riuscì a notare in tempo la mia espressione sconvolta: cosa avrebbe detto Harper, visto che era davvero ferita da Noah, nonostante fossero stata con lui solo per due mesi?
«Mi ha lasciata. Ha detto che non ero quella giusta per lui e che non mi trovava attraente». Harp fece spallucce, tornando a sedersi per finire di mangiare il suo panino con la Nutella, come se il discorso potesse considerarsi concluso con quella frase. Sapevo che Ken non avrebbe detto nulla in presenza di Harper, ma mi avrebbe fatto il terzo grado una volta soli.
«Quando sono così idioti è meglio lasciarli perdere» sentenziò, accendendosi una sigaretta dopo essersi seduto su uno sgabello di fianco a me. «E tu, a donne come sei messo?». Mi diede una pacca sulla spalla, facendomi ridere. Harper e Ken erano uno l’opposto dell’altro fisicamente: lei aveva due grandi occhi verdi, lui castani. I capelli di Harp erano di un biondo naturale che lei mascherava con quel rosso scuro; quelli di Ken invece, come i suoi occhi: castani. Nonostante tutto però, avevo imparato a vedere, attraverso il corso degli anni, come alcune espressioni e alcuni modi di fare li rendessero simili.
«Bene dire. Non c’è nessuna che mi disturba mentre gioco con l’X-box. A parte tua sorella, naturalmente». Trovai il tappo di una bottiglia di birra e lo lanciai contro Harp, dopo che alla mia affermazione mi aveva fatto una linguaccia. «Scherzi a parte, nessuna al momento, ma non mi lamento, sto bene così». Ed era la verità, non sentivo la mancanza di una donna, forse perché il lavoro occupava davvero molte delle mie energie e quasi tutto il mio tempo. Di certo non era perché –come credeva Harp –passavo il tempo guardando film porno.
«A proposito del lavoro… devo chiederti una cosa del mio pc. Non so che gli sia successo, ma ha lo schermo che fa lo stupido. I colori si vedono male e non so se sia perché è partita la scheda video o…» iniziò a spiegarmi, prima che Harp si alzasse in piedi, muovendo le braccia per attirare la nostra attenzione.
«Prima che vi perdiate con i vostri discorsi da individui maschili, andiamo a cena fuori tutti assieme stasera? Io con i miei uomini?» propose, portando le mani a intrecciarsi sotto al mento, in attesa di una risposta da parte nostra. Ken mi guardò, annuendo assieme a me e sentimmo entrambi il gridolino felice di Harper che corse ad abbracciare entrambi nello stesso momento, dando prima un bacio sulla guancia a Ken e poi uno a me. «Vado a farmi una doccia e mi preparo, sbrigatevi, faccio presto» urlò, salendo le scale di corsa. Avrei voluto dire che non le serviva lavarsi di nuovo, visto che l’aveva fatto meno di due ore prima, ma sapevo che con Harp non era il caso di discutere, soprattutto perché aveva già acceso lo stereo in bagno.
«Che le succede?» domandò Ken, appena sentimmo la porta del bagno chiudersi. Sapevo che mi avrebbe chiesto qualcosa di Harper, l’aveva trovata troppo strana e Ken notava subito ogni più piccolo sbalzo d’umore di sua sorella.
«Credo che ci sia rimasta davvero male perché Noah l’ha lasciata. Per una settimana non è praticamente mai uscita e quando l’ha fatto, ieri sera, ha indossato un vestito e dei tacchi altissimi. Mi ha chiamato ubriaca che non sapeva come tornare a casa. Credo abbia bisogno solo di tempo, sai com’è; non ammetterà mai di essere rimasta delusa da Noah, anche perché l’ha lasciata davvero come un cretino. Le ha detto che non era attratto da lei e che aveva troppe poche tette per venire, se mai avessero trombato». Non aveva senso mentire a Ken, anche perché, se l’avessi fatto, sarebbe tornato a Lubbock con il pensiero che Harp non era felice, e non potevo permettere che accadesse.
«Che stronzo. Sai dove abita? Ho una mazza da baseball in macchina…» sogghignò, fingendo di sgranchirsi il collo per sembrare più minaccioso. Ridemmo assieme, prima che si alzasse per gettare la sigaretta ormai spenta dentro al cestino. «Perché stasera non inviti anche Joe e Wilson? Almeno la faranno ridere un po’, no? E poi è da tanto che non vedo i tuoi amici». Ken si voltò per guardarmi, in attesa di una risposta. Esattamente in quel momento ricordai perché continuavo a dire che, riguardo alcuni aspetti, si vedeva che lui fosse il fratello di Harp. Anche lei quando voleva qualcosa usava la stessa espressione. Doveva per forza essere l’espressione Hetfield, non c’era altra soluzione.
«D’accordo, provo a sentire se sono liberi per cena». Cercai il telefono dentro alla tasca dei jeans, trovandolo poco dopo e digitando il messaggio per chiedere ai ragazzi se fossero o meno liberi quella sera. Non passarono che pochi istanti, prima di leggere le loro risposte. «Sono liberi entrambi e felici di passare la serata con te. C’è solo una condizione che credo non andrà bene ad Harper: vogliono mangiare all’Uga Uga». Non riuscii a trattenere una risata al pensiero dell’espressione schifata di Harp, nel momento in cui avrebbe saputo dove saremmo andati a cenare.
«Ottimo, a Lubbock non c’è nessun posto come l’Uga Uga. Digli di sì, ma non diciamolo ad Harper» sghignazzò, facendomi ridere. Harper entrò in cucina in quel momento, trovandoci con le lacrime agli occhi e chiedendoci cosa ci fosse di così divertente.
«Niente, la scheda video di Ken si è rotta, ma per controllare abbiamo guardato un porno, visto che Ken sapeva i colori a memoria» scherzai, notando l’espressione di Harper mutare e sentendo la risata di suo fratello farsi più acuta per l’ilarità della situazione. «Comunque stasera a cena con noi ci sono anche Joe e Wilson, non vorrei mai che poi ti stupissi quando te li trovi davanti». Meglio non dire il ristorante, però; altrimenti avrebbe volentieri declinato l’invito per la cena.
«D’accordo. Dove andiamo a mangiare?».

 
 
 
Mi scuso immensamente per il ritardo, avevo promesso che avrei aggiornato più velocemente e invece è passato tantissimo tempo dal capitolo precedente; non so davvero come farmi perdonare, lo ammetto.
Riguardo al capitolo, solo un paio di precisazioni: Quando parla di “Ken” dal film Magic Mike mi riferisco al ruolo di Matt Bomer, che per l’appunto nel film si chiamava Ken.
Quando Harp dice a Jar che è meglio la versione con la barba rispetto a quella di lui al liceo che assomigliava all’attore Disney... l’attore Disney a cui mi riferisco è proprio Zac Efron, durante gli HSM.
AC/DC e Iron Maiden sono due gruppi rock/metal e il cognome di Harper è Hetfield, come il cantante e chitarrista dei Metallica James Hetfield, volevo che fosse un tributo a loro :)
Uga Uga è un nome che mi sono inventata e non so se a Los Angeles –ma non credo proprio –esista un ristorante con questo nome e con le caratteristiche di cui parlerò nel prossimo capitolo.
Infine, se non avete  visto, all’inizio del capitolo è apparso un link per il video trailer come sempre fatto da Ale, guardatelo! (Se siete pigre e non volete tornare all’inizio della pagina riposto il link QUI).
Ultimissima cosa… NERDS’ CORNER è il gruppo spoiler dove ci sono anche i volti dei personaggi. Accetto tutti, quindi se volete iscrivervi non ci sono problemi.
Ho finito davvero, mi scuso ancora per il ritardo.
A presto.
Rob.

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Capitolo 4
*** I just want to know... ***


CBA


Video trailer



Dire ad Harp che saremmo andati a mangiare all’Uga Uga equivaleva a obbligarla a rimanere a casa. Per questo cercai di inventarmi una scusa per non spiegarle che saremmo andati al Ristosauro.
«Decide Wilson» mentì Ken, prendendo in mano la situazione e sorridendo ad Harper che si rilassò. Di sicuro non pensava che suo fratello potesse mentirle, visto il loro rapporto. In verità però non era una bugia, visto che era stato proprio Wilson a proporre quel locale. «E io vado a farmi una doccia, perché non voglio uscire a cena con mia sorella e profumare da uomo» sghignazzò, tappandosi il naso come se puzzasse.
Harper rise, tirando un calcio sul sedere a Ken mentre la superava per andare al piano superiore. «Non mi vuoi proprio dire dove ceneremo?». Si avvicinò a me, assottigliando lo sguardo per far vedere che stava studiando i miei gesti.
«No» sbottai, dandole le spalle e fingendo di cercare qualcosa dentro al frigo. Se non mi guardava non poteva sapere che mentivo; ero quasi sicuro che il mio viso assumesse una smorfia strana che Harp, nel corso degli anni, aveva imparato a interpretare. «Forse è meglio se vado a vestirmi, Ken di solito è veloce a prepararsi». Meno rimanevo vicino ad Harper e più possibilità avevo che non scoprisse il nostro tranello.
Salii i gradini di corsa, arrivando in camera e indossando un paio di jeans, una t-shirt e la giacca di pelle. Passai la mano tra i capelli senza nemmeno guardarmi allo specchio e, nel momento in cui uscii dalla mia camera, Ken aprì la porta del bagno, vestito e pronto per andare a cena.
«Hapi, ci sei?» strillò, per farsi sentire da sua sorella che stava cantando al piano di sotto. Lo vidi alzare gli occhi al soffitto, come se sapessimo entrambi che Harp non aveva più speranze, e scendemmo, ridacchiando.
«Siete pronti? Andiamo?». Harper si sistemò i capelli dietro la schiena, lisciandosi le pieghe del top grigio. Niente tacchi o vestitini corti: solamente un paio di ballerine accompagnate da dei jeans stretti. Sorrisi, notando come potesse essere ancora più bella senza quei pezzi di stoffa che scoprivano anche troppa pelle.
«Ho una sorella gnocca, poco da fare» ridacchiò Ken, abbracciandola e scompigliandole i capelli in un gesto che fece sbuffare Harp.
«Mai detto il contrario» asserii, con un sorriso che morì sulle mie labbra quando notai lo sguardo strano che Harp mi aveva riservato. Avevo detto qualcosa di sbagliato? L’avevo offesa in qualche modo? Credevo di averle fatto un complimento!
Senza aggiungere altro, Harp prese la sua borsa, uscendo e richiudendosi la porta alle spalle, lasciando me e Ken ancora in cucina.
«Va tutto bene tra di voi?» chiese Ken, alternando gli sguardi tra la porta chiusa e il mio volto. Sembrava sospettoso, come se qualcosa non lo convincesse del tutto; si appoggiò addirittura alla tavola dietro di lui, incrociando le braccia al petto in attesa di una mia spiegazione.
«Credevo di sì, fino a trenta secondi fa» mormorai, senza smettere di guardare la porta chiusa. Perché Harp aveva reagito così? Non mi sembrava di averla ferita in nessun modo. «Ti sembra che io l’abbia offesa?» chiesi a Ken, sperando che il suo DNA simile a quello della sorella potesse aiutarmi a risolvere quello strano rompicapo. Ken scosse la testa, sospirando e seguendo Harp, lasciandomi in cucina da solo. «Hetfield» mormorai, capendo che qualcosa in quella famiglia non li rendeva del tutto normali.
Quando chiusi lo sportello di Pixie e accesi il motore, vidi Harp dallo specchietto retrovisore mangiucchiarsi l’unghia irrequieta; ma non parlai, sicuro che avrei peggiorato la situazione. Guidai verso l’Uga Uga e, divertito, mi concentrai di nuovo sul viso di Harper quando svoltai per entrare nel parcheggio del Ristosauro.
«Stronzi! Perché mi avete portata qui?» urlò, facendoci ridere. Vedere il volto arrabbiato di Harp dallo specchietto retrovisore era una delle cose che preferivo fare; quando si arrabbiava le sue guance si coloravano di rosso e, senza rendersene conto, alzava il sopracciglio sinistro, assumendo l’aria di una maestrina sexy. Cioè, solo di una maestrina, non sexy. Forse di una maestra, più che maestrina. «Questa è stata un’idea tua, vero?» sbraitò, scendendo dalla macchina e correndo verso Wilson che iniziò a ridere, appoggiandosi alla macchina di Joe, dietro di lui.

«È o no un ristorante raffinato dove porteresti una ragazza al primo appuntamento per un dopocena movimentato?» sghignazzò Wilson, avvicinandosi ad Harp per abbracciarla. Al posto dell’abbraccio però Harp gli diede un pugno sullo stomaco che lo fece gemere per il dolore. «Violenta così sei ancora più gnocca». Wilson proprio non demordeva e sapevamo tutti che era uno scherzo, visto che anche Harp si mise a ridere, scuotendo il capo, rassegnata.
«Ken, diventi sempre più brutto, idiota». Joe si avvicinò a Ken, stringendogli la mano e scambiando con lui un mezzo abbraccio per salutarlo scherzosamente. «Madame». Finse un inchino, rivolto ad Harper, a pochi passi da lui. Si avvicinò anche a lei per abbracciarla, prima di scompigliarle i capelli come faceva sempre.
Era un nostro vizio; ogni volta che ci avvicinavamo a lei non riuscivamo a smettere di arruffarle quella chioma rossa, semplicemente perché sapevamo quanto la infastidisse. Continuava a dire che i suoi capelli erano lunghi e che era difficile pettinarli, ma noi non la ascoltavamo mai.
«Entriamo? Non vorrei che si raffreddassero le ali di pterodattilo vulcaniche». Wilson cinse le spalle di Harper con un braccio, accompagnandola verso l’entrata del ristosauro. «Prima le signore». Si finse un galantuomo, aprendo la porta ad Harper che entrò con un sorriso sulle labbra e uno sguardo che diventò subito preoccupato.
«Io me ne vado». Si scrollò il braccio di Wilson di dosso e corse subito fuori, senza che potessi sapere il motivo di quel gesto.
«Oh cazzo» mormorò Wilson, guardando un punto preciso del locale per poi fissare il suo sguardo nel mio. «Noah» spiegò subito dopo, osservando Harper che era già arrivata davanti a Pixie e cercava di aprire la portiera, nonostante fosse impossibile farlo, visto che avevo chiuso le sicure qualche minuto prima.
«Rimanete qui» ordinai, lanciando uno sguardo a Ken che, curioso, si affacciò dentro al locale per vedere di che cosa stessimo parlando. «Pri». Mi avvicinai a lei, appoggiando una mano sulla sua spalla perché smettesse di provare ad aprire la macchina. Sembrava una pazza.
«Sta. Fermo. Non toccarmi». Si voltò verso di me, con l’indice alzato, come se volesse ammonirmi. «Voglio andare a casa». Incrociò le braccia sotto al seno, segno che era davvero arrabbiata.
«Harp, sono io, Jared» mormorai, allungando una mano verso il suo viso per spostarle una ciocca di capelli che si era attaccata alle sue labbra, senza riuscirci; la mano di Harp mi colpì il braccio con uno schiaffo, prima che potessi anche solo sfiorarla.
«So chi sei, voglio andare da Ken». Non disse altro, semplicemente camminò fino all’entrata del locale, avvicinandosi a Ken e abbracciandolo. Li vidi parlare sottovoce senza che Joe e Wilson potessero sentirli, poi, dopo che Ken prese il volto di Harp tra le mani e si avvicinò per sussurrarle qualcosa all’orecchio, iniziarono a ridere entrambi, appena prima che Harp lo abbracciasse di nuovo, strofinando il naso contro il suo petto.
«Entriamo» annunciò Ken, prendendo sottobraccio Harp prima di aprire la porta del locale ed entrare, seguito subito dopo da Joe  e Wilson. Camminai velocemente per raggiungerli, continuando a pensare che l’unica spiegazione possibile per lo strano comportamento di Harper e Ken fosse il loro cognome. Non trovavo altre scuse, semplicemente perché forse non ce n’erano. «Sta al gioco» mormorò Ken, appena li raggiunsi. Vidi la sua mano intrecciata a quella di Harper e capii: fingeva di essere il suo fidanzato, forse per far ingelosire Noah che, con solamente un pezzo di stoffa leopardato –che simboleggiava degli slip –a coprirlo, camminava su e giù per il locale, servendo i clienti.
«Non sapevo che facesse il cameriere in questo locale» mi giustificai subito con tutti. Nessuno lo sapeva, nemmeno Harp. Da quello che ricordavo era il cameriere in un pub a West Hollywood, non al Ristosauro vicino a casa. Dagli sguardi dei ragazzi e di Harp capii che nemmeno loro ne erano a conoscenza. «Oh cazzo» mormorai, non appena vidi che tra tutti i camerieri e le cameriere, si stava avvicinando a noi proprio l’ultima persona che volevamo.
«Harper?» domandò Noah, fingendo di non essere sicuro che fosse lei. Strinsi entrambe le mani a pugno, trattenendomi dal tirargliene uno solo perché eravamo in un luogo pubblico, e non ero ancora così primitivo –nonostante l’ambientazione del locale.
«Chi è, Hapi?». Ken guardò Noah con disgusto, come se puzzasse. Faticai a trattenere una risata, davanti alla sua recita. Harper alzò le spalle, disinteressata, come se non lo conoscesse. «Hapi, lo conosci o no, questo primitivo?» incalzò di nuovo Ken, gonfiando il petto, per sembrare più spaventoso. Non riuscii a trattenere una risata che cercai di mascherare con un colpo di tosse, dando le spalle a quel siparietto divertente.
«Uno con cui sono uscita un paio di volte mentre io e te ci eravamo presi una pausa, niente di importante». Harper fece di nuovo spallucce, mentre tutti e cinque notammo lo sguardo di Noah diventare incredulo. «Non è proprio riuscito a farmi cambiare idea, Ken. Era proprio… insipido».
L’aggettivo che usò Harper mi fece ridere di nuovo, questa volta però anche Joe e Wilson non riuscirono a trattenersi. Le nostre risate aumentarono quando Ken rispose ad Harper, rendendo la scena ancora più surreale: «Per fortuna sono tornato io a mettere un po’ di sale nella tua vita, baby». Le accarezzò una guancia, dolcemente. In quel gesto c’era tutto l’amore che provava per lei, si vedeva dal suo sguardo quanto volesse proteggerla a tutti i costi, da tutto e tutti; perché il loro rapporto sarebbe sempre stato così. «Allora, un tavolo per cinque è possibile?». Spazientito era l’aggettivo che più descriveva Ken in quel momento. Attore era il lavoro che avrebbe potuto fare.
Decisamente confuso –tanto che sembrava stordito –Noah ci fece accomodare a un tavolo, porgendoci i menu stampati su un cartone grigio che volevano emulare una lastra di pietra. Si congedò, camminando velocemente per andare a nascondersi dietro al bancone e parlare con un’altra cameriera. Probabilmente le aveva chiesto di sostituirlo per servire al nostro tavolo. Quella scenetta fece ridere tutti, Harp compresa, che si rilassò un po’, smettendo di essere seduta in modo così rigido di fianco a me.
«Scusa per prima, Jedi» mormorò Harper, appoggiando la sua guancia sulla mia spalla e sospirando.
Sorrisi posando una mano sulla sua gamba e picchiettando leggermente, per farle capire che non doveva preoccuparsi. Non me la prendevo per lo scatto che aveva avuto qualche minuto prima, o –almeno una volta al mese –avrei dovuto trasferirmi.
Ordinammo ali di pterodattilo vulcaniche, facendo rabbrividire Harp che invece prese solamente foglie verdi.
«Perché ogni volta che veniamo a mangiare al Ristosauro tu prendi sempre insalata? Perché non prendi ali di pterodattilo vulcaniche o quelle esplosive?» chiese Wilson, strofinandosi le mani quando vide sul bancone le nostre ordinazioni con il nettare degli Dei. Birra.
«Perché io sono più intelligente di voi che una volta arrivati a casa inizierete a lamentarvi per il mal di stomaco che la salsa al peperoncino sulle vostre ali di pollo vi ha causato. Mangiando solo insalata non rischio un’ulcera. Lo sapete che ogni volta che uscite da qui siete piegati in due per il male, ma vi ostinate a venire qui a mangiare come primitivi, senza posate, solo perché vi sembra di essere più uomini». Si sedette meglio sulla panca in pietra riscaldata, facendo notare a tutti e quattro quanto fosse stizzita. «E vi ricordo che sono qui solo perché c’è Ken, altrimenti non sarei nemmeno entrata in questo… ristosauro». Probabilmente Harper si era trattenuta solo perché la cameriera era arrivata con i nostri ordini. Vidi il sorriso di circostanza sulle labbra di Harp sparire non appena la ragazza ci diede le spalle, guadagnandosi un’occhiata interessata da parte di Wilson che si fece vedere da Harper. «Andiamo, Wilson, inizia a elencare i pregi di quella ragazza. È intelligente perché ha le tette grosse, simpatica per il culo a sodo e poi?» scherzò, senza smettere di abbracciare Ken.
Nonostante Ken non fosse –fisicamente –una presenza costante per Harp, l’affetto che provavano l’uno per l’altra mi aveva sempre stupito. Ken c’era sempre per lei; c’era stato il giorno del diploma, quello della laurea, quando il primo ragazzo aveva spezzato il cuore di Harp e quando aveva firmato il primo contratto di lavoro. Correva da Lubbock a Los Angeles anche in piena notte se sapeva che Harp aveva bisogno di lui per qualsiasi cosa. Non le aveva mai fatto sentire la mancanza dei loro genitori; per questo Harp era così legata a lui.
Quando terminammo la cena, dopo una doppia porzione di ali di pterodattilo vulcaniche, uscimmo dal locale massaggiandoci lo stomaco perché, esattamente come Harp aveva previsto, tutti e quattro provavamo dolore.
«Ve l’avevo detto, ma se siete idioti e uomini non è colpa mia» sghignazzò Harp, senza smettere di rimanere accanto a Ken, che si lamentava più di tutti. «Dimmi te se devo avere un fratello idiota che non mi ascolta» aggiunse poi, scuotendo il capo, senza speranza.
«Andiamo a casa, vi prego, morirò, stanotte» si lamentò Wilson, appoggiandosi alla sua macchina per riuscire a rimanere in piedi. «Ken, fa buon viaggio, alla prossima. Magari, come ci promettiamo ogni volta, mangeremo insalata». Allungò la mano senza però stringerla a quella di Ken, troppo impegnato a massaggiarsi la pancia.
«Addio, è stato bello conoscervi. Harp, ti lascio tutti i miei averi, Wilson, la mia collezione di porno, Joe, il mio computer e l’impianto stereo. Jar, a te lascio Harp, prenditi cura di lei». Mi diede una pacca sulla spalla, facendomi mugolare per il dolore; stavo già soffrendo, perché doveva aumentare così la dose di dolore e farmi stare male?
«Ehi, perché io sono quello che non riceve niente? Che me ne faccio di Harp? La sopporto già» borbottai, offeso. Tutti avrebbero avuto qualcosa, io solamente Harp? Le volevo bene, certo, ma che utilità poteva avere, oltre a far da mangiare?
«Io conosco un paio di cosette che Harp saprebbe fare. Ricordati che è una donna, quindi sa cucinare. In più, una donna può fare tutto quello che un buon porno ti fa immaginare». Eccola, la perla di saggezza di Wilson. Per fortuna la birra riusciva a renderci abbastanza brilli da ridere a quella battuta idiota, Harper compresa.
Una volta tornati a casa, decisi di lasciare da soli Harp e Ken, chiudendomi in camera per guardarmi un film. Non volevo disturbarli e sapevo che avevano tante cose da raccontarsi. Per quanto fossi legato a entrambi, sapevo che il loro legame di sangue era più forte ed era giusto lasciar loro i proprio spazi.
 
Quando, la mattina dopo, scesi al piano di sotto e trovai Ken e Harp addormentati sul divano, non riuscii a non sorridere davanti a quella scena così dolce: lui la sorreggeva, circondandole le spalle con il braccio; lei invece aveva la testa appoggiata alla spalla di Ken. Li lasciai riposare, sapendo che Ken sarebbe dovuto ripartire quel pomeriggio stesso, a causa del lavoro.
Uscii a fare la spesa per lasciarli da soli ancora un po’ e, appena tornai, salutai Ken che partì subito: avevano parlato di un incidente in una freeway che sicuramente avrebbe rallentato il suo ritorno a casa.
Non appena chiuse lo sportello della macchina e accese il motore, vidi il sorriso di Harp vacillare; il suo sorriso si spense definitivamente quando Ken si allontanò abbastanza da non vederla.
Esattamente come dopo ogni visita di Ken, Harp si chiuse in camera con lo stereo a un volume altissimo, segno che non dovevo disturbarla. Esattamente come ogni volta però, sapevo che aveva bisogno di me, il suo migliore amico.
Salii in camera di Harp goffamente, attento a non rovesciare la cioccolata che avevo preparato per noi due. Bussai prima di aprire la porta senza attendere una risposta che –di sicuro –non sarebbe arrivata. Non appena la vidi lì, rannicchiata sul suo letto mentre stringeva un pupazzo di Stitch, non riuscii trattenere un sorriso, intenerito.
Harp alzò lo sguardo, sorridendo appena. Più che un sorriso sembrava una smorfia, così appoggiai le due tazze sopra alla sua scrivania, sedendomi di fianco a lei sul letto e ridendo, quando mi accorsi di due segni marroni sopra alle sue labbra. «Hai mangiato Nutella, vero?» domandai, appoggiando la fronte al muro dietro di me e togliendomi le scarpe per incrociare le gambe sopra al letto senza sporcarlo.
«No che non ho mangiato cioccolata, che cosa stai dicendo?» rispose stizzita, voltandosi dall’altra parte per non farmi vedere che stava mentendo. Vederla così arrabbiata mi fece ridere più forte, irritandola ulteriormente.
«Harper, sei tutta sporca di Nutella, sembri un bambino, hai i baffi» ritentai, appoggiando la mano sulla sua guancia per costringerla a girarsi verso di me e guardarmi. Si passò una mano davanti alle labbra, togliendo la cioccolata rimasta. «Adesso non si vede più. Lo sai che sei peggio dei bambini quando mangi cioccolata, su» scherzai, guadagnando solamente un pugno allo stomaco. «Perché sei triste, Harp?». Domanda inutile: conoscevo la vera risposta e sapevo che Harp non sarebbe mai stata sincera con me ma avrebbe risposto ironicamente, prima di lasciarsi andare.

«Perché mi hanno bannato nel sito di Chatroulette dopo che ho mostrato le tette» sbottò, fingendo che fosse quello il vero motivo.
«Tieni» mormorai, allungando verso di lei una tazza di cioccolata. «Panna e cannella come piace a te». Accennai un sorriso, prima di iniziare a bere la mia cioccolata, senza cannella. «Harp, seriamente…» sospirai, sperando che questa volta la sua risposta non fosse qualche scusa inventata su due piedi. Volevo consolarla, ma avrei potuto farlo solo se si fosse aperta con me, perché altrimenti mi sembrava di invadere il suo spazio, leggendo dentro di lei per scoprire che cosa la turbasse.
«La verità è che preferirei non vedere mai Ken. Quando non c’è sento la sua mancanza, ma cerco di colmarla con le chiamate e i messaggi, non ci penso. Poi arriva e anche se rimane per poche ore mi sembra quasi un sogno: sentire la sua voce, rivedere il suo sorriso, abbracciarlo, giocare con lui e punzecchiarlo. E ogni volta che se ne va è sempre peggio, perché mi manca di più. Lo so che lavora e non è possibile per lui venire spesso a trovarmi, lo so che ci sei tu che mi fai compagnia e che mi lamento anche troppo, ma delle volte mi manca la mia famiglia, insomma… mi manca Ken». Con la mano che non sorreggeva la tazza torturò un orecchio di Stitch, tenendo lo sguardo basso.
«Harp» mormorai abbracciandola, senza aggiungere altro. Sapevo come si sentiva, sapevo che le mancava Ken anche se non ne parlava mai, ma sapevo, soprattutto, che nei rari momenti in cui la vera Harper –quella dolce e non ironica –usciva, non bisognava compatirla troppo, o sarebbe stato peggio.
«Basta, sono troppo sentimentale, bevo la cioccolata» sentenziò, alzando lo sguardo al soffitto, come se stesse cercando di trattenere le lacrime. Risi, contagiandola e iniziammo a bere la cioccolata, in silenzio. «Jar, posso chiederti una cosa?» domandò all’improvviso, tenendo la tazza a mezz’aria. Annuii solamente, in attesa della sua domanda. Sapeva che poteva chiedermi qualsiasi cosa. «Dimmi solo cosa hai risposto l’altra sera, quando ero ubriaca». Alla sua domanda mi immobilizzai; la tazza a mezz’aria e un sorso di cioccolata rovente che non voleva scendere lungo la mia gola. Forse era il caso di chiudere quell’argomento per sempre, così poi, qualche mese dopo, ci avremmo riso su.
«Non ho risposto, Harp» mormorai, in attesa di una sua risposta. Credevo ridesse, si dimostrasse sollevata o magari si fingesse offesa, ridendo e scherzando sul fatto che di sicuro era per la sua mancanza di tette. Invece si dimostrava così seria da farmi preoccupare, come se stesse pensando a una risposta ponderata, una risposta che non era –decisamente –da Harper.
«Perché non l’hai fatto?» domandò, appoggiando la tazza con la cioccolata sul comodino di fianco al letto e assumendo un’aria ancora più seria. Cosa stava dicendo? Era impazzita? Non aveva pensato a quello che sarebbe potuto accadere se avessi seriamente risposto a quella domanda?
«Perché non ci voglio pensare» tagliai corto, guardando fuori dalla finestra. Non volevo più discutere.
«D’accordo, quindi tu non mi trovi attraente, è questo che stai cercando di dirmi? Che se ci incontrassimo da sconosciuti in discoteca una sera, e fossimo entrambi alticci non finiremmo a pomiciare nel bagno?». La domanda di Harp fu così diretta da disarmarmi. Era esattamente quello che, nel corso degli anni, non avevo mai voluto pensare, perché non mi interessava sapere se io e lei avremmo potuto pomiciare in discoteca, non quando rischiavo di perdere la mia migliore amica.
«Non sto dicendo questo Harp, è solo che tu sei mia amica e non voglio pensare a te sotto questo aspetto. Viviamo assieme, ci addormentiamo sul divano guardando un film e condividiamo lo stesso bagno. Se io immag…». Non riuscii a terminare la frase perché Harp iniziò a parlare, di nuovo.
«Ho un’idea! Siamo entrambi single e tutti e due abbiamo bisogno di una sana trombata. Vogliamo farla ma non troviamo nessuno che soddisfi tutte le nostre richieste perché qualcuno vuole sempre qualcosa in più o in meno. E se trombassimo noi due, solo una volta?
».
 
 
 
 
 
 
Salve ragazze!
prima cosa mi scuso per il ritardo nell’aggiornamento, ma purtroppo università, laboratori e vari impegni riducono il mio tempo per scrivere e devo ritagliarmi i più piccoli spazietti per farlo.

Comunque, bando alle ciance e ciance alle bande…
Giusto un paio di cose riguardo il capitolo, sarò breve, lo giuro! :)
L’Uga Uga, come ristorante, l’avevo inventato. Si tratta di un ristorante (o ristosauro) che ha come tema gli uomini primitivi, quindi è come se si mangiasse dentro a una caverna, per terra, con i camerieri vestiti da primitivi e naturalmente senza posate.
I nomi dei piatti li ho inventati di sana pianta, sia chiaro. Giusto per capirci:
-Ali di pterodattilo vulcaniche: Ali di pollo con qualche tipo di salsa al peperoncino, quindi molto piccanti (meno piccanti delle esplosive, però! :P )
-Foglie verdi: semplice insalatona.
-Nettare degli dei: birra! Ahaha.
E niente, mi pare di non aver altro da dire… si sta conoscendo un po’ di più Harper, si sta svelando qualcosa in più del rapporto che ha con Jar e adesso arrivano anche domande scomode e proposte indecenti :D
Come sempre ricordo NERDS’ CORNER, e io spero di postare un capitolo al più presto.
Baciozzi.
Rob.

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Capitolo 5
*** Did we do it? ***


CBA


Video trailer



«Harper» urlai, con un tono di voce acuto per la sorpresa di quella domanda. Perché semplicemente non la smetteva di chiedermelo e fingevamo che non fosse mai successo niente. «Non risponderò a questa domanda». Non volevo ferirla, in entrambi i casi. Se avessi detto sì e si fosse aspettata un no? E se fosse stato il contrario? No, non potevo rischiare di deludere Harper; lei era una delle persone più importanti della mia vita.
«Perché non vuoi rispondere? Perché è un no e non mi scoperesti nemmeno se mi incontrassi? Mi stai dicendo che stai cercando di alleviare il mio dolore non dicendomi che sono un cesso, vero?». Finì la frase in un sussurro, facendo cadere tutti i muri che avevo innalzato attorno a me per non rispondere a quella domanda. Non era proprio quello il motivo per cui non volevo rispondere, proprio no.
«Harp» sussurrai, avvicinandomi a lei e inginocchiandomi davanti al suo letto, perché potesse guardarmi negli occhi e vedere che non stavo mentendo. «Non sto dicendo che sei brutta, anche perché non l’ho mai pensato. Non voglio rispondere alla tua domanda perché non ci voglio pensare. Potrebbe succedere come in quei film idioti, hai presente? Non voglio rovinare la nostra amicizia per fare sesso con te una volta, solo per togliermi uno sfizio. Quello che sto cercando di dirti è che sei una bellissima ragazza e che non devi scoraggiarti, perché nessuno pensa che tu sia brutta. Per quanto riguarda il trombare… ripeto che non voglio rovinare la nostra amicizia». Mi sembrava che il discorso fosse chiaro, speravo di essermi spiegato bene.
Speranza vana, vista la risposta di Harper.
«Ahh» ringhiò, portandosi le mani tra i capelli. «Ho bisogno di una scopata. Se lo facessimo tipo sport? Come se tu stessi giocando a golf; tu giocavi a golf, no? Ecco, solo che non stai giocando con una palla ma con due. Cioè, io giocherei con due palle e tu… anche. Insomma hai capito no? Sarebbe solo per scaricarsi. Cavolo Jar, guardo gli episodi vecchi di Baywatch alla TV e ogni volta che compare Cody durante la sigla mi scende la bava». Lo sguardo di Harp assieme a quella confessione mi fecero ridere così tanto che mi sbilanciai, trovandomi seduto per terra. Non credevo che Harp guardasse ancora le vecchie repliche di Baywatch solo per Cody, anche se sapevo che fin da piccola era stata innamorata di lui e dei suoi addominali scolpiti.
«Harp, non posso proprio aiutarti. Dovrebbe esserci tensione sessuale per iniziare, non è che puoi spogliarti e poi ti do due colpi, dovrebbe esserci l’atmosfera; tipo nei film, quando si sente il sassofono suonare e tu sai già che ci sarà la scena porno, capisci?». Per quanto considerassi Harp una bella ragazza, rimaneva sempre comica e non riuscivo a immaginare che ci potesse essere della tensione sessuale tra di noi. Per quante volte l’avessi vista nuda o in intimo, non riuscivo a immaginare Harp come desiderabile, ma semplicemente come donna. Sì, ecco risolto il mistero. Perché mi ero tanto preoccupato e non avevo detto subito come stavano le cose? Apprezzavo Pri come donna ma non era scopabile per me; ecco tutto.
«Sai, hai ragione. Non sei così trombabile come pensavo, non ho la bava come con Cody quando ti vedo in costume o in mutande» sentenziò, ferendo il mio ego da uomo. Harp si stiracchiò giocando con il pupazzo che teneva tra le mani.
Non era decisamente carino quello che mi aveva appena detto ma, per non farmi vedere ferito dalle sue parole –anche perché non c’era motivo di rimanere ferito solo perché mi aveva detto che non mi considerava scopabile –uscii dalla sua stanza per andare in camera mia a lavorare un po’ prima di cena.
Una volta in camera mia però, mi soffermai a guardare la foto di sfondo del laptop: eravamo io e Harp, in spiaggia a Venice Beach, qualche mese prima. Harp era seduta sulle mie spalle mentre correvo lungo il bagnasciuga, ridendo. Vedevo le sue mani strette sul mio volto perché aveva paura che la lasciassi andare, nonostante le mie braccia fossero salde ai suoi polpacci. La foto era stata scattata da Wilson.
Ridacchiai, sistemandomi meglio sul letto e aprendo –senza nemmeno rendermene conto –la cartella con le foto di quel giorno. Ne avevamo scattate così tante che, a fine giornata, Wil si era lamentato con Harp e con la sua mania per le foto.
«Jar». Harper spalancò la porta della mia camera, entrando all’improvviso e facendomi sgranare gli occhi per la sorpresa: indossava solamente un misero completino intimo che copriva a malapena il suo seno e il suo sedere. «Spogliati, subito. Muoviti». Cercai di reagire, ma vedere Harper davanti a me con un completo e i tacchi non riusciva a far affluire il sangue verso l’alto. «Ti vuoi muovere?». Salì sopra al mio letto, gattonando verso di me senza togliersi quelle scarpe che come minimo avevano dieci centimetri di tacco.
Mi sistemai il collo della maglia che indossavo perché mi stava strozzando, ma Harp, prima che potessi fare qualche altra mossa, tirò la mia maglia verso l’alto, togliendomela. «Harper» sussurrai, con un tono di voce decisamente strano: era un misto tra un mugolio, un gemito e una supplica.
«Togliti quei pantaloni, subito» ordinò di nuovo, attendendo un paio di secondi prima di portare le sue mani alla cintura dei miei jeans per strattonarmi. Da quando Harp aveva tutta quella forza? Non che disdegnassi quel suo nuovo e inaspettato lato, ma vedere quel luccichio nei suoi grandi occhi verdi mi fece rabbrividire, non di certo per paura. «Cazzo Jar, prendi un po’ di iniziativa anche tu, però» mormorò, abbassando la zip dei miei pantaloni per toglierli. Non ci pensai due volte, mi inginocchiai davanti a lei sul letto, appoggiandole le mani sui fianchi e facendo pressione perché mi desse le spalle. «Non fare scherzi sbagliando entrata, eh! » mi ammonì, dandomi le spalle e rimanendo ferma, in attesa di una mia mossa.
Mi avvicinai a lei, appoggiando il mio petto alla sua schiena e iniziai a baciarle il collo e la spalla, facendo attenzione a non mangiare i suoi capelli. Sentii Harp ridacchiare e istintivamente la mia mano corse ad ancorarsi al suo fianco, facendo scontrare il mio bacino alle sue natiche e causandole un mugolio sorpreso.
«Ti dispiace se accendiamo lo stereo? La musica mi eccita» mormorò, allungandosi sul letto per prendere il telecomando che avevo appoggiato al comodino. Il mio sguardo corse lungo la sua schiena, soffermandosi su quegli slip che lasciavano scoperto un pezzo di pelle. Era così invitante che… no, non potevo morderlo o tirarle uno schiaffo, no.
Dopo aver sbuffato e cambiato tre CD perché non erano di suo gradimento, Pri tornò con la schiena appoggiata al mio petto rilassando le spalle e portandosi i capelli su di una. Quel maledetto reggiseno e quella spallina mi infastidivano proprio; sganciai quindi –con il mio classico tocco di maestria –la chiusura, liberandola velocemente di quell’indumento. Feci correre la mano destra lungo il suo stomaco, salendo lentamente verso l’alto e soffermandomi a stringere un suo seno mentre l’altra mano scendeva superando la barriera di stoffa e strappandole più di un gemito.
«Ja...Jar ma sei man...mancino?» chiese all’improvviso, stringendo la sua mano sopra alla mia, all’altezza del suo cuore. Che domande mi stava facendo? Non vedeva che ero, come dire… impegnato?
«Harper» grugnii, interrompendo il movimento della mia mano e guardandola negli occhi, notando come fossero diventati di un verde quasi più scuro. Anche le sue guance avevano un colorito diverso, come se fossero di un rosso più acceso; rosso che quasi nascondeva le sue lentiggini.
«Sei mancino? Non l'ho mai notato Ti conosco dall'asilo e sono sempre stata convinta che tu scrivessi con la destra » tornò a domandare, guardando la mia mano sinistra, ancora nascosta dalla stoffa verde dei suoi slip. Ma non poteva proprio pensare ad altro? Perché non era concentrata su qualcosa di diverso rispetto alla posizione della mia mano destra o sinistra?
«Harper, cazzo. Ho una mano dentro alle tue mutande e mi chiedi se sono mancino?» ripetei; una nota scocciata nella mia voce. Mi stavo seriamente arrabbiando, era andato tutto così bene, perché doveva rovinare il momento chiedendomi con quale stupida mano scrivessi il mio nome?
«Ma è la sinistra, è strano». Il suo tono di voce era basso, quasi colpevole. Continuava a torturarsi le mani, come se si sentisse in colpa per aver interrotto quel momento; cercai quindi di rassicurarla, mordendole una spalla e sorridendo.
«Nel caso non l'avessi notato la destra è impegnata più su. Adesso basta pensare alle mie mani». Per farle capire bene la differenza tra destra e sinistra, strinsi quel po’ di carne che c’era con la prima e affondai le dita della seconda mano, sentendo il corpo caldo di Harp muoversi istintivamente.

Era una sensazione quasi strana e piacevole quella di sentire il suo respiro diventare più pesante e la presa della sua mano attorno alla mia gamba farsi più forte. Mormorai al suo orecchio una frase che la fece rimanere senza fiato per qualche secondo e non riuscii a trattenere una risata, strofinando la mia barba contro il suo collo e mordendo poi la parte arrossata. Continuai a torturarla sempre più delicatamente fino a quando il suo respiro non tornò normale.
«Jar, posso leccarti i piedi?» domandò, togliendo la mia mano dai suoi slip e voltandosi verso di me subito dopo. Il mio sguardo doveva essere eloquente, perché Harp si rattristò, come se per lei fosse stato importante. «Dai, per favore, solo una leccata». Congiunse le mani sotto al mento in segno di preghiera, avvicinandosi pericolosamente con il suo viso al mio e facendomi perdere l’equilibrio tanto che caddi disteso sul letto, sentendo una sua risatina. «Una leccata» spiegò, sgattaiolando fino ai miei piedi e sorridendo.
«Harper, no» protestai, piegando le gambe perché non potesse leccarmi i piedi. Che cazzo stava pensando? Non credevo avesse certe passioni strane. «Che schifo, non mi leccherai i piedi». La respinsi con una mano, allontanando le sue braccia dalle mie gambe, visto che cercava continuamente di prendermi il piede. «Harper, cazzo. No» urlai, mettendomi a sedere sul letto. Aprii gli occhi, guardandomi attorno: la mia camera era vuota, non c’era Harp con solamente un paio di slip davanti a me e non indossavo solo un paio di boxer; avevo ancora la maglia addosso –maglia che era appena, appena sudata –e i pantaloni che mi infastidivano all’altezza della zip.
«Porca troia» mormorai, portandomi le mani tra i capelli e fissando un punto indefinito davanti a me. Avevo appena fatto quello che pensavo, seriamente? Chiusi il laptop ancora sopra alle mie gambe con rabbia, strofinandomi il viso per riprendere un po’ di lucidità. Dovevo uscire da quella stanza e prendere un po’ d’aria perché il mio cervello si era fottuto con quella chiacchierata con Harp, avvenuta quel pomeriggio.
Uscii prendendo lo skateboard e sperando di non incontrare Harp tanto che chiusi la porta di casa con attenzione.
«Salve, vicino» urlò Kurt, non appena voltai le spalle all’uscio. «Stai scappando dalla rossa?». Kurt, il vicino, era un bravo uomo; un tuttofare utile in casa nostra, quando c’era qualche problema che non potevo risolvere al pc. Era leggermente inquietante –a detta di Harp –perché usciva sempre con un orso di peluche a cui parlava come se fosse un figlio, non avendone.
«No, sto solo andando a fare skate giù in strada» spiegai, sorridendo e prendendo la tavola in mano, prima di iniziare a scendere le scale con lui. Mi sorrise, chiedendomi come stesse Harp e se tutto procedesse bene nella nostra vita; mi chiese come funzionava il lavandino della cucina che aveva aggiustato un mese prima e, una volta arrivati in giardino, mi salutò, augurandomi una buona serata.
Rientrai in casa quasi un’ora dopo, stanco e sudato ma decisamente con la testa sgombra grazie all’aria fresca della sera. Andai in cucina per bere un po’ d’acqua e trovai Harp davanti al lavandino; credevo stesse preparando qualcosa di buono per cena, ma quando sentii un singhiozzo, corsi verso di lei preoccupato.
«Pri?» domandai ansioso, appoggiando le mani sulle sue spalle e costringendola a voltarsi verso di me. I suoi occhi erano arrossati e gonfi; c’erano anche delle lacrime sulle sue guance. «Harp, che è successo?» chiesi, circondando il suo viso con le mie mani per costringerla a guardarmi.
Cercò di parlare, ma i singhiozzi non le permettevano di farlo, così le suggerii di fare qualche respiro profondo.
«Mi… mi ha chiamata Ken. È… sta bene, solo che è in ospedale per una visita. Era… era quasi tornato a casa solo che era stanco e non si è accorto della macchina che gli ha tagliato la strada. Sta bene, non si è fatto niente, solo che la macchina è distrutta. È tutta colpa mia, stanotte l’ho tenuto sveglio così tanto e se Ken si fosse… se fosse…» ansimò, ricominciando a piangere.
«Harp, Harp, guardami» mormorai, stringendo di nuovo la presa attorno al suo volto perché mi obbedisse. Quando vidi il suo sguardo rivolto a me, continuai: «Ken sta bene, d’accordo? Non è successo niente. Ken sta bene, è solo una visita di controllo perché l’hanno tamponato. La macchina si ricompra, ok? L’importante è che vada tutto bene. Harp, calma». Istintivamente la abbracciai, lasciando che si sfogasse e piangesse. Era inutile cercare di tranquillizzarla, sapevo che non ci sarei riuscito; dovevo solo lasciarla piangere, fino a quando non si fosse calmata e avesse superato lo spavento. Harp aveva così tanta paura di perdere anche Ken che l’idea che fosse potuto succedere proprio a causa sua –anche se questa era una sua stupida idea –la feriva troppo.
«Va un po’ meglio?» chiesi, posando il mio indice sotto il suo mento per sollevarle il volto. Sorrisi vedendo i suoi occhi bagnati dalle lacrime e le diedi un bacio sulla fronte, accarezzandole la schiena. «Andrà tutto bene, va tutto bene, d’accordo?» sussurrai al suo orecchio, senza smettere di massaggiarle la schiena.
«Grazie». Un sussurro appena accennato, mentre strofinava il suo naso sul mio petto, abbracciandomi. Ridacchiai per il solletico, reagendo istintivamente e iniziando a torturare i suoi fianchi mentre si dimenava perché la smettessi. «Jar, idiota smettila» ridacchiò, tirandomi una gomitata sullo stomaco così forte che mi mancò il respiro per qualche secondo.
«Cazzo» sbottai, portando entrambe le mie mani ad alzare la maglia per massaggiarmi il punto. Vidi Harp sgranare gli occhi per la sorpresa, prima di coprirsi le labbra con le mani, notando il segno rosso che il suo gomito aveva lasciato.
«Jar, scusa. Scusa, scusa, scusa» borbottò, portando anche le sue mani fredde sul mio stomaco e facendomi rabbrividire. Sentire il suo tocco sulla mia pelle mi fece ricordare il sogno che avevo fatto prima di uscire con lo skate e rimasi per qualche secondo immobile a guardare quelle lunghe dita affusolate che mi accarezzavano. «Jar? Stai tanto male? Che succede?» domandò Harp, avvicinandosi di un passo a me e costringendomi a indietreggiare fino a trovarmi intrappolato tra il suo corpo e il bancone.
«S… sì» biascicai, togliendomi l’immagine del corpo di Harp coperto solo da quel completino intimo verde. Lei era lì, davanti a me, vestita. Quello era il particolare importante che dovevo tenere a mente. Era stato solo un sogno e basta, non dovevo dare importanza al mio subconscio.
«Sei sicuro di stare bene?». Portò una mano sulla mia fronte, per sentire se avessi la febbre e, istintivamente, indietreggiai verso il frigo per scappare. Non mi ero accorto però che la mano di Harp era incastrata sotto alla mia maglia; così, indietreggiando, inciampai sullo skateboard cadendo a terra e trascinando Harp con me.
Iniziai a ridere, seguito subito dopo da lei: non ci eravamo fatti male e la situazione era davvero comica. Io ero disteso per terra e Harp, sopra di me, aveva sbattuto la fronte contro il mio petto. «Stai bene?» chiesi, alzando appena il capo per controllare. Tra le risate la vidi annuire e non riuscii a smettere di ridere a mia volta.
«Quanto sei cretino». Per ripicca morse il mio collo, facendomi ridere più forte. Nel momento in cui aprii gli occhi, però, smisi di ridere all’improvviso: Harp era seria e mi guardava intensamente, come se stesse ponderando qualcosa. Improvvisamente, però, era diventato caldo e sembrava che la stanza si fosse ristretta attorno a noi; il mio sguardo corse verso le labbra di Harper schiuse, a pochi centimetri dalle mie. Aggrottai le sopracciglia confuso quando la sentii mormorare un «Cazzo». Che avevo fatto?
«Che succede?» chiesi, tornando ad appoggiare il capo al pavimento.
«Smettila di fare quella cosa con la lingua, dico sul serio. Se lo fai di nuovo te la mordo». La sua minaccia mi fece paura, soprattutto quando Harp appoggiò una mano sulla mia fronte, impedendomi di muovermi. «L’hai voluto tu. Tira fuori quella lingua che te la strappo con i miei stessi denti». La mano destra di Harp si strinse al mio mento, facendo forza perché potessi aprire la bocca. Iniziai a ridere, incapace di trattenermi nel vedere lo sguardo di Harp.
«Quanto sei scema» biascicai, cercando di tenere le labbra serrate perché non mi prendesse la lingua con quelle dita affusolate. Harp iniziò a ridere di nuovo, tornando a distendersi sopra di me e soffiando involontariamente sul mio collo, facendomi rabbrividire. Se ne accorse subito, perché smise di ridere, sollevando il capo e guardandomi negli occhi, senza dire nulla.
Sentivo il calore del suo corpo contro di me, il battito del suo cuore che sembrava accelerare assieme al mio; l’aria che diventava quasi elettrica e i respiri sempre più frequenti. Nessuno di noi parlava, continuavamo semplicemente a guardarci negli occhi, immobili. Cercai di deglutire, ma non avevo nemmeno più saliva; forse perché ero impegnato a fissare le lentiggini sul naso di Harp che sembravano illuminarsi come le luci durante il periodo natalizio. «Jar, sento il sassofono. Anche tu?» sussurrò, lasciando che il suo fiato caldo colpisse le mie labbra schiuse, solleticando la mia lingua.
Era come se il mio cervello si fosse disconnesso all’improvviso, come se non pensassi più ma reagissi all’istinto dettato dal mio corpo. Mi ritrovai con una mano dietro alla nuca di Harp e con l’altra sulla sua schiena per avvicinarla a me mentre le nostre labbra si scontravano, baciandosi.
Non era un bacio dolce, era un bacio dettato dall’urgenza, dalla frenesia del momento, un bacio che si approfondì quasi subito, costringendomi a mettermi seduto per far in modo che Harp si sistemasse meglio sulle mie gambe. Sentii le sue mani correre tra i miei capelli e giocarci, tirandone qualche ciocca; la sua lingua che si intrecciava alla mia e il suo seno che si scontrava al mio petto a ogni respiro che facevamo.
Non mi accorsi nemmeno di essermi alzato in piedi per far sedere Harp al bancone della cucina, senza smettere di baciarla. Mi ritrovai solo con le mani sotto alla sua maglia, ad accarezzarle la pelle liscia e calda della pancia per causarle un sospiro. Ridacchiai senza smettere di sollevare il suo top e sghignazzai soddisfatto quando mi accorsi che non portava il reggiseno. Le baciai il collo, scendendo e soffermandomi su un suo seno, causandole una risata che mi fece tentennare per qualche secondo: che avevo fatto di male?
«Mi fai il solletico, smettila». Harper allontanò le mie labbra dal suo corpo, tornando a baciarmi mentre mi spogliava della maglia e slacciava i miei jeans con maestria. Smisi di accarezzare la sua schiena e la aiutai ad abbassarmi i pantaloni e i boxer, tornando poi a dedicarmi a quei pantaloncini che indossava e che stavano decisamente infastidendo entrambi. Con un solo gesto glieli levai assieme agli slip, sospirando mentre ammiravo il suo corpo nudo, davanti a me. Era come quando l’avevo vista in bagno, solo che stavolta avevo il permesso di guardare e soprattutto toccare.
Attirai Harp verso di me, allargano leggermente le sue cosce perché potessi baciarla meglio, ma sentire le sue labbra sorridere sulle mie mi fece sghignazzare. Mi sistemai meglio, cercando di avvicinare Harp a me senza che potessero venirmi crampi alle gambe e che il bancone non le desse fastidio; poi, dopo averle morso una guancia, la guardai negli occhi, in attesa di un suo ordine. Vidi le sue labbra sorridere prima che i denti di Harp iniziassero a torturare la mia mascella, scendendo verso il collo. Mi bastava, lo interpretavo come un permesso per continuare.
La sensazione del corpo di Harp attorno a me mi destabilizzò, facendomi mancare il fiato tanto che mi aggrappai ai suoi fianchi, per non cadere. Sentii le sue mani graffiarmi la schiena e cercai di riacquistare lucidità, sfiorandola e accarezzandola, mentre sentivo il suo respiro affannato infrangersi contro il mio volto. Cercavo di trattenermi per non fare una figuraccia, ma la sensazione di un corpo caldo attorno a me e la visione del viso di Harp arrossato non aiutavano; per questo, istintivamente, la sollevai dal bancone, avvicinandola per poter affondare in lei.
«Porca troia» esclamò prima di gemere, abbandonando lentamente la testa all’indietro. Non feci domande, non cercai risposte; non era decisamente il momento opportuno. Mi lasciai solamente andare, aumentando la velocità delle mie spinte e abbandonandomi all’ondata di piacere che mi travolse. Appoggiai la fronte alla spalla di Harp che iniziò a ridere, incuriosendomi. Quando alzai lo sguardo la trovai distesa sul bancone, in preda a un attacco di risa. «Non ci credo, con Jedi» biascicò, asciugandosi una lacrima che stava scendendo lungo la sua guancia.
Che era successo? Ero andato così male da farla ridere? Avevo fatto cilecca? Che diamine era successo? Perché stava ridendo di me?
«Vado a farmi una doccia, prepari qualcosa da mangiare? Lava anche il ripiano, che è meglio». Si mise a sedere, scendendo dal tavolo e prendendo i suoi vestiti che erano sparsi attorno a noi. Non pensò nemmeno di vestirsi, salì le scale nuda, incurante del mio sguardo che la stava squadrando da testa a piedi.
Non appena sentii la porta del bagno chiudersi il mio cervello –che si era spento diversi minuti prima –si riaccese, facendomi capire quello che avevo fatto. I pantaloni e i boxer ancora appallottolati alle mie caviglie, la mia maglia a pochi passi da me, il bancone che aveva le impronte delle mani di Harp visibili in controluce, l’odore della sua pelle ancora sulla mia e il sapore delle sue labbra sulle mie.
«Che cazzo abbiamo fatto?» bofonchiai, guardando un punto indefinito davanti a me.

 
 
 
 
Ok, intanto mi scuso per l’infinito ritardo, ma come ho spiegato nel gruppo ci sono stati diversi problemi durante la stesura di questo capitolo.
Partiamo con il dire che mi sembrava divertente e che rileggendolo avrei cancellato tutto… arriviamo a dire che mi sono resa conto di non saper nemmeno più scrivere una scena arancione e finiamo con: so che fa schifo e mi dispiace.
Purtroppo non sono riuscita a produrre niente di decente come invece speravo di fare.
In ogni caso… questo è l’ultimo capitolo prima delle vacanze di Natale perché, come è stato deciso dalla votazione e quindi da voi, la OS che pubblicherò a Natale sarà sui personaggi di You saved me.
Quindi, qualche giorno prima di Natale pubblicherò la OS e l’aggiornamento di Jared ed Harper slitterà tra Natale e Capodanno.
Vi auguro quindi già da ora buone feste per chi non fosse interessato a leggere la OS.
Come sempre vi ricordo NERDS’ CORNER che è il gruppo dove ci sono spoiler e altre iniziative (come quella che mi sta divertendo –e credo stia divertendo anche voi).
A presto.
Rob.

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Capitolo 6
*** Saying something wrong... ***


CBA


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Previously on Cupids Broken Arrow… Jared fa un sogno zozzetto con Harper, esce per schiarirsi le idee, torna a casa e la trova triste e piangente, la consola e finiscono a fare porcherie sul ripiano di marmo della cucina. Finito di fare le zozzerie Harp scoppia a ridere prima di scappare da Jar che si rende finalmente conto di quello che è successo tra di loro.
 
  
 
Ai bubi, perché senza di loro forse non sorriderei.
A Joe, Death e Snake che rallegrano le giornate di molti.
A chi mi ha aspettata anche se è passato troppo tempo
A chi ha avuto la pazienza di aspettare ed è qui.
Grazie.
 
 
Perché c’era il continuo guardarmi attorno con aria smarrita, cercando qualcosa da fare.
Perché c’era il continuo fissare il ripiano della cucina, mischiando presente e passato, ricordando il corpo di Harp scosso dai brividi.
Perché c’era il continuo pensare a quello che avevamo fatto e a quello che poteva significare per entrambi.
Perché c’era il continuo…
«Jar, il tuo telefono sta suonando» urlò Harper, dalla sua camera. Imprecai mentalmente, correndo su per la scala e arrivando in camera mia con il fiatone, cercando il cellulare che sembrava sparito sotto l’ammasso di vestiti che c’era sul mio letto.
«Pronto?» gridai, rispondendo, prima ancora di trovare il telefono. Quando guardai il numero sullo schermo sbuffai, riconoscendolo: Wilson. «Che vuoi?» domandai scocciato, sbirciando verso la porta della camera di Harper per controllare che non fosse aperta e non potesse sentire se mi sfuggiva qualcosa riguardo quello che era successo poco prima.
«Io e Joe stasera veniamo a cena da voi, abbiamo sentito quello che è successo a Ken e siamo sicuri che Harp apprezzerà la nostra compagnia. Portiamo messicano, per le sette». Non mi lasciò nemmeno il tempo di rispondere, visto che riattaccò, prima che potessi anche solo dirgli che dovevo parlare con Harper e forse era il caso che non venissero a cena.
Sbuffando, lanciai il telefono sopra al letto prima di avvicinarmi al bagno e bussare; ero sicuro che Harp fosse in camera sua, ma non volevo rivederla nuda una seconda –o terza, se contavo l’incidente del bagno di qualche giorno prima –volta, soprattutto dopo quello che era successo.
Via libera, pensai, non appena vidi la porta spalancata. Mi serviva solamente una doccia, giusto per togliermi quell’odore dalla pelle e per sciogliere i muscoli delle spalle e della schiena; dovevo rilassarmi, dimenticare tutto ed estraniarmi dalla mia vita.
Quando uscii dal bagno, con solamente un paio di pantaloni della tuta addosso, sembravo quasi un’altra persona; non sapevo nemmeno per quanto tempo ero rimasto lì dentro, ma girare per casa solo con i pantaloni larghi addosso –senza maglia o boxer –mi faceva sentire libero.
«Jar mettiti le mutande, ti ballonzola tutto lì sotto» sbottò Harp, affacciandosi alla porta della mia camera, senza bussare. Con uno sbuffo, facendo a meno di ascoltarla, mi distesi a letto, portando un braccio dietro alla testa.
«Stasera vengono a mangiare Joe e Wilson, messicano» spiegai, chiudendo gli occhi per scacciare l’immagine di Harp che continuava a rimanere appoggiata alla porta, senza rendersi conto spostava il peso da un piede all’altro, muovendo leggermente i fianchi.
«Se non ti dispiace credo che domani prenderò Pixie e andrò a trovare Ken a Lubbock, voglio controllare che stia bene e che non gli sia successo nulla di grave» mormorò Harp, tenendo lo sguardo basso. Continuava a osservarsi i piedi nudi, muovendo lentamente le dita, come se stesse componendo una strana melodia. Assolutamente no, non l’avrei mai abbandonata e lasciata da sola. L’avrei accompagnata.
«Vengo anche io, guiderò io» spiegai, sedendomi sul letto, con la schiena dritta. Non mi avrebbe convinto a rimanere a casa, non l’avrei mai lasciata guidare da sola per tutte quelle ore senza sapere come potesse stare. No, assolutamente.

«No, non ti preoccupare, ho chiamato prima in ufficio e mi sono fatta dare due giorni di ferie, ho già prenotato in un motel tra Arizona e New Messico, mi fermerò per riposare un paio di ore». Aveva già pensato a tutto, logico. Quello di cui non aveva tenuto conto era che non l’avrei mai lasciata andare da sola.
«Non ti lascio andare in Texas da sola, Harper» mi intestardii, alzandomi in piedi e camminando verso di lei. Poteva mettere il muso e non parlarmi per tutto il viaggio ma non si sarebbe di certo liberata di me. Era troppo pericoloso lasciarla guidare da sola, anche di notte. No, Harp aveva bisogno di me; e un viaggetto ci avrebbe fatto divertire un po’, come ai vecchi tempi: una bottiglia di birra, i finestrini abbassati e la radio a tutto volume mentre attraversavamo il deserto.

«Jar, davvero… non preoccuparti. Sono sicura che Ken sta bene, è solo che voglio controllare». Sapevo che avrebbe insistito fino a quando non le avessi proibito di parlare. Avrebbe trovato qualsiasi scusa pur di non far vedere che, in quel momento, aveva bisogno di me. Perché riuscivo a vederlo dal suo sguardo preoccupato: Harp era tesa, Harp aveva bisogno qualcuno con cui sfogarsi, urlando e mettendosi a piangere, esattamente come era successo in cucina prima che finissimo a fare porcate sul ripiano.
«Vengo con te» sbottai, sicuro di me stesso. Presi le piccole mani di Harp tra le mie, stringendole per trasmetterle un po’ di forza. Vidi i suoi occhi abbandonare i miei perché non voleva che vedessi quelle lacrime pronte a uscire.
«Jar…». Un sussurro. Un sussurro che in qualche modo era più forte e potente di un grido d’aiuto che si sarebbe potuto sentire a miglia di distanza. Reagii d’istinto, abbracciandola. Non mi interessava se ero praticamente mezzo nudo e se avevamo trombato in cucina, un’ora prima. Stavo abbracciando la mia migliore amica, perché lei aveva bisogno di me in quel momento.

Non le lasciai il tempo di dire altro, sicuro che comunque non l’avrebbe detto perché sentivo qualcosa di caldo scivolare sul mio petto; stava piangendo, di nuovo. «Vengo con te. Chiamo Christian per dirgli che mi prendo due giorni di ferie, smettila di dire di no». Le massaggiai la schiena, accarezzandola delicatamente e giocando con i suoi capelli. Harper era tanto forte quanto debole. Poteva essere la persona più testarda del mondo, ma nello stesso momento, se Ken veniva colpito da qualcosa, Harp si dimostrava fragile, perché era la persona a cui teneva di più.
«La smettiamo di fare queste cose da idioti? Sei mezzo nudo, Free Willy è in libertà senza mutande che lo costringono e ho la lingua a due centimetri dal tuo petto. Sembra l’inizio di un porno, se vuoi chiedermi quale farfalla della tua collezione mi piace di più inizierò a saltellare felice» sghignazzò, pizzicandomi un fianco e allontanandosi da me, prima di tirarmi un pugno sullo stomaco.
Ripensai a quello che aveva appena detto, soffermandomi su un particolare. Il mio ego maschile si fece sentire, orgoglioso. «L’hai chiamato come un’orca? È così grande?» domandai fiero, gonfiando il petto. Rimasi per qualche istante in silenzio, aspettando una risposta che non arrivò. «Ehi, Pri! Voglio sapere, adesso!» urlai, aprendo la porta di camera sua e trovandola intenta a lanciare dei vestiti sopra al letto.
«Jar, non farmi spiegare battute che potrebbero ferirti l’ego. Davvero. Ora usciresti dalla mia camera, per favore? Ho bisogno di concentrazione per capire un paio di cose importanti». Indicò la porta dietro di me, appena prima di incrociare le braccia sotto al petto e battere un piede per terra, in attesa.
 
Non riuscivo a capire perché, ma ero quasi infastidito da Harper e dalle sue continue battutine. Sembrava quasi che quella sera volesse, in ogni secondo, ricordarmi quello che era successo in cucina. Ogni tanto si appoggiava con la schiena al bancone e sorrideva senza motivo, guardandomi. Ero sicuro che lo facesse per farmi innervosire, per ricordarmi che qualche ora prima io e lei, su quel bancone, ci eravamo divertiti parecchio.
«Voglio prendermi cura di un uccello, Jar. Coccolarlo e tenerlo solo per me» esclamò all’improvviso, facendo ridere Joe e Wilson che sputarono la birra che stavano bevendo. Io mi limitai a guardarla con gli occhi sgranati, sicuro che, ancora una volta, stesse facendo qualche battutina porno che mi avrebbe messo in imbarazzo. Quella sera non ero al cento per cento e non riuscivo nemmeno a rispondere a tono.
«Un’Ara va bene? O vuoi un Ippogrifo?» risposi, bevendo un sorso di birra e appoggiando poi la bottiglia vuota sopra al tavolo davanti a me. Guardai Harp con uno sguardo di sfida, convinto di poter vincere quella partita di battutine.
«Non lo so… qualcosa di grande… possente… che sia… grande. Qualcosa che mi tenga compagnia insomma». Fece spallucce, ma potevo benissimo vedere il suo sorriso; quello che non riusciva a nascondere e che si posava sulle sue labbra rosse non appena trovava una situazione divertente.
Bene, era il momento di combattere.
«Dovresti prenderti qualcosa di più grande di un uccello. Magari un’orca, dicono che alcune siano addomesticabili, sai?». Così imparava a chiamare la mia… virilità Free Willy.
«Non saprei che farmene di un’orca. Mi serve qualcosa che voli in alto, libero. Non qualcosa di pesante e bicromatico». Mi sembrò quasi di vederla arrossire, ma di sicuro era una mia impressione. Perché Harp non arrossiva mai, perché lei era senza vergogna.
«La volete smettere? Sembrate una coppia sposata che discute su cosa mangiare a cena. Da quando in qua vi comportate così? Jar, dannazione, sei peggio di una donna mestruata, dovresti trombare un po’ di più» urlò Wilson, facendo ridere Harper, che nascose la risata, alzandosi e andando verso la cucina per mettere i piatti dentro al lavello. Senza pensarci due volte la seguii, convinto di chiarire la situazione con lei perché potesse smetterla.
Camminai verso la cucina, andando dietro di lei e cogliendola di sorpresa quando la intrappolai tra il mio corpo e il lavello davanti a lei. «Dacci un taglio, non ho intenzione di dire ai ragazzi quello che è successo e tu dovresti smetterla» bisbigliai con le labbra contro il suo orecchio, perché Wilson e Joe –nella stanza accanto –non potessero sentirci.
Sentii la sua schiena irrigidirsi a contatto con il mio petto e vidi il suo volto girarsi verso di me; aveva le guance rosse e gli occhi lucidi. «Sei tu l’idiota che continua a fare riferimenti sessuali. Io volevo solo uno stupido uccello e tu hai tirato fuori la storia dell’orca, cretino». Mi spintonò in malo modo, prima di raggiungere i ragazzi e nascondere il suo volto dietro la bottiglia di birra, esattamente come avevo fatto io poco prima.
Cosa stava dicendo? Era lei ad aver iniziato tutto il discorso, appoggiandosi al bancone e ridendo, mentre mi guardava, non ero di certo io! Avevo solo risposto alle battutine idiote con la stessa carta.
«Io e Joe siamo giunti a una conclusione» esordì Wilson, spaventandomi. Quando lui e Joe arrivavano a pensare la stessa cosa, sapevamo tutti che si trattava di qualcosa di porno. «Voi due… avete bisogno di una trombata. Siete troppo tesi e si vede che c’è tensione. Quindi, stasera uscirete e la prima persona che risulta interessata a voi vincerà una notte di fuoco» sghignazzò Wilson, senza smettere di guardare Joe che rideva, alternando lo sguardo tra me e Harp.
«Siete dei cretini, primo non uscirò perché domani dobbiamo partire presto e secondo in ogni caso non sono così preso male». Visto che, in fin dei conti, mi ero scaricato poco prima con Harp. Forse la tensione che vedevano tra me e lei –non che ci potesse essere, poi –era dovuta al nostro sentirci a disagio, perché non avevamo ancora apertamente parlato di quello che era successo.
«Andiamo Jar, nessuno rifiuta la patata… a meno che non ami i wurstel!». Ecco il picco di stupidità mista al porno di Wilson; arrivava dopo tre birre e una cena messicana, prima della terza sigaretta post cena.
«Non sto rifiutando né una patata né un wurstel –che rifiuterei in ogni caso. Sto rifiutando una trombata tanto per, perché prima vorrei conoscere le patate che mangio». Non mi vergognavo nemmeno di essere diventato volgare come lui, tanto Harp era abituata anche a peggio; era lei la prima che non appena alzava un po’ il gomito diventava più volgare di noi tre uomini messi assieme. Per questo avevo capito che le donne ubriache potevano essere ancora peggio degli uomini.
«Io non rifiuto proprio un bel niente» sghignazzò Harp zittendoci tutti e tre. Significava che… scossi la testa per togliermi circa una trentina di immagini che si erano create nella mia mente dopo quell’affermazione. Potevo vedere dai volti dei miei due amici che anche la loro fantasia aveva creato prospettive interessanti. «E mi riferisco alla carne, sapete che non mi piace la verdura» puntualizzò subito dopo, facendo crollare tutti i nostro castelli.
«Per un secondo e mezzo mi sei sembrata ancora più trombabile Harp, ti ho immaginata con altre ragazze e naturalmente con me e… cavolo». Wilson si passò una mano davanti al volto, frustrato. «Tette ovunque» continuò poi, allargando le braccia per chiarire meglio il concetto. «Di taglia diversa. Ma vanno bene anche le tue Harp». Si allungò per accarezzarle un braccio, perché non voleva che si arrabbiasse.
«La tua fissa per le tette mi spaventa sempre» spiegò Harp, diventando improvvisamente seria. Bevve un altro po’ di birra, prima di sistemarsi meglio sopra alla sedia, incrociando le gambe e appoggiando i gomiti alle cosce per stare un po’ più comoda.
Wilson la guardò riflessivo, sentendosi offeso da quell’affermazione; poi si sentì in dovere di spiegare a cosa si riferiva: «Non è una fissa. Io ho questo potere paranormale di cui vado fiero. Guardo una ragazza e riesco a capire perfettamente la taglia di reggiseno che porta. Cioè, guardo una donna e so già se ha un push up o meno, se è coppa A, B, C o D». Con le mani spiegò la differenza tra le varie taglie, facendoci ridere tutti, Harp compresa.
«Non ci credo». Testarda come sempre, non voleva perdere di certo. La vidi drizzare la schiena come faceva sempre quando si intestardiva per qualcosa, poi, dopo essersi spostata i capelli dietro la schiena, assottigliò lo sguardo, in attesa di smentire Wilson e la sua teoria.
«Certo che sì, mia cara Harper. Esperienza». Wilson spostò la sedia più vicino a lei, fronteggiandola e abbassandosi per poterla guardare dritta negli occhi. Io e Joe eravamo in silenzio, con le braccia incrociate al petto, in attesa di sviluppi: quando Wilson e Harper iniziavano a fare così di sicuro succedeva qualcosa di stupido; era garantito.
«Tu vorresti dirmi che con tutte quelle che ti sei trombato hai imparato a capire a vista che taglia portano? Ma la chiedevi prima o dopo essertele portate a letto?». Era sospettosa, l’avevamo capito; per questo cercava di capire dove fosse il trucco e stuzzicava Wilson che aveva preso quella sfida davvero sul serio.
«Un mago non svela mai i suoi trucchi» ribatté lui, sfregandosi le mani, pronto per spiegare la sua teoria.
Senza nemmeno pensarci mi sentii in dovere di ribattere la mia opinione: «Io ancora non ci credo». Era così ovvio che non potesse indovinare la taglia con solamente uno sguardo che sembrava quasi ridicola come cosa. Anzi, lo era davvero, non lo sembrava.
«Sei diffidente, Jar. Fidati. Facciamo una dimostrazione pratica con la signora qui presente. Tutti noi sappiamo che Harp non ha le tette grandi. Si vede insomma. C’è chi apprezza e chi no…». Indicava con le mani il seno di Harp, coperto sotto alla mia tshirt che indossava. Maglia che era più grande di lei di come minimo tre taglie. Sembrava così piccola e magra –più del solito –quando indossava qualcosa di mio per stare più comoda. Sembrava anche… sexy, in quel momento.
«Io credo che qualcuno apprezzi» sghignazzò Harp, con uno sguardo birichino. Si stava riferendo a me, sicuramente. Al fatto che avevo apprezzato il suo seno qualche ora prima. Perché non c’era altra spiegazione per la sua risata. Non era stata lei a dirmi di smetterla di fare battute? Perché invece lei continuava? Voleva infastidirmi? Be’, ci stava riuscendo benissimo.
«Sì, Harp certo che qualcuno apprezza, te ne sei trombati un paio anche tu, ora lasciami continuare. Dicevo… quindi già escludiamo taglie medio grandi. Non si va più su della terza». Sembrava un professore davanti a un’aula piena di universitari che lo ascoltavano, era quasi ridicolo dalla serietà che ci metteva mentre spiegava le sue teorie sulle tette di Harp. Era facile però capire che non si andava più su di una terza, quando si parlava delle nontette.

«Le tette di Harp sono piccole, secondo me inesistenti». L’affermazione di Joe mi fece parlare prima ancora di pensare. Senza nemmeno rendermene conto, sputai quello che il mio cervello aveva elaborato in meno di un secondo.
«Secondo me sono abbastanza grandi da essere strizzate per bene». Quelle parole furono accompagnate da un flashback della mia mano sul suo seno che mi accecò per qualche secondo, facendomi voltare verso quel ripiano su cui l'avevo posata. Sì, decisamente non erano così piccole da non poter essere… toccate. Non appena capii quello che avevo detto, mi voltai verso Harper, che mi guardava con gli occhi sbarrati, allibita. Perché faceva quella faccia? Se lei poteva lanciare frecciatine perché io non potevo farlo?
«Mi lasciate finire il mio discorso? Dicevo, direi che ha… una seconda scarsa, sbaglio?». Wilson era decisamente arrabbiato perché nessuno l’aveva lasciato finire e quindi non poteva dimostrare il suo superpotere. Quando concluse la domanda però, vidi Harp alzarsi dalla sedia, con un sorriso tirato sulle sue labbra.
«Preferisco dire prima abbondante, perché quando dici abbondante la gente non fa caso alla taglia. E ora scusatemi ma vado a dormire, domani mattina devo alzarmi presto. Buonanotte». Non venne a salutarmi, non mi abbracciò, non scherzò nemmeno tirandomi un pugno. Se ne andò senza nemmeno pensare di sistemare la tavola, che aveva ancora alcuni piatti sopra; semplicemente salì le scale in silenzio, facendoci rimanere zitti per la sorpresa. Che diamine le era successo? Perché si era offesa?
«Allarme rosso! Allarme rosso! Ciclo in arrivo, ciclo in arrivo» urlò Wilson, per farsi sentire anche da Harp che non reagì, se non sbattendo la porta della sua camera per farci capire che non voleva essere disturbata. Anche lui perse il suo sorriso, stupito. «Si è offesa?» chiese preoccupato, alzandosi per andare a parlarle.
Joe però imitò il suo gesto, appoggiando una mano sul braccio del nostro amico, per fermarlo. «Wilson, andiamocene prima che scenda a sbranarci». Forse Joe aveva capito che Harp aveva qualcosa che non andava, ma ero sicuro che nessuno di loro potesse capire il vero motivo per cui si stava comportando in quel modo. Nessuno di loro lo sapeva, perché nemmeno io comprendevo quel suo strano comportamento.
«No… ragazzi il problema è che lei…» iniziai, bloccandomi subito dopo perché sapevo di non poterne parlare con loro. Dovevo farlo con Harp, doveva spiegarmi cosa le succedeva e perché era diventata così strana da quando si era messa a ridere, subito dopo che noi avevamo…insomma... Mi accorsi che i ragazzi mi stavano guardando, in attesa di una risposta, così mi affrettai a continuare: «… è solo preoccupata per Ken».

I ragazzi annuirono, salutandomi e uscendo velocemente per tornare a casa. Non appena chiusi il portone alle mie spalle, andai in cucina per sistemare tutto il disastro che avevamo lasciato e imprecai quando, chiudendo il frigo, mi incastrai il dito.
Sapevo cosa dovevo fare per riuscire a dormire tranquillo senza rigirarmi per ore tra le lenzuola: dovevo chiarire con Harper quella situazione. Per questo, dopo un respiro profondo, salii le scale, soffermandomi per qualche secondo di troppo davanti alla sua camera, indeciso se entrare o meno.
Bussai piano, abbassando la maniglia e affacciandomi solo con il volto. «Harp? Posso entrare?» mormorai, attendendo una sua risposta. Ero sicuro che non si fosse già addormentata, anche perché vedevo la borsa che si era preparata per quei due giorni di viaggio.
«Sto dormendo, non voglio essere svegliata» mugugnò, rigirandosi tra le lenzuola e coprendosi il capo con il cuscino. Sentire la sua voce ovattata mi fece ridere; quando si comportava così sembrava davvero la bambina che avevo conosciuto anni e anni prima, quella che prendevo in giro e non lasciavo giocare con me e Ken solo perché era una donna.
«Che è successo?» mormorai, sedendomi sul suo letto e accarezzandole una spalla scoperta, perché si voltasse e mi parlasse da persona matura.
La vidi scostarsi di colpo, affinché non potessi toccarla e subito dopo si mise a sedere di scatto, guardandomi dritto negli occhi. Potevo vedere i suoi grandi occhi verdi luccicare anche se la stanza era immersa nel buio, per questo rimasi immobile quando sibilò, di nuovo:  «Vattene Jar, davvero». Sembrava arrabbiata, molto.
«Harp…» mormorai, pronto a darle –e soprattutto chiedere –qualche spiegazione. Non mi lasciò il tempo di dire nulla, però; visto che iniziò a parlare a velocità supersonica, agitando le braccia.
«D’accordo. Perché hai fatto quella battuta idiota sulle mie tette? Ti avevo chiesto espressamente di fare finta che non fosse successo niente, perché dobbiamo ricordare quello che è successo, visto che domani dobbiamo fare un viaggio di diciassette ore chiusi in macchina assieme? E ora scusami, ma tra cinque ore dovremmo partire e vorrei riposare un po’. Buonanotte». Come un uragano si distese di nuovo a letto, coprendosi con le lenzuola senza che potessi dire qualcosa per rispondere a tutte le domande che mi aveva fatto.

«Harp io credo che…». Un nuovo tentativo di chiarire una volta per tutte. Un nuovo tentativo vano, visto che urlò, fermandomi.
«Buonanotte, Jared».

Inutile continuare a provare, sapevo che quando era così arrabbiata l’unica cosa da fare era lasciarla sbollire; poi avrei potuto provare a ragionare. Magari a mente fresca, qualche ora dopo, visto che ci aspettava un lungo viaggio.
Da soli.

 
 
 
 
Inizierei con lo scusarmi per il ritardo, ma sono quasi sicura che non ci sia più nessuno qui, giusto? :O
Mi scuso, l’ultimo aggiornamento di questa storia risale a dicembre e credo sia la prima –e anche l’ultima visto che è una cosa che io non sopporto –volta che succede una cosa del genere.
Vorrei anche spiegarvi i motivi, ma siccome ho sempre tenuto separata Roberta da RobTwili, credo che non inizierò a unire le due cose proprio ora. L’unica cosa che c’è da sapere è che, purtroppo, capita che la vita vera prende un po’ troppo il sopravvento con avvenimenti improvvisi e non sempre piacevoli.
In questi mesi sono stata assente dalle pubblicazioni di EFP, ma ho cercato comunque di rispondere ai messaggi privati e alle recensioni che arrivavano.
Mi sono scusata così tante volte anche nel gruppo che non so più in che lingua farlo, però posso assicurarvi che ho infinitamente provato a scrivere, senza riuscirci. E non sono nemmeno sicura di esserci riuscita con questo capitolo; vi ho fatto aspettare mesi per un capitolo in cui sostanzialmente non succede nulla e che sembra anche decisamente troppo volgare. Mi scuso anche per quello, ma è difficile per me tornare nella testa di Jared dopo così tanto tempo.
Ci tengo a precisare che la battuta pornissima di Wilson, non è di mia proprietà, mi riservo dallo svelare la mente che l’ha prodotta per non imbarazzarla, ma di wurstel e patate non son proprietaria io…
Prometto che il prossimo capitolo molto più pepato in tutti i sensi, arriverà entro un paio di settimane. Stavolta non mi faccio fermare da niente.
In ogni caso, visto che non l’avevo più detto perché non ne ho avuto la possibilità, avevo pubblicato la OS di Natale riguardante gli Eagles, per chi fosse interessato a leggerla, la potete trovare qui: A VERY EAGLES CHRISTMAS.
Po poi poi… come sempre NERDS’ CORNER è il gruppo dove metto spoiler, notizie e altro. Ultimamente non sono stata presente anche perché non avevo molto da dire, ma da ora in avanti sarà decisamente diverso!
Mi scuso ancora infinitamente per il ritardo, e se c’è qualcuno che è arrivato a leggere… grazie.
Rob.

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Capitolo 7
*** Bed for two? ***


CBA


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A Kevin, che c’è sempre.
 
 
Se mi avessero chiesto il motivo per cui quella notte non avevo chiuso occhio, probabilmente non avrei saputo spiegarlo; o meglio, non avrei saputo decidere quale fosse.
Harp ogni mezz’ora si alzava per andare in bagno e nemmeno si curava di fare poco rumore o di non sbattere la porta; e poi, il letto era diventato improvvisamente scomodo e il cervello attivo.
Quando mi ero alzato –verso mezzogiorno, visto che Harp mi aveva chiesto di partire al pomeriggio per riposare –ero sceso in cucina senza nemmeno vestirmi; un paio di boxer grigi andavano più che bene per fare colazione, visto che sicuramente ci saremmo fermati in qualche fast food quel pomeriggio.
Non avevo tenuto conto di Harper però, che era scesa in cucina pochi minuti dopo di me e aveva sgranato gli occhi quando mi aveva visto senza maglia.
«Potresti anche vestirti, sei in cucina, non in piscina». Un tono acido e nemmeno uno schiaffo sulla schiena per scherzare: si prospettava proprio una bella giornata per rimanere per ore solo con lei, in uno spazio ristretto.
«Buongiorno» mormorai, allungando il braccio per scompigliarle i capelli, visto che sapevo quanto quel gesto la infastidisse. Non avevo tenuto conto però della sua possibile reazione quella mattina; nel momento in cui si girò per guardarmi, capii che anche Satana in persona si sarebbe spaventato di fronte a quello sguardo.
«Buongiorno un corno. Non ho dormito e il pensiero di rimanere per tutte quelle ore con te mi fa quasi pensare che preferirei andare a un concerto di… non lo so. Justin Bieber probabilmente. Mi divertirei di più». La serietà con cui pronunciò quelle parole mi fece rimanere serio per qualche secondo, prima di iniziare a ridere per quella battuta cretina.
«Ammetti che ti divertiresti di più se fossi io a cantare Justin Bieber… Ohh babe, babe...» canticchiai, alzandomi in piedi e muovendo il sedere, mentre agitavo le braccia con la padella che stringevo tra le mani. Sentii Harp dietro di me trattenere a stento una risata e sorrisi senza farmi vedere da lei; non mi odiava come credevo, era solamente un po’ arrabbiata.
«Sei un cretino». Sentii subito il suo piede colpire il mio sedere per spingermi in avanti: stava cercando di farmi perdere l’equilibrio; per questo, grazie a tutti gli anni di skateboard che avevo fatto, riuscii a rimanere in piedi, fermandomi prima di sbattere contro uno degli scaffali della cucina. «Muoviti a fare colazione che poi partiamo». Ingurgitò in un solo boccone la fetta di pane che aveva spalmato di Nutella e con tutto il mento sporco, come se fosse una bambina, mi diede le spalle, andando verso la scala.
Ridacchiando per l’immagine del mento di Harp con la nutella sopra –e fermandomi all’improvviso, al pensiero delle mie labbra che la pulivano –mi tirai un pugno sulla spalla prima di correre al piano di sopra per indossare un paio di pantaloni della tuta e una maglia: volevo rimanere comodo durante quel lungo viaggio, mi sarei magari cambiato una volta arrivato nel Motel che Harp aveva prenotato.
 
Mezz’ora dopo eravamo in macchina: finestrini abbassati, vecchio cd a un volume decisamente troppo alto e i piedi nudi di Harp appoggiati al cruscotto. Sapeva benissimo che non le permettevo di appoggiare le scarpe su Pixie, per questo, come avevamo stabilito, teneva le scarpe sul tappetino e faceva attenzione a non lasciare impronte con quei suoi piedini in giro per la mia macchina.
«Muoviti Jar, cambia canzone, lo sai che la odio!» urlò, tappandosi entrambe le orecchie con le mani e canticchiando, come se fosse una bambina. Ridacchiando divertito per quella scena e iniziai a cantare a volume decisamente alto la canzone, perché Harp potesse sentirmi. «Cretino, cambia» urlò ancora più forte per sovrastare la mia voce.
Ok, mi ero divertito abbastanza, potevo smetterla di cantare una canzone anni ottanta improponibile solo per farle un dispetto. Allungai la mano per cambiare la traccia, ma inavvertitamente anche Harp fece lo stesso, sfiorando le mie dita con le sue.
Nel momento in cui le nostre mani si toccarono, sentii un brivido percorrermi il braccio e riuscii a rimanere concentrato sulla guida solo perché con la mano sinistra strinsi il volante, prendendo un respiro profondo. Non sapevo che diavolo fosse successo, ma era chiaro che anche lei aveva sentito qualcosa, visto che era rimasta con il braccio a mezz’aria e lo sguardo perso.
«Devi cambiarti le scarpe, queste con la suola di gomma portano corrente. Cavolo che scossa che ho preso» mormorò, scuotendo la mano per riprendersi.  Annuii, dandole ragione e continuando a guidare, con lo sguardo fisso davanti a me.
Guidai per un altro paio d’ore prima di fermarmi in una stazione di servizio perché Harp doveva fare pipì, così ne approfittai per fare benzina prima che potessimo inoltrarci nel deserto del Nevada, visto che stava anche facendo buio. Quando risalimmo in macchina, mi soffermai per qualche istante a guardare i raggi rossi del tramonto che colpivano i capelli di Harp, rendendoli ancora più rossi.
Anche le lentiggini sul suo naso e sulle guance risaltavano, di fronte a quella luce così forte e naturale. Quando Pri si voltò verso di me, incuriosita perché non ero ancora partito, finsi di guardare una ragazza dietro di lei che stava pulendo il vetro della macchina in una posizione decisamente equivoca.
«Muoviti, maiale» urlò, ridendo e tirandomi un pugno sul braccio. Risi assieme a lei, fingendomi interessato per qualche altro secondo al sedere della ragazza e poi misi in moto, partendo.
Non sapevo se fosse stato per quella bugia o perché in qualche modo ormai era da più ore che stavamo assieme, ma sembrava che le cose tra me e Harp fossero quasi tornate normali: scherzavamo, ridevamo, ci pizzicavamo e prendevamo a parole, cantavamo muovendoci in modo idiota a tempo di musica; come sempre, come quando andavamo a Miami per le vacanze di primavera.
Poi però, qualcosa nel mio cervello mi convinse a fare una domanda che forse non avrei dovuto nemmeno pensare. Eravamo nel bel mezzo del nulla e, l’opzione random del lettore musicale di Pixie giocò un brutto scherzo: Torn di Natalie Imbruglia iniziò. Non feci caso alla strada –anche perché era isolata ed eravamo solo noi –iniziai a cantare assieme a Pri che, con una bottiglietta di Pepsi improvvisò un microfono. Poi però, nel momento in cui la nostra amica Nat pronunciò «Im cold and I am shamed lying naked on the floor» ricordai quello che era successo tra di noi e parlai prima di pensarci.
«Pri, hai pensato a quello che è successo in cucina?». Abbassai, dai comandi sul volante, la musica per sentire la sua risposta che non arrivò. Sentii solamente il rumore della bottiglietta che le scivolava dalle mani, cadendo sul tappetino. Senza distogliere lo sguardo dalla strada –perché non volevo affrontare quello di Harp –cercai di capire cosa stesse facendo, ma il suo urlo rispose a tutte le mie domande silenziose.
«Ferma la macchina. Ora». Si slacciò la cintura di sicurezza e, pensando che si sentisse poco bene, accostai subito, fermandomi così all’improvviso che la polvere del ciglio della strada entrò in macchina.
Harp aprì lo sportello e uscì, iniziando a camminare, senza nessuna spiegazione. Guardai prima il sedile vuoto di fianco a me, poi lo sportello aperto e infine la sua figura che si allontanava, a piedi nudi; misi in folle, scendendo e correndo verso di lei, fino a quando non la raggiunsi.
«Harp, che ti prende?». Strattonai un suo braccio costringendola a voltarsi verso di me. Gli occhiali da sole scuri nascondevano i suoi occhi e non riuscivo a capire che cosa pensasse, ma la mano stretta a pugno mi fece capire che qualcosa non andava. Speravo davvero non fosse per la domanda che le avevo fatto, ma qualcosa mi faceva pensare che fosse proprio quello il motivo della sua sfuriata.
«Vado da sola da mio fratello, visto che non sai mantenere una promessa. Avevamo detto di non parlarne e tu l’hai infranta. Stavo riuscendo a non pensarci Jar, per cinque minuti ci stavo riuscendo e tu hai rovinato tutto. Vado a piedi, tu riprenditi la tua macchina e vai dove vuoi, non ho più bisogno di te». Non si era fermata un attimo, facendoci allontanare di qualche centinaio di metri dalla macchina. Per quanto fossi triste per la sua reazione, non riuscivo a rimanere serio perché sembrava davvero convinta di andare a piedi.
«Harp, non fare l'idiota, sali in macchina, siamo in mezzo al deserto del Nevada, ed è quasi buio» spiegai, cercando di farla ragionare. Sapevo che quando Harp si intestardiva non bisognava mai farle capire che stava sbagliando o diventava ancora più ostinata; bisognava semplicemente calmarla e farla ragionare, o sfogare. In quel momento, in mezzo al deserto, ero quasi sicuro che farla sfogare fosse la soluzione migliore.
«Andrò da Ken a piedi» continuò, saltellando dopo aver pestato un sasso che probabilmente la infastidì, visto che continuava a camminare senza scarpe. Trattenni una risata, raggiungendola e fermandomi davanti a lei perché non potesse continuare a camminare.
«Non vorrei dirtelo, ma fai prima a tornare a casa, sono meno miglia». Dopo la mia frase vidi distintamente le sue labbra socchiudersi per formare una O e pochi secondi dopo, forse indecisa su cosa fare, mi diede le spalle, iniziando a camminare in direzione contraria. «Quindi torni a casa? Vado io da Ken?» scherzai, pronto allo scoppio.

«Mi prendo le scarpe, non posso attraversare due stati a piedi nudi, non sono Mowgli» sbraitò, spostando gli occhiali da sole sopra al capo in un gesto arrabbiato.
«Ora ti fermi e mi dici che succede Harper, perché mi sono stancato». Serio, arrabbiato e deluso, sapevo che avrebbe iniziato a urlare ma alla fine si sarebbe calmata e tutto sarebbe andato nel verso giusto.
«Cosa succede? Avevi detto che non ne avremmo più parlato, Jar. Avevamo promesso che non avremmo più parlato di quello che era successo in cucina. Perché continui a ricordarlo? Perché vuoi confondermi? Non voglio pensarci, è… non lo so cosa, ma è strano. Una parte di me è imbarazzata perché ho fatto sesso con il mio migliore amico e l’altra pensa che non è stato per niente male e che un’altra bottarella magari con più calma  te la darei. Capisci perché non voglio più pensarci? Perché per te non è lo stesso e lo so, probabilmente con il vostro linguaggio in codice dei maschi tu hai detto a loro che mi hai trombata e avrai anche comunicato un voto, ridendo delle mie tette piccole e del fatto che non ci si può far tanto, lo so. E quindi io speravo di non doverci più pensare, ma no! Perché siamo nel bel mezzo del deserto del Nevada, senza scarpe a dire che chissà per quale motivo ci siamo ritrovati in cucina. Nudi. Ti basta come spiegazione o vuoi altro? Ora inizierai a dirmi che noi donne facciamo milioni di castelli in aria per una trombata ma no, non è così, non faccio castelli in aria, perché non ci penso». Prese un respiro profondo, prima di tirare un calcio a un sasso che attraversò la strada.
Se mi avessero chiesto una sola parola per descrivere Harp in quel momento avrei usato pazza.
Ok, una volta per tutte dovevamo chiarire. «Harp, non l’ho fatto volutamente. Non ho parlato con i ragazzi per vantarmi di quello che abbiamo fatto, non sanno niente e il motivo per cui ogni tanto ne parlo è perché ci penso spesso. Stavo solo cercando di capire quello che è successo, ma credo che siamo sulla stessa barca. Non mento, ok? Sono un uomo e se dicessi che non mi sono divertito che è andata male o che ora non sto meglio sarebbero stronzate. E non c’entrano niente le tue tette. Quello che cercavo di capire era quello che tu non hai ancora chiaro. Sono diviso in due, non so come possiamo ignorare quello che è successo, visto che non è stato così male… è solo questo. Forse dobbiamo solo scherzarci su, prenderci in giro come il solito. Io ti dico che non hai tette, tu mi dici che non sono dotato, che non potrò mai soddisfarti o cose così e tutto tornerà come prima dai. Un incidente di percorso, lo chiamiamo così?» proposi, sorridendo.
Vidi un sorriso timido posarsi sulle labbra di Harp prima che annuisse, guardando i suoi piedi nudi.
«Dai, abbracciami Pri» bofonchiai, allargando le braccia in attesa che mi raggiungesse e strofinasse il suo naso sul mio petto, come sempre. «E adesso andiamo da Ken, o almeno andiamo in Motel, perché inizio ad essere stanco di guidare». Le lasciai un bacio tra i capelli accarezzandole la schiena prima di sciogliere l’abbraccio e andare verso Pixie.
 
«Stai scherzando, vero?» domandai, lasciando cadere lo zaino che mi ero portato. Mi guardai attorno, cercando di scovare qualche porta segreta che potesse farmi capire che c’era un altro letto in quella stanza, o almeno una poltrona. Ma no, perché lì, in quello squallido motel, sembrava che ogni stanza fosse dotata di un letto e lo spazio necessario per camminare –logicamente in fila indiana –da quello al bagno.
«Ho cercato quello più economico, non ho guardato la grandezza della stanza o se i letti erano matrimoniali o singoli. Scusami Jared se quando ho prenotato non ho pensato che potevi intestardirti e seguirmi» sbottò, incrociando le braccia sotto al seno mentre spostava le coperte con un piede.
Non era un motel sporco, solo tanto… piccolo. Decisamente il più piccolo che io avessi mai visto; ora capivo perché quella camera fosse costata una miseria ad Harper. Cercai di camminare verso il bagno per lavarmi almeno le mani, ma lo zaino che avevo lasciato per terra qualche istante prima mi fece perdere l’equilibrio e per poco non caddi sbattendo il capo contro il muro.
«Jar sei un’idiota» ridacchiò sedendosi sul letto per togliersi le scarpe. Si stiracchiò, muovendo leggermente il collo per rilassarsi dopo il lungo viaggio in macchina. «Vai pure a farti una doccia, poi vado io. Non mi va di uscire, riposiamoci» spiegò, distendendosi sul letto e facendomi capire che era davvero piccolo.
«Ok, grazie». Non avevo nemmeno voglia di litigare; quel viaggio mi aveva davvero sfiancato. Era notte, ero stanco e sudato e volevo solo riposare, visto che la sera prima non ero riuscito a riposare se non per qualche ora.
Lasciai che l’acqua scorresse sul mio corpo, rilassandomi, e uscii dallo stretto bagno solo con i pantaloncini che mi ero portato da casa. Harp sorrise e si alzò, passandomi di fianco e chiudendosi subito dopo in bagno; pochi istanti dopo sentii il rumore dell’acqua che scorreva e, distendendomi a letto, socchiusi gli occhi rilassato.
Risi, ripensando ad Harp che camminava a piedi nudi in mezzo al deserto, impossessata da qualche strano demone che la faceva sembrare pazza e poi cercai di scacciare infastidito una mosca che si era appoggiata al mio braccio. Quando però lo scostai, qualcuno rise e io aprii gli occhi, confuso.
«Ti eri addormentato, stavo cercando di non svegliarti ma volevo prendere un cuscino. Vado a dormire in macchina, qui non ci sono due letti». Quando riuscii a capire il significato di quelle parole, mi alzai a sedere di scatto, arrabbiato.
No, Harp non sarebbe andata a dormire in macchina, non gliel’avrei mai permesso. «Non essere cretina, vado io a dormire in macchina. Tu ti metti qui, comoda. Io ho deciso di venire con te, tu avevi prenotato questo letto per  te». Mi alzai, ma Harp mi bloccò, appoggiando le sue mani sulle mie spalle e costringendomi a rimettermi seduto.
«Come ai vecchi tempi? Dormiamo entrambi sullo stesso letto, l’abbiamo già fatto, ricordi?» scherzò, togliendosi le infradito e sedendosi di fianco a me sul letto.
Mi irrigidii appena, insicuro. Era una buona idea? Dopo tutto quello che era successo nei giorni precedenti? «Sei sicura?» domandai, sperando che avesse cambiato idea. Non volevo farla sentire rifiutata, perché davvero, per me dormire con lei non significava nulla, ma avevo paura che potesse in qualche modo sentirsi imbarazzata.
«Dobbiamo solo dormire, Jared. Non fare il maiale. Ora distenditi su». Si distese, scalciando una mia gamba perché potessi spostarla.
Dormire, certo. Dovevamo solo dormire. Cosa mi ero messo in mente? Cosa avevo pensato. Mi distesi dietro Harper, tenendo la schiena appoggiata al muro dietro di me e schiacciandomi il più possibile contro la parete fredda. «Puoi spegnere la luce» azzardai, sperando che per lei non fosse un problema. Se dovevo anche dormire con la luce accesa non sarebbe stata una buona idea, visto che la spallina della canottiera nera che indossava Pri si era leggermente spostata sulla spalla.
Ma cosa diamine stavo guardando? Alzai gli occhi al soffitto distogliendo lo sguardo e maledicendomi per quello stupido pensiero.
«Buonanotte Jar» mormorò Pri, avvicinandosi a me per darmi un bacio sulla guancia per la buonanotte e sentii la sua mano sfiorare il collo per capire dove fosse il mio viso. Mi spalmai ancora di più verso il muro dietro di me, reprimendo quel brivido che stava nascendo lungo la mia schiena.
Ma c’era il riscaldamento acceso in quella stanza? Perché improvvisamente quei pantaloni sembravano di troppo e avevo caldo. Il corpo di Pri era come una stufa. Cercai di spostarmi i capelli dalla fronte con una mano e Harper, con un sospiro si spostò di qualche centimetro verso di me.
«Cazzo» pensai, chiudendo gli occhi e trattenendo il respiro. Non se ne era accorta, vero? Non si era accorta che qualcosa non andava. Era solo la mia impressione, no?
«Jar, perché sei allegro andante con brio?» ridacchiò, appoggiando la testa sul mio petto. Negare, negare l’evidenza doveva essere l’unica cosa da fare. Per forza.
«Cosa?» domandai, respirando silenziosamente per rilassare tutti i muscoli del mio corpo, anche quelli involontari. Non poteva davvero aver sentito. La sua schiena era solo appoggiata leggermente a me. Non…
«Perché laggiù sei sveglio?». Merda. Alzai gli occhi al cielo, sentendomi arrossire perché se solo avesse acceso la luce mi sarei sentito come lo sfigato della scuola che si fa trovare con una canadese nei pantaloni mentre guarda lo spettacolo di fine anno delle cheerleader.
«Non so di che parli». Mentire di nuovo era la via. Mi immaginavo Wilson ridere se solo gli avessi raccontato quella situazione e sapevo che lui mi avrebbe consigliato di mentire. Per questo, quando sentii il corpo di Pri premere contro al mio per farmi capire a cosa si stava riferendo non riuscii a trattenere un: «Cazzo» che uscì con un tono di voce un po’ troppo alto. Non potevo più negare, era evidente.

«Esatto, parlavo di lui. Perché?». La sentii muoversi e pochi istanti dopo il suo respiro caldo si stava infrangendo contro il mio collo. Si era girata, ora eravamo faccia a faccia. Nonostante ci fossero tutte le luci spente, riuscivo a vedere –grazie al neon rosso dell’insegna del motel –l’ombra e lo scintillio dei suoi occhi; non riuscivo però a cogliere la sua espressione per capire cosa stesse pensando.
«Non lo so, è caldo e ho bevuto» mi giustificai, come se potesse essere una scusa sufficiente per quello che mi era successo. Rimaneva comunque una delle figure di merda più grandi della mia vita. Non era successo a nessuno di eccitarsi con la propria migliore amica. Be’, forse era successo a molti, ma essere scoperti era un altro paio di maniche.
«Una birra» puntualizzò, facendomi sentire ancora peggio. Non potevo nemmeno utilizzare la scusa dell’essere ubriaco perché una birra non mi faceva di certo effetto; soprattutto visto che l’avevo bevuta quasi un’ora prima, durante la cena.
«Harp… lasciamo stare». Anche alle mie stesse orecchie risultavo abbattuto. In verità mi sentivo male perché sapevo di averla delusa. Lei si fidava di me, ed era la seconda volta che la deludevo quel giorno; prima in macchina parlando del fattaccio e ora, a letto, facendole capire che c’era qualcosa di sospeso… in tutti i sensi.
«Io non sono presa meglio» confessò, facendomi smettere di respirare. Se cercava di peggiorare la situazione ci stava riuscendo bene, visto che dopo la sua frase, mi ero appiattito ancora di più contro al muro.
«Harp…». Il suo nome era uscito dalle mie labbra con un mugugno, un qualcosa di indefinito… mi vergognavo di me stesso, non ero nemmeno più un uomo. L’intera razza maschile mi avrebbe detto che non ero degno di possedere due palle.
«E se… visto che abbiamo un letto stretto, ottimizzassimo gli spazi? Tipo tu sotto e io sopra, così stiamo meglio». Non riuscivo a cogliere la sfumatura nel suo tono di voce, ma non mi sembrava che stesse ridendo. Sembrava davvero seria. Forse Harp era diventata improvvisamente sonnambula e parlava nel sonno?
«Harp mi stai chiedendo di…»… non riuscivo nemmeno a completare la frase, per paura che mi arrivasse un ceffone, dicendomi che ero un maiale e che ero sempre pronto a cogliere occasioni del genere al volo.
«Sì, Jar, ti sto chiedendo di trombare, dannazione. Ci scarichiamo un po’, è meglio no? Piuttosto di andare con gli sconosciuti, noi ci conosciamo, e poi qui siamo più comodi. Solo stanotte, perché siamo in questo motel con un solo letto. Che dici?». Si mise a sedere, accendendo la luce. Aveva i capelli sciolti che ricadevano sulle sue spalle e… dannazione, quella spallina nera era definitivamente scesa. Abbassai lo sguardo, percorrendo il suo piccolo e magro corpo e soffermandomi sulle sue gambe nude, scoperte da quei corti shorts che indossava.

«Oh… be’, se la metti così» mormorai, sollevandomi appena per sistemarmi e stare più comodo. Carpe diem, diceva qualche poeta greco o latino. Lascia che la carpa dia, dice sempre Wilson. Una trombatina solo perché quel letto era decisamente stretto per stare uno di fianco all’altro, niente altro. In amicizia, ecco.
«La metto come vuoi» scherzò. Non sapevo se fosse per rompere la tensione che si era creata o cosa, ma ci riuscì, perché iniziai a ridere, colpendola scherzosamente con una mano sul braccio.
«Harp, sei scema». Mi asciugai una lacrima con il dorso della mano, notando come si fosse fatta improvvisamente seria. Forse ci aveva ripensato, forse era meglio così. Poi le cose si sarebbero complicate ancora di più, no?

«Però mettiamo delle regole, visto che sarà una cosa di puro piacere personale, senza sentimenti. Vorrei che il mio punto fosse chiaro: tipo dei paletti. Che cosa non ti piace? Io per esempio odio quando mi mordono il collo, mi infastidisce e non mi eccita». Sgranai gli occhi: Harp la pazza aveva colpito ancora, facendomi capire che con lei quello che pensavo era sempre sbagliato. Perché ora mi stava chiedendo le mie preferenze… forza Jar, era il momento di essere uomo e non la femminuccia che pensa sempre ai sentimenti. Una trombata, dannazione. L’avevano fatto tutti.
«Odio che mi graffi la schiena perché se vado in palestra ho i segni rossi» specificai, ricordando che una volta avevo visto uno con dei graffi così evidenti da risultare ridicoli.
«Non farmi il solletico, non leccarmi perché mi sembri un cane e poi non mi eccito più e non urlare come se fossi in un film porno. Non incitarmi nemmeno, cose come «Dai che ce la fai, Pri» non funzionano e potrei tirarti un pugno». Aveva contato tutte le cose nelle dita di una mano, per non dimenticarsi nulla. Mentalmente mi appuntai tutto: no collo o solletico, non leccare, non incitare, non urlare… la lista sembrava lunga e non ero sicuro di poter ricordare tutto quanto nel mezzo dell’azione.
«Non fingere perché lo capisco, ho un metodo infallibile» la avvertii, notando i suoi grandi occhi verdi sgranarsi per la sorpresa. Si riprese subito però, ricordandosi di qualche altra regola che avrei dovuto rispettare.
«Non aggrapparti alle mie minitette, non mordere il mio stomaco e non tenerti sulle mie spalle». Che lista lunga, dannazione! Come pretendeva che potessi agire normalmente quando avevo così tante cose da tenere a mente? Mi vietava di fare qualsiasi cosa!
«Ma posso fare qualcosa, oltre a spingere?» domandai ironico, alzando anche un sopracciglio. Perché se non potevo toccarle il collo, farle il solletico, leccarla, incitarla, urlare, aggrapparmi alle sue tette, morderle lo stomaco e tenerle le spalle… non mi rimanevano molte cose da fare.
«No, non fare nulla. Anzi, sto io sopra, tu stenditi» ordinò, sedendosi meglio sul letto.

Cazzo, in che guaio mi ero cacciato? Era proprio brutto ritirarsi all’ultimo momento?
 
 

 
Ragazze io non so nemmeno come scusarmi.
Sono passati due mesi e mezzo dall’ultimo aggiornamento quando avevo promesso che sarebbe passato meno tempo, in più sono indietro con le risposte alle recensioni e con i messaggi privati, giuro che ho letto tutto e adesso inizio a rispondere, mi dispiace così tanto per il ritardo.
In ogni caso, spero che il capitolo sia qualcosa di decente, ne ho scritto metà ora, in mezz’ora perché mi sentivo in colpa per il ritardo e volevo assolutamente pubblicare, quindi mi dispiace se ci sono schifezze che non ho fatto a tempo a sistemare.
Mi scuso anche per la volgarità, nell’ultima parte mi sono sfuggite davvero frasi poco carine (sì, Harp, sto parlando con te, e anche con Wilson e le sue perle di saggezza).
Voglio anche dire che nella prima parte del capitolo non era mia intenzione offendere Justin Bieber e la sua musica, quello che cercavo di fare era scherzare, visto che i gusti musicali di Harper non sono proprio quelli della musica di Justin. Non mi permetterei di offenderlo.
E poi… ah sì, nomino Torn, che è una canzone di Natalie Imbruglia di qualche anno fa, molto carina.
e… ah sì, in questi mesi di assenza da EFP ho pubblicato l’ultima (credo sia il momento di dirlo) OS “Look after you” che riguarda la long story “You saved me” (se qualcuno volesse leggerla, consiglio vivamente di non leggere la OS ma la storia prima, visto che la OS è spoiler).
E come sempre ricordo il gruppo NERDS’ CORNER in cui cercherò di essere comunque più presente, anche se ci sono sempre. Accetto chiunque.
A presto (stavolta prometto di metterci meno, perché la situazione è un po’ spinosa, lo so).

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Capitolo 8
*** Round II ***


CBA


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Alle mani in più, ai nani, alle cene e agli hotel di lusso.
A chi mi è vicino ogni giorno e mi sopporta, nei miei mille scleri.
A tutte voi che aspettate anche se non c’è motivo di farlo.
Grazie.

 
 
No collo o solletico, non leccare, non incitare, non urlare…
Deglutii, strofinando i palmi sudati delle mani sul letto mentre Harp si portava i capelli dietro alla schiena, in imbarazzo.
«Jar... non è una cosa che mi riesce così. Dovremmo lasciar stare forse. Se è programmato non ha senso, non trovi?».
Concordavo con lei, anche perché trovavo stupido iniziare a baciarsi all'improvviso, se non c'era atmosfera -quella che avevamo decisamente fatto sparire svelando i nostri tabù.
«Il momento è passato, hai ragione. Buonanotte Harp» mormorai, lasciandole un bacio tra i capelli e distendendomi sul letto, facendo attenzione a rimanere il più vicino al muro possibile.

La sentii sospirare subito dopo aver spento la luce e, dopo qualche secondo, si distese così distante da me che temevo potesse cadere giù dal letto durante il sonno. Aspettai qualche minuto, sperando si muovesse per mettersi più al centro, al sicuro, ma non lo fece.
«Puoi avvicinarti se vuoi, non ti mangio» scherzai, in un soffio. Harp non rispose e non si avvicinò nemmeno, rimase ferma immobile, come se non mi avesse sentito. «Harp?» domandai, alzando appena il capo per controllare che non mi stesse prendendo in giro. Di nuovo nessuna risposta. «Ma ti sei già addormentata?». Non sapevo se mi stesse prendendo in giro o se davvero stesse dormendo ma, per sicurezza, portai la mano davanti al suo corpo per controllare quanto spazio ci fosse; la sua pancia sporgeva di qualche centimetro oltre il bordo del materasso. Se si fosse mossa in avanti durante la notte, sarebbe di certo caduta, facendosi male.
Non potevo permetterlo.
«Vieni qui, stupida» mormorai, portando il mio braccio attorno alla sua vita e attirandola verso di me perché potesse essere al sicuro. La sentii lamentarsi appena nel sonno, ma dopo qualche secondo si sistemò, portando la sua mano sopra alla mia e sospirando. Sorrisi, felice che non potesse vedermi, e dopo averle lasciato un bacio tra i capelli, chiusi gli occhi, rilassandomi e addormentandomi dopo poco.
 
«Mhh» mi lamentai, scuotendo appena il capo per spostare qualsiasi cosa stesse camminando sulla mia fronte. Faceva caldo, tanto caldo, il mio fianco destro era completamente appoggiato a un termosifone e sentivo la mia schiena appiccicata al materasso sotto di me.
«Non volevo svegliarti, scusa. Stavo cercando di spostarti i capelli, sei tutto sudato» sussurrò Harp, costringendomi ad aprire gli occhi per cercare di capire dove fossi. Perché era di fianco a me? Improvvisamente ricordai: eravamo in motel, perché stavamo andando a trovare Ken. Un solo letto, stretto. «Dormi, devi riposare, sono le due» cantilenò, come se stesse cercando di farmi addormentare. Socchiusi involontariamente gli occhi, al tocco della sua mano calda sulla mia fronte, mentre mi scostava i capelli.
Continuava ad accarezzarmi, come se stesse cercando di farmi rilassare per tornare a dormire; canticchiò anche qualche canzone mentre sentivo i miei muscoli rilassarsi di nuovo, addormentandomi.
«Sei bello». Un sussurro, sicuramente prodotto dalla mia mente.
Spalancai gli occhi, guardando Harper che sgranò i suoi, in un’espressione che era un misto tra paura e imbarazzo.
«Cosa?». Mi schiarii la voce, muovendomi appena e spostando il mio braccio che le circondava ancora il corpo. «Che hai detto? Hai parlato tu?» domandai, sentendo il suo corpo irrigidirsi di fianco al mio. Ormai non avevo nemmeno più sonno; ero troppo curioso di capire se fosse stata davvero lei a dire quelle parole o se fossi stato io a sognarle.
Però, se avevo imparato a conoscere Harp in tutti quegli anni, potevo capire che fosse stata lei a dire la frase, visto il modo in cui stava reagendo.
«Di che parli?». Il corpo rigido e lei che, cercando di non farmelo vedere, si allontanava di qualche centimetro da me. Stava mentendo, lo capivo da troppi segnali.
«Harp?». Corrugai la fronte, in attesa che parlasse con me e mi spiegasse che cosa era successo. La vidi scuotere il capo nella penombra della stanza e fece pressione sulle braccia, per alzarsi; ma non glielo permisi. Afferrai il suo polso, stringendolo appena e facendo un po’ di forza perché non potesse scendere dal letto. Non se ne sarebbe andata fino a quando non mi avesse detto che cosa era successo.
«Jar, davvero lascia stare». Era agitata, si notava anche dal modo in cui, ancora una volta, scuoteva il capo avanti e indietro; sembrava stesse scacciando qualche pensiero che non voleva avere.
«Ora mi dici che succede». Fece forza per alzarsi e, istintivamente, aumentai anche io la stretta sul suo polso, tirando all’indietro e facendola cadere sopra di me. «Oops» mormorai quando il suo naso sfiorò il mio e vidi i suoi occhi a pochi centimetri dal mio volto. Il verde dei suoi occhi risaltava anche se c’era solamente la luce rossa al neon fuori dalla camera.
«Jar…» un sussurro che mi fece sgranare gli occhi quando vidi lo sguardo di Harp spostarsi involontariamente sulle mie labbra schiuse. «Non…». Di nuovo, il capo che si scuoteva mentre socchiudeva gli occhi cercando di concentrarsi. Sentii distintamente il suo petto premere contro le mie costole mentre respirava profondamente.
«Harp?» domandai, aggrottando le sopracciglia confuso. L’avevo vista alzare gli occhi al cielo come se avessi fatto qualcosa di male.
«Fanculo, Jar. Ti ho chiesto espressamente di non leccarti le labbra. I miei ormoni sono messi a dura prova e non mi pare il momento». Non riuscivo a capire perché, entrambi, continuassimo a sussurrare tutto quello che stavamo dicendo, visto che non c’era nessun altro in camera con noi. Non che avessi paura di disturbare qualcuno, ma sembrava quasi che lo facessimo per non… rovinare l’atmosfera. «Cazzo. Di nuovo. Smettila o ti strappo quella lingua con i denti». Sentii l’indice di Harp puntato al mio petto e ridacchiai divertito dal suo sguardo furioso e frustrato.
Perché non giocare un po’? Mi mordicchiai il labbro, puntando direttamente il mio sguardo nel suo, per godermi la sua reazione. Spalancò gli occhi e le labbra, assomigliando terribilmente a un –bellissimo –pesce lesso.
«L’hai voluto tu» mormorò, mettendosi a sedere e fingendo di arrotolarsi le maniche di una maglia invisibile come se si stesse preparando a uno scontro epico. Ridacchiai rumorosamente, portando le braccia a incrociarsi dietro la nuca, in attesa della sua prossima mossa. «Preparati, Jared James Edward. Ora morirai». Si alzò in piedi, sul materasso di fianco a me e, tenendosi in equilibrio con le mani appoggiate al muro, si spostò per portare una gamba al mio fianco.
«Cosa fai?» sghignazzai, inorridendo mentre, con un sorriso sadico si sedeva sui miei addominali prima di iniziare a farmi il solletico. «Pri» urlai così forte che probabilmente avevo svegliato qualcuno. Non mi interessava però, visto che quelle sue piccole e magre dita continuavano a torturarmi lungo le costole; lì dove soffrivo il solletico più di tutto. «Smettila o me la paghi». Sapeva esattamente che il solletico in quel punto mi faceva mancare completamente la forza, per questo, non appena ero riuscivo a intrappolare i suoi polsi con una mano, aveva iniziato a scalciare per cercare di scappare.
Con un colpo di reni ribaltai la situazione, schiacciandola tra il mio corpo e il materasso sotto di lei. Alzai le sue braccia, tenendo entrambi i suoi polsi con una mano e li appoggiai al cuscino, sopra la sua testa. Avevamo entrambi il fiatone e per qualche secondo rimasi a guardare gli occhi verdi di Harp, sotto di me. «Harp».
«Jar» sussurrammo nello stesso momento, sorridendo subito dopo. Iniziò a ridere, portando la testa all’indietro tanto che una ciocca di capelli le ricadde sul collo e istintivamente la spostai. Harp smise di ridere non appena le mie dita sfiorarono il suo collo e mi guardò seria, prendendo un respiro. «Jar…» tornò a dire, senza veramente aggiungere altro.
Era stato un attimo; non me ne ero nemmeno accorto. Mi ero ritrovato con le mie labbra sulle sue, le sue dita a tirare qualche ciocca dei miei capelli e la mia mano a scorrere lungo le sue braccia fino ad arrivare al suo viso mentre cercavo di sorreggermi.
Era come… come aver acceso –di nuovo –un fiammifero su un cumulo di paglia. All’improvviso tutto era diventato fuoco.
Portai la mano sotto alla maglia di Harper, solleticando la pelle delicata del suo stomaco mentre la sentivo rabbrividire sotto il mio tocco. Non chiesi nulla e lo stesso fece lei. Fu naturale per me –come se non l’avessi fatto una volta sola ma da sempre –far salire la mia mano sfiorandola e godendo del suo sospiro che morì sulle mie labbra.
Sentii le sue mani scendere lungo il mio collo, sfiorarmi le spalle e circondarmi la schiena quando una mia mano si strinse sul suo seno. Di nuovo, un gemito mal trattenuto poiché continuava a torturare il mio labbro con i suoi denti. Non che mi interessasse poi molto, visto che le sue mani stavano esplorando il mio corpo, scendendo sempre di più e facendomi diventare, secondo dopo secondo, sempre meno lucido.
Socchiusi gli occhi quando volontariamente il palmo della mano di Harp sfiorò i miei boxer, prima di spostarsi verso il mio stomaco che graffiò, facendomi gemere.
La sentii ridacchiare e, per ripicca, come se fossi stato un bambino, decisi  di fargliela pagare mordendole il labbro; Harp mugolò per il dolore, stringendo le sue gambe attorno ai miei fianchi e attirandomi a lei prima di iniziare a muovere –in una sadica tortura –i suoi fianchi per tentarmi.
Senza pensarci due volte portai di nuovo le mani sotto alla sua canottiera nera, sfilandogliela e smettendo di baciarla solo per il tempo necessario. Lasciai che le mie mani accarezzassero il suo corpo, sfiorandola e godendo dei suoi sospiri, imparando a capire cosa potesse piacerle e cosa no.
Per quanto conoscessi Harper, conoscere il corpo di una persona, esplorarlo e comprenderlo per poter donare piacere all’altra persona era diverso. Ci stavamo divertendo, certo, ma volevo che Harp stesse bene, oltre a far godere me.
La sentii ridacchiare quando le mordicchiai il lobo dell’orecchio e vidi distintamente il suo sguardo cambiare nel momento in cui tracciai una scia di baci lungo il suo collo, scendendo verso l’incavo dei suoi seni e arrivando a baciarle la pancia.
Un sospiro interrotto a metà non appena la mia mano accarezzò una sua coscia salendo, per sfilarle gli slip. Puntai il mio sguardo nel suo, per essere sicuro che fosse quello che voleva veramente, che non ci fossero ripensamenti o altro; una volta superato quello scoglio –una volta tolto quel pezzo di stoffa decisamente inutile, quindi –non sarei più riuscito a fermarmi. Non che ci potessi riuscire in quel momento, comunque.
La vidi sorridere imbarazzata, come se volesse darmi un muto consenso; quindi, senza aspettare troppo, levai quell’inutile coso nero, sorridendo quando, alzato lo sguardo, mi ritrovai a guardare il corpo nudo di Harp davanti a me.
La luce al neon rossa produceva degli strani effetti, creando ombre e giochi di luce che rendevano la sua pelle di un colore innaturale e che sottolineava quelle poche curve che aveva. Mi soffermai per qualche secondo a guardare il suo seno che si alzava e abbassava a un ritmo più veloce del normale e sorrisi, quando si portò le mani davanti per coprirsi; non aveva assolutamente nulla che non andasse, anzi: era bellissima.
«Non coprirti» mormorai, tornando a baciare le sue labbra e lasciando che le sue dita esplorassero la mia schiena. La sentii sospirare ma ero troppo impegnato a lasciarle un piccolo segno rosso sul collo per curarmi di alzare lo sguardo.
La sua pelle era così morbida e liscia che non resistetti: lasciai una scia di baci e piccoli morsi, marchiandola con piccoli segni rossi fino ad arrivare al suo seno, sul quale mi soffermai di più, vista la sua reazione. Ridacchiai, giocando con la sua pelle chiara e mordendo e baciando ogni singolo centimetro, guidato dai suoi sospiri e dalle sue mani che si stringevano attorno ai miei capelli.
Improvvisamente però, Harp si mise a sedere, cogliendomi di sorpresa. Si avvicinò con uno strano sorriso al mio volto, mordendo le mie labbra in un modo così sensuale che riuscii a trattenere un gemito solo per poco. Dannazione, se ci sapeva fare!
Sentii le sue piccole mani correre lungo la mia schiena fino ad arrivare all’elastico dei miei boxer che allontanò per poi farlo sbattere contro la mia pelle. «Oops» scherzò, fingendo di non averlo fatto volutamente. Sgranai gli occhi, sorpreso da quella nuova Harper che non avevo mai visto o immaginato –forse solo sognato –e che era dannatamente… eccitante.
«Cazzo» sbottai, strofinandomi il volto con una mano, frustrato. Che diamine mi stava succedendo? Perché improvvisamente Harper era cambiata e sembrava che ci fosse più complicità del solito? Sembrava quasi naturale scherzare anche mentre –con un’evidente eccitazione –cercavo di concentrarmi per non saltarle addosso prima ancora di togliermi i boxer.
Per fortuna sembrava che lei fosse un po’ più lucida –o impaziente –di me, visto che le sue piccole e calde mani superarono la barriera di stoffa, intrufolandosi sotto e sfiorando la pelle del mio fondoschiena fino a spostarsi davanti per arrivare a…
«Cazzo…» gemetti, sentendo distintamente ogni singolo dito circondare la mia erezione e inarcando involontariamente il corpo per avere più contatto con il suo. Harper rise; una risata cristallina, mentre cercava –goffamente –di far scendere i boxer lungo le mie gambe.
La aiutai, mettendomi in ginocchio e togliendoli in un modo che poteva essere tutto tranne che sensuale, e tornai a distendermi sopra di lei, rabbrividendo per il contatto del mio corpo nudo contro al suo. Vidi i suoi occhi illuminarsi, come se fossero lucidi e senza pensarci baciai le sue labbra, lasciando che le nostre lingue si incontrassero e prendessero confidenza.
Harper era bellissima, riuscivo a capirlo anche se avevo chi occhi chiusi, mentre assaporavo le sue labbra e il suo collo; perché anche le mie mani, vagando lungo il suo corpo, lo capivano.
Per questo, esattamente come la prima volta, era stato tutto naturale.
Ci eravamo ritrovati in sintonia, con i nostri corpi che si avvicinavano, studiandosi a vicenda: con le mani che vagavano, in cerca di pelle scoperta da toccare e sfiorare, con le labbra che baciavano e mordevano qualsiasi parte di collo trovassero; con i gemiti mal trattenuti che riempivano il silenzio della stanza e con l’odore di sudore che impregnava l’aria.
Perché era diventato tutto così normale, mentre i nostri corpi si muovevano sempre più veloci, alla ricerca di quel piacere che entrambi stavamo cercando.
Sentii le dita di Harper aggrapparsi più fermamente alle mie spalle e scesi a baciarle il collo, sfiorandola con la mia mano che scese verso il suo seno, stringendolo appena. Faticavo anche a tenermi in equilibrio con una sola mano, soprattutto perché sentivo di non poter resistere ancora per molto; per questo, quando Harp si rilassò, sotto di me, continuai a spingere, fino a quando non prese il mio volto tra le sue mani, per baciarmi.
In quell’esatto momento, come se quel bacio fosse stato il fattore scatenante, mi abbandonai sopra al suo corpo, completamente senza forza. Cercai di riprendere fiato, con il naso appoggiato alla sua clavicola e il profumo della sua pelle che assaporavo a ogni respiro.
Rimanemmo in quella posizione per minuti, ma sinceramente non sembrava che, né a me, né a lei, disturbasse. Sentii i nostri respiri ritornare normali e socchiusi gli occhi, insicuro su cosa fare o dire. Temevo di ferirla nel dire qualcosa, ma sapevo di poterlo fare anche rimanendo zitto.
«Jar? Sei vivo? Tutto bene?» domandò, irrigidendosi. Sentii distintamente i suoi muscoli contrarsi sotto di me, come se temesse una reazione strana da parte mia. Sapevo che con Harper il miglior modo per dire qualcosa –e soprattutto per sdrammatizzare –era fare battute.
In quel momento poi, la cosa migliore da fare era togliere l’imbarazzo che si era creato tra noi due: per la seconda volta nel giro di pochi giorni eravamo finiti a… letto assieme; visto che non avrei saputo come definire quello che c’era stato.
«Sono andato male?» scherzai, alzando lo sguardo e osservando i suoi grandi occhi verdi. Potevo vedere un’ombra più scura sulle sue guance e, di nuovo, i suoi occhi lucidi. Sentii la sua mano sfiorare in modo pigro la mia nuca e mi misi a sedere, aspettando una sua risposta.
«Male? Sei andato talmente male che hai fatto sfigurare anche me». Lo sguardo serio e fisso su di me, come se stesse dicendo sul serio. Poi, improvvisamente, un paio di secondi dopo, iniziò a ridere. «Scherzo Jar, è stato… divertente». Si mise a sedere, cercando, senza accendere la luce, la canottiera e gli slip per terra, di fianco al letto. Seguii il suo esempio, trovando i boxer tra le lenzuola e indossandoli prima di accendere la luce e inorridire davanti alla visione di Harp.

Il suo… il suo collo era ricoperto di chiazze rosse lasciate dalle mie labbra. Forse… forse avevo leggermente esagerato con i succhiotti, ma ricordai solo in quel momento che tra le sue regole c’era quella di non baciarle o morderle il collo. Il problema era che non mi ero ricordato la lista nel mezzo della… sessione sportiva.
«Vado… vado a farmi una doccia» mormorai, fingendo di non essermi accorto di tutte quelle macchie e correndo verso il bagno per chiudermi dentro.
Dopo un paio di passi però, sentii Harp mormorare un «Oddio» e mi fermai, voltandomi verso di lei per capire che cosa fosse successo. Magari si era accorta di tutte le macchie, o forse si era pentita di quello che avevamo fatto. «Jar, hai… diciamo che… mi dispiace ma… la tua schiena. Giuro che non volevo, non mi sono ricordata che non dovevo graffiarti e mi sono fatta prendere un po’ la mano ma spariranno nel giro di qualche giorno e non si vedrà nulla…». Graffiato? Mi aveva graffiato?
Camminai velocemente verso il bagno, voltandomi per poter vedere la mia schiena allo specchio «Harper» urlai, inorridendo. C’erano graffi sulle mie spalle, alcuni più profondi degli altri. Non sarebbero di certo spariti in un paio di giorni, dannazione. «Possibile? Tagliati le unghie!» strillai di nuovo, tornando in camera e bloccandomi non appena puntai gli occhi sul suo collo che assomigliava a un dalmata rosso. «Be’, così non mi sento in colpa per quel collo». Feci spallucce, fingendo di non dare peso al disastro fatto.
«Cosa?» si alzò in fretta, spintonandomi per andare fino al bagno. Capii con precisione il secondo in cui i suoi occhi avevano visto i succhiotti: aveva esclamato un «Cazzo» prima di tornare in camera furiosa. «Sei cretino però. Domani devo andare da mio fratello e arrivo a chiazze. Mi spieghi che cosa gli posso dire, visto che a quanto gli risulta non ho un ragazzo e sa che non me la faccio con il primo che passa?». Si sedette sul letto, sospirando e portandosi le mani tra i capelli.
«Magari se metti una sciarpina…» tentai, rendendomi conto che non era una buona idea. Non poteva di certo rimanere a casa di Ken con la sciarpa, sarebbe stato inutile. «O potresti metterti fondotinta o qualsiasi cosa si usi per cancellare una piccola chiazzetta». Piccola… fosse stata solo una. Harper aveva la pelle delicata, dovevo ricordarlo, per la volta dopo.
No!
Dannazione, non ci sarebbe stata nessun’altra volta, che diamine stavo pensando?
«Va a lavarti, per favore» sospirò, indicando la porta del bagno. In silenzio eseguii il suo ordine, lavandomi in fretta e tornando in camera pochi minuti dopo. Mi distesi sul letto con il corpo umido, ma Harp non lo notò, visto che era andata a farsi una doccia veloce anche lei. Quando tornò a letto, qualche minuto dopo, cercò di non appoggiare il suo corpo al mio, anche se era impossibile. «Jar, posso chiederti una cosa?» domandò all’improvviso, rompendo il silenzio che si era creato. Aveva aspettato di essere al buio, per far quella domanda.
«Certo Pri, come sempre» mormorai, appoggiando la mia mano al suo fianco e aspettando, con il respiro bloccato. Avevo paura della domanda, qualsiasi cosa fosse.
«Bene, allora te la faccio domani mattina, buonanotte».

 
 
 
 
Scusarmi è la prima cosa che faccio, anche se è inutile.
Come ho spiegato più volte nel gruppo, ho diversi problemi e so che giustificare il ritardo non ha senso, ma mi sento in dovere di farlo lo stesso.
Mi dispiace davvero tanto di farvi aspettare mesi per un capitolo che poi non è nemmeno questo bijou!
Mi scuso per la parte porno, ma ho davvero perso la mano e non so scrivere più nulla che sia quanto meno di rating arancione.
In più non sapevo dove ficcare la mano di Jar e mi son trovata in imbarazzo perché non sapevo che fargli toccare (niente battute porno, per favore).
Spero vivamente che il prossimo capitolo arrivi prima di un paio di mesi, mi scuso ancora per il ritardo e vi ricordo che se volete c’è il gruppo NERD’S CORNER dove inserisco spoiler e dove potete contattarmi se avete bisogno di qualsiasi cosa.
Grazie comunque a chi legge, mette la storia tra preferiti, seguiti e da ricordare e grazie anche a chi commenta (a questo proposito mi mancano alcune recensioni al quale risponderò entro domani mattina).
Baciozzi.
Rob.

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